linfoma - W W W . T E L E S A . ORG

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linfoma - W W W . T E L E S A . ORG
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in:
TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO
Tesi di Laurea in:
ORGANIZZAZIONE DI UN LABORATORIO DI
ANATOMIA PATOLOGICA IN UGANDA:
APPLICAZIONE NUOVE METODOLOGIE PER
L’ IDENTIFICAZIONE DI ALCUNE PATOLOGIE
SIGNIFICATIVE
Relatore: Chiar.mo Prof. Tiziano ZANIN
Correlatore: Prof. Lorenzo Leoncini
Candidata:
Olga MAZZA
Anno Accademico 2011/2012
1
INDICE
PREMESSA
3
TABELLE STATISTICHE PATOLOGIE ONCOLOGICHE
PEDIATRICHE SIGNIFICATIVE
5

NUMERO ESAMI PERVENUTI PER TIPOLOGIA
8

FASCE DI ETA’
9
LINFOMA
11
LINFOMA DI HODGKIN
22
LINFOMA NON HODGKIN
27
LINFOMA DI BURKITT
33
SARCOMA DI KAPOSI
40
IL LABORATORIO DI ANATOMIA PATOLOGICA
46
PROTOCOLLO DI ACCETTAZIONE E TRATTAMENTO
CAMPIONI
47
MATERIALI E METODI

TECNICHE ISTOPATOLOGICHE
49

FISSAZIONE
49

COLORAZIONI ISTOMORFOLOGICHE
50

IMMUNOISTOCHIMICA
51
CASO DI LINFOMA DI BURKITT
55

COLORAZIONE IN EMATOSSILINA-EOSINA
56

COLORAZIONE IN GIEMSA
57

REAZIONI DI IMMUNOISTOCHIMICA
60
CONCLUSIONI
62
BIBLIOGRAFIA
63
2
PREMESSA
La tesi è stata svolta grazie alle informazioni ricavate dall’esperienza
nell’Ospedale St. Mary presso Lacor in Uganda; questo ospedale venne
fondato nel 1959 dai Missionari Comboniani per la diocesi cattolica di Gulu
(regione settentrionale dell’Uganda), e dopo il 1961 è stato gestito e
sviluppato da Piero Corti (chirurgo canadese) fino alla loro morte.
L’ospedale consta di 482 posti letto e tre centri sanitari periferici a Amuru,
Opit e Pabo (con 24 posti letto ciascuno); oltre 300.000 pazienti sono trattati
ogni anno, la metà dei quali sono bambini con età inferiore ai sei anni. Sono
oltre 250 gli studenti che frequentano le scuole, presenti all’interno della
struttura sanitaria, per infermieri e assistenti di laboratorio; l’ospedale è
anche sede di insegnamento universitario per la presenza della Facoltà di
Medicina e Chirurgia inaugurata nel 2003/2004.
La nostra permanenza presso la struttura ospedaliera è stata di 15 giorni,
durante i quali è stato possibile ricavare, analizzando la casistica, i dati
relativi principalmente alle patologie oncologiche pediatriche significative.
L’elaborazione di questi dati ci ha permesso la stesura della presente ricerca
in quanto è emersa una significativa rilevanza del Linfoma di Burkitt.
Successivamente si procederà con la descrizione della struttura del
laboratorio e la gestione del materiale
3
Figura 1 Aree del continente africano con maggiore incidenza di Linfoma di Burkitt:
Nigeria, Uganda, Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo.
4
TABELLA STATISTICA PATOLOGIE ONCOLOGICHE
PEDIATRICHE SIGNIFICATIVE
LUGLIO 2011 – GIUGNO 2012-10-06 St. MARY’S HOSPITAL
LACOR – UGANDA
Totale casi istologici in 12 mesi n. 2570
Tipologia
tessuto
Linfomi: Linfoadenopatie
NAS (I88)
Non
Hodgkin
(C82)
Linfoma
di
Burkitt
(C83)
Sarcoma Epatocarcinoma
di
(C22)
Kaposi
(C46)
Hodgkin
(C81)
LFN nas
6
2
2
LFN
7
7
1
2
2
1
4
4
2
cervicale
LFN
ascellare
LFN
inguinale
Cute Nas
Biop. Massa
6
1
1
29
23
1
addominale
Biopsia
2
7
massa
pelvica
Biopsia
13
massa
ovarica
5
Milza
6
1
4
Fegato
Soft Tissue
13
3
1
5
48
3
nas
Biopsia
1
mammella
Biopsia
1
2
renale
Biopsia sub
1
1
mandibolare
Biopsia leg.
2
Swelling
Biopsia
1
canale anale
ST cupper
1
ST palato
2
Testicolo
Bone
1
1
marrow
biopsy
Shoullder
1
nodular
L grain
TOTALE
1
38
19
76
6
42
48
INCIDENZA PATOLOGIE
ONCOLOGICHE CONSIDERATE
48
76
2570
223
38
19
42
22%
17%
TOTALE CASI ISTOLOGICI
EPATOCARCINOMA
BURKITT
LINFOMI
LINFOADENOPATIE NAS
SARCOMA DI KAPOSI
LINFOMI
8%
19%
LINFOADENOPATIE NAS
BURKITT
34%
SARCOMA DI KAPOSI
EPATOCARCINOMA
7
TABELLA STATISTICA PATOLOGIE ONCOLOGICHE
PEDIATRICHE SIGNIFICATIVE – NUMERO ESAMI
PERVENUTI PER TIPOLOGIA
LUGLIO 2011 – GIUGNO 2012-10-06 St. MARY’S HOSPITAL
LACOR – UGANDA
Totale casi istologici in 12 mesi n. 2570 (di essi quelli interessanti per lo
studio sono quelli indicati in tabella)
LFN
CUTE
MASSE
FEGATO
VARIE
136
97
SOFT
MILZA
TISSUE
37
83
54
MASSA
RENE
SWELLING
OVAIO
32
20
18
ADDOMINALE
26
42
Totale casi citologici in 12 mesi n. 1815 (di essi quelli interessanti per lo
studio sono quelli indicati in tabella)
CSF (cerebrospinal
FNAB (Fine Needle
fineneedle)
Aspiration Biopsy)
591
186
8
TABELLA STATISTICA PATOLOGIE ONCOLOGICHE
PEDIATRICHE SIGNIFICATIVE – FASCE DI ETA’
LUGLIO 2011 – GIUGNO 2012-10-06 St. MARY’S HOSPITAL
LACOR – UGANDA
Totale casi istologici in 12 mesi n. 2570 (di essi quelli interessanti per lo
studio sono quelli indicati in tabella)
RANGE ETA’
LINFOMI BURKITT KAPOSI EPATOCARCINOMA
0-5
8
6-10
41
11-15
24
25 >
3
0-10
22
11-20
7
21-30
4
31-40
7
41-70
9
30-50
NON
48
2
5
APPLICABILI
0-20
3
21-40
22
41-60
11
9
Linfoma di Burkitt
50
0-5
NUMERO CASI
40
06-10
30
25>
11-15
20
11-15
25>
06-10
10
0-5
0
RANGE ETA'
Totale casi citologici in 12 mesi n. 1815 (di essi quelli interessanti per lo
studio sono quelli indicati in tabella)
RANGE ETA’
CSF
FNAB
0-5
72
51
6-10
315
76
11-15
155
34
16 > e NA
49
16-22
25
10
LINFOMA
Il linfoma è un tumore del sistema linfatico cioè di quel complesso di
strutture dell’organismo di difesa contro gli agenti estranei, come virus o
batteri, che costituisce il sistema immunitario. Le principali strutture del
sistema linfatico sono: i linfonodi (detti anche ghiandole linfatiche o
linfoghiandole), la milza, il midollo osseo. Il linfoma può svilupparsi in
ognuno di questi organi.
Il linfoma ha molti tratti (fenotipici e citogenetici) in comune alle leucemie,
tuttavia si indica con il termine linfoma un tumore che si presenta sotto
forma di masse distinte (in un tessuto linfoide periferico, generalmente),
mentre con il termine leucemia (letteralmente “sangue bianco”) si indica un
diffuso interessamento del midollo osseo, la presenza in circolo di ingenti
quantità di cellule tumorali e la mancanza di una massa distinta localizzata.
EZIOLOGIA
Purtroppo, per il 70% dei linfomi la causa scatenante è sconosciuta; per il
rimanente 30% possono essere favoriti da immunodeficienza (es. associata
ad HIV o in seguito ad un trapianto d'organo), malattie autoimmuni (es.
artrite reumatoide) ed infezioni batteriche (Helicobacter pilory) e virali
(virus di Epstein-Barr che provoca il linfoma di Burkitt). Anche altri tumori
possono innescare i linfomi, così come le radiazioni e le sostanze chimiche
in generale (correlate alle neoplasie solamente nell'1% dei casi).
Il quadro clinico-patologico presenta un decorso pressoché standardizzato:
dapprima il tumore interessa una precisa area, come un solo organo, un’area
ricca di linfonodi, oppure una regione extra-nodale. Successivamente, la
neoplasia colpisce più aree, in genere situate sullo stesso lato del
diaframma; nello stadio successivo, il linfoma progredisce intaccando
regioni localizzate in entrambi i lati del diaframma e/o nella milza.
L'evoluzione massima si attua quando il tumore diffonde negli altri organi,
metastatizzando.
11
INCIDENZA
I linfomi sono la terza più frequente neoplasia a livello mondiale, che
costituisce il 5% dei tumori maligni e la quinta causa di morte per cancro; la
sua prevalenza sta crescendo costantemente ad un ritmo del 3% annuo (dati
USA, comunque applicabili agli altri paesi occidentali).
SINTOMATOLOGIA
All'inizio è di solito asintomatico e l'unico indizio della sua insorgenza può
essere costituito dalla tumefazione indolore dei linfonodi. Nel successivo
decorso della malattia, si può avere la comparsa di dolori addominali, dovuti
all'ingrossamento della milza, e di attacchi febbrili che persistono per due o
tre settimane; infine, il paziente diviene fortemente anemico e soffre di tutti
i disturbi associati all'anemia; inoltre, sovente si ha perdita di peso.
TIPOLOGIE
I linfomi sono suddivisi storicamente in due grandi categorie: i linfomi non
Hodgkin ed i linfomi di Hodgkin. Questi ultimi sono caratterizzati dalla
presenza delle cellule di Reed-Sternberg , per definizione assenti nei linfomi
non Hodgkin. Il tipo di linfoma è stabilito con l’esame istologico al
microscopio del linfonodo prelevato mediante biopsia . A volte è necessario
ricorrere anche alla biopsia di altri organi, soprattutto il midollo emopoietico
per stabilirne la sua diffusione nell’organismo o, in termini tecnici, per
effettuare la stadiazione del linfoma stesso.
CLASSIFICAZIONE
Fino a pochi anni fa, quello della classificazione dei linfomi era un campo
che alcuni studiosi definivano estremamente confusionario.
La confusione era causata dall’esistenza, almeno fino ad una decina di anni
orsono, di numerosi schemi di classificazione, almeno quattro dei quali
erano correntemente usati nelle diverse parti del mondo: la classificazione di
Rappaport e quella di Lukes e Collins negli Stati Uniti, la classificazione di
Lennert (conosciuta anche come classificazione di Kiel, dal nome della città
12
tedesca dove venne proposta) nella maggior parte d’Europa ed in Asia, la
classificazione del British National Lymphoma Investigation in Inghilterra.
Ogni schema di classificazione utilizzava criteri propri per l’identificazione
dei vari tipi di linfomi ed era periodicamente aggiornato, man mano che
progredivano le conoscenze sulla struttura e funzione del sistema
immunitario, rappresentando un ostacolo allo scambio di informazioni fra
studiosi di paesi diversi. Per questo motivo il National Cancer Institute degli
USA sponsorizzò uno studio, durato parecchi anni e pubblicato nel 1982,
che prevedeva la partecipazione degli autori delle principali classificazioni
dei linfomi non Hodgkin assieme ad altri studiosi, con lo scopo di trovare un
punto di accordo, almeno sulle forme di linfoma più frequenti.
Ne scaturì, una nuova classificazione, la Working Formulation a scopo
clinico, che doveva rappresentare una specie di esperanto, doveva cioè
fornire una specie di linguaggio comune a tutti gli studiosi della materia, al
fine di favorire il confronto fra i risultati della terapia dei vari tipi di
linfoma.
Questa classificazione, come tutte le altre, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Il
suo limite principale è che essa è basata su criteri esclusivamente
morfologici, cioè sull’aspetto che le cellule neoplastiche presentano quando
osservate al microscopio, e non prevede l’utilizzo di metodiche d’indagine
più moderne ed affidabili, come l’immunoistichimica e la biologia
molecolare, che hanno permesso di dimostrare come alcune delle categorie
previste dalla Working Formulation siano eterogenee, comprendano cioè
tumori molto diversi per origine, caratteristiche biologiche e cliniche,
risposta alla terapia, ecc.
Questi limiti sembrano essere stati superati dopo la proposta nel 1994 della
classificazione R.E.A.L. (Revised European American Lymphoma), che
invece utilizza largamente queste metodiche ed è diventata oggi il sistema di
classificazione più usato. Recentemente è stata proposta una nuova
classificazione sponsorizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità,
che sostanzialmente è molto simile alla classificazione REAL.
13
La più moderna revisione della classificazione è stata pubblicata a metà del
2008.
La WHO Classification distingue:
- Linfomi non-Hodgkin a cellule B (i più frequenti)
- Linfomi non-Hodgkin a cellule T (più rari)
- Linfoma di Hodgkin
Le classificazioni istologiche definiscono una serie di tipi istologici che
hanno la loro controparte normale nei diversi stadi di maturazione delle
cellule B e T del sistema linfatico. In questo modo vengono ad essere
distinti linfomi derivanti da elementi precursori, e linfomi che originano da
elementi periferici: questi ultimi vengono ulteriormente suddivisi sulla base
del compartimento normale di cui tendono a riprodurre le caratteristiche
morfologiche e biologiche.
CLASSIFICAZIONE WHO (2008) DEI LINFOMI
I. Neoplasie dei precursori dei B linfociti
Leucemia/linfoma linfoblastico dei precursori B
II. Neoplasie dei linfociti B maturi
Leucemia linfatica cronica (LLC)/ linfoma a piccoli linfociti
Leucemia prolinfocitica a cellule B
Linfoma linfoplasmacitico
Linfoma splenico della zona marginale
Leucemia a cellule capellute
Malattia della catena pesante
Linfoma splenico della zona marginale non classificabile
Neoplasie delle Plasmacellule:
Mieloma plasmacellulare
Plasmocitoma solitario dell'osso
Plasmocitoma extraosseo
14
Malattie della catena pesante
Linfoma della zona marginale extranodale (MALT)
Linfoma follicolare
Linfoma cutaneo primario centrofollicolare
Linfoma mantellare
Linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL)
Linfoma diffuso a grandi cellule B associato all'infiammazione cronica
Granulomatosi linfomatoide
Linfoma mediastinico (timico) primario a grandi cellule B
Linfoma intravascolare primario a grandi cellule B
Linfoma a grandi cellule ALK-positivo
Linfoma plasmoblastico
Linfoma a grandi cellule B sviluppato in HHV8 associato alla malattia di
Castleman multienterica
Linfoma di Burkitt
Linfoma a cellule B non classificabile con caratteristiche tra DLBCL e
Burkitt
Linfoma a cellule B non classificabile con caratteristiche tra DLBCL e LLC
III. Neoplasie dei precursori dei T linfociti
Leucemia/linfoma linfoblastico dei precursori T
IV. Neoplasie dei linfociti T ed NK maturi
Leucemia prolinfocitica a cellule T
Leucemia a grandi linfociti T granulari
Leucemia/Linfoma a cellule T dell'adulto
Linfoma a cellule T tipo enteropatia
Linfoma epatosplenico a cellule T
Micosi fungoide/ Sindrome di Sézary
Disordini linfoproliferativi primari della cute a cellule T CD30-positivi:
Linfoma primario della cute a grandi cellule anaplastico
15
Papulosi linfomatoide
Linfoma angioimmunoblastico a cellule T
Linfoma a cellule T periferiche, non altrimenti specificato
Linfoma a grandi cellule anaplastico
Linfoma a cellule NK/T extranodale, tipo nasale
Leucemia aggressiva a cellule NK
Linfoma blastico a cellule NK
ATL Linfoma a cellule T Acuto causato da HTLV un retrovirus
V. Linfoma di Hodgkin
Linfoma di Hodgkin classico, sottotipi:
Sclerosi nodulare
Cellularità mista
Ricco di linfociti
Deplezione linfocitaria
Linfoma di Hodgkin a prevalenza linfocitaria nodulare
ALTRE CLASSIFICAZIONI
Un'altra semplice distinzione, in base alla clinica, si fa tra:
Linfomi indolenti o a basso grado: che esordiscono senza un deperimento
delle condizioni generali ed hanno una storia naturale di lunga
sopravvivenza (anni) senza trattamento. Di questi fanno parte, in
maggioranza, i linfomi a derivazione B, e solo un linfoma T.
Grossolanamente, questi linfomi sono guaribili con fatica.
Linfomi aggressivi o ad alto grado: esordiscono con un rapido
deperimento delle condizioni di salute e portano all’exitus in poche
settimane se non trattati. Tuttavia, al contrario degli indolenti, hanno
generalmente più possibilità terapeutiche. Quasi tutti i linfomi T sono
aggressivi, mentre di meno sono i B aggressivi.
Tuttavia tale classificazione risulta non sempre applicabile. Oggi ciascuna
delle entità patologiche descritte dalla REAL/WHO può essere sottoposto a
16
classificazione (grading) secondo criteri specifici istologici, citologici e
anatomo-patologici.
È comunque essenziale, all’interno delle categorie succitate, tipizzare anche
a livello genetico ogni particolare linfoma, difatti a ciascuna aberrazione
genetica (mutazioni, delezioni, traslocazioni) corrisponde una prognosi più
o meno fausta. Inoltre è necessario tipizzare il fenotipo, ovvero
l’espressione di molecole più o meno aberranti nella quantità (sovra o sottoespressione) o qualità (proteine di fusione, ecc).
STADIAZIONE DEI LINFOMI
Oltre alla classificazione è necessario nella pratica medica la stadiazione
(staging) del linfoma che si esamina. Lo stadio di un tumore ne indica la
diffusione e sovente ne aggrava la prognosi o comunque richiede un
approccio terapeutico più aggressivo per disseminazioni e masse più
abbondanti. Per la stadiazione dei linfomi si usa la classificazione di Ann
Arbor (dalla città dove fu stilata, Michigan, USA), inizialmente pensata per
la malattia di Hodgkin nel 1971.
Al fine di classificare un linfoma è necessario avere numerose informazioni
derivanti dalla storia clinica del paziente e dall’anamnesi, dall’esame
obiettivo (adenomegalie?), dalle tecniche di diagnostica per immagini
(TAC, TAC/PET), dall’analisi del sangue, dalla biopsia (sempre
escissionale) linfonodale e dall’aspirato midollare o biopsia ossea.
IL SISTEMA DI STADIAZIONE DI ANN ARBOR
Il Sistema di stadiazione di Ann Arbor prevede 4 stadi:
Stadio I: coinvolgimento di una sola stazione linfonodale (stadio IE se
unica localizzazione extranodale).
Stadio II: coinvolgimento di due o più stazioni linfonodali dallo stesso lato
del diaframma (stadio IIE se coesiste una limitata localizzazione
extranodale per contiguità).
Stadio III: coinvolgimento di linfonodi da ambedue i lati del diaframma
Stadio IV: localizzazione extranodale estesa (midollo osseo, fegato).
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Ogni stadio viene inoltre definito A oppure B in base all’assenza o
presenza di sintomi sistemici, detti anche sintomi B (febbre superiore a
38°C, sudorazioni notturne profuse, calo di peso superiore al 10% del
normale peso corporeo negli ultimi 6 mesi). A completamento della
stadiazione,
vengono
definite
“bulky”
le
adenopatie
massive
(mediastiniche, addominali, superficiali). A livello mediastinico viene
convenzionalmente definita bulky una adenopatia con diametro trasversale
superiore ad 1/3 del diametro toracico, oppure superiore ai 10 cm.
Figura 2 Stadiazione di Ann Arbor
18
PRINCIPI
DELLA
CLASSIFICAZIONE
ISTOLOGICA
DEI
LINFOMI
La diagnosi istologica dei linfomi comincia con l’osservazione al
microscopio ottico del preparato istologico del tessuto prelevato con la
biopsia. Il primo compito che deve svolgere il patologo è stabilire se si tratta
di una malattia reattiva causata da infezioni, infiammazioni ecc., o di una
forma neoplastica secondaria,cioè una metastasi di un tumore non linfoide.
Una volta stabilito che si tratta di un linfoma, è necessario osservare
innanzitutto la forma e la grandezza delle cellule neoplastiche e risalire al
tipo di cellula (B, T, NK) da cui il tumore è originato. In genere più grandi
sono le cellule neoplastiche, maggiore è la loro malignità, in quanto
significa che esse sono in grado di moltiplicarsi più velocemente.
Un altro aspetto molto importante da considerare è il tipo di alterazione (o
infiltrazione)
provocato
dalle
cellule
tumorali
nel
linfonodo:
se
l’infiltrazione è localizzata in alcune zone (nodulare o follicolare nelle
diverse classificazioni) il tumore ha in genere un andamento più lento, meno
maligno rispetto ai casi con infiltrazione diffusa, che indica una malattia più
avanzata e/o ad evoluzione più rapida.
Ci sono comunque alcune eccezioni a queste regole. Per esempio il linfoma
linfocitico diffuso, equivalente della leucemia linfatica cronica è un linfoma
a basso grado di malignità In molti casi l’esame del tessuto prelevato è
completato con le indagini di immunoistochimica, che permettono di
stabilire con precisione il tipo di cellula neoplastica ed il suo stadio di
maturazione, e con indagini di biologia molecolare che permettono di
evidenziare la presenza in queste cellule di eventuali anomalie genetiche,
alcune delle quali sono caratteristiche di un determinato tipo di linfoma e
non di altri, e permettono quindi una corretta classificazione del linfoma.
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RIASSUNTO
Malattia
Linfoma, neoplasia primaria delle cellule linfoidi
(coinvolge
linfonodi,
apparato
linfo-ghiandolare,
linfociti T, linfociti B e precursori)
Incidenza
Incidenza molto elevata: si configurano tra i tumori
maligni maggiormente frequenti su scala mondiale; i
linfomi non solo rappresentano il 5% delle neoplasie
maligne, ma costituiscono anche la quinta causa di
decesso per cancro.
Causa
Per il 70% dei linfomi, la causa scatenante è
sconosciuta; per il restante 30%, alcuni linfomi
potrebbero essere favoriti da immunodeficienza,
malattie autoimmuni, infezioni patogene e virali.
Le radiazioni solari e le sostanze chimiche in generale
sono correlate alle neoplasie solamente nell'1% dei
casi
Classificazione
linfoma dei precursori dei linfociti T
linfomi secondo
linfoma dei linfociti T e delle cellule natural killer
OMS e REAL
mature
linfoma dei precursori dei linfociti B (es. leucemia dei
precursori dei linfociti B)
linfoma dei linfociti B maturi (es. linfoma follicolare,
linfoma cutaneo, linfoma mantellare)
linfoma di Hodgkin a cui appartengono: sclerosi
nodulare,
deplezione
dei
linfociti,
eterogeneità
cellulare
linfomi non Hodgkin (es. linfoma alla milza)
linfomi aggressivi
linfomi indolenti
20
Decorso clinico
Prima il linfoma resta circoscritto in un'area definita,
poi si diffonde in due aree vicine, infine può
metastatizzare.
Sintomi
Perdita eccessiva di peso, sudorazione sovrabbondante
durante la notte, febbre alta.
Possibili terapie
Chemioterapie, radioterapie.
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LINFOMA DI HODGKIN
Il linfoma di Hodgkin (un tempo denominato malattia di Hodgkin o
morbo di Hodgkin) è un particolare tipo di neoplasia della linea linfoide
caratterizzato da una massa tumorale distinta, descritto per la prima volta da
Thomas Hodgkin nel 1832. Si distingue dagli altri linfomi per alcune
proprietà:
- istologiche: la presenza di cellule tumorali giganti tipiche , cellule di
Reed-Stenberg, dalla caratteristica morfologia ad ”occhio di gufo” (cellula
binucleata con nucleoli eosinofili prominenti), derivante da un linfocita B
nel 98 % dei casi a da un linfocita T nel restante 2%. Nel tessuto infiltrato,
essa è accompagnata da varie cellule reattive, costituito soprattutto da
leucociti mononucleati, che rappresentano la maggioranza delle cellule
componenti la massa tumorale;
- patogenetiche: l'origine è quasi sempre in un singolo linfonodo, e la sua
eventuale diffusione avviene per contiguità alla catena linfonodale correlata;
- cliniche e terapeutiche: il decorso è tipicamente prevedibile (con precisa
stadiazione), e la prognosi ottima (sia come sopravvivenza che come
morbilità), grazie all'efficacia della terapia chemio e radioterapica.
EZIOLOGIA
Esistono fattori che predispongono alla nascita di tale neoplasia, tra essi
ricordiamo:
- Virus. Se si è contratto il virus di Epstein-Barr (EBV) o il virus
dell’immunodeficienza umana (HIV), il rischio di ammalarsi può
aumentare. Il linfoma, tuttavia, non è contagioso, cioè non viene trasmesso
da paziente a paziente.
- Indebolimento del sistema immunitario. Il rischio di soffrire di linfoma
di Hodgkin può aumentare se il sistema immunitario è debole (ad esempio a
causa di un disturbo ereditario o di determinati farmaci usati dopo un
trapianto).
22
- Età. Si presenta con maggior frequenza tra gli adolescenti e gli adulti di
età compresa tra i 15 e i 35 anni, e tra gli adulti di età superiore ai 55 anni.
- Precedenti famigliari. I famigliari di un paziente con linfoma di Hodgkin,
soprattutto i fratelli e le sorelle, possono correre un rischio maggiore di
ammalarsi.
Avere uno o più fattori di rischio non significa ammalarsi necessariamente.
La maggior parte dei pazienti che presentano fattori di rischio non sarà mai
colpita da alcun tumore.
INCIDENZA
Il linfoma di Hodgkin si manifesta in un soggetto ogni sette affetto da
neoplasie linfatiche; in particolare, si riscontra nei maschi, solitamente
anziani ultra-settantenni, e nei giovani di età compresa tra i 20 ed i 30 anni,
anche se sono stati registrati casi di bambini. Il dato sconcertante emerge
dalle ultime statistiche: sembra, infatti, che esso sia in aumento, poiché sono
stati diagnosticati circa 8.000 nuovi casi all'anno.
SINTOMATOLOGIA
Il linfoma di Hodgkin può causare diversi sintomi: linfoadenopatia
superficiale con ingrossamenti importanti e persistenti, non riconducibili ad
altre cause allergico-infettive, dimagrimento apparentemente inspiegabile,
febbre nelle forme continua, remittente o ciclica, ovvero la cosiddetta febbre
di Pel-Ebstein, che recentemente è stata dimostrata manifestarsi soprattutto
nella fase avanzata della malattia, intensa sudorazione notturna, prurito alla
pelle, tosse, problemi respiratori o dolore al torace, debolezza e stanchezza.
TIPOLOGIA
Caratteristica è la proliferazione di due possibili cloni di cellule, a seconda
della forma istologica di malattia, con caratteristiche citologiche maligne: le
cellule di Reed-Sternberg (Immunofenotipo CD45-, CD15+, CD30+, EMA-,
CD40+), e le cellule del Linfoma di Hodgkin (Immunofenotipo CD45+,
23
CD15-, CD30-, EMA+, CD40+, assenza di marcatori associati ai linfociti
T).
La prima suddivisione del linfoma è stato effettuato nel 1944 da Jackson e
Parker, suddividendolo in tre forme (granuloma, sarcoma e paragranuloma),
sviluppata poi nel 1966 da altri studiosi, Lukes, Butler e Hicks.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto una classificazione
secondo cui esistono tre forme:
- Linfoma di Hodgkin con prevalenza linfocitaria nodulare;
- Linfoma di Hodgkin classico, ovvero rientrano in tale definizione le altre
quattro forme del tumore (deplezione linfocitaria, cellularità mista, sclerosi
nodulare e varietà ricca di linfociti;
- Linfoma di Hodgkin inclassificabile (che non rientra con certezza in una
delle altre classificazioni).
Rye, invece propose una classificazione, in voga per molto tempo, soltanto
per quanto riguarda i quadri possibili:
- Predominanza linfocitaria (nodulare e diffusa);
- Sclerosi nodulare;
- Cellularità mista;
- Deplezione linfocitaria.
STADIAZIONE secondo il sistema di Ann Arbor (vedi “Stadiazione dei
linfomi”).
CURA E TERAPIA
La scelta della terapia dipende soprattutto da:
- Tipo di linfoma di Hodgkin (la maggior parte dei pazienti è affetta da
linfoma di Hodgkin classico),
- Collocazione (zona in cui si trova il tumore),
- Dimensioni del tumore eventualmente maggiori di 10 centimetri,
- Età,
24
- Eventuale dimagrimento, sudorazione notturna intensa o febbre.
Negli ultimi anni si sono effettuati studi che hanno portato a nuove
conoscenze mediche, e nel 1970 si è data una nuova impostazione della
combinazione polichemioterapica MOPP. Per prassi comune si effettuava in
passato la radioterapia per quanto riguarda gli stadi I, II e III, mentre per gli
altri stadi si usava la chemioterapia, ma questo avveniva dopo procedure
diagnostiche invasive, per evitarle si è deciso di utilizzare la chemioterapia
anche per gli altri stadi.
Altre terapie: Trapianto con cellule staminali
Attualmente sotto sperimentazioni cliniche, si utilizza solo se la
chemioterapia non ha portato a risultati soddisfacenti, comporta per il
momento un'elevata tossicità.
Recidive
Ricadute delle persone che erano affetta da tale male si sono avute entro tre
anni dalla fine della terapia, le zone colpite sono quelle inizialmente
interessate nella quasi totalità dei casi, la percentuale dei casi si aggira
intorno al 25%.
25
RIASSUNTO
Malattia
Linfoma di Hodgkin o sindrome di Hodgkin o
linfogranuloma maligno
Origine del termine
La malattia porta il nome dello scopritore, Thomas
Hodgkin che intorno al 1830 descrisse per la prima
volta questa forma neoplastica.
Incidenza
Maschi, anziani over-70 e giovani (dai 20 ai 30 anni).
Differenza con gli
Presenza
altri tumori non
Sternberg.
di
cellule
anomale
chiamate
Reed-
Hodgkin
Classificazione
Classico (in cui si verifica deplezione dei linfociti,
linfomi di Hodgkin
sclerosi
nodulare,
eterogeneità
cellulare
e
sovrabbondanza di linfociti), linfocitario - nodulare, e
linfoma di Hodgkin inclassificabile.
Esordio
Il linfoma di Hodgkin esordisce con un gonfiore
inguinale, cervicale od ascellare, spesso associato a
febbre di Pel-Ebstein, eccessiva sudorazione, prurito,
astenia, tosse secca.
Aree interessate
Zona cervicale (60% dei casi), mediastino (20%),
inguine ed ascelle.
Cause
Sconosciute. Probabile correlazione con patologie
virali, deficienza immunitaria.
Esame diagnostico
Biopsia del linfoma estratto chirurgicamente.
Terapie
Radioterapia, chemioterapia, trapianto di cellule
staminali (in fase di sperimentazione).
26
LINFOMA NON HODGKIN
I linfomi non-Hodgkin (LNH) sono processi neoplastici che tendono a
riprodurre le caratteristiche morfologiche, fenotipiche, genotipiche e, talora,
funzionali di una o più tappe dei processi di maturazione e di trasformazione
degli elementi linfoidi. I linfociti interessati dal processo neoplastico
possono esprimere il fenotipo di membrana di tipo B (più frequentemente),
di tipo T.
EZIOLOGIA
L’eziologia dei linfomi non è ancora ben nota, tranne in forme particolari; è
tuttavia evidente che la linfomagenesi non è riconducibile ad un unico
fattore morboso e che non è univoca in tutta l’eterogenea gamma di questi
tumori. Non è proponibile una rigorosa distinzione tra fattori genericamente
predisponenti e fattori eziopatogenetici diretti essendo la lnfomagenesi un
processo imperniato su molteplici eventi interdipendenti e non tutti noti,
susseguentisi nel tempo (multistep disease). Nonostante ciò si è registrata
una connessione tra i linfomi non Hodgkin e l'AIDS: infatti, sembra ci sia
un aumento d'incidenza dei tumori non Hodgkin nelle persone affette da
immunodeficienza da AIDS. Anche le malattie autoimmuni (es. celiachia),
il tabagismo, le infezioni (es. causate hall'Herpes virus), eccessiva
esposizione ai raggi UV solari o artificiali, contatto od esposizione ad agenti
chimici (es. solventi, disinfettanti irritanti, acidi, pesticidi) sono possibili
fattori predisponenti il linfoma non Hodgkin.
INCIDENZA
I linfomi non-Hodgkin rappresentano circa il 70% di tutti i linfomi e
costituiscono il 5% di tutte le neoplasie maligne; sono tumori tipici dell'età
adulta la cui possibilità di ammalarsi aumenta con l'età. Esistono comunque
casi in età pediatrica e giovanile. L'incidenza è in aumento in varie parti del
27
mondo in seguito ai progressi diagnostici e alla diffusione dell'AIDS, che è
una causa importante di linfoma non-Hodgkin.
SINTOMATOLOGIA
I linfomi non Hodgkin insorgono attraverso un consistente ingrossamento
delle ghiandole linfatiche su collo, ascelle ed inguine; tuttavia, nel 30% dei
casi anche l'intestino, il midollo osseo, la cute e il sistema nervoso centrale
possono essere interessati dalla malattia.
A differenza della maggior parte dei linfomi, la febbre e le eccessive
sudorazioni notturne non si rivelano quasi mai di consistente entità, pur
rimanendo sintomi tipici della fase avanzata del linfoma non Hodgkin.
Quest’ultimo, come del resto la maggior parte dei linfomi in genere, può
presentare sintomi od essere assolutamente asintomatici nella fase acuta: in
alcune forme di linfoma non Hodgkin, il paziente non percepisce alcun tipo
di disturbo, di conseguenza la neoplasia può rimanere silente per lunghi
periodi. In altri casi, invece, possono manifestarsi improvvisamente, in
modo aggressivo e dolente; potrebbero risultare fatali e il decesso del
paziente potrebbe avvenire entri poche settimane. A tal proposito, in base
alla classificazione di Kiel, possono essere ripartiti in due grandi gruppi
principali, in cui si distinguono altre sotto categorie: a crescita lenta
(linfoma non Hodgkin di grado basso) o a crescita rapida (linfoma non
Hodgkin di grado alto).
TIPOLOGIE
Secondo la WHO (World Health Organization 2001) i LNH si dividono in
forme a cellule B e linfomi a cellule T, distinguendo tra forme che derivano
dai progenitori e forme che originano dalle cellule periferiche, con
caratteristiche corrispondenti rispettivamente alle fasi più precoci e a quelle
più avanzate dei processi maturativo-differenziativi delle linee cellulari B e
T. Nell’ambito dei LNH periferici sono state identificate varie entità
raggruppate sulla base delle modalità di presentazione clinica (forme
disseminate/leucemiche,
primitivamente
28
nodali
vs
prevalentemente
extranodali). La WHO non prevede il tradizionale grading dei LNH in
forme a basso, intermedio e alto grado di malignità, basato su parametri o
esclusivamente morfologici (Kiel Classification) o prevalentemente clinici
(Working Formulation). Pur menzionando una serie di parametri (sede
primitiva di presentazione, profilo immunomolecolare, ecc.), la cui analisi
combinata può fornire informazioni predittive sul possibile andamento della
patologia, la WHO si limita a indicare, per ciascuna entità, un trend
prognostico generale.
Per quanto riguarda la modalità d’insorgenza e di diffusione quest’ultima è
poco prevedibile. Infatti nella maggior parte dei casi i LNH esordiscono
coinvolgendo sia multiple stazioni linfonodali, sia la milza, il midollo osseo
ed altre sedi extranodali. Spesso presentano una disseminazione più o meno
generale, favorita dalla maggior frequenza della localizzazione d’esordio in
sede linfonodale sottodiaframmatica. L’invasione midollare è pressoché
costante nelle forme di linfoma cosiddette a basso grado di aggressività e in
quelli altamente aggressivi di tipo linfoblastico. In linea di massima però, i
LNH ad alto grado di aggressività persistono in forma localizzata più a
lungo. Nel 20-30% dei casi all’esordio sono riscontrate anche localizzazioni
extralinfonodali.
I reperti di laboratorio dei LNH sono spesso poco significativi; i parametri
biologici tradizionali che spesso sono presenti all’esordio della malattia
sono l’aumento delle latticodeidrogenasi (LDH) e della b2-microglobulina
(soprattutto nelle forme a basso grado di aggressività). Anche la
determinazione della quota proliferante (con l’ausilio dell’anticorpo
monoclonale Ki-67) rappresenta un parametro importante nello studio dei
LNH. Una volta eseguita la diagnosi di LNH (in genere fatta mediante
analisi istologica su di un linfonodo o massa adenopatica ) occorre
classificare la malattia in stadi rigorosamente codificati per un risvolto
prognostico e terapeutico.
STADIAZIONE secondo il sistema di Ann Arbor (vedi “Sistema di stadi
azione).
29
CURA E TERAPIA
In questi ultimi anni la chemioterapia si è imposta come il trattamento
principale ed esistono numerosi schemi di polichemioterapia basati sulla
combinazione di più farmaci. La chemioterapia ad alte dosi seguita dal
trapianto di midollo osseo sta dando risultati promettenti e permette di
raggiungere un maggior controllo della malattia o la guarigione. Nei casi di
malattia localizzata si utilizza la radioterapia, in associazione ai trattamenti
chemioterapici. Infine da poco tempo sono disponibili nella pratica clinica il
trapianto di cellule staminali e gli anticorpi monoclonali, nuovi farmaci
biotecnologici creati in laboratorio e diretti contro proteine prodotte dal
tumore. In alcuni rari casi, l'asportazione chirurgica, rappresentano i
trattamenti utilizzati per combattere i linfomi non Hodgkin.
30
RIASSUNTO
Malattia
Linfoma non Hodgkin: gruppo eterogeneo e complesso
di neoplasie maligne che interessa gli organi e le cellule
del sistema linfatico ed extra-linfatico.
Differenze con i
Assenza delle cellule anomale Reed-Sternber. Assenza di
linfomi Hodgkin febbre ed eccessiva sudorazione nella fase acuta.
Target della
Principalmente linfociti B e linfociti T (globuli bianchi
malattia
che appartengono al sistema immunitario), ma le cellule
impazzite si possono diffondere in altri distretti.
Zone interessate
Ghiandole
linfatiche
su
collo,
ascelle,
inguine
(soprattutto) Intestino, midollo osseo cute e braccia (nel
30% dei casi)
Quadro
Fattori correlati al linfoma non Hodgkin: AIDS,
eziopatologico
tabagismo, malattie autoimmuni, infezioni, massiccia
esposizione
UV,
contatto
con
agenti
chimici,
predisposizione genetica.
Classificazione
Linfomi non Hodgkin a crescita lenta o di basso grado di
generale
malignità
Linfomi non Hodgkin a crescita rapida o ad alto grado di
malignità
linfomi di derivazione T- linfocitaria
linfomi di derivazione B- linfocitaria
La classificazione è complessa perché per ogni classe
s'individuano più sotto-categorie. La catalogazione dei
vari linfomi non Hodgkin può essere realizzata in base
all'istologia delle cellule, alla loro differenziazione,
all'origine della malattia od in base al loro aspetto
nodulare o diffuso.
31
Terapie
Chemioterapia,
radioterapia,
trapianto
di
cellule
staminali, nuove terapie biologiche e, in alcuni rari casi,
l'asportazione
chirurgica
rappresentano
possibili per debellare i LNH.
32
le
terapie
LINFOMA DI BURKITT
Il linfoma di Burkitt (in sigla BL) è giudicato una forma di linfoma non
Hodgkin, una neoplasia dei linfociti B maturi
che si distingue per la sua rapida progressione.
Prende il nome da Denis Burkitt, un chirurgo
che lavorava in Uganda e per primo lo descrisse
nel 1958 notando nei bambini, nei pressi di
Kampala, dei visi particolarmente distorti, con
lesioni che coinvolgono uno o entrambi i lati del
mascellare inferiore e superiore; inoltre in questi
bambini
erano
presenti
enormi
masse Figura 3 Linfoma di Burkitt
pediatrico. Tumefazione dei
addominali. Nel 1962 venne incluso nel gruppo linfonodi mascellari e
dei linfomi maligni e negli anni successivi fu sottomandibolari.
possibile appurare che una parte dei linfomi
pediatrici negli Stati Uniti e in Europa erano istologicamente indistinguibili
dal linfoma di Burkitt descritto in Africa. Si rese quindi necessario
classificare un nuovo gruppo di linfomi, che furono chiamati linfomi a
piccole cellule non-clivate.
EZIOLOGIA
Vi è una notevole differenza fra il Burkitt dell’Africa equatoriale, dove è
descritto come una malattia endemica, ed il
resto del mondo, in cui si presenta in forma
sporadica. Nella forma endemica è legata
strettamente
a
fattori
ambientali,
quali
l’incidenza del virus di Epstein-Barr (EBV),
lo stesso che provoca la malattia del bacio
trasmessa per mezzo di
Figura 4 Virus di Epstein Barr
saliva infetta
(mononucleosi), con il quale l’associazione è
33
del 95%. Per contro, nella forma sporadica è indipendente da fattori
ambientali, per cui l’associazione con l’EBV è solo del 15%. È opportuno
evidenziare che il virus, nei soggetti sani, viene facilmente debellato,
sebbene la degenza si riveli relativamente lunga; se il virus si manifesta
nelle persone malnutrite, disagiate o affette da immunodeficienza, le
conseguenze potrebbero avere risvolti decisamente più gravi. In quest'ultimo
caso, infatti, il virus potrebbe innescare reazioni a catena che
provocherebbero l'insorgere del linfoma di Burkitt. Uno dei meriti maggiori
del dottor Burkitt fu di evidenziare la distribuzione geografica del linfoma, e
questo fece sospettare l’associazione con un fattore climatico e portò alla
ricerca dei virus associati conclusa con la scoperta del virus di Epstein-Barr.
Comunque, sebbene il 95% di tutti i tumori dell’Africa equatoriale porti il
genoma dell’EBV nelle sue cellule, ciò è vero solo per il 20% dei tumori del
Nord America; inoltre, questa differenza non può essere semplicemente
riconnessa all’esposizione all’EBV, poiché anche i pazienti con cellule
tumorali EBV-negative presentano anticorpi per l’EBV, indipendentemente
dal loro paese di origine. Non è ancora chiaro se l’EBV predisponga
semplicemente allo sviluppo del linfoma di Burkitt, o se invece sia un
componente essenziale nella patogenesi del tumore. E’ stato dimostrato che
l’infezione da EBV si verifica in età precoce in Africa (quasi tutta la
popolazione possiede gli anticorpi specifici entro il terzo anno di età),
differentemente dai paesi industrializzati, dove il contatto con il virus
avviene nell’età adolescenziale o adulta. Riguardo al meccanismo d’azione
dell’EBV, non è ancora chiaro se favorisca la crescita delle popolazioni di
linfociti B, ma probabilmente ne inibisce l’apoptosi in maniera diretta, o
tramite l’aumento dell’espressione di bcl-2, un gene inibitore dell’apoptosi;
in tal modo il virus conferisce immortalità alle cellule infettate, prolungando
la sua sopravvivenza all’interno di esse. Sebbene dunque sia stata compresa
la rilevanza dell’EBV nella genesi del linfoma di Burkitt, questa tesi non
basta a spiegare la peculiare distribuzione geografica di questa patologia,
poiché l’EBV è ubiquitario. Le aree di alta incidenza del Burkitt
corrispondo a quelle della malaria endemica, che potrebbe contribuire allo
34
sviluppo del tumore in quanto possiede un’azione mitogena sulle cellule B
ed inibitoria su quelle T, cooperando così con l’EBV nell’oncogenesi.
La malattia potrebbe insorgere anche in caso di immunodeficienza
congenita, non solo in quella acquisita: AIDS e malaria, atassiateleangectasia e sindrome di Wiskott-Aldrich (patologia ereditaria legata al
cromosoma X, che si presenta con eczema, infezioni, piastrinopenia e
diarrea) potrebbero scatenare il linfoma di Burkitt.
Ulteriore ipotesi patogenetica è che determinate mutazioni geniche
favoriscano l’insorgenza del Burkitt: ciò è provato dall’aumentata incidenza
tumorale nei pazienti affetti da immunodeficienze congenite e dalla
descrizione di forme familiari di Burkitt in Tanzania.
Nel 1976 si scoprì la traslocazione
caratteristica del linfoma di Burkitt,
che coinvolge i cromosomi 8 e 14,
l’attivazione
determinando
dell’oncogene
c-myc
sito
sul
cromosoma 8 e deputato al controllo
della crescita cellulare.
Figura 5 Traslocazione dei cromosomi 8; 14
INCIDENZA
Nella forma endemica l’incidenza annuale (nei minori di 16 anni) è di 10
casi su 100.000 bambini, mentre nella forma sporadica è di 0.2 casi per
100.000 bambini.
La fascia d’età più colpita è dai 4 ai 9 anni con un rapporto maschi/
femmine del due a uno e costituisce il 74% dei tumori infantili. Il dato
sconcertante è che il fenomeno è in progressivo aumento.
SINTOMATOLOGIA
Il quadro clinico di presentazione più frequente è una tumefazione a livello
del collo di notevoli dimensioni, prevalentemente a partenza mascellare,
35
meno spesso mandibolare o di entrambe, con
possibile disseminazione verso l’alto, fino ad
interessare l’orbita. La seconda presentazione in
ordine di frequenza è la massa “bulky”
addominale, che è tipica dei bambini: gli organi
più interessati sono i reni, le ovaie, i linfonodi
addominali e, in misura minore, il fegato e la
milza. I sintomi sono sudorazioni improvvise e
molto abbondanti soprattutto notturne; spesso vi
è
versamento
addominale
(ascite),
sanguinamento gastrointestinale e perforazione.
Talvolta la massa si localizza in fossa iliaca
destra
simulando
così
i
sintomi
di Figura 6 Linfoma di Burkitt
un’appendicite; è frequente l’interessamento dei pediatrico. Massa
addominale.
linfonodi inguinali o iliaci. Nei bambini inferiori
ai 5 anni di età è frequente il coinvolgimento della milza soprattutto nel
Burkitt endemico. La terza presentazione è la compromissione a livello del
sistema nervoso centrale.
ISTOLOGIA
Le cellule presenti nel BL sono monomorfiche con nuclei tondeggianti,
nucleoli multipli, citoplasma basofilo e relativamente abbondante.
Presentano un alto tasso di proliferazione e morte cellulare spontanea; il
tasso di divisione cellulare è il più alto di qualsiasi tumore noto.
Di solito è presente un modello a cielo stellato costituito da macrofagi che
hanno inglobato i detriti cellulari, infatti, l'area mascellare, analizzata
tramite radiografia, appare frastagliata, e le radici dentarie, in prossimità del
linfoma, sono state riassorbite.
36
STADIAZIONE
Lo stadio, insieme ad altri parametri clinici e/o laboratoristici, permette di
individuare gruppi di pazienti con prognosi diversa e quindi passibili di
trattamenti differenziati atti ad ottimizzare la prognosi. La stadiazione dei
LNH pediatrici si basa sullo schema elaborato al St. Jude Children Hospital,
Memphis, da Murphy.
Il Linfoma di Burkitt segue il sistema di stadiazione secondo St. Jude
modificato:
Stadio I: un unico linfonodo interessato o un’unica localizzazione
extralinfonodale senza diffusione locale.
Stadio II: più linfonodi e/o localizzazioni extralinfonodali dallo stesso lato
del diaframma con o senza diffusione locale.
Sono escluse le localizzazioni
addominali ampie non resecabili,
mediastiniche o epidurali.
Stadio III: interessamento multiplo linfonodale e/o extralinfonodale da
entrambi i lati del diaframma.
Tutte le manifestazioni toraciche (mediastino, timo, polmone, pleura).
Tutte le manifestazioni ampie e non resecabili addominali.
Tutte le localizzazioni epidurali.
Stadio IV: Interessamento del midollo osseo (<25%) e/o SNC.
Oltre allo stadio, nel caso dei linfomi a cellule B (Burkitt, grandi cellule B),
viene utilizzato un "gruppo di rischio" nel quale si considera anche il valore
di lattico-deidrogenasi (LDH) sierica, inteso come indicatore surrogato di
"quantità di tumore". Nel caso dei protocolli italiani AIEOP, è utilizzata la
seguente classificazione in gruppi di rischio:
- R1: stadio I e II completamente resecato
- R2: stadio I e II non resecato; stadio III e LDH < 500 U/L
- R3: stadio III e LAD 500-1000 U/L; stadio IV o leucemia L3 e LDH 1000
U/L con SNC negativo
- R4: stadio III e LAD >= 1000 U/L; stadio IV o leucemia L3 e LDH >=
1000 U/L; SNC positivo
37
CURA E TERAPIA
Come primo approccio terapeutico si esegue l’intervento chirurgico di
asportazione totale o parziale; successivamente i pazienti vengono divisi in
quattro gruppi di rischio:
- Gruppo 1: resezione completa. Il pz esegue solamente due cicli di
chemioterapia. Ad ogni ciclo si associa un’iniezione intratecale terapeutica.
- Gruppo 2: resezione incompleta in pz in stadio I-II, oppure in stadio III
con LDH<5000UI/l. il pz esegue una prefase seguita da quattro cicli di
chemioterapia, distanziati di almeno 9 giorni l’uno dall’altro. Ad ogni ciclo
si associa un’iniezione intratecale terapeutica.
- Gruppo 3: resezione incompleta in pz in stadio III con LDH tra 500 e
1000 UI/l, o in stadio IV con LDH<1000 UI/l e SNC negativo. Il paziente
esegue una prefate seguita da cinque cicli di chemioterapia, distanziati di
almeno 9 giorni l’uno dall’altro. Ad ogni ciclo si associa un’iniezione
intratecale terapeutica. Se al termine della chemioterapia persiste massa
tumorale, si esegue second-look chirurgico.
- Gruppo 4: resezione incompleta in pazienti pz in stadio III con LDH
>1000 UI/l, o in stadio IV con LDH>1000 UI/l e SNC negativo, o qualsiasi
stadio con SNC positivo. Il paziente esegue una prefase seguita da sei cicli
di chemioterapia, distanziati di almeno 9 giorni l’uno dall’altro. Ad ogni
ciclo si associa un’iniezione intratecale terapeutica. Se il pz è SNC positivo,
nei sei cicli si eseguono tre intratecale per ogni ciclo. Se dopo il quarto ciclo
di chemioterapia persiste residuo tumorale, si prelevano le cellule staminali
da aferesi.
I chemioterapici impiegati sono: Vincristina, Ciclofosfamide, Ifosfamide,
Methotrexate, Citarabina, Etoposide, Daunomicina. Ad essi si associa il
Prednisone a dosi terapeutiche.
L’intratecale si esegue associando Metotrexate, Citarabina e Prednisone.
Rivalutazioni e follow-up
I pazienti vengono rivalutati durante la chemioterapia, prima di ogni ciclo,
con
ecografia, radiografia, ed eventualmente TAC o RMN (eccetto il
38
gruppo di rischio 1). Nei gruppi di rischio 3 e 4 si associa l’esame
morfologico del liquor e il dosaggio dell’LDH; lo studio morfologico del
midollo è richiesto solo nei casi positivi alla diagnosi. Al termine della
chemioterapia si eseguono controlli strumentali di follow-up ogni mese per i
primi nove mesi e successivamente ogni tre mesi fino al secondo anno.
RIASSUNTO
Malattia
Linfoma di Burkitt, tumore di derivazione B-linfocitaria
Categoria di
Linfoma non Hodgkin, malattia rara
appartenenza
Incidenza
Elevata incidenza nelle fasce equatoriali africane. In Italia
12.000 nuovi casi ogni anno
Zone interessate Area mascellare, cervicale, ileo, mesentere, cieco.
Progredisce evolvendosi nelle ovaie (o nei testicoli), nella
pancia, nel midollo e nel cervello, provocando dolore
Sintomi
Stadio
iniziale:
gonfiore
a
livello
dei
linfonodi
Successivamente: tumefazione delle ossa mascellari,
sudorazione abbondante, ulcerazioni a livello della
mucosa, malessere, apatia, dolore
Cause scatenanti Virus
di
Epstein-Barr,
teleangectasia
e
AIDS
sindrome
e
di
malaria,
atassia-
Wiskott-Aldrich
(immunodeficienza congenita)
Punto di vista
Traslocazione tra il cromosoma 8 e 14 con conseguente
genetico
coinvolgimento del protoncogene MYC
Terapie
Poli-chemioterapia. Indice di sopravvivenza dopo 5 anni:
75%
39
SARCOMA DI KAPOSI
Il morbo (o sindrome) di Kaposi è una forma neoplastica maligna
multifocale che prende origine dalle cellule che ricoprono l'interno dei
vasi sanguigni o linfatici (cellule endoteliali) e può manifestarsi a livello di
cute, mucose e organi interni.
La crescita incontrollata delle cellule endoteliali genera la comparsa di
macchie rosso-violacee a livello della pelle, chiamate in gergo tecnico
lesioni, che di solito non danno sintomi particolari, ma possono mutare fino
a trasformarsi in veri e propri noduli. Il primo a descrivere questo tumore fu
l'ungherese Moritz Kaposi nella seconda metà dell'Ottocento: da lui prende
il nome la malattia.
EZIOLOGIA
Molto probabilmente, il fattore causale responsabile della patogenesi del
morbo è un virus noto come HHV-8 (Herpes virus di tipo 8) o KSHV
(acronimo anglosassone di Kaposi Sarcoma-associated Herpes Virus);
nonostante non sia stata del tutto dimostrata la correlazione diretta con
questo virus, i dati parlano chiaro: nel 95% dei malati con morbo di Kaposi
è stata riscontrata la presenza dell' Herpes virus di tipo 8, perciò ritenuto un
cofattore importantissimo non solo nella patogenesi della malattia, ma anche
e soprattutto nella conservazione e nell'evoluzione della sindrome stessa.
Con ogni probabilità, il morbo di Kaposi è causato da una replicazione
anomala delle cellule endoteliali, dette fusate; si tratta di una malattia
multifocale che potrebbe metastatizzare, dunque è di competenza
assolutamente oncologica. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio per
il morbo di Kaposi: depressione immunitaria cronica, liberazione di
sostanze angio-proliferative, infezioni virali.
40
INCIDENZA
Fino ai primi anni ottanta era una malattia molto rara che si riscontrava
soprattutto negli uomini di età avanzata, nei soggetti portatori di trapianto
d’organo o negli uomini africani. A seguito dell’epidemia di AIDS
sviluppatasi agli inizi degli anni ottanta, ci si rese conto che i casi di
sarcoma di Kaposi erano in aumento in Africa e tra gli omosessuali di sesso
maschile affetti da AIDS. Esso, infatti, si diffonde più rapidamente tra
questi gruppi di pazienti.
SINTOMATOLOGIA
La sindrome, idealmente, potrebbe manifestarsi in ogni parte del corpo,
poiché potrebbe colpire la cute, le mucose anali ed oro-nasali, ed i visceri
(soprattutto stomaco, intestino, milza, rene, apparato genitale e polmonare).
Tuttavia,
la
forma
meno
grave
sembra essere limitata alla cute.
Generalmente, il morbo di Kaposi
cutaneo esordisce a livello degli arti
inferiori,
ma
progressivamente
potrebbe coprire l'intera superficie
corporea: in simili frangenti, la pelle Figura 7 Sarcoma di Kaposi del piede
si copre di macule che sfumano dal
blu, al viola ed al rosso, spesso associate a vere e proprie eruzioni cutanee
quali papule, placche e noduli, spesso asintomatici. Le lesioni in rilievo
presentano contorni precisi, regolari; appaiono angiomatose e distribuite a
carta geografica. Con l'evoluzione della malattia, le lesioni si espandono, in
termini di numero e di dimensioni; tendono ad ispessire e possono persino
erodere e deformare le dita di mani o piedi, coinvolgendo progressivamente
anche tendini e muscoli. La sindrome di Kaposi può generare edema, sino a
creare una vera e propria elefantiasi dell'arto. Le forme più severe del morbo
di Kaposi, interessano soprattutto i visceri del tratto gastrointestinale, oltre
ai linfonodi: questa forma grave, generalmente, colpisce i pazienti immuno-
41
depressi o affetti da AIDS. Non è raro che i malati di morbo di Kaposi siano
colpiti anche dal linfoma di Burkitt. La malattia presenta un decorso cronico
e, quando non curata, è spesso fatale.
TIPOLOGIE
A differenza degli altri tumori che vengono in genere divisi in sottogruppi
sulla base delle caratteristiche delle cellule maligne, il sarcoma di Kaposi
viene suddiviso partendo dal tipo di popolazione cellulare colpita senza
tener conto dei cambiamenti molecolari, che sono molto simili in tutti i
sarcomi di questa famiglia. Esistono quattro principali tipi di sarcoma di
Kaposi:
Epidemico (o legato ad AIDS), che si manifesta tipicamente nelle persone
già infettate con il virus dell'HIV e che hanno quindi un sistema
immunitario più debole del normale. Se un paziente sieropositivo o malato
di AIDS presenta anche un'infezione da HHV8, la sua probabilità di
sviluppare il tumore è più elevata rispetto a quella delle persone non
infettate dal virus HIV.
Colpisce soprattutto adulti di 30-40 anni, soprattutto maschi.
Classico (o mediterraneo), colpisce soprattutto gli anziani delle regioni del
Mediterraneo (per esempio la Sardegna), dell'Europa dell'est e del Medio
Oriente, le aree nelle quali l'infezione da HHV8 è piuttosto diffusa.
Endemico (o africano), riguarda le popolazioni dell'Africa equatoriale,
dove l'infezione da HHV8 è molto diffusa, e colpisce spesso persone di età
inferiore ai 40 anni. In parallelo alla diffusione dell'AIDS nel continente
africano è aumentato anche il numero di sarcomi di Kaposi epidemici. Esso
costituisce il 10% dei casi di cancro nei paesi africani, la malattia quindi non
può definirsi rara.
Iatrogeno (o associato a trapianto), si riscontra in persone sottoposte a
trapianto di organo. Questi particolari pazienti si sottopongono infatti a
terapie per abbassare le difese immunitarie allo scopo di evitare il rigetto del
nuovo organo. Le difese basse riducono gli ostacoli agli agenti patogeni, fra
cui l'HHV8, e fanno aumentare il rischio di sviluppare il sarcoma di Kaposi.
42
CURA E TERAPIA
La terapia è indispensabile non solo per la guarigione dal tumore, ma anche
e soprattutto per la sopravvivenza del paziente: è doveroso puntualizzare
che il morbo di Kaposi, quando non curato o trattato troppo tardi, è letale.
Esistono quattro diversi trattamenti terapici:
chemioterapia:
al
paziente
vengono
somministrate
specialità
farmacologiche volte all'eliminazione delle cellule malate. Spesse volte,
purtroppo, questo trattamento causa serie ripercussioni al paziente;
escissione chirurgica del tumore, in cui la massa anomala viene asportata;
crioterapia: distruzione della neoplasia con l’ausilio delle basse
temperature;
immunoterapia (terapia biologica): si avvale dello stesso sistema
immunitario per sconfiggere il morbo di Kaposi: l'obiettivo è quello di
sfruttare sostanze sintetizzate dall'organismo, o di somministrare dall'esterno
sostanze sintetiche affini, allo scopo di riassestare il sistema immunitario,
stimolandolo alla difesa;
radioterapia: si avvale di raggi X, utili per la distruzione delle cellule
neoplastiche maligne del morbo di kaposi.
43
RIASSUNTO
Malattia
Morbo di kaposi
Descrizione
Forma neoplastica maligna multifocale che coinvolge
principalmente la cute, i visceri e le mucose
Incidenza
Si manifesta nel 34% dei malati di AIDS
Morbo di Kaposi endemico: costituisce il 10% dei casi
di cancro nei paesi Africani → la malattia non può
essere definita rara
Morbo di Kaposi epidemico: colpisce soprattutto adulti
di 30-40 anni, soprattutto maschi.
Attualmente: gli africani e gli uomini omosessuali affetti
da AIDS rappresentano le due categorie più a rischio
Evidenze
Il morbo potrebbe idealmente manifestarsi in ogni parte
cliniche
del corpo: cute, mucose (anali ed oro-nasali), visceri
(soprattutto stomaco, intestino, milza, rene, apparato
genitale e polmonare)
Decorso della
Decorso cronico
malattia
Quando non curata: è spesso fatale.
Quadro
HHV-8 (Herpes virus di tipo 8)
eziologico
Replicazione anomala delle cellule endoteliali
Fattori di rischio per il morbo di Kaposi: depressione
immunitaria cronica, liberazione di sostanze angioproliferative, infezioni virali
Classificazione Morbo di Kaposi epidemico (correlato all'AIDS)
Morbo di Kaposi iatrogeno: i farmaci responsabili sono
gli immunosoppressori
Morbo
di
Kaposi
linfoadenopatica
44
africano
(endemico):
forma
Morbo di Kaposi recidivante
Possibili
Chemioterapia,
Escissione
trattamenti
Immunoterapia (terapia biologica), Radioterapia
45
chirurgica,
Crioterapia,
IL LABORATORIO DI ANATOMIA PATOLOGICA
St. Mary’s Hospital Lacor – Uganda
Il laboratorio di istopatologia del St. Mary in Uganda nasce in un’unica
stanza dove sono presenti due tecnici e un anatomopatologo, e consta di una
cappa filtrante per eseguire il campionamento, un processatore, una
postazione per l’inclusione, un microtomo a slitta (Microm HM 430) e un
microtomo rotativo (Microm Reichert - Jung 2030) per l’esecuzione del
taglio, un coloritore automatico lineare, una postazione di accettazione e una
informatica di refertazione, e infine un microscopio ottico con testata
multipla e possibilità di recupero immagini.
46
PROTOCOLLO DI ACCETTAZIONE E
TRATTAMENTO DEI CAMPIONI
1) Arrivo dell’infermiera
2) Registrazione dei campioni da parte dell’infermiera sul registro
cartaceo di ingresso
3) Controllo dell’idoneità del materiale/richiesta
4) Registrazione istologica o citologica da parte del tecnico sul registro
cartaceo
5) Assegnazione del numero progressivo (su richiesta, prelievo e
registro)
5a) Per campione: data, nome, cognome, sesso, età, tipo di prelievo
6) Registrazione informatica dei campioni
7) Riduzione e campionamento
7a) Descrizione macroscopica del pezzo operatorio
7b) Descrizione della forma, delle misure, del peso
7c) Effettuazione dei prelievi in quantità e tipologia atte ad ottenere
tutte le risposte necessarie
7d) Fissazione del pezzo ed eventuale conservazione del materiale
residuo
8) Processazione
8a) Fissazione in formalina
8b) Disidratazione in Alcool Etilico
8c) Chiarificazione o diafanizzazione in Bioclear
8d) Infiltrazione in paraffina allo stato liquido
9) Inclusione
10) Taglio delle sezioni: uso del microtomo (a slitta o rotativo)
10a) Essicazione dei vetrini
11) Colorazioni: uso del coloritore lineare
11a) Sparaffinazione in Bioclear
47
11b) Idratazione in scala Alcool decrescente 100%- 95%- 80%
11c) Colorazione
11d) Disidratazione in scala Alcool crescente 80%- 95%- 100%
11e) Chiarificazione o diafanizzazione in Bioclear
12) Montaggio manuale dei vetrini
13) Lettura e refertazione manuale/informatica
Figura 8 Richiesta Istologica/Citologica St. Mary's Hospital Lacor - Uganda
48
MATERIALI E METODI
TECNICHE ISTOPATOLOGICHE
Tra le tecniche istopatologiche sono comprese tutte quelle metodiche che
permettono di effettuare una diagnosi su preparati di tipo istologici; queste
comprendono innanzitutto un buon allestimento del materiale diagnostico
che sarà determinante per il successivo esame al microscopio ottico: prelievi
bioptici o chirurgici saranno descritti macroscopicamente, fissati ed inclusi
in paraffina per poter essere tagliati, con l’ausilio di un microtomo, in
sezioni di spessore 2-3 micron al fine di essere adesi sul vetrino e colorati.
FISSAZIONE
Con il termine fissazione si intende la conservazione dei tessuti, ovvero
preservare la morfologia cellulare e tissutale bloccando i processi
degenerativi del campione biologico mantenendolo in uno stato che si
avvicini il più possibile a quello vitale.
Il fissativo di elezione è la formaldeide tamponata neutra al 10% con acqua
di fonte.
Abbiamo constatato che nella struttura ospedaliera ugandese viene utilizzata
una formalina di scarsa qualità in quanto non tamponata inoltre, non
vengono rispettate le tempistiche dettate dalle istruzioni operative. Ne
consegue un allestimento di preparati non ottimali: il tessuto appare meglio
fissato lungo i margini mentre nell’area centrale risulta una mancata
penetrazione del fissativo.
49
COLORAZIONI ISTOMORFOLOGICHE
Per colorazioni istomorfologiche si intendono tutte quelle colorazioni che
sono utili ad evidenziare le caratteristiche morfologiche dei tessuti in esame.
Nel laboratorio del St. Mary il coloritore automatico è in grado di eseguire
l’Ematossilina-Eosina e questa, come routine, viene effettuata su tutti i
preparati istologici; al contrario non è possibile allestire colorazioni speciali.
I campioni sospetti per Linfoma di Burkitt e Sarcoma di Kaposi sono
allestiti e studiati mediate questo tipo di colorazione ed eventualmente
accompagnati da un preparato citologico, per poter ottenere dei risultati in
grado di confermare la diagnosi clinica o per monitorare la terapia.

Ematossilina-Eosina (EE): prevede l’uso di Ematossilina di Mayer
ed eosina; il risultato finale permette di colorare in blu i componenti
cellulari carichi negativamente (acido nucleico, proteine di
membrana e membrana cellulare) e in rosso i componenti carichi
positivamente (molte proteine cellulari, proteine mitocondriali, fibre
collagene).

May-Grunwald e Giemsa: viene eseguita con una soluzione già
pronta di May-Grunwald (Eosina e Blu di metilene in alcol
metilico), un lavaggio in acqua distillata, poi un passaggio nella
soluzione diluita di Giemsa composta da Azur II (Azur di metilene e
Blu di metilene) e eosina, infine un lavaggio in acqua distillata. La
colorazione di Giemsa si basa sulla differenziazione dei costituenti
cellulari che hanno reazione basica, che fissano l'eosina (acida) e che
si colorano in rosso-arancio e gli altri componenti aventi reazione
acida e che si colorano in blu con i prodotti di ossidazione del Blu di
Metilene- Azzurri, basici
Questa colorazione viene utilizzata su campioni, come liquido
cefalorachidiano e ago aspirato FNAB di masse addominali per poter
effettuare una diagnosi di Linfoma di Burkitt o per il monitoraggio
terapeutico.
50
IMMUNOISTOCHIMICA
PRINCIPI E PROCEDURE
La colorazione immunoistochimica consente la visualizzazione di antigeni
tramite il legame sequenziale di un anticorpo specifico (anticorpo primario)
che si lega all’antigene, di un anticorpo secondario (anticorpo di
collegamento) che si lega all’anticorpo primario, di un complesso
enzimatico e di un substrato cromogenico, con fasi di lavaggio interposte.
L’attivazione enzimatica del cromogeno dà origine a un prodotto di reazione
visibile in corrispondenza dell’antigene. Il campione può quindi essere
controcolorato e montato. I risultati vengono interpretati con un microscopio
ottico e contribuiscono alla diagnosi differenziale di processi patofisiologici,
che possono essere associati o meno ad un particolare antigene.
Ogni fase del protocollo di colorazione comprende l’incubazione per un
periodo di tempo preciso a una specifica temperatura. Alla fine di ciascuna
fase d’incubazione, le sezioni vengono risciacquate allo scopo di arrestare le
reazioni e rimuovere il materiale non legato che ostacolerebbe la reazione
desiderata nelle fasi successive. Per ridurre al minimo l’evaporazione dei
reagenti acquosi dal vetrino contenente il campione, viene applicata una
soluzione coverslip. La colorazione viene completata dopo l’incubazione
con un substrato cromogeno e con un controcolorante opzionale.
Questa tecnica è in grado di agevolare le indagini anatomo patologiche, ma
è una metodica costosa e che richiede notevoli attenzioni; infatti
nell’ospedale di Lacor non è ancora del tutto utilizzata, ma presto potrà
essere un nuovo strumento di indagine e verrà eseguita in maniera del tutto
manuale.
51
ANTICORPI UTILIZZATI PER LA DIAGNOSI DI BL
Anti-bcl-2 (124)
E’un anticorpo monoclonale di topo diretto contro la bcl-2 espressa dai
linfociti B della zona mantellare e dai linfociti T interfollicolari. Questo
anticorpo produce un pattern di colorazione citoplasmatico e può essere
utilizzato per facilitare l’identificazione dei linfomi follicolari e dei linfomi
a grandi cellule diffusi e per differenziare i linfomi follicolari dai linfonodi
reattivi. L’oncoproteina bcl-2 ha un ruolo centrale nell’apoptosi, fungendo
da inibitore del processo apoptotico.
Anti-bcl-6 (GI191E/A8)
E’ un anticorpo monoclonale di topo, colora le cellule dei centri germinativi
nei follicoli linfatici, cellule follicolari e cellule interfollicolari in linfomi
follicolari, linfomi B diffusi a grandi cellule e linfomi di Burkitt, e gran
parte delle cellule di Reed-Sternberg in linfomi di Hodgkin nodulari a
predominanza linfocitaria. Il pattern di colorazione cellulare è di tipo
nucleare.
Anti-CD5 (SP 19)
E’ un anticorpo monoclonale di coniglio diretto contro la CD5 umana
espressa sulla membrana plasmatica di praticamente tutti i linfociti T umani
e nel sottogruppo B1a dei linfociti B umani presenti nelle zone del mantello
follicolare, nel midollo osseo e nel sangue periferico. La colorazione della
CD5 è utilizzata comunemente all’interno di diversi pannelli IHC per
determinare le sottoclassificazioni di linfociti T e B. La CD5 può essere
utilizzata per facilitare l’identificazione dei linfomi dei linfociti T e di alcuni
linfomi dei linfociti B, compreso il linfoma delle cellule mantellari. Il
pattern di colorazione cellulare è di tipo membranoso o citoplasmatico.
52
Anti-CD10 (SP67)
E’ un anticorpo monoclonale di coniglio ricombinante diretto contro la
molecola CD10, o antigene della leucemia linfoblastica acuta comune
(CALLA), espressa sulla superficie delle cellule linfoidi precoci e su vari
tessuti non linfoidi. Questo anticorpo mostra un pattern di colorazione della
membrana e/o del citoplasma che può essere utilizzato per aiutare
nell’identificazione del linfoma di Burkitt e del linfoma
delle cellule
germinali del follicolo, nonché nella classificazione di alcuni carcinomi
delle cellule renali
Anti-CD20 (L26)
E’ un anticorpo monoclonale di topo (IgG2a, kappa) specifico per un
epitope presente su linfociti B umani. L’anticorpo è concepito per l’uso allo
scopo di identificare qualitativamente le cellule della derivazione dei
linfociti B. L’anti-DC20 si lega in modo specifico agli antigeni presenti
nella membrana del plasma e nelle regioni citoplasmatiche di linfociti B
normali e che possono anche essere espressi nelle cellule Reed Sternberg.
Questa fosfoproteina è presente anche nella superficie di cellule B normali e
maligne ed è stata concepita per fungere da recettore durante l’attivazione e
la differenziazione dei linfociti B. Le cellule del plasma sono negative per
CD20. Inoltre, esso viene usato nella classificazione di gran parte delle
forme maligne di linfociti B.
Anti-CD23 (SP23)
E’ un anticorpo monoclonale di coniglio, è progettato per rilevare
qualitativamente la presenza di cellule tirosinani. La colorazione positiva
può essere utile per classificare linfoma/leucemia linfatico/a a piccole
cellule da altri linfomi dei linfociti B a piccole cellule, compreso il linfoma
della zona marginale e mantellare.
CD23 è una glicoproteina transmembrana che funziona come recettore a
bassa affinità l’IgE di superficie su una popolazione di linfociti B.
L’antigene CD23 è espresso su una subpopolazione normale di linfociti B
53
del sangue periferico, della tonsilla e su linee cellulari linfoblasti che B
trasformate EBV.
Anti-CD43 (MT1)
E’ un anticorpo monoclonale di topo, consente l’indagine di linfomi
maligni. Esso reagisce con timociti, monociti, macrofagi, cellule di
Langerhans e di Kupffer del fegato, così come con cellule mieloidi e
precursori eritrocitari. Il pattern di colorazione cellulare è di tipo
membranoso.
Anti-TdT
L’Anti-TdT è un anticorpo policlonale, costituito da una frazione
immunoglobulinica purificata di siero di coniglio. L’ antigene TdT è
presente principalmente nei timociti corticali e nei linfociti primitivi.
L’espressione di TdT è stata riscontrata in più del 90% dei casi di leucemia
linfocitica acuta, con l’eccezione dei casi a cellule pre-B, e dei linfociti B e
T maturi. Il pattern di colorazione cellulare è di tipo nucleare.
Anti-Ki-67 (30-9)
E’ un anticorpo monoclonale di coniglio (IgG) specifico per la porzione Cterminale dell’antigene Ki-67. Viene utilizzata come ausilio nella
valutazione dell’attività proliferativa del tessuto normale e neoplastico.
Il Ki-67 è una proteina nucleare espressa nelle cellule proliferanti. Nel corso
del ciclo cellulare, l’antigene Ki-67 è presente nelle fasi G1, S, G2 e M, ma
è assente nella fase G0 (quella quiescente).
54
CASO di LINFOMA DI BURKITT
Figura 9 A) Linfonodo di bambino di 9 anni incluso in blocchetto di paraffina. B)
Panoramica linfonodo in EE
Figura 10 A) Linfonodo normale, colorazione EE, ingrandimento 4x; B) Linfonodo
patologico con architettura destrutturata per presenza di malattia linfoproliferativa:
Linfoma di Burkitt, colorazione EE , ingrandimento 4x.
55
Figura 11 Linfoma di Burkitt con tipico aspetto a cielo stellato in cui le cellule tumorali sono
uniformi con piccoli multipli nucleoli e cromatina finemente dispersa con citoplasma
basofilo. Colorazione EE. A)Ingrandimento 40x, B) Ingrandimento 63x.
56
Figura 12 Linfoma di Burkitt in cui la colorazione con Giemsa mostra l’irregolarità nucleare.
A) Ingrandimento 40x, B) Ingrandimento 63x.
57
Le cellule tumorali del BL sono cellule di media dimensione (i nuclei sono
simili o più piccoli di quelli degli istiociti) e mostrano un diffuso pattern
monomorfo. Alcuni tumori circondano e invadono o si sviluppano
all’interno dei linfonodi.
Le cellule appaiono come coesive, ma talvolta mostrano bordi squadrati a
causa del citoplasma retratto.
I nuclei sono rotondi con cromatina finemente addensata, con multipli
nucleoli paracentrali di media grandezza. Il citoplasma è intensamente
basofilo e solitamente contiene vacuoli lipidici. Queste strutture
intracellulari sono ben evidenziabili nelle colorazioni. Il tumore ha un alto
tasso di proliferazione (molte mitosi) così come un alto tasso di apoptosi. Di
solito è presente un pattern così detto “a cielo stellato”, determinato da
numerosi macrofagi che fagocitano cellule tumorali apoptotiche. In alcuni
casi ci può essere una florida reazione granulomatosa che può rendere
difficile l’identificazione del tumore. Questi casi si presentano tipicamente
come malattie a basso grado di malignità e hanno una buona prognosi. In
alcuni casi le cellule tumorali presentano un citoplasma basofilo eccentrico
con un nucleolo singolo centrale. Questi casi, definiti come Linfoma di
Burkitt con differenziazione plasmocitoide, sono comuni negli stati di
immunodeficienza, ma possono essere occasionalmente osservati nei
bambini. Altri casi di BL possono mostrare un grande pleomorfismo del
nucleo e nucleoli possono essere meno numerosi e più prominenti. Nel
passato questi casi sono stati definiti come Linfoma di Burkitt atipici.
Comunque queste varianti morfologiche condividono un profilo di
espressione genica simile, ciò supporta l’evidenza che lo spettro
morfologico del BL è relativamente ampio.
58
B-
CD5
CD10
CD23
Ki67
TdT
Bcl-2
Bcl-6
-
+
-
>95%
-
-
+
CELL
+
Le cellule tumorali del linfoma di Burkitt in genere esprimono con forza i
marcatori del differenziamento delle cellule B (CD20, CD22, CD19) e
CD10, e BCL6. Le cellule tumorali sono generalmente negativo per CD5,
CD23, BCL2 e TdT. L'attività mitotica elevata di linfoma di Burkitt è
confermata da quasi il 100% delle cellule positive per la colorazione Ki67.
59
Figura 24 Reazioni di Immunoistochimica: A) bcl2 negativo ingrandimento 20x; B) bcl6
positivo ingrandimento 40x; C) CD5 negativo ingrandimento 20x; D) CD10 positivo
ingrandimento 10x; E) CD 20 positivo ingrandimento 10x; F) CD23 negativo ingrandimento
10x; G) CD43 focalmente positivo ingrandimento 10x; H) Tdt negativo ingrandimento 20x.
60
Figura 25 Colorazione Ki67 positivo per più del 90% delle cellule. A) Ingrandimento 4x, si
può osservare la mancata penetrazione del fissativo nell’area centrale. B) Ingrandimento
10x
61
CONCLUSIONI
Dall’elaborazione dei seguenti dati è emersa un’alta incidenza di Linfoma di
Burkitt soprattutto in età pediatrica, in particolare nel range di età compreso
tra i 6 e i 10 anni.
Abbiamo analizzato un caso seguendo il protocollo di accettazione e
trattamento dei campioni.
Da questo sono emersi alcuni problemi organizzativi e gestionali in
riferimento ai campioni da analizzare, in particolare per i liquor è stata
modificata la tempistica di afferimento del materiale al servizio di istologia,
per le biopsie sono state monitorate le tempistiche relative alla fissazione e
processazione delle stesse.
62
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www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/
www.lacorhospital.org
www.who.int
64
Ringraziamenti
Se sono arrivata ai ringraziamenti vuol dire che è proprio vero, il tanto
atteso giorno è arrivato.
Avrei veramente molte persone con cui vorrei condividere questo momento.
Innanzitutto vorrei ringraziare il Prof. Tiziano Zanin per l’opportunità che
mi ha dato di poter lavorare con lui, ma soprattutto per la preziosa
esperienza personale e professionale da noi compiuta in Uganda. Mi ha
permesso di conoscere e apprezzare un mondo completamente diverso che
mi ha affascinata e appassionata.
Inoltre ringrazio le persone che hanno collaborato allo svolgimento di
questo lavoro: il Dott. Lorenzo Leoncini, la Dott.ssa Mariangela Rutigliani,
la Dott.ssa Emanuela Anelli.
Un ringraziamento particolare ai tutor dell’ Ospedale San Martino, Galliera
e Gaslini che mi hanno formata e accompagnata in questi tre anni.
Il primo grande ringraziamento va alla mia famiglia, se sono qui lo devo a
loro, ai sacrifici che hanno fatto per me e ai valori che mi hanno trasmesso.
Un pensiero speciale va a tutti i miei parenti che rappresentano per me una
seconda grande famiglia e anche se viviamo distanti sento sempre l’affetto
che provano per me. Una dedica speciale al mio inseparabile cugino Luca.
Non può mancare il capitolo degli amici: Elena e Silvia, i compagni di
corso, i coinquilini del mitico “interno 21” e in particolare le amiche
dell’interno “Bone”, persone fantastiche e grazie a loro ricorderò questi anni
universitari come anni divertenti e spensierati.
E infine, ma non meno importante, ringrazio Alex per il sostegno, la fiducia
e la comprensione di ogni giorno.
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