fare esperienza di matematica a scuola

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fare esperienza di matematica a scuola
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FARE ESPERIENZA
DI MATEMATICA A SCUOLA
M. Cazzola, “Fare esperienza di matematica a scuola”, in
AAVV, Conorovesciato, un esperimento di didattica per
problemi nella scuola primaria, Mimesis, 2007.
Versione preliminare
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Il Gruppo di ricerca sull’uso del gioco nella Didattica della matematica del Dipartimento di matematica “F. Enriques” dell’Università degli Studi di Milano
è composto da docenti di matematica a vario livello, universitari e non. Esso
svolge prevalentemente attività di formazione, sia per i futuri docenti di matematica (nell’ambito delle SIS e dei corsi di laurea in Scienze della formazione
primaria), sia per i docenti in servizio (corsi di aggiornamento in collaborazione
con gli Uffici Scolastici Regionali).
In questo testo viene descritta una sperimentazione condotta dal gruppo con
bambini di scuola primaria, dalla quale a nostro parere scaturisce una proposta
didattica efficace per un buon apprendimento della matematica. L’obiettivo non
troppo nascosto che, come autori, ci siamo posti è quello di fornire agli insegnanti uno strumento per svolgere autonomamente attività, come quella che vi
si descrive, che portino gli studenti a fare esperienza di matematica a scuola.
Metodologie e contenuti
In fase di progettazione di una qualsiasi attività didattica in un qualsiasi contesto, il docente si trova a dover compiere scelte su due piani distinti, quello
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dei contenuti e quello delle metodologie. Ciò che vogliamo provare a mostrare
è che contenuti e metodologie sono due campi non indipendenti, in particolare
per quel che riguarda la matematica. Se sul piano delle metodologie le domande
che il docente in generale si deve porre sono
come riuscire a motivare i miei studenti?
come creare un apprendimento a lungo termine?
il docente di matematica si rende conto facilmente che la risposta che cerca è in
realtà nascosta dietro la meta-domanda:
quale matematica insegnare?
che a sua volta lo porta a chiedersi:
che cos’è la matematica?
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Per ribadire quanto sia importante che il docente si chieda “che cos’è la matematica” in fase di progettazione delle attività didattiche, osserviamo fra l’altro
che ricerche condotte a partire dagli anni ’90 del secolo scorso hanno messo in
evidenza che la risposta che gli studenti a loro volta danno a questa domanda
ne influenza il rendimento.
Le convinzioni degli studenti
Molti ricercatori in didattica della matematica si sono preoccupati di stilare un
elenco delle convinzioni tipiche degli studenti nei confronti della matematica;
se le leggiamo con attenzione, non ci stupiamo che da queste convinzioni derivi
un atteggiamento negativo degli studenti nei confronti della materia:
➤ i problemi di matematica hanno sempre una e una sola risposta giusta;
➤ c’è sempre un solo modo di risolvere un problema di matematica, di solito
l’ultima regola che l’insegnante ha spiegato;
➤ gli studenti normali non possono aspettarsi di andare bene in matematica, possono solo memorizzare e applicare meccanicamente alcune formule,
senza capirle;
➤ la matematica si studia da soli;
➤ gli studenti che hanno capito la matematica sono in grado di risolvere in cinque minuti (o anche meno) un qualsiasi problema che venga loro assegnato;
➤ la matematica che si insegna a scuola il più delle volte non ha niente a che
vedere con la realtà;
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le dimostrazioni non sono necessarie per capire il processo di scoperta e di
invenzione che sta dietro agli argomenti oggetto di studio1 .
È allora chiaro che chi vuole portare gli studenti a un buon rendimento in matematica deve preoccuparsi anche di ribaltare queste convinzioni (convinzioni
che probabilmente la scuola stessa ha invece contribuito a costruire. . . ).
La parola ai “matematici”
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Se poniamo ai matematici la fatidica domanda “che cos’è la matematica?” ci
può succedere di ottenere una risposta semplice e concisa:
“Non è la filosofia, ma l’esperienza attiva che sola può rispondere alla
domanda: che cos’è la matematica?”2 .
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Ci sentiremo dire cioè che solo facendo matematica si può veramente capire
che cosa sia la matematica. Ecco quindi che se si dà per buono quello che dicono i matematici ci si deve orientare verso attività che portino i discenti a fare
matematica. Ma che cosa significa esattamente ciò? Un esempio significativo
di un tentativo di dare una risposta a questa domanda è l’episodio della revisione dei curricula di matematica statunitensi del 1990. In quel caso la comunità
matematica, in un contesto di richiesta di rinnovamento delle modalità di insegnamento, è stata fortemente coinvolta e ha portato come contributo al dibattito
il suggerimento che il curriculum scolastico di matematica dovrebbe contenere
attività mirate a:
➤ cercare soluzioni, non semplicemente memorizzare procedure;
➤ esplorare schemi, non semplicemente memorizzare formule;
➤ formulare congetture, non semplicemente fare esercizi.
In altre parole:
“Occorre che gli studenti abbiano l’opportunità di studiare la matematica come una disciplina sperimentale, dinamica e in evoluzione e non
come un rigido, assoluto e chiuso insieme di regole da memorizzare.
La matematica è in realtà una scienza di strutture e non esclusivamente
di numeri”3 .
1 Si veda ad esempio A. H. Schoenfeld, “Learning to think mathematically:
Problem solving,
metacognition, and sense-making in mathematics”, in D. Grouws (Ed.), Handbook for Research
on Mathematics Teaching and Learning, 334–370, MacMillan, 1992.
2 Si veda R. Courant, H. Robbins Che cos’è la matematica, Universale Bollati Boringhieri,
1971.
3 National Research Council (USA), Everybody counts: A report to the nation on the future
of mathematics education, 1989.
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La riforma statunitense del ’90, con una forte spinta a un rinnovamento dell’insegnamento, in realtà non era frutto del caso, ma era figlia dello sviluppo
delle scienze cognitive e in particolare delle teorie costruttiviste degli anni ’70
e ’80; quello che si stava scoprendo era che tali teorie ben si applicavano alla
matematica per la natura stessa della matematica.
Il costruttivismo e la didattica per problemi
Il principio base delle teorie costruttiviste sta nel trasformare il discente da
oggetto a soggetto del processo educativo, ovvero nel portarlo al centro del
processo di insegnamento-apprendimento, tenendo conto delle risorse e delle
diverse potenzialità presenti in ognuno: è il discente che deve costruire da sé
le proprie conoscenze. Applicando questo principio alla matematica, in modo
naı̈f potremmo dire che una concezione pre-costruttivista portava a pensare che
la competenza matematica dell’individuo stesse in ciò che l’individuo sapeva
(argomenti e procedure); con il costruttivismo si fa avanti invece l’idea che ci
sono altri aspetti che di fatto vanno a contribuire alla competenza matematica.
In particolare si comincia a sottolineare l’importanza del ruolo del “problema”
e la necessità che i discenti siano posti di fronte anche a problemi in nuovi
contesti o comunque a problemi diversi da quelli visti in precedenza.
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Questo passaggio a una maggiore attenzione al problema come strumento didattico è codificato in una modalità didattica precisa: la didattica per problemi
(Problem-Based Learning o PBL). In linea generale, il termine “didattica per
problemi” si riferisce a una modalità di pensare la trasmissione dei saperi che
si pone come alternativa all’insegnamento tradizionale, dogmatico e poco motivante, delle discipline. Più precisamente, la didattica per problemi è un approccio di tipo costruttivista, che trae le sue origini dall’opera di J. Dewey ed è
basata sull’analisi, la risoluzione e la spiegazione di problemi significativi. Può
essere applicata a ogni disciplina e in ogni ordine e grado di scuola e si fonda
sulla convinzione che:
“i problemi sono lo stimolo a pensare4 ”.
Volendo schematizzare, un’attività didattica condotta con tale modalità dovrebbe seguire queste fasi, tutte egualmente significative per l’efficacia dell’azione:
4 J.
Dewey, Esperienza ed educazione, La Nuova Italia, 1973.
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si parte da un problema abbastanza intrigante, complesso e articolato (e
possibilmente collegato a situazioni reali o comuqnue interessanti per lo
studente);
si lavora in gruppo sotto la supervisione dell’insegnante o di tutor;
si dedica a questo problema tutto il tempo che serve;
al termine del lavoro ci si confronta con gli altri gruppi.
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Questa modalità è particolarmente adatta alla matematica. Si può infatti osservare come lo schema di lavoro appena visto permetta di far rivivere ai discenti
le fasi che un “matematico vero” si trova a dover affrontare nella sua normale
attività di ricerca:
➤ il dover risolvere un problema di cui non si sa neppure se una soluzione è
possibile;
➤ il dover analizzare il problema a buon senso per inventarsi una soluzione,
una via da seguire;
➤ il perdere tempo in ragionamenti inconcludenti e sbagliati, prima di trovare
la strada giusta;
➤ il rileggere i risultati ottenuti anche ai fini di una loro generalizzazione
(ovvero della produzione di nuovi “problemi”);
➤ il raccontare alla comunità scientifica i risultati trovati5 .
Se chiedete a un matematico, vi dirà che “avere un buon problema è molto
meglio che avere una buona soluzione”.
Il ruolo del problema in matematica
Per sottolineare quanto questa modalità di lavoro per problemi corrisponda e
ben si sposi al mestiere del matematico, portiamo due esempi significativi di
eminenti matematici che hanno stimolato la riflessione sull’insegnamento della
matematica.
Il primo esempio è il matematico R. L. Moore (1882–1974) che ha dato importanti contributi di ricerca nel settore della topologia e che fin dagli anni ’20
conduceva le sue lezioni universitarie con un approccio particolare (tra l’altro
comunemente chiamato proprio con il suo nome “Moore Method”6 ): le sue lezioni consistevano nel dare agli studenti una lista di teoremi da dimostrare e nel
5 Si
veda ad esempio M. Cazzola, “Simmetria, giochi di specchi in un curriculum per i futuri
insegnanti”, L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate, Vol. 27A, n. 1, 2004,
37–56.
6 Un’analisi dell’efficacia dell’attività didattica di R. L. Moore è riportata in F. Burton Jones,
“The Moore method”, The American Mathematical Monthly, Vol. 84, No. 4, 1977, 273–278.
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discutere le dimostrazioni che gli studenti riuscivano a produrre da soli. La lista
dei matematici che hanno poi seguito questa impostazione didattica è lunga e. . .
sostanziosa: citiamo solo A. Grothendieck e V. I. Arnold per darne un’idea!
Vogliamo invece soffermarci sull’esempio del matematico George Polya (1887–
1985) che ha dato contributi di ricerca in svariati settori della matematica e
che è ricordato per le opere in cui ha mostrato come proprio il ragionare per
problemi possa costituire un efficace metodo didattico7 . Il fatto che Polya si
preoccupi anche di fornire ai suoi lettori una serie di tecniche preconfezionate
per affrontare i problemi, fatto che lo fa normalmente citare come fondatore
del problem solving in matematica, ci permette di osservare che in realtà gli esperti di apprendimento per problemi mettono in guardia dal confondere attività
problem-based da attività di problem solving8 .
La didattica per problemi va intesa come modalità di costruzione del curriculum disciplinare e non ha come scopo il fornire agli studenti un campionario di
strategie di risoluzione di problemi (o, peggio, il finalizzare l’attività didattica
alla preparazione per la partecipazione a contesti eccellenti di gara come le Olimpiadi della matematica). Il problema diventa invece lo “strumento attraverso
cui è possibile apprendere qualcosa”9 e il fatto che si impari anche a risolvere i
problemi è solo un effetto collaterale.
Effettivamente buona parte dell’opera di Polya contiene una dettagliata descrizione di procedure da applicare per affrontare un problema, ma, per rendergli
veramente giustizia, è doveroso osservare che leggendo con attenzione ci si accorge che il ruolo strumentale del problema per costruire una vera e propria
attività didattica è ben chiaro10 .
Il ruolo del docente
Nei suoi testi, Polya pone una questione importante con la sua attenta analisi di
quello che deve essere il ruolo del docente durante attività “per problemi”. Al
7 G. Polya e G. Szego, Problems and theorems in analysis, Springer, 1972 (l’edizione tedesca
originale risale al 1925); G. Polya, Come risolvere i problemi di matematica, Feltrinelli, 1967
(la prima edizione inglese risale al 1945); G. Polya, La scoperta matematica, Feltrinelli, 1971
(la prima edizione inglese risale al 1962).
8 Si veda ad esempio J. R. Savery, “Overview of Problem-Based Learning: Definition and
Distinctions”, The Interdisciplinary Journal of Problem-based Learning, vol. 1, no. 1, 2006.
9 B. Martini, “Didattica per problemi”, Vita dell’Infanzia, Opera Nazionale Montessori,
ottobre 2004.
10 A. H. Schoenfeld, “Polya, Problem solving, and Education”, Mathematics Magazine,
Vol. 60, No. 5 (1987), 283–291.
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docente infatti viene richiesta l’assunzione di maggiori responsabilità, proprio
perché non si deve limitare alla trasmissione della conoscenza agli allievi attraverso spiegazioni; il docente ha il delicatissimo compito di costruire i materiali
necessari, di osservare i propri alunni che lavorano, di intervenire al momento
giusto in maniera appropriata:
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Uno dei compiti più importanti dell’insegnante è quello di aiutare i suoi
allievi. Non si tratta di un compito semplice; esso richiede tempo, fatica,
entusiasmo e una profonda preparazione.
Lo studente dovrebbe acquisire la massima esperienza lavorando da solo. Ma, se lasciato senza alcun aiuto o con un aiuto insufficiente dinanzi
al suo problema, è probabile che egli non compia proprio alcun progresso. D’altra parte, se l’insegnante è troppo prodigo di aiuto, all’alunno
non resta più nulla da fare; quindi l’insegnante dovrebbe intervenire, ma
non troppo né troppo poco, in modo che lo studente possa sostenere una
parte ragionevole di lavoro.
Se l’allievo non è in grado di fare molto, l’insegnante dovrebbe lasciargli
almeno l’illusione di saper lavorare da solo; a tal fine egli dovrebbe
aiutare il ragazzo con discrezione, in maniera opportuna.
Comunque la cosa migliore è porgere aiuto allo studente con naturalezza. L’insegnante dovrebbe perciò immedesimarsi nell’allievo, comprendere il suo livello di conoscenza, tentare di capire ciò che si agita nella sua mente e, di conseguenza, rivolgergli quella domanda o
indicare proprio quel passaggio che lo stesso studente avrebbe potuto
formulare.11
Queste azioni descritte cosı̀ puntualmente da Polya sono poi state codificate dagli esperti di scienze dell’educazione che le hanno schematizzate nella tabella
che riportiamo a pagina seguente, tabella che ci permette di sottolineare che ogni azione del docente deve essere fatta con uno scopo preciso e con cognizione
di causa12 .
Il problema del problema
Gli esperti di scienze dell’educazione mettono in guardia dal fatto che una didattica per problemi si può rivelare inefficace se viene a mancare una ricerca
11 Il
testo chiave, da cui abbiamo estratto questo passaggio, è il già citato G. Polya, Come risolvere i problemi di matematica, la cui edizione originale inglese si intitola, significativamente,
How to solve it.
12 A. H. Schoenfeld, “Learning to think mathematically: Problem solving,. . . ”, cit.
10
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Scopo
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Azione del docente
PRIMA
Leggere il problema, dare
spiegazioni su parole e frasi che
gli studenti non capiscono
Illustrare l’importanza di una
lettura accurata del testo; mettere
a fuoco terminologie specifiche
Con una discussione in grande
gruppo sottolineare l’importanza
della comprensione del problema
Mettere a fuoco dati importanti,
fare chiarezza
DURANTE
Diagnosticare i loro punti di forza
e di debolezza, verificare che le
informazioni siano effettivamente
patrimonio di tutto il gruppo
Dare suggerimenti se necessario
Aiutare gli studenti a superare i
momenti di impasse
Dare problemi aggiuntivi se
necessario
Dare agli studenti che finiscono
prima degli altri stimoli per
generalizzare i risultati ottenuti
Chiedere espressamente agli
studenti che hanno raggiunto una
soluzione di “rispondere alla
domanda” del problema
Richiedere agli studenti di
rivedere il proprio lavoro e di
assicurarsi che i risultati ottenuti
siano sensati
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Osservare e porre domande agli
studenti per capire a che punto
sono
DOPO
Mostrare e discutere le risoluzioni
Mostrare e dare un nome alle
strategie, valorizzare il lavoro
compiuto dagli studenti
Mostrare collegamenti con
problemi visti in precedenza o
chiedere agli studenti di risolvere
generalizzazioni
Mostrare la generalità delle
strategie
Discutere i dettagli relativi al
problema e/o alle risoluzioni (ad
esempio l’utilizzo di figure)
Mostrare come i dettagli possano
influenzare l’approccio
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sulla natura e sul tipo di problemi da utilizzare e quindi se viene a mancare un
investimento per un continuo aggiornamento dei materiali utilizzati13 . I problemi da utilizzare devono essere sufficientemente complessi (ill-structured), intriganti per gli studenti, e la loro soluzione non deve consistere semplicemente
nell’applicazione di un unico algoritmo di base; per essere efficaci, i problemi
devono costringere gli studenti a acquisire nuovi concetti e sviluppare nuove
strategie. Per dirla con le parole di Dewey
“il problema nasca dalle condizioni dell’esperienza presente e si contenga entro il raggio della capacità degli alunni; [. . . ] sia di tal natura da suscitare nell’educando una richiesta attiva di informazioni e di
stimolarlo a produrre nuove idee”.
O, con le parole di Polya, risolvere un problema significa:
“trovare una strada per uscire da una difficoltà, una strada per aggirare
un ostacolo, per raggiungere uno scopo che non sia immediatamente
raggiungibile”.
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L’errore peggiore che si potrebbe fare è quello di sottovalutare le potenzialità
degli studenti, offrendo loro materiale non sufficientemente stimolante.
Che cosa imparano gli studenti?
Se si danno compiti adeguati con le modalità corrette e con una corretta azione
del docente, se si riesce a portare gli studenti a operare ai limiti delle loro conoscenze, si compie una attività valida ed efficace per promuovere negli allievi
anche delle competenze non strettamente matematiche:
➤ gli allievi acquisiscono capacità di analizzare le situazioni, di selezionare i dati e individuarne la funzione all’interno di un contesto, di elaborare
strategie di risoluzione, imparando a modificarle nel corso del lavoro;
➤ il sapere cosı̀ acquisito è flessibile ed esteso;
➤ entrano in gioco anche abilità metacognitive che portano gli allievi a far
proprie modalità di costruzione autonoma e autogestita del proprio sapere;
➤ gli allievi imparano a collaborare con gli altri;
➤ gli allievi mostrano una crescente e tangibile motivazione allo studio14 .
13 J.
R. Savery, “Overview of Problem-Based-Learning: Definition and Distinctions”, cit.
E. Hmelo-Silver, “Problem-Based Learning: What and how do students learn?”,
Educational Psychology Review 16 (2004), 235-246.
14 C.
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La preparazione delle attività
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L’esperienza parte da un corso di formazione per insegnanti di scuola primaria
che si è svolto presso il Dipartimento di Matematica “F. Enriques” dell’Università degli Studi di Milano. Cominciato il 21 novembre 2002 e articolato in
7 incontri a cadenza mensile, il corso ha coinvolto una trentina di insegnanti,
che nei vari incontri hanno steso i testi dei problemi da presentare ai bambini e
hanno definito le modalità di azione.
Come abbiamo visto, per una pratica didattica di questo tipo è molto importante
il momento della costruzione dei problemi. Nei vari incontri, è stata preparata una serie di problemi da proporre alle classi, costruiti in modo da toccare
argomenti chiave della formazione del pensiero matematico, affrontando gli argomenti con difficoltà crescente, in vista di un duplice scopo. Da un lato per
sottoporre lo stesso tema, lo stesso argomento di matematica alle diverse classi:
è allora chiaro che occorre trovare formulazioni diverse del problema a seconda
che ci si rivolga a una classe prima piuttosto che a una classe quinta. Dall’altro
per riproporre lo stesso tema alla stessa classe in modo da permettere ai discenti di acquisire gradualmente confidenza con i contenuti, consolidando via via
le abilità acquisite nella risoluzione dei problemi precedenti. Vedremo come è
stato effettivamente possibile realizzare in pratica tutto ciò quando entreremo
nei dettagli della sperimentazione (p. 19 e seguenti).
Per mantere viva l’attenzione dei bambini (e si tratta di una questione . . . vitale)
i testi dei problemi sono stati costruiti come “favole” non troppo diverse dai
racconti più tipici.
Nello spirito della didattica per problemi, tuttavia, il materiale creato è a volte
effettivamente difficile: gli insegnanti lo sanno e sanno che durante lo svolgimento dell’attività dovranno vigilare per valutare come e quando intervenire se
il problema si rivelasse troppo difficile. Per prevenire un eventuale sconforto
nei bambini con un conseguente rifiuto, si è utilizzato lo stratagemma di presentare loro i problemi, con onestà, come difficili e di inserire incoraggiamenti
sottolineando che: se il problema è difficile e voi siete in grado di affrontarlo,
allora siete veramente una “classe eccezionale”.
Infine si è concordato che la formulazione di testi a volte ambigui non venisse stigmatizzata: le ambiguità, oltre a dare un senso di maggiore vicinanza a
situazioni reali (nella realtà gli oggetti con cui abbiamo a che fare raramente
hanno forme veramente regolari!) possono offrire maggiore spazio alla creatività e all’inventiva dei bambini che si devono impegnare duramente già dalla
fase di lettura del testo. Ovviamente al momento della correzione delle risposte
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si è tenuto conto delle diverse possibilità di interpretazione. I bambini hanno
risposto alle domande che sono state loro consegnate, non certo a quelle che gli
estensori dei problemi avevano in mente. . .
Lo svolgimento dei giochi
Dopo questa fase di preparazione, nel periodo da febbraio a maggio 2003, si
è passati a proporre i giochi ai bambini in aula, nell’ambito delle “ore di matematica”. Si sono tenuti sette incontri (o “tornate”), a distanza di almeno una
settimana l’uno dall’altro, in cui sono stati toccati i nodi concettuali riassunti
nella tabella che segue con i riferimenti alle pagine in cui si potrà ritrovare l’analisi più dettagliata degli argomenti; tutti gli argomenti sono stati poi ripresi in
un ottavo incontro, la prova finale.
argomento
Aree e volumi
(p. 19 e p. 45)
Simmetria
(p. 24 e p. 87)
Ancora sulle aree
(p. 33 e p. 121)
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tornata
prima tornata
seconda tornata
terza tornata
quarta tornata
quinta tornata
sesta tornata
settima tornata
prova finale
un problema per ognuno degli
argomenti
Oltre che sui contenuti e nella stesura dei testi, grande è stata la cura posta nella
creazione di un “contesto” e di un corrispondente “virtuale” per le classi.
Si è deciso di creare due differenti contesti, lasciando agli insegnanti la scelta
se la propria classe dovesse avere come interlocutori dei matematici “veri” del
“Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Milano” oppure dei
personaggi immaginari. Nel primo caso i bambini hanno ricevuto una lettera
con la richiesta di:
“provare per otto volte a risolvere i problemi sempre nuovi che vi manderemo. Saranno problemi abbastanza difficili e alcuni forse addirittura
troppo difficili per una persona sola. Per questo vi chiediamo di mettervi
insieme in tre o quattro e di provare a risolverli. Scegliete bene i vostri
compagni di impresa perché dovrete stare insieme per ben otto volte! ”
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L’alternativa è stata un contesto più giocoso. Per i giochi di geometria si è
scelto come interlocutore il grande capo indiano “Conorovesciato” che contatta
i bambini, perché nella sua tribù
“i bambini tra i sei e i dieci anni devono superare delle prove, per la precisione sette prove più una super sfida finale, perché solo cosı̀ saranno
ammessi a far parte del gruppo dei ‘ragazzi piumati’ e potranno partecipare alla vita della tribù. [. . . ] Ho fatto una piccola indagine e ho
scoperto che siete dei ragazzi veramente in gamba e mi piacerebbe che
superaste tutte le prove, entrando cosı̀ a far parte della nostra tribù.”
Ricevuto questo invito, sono stati i bambini che hanno deciso se accettare la sfida o meno. Sono stati poi invitati a seguire le istruzioni (a firma di “Conorovesciato” ovvero, nella versione alternativa, dei matematici del “Dipartimento di
Matematica dell’Università degli Studi di Milano”) tese a creare una situazione
di apprendimento per problemi:
L E ISTRUZIONI DI C ONOROVESCIATO
➤ I problemi da risolvere sono abbastanza
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difficili e alcuni forse addirittura troppo difficili per una persona sola. Quindi mettetevi insieme
in tre o quattro. Scegliete bene i vostri compagni di impresa perché
dovrete stare insieme per ben otto volte!
➤ Date un nome al vostro gruppo in modo che io possa riconoscervi da
una volta all’altra.
➤ Non dimenticatevi che avete un esperto in classe, cioè la vostra insegnante: potete farvi aiutare da lei per capire il significato delle parole
che non conoscete o che non vi ricordate.
➤ Ogni volta vi do un’ora di tempo per dare le vostre risposte. Scrivete
sul foglio che vi mando il nome e le “pensate” del vostro gruppo (anche
se non siete sicuri che portino a buone risposte), mettete i fogli nella
busta comune della classe, chiudetela, incollatela e firmatela sui bordi,
una firma per ogni gruppo. La vostra insegnante me la farà avere.
Come si vede, anche il ruolo dell’insegnante viene chiaramente delineato: non è
colui che trasmette la conoscenza, ma è un “esperto” al quale ci si può rivolgere
in caso di bisogno di aiuto.
Da parte loro, gli insegnanti hanno ricevuto una lettera di istruzioni che li invitava a seguire modalità tipiche di una didattica per problemi e alcuni protocolli
osservativi (una attività per problemi richiede infatti che il docente osservi i suoi
allievi mentre lavorano). Tali protocolli sono stati preparati anche nell’ottica di
costruire un patrimonio di spunti significativi da riprendere in attività successive: in effetti, essi ci hanno permesso di raccogliere molte delle osservazioni
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contenute nella seconda parte di questo testo. Qui di seguito riportiamo sia la
lettera per gli insegnanti che le griglie osservative.
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L E ISTRUZIONI PER GLI INSEGNANTI
1. Con qualche anticipo rispetto alla giornata della prova leggete alla classe le istruzioni. Curate che la classe si organizzi in gruppi di tre, ma
limitate il più possibile le vostre indicazioni (intervenite solo in casi eccezionali). Fate in modo che i gruppi abbiano un nome: ciò ci
semplificherà poi l’analisi del lavoro.
2. Quando inizia la prima prova (nella prima settimana), consegnate a
ogni gruppo i testi dei due problemi. Sul tavolo lasciate le istruzioni per i ragazzi e il materiale che vi sembra possa essere utile o che
semplicemente possa sembrare sensato ai ragazzi predisporre.
3. Per le classi prime, all’inizio leggete a tutta la classe insieme la storia iniziale e il testo del primo problema, mentre leggerete il testo del
secondo in tempi diversi ai diversi gruppi seguendo le loro richieste.
4. Per le classi seconde, all’inizio leggete a tutta la classe solo la storia
iniziale e lasciate che ogni gruppo legga il testo dei problemi.
5. Per le altre classi, l’indicazione è di lasciare che leggano tutto da sé.
Se fate scelte diverse (esclusivamente in terza) indicatelo sulla griglia.
6. Suggeriamo che i ragazzi lavorino in gruppo per un’ora per ogni incontro, in modo poi da poter commentare e confrontare fra di loro e
con l’insegnante i percorsi compiuti e i risultati ottenuti. Se decidete di usare diversamente le due ore a disposizione per ogni incontro,
segnalatene le motivazioni sulla griglia.
7. Nella fase di commento a busta chiusa, se i ragazzi ve lo chiedono, date
la vostra interpretazione e le vostre soluzioni.
8. Nel secondo incontro (nella seconda settimana), comportatevi in maniera analoga. Tenete conto che i gruppi possono riprendere in mano i
problemi della prima volta e dare nuove soluzioni.
Fra i suggerimenti dati nella lettera, sottolineiamo quello di non intervenire
nella creazione dei gruppi lasciando che i bambini si scelgano i propri compagni
di lavoro (ovvero, in questo contesto, i propri compagni di gioco). Naturalmente
su questo punto è stata lasciata autonomia agli insegnanti, purché fornissero una
motivazione delle proprie scelte.
Sottilineiamo anche il suggerimento di concludere l’attività con una discussione
tra i gruppi (1 ora di lavoro in piccolo gruppo, 1 ora di discussione in grande
gruppo) e non, per lo meno non in questa fase, con una enunciazione delle
“risposte esatte” ai quesiti.
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IL PROTOCOLLO OSSERVATIVO
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Quelle che seguono sono tracce per poter meglio osservare il lavoro dei
bambini e trarre informazioni utili per:
➤ conoscere i bambini e le loro dinamiche cognitive e di apprendimento;
➤ avere spunti significativi da riprendere nelle successive attività;
➤ organizzare in modo efficace il lavoro di classe.
La prima griglia si riferisce all’osservazione del gruppo classe e dei
piccoli gruppi di lavoro, la seconda è finalizzata all’osservazione del
comportamento e dell’atteggiamento di un singolo bambino.
Ai docenti sperimentatori chiediamo di usare la prima griglia e di provare
la seconda soltanto se ne hanno la possibilità (presenza di studenti tirocinanti, altre colleghe o persone esterne) o se hanno motivi particolari (per
esempio: osservare la reazione di comportamento di bambini “difficili”
o poco amanti della materia rispetto alla proposta di un nuovo modo di
lavorare).
OBIETTIVO: osservare come incide sull’atteggiamento della classe la
proposta di un’esperienza diversa di matematica
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SCHEDA INFORMATIVA
DATA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
SCUOLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CLASSE: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
INSEGNANTI PRESENTI: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
...................................................................
N. BAMBINI PRESENTI (E ASSENTI): . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
TEMPO DI LAVORO EFFETTIVO: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I GRUPPI SONO OMOGENEI O ETEROGENEI? . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DA QUANTI RAGAZZI SONO FORMATI? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DA CHI SONO STATI SCELTI? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
...................................................................
QUALI MATERIALI SONO STATI MESSI A DISPOSIZIONE SUI
TAVOLI? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
...................................................................
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
17
OSSERVAZIONE DEL PICCOLO GRUPPO DI LAVORO
ZA
1. Come si è svolto il lavoro dei gruppi? Sono stati scelti (o si sono
autoimposti) dei leader? Qual è stato il criterio di scelta?
2. Ci sono stati bambini solitamente meno brillanti che hanno provato a
portare contributi? Ci sono riusciti? Erano indicazioni utili?
3. Quanto hanno pesato i “ruoli” (il “bravo”, il “buffone”, . . . ) che talvolta i bambini si assegnano vicendevolmente? Sono riusciti a spezzare
gli schemi abituali?
4. I bambini solitamente più brillanti hanno accettato consigli e
suggerimenti dagli altri?
5. Hanno adottato tecniche di verifica delle soluzioni? Hanno confrontato
la risposta data con la richiesta del testo?
6. Quali strumenti hanno usato i bambini per costruire le risposte?
➤ Quali materiali?
➤ Quali rappresentazioni?
OSSERVAZIONE DEL GRUPPO CLASSE
BO
Z
1. Quanti bambini hanno partecipato attivamente al lavoro? Quanti hanno
“resistito fino in fondo”?
2. Hanno mostrato un impegno superiore, o inferiore, a quello di solito
messo in atto durante le tradizionali attività di matematica?
3. I bambini si sono divertiti? Qualcuno è risultato particolarmente gratificato? Hanno tenuto un interesse alto durante tutto o parte del tempo
a disposizione?
4. All’interno dei gruppi c’è stata collaborazione?
5. C’è stata competizione tra i gruppi?
6. Ci sono stati problemi “rifiutati” subito, in base alla prima
impressione? Sono stati recuperati dopo un po’ di lavoro?
7. Hanno letto attentamente il testo dei problemi o si sono gettati subito a cercare le soluzioni o, addirittura, hanno subito “sparato” delle
risposte? Erano le risposte corrette? Erano le strategie corrette?
8. Si sono lamentati di avere troppo poco tempo?
9. Hanno avuto problemi con il testo?
Dopo la discussione finale con il gruppo classe sulle varie strategie usate
e soluzioni trovate nei vari gruppi:
10. Ci sono stati bambini che hanno proposto “soluzioni di minoranza”,
cioè che fino all’ultimo non sono stati convinti dalle risposte proposte
dagli altri e accettate dalla classe?
11. Come è avvenuto il confronto tra le diverse risposte, quelle corrette e
quelle sbagliate?
12. Come sono state scelte, tra tutte quelle proposte, le soluzioni accettate
dalla classe?
13. Sono state seguite tutte le indicazioni segnate sulle istruzioni? Segnare
e motivare il perché dei cambiamenti scelti.
18
BO
Z
OSSERVAZIONE DEL SINGOLO BAMBINO
NOME DEL BAMBINO: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Osservare secondo la tabella riportata il comportamento del bambino alla consegna del compito, ogni x minuti (scelti
dall’insegnante) e alla fine del compito.
inizio
si no si no si no si no si no si
fine
no si no si no
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
Fa domande all’insegnante?
Fa domande agli altri membri del gruppo?
Risponde alle domande che gli vengono poste sul problema?
Si distrae ma non disturba i compagni?
Si distrae e disturba i compagni?
È il leader?
Si dimostra sempre d’accordo con il leader?
Si dimostra sempre d’accordo con tutti?
Dimostra sempre o la maggior parte delle volte disaccordo?
Dimostra antagonismo con qualche membro del gruppo?
Dà suggerimenti per migliorare il lavoro?
Esprime opinioni proprie?
Chiede aiuto ai compagni?
Chiede opinioni?
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
19
I temi affrontati
ZA
A conclusione delle prove le classi partecipanti hanno ricevuto un diploma speciale. La sperimentazione ha coinvolto 35 classi per un totale di circa 700 bambini.
Per un’attività “per problemi” la scelta degli argomenti deve essere oculata: ci
sono argomenti che si prestano per costruire problemi significativi, ed altri che
non funzionano. Non è un caso che gli argomenti che permettono di costruire
buoni problemi sono spesso legati ai nuclei fondanti della matematica (ad esempio “il concetto di area”), oppure problemi su cui la comunità matematica si è
impegnata a lungo (ad esempio teoremi per i quali i matematici hanno dovuto
unire i loro sforzi per poter arrivare a una dimostrazione). Certo non si tratta di
leggere con diligenza le indicazioni ministeriali e per ognuno dei titoli che vi
compaiono di forzarsi a costruire un problema. Un esempio per tutti: non è affatto facile scegliere il capitolo “insiemistica” e immaginarsi una buona attività
per problemi sui concetti di “unione” e “intersezione”.
Aree e volumi
BO
Z
L’esperienza proposta ai bambini comincia con attività che illustrano il nodo
concettuale “aree e volumi”. A tutte le classi sono assegnati due problemi (la
prima e la seconda “tornata”). Un problema su aree e volumi è anche ripreso
nella “prova finale”.
Non crediamo sia necessario soffermarci sull’importanza di un corretto approccio al concetto di area: ci limitiamo a citare quanto scrive A. Arons nella sua
“Guida all’insegnamento della fisica”15 a proposito di studenti del primo anno
di università:
“Il concetto di area è alla base di molte delle altre idee fondamentali
della fisica. [. . . ] Se chiedete agli studenti come si giunga ai valori numerici per ≪l’area≫ o ≪estensione superficiale≫, molti di essi, ammesso
che abbiano una risposta, risponderanno ≪base per altezza≫. Se allora
disegnate qualche figura molto irregolare, che non possieda né base né
altezza ben definita, e chiedete di assegnare un valore numerico all’area
15 A. B. Arons, Guida all’insegnamento della fisica, Zanichelli, 1992. L’opinione di un fisico
ci permette di mettere in evidenza quanto quello che “si fa” o “non si fa” nelle ore di matematica
abbia ricadute non trascurabili sulle competenze generali degli studenti.
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
della figura, vi potete aspettare di ottenere ben poche risposte. Gli studenti che si comportano in questo modo non posseggono una definizione
operativa chiara del concetto di area.”
Osserviamo subito che non serve una figura eccessivamente irregolare: già solo
il computo dell’area di questo semplice triangolo
imgs/datex/quadr-01.eps
trova impreparati parecchi studenti (anche studenti del corso di laurea in matematica!).
Ritornando all’analisi di Arons:
BO
Z
“La ragione di tutto ciò è molto semplice: sebbene i libri di aritmetica
[sic] per le scuole medie quando introducono il concetto di area abbiano un paragrafo in cui si spiega di scegliere un quadrato come unità
di misura, poi di sovrapporre alla figura in esame una griglia e infine
di contare il numero dei quadrati contenuti nella figura stessa, bisogna
notare che praticamente nessuno studente ha mai lavorato su questa procedura negli esercizi a scuola o a casa. Non è mai stato chiesto loro di
definire che cosa sia l’area. Tutto ciò che hanno sempre fatto è di calcolare aree di figure regolari come quadrati, rettangoli, parallelogrammi
o triangoli, utilizzando le formule a memoria. Essi non sono più in grado di connettere queste formule con l’operazione di contare i quadrati
unitari, anche nel caso in cui originalmente tale connessione fosse stata
stabilita.”
È lo stesso Arons a proporre una soluzione (pensata per studenti di “liceo”):
“Un certo numero di problemi da assegnare come lavoro pomeridiano o
come test di verifica dovrebbe fornire agli studenti l’opportunità di eseguire le operazioni [che costituiscono la definizione operativa di area],
proprio partendo dalla scelta del quadrato unitario, per passare alla
sovrapposizione di una griglia alla figura in questione, fino a contare
realmente i quadrati. Il conteggio deve contenere una stima dei quadrati
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
21
ZA
contenuti nel contorno della figura. A molti studenti la necessità di stimare le frazioni appare in qualche senso ‘peccaminosa’, dal momento
che contiene un ‘errore’ e non è ‘esatta’ come sembra essere un valore
ottenuto grazie a una formula.”
che si basa su un’osservazione a nostro avviso importante:
“Per molti studenti è solo [la] ripetizione di idee su periodi di tempo
piuttosto lunghi, riprendendo i concetti in questione in contesti via via
più complessi, che porta a una sicura assimilazione.”
Nell’esperienza che descriviamo in questo libro è proprio nei termini auspicati
da Arons che si introduce il problema del calcolo dell’area ai bambini: “con
quante piastrelle è possibile ricoprire il pavimento di una stanza?”. I primi
problemi proposti ai bambini seguono lo schema seguente.
LA CASA DELLE FATE
Alcune fate vogliono costruirsi un castello dove vivere con i loro amici del bosco. Il castello sarà pieno di stanze, delle forme e dimensioni le più varie, dato che gli ospiti avranno esigenze cosı̀ diverse!
Voi siete la squadra di architetti, ingegneri e mastri costruttori che
si occuperà di realizzare il progetto.
BO
Z
Su una cosa sono già tutti d’accordo: i pavimenti delle stanze saranno piastrellati con piastrelle quadrate. Per piastrellare bene bisogna accostare le piastrelle lato contro lato, senza sovrapporle e
senza lasciare buchi.
In effetti l’operazione di misura di un’area richiede preliminarmente di “accostare le piastrelle lato contro lato, senza sovrapporle e senza lasciare buchi”. La
ricerca e la scoperta di quelle scorciatoie (che poi impareranno a chiamare formule) che servono per evitare di contare ogni volta tutte le piastrelle è lasciata
direttamente ai bambini. La formula diventa quindi il punto di arrivo di una
attività su “aree e volumi” e non il punto di partenza. Per mettere in evidenza
che il punto di partenza è il problema, alle classi prime e seconde vengono addirittura forniti “modelli” delle piastrelle ed è solo dalla terza in poi che viene
richiesto un processo più forte di astrazione.
I giochi
I problemi presentati in questo capitolo e relativi alle “piastrellazioni” e alle aree
sono stati costruiti a partire da alcuni quesiti molto semplici legati all’area del
rettangolo nei quali, di volta in volta, sono state introdotte difficoltà crescenti.
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
BO
Z
ZA
Ci sono diversi modi per incrementare la difficoltà di questioni di tal genere:
➤ per i più piccoli ci si può semplicemente limitare a far crescere i numeri coinvolti (in prima i numeri grossi costituiscono una difficoltà), il che si ottiene
facendo diventare via via sempre più grandi le dimensioni delle “stanze”
da misurare, oppure, in alternativa, facendo diventare sempre più piccole le
piastrelle unità di misura;
➤ poi si può introdurre la difficoltà della mezza piastrella: per alcune stanze
la forma è tale che diventa necessario considerare sottomultipli dell’unità
di misura. In particolare è necessario dividere l’unità di misura a metà e
accorgersi che le due metà vanno conteggiate insieme come una sola unità;
➤ si possono rendere necessari confronti tra unità di misura diverse: cosı̀ dalla
classe terza si chiede più o meno esplicitamente di imparare a cambiare la
piastrella usata come unità di misura (in terza questa richiesta è ancora implicita: la griglia del problema della “seconda tornata” non corrisponde al
quadretto utilizzato come unità di misura; invece nella “prima tornata” per
le classi quarte la richiesta è esplicita, si vedano le figure a p. 65 e p. 70);
➤ ancora, si possono usare unità di misura non consuete. Cosı̀ nelle prove finali
delle classi terze, quarte e quinte si richiede di utilizzare unità di misura
diverse dal quadrato;
➤ questioni analoghe si possono porre per misurare volumi. Cosı̀ alle classi
quarte e quinte è richiesto di cimentarsi con problemi di mattoni (e ancora
con problemi di cambio dell’unità di misura).
Porteremo in evidenza via via questi aspetti nell’analisi dei singoli esempi (più avanti nel cap. 1,
p. 45). Qui ci preme solo tornare brevemente
sull’aspetto che sembra aver creato maggiori difficoltà ai bambini, cioè il problema della mezza
piastrella. Già la prima tornata per le classi prime presenta una stanza (vedi figura qui a destra) imgs/eps-fin/fate4.eps.gz
la cui forma, per una misura precisa dell’area, richiede il taglio dei quadrati unità di misura lungo
la diagonale (e il loro successivo. . . incollaggio
nell’astrazione matematica). Abbiamo imparato
che non è sufficiente inserire nel testo la semplice
osservazione:
“Per certe stanze potrebbe essere necessario tagliare alcune piastrelle a metà:
in tal caso però le fate vogliono fare la cosa nel modo più economico possibile,
senza sprechi.”
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
23
ZA
I bambini faticano ad accorgersi che due “mezze piastrelle” vanno contate come un’unica piastrella. In realtà è difficile dare loro torto: chiunque abbia avuto
anche lontanamente a che fare con il problema “reale” di piastrellare una stanza
sa bene che i tagli delle piastrelle costano. Nella realtà tagliare una piastrella spesso significa creare scarti: la piastrella tagliata difficilmente può essere
utilizzata interamente e solo una mano veramente esperta riesce a salvare entrambe le metà. Una mano esperta oppure. . . un po’ di magia: per le “prove
finali” il testo è stato infatti modificato in questa maniera:
Per certe stanze potrebbe essere necessario tagliare alcune piastrelle a metà
(e in tal caso le fate vogliono fare la cosa nel modo più economico possibile, senza sprechi), ma ricordatevi che le piastrelle sono ‘fatate’ e quindi
non si rompono in mille pezzi con un taglio!
E non finisce qui! Un percorso sulle aree ha come “naturale” sviluppo operazioni di confronto diretto di aree per equiscomposizione. Nella quinta, sesta e
settima tornata, si tornerà sull’argomento “aree” e verrà richiesto ai bambini di
cimentarsi con il confronto diretto di superfici.
BO
Z
O SSERVANDO I BAMBINI CHE GIOCANO . Oltre ai punti messi già in
evidenza, l’osservazione dello svolgimento dei giochi ha fatto emergere
alcune questioni su cui vale la pena soffermarsi un poco. Quello che costituisce la ricchezza dei testi utilizzati sono gli spunti in qualche modo
“interdisciplinari”. Pur trovandoci nel “capitolo” aree, buona parte delle
figure utilizzate contengono anche spunti di simmetria. Raramente questi
spunti vengono colti dai bambini, mostrando che forse troppo spesso li educhiamo a ragionare per compartimenti stagni, ma quando ciò succede
e, per esempio, il saper scomporre una figura in parti uguali diventa un
metodo efficiente per un calcolo di un’area (cfr. p. 55, in una classe seconda), allora possiamo essere sicuri che il concetto di simmetria sia stato
veramente interiorizzato, se pure a un livello informale.
Pur non avendo a che fare esplicitamente con problemi sul calcolo dell’area, alcuni gruppi mostrano di essere arrivati all’enunciazione delle fatidiche “formule” dopo averle ricavate autonomamente (l’area del rettangolo
si trova moltiplicando “le righe per le colonne”, p. 72; l’area del rombo si
trova dividendo per 2 il prodotto delle diagonali, p. 73).
Dal momento che questa attività non prevede una vera e propria verifica, per i docenti diventa importante imparare a cogliere nelle risposte dei
propri alunni il progressivo processo di assimilazione dei concetti (e a valorizzarlo!). Un esempio è il passaggio da un’unità di misura standard
quadrata a una misura a forma di triangolo isoscele: l’osservazione che
“unendo due triangoli si ottiene un quadrato” e che quindi si può riapplicare un ragionamento già fatto con i quadrati (p. 78) mette in evidenza una
completa assimilazione del percorso precedente.
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
Simmetria
ZA
I bambini riconoscono che i problemi sono diversi dai problemi “soliti”.
Questo a volte li spiazza, ma non costituisce un ostacolo. Nelle classi
basse, prime e seconde, i gruppi si rimboccano le maniche e provano a
inventarsi strategie per affrontare i problemi; a mano a mano che si passa
alle classi più alte, quarte e quinte, si osserva invece il tentativo di cercare
le soluzioni applicando per forza formule note e calcoli (p. 85). Non sempre ciò corrisponde alla strategia più efficace; a volte addirittura conduce
a un risultato non corretto (p. 82). In alcuni casi i bambini non riescono
a cogliere le informazioni contenute nelle figure e si fermano perché “non
ci sono i dati” (p. 64).
Il secondo nodo concettuale toccato nei giochi è la “simmetria”: il suo inserimento è stato fatto proprio su richiesta delle insegnanti partecipanti al corso di
aggiornamento. Per tutte le classi sono previste due prove (la terza e la quarta
tornata). Un problema sulla simmetria è poi ripreso nella “prova finale”.
BO
Z
Al momento di progettare un percorso sulla simmetria è risultato subito evidente che occorreva effettuare alcune scelte precise, la prima sul piano dei contenuti
e la seconda sul piano delle modalità.
Sul piano dei contenuti il gruppo dei docenti sperimentatori ha cominciato con
il mettere a fuoco la definizione di “simmetria” e con il raccogliere le idee
su quale fosse il concetto di simmetria che si voleva trasmettere ai bambini.
In questo caso è stata determinante l’esperienza del gruppo di ricerca che ha
guidato la sperimentazione: attorno alla mostra Simmetria, giochi di specchi
i ricercatori del Dipartimento di matematica “F. Enriques” di Milano hanno
condotto per anni attività laboratoriali, a vari livelli, sulla simmetria. La loro
esperienza ha consolidato l’idea di fondo, cioè quella di associare il concetto di
simmetria alla ricerca di “regolarità” nelle figure:
“le figure che al nostro occhio appaiono simmetriche hanno una caratteristica in comune: sono costituite dalle ripetizione di un ‘modulo’ secondo certe ‘regole’, regole che in generale sono diverse da figura a
figura”16 .
Occorre forse aggiungere che le “regole” che ci interessa maggiormente far
entrare in gioco sono isometrie. Una volta identificato il “modulo”, queste isometrie generano la figura a partire dal modulo e, allo stesso tempo, se applicate
16 Da
P. Bellingeri, M. Dedò, S. Di Sieno, C. Turrini, Il ritmo delle forme, Mimesis, 2001.
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
25
BO
Z
ZA
sulla figura totale, mandano la figura in se stessa. In un linguaggio matematico più formale, la ricerca di simmetrie di una figura si traduce nella ricerca di
particolari trasformazioni (del piano o dello spazio, a seconda del contesto in
cui si sta operando) che mandano la figura in se stessa. Più precisamente nella
determinazione del gruppo di simmetria della figura data.
Se si parte da questa definizione, cioè se si lega il concetto di simmetria al concetto di trasformazione geometrica, risulta evidente che anche per i bambini il
capitolo “simmetria” non si può fermare agli “assi di simmetria” e alle riflessioni, ma deve prevedere un avvio alla scoperta del mondo delle altre isometrie
del piano: in primis le rotazioni, parenti molto strette delle riflessioni; in un secondo momento, perché no?, si potrà arrivare anche al mondo delle traslazioni
e delle glissoriflessioni.
Questa è stata la prima scelta compiuta in fase di progettazione. La seconda ha
riguardato le modalità di presentazione dei problemi. Se è profonda convinzione del gruppo di ricerca che una riflessione teorica debba costituire la base della
costruzione dell’attività da parte degli insegnanti, allo stesso tempo è chiaro che
per bambini di scuola primaria non ha alcun senso una introduzione formale ai
concetti. Nella sperimentazione che stiamo discutendo, i problemi vengono
sempre proposti con un approccio operativo, non si utilizzano espressioni astratte quali “asse di simmetria”, “centro di simmetria” o “essere simmetrico”:
succede invece qualche volta che siano i bambini a utilizzarle nelle risposte.
Ciò è possibile perché le isometrie prese in considerazione possono essere introdotte con definizioni operative, come vedremo meglio più avanti, via via che
illustreremo i testi dei giochi. Una riflessione altro non è che l’effetto prodotto
su una figura da uno specchio: una figura allo specchio è una figura riflessa (e
non si tratta solo di un gioco di parole). Una rotazione può essere introdotta
con disegni su carta da lucido, oppure a partire dalla richiesta di posizionare un
coperchio su una scatola.
Comunque, anche dalle relativamente poche prove che abbiamo proposto (limitate a considerazioni sulle proprietà delle isometrie del piano) emerge la complessità dell’argomento simmetria. E se da un lato c’è da essere estremamente
soddisfatti del fatto che i bambini arrivino a formulazioni intuitive del concetto
di simmetria, nondimeno in questa sede vale la pena di sottolineare i fraintendimenti più ricorrenti, che sono proprio i punti su cui un successivo intervento
dell’insegnante è fondamentale per guidare le intuizioni nella giusta direzione.
Lo facciamo illustrando qualche esempio che ci consente di mettere a fuoco il
collegamento tra i concetti di “simmetria” e di “trasformazione geometrica”. E
partiamo proprio con il primo problema proposto ai bambini, le LETTERE ALLO
26
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
Se immaginiamo di avere una sagoma di cartone a forma di lettera
Q (stampatello maiuscolo), ci accorgiamo che ci sono in realtà parecchi modi di
disporla sul tavolo (ovvero di sottoporla a una trasformazione geometrica del
piano). In particolare ce ne sono quattro che in questo contesto sono più interessanti degli altri: possiamo semplicemente lasciarla nella posizione “normale”
di lettera Q, possiamo rifletterla in uno specchio ortogonale alla direzione di
scrittura (uno specchio verticale), possiamo rifletterla in uno specchio parallelo
alla direzione di scrittura (uno specchio orizzontale) e infine possiamo capovolgerla come nella figura che segue (ovvero, come dicono i bambini, farle “fare
la capriola”). Otteniamo in generale risultati diversi che possiamo visualizzare
in questo schema:
Q
specchio verticale specchio orizzontale
Q Q
capovolta
Q
normale
ZA
SPECCHIO .
I quattro “simboli” ottenuti sono diversi e l’unico leggibile come lettera Q è il
primo. Questi quattro simboli diversi ci permettono di capire che abbiamo a
che fare con quattro diverse trasformazioni del piano.
Se avessimo ad esempio utilizzato la lettera A avremmo invece ottenuto lo
schema seguente:
A
specchio verticale specchio orizzontale
capovolta
BO
Z
normale
A
A A
Qui troviamo solo due “simboli” diversi, ovvero, in altre parole, scopriamo che
la lettera A riflessa in uno specchio verticale è ancora leggibile come lettera A;
questa figura non ci permette perciò di riconoscere che le prime due colonne
dello schema corrispondono a due trasformazioni del piano diverse. La A ci
fa confondere la posizione “normale” con la posizione “specchio verticale”.
In “matematichese” diremo che la lettera A è invariante se sottoposta a una
riflessione rispetto a un asse verticale. Un altro modo ancora di ribadire lo stesso
concetto è di dire che la lettera A possiede un asse di simmetria verticale. Per
ritornare alla definizione di simmetria da cui siamo partiti in questo capitolo, la
lettera A è simmetrica perché c’è un pezzo (un “modulo”) che si ripete e genera
tutta la figura secondo certe “regole”. La “regola” secondo cui il modulo genera
la figura intera è la riflessione rispetto alla retta tratteggiata (ovvero proprio
quella trasformazione del piano che lascia invariata la figura intera).
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
27
riflessione
A
ZA
A
Discorso analogo si può fare per la lettera C. Questa volta una riflessione rispetto a un asse orizzontale manda la C in se stessa e possiamo rileggere questa
proprietà osservando l’eguaglianza tra il primo e il terzo simbolo nel seguente
schema:
specchio verticale
C C
C
specchio orizzontale
capovolta
C
normale
BO
Z
Naturalmente il mondo della simmetria non è fatto solo di riflessioni e ci sono altre isometrie che si possono scoprire attraverso gli specchi: abbiamo già
accennato al fatto che alle lettere si può “far fare la capriola”, si può cioè operare una rotazione di 180 gradi. Se ci si sofferma su un paio di considerazioni
teoriche ci si rende conto che questa rotazione è, come dicevamo, un “parente
stretto” delle riflessioni: “far fare la capriola” corrisponde infatti a operare una
riflessione rispetto a un asse orizzontale seguita da una riflessione rispetto a un
asse verticale. Ciò in particolare significa che se una lettera si comporta come
la H, cioè è invariante rispetto alle due riflessioni verticale e orizzontale, allora
è anche leggibile sottosopra:
specchio verticale
H
specchio orizzontale
H H
capovolta
H
normale
Anche in questo caso possiamo osservare che la H si può costruire partendo da
un “modulo” e applicando a questo modulo le trasformazioni in gioco:
riflessione
H
rotazione
H
riflessione
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
Operativamente, provare per credere, si può ottenere questo risultato appoggiando verticalmente due specchi sulle linee tratteggiate della figura precedente in modo che formino tra loro un angolo di 90 gradi (ovvero “due specchi
incidenti”17 , nel caso specifico “incidenti a 90 gradi”).
La lettera H ci permette di osservare che le due riflessioni “trascinano” una
rotazione di 180 gradi. Succede però che una rotazione di 180 gradi non trascina con sé riflessioni: ci sono lettere come la N che sono invarianti rispetto
alla rotazione di 180 gradi pur non ammettendo alcun asse di simmetria, come
osserviamo nel seguente schema:
N
specchio verticale specchio orizzontale
N N
capovolta
N
normale
BO
Z
La lettera N ci dà anche l’occasione per mettere a fuoco un’ultima questione.
Spesso, nei libri di testo, si può trovare la definizione di “asse di simmetria
di una figura” come “retta che divide la figura in due parti uguali”. Questa
definizione è però scorretta; infatti è facile trovare una retta che divide la lettera
N in due parti uguali (ce ne sono infinite!):
rotazione
N
N
Ci accorgiamo però subito che questa retta non è qualcosa che vorremmo chiamare “asse di simmetria” di N. L’errore nella definizione sta nel fatto che non
si fa riferimento alla “regola” con cui dal modulo vogliamo generare l’intera
figura: per ottenere la N dobbiamo sottoporre il modulo a una rotazione di 180
gradi; quando parliamo di assi di simmetria, invece, ci riferiamo a riflessioni
rispetto a una retta18 . In questo caso diremo invece che la lettera N possiede un
“centro di simmetria”.
17 Per
ulteriori effetti ottenibili con specchi incidenti si rimanda al già citato “Il ritmo delle
forme”.
18 Detto altrimenti, una definizione corretta di “asse di simmetria” deve contenere la parola
“riflessione” o concetti equivalenti.
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
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I giochi
ZA
Abbiamo voluto concludere questa introduzione con quest’ultimo esempio per
ribadire ancora una volta che separare concettualmente l’argomento “simmetria” dall’argomento “trasformazioni geometriche” può essere una semplificazione fuorviante. D’altro canto ci preme ribadire che fino a questo punto abbiamo costruito una trattazione rivolta agli insegnanti, non certo riproponibile
nelle stesse forme e contenuti ai bambini. Il costruire problemi e giochi per
la scuola primaria porta con sé, giocoforza, la necessità di semplificazioni dei
concetti. Davanti a tale necessità, lo abbiamo già scritto ma lo mettiamo ancora
una volta in evidenza, la scelta precisa e consapevole di questa sperimentazione
è stata quella di utilizzare con i bambini un approccio totalmente operativo, accontentandoci di portarli a una acquisizione dei concetti a un livello informale,
nella convinzione che essa sia la base su cui costruire le fondamenta per una
formalizzazione successiva.
BO
Z
I problemi presentati in questo capitolo partono da alcune questioni relative alla
simmetria delle lettere dell’alfabeto, per arrivare, con difficoltà via via crescenti,
allo studio di simmetrie di figure più complesse.
Il primo scoglio da superare nel costruire i testi dei problemi sta nel dare definizioni operative coerenti delle trasformazioni geometriche in gioco. Il primo
argomento toccato è quello delle “riflessioni” che vengono introdotte utilizzando lo specchio: una figura piana è “simmetrica” se riflettendosi in uno specchio
posto ortogonalmente al piano “si vede uguale a se stessa”.
LETTERE ALLO SPECCHIO
ALICE SI STA DIVERTENDO FACENDO DEI GIOCHI CON LE
LETTERE STAMPATELLE MAIUSCOLE.
CHIAMA LA A E LE DICE: A, PROVA A GUARDARTI ALLO SPECCHIO: CHE COSA VEDI? ECCO COME LA A SI VEDE DAVANTI
ALLO SPECCHIO:
A A
LA A TUTTA SODDISFATTA VEDE LA SUA IMMAGINE UGUALE
A SE STESSA E ALICE LA LEGGE ANCORA A.
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
Volendo incrementare la difficoltà del problema, il primo passo consiste nel
passare dalle lettere alle parole. Non solo, è anche possibile sfruttare una seconda definizione operativa di riflessione: infatti disegnando una figura su un
foglio di carta velina e rovesciando il foglio si ottiene l’immagine riflessa della
figura di partenza. La carta velina, nel gioco, diventa una bandiera: una parola
è invariante rispetto a una riflessione se può essere letta da entrambi i lati di una
bandiera.
LA BANDIERA DEL PIRATA
Il pirata Newton vorrebbe farsi cucire una bandiera bella grande,
con una stoffa nera (da bravo pirata) per lo sfondo, e con le lettere
del suo nome di stoffa bianca.
Però c’è una cosa molto seccante: se scrivesse il suo nome per
intero, la bandiera si leggerebbe giusta solo da una parte!
EN
BO
Z
NE
Newton allora vi chiede di trovare per lui un soprannome che gli
piaccia e che si possa leggere sulla bandiera da tutte e due le parti.
In queste fasi viene anche fornito materiale (specchi e carta da lucido) per rafforzare l’approccio operativo e permettere ai bambini di verificare le congetture
formulate, ma occorre sottolineare che, come vedremo nell’analisi dettagliata
più avanti in questo testo, non sempre i bambini ne colgono l’utilità. In genere
i gruppi che dichiarano di averli utilizzati sono proprio quelli che arrivano a
risposte corrette.
Per introdurre invece le rotazioni, il primo passo è quello di porre dei bambini
intorno a un tavolo a osservare oggetti e parole.
INTORNO A UN TAVOLO
ALICE e ANNA sono sedute a un tavolo l’una di fronte all’altra e
stanno giocando a giochi di parole.
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
31
ZA
Ad un certo punto si accorgono che se ALICE scrive N, anche
ANNA legge N.
Quali altre lettere in stampatello maiuscolo si comportano in questo
modo?
Sapreste dire perché?
E le parole come si comportano?
In un primo momento sono coinvolte solo due bambine e si chiede di trovare
lettere e parole invarianti per rotazioni di 180 gradi. Quindi si passa a quattro bambini seduti attorno a un tavolo e si chiede di trovare oggetti invarianti
rispetto a rotazioni di 90, 180 e 270 gradi.
INTORNO A UN TAVOLO
Quattro bambini sono seduti intorno a un tavolo quadrato e stanno
giocando con le costruzioni.
BO
Z
Ad un certo punto si accorgono che se appoggiano sul tavolo un
mattoncino a forma di cubo tutti e quattro vedono la stessa cosa;
se invece sul tavolo c’è un mattoncino a forma di parallelepipedo
(cioè della stessa forma di una scatola di scarpe) solo le coppie di
bambini che stanno l’uno di fronte all’altro vedono la stessa cosa.
I bambini si sono appassionati al problema e cercano in casa altri
oggetti da appoggiare sul tavolo per scoprire se tutti e quattro vedono la stessa cosa oppure solo le due coppie che stanno di fronte;
sanno però che la maggior parte degli oggetti li vedranno tutti e
quattro in modo diverso.
Naturalmente il mondo delle rotazioni non si esaurisce qui! Volendo mantenere l’impostazione operativa, lo stratagemma utilizzato per parlare di rotazione
è quello di porre il problema del posizionamento di un coperchio sopra una
scatola.
SCATOLE E COPERCHI
È primavera e la mamma di Francesco mette via le scarpe invernali.
Francesco l’aiuta e chiudendo le scatole si accorge che non c’è un
solo modo per porre il coperchio su una scatola ma ce ne sono due.
Trova poi una scatola un po’ strana con la base quadrata: in quanti
modi può porre il coperchio su questa scatola?
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
Ora Francesco si è appassionato al problema e cerca in casa altre
scatole e barattoli con il coperchio; trova un barattolo contenente lo
zucchero che ha per base un cerchio: in quanti modi può porre il
coperchio sul barattolo?
Volendo incentrare questo problema sulle rotazioni, occorre pensare a scatole il
cui coperchio non possa essere ribaltato; anche per questo motivo, in generale si
suggerisce di fornire ai bambini modelli concreti delle scatole (nell’esperienza
descritta in questo testo possiamo rilevare che i bambini sono stati correttamente indirizzati). Osserviamo anche che la complessità della richiesta fatta alle
diverse classi varia a seconda degli oggetti da osservare e del modo con cui tali
oggetti vengono presentati: descritti a parole oppure disegnati (nella versione
più ricca, quella per le classi quarte riportata a pagina 114, si può osservare il
campionario completo delle figure utilizzate). Non sempre i bambini rispondono alle domande relative alla scatola “con la base quadrata” e al barattolo “che
ha per base un cerchio”. Relativamente a quest’ultima, la scelta di inserire in
tutte le versioni la figura del cerchio è dettata dalla convinzione che sia utile
portare i bambini di tutte le classi a un primo incontro con l’infinito19 .
Le reazioni dei bambini rispetto a questo argomento sono le più varie: chi si
annoia, chi si diverte, ma tutti in genere descrivono i problemi come “facili”.
BO
Z
O SSERVANDO I BAMBINI CHE GIOCANO . Oltre ai punti messi già in
evidenza, anche in questo caso l’osservazione dello svolgimento dei giochi
ha fatto emergere alcune questioni su cui vale la pena tornare.
Il nodo concettuale “simmetria” è stato fortemente voluto dai docenti, ma
è invece stato affrontato con un non eccessivo entusiasmo dai bambini
(soprattutto nelle classi terze). Questo scollamento può forse essere dipeso dal fatto che si trattava di un argomento troppo vicino ad argomenti
affrontati nelle lezioni “normali”.
Rispetto alle prove precedenti viene sempre chiesta ai bambini una giustificazione delle risposte (“come fate a dirlo?”) e ciò perché nelle prove
precedenti i bambini erano stati molto avari di parole. Di nuovo, le reazioni dei bambini sono le più varie: chi si cimenta nel tentativo di spiegare il
ragionamento, chi si stanca presto di dover giustificare ogni “pensata”, chi
si rifiuta di rispondere (p. 105). Spesso però rispondere a questa domanda
è più semplice di quello che i bambini stessi pensano: “basta provare e
vedere che cosa succede” (p. 105 e p. 113).
19 Ci soffermiamo un attimo su questo esempio: in una delle plenary lecture al PME26 si
riportava il caso di un bambino che era riuscito ad arrivare al concetto di infinito incuriosendosi
con il problema di elencare le simmetrie di un orologio appeso al muro (mentre faticava ad
arrivare a questo concetto attraverso i numeri ‘grandi’).
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BO
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ZA
Il testo del problema “La bandiera del pirata” contiene una ambiguità dovuta al fatto che nel disegno non è indicata l’asta della bandiera (cioè l’asse
di riflessione). Ciò ha a volte spiazzato i bambini, ma ha anche dato loro
spazio per superare brillantemente la frustrazione di non riuscire a trovare
come soluzione del problema parole di senso compiuto (p. 110).
Le risposte dei bambini contengono disegni che mostrano confusione rispetto ai concetti di simmetria causata dal non padroneggiare ancora completamente i concetti di rotazione, riflessione e traslazione; ad esempio si
legge che viene erroneamente utilizzato lo specchietto per cercare le rotazioni e vengono disegnate rette per indicarle (p. 99, p. 106, p. 113). Naturalmente, come si diceva, il fatto che i bambini lavorando da soli commettano errori di questo tipo non è affatto preoccupante, ma il docente deve
programmare attività successive ai giochi per risolvere le misconcezioni
che sono emerse. Ci chiediamo però se alcuni di questi errori, soprattutto nelle classi basse, non derivino dall’aver utilizzato come modello le
lettere dell’alfabeto: i bambini sembrano avere una sorta di rifiuto a disegnare le lettere in modo diverso da quelle in cui vanno normalmente scritte
(p. 97) o si “ostinano” a leggere una lettera come corretta anche se capovolta (p. 107). In fondo nelle ore di italiano non si insegna forse loro a
scrivere le lettere in maniera corretta e a riconoscerle?
Leggendo le risposte dei bambini viene il sospetto che alcune di queste
siano condizionate anche da problemi di linguaggio. Ad esempio, quando
si chiede ai bambini di studiare le simmetrie del cerchio, ponendoli davanti
a un problema difficile, in termini di “in quanti modi è possibile posizionare un coperchio su una scatola rotonda”, le parole dei bambini “si può
mettere in un solo modo perché se lo giri ha sempre la stessa forma” in
fondo sembrano mettere in evidenza che comunque si metta il coperchio
la forma è indistinguibile (e questa è indubbiamente una osservazione corretta!). Del resto, come altri bambini mettono in evidenza, per riuscire a
distinguere le simmetrie c’è bisogno di rompere questa uniformità, magari
semplicemente con un segnetto: è significativo che siano proprio i bambini
a trovare questo stratagemma (entrambi gli esempi a p. 100).
Infine merita una nota l’utilizzo che i bambini fanno del linguaggio della
teoria degli insiemi: i disegni prodotti mostrano chiaramente che i diagrammi di Eulero Venn non sono un linguaggio familiare (p. 95 e seguenti) e quindi occorre chiedersi se valga veramente la pena di forzarli
a utilizzare queste rappresentazioni a scapito di altre più naturali per loro.
Ancora sulle aree
La parte finale del percorso ritorna a proporre attività sul concetto di area. Vengono proposte tre prove (la quinta, la sesta e la settima tornata) e un problema
sull’argomento è inserito nella prova finale.
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
BO
Z
ZA
Nella pratica didattica consueta, spesso purtroppo la trattazione dell’argomento
area si conclude con il legare indissolubilmente il concetto di “area” di un oggetto geometrico con la procedura di fissare una unità di misura e di associare
alla superficie un numero, perché solo arrivando a un valore numerico siamo in
grado di “operare sulle grandezze in modo preciso e rigoroso”. Questa procedura, con tutto quello che ne deriva, è sicuramente un passo importante nella
costruzione del concetto di area e, come abbiamo visto, le attività delle prime
due tornate sono dedicate proprio a tale passaggio cruciale.
Ma in un’ottica globale non possiamo dimenticare che la
geometria euclidea basa molti dei propri ragionamenti e delle proprie argomentazioni sul confronto diretto di superfici
(senza ricorrere a un “numero”) e sul concetto di equiscomponibilità. Si è quindi ritenuto necessario completare il per- imgs/eps-fin/euclide.eps.gz
corso di geometria con una parte dedicata a un confronto
diretto di figure. Due figure hanno la stessa area se sono
equiscomponibili, cioè se possono essere suddivise in “sottoparti” uguali. Teoremi di punta della geometria euclidea,
quali i teoremi di Euclide e di Pitagora, basano le proprie argomentazioni (rigorosissime!) sul “ritagliare” e confrontare estensioni di figure. E le dimostrazioni dei teoremi spesso finiscono con il basarsi fortemente su un campionario
di “belle figure”:
imgs/eps-fin/pitadip.eps.gz
imgs/eps-fin/pita-rif.eps.gz
In fondo anche i primi ragionamenti sulle formule delle aree che i bambini
incontrano proprio alla scuola primaria passano per argomentazioni del tipo
“tagliare un pezzo di qua e attaccarlo di là”:
imgs/datex/dabussola-01.eps
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Concludiamo con una osservazione finale. L’abilità di ragionare in termini
di confronto di superfici non va sottovalutata: persino un risultato di analisi
estremamente astratto, come la dimostrazione che
sen(x)
=1
x→0
x
lim
ha uno dei suoi argomenti chiave nel confronto diretto tra queste tre figure:
sen(x)
x
tan(x)
confronto che si può effettuare semplicemente sovrapponendo le tre figure in
questo modo:
BO
Z
sen(x) < x < tan(x)
Anche in questo caso abbiamo volutamente portato un esempio ben al di là del
programma della scuola primaria: è a nostro parere auspicabile che l’insegnante, nel momento in cui introduce un argomento, abbia in mente anche quale
sarà l’evoluzione che le conoscenze dei suoi allievi sono destinate ad avere nel
proseguimento dei loro studi.
I giochi
I giochi seguono tre filoni diversi corrispondenti a tre diverse linee di ragionamento: saper ragionare in termini di confronto diretto di superfici, saper applicare considerazioni sul confronto di superfici alla dimostrazione di teoremi,
saper stimare la misura dell’area di figure le cui forme non siano standard.
I giochi che richiedono il confronto diretto di superfici seguono più o meno
questo schema:
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
UN PESCE DA RICOPRIRE
ZA
TERESA HA RITAGLIATO DA UN CARTONCINO UNA FIGURA A
FORMA DI PESCE COME QUELLA CHE TROVATE QUI SOTTO
E POI L’HA RICOPERTA CON CARTA COLORATA.
PER OTTENERE IL RISULTATO, TERESA DICE CHE È STATO
SUFFICIENTE UTILIZZARE COMPLETAMENTE UN QUADRATO
DI CARTA COLORATA COME QUELLO DISEGNATO IN QUESTA
PAGINA.
VOI SAPRESTE FARCI VEDERE COME HA FATTO?
imgs/eps-fin/pesce-p.eps.gz
imgs/eps-fin/pesce-q.eps.gz
La soluzione del problema è immediata se si segue la via più naturale, ovvero
quella di sovrapporre le due figure in questo modo:
BO
Z
imgs/eps-fin/pesce-pq.eps.gz
Varianti di questo problema possono essere costruite utilizzando figure diverse
e modificando le domande:
QUANTO COLORE SERVE?
ELISA VUOLE RIEMPIRE LE DUE FIGURE CHE TROVATE QUI
SOTTO, COLORANDO LA PRIMA DI ROSSO E LA SECONDA DI
BLU.
PER COLORARE UTILIZZERÀ DI PIÙ IL COLORE ROSSO O IL
COLORE BLU? COME FATE A DIRLO?
PRIMA FIGURA
imgs/eps-fin/1-2a.eps.gz
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SECONDA FIGURA
ZA
imgs/eps-fin/1-2b.eps.gz
L’utilizzo di figure con i bordi curvi piuttosto che “dritti”, ovvero l’utilizzo
di figure piccole piuttosto che grandi, permette di variare sostanzialmente la
difficoltà del problema.
In questa serie di attività si è avuto modo di osservare più che nelle altre l’influenza della contestualizzazione. L’ultimo esempio riportato fa riferimento all’azione di colorare (la domanda è espressa in termini di “quanto colore serve?”)
e ha in qualche modo suggerito ai bambini una strategia: in molti hanno operato concretamente e hanno sperimentato con pennarelli e cronometro (p. 125).
Hanno cosı̀ avuto modo di scoprire che si trattava di una strategia non adeguata.
BO
Z
La seconda serie di giochi si basa su una dimostrazione del teorema di Pitagora
schematizzabile con questa figura:
4
1
2
3
3
4
5
5
1
2
La dimostrazione dell’equivalenza tra il quadrato costruito sull’ipotenusa e la
somma dei quadrati costruiti sui due cateti si basa sull’osservazione dell’eguaglianza delle parti in cui i quadrati sono stati suddivisi (le parti uguali sono contrassegnate dallo stesso numero). I giochi sono costruiti con difficoltà crescenti
dando di volta in volta suggerimenti diversi su come scomporre i quadrati:
➤
➤
➤
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
la versione più facile del problema parte dalla scomposizione completa dei
quadrati piccoli chiedendo di utilizzarli per ricoprire il quadrato grande;
una versione più complessa parte dalla scomposizione del quadrato grande,
chiedendo di trovare il modo di scomporre i quadrati piccoli;
in taluni casi si forniscono solo scomposizioni parziali di alcuni dei quadrati
chiedendo di individuare i pezzi mancanti.
ZA
38
Questa serie di problemi non sembra aver creato grosse difficoltà, i bambini
le hanno vissute come un gioco di puzzle e gli errori sembrano più che altro
riconducibili a distrazioni nella lettura del testo.
La terza serie di giochi vuole portare gli studenti a una stima numerica dell’area
di figure di forma non standard, provando a creare un raccordo con le attività
iniziali:
UN TAPPETO D’ORO ZECCHINO
BO
Z
IL GENIO DELLA LAMPADA ATEF VUOLE CONFEZIONARE
UN TAPPETO VOLANTE DI FORMA RETTANGOLARE E HA A
SUA DISPOSIZIONE DEI PEZZI DI STOFFA DI ORO ZECCHINO
COME QUELLI CHE TROVATE QUI SOTTO.
imgs/eps-fin/prova4.eps.gz
RIUSCIRÀ ATEF A COMPORRE IL TAPPETO?
SAPRESTE FARCI VEDERE COME?
PER NASCONDERE IL SUO TAPPETO MAGICO, ATEF HA PENSATO DI USARLO A CASA COME SE FOSSE UN TAPPETO
QUALSIASI, MA NON SA SE HA UN PAVIMENTO LIBERO GRANDE A SUFFICIENZA. SE LE PIASTRELLE DELLA SUA CASA
SONO COME QUELLA QUI SOTTO,
DI QUANTE PIASTRELLE AVRÀ BISOGNO?
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
39
ZA
Le “strane figure” sono state costruite prendendo un foglio di carta di forma
standard (nel caso dell’esempio riportato un rettangolo, ma in altri esempi anche un ovale), ritagliandolo in pezzi che poi sono stati mischiati (quindi un
procedimento che permette di preparare innumerevoli esercizi di questo tipo).
I bambini vivono un iniziale disorientamento, ma una volta intuita l’idea, il
problema, anche in questo caso, si traduce in un facile puzzle. Una volta ricomposta la figura, ricordare i problemi delle piastrelle delle prime tornate (e, quando richiesto, passare all’utilizzo di unità di misura standard come il centimetro
quadrato) appare un fatto del tutto naturale.
BO
Z
I problemi, come vedremo, sono risultati difficili per i bambini: siamo propensi
a leggere queste difficoltà come sintomo del fatto che tematiche di questo tipo non fanno parte di norma del curriculum scolastico. Peccato! Quello che
però è interessante osservare in questa esperienza è l’effetto “spiazzamento”:
proprio perché i problemi sono completamente al di fuori degli schemi soliti, i
bambini sono costretti a cercare nuove strategie. Questo è forse il risultato più
importante ottenuto in questa fase dei giochi e fa passare in secondo piano il
fatto che alcune delle strategie escogitate si siano rivelate fuorvianti. Si è trattato di semplici “infortuni” di percorso che non hanno impedito di giungere alla
meta con successo, anche attraverso discussioni con i propri compagni e prove
successive.
O SSERVANDO I BAMBINI CHE GIOCANO . Anche in questo caso l’osservazione dello svolgimento dei giochi ci ha permesso di mettere a fuoco
alcune questioni.
In queste attività, molto più che non nelle tornate precedenti, si è riusciti a
condurre i bambini ai limiti delle loro conoscenze. Ciò ha portato in molte
classi a un livellamento delle competenze, che ha permesso che emergessero individui che durante le attività “normali” restavano nell’ombra. Sono
pochi i gruppi che si sono fermati perché non sono riusciti a far rientrare
l’attività dentro schemi noti (“non abbiamo ottenuto forme geometriche,
non riuscivamo a calcolare l’area”, p. 153). Questo essere ai limiti delle loro conoscenze ha anche costretto alcuni bambini a cercare da soli le
strategie per risolvere i problemi: ne sono scaturite risposte non previste,
ma da un altro punto di vista molto interessanti. È uno dei momenti in cui
attività di questo tipo richiedono che anche l’insegnante compia un grosso
sforzo: esca dai suoi schemi, legga con attenzione quello che i suoi alunni
scrivono e verifichi se quanto scritto risponde alle richieste del problema
(attenzione: al problema consegnato ai bambini, non a quello che l’insegnante aveva in mente). In questo senso ci chiediamo se l’idea di ritagliare
“striscioline” e utilizzarle per ricoprire una figura (p. 143) non sia un’idea
da valorizzare: non è forse la strada che porta al concetto di integrale?
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
ZA
Osserviamo anche che hanno giocato un ruolo rilevante le difficoltà pratiche incontrate dai bambini nell’utilizzo delle forbici, soprattutto per
effettuare i tagli secondo linee curve.
Nelle risposte dei bambini si colgono miglioramenti rispetto alle attività
iniziali sull’area: a distanza di tempo sembrano ora riuscire a utilizzare
con proprietà di linguaggio termini quale “metà” e “quarti” che invece
avevano dato problemi nella prima e nella seconda tornata (p. 139).
I bambini utilizzano poco le parole e molto i loro disegni per argomentare,
in qualche modo riconoscendo il carattere costruttivo delle dimostrazioni
che venivano richieste (“se siamo riusciti a farlo, allora era possibile farlo”,
p. 139).
Quando interpellati, i bambini non hanno alcuna esitazione a definire i
problemi “difficili, ma stimolanti” e a mostrare soddisfazione per il lavoro
fatto: “è importante fare problemi più difficili e diversi dal solito perché ci
costringe a pensare di più” (p. 156).
Gli strumenti per i docenti
Il testo e il fascicolo per i bambini
BO
Z
Uno dei primi strumenti che abbiamo ritenuto utile fornire ai docenti è proprio questo testo, completato dal fascicolo per i bambini che contiene i testi
dei giochi, ampliati, emendati dagli errori (che invece qui abbiamo riportato
fedelmente) e pronti per l’uso.
Il supporto dell’università
Le università sono ormai da qualche anno i luoghi deputati alla formazione dei
nuovi docenti e sono impegnate per l’aggiornamento dei docenti in servizio.
Come vada attuata questa formazione (sia in partenza, sia in itinere) è oggetto
di un ampio dibattito e di un processo legislativo.
Non possiamo però nasconderci che con questo testo stiamo assumendo un impegno preciso. Stiamo suggerendo un approccio didattico stimolante e impegnativo e ci rendiamo conto che dopo aver lanciato la sfida sarebbe un errore
abbandonare i docenti a loro stessi (o lasciare che si sentano abbandonati!). Nei
contatti che quotidianamente abbiamo con i docenti in servizio emerge forte
la richiesta di un aiuto nella produzione di materiali adatti a una didattica per
problemi.
I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
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ZA
Per capire come l’università possa mantenere gli impegni, riteniamo utile tornare sull’episodio già citato (cfr. p. 5) della riforma dei curricula scolastici statunitensi del 1990. In quell’occasione, l’idea, caldeggiata non solo dagli esperti
di scienza dell’educazione ma anche dai matematici, di ricorrere a un utilizzo
predominante di metodologie attive nella normale pratica didattica fu imposta
quasi per legge. L’imposizione dall’alto ha causato una alzata di scudi da parte
di buona parte dei docenti, ma anche, quasi inspiegabilmente, da parte di una
fetta consistente dell’opinione pubblica, dando vita a un accesissimo dibattito
che viene ricordato come “guerra delle matematiche”.
Questo dibattito, anche se non sempre sorretto da argomentazioni oggettive, ha
comunque prodotto una riflessione su quali devono essere le competenze da far
acquisire agli studenti mediante un buon insegnamento della matematica. Solo
recentemente si sono cominciate a calmare le acque e c’è stato un tentativo di
redigere un vero e proprio “trattato di pace” per cercare di conciliare le posizioni di chi auspicava un radicale rinnovamento dei programmi didattici e chi
si mostrava restio ad abbandonare pratiche didattiche consolidate20 .
Quello che è interessante osservare è che in questo pubblico “trattato di pace”
i matematici sono espressamente chiamati a contribuire21 , intervenendo alle
riunioni a scuola e dando supporto attivo ai docenti in servizio, soprattutto per
quello che compete loro maggiormente: i contenuti.
BO
Z
Caro Matematico,
abbiamo bisogno che i matematici ci aiutino a migliorare i programmi
della scuola dell’obbligo. Sei disposto ad aiutarci?
Queste sono le cose che ti chiediamo di fare:
➤ partecipa agli incontri che stiamo organizzando per discutere, con gli
insegnanti e con altri matematici, le varie cose all’ordine del giorno in
questa lista;
➤ fatti una opinione sui programmi di insegnamento e vieni a discuterla. È un periodo in cui l’opinione pubblica è disponibile verso i
matematici: non perdere l’occasione!
➤ tieniti informato sugli sviluppi della didattica della matematica (sia per
quel che riguarda le teorie sviluppate a livello nazionale e internazionale, sia per quel che riguarda la messa in pratica delle stesse nel tuo
distretto scolastico);
➤ informati su quelli che sono i fronti contrapposti della “guerra delle
matematiche” e renditi utile per calmare le acque e portare contributi
fruttuosi al dibattito;
20 A.
H. Schoenfeld, “The Math Wars”, Educational policy, Vol. 18, n. 1 (2004), 254–286.
lettera che segue è liberamente tradotta da P. Daro, Math wars peace treaty,
www.toolkitforchange.org.
21 La
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I NTRODUZIONE DI M ARINA C AZZOLA
porta i tuoi consigli agli autori dei programmi didattici. Quali parti
sono importanti, corrette, coinvolgenti? Che cosa manca? Che cosa si
può tagliare? Come possiamo trasmettere le idee cruciali?
➤ intervieni on-line per rispondere alle domande degli insegnanti di
matematica;
➤ intervieni on-line per rispondere alle domande degli studenti di
matematica;
➤ vieni a tenere lezioni per i nostri studenti.
Cordialmente
Un insegnante di matematica
I giochi on-line
ZA
➤
BO
Z
Un contributo del Gruppo di ricerca sull’uso del gioco nella Didattica della
matematica nella direzione di un supporto dell’università, e in particolare dei
matematici, nell’attività dei docenti della scuola è l’attività stabile dei Giochi
on-line.
Attraverso il sito internet www.quadernoaquadretti.it/giochi/, il gruppo di ricerca ha dato vita a un appuntamento annuale, una gara di matematica a tappe.
Ogni tappa inizia con la proposta di un problema che le classi devono risolvere
entro un tempo prestabilito, inviando alla redazione dei giochi, sempre attraverso il sito, le risposte dei gruppi. La redazione si impegna quindi a pubblicare
le soluzioni dei problemi, per permettere ai docenti delle classi partecipanti di
riprendere gli argomenti in una successiva lezione, nonché a rispondere personalmente a eventuali questioni poste dai singoli gruppi. In realtà, la gara è solo
un pretesto e lo scopo del gruppo è offrire uno strumento ai docenti per costruire attività analoghe a quelle qui descritte. In questo senso, durante lo svolgimento dei giochi, sul sito viene attivato un forum di discussione di supporto
per i docenti e l’archivio del materiale prodotto resta disponibile, liberamente
accessibile e utilizzabile da chiunque.
Nell’edizione 2006 è stato per la prima volta attivato anche un forum per i
bambini, per permettere loro di entrare in contatto con gli altri partecipanti ai
giochi.
I Giochi on-line hanno visto nelle ultime tre edizioni la partecipazione di circa
2000 classi di scuola primaria di varie regioni italiane.