castello di aglie

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castello di aglie
CASTELLO DI AGLIE’
Percorsi Sindonici
19 aprile - 21 giugno 2015
Esposizione copia a grandezza naturale della Ss. Sindone
e di paramenti Sacri antichi appartenenti alle collezioni del Castello.
a cura di Arch. Lisa Accurti - dott.ssa Annamaria Aimone
Attività : Esposizione copia a grandezza naturale della Ss. Sindone e di paramenti Sacri
antichi appartenenti alle collezioni del Castello.
a cura di Arch. Lisa Accurti - dott.ssa Annamaria Aimone
con il contributo dell'Associazione Volarte, che finanzierà l'allestimento dell' esposizione e offrirà
personale volontario
In occasione dell’ostensione della S.S. Sindone a Torino, il Polo Museale Regionale del Piemonte
ha studiato per il Castello di Agliè un suggestivo approfondimento sul tema, strettamente connesso
alla presenza di una copia del Sacro Lino che verrà esposta presso la Cappella di San Massimo.
L’ allestimento prevede la presenza di una serie di paramenti liturgici di manifattura torinese e
francese, risalenti al XIX e al XX secolo, realizzati in damasco di seta, damasco di seta broccato e
raso di seta liseré operato, che saranno disposti su manichini in modo da convergere verso l’altare.
L’apertura al pubblico è prevista dal 19 aprile - 21 giugno 2015, nell’ambito del consueto percorso
di visita al Primo Piano Nobile (biglietto 4,00 €), con visita accompagnata dalle ore 8.30 alle ore
19:30 (ultimo ingresso ore 18:30). valide gratuità ministeriali (minori 18 anni , militari, ecc.),
Tessere abbonamento Torino Musei e muesi Piemonte Card
Tutte le domeniche è consentito l'accesso gratuito diretto alla Cappella di San Massimo grazie alla
collaborazione dell' Associazione di volontariato culturale Volarte
Indirizzo: Castello Ducale di Agliè piazza del Castello 2 Agliè 10011 (To).
Info: 011 5220417 Direzione del Castello Ducale di Agliè- 0124 330102 Castello
e-mail: [email protected];
[email protected]
web:
www.beniarchitettonicipiemonte.it
www.piemonte.beniculturali.it
La copia della Ss. Sindone di agliè
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La presenza della copia della S.S. Sindone nella cappella del Castello è legata alla pietà dei
sovrani Carlo Felice e la moglie Maria Cristina di Borbone. La Sindone, che risale al 1822 ,
misura cm 430 x 103, ed è corredata di una dichiarazione dell’arcivescovo di Torino
Colombano Chiaverotti, dell'ordine di San Benedetto, della congregazione Camaldolese che
attesta l’avvenuto contatto con la vera Sindone durante l’ostensione dello stesso anno,
voluta da Carlo Felice (4 gennaio) per solennizzare l’inizio del proprio regno.
La copia del castello ha un’importanza del tutto particolare perché fu l’ultima copia di
Sindone “santificata” attraverso il contatto con l’originale. Il valore devozionale della copia
supera lo stesso valore iconografico, compromesso, per altro, dallo stato di conservazione,
ottimo per la consistenza del taffetà e della tela, ma diminuito per le trasparenze del segno
dipinto, che ha sofferto a causa di una pulitura, che ha provocato la diffusione dei pigmenti
colorati, rendendo i particolari della figura di difficile lettura.
Il passaggio del sacro Lenzuolo alla dinastia sabauda, nel 1453, ha determinato la nascita di
una vera iconografia sindonica particolarmente sentita al tempo di Emanuele Filiberto.
La Sindone, nella seconda metà del Cinquecento, ormai entrata ufficialmente nella vita della
Chiesa attraverso la concessione della liturgia da parte di Giulio II (1506), acquista un un
ruolo ben definito nell’ambito della politica sabauda e della pastorale tridentina.
Da una parte la Casa regnante, segnatamente nel momento in cui le istituzioni si rivolgono
verso il modello dello stato assoluto, trova nel possesso della Sindone un forte argomento di
legittimazione, che ritiene fondamentale rendere noto e valorizzare. Lo storico di corte
Emanuele Filiberto Pingon è incaricato di due opere celebrative della dinastia: l’Arbor
gentilizia, per accreditare una genealogia illustre e Sindon evangelica per rimarcare la
volontà divina dell’affidamento della “Regina delle reliquie” alla Casa: legittimazione
dinastica e legittimazione religiosa.
La Chiesa sente la necessità di una profonda riforma, i cui pastori, tra questi e Carlo
Borromeo, vedono nella Sindone uno strumento privilegiato di pastorale, che si svilupperà e
manterrà per tutto il periodo barocco. La coincidenza dell'interesse religioso e dinastico
porta la Sindone ed il suo messaggio a superare la diffusione locale, per assurgere a
notorietà pressoché universale. Sono testimonianza le numerosissime pubblicazioni che
vedono la luce in quei secoli, ma soprattutto l’enorme diffusione iconografica. Tra le
espressioni più interessanti di quest’ultima sono da annoverare le riproduzioni del Lenzuolo
in grandezza naturale, sicuramente di fruizione elitaria, ma non per questo rare.
Si ha notizia di circa 150 riproduzioni, due terzi delle quali ancora oggi esistenti. A rinforzo
del ruolo e significato proposto, le copie spesso venivano messe a contatto con l’originale,
trasformandole in un venerabile brandeum. La testimonianza di tale contatto è sovente
riportata nella stessa didascalia del telo e documentata da certificazioni che ne
accompagnano la tradizione.
Particolarmente interessante è la copia, firmata, conservata nella Confraternita di Santa
Marta in Aglié, dipinta da Giovanni Battista Fantino, unico autore che abbia firmato le
copie. Di questo pittore non si hanno notizie, le uniche opere conosciute sono in campo
sindonico. Di lui si conoscono tre copie firmate, conservate rispettivamente presso il
Monastero della Carmelitane di Santa Teresa di Savona (1697), nella cattedrale di Gallarate
(1710) ed ad Aglié (1708).
Un’ulteriore copia senza firma si conserva nella basilica di San Maurizio ad Imperia,
attribuita al Fantino, per motivi iconografici.
Sono inoltre censite una copia in scala ridotta custodita nella parrocchia di Badolatosa
(Siviglia) firmata e datata 1674, affiancata da scene riconducibili al modello dell’incisione
edita da Giovanni Testa a Torino per l’ostensione del 1578, ed una non meglio descritta
incisione su stoffa, conservata presso il citato monastero carmelitano di Savona.
La copia di Aglié, la più curata dal punto di vista artistico, misura ca cm 440 di lunghezza e
95 di altezza e reca la scritta “Etractum ab originali Taurini anno Do[mini] Fantinus fecit
1708”. L’opera condivide con le altre due firmate la singolarità di riportare invertite rispetto
alla reale posizione sulla Sindone la ferita al costato e la posizione incrociata delle mani.
Non si hanno notizie circa l’uso di questa sindone, il cui ritrovamento risale al 1978, in
occasione
dei
restauri
della
Chiesa.
I paramenti liturgici della Cappella di San Massimo
Pianeta
Veste liturgica riservata al sacerdote per la celebrazione della messa, la pianeta è ritenuta
una derivazione della poenula, mantello da viaggio usato nell’antica Roma.
La sua denominazione trae origine dal greco planetes, “che vaga, che gira”, per il fatto di
poter girare intorno alla persona, essendo stata concepita in foggia larga e maestosa,
solitamente a base circolare e convergente a forma di cono verso l’apertura per il collo.
Nel corso dei secoli subì varie modifiche, dettate dall’esigenza di lasciare libere le mani
dell’officiante. Alla fine del XV secolo assunse la forma comunemente usata sino al
Concilio Vaticano II (1962-1965), dopo il quale cadde in disuso, benché non ufficialmente
esclusa. La tipologia prevalente resta quella “alla romana”, caratterizzata dalla presenza di
una fascia verticale su entrambe le facce del paramento, la “colonna”, talora di tessuto
differente o semplicemente definita da galloni decorativi. Le parti laterali sono invece
indicate con il termine di “stolone”. Allo scopo di prevenire eventuali strappi, si diffuse
inoltre l’uso di applicare sul davanti, immediatamente sotto il taglio del torace, una
guarnizione orizzontale che, andando a intersecare la colonna, definisce il simbolo cristiano
della croce
Stola
Nei documenti dell’antico Occidente questo paramento è detto orarium, sinonimo di panno
piuttosto fine portato dalle persone distinte e destinato a detergere il volto e a girare intorno
al collo come un’odierna ampia cravatta. Dopo il XII secolo, il termine orarium fu sostituito
da quello di stola, dal greco stolè, “abbigliamento, vestito”, utilizzato in Oriente per
designare l’indumento in generale. Costituita da una striscia di tessuto, sempre del colore
della pianeta, conclusa da terminazioni trapezoidali dotate di croci, la stola è insegna
liturgica comune a diaconi, sacerdoti e vescovi ed è il modo in cui viene indossata a fungere
da indice del grado gerarchico.
I diaconi portano la stola a tracolla dalla spalla sinistra al fianco destro; il sacerdote e il
vescovo poggiano invece il paramento sul collo: il primo lo tiene incrociato sul petto,
mentre l’autorità episcopale ne lascia pendere le stremità. È ritenuta simbolo di dignità
ecclesiastica, con riferimento alle virtù necessarie per l’appartenenza agli ordini maggiori,
quali umiltà, obbedienza, purezza e pazienza.
L’uso liturgico prevedere che la stola venga indossata al di sotto della pianeta.