Pdl 285 - Consiglio Veneto

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Pdl 285 - Consiglio Veneto
Pdl 285
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CONSIGLIO
REGIONALE
DEL VENETO
Disciplina dei distretti industriali, delle reti
innovative regionali e delle aggregazioni di
imprese
ALLEGATI
Pdl 285 - Disciplina dei
distretti industriali,
delle reti innovative
regionali e delle
aggregazioni di imprese
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Il Sole 24 Ore - I
distretti vent'anni dopo
- Come cambiano i poli
del made in italy
-
Monitor dei Distretti
del Triveneto -Servizio
Studi e Ricerche,
Ottobre 2013
CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO
NONA LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE N. 285
DISEGNO DI LEGGE di iniziativa della Giunta regionale
(DGR 16/DDL del 3 luglio 2012)
DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E
DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE
Presentato alla Presidenza del Consiglio il 5 luglio 2012.
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DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E
DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE
R e l a z i o n e:
La crisi del sistema economico mondiale ha coinvolto inevitabilmente
anche l’economia veneta, un’economia da sempre ai primi posti nei mercati
interno ed internazionale, fondata sulle piccole e medie imprese, industriali e
artigianali. In questo contesto, la Regione deve intervenire con una
strumentazione in grado di sostenere un’inversione di tendenza e diventare
strategica per una consolidata ripresa.
Sulla base di queste considerazioni è stato avviato un monitoraggio sulla
situazione dei distretti e metadistretti del Veneto, riconosciuti dalla legge
regionale 4 aprile 2003, n. 8, novellata con legge regionale 16 marzo 2006, n. 5.
Dopo una prima fase di attività amministrativa, che ha consentito di attuare un
piano di rientro dell’inevaso sui bandi pregressi, è emersa la necessità di
intervenire con una nuova normativa che individui innovative modalità
aggregative e sia improntata a principi di semplificazione e flessibilità. In
particolare, le risorse che possono essere destinare a favore dei distretti e degli
altri sistemi produttivi a rete devono essere indirizzate, prima di tutto, su progetti
di sistema, ovverosia interventi in grado di produrre esternalità positive su larga
scala, capaci di incidere sulla dinamica competitiva delle imprese che operano
all’interno di un distretto o di una rete. Per questo è necessario individuare
soggetti che possano essere espressione di uno specifico ambito produttivo ed
attuatori degli indirizzi e politiche regionali. Attraverso i finanziamenti, rivolti a
specifici target di riferimento, la Regione può imprimere una svolta a determinate
situazioni economiche contingibili e non differibili adottando una strumentazione
dedicata a determinate tipologie del sistema produttivo.
I distretti industriali del Veneto, a matrice industriale o artigianale,
costituiscono una di queste categorie, essendo sistemi produttivi locali
manifatturieri insistenti su di uno specifico territorio e con una loro consolidata
storicità. Trattasi di realtà produttive nate nel dopoguerra e che si sono
sviluppate fino agli anni Settanta in modo sostanzialmente omogeneo e autonomo
su tutto il territorio regionale, soprattutto grazie all’intraprendenza e alla voglia
di “mettersi in proprio” tipica della laboriosità e delle iniziative della gente
veneta. I prodotti di questi distretti sono apprezzati sui mercati internazionali per
le qualità e per i contenuti innovativi, rappresentando così una quota rilevante
del nostro export.
L’evoluzione economica ha poi portato alla definizione di nuove e
differenti forme diverse dal distretto tradizionale. Nascono forme di rete
d’imprese che, per la loro natura e i loro obiettivi, non sono ancorate ad uno
specifico territorio. La loro parte relazionale tende a travalicare non solo i
confini regionali, ma anche quelli nazionali. Reti che oltrepassano l’ambito
produttivo specifico diventando anche multisettoriali. Queste reti operano per lo
più sulla frontiera della ricerca e dell’innovazione, mantenendo sinergie e
collaborazioni consolidate con le istituzioni universitarie e le altre strutture di
ricerca, siano esse pubbliche che private.
Il nostro territorio è poi contraddistinto da piccole e micro imprese che
necessitano di superare la propria dimensione sviluppando una cultura della
condivisione di una progettualità comune, anche piccola: poche imprese che
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operano in una stessa filiera, che riscontrano un problema collettivo e decidono
di risolverlo assieme. La Regione deve quindi dare un aiuto concreto a queste
dinamiche che, consolidate, possono contribuire ad una effettiva crescita
dimensionale delle imprese.
Da queste considerazioni nasce la nuova legge regionale i cui principi
ispiratori sono stati portati a conoscenza degli operatori economici in occasione
della Consulta dei distretti svoltasi il 21 luglio 2011, riscuotendo ampi segnali di
approvazione e di condivisione. In questa sede sono state sottoposte all’attenzione
le tre dimensioni cardine della nuova norma: il distretto industriale, la rete
innovativa regionale, l’aggregazione di imprese. Per i mesi successivi è stato
mantenuto un canale aperto con i distretti e le rappresentanze istituzionali, che
hanno avuto facoltà di inviare nuove proposte, suggerimenti e spunti di
riflessione.
Le linee guida di luglio sono state quindi tradotte in una bozza di progetto
di legge, un testo che è stato presentato in occasione dell’evento appositamente
organizzato il 12 gennaio 2012 a Padova, una giornata intitolata “Una nuova
geografia dello sviluppo: il Veneto dei distretti e delle reti” che è stata momento
di confronto e di condivisione degli obiettivi, un dibattito con gli interlocutori del
sistema economico, i distretti, i soggetti istituzionali, le Camere di commercio.
Il nuovo disegno di legge vuole innanzitutto costituire una cornice
all’interno della quale il policy maker regionale può sviluppare politiche efficaci
e flessibili di sviluppo produttivo e industriale. Uno strumento snello e orientato
alla semplificazione per essere rapidamente adattabile alle esigenze manifestate
dalle imprese in rapporto ai mutevoli scenari economici.
Il nuovo disegno di legge è pertanto incentrato sulle tre dimensioni di
distretto industriale, di rete innovativa regionale, di aggregazione di imprese. In
particolare, i primi individuati dalla Giunta regionale sulla base di un
consolidato riconoscimento, le seconde riconosciute sulla base di progettualità
strategiche proposte dalle reti medesime. Tre diverse categorie a cui sono
riservati specifici strumenti di finanziamento: finanziamenti assegnati attraverso
la stipulazione di accordi di programma specifici con i soggetti giuridici che
rappresentano il distretto industriale o la rete innovativa regionale e bandi di
finanziamento specifici e dedicati a ciascuna delle tre tipologie.
Per i distretti industriali e le reti innovative regionali grande importanza è
assegnata al soggetto giuridico che dovrà essere in grado di rappresentare il
distretto o la rete, traducendone i relativi bisogni in proposte progettuali che
dovranno essere di sistema, aventi ampia ricaduta sui territori o sui settori di
riferimento. La responsabilità della riuscita dell’intervento finanziato in tutte le
fase di realizzazione sarà posta in capo all’unico soggetto che rappresenta il
distretto o la rete.
Il testo normativo risulta inoltre semplificato per quanto riguarda gli
interventi finanziabili, identificati per macro categorie nelle quali rientrano tutte
le possibili linee specifiche d’intervento: è, quindi, ambito di valutazione delle
esigenze e dei fabbisogni riferiti al preciso momento storico che consentirà
l’attivazione di specifiche linee di finanziamento all’interno delle singole materie.
Per le aggregazioni di imprese la norma è confacente a quanto previsto dalle
normative nazionali. È infatti introdotto il concetto di contratto di rete quale
forma idonea a identificare un’aggregazione di imprese. Si segnala, infine,
l’assenza di vincoli numerici atti a definire dimensioni minime ai fini
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dell’eleggibilità a distretto industriale o rete innovativa regionale: l’unico vincolo
è riscontrabile per le aggregazioni di imprese che per essere tali devono essere
costituite da almeno 3 imprese, parametro che si giudica, ad ogni modo, in linea
con gli orientamenti del legislatore nazionale con particolare riferimento al
contratto di rete.
In definitiva, una strumentazione al passo con i tempi, in grado di
garantire stabilità e innovazione, anche nel tempo, al sistema economico
regionale che ha trovato interesse e soddisfazione nelle categorie economiche
regionali che hanno visto nelle finalità, nelle definizioni, negli interventi, nella
disciplina delle modalità operative indicati dalla Legge una novità
nell’approcciare le sfide dei mercati economici nazionali e internazionali.
RELAZIONE AI SINGOLI ARTICOLI.
Art. 1 - Finalità.
L’articolo, richiamate le competenze regionali affidate dalla Costituzione,
individua l’obiettivo della Legge regionale che consiste nel promuovere azioni di
sostegno a favore del sistema produttivo regionale con particolare riguardo
all’innovazione dei settori produttivi e alla competitività dei prodotti sui mercati
internazionali, le “eccellenze venete” riconoscibili nel mondo. In particolare, il
primo comma introduce un aspetto particolarmente significativo: la difesa
dell’occupazione e la promozione di nuove forme imprenditoriali, sia innovative
che operanti negli ambiti dell’innovazione, mentre il secondo comma introduce
gli elementi su cui poggia la Legge regionale stessa, ovvero i principi posti a base
del procedimento di individuazione e di riconoscimento dei distretti industriali e
delle altre forme a rete nonché i principi di attuazione degli interventi per lo
sviluppo locale.
Art. 2 - Definizioni.
L’articolo riconosce e disciplina tre tipologie di sistemi produttivi. Al
comma 1, il distretto industriale, sistema produttivo locale, caratterizzato da
un’elevata concentrazione di imprese manifatturiere, la cui dimensione deve
essere in prevalenza piccola o media; trattasi di PMI, di carattere industriale e
artigianale. Ne consegue che la Regione può riconoscere quali distretti industriali
anche sistemi produttivi locali costituiti (anche) solo di imprese artigiane, in
quanto il comune denominatore è da intendersi, in ogni caso, la manifattura, sia
di natura prettamente industriale che esclusivamente artigianale, che mista. Il
medesimo comma, inoltre, specifica che le imprese devono operare anche
all’interno di specifiche filiere produttive, o in filiere correlate; in ogni caso,
filiere economicamente rilevanti con riferimento all’ambito regionale. Quindi, gli
elementi che qualificano un distretto industriale sono: la territorialità, la
concentrazione delle PMI all’interno del medesimo territorio, l’organizzazione
della produzione secondo la logica di filiera produttiva.
Il comma 2 individua la rete innovativa regionale, nuovo soggetto in
grado di porre in rilievo le specificità economiche regionali. Nella rete innovativa
regionale, oltre alle imprese che la compongono, possono aderire soggetti
pubblici, quali, a titolo esemplificativo, le istituzioni universitarie, le strutture di
ricerca pubbliche, gli enti pubblici, le autonomie funzionali, le aziende speciali;
soggetti privati, quali strutture di ricerca, fondazioni, enti. La rete innovativa
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regionale opera in ambiti innovativi riferiti a qualsiasi settore e condivide
attraverso i propri componenti un programma di sviluppo fatto di iniziative e
progettualità in grado di generare benefici rilevanti per l’economia della regione.
A differenza di quanto definito per i distretti industriali, la territorialità e la
relativa concentrazione delle imprese non rappresentano, in questo caso, requisiti
che qualificano la rete innovativa regionale che, anzi, può ritenersi “sganciata”
dagli ambiti produttivi locali (cioè di dimensione intercomunale o provinciale) a
favore di una dimensione più estesa in grado di coinvolgere più parti, anche
distanti tra loro, del territorio della regione Veneto.
Il comma 3 definisce il concetto di aggregazione di imprese. Si tratta di un
insieme di imprese riunite, anche occasionalmente, per condividere la
realizzazione e i risultati di un progetto da sviluppare assieme. Per quest’ultima
tipologia non sussiste la necessità di elaborazione di particolari programmi
strategici di sviluppo da parte delle imprese. L’accento è quindi posto
sull’esperienza che alcune imprese, almeno 3, che decidono di condividere la
realizzazione di un progetto. Peraltro, come si evince dal contenuto dell’articolo
5, l’aggregazione può diventare strumento di promozione per la stipulazione di
nuovi contratti di rete, così come disciplinati dalla normativa nazionale vigente.
Art. 3 - Individuazione del distretto industriale.
L’articolo disciplina i principi e i criteri di individuazione del distretto
industriale indicando i relativi requisiti. I procedimenti di individuazione e il
relativo atto di riconoscimento devono essere attuati entro i successivi novanta
giorni dall’entrata in vigore della norma legislativa, previa consultazione della
competente Commissione consiliare.
La norma, al comma 2, identifica i tre requisiti che devono essere
soddisfatti, in via obbligatoria, ai fini del riconoscimento di ciascun distretto
industriale. Rappresentano, pertanto, condizione sufficiente ai fini del
riconoscimento, il soddisfacimento dei requisiti di cui alle lettere a), b), c) del
comma 2, che sono:
- un’elevata concentrazione di imprese industriali e artigiane localizzate
all’interno di uno specifico territorio delimitato geograficamente e con
un’estensione che può essere comprensiva anche di più province. Le imprese
devono, in ogni caso, appartenere alla stessa filiera produttiva (o comunque
operare in filiere correlate alla filiera principale), che deve essere, in sintonia
con il contenuto di cui all’articolo 2, comma 1, di tipo manifatturiero. Ai fini
dell’individuazione, la Giunta regionale si avvarrà di rilevazioni di ordine
statistico, quali l’impiego di indici statistici e dei dati resi disponibili dal più
recente censimento dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ovvero
avvalendosi di altre fonti informative, in ogni caso riconosciute dalle Camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura del Veneto;
- la storicità del distretto, che è dimostrabile qualora nel territorio siano
presenti centri di documentazione sulla cultura locale del prodotto e del lavoro
inerenti la produzione distrettuale, risultando così idonei ad attestare che i
prodotti output del sistema distrettuale rappresentano il frutto di saperi
sedimentati, condivisi e appartenenti alla storia di un territorio. In alternativa, in
assenza di predetti centri, il requisito di storicità può essere desunto e ritenuto
soddisfatto da situazioni pregresse evidenziate da studi scientifici, articoli,
saggistica e letteratura comunque di rilevanza accademica, compiuti sullo stesso;
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- la capacità del distretto industriale di essere sistema competitivo anche in
ambito internazionale, dimostrabile dalla propensione all’innovazione del
distretto, nonché dalla propria proiezione sui mercati internazionali; la presenza,
quindi, di imprese leader del settore in grado di proporre sui mercati prodotti
veneti di qualità riconoscibili anche su scala globale.
Il comma 3 individua elementi utili all’evidenziazione dell’esistenza di un
distretto industriale. Tali elementi, da ritenersi comunque di supporto alla
rilevazione compiuta dalla Regione, riguardano la presenza o l’identificabilità di
un marchio di distretto, la presenza di strutture dedicate alla ricerca, alla
formazione e la presenza di soggetti istituzionali diversi dalle imprese ma in
grado di ricoprire un ruolo importante per l’economia del distretto industriale.
Il comma 4 prevede che l’elenco dei distretti industriali come determinato
possa essere oggetto di successivi aggiornamenti.
Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale.
A differenza del distretto industriale, individuato dalla Giunta regionale a
seguito di rilevazioni compiute dalla stessa, la rete innovativa è proposta al
riconoscimento dell’Organo esecutivo regionale dal soggetto interessato che sia
in grado di rappresentarla. Si tratta di un’azione propositiva che parte “dal
basso”, nella quale le imprese, eventualmente supportate da altri soggetti di
natura pubblica e privata che vogliono essere riconosciuti come una rete
innovativa regionale, individuano preliminarmente un soggetto giuridico (con le
caratteristiche di cui al successivo articolo 6) rappresentante e promotore
dell’istanza di riconoscimento. Come indicato al comma 2, la Giunta regionale, ai
fini del riconoscimento di ciascuna candidatura quale rete innovativa regionale,
verifica preliminarmente il soddisfacimento dei requisiti di cui alle lettere a) e b).
Il primo requisito (lettera a) è di carattere prettamente quantitativo e riferito al
numero di soggetti che compongono la rete innovativa stessa e che sono
rappresentati dal soggetto di cui al precedente comma. Il principio qui definito è
che la rete innovativa regionale deve essere numericamente cospicua e pertanto
idonea a costituire l’espressione di un programma strutturato e condiviso da un
rilevante insieme di soggetti. La definizione numerica non è esplicitata nella
norma poiché l’obiettivo consiste nell’affermare un principio; è facoltà della
Giunta regionale emanare, quindi, un provvedimento con indicati i relativi valori
numerici.
Per quanto concerne la lettera b) del medesimo comma, il secondo
requisito affermato è riferito alla dimensione economica della rete innovativa
regionale. In difetto della rilevanza economica, il grado di innovazione espresso
dalla rete innovativa o di novità del settore in cui la rete innovativa opera,
diventa elemento di riferimento. Trattasi, in definitiva, di elementi validi per il
giudizio in ordine all’ammissibilità della candidatura al riconoscimento di una
rete innovativa regionale. La Giunta regionale ha facoltà di procedere alla
regolamentazione e all’individuazione dei parametri oggettivi necessari al
soddisfacimento di quanto disciplinato dalla presente lettera.
L’ultimo comma sancisce una vigenza biennale della rete innovativa
regionale, la cui validità è quindi automaticamente prorogata per un ulteriore
biennio se risulta nuovamente rispettante i requisiti di cui comma 2. La rete
innovativa regionale, a differenza del distretto industriale, non possiede
peculiarità di ordine storico, ma è invece proiettata sulla frontiera
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dell’innovazione e può quindi essere soggetta a un ciclo di vita breve e a
mutamenti di carattere frequente e radicale.
Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese.
L’articolo concerne la figura delle aggregazioni d’impresa e determina le
forme idonee a rappresentare un’aggregazione di imprese.
Le forme di aggregazione ammesse sono:
- alla lettera a), i contratti di rete (di cui agli articoli 4 ter e seguenti del
decreto legge l0 febbraio 2009, n. 5, convertito nella legge 9 aprile 2009, n. 33,
modificata ed integrata con la legge 23 luglio 2009, n. 99 e con legge 30 luglio
2010 n. 122, che ha convertito il decreto legge n. 78/2010), o, eventualmente,
ulteriori forme equivalenti di aggregazione in caso di ulteriori sviluppi ed
evoluzioni della normativa nazionale, in considerazione del carattere recente
della stessa;
- alla lettera b) i consorzi con attività esterna, società consortili, società
cooperative e altre società di capitali cosiddette a controllo congiunto, vale a dire
società nella cui compagine sociale intervengono esclusivamente altre imprese
che sono riunite al fine di perseguire un determinato e comune oggetto sociale;
- alla lettera c) le associazioni temporanee di imprese (ATI), che
rappresentano semplici contratti di diritto privato sottoscritti con l’esclusiva
finalità di realizzare un intervento progettuale comune e che si risolvono
all’ultimazione dello stesso.
Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali.
Al primo comma, l’articolo definisce la rappresentanza dei distretti
industriali e delle reti innovative regionali. Sia il distretto industriale che la rete
innovativa regionale devono individuare, ciascuno, un proprio soggetto, dotato di
personalità giuridica, capace di rappresentare il distretto industriale o la rete
innovativa regionale nei confronti della Regione e delle altre Amministrazioni
pubbliche. Ciò significa che la Regione avrà come interlocutore diretto il soggetto
legittimato a essere rappresentante delle imprese distrettuali o della rete con
mandato così come disciplinato dal codice civile.
Al secondo comma è sancito il riconoscimento formale, attraverso
l’adozione di idoneo provvedimento della Giunta regionale, del soggetto
rappresentante. È evidenziato il ruolo ricoperto dal soggetto giuridico
nell’attività di rappresentanza del distretto industriale o della rete innovativa
regionale: nel caso del distretto industriale è colui che si pone come interlocutore
delle imprese nell’elaborazione delle proposte progettuali d’intervento oggetto
del finanziamento regionale. È quindi il soggetto di coordinamento e
pianificazione delle linee di sviluppo del distretto e di promozione della
cooperazione fra le imprese distrettuali per il conseguimento degli obiettivi di
crescita preposti e riferiti al sistema distretto. Per quanto riguarda, invece, la rete
innovativa regionale, questo soggetto è colui che, prima di tutto, presenta
l’istanza di riconoscimento alla Regione. Successivamente al riconoscimento, di
cui all’articolo 4, il soggetto diventa, a tutti gli effetti, il rappresentante della rete
e il capofila delle imprese e degli altri soggetti che la compongono. Anche in
quest’ambito il soggetto giuridico deve essere in grado di coordinare gli attori
della rete traducendo i bisogni della rete stessa in progettualità d’intervento
meritevoli del finanziamento regionale.
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Nel caso del distretto industriale il soggetto giuridico è identificato
successivamente al provvedimento di individuazione dei distretti industriali. Per
la rete innovativa regionale, invece, l’identificazione del soggetto giuridico è il
presupposto necessario ai fini dell’avvio dell’iter di individuazione della rete
innovativa regionale.
Art. 7 - Progetti di intervento.
La norma definisce gli ambiti di intervento finanziabili. Ne consegue che i
sistemi produttivi individuati dalla legge regionale sono posti sullo stesso piano
per evidenziare la loro interconnessione e i loro potenziali riflessi sull’intera
realtà economica regionale. Sono quindi definite le aree di intervento finanziabili
dalla Regione:
a) ricerca e innovazione: si tratta di un’area che comprende gli interventi
relativi ad attività di ricerca industriale di prodotto e di processo, ad attività di
sviluppo precompetitivo o sperimentale, al trasferimento tecnologico,
all’interscambio di conoscenze e tecnologie tra imprese, finalizzati
all’accrescimento della competitività sui mercati internazionali, ai servizi
innovativi che favoriscono il trasferimento di conoscenze alle imprese;
b) internazionalizzazione. In questo contesto sono compresi gli interventi
finalizzati a favorire i processi di internazionalizzazione: iniziative promozionali
utili al rafforzamento della presenza e dell’immagine dei prodotti nel mercato
globale, ovvero la partecipazione a manifestazioni settoriali o multi settoriali di
rilievo internazionale;
c) infrastrutture: in questo ambito sono comprese le infrastrutture di sostegno
alle imprese, connesse, anche, al miglioramento e risanamento ambientale dei
territori e delle aree produttive, le infrastrutture logistiche e le infrastrutture
telematiche come quelle riguardanti il superamento di barriere digitali o di
annullamento del “digital divide”;
d) sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale, ovvero azioni
d’implementazione e sviluppo di modelli di “green economy”, interventi di
risparmio ed efficienza energetica, di riduzione dell’impatto ambientale delle
attività produttive in generale, di innalzamento della sostenibilità dei processi e
dei prodotti;
e) difesa dell’occupazione. A titolo esemplificativo, gli interventi di
riconversione del ciclo lavorativo o l’attuazione di programmi d’incremento
occupazionale quali interventi di incentivazione della cosiddetta
“delocalizzazione di ritorno” cioè del rientro in Veneto di unità produttive già
delocalizzate;
f) sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova imprenditorialità. In via
esemplificativa, si tratta di promuovere, start up di imprese su nuovi settori
emergenti e possibili nuove forme di imprenditoria innovativa;
g) sostegno alla partecipazione a progetti promossi dalla Unione europea,
anche in materia di cluster. Il termine anglosassone “cluster” è appositamente
utilizzato nella legge regionale al fine di creare un legame tra le tre tipologie di
sistemi produttivi previsti dalla norma e il termine stesso che, a livello europeo,
definisce la nozione di insieme di imprese tra loro interconnesse. In tal modo, si
individua un concetto di aggregazione fra imprese compatibile con quanto
previsto in termini di progettazione comunitaria e accesso alle relative iniziative.
La Regione può quindi attivarsi per sostenere, anche non economicamente, le
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iniziative dell’UE in materia di cluster a cui le imprese venete intendano
partecipare;
h) ogni ulteriore iniziativa chiaramente finalizzata al rafforzamento competitivo
delle imprese. In un contesto economico sempre in evoluzione è necessario che la
norma preveda sviluppi non previsti e non prevedibili. L’inserimento della
presente azione garantisce gli effetti della norma nel tempo.
Art. 8 - Modalità di finanziamento.
Questo articolo riguarda gli strumenti operativi, i quali sono attivati
dall’organo esecutivo della Regione. Il primo comma prevede che ogni atto
amministrativo della Giunta regionale, volto a disciplinare i finanziamenti di
interventi progettuali, dovrà, in ogni caso, contenere determinati elementi: in
pratica, la Legge regionale pone le basi per la predisposizione dei bandi che
consentono il finanziamento delle aree di intervento di cui al precedente articolo.
Alla lettera a) del comma 1, è specificato che gli atti amministrativi
dovranno identificare le tipologie degli interventi da finanziare. Ciò significa che,
all’interno delle aree di intervento definite nell’articolo precedente, la Giunta
regionale potrà, sulla base della programmazione regionale e delle priorità di
intervento, selezionare le aree e le specifiche categorie di intervento finanziabili.
La lettera b) riguarda gli aspetti amministrativi riferiti alle tempistiche per
la partecipazione ai bandi e la presentazione delle proposte per l’ottenimento di
finanziamenti e le relative modalità di accesso agli stessi, mentre la lettera c)
concerne i requisiti che i soggetti beneficiari dei finanziamenti dovranno
possedere. La norma prevede la possibilità di attivare specifici bandi per
ciascuno dei soggetti (di cui al precedente articolo 6) che rappresentano i distretti
industriali o le reti innovative regionali o per le aggregazioni di imprese, oppure
un unico bando aperto per tutte e tre le tipologie previste. La lettera d) identifica i
principali criteri da impiegare al fine della valutazione dei progetti, essenziali per
poter procedere alla definizione di graduatorie di selezione degli interventi da
finanziare. Questi criteri riguardano il riscontro di elementi innovativi insiti nella
proposta progettuale e delle prospettive di innovazione conseguibili grazie alla
realizzazione dell’intervento, la sostenibilità economica dell’intervento e dei
relativi aspetti di programmazione operativa dello stesso al fine di ridurre i rischi
che il progetto possa essere oggetto di interruzione in corso d’opera e pertanto
inefficace.
La lettera e) riguarda la definizione delle spese ammissibili per le quali è
quindi possibile ottenere il finanziamento pubblico.
Nella successiva lettera f) sono disciplinate le forme di finanziamento
concedibile che potranno corrispondere a contributi in conto capitale, in conto
interesse, oppure mediante l’impiego di fondi di rotazione e di garanzia nonché di
altre forme di agevolazione che potranno essere identificate dalla Regione.
La lettera g) prevede l’indicazione della eventuale compatibilità con altre
agevolazioni pubbliche.
Infine, la lettera h) fa riferimento alle modalità di rendicontazione delle
spese pertinenti alle attività svolte e le operazioni di monitoraggio e controllo che
spettano alla pubblica amministrazione.
Art. 9 - Accordo di programma.
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L’Accordo di programma è stato introdotto per garantire una rapida
azione regionale in situazioni di particolare interesse per l’economia regionale.
Si tratta, quindi, di uno strumento con il quale la Regione si riserva di attivare
interventi ad ampio impatto su un sistema produttivo che, utilizzando i canali
previsti per gli interventi ordinari (bandi) non raggiungerebbe un pari risultato a
vantaggio del tessuto economico regionale. Questo strumento, peraltro, non è
previsto per le aggregazioni di imprese in quanto organismi la cui costituzione è
a carattere limitato e temporaneo e perciò non obbligati all’individuazione di un
soggetto giuridico che le rappresenti.
Art. 10 - Attività di promozione e informazione.
L’articolo prevede che la Giunta regionale possa effettuare attività
informative di promozione verso i destinatari della Legge regionale con il preciso
scopo di favorire le dinamiche aggregative e, per i loro effetti, lo sviluppo del
sistema produttivo regionale. Il comma 2 prevede che la Giunta regionale possa
aderire e partecipare all’attivazione di programmi o progetti di promozione
inerenti le finalità della legge, che possono essere quindi promossi da altri enti
diversi dalla Regione, non aventi, in ogni caso, finalità lucrative.
Art. 11 - Notifica della azioni configurabili come aiuti di Stato.
L’articolo richiama puntualmente il rispetto della disciplina comunitaria
in materia di aiuti di stato a valere per tutti i soggetti destinatari della presente
legge e fa specifico riferimento ai regolamenti della Commissione attualmente
vigenti ai sensi dei quali possono essere concessi i contributi.
Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la
promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo
economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale”.
Con riferimento alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9, sono
evidenziate le norme oggetto di modifica per gli effetti dell’approvazione della
legge.
Art. 13 - Norma finanziaria.
L’articolo definisce l’individuazione delle risorse finanziarie alla legge
regionale di bilancio, per quanto riguarda il bilancio di previsione del corrente
anno.
Art. 14 - Disposizioni finali.
La presente legge regionale abroga la legge regionale 4 aprile 2003, n. 8,
mantenendo, tuttavia, preservati gli effetti dei provvedimenti amministrativi
riferiti ai bandi annuali di finanziamento approvati. Il comma 3 stabilisce che
tutti i distretti e metadistretti produttivi riconosciuti ai sensi della legge regionale
4 aprile 2003, n. 8, cessano di esistere a far data dalla pubblicazione sul
Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto della presente legge.
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DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E
DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE
Art. 1 - Finalità.
1. La Regione del Veneto, nell’ambito delle competenze regionali di cui
all’articolo 117 terzo comma della Costituzione, in conformità ai principi
fondamentali statali in materia di ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all’innovazione per i settori produttivi e tenendo conto del principio di
concertazione con i soggetti istituzionali, economici e sociali presenti nel
territorio, promuove azioni di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo
regionale a favore dell’innovazione dei settori produttivi, della competitività dei
prodotti e delle eccellenze venete sul mercato globale, della difesa
dell’occupazione, dello sviluppo di imprenditoria innovativa e dell’avviamento di
nuova imprenditorialità.
2. La presente legge disciplina, nell’ambito della più generale azione di
sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale, i criteri di individuazione
dei distretti industriali e delle altre forme di aggregazione produttiva e a rete,
nonché le modalità di attuazione degli interventi per lo sviluppo locale.
Art. 2 - Definizioni.
1. Per distretto industriale si intende un sistema produttivo locale,
all’interno di una parte definita del territorio regionale, caratterizzato da
un’elevata concentrazione di imprese manifatturiere artigianali e industriali, con
prevalenza di piccole e medie imprese, operanti su specifiche filiere produttive o
in filiere a queste correlate rilevanti per l’economia regionale.
2. Per rete innovativa regionale si intende un’aggregazione tra imprese e
soggetti pubblici e privati, presenti in ambito regionale ma non necessariamente
territorialmente contigui, che operano in ambiti innovativi di qualsiasi settore e
sono in grado di sviluppare un insieme di iniziative e progetti rilevanti per
l’economia regionale.
3. Per aggregazione di imprese si intende un insieme di imprese che, in
numero non inferiore a tre, si riuniscono, al fine di sviluppare un progetto
strategico comune, nelle forme di cui all’articolo 5.
Art. 3 - Individuazione del distretto industriale.
1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta
regionale, sentita la competente commissione consiliare, individua i distretti
industriali e ne definisce l’ambito geografico e settoriale.
2. Ai fini dell’individuazione di cui al comma 1 devono essere soddisfatti i
seguenti requisiti:
a) elevata concentrazione di imprese industriali e artigiane operanti in una stessa
filiera produttiva di carattere manifatturiero o in filiere ad essa correlate,
all’interno di una parte geograficamente definita del territorio regionale,
comprensiva anche di più province;
b) storicità del distretto, documentata dalla presenza di centri di documentazione
sulla cultura locale del prodotto e del lavoro, ovvero riscontrabile dalla letteratura
scientifica;
13
c) capacità del distretto industriale di essere competitivo nei mercati nazionali e
internazionali, attestata dalla propensione a generare processi di innovazione e di
internazionalizzazione, dalla presenza di imprese leader del settore, dall’immagine
internazionale dei prodotti realizzati, in termini sia funzionali e prestazionali che
di contenuti estetici e di design.
3. Concorrono all’individuazione del distretto industriale la presenza,
ovvero l’identificabilità, di un marchio di distretto, la presenza di istituzioni
formative specifiche, di centri di ricerca dedicati e di soggetti istituzionali aventi
competenze ed operanti nell’attività di sostegno all’economia locale.
4. La Giunta regionale, con successivi provvedimenti, effettua rilevazioni ai
fini di successive individuazioni di nuovi distretti industriali e di aggiornamento
degli esistenti.
Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale.
1. Ciascuna rete innovativa regionale è individuata con provvedimento della
Giunta regionale su istanza del soggetto che, secondo quanto disposto
dall’articolo 6, comma 1, rappresenta l’insieme delle imprese e dei soggetti
pubblici e privati componenti la rete stessa.
2. Ai fini dell’individuazione di cui al comma 1, sono requisiti della rete
innovativa regionale:
a) la dimensione della rete innovativa regionale espressa in termini quantitativi
di imprese rappresentate dal soggetto di cui all’articolo 6, comma 1;
b) la rilevanza del settore in cui la rete innovativa opera da valutarsi in termini
economici riferiti all’economia regionale oppure agli ambiti innovativi o al nuovo
settore che la rete innovativa è in grado di rappresentare a livello regionale.
3. Con riferimento a ciascuna rete innovativa regionale, la Giunta regionale
verifica con cadenza biennale il mantenimento dei requisiti di cui al comma 2.
Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese.
1. Le aggregazioni di imprese di cui all’articolo 2, comma 3, assumono una
delle seguenti forme:
a) imprese aderenti ad uno specifico contratto di rete, come definito dalla
legislazione vigente, o forme equivalenti di aggregazione, che mantengono
l'autonomia giuridica e gestionale delle imprese partecipanti;
b) imprese riunite in consorzio con attività esterna, società consortile o società
cooperativa, ovvero riunite nella compagine sociale di società di capitali a
controllo congiunto;
c) associazioni di imprese, anche temporanee e appositamente costituite per la
realizzazione di un progetto comune.
Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali.
1. Le imprese aderenti a ciascun distretto industriale e i soggetti aderenti a
ciascuna rete innovativa regionale individuano, in una delle forme previste dal
codice civile, il soggetto giuridico preposto a rappresentare il distretto o la rete
innovativa regionale nei rapporti con la Regione e le altre amministrazioni
pubbliche.
14
2. Il soggetto di cui al comma 1, debitamente riconosciuto dalla Giunta
regionale, raccoglie le istanze delle imprese aderenti a ciascun distretto industriale
e dei soggetti aderenti a ciascuna rete innovativa regionale e presenta i progetti di
intervento alla Regione ai sensi dell’articolo 7.
Art. 7 - Progetti di intervento.
1. La Regione finanzia progetti di intervento presentati dai distretti
industriali, dalle reti innovative regionali, dalle aggregazioni di imprese di cui
all’articolo 2, riguardanti:
a) la ricerca e l’innovazione;
b) l’internazionalizzazione;
c) le infrastrutture;
d) lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia ambientale;
e) la difesa dell’occupazione;
f) lo sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova imprenditorialità;
g) la partecipazione a progetti promossi dalla Unione europea, anche in materia
di “cluster”;
h) ogni ulteriore iniziativa finalizzata al rafforzamento competitivo delle
imprese.
Art. 8 - Modalità di finanziamento.
1. La Giunta regionale emana specifici bandi per selezionare e finanziare,
nei limiti delle risorse disponibili, i progetti di cui all’articolo 7, in cui individua:
a) la tipologia degli interventi da finanziare;
b) le modalità e i termini per la presentazione dei progetti di intervento;
c) i requisiti dei soggetti beneficiari dei finanziamenti;
d) i criteri di valutazione dei progetti che tengano conto degli elementi
innovativi e delle prospettive di innovazione, della sostenibilità economica del
progetto e della pianificazione coerente dell’intervento sia in termini quantitativi
che qualificativi per il concreto raggiungimento dei obiettivi preposti;
e) le spese ammissibili;
f) la forma del finanziamento concedibile, nella modalità del contributo in conto
capitale, del contributo in conto interesse, attraverso fondi di rotazione e di
garanzia, nonché mediante altre forme di agevolazione;
g) l’eventuale cumulabilità dei finanziamenti con altre agevolazioni pubbliche;
h) le modalità di rendicontazione e di effettuazione di monitoraggi e controlli.
Art. 9 - Accordi di programma.
1. La Giunta regionale è autorizzata a promuovere la conclusione di accordi
di programma con i soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, al fine di attuare
interventi per lo sviluppo produttivo locale.
Art. 10 - Attività di promozione e informazione.
15
1. La Giunta regionale svolge attività di promozione e di informazione al
fine di favorire la nascita delle forme di aggregazione di cui alla presente legge e
lo sviluppo del sistema produttivo regionale.
2. La Giunta regionale individua e finanzia programmi e progetti presentati
da enti pubblici, pubbliche amministrazioni e soggetti privati senza scopo di lucro
operanti nel territorio veneto che hanno come scopo il miglioramento del sistema
produttivo locale.
Art. 11 - Notifica delle azioni configurabili come aiuti di Stato.
1. Gli atti emanati in applicazione della presente legge che prevedano
l’attivazione di azioni configurabili come aiuti di Stato, ad eccezione dei casi in
cui gli aiuti siano erogati in conformità a quanto previsto dal regolamento
comunitario relativo agli aiuti di importanza minore (“de minimis”) di cui al
regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006 e dei
casi in cui gli aiuti siano erogati in conformità a quanto previsto dal regolamento
generale di esenzione di cui al regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione,
del 6 agosto 2008, sono oggetto di notifica ai sensi della normativa comunitaria.
2. L’acquisizione del parere di compatibilità da parte della commissione
europea è oggetto di avviso pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del
Veneto.
Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la
promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e
dell’innovazione nel sistema produttivo regionale”.
1. Al comma 3 dell’articolo 17 della legge regionale 18 maggio 2007, n. 9
“Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello
sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale” le parole
“di cui alla legge regionale 4 aprile 2003, n. 8 “Disciplina dei distretti produttivi
ed interventi di politica industriale locale” e successive modificazioni ed
integrazioni” sono sostituite dalle parole: “regionali vigenti in materia di distretti
industriali, reti innovative regionali e aggregazioni di imprese”.
2. La lettera b) del comma 1 dell’articolo 18 della legge regionale n. 9 del
2007 è sostituita dalla seguente:
“b) i distretti industriali, le reti innovative regionali e le aggregazioni di imprese,
così come definiti dalle norme regionali vigenti in materia;”.
3. All’Allegato A, lettera i) della legge regionale n. 9 del 2007 le parole “a
partire dalle definizioni contenute nella legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, e
successive modificazioni ed integrazioni” sono soppresse.
Art. 13 - Norma finanziaria.
1. Agli oneri correnti e agli oneri d’investimento quantificati
rispettivamente in euro 800.000,00 e in euro 9.000.000,00 per l’esercizio 2012, si
provvede con le risorse del fondo unico regionale per lo sviluppo economico di
cui all’articolo 55 della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11, allocate nell’upb
U0053 “Interventi a favore delle PMI”, che per euro 800.000,00 vanno ad
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incrementare lo stanziamento dell’upb U0201 “Attività di informazione alle
imprese” del bilancio di previsione 2012.
Art. 14 - Disposizioni finali.
1. È abrogata la legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, “Disciplina delle
aggregazioni di filiera, dei distretti produttivi e interventi di sviluppo industriale e
produttivo locale”.
2. Ai procedimenti amministrativi e di spesa in corso alla data di entrata in
vigore della legge e fino alla loro conclusione continuano ad applicarsi le
disposizioni della legge regionale n. 8 del 2003.
3. I distretti e i metadistretti produttivi riconosciuti ai sensi della legge
regionale n. 8 del 2003 cessano di esistere a far data dalla pubblicazione sul
Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto della presente legge.
17
18
INDICE
Art. 1 - Finalità................................................................................... 12
Art. 2 - Definizioni............................................................................. 12
Art. 3 - Individuazione del distretto industriale. ................................ 12
Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale. .................... 13
Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese. ........................................ 13
Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative
regionali. ............................................................................................ 13
Art. 7 - Progetti di intervento. ............................................................ 14
Art. 8 - Modalità di finanziamento. ................................................... 14
Art. 9 - Accordi di programma. ......................................................... 14
Art. 10 - Attività di promozione e informazione. .............................. 14
Art. 11 - Notifica delle azioni configurabili come aiuti di Stato. ...... 15
Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9
“Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca
scientifica, dello sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema
produttivo regionale”. ........................................................................ 15
Art. 13 - Norma finanziaria................................................................ 15
Art. 14 - Disposizioni finali. .............................................................. 16
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14-08-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
I mobili del Veronese in crisi generazionale
Tra Cerea e Bovolone l'emblematica evoluzione di un sapere artigiano limitato dall'individualismo - L'OCCASIONE
MANCATA - Una scuola di ebanisteria, unica nel suo genere, ha dovuto chiudere L'unico luogo di formazione diventa
ora la stessa azienda
Rob erto Galullo
BOVOLONE (VERONA). Dal nostro inviato
Non ci sono più "marangon" e neppure "schei". Né "falegnami" né "soldi". Forse è per questo che il distretto veronese
del mobile artigianale – che corre sulla direttrice tra i comuni di Cerea e Bovolone – non trova pace e va persino alla
ricerca di un nome nuovo che possa rappresentare meglio un'identità in trasformazione, attrarre giovani leve e riportare
ossigeno economico nelle casse di un polo che ha perso smalto. «Prima era il distretto del mobile d'arte – spiega
Ottorino Magnabosco, a capo di Confindustria Legno Verona e titolare di Mk cucine di San Giovanni Lupatoto –, poi è
diventato dello stile e adesso è del classico».
Il distretto è passato dalle circa 2.600 aziende di oltre venti anni fa alle attuali 1.381 dedite alla sola fabbricazione di
mobili. A queste bisogna aggiungerne circa 500 che ruotano intorno a questo mondo e che hanno fatto della
diversificazione la loro missione (dal tessile al vetro, passando per il metallo). Mentre 20 anni fa il 40% della produzione
era destinato fuori frontiera e il 60% era destinato al consumo domestico, ora le proporzioni si sono invertite e ci sono
piccole realtà che non sanno neppure cosa siano i confini italiani: tutto vola oltreconfine.
Neppure il cambio di nome servirà probabilmente a salvare il distretto da una crisi che è diretta espressione del tempo:
i figli dei falegnami non vogliono più sporcarsi le mani con polvere di legno e trucioli, visto che devono pure competere
con i prodotti industriali delle Marche, di Pordenone o della Brianza, senza contare la Germania o la Cina.
Il distretto non è mai riuscito a fare il salto di qualità anche perché ha fatto di tutto per farsi del male da solo.
«Avevavamo una scuola di ebanisteria unica nel suo genere – ammette Luciano Rossignoli, direttore di ExportVerona,
un consorzio che aiuta le imprese ad uscire dal proprio guscio domestico – e proprio quando eravamo riusciti a
coinvolgere nel suo rilancio anche la Regione, sindacati e associazioni datoriali, ha chiuso». «È stata una scelta
dolorosa ma obbligata», commentò il 10 giugno 2011 l'assessore al Lavoro della Provincia di Verona Fausto Sachetto.
Il Centro – da due anni – non riceveva più richieste di iscrizione per l'indirizzo di tecnico dell'industria del mobile e
dell'arredamento, mentre per il corso di operatore del legno ne aveva ricevute nove nell'anno scolastico 2009/2010 e tre
nel 2010/2011. Per l'anno scolastico 2011/2012 sono arrivate meno di dieci iscrizioni al primo anno formativo, non
sufficienti per giustificare la partenza di un triennio di formazione di base, considerando anche la povertà di fondi.
Quel polmone professionale che formava dai falegnami ai restauratori, dai disegnatori agli arredatori non c'è più
perché mancavano gli alunni ma, come ricorda sconsolato Magnabosco, «a Pordenone la scuola c'è e pensi che le
aziende del legno si contendono gli alunni. I migliori li prenotano ancor prima che escano dai corsi di formazione».
Miopia, cecità dettata sempre da quella voglia di fare da soli, forse nel ricordo di quando – correvano gli anni Sessanta
– tutto era facile, i soldi scorrevano e persino i barbieri si erano inventati mobilieri. «Abbiamo 40 aziende del distretto
consorziate – spiega Rossignoli – e se le parametriamo al numero di imprese attive sono un'inezia. Niente da fare: non
vogliono consorziarsi anche se quando lo fanno i risultati arrivano. Il nostro consorzio è nato nel 1984 e la prima cosa
che abbiamo fatto è stato mettere a frutto una legge regionale che dava contributi a chi si muoveva verso nuovi mercati
internazionali. Comprammo 24 fax per agevolare la tempestività delle informazioni». I risultati arrivano dunque
soprattutto quando imprese e artigiani si affidano alle missioni all'estero. A partire dall'America e dai Paesi dell'Est
dove il made in Italy è ancora apprezzatissimo e sembra veramente paradossale che l'internazionalizzazione non
rappresenti un grido di battaglia in grado di unire le forze di tutti gli operatori. «Se vuoi vendere in Russia, Ucraina e nei
Paesi dell'ex Unione Sovietica – continua Rossignoli – devi vendere il classico-classico» che, per uno strano incrocio
geografico, è apprezzatissimo ancora in alcune oasi del Sud Italia, come a esempio la Sicilia. «Sull'isola avevamo 42
rivenditori con i nostri prodotti di altissima qualità – spiega Bruno Piombini, terza generazione di mobilieri con la quarta
pronta a entrare –, abbiamo fatto investimenti, il mercato rispondeva ma poi ci è crollata addosso, come a tutti del resto,
la crisi che, certamente non è partita da ieri».
La crisi globale ha trovato impreparati i piccolissimi e piccoli artigiani che alimentano una catena fatta di non più di 20,
25 medie aziende e due o al massimo tre imprese di grandi dimensioni sulle quali spicca Selva che ha sede a Bolzano
ma ha il cuore produttivo nel «grande laboratorio», come amano definirlo, di Isola Rizza.
Il cuore pulsante della filiera è fatto di realtà spesso minuscole e addirittura individuali che coprono con maestria
invidiata anche dagli altri distretti italiani del mobile tutta la filiera della manodopera: dal taglio all'intarsio, dalla
laccatura alla doratura, dal grezzo ai pannelli, dalle cornici agli specchi. Poi c'è chi fa solo antine o solo pomelli e via di
questo passo con un'arte che, come ogni rappresentazione del genio italiano, ha un costo che non è più alla portata di
molti.
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Mancano i "marangon" ma anche "schei", i soldi per mettersi in casa il made in Italy. La filiera è cara: a partire dalla
materia prima di qualità e a nulla vale provare ad andare in Romania o in Cina per abbattere il costo del lavoro. «Le
nostre manualità e le nostre professionalità – spiega Magnabosco – sono inimitabili e al massimo qualcuno ha
provato a far entrare in fabbrica manufatti grezzi, nulla di più». La Cina, croce e delizia. Non è ancora un mercato di
sbocco ma è una piazza che copia. «Mio figlio è appena tornato dalla Corea – interviene Bruno Piombini, a capo della
società per azioni nata nel 1925 – e lì ha trovato mobili cinesi che scopiazzano quelli italiani». Sono prodotti di fascia
bassa che nel momento in cui la crisi morde ovunque diventano appetibili. La concorrenza, però, non è solo dall'altra
parte del mondo. È anche in casa come ama ripetere Rossignoli: «Molti dei mobili fatti in Brianza – spiega – vengono
fatti sulla base di prodotti grezzi e semilavorati che noi gli mandiamo. Concorrenti sono anche francesi, spagnoli,
polacchi e tedeschi. Questi ultimi, che hanno nel settore una tradizione, prima degli altri hanno capito che con la caduta
del Muro di Berlino si aprivano enormi opportunità per investire oltrecortina».
Non mancano, però, solo falegnami e soldi. Manca anche un pugno di grandi aziende leader che siano in grado di
trascinare un gruppo in cui ognuno viaggia per proprio conto. E dire che quando ci sono le occasioni (si veda in pagina
l'esperienza delle aziende Scappini, Bianchini e Seven impegnate due anni fa in una megacommessa in Africa, ndr) il
gruppo risponde e dimostra che esiste la filiera. Per spirito di paradosso, chi sarebbe in grado di tirare la volata, fa
fatica. Lo spiega come meglio non potrebbe Bruno Piombini nello show room di Verona (mentre la produzione è a Isola
Rizza). Luì è a capo di un gruppo che ha 63 dipendenti (il più grande dopo Selva) e un fatturato che è drasticamente
calato in tre anni da 18 milioni a sei. Piombini non molla e continua a puntare su ricerca e qualità.
La parabola della casa espositiva comune a Verona è l'emblema del terzo ingrediente che manca al distretto: il leader
che sia in grado di trascinare e fare squadra. Fino a qualche mese fa Piombini divideva l'enorme spazio di fronte alla
Fiera con altri due marchi storici del distretto: Minotti di Sant'Ambrogio di Valpolicella e Giacomelli di Cavaion Veronese.
Il primo, dichiarato fallito nel 2011, è stato acquistato dal fondo Opera di Michele Russo. «Anche il secondo brand è
fallito – spiega Piombini- e così a riempire il vuoto di una parte di questi spazi è arrivata da Nola, in provincia di Napoli,
Nusco Porte, azienda con la quale abbiamo un ottimo rapporto. Anzi presto saremo presenti accanto a loro con nostri
spazi a Casagiove, nel casertano».
L'innovazione – che spesso mal si concilia con l'artigianato – qualche volta paga. I fratelli Daniele, Giampietro e Marco
Munari nel '77 a Ca' degli Oppi hanno puntato sul mobile che «arreda l'elettronica». Così, oggi, all'unisono possono
orgogliosamente dire e scrivere di «essere leader nella produzione di mobili porta tv, porta computer e supporti
metallici a parete».
Massimo Malvezzi invece è a capo di Beta mobili di Cerea. Anche lui ha innovato (e diversificato) destinando il 50%
della produzione alle pareti in legno, alle boiserie, alle pareti divisorie e alle cabine armadio. In una frase, come spiega
lo stesso Malvezzi, «nell'occupazione fisica dello spazio e nella produzione su misura e commessa». I fatti gli danno
ragione tanto che da anni ha aperto un ufficio anche a Mosca. «Appena ci accorgiamo che si apre un nuovo mercato spiega Malvezzi - siamo pronti a entrarci».
Per gli affari, prima dei "marangon" e degli "schei" viene, infatti, il fiuto.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del mobile
classico del Veronese spiccano produttività, innovazione e internazionalizzazione. Insufficiente, invece, la capacità di
fare rete.
PUNTI DI FORZA
1
PRODUTTIVITÀ
La capacità di produrre mobili di altissima qualità è il vero punto di forza dell'area. Nonostante la mancanza di una
scuola di specializzazione, artigiani di livello vengono formati all'interno delle aziende. La filiera ha saputo sviluppare in
ogni singolo anello una capacità produttiva che non ha eguali nel mondo nel settore di competenza.
ALTA
2
INNOVAZIONE
Le imprese artigianali dell'area hanno osato: a partire dall'evoluzione del nome che da distretto d'arte è ormai diventato
distretto del classico. L'innovazione è fatta di piccoli passi perchè cerca soprattutto di soddisfare mercati nuovi ed
emergenti nei quali il gusto del made in Italy è ancorato a vecchi stereotipi duri a morire.
BUONA
3
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Vent'anni fa il 60% della produzione del distretto era destinata al mercato domestico e il 40% all'estero. Anche se non
esistono statistiche precise, il rapporto si è invertito e sono sempre di più le Pmi medie che cercano oltreconfine uno
sbocco. I Paesi sono soprattutto quelli dell'ex Urss ai quali si uniscono quelli asiatici.
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
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1
CAPACITÀ COMMERCIALE
Sono gli imprenditori i primi a dirlo: mancano l'azienda o un gruppo di aziende leader in grado di trainare nel mondo il
distretto veronese preso d'assalto non solo dagli asiatici, ma anche dai poli italiani della Brianza o di Bassano del
Grappa. Senza contare che anche la Germania vanta una lunga tradizione nel settore.
BASSA
2
DIMENSIONI D'IMPRESA
Si tratta di un'opportunità ma, al tempo stesso, di una condanna. Soltanto che in questo distretto non si può proprio
parlare di industrializzazione e dunque il Dna artigianale, giocoforza, porta ad avere una dimensione media d'impresa
di due-tre tre addetti al massimo.
SCARSA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Il distretto, forse a causa della sua spiccata indentità artigianale, non è in grado di mettere insieme le realtà produttive.
Reti d'impresa non esistono; eppure, quando si tenta, i risultati non mancano. La sensazione è che gli imprenditori
fondatori del distretto non abbiano del tutto capito che un'era è terminata.
INSUFFICIENTE
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18-08-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Una svolta «green» ed etica per le concerie di Arzignano
Attenzione all'ambiente, scandali fiscali alle spalle: i giovani si riavvicinano - IL PARADOSSO - In calo occupati e
produzione, eppure le nuove generazioni ritornano a scuola interessate a imparare le «tecnologie del cuoio»
Barb ara Ganz
ARZIGNANO (VI). Dal nostro inviato
Vent'anni hanno cambiato quasi tutto, tranne la "cattiva fama" che si portano dietro: quella di essere addetti a una
lavorazione sporca, maleodorante, in un settore difficile, magari ricco, ma talvolta ai limiti del lecito.
Loro, i conciari, non si riconoscono in questa immagine, di sicuro non più. Se nel 1991 la sfida era quella di un
possibile matrimonio fra l'industria e l'ambiente, ora la svolta verde è un dato acquisito. «Se non fossimo cambiati,
semplicemente non esisteremmo più», taglia corto Valter Peretti, presidente della sezione concia di Confindustria
Vicenza, 77 aziende associate che rappresentano circa la metà (4.675) degli 8.350 dipendenti totali.
Il cambiamento è stato epocale: il sistema della depurazione delle acque è stato completamente rivisto, e oggi non è
più un problema: «Il monitoraggio che fa seguito all'accordo di programma del 2005 dice che stiamo rispettando tutti i
parametri imposti – spiega Peretti – anzi, siamo tarati su limiti più restrittivi di quelli a livello nazionale. Di fatto abbiamo
anticipato la norma europea». I costi, tuttavia, sono stati elevati: tuttora, fra voci dirette e indirette, si aggirano sul 5% del
fatturato. Il risultato è che il famigerato odore del pellame trattato si sente sì, ma non nelle zone dove si produce: gli
occhi e la gola bruciano avvicinandosi alle vasche di raccolta dell'impianto di depurazione, che non a caso sono in fase
di copertura.
Intanto il distretto è tornato, per quantità prodotte, ai livelli degli anni Ottanta: nel tempo si sono susseguite fasi diverse,
la forte salita di metà anni Novanta, la leggera discesa fino al 2000, il nuovo exploit degli anni fino al 2005. A pesare,
soprattutto, la frenata dell'arredamento, la retromarcia dei distretti del Sud dove si producono i divani. Nel 2006, ultimo
anno positivo, si producevano 44 milioni di metri quadri di pelli destinati ai salotti, oggi sono 21. E non è nemmeno,
strettamente, una questione di concorrenza: in Cina si esporta più di quanto si importa, e solo qui, ad Arzignano, si
propone una continua innovazione, di prodotto e di processo, per stare dietro alle richieste, fra l'altro, della moda.
«Quello che ci tiene in piedi è questo continuo miglioramento», commenta Peretti.
La concia ad Arzignano produce il 51% del fatturato italiano e il 32% di quello europeo del settore, l'8% a livello
mondiale. La Cina è il primo mercato di destinazione, seguita dall'Europa. Nel paese – 23mila abitanti di cui oltre 5mila
stranieri, retto da una giunta di centrodestra – ci sono ancora gli spazi, oggi inutilizzati, lasciati dalle concerie che un
tempo si trovavano in centro all'abitato; altre ex industrie sono state recuperate e destinate ad abitazioni, altre ancora
sono un cantiere ricoperto da una gigantografia di quel che sarà, sempre da destinare alla residenza. Arzignano ha un
hotel, che manca perfino in altri paesi veneti che fanno del turismo la propria vocazione, e lungo lo stradone la
concessionaria delle Audi «che qui vanno via come il pane», dice un residente. Nella zona industriale, lungo le strade a
raggiera numerate (prima, seconda, terza) si incontrano praticamente tutte le principali realtà di un polo da sempre
fortemente orientato all'export: 1,8 miliardi sul totale di 2,5.
E questo nonostante le oscillazioni in termini di costo e di disponibilità della materia prima: «Dipendiamo dall'offerta da
parte dei produttori, perché le pelli sono un residuo della lavorazione delle carni, legate ai consumi – spiega Peretti –
Le barriere doganali esistono sia sul fronte dell'acquisto, sia sulla vendita del prodotto finito. Le forniture da Paesi
come l'Argentina sono interdette». In un distretto dove la storia l'hanno fatta famiglie e aziende passate indenni da
generazione a generazione, nel tempo ci sono stati anche dissesti e chiusure clamorosi.
O casi di evasione fiscale, come quello che nel 2010 ha convolto con clamore il Gruppo Mastrotto: «È stato un
momento difficile per l'azienda e la famiglia – afferma la giovane presidente, Chiara Mastrotto, 38 anni – ma lo abbiamo
superato decidendo con responsabilità di pagare il dovuto, voltando definitivamente pagina e concentrandoci sul
business e su nuove strategie competitive per rinforzare il nostro ruolo sui mercati internazionali e riaffermare una
storia di imprenditori da oltre 50 anni». Archiviata la vicenda giudiziaria, si riparte senza aver riscontrato ricadute su
quote di mercato e volume d'affari. Con 225 milioni di fatturato, il Gruppo è il principale player europeo del conciario:
grazie alla solidità finanziaria, sta realizzando un piano industriale che poggia su una piattaforma produttiva su quattro
continenti, su una presenza multisettoriale (calzature, pelletteria, abbigliamento, arredo e automotive) e su una logistica
integrata, dato che l'80% della produzione viene esportata in 110 Paesi. E se la qualità è il fattore chiave, da qui escono
– unica azienda europea – oltre 600 codici colori con consegna just in time in tutto il mondo. «Andiamo verso un
mercato in cui non conta più solo l'innovazione di prodotto, ma ci sono continue evoluzioni in termini di proposte
stilistiche da un lato, tecnologiche dall'altro – spiega ancora Chiara Mastrotto – Emergeranno sempre più altre variabili
quali la delocalizzazione e l'innovazione di servizio, tramite le quali la conceria si dovrà avvicinare al cliente. E i nostri
clienti non sono più sottocasa».
Quanto alle chiusure di imprese del settore, che pure in vent'anni di storia non sono mancate, «la differenza è che una
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volta l'impresa in difficoltà veniva rilevata da altri e proseguiva, oggi semplicemente c'è chi smette di esistere», osserva
ancora Valter Peretti. Le ricadute sull'occupazione sono indubbie: dal 2011 al 2012 la cassa integrazione ha segnato
+40%, la mobilità, che nel primo trimestre 2011 interessava 73 lavoratori della concia, nello stesso periodo del 2012 è
per 95. Tutto questo rimette in discussione un processo di integrazione con le comunità straniere – da Serbia e
Bangladesh perlopiù – richiamate dalla ricerca di manodopera: nonostante la crisi, in aziende come Cristina (gruppo
Peretti) i lavoratori stranieri superano ancora il 30 per cento.
Eppure all'Itis Galilei – su internet si trova ancora come istitutoconciario.it, nonostante negli anni si siano aggiunti nuovi
indirizzi – la scelta di portare i futuri studenti a visitare le imprese e ad assistere dal vivo alle lavorazioni sta dando i suoi
frutti, con un aumento delle iscrizioni: «C'è la consapevolezza che questo settore ha fatto la storia del paese – dice la
preside, Eleonora Schiavo – Grazie alla collaborazione con le aziende, però, si fa capire anche quanto il lavoro sia
diventato meno duro, più automatizzato, con aspetti legati alla qualità, alla moda, alla scelta dei colori, che piaccono
anche alle studentesse».
Un interesse per le "tecnologie del cuoio" del tutto nuovo: «Per anni abbiamo sofferto la mancanza di tecnici e
manodopera specializzata – osserva Peretti – perché, diciamo la verità, quell'indirizzo era visto dalle famiglie, dalle
mamme, una serie B della formazione, tutti al liceo erano destinati i figli. Un problema italiano, più che nostrano. Oggi,
con la crisi che morde, si capisce che forse è meglio studiare qualcosa che poi dia la possibilità di trovare un lavoro,
piuttosto che sfornare ingegneri e professori e poi ritrovarseli a spasso».
Automazione e innovazione nel frattempo sono entrati in fabbrica, aumentando la produttività e l'efficienza, in un settore
"obbligato a cambiare", spiega Roccardo Rossetto, presidente della sezione concia, chimica e plastica di
Confartigianato Vicenza: «Molti, qui, sono terzisti specializzati. Quando c'era una montagna di lavoro hanno assunto con
generosità, comprato impianti, investito. E ora si trovano orfani, con le macchine e gli operai inutilizzati. Negli ultimi
sette, otto anni, la produzione è calata del 30%, la situazione è aggressiva, c'è chi si abbassa al limite della
concorrenza sleale, e altri che non hanno più i soldi per i Tfr o per pagare i mutui sui capannoni. Nelle riunioni di
categoria è capitato di dover dire a chi è in difficoltà: chiudete, prima che sia troppo tardi, prima di compromettere il
lavoro di una vita».
L'errore, sostiene Rossetto, è stato puntare sulla quantità, più che sulla qualità: «Ma se sapremo tornare ai livelli che
conosciamo, qualificarci, tornare al passato di questo distretto, allora tutti si accorgeranno del valore che abbiamo fra le
mani».
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 14 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. L'area vicentina
della concia si distingue per innovazione ed export, mentre la capacità di fare rete e l'occupazione sono i limiti.
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
La concia esporta 2,5 miliardi su un valore della produzione di 1,8 miliardi. Il primo Paese di destinazione (con una
quota pari al 17%) è la Cina, le cui grandi potenzialità comunque non raggiungono per qualità e innovazione la
produzione italiana. Arzignano, primo distretto conciario nazionale, produce il 51% del totale italiano, il 32% dal fatturato
europeo (e l'8% a livello mondiale).
ALTA
2
INNOVAZIONE
I prodotti sono sempre più evoluti, i processi si affinano e lo fanno rispettando i parametri ambientali più rigidi, adottati
prima che ci fosse una specifica norma europea. Un Gruppo come Mastrotto, il principale player europeo del settore, è
in grado di realizzare seicento codici colore con consegna just in time in tutto il mondo. Così si intercettano le esigenze
dei settori più legati alla moda.
BUONA
3
ANTI CONCORRENZA SLEALE
La concorrenza esiste, ma si ferma alle produzioni più standardizzate, a basso valore aggiunto. Dove invece entrano in
gioco la qualità, l'innovazione e la ricerca, la capacità di proporre servizi e caratteristiche senza diverse, il distretto di
Arzignano riesce a prevalere sulle pelli lavorate in altri Paesi, per quanto riguarda sia gli aspetti tecnici (resistenza per
l'automotive, ad esempio) che estetici.
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
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OCCUPAZIONE
Le ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate per la concia in provincia di Vicenza, nel periodo gennaio-giugno
2012, rispetto allo stesso periodo del 2011 sono passate da 64.690 a oltre 91mila, con un incremento del 41,22 per
cento. L'impatto della crisi, che sta riducendo i quantitativi lavorati, sta rimettendo in discussione anche il processo di
integrazione delle comunità straniere.
BASSA
2
ATTRATTIVITÀ
La specificità di una materia prima organica, che richiede l'uso di sostanze chimiche e crea inquinamento e odori, ma
soprattutto scandali, casi di frodi Iva e altri di illegalità, avvicinano ancora la concia a un settore "difficile", facendo
passare in secondo piano anche conquiste quali la riduzione dell'impatto ambientale, ormai acquisita, e l'ingresso dei
codici etici nelle aziende maggiori.
SCARSA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Nessuna forma di aggregazione o collaborazione è stata attuata, e nemmeno – finora – discussa o progettata. Per le
realtà più grandi non serve, il problema si pone decisamente per le aziende artigianali e il loro calo di fatturato causa
crisi. Molte di queste hanno investito negli anni migliori, hanno acquistato macchinari e assunto personale: oggi
spesso si tratta di risorse inutilizzate in tutto o in parte e che è difficile riuscire a mantenere.
INSUFFICIENTE
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31-08-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Dalla fusione dei piccoli un solo operatore leader
La svolta nel 1997, quando 5 realtà (su 7 allora operative) creano la Icp - LA STRATEGIA - Grazie all'operazione
sinergica i produttori hanno diversificato, investendo su gamma e design, puntando su materiali innovativi come la
tegola fotovoltaica
Barb ara Ganz
POSSAGNO. Dal nostro inviato
L'intuizione dei padri si è rivelata esatta. La loro lungimiranza ha messo al sicuro il distretto e le sue produzioni,
aprendo la strada al cambiamento e alla diversificazione indispensabili per reggere la crisi. Sono i figli degli
imprenditori, oggi ai vertici dell'azienda di famiglia, a rendere omaggio a coloro che – in anni nei quali non si parlava nè
di reti, nè di aggregazioni – hanno deciso di fare il grande salto.
La data chiave è il 3 luglio 1997: dalla fusione di 5 aziende (con 6 stabilimenti produttivi) sulle 7 allora operative, nasce
Industrie Cotto Possagno; delle due che non aderirono al patto, una ha chiuso e la seconda ha cambiato proprietà. Con
l'accordo, operativo da gennaio 1998, decollava una realtà da 188 dipendenti diretti, indotto escluso, per un fatturato,
allora, di 40 miliardi di lire, un prodotto sostanzialmente unico, il celebre coppo, indirizzato a un mercato per l'85%
domestico.
Oggi, arrivando a Possagno, si entra direttamente nel vivo della produzione dei coppi, in un incrocio di stabilimenti,
depositi di materiale e parcheggi incastrati l'uno nell'altro, senza soluzione di continuità, come allora: sulla destra il
tempio del Canova, sulla sinistra il cosiddetto pareton, la montagna scavata per ricavarne materia prima e che il veto da
parte del vicino comune di Castelcucco ha impedito di ripristinare, lavorando su terreno e pendenze e piantando nuovi
alberi, come è stato fatto in altre cave. Nessuno si aspetta un aumento di volumi, nessuno nega l'eccezionalità di una
crisi «mai vista prima», ma il distretto c'è. I primi contatti per dare forma al gioco di squadra erano iniziati nel 1982,
subito dopo la prima delle molte congiunture sfavorevoli che si sono succedute: «E pensare che fin dagli anni Quaranta
– racconta Gianpaolo Vardanega, direttore commerciale della Spa – ogni famiglia faceva per sé, con un unico forno,
facendo a turno per cuocere i coppi, facendosi anche qualche dispetto come lasciare il fuoco basso a chi sarebbe
venuto dopo». Non c'era ancora una specializzazione, qui si facevano anche i mattoni, nè una forma societaria a
identificare queste realtà, che già negli anni Sessanta – altra crisi – avevano messo in comune alcuni uffici, per definire
politiche commerciali comuni. In quegli anni di prima industrializzazione, si erano perfino avventurate «in terra
straniera» – Villaverla, nel Vicentino, e il Friuli-Venezia Giulia – per tentare la strada delle acquisizioni di fornaci già
esistenti. Sono stati gli shock petroliferi di quegli anni a spingere verso una automazione crescente della produzione:
un passaggio, dal vecchio forno al tunnel, non facile, perché il coppo con la sua forma particolare era difficile da
movimentare senza rotture, e servivano macchinari studiati appositamente.
A Possagno si sono legate la forza e la debolezza dei distretti: da un lato la specializzazione sul prodotto principe, che
ha portato a sviluppare competenze e fattori di conoscenza; dall'altro, una concentrazione assoluta che portava a
perdere di vista altre esigenze del mercato, altre richieste. È andata avanti così, fra cicli espansivi e brevi recessioni, in
un Paese con molto da costruire e una passione per le seconde case.
Negli anni Ottanta nasce un consorzio, per far fronte all'emergenza materia prima: «La sollecitazione era forte, e da più
parti, Regione in primis, ci veniva fatto capire che serviva un unico interlocutore nei rapporti l'ente pubblico, per fare
sintesi delle esigenze di tipo estrattivo delle aziende e chiedere le autorizzazioni necessarie».
Il passo, a parlare anche di altro rispetto alle forniture è stato breve: lo chiamavano significativamente Onu, quel nucleo
di collaborazione, di uffici condivisi. Conteneva anche una innovativa e inedita clausola di mutuo soccorso, «se uno
finiva l'argilla, gli altri aiutavano. Ci si trovava a discutere di approvvigionamento, e si finiva a parlare di molto altro»
ricorda Gianpaolo Vardanega, che di quell'esperienza faceva parte.
Negli anni Novanta, l'inchiesta del Sole-24 Ore descriveva un distretto con nove industrie, una predominanza di
cognomi – Vardanega e Cunial, ancora oggi perfino le pompe funebri e la rivendita di funghi lungo la strada portano
uno di questi cognomi – e una produzione leader, pari al 90% dei coppi nazionali.
La svolta era alle porte: dal 1995 il settore entra in difficoltà, e mantenere sotto lo stesso ombrello una pluralità di
aziende concorrenti diventa un problema. Si studiano fermate programmate e si rinforza la sinergia. La scelta è fra
rilanciare la collaborazione o andare ognuno per la propria strada. Nell'estate 1997 i protagonisti decidono la nascita
delle Industrie Cotto Possagno: un nuome nuovo, nessuna egemonia. «Una fusione senza paracadute», la definisce
Alessandro Vardanega, attuale presidente oltre che leader degli industriali trevigiani – «perché fin dal primo momento
non ha preso in considerazione la possibilità di una via d'uscita o il passo indietro. Nessuno ha tenuto per sé un solo
asset, nemmeno immobiliare: magazzini, crediti, impianti, fabbricati, personale, tutto è confluito in un'unica nuova
realtà. Definitiva». La neonata Icp affronta i punti deboli, come la concentrazione su un solo prodotto: investe nella
produzione di accessori per completare il manto di copertura degli edifici, pezzi speciali e tutto il necessario a fornire un
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"sistema tetto", recuperando quanto prima veniva affidato a terzisti. Inizia a puntare con decisione sui mercati del Sud
Italia, avvicinandosi geograficamente con l'acquisizione di una concorrente in provincia di Pesare e Urbino.
Per diversificare, diventa d'obbligo produrre anche tegole, più diffuse nei mercati comunitari: si lavora di design, si
moltiplicano i colori e i formati, si punta sulla qualità, per far passare il messaggio che la produzione qui si fonde con
l'innovazione. Ne è un esempio la tegola fotovoltaica, che permette di unire efficienza e risparmio energetico con
l'estetica. La propensione verso l'estero sfonda in Francia, Inghilterra, fino al Medio Oriente. L'effetto è complesso: «Le
industrie sono cresciute – osserva Vardanega –. In parte la tegola ha eroso le quote del coppo, in parte ha attaccato la
concorrenza». E se c'è un modo di affrontare l'attuale crisi dopo una lunga fase espansiva, che sta penalizzando
l'edilizia, «la nostra scelta è presidiare la fascia alta del mercato, l'eccellenza intrinseca ed estetica. Per questo serve
coerenza anche nella politica di prezzo: non svendiamo per fare volumi, siamo su listini mediamente superiori del 20%
rispetto a quelli dei competitor, ma questo è il nostro dna. Non facciamo un prodotto di massa. Informiamo sulle
caratteristiche acustiche e in termini di consumi energetici e di benessere dell'abitazione, perché manca ancora
consapevolezza nel consumatore: tutti sono abituati a scegliere gli infissi, ma al tetto ci si pensa poco. Mettiamo da
parte l'ansia di conquistare ordini e valorizziamo il nostro prodotto per quello che garantisce. Guardare fuori dai confini
italiani consente di programmare con maggiore tranquillità, anche se si tratta ancora di una quota minoritaria».
L'export non supera il 20 per cento. Il costo del trasporto è una barriera difficile da abbattere. Solo a nominare l'attesa
Pedemontana veneta, c'è chi si dice pronto a ubriacarsi quando, finalmente, sarà pronta. Le fornaci hanno chiuso il
tempo necessario per la manutenzione, in agosto; quest'anno ha scontato anche il fattore meteo, perché il tetto – la
parte più esposta del cantiere – si ferma quando le condizioni sono difficili, e il 2012 non ha risparmiato le nevicate. Il
distretto è cambiato, è diventato capital intensive sacrificando posti di lavoro per recuperare efficienza, ha diminuito la
quantità ma ha mantenuto il valore della produzione perché ne ha accresciuto il valore, ha diversificato per scoprirsi
meno vulnerabile. Gianpaolo Vardanega si definisce «il più vecchio fra i giovani di adesso, il più giovane fra i vecchi che
hanno deciso la fusione», e sorride mentre rilegge la pagina pubblicata da questo giornale nel marzo 1992, il titolo
dedicato al "Monopolio del coppo": «Fa piacere rivedersi dopo tanto tempo, ancora qui». Non sono in molti a potersi
permettere questa serenità, 20 anni dopo.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Possagno ha nella
capacità di fare rete il proprio punto di forza, il limite maggiore è la scarsa capacità commerciale
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
CAPACITA' DI FARE RETE
Su questo fronte il distretto di Possagno non ha nulla da imparare: la fusione di cinque aziende decisa nel 1997 ha
dato forza al distretto che ha potuto razionalizzare la gestione degli approvvigionamenti, diversificare la produzione,
puntare su nuovi mercati sia in Italia che all'estero. Innovativa anche la strategia adottata: nuovo marchio, e per la fase
iniziale un supervisore esterno
ALTA
2
INNOVAZIONE
Se il coppo è per tradizione un prodotto sempre uguale, il distretto ha saputo aprirsi per cogliere nuovi mercati. È stata
avviata la produzione di tegole, e sono stati messi a punto – con risorse proprie e all'interno dell'azienda – il coppo e la
tegola in cotto fotovoltaico, brevettati, che uniscono all'efficienza la tutela del paesaggio, in modo da riprodurre le
sfumature e i colori assunti dai tetti antichi
BUONA
3
MARKETING
Se prima si vendeva un prodotto, oggi si commercializza un «sistema tetto» che include tutto: dalla progettazione ai
materiali, dalla posa a coibentazioni e impermeabilizzazioni, con controlli periodici e manutenzione. Un "plus" per
rivenditori, professionisti e imprese, che nel caso di tegole o coppi fotovoltaici arriva fino allo svolgimento dell'iter
burocratico per accedere al conto energia
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
OCCUPAZIONE
Il processo produttivo è sempre più automatizzato e richiede notevoli investimenti. A soffrirne è l'occupazione, e in
particolare la componente immigrata (da Senegal e India, ma non solo) e che in passato era arrivata a pesare fino a un
addetto su tre. Oggi si assiste ad alcuni rientri in patria, e lo scorso giugno è scattata la cassa integrazione a rotazione
per una quarantina di dipendenti di Industrie Cotto Possagno
BASSA
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INTERNAZIONALIZZAZIONE
Un prodotto pesante, a elevato rischio rottura e con costi di trasporto impegnativi. Sono i limiti del cotto e delle tegole,
ma il mercato – in passato domestico per una quota superiore all'85% – si sta aprendo, in Europa (Francia, Inghilterra)
e Medio Oriente. Sul fronte interno, pesa la mancanza di una viabilità adeguata ed efficiente alle esigenze aziendali,
Pedemontana Veneta in primis
SCARSA
3
CAPACITA' COMMERCIALE
Il limite principale consiste nel dover contare su agenti plurimandatari, senza avere figure interamente dedicate al
"sistema tetto": sia i consumatori finali, sia i distributori, ancora vengono raggiunti faticosamente, e la comunicazione
stenta. Eppure in Italia un numero elevato di edifici, stimati in 10 milioni, avrebbe bisogno di adeguamenti sul fronte del
risparmio energetico e delle prestazioni
INSUFFICIENTE
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05-09-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
I laboratori vicentini non risplendono più
Sul cluster pesano i dazi e la corsa delle materie prime Da 1.300 le imprese attive sono scese a poche centinaia INTERNAZIONALIZZAZIONE - Le aziende del comprensorio hanno quadruplicato l'export, ma la concorrenza estera,
soprattutto dall'Oriente, si fa sempre più pressante
Barb ara Ganz
VICENZA. Dal nostro inviato
«Non faremo la fine di Pforzheim». Giuseppe Corrado era presidente del gruppo orafo degli industriali vicentini negli
anni Novanta: «Adesso, a 73 anni mi sono lasciato riesumare per la stessa carica di allora: lo faccio perché vedo dei
giovani che fanno delle cose straordinarie, che stanno in fabbrica dalla mattina alla sera, che meritano sostegno, e per
loro vale la pena di difendere la tradizione vicentina. Qui non accadrà quello che è successo al distretto tedesco del
Baden Württemberg, quello che proprio noi abbiamo contribuito a mandare in crisi negli anni d'oro, e che oggi è ridotto
all'osso».
Vent'anni hanno comunque cambiato i connotati al territorio, e a chi ci lavora: «Eravamo arrivati a 1.300 imprese attive,
contro le 4-500 attuali; ma di queste, si e no 200 sono effettivamente operative», sottolinea Corrado. Un
ridimensionamento pesante, che di cause ne ha molte: «Eravamo fortissimi, il sesto export nazionale; nessuno ci ha
dato una mano nei governi che si sono succeduti. Nessuno ci ha sostenuto: anzi, hanno lasciato che i concorrenti
alzassero barriere doganali che ci hanno quasi estromesso. Negli Usa paghiamo non solo sul valore aggiunto, ma
anche su valore dell'oro, e con una materia prima alle stelle si fa presto a capire quanto sia difficile. Gioielli cinesi e
indiani qui hanno una barriera doganale del 2,5%, per vendere noi da loro paghiamo oltre il 40 per cento».
Una sfida impari, se il mercato interno è saturo, e su quelli emergenti ci si muove con le mani legate. E non è solo
questione di crisi economica: «Il regalo di un Battesimo o di una Cresima una volta era la medaglietta d'oro: oggi si
compra un cellulare, non è che si spenda meno, è proprio cambiato il gusto e la mentalità», osserva Corrado. Ma
nonostante tutto «il distretto vicentino non scomparirà: troppo bravi quelli che resistono qui, i giovani che lavorano e, con
fatica, innovano».
A volte sono neoimprenditori, a volte i figli di chi ha vissuto gli anni d'oro. Enrico Peruffo, figlio di Giuseppe, è sales
manager nell'azienda di famiglia, la Fratelli Bovo Srl: «Io gli avevo consigliato di restarsene all'estero – dice il padre –.
La verità è che vent'anni fa non c'era bisogno di fare chissà cosa: aprivi la tua azienda, lavoravi, e vendevi. Non serviva
nemmeno essere così bravi», ricorda l'imprenditore, in proprio dal 1977, dopo aver lavorato nello stesso settore in
aziende di famigliari. «Qualunque cosa facessimo, andava via, neanche si riusciva a stare dietro al mercato che c'era».
Oggi, invece, quel che rimane del mercato va coltivato, inseguito, invogliato ad acquistare: «Applichiamo alla
lavorazione dell'oro tecniche nuove: ogni anno destiamo a ricerca e design il 6% del fatturato», dice il figlio. Lo sforzo è
evidente nei numeri: se fino a 7-8 anni fa si esportava il 20% del fatturato (5 milioni), oggi ai mercati esteri è destinato
l'80%: «Senza questo cambio avremmo chiuso», concordano.
«Ridimensionamento quantitativo», lo definisce l'indagine di Confartigianato Vicenza, «dovuto a fattori molteplici che
vanno dalla crisi strutturale delle economie occidentali alla competizione di Paesi emergenti come India e Indonesia,
dalla scarsa propensione delle imprese vicentine ad aggregarsi per trovare nuovi sbocchi nei mercati esteri allo scarso
orientamento a investire in formazione, innovazione, ricerca». Eppure i dati sono ambivalenti: per le imprese artigiane, il
fatturato del secondo semestre 2011 è diminuito dell'1,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre gli
addetti, in calo dal 2004, hanno segnato un +1,2%, e l'export ha segnato +7,7, dopo il +22,2 dell'anno precedente.
Non un tracollo, ma un lento declino: «Abbiamo iniziato ad accorgercene con la prima guerra del Golfo; la Turchia ha
iniziato a diventare strategica come base, e ne ha avuto in cambio vantaggi commerciali sul mercato americano, per noi
strategico» dice Franco Pozzebon, presidente categoria Metalli preziosi di Confartigianato Vicenza e titolare della
Superficiquattro Snc.
Un cambiamento talvolta poco evidente: anche nel periodo di massimo splendore, la presenza dei laboratori sotto
l'abitazione dei proprietari era dissimulata per motivi di sicurezza. Oggi, con i prezzi dell'oro lievitati, l'ingrediente in più è
la paura. Il tentativo di creare una zona di sicurezza, con accessi limitati, per i laboratori orafi in una zona dedicata della
città non ha avuto successo per le troppe limitazioni imposte, ma i sistemi di allarme e anti intrusione si sono
moltiplicati, così come la cautela e quel guardarsi alle spalle nel momento in cui si esce dopo il lavoro.
Hanno iniziato letteralmente a scomparire le aziende del catename, dello stampato, quelle con il minore valore
aggiunto, spiazzate dai continui rincari dell'oro, ma anche dalle esportazioni di macchinari vicentini nel modo. «Non si
può puntare su una macchina, dopo un mese te la rifanno uguale da qualche parte», taglia corto Bovo padre. Perfino
chi, fra i primi, aveva delocalizzato, ha chiuso i battenti. Tanto che è quasi impossibile ritrovare le aziende intervistate 20
anni fa nel primo viaggio nei distretti: molte semplicemente non esistono più.
La concorrenza, i dazi, e il credito: «Una volta le banche davano l'oro, quello delle proprie riserve, in prestito d'uso, a
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tassi più che vantaggiosi, e questo aveva avuto un ruolo chiave nel creare sviluppo e posti di lavoro – spiega Pozzebon
–. Ora il default di grandi aziende, qualche scandalo e le inchieste della Gdf sull'oro portato all'estero, hanno stretto i
cordoni. Se a questo aggiungiamo che la materia prima è alle stelle, si capisce dove il meccanismo si inceppa».
A pagare è un distretto, che, tuttora, è unbranded: «Quel che di bello è fatto qui, si vende senza essere riconoscibile e
tale arriva al consumatore finale. Non c'è mai stata la forza di un Tiffany, qui», osserva l'artigiano. C'è chi ci sta
provando, adesso, portando campagne promozionali direttamente in Usa. Ma è difficile per aziende che rimangono
mediamente piccole, e che non si aggregano. L'idea è ripartire dall'orgoglio: portare i gioielli in passerella, come i capi
di abbigliamento, colpire la fantasia, cambiare anche i negozi «che oggi sono tutti uguali, con il campanello, la
moquette per terra». E scommettere sull'innovazione. Un esempio? C'è chi adatta le tecnologie usate in odontoiatria
per creare denti artificiali e capsule ai gioielli, e chi spiana la strada a tecnologie quali la Slm (selective laser melting)
laser capaci di riprodurre esattamente il modello pensato e disegnato al computer, con qualità estetiche elevate ed un
impatto ambientale praticamente nullo.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Il distretto di Vicenza
può contare su un'elevata capacità di networking internazionale, ma paradossalmente in questi anni non è stata
capace di creare reti sinergiche al proprio interno.
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Una attività di networking a livello globale per le aziende vicentine, ma anche italiane; collaborazioni, accordi di
marketing e presidio diretto dei mercati più interessanti: la Fiera di Vicenza ha un ruolo di primo piano
nell'accompagnare le imprese all'estero
IL GIUDIZIO
ALTA
2
INNOVAZIONE
Perfino le tecnologie messe a punto nel settore odontoiatrico e dell'implantologia vengono utilizzate nella creazione di
gioielli sempre più particolare; si investe in design abbandonando lavorazioni a basso valore aggiunto e si introducono
nuove tecniche e materiali
IL GIUDIZIO
BUONA
3
ALLEANZE CON l'ESTERO
Gli ultimi accordi raggiunti riguardano l'India (accesso privilegiato per le aziende dell'oro, dei gioielli e dei macchinari), e
gli Stati Uniti, dove sono stati contattati direttamente titolari e manager di boutique e store per stringere relazioni più
solide
IL GIUDIZIO
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
MARKETING
La presenza di marchi capaci di imporsi e di farsi conoscere anche sui mercati internazionali è fenomeno recente, e
limitato a poche grandi realtà: in molti casi le lavorazioni made in Vicenza non sono riconosciute come tali
IL GIUDIZIO
BASSA
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CAPACITÀ DI FARE RETE
Le sinergie non sono ancora nelle corde delle aziende del distretto: in questo modo la selezione non risparmia chi
innova poco, chi non cerca di penetrare nei mercati internazionali e chi rimane legato a una mentalità troppo vecchia per
competere
IL GIUDIZIO
SCARSA
3
CAPACITÀ COMMERCIALE
Vendere gioielli vicentini in mercati protetti da barriere doganali come quelle sul mercato americano, cinese e indiano,
è come sfidare qualcuno a una corsa avendo i piedi legati: così le aziende sono praticamente tagliate fuori dalle aree
dove la domanda è maggiore
IL GIUDIZIO
INSUFFICIENTE
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10-09-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Bassano conquista i magnati russi
Sbocco all'estero e mercato del lusso per contrastare la debole domanda interna e l'evoluzione del gusto - L'ANALISI Zanotto (Confartigianato): «L'estrema specializzazione e la tradizionale vetrina non bastano più: vince chi diversifica e fa
offerte su misura»
Barb ara Ganz
BASSANO DEL GRAPPA. Dal nostro inviato
Vent'anni fa – ma anche in tempi più recenti – la strada statale 47 che porta da Bassano del Grappa a Padova era una
sfilata ininterrotta di vetrine: una sorta di via Montenapoleone del mobile in stile, ricorda chi abita in zona. Oggi, attività di
vario genere si alternano a serrande abbassate, cartelli di affittasi o vendesi, perfino rivendite di mobili, sì, ma importati
da Tibet, Cina e Mongolia. E annunci di saldi: meno 30%, 60%, fino al 70 per cento. Sui cavalcavia, manifesti politici
sbiaditi lasciano il posto a dichiarazioni d'amore: «Sabry ti amo, Diego 4ever».
Nel 2005, una delle ultime indagini Poster sulle trasformazioni del mercato e le risposte in atto nel distretto del mobile
in stile – talvolta riproduzione fedelissima di pezzi esistenti nella reggia di Versailles o in altre dimore storiche –
mettevano in evidenza due atteggiamenti: da uno lato quello, maggioritario, di chi giudicava strutturali i cambiamenti
legati alle nuove generazioni – che per arredare casa, soprattutto la prima, preferivano ormai soluzioni di breve periodo
e linee moderne – con la conseguenza di dover rivedere il posizionamento aziendale, le linee e le gamme di
produzione. Dall'altro, c'era chi valutava la situazione di difficoltà solo congiunturale e pensava a come migliorare la
propria efficienza. Già allora, i primi tentativi di far produrre semilavorati e mobili grezzi in Paesi a basso costo facevano
temere per l'identità stessa del distretto, tradizionalmente tarato su un'altissima qualità.
«Il tempo ha dimostrato che l'estrema specializzazione e la tradizionale vetrina lungo la strada non bastano più –
spiega Paola Zanotto, presidente legno-arredo del mandamento di Bassano per Confartigianato Vicenza, con i tre
fratelli alla guida della Zanotto Elia Sna, fondata dal padre –. Molte aziende per sopravvivere hanno preso la strada della
diversificazione: chi ha iniziato con i serramenti, chi ha voluto proporre un servizio, oltre al prodotto, tramite studi di
progettazione di interni. Nel nostro caso, abbiamo scelto la personalizzazione su misura lasciando la massima libertà
creativa e di scelta al cliente, spaziando dalla cucina alla cameretta dei bambini, e abbiamo puntato su una filiera
ecosostenibile. Questo ci ha aperto le porte di mercati molto sensibili all'ambiente».
La domanda di mobili in stile viene oggi prevalentemente dall'estero: l'ex Unione Sovietica, la stessa Romania, dove
sono forti il culto della casa e l'attenzione per il prodotto di qualità elevata. Le aziende del Bassanese sono rimaste
piccole, ma hanno dovuto imparare a essere più che flessibili: «Quando arriva un ordine, occorre rispondere in fretta:
per una commessa abbiamo predisposto l'offerta in un week-end e abbiamo consegnato in 20 giorni con l'aiuto di tutti i
dipendenti», prosegue Zanotto. In realtà nelle quali la famiglia è l'impronta distintiva, il passaggio generazionale non si
esaurisce mai e c'è chi sperimenta soluzioni innovative – come la presenza di un consulente esterno – proprio per
conciliare e mantenere in equilibrio le spinte e le aspirazioni delle diverse componenti.
Nel comparto artigiano, il primo trimestre 2012 ha confermato le tendenze in atto: rispetto all'anno precedente -6%
l'occupazione, -6,1% la domanda interna, -3,5% il fatturato, solo un debole +0,2% di domanda estera, con i segni di un
progressivo affaticamento destinato a durare almeno fino alla fine dell'anno. Anche l'ultimo aggiornamento del monitor
dei distretti di Intesa Sanpaolo segnala il «difficile momento congiunturale del mobile d'arte del Bassanese, che
insieme ad altre realtà regionali non mostra alcun segnale di inversione di tendenza, dopo la chiusura dell'ultimo
quarto dello scorso anno in calo»: nel primo trimestre 2012 le esportazioni sono scese del 3% rispetto all'analogo
periodo 2011, -4,1% il calo congiunturale sul trimestre precedente.
Ma c'è ancora chi apre e scommette sul futuro del mobile classico, esattamente com'era quando il distretto ha iniziato
la sua fortuna. «L'azienda era nata nel 1984, ed era arrivata a contare 60 dipendenti e filiali in Madagascar e Lituania;
poi sono seguite le vicissitudini che hanno portato al fallimento - ricorda Marco Scalabrini, responsabile marketing di
Faber mobili -. Nel 2009 è stata acquistata da Franco Benassi, imprenditore emiliano, ed è ripartita ricucendo i rapporti
con i vecchi clienti. Negli ultimi tre anni tutto è cambiato: ci siamo rivolti alla clientela estera; non tanto alberghi quanto
privati, facoltosi, che investono nella propria casa. Lavoriamo molto in Russia e Ucraina, ma stiamo sviluppando altri
mercati, Cina e Messico. Il nostro è un prodotto profondamente artigianale: costoso nella lavorazione oltre che nella
materia prima, con rifiniture fra le più pregiate che esistano e che siamo rimasti in pochi a fare. I pezzi sono lavorati
come 500 anni fa, in sedici fasi successive: anche per questo serve una professionalità elevatissima, alcuni fra i nostri
dipendenti sono in azienda fin dalla sua nascita».
Lavorare in residenze di pregio o di persone note comporta anche l'obbligo della discrezione: è così per molte delle
aziende che lavorano nei mercati lontani, obbligate a non fotografare né usare come referenze i lavori realizzati. Ma se la
svolta dell'apertura all'esterno è compiuta, non altrettanto si può dire degli altri punti di debolezza del distretto, che
rimangono tuttora ferite aperte. «Quello che ha fatto grande il Veneto, lo sta uccidendo: è l'individualismo» osserva
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amaro Christian Frighetto della Frighetto Srl, 30 dipendenti. Ha rilevato l'azienda fondata dal padre Dino – intervistato
nell'inchiesta del Sole 24 Ore pubblicata il 29 febbraio 1992 –, una delle imprese che hanno fatto la storia del distretto.
«Oltre due anni fa mi sono dimesso dalla vicepresidenza del consorzio Mobile di Bassano – racconta Christian – e ora
l'ente è definitivamente sciolto: a che pro tenere in vita qualcosa nato per unire, continuando a fare ciascuno per sé? Io
credo ancora nella possibilità di mettere insieme le forze, ma prima occorre cambiare mentalità».
Anche il distretto, formalmente, non esiste più: il patto di sviluppo non è stato presentato e non c'è un rappresentante.
Di fatto, solo un'anticipazione della svolta annunciata dall'assessore regionale all'Artigianato e Pmi Marialuisa Coppola:
«La legge 8/2003 aveva fatto scuola in Italia e in Europa e per prima aveva introdotto concetti sconosciuti quali le
aggregazioni, ma nei fatti si era rivelata farraginosa, ricca di burocrazia. La nuova norma sarà snella, una decina di
articoli, i distretti dovranno avere una riconoscibilità storica, non costituirsi per vedersi assegnati dei fondi, e una figura
direzionale e manageriale che si assuma le responsabilità. Contiamo di approvarla entro l'anno». Il testo è stato
trasmesso il 5 luglio al Consiglio regionale ed è già stato assegnato alla terza commissione: la mappa dei distretti
veneti che ne uscirà sarà completamente diversa da quella conosciuta fino a oggi.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Bassano del
Grappa cerca di resistere con la diversificazione e i nuovi mercati, ma sconta un'eccessiva frammentazione
PUNTI DI FORZA
1
INNOVAZIONE
La capacità di reazione del distretto sta nella forza di proporre prodotti e servizi nuovi – dalla progettazione ai serramenti
– e di individuare nicchie quali le produzioni in materie prime derivanti da filiere certificate sostenibili e biocompatibili
ALTA
2
CAPACITÀ COMMERCIALE
La crisi ha rivoluzionato le strategie del distretto e costretto a mettere a punto nuove armi: alle tradizionali vetrine si sono
sostituiti ampi show room e siti internet, veri e propri negozi virtuali senza i limiti delle strutture preesistenti
BUONA
3
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Le aziende del mobile d'arte hanno per anni puntato sul mercato italiano, oggi in una stasi sia congiunturale che
strutturale. Per questo è determinante l'apertura a nuovi mercati che richiedono tempi brevi per la progettazione e la
realizzazione e grande flessibilità
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
MARKETING
Il mobile in stile sul mercato interno mostra un appeal minore rispetto ai pezzi moderni, meno impegnativi. Il mercato
estero gradisce, ma la privacy dei committenti più prestigiosi va a scapito della pubblicità delle realizzazioni «Made in
Bassano»
BASSA
2
DIMENSIONI D'IMPRESA
Le commesse che giungono da alberghi o residenze di prestigio all'estero richiedono spesso un lavoro di squadra e
tempi di risposta e realizzazione velocissimi. Per una Pmi non sempre è facile farsi trovare pronta, mentre non
decollano le collaborazioni
SCARSA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
L'esperienza del Consorzio del mobile di Bassano si è conclusa in un nulla di fatto. È emersa tutta la difficoltà di mettere
insieme progetti, competenze, strategie: un limite che in un orizzonte di crisi e di domanda interna sempre più asfittica
richiede una soluzione
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INSUFFICIENTE
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20-09-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Montebelluna corre grazie agli scarponi
Dai primi laboratori alla diversificazione con l'hi-tech La formazione delle nuove leve priorità dei brand - RITORNO AL
FUTURO - Qui si producevano le pedule dei militari della Grande Guerra: da quelle origini contadine strategie globali e
un know how che richiama cervelli dal mondo
Barb ara Ganz
MONTEBELLUNA (Tv). Dal nostro inviato
Come un atleta che dopo una lunga corsa si ferma, ma solo il tempo necessario per riprendere fiato e decidere come
proseguire: non poteva che essere una metafora sportiva quella usata da un imprenditore per descrivere il momento
vissuto dal distretto di Montebelluna, che definire "dello scarpone" oggi non basta più.
Ed è stata una corsa davvero lunga: dalla pancia contadina al mondo globalizzato, sintetizza Aldo Durante, oggi direttore
del Museo dello scarpone e memoria storica del distretto. Già nel 1800 qui si producevano calzature robuste per i
boscaioli del Montello e i montanari feltrini, suole in legno e tomaie in cuoio. I dieci laboratori calzolai del 1808
diventano 55 nel 1972, e all'inizio del 1900 sono già 200. Nel 1911 si vedono le prime fabbriche; da qui arrivano le
scarpe per i militari durante la prima guerra mondiale, ma già nel dopoguerra gli scarperi sono pronti a cogliere il primo
cambiamento del mercato: nasce lo scarpone per lo sci dei benestanti, e con esso il primo miracolo economico. Nel
1954 la spedizione italiana guidata da Ardito Desio scala il K2 indossando scarponi Dolomite, un evento di risonanza
mondiale.
Gli anni Sessanta sono quelli delle innovazioni: l'idea è dell'americano Bob Lange, che nel 1967 crea il guscio dello
scarpone in resina poliuretanica colata in uno stampo. I montebellunesi – «a parte quei pochi che dicevano: la plastica
non funzionerà mai», ricorda Durante – credono nella nuova tecnologia, ma a modo loro la trasformano, avviando un
processo produttivo a iniezione, economicamente e qualitativamente migliore. Il trionfo del nuovo materiale è tale che la
produzione di scarponi vola dalle 200mila paia annue del 1960 ai 4 milioni del 1979, mentre il doposci - prodotto nuovo,
pochissimo tecnologico, bastavano una macchina da cucire e mani esperte - passa da 4 milioni di paia nel 1972 a 14
milioni nel 1979. «Il successo richiede manodopera – spiega Durante – e questa arriva dai campi: migliaia di contadini
entrano in fabbrica, ma sono legati alla terra con la testa e con il cuore. Il rapporto con il padrone è diretto».
Vent'anni fa, il viaggio del Sole-24Ore trova un vero "impero": 700 aziende, un fatturato da 1.200 miliardi di vecchie lire, il
50% della produzione mondiale di scarponi da sci, il 40% delle scarpe da fondo, per non parlare dei primati nazionali,
con l'80% degli stivali da motociclismo, il 45% delle scarpe da pallacanestro e il 40% di quelle da tennis. I forestieri
sono già entrati nella "pancia" del distretto: la data cruciale è il 1974, quando la famiglia Caberlotto cede la Caber,
marchio storico dello scarpone, alla multinazionale Spalding. È la prima azienda montebellunese che diventa proprietà
di forestieri: non sarà l'unica, perché quel che fa gola è quella concentrazione di know how che qui ha trovato casa. «I
nuovi titolari sono americani, quel legame diretto fra lavoro e azienda non c'è più. Al distretto, sempre più forte, ora
servono manager, e dove si vanno a prendere? Nelle grandi aziende metalmeccaniche, con la cultura del metallo,
quello degli stampi che ora servono a produrre lo scarpone moderno», osserva Durante.
Arrivano gli stranieri, ma i montebellunesi non stanno a guardare. Negli anni Settanta le scarpe da calcio e da ciclismo
acquistano un peso significativo, e trainano anche l'abbigliamento per lo sport. La moda diventa la nuova protagonista,
le scarpe da trekking diventano più colorate, leggere, e sfondano i limiti dell'utilizzo in montagna per diventare,
semplicemente, modelli da tempo libero. Caberlotto, rimasto comunque presidente della Caber ceduta, fonda dall'altra parte della strada - la Lotto, con i fratelli; e se i competitor del distretto sono ora Nike e Adidas, che producono
a Taiwan, anche i montebellunesi fanno la valigia, direzione Far East. La caduta del muro di Berlino – 1989 – apre un
enorme mercato, non solo per i grandi che già hanno scoperto la delocalizzazione, ma anche per i piccoli: sono le
realtà che contano meno di 15 dipendenti, e che ora trovano manodopera a basso prezzo, dalla Romania e dai Paesi
vicini. I prodotti made in Montebelluna viaggiano nel mondo, ma contemporaneamente qui arrivano oltre 10mila
persone di cento etnie. Ogni laboratorio decentra parte del lavoro ad altri laboratori più piccoli, fino a far svolgere alcune
lavorazioni a domicilio. Poi qualcuno spicca il volo, in una esplosione di imprenditorialità che porta una straordinaria
espansione del mercato.
«Il contrario di quanto sta avvenendo – osserva Durante –, ma a preoccupare non è tanto l'aspetto occupazionale: se
qui lavorano ancora 7, 8mila persone, altre 70mila lavorano per noi nel mondo. Tornassero qui certe produzioni, non
sapremmo nemmeno dove metterle. Il problema non è avere delocalizzato, c'è chi proprio così ha creato nuova
occupazione anche qui, ma averlo fatto in modo scriteriato». Anche Adriano Sartor, oggi referente del distretto
riconosciuto dalla Regione e insieme patron di Stonefly, fondata nel 1993, parla di un impoverimento progressivo che
andava, e va, gestito: «All'inizio c'era una filiera praticamente autosufficiente, con piccole realtà che lavorando in
subappalto e di fatto irroravano l'intero territorio. Oggi l'esigenza di confrontarsi con competitor internazionali ha
spostato molte produzioni, e l'indotto ne ha risentito: se da un lato la delocalizzazione ha consentito di reggere la
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concorrenza, e di essere già presenti in quelli che si sono progressivamente affermati come nuovi mercati, dall'altro
non si sono valutate a pieno le controindicazioni. Oggi le nicchie, come le scarpe da ciclismo, e le attività legate al
casual valgono il 40% del fatturato del distretto: sono nate dalla tradizione sportiva, hanno un'anima tecnologica. Per
fortuna le eccellenze sono rimaste qui, e molte aziende hanno imparato a diversificare per affrancarsi dalla stagionalità
e dalle nuove abitudini, come quella del noleggio degli attrezzi, che hanno cambiato il settore. Quello che è scomparso
è un certo saper fare, una risorsa di manodopera che occorre cercare in altre aree d'Italia».
Quello della formazione è un nervo scoperto, ma anche un punto di ri-partenza: «Qualcosa finalmente si muove –
interviene Antonio Lauro, direttore divisione industriale di Tecnica e presidente dell'associazione Museo dello scarpone,
incaricata di cercare nuove vie di crescita -. Oggi qui si importano cervelli, arrivano amministratori delegati, tecnici e
designer da Giappone e Usa. Una scelta obbligata per intercettare i gusti di un mercato allargato a tutto il mondo.
Quello che mantiene integro il distretto è l'avere mantenuto qui le competenze, a differenza dei marchi americani che
hanno spostato tutto, anche la progettazione, nel Far East. Ora è il momento di contribuire tutti, a partire dalle aziende
che hanno fatto la storia e la fortuna di Montebelluna, al rilancio. Nei giorni scorsi abbiamo incontrato i sindaci della
zona, le istituzioni, e anche gli istituti superiori, per mettere a punto un percorso di studi, riempire di contenuto le figure
professionali da formare. L'obiettivo è avere un Ict che diplomi tecnici del calzaturiero, anche in sinergia con gli altri
distretti, come quello della Riviera del Brenta». Le aziende simbolo del distretto hanno seguito strade diverse: Stonefly,
oggi 97 monomarca nel mondo, è nata come divisione della Lotto. Adriano Sartor, tecnico e figlio di calzaturieri, e
Andrea Tomat, condividono da 18 anni l'esperienza aziendale; l'intuizione – suggerita come sfida dal tennista Boris
Becker nel 1993 – è stata applicare alla calzatura di uso quotidiano lo stesso criterio di progettazione usato nello sport.
Nei giorni scorsi Lotto - legata all'immagine della scarpa da calcio dorata inquadrata prima dell'inizio della finale di
Berlino 2006, vinta dall'Italia - ha ceduto il marchio statunitense Etonic (calzature per bowling e golf), per concentrarsi
sul marchio di casa e poter programmare nuovi investimenti.
Tecnica è il modello di azienda cresciuta con una politica di acquisizioni: oggi ha i marchi Blizzard, Dolomite (il più
vecchio brand mondiale di prodotti da montagna), Moon Boot, RollerBlade (pattini in linea) e Nordica, grazie alla quale
diventa il primo produttore mondiale di scarponi da sci. Geox è il nome nuovo, l'azienda «nata già delocalizzata». L'anno
è il 1992: Mario Moretti Polegato, fino a quel momento attivo nell'altro settore principe del Trevigiano, il vino, inventa la
"scarpa che respira": «Oggi copriamo il 68% del volume dell'intero distretto – racconta dal quartier generale di Biadene
di Montebelluna – Quando siamo nati la modalità era inconsueta, non eravamo una derivazione di altre attività che
cercavano di destagionalizzare il proprio prodotto. Produciamo non solo scarpe da città, ma una intera linea di progetti
ad alto contenuto tecnologico. Vendiamo in 100 Paesi, la domanda di made in Italy è elevata. Nel distretto abbiamo
investito, soprattutto in termini di formazione che mancava: oggi l'azienda è un vero campus di 650 addetti, mediamente
fra i 28 e i 38 anni, quasi tutti laureati, e abbiamo scuole interne dedicate ai manager e ai tecnici, mentre la produzione
è in outsourcing». Anni dopo, Geox ha trovato anche il punto di contatto con il mondo dello sport: «L'acquisizione di
Diadora non è stata una scelta economica né speculativa, ma sentimentale: ci pareva un peccato che un marchio
storico, in difficoltà finanziarie, rischiasse di scomparire dopo avere portato Montebelluna nel mondo». L'azienda
(guidata da Enrico Moretti Polegato, figlio di Mario, ndr) è oggi tornata all'utile.
Un passaggio generazionale riuscito, ma molti altri incombono: «Calcoliamo che il 70% di aziende sia di prima
generazione, Tecnica inclusa – osserva Lauro – Per questo l'associazione vuole puntare sull'orientamento
professionale, la valorizzazione dei giovani talenti, l'evoluzione della cultura d'impresa nell'interpretare il ricambio ai
vertici. Il lato buono della crisi forse sta anche nell'incentivo a superare l'individualismo del passato, a cercare sinergie
anche con settori diversi dal nostro». Guardando al passato, si può fare: «Il distretto ha avuto successo, ha superato
tutte le sue crisi ed è ancora vitale perché non è rimasto prigioniero della tradizione, ma ha avuto il coraggio di
superarla – scrive Aldo Durante nel libro che ripercorre la vicenda di Montebelluna – Ogni volta che ha rischiato
l'implosione, ha avuto un rilancio perché ha saputo metabolizzare le idee di chi, da fuori, sembrava una minaccia. Se la
storia è maestra di vita, la lezione è questa: in un momento in cui l'identità dello sportsystem pare sfigurata e cancellata
dall'irruzione di valori esterni, guardarsi indietro può essere motivo di conforto e di incoraggiamento». Nell'attesa di
riprendere a correre.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del
distretto di Montebelluna spiccano la capacità di internazionalizzare, l'innovazione e l'attrazione di investitori stranieri
Il giudizio
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Attualmente il 65% della produzione del distretto – oltre 40 milioni di paia di scarpe delle diverse tipologie – prende la
strada dell'estero, a conferma di una vocazione ormai consolidata. La Germania è il principale mercato, ma la vera
rivelazione sono la Russia e il Giappone
ALTA
2
INNOVAZIONE
Montebelluna ha saputo adattarsi alla domanda, che fosse di scarpe per i combattenti della prima guerra mondiale o
scarponi per il diffondersi dello sci. Nuovi prodotti si sono affiancati in una continua corsa alla destagionalizzazione, e
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anche i processi importati dall'estero sono stati rielaborati qui in modo originale
BUONA
3
ATTRATTIVITÀ
La fase dell'acquisto di aziende locali da parte di grandi gruppi stranieri ha avuto il suo boom negli anni Settanta, ma
tuttora a Montebelluna viene riconosciuta una competenza di alto livello: questo richiama cervelli – dai manager ai
designer – da tutto il mondo nei laboratori di ricerca e nella direzione di molte grandi realtà
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
MARKETING
Pur vantando un'eccellenza assoluta anche in termini numerici, il made in Montebelluna è ancora poco riconosciuto e
riconoscibile. Un fattore ancora sottoutilizzato, ma che potrebbe fare presa: collegamenti in videoconferenza con il
Museo dello scarpone, ad esempio, richiamano migliaia di "visitatori"
BASSA
2
ANTIDOTI ALLA CONCORRENZA
La capacità di innovare, di cogliere gli input provenienti da ogni parte del mondo e rielaborarli in modo originale – come
quando è nato lo scarpone di plastica – non è stata in passato adeguatamente protetta. La copertura di brevetti
internazionali è oggi un passaggio obbligato che richiede investimenti mirati
SCARSA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Solo la necessità di far fronte all'attuale crisi potrà forse spingere le imprese del distretto a collaborare. Il gioco di
squadra è stato finora del tutto inesistente; un primo segnale di cambiamento viene dalle recenti iniziative sul tema
della formazione, che punta ad avere anche a Montebelluna un istituto tecnico per le nuove leve del distretto
INSUFFICIENTE
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Data:
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19-10-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Murano resiste a tutto con gli stilisti del vetr o
I produttori rispondono a concorrenza cinese e falsi con una rete basata sulla qualità dei manufatti - UN MESTIERE
CHE SI RINNOVA SEMPRE - Guido Ferro, classe 1942: «Il vetro è roba da stregoni. Fin quando riusciremo a creare
sempre qualcosa di nuovo, riusciremo a resistere»
Barb ara Ganz
MURANO. Dal nostro inviato
A Murano, solo a Murano, il verde non è un solo colore, ma ha innumerevoli tonalità, nate da altrettante combinazioni di
temperatura, minerali, tempi di lavorazione, e a loro volta differenti dai colori realizzati nella fornace a qualche centinaio
di metri di distanza. Guido Ferro, classe 1942, in azienda da quando ne aveva 15, è sicuro: «Finché riusciremo in
questo, a creare sempre qualcosa di nuovo, noi resisteremo. E gli altri ci verranno dietro. Il vetro è così, roba da
stregoni».
Del resto è già da anni che si annuncia la scomparsa del distretto: per l'invasione delle copie a basso costo Made in
China, la spesa energetica sempre in aumento, i trasporti difficili che basta la nebbia a bloccare, perfino la battaglia –
ancora aperta – per quegli sgravi fiscali concessi 20 anni fa e che oggi l'Ue ha giudicato aiuti di Stato.
Nonostante tutto, il distretto – ridimensionato, cambiato, ma con caratteristiche sempre uguali a se stesse – c'è: lo
incontri ovunque, nelle insegne delle vetrerie, nelle vetrine, nelle esposizioni temporanee che a ogni slargo dell'isola
mettono insieme l'opera di più maestri a formare giardini popolati da conigli, gufi e altri animali, sempre in vetro.
Vent'anni fa, questa era una realtà da 256 aziende per circa 2mila addetti, e un fatturato superiore ai 150 miliardi di lire,
con una quota del 35% di export. Poi erano venuti gli anni Novanta, «quelli della fiammata dei grandi capitali – racconta
Guido Ferro – ma è una trasformazione che ha finito per avvitarsi su se stessa, in una sorta di suicidio. Nel mercato
moderno si acquistano e vendono vetri da tanti Paesi, Cina, Vietnam, altri. Ma solo qui c'è uno zoccolo duro che resiste
fra tante difficoltà, che produce meno, ma che è ancora una eccellenza del Made in Italy, copiato in tutto il mondo. E
quando la crisi finirà, perché tutte le crisi prima o poi passano, la Murano vetraria ripartirà». In un anno, dalla fornace
Ferro escono 500 colori diversi: di qualcuno il mercato decreta il successo, altri non verranno più replicati. «Ma noi
siamo come stilisti – si accalora Ferro – come musicisti: seguiamo un ritmo, componiamo, non usiamo le sette note,
ma i minerali».
Un fascino che si scontra, anche, con la burocrazia: Diego Ferro – figlio di Guido, managing director dell'azienda Ferro
Murano Srl e presidente appena riconfermato della sezione industrie del vetro di Confindustria Venezia – mostra
l'esterno della sede, un cantiere aperto e ora fermo: «Avevamo in progetto una sala mostre, con un ampliamento dei
magazzini, dei locali tecnici. Le carte sono pronte dal 2009, ma qui non basta una sola approvazione, ne servono mille,
e stiamo ancora aspettando il via libera definitivo».
Ferro ha puntato sulla diversificazione: se gli oggetti tradizionali incontrano meno il gusto dei consumatori, allora la
tradizione e i colori del vetro si inventano come oggetti di arredamento, danno vita a porte e controsoffitti (come quelli
dell'ambasciata d'Italia a Tirana), arredano bagni e facciate, ma diventano anche oggetti di uso quotidiano come servizi
di piatti. La tecnologia è entrata nell'impresa di famiglia: «Occorre pensare a nicchie nuove di mercato – spiega – e non
bastano i lampadari o i cavallini a far vivere il distretto». C'è un'altra prospettiva ancora da esplorare: quella turistica. La
polemica, esplosa qualche anno fa, è stata violenta: guai a convertire le vecchie fornaci, anima di Murano, in alberghi a
cinque stelle, pena il rischio di snaturare completamente l'isola. «La possibilità di pernottare qui – ribatte Ferro –
sarebbe un valore aggiunto enorme: parliamo di 5,5 milioni di turisti l'anno, in proporzione più di quelli che è capace di
calamitare Venezia. Siamo passati da 19mila residenti a 4.500, alimentari non se ne trovano più, dopo le 18 in giro non
c'è nessuno. Parliamoci chiaro: ci sono ex fabbriche che non saranno mai più riutilizzate per produrre». Il progetto del
primo hotel di lusso – 150/200 addetti stimati – firmato dalla Ferrim immobiliare – attende da due anni il permesso di
costruire nell'area della vecchia fornace Ferro: l'obiettivo è attirare un turismo di qualità, usando la struttura anche come
vetrina della produzione locale.
Gli edifici fatiscenti, e che attendono una nuova destinazione, non mancano. Oggi le aziende industriali sono 28, e
danno occupazione a circa 900 addetti, oltre alle attività artigianali, circa 250. In totale circa 1.400 addetti, 900 dei quali
alle prese con la cig, ordinaria, straordinaria o in deroga. L'ultimo accordo per il premio di produzione è stato un
autentico braccio di ferro, durato mesi: è finita con il riconoscimento di una somma che tiene conto dell'effettivo merito
del lavoratore, con un compenso parametrato alla presenza effettiva, senza penalizzazioni in caso di ricorso alla cassa
integrazione. Modifiche che tengono conto di una situazione difficile, e che con la riapertura delle aziende dopo la pausa
estiva fa temere per l'avvicinarsi di dicembre, quando – dopo tre anni di crisi – potrebbero scadere alcuni ammortizzatori
sociali.
Chi ha visto cambiare tutto, gioca con i ricordi: «Ai tempi dei nostri genitori si consegnavano i prodotti a sei mesi, non ci
si muoveva da qui, i clienti arrivavano e li si faceva aspettare – racconta Piero Nason, della NasonMoretti Srl – Le
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aziende che hanno chiuso si sono trasformate in una perdita secca di occupazione, e di intere lavorazioni. Il soffiato da
illuminazione, ad esempio, non si trova più, per problemi di costi, di concorrenza». Nason per la sua azienda, creata nel
1992, ha scelto la specializzazione. Produce bicchieri e calici, di ogni forma e colore: 22 tonalità di verde, otto di blu, una
"rivoluzione cromatica" perché oggi il vetro trasparente è poco richiesto, e vale meno del 10% della produzione. «Il
cliente privilegiato è il negozio di regalistica, di alto livello, ma arrivano anche ordini per servizi destinati a case di primi
ministri e personalità varie. Il 70% della produzione resta in Italia, il resto prende la strada di Usa, Nord Europa, Francia,
mentre il Giappone in crisi è quasi scomparso. I clienti vanno cercati, raggiunti, anche tramite la partecipazione alle
diverse fiere».
Il futuro va costruito passo dopo passo: «Ma abbiamo un problema di strategia, di progetto. Non possiamo sederci
sugli allori e mettere un bollino su una produzione stantia. Se ho un'idea vincente, allora non temo la concorrenza. Se
un prodotto giustifica il prezzo che ha, si vende. Abbiamo pagato cara la presunzione di essere gli unici a saper fare il
vetro, a essere bravi. Non è così: chi ha iniziato a copiarci oggi sa fare oggetti anche di buona qualità, e a quel punto
dalla guerra sul prezzo finiamo sconfitti». Anche perché il costo del personale – altamente specializzato – rimane
elevato: in una azienda come quella di Nason arriva al 60%, e «non restano margini per fare marketing, comunicazione.
Mettiamoci che il 30% sono costi per l'energia, e il quadro è completo».
In questo quadro, la vicenda degli sgravi fiscali diventa kafkiana: prima concessi, poi – si parla di oltre sei milioni di
euro per 500 aziende – chiesti indietro a chi ha solo applicato una legge, e che nel tempo ha chiuso, o si è trasformato.
Ora si attende l'ennesimo ricorso e conseguente grado di giudizio, mentre c'è chi fa notare che in caso di sentenza
definitiva cambierebbe anche il calcolo delle tasse versate, dei redditi dichiarati, in una vicenda che si avvita su se
stessa ormai da anni.
I segnali di rilancio passano da nuove modalità di marketing: a Murano sono arrivati i buyer esteri da India, Cina,
Russia, Azerbaijan, Ucraina, Polonia e Svizzera, nel tour fra le eccellenze venete organizzato da Veneto Promozione con
Unioncamere. E la scuola del vetro Abate Zanetti – posseduta per un 5% ciascuno da Comune, Camera di commercio
e Provincia, e per il resto privata – registra un aumento delle iscrizioni: «Noi facciamo formazione, produzione, design –
spiega la presidente Martina Semenzato – Circa 40 studenti al giorno frequentano i nostri corsi; per l'80% sono italiani,
anche ragazzi del posto che cercano di costruirsi un mestiere. Abbiamo quattro laboratori per insegnare le diverse
lavorazioni». Ma il vero salto di qualità è l'obiettivo di trasformazione in Istituto tecnico: la procedura di accreditamento è
in corso.
Anche il consorzio Promovetro – che riunisce oltre l'80% delle aziende del distretto, e le due maggiori associazioni di
categoria – prova ad alzare il tiro. «Usiamo ogni strumento, compresi i social network, Facebook, Twitter – dice Luciano
Gambaro, presidente – Dopo dieci anni, molti falsi, molte invasioni di campo da parte di chi millantava un'appartenenza
e una tradizione non avendo mai visto l'isola, il marchio sta finalmente affermandosi: in tanti ne fanno richiesta, ma la
selezione è rigorosa, i requisiti vengono rivalutati ogni tre anni. La verità è che la diffusione di questo sigillo che
stabilisce una origine, non una qualità, è rallentata dalla mancanza di risorse». Lo sforzo promozionale ha portato una
boa in vetro sormontata da una scultura sul campo di regata dell'America's cup, disputata nei mesi scorsi a Venezia,
mentre calice e brocche per l'eucarestia, normalmente fatti di metallo, si sono fatti foglia d'oro e vetro soffiato per la
messa celebrata da papa Benedetto XVI a Mestre e trasmessa in mondovisione.
Resta il paradosso di un'isola nella quale, essendone inconsapevoli, è possibile acquistare un pezzo prodotto altrove,
magari in Cina, e trovare botteghe di prodotti a un euro che scaricano casse di materiale. Tanto che c'è chi sceglie di
diventare un "viaggiatore del vetro" anche per proteggere la propria opera, come il maestro Lino Tagliapietra, classe
1934: «Avevo pensato di aprire uno studio nell'isola, ma tre anni e passa di burocrazia mi hanno scoraggiato. I costi
che oggi vengono caricati sulle imprese, anche piccolissime, per proteggere la laguna dall'inquinamento sono enormi:
chiediamo se sono serviti, una volta eravamo pieni di giardini, oggi non cresce nulla. All'estero un maestro può firmare
e proteggere la propria opera, non è che insegnandola ad altri ne perde il controllo. Chiediamoci perché, e chiediamoci
soprattutto che cosa si vuole fare di Murano».
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Murano, a fronte di
una rinomanza internazionale che non teme la crisi e alla capacità di innovarsi, ha come contro però un aumento della
concorrenza "low cost"
Il giudizio
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il vetro di Murano è conosciuto – e anche per questo imitato – in tutto il mondo. Gli ultimi dati mostrano una crescita
dell'export di vetro artistico: +3% il secondo trimestre 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011, a quota 27,4 milioni di
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euro, +12,3% rispetto al trimestre precedente
ALTA
2
INNOVAZIONE
Cavallini di vetro, pagliacci e statuine che un tempo costituivano i simboli classici della produzione muranese oggi
fanno spazio a nuove tipologie: il vetro entra nell'arredamento con porte, pareti divisorie e soffitti, ma anche negli oggetti
di uso quotidiano come i servizi di piatti, cercando sempre nuovi mercati
BUONA
3
ATTRATTIVITÀ
Il fascino delle fornaci che non chiudono mai e delle lavorazioni artigianali ha preso: lo dimostra il grande afflusso
turistico, penalizzato dalla mancanza di strutture ricettive, ma anche il recente fenomeno dell'arrivo di cittadini stranieri
che qui si fermano per imparare l'arte del vetro artistico
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
CAPACITÀ DI FARE RETE
Le iniziative di aggregazione stentano a decollare, anche se inizia a crearsi qualche sinergia fra imprese di settori
diversi (appartenenti al lusso o all'arredo, ad esempio). La caratteristica dell'isola, e la lunga tradizione di difesa dei
"segreti" delle lavorazioni di ogni maestro, non aiutano il cambiamento
BASSA
2
COSTO DEL LAVORO
L'altissima specializzazione delle maestranze incide non poco nei conti delle aziende. L'ultima trattativa per il premio di
risultato non a caso è stata lunga e difficile, e il ricorso alla cig è diffuso. Se a questo si aggiungono gli altri costi – per
l'energia, i trasporti – il risultato è che i margini per gli investimenti sono ridotti all'osso
SCARSA
3
ANTIDOTI A CONCORRENZA SLEALE
Il male di Murano sono le copie e i falsi, ma il paradosso è che non si tratta solo di prodotti provenienti da Paesi asiatici.
Anche sull'isola è possibile acquistare pezzi che della tradizione muranese non hanno nulla, e senza accorgersene. E il
marchio di riconoscimento ancora fatica a svolgere appieno la sua funzione di tutela
INSUFFICIENTE
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22-10-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Le scarpe del Brenta «salvate» dalla qualità
Puntando sul contoterzismo e sulle calzature di pregio il distretto è sopravvissuto alla crisi degli anni Novanta L'INTERESSE DELLE GRIFFE - Armani, Prada e Louis Vuitton hanno fatto acquisizioni e continuano a sfornare ordini
per i produttori della zona
Paolo Bricco
FIESSO D'ARTICO (VE). Dal nostro inviato
Soldi, qui, ne hanno fatti tanti. Non a sufficienza, però, per emanciparsi dagli "altri". Qui no xe Sior Louis Vuitton, non c'è
il Signor Vuitton. Anche se, senza la Riviera del Brenta, chissà dove monsieur Vuitton produrrebbe le sue calzature.
Benvenuti nella campagna fra Venezia e Padova, da cinquant'anni tacchi e tomaie, suole e pelli per gli "altri". Gli "altri"
sono le grandi firme della moda e del lusso che vi fanno realizzare (e vi realizzano) le loro calzature (da donna,
soprattutto). Scarpe che saranno poi acquistate a caro prezzo a Pechino dalle mogli dei mandarini del Partito
comunista e, a Parigi, dalle ragazze con master all'Insead, a New York dalle analiste finanziarie e, a Rio de Janeiro,
dalle nuove borghesi con villa nel quartiere di Santa Teresa. O, senza distinzione di ceto e di capacità di spese, da ogni
donna che, risparmiando venti euro o venticinque dollari al mese, voglia a un certo punto provare (intimamente) ed
esibire (in pubblico) il piacere di averne un paio ai piedi.
Vieni qui e capisci la forza e la debolezza dell'Italia manifatturiera, che pochi altri posti rappresentano bene come
questo sistema distrettuale, formatosi negli anni Cinquanta e Sessanta con l'industrializzazione di una campagna e di
un artigianato le cui origini risalgono al Duecento e al Trecento, quando i nobili della Serenissima si trasferivano in
estate nelle ville in riva al fiume portandosi dietro la servitù, inclusi i "calegheri", i calzolai e i ciabattini, che a Venezia
avevano fondato la loro confraternita nel 1268.
Dunque, la Riviera del Brenta è fedele all'archetipo di lungo periodo fissato da Carlo Cipolla in Storia facile
dell'economia italiana dal Medioevo a oggi: "La missione dell'Italia è produrre all'ombra dei campanili cose belle che
piacciono al mondo". Questa coerenza con il modello di sviluppo italiano, o almeno con quella parte che non ha
conosciuto il fenomeno della grande fabbrica fordista e che invece si è fondata sulle economie di territorio, ha visto
l'artigianato trasformarsi in piccola impresa industriale, nella perpetuazione e nella modernizzazione del sapere delle
corporazioni medievali. Questa perpetuazione e modernizzazione si è nutrita dell'energia ossessiva degli imprenditori
della Riviera che, oggi come nel periodo aureo degli anni Settanta e Ottanta, la domenica pomeriggio, a casa, si
sentono un po' persi. Un'evoluzione di quasi mille anni che, però, è stata segnata dalla poca forza finanziaria e
patrimoniale delle imprese. E dalla conservazione di un profilo prettamente manifatturiero. Nessuno è riuscito, nel
percorso dai laboratori artigiani alle organizzazioni industriali, a compiere il passo ulteriore: la creazione di un marchio
in grado di imporsi sui mercati internazionali. «Noi – dice Luigino Rossi, uno dei padri nobili del distretto – non
abbiamo mai avuto i capitali con cui fare il grande salto, con marchi e negozi nostri».
Luigino Rossi è entrato a 17 anni nel laboratorio artigianale del padre Narciso, che allora aveva cinque dipendenti. Nel
1960 prende l'aereo per Parigi, acquista le calzature degli stilisti, torna sulla Riviera e, insieme al papà, viviseziona la
scarpa destra di ogni paio. «Era un rito. "Ma guarda che colla hanno adoperato. Ma vedi qui il materiale. E questa
lavorazione?" Ogni volta io e mio padre ci rendevamo conto che le nostre scarpe erano fatte meglio rispetto a quelle che
avevo preso a Parigi».
L'intuizione, allora, si rivela giusta. Nel 1963 capita l'incontro che avrebbe cambiato la sorte imprenditoriale di Rossi e
che avrebbe, di fatto, segnato anche il destino produttivo della Riviera, trasformandola in un gigantesco laboratorio di
lavorazione conto terzi per il lusso internazionale: «Conobbi Yves Saint Laurent», dice Rossi. Da allora quasi tutti i
grandi stilisti stranieri hanno scelto Luigino Rossi per realizzare le loro calzature. Una traiettoria conclusasi, nel 2003,
con la cessione dell'azienda a Lvmh (Vuitton).
Rossi, che oltre a essere stato il presidente degli imprenditori calzaturieri italiani ed europei è stato anche editore del
Gazzettino di Venezia, ha il realismo dolce dell'establishment del Nord-Est, composto da persone che hanno creato dal
nulla imprese strutturate e redditizie, ma che si ricordano qual era il punto di partenza, quando la polenta era qualcosa
di ben diverso dall'alimento base da usare per i piatti di cucina destrutturata. E, dunque, accettano con tranquillità il
profilo del presente. Rossi conosce bene le imprese della Riviera. «I margini netti – osserva – sono sempre stati
compresi fra il 3 e il 5%. E i fatturati non sono mai stati giganteschi. Qui abbiamo sempre avuto aziende di piccola o
media dimensione». L'accumulazione di capitale, dunque, non c'è mai stata, perché semplicemente non poteva
esserci. Sì, gli artigiani-imprenditori hanno acquistato ville meravigliose sul fiume Brenta. Questa campagna veneta,
che fino agli anni Cinquanta ha conosciuto la povertà, ha capito che cosa è il benessere. Ma non in misura così
rilevante da permettere l'ultimo passo. «Anche se – nota l'industrialista Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo
economisti di impresa – questa particolare dimensione ha consentito all'insieme della struttura produttiva di superare,
pur fra mille difficoltà, la grave crisi che si è verificata fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila».
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Nelle alchimie del capitalismo italiano e internazionale non ci sarà forse stata la combinazione giusta, fra fattori umani
e materiali, perché una griffe del lusso (o anche solo un marchio autonomo di fascia alta) venisse generata dagli eredi
dei calegheri veneziani. Ma, di certo, questi ultimi avrebbero potuto, nei duri anni Novanta, fare una brutta fine. Come è
successo a Vigevano. «E invece – riflette Vitali – proprio l'elasticità e la flessibilità di questa fisionomia produttiva hanno
consentito la sopravvivenza del distretto e la selezione dei più virtuosi». Secondo gli ultimi dati elaborati dall'Acrib,
l'Associazione calzaturifici della Riviera del Brenta, qui ci sono 568 imprese che danno lavoro a 10.516 addetti e che,
producendo poco meno di 20 milioni di scarpe all'anno, sviluppano un fatturato aggregato di 1,65 miliardi di euro. Nel
2001 le imprese erano 993. Dunque, quasi il doppio rispetto al numero attuale. Impiegavano molto più personale:
14.260 addetti. Un quarto secco in più di adesso. Producevano poco più di adesso: 21,3 milioni di paia di scarpe. E
sviluppavano un fatturato aggregato quasi identico: 1,68 miliardi di euro. Giusto per usare il criterio del medio periodo,
nel 1991 le aziende erano 832 con 9.419 addetti e un valore storico di 800 miliardi di lire.
In questi vent'anni, l'unica cosa che non è cambiata è la quota di export: più o meno il 90% dei ricavi aggregati. Per il
resto, qui è davvero cambiato tutto. Di fronte alla crisi nera innescatasi fra il 1994 e il 1995 a causa della contrazione dei
consumi del ceto medio europeo a cui si rivolgeva una buona parte della produzione, questo sistema di sviluppo locale
aveva due opzioni: portare all'estero la produzione, come ha fatto buona parte del Nord-Est, abbattendo i costi e
accettando però l'auto-spoliazione delle competenze e lo scivolamento verso il basso della qualità; oppure provare a
conservare le posizioni di mercato, magari alzando ancora il livello della qualità, sapendo che a quel punto tutto si
sarebbe giocato sul controllo dei costi operativi e del costo del lavoro di un ipotetico bilancio consolidato della Riviera
del Brenta. «Abbiamo scelto tutti insieme – racconta il presidente dell'Acrib, Siro Badon – di provare ad alzare la qualità.
È stato un processo non semplice. Siamo riusciti a farlo con l'accordo totale del sindacato, con cui abbiamo realizzato
le ristrutturazioni». La Riviera del Brenta è forse il posto in Italia in cui i meccanismi concertativi fra associazioni delle
imprese e sindacati hanno funzionato meglio. «Ogni parte secondo le proprie prerogative e i propri interessi – spiega
Valeria Fedeli, leader dei tessili della Cgil – abbiamo definito ogni passo. Non soltanto sul tema della riduzione del
costo del lavoro. Anche sulla strategia di medio e lungo periodo». Non è stato facile. Fra il 1995 e il 2007, qui hanno
chiuso 330 aziende. Un trauma, per un pezzo d'Italia che, dai tempi del boom economico, non aveva mai conosciuto i
fallimenti e le chiusure forzate. Probabilmente, per questa alleanza fra imprese e sindacati, è servita la tradizione di
sinistra, in particolare viva nel Veneziano, in contrasto con l'eterna Balena Bianca del Veneto, sopravvissuta nello spirito
(e nei meccanismi di potere) anche alla fine della Dc.
In un contesto tanto complesso, esiste un tema di managerializzazione delle imprese che può corrispondere a una
fase diversa di sviluppo. A Fiesso d'Artico la famiglia Ballin ha affidato la guida operativa dell'omonimo gruppo (una
sessantina di milioni di fatturato quest'anno, contro i 53 del 2011) a un manager esterno di estrazione Marzotto, Luigi
Valsecchi, che ha sdoppiato la struttura societaria per razionalizzare le attività (produzione e sviluppo del brand)
spingendo soprattutto su quest'ultima attività. Produzione per le griffe o marchio proprio, la ricetta è sempre quella:
export, export, export. «L'area più interessante – spiega Valsecchi – è l'ex Unione Sovietica».
Se la managerializzazione è una opzione, un'altra possibilità è rappresentata dalle reti di impresa. Una forma
associativa che, timidamente, sta prendendo piede nel capitalismo produttivo italiano. A Fiesso d'Artico si trova il punto
vendita "Corte della pelle", che rappresenta una prima iniziativa di una rete di imprese formata da quattro piccole
aziende della Riviera e da una banca, Antonveneta. «La forma associativa – dice l'imprenditore Mauro Zampieri –
consente di avere un altro peso nel rapporto con le grandi reti commerciali, nella vendita dei nostri prodotti e nella
successiva gestione dell'invenduto». Oltre, naturalmente, ad aprire la prospettiva di andare sul mercato con negozi
propri. «Questa iniziativa ci incuriosisce – commenta Enzo Nicoli, responsabile della direzione corporate di Antonveneta
– perché rappresenta un metodo intelligente per provare a ovviare deficit strutturali come la piccola dimensione e la
sottocapitalizzazione».
Provando e riprovando. L'economia italiana è cresciuta soprattutto così. Anche se, il problema, è appunto che, sopra
una certa dimensione, sembra difficile andare. Giuseppe Baiardo, nel 2005, ha venduto la sua Iris a un gruppo
giapponese, Onward Kashiyama, che fattura 3,5 miliardi di euro. Iris continua a gestirla lui, gli "altri" sono buoni
azionisti che vogliono un ritorno sul capitale accettabile. «Semplicemente – spiega Baiardo – non avevo i soldi per
sviluppare il mio brand. Non ho sensi di colpa: va bene così. È successo a tanti altri. In fondo gli unici marchi della
Riviera sono Giorgio Moretto, che è stato rilevato da Prada, e Caovilla, un genio rinascimentale che però opera in una
nicchia».
Baiardo non dimostra rimpianti, mentre nello stabilimento di Fossò accarezza come fosse il piede di una donna una
scarpa di John Galliano, tacco venti, una vertiginosa architettura in miniatura. «La nostra abilità è fabbricare le cose
pensate da altri. Nella fase di industrializzazione ho ingegneri e fisici che fanno i calcoli. Sono orgoglioso e pazienza se
gli altri vendono a cento e io guadagno dieci».
Dai calzolai chini sotto la lampada agli ingegneri nucleari che progettano i tacchi a computer. Per questo, qui, sono
venuti gli "altri", le griffe che dominano i mercati globali. Armani ha rilevato quattro imprese. Prada ha preso uno
stabilimento. Louis Vuitton ha fatto due acquisizioni e aperto uno stabilimento nuovo. Operazioni strategiche, sotto il
profilo industriale. «La Manufacture de Souliers Louis Vuitton di Fiesso d'Artico – conferma Serge Alfandary, direttore
della divisione calzature di Louis Vuitton – ha 362 dipendenti, di cui 225 artigiani che lavorano non solo alle fasi
produttive, ma anche di studio e di progettazione di tutte le calzature Louis Vuitton».
Luigino Rossi ha un'idea precisa sugli investimenti realizzati nella Riviera del Brenta: «In pochi anni, soltanto Parigi ha
mosso non meno di 120 milioni di euro». Non male, in un Paese che si lamenta di non sapere attirare capitali stranieri.
Anche se, certo, dispiace l'assenza dell'ultimo (autonomo) passo verso il capitalismo dei grandi marchi (e dei grandi
guadagni). «Come sistema italiano abbiamo perso l'occasione negli anni Ottanta – racconta Rossi – allora avremmo
potuto stringere una alleanza vera con gli stilisti italiani. Soltanto che loro ci domandavano il 15% delle vendite, contro il
7% che per esempio ci chiedeva Yves Saint Laurent. Così, molti di noi hanno preferito lavorare con gli stranieri. E,
soprattutto, non è sorta alcun alleanza strategica fra connazionali. La storia italiana poteva essere diversa. Unendoci
avremmo forse potuto avere l'equivalente dei gruppi Pinault e Arnault».
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Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. La Riviera del
Brenta può contare sulla qualità dei prodotti e su una competenza nella manifattura ineguagliabile, ma trova un grosso
ostacolo nell'incapacità di fare rete
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
ATTRATTIVITÀ
La capacità attrattiva della Riviera del Brenta è a livelli di assoluta eccellenza. Qui si trova una competenza nella
manifattura della scarpa, in particolare femminile, che non ha pari al mondo. Dunque, c'è una infrastruttura della
conoscenza diffusa che spinge le griffe a scegliere di lavorare con questi produttori o ad aprire direttamente fabbriche
sul Brenta.
ALTO
2
PRODUTTIVITÀ
Una produttività all'italiana. Al crocevia fra artigianato e impresa. Fra manualità e tecnologia. Qualcosa di difficile da
spiegare, al di fuori di una interpretazione dello sviluppo italiano di lungo periodo. Non a caso gli operai e i tecnici, gli
imprenditori e i manager sono gli eredi dei "calegheri" veneziani.
BUONO
3
INNOVAZIONE
Una innovazione di prodotto particolare. Nel senso che, le scarpe, sempre scarpe sono. Soltanto che, qui, l'innovazione
si concentra sul saper fare, sulla manualità, sulla capacità di lavorare le materie prime. Un patrimonio che ha reso la
Riviera del Brenta un luogo di forte attrattività delle griffe internazionali.
DISCRETO
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
OCCUPAZIONE
Gli ultimi vent'anni sono stati come le montagne russe per il sistema distrettuale della scarpa di lusso. Che ha dovuto
affrontare una ristrutturazione profonda e un riposizionamento di mercato che non sono stati a costo zero. In particolare,
fra il 2001 e il 2011 si sono persi poco meno di quattromila posti di lavoro.
BASSO
2
DIMENSIONE D'IMPRESA
Il problema della Riviera del Brenta è il problema dell'Italia. A un certo punto i processi di crescita industriale si
bloccano. O, meglio, il sistema trova un'efficienza interna in una dimensione di impresa piccola o, al massimo, media.
Così, però, non si riesce a stare sulle parti più ricche delle catene internazionali del valore.
SCARSO
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
La difficoltà di fare rete riguarda sia il sistema interno del Brenta, sia l'economia italiana nel suo complesso. Non ci
sono state grosse operazioni di fusione, se non per evitare che qualche impresa chiudesse. E, allo stesso tempo, i
produttori veneti non sono riusciti a fare un'alleanza strutturale con gli stilisti italiani.
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31-10-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Occhiali del Cadore con vista sul mondo
Ad Agordo, paese-fabbrica nella cornice delle Dolomiti, quartier generale Luxottica e del suo welfare aziendale - NELLA
CAPITALE DEL REGNO - Il patron Leonardo Del Vecchio ha 7.500 dipendenti di cui 3.500 soltanto nel centro bellunese
In provincia le altre aziende contano oltre 16mila addetti
Mariano Maugeri
AGORDO (BL). Dal nostro inviato
«Un anno corre il cane, quello dopo la lepre». Così si esprimevano gli antagonisti di Luxottica nella seconda metà degli
anni '90, quando ancora i grandi nomi dell'occhialeria si contendevano il primato ad armi pari. Un macht senza
esclusione di colpi: un anno prevaleva un'azienda, l'anno dopo un'altra. Sembrava che il mercato fosse infinito, così
come il fascino delle griffe e la capacità di macinare utili. Alla fine, però, il cane allenato da Leonardo del Vecchio si è
fatto anche lepre e ha staccato tutti. Una corsa solitaria e senza sosta, la corsa del numero uno al mondo. Un leader
internazionalizzato, ramificato, con una rete di distribuzione che taglia trasversalmente i Continenti.
Nove mesi fa Luxottica ha comprato senza fare una smorfia la Tecnol (un'altra acquisizione è in vista, si veda articolo a
pagina 30), la principale fabbrica brasiliana di occhiali che possiede la catena di distribuzione più capillare di
quell'immenso Paese. Non che l'italianità di Luxottica sia venuta meno. Anzi. Agordo, un paese incastonato sulle
Dolomiti che si raggiunge zigzagando tra immensi fiordi asfaltati, è ancora un paese-fabbrica che sforna centinaia di
migliaia di occhiali al giorno (Luxottica non fornisce la produzione per singolo stabilimento) con 30 marchi diversi.
C'è anche la Cina, dove Del Vecchio, secondo uomo più ricco d'Italia dopo Michele Ferrero, il signor Nutella, di occhiali
ne produce 26 milioni l'anno. Re Leonardo ci ha tenuto a restituire una quota della ricchezza aziendale ai suoi
dipendenti, 7.500 in Italia e 3.500 ad Agordo. Questi ultimi occupano 82 mila metri quadrati rubati pietra dopo pietra alla
frazione di Valcozzena: polizze malattie per i dipendenti, l'acquisto dei libri di testo per i loro figli pagati dall'azienda, così
come le vacanze e le borse di studio. Un modello di stampo nordeuropeo che in Italia ha rarissimi emulatori.
Le altre 926 aziende italiane (con 16.150 dipendenti, di cui 12mila solo in provincia di Belluno) non stanno a guardare.
Lo storico rivale, la Safilo, ora nelle mani di un fondo olandese, ha evitato in extremis un piano di ristrutturazione lacrime
e sangue grazie alla pace sindacale raggiunta con la firma di un maxi piano di solidarietà.
Contraccolpi inevitabili della crisi, che ha portato a un'autentica morìa di terzisti, l'ammortizzatore economico che negli
anni del boom ha contribuito in misura determinante alla competitività del distretto. Conferma Renato Sopracolle,
vicepresidente del Sipao, la sezione dei produttori di occhiali di Confindustria Belluno: «Nel distretto c'è stata una sorta
di polarizzazione – osserva –: pochi grandi e molte piccole aziende, soprattutto quelle che hanno scovato una nicchia
nel fashion. I terzisti, che stavano in mezzo e spesso erano dipendenti dalla mono committenza, sono praticamente
spariti».
All'Anfao, l'associazione che riunisce i produttori di occhiali, per bocca di Astrid Galimberti e Francesco Gili, sottolineano
la crescita esponenziale dei volumi di export: «L'Italia esporta 90 milioni di occhiali l'anno». L'exploit nell'exploit lo ha
fatto Ray-Ban, un marchio che da solo vende nel pianeta tra i 20 e i 25 milioni di paia d'occhiali ogni 12 mesi. Pensare
che molti analisti sconsigliarono a Del Vecchio l'acquisto del marchio statunitense: «Come farà l'azienda di Agordo a
guadagnare dove gli americani hanno perso una barca di soldi?», dicevano. La risposta l'ha data il mercato. Luxottica è
presente in 130 Paesi al mondo. Un gigantismo che non ha annullato il dinamismo e la mobilità nel distretto, che si é
rigenerato spontaneamente con la ricollocazione nelle aziende committenti di molti terzisti costretti a gettare la spugna.
Una cooperazione verticale che dovrebbe fare scuola.
Il cambiamento si può riassumere con una battuta: chi non è arrivato al mercato con un suo marchio o una rete
commerciale propria si è autocondannato. Sono stati anni duri, inframezzati da un dibattito asprissimo tra industriali e
sindacato sulla propensione troppo spiccata a delocalizzare. Per fortuna, la voglia di tornare sta prevalendo su quella di
espatriare. Lo spiega bene il presidente di Sipao, Lorraine Berton: «L'80% degli occhiali prodotti nel Nord-Est va
all'estero. La qualità su un prodotto fashion e per di più marchiato made in Italy è fondamentale. Oggi i clienti
preferiscono spendere di più ma avere un prodotto perfetto. Ecco perché si sta rivalutando la professionalità delle
nostre lavoratrici. La Cina è quantità, l'Italia qualità. Qualità femminile, aggiungerei: nel Nord-Est due dipendenti su tre
sono donne».
Di qui discendono una serie di azioni volte alla formazione di figure professionali sempre meglio attrezzate. Ci sono
voluti tre anni affinché Roma autorizzasse l'avvio di un indirizzo meccanico e meccatronica, con l'opzione di tecnologia
dell'occhiale, all'Istituto tecnico industriale di Belluno. «Sono i tempi del ministero», allarga le braccia la Berton. Le
aziende hanno un passo diverso e tengono come un metronomo il tempo del mercato: tra i primi cinque grandi
mondiali, a parte un'azienda americana, ci sono sempre Luxottica, Safilo, De Rigo, Marcolin (il cui controllo poche
settimane fa è passato ai francesi di Pai partners), con un cameo rappresentato dalla Fedon di Pieve d'Alpago, che
produce raffinatissimi astucci per occhiali e non a caso ha scelto di quotarsi alla borsa di Parigi.
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Banche Dati online
L'export corre come un treno ad alta velocità soprattutto sui mercati emergenti: Brasile, Messico, Russia, Singapore e
Cina hanno incrementato gli acquisti del 30 o 40 per cento. Oltre all' export, l'altra parola chiave è fashion, sempre più
fashion: gli occhiali da vista o da sole sono un accessorio che per le misteriose traiettorie dei gusti e delle tendenze è
diventato un tratto distintivo delle personalità di chi li indossa.
Una volta il verbo più diffuso e ormai desueto era inforcare: s'inforca la protesi, s'indossa l'oggetto di moda. L'eterna
primavera degli occhiali sta tutta nello slittamento di un verbo.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto descritto dagli inviati del Sole 24 Ore è definito nei suoi punti di
forza e di debolezza.
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
CAPACITÀ DI FARE RETEÀ
È una scelta spontanea, più che strutturata. Ma la frenata di questo ultimo decennio
con la chiusura di molti terzisti, ha suggerito alleanze nelle innovazioni di prodotto che stanno dando ottimi risultati
ALTA
2
INTERNAZIONALIZZAZIONE
L'occhialeria si è sottratta dalla fuga in massa verso i Paesi emergenti, malgrado sia un settore labour intensive. Al
made in Italy e all'alta qualità delle maestranze nordestine, d'altronde, non si rinuncia facilmente.
BUONA
3
OCCUPAZIONE
Vedi alla voce precedente. Con il felice paradosso che molti terzisti che hanno chiuso le loro aziendine sono stati
riassorbiti dai loro clienti, in molti casi proprio quei big del settore che hanno internalizzato i processi.
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
ALLEANZE STRATEGICHE
Neppure l'ombra, malgrado Belluno e Treviso abbiano una concentrazione notevole d'imprese. I big, Luxottica in testa,
sono diventati tali grazie alla straordinaria forza di penetrazione commerciale.
BASSA
2
ATTRATTIVITÀ
Bassa, quasi inesistente. Ma forse è una questione psicologica più che la deterrenza territoriale. Nel senso che il
distretto degli occhiali ha enormi competenze, ma gli stranieri stanno alla larga dalla tana del lupo.
SCARSA
3
CAPACITÀ COMMERCIALE
È qui che si vince o si perde. Le grandi lo hanno dimostrato in modo plastico. Falliti i progetti di accordi tra imprese per
chiudere la filiera finanziati dalla Regione Veneto con la legge sui distretti.
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03-12-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Il tessile del Vicentino si veste di alta qualità
La risposta dell'innovazione alla sfida della concorrenza cinese - TRA PASSATO E PRESENTE - Nelle circa settecento
aziende artigiane dell'area il 60% degli addetti è donna Formazione e reti d'impresa cruciali per guardare al futuro
Barb ara Ganz
VICENZA. Dal nostro inviato
Un nome storico come Marzotto Spa, primo gruppo italiano del tessile. Una presenza dai contenuti fortemente innovativi
come Diesel, che a Breganze ha inaugurato nel 2010 la nuova sede-villaggio con tanto di asili, palestra, bar e campo
da calcio. La continuità di Bottega Veneta, oggi di proprietà della multinazionale francese PPR ma solidamente radicata
in territorio veneto, tanto da creare qui una scuola che tramandi il mestiere.
Il distretto tessile vicentino è nei grandi nomi e nella miriade di imprese diffuse: «Una provincia che sfiora il milione di
abitanti – dice Michele Bocchese, presidente della sezione Moda degli industriali veneti –. Qui si trova il "monte" della
produzione, ovvero la tessitura, la filatura, le diverse fasi che nobilitano i tessuti, e anche la "valle", l'industria della
confezione e della maglieria. Due mondi diversi, ma collegati, a diverse intensità di capitale e lavoro». Il momento è
difficile per i distretti, tutti: «Abbiamo perso addetti, 100mila in tre anni a livello nazionale, ma questo è ancora un settore
che dà lavoro a 70mila famiglie in regione. E non dimentichiamo che per il 60% si tratta di occupazione femminile». La
famiglia – e le sue donne – è fra i cardini del tessuto vicentino: lo stesso Bocchese mostra lo stemma con la data,
1908, accanto al cognome di una delle più antiche aziende venete, rilanciata pochi anni fa, di proprietà della Miles,
fondata nel 1962, un fatturato di oltre 22 milioni e oltre 100 dipendenti, specializzata in maglieria di alta gamma. Le
aziende, rispettivamente, di mamma e papà. Il setificio Bocchese è rinato per decisione «metà di testa e metà di
cuore», puntando su una delle produzioni che la concorrenza cinese sembrerebbe avere sbaragliato, ma non è così:
«Noi vendiamo la seta ai cinesi: una seta reinterpretata, mescolata al cotone o a fibre sintetiche per effetti moderni,
capace di reggere gli utilizzi più sportivi, trattata per essere anti-pioggia e anti-vento. Abbiamo recuperato i telai del
passato, ma creato effetti e lavorazioni innovative», racconta.
Innovazione è l'altra parola che si ripete. E conoscenza, perché non è un caso se qui le griffe continuano ad affidarsi:
committenti che portano i nomi di Vuitton, Gucci, Moncler, Dior, Chanel e che sempre più cercano di strutturare
collaborazioni di lunga durata, stabili. «Qui cercano, e trovano, qualità del prodotto, puntualità, creatività, innovazione»
dice Stefano Stenta, presidente del Sistema moda Vicenza di Confartigianato, scorrendo i risultati di una ricerca affidata
allo Studio Ambrosetti e tarata sulle esigenze della committenza. I problemi non mancano e non sono certo legati alla
crisi attuale: «Negli anni Ottanta l'Europa ha annullato le protezioni a difesa del tessile, mentre altri Paesi alzavano le
proprie barriere. E in questo contesto si sono susseguiti i diversi cicli economici, nei quali l'export del tessile e
abbigliamento è sempre rimasto trainante per l'economia nazionale, dietro alle macchine utensili».
Oggi i dati parlano di circa 700 aziende artigiane associate, il 65% delle quali ha un'età media di 30 anni, dunque con
un passaggio generazionale ancora da affrontare. «Il vero rischio – osserva Stenta – è quello di non riuscire ad
aumentare l'attrattività di questo comparto verso i giovani, di perdere competenze, e la formazione è un punto cruciale.
Non bastano i programmi degli istituti statali e neanche i percorsi dell'apprendistato specializzante. La verità è che
bisognerebbe portare all'insegnamento le esperienze migliori delle aziende». Un tentativo difficile – come difficile è
superare le logiche individuali e imparare a usare le aggregazioni e le reti d'impresa – e insieme un ritorno al passato:
perché «una volta si pagava per andare in bottega a imparare; mio nonno pagava il conte Rossi perché insegnasse un
mestiere a sua figlia, mia mamma, che poi ha fondato l'atelier Stimamiglio». L'azienda oggi ha 30 dipendenti e fa
progettazione modellistica per quelli che qui non si chiamano sub, ma superfornitori.
Le altre sfide del tessile vicentino riguardano la concorrenza sleale, la politica del prezzo combattuta con la
responsabilità sociale e la collaborazione stretta fra cliente e fornitore. I dati mettono in evidenza quello che viene
definito "effetto sostituzione": in Veneto nel 2002 gli imprenditori cinesi nella moda erano 624, nel 2012 sono diventati
2.155; nello stesso tempo gli italiani sono scesi da 5.547 a 3.023, una diminuzione di 2.524 unità. Ma il rapporto con la
Cina non è affatto lineare: se i grandi marchi stanno ritirando le produzioni dai Paesi asiatici, riportandole in patria, le
fabbriche orientali devono imparare a produrre per il proprio mercato e lo fanno rivolgendosi a chi di know how ne ha a
bizzeffe.
«Questo sapere di prodotto è una delle caratteristiche del nostro distretto – osserva Manuela Miola, presidente della
sezione Moda Industria di Confindustria Vicenza e nel cda di Forall Confezioni, azienda di Quinto Vicentino che produce
Pal Zileri –. Le nostre aziende hanno saputo creare e sviluppare prodotti con la sapienza artigiana e hanno saputo
migliorarli nel tempo fino a farli diventare ricercati e sofisticati. Pensiamo per esempio al capospalla o al lavaggio dei
jeans. Negli ultimi anni si è sviluppata una contaminazione internazionale con diversi Paesi e tra diversi settori: ci sono
molti esempi di noti designer internazionali che hanno collaborato e collaborano tuttora con aziende del nostro
territorio, portando nuove idee e l'entusiasmo di chi entra in contatto con una realtà dove in pochi chilometri trova una
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densità di esperienza, di artigianalità e di tradizione che in pochi altri contesti è possibile trovare. È un distretto creativo,
integrato e supportato anche dalla qualità del sistema formativo con gli esempi di eccellenza rappresentati
dall'Università di Padova, dal Cuoa, dallo Iuav. Ed è proprio questo, secondo me – prosegue Miola – il punto sul quale
occorre insistere e investire: rafforzare il legame fra aziende, Cuoa e atenei per poter puntare su un ulteriore sviluppo
manageriale del comparto».
Tutti segnali di una tradizione che si evolve e che Pietro Garbossa ha vissuto nelle diverse fasi: «Ho iniziato a 26 anni
nel salotto di casa mia, poi sono andato nel sotterraneo del cinema a Scaldaferro di Pozzoleone, dal 1970 al 1983. Mi
sono trasferito a Cartigliano fino al '96, poi ho comprato la fabbrica nuova a Bassano e adesso, da due anni, sono di
nuovo a Cartigliano. Con me lavorano ancora due di quelle ragazze che andavo a prendere la mattina; andavamo in
azienda a lavorare in Cinquecento, togliendo i sedili ci si stava in undici. Ho avuto linee mie, quando la Germania
comprava e lavorare misto lana invece che acrilico era come usare il cachemire di adesso. Una volta compravo i
macchinari e li davo in comodato d'uso a chi produceva per me, con la differenza che così la qualità era davvero
garantita, l'errore di fare e disfare un maglione fatto male non ricadeva sull'azienda. Oggi siamo all'opposto: abbiamo
tutto all'interno, la stiratura, il confezionamento, e allo stilista francese che viene da noi mostro subito l'azienda, così sa
che è tutto sotto controllo, tutto garantito da noi».
Oggi Vicenza Mode ha 50 dipendenti, al limite fra la dimensione artigiana e quella industriale. Il figlio Riccardo è entrato
in azienda una settimana dopo la fine degli studi; poi è arrivato Giovanni, che dice con orgoglio: «Il più vecchio dei nostri
macchinari ha tre anni». Due anni sono stati impiegati a fare carte e documenti per poter partecipare a Pitti, «ma non
siamo stati ritenuti interessanti. Siamo stati invece a Parigi, a Première Vision, e tre giorni dopo avevamo i clienti in
casa. E sono clienti che non chiedono di tirare sul prezzo, fanno capi che vendono a migliaia di euro, vogliono e cercano
l'esecuzione perfetta e la soluzione ai problemi». Una girandola di cambiamenti «e ogni volta sono ringiovanito 10
anni», dice oggi Garbossa padre, quasi una fotografia del tessile di questa zona, che negli anni ha cambiato tutto, ha
innovato, imparato lezioni e messo in discussione certezze, ma è rimasto fedele alle origini.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del polo
vicentino attrattività e innovazione sono punti di forza, ma la scarsa capacità di fare rete rappresenta una debolezza
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
ATTRATTIVITÀ
Al distretto di Vicenza guardano praticamente al completo le griffe mondiali: secondo una recente indagine dello Studio
Ambrosetti le maison cercano qualità del prodotto e competenze specifiche, velocità di reazione e rispetto dei tempi di
consegna. Decisamente meno rilevante la corsa al ribasso nei prezzi, mentre i rapporti di collaborazione diventano
sempre più stabili
ALTO
2
INNOVAZIONE
Sia di prodotto che di processo.
Ci sono materiali che cambiano veste (la seta applicata all'abbigliamento sportivo, antipioggia e antivento, ad
esempio), nuove lavorazioni e l'utilizzo delle nanotecnologie per migliorare le performance dei tessuti. Il limite delle
ridotte dimensioni aziendali si riflette però spesso nella possibilità di investire e di crescere anche sotto questo punto
di vista
BUONO
3
EXPORT
Il tessile-abbigliamento rimane una voce determinante nella bilancia dei pagamenti nazionale. Nemmeno la Cina fa
paura e sono molte le aziende che trovano proprio qui il proprio primo mercato di riferimento. Senza cadere nell'errore
di produrre «per i cinesi e nel gusto cinese»: molte esperienze passate dimostrano che a essere ricercato è proprio lo
stile del Made in Italy e in Vicenza
DISCRETO
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
CONCORRENZA SLEALE
L'effetto sostituzione fra titolari di imprese italiani, in vertiginoso calo, e di altre nazionalità, orientali in primis, mostra
che il problema c'è. La risposta è ancora in fase di definizione, ma passa per i tavoli di lavoro con i sindaci, le
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associazioni di categoria, la Prefettura. Decisivo risulta anche il richiamo alla responsabilità sociale di impresa, per
evitare il ricorso a forme di lavoro sottopagate e l'impoverimento del tessuto produttivo
BASSO
2
DIMENSIONI D'IMPRESA
A parte le presenze di grandi aziende, molte sono le realtà artigiane e fra queste predominano quelle nelle quali il
titolare è di prima generazione. La sfida del passaggio generazionale e della crescita è in questi casi tutta da affrontare.
La piccola dimensione inoltre penalizza nelle strategie di mercato e nell'accesso al credito e rende le Pmi meno visibili
e poco identificabili dal consumatore finale
SCARSO
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Come per buona parte dell'economia veneta, il tessile non fa eccezione. I processi di aggregazione stentano a
decollare, sia all'interno della filiera, sia nei confronti degli altri settori – dalla pelletteria alla gioielleria – che potrebbero
presentare possibili sinergie e che proprio nel Vicentino trovano punti di eccellenza. Determinante potrebbe essere il
ruolo delle associazioni di categoria
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13-12-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Il calore resiste oltr econfine e imbocca la str ada hi-tech
Domanda interna debole per le 142 aziende locali della termoregolazione - L'AUSPICIO DELLE IMPRESE - Ettore
Riello: «L'assenza di una chiara politica energetica penalizza fortemente il settore» Paola Ferroli: «È stato un errore
puntare tutto sul fotovoltaico»
Luca Orlando
LEGNAGO (VR). Dal nostro inviato
«Li collaudiamo tutti, mica possiamo permetterci difetti». Nell'impianto Riello di Legnago il direttore di produzione ci
indica l'oblò lungo la linea di montaggio, dove la fiamma si vede appena. Il bruciatore passa il test e finisce
all'imballaggio, pronto per la spedizione in tutto il mondo, «ora il 60% delle nostre vendite finisce all'estero e il 40% in
Italia – spiega il presidente Ettore Riello – mentre prima era il contrario». La metamorfosi del gruppo, forte di 532
milioni di ricavi nel 2011 con un calo marginale previsto quest'anno, è in fondo ciò che è accaduto all'intero distretto
della termomeccanica veronese, costretto a spingersi oltreconfine per sopravvivere alla frenata progressiva del mercato
interno. Il caldo e il freddo sono la ricchezza del territorio, con 142 aziende impegnate a produrre caldaie, bruciatori,
termosifoni, attrezzature per ventilazione e refrigerazione, motori e componenti correlate. E se in dieci anni l'area ha
perso quasi una trentina di imprese, chi ha resistito ha saputo crescere conquistando nuovi mercati, come dimostrano
le esportazioni, più che raddoppiate dal 2002 a 1,2 miliardi di euro, come segnala il monitor distretti di Intesa Sanpaolo.
«L'Italia è molto sofferente – chiarisce Riello – l'estero va un poco meglio ma a macchia di leopardo». Gli ultimi numeri
del distretto, infatti, vedono anche per l'export un 2012 difficile, con un calo semestrale del 3,2 percento. Ma rispetto
all'abisso italiano c'è da festeggiare, perché gli ultimi numeri di Assotermica vedono per il Paese un crollo dei volumi
del 15 percento. «Da un lato l'edilizia è un dramma – spiega il presidente di Assotermica Paola Ferroli –, dall'altro il
nostro settore paga pesantemente la crisi dei consumi». Ferroli è l'altro colosso del distretto, con previsioni 2012 di
525 milioni di ricavi (+2/3%) con 3.200 addetti, un terzo in Italia e gli altri sparsi negli stabilimenti in Cina, Spagna,
Polonia e Turchia. «Percorso iniziato anni fa – spiega Paola Ferroli, direttore marketing del gruppo - ma certo ora per le
aziende esportare non è più un'opzione ma un obbligo». Esportare ma anche produrre direttamente all'estero, dove alla
più agevole fornitura dei mercati locali si aggiunge il vantaggio di oneri inferiori rispetto all'Italia. «In Turchia tutti i
concorrenti tedeschi hanno una produzione diretta di caldaie, noi per ora la serviamo da qui ma è chiaro che
considerando i costi dell'energia e della manodopera, in Italia si deve razionalizzare l'attività». «E del resto – aggiunge
Ettore Riello, che ha stabilimenti produttivi anche in Polonia e Cina – qui un operaio costa 28mila euro, a Varsavia
7mila, a Pechino 3mila, il problema del costo del lavoro è drammatico». Per il distretto non è però l'unico nodo, e forse
neppure il principale. Alle aziende locali le scelte nazionali sulla politica energetica non hanno certo fatto piacere, in
primis nella decisione di puntare sul fotovoltaico come fonte principale su cui orientare risorse, attenzioni e incentivi.
«Trovo devastante – scandisce Riello – la pochezza della politica energetica del nostro Paese, dipendiamo troppo
dall'estero, non puntiamo sul risparmio energetico, non facciamo nulla per cambiare ed efficientare il parco caldaie
esistente. Nella ricerca ad esempio spendiamo il 3-4% dei ricavi ma è difficile decidere dove puntare se la politica
cambia sempre idea. Ecco, noi siamo bravissimi nell'adattamento delle tecnologie e nella customizzazione dei prodotti,
ma quando si parla di piani a lungo termine e di politica industriale siamo indietro anni luce». «Se ci fosse una politica
nuova sulle ristrutturazioni – aggiunge Paola Ferroli – i consumi potrebbero scendere nelle case anche del 30%,
puntare solo sul fotovoltaico ha fatto grandissimi danni». In realtà gli incentivi sono arrivati anche per alcuni comparti
della Termomeccanica, come ad esempio le caldaie a condensazione, ma i meccanismi studiati, secondo gli
operatori, non hanno facilitato la diffusione del fenomeno. «Nelle grandi città – spiega Paola Ferroli – le canne fumarie
non sempre consentono queste installazioni, si dovrebbero attivare alcune deroghe per rendere realmente efficace lo
strumento». «Gli sgravi aiutano – aggiunge Riello – ma servirebbe un ricambio massiccio del parco installato, perché
gli ultimi studi dimostrano che solo il 10% degli impianti è davvero a norma». Ma anche a fronte di una politica
disattenta, di oneri di sistema rilevanti e di una fiscalità non certo di vantaggio, il distretto resiste, conquista commesse
estere, offre lavoro a quasi 6mila addetti e sviluppa due miliardi di ricavi. «Dopo il crollo del 2009 – spiega il
responsabile della ricerca industry di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – il fatturato ha mostrato un rimbalzo nei due
anni successivi, tornando vicino ai livelli mediani del 2008. La redditività è invece scesa, con un Ebitda arrivato al 7,2%
dall'8,6% del 2008. Le imprese hanno dunque cercato di mantenere la quota di mercato sacrificando i margini e
spingendosi sempre più all'estero, anche se qui il peso dei nuovi mercati resta ancora contenuto». Il distretto paga
anche altre aree di difficoltà, tra cui spicca la crescita dell'indebitamento, con il rapporto tra debito e patrimonio quasi
raddoppiato da 1,06 a 1,76 tra 2005 e 2010. Debolezza che si accompagna a una chiara segmentazione tra imprese:
"big" che si contano sulle dita di una mano, con Riello e Ferroli a valere da sole il 40% dei ricavi del distretto a fronte di
decine di microimprese, tra cui ben 101 aziende con meno di dieci addetti. Chi ha dimensioni adeguate ha capito per
tempo che automazione e innovazione sono le armi principali per resistere e rimanere competitivi. Sul fronte dei
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prodotti gli sviluppi riguardano caldaie a condensazione sempre più efficienti, pompe di calore, utilizzo integrato di più
fonti per arrivare a sviluppare tecnologie ibride, inserimento progressivo dell'elettronica per gestire gli apparati,
spostando progressivamente l'attenzione nel campo della domotica. Dal punto di vista dei processi c'è invece una
sempre maggior attenzione all'automazione, con un inserimento massiccio di robot in fabbrica per migliorare la
produttività. Nell'impianto Riello, ad esempio, le linee di montaggio dei bruciatori sono 12, i robot gestiscono più fasi
del processo, i computer "ordinano" il trasporto dei prodotti sui pallet solo quando le quantità consentono un carico
efficiente. E anche cambiando azienda il quadro non cambia. «Vede – ci spiega il direttore commerciale di Aermec
Luigi Zucchi – in questa fase fanno tutto le macchine, le persone controllano e basta». I robot infilano in sequenza
motore e ventole, le fissano ai supporti, tutto è automatico, tranne il test finale e l'imballaggio. Nell'azienda di
Bevilacqua, 175 milioni di ricavi con 650 addetti, la ricerca assorbe il 3% del fatturato, l'adozione della lean production
ha ridotto del 20% i tempi di attraversamento dei prodotti, le nuove maxi-camere di collaudo consentiranno di eliminare
un collo di bottiglia nel processo, il risultato degli investimenti è visibile chiaramente in fabbrica, con dosi robuste di
automazione nella parte più "standard" dei prodotti, cioè i ventilconvettori. L'azienda, guidata da un altro ramo della
famiglia Riello, ha scelto di concentrarsi nel settore della climatizzazione, dunque non solo "caldo" ma soprattutto
"freddo". Lo scorso anno è arrivata al record storico dei ricavi, con il 50% delle vendite all'estero, nel 2012 paga dazio
alla crisi. «Italia ed Europa frenano – spiega Zucchi – solo l'extra-Ue garantisce margini di crescita, ecco perché ora
vogliamo spingerci anche in Usa, Canada e Nuova Zelanda, allargando il più possibile i mercati di riferimento». Il nodo
del settore, per Aermec come per altre aziende, è l'imprevedibilità del mercato, con picchi di domanda e poi vuoti
improvvisi, flessibilità che si possono gestire solo attrezzandosi per tempo. «Qui abbiamo una sessantina di fornitori
locali – spiega Zucchi – e la prossimità è un valore fondamentale quando devi reagire in tempi rapidi. L'altro asset è la
disponibilità del personale: ad agosto abbiamo chiesto su base volontaria due settimane di lavoro in più per gestire un
picco di ordini e il 70% dei dipendenti ha accettato».
Lo straordinario, nel distretto, non è però la regola e anche qui la crisi si fa sentire, con 1,7 milioni di ore di Cassa
integrazione tra gennaio e agosto, in otto mesi quasi l'intero valore del 2011. In Cig sono ad esempio i 350 addetti della
Sime, 73 milioni di ricavi per il 50% all'estero, con un 2012 difficile soprattutto per il calo del 20% del mercato italiano.
«Come reagiamo? Andando con più decisione all'estero e tagliando tutti i costi possibili – spiega il presidente Maria
Cristina Menini –, tutto tranne l'innovazione e la ricerca sul prodotto. Quella no, è l'unica cosa che non tocchiamo».
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IL RATING DEL SOLE
La valutazione
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è valutato nei suoi punti di forza e di debolezza. La termomeccanica
di Verona innova ed esporta molto; la frenata del mercato interno è il punto critico principale.
PUNTI DI FORZA
1
INNOVAZIONE
I gruppi maggiori investono in ricerca il 3-4% dei ricavi, con punte più elevate
per le piccole realtà di nicchia, ad esempio nell'elettronica. Visitando le linee produttive si può osservare il massiccio
investimento in automazione e tecniche "lean", utilizzate per migliorare
la produttività e ridurre i tempi di attraversamento dei prodotti lungo la fase di montaggio.
2
INTERNAZIONALIZZAZIONE
La quota di export è in media pari al 60% e il livello assoluto delle esportazioni è arrivato a superare il picco pre-crisi del
2008. I gruppi maggiori hanno aperto filiali produttive all'estero e il trend sembra destinato a proseguire. Il limite
dell'area è ancora l'eccessiva dipendenza dai mercati tradizionali come la Germania, mentre cresce ancora a macchia
di leopardo il peso dei paesi emergenti.
3
ATTRATTIVITÀ
Il tema del risparmio energetico e dell'efficienza nel consumo è diventato ormai pervasivo in tutti i Paesi. L'esempio del
Gruppo Giordano, nato pochi anni fa e in grado di svilupparsi nell'elettronica dimostra che in quest'area le possibilità di
crescita ci sono ancora. Incentivi mirati alla sostituzione del parco caldaie italiano darebbero ovviamente al distretto una
spinta decisiva per la crescita.
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
DIMENSIONE D'IMPRESA
I primi due gruppi del distretto veronese, Riello e Ferroli valgono il 40% dei ricavi dell'intero distretto. Accanto ai due big
e ad una manciata di imprese di dimensioni medie vi sono un centinaio di realtà che contano meno di dieci addetti.
Dimensioni ridotte che non consentono altro se non la presenza "al traino" dei big del territorio, con la conseguenza di
una limitata presenza all'estero.
2
COSTO DEL LAVORO
Tra i principali handicap spiccano il costo del lavoro (penalizzante in tutta Italia, però) e le infrastrutture. In alcuni punti
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chiave del distretto, come Legnago e Bevilacqua, il casello autostradale più vicino è a 40-50 chilometri di distanza.
Infrastrutture «pessime», ci confida un imprenditore, situazione grave perché l a logistica di questi prodotti non è affatto
agevole e richiede la movimentazione di molti Tir.
3
MERCATO INTERNO
In media nel 2012 cede il 15%, con punte di calo del 20% per alcuni prodotti specifici.
Gli incentivi sulle caldaie a condensazione hanno aiutato il mercato, tuttavia secondo Assotermica, l'associazione di
categoria, questi sostegni andrebbero resi permanenti. Pesa la ridotta capacità di spesa, si aggiusta l'usato e non si
compra il nuovo.
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18-12-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
La recessione non sale sulle giostr e venete
Dagli Usa alla Cina: mercati diversificati contro la crisi e investimenti in tecnologia e innovazione per il cluster - LE
RIPERCUSSIONI - A causa della spending review il network risente dei tagli delle amministrazioni locali in occasione di
celebrazioni e di sagre per i patroni cittadini
Barb ara Ganz
ROVIGO. Dal nostro inviato
Non c'è crisi che possa far rinunciare a un giro di giostra per i bambini, o ad alzare lo sguardo sui fuochi artificiali che
suggellano un evento, che sia su scala paesana, per il santo patrono, o mondiale, trasmesso in diretta tv come
un'inaugurazione olimpica. Non c'è crisi che tenga se il mercato al quale guardi è il mondo intero, così che se c'è un
Paese che arretra, un altro emerge e compensa la domanda mancante.
La nicchia di distretto che vede aziende a cavallo fra le province di Rovigo (oltre la metà del totale) e di Vicenza, con
qualche presenza nel Trevigiano, Veronese e Padovano, si definisce un “mondo delle emozioni”, ma sono punti di forza
estremamente pratici – l'innovazione, la tecnologia – quelli sui quali punta. Un mondo che conta circa 100 realtà, un
fatturato superiore ai 300 milioni, una propensione all'export ai livelli del 90% e una occupazione stabile, 1.500 addetti.
«Non notiamo arretramenti, anzi, qualche segnale positivo – dice Franco Cestonaro, funzionario della Cna e referente
del distretto, riconosciuto dalla Regione Veneto –. Parchi divertimento e luna park esistono ovunque, così come
l'abitudine a organizzare feste che si concludono, sempre, con lo spettacolo pirotecnico. Quello che avviene qui è un
miracolo continuo di creatività».
Nei giorni scorsi, fra Bergantino e Melara, paesi che accolgono le principali presenze del distretto, hanno fatto visita 30
buyer, «tutti titolari di nuovi parchi dagli States, e poi Argentina, Messico, Guatemala, Brasile, Turchia, Venezuela. E le
commesse non sono mancate – sottolinea Cestonaro –. Dobbiamo puntare sempre più sull'internazionalizzazione,
perché avere un prodotto di qualità e non farlo conoscere, non portarlo all'estero, è un controsenso. Per questo serve
investire nei processi di aggregazione, mettere le aziende in rete, consentendo anche alle più piccole di fare ricerca, di
innovare e poi presentarsi su nuovi mercati. Certo in questo periodo le banche non aiutano, il credito è fermo».
Se le origini della giostra made in Polesine risalgono fino alle fiere medievali, con un boom coinciso con il dopoguerra,
oggi le trasformazioni si succedono a ritmo incalzante. Merito, anche, delle collaborazioni in atto fra il distretto e le
università di Padova e Venezia, con tutte le facoltà che possano dare un contributo, dal design all'ingegneria. Così, in un
tessuto di aziende che si sono specializzate nelle diverse fasi di lavorazione – verniciatura, lavorazione del legno e della
vetroresina, illuminazione, carpenteria metallica leggera e pesante – la svolta in atto è verso produzioni a risparmio
energetico, sempre più attente all'impatto ambientale e ai consumi, con strutture leggere che significano risparmi sia
nel trasporto che nella manutenzione.
Ma c'è anche chi ha fatto un punto di forza nell'avere sotto controllo ogni fase della produzione: «Abbiamo sviluppato un
know how completo da ogni punti di vista: artistico, strutturale, idraulico, ogni tassello – spiega Alberto Zamperla,
presidente della Spa con sede ad Altavilla Vicentina, 50 milioni di fatturato per il 95% realizzato all'estero, una storia di
famiglia e un passaggio generazionale già assicurato –. Questo permette al committente di avere un unico
responsabile con il quale confrontarsi, e dal quale attendersi eventualmente soluzioni o supporto tecnico». Una
strategia che si è dimostrata vincente nel rapporto con l'amministrazione di Coney Island, dove è stato realizzato un
parco curato dal progetto iniziale fino all'apertura.
Nella strategia aziendale gli altri cardini sono la presenza diretta sui mercati principali – Usa, Russia ed Emirati arabi, e
con stabilimenti anche produttivi in Cina e Filippine – per poter intercettare più rapidamente gusti e tendenze, e la
completezza della gamma: ogni settore, dalla giostra per bambini a quella per adulti e teen ager, da quelle per le
famiglie ai progetti speciali – è presidiato. Fra le ultime realizzazioni, quelle in centri poco di frequente abbinati a eventi
festosi: Zamperla è al lavoro per il parco in costruzione a Baghdad, mentre le immagini del leader coreano su una
giostra dell'azienda veneta – che sull'argomento mantiene una stretta privacy, richiesta dal committente – hanno fatto il
giro del mondo.
«Non c'è un momento di svago più alla portata di un giro in giostra» osserva Zamperla, discendente di una famiglia di
artisti del circo e con un nonno che, dopo una vita da ambulante in giro per l'Italia, intravide il possibile successo dei
parchi gioco fissi, iniziando a costruire da sé le prime attrazioni subito richieste da altri. Oggi tutte le giostre vengono
testate personalmente dal presidente della società, che confessa il debole per le montagne russe, ma anche la
difficoltà di fare impresa in Italia: «L'ideazione e il fulcro dell'azienda restano qui, ma potessi mettere le ruote a questo
stabilimento e ai 160 dipendenti lo farei, così anche loro potrebbero avere un'imposizione fiscale minore. Solo un
esempio: per il parco di Coney Island due attrazioni erano in ritardo, le abbiamo montate ma mancava il collaudo, ho
chiesto al capo ispettore quando avrebbe potuto venire, e lui mi ha semplicemente chiesto: quando sarete pronti? Il
controllo è stato fatto alle 6 della domenica mattina dell'inaugurazione, con le scuse per aver dovuto far pagare gli
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straordinari. È un rapporto completamente rovesciato fra il cittadino e lo Stato, con una forma di difesa verso chi fa un
investimento e crea posti di lavoro», rimarca con una certa amarezza Zamperla. Negli uffici commerciali le addette
rispondono al telefono parlando in russo o in spagnolo. In ottobre è arrivato l'ordine per la fornitura di due attrazioni per
il parco Disney di Shanghai, battendo oltre alla concorrenza mondiale i principali costruttori cinesi: 9 milioni di valore,
consegna a fine 2014. La Cina, temibile competitor, viene così affrontata in casa; è così anche nel campo dei fuochi
d'artificio, perché a essere cercate nel made in Italy non sono tanto i prodotti, riproducibili, ma l'esperienza e la
creatività.
A pochi metri dall'argine del Po, la Parente fireworks di Melara, Rovigo, à vicinissima alle zone del terremoto che ha
infierito sull'Emilia. «Sembra che l'acqua abbia assorbito la scossa, perché non abbiamo avuto alcun danno» dice
Antonio Parente, creative manager dell'azienda di famiglia ultracentenaria. E chi fa questo lavoro è abituato a prevenire i
rischi: isolato e recintato, su un'area di 100mila metri quadri (e altrettanti esterni come una cintura di sicurezza) lo
stabilimento è suddiviso in aree piccole per minimizzare l'effetto di un possibile incidente e far si che un danno rimanga
limitato. Terrapieni e spessi muri di cemento creano un continuo effetto barriera; negli edifici che componevano il primo
nucleo, restano i piccoli capitelli con i santi che dovevano proteggere il lavoro.
Le ultime commesse sono targate Corea, Messico, Thailandia e, appunto, Cina. Firmato Parente è il più lungo
spettacolo pirotecnico al mondo, andato in scena lo scorso 10 novembre in Kuwait per celebrare i 50 anni della
Costituzione. «L'emiro ha voluto un evento che non escludesse nessuno, che raggiungesse la maggior parte possibile
della popolazione», spiega Parente. Due voli dedicati hanno trasportato il materiale sul posto, 25 container di fuochi
artificiali, hanno lavorato 80 persone: un investimento da 12 milioni e due mesi di lavoro "sparati" per un'ora, su un
fronte di 6 chilometri che ha richiesto il dispiegamento di 250 chiatte, con il sottofondo di una colonna sonora composta
per l'occasione, che hanno valso l'ingresso nel Guinnes dei primati. «In Francia c'è l'usanza, su manifesti e locandine,
di mettere il nome del maestro che firma lo spettacolo: da noi c'è invece una consapevolezza ancora scarsa anche
della professionalità necessaria. Serve un percorso che dia maggiore enfasi alla componente artistica», osserva
Parente. L'azienda è un altro caso di controllo totale sulla produzione: «Facciamo tutto noi, dalla polvere nera – solo due
aziende in Italia hanno la licenza per produrla – allo studio tecnico, fino alla fornitura delle piattaforme per i lanci».
Nei magazzini, in questi giorni che precedono la fine dell'anno, vengono stipati i prodotti di fabbricazione cinese
destinati alla commercializzazione, attività collaterale destinata ai mesi invernali, quando gli spettacoli pirotecnici sono
meno richiesti: nomi come Raptor, Diablo o Rombo di tuono, con una domanda che resta elevata: «Ogni anno
tremiamo quando sentiamo le notizie di chi si infortuna, perché è qualcosa che danneggia tutta la categoria. Anche se
spesso gli incidenti riguardano laboratori abusivi, o merce che non avrebbe dovuto essere venduta, l'opinione pubblica
tende a non fare differenze», osserva Parente.
La spending review non sta risparmiando le spese dei Comuni italiani per patroni e sagre, «altre volte viene usata
come scusa per non rispettare impegni già presi. E poi c'è il fattore meteo: più della pioggia il nostro nemico è il vento,
che rende difficile valutare traiettorie e ricadute: in alcuni casi l'evento può essere posticipato, in altri va annullato perché
se non avviene nel giorno prefissato perde di significato». È il caso della Notte del Redentore a Venezia, ripresa in
gestione nel 2007 dopo una interruzione di qualche anno: una location del tutto particolare, in una zona che rientra in
una fascia di decibel ammessi particolare a causa della sua peculiarità, o dell'inaugurazione delle Olimpiadi di Torino.
Lavorare con l'estero – giostre o fuochi artificiali che siano – consente di crescere nonostante la crisi del mercato prima
italiano e poi europeo, e di avere come interlocutori e clienti amministrazioni locali e Paesi stranieri, ma significa anche
destreggiarsi fra normative (sicurezza, rispetto dei limiti di emissioni sonore e altro ancora) e prescrizioni diverse. Una
sfida possibile, se il paragone è la burocrazia italiana, fra norme Ue non ancora recepite e regolamenti che risalgono
agli anni 30. Eppure «questo è un esempio di imprenditoria che investe sul proprio territorio», ha ripetuto in più
occasioni l'assessore all'Economia e Innovazione Marialuisa Coppola. Tanto che per consentire lo sviluppo
dell'industria dei fuochi d'artificio, parte integrante del "distretto del divertimento", è stata recentemente modificata anche
la legge regionale sulle emissioni sonore.
@Ganz24Ore
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Il cluster veneto del
divertimento, che comprende impianti per luna park e fuochi d'artificio fa leva sulla capacità innovativa e la competitività
sui mercati esteri
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Quando si è fermata la domanda italiana, le aziende del distretto erano già orientate sull'Europa, e ora che anche in
questo mercato si moltiplicano i segnali di difficoltà l'orizzonte già acquisito sono i Paesi emergenti. Un tasso di export
che arriva oltre la quota del 90% e che sta funzionando come baluardo anticrisi
ALTA
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INNOVAZIONE
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Le giostre stanno cambiando: a parte i modelli immutabili e sempre richiesti, la sfida attuale è saper cogliere le
tendenze, i personaggi emergenti sui quali disegnare le attrazioni, diversificare l'offerta sui diversi mercati, puntare sul
servizio e anche adattare la progettazione alla domanda di minori consumi energetici
BUONA
3
OCCUPAZIONE
I dati aggregati del distretto, e anche i casi delle aziende leader, mostrano una sostanziale tenuta della componente
lavorativa e una forte connotazione di Made in Italy, sia nella produzione che nell'ideazione, nonostante la scelta di
presidiare direttamente i mercati ritenuti più interessanti aprendo filiali estere
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
DIMENSIONI D'IMPRESA
Il distretto della giostra non fa eccezione nel panorama veneto: alcune presenze leader, e molte imprese di dimensioni
piccole e piccolissime. Si guarda alla nuova legge regionale anche per finanziare iniziative di rete e di aggregazione,
ma la gran parte del lavoro è ancora tutta da costruire
BASSA
2
ANTIDOTI ALLA CONCORRENZA SLEALE
La difesa della propria produzione dalle copie richiede molte energie ed è costosa: una strada in salita per molte
aziende.
Anche nel caso in controtendenza, come la causa vinta da Zamperla in Florida, difficile non notare i tempi della giustizia
americana (emessa un anno dopo l'inizio della causa) rispetto a quelli italiani
SCARSA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Ancora insufficiente, con la conseguente penalizzazione per le aziende più piccole che rischiano di restare escluse su
diversi fronti, dalla partecipazione alle fiere internazionali alla internazionalizzazione. Un primo segnale incoraggiante
arriva però dal consorzio costituito per favorire l'export di prodotti pirotecnici, che sta dando i primi risultati
INSUFFICIENTE
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19-12-2012
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
I «robot su misura» parlano vicentino
Grande serie addio: produzioni ad hoc e innovazione Mercato interno assente, l'export vola oltre il 70% - LE STRATEGIE
- Chi sa ben presidiare nicchie ad alta tecnologia è riuscito nel 2012 a ottenere ricavi record L'inglese non basta:
Salvagnini chiede la conoscenza di due lingue
Luca Orlando
SAREGO (Vi). Dal nostro inviato
Entra un foglio d'acciaio, esce un ripiano per uno scaffale. Pochi secondi per piegare, sagomare e tagliare senza
ausilio umano, ad operare è solo la macchina, «o meglio il sistema», ci corregge Francesco Scarpari indicando
l'apparato lungo una decina di metri dove il materiale viene ruotato e sistemato in una ventina di posizioni diverse con
precisione micrometrica, prima di terminare la sua corsa e diventare prodotto finito.
Il Presidente di Salvagnini ci mostra con orgoglio lo showroom aziendale dove sono allineate le macchine del gruppo,
leader del distretto della meccanica strumentale vicentina con 1.300 addetti e 265 milioni di ricavi, per il 92% realizzati
all'estero.
«Il cliente ci porta qui una chiave Usb – spiega Scarpari – e ci fa vedere quale pezzo vuole realizzare, noi attrezziamo la
macchina e lo produciamo».
Per farlo Salvagnini ha creato un ufficio tecnico-monstre da 150 addetti, tra cui anche alcuni astronomi («guardi che la
matematica la sanno»), con un investimento in ricerca di oltre cinque milioni di euro all'anno, una progettazione interna
integrale dei macchinari, una rete di fornitori locali di prossimità, rapida e flessibile.
Innovazione e flessibilità determinanti anche nell'ultimo esercizio per accompagnare l'azienda al nuovo record di ricavi,
con un fatturato balzato del 37% grazie soprattutto alla corsa dei mercati internazionali che assorbono quasi
integralmente le macchine da deformazione prodotte da Salvagnini.
L'arma dell'export è cruciale per il gruppo così come per l'intero distretto, forte di 275 imprese capaci di sviluppare 1,7
miliardi di ricavi, per il 70% diretti proprio oltreconfine. Anche in presenza di un settore polverizzato, con aziende che
fatturano in media 6 milioni ciascuna, la crescita dell'export, come evidenziato dal monitor distretti di Intesa Sanpaolo, è
stata costante nel tempo, passata in dieci anni da 883 a 1236 milioni, arrivando nel 2011 al record storico e superando
così il periodo pre-crisi. «Positiva – spiega il responsabile ricerca Industry di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – è stata
l'evoluzione sui mercati esteri, dove le esportazioni hanno toccato il loro punto di massimo nel 2011 con un balzo del
+30,1%. Germania e Cina sono i due principali sbocchi commerciali del distretto, che dimostra una buona capacità di
raggiungere con successo i mercati emergenti». Meno brillante è invece l'evoluzione dei ricavi, che sono ancora al di
sotto del 9% rispetto al 2008, appesantiti in particolare da un mercato interno sempre meno ricettivo.
«L'Italia? Zero. Ma zero anche Spagna, Grecia, Francia e persino Germania». Alessandro Costa, presidente della Costa
Levigatrici di Schio, non vede un futuro roseo, con nubi pesanti soprattutto nel settore dell'edilizia, traino principale per
le sue macchine di lavorazione del legno. «Sopravviviamo con il settore metallo e con le macchine speciali – spiega –
mentre la grande serie ormai è morta. Abbiamo 22 persone nel reparto progettazione, stiamo puntando molto sulla
produzione customizzata ma è chiaro che con i prototipi non si fanno i volumi». Costa chiuderà l'anno con 26 milioni di
ricavi, in calo a doppia cifra rispetto al 2011, un livello di fatturato analogo a quello del 2000, quando però gli addetti
erano 120, 50 in meno rispetto ad oggi. «Facciamo Cassa e siamo in contratto di solidarietà – spiega Costa – e per
fortuna nei tempi buoni abbiamo messo da parte un po' di grasso che ora stiamo consumando. Il 2013 però lo vedo
male, se le banche non danno mutui la gente non compra casa, dunque l'edilizia non riparte».
Nel complesso tuttavia l'occupazione del distretto tiene e anche gli ammortizzatori sociali non sono utilizzati a pieno
regime: nei primi otto mesi dell'anno le ore di Cig della meccanica strumentale vicentina si sono infatti dimezzate,
soprattutto grazie al -60% della Cassa Straordinaria, quella che segnala le difficoltà aziendali più gravi. «Il settore va a
macchia di leopardo – spiega Massimo Carboniero, imprenditore del settore e presidente della sezione
metalmeccanica di Confindustria Vicenza – e il problema di tutti è che non si possono fare piani a lungo termine.
L'unica certezza è che resiste solo chi punta sull'alta tecnologia e sul servizio al cliente, quella è l'area in cui siamo
ancora vincenti. Chi invece rimane sui macchinari di fascia medio-bassa è in forte difficoltà». L'azienda di Carboniero,
Omera, si occupa di presse e rifilatrici, quest'anno crescerà del 15%, con ricavi nell'ordine dei 20 milioni e un centinaio
di addetti. Ma queste dimensioni - obiettiamo - non limitano la capacità di fare ricerca e di innovare? «A Vicenza siamo
tra le aziende medie – ribatte Carboniero – e comunque è chiaro che la ricerca è una strada obbligata: noi abbiamo
numerosi brevetti, sviluppati dai 18 ingegneri del nostro ufficio tecnico». Cambiando azienda il quadro non cambia, con
l'innovazione considerata attività fondamentale anche da Gastone Trecco, numero uno di Euroimpianti, attiva nei
sistemi di pallettizzazione e movimentazione delle merci, realizzata ad esempio attraverso carrelli automatici a guida
laser. «Quest'anno riusciamo a crescere del 20% – spiega l'imprenditore – e iniziamo a raccogliere i frutti del nostro
investimento negli Usa, dove quattro anni fa abbiamo acquistato un'azienda. Il vantaggio è poter vendere in Europa
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anche i loro prodotti e negli Stati Uniti i nostri, sfruttando la fiducia che i clienti ripongono nella presenza diretta di una
rete di vendita e di assistenza». Il gruppo, 60 addetti in Italia e altrettanti negli Usa, dedica qui sei persone alla ricerca,
risorse impegnate ora anche in un progetto europeo che destina a Euroimpianti 400mila euro per trasferire una
tecnologia militare di aggancio nave-elicottero ad una applicazione industriale per la movimentazione dei carrelli. Tutto
bene per l'azienda, tranne in Italia. «Quest'anno abbiamo preso 14 milioni di ordini all'estero e 250mila euro in Italia.
Qualche "no" lo abbiamo detto anche noi, perché qui l'abitudine è pagare al collaudo, mentre noi per sviluppare le
applicazioni su misura per il cliente abbiamo bisogno di anticipi in corso d'opera». Per Euroimpianti l'export vale «il
99,9% dei ricavi» e lo scenario qui nel vicentino tra i produttori di macchine utensili si ripete un po' ovunque. Tanto che il
leader del territorio, Salvagnini, ha deciso di alzare l'asticella per i neoassunti. «L'inglese – ci spiega il presidente
Francesco Scarpari – ormai lo diamo per scontato, chi entra qui deve conoscere almeno un'altra lingua straniera».
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Vicenza brilla per
flessibilità e internazionalizzazione. Dimensioni d'impresa e grande debolezza del mercato interno i limiti principali del
distretto delle macchine strumentali a Vicenza.
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE
L'export ora è in lieve frenata ma nel 2011 è arrivato al livello record di 1,2 miliardi con una crescita di oltre il 30%. Per le
aziende meccaniche del distretto le vendite oltreconfine valgono in media il 70% dei ricavi, con punte del 90-95%.
ALTA
2
INNOVAZIONE
Le aziende più strutturate dedicano decine di tecnici alle attività di sviluppo e ricerca. L'innovazione si caratterizza
soprattutto nella ricerca continua di customizzazione, dove di fatto ogni macchina venduta diventa una sorta di prototipo,
un pezzo unico.
BUONA
3
ATTRATTIVITÀ
Il comparto delle macchine utensili resta uno dei punti di forza del Made in Italy grazie alla combinazione di know how
manifatturiero e flessibilità produttiva. Vicenza conferma la regola, con il tessuto di Pmi del territorio che offre
competenze per ogni tipo di lavorazione.
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
OCCUPAZIONE
Il momento è difficile, a maggior ragione se anche chi avrebbe la possibilità di crescere è titubante e preferisce
aspettare l'evoluzione del mercato. Le crisi aziendali nel 2012 si sono ridotte ma le prospettive dei prossimi mesi
restano negative.
BASSA
2
DIMENSIONI D'IMPRESA
Sono 275 le aziende censite con oltre 750mila euro di ricavi, si tratta in media di realtà da 6 milioni di euro. È il limite
principale del distretto allo sviluppo di nuove tecnologie e investimenti più massicci in ricerca e ingresso in nuovi
mercati
SCARSA
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MERCATO INTERNO
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Il grido di dolore di Costa per la crisi dell'edilizia in Italia non è un caso isolato e per tutte le aziende spingersi all'estero
è una necessità. Se qui non si investe in nuova capacità produttiva è ovvio che le macchine utensili più avanzate e
competitive finiscano sempre più all'estero.
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04-01-2013
IL SOLE 24 ORE
IMPRESA E TERRITORI
IMPRESA & TERRITORI
I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY
Il dolciario veronese lievita fuori stagione
La trasformazione del business da occasionale a continuativo ha consolidato il cluster alimentare - LE AREE DI
SVILUPPO - Perazzoli (Melegatti): «I maggiori segnali di incoraggiamento li abbiamo fuori dall'Europa: Giappone,
Sudafrica e Australia»
Barbara Ganz
VERONA. Dal nostro inviato
Le colombe pasquali cuociono nei forni della Dal Colle, a Colognola ai Colli: sono destinate ai mercati dell'Australia e
del Canada, dovranno fare 45 giorni di nave, per questo vengono impastate e preparate prima di quelle che
arriveranno sulle tavole italiane. Qui, e nelle altre aziende del dolciario veronese, l'atmosfera natalizia è passata da un
pezzo, e già si guarda alla prossima ricorrenza.
In provincia si concentra il 70% della produzione nazionale; un settore che impiega circa 3mila persone, con punte
altissime di stagionali (circa 2.500), e – attendendo il bilancio del Natale appena strascorso – nel 2011 un fatturato che
sfiorava i 500 milioni. Molti i grandi marchi, che spesso coincidono con aziende familiari con un passato e una
tradizione che supera il secolo.
La data chiave è il 1894, quando Domenico Melegatti inventa la forma, il nome e la ricetta del pandoro, che quattro
anni dopo, intuendone le potenzialità, registra con un "attestato di privativa industriale" rilasciato dal Regno d'Italia,
ministero dell'Agricoltura, industria e commercio. Un pasticcere alchimista, alla cui inventiva si devono fra l'altro i primi
tentativi di dadi da brodo – "caramelle di carne", nei suoi diari – abbandonati fino a quando altri li riproposero, facendo
fortuna. Il risultato non era considerato soddisfacente, almeno non tanto quanto quello di quel dolce che indusse
Melegatti a sfidare tutti i pasticceri del territorio, in una gara pubblicizzata dal giornale della città, l'Arena. «Nessuno
riuscì a imitare il suo dolce, nè ad aggiudicarsi il premio – racconta Emanuela Perazzoli, presidente e amministratore
delegato dell'azienda, che oggi impiega un'ottantina di dipendenti fissi, arrivando nelle campagne natalizia e pasquale
a 400 stagionali – Per 50 anni quella sorta di brevetto ha protetto la ricetta, poi la validità è decaduta e in molti si sono
messi a produrre il pandoro».
Da quando è stata fondata, l'azienda ha attraversato due guerre mondiali e più di una traversia, interna ed esterna,
«proprio come un organismo vivente. Ed è ancora nelle mani dei discendenti e dei loro familiari», racconta
l'amministratore delegato. Morto Melegatti senza eredi diretti, il lavoro fu portato avanti da una nipote, sposata al capo
pasticcere di quel primo laboratorio. Un'unione fortunata come quella ricetta che nel 2005 per decreto è diventata un
vero e proprio disciplinare, che stabilisce ingredienti e percentuali. Solo burro e uova fresche, niente strutto o
margarina: «Questo ha certo protetto la qualità – osserva Perazzoli – ma in qualche modo ha anche posto molti limiti
alla creatività: si sarebbe potuto tentare un pandoro senza burro, con l'olio, ad esempio».
Di certo, a lievitare in modo lento ma costante è l'export dei dolci veronesi da ricorrenza: «Ad un certo punto abbiamo
capito che un pandoro sulla tavola degli italiani arrivava sempre, impossibile spingere oltre: allora, meglio guardare a
nuove destinazioni – prosegue Perazzoli –. Nel 2008 Melegatti praticamente non esportava, nel giro di quattro anni
siamo al 10% e ora abbiamo strutturato un canale di vendite ad hoc: la cosa curiosa è che i maggiori segnali di
incoraggiamento li abbiamo al di fuori dell'Europa, ad esempio dal Giappone, ma anche da Sudafrica e Australia». E
come si conviene nell'era dei social network, @Melegatti1894 incassa su Twitter incassa le lodi dei consumatori più
lontani come Ana Sofia («hola soy de Venezuela adoro el paneton»).
Un'ancora di salvezza, l'export, ora che i consumi italiani tendono, inesorabilemnte, al ribasso. Alla Dal Colle, le
vendite estere sono cresciute dal 10% dello scorso anno al 17%: «Questo ci ha consentito di mantenere i volumi,
nonostante la flessione del mercato interno, e anche di preventivare una crescita del fatturato nel 2012 (36 milioni
l'ultimo risultato, ndr)», dice Beatrice Dal Colle, quarta generazione, con il fratello Alvise, nell'azienda guidata dal
padre e fondata dal nonno nel 1894. Insieme all'export, l'altro ingrediente sul quale si spinge è l'innovazione di
prodotto: «Siamo in 72 dipendenti fissi, con punte stagionali di 200: lavorare solo per le campagne festive non
consente di creare una vera squadra, di programmare e investire in ricerca e cultura aziendale. Per questo non
smettiamo mai di rinnovarci: nuove farciture nei prodotti tradizionali, ma anche linee di merendine e prodotti
continuativi che ormai valgono la metà del nostro giro d'affari».
E nonostante sia un Paese segnato dalla crisi, è la Spagna il mercato che riserva le maggiori soddisfazioni: «È ancora
presto per pensare a linee di prodotti dedicate a intercertarre i gusti di determinati consumatori; all'estero c'è chi cerca
prodotti più leggeri o, paradossalmente, più ricchi di grassi, chi predilige il cioccolato e chi le confetture. Ma il 2013
potrebbe vedere il lancio di nuovi prodotti pensati direttamente per l'export», fa capire Beatrice Dal Colle.
E il futuro? Nei mesi scorsi l'Economist ha lanciato l'allarme sulla possibile "fine dell'era del cibo a basso prezzo,
dovuta all'aumento della popolazione e ad una tecnologia che non accresce la resa dei campi", con riferimento anche
alla materia prima grano. «Il consumatore acquista di meno e consuma di meno, gli scontrini emessi dagli esercizi
sono tanti con pochi generi acquistati, non più come una volta che si lavorava su grandi volumi – è la risposta di
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25/10/2013
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Michele Bauli, presidente della Sezione alimentare di Confindustria Verona e ai vertici dell'azienda familiare cresciuta
negli anni anche grazie alle acquisizioni (tre anni fa lo storico marchio Motta Alemagna dalla svizzera Nestlé, fino alla
recente trattativa per i biscotti Bistefani) – Oggi le aziende italiane hanno problemi di diminuita redditività a causa dei
maggiori costi sulle materie prime, e minori ricavi per la difficoltà di gestire enormi volumi non aumentando i prezzi». In
questo scenario, l'articolo 62 sui pagamenti contenuto nel Decreto liberalizzazioni e intitolato “Disciplina delle relazioni
commerciali in materia di prodotti agricoli e agroalimentari” aumenta la problematicità del settore: «Il provvedimento è
monitorato da Confindustria per un esame approfondito di tutti gli impegnativi risvolti della sua applicazione. Finora è
emersa la forte preoccupazione per una burocrazia farraginosa che ostacola ogni tipo di attività rendendo molto
faticoso per le aziende il costante adeguamento al mercato», conclude Bauli.
@Ganz24Ore
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 14 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Innovazione e
internazionalizzazione sono tra i punti di forza del dolciario veronese, mentre tra i punti di debolezza si segnala una
produttività a singhiozzo
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
1
INNOVAZIONE
Nonostante le ricette classiche di pandoro e panettone siano blindate dal disciplinare approvato nel 2005, le aziende
propongono ogni anno nuovi gusti e farciture, ma anche prodotti diversi e capaci di superare la stagionalità come le
merendine
ALTA
2
INTERNAZIONALIZZAZIONE
L'export, in crescita da quando il mercato italiano ha iniziato a mostrare i primi segnali di rallentamento, è oggi un
fattore decisivo e sta consentendo di mantenere i volumi, in qualche caso anche consentendo aumenti di fatturato
nell'anno peggiore della crisi
BUONA
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Nell'alimentare emerge una disponibilità a fare squadra che difficilmente si ritrova in altri distretti veneti: dalla
partecipazione congiunta alle fiere alla costituzione di reti come "Buon gusto veneto", esistono ampi spazi di
miglioramento ma il progetto è avviato
DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
DIFESA DA CONCORRENZA SLEALE
Le imitazioni dei prodotti tradizionali sono numerose, e la tutela appare ancora difficile oltre che costosa. Non solo: in
Paesi quali Argentina e Brasile il nmome pandoro è già utilizzato da produttori locali, tanto che occorre ricorrere ad un
nome diverso
BASSA
2
PRODUTTIVITÀ
Difficile far funzionare un lavoro di squadra quando la quota di lavoratori stagionali è così elevata: 2.500 su 3mila.
Nelle realtà più grandi si cerca di andare oltre la stagionalità, ma la tipologia del prodotto da ricorrenza rimane
comunque determinante
SCARSA
3
DIMENSIONI D'IMPRESA
Più che percepite come criticità, sono in molti casi difese come tratto distintivo e baluardo della qualità. Sono perlopiù i
grandi marchi a crescere anche tramite acquisizioni. La terapia agli inevitabili limiti potrebbero essere forme diverse di
aggregazioneCome
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25/10/2013
Monitor dei Distretti Triveneto
Servizio Studi e Ricerche
Ottobre 2013
Le Banche sopra citate distribuiscono questo studio realizzato da
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Monitor dei Distretti
del Triveneto
Ottobre 2013
Executive summary
2 I 34 distretti tradizionali e i 3 poli tecnologici del Triveneto
4 1. I distretti tradizionali nel secondo trimestre del 2013
4 Trimestrale – n. 16
1.1 Triveneto a confronto con il resto d’Italia
4 Intesa Sanpaolo
1.2 I distretti del Veneto
5 Servizio Studi e Ricerche
1.3 I distretti del Trentino-Alto Adige
11 Industry and Banking
1.4 I distretti del Friuli Venezia Giulia
12 A cura di:
2. L’export dei 3 poli tecnologici del Triveneto nel 2° trimestre 2013
15 3. La CIG nei distretti e nei poli tecnologici triveneti
16
4. Le prospettive di breve termine
17 Appendice Metodologica
18 Giovanni Foresti
Database management:
Angelo Palumbo
Le Banche sopra citate distribuiscono questo studio realizzato da
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Executive summary
Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti triveneti si è mantenuto su un sentiero di
crescita positivo, registrando un aumento tendenziale dell’1,9%. Ancora una volta hanno
sofferto le esportazioni del Friuli Venezia Giulia che da 7 trimestri consecutivi accusano un calo.
Migliore è stato l’andamento dei distretti veneti e del Trentino-Alto Adige che nel periodo aprilegiugno hanno registrato un aumento tendenziale rispettivamente pari al 3,6% e al 5,4%.
I distretti del Triveneto
Il buon andamento del Trentino-Alto Adige si spiega con la vocazione agro-alimentare dei suoi
distretti, nonché dal balzo delle vendite estere del legno-arredo dell’Alto Adige (+22,6%
tendenziale nel periodo aprile-giugno 2013). Tra i distretti agro-alimentari si sono invece distinti i
vini rossi e le bollicine di Trento (+10,7%) e le mele del Trentino (+12,4%). Hanno poi chiuso in
territorio lievemente positivo i vini bianchi di Bolzano (+1,2%) e il porfido di Val di Cembra
(+2,2%). Le mele dell’Alto Adige, invece, dopo tre trimestri di crescita a doppia cifra, hanno
subito un lieve calo, che tuttavia lascia in territorio positivo la performance complessiva del
distretto nel primo semestre dell’anno in corso.
I distretti del Trentino-Alto
Adige
I distretti del Trentino-Alto Adige hanno ottenuto performance brillanti in Spagna (+66,9%
grazie ai due distretti delle mele), Francia (bene soprattutto il legno-arredo e le mele dell’Alto
Adige) e Regno Unito (vini rossi e bollicine di Trento). E’ poi tornato nuovamente positivo il
contributo offerto dalla Germania, di gran lunga il primo sbocco commerciale della regione. Su
questo mercato ha registrato un’ottima performance soprattutto il legno-arredo dell’Alto Adige,
seguito dai due distretti del vino della regione.
Il buon momento dei distretti del Trentino-Alto Adige trova conferma nell’analisi del divario
rispetto ai livelli pre-crisi 2009. Questa regione nei primi sei mesi del 2013 ha evidenziato un
aumento delle esportazioni distrettuali pari al 21,5% rispetto al corrispondente periodo del
2008. Tra le regioni italiane solo l’Umbria ha fatto meglio. Molte regioni presentano ancora un
gap importante.
Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti veneti ha mantenuto un profilo di crescita
positivo e in linea con la media italiana (3,6 vs. 3,9%). Si tratta del tredicesimo trimestre di
crescita consecutiva. Dei 23 distretti veneti monitorati 18 hanno chiuso il trimestre in territorio
positivo. Spiccano 5 distretti che hanno sperimentato una crescita a doppia cifra: si tratta degli
elettrodomestici di Treviso, della calzatura sportiva di Montebelluna, del prosecco di ConeglianoValdobbiadene (miglior distretto vitivinicolo italiano negli ultimi 10 anni), delle carni di Verona,
della ceramica artistica di Bassano del Grappa. Buon ritmo di crescita anche per altri importanti
distretti veneti, come la concia di Arzignano, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova,
l’oreficeria di Vicenza, il tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno, i vini del veronese, le
calzature della Riviera del Brenta, e per alcuni distretti di minori dimensioni come il marmo e
granito di Valpolicella, le calzature del Veronese, il mobile d’arte del bassanese. Hanno, invece,
chiuso il secondo trimestre del 2013 in lieve arretramento il grafico veronese e la meccanica
strumentale di Vicenza. Più pesante il calo per i prodotti in vetro di Venezia e, soprattutto, per il
tessile e abbigliamento di Treviso, in territorio negativo ormai da otto trimestri consecutivi.
I distretti del Veneto
I distretti veneti hanno mantenuto un buon ritmo di crescita sui nuovi mercati (+6% la
variazione tendenziale nel secondo trimestre del 2013). Sono stati trainanti gli Emirati Arabi
Uniti, Hong Kong, il Vietnam, l’Arabia Saudita e la Russia. Nei mercati tradizionali, invece,
l’export è tornato a crescere, seppur lievemente, evidenziando un aumento del 2,2%. Questa
inversione di tendenza riflette, soprattutto, i segnali di recupero emersi in Francia, Portogallo e
Spagna e il nuovo contributo positivo di Stati Uniti, Regno Unito e Svezia. E’, invece, rimasto in
territorio lievemente negativo l’export diretto verso la Germania.
2
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
61
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Il secondo trimestre del 2013 si è aperto con un nuovo calo (il settimo consecutivo) per le
esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia (-4,8%). Hanno continuato a soffrire riduzioni
delle vendite sui mercati esteri i tre distretti già in difficoltà lo scorso anno: le sedie e i tavoli di
Manzano, la componentistica e la termoelettromeccanica friulana e il mobile di Pordenone. A
questi si sono aggiunti i vini del Friuli. Gli altri tre distretti della regione (prosciutto di San
Daniele, coltelli e forbici di Maniago ed elettrodomestici di Pordenone) sono andati meglio,
riuscendo a conseguire un aumento delle esportazioni intorno al 10%.
I distretti del Friuli-Venezia
Giulia
A livello geografico i distretti friulani hanno ottenuto buoni risultati negli Stati Uniti e in alcuni
mercati emergenti, come Malesia, Vietnam, Angola, Panama, Repubblica Ceca, Arabia Saudita,
Indonesia, Nigeria. In tutti questi mercati ha conosciuto uno sviluppo notevole la
componentistica e termoelettromeccanica friulana che, grazie all’acquisizione di importanti
commesse, è riuscita a superare almeno in parte i cali subiti in altri paesi emergenti (Cina, Russia,
India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto, Iraq). Dopo quattro trimestri negativi, si è poi riportato
in territorio positivo l’importante mercato tedesco, dove hanno ottenuto ottime performance
l’Inox valley e il mobile di Pordenone.
I dati relativi agli ammortizzatori sociali confermano il momento di crisi che sta interessando una
parte importante del tessuto produttivo locale, soprattutto sul mercato interno, ma anche, nel
caso di alcuni distretti, sui mercati esteri. Nei primi otto mesi del 2013 le ore autorizzate di CIG
nei distretti tradizionali triveneti si sono portate a 25,6 milioni, da 19,3 milioni dell’anno
precedente, ritornando vicine al massimo storico toccato nel 2010. Tutte le componenti della
cassa hanno registrato un aumento. Spicca, in particolare, il dato della CIG straordinaria
(+41,8% la variazione tendenziale), attivata per situazioni di crisi strutturale delle imprese, che
ha raggiunto quota 12,1 milioni, poco meno della metà del monte ore complessivamente
autorizzato. Un balzo importante ha interessato anche la CIG in deroga (+58,3%) che è
utilizzata soprattutto dalle piccole e piccolissime imprese non coperte dalla CIG ordinaria.
Gli ammortizzatori sociali
Le prospettive di superamento della fase recessiva dell’economia italiana e del Triveneto restano
affidate nel breve termine principalmente alla capacità delle nostre imprese di sfruttare al meglio
le opportunità di crescita presenti sui mercati internazionali. A questo proposito fanno ben
sperare alcune indicazioni che emergono dai dati appena rilasciati dall’Istat sul commercio estero
italiano di luglio. L’export di manufatti verso la Cina, infatti, è tornato a correre (+24,5%
tendenziale, con risultati brillanti nel sistema moda e nel mobile, ma anche nella meccanica),
mentre le vendite in Russia hanno mostrato segnali di ripresa (+18%). Inoltre, la stabilizzazione
del ciclo nei Paesi UE sembra iniziare ad avere effetti positivi sulle esportazioni italiane verso i
nostri maggiori partner commerciali: a luglio, infatti, l’export italiano di manufatti verso la
Francia e la Germania ha registrato un aumento tendenziale pari all’1,9% e al 2,4%
rispettivamente, dopo aver chiuso i primi sei mesi dell’anno in territorio negativo.
Le attese di breve termine
3
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62
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
I 34 distretti tradizionali e i 3 poli tecnologici del Triveneto
1. I distretti tradizionali nel secondo trimestre del 2013
1.1 Triveneto a confronto con il resto d’Italia
Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti triveneti si è mantenuto su un sentiero di
crescita positivo, registrando un aumento tendenziale dell’1,9% (Fig. 1.1 e Tab. 1.1). Il
complesso dei distretti industriali italiani ha mostrato un andamento migliore, registrando un
aumento tendenziale dei valori esportati pari al 3,9%. Ancora una volta, hanno sofferto le
esportazioni del Friuli Venezia Giulia che da 7 trimestri consecutivi accusano un calo (Fig. 1.2).
Migliore è stato l’andamento dei distretti veneti e del Trentino Alto Adige che nel periodo aprilegiugno hanno registrato un aumento tendenziale rispettivamente pari al 3,6% e al 5,4%.
Fig. 1.1 – Export dei distretti italiani e del Triveneto a confronto
(variazione %)
20
Fig. 1.2 - Export dei distretti del Friuli Venezia Giulia, del
Trentino Alto Adige e del Veneto (variazione %)
30
Italia
15
Friuli-Venezia Giulia
Trentino-Alto Adige
Veneto
20
Triveneto
10
10
5
0
3,9
1,9
0
-10
-5
-20
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
10 10 10 10 11 11 11 11 12 12 12 12 13 13
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
10 10 10 10 11 11 11 11 12 12 12 12 13 13
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Fig. 1.3 – Evoluzione dell’export nel 2° trimestre 2013 a confronto (variazione % tendenziale)
6,0
4,5
3,9
3,0
2,1
1,9
1,7
1,5
0,0
-0,3
-1,5
-3,0
-0,4
-1,7
Distretti
Aree non
distrettuali (a)
Distretti
triveneti
Manifatturiero Manifatturiero Manifatturiero Manifatturiero
Triveneto
italiano
francese
tedesco
(a) a parità di specializzazione produttiva dei distretti. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat, Douanes françaises,
Statistisches Bundesamt
I buoni risultati dei distretti del Veneto e del Trentino Alto Adige acquistano ancora più valore se
si considera che, sempre nel secondo trimestre dell’anno in corso, l’export del complesso
dell’industria manifatturiera italiana ha subito una riduzione dello 0,3% (Fig. 1.3). Francia e
Germania hanno fatto addirittura peggio, accusando una riduzione dell’export di beni manufatti
pari rispettivamente al -0,4% e al -1,7%.
4
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63
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Tab. 1.1 – Le esportazioni distrettuali nelle regioni italiane nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim.
2° trim.
2° trim.
1° sem.
2° trim. 2013 e
2012
2013
2013
2013
2° trim. 2012
Nord-Ovest, di cui:
6.479,8
6.723,1
243,3
3,8
1,2
Lombardia
4.905,7
5.139,7
234,0
4,8
1,6
Piemonte
1.529,6
1.530,3
0,7
0,0
0,1
Nord-Est
8.686,4
8.881,3
194,9
2,2
2,2
Emilia-Romagna
2.656,4
2.736,1
79,7
3,0
3,6
Triveneto
6.030
6.145
115
1,9
1,6
Veneto
4.412,7
4.570,3
157,5
3,6
2,9
Trentino-Alto Adige
349,4
368,2
18,8
5,4
6,7
Friuli-Venezia Giulia
1.267,9
1.206,7
-61,1
-4,8
-4,5
Centro, di cui:
3.833,6
4.034,0
200,4
5,2
5,7
Toscana
2.866,8
3.058,8
192,0
6,7
6,6
Umbria
134,9
153,2
18,3
13,6
11,6
Marche
812,6
801,6
-11,0
-1,4
2,1
Sud, di cui:
1.233,4
1.375,3
141,9
11,5
9,9
Puglia
493,7
600,3
106,6
21,6
16,1
Campania
501,0
535,9
35,0
7,0
9,6
Sicilia
69,3
77,8
8,5
12,3
17,9
Abruzzo
139,9
128,9
-11,0
-7,9
-14,6
Totale complessivo
20.233,2
21.013,7
780,5
3,9
3,0
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
L’alta variabilità delle performance a livello regionale suggerisce di analizzare l’andamento dei
distretti separatamente in ognuna delle tre regioni del Triveneto. Nel paragrafo 1.2 ci si
soffermerà pertanto sui distretti veneti, nel paragrafo 1.3 sui distretti del Trentino Alto Adige,
nel paragrafo 1.4 sui distretti friulani.
1.2 I distretti del Veneto
Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti veneti ha mantenuto un profilo di crescita
positivo e in linea con la media italiana (3,6 vs. 3,9%; Fig. 1.4). Si tratta del tredicesimo trimestre
di crescita consecutiva. Dei 23 distretti veneti monitorati 18 hanno chiuso il secondo trimestre
dell’anno in territorio positivo (erano 16 nei primi tre mesi del 2013).
Fig. 1.4 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale)
20
Veneto
15
Italia
10
3,6 3,9
5
0
-5
1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Spiccano per performance positiva 5 distretti che hanno sperimentato una crescita a doppia
cifra:
5
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64
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013

gli elettrodomestici di Treviso (+13,2% la variazione tendenziale nel secondo trimestre
del 2013) hanno ottenuto ottime performance in Germania, Francia, nei mercati
dell’Est Europa e negli Emirati Arabi Uniti;

la calzatura sportiva di Montebelluna ha mostrato segnali di recupero dopo le difficoltà
incontrate nel 2012, grazie all’inversione di tendenza sperimentata nei mercati
tradizionali come Francia, Germania, Spagna;

il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, dopo le straordinarie performance degli
ultimi anni, ha registrato un nuovo balzo dei valori esportati (+16,7%) grazie al traino
di Stati Uniti e Regno Unito;

le carni di Verona, dopo un ottimo 2012 (+18%), hanno evidenziato un nuovo
aumento dell’export in doppia cifra (+10,9%), grazie all’evoluzione particolarmente
favorevole fatta segnare in Francia, Austria, Germania e Regno Unito;

la ceramica artistica di Bassano del Grappa (+22%) è stata trainata da Spagna, Francia,
Austria, Russia, Stati Uniti.
Tab. 1.2 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti veneti
(i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013)
Milioni di euro
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013
2° trim. 2013 e
2° trim . 2012
Totale distretti veneti, di cui:
4.413
4.570
157,5
Concia di Arzignano
504
535
31,5
Elettrodomestici di Inox valley (Treviso)
173
196
22,8
Materie plastiche di Treviso, Vicenza, Padova
299
320
21,4
Calzatura sportiva di Montebelluna
144
164
19,7
Oreficeria di Vicenza
355
373
17,8
Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene
95
111
15,9
Tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno
310
325
15,0
Vini del veronese
197
209
12,0
Termomeccanica scaligera
294
304
9,5
Calzature del Brenta
147
156
8,6
Carni di Verona
64
71
7,0
Marmo e granito di Valpolicella
101
107
5,8
Calzatura veronese
79
84
5,1
Mobile d'arte del bassanese
80
85
4,6
Ceramica artistica di Bassano del Grappa
9
11
2,1
Dolci e pasta veronesi
70
72
1,5
Mobile di Treviso
365
366
1,0
Mobili in stile di Bovolone
26
27
0,8
Grafico veronese
17
17
-0,2
Prodotti in vetro di Venezia
27
24
-3,1
Meccanica strumentale di Vicenza
322
316
-5,4
Tessile e abbigliamento di Treviso
182
164
-17,5
Var. % tendenziali
2° trim. 2013
1° sem. 2013
3,6
6,3
13,2
7,2
13,6
5,0
16,7
4,9
6,1
3,2
5,8
10,9
5,8
6,4
5,7
22,0
2,1
0,3
3,1
-1,4
-11,3
-1,7
-9,6
2,9
6,7
12,7
3,8
-1,8
7,2
16,8
3,4
8,3
8,6
3,9
9,6
4,5
-0,4
9,2
14,6
-0,7
0,4
5,7
-0,2
-7,4
-2,0
-7,6
Nota: nella tavola non è riportato il distretto dell’occhialeria di Belluno che presenta dati non coerenti con l’evoluzione sui mercati esteri dell’occhialeria italiana.
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Buon ritmo di crescita anche per altri importanti distretti veneti, come la concia di Arzignano
(bene in Vietnam, Cina, Hong Kong, Stati Uniti, Portogallo), le materie plastiche di Treviso,
Vicenza e Padova (Francia, Lituania), l’oreficeria di Vicenza (Svizzera, Hong Kong, Emirati Arabi
Uniti), il tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno (Germania, Svizzera, Cina ed Est
Europa), i vini del veronese (Austria, Regno Unito, Svezia), le calzature della Riviera del Brenta
(Russia, Stati Uniti e Francia), e per alcuni distretti di minori dimensioni come il marmo e granito
di Valpolicella (trainanti gli Stati Uniti), le calzature del Veronese (Francia e paesi dell’Est Europa),
il mobile d’arte del bassanese (Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Russia).
6
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
65
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
In lieve crescita poi anche la termomeccanica scaligera, il mobile di Treviso, il mobile in stile di
Bovolone e i dolci e la pasta veronese. Hanno, invece, chiuso il secondo trimestre del 2013 in
lieve calo il grafico veronese e la meccanica strumentale di Vicenza, che pur crescendo sul
mercato cinese, è stata penalizzata dagli arretramenti accusati in Germania, e in alcuni mercati
emergenti come Brasile, Turchia e India. Più pesante il calo per i prodotti in vetro di Venezia e,
soprattutto, per il tessile e abbigliamento di Treviso, in calo ormai da otto trimestri consecutivi.
Alcuni importanti distretti della regione hanno maturato performance migliori rispetto ad aree
distrettuali localizzate in altre aree italiane. Spiccano, in particolare, il mobile di Treviso (a questo
proposito si rimanda al focus presentato nelle pagine che seguono), il prosecco di ConeglianoValdobbiadene, il calzaturiero della Riviera del Brenta. Il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene,
ad esempio, è il distretto vitivinicolo italiano che tra il 2002 e il 2012 ha performato meglio sui
mercati esteri, registrando un aumento medio annuo del suo export pari all’8,6% (Fig. 1.5). A
sua volta, la Riviera del Brenta è l’unico tra i principali distretti calzaturieri italiani ad aver
recuperato quanto perso nel corso della crisi del 2009. Spiccano, in particolare, le performance
della provincia di Venezia, i cui flussi di export nel 2012 hanno toccato un nuovo record storico,
distanziando del 6,4% i livelli del precedente picco del 2007 (Fig. 1.6).
Fig. 1.5 – Export: variazione % media annua tra 2012 e 2002
Vini del Friuli
Fig. 1.6 – Export: distanza rispetto ai livelli pre-crisi (var. % tra
2012 e anno di picco; tra parentesi l’anno di picco pre-2009)
0,0
Vini del Chianti
S.Mauro Pascoli (2008) -11,2
1,4
Vini di Franciacorta
Montebelluna (2008)
1,8
Vini e liquori della Sicilia occidentale
3,2
Rossi e bollicine di Trento
Fermo (2006)
3,4
Vini bianchi di Bolzano
-8,7
3,8
-7,0
Padova (2007)
Vini del veronese
-5,4
5,9
Vini di Langhe, Roero e Monferrato
Riviera del Brenta (2007)
7,1
Montepulciano d'Abruzzo
7,7
Prosecco Conegliano-Valdobbiadene
Venezia (2007)
8,6
-2
0
2
4
6
8
0,6
6,4
-15 -12 -9 -6 -3
10
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
0
3
6
9
Riviera del Brenta: Padova e Treviso. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
A livello di sbocco commerciale, hanno mantenuto un buon ritmo di crescita i nuovi mercati,
dove i distretti veneti hanno messo a segno una crescita tendenziale delle vendite del 6% (Fig.
1.7). Sono stati trainanti gli Emirati Arabi Uniti (oreficeria di Vicenza e elettrodomestici dell’Inox
Valley), Hong Kong (oreficeria di Vicenza e concia di Arzignano), il Vietnam (concia di
Arzignano), l’Arabia Saudita (meccanica strumentale di Vicenza) e la Russia (termomeccanica
scaligera e calzature della Riviera del Brenta).
Nei mercati tradizionali, invece, l’export è tornato a crescere, seppur lievemente, evidenziando
un aumento del 2,2%. Questa inversione di tendenza riflette, soprattutto, i segnali di recupero
emersi in Francia, Portogallo e Spagna e il nuovo contributo positivo di Stati Uniti, Regno Unito e
Svezia. E’, invece, rimasto in territorio lievemente negativo l’export diretto verso la Germania. Su
questo mercato gli arretramenti di alcuni importanti distretti (meccanica strumentale di Vicenza,
concia di Arzignano, tessile e abbigliamento di Treviso, marmo e granito di Valpolicella,
oreficeria di Vicenza), non sono stati compensati dai buoni risultati conseguiti dall’occhialeria di
Belluno, dagli elettrodomestici di Treviso, dal tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno e
dalla calzatura sportiva di Montebelluna.
7
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
66
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Fig. 1.7 – Export dei distretti veneti verso mercati nuovi e maturi a confronto (var. % tendenziale)
30
Mercati maturi
25
Nuovi mercati
20
15
10
6,0
5
2,2
0
-5
1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Tab. 1.3 – I 15 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti veneti è stata più elevata (in
milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013
2° trim. 2012
Totale, di cui:
4.413
4.570
157,5
3,6
2,9
Stati Uniti
412
442
29,6
7,2
7,0
Francia
434
460
26,0
6,0
2,7
Emirati Arabi Uniti
89
105
15,9
17,9
29,7
Hong Kong
99
111
11,9
12,1
7,0
Vietnam
9
19
10,1
118,5
99,1
Arabia Saudita
24
34
9,9
42,0
25,3
Regno Unito
244
254
9,5
3,9
4,8
Russia
132
141
9,2
7,0
13,6
Svezia
60
69
8,7
14,4
12,4
Repubblica Ceca
58
66
7,7
13,3
9,6
Sudafrica
21
27
5,9
28,0
26,5
Algeria
8
14
5,4
64,8
37,1
Portogallo
54
59
5,0
9,3
9,3
Romania
125
130
5,0
4,0
2,1
Spagna
178
183
4,9
2,7
-3,1
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Tab. 1.4 – Gli 8 mercati dove il calo delle esportazioni dei distretti veneti è stato più pronunciato
(in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013
2° trim. 2012
Svizzera
268
258
-10,3
-3,8
-2,0
Australia
44
36
-8,2
-18,4
-15,9
Germania
589
582
-7,6
-1,3
-1,0
Venezuela
11
4
-6,8
-61,0
-45,7
Messico
32
26
-6,0
-18,8
-3,5
Cina
148
143
-5,0
-3,4
-2,8
Egitto
12
10
-2,5
-19,9
-21,4
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Stati Uniti e Francia sono stati i due paesi che hanno offerto il più alto contributo alla crescita dei
distretti veneti: dei 157,5 milioni di aumento registrato dalle esportazioni dei distretti veneti tra il
secondo trimestre del 2012 e il secondo trimestre del 2013, 55,6 milioni sono stati realizzati in
questi due Paesi (un terzo circa). Negli Stati Uniti ha registrato un vero e proprio balzo l’export
del mobile di Treviso (+43,2%). Il miglioramento del settore immobiliare americano ha poi
8
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
67
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
sostenuto anche la crescita delle vendite del marmo e granito di Valpolicella, della
termomeccanica scaligera e del mobile d’arte del bassanese. Molto bene poi su questo mercato
anche il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, la concia di Arzignano e le calzature della
Riviera del Brenta. In Francia è tornata a crescere la calzatura sportiva di Montebelluna. Hanno
poi mantenuto profilo di crescita sostenuto altri importanti distretti del sistema moda, come
l’occhialeria di Belluno e le calzature della Riviera del Brenta. Su questo mercato bene poi gli
elettrodomestici dell’Inox Valley di Treviso.
Focus sull’industria del mobile in Veneto
Le esportazioni venete di mobili hanno registrato una migliore evoluzione rispetto alla media
italiana tra il 2008 e il 2012 (Fig. 1). Questo miglior andamento è proseguito nei primi sei mesi
del 2013 quando l’export della regione ha mostrato un aumento tendenziale dell’1,4% (vs. il
+0,8% nazionale).
Tuttavia, le vendite estere venete di mobili non hanno ancora recuperato quanto perso nel
biennio 2008-2009: il ritardo rispetto ai livelli di export del 2007 è, infatti, pari al 6,4%; nella
media italiana il gap è addirittura pari al 15,2%.
Fig. 1 – Export di mobili di Veneto e Italia a confronto
(variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente)
15
Veneto
10
9,2
Italia
6,5
5,7
5
3,9
2,6
0,9
1,4 0,8
0
-5
-0,8
-2,8
-10
-15
-20
-20,2
-25
2008
-21,8
2009
2010
2011
2012
1° sem 2013
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Treviso è di gran lunga la principale provincia veneta per livelli di export: nel 2012 il 65% circa
delle esportazioni della regione partivano da questa provincia (Tab. 1). Sempre Treviso è la
provincia veneta che, insieme a Venezia, ha mostrato la migliore evoluzione tra il 2007 e il 2012:
nel 2012, infatti, l’export di Treviso ha interamente recuperato quanto perso nel 2009,
riportandosi su livelli di massimo storico sui mercati esteri. Tra i principali distretti italiani, Treviso
è l’unico a essersi riportato sui propri record storici. La Brianza, ad esempio, accusa un ritardo del
7,5%, Pesaro del 32,2%, Manzano del 50%, la Murgia del 70%.
Tab. 1 – Export di mobili delle province del Veneto (variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente)
Milioni di Comp. %
Variazione % rispetto al corrispondente
Ritardo pre-crisi:
euro
periodo dell'anno precedente
var. %
2012
2012
2008
2009
2010
2011
2012 1° sem. 2013
2012-2007
Veneto, di cui:
Treviso
Vicenza
Padova
Venezia
Verona
2.230
1.446
323
213
109
107
100,0
64,8
14,5
9,6
4,9
4,8
-0,8
1,2
-3,6
-4,9
-6,0
-4,3
-20,2
-14,5
-32,4
-28,3
-22,1
-24,2
9,2
8,2
7,1
12,1
20,2
11,3
5,7
4,9
5,4
11,6
18,5
-5,0
2,6
2,4
4,8
-5,4
3,0
8,7
1,4
0,4
9,2
-5,0
1,8
5,7
-6,4
0,6
-23,0
-19,4
7,4
-16,6
Nota: sono riportate solo le province venete che hanno esportato più di 100 milioni di euro di mobili nel 2012. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
9
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
68
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Il gap rispetto ai livelli pre-2009 è molto pronunciato nelle altre due province venete
specializzate nell’industria del mobile e sedi di distretti industriali: Vicenza e Padova. Vicenza
sconta il crollo del 2009 (-32,4% in un solo anno) e il debole recupero degli anni successivi.
Padova, invece, dopo il forte calo accusato nel biennio 2008-2009 e il buon recupero nel 20102011, è tornata in territorio negativo nel 2012, allontanandosi dai livelli di export del 2007.
Tab. 2 – Export di mobili della provincia di Treviso (variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente)
Milioni di Comp. %
Variazione % rispetto al corrispondente
Ritardo pre-crisi:
euro
periodo dell'anno precedente
differenza in milioni
di euro
2012
2012
2008
2009
2010
2011
2012 1° sem. 2013
tra 2012 e 2007
Totale
Germania
Francia
Regno Unito
Stati Uniti
Russia
Svizzera
Spagna
Belgio
Svezia
Cina
Austria
Paesi Bassi
Canada
Emirati Arabi Uniti
Polonia
Ucraina
Arabia Saudita
Danimarca
Qatar
Romania
Slovenia
Grecia
Australia
Ceca, Repubblica
Giappone
Croazia
Norvegia
Portogallo
Turchia
India
1.445,8
273,2
244,5
146,4
106,9
105,0
57,2
47,1
38,0
30,6
23,2
20,0
18,2
17,2
17,2
16,7
16,5
14,3
13,3
12,6
12,2
12,0
10,4
10,2
9,2
8,6
8,1
7,4
7,3
7,2
7,1
100,0
18,9
16,9
10,1
7,4
7,3
4,0
3,3
2,6
2,1
1,6
1,4
1,3
1,2
1,2
1,2
1,1
1,0
0,9
0,9
0,8
0,8
0,7
0,7
0,6
0,6
0,6
0,5
0,5
0,5
0,5
1,2
-1,1
3,2
-4,8
-8,9
23,9
-5,4
-12,9
2,8
7,3
59,0
-9,5
-0,2
-17,2
32,6
12,6
33,1
-42,6
-3,7
58,3
11,4
7,8
-5,1
21,4
6,7
-18,5
3,6
6,0
-18,8
-3,0
22,8
-14,5
3,7
2,6
-31,7
-25,2
-28,0
11,9
-31,9
-12,3
-23,4
143,2
3,3
-14,0
-12,0
9,6
-30,1
-36,7
9,8
-27,8
54,8
-26,8
-11,4
-17,4
-0,9
-31,7
23,2
-13,4
-23,7
-6,9
-49,6
17,7
8,2
12,1
4,7
7,9
11,1
-4,9
21,9
44,4
-2,5
20,3
13,8
16,5
-4,9
109,1
-39,1
-15,0
-11,9
71,7
10,2
32,6
-2,6
117,0
-24,1
8,3
45,3
15,1
-20,2
26,6
15,6
7,3
22,2
4,9
3,9
12,7
-3,2
13,9
4,3
13,4
-10,5
6,7
-4,9
55,5
-0,5
-2,3
18,2
16,5
34,1
16,8
20,5
8,4
-25,9
37,0
3,0
-33,2
21,4
12,9
26,3
3,3
-2,9
-18,9
26,5
63,6
2,4
-4,6
-1,7
-2,0
46,6
13,0
13,7
-18,5
-14,4
0,4
27,6
-8,7
-1,6
49,0
38,7
0,2
8,5
31,5
2,2
315,1
-13,0
-22,4
-45,2
-4,6
-4,6
26,8
-7,7
13,6
-17,7
-1,2
-10,6
0,4
-8,8
-2,9
-8,8
51,3
-5,1
7,7
-10,9
-7,9
-5,7
16,1
1,9
-21,3
45,5
67,0
-10,7
-3,3
28,9
-2,6
15,0
-20,1
-63,8
-28,9
24,3
5,1
18,9
-17,7
3,7
82,1
76,0
-22,4
8,5
33,6
45,5
-73,5
22,4
0,1
22,8
-28,3
-9,4
-1,8
20,5
-0,2
-5,0
10,8
5,2
-1,9
-1,0
6,0
-2,4
11,4
-0,7
4,7
-37,3
3,4
1,1
3,9
-3,8
0,8
-5,2
-3,8
4,4
Nota: sono riportate solo le province venete che hanno esportato più di 100 milioni di euro di mobili nel 2012. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Nel triennio 2009-2011 le imprese della provincia di Treviso hanno consolidato la loro presenza
nei loro due principali sbocchi commerciali (Germania e Francia rispettivamente; Tab. 2);
successivamente (2012 e prima metà del 2013), le difficoltà incontrate in questi mercati, nel
Regno Unito e nei paesi colpiti dalla crisi del debito sovrano (Spagna, Grecia e Portogallo), sono
state compensate dall’affermazione sul mercato americano (negli Stati Uniti +46,6% nel 2012 e
+51,3% nel 1° semestre 2013; in Canada +49% nel 2012 e +45,5% nel 1° semestre 2013) e in
Giappone, e dagli ottimi risultati ottenuti in alcuni importanti nuovi mercati ad alto potenziale: la
Cina, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Qatar e, limitatamente al 2012, la Russia.
Le imprese di Treviso, pertanto, si sono dimostrate altamente proattive, sfruttando al meglio le
opportunità di crescita che si sono di volta in volta venute a creare sui mercati mondiali. Ciò
tuttavia non ha impedito loro di sperimentare un forte rallentamento nel 2012 (quando la
crescita si è fermata al 2,4%) e, soprattutto, nel primo semestre del 2013 (+0,4% la variazione
tendenziale), a causa soprattutto delle crescenti difficoltà incontrate sul mercato europeo
(Germania e Regno Unito in primis).
10
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
69
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
1.3 I distretti del Trentino-Alto Adige
Nel secondo trimestre del 2013 i distretti del Trentino-Alto Adige hanno mantenuto un buon
ritmo di crescita, riportando un aumento tendenziale dell’export pari al 5,4% e facendo
nuovamente meglio della media italiana (+3,9%; Fig. 1.8).
Fig. 1.8 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale)
30
Trentino-Alto Adige
25
Italia
20
15
10
5,4 3,9
5
0
-5
-10
1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Ancora una volta la regione è stata premiata dalla sua vocazione agro-alimentare, nonché dal
balzo delle vendite estere del legno-arredo dell’Alto Adige (+22,6% tendenziale nel periodo
aprile-giugno 2013; Tab. 1.5). Nel secondo trimestre l’export di questo distretto ha toccato
quota 65 milioni di euro, un valore di massimo storico mai registrato prima grazie al balzo delle
vendite in Germania, Austria, Svizzera, Francia e Russia. Tra i distretti agro-alimentari si sono
invece distinti i vini rossi e le bollicine di Trento (+10,7%) che sono stati trainati dal mercato
inglese, cui si è aggiunto l’importante contributo di Stati Uniti e Germania. Molto bene poi
anche le mele del Trentino (+12,4%) le cui vendite sono cresciute soprattutto in Spagna, Libia,
Francia e Germania. Hanno poi chiuso in territorio lievemente positivo i vini bianchi di Bolzano
(+1,2%) e il porfido di Val di Cembra (+2,2%). Le mele dell’Alto Adige, invece, dopo tre
trimestri di crescita a doppia cifra, hanno accusato un lieve calo, che tuttavia lascia in territorio
positivo la performance complessiva del distretto nel primo semestre dell’anno in corso.
Tab. 1.5 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti del Trentino Alto Adige
(i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013)
Milioni di euro
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013
2° trim. 2013 e
2° trim . 2012
Distretti del Trentino Alto Adige
349
368
18,8
Legno e arredamento dell'Alto Adige
53
65
12,0
Vini rossi e bollicine di Trento
83
92
8,9
Mele del Trentino
19
21
2,4
Vini bianchi di Bolzano
40
41
0,5
Porfido di Val di Cembra
13
13
0,3
Mele dell'Alto Adige
141
136
-5,2
Var. % tendenziali
2° trim. 2013
1° sem. 2013
5,4
22,6
10,7
12,4
1,2
2,2
-3,7
6,7
13,9
9,8
12,8
-0,2
1,9
3,8
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
A livello geografico, i distretti del Trentino-Alto Adige hanno ottenuto performance brillanti in
Spagna (+66,9% grazie ai due distretti delle mele), Francia (bene soprattutto il legno-arredo e le
mele dell’Alto Adige) e Regno Unito (vini rossi e bollicine di Trento; Tab. 1.6). E’ stato poi
nuovamente positivo il contributo offerto dalla Germania, di gran lunga il primo sbocco
commerciale della regione. Su questo mercato ha registrato un’ottima performance soprattutto
il legno-arredo dell’Alto Adige, seguito dai due distretti del vino della regione.
11
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
70
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Tab. 1.6 – Gli 8 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti del Trentino Alto Adige è
stata più elevata (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013
2° trim. 2012
Totale, di cui:
349
368
18,8
5,4
6,7
Spagna
16
27
11,0
66,9
67,5
Germania
109
119
9,8
8,9
7,6
Francia
10
15
5,0
49,7
41,8
Regno Unito
19
24
4,3
21,9
13,6
Svizzera
15
18
2,9
19,9
20,3
Algeria
5
7
1,8
35,2
69,9
Stati Uniti
48
49
1,4
2,9
10,2
Libia
8
10
1,2
13,9
25,7
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Il buon momento dei distretti del Trentino-Alto Adige trova conferma nell’analisi del divario
rispetto ai livelli pre-crisi 2009. Questa regione, grazie anche alla sua specializzazione agroalimentare, nei primi sei mesi del 2013 ha evidenziato un aumento delle esportazioni distrettuali
pari al 21,5% rispetto al corrispondente periodo del 2008 (Tab. 1.7). Tra le regioni italiane solo
l’Umbria ha registrato un andamento migliore. Solo le mele del Trentino accusano ancora un
lievissimo ritardo. Spiccano, in particolare, i risultati dei vini rossi e bollicine di Trento (+28%), del
legno arredo dell’Alto Adige (+21,4%) e delle mele dell’Alto Adige (+26,4%).
Tab. 1.7 – Le esportazioni distrettuali nelle regioni italiane nella prima metà del 2013 rispetto ai
livelli pre-crisi
Variazione %
Variazione %
Variazione %
tra 1° trim. 2013
tra 2° trim. 2013
tra 1° sem. 2013
e 1° trim. 2008
e 2° trim. 2008
e 1° sem. 2008
Nord-Ovest, di cui:
-5,7
-2,2
-3,9
Lombardia
-8,2
-4,6
-6,3
Piemonte
3,6
6,3
5,0
Nord-Est
-6,4
0,0
-3,2
Veneto
-5,8
5,7
-0,4
Emilia-Romagna
0,6
2,4
1,5
Trentino-Alto Adige
16,7
26,6
21,5
Friuli-Venezia Giulia
-26,6
-24,3
-25,4
Centro, di cui:
4,6
16,8
10,4
Toscana
13,8
30,3
21,8
Umbria
28,5
36,5
32,4
Marche
-17,3
-16,5
-16,9
Sud, di cui:
-2,8
4,0
0,4
Puglia
-2,0
8,8
3,1
Campania
12,5
13,1
12,8
Abruzzo
-43,3
-29,9
-37,4
Totale complessivo
-3,9
2,3
-0,8
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
1.4 I distretti del Friuli Venezia Giulia
Il secondo trimestre del 2013 si è aperto con un nuovo calo (il settimo consecutivo) per le
esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia (-4,8%; Fig. 1.9). Hanno continuato a soffrire
riduzioni delle vendite sui mercati esteri i tre distretti già in difficoltà lo scorso anno: le sedie e i
tavoli di Manzano, la componentistica e la termoelettromeccanica friulana e il mobile di
Pordenone (Tab. 1.8). A questi si sono aggiunti i vini del Friuli.
12
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
71
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Fig. 1.9 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale)
25
20
Friuli Venezia Giulia
15
Italia
10
3,9
5
0
-5
-4,8
-10
-15
-20
1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Il mobile di Pordenone, con l’eccezione di Germania e Regno Unito, ha sofferto riduzioni di
export in tutti i principali sbocchi commerciali e, in modo particolare, in Francia e Stati Uniti. Le
sedie e i tavoli di Manzano hanno continuato ad arretrare in Francia e Germania (primo e
secondo mercato di riferimento), pur mostrando un’accelerazione dei valori esportati nel Regno
Unito e un nuovo balzo delle vendite in Russia. La componentistica e la termomeccanica
friulana, pur ottenendo ottimi risultati negli Stati Uniti e in Arabia Saudita, ha subito un nuovo
calo, penalizzata dalla riduzione dell’export subito in molti nuovi mercati come Cina, Russia,
India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto. I vini del Friuli, infine, hanno accusato cali di export in
molti sbocchi commerciali e, in particolare, negli Stati Uniti, in Germania, Polonia, Russia e
Canada.
Gli altri tre distretti della regione sono andati meglio, riuscendo a conseguire un aumento delle
esportazioni intorno al 10%. Il prosciutto di San Daniele ha superato il calo accusato in
Germania e Francia con un balzo delle vendite negli Stati Uniti, in Svizzera e in Slovenia. I coltelli
e forbici di Maniago hanno consolidato la loro presenza in Germania (prima destinazione
commerciale del distretto) e hanno significativamente aumentato i loro flussi diretti verso
Austria, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti. Gli elettrodomestici di Pordenone hanno ottenuto
risultati ragguardevoli soprattutto sui mercati europei e, in particolare, in Svezia, Francia,
Germania, Russia, Regno Unito e Svizzera.
Tab. 1.8 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia
(i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2é trimestre del 2013)
Milioni di euro
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013
2° trim. 2013 e
2° trim . 2012
Distretti del Friuli Venezia Giulia
1.268
1.207
-61,1
Elettrodomestici di Inox valley (Pordenone)
74
81
7,0
Coltelli, forbici di Maniago
23
26
2,7
Prosciutto San Daniele
7
8
0,7
Sedie e tavoli di Manzano
116
115
-1,5
Vini del Friuli
22
18
-4,0
Mobile di Pordenone
162
146
-15,9
Componentistica e termoelettromeccanica friulana
864
814
-50,3
Var. % tendenziali
2° trim. 2013
1° sem. 2013
-4,8
9,4
11,9
10,8
-1,3
-18,0
-9,8
-5,8
-4,5
16,7
9,8
6,5
-3,5
-21,0
-14,3
-4,7
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
A livello geografico i distretti friulani hanno maturato buone performance negli Stati Uniti e in
alcuni mercati emergenti, come Malesia, Vietnam, Angola, Panama, Repubblica Ceca, Arabia
Saudita, Indonesia, Nigeria (Tab. 1.9). In tutti questi mercati ha conosciuto uno sviluppo notevole
la componentistica e termoelettromeccanica friulana che, grazie all’acquisizione di importanti
commesse, è riuscita a superare almeno in parte i cali subiti in altri paesi emergenti (Cina, Russia,
13
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72
Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto, Iraq; Tab. 1.10). Dopo quattro trimestri negativi, si è poi
riportato in territorio positivo l’importante mercato tedesco, dove hanno ottenuto ottimi risultati
l’Inox valley e il mobile di Pordenone.
Tab. 1.9 – I 12 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia è
stata più elevata (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013
2° trim. 2012
Malaysia
1
25
24,4
Stati Uniti
64
84
20,2
31,8
26,0
Vietnam
1
13
12,0
Angola
0
11
11,1
Panama
0
11
10,6
Repubblica Ceca
7
17
10,1
145,5
72,3
Arabia Saudita
22
30
8,4
38,0
8,9
Indonesia
3
10
7,1
261,8
48,4
Nigeria
1
8
6,8
670,5
514,4
Regno Unito
62
69
6,6
10,6
5,6
Bielorussia
5
11
5,4
99,4
91,6
Germania
162
166
3,8
2,4
-3,1
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
Tab. 1.10 – I 9 mercati dove il calo delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia è stato
più pronunciato (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013
Milioni di euro
Var. % tendenziale
Differenza tra
2° trim.
2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013
2012
2° trim. 2012
Iraq
26
0
-25,6
-99,2
-87,8
Brasile
31
10
-21,4
-68,1
-48,5
Venezuela
22
2
-20,4
-93,0
-88,4
Russia
68
53
-15,5
-22,7
-18,1
Egitto
20
6
-14,3
-70,6
-54,9
Cina
84
70
-14,0
-16,8
-20,0
India
31
17
-13,4
-43,4
-14,0
Thailandia
27
15
-12,5
-46,3
-28,4
Ucraina
22
10
-12,5
-55,7
-43,8
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
14
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
2. L’export dei 3 poli tecnologici del Triveneto nel 2° trimestre 2013
Dall’analisi dell’evoluzione delle esportazioni dei tre poli tecnologici triveneti emerge un quadro
solo apparentemente positivo. La chiusura positiva del secondo trimestre del 2013 (+16,1% la
variazione tendenziale) è interamente spiegata dal balzo dell’export del biomedicale di Padova
negli Stati Uniti che, tuttavia, va letto con molta attenzione anche alla luce dell’elevata volatilità
dei dati di export di questo distretto e di alcune incongruenze emerse nell’attribuzione dei dati
provinciali relativi ai flussi di strumenti e forniture mediche e dentistiche1. Gli altri due poli
tecnologici della regione, l’ICT veneto e l’ICT di Trieste, hanno, invece, subito una lieve riduzione
delle esportazioni, in linea con quanto osservato mediamente negli altri poli ICT monitorati da
Intesa Sanpaolo. All’ICT di Trieste non è bastato crescere in Germania e negli Emirati Arabi Uniti
per compensare quanto perso nel Regno Unito e, soprattutto, in Francia e negli Stati Uniti. L’ICT
veneto, invece, ha scontato il pesante calo delle vendite in Austria, Stati Uniti, Polonia e Francia,
non compensato dai buoni risultati conseguiti in Svizzera, Regno Unito e Cina.
Tab. 2.1 – Evoluzione delle esportazioni dei poli tecnologici nel 2° trimestre del 2013
(i poli sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013)
Milioni di euro
Differenza tra
2° trim. 2012
2° trim. 2013
2° trim. 2013 e
2° trim . 2012
Totale poli tecnologici italiani, di cui:
5.471
6.061
590
Totale poli tecnologici del Triveneto
265
308
43
Biomedicale di Padova
85
133
48
Polo Ict di Trieste
34
33
-1
Polo Ict veneto
147
141
-5
Var. % tendenziali
2° trim. 2013
1° sem. 2013
10,8
16,1
57,3
-1,8
-3,5
8,9
8,0
55,3
-5,7
-15,4
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat
1
E’ per questi stessi motivi che in questo numero del Monitor non sono stati riportati i dati del distretto
dell’occhialeria di Belluno.
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
3. La CIG nei distretti e nei poli tecnologici triveneti
I dati relativi agli ammortizzatori sociali confermano il momento di crisi che sta interessando una
parte importante del tessuto produttivo locale, soprattutto sul mercato interno, ma anche, nel
caso di alcuni distretti, sui mercati esteri. Nei primi otto mesi del 2013 le ore autorizzate di CIG2
(cassa integrazione guadagni) nei distretti tradizionali si sono portate a 25,6 milioni, da 19,3
milioni dell’anno precedente, ritornando vicine al massimo storico toccato nel 2010. Tutte le
componenti della cassa hanno registrato un aumento. Spicca, in particolare, il dato della CIG
straordinaria (+41,8% la variazione tendenziale)3, attivata per situazioni di crisi strutturale delle
imprese, che ha raggiunto quota 12,1 milioni, poco meno della metà del monte ore
complessivamente autorizzato (Fig. 3.1).
Fig. 3.1 – Monte ore di CIG autorizzate nei distretti industriali
del Triveneto (milioni di ore)
Fig. 3.2 – Monte ore di CIG autorizzate nei poli tecnologici del
Triveneto (migliaia di ore)
36
1.000
gen-ago 2009
gen-ago 2011
24
gen-ago 2010
gen-ago 2012
800
gen-ago 2009
gen-ago 2010
gen-ago 2011
gen-ago 2012
gen-ago 2013
gen-ago 2013
600
400
12
200
0
0
CIG Ordinaria
CiG
CIG in deroga
Straordinaria
CIG totale
CIG Ordinaria
Nota: sono esclusi i distretti agro-alimentari. Fonte: elaborazione su dati INPS
CiG
CIG in deroga
Straordinaria
CIG totale
Fonte: elaborazione su dati INPS
Un balzo importante ha interessato anche la CIG in deroga4 (+58,3%) che è utilizzata
soprattutto dalle piccole e piccolissime imprese non coperte dalla CIG ordinaria. Sostanzialmente
stabile poi il numero di ore autorizzate di CIG ordinaria5 (+1,2%), richiesta dalle imprese nelle
fasi di ripiegamento ciclico. Su livelli più contenuti si collocano le ore di CIG autorizzate nei poli
tecnologici: anche in questo caso però si sono osservati segnali di accelerazione, con la CIG
totale che, spinta soprattutto dall’ICT veneto, ha avvicinato i livelli di massimo toccati nel 2011.
2
Il dato CIG dei distretti è stato ricavato assegnando a ciascun distretto la specializzazione produttiva
fornita dalla banca dati INPS. Poiché i settori di specializzazione INPS risultano talvolta più ampi degli
effettivi settori di specializzazione distrettuali, il calcolo del monte ore potrebbe risultare sovrastimato.
Si segnala come l’INPS abbia recentemente messo a disposizione i dati di Cassa Integrazione Guadagni
ripartiti per classe merceologica Ateco 2002 a 2 digit. E’ stato quindi eseguito l’incrocio tra dati
provinciali e categoria industriale ricorrendo a tale classificazione. Si segnala inoltre come il calcolo delle
ore di Cassa comprenda, oltre ai settori manifatturieri, anche i settori dei servizi, utile per identificare
meglio lo status di alcuni distretti dell’informatica. Quest’ultimo risulta particolarmente importante per
fotografare con più precisione la situazione del mercato del lavoro dei distretti tecnologici, come ad
esempio, l’ICT veneto.
In questo paragrafo non viene considerato il monte ore di CIG dei distretti agro-alimentari.
3
La Cassa straordinaria è adottata quando l’azienda si trova a fronteggiare processi di ristrutturazione,
riorganizzazione, riconversione o in caso di crisi aziendale, fallimento, concordato preventivo,
liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria.
4
Sono definiti “in deroga” i trattamenti straordinari di integrazione salariale (CIGD) destinati ai lavoratori
di imprese escluse dalla CIGS, quindi aziende artigiane e industriali con meno di 15 dipendenti o
industriali con oltre 15 dipendenti che non possono usufruire dei trattamenti straordinari.
5
La CIGO è rivolta alle aziende industriali non edili e alle aziende industriali e artigiane dell’edilizia e del
settore lapideo che sospendono o riducono l’attività aziendale a causa di eventi temporanei e transitori
quali ad esempio la mancanza di commesse, le avversità atmosferiche. Può essere concessa per 13
settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi; in alcune aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi.
16
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
4. Le prospettive di breve termine
Il 2013 sarà un altro anno difficile per l’economia italiana. Stretta fiscale, condizioni finanziarie
ancora tese, nuova contrazione del reddito disponibile reale delle famiglie continueranno a
pesare sulla domanda interna. Il commercio estero resterà l’unica fonte di crescita.
Il ciclo economico internazionale presenta indicazioni di leggera ripresa, anche grazie al recupero
dei flussi commerciali. La crescita mondiale per il 2013 dovrebbe raggiungere livelli simili a quelli
dello scorso anno (intorno al +3,0%); solo nel 2014 avremo una ripresa più consistente (vicino al
+4%). La crescita sarà trainata dai paesi asiatici, OPEC e dagli Stati Uniti, mentre l’Eurozona
rimarrà in recessione. Negli Stati Uniti il freno della politica fiscale verrà controbilanciato dalla
politica monetaria fortemente espansiva della Fed, dal graduale riequilibrio dei bilanci delle
famiglie e dalla ripresa del settore dell’edilizia residenziale.
Nel 2013 nell’Eurozona anche la Germania registrerà una crescita modesta, mentre i paesi
periferici subiranno un nuovo e significativo calo del PIL. Il peggio sembra comunque alle spalle.
Dopo sei trimestri consecutivi di contrazione, il PIL dell’Eurozona è tornato a crescere nel 2°
trimestre, trainato da Germania e Francia. Gli indicatori anticipatori segnalano, inoltre, una
svolta del ciclo degli ordini, anche se la ripresa per il momento è ancora trainata dall’export. Ci
attendiamo pertanto che la ripresa in corso, seppur debole, prosegua nel secondo semestre, per
il momento ancora alimentata dalle esportazioni. Se non interverranno nuovi elementi
destabilizzanti, l’Eurozona potrà tornare a crescere nel 2014, quando il freno al ciclo derivante
dalla politica fiscale dovrebbe allentarsi e l’accelerazione della domanda mondiale dovrebbe dare
nuovo impulso alle esportazioni europee.
Anche in Italia iniziano a registrarsi i primi deboli segnali di ripresa. Già da qualche mese, alcuni
indicatori anticipatori delle tendenze di medio termine (il leading indicator dell’OCSE o la massa
monetaria M1 al netto dell’inflazione) segnalano una possibile svolta ciclica tra fine 2013 e inizio
2014. La fiducia delle imprese manifatturiere (sia secondo l’indagine Istat che in base alla survey
PMI) mostra da qualche mese un trend di ripresa. A luglio l’indice PMI manifatturiero è tornato
in territorio espansivo per la prima volta dopo due anni. Gli ordini dall’estero continuano a
essere trainanti, ma la novità degli ultimi mesi è il minor pessimismo delle imprese anche sulle
commesse dal mercato domestico. Permangono tuttavia dei rischi, derivanti principalmente dalle
incertezze sulla stabilità e la durata del governo, che potrebbero incidere sulle condizioni
finanziarie e la fiducia di imprese e famiglie.
Le prospettive di superamento della fase recessiva dell’economia italiana e del Triveneto restano
affidate nel breve termine principalmente alla capacità delle nostre imprese di sfruttare al meglio
le opportunità di crescita presenti sui mercati internazionali. A questo proposito fanno ben
sperare alcune indicazioni che emergono dai dati appena rilasciati dall’Istat sul commercio estero
italiano di luglio. L’export di manufatti verso la Cina, infatti, è tornato a correre (+24,5%
tendenziale, con risultati particolarmente positivi nel sistema moda e nel mobile, ma anche nella
meccanica), mentre le vendite in Russia hanno mostrato segnali di accelerazione (+18%; bene
soprattutto la meccanica e l’agro-alimentare). Inoltre, la stabilizzazione del ciclo nei Paesi UE
sembra iniziare ad avere effetti positivi sulle esportazioni italiane verso i nostri maggiori partner
commerciali: a luglio, infatti, l’export italiano di manufatti verso la Francia e la Germania ha
registrato un aumento tendenziale pari all’1,9% e al 2,4% rispettivamente, dopo che nei primi
sei mesi dell’anno avevano accusato un calo del 3% e del 4,4%.
17
Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Appendice Metodologica
Non è facile monitorare l’evoluzione congiunturale dei distretti industriali. Le uniche informazioni
aggiornate disponibili a livello territoriale (provinciale) riguardano le esportazioni espresse a
prezzi correnti (dati trimestrali). La congiuntura dei distretti può essere pertanto approssimata in
un modo molto grezzo, con un maggiore grado di confidenza solo per i distretti fortemente
export-oriented (non ci sono, infatti, dati sul mercato interno) e per quelli che producono beni
non troppo specifici (non abbiamo statistiche su micro-settori ad esempio come “coltelli e
forchette”…).
I distretti analizzati costituiscono una sintesi di quelli individuati dalla Federazione dei distretti
italiani, dall’Istat, dalla Fondazione Edison e dalle Leggi regionali che censiscono i distretti stessi.
Poiché il presente lavoro ha finalità soprattutto quantitative a livello del sistema distretti nel suo
complesso, ci si è concentrati solo sui distretti che potevano essere ben rappresentati dai dati
Istat disponibili sul commercio estero a livello provinciale. Vale la pena precisare che i dati Istat
provinciali si riferiscono alle export espresse a prezzi correnti e, pertanto, non tengono conto dei
fenomeni inflativi, ovvero delle variazioni di prezzo non dovute a miglioramenti qualitativi dei
beni prodotti. Questi dati devono, pertanto, essere valutati con cautela poiché l’evoluzione
positiva (negativa) dell’export può nascondere aumenti (diminuzioni) di prezzo legati
all’andamento delle quotazioni delle materie prime.
In questo numero del Monitor l’evoluzione delle esportazioni nel 2012 è calcolata confrontando
i dati rettificati nel 2012 con i dati definitivi del 2011. Infine, l’evoluzione delle esportazioni nel
2013 è calcolata confrontando i dati provvisori nel 2013 con i dati rettificati del 2012.
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Monitor dei Distretti - Triveneto
Ottobre 2013
Le pubblicazioni sui Distretti del Servizio Studi e Ricerche
Studi sui distretti industriali
Monografie sui principali distretti industriali italiani
Il distretto del mobile della Brianza, Marzo 2003
Il distretto del mobile del Livenza e Quartiere del Piave, Agosto 2003
Il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, Agosto 2003
Il distretto del tessile–abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno, Settembre 2003
Il distretto delle piastrelle di Sassuolo, Dicembre 2003
Il distretto della calzetteria di Castel Goffredo, Gennaio 2004
Il distretto dei metalli di Lumezzane, Febbraio 2004
Il distretto del tessile–abbigliamento di Prato, Marzo 2004
Il distretto del mobile di Pesaro, Giugno 2004
Il distretto dell’occhialeria di Belluno, Settembre 2004
Il distretto della concia di Arzignano, Settembre 2004
Il distretto delle calzature di Fermo, Febbraio 2005
Il distretto tessile di Biella, Marzo 2005
Il distretto della sedia di Manzano, Maggio 2005
Il distretto serico di Como, Agosto 2005
Il distretto della calzetteria di Castel Goffredo (aggiornamento), Novembre 2005
Il distretto dei prodotti in pelle e cuoio di Santa Croce sull’Arno, Dicembre 2005
Il distretto della concia di Arzignano (aggiornamento), Aprile 2006
Il distretto del mobile imbottito della Murgia, Giugno 2006
I distretti italiani del mobile, Maggio 2007
Il distretto conciario di Solofra, Giugno 2007
Il distretto dei prodotti in pelle e cuoio di S.Croce sull’Arno (aggiorn.), Settembre 2007
Il distretto della calzatura del Brenta, Ottobre 2007
Il distretto della calzatura veronese, Dicembre 2007
Il Polo fiorentino della pelle, Luglio 2008
Il distretto dei casalinghi di Omegna, Novembre 2008
Il distretto della calzatura di San Mauro Pascoli, Febbraio 2009
Il distretto metalmeccanico del Lecchese, Giugno 2009
I distretti calzaturieri del sud: Casarano, il Nord Barese e il Napoletano, Settembre 2009
Il distretto della maglieria e dell’abbigliamento di Carpi, Marzo 2010
Il distretto delle macchine agricole di Modena e Reggio Emilia, Marzo 2010
I distretti veneti del tessile-abbigliamento: le strategie per un rilancio possibile, Aprile 2010
L’occhialeria di Belluno all’uscita dalla crisi: quale futuro per il tessuto produttivo locale?, Settembre 2010
La Riviera del Brenta nel confronto con i principali distretti calzaturieri italiani, Ottobre 2010
Il comparto termale in Italia: focus Terme Euganee, Giugno 2011
Il calzaturiero di San Mauro Pascoli: strategie per un rilancio possibile, Luglio 2011
Il distretto della carta di Capannori: Marzo 2012
I distretti industriali e i poli tecnologici del Mezzogiorno: struttura ed evoluzione recente, Giugno 2012
Il mobile imbottito di Forlì nell’attuale contesto competitivo, Novembre 2012
Abbigliamento abruzzese e napoletano, Novembre 2012
Maglieria e abbigliamento di Perugia, Luglio 2013
Monitor dei distretti e Monitor dei distretti regionali
Trimestrale di congiuntura e previsioni sui principali distretti industriali italiani
Ultimo numero: Settembre 2013
Economia e finanza dei distretti industriali
Rapporto annuale sui bilanci delle imprese distrettuali
Quinto numero: Dicembre 2012
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Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche
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Monitor dei Distretti – Triveneto
Ottobre 2013
Intesa Sanpaolo Servizio Studi e Ricerche - Responsabile Gregorio De Felice
Ufficio Industry & Banking
Fabrizio Guelpa (Responsabile Ufficio)
Industry
Stefania Trenti (Responsabile)
Giovanni Foresti (Responsabile Analisi Territoriale)
Maria Cristina De Michele
Serena Fumagalli
Angelo Palumbo
Caterina Riontino
Ilaria Sangalli
Banking
Elisa Coletti (Responsabile)
Marco Lamieri
Tiziano Lucchina
Finanza e Servizi Pubblici Locali
Laura Campanini (Responsabile)
Andrea Olivetto
0287962051
[email protected]
0287962067
0287962077
0287963660
0280212270
0287935842
0280215569
0280215785
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
0287962097
0287935987
0287935939
[email protected]
[email protected]
[email protected]
0287962074
0287962265
[email protected]
[email protected]
Il rapporto è stato elaborato con informazioni disponibili al 13 settembre 2013
Editing: Elisabetta Ciarini
Avvertenza Generale
La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute
da Intesa Sanpaolo affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l’accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo
garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente
indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione
all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il
nome Intesa Sanpaolo.
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