Pdl 285 - Consiglio Veneto
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Pdl 285 - CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO Disciplina dei distretti industriali, delle reti innovative regionali e delle aggregazioni di imprese ALLEGATI Pdl 285 - Disciplina dei distretti industriali, delle reti innovative regionali e delle aggregazioni di imprese - Il Sole 24 Ore - I distretti vent'anni dopo - Come cambiano i poli del made in italy - Monitor dei Distretti del Triveneto -Servizio Studi e Ricerche, Ottobre 2013 CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO NONA LEGISLATURA PROGETTO DI LEGGE N. 285 DISEGNO DI LEGGE di iniziativa della Giunta regionale (DGR 16/DDL del 3 luglio 2012) DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE Presentato alla Presidenza del Consiglio il 5 luglio 2012. 2 DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE R e l a z i o n e: La crisi del sistema economico mondiale ha coinvolto inevitabilmente anche l’economia veneta, un’economia da sempre ai primi posti nei mercati interno ed internazionale, fondata sulle piccole e medie imprese, industriali e artigianali. In questo contesto, la Regione deve intervenire con una strumentazione in grado di sostenere un’inversione di tendenza e diventare strategica per una consolidata ripresa. Sulla base di queste considerazioni è stato avviato un monitoraggio sulla situazione dei distretti e metadistretti del Veneto, riconosciuti dalla legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, novellata con legge regionale 16 marzo 2006, n. 5. Dopo una prima fase di attività amministrativa, che ha consentito di attuare un piano di rientro dell’inevaso sui bandi pregressi, è emersa la necessità di intervenire con una nuova normativa che individui innovative modalità aggregative e sia improntata a principi di semplificazione e flessibilità. In particolare, le risorse che possono essere destinare a favore dei distretti e degli altri sistemi produttivi a rete devono essere indirizzate, prima di tutto, su progetti di sistema, ovverosia interventi in grado di produrre esternalità positive su larga scala, capaci di incidere sulla dinamica competitiva delle imprese che operano all’interno di un distretto o di una rete. Per questo è necessario individuare soggetti che possano essere espressione di uno specifico ambito produttivo ed attuatori degli indirizzi e politiche regionali. Attraverso i finanziamenti, rivolti a specifici target di riferimento, la Regione può imprimere una svolta a determinate situazioni economiche contingibili e non differibili adottando una strumentazione dedicata a determinate tipologie del sistema produttivo. I distretti industriali del Veneto, a matrice industriale o artigianale, costituiscono una di queste categorie, essendo sistemi produttivi locali manifatturieri insistenti su di uno specifico territorio e con una loro consolidata storicità. Trattasi di realtà produttive nate nel dopoguerra e che si sono sviluppate fino agli anni Settanta in modo sostanzialmente omogeneo e autonomo su tutto il territorio regionale, soprattutto grazie all’intraprendenza e alla voglia di “mettersi in proprio” tipica della laboriosità e delle iniziative della gente veneta. I prodotti di questi distretti sono apprezzati sui mercati internazionali per le qualità e per i contenuti innovativi, rappresentando così una quota rilevante del nostro export. L’evoluzione economica ha poi portato alla definizione di nuove e differenti forme diverse dal distretto tradizionale. Nascono forme di rete d’imprese che, per la loro natura e i loro obiettivi, non sono ancorate ad uno specifico territorio. La loro parte relazionale tende a travalicare non solo i confini regionali, ma anche quelli nazionali. Reti che oltrepassano l’ambito produttivo specifico diventando anche multisettoriali. Queste reti operano per lo più sulla frontiera della ricerca e dell’innovazione, mantenendo sinergie e collaborazioni consolidate con le istituzioni universitarie e le altre strutture di ricerca, siano esse pubbliche che private. Il nostro territorio è poi contraddistinto da piccole e micro imprese che necessitano di superare la propria dimensione sviluppando una cultura della condivisione di una progettualità comune, anche piccola: poche imprese che 3 operano in una stessa filiera, che riscontrano un problema collettivo e decidono di risolverlo assieme. La Regione deve quindi dare un aiuto concreto a queste dinamiche che, consolidate, possono contribuire ad una effettiva crescita dimensionale delle imprese. Da queste considerazioni nasce la nuova legge regionale i cui principi ispiratori sono stati portati a conoscenza degli operatori economici in occasione della Consulta dei distretti svoltasi il 21 luglio 2011, riscuotendo ampi segnali di approvazione e di condivisione. In questa sede sono state sottoposte all’attenzione le tre dimensioni cardine della nuova norma: il distretto industriale, la rete innovativa regionale, l’aggregazione di imprese. Per i mesi successivi è stato mantenuto un canale aperto con i distretti e le rappresentanze istituzionali, che hanno avuto facoltà di inviare nuove proposte, suggerimenti e spunti di riflessione. Le linee guida di luglio sono state quindi tradotte in una bozza di progetto di legge, un testo che è stato presentato in occasione dell’evento appositamente organizzato il 12 gennaio 2012 a Padova, una giornata intitolata “Una nuova geografia dello sviluppo: il Veneto dei distretti e delle reti” che è stata momento di confronto e di condivisione degli obiettivi, un dibattito con gli interlocutori del sistema economico, i distretti, i soggetti istituzionali, le Camere di commercio. Il nuovo disegno di legge vuole innanzitutto costituire una cornice all’interno della quale il policy maker regionale può sviluppare politiche efficaci e flessibili di sviluppo produttivo e industriale. Uno strumento snello e orientato alla semplificazione per essere rapidamente adattabile alle esigenze manifestate dalle imprese in rapporto ai mutevoli scenari economici. Il nuovo disegno di legge è pertanto incentrato sulle tre dimensioni di distretto industriale, di rete innovativa regionale, di aggregazione di imprese. In particolare, i primi individuati dalla Giunta regionale sulla base di un consolidato riconoscimento, le seconde riconosciute sulla base di progettualità strategiche proposte dalle reti medesime. Tre diverse categorie a cui sono riservati specifici strumenti di finanziamento: finanziamenti assegnati attraverso la stipulazione di accordi di programma specifici con i soggetti giuridici che rappresentano il distretto industriale o la rete innovativa regionale e bandi di finanziamento specifici e dedicati a ciascuna delle tre tipologie. Per i distretti industriali e le reti innovative regionali grande importanza è assegnata al soggetto giuridico che dovrà essere in grado di rappresentare il distretto o la rete, traducendone i relativi bisogni in proposte progettuali che dovranno essere di sistema, aventi ampia ricaduta sui territori o sui settori di riferimento. La responsabilità della riuscita dell’intervento finanziato in tutte le fase di realizzazione sarà posta in capo all’unico soggetto che rappresenta il distretto o la rete. Il testo normativo risulta inoltre semplificato per quanto riguarda gli interventi finanziabili, identificati per macro categorie nelle quali rientrano tutte le possibili linee specifiche d’intervento: è, quindi, ambito di valutazione delle esigenze e dei fabbisogni riferiti al preciso momento storico che consentirà l’attivazione di specifiche linee di finanziamento all’interno delle singole materie. Per le aggregazioni di imprese la norma è confacente a quanto previsto dalle normative nazionali. È infatti introdotto il concetto di contratto di rete quale forma idonea a identificare un’aggregazione di imprese. Si segnala, infine, l’assenza di vincoli numerici atti a definire dimensioni minime ai fini 4 dell’eleggibilità a distretto industriale o rete innovativa regionale: l’unico vincolo è riscontrabile per le aggregazioni di imprese che per essere tali devono essere costituite da almeno 3 imprese, parametro che si giudica, ad ogni modo, in linea con gli orientamenti del legislatore nazionale con particolare riferimento al contratto di rete. In definitiva, una strumentazione al passo con i tempi, in grado di garantire stabilità e innovazione, anche nel tempo, al sistema economico regionale che ha trovato interesse e soddisfazione nelle categorie economiche regionali che hanno visto nelle finalità, nelle definizioni, negli interventi, nella disciplina delle modalità operative indicati dalla Legge una novità nell’approcciare le sfide dei mercati economici nazionali e internazionali. RELAZIONE AI SINGOLI ARTICOLI. Art. 1 - Finalità. L’articolo, richiamate le competenze regionali affidate dalla Costituzione, individua l’obiettivo della Legge regionale che consiste nel promuovere azioni di sostegno a favore del sistema produttivo regionale con particolare riguardo all’innovazione dei settori produttivi e alla competitività dei prodotti sui mercati internazionali, le “eccellenze venete” riconoscibili nel mondo. In particolare, il primo comma introduce un aspetto particolarmente significativo: la difesa dell’occupazione e la promozione di nuove forme imprenditoriali, sia innovative che operanti negli ambiti dell’innovazione, mentre il secondo comma introduce gli elementi su cui poggia la Legge regionale stessa, ovvero i principi posti a base del procedimento di individuazione e di riconoscimento dei distretti industriali e delle altre forme a rete nonché i principi di attuazione degli interventi per lo sviluppo locale. Art. 2 - Definizioni. L’articolo riconosce e disciplina tre tipologie di sistemi produttivi. Al comma 1, il distretto industriale, sistema produttivo locale, caratterizzato da un’elevata concentrazione di imprese manifatturiere, la cui dimensione deve essere in prevalenza piccola o media; trattasi di PMI, di carattere industriale e artigianale. Ne consegue che la Regione può riconoscere quali distretti industriali anche sistemi produttivi locali costituiti (anche) solo di imprese artigiane, in quanto il comune denominatore è da intendersi, in ogni caso, la manifattura, sia di natura prettamente industriale che esclusivamente artigianale, che mista. Il medesimo comma, inoltre, specifica che le imprese devono operare anche all’interno di specifiche filiere produttive, o in filiere correlate; in ogni caso, filiere economicamente rilevanti con riferimento all’ambito regionale. Quindi, gli elementi che qualificano un distretto industriale sono: la territorialità, la concentrazione delle PMI all’interno del medesimo territorio, l’organizzazione della produzione secondo la logica di filiera produttiva. Il comma 2 individua la rete innovativa regionale, nuovo soggetto in grado di porre in rilievo le specificità economiche regionali. Nella rete innovativa regionale, oltre alle imprese che la compongono, possono aderire soggetti pubblici, quali, a titolo esemplificativo, le istituzioni universitarie, le strutture di ricerca pubbliche, gli enti pubblici, le autonomie funzionali, le aziende speciali; soggetti privati, quali strutture di ricerca, fondazioni, enti. La rete innovativa 5 regionale opera in ambiti innovativi riferiti a qualsiasi settore e condivide attraverso i propri componenti un programma di sviluppo fatto di iniziative e progettualità in grado di generare benefici rilevanti per l’economia della regione. A differenza di quanto definito per i distretti industriali, la territorialità e la relativa concentrazione delle imprese non rappresentano, in questo caso, requisiti che qualificano la rete innovativa regionale che, anzi, può ritenersi “sganciata” dagli ambiti produttivi locali (cioè di dimensione intercomunale o provinciale) a favore di una dimensione più estesa in grado di coinvolgere più parti, anche distanti tra loro, del territorio della regione Veneto. Il comma 3 definisce il concetto di aggregazione di imprese. Si tratta di un insieme di imprese riunite, anche occasionalmente, per condividere la realizzazione e i risultati di un progetto da sviluppare assieme. Per quest’ultima tipologia non sussiste la necessità di elaborazione di particolari programmi strategici di sviluppo da parte delle imprese. L’accento è quindi posto sull’esperienza che alcune imprese, almeno 3, che decidono di condividere la realizzazione di un progetto. Peraltro, come si evince dal contenuto dell’articolo 5, l’aggregazione può diventare strumento di promozione per la stipulazione di nuovi contratti di rete, così come disciplinati dalla normativa nazionale vigente. Art. 3 - Individuazione del distretto industriale. L’articolo disciplina i principi e i criteri di individuazione del distretto industriale indicando i relativi requisiti. I procedimenti di individuazione e il relativo atto di riconoscimento devono essere attuati entro i successivi novanta giorni dall’entrata in vigore della norma legislativa, previa consultazione della competente Commissione consiliare. La norma, al comma 2, identifica i tre requisiti che devono essere soddisfatti, in via obbligatoria, ai fini del riconoscimento di ciascun distretto industriale. Rappresentano, pertanto, condizione sufficiente ai fini del riconoscimento, il soddisfacimento dei requisiti di cui alle lettere a), b), c) del comma 2, che sono: - un’elevata concentrazione di imprese industriali e artigiane localizzate all’interno di uno specifico territorio delimitato geograficamente e con un’estensione che può essere comprensiva anche di più province. Le imprese devono, in ogni caso, appartenere alla stessa filiera produttiva (o comunque operare in filiere correlate alla filiera principale), che deve essere, in sintonia con il contenuto di cui all’articolo 2, comma 1, di tipo manifatturiero. Ai fini dell’individuazione, la Giunta regionale si avvarrà di rilevazioni di ordine statistico, quali l’impiego di indici statistici e dei dati resi disponibili dal più recente censimento dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ovvero avvalendosi di altre fonti informative, in ogni caso riconosciute dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura del Veneto; - la storicità del distretto, che è dimostrabile qualora nel territorio siano presenti centri di documentazione sulla cultura locale del prodotto e del lavoro inerenti la produzione distrettuale, risultando così idonei ad attestare che i prodotti output del sistema distrettuale rappresentano il frutto di saperi sedimentati, condivisi e appartenenti alla storia di un territorio. In alternativa, in assenza di predetti centri, il requisito di storicità può essere desunto e ritenuto soddisfatto da situazioni pregresse evidenziate da studi scientifici, articoli, saggistica e letteratura comunque di rilevanza accademica, compiuti sullo stesso; 6 - la capacità del distretto industriale di essere sistema competitivo anche in ambito internazionale, dimostrabile dalla propensione all’innovazione del distretto, nonché dalla propria proiezione sui mercati internazionali; la presenza, quindi, di imprese leader del settore in grado di proporre sui mercati prodotti veneti di qualità riconoscibili anche su scala globale. Il comma 3 individua elementi utili all’evidenziazione dell’esistenza di un distretto industriale. Tali elementi, da ritenersi comunque di supporto alla rilevazione compiuta dalla Regione, riguardano la presenza o l’identificabilità di un marchio di distretto, la presenza di strutture dedicate alla ricerca, alla formazione e la presenza di soggetti istituzionali diversi dalle imprese ma in grado di ricoprire un ruolo importante per l’economia del distretto industriale. Il comma 4 prevede che l’elenco dei distretti industriali come determinato possa essere oggetto di successivi aggiornamenti. Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale. A differenza del distretto industriale, individuato dalla Giunta regionale a seguito di rilevazioni compiute dalla stessa, la rete innovativa è proposta al riconoscimento dell’Organo esecutivo regionale dal soggetto interessato che sia in grado di rappresentarla. Si tratta di un’azione propositiva che parte “dal basso”, nella quale le imprese, eventualmente supportate da altri soggetti di natura pubblica e privata che vogliono essere riconosciuti come una rete innovativa regionale, individuano preliminarmente un soggetto giuridico (con le caratteristiche di cui al successivo articolo 6) rappresentante e promotore dell’istanza di riconoscimento. Come indicato al comma 2, la Giunta regionale, ai fini del riconoscimento di ciascuna candidatura quale rete innovativa regionale, verifica preliminarmente il soddisfacimento dei requisiti di cui alle lettere a) e b). Il primo requisito (lettera a) è di carattere prettamente quantitativo e riferito al numero di soggetti che compongono la rete innovativa stessa e che sono rappresentati dal soggetto di cui al precedente comma. Il principio qui definito è che la rete innovativa regionale deve essere numericamente cospicua e pertanto idonea a costituire l’espressione di un programma strutturato e condiviso da un rilevante insieme di soggetti. La definizione numerica non è esplicitata nella norma poiché l’obiettivo consiste nell’affermare un principio; è facoltà della Giunta regionale emanare, quindi, un provvedimento con indicati i relativi valori numerici. Per quanto concerne la lettera b) del medesimo comma, il secondo requisito affermato è riferito alla dimensione economica della rete innovativa regionale. In difetto della rilevanza economica, il grado di innovazione espresso dalla rete innovativa o di novità del settore in cui la rete innovativa opera, diventa elemento di riferimento. Trattasi, in definitiva, di elementi validi per il giudizio in ordine all’ammissibilità della candidatura al riconoscimento di una rete innovativa regionale. La Giunta regionale ha facoltà di procedere alla regolamentazione e all’individuazione dei parametri oggettivi necessari al soddisfacimento di quanto disciplinato dalla presente lettera. L’ultimo comma sancisce una vigenza biennale della rete innovativa regionale, la cui validità è quindi automaticamente prorogata per un ulteriore biennio se risulta nuovamente rispettante i requisiti di cui comma 2. La rete innovativa regionale, a differenza del distretto industriale, non possiede peculiarità di ordine storico, ma è invece proiettata sulla frontiera 7 dell’innovazione e può quindi essere soggetta a un ciclo di vita breve e a mutamenti di carattere frequente e radicale. Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese. L’articolo concerne la figura delle aggregazioni d’impresa e determina le forme idonee a rappresentare un’aggregazione di imprese. Le forme di aggregazione ammesse sono: - alla lettera a), i contratti di rete (di cui agli articoli 4 ter e seguenti del decreto legge l0 febbraio 2009, n. 5, convertito nella legge 9 aprile 2009, n. 33, modificata ed integrata con la legge 23 luglio 2009, n. 99 e con legge 30 luglio 2010 n. 122, che ha convertito il decreto legge n. 78/2010), o, eventualmente, ulteriori forme equivalenti di aggregazione in caso di ulteriori sviluppi ed evoluzioni della normativa nazionale, in considerazione del carattere recente della stessa; - alla lettera b) i consorzi con attività esterna, società consortili, società cooperative e altre società di capitali cosiddette a controllo congiunto, vale a dire società nella cui compagine sociale intervengono esclusivamente altre imprese che sono riunite al fine di perseguire un determinato e comune oggetto sociale; - alla lettera c) le associazioni temporanee di imprese (ATI), che rappresentano semplici contratti di diritto privato sottoscritti con l’esclusiva finalità di realizzare un intervento progettuale comune e che si risolvono all’ultimazione dello stesso. Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali. Al primo comma, l’articolo definisce la rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali. Sia il distretto industriale che la rete innovativa regionale devono individuare, ciascuno, un proprio soggetto, dotato di personalità giuridica, capace di rappresentare il distretto industriale o la rete innovativa regionale nei confronti della Regione e delle altre Amministrazioni pubbliche. Ciò significa che la Regione avrà come interlocutore diretto il soggetto legittimato a essere rappresentante delle imprese distrettuali o della rete con mandato così come disciplinato dal codice civile. Al secondo comma è sancito il riconoscimento formale, attraverso l’adozione di idoneo provvedimento della Giunta regionale, del soggetto rappresentante. È evidenziato il ruolo ricoperto dal soggetto giuridico nell’attività di rappresentanza del distretto industriale o della rete innovativa regionale: nel caso del distretto industriale è colui che si pone come interlocutore delle imprese nell’elaborazione delle proposte progettuali d’intervento oggetto del finanziamento regionale. È quindi il soggetto di coordinamento e pianificazione delle linee di sviluppo del distretto e di promozione della cooperazione fra le imprese distrettuali per il conseguimento degli obiettivi di crescita preposti e riferiti al sistema distretto. Per quanto riguarda, invece, la rete innovativa regionale, questo soggetto è colui che, prima di tutto, presenta l’istanza di riconoscimento alla Regione. Successivamente al riconoscimento, di cui all’articolo 4, il soggetto diventa, a tutti gli effetti, il rappresentante della rete e il capofila delle imprese e degli altri soggetti che la compongono. Anche in quest’ambito il soggetto giuridico deve essere in grado di coordinare gli attori della rete traducendo i bisogni della rete stessa in progettualità d’intervento meritevoli del finanziamento regionale. 8 Nel caso del distretto industriale il soggetto giuridico è identificato successivamente al provvedimento di individuazione dei distretti industriali. Per la rete innovativa regionale, invece, l’identificazione del soggetto giuridico è il presupposto necessario ai fini dell’avvio dell’iter di individuazione della rete innovativa regionale. Art. 7 - Progetti di intervento. La norma definisce gli ambiti di intervento finanziabili. Ne consegue che i sistemi produttivi individuati dalla legge regionale sono posti sullo stesso piano per evidenziare la loro interconnessione e i loro potenziali riflessi sull’intera realtà economica regionale. Sono quindi definite le aree di intervento finanziabili dalla Regione: a) ricerca e innovazione: si tratta di un’area che comprende gli interventi relativi ad attività di ricerca industriale di prodotto e di processo, ad attività di sviluppo precompetitivo o sperimentale, al trasferimento tecnologico, all’interscambio di conoscenze e tecnologie tra imprese, finalizzati all’accrescimento della competitività sui mercati internazionali, ai servizi innovativi che favoriscono il trasferimento di conoscenze alle imprese; b) internazionalizzazione. In questo contesto sono compresi gli interventi finalizzati a favorire i processi di internazionalizzazione: iniziative promozionali utili al rafforzamento della presenza e dell’immagine dei prodotti nel mercato globale, ovvero la partecipazione a manifestazioni settoriali o multi settoriali di rilievo internazionale; c) infrastrutture: in questo ambito sono comprese le infrastrutture di sostegno alle imprese, connesse, anche, al miglioramento e risanamento ambientale dei territori e delle aree produttive, le infrastrutture logistiche e le infrastrutture telematiche come quelle riguardanti il superamento di barriere digitali o di annullamento del “digital divide”; d) sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale, ovvero azioni d’implementazione e sviluppo di modelli di “green economy”, interventi di risparmio ed efficienza energetica, di riduzione dell’impatto ambientale delle attività produttive in generale, di innalzamento della sostenibilità dei processi e dei prodotti; e) difesa dell’occupazione. A titolo esemplificativo, gli interventi di riconversione del ciclo lavorativo o l’attuazione di programmi d’incremento occupazionale quali interventi di incentivazione della cosiddetta “delocalizzazione di ritorno” cioè del rientro in Veneto di unità produttive già delocalizzate; f) sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova imprenditorialità. In via esemplificativa, si tratta di promuovere, start up di imprese su nuovi settori emergenti e possibili nuove forme di imprenditoria innovativa; g) sostegno alla partecipazione a progetti promossi dalla Unione europea, anche in materia di cluster. Il termine anglosassone “cluster” è appositamente utilizzato nella legge regionale al fine di creare un legame tra le tre tipologie di sistemi produttivi previsti dalla norma e il termine stesso che, a livello europeo, definisce la nozione di insieme di imprese tra loro interconnesse. In tal modo, si individua un concetto di aggregazione fra imprese compatibile con quanto previsto in termini di progettazione comunitaria e accesso alle relative iniziative. La Regione può quindi attivarsi per sostenere, anche non economicamente, le 9 iniziative dell’UE in materia di cluster a cui le imprese venete intendano partecipare; h) ogni ulteriore iniziativa chiaramente finalizzata al rafforzamento competitivo delle imprese. In un contesto economico sempre in evoluzione è necessario che la norma preveda sviluppi non previsti e non prevedibili. L’inserimento della presente azione garantisce gli effetti della norma nel tempo. Art. 8 - Modalità di finanziamento. Questo articolo riguarda gli strumenti operativi, i quali sono attivati dall’organo esecutivo della Regione. Il primo comma prevede che ogni atto amministrativo della Giunta regionale, volto a disciplinare i finanziamenti di interventi progettuali, dovrà, in ogni caso, contenere determinati elementi: in pratica, la Legge regionale pone le basi per la predisposizione dei bandi che consentono il finanziamento delle aree di intervento di cui al precedente articolo. Alla lettera a) del comma 1, è specificato che gli atti amministrativi dovranno identificare le tipologie degli interventi da finanziare. Ciò significa che, all’interno delle aree di intervento definite nell’articolo precedente, la Giunta regionale potrà, sulla base della programmazione regionale e delle priorità di intervento, selezionare le aree e le specifiche categorie di intervento finanziabili. La lettera b) riguarda gli aspetti amministrativi riferiti alle tempistiche per la partecipazione ai bandi e la presentazione delle proposte per l’ottenimento di finanziamenti e le relative modalità di accesso agli stessi, mentre la lettera c) concerne i requisiti che i soggetti beneficiari dei finanziamenti dovranno possedere. La norma prevede la possibilità di attivare specifici bandi per ciascuno dei soggetti (di cui al precedente articolo 6) che rappresentano i distretti industriali o le reti innovative regionali o per le aggregazioni di imprese, oppure un unico bando aperto per tutte e tre le tipologie previste. La lettera d) identifica i principali criteri da impiegare al fine della valutazione dei progetti, essenziali per poter procedere alla definizione di graduatorie di selezione degli interventi da finanziare. Questi criteri riguardano il riscontro di elementi innovativi insiti nella proposta progettuale e delle prospettive di innovazione conseguibili grazie alla realizzazione dell’intervento, la sostenibilità economica dell’intervento e dei relativi aspetti di programmazione operativa dello stesso al fine di ridurre i rischi che il progetto possa essere oggetto di interruzione in corso d’opera e pertanto inefficace. La lettera e) riguarda la definizione delle spese ammissibili per le quali è quindi possibile ottenere il finanziamento pubblico. Nella successiva lettera f) sono disciplinate le forme di finanziamento concedibile che potranno corrispondere a contributi in conto capitale, in conto interesse, oppure mediante l’impiego di fondi di rotazione e di garanzia nonché di altre forme di agevolazione che potranno essere identificate dalla Regione. La lettera g) prevede l’indicazione della eventuale compatibilità con altre agevolazioni pubbliche. Infine, la lettera h) fa riferimento alle modalità di rendicontazione delle spese pertinenti alle attività svolte e le operazioni di monitoraggio e controllo che spettano alla pubblica amministrazione. Art. 9 - Accordo di programma. 10 L’Accordo di programma è stato introdotto per garantire una rapida azione regionale in situazioni di particolare interesse per l’economia regionale. Si tratta, quindi, di uno strumento con il quale la Regione si riserva di attivare interventi ad ampio impatto su un sistema produttivo che, utilizzando i canali previsti per gli interventi ordinari (bandi) non raggiungerebbe un pari risultato a vantaggio del tessuto economico regionale. Questo strumento, peraltro, non è previsto per le aggregazioni di imprese in quanto organismi la cui costituzione è a carattere limitato e temporaneo e perciò non obbligati all’individuazione di un soggetto giuridico che le rappresenti. Art. 10 - Attività di promozione e informazione. L’articolo prevede che la Giunta regionale possa effettuare attività informative di promozione verso i destinatari della Legge regionale con il preciso scopo di favorire le dinamiche aggregative e, per i loro effetti, lo sviluppo del sistema produttivo regionale. Il comma 2 prevede che la Giunta regionale possa aderire e partecipare all’attivazione di programmi o progetti di promozione inerenti le finalità della legge, che possono essere quindi promossi da altri enti diversi dalla Regione, non aventi, in ogni caso, finalità lucrative. Art. 11 - Notifica della azioni configurabili come aiuti di Stato. L’articolo richiama puntualmente il rispetto della disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato a valere per tutti i soggetti destinatari della presente legge e fa specifico riferimento ai regolamenti della Commissione attualmente vigenti ai sensi dei quali possono essere concessi i contributi. Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale”. Con riferimento alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9, sono evidenziate le norme oggetto di modifica per gli effetti dell’approvazione della legge. Art. 13 - Norma finanziaria. L’articolo definisce l’individuazione delle risorse finanziarie alla legge regionale di bilancio, per quanto riguarda il bilancio di previsione del corrente anno. Art. 14 - Disposizioni finali. La presente legge regionale abroga la legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, mantenendo, tuttavia, preservati gli effetti dei provvedimenti amministrativi riferiti ai bandi annuali di finanziamento approvati. Il comma 3 stabilisce che tutti i distretti e metadistretti produttivi riconosciuti ai sensi della legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, cessano di esistere a far data dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto della presente legge. 11 12 DISCIPLINA DEI DISTRETTI INDUSTRIALI, DELLE RETI INNOVATIVE REGIONALI E DELLE AGGREGAZIONI DI IMPRESE Art. 1 - Finalità. 1. La Regione del Veneto, nell’ambito delle competenze regionali di cui all’articolo 117 terzo comma della Costituzione, in conformità ai principi fondamentali statali in materia di ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi e tenendo conto del principio di concertazione con i soggetti istituzionali, economici e sociali presenti nel territorio, promuove azioni di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale a favore dell’innovazione dei settori produttivi, della competitività dei prodotti e delle eccellenze venete sul mercato globale, della difesa dell’occupazione, dello sviluppo di imprenditoria innovativa e dell’avviamento di nuova imprenditorialità. 2. La presente legge disciplina, nell’ambito della più generale azione di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale, i criteri di individuazione dei distretti industriali e delle altre forme di aggregazione produttiva e a rete, nonché le modalità di attuazione degli interventi per lo sviluppo locale. Art. 2 - Definizioni. 1. Per distretto industriale si intende un sistema produttivo locale, all’interno di una parte definita del territorio regionale, caratterizzato da un’elevata concentrazione di imprese manifatturiere artigianali e industriali, con prevalenza di piccole e medie imprese, operanti su specifiche filiere produttive o in filiere a queste correlate rilevanti per l’economia regionale. 2. Per rete innovativa regionale si intende un’aggregazione tra imprese e soggetti pubblici e privati, presenti in ambito regionale ma non necessariamente territorialmente contigui, che operano in ambiti innovativi di qualsiasi settore e sono in grado di sviluppare un insieme di iniziative e progetti rilevanti per l’economia regionale. 3. Per aggregazione di imprese si intende un insieme di imprese che, in numero non inferiore a tre, si riuniscono, al fine di sviluppare un progetto strategico comune, nelle forme di cui all’articolo 5. Art. 3 - Individuazione del distretto industriale. 1. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, individua i distretti industriali e ne definisce l’ambito geografico e settoriale. 2. Ai fini dell’individuazione di cui al comma 1 devono essere soddisfatti i seguenti requisiti: a) elevata concentrazione di imprese industriali e artigiane operanti in una stessa filiera produttiva di carattere manifatturiero o in filiere ad essa correlate, all’interno di una parte geograficamente definita del territorio regionale, comprensiva anche di più province; b) storicità del distretto, documentata dalla presenza di centri di documentazione sulla cultura locale del prodotto e del lavoro, ovvero riscontrabile dalla letteratura scientifica; 13 c) capacità del distretto industriale di essere competitivo nei mercati nazionali e internazionali, attestata dalla propensione a generare processi di innovazione e di internazionalizzazione, dalla presenza di imprese leader del settore, dall’immagine internazionale dei prodotti realizzati, in termini sia funzionali e prestazionali che di contenuti estetici e di design. 3. Concorrono all’individuazione del distretto industriale la presenza, ovvero l’identificabilità, di un marchio di distretto, la presenza di istituzioni formative specifiche, di centri di ricerca dedicati e di soggetti istituzionali aventi competenze ed operanti nell’attività di sostegno all’economia locale. 4. La Giunta regionale, con successivi provvedimenti, effettua rilevazioni ai fini di successive individuazioni di nuovi distretti industriali e di aggiornamento degli esistenti. Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale. 1. Ciascuna rete innovativa regionale è individuata con provvedimento della Giunta regionale su istanza del soggetto che, secondo quanto disposto dall’articolo 6, comma 1, rappresenta l’insieme delle imprese e dei soggetti pubblici e privati componenti la rete stessa. 2. Ai fini dell’individuazione di cui al comma 1, sono requisiti della rete innovativa regionale: a) la dimensione della rete innovativa regionale espressa in termini quantitativi di imprese rappresentate dal soggetto di cui all’articolo 6, comma 1; b) la rilevanza del settore in cui la rete innovativa opera da valutarsi in termini economici riferiti all’economia regionale oppure agli ambiti innovativi o al nuovo settore che la rete innovativa è in grado di rappresentare a livello regionale. 3. Con riferimento a ciascuna rete innovativa regionale, la Giunta regionale verifica con cadenza biennale il mantenimento dei requisiti di cui al comma 2. Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese. 1. Le aggregazioni di imprese di cui all’articolo 2, comma 3, assumono una delle seguenti forme: a) imprese aderenti ad uno specifico contratto di rete, come definito dalla legislazione vigente, o forme equivalenti di aggregazione, che mantengono l'autonomia giuridica e gestionale delle imprese partecipanti; b) imprese riunite in consorzio con attività esterna, società consortile o società cooperativa, ovvero riunite nella compagine sociale di società di capitali a controllo congiunto; c) associazioni di imprese, anche temporanee e appositamente costituite per la realizzazione di un progetto comune. Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali. 1. Le imprese aderenti a ciascun distretto industriale e i soggetti aderenti a ciascuna rete innovativa regionale individuano, in una delle forme previste dal codice civile, il soggetto giuridico preposto a rappresentare il distretto o la rete innovativa regionale nei rapporti con la Regione e le altre amministrazioni pubbliche. 14 2. Il soggetto di cui al comma 1, debitamente riconosciuto dalla Giunta regionale, raccoglie le istanze delle imprese aderenti a ciascun distretto industriale e dei soggetti aderenti a ciascuna rete innovativa regionale e presenta i progetti di intervento alla Regione ai sensi dell’articolo 7. Art. 7 - Progetti di intervento. 1. La Regione finanzia progetti di intervento presentati dai distretti industriali, dalle reti innovative regionali, dalle aggregazioni di imprese di cui all’articolo 2, riguardanti: a) la ricerca e l’innovazione; b) l’internazionalizzazione; c) le infrastrutture; d) lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia ambientale; e) la difesa dell’occupazione; f) lo sviluppo di imprenditoria innovativa e di nuova imprenditorialità; g) la partecipazione a progetti promossi dalla Unione europea, anche in materia di “cluster”; h) ogni ulteriore iniziativa finalizzata al rafforzamento competitivo delle imprese. Art. 8 - Modalità di finanziamento. 1. La Giunta regionale emana specifici bandi per selezionare e finanziare, nei limiti delle risorse disponibili, i progetti di cui all’articolo 7, in cui individua: a) la tipologia degli interventi da finanziare; b) le modalità e i termini per la presentazione dei progetti di intervento; c) i requisiti dei soggetti beneficiari dei finanziamenti; d) i criteri di valutazione dei progetti che tengano conto degli elementi innovativi e delle prospettive di innovazione, della sostenibilità economica del progetto e della pianificazione coerente dell’intervento sia in termini quantitativi che qualificativi per il concreto raggiungimento dei obiettivi preposti; e) le spese ammissibili; f) la forma del finanziamento concedibile, nella modalità del contributo in conto capitale, del contributo in conto interesse, attraverso fondi di rotazione e di garanzia, nonché mediante altre forme di agevolazione; g) l’eventuale cumulabilità dei finanziamenti con altre agevolazioni pubbliche; h) le modalità di rendicontazione e di effettuazione di monitoraggi e controlli. Art. 9 - Accordi di programma. 1. La Giunta regionale è autorizzata a promuovere la conclusione di accordi di programma con i soggetti di cui all’articolo 6, comma 1, al fine di attuare interventi per lo sviluppo produttivo locale. Art. 10 - Attività di promozione e informazione. 15 1. La Giunta regionale svolge attività di promozione e di informazione al fine di favorire la nascita delle forme di aggregazione di cui alla presente legge e lo sviluppo del sistema produttivo regionale. 2. La Giunta regionale individua e finanzia programmi e progetti presentati da enti pubblici, pubbliche amministrazioni e soggetti privati senza scopo di lucro operanti nel territorio veneto che hanno come scopo il miglioramento del sistema produttivo locale. Art. 11 - Notifica delle azioni configurabili come aiuti di Stato. 1. Gli atti emanati in applicazione della presente legge che prevedano l’attivazione di azioni configurabili come aiuti di Stato, ad eccezione dei casi in cui gli aiuti siano erogati in conformità a quanto previsto dal regolamento comunitario relativo agli aiuti di importanza minore (“de minimis”) di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006 e dei casi in cui gli aiuti siano erogati in conformità a quanto previsto dal regolamento generale di esenzione di cui al regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, sono oggetto di notifica ai sensi della normativa comunitaria. 2. L’acquisizione del parere di compatibilità da parte della commissione europea è oggetto di avviso pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto. Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale”. 1. Al comma 3 dell’articolo 17 della legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale” le parole “di cui alla legge regionale 4 aprile 2003, n. 8 “Disciplina dei distretti produttivi ed interventi di politica industriale locale” e successive modificazioni ed integrazioni” sono sostituite dalle parole: “regionali vigenti in materia di distretti industriali, reti innovative regionali e aggregazioni di imprese”. 2. La lettera b) del comma 1 dell’articolo 18 della legge regionale n. 9 del 2007 è sostituita dalla seguente: “b) i distretti industriali, le reti innovative regionali e le aggregazioni di imprese, così come definiti dalle norme regionali vigenti in materia;”. 3. All’Allegato A, lettera i) della legge regionale n. 9 del 2007 le parole “a partire dalle definizioni contenute nella legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, e successive modificazioni ed integrazioni” sono soppresse. Art. 13 - Norma finanziaria. 1. Agli oneri correnti e agli oneri d’investimento quantificati rispettivamente in euro 800.000,00 e in euro 9.000.000,00 per l’esercizio 2012, si provvede con le risorse del fondo unico regionale per lo sviluppo economico di cui all’articolo 55 della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11, allocate nell’upb U0053 “Interventi a favore delle PMI”, che per euro 800.000,00 vanno ad 16 incrementare lo stanziamento dell’upb U0201 “Attività di informazione alle imprese” del bilancio di previsione 2012. Art. 14 - Disposizioni finali. 1. È abrogata la legge regionale 4 aprile 2003, n. 8, “Disciplina delle aggregazioni di filiera, dei distretti produttivi e interventi di sviluppo industriale e produttivo locale”. 2. Ai procedimenti amministrativi e di spesa in corso alla data di entrata in vigore della legge e fino alla loro conclusione continuano ad applicarsi le disposizioni della legge regionale n. 8 del 2003. 3. I distretti e i metadistretti produttivi riconosciuti ai sensi della legge regionale n. 8 del 2003 cessano di esistere a far data dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto della presente legge. 17 18 INDICE Art. 1 - Finalità................................................................................... 12 Art. 2 - Definizioni............................................................................. 12 Art. 3 - Individuazione del distretto industriale. ................................ 12 Art. 4 - Individuazione della rete innovativa regionale. .................... 13 Art. 5 - Forme di aggregazioni di imprese. ........................................ 13 Art. 6 - Rappresentanza dei distretti industriali e delle reti innovative regionali. ............................................................................................ 13 Art. 7 - Progetti di intervento. ............................................................ 14 Art. 8 - Modalità di finanziamento. ................................................... 14 Art. 9 - Accordi di programma. ......................................................... 14 Art. 10 - Attività di promozione e informazione. .............................. 14 Art. 11 - Notifica delle azioni configurabili come aiuti di Stato. ...... 15 Art. 12 - Modifiche alla legge regionale 18 maggio 2007, n. 9 “Norme per la promozione ed il coordinamento della ricerca scientifica, dello sviluppo economico e dell’innovazione nel sistema produttivo regionale”. ........................................................................ 15 Art. 13 - Norma finanziaria................................................................ 15 Art. 14 - Disposizioni finali. .............................................................. 16 19 14/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20120814035AAA 14-08-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY I mobili del Veronese in crisi generazionale Tra Cerea e Bovolone l'emblematica evoluzione di un sapere artigiano limitato dall'individualismo - L'OCCASIONE MANCATA - Una scuola di ebanisteria, unica nel suo genere, ha dovuto chiudere L'unico luogo di formazione diventa ora la stessa azienda Rob erto Galullo BOVOLONE (VERONA). Dal nostro inviato Non ci sono più "marangon" e neppure "schei". Né "falegnami" né "soldi". Forse è per questo che il distretto veronese del mobile artigianale – che corre sulla direttrice tra i comuni di Cerea e Bovolone – non trova pace e va persino alla ricerca di un nome nuovo che possa rappresentare meglio un'identità in trasformazione, attrarre giovani leve e riportare ossigeno economico nelle casse di un polo che ha perso smalto. «Prima era il distretto del mobile d'arte – spiega Ottorino Magnabosco, a capo di Confindustria Legno Verona e titolare di Mk cucine di San Giovanni Lupatoto –, poi è diventato dello stile e adesso è del classico». Il distretto è passato dalle circa 2.600 aziende di oltre venti anni fa alle attuali 1.381 dedite alla sola fabbricazione di mobili. A queste bisogna aggiungerne circa 500 che ruotano intorno a questo mondo e che hanno fatto della diversificazione la loro missione (dal tessile al vetro, passando per il metallo). Mentre 20 anni fa il 40% della produzione era destinato fuori frontiera e il 60% era destinato al consumo domestico, ora le proporzioni si sono invertite e ci sono piccole realtà che non sanno neppure cosa siano i confini italiani: tutto vola oltreconfine. Neppure il cambio di nome servirà probabilmente a salvare il distretto da una crisi che è diretta espressione del tempo: i figli dei falegnami non vogliono più sporcarsi le mani con polvere di legno e trucioli, visto che devono pure competere con i prodotti industriali delle Marche, di Pordenone o della Brianza, senza contare la Germania o la Cina. Il distretto non è mai riuscito a fare il salto di qualità anche perché ha fatto di tutto per farsi del male da solo. «Avevavamo una scuola di ebanisteria unica nel suo genere – ammette Luciano Rossignoli, direttore di ExportVerona, un consorzio che aiuta le imprese ad uscire dal proprio guscio domestico – e proprio quando eravamo riusciti a coinvolgere nel suo rilancio anche la Regione, sindacati e associazioni datoriali, ha chiuso». «È stata una scelta dolorosa ma obbligata», commentò il 10 giugno 2011 l'assessore al Lavoro della Provincia di Verona Fausto Sachetto. Il Centro – da due anni – non riceveva più richieste di iscrizione per l'indirizzo di tecnico dell'industria del mobile e dell'arredamento, mentre per il corso di operatore del legno ne aveva ricevute nove nell'anno scolastico 2009/2010 e tre nel 2010/2011. Per l'anno scolastico 2011/2012 sono arrivate meno di dieci iscrizioni al primo anno formativo, non sufficienti per giustificare la partenza di un triennio di formazione di base, considerando anche la povertà di fondi. Quel polmone professionale che formava dai falegnami ai restauratori, dai disegnatori agli arredatori non c'è più perché mancavano gli alunni ma, come ricorda sconsolato Magnabosco, «a Pordenone la scuola c'è e pensi che le aziende del legno si contendono gli alunni. I migliori li prenotano ancor prima che escano dai corsi di formazione». Miopia, cecità dettata sempre da quella voglia di fare da soli, forse nel ricordo di quando – correvano gli anni Sessanta – tutto era facile, i soldi scorrevano e persino i barbieri si erano inventati mobilieri. «Abbiamo 40 aziende del distretto consorziate – spiega Rossignoli – e se le parametriamo al numero di imprese attive sono un'inezia. Niente da fare: non vogliono consorziarsi anche se quando lo fanno i risultati arrivano. Il nostro consorzio è nato nel 1984 e la prima cosa che abbiamo fatto è stato mettere a frutto una legge regionale che dava contributi a chi si muoveva verso nuovi mercati internazionali. Comprammo 24 fax per agevolare la tempestività delle informazioni». I risultati arrivano dunque soprattutto quando imprese e artigiani si affidano alle missioni all'estero. A partire dall'America e dai Paesi dell'Est dove il made in Italy è ancora apprezzatissimo e sembra veramente paradossale che l'internazionalizzazione non rappresenti un grido di battaglia in grado di unire le forze di tutti gli operatori. «Se vuoi vendere in Russia, Ucraina e nei Paesi dell'ex Unione Sovietica – continua Rossignoli – devi vendere il classico-classico» che, per uno strano incrocio geografico, è apprezzatissimo ancora in alcune oasi del Sud Italia, come a esempio la Sicilia. «Sull'isola avevamo 42 rivenditori con i nostri prodotti di altissima qualità – spiega Bruno Piombini, terza generazione di mobilieri con la quarta pronta a entrare –, abbiamo fatto investimenti, il mercato rispondeva ma poi ci è crollata addosso, come a tutti del resto, la crisi che, certamente non è partita da ieri». La crisi globale ha trovato impreparati i piccolissimi e piccoli artigiani che alimentano una catena fatta di non più di 20, 25 medie aziende e due o al massimo tre imprese di grandi dimensioni sulle quali spicca Selva che ha sede a Bolzano ma ha il cuore produttivo nel «grande laboratorio», come amano definirlo, di Isola Rizza. Il cuore pulsante della filiera è fatto di realtà spesso minuscole e addirittura individuali che coprono con maestria invidiata anche dagli altri distretti italiani del mobile tutta la filiera della manodopera: dal taglio all'intarsio, dalla laccatura alla doratura, dal grezzo ai pannelli, dalle cornici agli specchi. Poi c'è chi fa solo antine o solo pomelli e via di questo passo con un'arte che, come ogni rappresentazione del genio italiano, ha un costo che non è più alla portata di molti. 20 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 14/10/13 Banche Dati online Mancano i "marangon" ma anche "schei", i soldi per mettersi in casa il made in Italy. La filiera è cara: a partire dalla materia prima di qualità e a nulla vale provare ad andare in Romania o in Cina per abbattere il costo del lavoro. «Le nostre manualità e le nostre professionalità – spiega Magnabosco – sono inimitabili e al massimo qualcuno ha provato a far entrare in fabbrica manufatti grezzi, nulla di più». La Cina, croce e delizia. Non è ancora un mercato di sbocco ma è una piazza che copia. «Mio figlio è appena tornato dalla Corea – interviene Bruno Piombini, a capo della società per azioni nata nel 1925 – e lì ha trovato mobili cinesi che scopiazzano quelli italiani». Sono prodotti di fascia bassa che nel momento in cui la crisi morde ovunque diventano appetibili. La concorrenza, però, non è solo dall'altra parte del mondo. È anche in casa come ama ripetere Rossignoli: «Molti dei mobili fatti in Brianza – spiega – vengono fatti sulla base di prodotti grezzi e semilavorati che noi gli mandiamo. Concorrenti sono anche francesi, spagnoli, polacchi e tedeschi. Questi ultimi, che hanno nel settore una tradizione, prima degli altri hanno capito che con la caduta del Muro di Berlino si aprivano enormi opportunità per investire oltrecortina». Non mancano, però, solo falegnami e soldi. Manca anche un pugno di grandi aziende leader che siano in grado di trascinare un gruppo in cui ognuno viaggia per proprio conto. E dire che quando ci sono le occasioni (si veda in pagina l'esperienza delle aziende Scappini, Bianchini e Seven impegnate due anni fa in una megacommessa in Africa, ndr) il gruppo risponde e dimostra che esiste la filiera. Per spirito di paradosso, chi sarebbe in grado di tirare la volata, fa fatica. Lo spiega come meglio non potrebbe Bruno Piombini nello show room di Verona (mentre la produzione è a Isola Rizza). Luì è a capo di un gruppo che ha 63 dipendenti (il più grande dopo Selva) e un fatturato che è drasticamente calato in tre anni da 18 milioni a sei. Piombini non molla e continua a puntare su ricerca e qualità. La parabola della casa espositiva comune a Verona è l'emblema del terzo ingrediente che manca al distretto: il leader che sia in grado di trascinare e fare squadra. Fino a qualche mese fa Piombini divideva l'enorme spazio di fronte alla Fiera con altri due marchi storici del distretto: Minotti di Sant'Ambrogio di Valpolicella e Giacomelli di Cavaion Veronese. Il primo, dichiarato fallito nel 2011, è stato acquistato dal fondo Opera di Michele Russo. «Anche il secondo brand è fallito – spiega Piombini- e così a riempire il vuoto di una parte di questi spazi è arrivata da Nola, in provincia di Napoli, Nusco Porte, azienda con la quale abbiamo un ottimo rapporto. Anzi presto saremo presenti accanto a loro con nostri spazi a Casagiove, nel casertano». L'innovazione – che spesso mal si concilia con l'artigianato – qualche volta paga. I fratelli Daniele, Giampietro e Marco Munari nel '77 a Ca' degli Oppi hanno puntato sul mobile che «arreda l'elettronica». Così, oggi, all'unisono possono orgogliosamente dire e scrivere di «essere leader nella produzione di mobili porta tv, porta computer e supporti metallici a parete». Massimo Malvezzi invece è a capo di Beta mobili di Cerea. Anche lui ha innovato (e diversificato) destinando il 50% della produzione alle pareti in legno, alle boiserie, alle pareti divisorie e alle cabine armadio. In una frase, come spiega lo stesso Malvezzi, «nell'occupazione fisica dello spazio e nella produzione su misura e commessa». I fatti gli danno ragione tanto che da anni ha aperto un ufficio anche a Mosca. «Appena ci accorgiamo che si apre un nuovo mercato spiega Malvezzi - siamo pronti a entrarci». Per gli affari, prima dei "marangon" e degli "schei" viene, infatti, il fiuto. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del mobile classico del Veronese spiccano produttività, innovazione e internazionalizzazione. Insufficiente, invece, la capacità di fare rete. PUNTI DI FORZA 1 PRODUTTIVITÀ La capacità di produrre mobili di altissima qualità è il vero punto di forza dell'area. Nonostante la mancanza di una scuola di specializzazione, artigiani di livello vengono formati all'interno delle aziende. La filiera ha saputo sviluppare in ogni singolo anello una capacità produttiva che non ha eguali nel mondo nel settore di competenza. ALTA 2 INNOVAZIONE Le imprese artigianali dell'area hanno osato: a partire dall'evoluzione del nome che da distretto d'arte è ormai diventato distretto del classico. L'innovazione è fatta di piccoli passi perchè cerca soprattutto di soddisfare mercati nuovi ed emergenti nei quali il gusto del made in Italy è ancorato a vecchi stereotipi duri a morire. BUONA 3 INTERNAZIONALIZZAZIONE Vent'anni fa il 60% della produzione del distretto era destinata al mercato domestico e il 40% all'estero. Anche se non esistono statistiche precise, il rapporto si è invertito e sono sempre di più le Pmi medie che cercano oltreconfine uno sbocco. I Paesi sono soprattutto quelli dell'ex Urss ai quali si uniscono quelli asiatici. DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 21 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 14/10/13 Banche Dati online 1 CAPACITÀ COMMERCIALE Sono gli imprenditori i primi a dirlo: mancano l'azienda o un gruppo di aziende leader in grado di trainare nel mondo il distretto veronese preso d'assalto non solo dagli asiatici, ma anche dai poli italiani della Brianza o di Bassano del Grappa. Senza contare che anche la Germania vanta una lunga tradizione nel settore. BASSA 2 DIMENSIONI D'IMPRESA Si tratta di un'opportunità ma, al tempo stesso, di una condanna. Soltanto che in questo distretto non si può proprio parlare di industrializzazione e dunque il Dna artigianale, giocoforza, porta ad avere una dimensione media d'impresa di due-tre tre addetti al massimo. SCARSA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Il distretto, forse a causa della sua spiccata indentità artigianale, non è in grado di mettere insieme le realtà produttive. Reti d'impresa non esistono; eppure, quando si tenta, i risultati non mancano. La sensazione è che gli imprenditori fondatori del distretto non abbiano del tutto capito che un'era è terminata. INSUFFICIENTE 22 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20120818019AAA 18-08-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Una svolta «green» ed etica per le concerie di Arzignano Attenzione all'ambiente, scandali fiscali alle spalle: i giovani si riavvicinano - IL PARADOSSO - In calo occupati e produzione, eppure le nuove generazioni ritornano a scuola interessate a imparare le «tecnologie del cuoio» Barb ara Ganz ARZIGNANO (VI). Dal nostro inviato Vent'anni hanno cambiato quasi tutto, tranne la "cattiva fama" che si portano dietro: quella di essere addetti a una lavorazione sporca, maleodorante, in un settore difficile, magari ricco, ma talvolta ai limiti del lecito. Loro, i conciari, non si riconoscono in questa immagine, di sicuro non più. Se nel 1991 la sfida era quella di un possibile matrimonio fra l'industria e l'ambiente, ora la svolta verde è un dato acquisito. «Se non fossimo cambiati, semplicemente non esisteremmo più», taglia corto Valter Peretti, presidente della sezione concia di Confindustria Vicenza, 77 aziende associate che rappresentano circa la metà (4.675) degli 8.350 dipendenti totali. Il cambiamento è stato epocale: il sistema della depurazione delle acque è stato completamente rivisto, e oggi non è più un problema: «Il monitoraggio che fa seguito all'accordo di programma del 2005 dice che stiamo rispettando tutti i parametri imposti – spiega Peretti – anzi, siamo tarati su limiti più restrittivi di quelli a livello nazionale. Di fatto abbiamo anticipato la norma europea». I costi, tuttavia, sono stati elevati: tuttora, fra voci dirette e indirette, si aggirano sul 5% del fatturato. Il risultato è che il famigerato odore del pellame trattato si sente sì, ma non nelle zone dove si produce: gli occhi e la gola bruciano avvicinandosi alle vasche di raccolta dell'impianto di depurazione, che non a caso sono in fase di copertura. Intanto il distretto è tornato, per quantità prodotte, ai livelli degli anni Ottanta: nel tempo si sono susseguite fasi diverse, la forte salita di metà anni Novanta, la leggera discesa fino al 2000, il nuovo exploit degli anni fino al 2005. A pesare, soprattutto, la frenata dell'arredamento, la retromarcia dei distretti del Sud dove si producono i divani. Nel 2006, ultimo anno positivo, si producevano 44 milioni di metri quadri di pelli destinati ai salotti, oggi sono 21. E non è nemmeno, strettamente, una questione di concorrenza: in Cina si esporta più di quanto si importa, e solo qui, ad Arzignano, si propone una continua innovazione, di prodotto e di processo, per stare dietro alle richieste, fra l'altro, della moda. «Quello che ci tiene in piedi è questo continuo miglioramento», commenta Peretti. La concia ad Arzignano produce il 51% del fatturato italiano e il 32% di quello europeo del settore, l'8% a livello mondiale. La Cina è il primo mercato di destinazione, seguita dall'Europa. Nel paese – 23mila abitanti di cui oltre 5mila stranieri, retto da una giunta di centrodestra – ci sono ancora gli spazi, oggi inutilizzati, lasciati dalle concerie che un tempo si trovavano in centro all'abitato; altre ex industrie sono state recuperate e destinate ad abitazioni, altre ancora sono un cantiere ricoperto da una gigantografia di quel che sarà, sempre da destinare alla residenza. Arzignano ha un hotel, che manca perfino in altri paesi veneti che fanno del turismo la propria vocazione, e lungo lo stradone la concessionaria delle Audi «che qui vanno via come il pane», dice un residente. Nella zona industriale, lungo le strade a raggiera numerate (prima, seconda, terza) si incontrano praticamente tutte le principali realtà di un polo da sempre fortemente orientato all'export: 1,8 miliardi sul totale di 2,5. E questo nonostante le oscillazioni in termini di costo e di disponibilità della materia prima: «Dipendiamo dall'offerta da parte dei produttori, perché le pelli sono un residuo della lavorazione delle carni, legate ai consumi – spiega Peretti – Le barriere doganali esistono sia sul fronte dell'acquisto, sia sulla vendita del prodotto finito. Le forniture da Paesi come l'Argentina sono interdette». In un distretto dove la storia l'hanno fatta famiglie e aziende passate indenni da generazione a generazione, nel tempo ci sono stati anche dissesti e chiusure clamorosi. O casi di evasione fiscale, come quello che nel 2010 ha convolto con clamore il Gruppo Mastrotto: «È stato un momento difficile per l'azienda e la famiglia – afferma la giovane presidente, Chiara Mastrotto, 38 anni – ma lo abbiamo superato decidendo con responsabilità di pagare il dovuto, voltando definitivamente pagina e concentrandoci sul business e su nuove strategie competitive per rinforzare il nostro ruolo sui mercati internazionali e riaffermare una storia di imprenditori da oltre 50 anni». Archiviata la vicenda giudiziaria, si riparte senza aver riscontrato ricadute su quote di mercato e volume d'affari. Con 225 milioni di fatturato, il Gruppo è il principale player europeo del conciario: grazie alla solidità finanziaria, sta realizzando un piano industriale che poggia su una piattaforma produttiva su quattro continenti, su una presenza multisettoriale (calzature, pelletteria, abbigliamento, arredo e automotive) e su una logistica integrata, dato che l'80% della produzione viene esportata in 110 Paesi. E se la qualità è il fattore chiave, da qui escono – unica azienda europea – oltre 600 codici colori con consegna just in time in tutto il mondo. «Andiamo verso un mercato in cui non conta più solo l'innovazione di prodotto, ma ci sono continue evoluzioni in termini di proposte stilistiche da un lato, tecnologiche dall'altro – spiega ancora Chiara Mastrotto – Emergeranno sempre più altre variabili quali la delocalizzazione e l'innovazione di servizio, tramite le quali la conceria si dovrà avvicinare al cliente. E i nostri clienti non sono più sottocasa». Quanto alle chiusure di imprese del settore, che pure in vent'anni di storia non sono mancate, «la differenza è che una 23 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online volta l'impresa in difficoltà veniva rilevata da altri e proseguiva, oggi semplicemente c'è chi smette di esistere», osserva ancora Valter Peretti. Le ricadute sull'occupazione sono indubbie: dal 2011 al 2012 la cassa integrazione ha segnato +40%, la mobilità, che nel primo trimestre 2011 interessava 73 lavoratori della concia, nello stesso periodo del 2012 è per 95. Tutto questo rimette in discussione un processo di integrazione con le comunità straniere – da Serbia e Bangladesh perlopiù – richiamate dalla ricerca di manodopera: nonostante la crisi, in aziende come Cristina (gruppo Peretti) i lavoratori stranieri superano ancora il 30 per cento. Eppure all'Itis Galilei – su internet si trova ancora come istitutoconciario.it, nonostante negli anni si siano aggiunti nuovi indirizzi – la scelta di portare i futuri studenti a visitare le imprese e ad assistere dal vivo alle lavorazioni sta dando i suoi frutti, con un aumento delle iscrizioni: «C'è la consapevolezza che questo settore ha fatto la storia del paese – dice la preside, Eleonora Schiavo – Grazie alla collaborazione con le aziende, però, si fa capire anche quanto il lavoro sia diventato meno duro, più automatizzato, con aspetti legati alla qualità, alla moda, alla scelta dei colori, che piaccono anche alle studentesse». Un interesse per le "tecnologie del cuoio" del tutto nuovo: «Per anni abbiamo sofferto la mancanza di tecnici e manodopera specializzata – osserva Peretti – perché, diciamo la verità, quell'indirizzo era visto dalle famiglie, dalle mamme, una serie B della formazione, tutti al liceo erano destinati i figli. Un problema italiano, più che nostrano. Oggi, con la crisi che morde, si capisce che forse è meglio studiare qualcosa che poi dia la possibilità di trovare un lavoro, piuttosto che sfornare ingegneri e professori e poi ritrovarseli a spasso». Automazione e innovazione nel frattempo sono entrati in fabbrica, aumentando la produttività e l'efficienza, in un settore "obbligato a cambiare", spiega Roccardo Rossetto, presidente della sezione concia, chimica e plastica di Confartigianato Vicenza: «Molti, qui, sono terzisti specializzati. Quando c'era una montagna di lavoro hanno assunto con generosità, comprato impianti, investito. E ora si trovano orfani, con le macchine e gli operai inutilizzati. Negli ultimi sette, otto anni, la produzione è calata del 30%, la situazione è aggressiva, c'è chi si abbassa al limite della concorrenza sleale, e altri che non hanno più i soldi per i Tfr o per pagare i mutui sui capannoni. Nelle riunioni di categoria è capitato di dover dire a chi è in difficoltà: chiudete, prima che sia troppo tardi, prima di compromettere il lavoro di una vita». L'errore, sostiene Rossetto, è stato puntare sulla quantità, più che sulla qualità: «Ma se sapremo tornare ai livelli che conosciamo, qualificarci, tornare al passato di questo distretto, allora tutti si accorgeranno del valore che abbiamo fra le mani». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 14 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. L'area vicentina della concia si distingue per innovazione ed export, mentre la capacità di fare rete e l'occupazione sono i limiti. PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE La concia esporta 2,5 miliardi su un valore della produzione di 1,8 miliardi. Il primo Paese di destinazione (con una quota pari al 17%) è la Cina, le cui grandi potenzialità comunque non raggiungono per qualità e innovazione la produzione italiana. Arzignano, primo distretto conciario nazionale, produce il 51% del totale italiano, il 32% dal fatturato europeo (e l'8% a livello mondiale). ALTA 2 INNOVAZIONE I prodotti sono sempre più evoluti, i processi si affinano e lo fanno rispettando i parametri ambientali più rigidi, adottati prima che ci fosse una specifica norma europea. Un Gruppo come Mastrotto, il principale player europeo del settore, è in grado di realizzare seicento codici colore con consegna just in time in tutto il mondo. Così si intercettano le esigenze dei settori più legati alla moda. BUONA 3 ANTI CONCORRENZA SLEALE La concorrenza esiste, ma si ferma alle produzioni più standardizzate, a basso valore aggiunto. Dove invece entrano in gioco la qualità, l'innovazione e la ricerca, la capacità di proporre servizi e caratteristiche senza diverse, il distretto di Arzignano riesce a prevalere sulle pelli lavorate in altri Paesi, per quanto riguarda sia gli aspetti tecnici (resistenza per l'automotive, ad esempio) che estetici. DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 24 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online OCCUPAZIONE Le ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate per la concia in provincia di Vicenza, nel periodo gennaio-giugno 2012, rispetto allo stesso periodo del 2011 sono passate da 64.690 a oltre 91mila, con un incremento del 41,22 per cento. L'impatto della crisi, che sta riducendo i quantitativi lavorati, sta rimettendo in discussione anche il processo di integrazione delle comunità straniere. BASSA 2 ATTRATTIVITÀ La specificità di una materia prima organica, che richiede l'uso di sostanze chimiche e crea inquinamento e odori, ma soprattutto scandali, casi di frodi Iva e altri di illegalità, avvicinano ancora la concia a un settore "difficile", facendo passare in secondo piano anche conquiste quali la riduzione dell'impatto ambientale, ormai acquisita, e l'ingresso dei codici etici nelle aziende maggiori. SCARSA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Nessuna forma di aggregazione o collaborazione è stata attuata, e nemmeno – finora – discussa o progettata. Per le realtà più grandi non serve, il problema si pone decisamente per le aziende artigianali e il loro calo di fatturato causa crisi. Molte di queste hanno investito negli anni migliori, hanno acquistato macchinari e assunto personale: oggi spesso si tratta di risorse inutilizzate in tutto o in parte e che è difficile riuscire a mantenere. INSUFFICIENTE 25 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20120831040AAA 31-08-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Dalla fusione dei piccoli un solo operatore leader La svolta nel 1997, quando 5 realtà (su 7 allora operative) creano la Icp - LA STRATEGIA - Grazie all'operazione sinergica i produttori hanno diversificato, investendo su gamma e design, puntando su materiali innovativi come la tegola fotovoltaica Barb ara Ganz POSSAGNO. Dal nostro inviato L'intuizione dei padri si è rivelata esatta. La loro lungimiranza ha messo al sicuro il distretto e le sue produzioni, aprendo la strada al cambiamento e alla diversificazione indispensabili per reggere la crisi. Sono i figli degli imprenditori, oggi ai vertici dell'azienda di famiglia, a rendere omaggio a coloro che – in anni nei quali non si parlava nè di reti, nè di aggregazioni – hanno deciso di fare il grande salto. La data chiave è il 3 luglio 1997: dalla fusione di 5 aziende (con 6 stabilimenti produttivi) sulle 7 allora operative, nasce Industrie Cotto Possagno; delle due che non aderirono al patto, una ha chiuso e la seconda ha cambiato proprietà. Con l'accordo, operativo da gennaio 1998, decollava una realtà da 188 dipendenti diretti, indotto escluso, per un fatturato, allora, di 40 miliardi di lire, un prodotto sostanzialmente unico, il celebre coppo, indirizzato a un mercato per l'85% domestico. Oggi, arrivando a Possagno, si entra direttamente nel vivo della produzione dei coppi, in un incrocio di stabilimenti, depositi di materiale e parcheggi incastrati l'uno nell'altro, senza soluzione di continuità, come allora: sulla destra il tempio del Canova, sulla sinistra il cosiddetto pareton, la montagna scavata per ricavarne materia prima e che il veto da parte del vicino comune di Castelcucco ha impedito di ripristinare, lavorando su terreno e pendenze e piantando nuovi alberi, come è stato fatto in altre cave. Nessuno si aspetta un aumento di volumi, nessuno nega l'eccezionalità di una crisi «mai vista prima», ma il distretto c'è. I primi contatti per dare forma al gioco di squadra erano iniziati nel 1982, subito dopo la prima delle molte congiunture sfavorevoli che si sono succedute: «E pensare che fin dagli anni Quaranta – racconta Gianpaolo Vardanega, direttore commerciale della Spa – ogni famiglia faceva per sé, con un unico forno, facendo a turno per cuocere i coppi, facendosi anche qualche dispetto come lasciare il fuoco basso a chi sarebbe venuto dopo». Non c'era ancora una specializzazione, qui si facevano anche i mattoni, nè una forma societaria a identificare queste realtà, che già negli anni Sessanta – altra crisi – avevano messo in comune alcuni uffici, per definire politiche commerciali comuni. In quegli anni di prima industrializzazione, si erano perfino avventurate «in terra straniera» – Villaverla, nel Vicentino, e il Friuli-Venezia Giulia – per tentare la strada delle acquisizioni di fornaci già esistenti. Sono stati gli shock petroliferi di quegli anni a spingere verso una automazione crescente della produzione: un passaggio, dal vecchio forno al tunnel, non facile, perché il coppo con la sua forma particolare era difficile da movimentare senza rotture, e servivano macchinari studiati appositamente. A Possagno si sono legate la forza e la debolezza dei distretti: da un lato la specializzazione sul prodotto principe, che ha portato a sviluppare competenze e fattori di conoscenza; dall'altro, una concentrazione assoluta che portava a perdere di vista altre esigenze del mercato, altre richieste. È andata avanti così, fra cicli espansivi e brevi recessioni, in un Paese con molto da costruire e una passione per le seconde case. Negli anni Ottanta nasce un consorzio, per far fronte all'emergenza materia prima: «La sollecitazione era forte, e da più parti, Regione in primis, ci veniva fatto capire che serviva un unico interlocutore nei rapporti l'ente pubblico, per fare sintesi delle esigenze di tipo estrattivo delle aziende e chiedere le autorizzazioni necessarie». Il passo, a parlare anche di altro rispetto alle forniture è stato breve: lo chiamavano significativamente Onu, quel nucleo di collaborazione, di uffici condivisi. Conteneva anche una innovativa e inedita clausola di mutuo soccorso, «se uno finiva l'argilla, gli altri aiutavano. Ci si trovava a discutere di approvvigionamento, e si finiva a parlare di molto altro» ricorda Gianpaolo Vardanega, che di quell'esperienza faceva parte. Negli anni Novanta, l'inchiesta del Sole-24 Ore descriveva un distretto con nove industrie, una predominanza di cognomi – Vardanega e Cunial, ancora oggi perfino le pompe funebri e la rivendita di funghi lungo la strada portano uno di questi cognomi – e una produzione leader, pari al 90% dei coppi nazionali. La svolta era alle porte: dal 1995 il settore entra in difficoltà, e mantenere sotto lo stesso ombrello una pluralità di aziende concorrenti diventa un problema. Si studiano fermate programmate e si rinforza la sinergia. La scelta è fra rilanciare la collaborazione o andare ognuno per la propria strada. Nell'estate 1997 i protagonisti decidono la nascita delle Industrie Cotto Possagno: un nuome nuovo, nessuna egemonia. «Una fusione senza paracadute», la definisce Alessandro Vardanega, attuale presidente oltre che leader degli industriali trevigiani – «perché fin dal primo momento non ha preso in considerazione la possibilità di una via d'uscita o il passo indietro. Nessuno ha tenuto per sé un solo asset, nemmeno immobiliare: magazzini, crediti, impianti, fabbricati, personale, tutto è confluito in un'unica nuova realtà. Definitiva». La neonata Icp affronta i punti deboli, come la concentrazione su un solo prodotto: investe nella produzione di accessori per completare il manto di copertura degli edifici, pezzi speciali e tutto il necessario a fornire un 26 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online "sistema tetto", recuperando quanto prima veniva affidato a terzisti. Inizia a puntare con decisione sui mercati del Sud Italia, avvicinandosi geograficamente con l'acquisizione di una concorrente in provincia di Pesare e Urbino. Per diversificare, diventa d'obbligo produrre anche tegole, più diffuse nei mercati comunitari: si lavora di design, si moltiplicano i colori e i formati, si punta sulla qualità, per far passare il messaggio che la produzione qui si fonde con l'innovazione. Ne è un esempio la tegola fotovoltaica, che permette di unire efficienza e risparmio energetico con l'estetica. La propensione verso l'estero sfonda in Francia, Inghilterra, fino al Medio Oriente. L'effetto è complesso: «Le industrie sono cresciute – osserva Vardanega –. In parte la tegola ha eroso le quote del coppo, in parte ha attaccato la concorrenza». E se c'è un modo di affrontare l'attuale crisi dopo una lunga fase espansiva, che sta penalizzando l'edilizia, «la nostra scelta è presidiare la fascia alta del mercato, l'eccellenza intrinseca ed estetica. Per questo serve coerenza anche nella politica di prezzo: non svendiamo per fare volumi, siamo su listini mediamente superiori del 20% rispetto a quelli dei competitor, ma questo è il nostro dna. Non facciamo un prodotto di massa. Informiamo sulle caratteristiche acustiche e in termini di consumi energetici e di benessere dell'abitazione, perché manca ancora consapevolezza nel consumatore: tutti sono abituati a scegliere gli infissi, ma al tetto ci si pensa poco. Mettiamo da parte l'ansia di conquistare ordini e valorizziamo il nostro prodotto per quello che garantisce. Guardare fuori dai confini italiani consente di programmare con maggiore tranquillità, anche se si tratta ancora di una quota minoritaria». L'export non supera il 20 per cento. Il costo del trasporto è una barriera difficile da abbattere. Solo a nominare l'attesa Pedemontana veneta, c'è chi si dice pronto a ubriacarsi quando, finalmente, sarà pronta. Le fornaci hanno chiuso il tempo necessario per la manutenzione, in agosto; quest'anno ha scontato anche il fattore meteo, perché il tetto – la parte più esposta del cantiere – si ferma quando le condizioni sono difficili, e il 2012 non ha risparmiato le nevicate. Il distretto è cambiato, è diventato capital intensive sacrificando posti di lavoro per recuperare efficienza, ha diminuito la quantità ma ha mantenuto il valore della produzione perché ne ha accresciuto il valore, ha diversificato per scoprirsi meno vulnerabile. Gianpaolo Vardanega si definisce «il più vecchio fra i giovani di adesso, il più giovane fra i vecchi che hanno deciso la fusione», e sorride mentre rilegge la pagina pubblicata da questo giornale nel marzo 1992, il titolo dedicato al "Monopolio del coppo": «Fa piacere rivedersi dopo tanto tempo, ancora qui». Non sono in molti a potersi permettere questa serenità, 20 anni dopo. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Possagno ha nella capacità di fare rete il proprio punto di forza, il limite maggiore è la scarsa capacità commerciale IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 CAPACITA' DI FARE RETE Su questo fronte il distretto di Possagno non ha nulla da imparare: la fusione di cinque aziende decisa nel 1997 ha dato forza al distretto che ha potuto razionalizzare la gestione degli approvvigionamenti, diversificare la produzione, puntare su nuovi mercati sia in Italia che all'estero. Innovativa anche la strategia adottata: nuovo marchio, e per la fase iniziale un supervisore esterno ALTA 2 INNOVAZIONE Se il coppo è per tradizione un prodotto sempre uguale, il distretto ha saputo aprirsi per cogliere nuovi mercati. È stata avviata la produzione di tegole, e sono stati messi a punto – con risorse proprie e all'interno dell'azienda – il coppo e la tegola in cotto fotovoltaico, brevettati, che uniscono all'efficienza la tutela del paesaggio, in modo da riprodurre le sfumature e i colori assunti dai tetti antichi BUONA 3 MARKETING Se prima si vendeva un prodotto, oggi si commercializza un «sistema tetto» che include tutto: dalla progettazione ai materiali, dalla posa a coibentazioni e impermeabilizzazioni, con controlli periodici e manutenzione. Un "plus" per rivenditori, professionisti e imprese, che nel caso di tegole o coppi fotovoltaici arriva fino allo svolgimento dell'iter burocratico per accedere al conto energia DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 OCCUPAZIONE Il processo produttivo è sempre più automatizzato e richiede notevoli investimenti. A soffrirne è l'occupazione, e in particolare la componente immigrata (da Senegal e India, ma non solo) e che in passato era arrivata a pesare fino a un addetto su tre. Oggi si assiste ad alcuni rientri in patria, e lo scorso giugno è scattata la cassa integrazione a rotazione per una quarantina di dipendenti di Industrie Cotto Possagno BASSA 27 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online 2 INTERNAZIONALIZZAZIONE Un prodotto pesante, a elevato rischio rottura e con costi di trasporto impegnativi. Sono i limiti del cotto e delle tegole, ma il mercato – in passato domestico per una quota superiore all'85% – si sta aprendo, in Europa (Francia, Inghilterra) e Medio Oriente. Sul fronte interno, pesa la mancanza di una viabilità adeguata ed efficiente alle esigenze aziendali, Pedemontana Veneta in primis SCARSA 3 CAPACITA' COMMERCIALE Il limite principale consiste nel dover contare su agenti plurimandatari, senza avere figure interamente dedicate al "sistema tetto": sia i consumatori finali, sia i distributori, ancora vengono raggiunti faticosamente, e la comunicazione stenta. Eppure in Italia un numero elevato di edifici, stimati in 10 milioni, avrebbe bisogno di adeguamenti sul fronte del risparmio energetico e delle prestazioni INSUFFICIENTE 28 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20120905036AAA 05-09-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY I laboratori vicentini non risplendono più Sul cluster pesano i dazi e la corsa delle materie prime Da 1.300 le imprese attive sono scese a poche centinaia INTERNAZIONALIZZAZIONE - Le aziende del comprensorio hanno quadruplicato l'export, ma la concorrenza estera, soprattutto dall'Oriente, si fa sempre più pressante Barb ara Ganz VICENZA. Dal nostro inviato «Non faremo la fine di Pforzheim». Giuseppe Corrado era presidente del gruppo orafo degli industriali vicentini negli anni Novanta: «Adesso, a 73 anni mi sono lasciato riesumare per la stessa carica di allora: lo faccio perché vedo dei giovani che fanno delle cose straordinarie, che stanno in fabbrica dalla mattina alla sera, che meritano sostegno, e per loro vale la pena di difendere la tradizione vicentina. Qui non accadrà quello che è successo al distretto tedesco del Baden Württemberg, quello che proprio noi abbiamo contribuito a mandare in crisi negli anni d'oro, e che oggi è ridotto all'osso». Vent'anni hanno comunque cambiato i connotati al territorio, e a chi ci lavora: «Eravamo arrivati a 1.300 imprese attive, contro le 4-500 attuali; ma di queste, si e no 200 sono effettivamente operative», sottolinea Corrado. Un ridimensionamento pesante, che di cause ne ha molte: «Eravamo fortissimi, il sesto export nazionale; nessuno ci ha dato una mano nei governi che si sono succeduti. Nessuno ci ha sostenuto: anzi, hanno lasciato che i concorrenti alzassero barriere doganali che ci hanno quasi estromesso. Negli Usa paghiamo non solo sul valore aggiunto, ma anche su valore dell'oro, e con una materia prima alle stelle si fa presto a capire quanto sia difficile. Gioielli cinesi e indiani qui hanno una barriera doganale del 2,5%, per vendere noi da loro paghiamo oltre il 40 per cento». Una sfida impari, se il mercato interno è saturo, e su quelli emergenti ci si muove con le mani legate. E non è solo questione di crisi economica: «Il regalo di un Battesimo o di una Cresima una volta era la medaglietta d'oro: oggi si compra un cellulare, non è che si spenda meno, è proprio cambiato il gusto e la mentalità», osserva Corrado. Ma nonostante tutto «il distretto vicentino non scomparirà: troppo bravi quelli che resistono qui, i giovani che lavorano e, con fatica, innovano». A volte sono neoimprenditori, a volte i figli di chi ha vissuto gli anni d'oro. Enrico Peruffo, figlio di Giuseppe, è sales manager nell'azienda di famiglia, la Fratelli Bovo Srl: «Io gli avevo consigliato di restarsene all'estero – dice il padre –. La verità è che vent'anni fa non c'era bisogno di fare chissà cosa: aprivi la tua azienda, lavoravi, e vendevi. Non serviva nemmeno essere così bravi», ricorda l'imprenditore, in proprio dal 1977, dopo aver lavorato nello stesso settore in aziende di famigliari. «Qualunque cosa facessimo, andava via, neanche si riusciva a stare dietro al mercato che c'era». Oggi, invece, quel che rimane del mercato va coltivato, inseguito, invogliato ad acquistare: «Applichiamo alla lavorazione dell'oro tecniche nuove: ogni anno destiamo a ricerca e design il 6% del fatturato», dice il figlio. Lo sforzo è evidente nei numeri: se fino a 7-8 anni fa si esportava il 20% del fatturato (5 milioni), oggi ai mercati esteri è destinato l'80%: «Senza questo cambio avremmo chiuso», concordano. «Ridimensionamento quantitativo», lo definisce l'indagine di Confartigianato Vicenza, «dovuto a fattori molteplici che vanno dalla crisi strutturale delle economie occidentali alla competizione di Paesi emergenti come India e Indonesia, dalla scarsa propensione delle imprese vicentine ad aggregarsi per trovare nuovi sbocchi nei mercati esteri allo scarso orientamento a investire in formazione, innovazione, ricerca». Eppure i dati sono ambivalenti: per le imprese artigiane, il fatturato del secondo semestre 2011 è diminuito dell'1,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre gli addetti, in calo dal 2004, hanno segnato un +1,2%, e l'export ha segnato +7,7, dopo il +22,2 dell'anno precedente. Non un tracollo, ma un lento declino: «Abbiamo iniziato ad accorgercene con la prima guerra del Golfo; la Turchia ha iniziato a diventare strategica come base, e ne ha avuto in cambio vantaggi commerciali sul mercato americano, per noi strategico» dice Franco Pozzebon, presidente categoria Metalli preziosi di Confartigianato Vicenza e titolare della Superficiquattro Snc. Un cambiamento talvolta poco evidente: anche nel periodo di massimo splendore, la presenza dei laboratori sotto l'abitazione dei proprietari era dissimulata per motivi di sicurezza. Oggi, con i prezzi dell'oro lievitati, l'ingrediente in più è la paura. Il tentativo di creare una zona di sicurezza, con accessi limitati, per i laboratori orafi in una zona dedicata della città non ha avuto successo per le troppe limitazioni imposte, ma i sistemi di allarme e anti intrusione si sono moltiplicati, così come la cautela e quel guardarsi alle spalle nel momento in cui si esce dopo il lavoro. Hanno iniziato letteralmente a scomparire le aziende del catename, dello stampato, quelle con il minore valore aggiunto, spiazzate dai continui rincari dell'oro, ma anche dalle esportazioni di macchinari vicentini nel modo. «Non si può puntare su una macchina, dopo un mese te la rifanno uguale da qualche parte», taglia corto Bovo padre. Perfino chi, fra i primi, aveva delocalizzato, ha chiuso i battenti. Tanto che è quasi impossibile ritrovare le aziende intervistate 20 anni fa nel primo viaggio nei distretti: molte semplicemente non esistono più. La concorrenza, i dazi, e il credito: «Una volta le banche davano l'oro, quello delle proprie riserve, in prestito d'uso, a 29 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online tassi più che vantaggiosi, e questo aveva avuto un ruolo chiave nel creare sviluppo e posti di lavoro – spiega Pozzebon –. Ora il default di grandi aziende, qualche scandalo e le inchieste della Gdf sull'oro portato all'estero, hanno stretto i cordoni. Se a questo aggiungiamo che la materia prima è alle stelle, si capisce dove il meccanismo si inceppa». A pagare è un distretto, che, tuttora, è unbranded: «Quel che di bello è fatto qui, si vende senza essere riconoscibile e tale arriva al consumatore finale. Non c'è mai stata la forza di un Tiffany, qui», osserva l'artigiano. C'è chi ci sta provando, adesso, portando campagne promozionali direttamente in Usa. Ma è difficile per aziende che rimangono mediamente piccole, e che non si aggregano. L'idea è ripartire dall'orgoglio: portare i gioielli in passerella, come i capi di abbigliamento, colpire la fantasia, cambiare anche i negozi «che oggi sono tutti uguali, con il campanello, la moquette per terra». E scommettere sull'innovazione. Un esempio? C'è chi adatta le tecnologie usate in odontoiatria per creare denti artificiali e capsule ai gioielli, e chi spiana la strada a tecnologie quali la Slm (selective laser melting) laser capaci di riprodurre esattamente il modello pensato e disegnato al computer, con qualità estetiche elevate ed un impatto ambientale praticamente nullo. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Il distretto di Vicenza può contare su un'elevata capacità di networking internazionale, ma paradossalmente in questi anni non è stata capace di creare reti sinergiche al proprio interno. PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE Una attività di networking a livello globale per le aziende vicentine, ma anche italiane; collaborazioni, accordi di marketing e presidio diretto dei mercati più interessanti: la Fiera di Vicenza ha un ruolo di primo piano nell'accompagnare le imprese all'estero IL GIUDIZIO ALTA 2 INNOVAZIONE Perfino le tecnologie messe a punto nel settore odontoiatrico e dell'implantologia vengono utilizzate nella creazione di gioielli sempre più particolare; si investe in design abbandonando lavorazioni a basso valore aggiunto e si introducono nuove tecniche e materiali IL GIUDIZIO BUONA 3 ALLEANZE CON l'ESTERO Gli ultimi accordi raggiunti riguardano l'India (accesso privilegiato per le aziende dell'oro, dei gioielli e dei macchinari), e gli Stati Uniti, dove sono stati contattati direttamente titolari e manager di boutique e store per stringere relazioni più solide IL GIUDIZIO DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 MARKETING La presenza di marchi capaci di imporsi e di farsi conoscere anche sui mercati internazionali è fenomeno recente, e limitato a poche grandi realtà: in molti casi le lavorazioni made in Vicenza non sono riconosciute come tali IL GIUDIZIO BASSA 2 30 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online CAPACITÀ DI FARE RETE Le sinergie non sono ancora nelle corde delle aziende del distretto: in questo modo la selezione non risparmia chi innova poco, chi non cerca di penetrare nei mercati internazionali e chi rimane legato a una mentalità troppo vecchia per competere IL GIUDIZIO SCARSA 3 CAPACITÀ COMMERCIALE Vendere gioielli vicentini in mercati protetti da barriere doganali come quelle sul mercato americano, cinese e indiano, è come sfidare qualcuno a una corsa avendo i piedi legati: così le aziende sono praticamente tagliate fuori dalle aree dove la domanda è maggiore IL GIUDIZIO INSUFFICIENTE 31 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 11/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online LU20120910014AAA 10-09-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Bassano conquista i magnati russi Sbocco all'estero e mercato del lusso per contrastare la debole domanda interna e l'evoluzione del gusto - L'ANALISI Zanotto (Confartigianato): «L'estrema specializzazione e la tradizionale vetrina non bastano più: vince chi diversifica e fa offerte su misura» Barb ara Ganz BASSANO DEL GRAPPA. Dal nostro inviato Vent'anni fa – ma anche in tempi più recenti – la strada statale 47 che porta da Bassano del Grappa a Padova era una sfilata ininterrotta di vetrine: una sorta di via Montenapoleone del mobile in stile, ricorda chi abita in zona. Oggi, attività di vario genere si alternano a serrande abbassate, cartelli di affittasi o vendesi, perfino rivendite di mobili, sì, ma importati da Tibet, Cina e Mongolia. E annunci di saldi: meno 30%, 60%, fino al 70 per cento. Sui cavalcavia, manifesti politici sbiaditi lasciano il posto a dichiarazioni d'amore: «Sabry ti amo, Diego 4ever». Nel 2005, una delle ultime indagini Poster sulle trasformazioni del mercato e le risposte in atto nel distretto del mobile in stile – talvolta riproduzione fedelissima di pezzi esistenti nella reggia di Versailles o in altre dimore storiche – mettevano in evidenza due atteggiamenti: da uno lato quello, maggioritario, di chi giudicava strutturali i cambiamenti legati alle nuove generazioni – che per arredare casa, soprattutto la prima, preferivano ormai soluzioni di breve periodo e linee moderne – con la conseguenza di dover rivedere il posizionamento aziendale, le linee e le gamme di produzione. Dall'altro, c'era chi valutava la situazione di difficoltà solo congiunturale e pensava a come migliorare la propria efficienza. Già allora, i primi tentativi di far produrre semilavorati e mobili grezzi in Paesi a basso costo facevano temere per l'identità stessa del distretto, tradizionalmente tarato su un'altissima qualità. «Il tempo ha dimostrato che l'estrema specializzazione e la tradizionale vetrina lungo la strada non bastano più – spiega Paola Zanotto, presidente legno-arredo del mandamento di Bassano per Confartigianato Vicenza, con i tre fratelli alla guida della Zanotto Elia Sna, fondata dal padre –. Molte aziende per sopravvivere hanno preso la strada della diversificazione: chi ha iniziato con i serramenti, chi ha voluto proporre un servizio, oltre al prodotto, tramite studi di progettazione di interni. Nel nostro caso, abbiamo scelto la personalizzazione su misura lasciando la massima libertà creativa e di scelta al cliente, spaziando dalla cucina alla cameretta dei bambini, e abbiamo puntato su una filiera ecosostenibile. Questo ci ha aperto le porte di mercati molto sensibili all'ambiente». La domanda di mobili in stile viene oggi prevalentemente dall'estero: l'ex Unione Sovietica, la stessa Romania, dove sono forti il culto della casa e l'attenzione per il prodotto di qualità elevata. Le aziende del Bassanese sono rimaste piccole, ma hanno dovuto imparare a essere più che flessibili: «Quando arriva un ordine, occorre rispondere in fretta: per una commessa abbiamo predisposto l'offerta in un week-end e abbiamo consegnato in 20 giorni con l'aiuto di tutti i dipendenti», prosegue Zanotto. In realtà nelle quali la famiglia è l'impronta distintiva, il passaggio generazionale non si esaurisce mai e c'è chi sperimenta soluzioni innovative – come la presenza di un consulente esterno – proprio per conciliare e mantenere in equilibrio le spinte e le aspirazioni delle diverse componenti. Nel comparto artigiano, il primo trimestre 2012 ha confermato le tendenze in atto: rispetto all'anno precedente -6% l'occupazione, -6,1% la domanda interna, -3,5% il fatturato, solo un debole +0,2% di domanda estera, con i segni di un progressivo affaticamento destinato a durare almeno fino alla fine dell'anno. Anche l'ultimo aggiornamento del monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo segnala il «difficile momento congiunturale del mobile d'arte del Bassanese, che insieme ad altre realtà regionali non mostra alcun segnale di inversione di tendenza, dopo la chiusura dell'ultimo quarto dello scorso anno in calo»: nel primo trimestre 2012 le esportazioni sono scese del 3% rispetto all'analogo periodo 2011, -4,1% il calo congiunturale sul trimestre precedente. Ma c'è ancora chi apre e scommette sul futuro del mobile classico, esattamente com'era quando il distretto ha iniziato la sua fortuna. «L'azienda era nata nel 1984, ed era arrivata a contare 60 dipendenti e filiali in Madagascar e Lituania; poi sono seguite le vicissitudini che hanno portato al fallimento - ricorda Marco Scalabrini, responsabile marketing di Faber mobili -. Nel 2009 è stata acquistata da Franco Benassi, imprenditore emiliano, ed è ripartita ricucendo i rapporti con i vecchi clienti. Negli ultimi tre anni tutto è cambiato: ci siamo rivolti alla clientela estera; non tanto alberghi quanto privati, facoltosi, che investono nella propria casa. Lavoriamo molto in Russia e Ucraina, ma stiamo sviluppando altri mercati, Cina e Messico. Il nostro è un prodotto profondamente artigianale: costoso nella lavorazione oltre che nella materia prima, con rifiniture fra le più pregiate che esistano e che siamo rimasti in pochi a fare. I pezzi sono lavorati come 500 anni fa, in sedici fasi successive: anche per questo serve una professionalità elevatissima, alcuni fra i nostri dipendenti sono in azienda fin dalla sua nascita». Lavorare in residenze di pregio o di persone note comporta anche l'obbligo della discrezione: è così per molte delle aziende che lavorano nei mercati lontani, obbligate a non fotografare né usare come referenze i lavori realizzati. Ma se la svolta dell'apertura all'esterno è compiuta, non altrettanto si può dire degli altri punti di debolezza del distretto, che rimangono tuttora ferite aperte. «Quello che ha fatto grande il Veneto, lo sta uccidendo: è l'individualismo» osserva 32 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 11/10/13 Banche Dati online amaro Christian Frighetto della Frighetto Srl, 30 dipendenti. Ha rilevato l'azienda fondata dal padre Dino – intervistato nell'inchiesta del Sole 24 Ore pubblicata il 29 febbraio 1992 –, una delle imprese che hanno fatto la storia del distretto. «Oltre due anni fa mi sono dimesso dalla vicepresidenza del consorzio Mobile di Bassano – racconta Christian – e ora l'ente è definitivamente sciolto: a che pro tenere in vita qualcosa nato per unire, continuando a fare ciascuno per sé? Io credo ancora nella possibilità di mettere insieme le forze, ma prima occorre cambiare mentalità». Anche il distretto, formalmente, non esiste più: il patto di sviluppo non è stato presentato e non c'è un rappresentante. Di fatto, solo un'anticipazione della svolta annunciata dall'assessore regionale all'Artigianato e Pmi Marialuisa Coppola: «La legge 8/2003 aveva fatto scuola in Italia e in Europa e per prima aveva introdotto concetti sconosciuti quali le aggregazioni, ma nei fatti si era rivelata farraginosa, ricca di burocrazia. La nuova norma sarà snella, una decina di articoli, i distretti dovranno avere una riconoscibilità storica, non costituirsi per vedersi assegnati dei fondi, e una figura direzionale e manageriale che si assuma le responsabilità. Contiamo di approvarla entro l'anno». Il testo è stato trasmesso il 5 luglio al Consiglio regionale ed è già stato assegnato alla terza commissione: la mappa dei distretti veneti che ne uscirà sarà completamente diversa da quella conosciuta fino a oggi. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Bassano del Grappa cerca di resistere con la diversificazione e i nuovi mercati, ma sconta un'eccessiva frammentazione PUNTI DI FORZA 1 INNOVAZIONE La capacità di reazione del distretto sta nella forza di proporre prodotti e servizi nuovi – dalla progettazione ai serramenti – e di individuare nicchie quali le produzioni in materie prime derivanti da filiere certificate sostenibili e biocompatibili ALTA 2 CAPACITÀ COMMERCIALE La crisi ha rivoluzionato le strategie del distretto e costretto a mettere a punto nuove armi: alle tradizionali vetrine si sono sostituiti ampi show room e siti internet, veri e propri negozi virtuali senza i limiti delle strutture preesistenti BUONA 3 INTERNAZIONALIZZAZIONE Le aziende del mobile d'arte hanno per anni puntato sul mercato italiano, oggi in una stasi sia congiunturale che strutturale. Per questo è determinante l'apertura a nuovi mercati che richiedono tempi brevi per la progettazione e la realizzazione e grande flessibilità DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 MARKETING Il mobile in stile sul mercato interno mostra un appeal minore rispetto ai pezzi moderni, meno impegnativi. Il mercato estero gradisce, ma la privacy dei committenti più prestigiosi va a scapito della pubblicità delle realizzazioni «Made in Bassano» BASSA 2 DIMENSIONI D'IMPRESA Le commesse che giungono da alberghi o residenze di prestigio all'estero richiedono spesso un lavoro di squadra e tempi di risposta e realizzazione velocissimi. Per una Pmi non sempre è facile farsi trovare pronta, mentre non decollano le collaborazioni SCARSA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE L'esperienza del Consorzio del mobile di Bassano si è conclusa in un nulla di fatto. È emersa tutta la difficoltà di mettere insieme progetti, competenze, strategie: un limite che in un orizzonte di crisi e di domanda interna sempre più asfittica richiede una soluzione 33 INSUFFICIENTE 2/3 14/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20120920048AAA 20-09-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Montebelluna corre grazie agli scarponi Dai primi laboratori alla diversificazione con l'hi-tech La formazione delle nuove leve priorità dei brand - RITORNO AL FUTURO - Qui si producevano le pedule dei militari della Grande Guerra: da quelle origini contadine strategie globali e un know how che richiama cervelli dal mondo Barb ara Ganz MONTEBELLUNA (Tv). Dal nostro inviato Come un atleta che dopo una lunga corsa si ferma, ma solo il tempo necessario per riprendere fiato e decidere come proseguire: non poteva che essere una metafora sportiva quella usata da un imprenditore per descrivere il momento vissuto dal distretto di Montebelluna, che definire "dello scarpone" oggi non basta più. Ed è stata una corsa davvero lunga: dalla pancia contadina al mondo globalizzato, sintetizza Aldo Durante, oggi direttore del Museo dello scarpone e memoria storica del distretto. Già nel 1800 qui si producevano calzature robuste per i boscaioli del Montello e i montanari feltrini, suole in legno e tomaie in cuoio. I dieci laboratori calzolai del 1808 diventano 55 nel 1972, e all'inizio del 1900 sono già 200. Nel 1911 si vedono le prime fabbriche; da qui arrivano le scarpe per i militari durante la prima guerra mondiale, ma già nel dopoguerra gli scarperi sono pronti a cogliere il primo cambiamento del mercato: nasce lo scarpone per lo sci dei benestanti, e con esso il primo miracolo economico. Nel 1954 la spedizione italiana guidata da Ardito Desio scala il K2 indossando scarponi Dolomite, un evento di risonanza mondiale. Gli anni Sessanta sono quelli delle innovazioni: l'idea è dell'americano Bob Lange, che nel 1967 crea il guscio dello scarpone in resina poliuretanica colata in uno stampo. I montebellunesi – «a parte quei pochi che dicevano: la plastica non funzionerà mai», ricorda Durante – credono nella nuova tecnologia, ma a modo loro la trasformano, avviando un processo produttivo a iniezione, economicamente e qualitativamente migliore. Il trionfo del nuovo materiale è tale che la produzione di scarponi vola dalle 200mila paia annue del 1960 ai 4 milioni del 1979, mentre il doposci - prodotto nuovo, pochissimo tecnologico, bastavano una macchina da cucire e mani esperte - passa da 4 milioni di paia nel 1972 a 14 milioni nel 1979. «Il successo richiede manodopera – spiega Durante – e questa arriva dai campi: migliaia di contadini entrano in fabbrica, ma sono legati alla terra con la testa e con il cuore. Il rapporto con il padrone è diretto». Vent'anni fa, il viaggio del Sole-24Ore trova un vero "impero": 700 aziende, un fatturato da 1.200 miliardi di vecchie lire, il 50% della produzione mondiale di scarponi da sci, il 40% delle scarpe da fondo, per non parlare dei primati nazionali, con l'80% degli stivali da motociclismo, il 45% delle scarpe da pallacanestro e il 40% di quelle da tennis. I forestieri sono già entrati nella "pancia" del distretto: la data cruciale è il 1974, quando la famiglia Caberlotto cede la Caber, marchio storico dello scarpone, alla multinazionale Spalding. È la prima azienda montebellunese che diventa proprietà di forestieri: non sarà l'unica, perché quel che fa gola è quella concentrazione di know how che qui ha trovato casa. «I nuovi titolari sono americani, quel legame diretto fra lavoro e azienda non c'è più. Al distretto, sempre più forte, ora servono manager, e dove si vanno a prendere? Nelle grandi aziende metalmeccaniche, con la cultura del metallo, quello degli stampi che ora servono a produrre lo scarpone moderno», osserva Durante. Arrivano gli stranieri, ma i montebellunesi non stanno a guardare. Negli anni Settanta le scarpe da calcio e da ciclismo acquistano un peso significativo, e trainano anche l'abbigliamento per lo sport. La moda diventa la nuova protagonista, le scarpe da trekking diventano più colorate, leggere, e sfondano i limiti dell'utilizzo in montagna per diventare, semplicemente, modelli da tempo libero. Caberlotto, rimasto comunque presidente della Caber ceduta, fonda dall'altra parte della strada - la Lotto, con i fratelli; e se i competitor del distretto sono ora Nike e Adidas, che producono a Taiwan, anche i montebellunesi fanno la valigia, direzione Far East. La caduta del muro di Berlino – 1989 – apre un enorme mercato, non solo per i grandi che già hanno scoperto la delocalizzazione, ma anche per i piccoli: sono le realtà che contano meno di 15 dipendenti, e che ora trovano manodopera a basso prezzo, dalla Romania e dai Paesi vicini. I prodotti made in Montebelluna viaggiano nel mondo, ma contemporaneamente qui arrivano oltre 10mila persone di cento etnie. Ogni laboratorio decentra parte del lavoro ad altri laboratori più piccoli, fino a far svolgere alcune lavorazioni a domicilio. Poi qualcuno spicca il volo, in una esplosione di imprenditorialità che porta una straordinaria espansione del mercato. «Il contrario di quanto sta avvenendo – osserva Durante –, ma a preoccupare non è tanto l'aspetto occupazionale: se qui lavorano ancora 7, 8mila persone, altre 70mila lavorano per noi nel mondo. Tornassero qui certe produzioni, non sapremmo nemmeno dove metterle. Il problema non è avere delocalizzato, c'è chi proprio così ha creato nuova occupazione anche qui, ma averlo fatto in modo scriteriato». Anche Adriano Sartor, oggi referente del distretto riconosciuto dalla Regione e insieme patron di Stonefly, fondata nel 1993, parla di un impoverimento progressivo che andava, e va, gestito: «All'inizio c'era una filiera praticamente autosufficiente, con piccole realtà che lavorando in subappalto e di fatto irroravano l'intero territorio. Oggi l'esigenza di confrontarsi con competitor internazionali ha spostato molte produzioni, e l'indotto ne ha risentito: se da un lato la delocalizzazione ha consentito di reggere la 34 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 14/10/13 Banche Dati online concorrenza, e di essere già presenti in quelli che si sono progressivamente affermati come nuovi mercati, dall'altro non si sono valutate a pieno le controindicazioni. Oggi le nicchie, come le scarpe da ciclismo, e le attività legate al casual valgono il 40% del fatturato del distretto: sono nate dalla tradizione sportiva, hanno un'anima tecnologica. Per fortuna le eccellenze sono rimaste qui, e molte aziende hanno imparato a diversificare per affrancarsi dalla stagionalità e dalle nuove abitudini, come quella del noleggio degli attrezzi, che hanno cambiato il settore. Quello che è scomparso è un certo saper fare, una risorsa di manodopera che occorre cercare in altre aree d'Italia». Quello della formazione è un nervo scoperto, ma anche un punto di ri-partenza: «Qualcosa finalmente si muove – interviene Antonio Lauro, direttore divisione industriale di Tecnica e presidente dell'associazione Museo dello scarpone, incaricata di cercare nuove vie di crescita -. Oggi qui si importano cervelli, arrivano amministratori delegati, tecnici e designer da Giappone e Usa. Una scelta obbligata per intercettare i gusti di un mercato allargato a tutto il mondo. Quello che mantiene integro il distretto è l'avere mantenuto qui le competenze, a differenza dei marchi americani che hanno spostato tutto, anche la progettazione, nel Far East. Ora è il momento di contribuire tutti, a partire dalle aziende che hanno fatto la storia e la fortuna di Montebelluna, al rilancio. Nei giorni scorsi abbiamo incontrato i sindaci della zona, le istituzioni, e anche gli istituti superiori, per mettere a punto un percorso di studi, riempire di contenuto le figure professionali da formare. L'obiettivo è avere un Ict che diplomi tecnici del calzaturiero, anche in sinergia con gli altri distretti, come quello della Riviera del Brenta». Le aziende simbolo del distretto hanno seguito strade diverse: Stonefly, oggi 97 monomarca nel mondo, è nata come divisione della Lotto. Adriano Sartor, tecnico e figlio di calzaturieri, e Andrea Tomat, condividono da 18 anni l'esperienza aziendale; l'intuizione – suggerita come sfida dal tennista Boris Becker nel 1993 – è stata applicare alla calzatura di uso quotidiano lo stesso criterio di progettazione usato nello sport. Nei giorni scorsi Lotto - legata all'immagine della scarpa da calcio dorata inquadrata prima dell'inizio della finale di Berlino 2006, vinta dall'Italia - ha ceduto il marchio statunitense Etonic (calzature per bowling e golf), per concentrarsi sul marchio di casa e poter programmare nuovi investimenti. Tecnica è il modello di azienda cresciuta con una politica di acquisizioni: oggi ha i marchi Blizzard, Dolomite (il più vecchio brand mondiale di prodotti da montagna), Moon Boot, RollerBlade (pattini in linea) e Nordica, grazie alla quale diventa il primo produttore mondiale di scarponi da sci. Geox è il nome nuovo, l'azienda «nata già delocalizzata». L'anno è il 1992: Mario Moretti Polegato, fino a quel momento attivo nell'altro settore principe del Trevigiano, il vino, inventa la "scarpa che respira": «Oggi copriamo il 68% del volume dell'intero distretto – racconta dal quartier generale di Biadene di Montebelluna – Quando siamo nati la modalità era inconsueta, non eravamo una derivazione di altre attività che cercavano di destagionalizzare il proprio prodotto. Produciamo non solo scarpe da città, ma una intera linea di progetti ad alto contenuto tecnologico. Vendiamo in 100 Paesi, la domanda di made in Italy è elevata. Nel distretto abbiamo investito, soprattutto in termini di formazione che mancava: oggi l'azienda è un vero campus di 650 addetti, mediamente fra i 28 e i 38 anni, quasi tutti laureati, e abbiamo scuole interne dedicate ai manager e ai tecnici, mentre la produzione è in outsourcing». Anni dopo, Geox ha trovato anche il punto di contatto con il mondo dello sport: «L'acquisizione di Diadora non è stata una scelta economica né speculativa, ma sentimentale: ci pareva un peccato che un marchio storico, in difficoltà finanziarie, rischiasse di scomparire dopo avere portato Montebelluna nel mondo». L'azienda (guidata da Enrico Moretti Polegato, figlio di Mario, ndr) è oggi tornata all'utile. Un passaggio generazionale riuscito, ma molti altri incombono: «Calcoliamo che il 70% di aziende sia di prima generazione, Tecnica inclusa – osserva Lauro – Per questo l'associazione vuole puntare sull'orientamento professionale, la valorizzazione dei giovani talenti, l'evoluzione della cultura d'impresa nell'interpretare il ricambio ai vertici. Il lato buono della crisi forse sta anche nell'incentivo a superare l'individualismo del passato, a cercare sinergie anche con settori diversi dal nostro». Guardando al passato, si può fare: «Il distretto ha avuto successo, ha superato tutte le sue crisi ed è ancora vitale perché non è rimasto prigioniero della tradizione, ma ha avuto il coraggio di superarla – scrive Aldo Durante nel libro che ripercorre la vicenda di Montebelluna – Ogni volta che ha rischiato l'implosione, ha avuto un rilancio perché ha saputo metabolizzare le idee di chi, da fuori, sembrava una minaccia. Se la storia è maestra di vita, la lezione è questa: in un momento in cui l'identità dello sportsystem pare sfigurata e cancellata dall'irruzione di valori esterni, guardarsi indietro può essere motivo di conforto e di incoraggiamento». Nell'attesa di riprendere a correre. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del distretto di Montebelluna spiccano la capacità di internazionalizzare, l'innovazione e l'attrazione di investitori stranieri Il giudizio PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE Attualmente il 65% della produzione del distretto – oltre 40 milioni di paia di scarpe delle diverse tipologie – prende la strada dell'estero, a conferma di una vocazione ormai consolidata. La Germania è il principale mercato, ma la vera rivelazione sono la Russia e il Giappone ALTA 2 INNOVAZIONE Montebelluna ha saputo adattarsi alla domanda, che fosse di scarpe per i combattenti della prima guerra mondiale o scarponi per il diffondersi dello sci. Nuovi prodotti si sono affiancati in una continua corsa alla destagionalizzazione, e 35 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 14/10/13 Banche Dati online anche i processi importati dall'estero sono stati rielaborati qui in modo originale BUONA 3 ATTRATTIVITÀ La fase dell'acquisto di aziende locali da parte di grandi gruppi stranieri ha avuto il suo boom negli anni Settanta, ma tuttora a Montebelluna viene riconosciuta una competenza di alto livello: questo richiama cervelli – dai manager ai designer – da tutto il mondo nei laboratori di ricerca e nella direzione di molte grandi realtà DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 MARKETING Pur vantando un'eccellenza assoluta anche in termini numerici, il made in Montebelluna è ancora poco riconosciuto e riconoscibile. Un fattore ancora sottoutilizzato, ma che potrebbe fare presa: collegamenti in videoconferenza con il Museo dello scarpone, ad esempio, richiamano migliaia di "visitatori" BASSA 2 ANTIDOTI ALLA CONCORRENZA La capacità di innovare, di cogliere gli input provenienti da ogni parte del mondo e rielaborarli in modo originale – come quando è nato lo scarpone di plastica – non è stata in passato adeguatamente protetta. La copertura di brevetti internazionali è oggi un passaggio obbligato che richiede investimenti mirati SCARSA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Solo la necessità di far fronte all'attuale crisi potrà forse spingere le imprese del distretto a collaborare. Il gioco di squadra è stato finora del tutto inesistente; un primo segnale di cambiamento viene dalle recenti iniziative sul tema della formazione, che punta ad avere anche a Montebelluna un istituto tecnico per le nuove leve del distretto INSUFFICIENTE 36 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 14/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20121019052BAA 19-10-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Murano resiste a tutto con gli stilisti del vetr o I produttori rispondono a concorrenza cinese e falsi con una rete basata sulla qualità dei manufatti - UN MESTIERE CHE SI RINNOVA SEMPRE - Guido Ferro, classe 1942: «Il vetro è roba da stregoni. Fin quando riusciremo a creare sempre qualcosa di nuovo, riusciremo a resistere» Barb ara Ganz MURANO. Dal nostro inviato A Murano, solo a Murano, il verde non è un solo colore, ma ha innumerevoli tonalità, nate da altrettante combinazioni di temperatura, minerali, tempi di lavorazione, e a loro volta differenti dai colori realizzati nella fornace a qualche centinaio di metri di distanza. Guido Ferro, classe 1942, in azienda da quando ne aveva 15, è sicuro: «Finché riusciremo in questo, a creare sempre qualcosa di nuovo, noi resisteremo. E gli altri ci verranno dietro. Il vetro è così, roba da stregoni». Del resto è già da anni che si annuncia la scomparsa del distretto: per l'invasione delle copie a basso costo Made in China, la spesa energetica sempre in aumento, i trasporti difficili che basta la nebbia a bloccare, perfino la battaglia – ancora aperta – per quegli sgravi fiscali concessi 20 anni fa e che oggi l'Ue ha giudicato aiuti di Stato. Nonostante tutto, il distretto – ridimensionato, cambiato, ma con caratteristiche sempre uguali a se stesse – c'è: lo incontri ovunque, nelle insegne delle vetrerie, nelle vetrine, nelle esposizioni temporanee che a ogni slargo dell'isola mettono insieme l'opera di più maestri a formare giardini popolati da conigli, gufi e altri animali, sempre in vetro. Vent'anni fa, questa era una realtà da 256 aziende per circa 2mila addetti, e un fatturato superiore ai 150 miliardi di lire, con una quota del 35% di export. Poi erano venuti gli anni Novanta, «quelli della fiammata dei grandi capitali – racconta Guido Ferro – ma è una trasformazione che ha finito per avvitarsi su se stessa, in una sorta di suicidio. Nel mercato moderno si acquistano e vendono vetri da tanti Paesi, Cina, Vietnam, altri. Ma solo qui c'è uno zoccolo duro che resiste fra tante difficoltà, che produce meno, ma che è ancora una eccellenza del Made in Italy, copiato in tutto il mondo. E quando la crisi finirà, perché tutte le crisi prima o poi passano, la Murano vetraria ripartirà». In un anno, dalla fornace Ferro escono 500 colori diversi: di qualcuno il mercato decreta il successo, altri non verranno più replicati. «Ma noi siamo come stilisti – si accalora Ferro – come musicisti: seguiamo un ritmo, componiamo, non usiamo le sette note, ma i minerali». Un fascino che si scontra, anche, con la burocrazia: Diego Ferro – figlio di Guido, managing director dell'azienda Ferro Murano Srl e presidente appena riconfermato della sezione industrie del vetro di Confindustria Venezia – mostra l'esterno della sede, un cantiere aperto e ora fermo: «Avevamo in progetto una sala mostre, con un ampliamento dei magazzini, dei locali tecnici. Le carte sono pronte dal 2009, ma qui non basta una sola approvazione, ne servono mille, e stiamo ancora aspettando il via libera definitivo». Ferro ha puntato sulla diversificazione: se gli oggetti tradizionali incontrano meno il gusto dei consumatori, allora la tradizione e i colori del vetro si inventano come oggetti di arredamento, danno vita a porte e controsoffitti (come quelli dell'ambasciata d'Italia a Tirana), arredano bagni e facciate, ma diventano anche oggetti di uso quotidiano come servizi di piatti. La tecnologia è entrata nell'impresa di famiglia: «Occorre pensare a nicchie nuove di mercato – spiega – e non bastano i lampadari o i cavallini a far vivere il distretto». C'è un'altra prospettiva ancora da esplorare: quella turistica. La polemica, esplosa qualche anno fa, è stata violenta: guai a convertire le vecchie fornaci, anima di Murano, in alberghi a cinque stelle, pena il rischio di snaturare completamente l'isola. «La possibilità di pernottare qui – ribatte Ferro – sarebbe un valore aggiunto enorme: parliamo di 5,5 milioni di turisti l'anno, in proporzione più di quelli che è capace di calamitare Venezia. Siamo passati da 19mila residenti a 4.500, alimentari non se ne trovano più, dopo le 18 in giro non c'è nessuno. Parliamoci chiaro: ci sono ex fabbriche che non saranno mai più riutilizzate per produrre». Il progetto del primo hotel di lusso – 150/200 addetti stimati – firmato dalla Ferrim immobiliare – attende da due anni il permesso di costruire nell'area della vecchia fornace Ferro: l'obiettivo è attirare un turismo di qualità, usando la struttura anche come vetrina della produzione locale. Gli edifici fatiscenti, e che attendono una nuova destinazione, non mancano. Oggi le aziende industriali sono 28, e danno occupazione a circa 900 addetti, oltre alle attività artigianali, circa 250. In totale circa 1.400 addetti, 900 dei quali alle prese con la cig, ordinaria, straordinaria o in deroga. L'ultimo accordo per il premio di produzione è stato un autentico braccio di ferro, durato mesi: è finita con il riconoscimento di una somma che tiene conto dell'effettivo merito del lavoratore, con un compenso parametrato alla presenza effettiva, senza penalizzazioni in caso di ricorso alla cassa integrazione. Modifiche che tengono conto di una situazione difficile, e che con la riapertura delle aziende dopo la pausa estiva fa temere per l'avvicinarsi di dicembre, quando – dopo tre anni di crisi – potrebbero scadere alcuni ammortizzatori sociali. Chi ha visto cambiare tutto, gioca con i ricordi: «Ai tempi dei nostri genitori si consegnavano i prodotti a sei mesi, non ci si muoveva da qui, i clienti arrivavano e li si faceva aspettare – racconta Piero Nason, della NasonMoretti Srl – Le 37 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 14/10/13 Banche Dati online aziende che hanno chiuso si sono trasformate in una perdita secca di occupazione, e di intere lavorazioni. Il soffiato da illuminazione, ad esempio, non si trova più, per problemi di costi, di concorrenza». Nason per la sua azienda, creata nel 1992, ha scelto la specializzazione. Produce bicchieri e calici, di ogni forma e colore: 22 tonalità di verde, otto di blu, una "rivoluzione cromatica" perché oggi il vetro trasparente è poco richiesto, e vale meno del 10% della produzione. «Il cliente privilegiato è il negozio di regalistica, di alto livello, ma arrivano anche ordini per servizi destinati a case di primi ministri e personalità varie. Il 70% della produzione resta in Italia, il resto prende la strada di Usa, Nord Europa, Francia, mentre il Giappone in crisi è quasi scomparso. I clienti vanno cercati, raggiunti, anche tramite la partecipazione alle diverse fiere». Il futuro va costruito passo dopo passo: «Ma abbiamo un problema di strategia, di progetto. Non possiamo sederci sugli allori e mettere un bollino su una produzione stantia. Se ho un'idea vincente, allora non temo la concorrenza. Se un prodotto giustifica il prezzo che ha, si vende. Abbiamo pagato cara la presunzione di essere gli unici a saper fare il vetro, a essere bravi. Non è così: chi ha iniziato a copiarci oggi sa fare oggetti anche di buona qualità, e a quel punto dalla guerra sul prezzo finiamo sconfitti». Anche perché il costo del personale – altamente specializzato – rimane elevato: in una azienda come quella di Nason arriva al 60%, e «non restano margini per fare marketing, comunicazione. Mettiamoci che il 30% sono costi per l'energia, e il quadro è completo». In questo quadro, la vicenda degli sgravi fiscali diventa kafkiana: prima concessi, poi – si parla di oltre sei milioni di euro per 500 aziende – chiesti indietro a chi ha solo applicato una legge, e che nel tempo ha chiuso, o si è trasformato. Ora si attende l'ennesimo ricorso e conseguente grado di giudizio, mentre c'è chi fa notare che in caso di sentenza definitiva cambierebbe anche il calcolo delle tasse versate, dei redditi dichiarati, in una vicenda che si avvita su se stessa ormai da anni. I segnali di rilancio passano da nuove modalità di marketing: a Murano sono arrivati i buyer esteri da India, Cina, Russia, Azerbaijan, Ucraina, Polonia e Svizzera, nel tour fra le eccellenze venete organizzato da Veneto Promozione con Unioncamere. E la scuola del vetro Abate Zanetti – posseduta per un 5% ciascuno da Comune, Camera di commercio e Provincia, e per il resto privata – registra un aumento delle iscrizioni: «Noi facciamo formazione, produzione, design – spiega la presidente Martina Semenzato – Circa 40 studenti al giorno frequentano i nostri corsi; per l'80% sono italiani, anche ragazzi del posto che cercano di costruirsi un mestiere. Abbiamo quattro laboratori per insegnare le diverse lavorazioni». Ma il vero salto di qualità è l'obiettivo di trasformazione in Istituto tecnico: la procedura di accreditamento è in corso. Anche il consorzio Promovetro – che riunisce oltre l'80% delle aziende del distretto, e le due maggiori associazioni di categoria – prova ad alzare il tiro. «Usiamo ogni strumento, compresi i social network, Facebook, Twitter – dice Luciano Gambaro, presidente – Dopo dieci anni, molti falsi, molte invasioni di campo da parte di chi millantava un'appartenenza e una tradizione non avendo mai visto l'isola, il marchio sta finalmente affermandosi: in tanti ne fanno richiesta, ma la selezione è rigorosa, i requisiti vengono rivalutati ogni tre anni. La verità è che la diffusione di questo sigillo che stabilisce una origine, non una qualità, è rallentata dalla mancanza di risorse». Lo sforzo promozionale ha portato una boa in vetro sormontata da una scultura sul campo di regata dell'America's cup, disputata nei mesi scorsi a Venezia, mentre calice e brocche per l'eucarestia, normalmente fatti di metallo, si sono fatti foglia d'oro e vetro soffiato per la messa celebrata da papa Benedetto XVI a Mestre e trasmessa in mondovisione. Resta il paradosso di un'isola nella quale, essendone inconsapevoli, è possibile acquistare un pezzo prodotto altrove, magari in Cina, e trovare botteghe di prodotti a un euro che scaricano casse di materiale. Tanto che c'è chi sceglie di diventare un "viaggiatore del vetro" anche per proteggere la propria opera, come il maestro Lino Tagliapietra, classe 1934: «Avevo pensato di aprire uno studio nell'isola, ma tre anni e passa di burocrazia mi hanno scoraggiato. I costi che oggi vengono caricati sulle imprese, anche piccolissime, per proteggere la laguna dall'inquinamento sono enormi: chiediamo se sono serviti, una volta eravamo pieni di giardini, oggi non cresce nulla. All'estero un maestro può firmare e proteggere la propria opera, non è che insegnandola ad altri ne perde il controllo. Chiediamoci perché, e chiediamoci soprattutto che cosa si vuole fare di Murano». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Murano, a fronte di una rinomanza internazionale che non teme la crisi e alla capacità di innovarsi, ha come contro però un aumento della concorrenza "low cost" Il giudizio PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE Il vetro di Murano è conosciuto – e anche per questo imitato – in tutto il mondo. Gli ultimi dati mostrano una crescita dell'export di vetro artistico: +3% il secondo trimestre 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011, a quota 27,4 milioni di 38 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 14/10/13 Banche Dati online euro, +12,3% rispetto al trimestre precedente ALTA 2 INNOVAZIONE Cavallini di vetro, pagliacci e statuine che un tempo costituivano i simboli classici della produzione muranese oggi fanno spazio a nuove tipologie: il vetro entra nell'arredamento con porte, pareti divisorie e soffitti, ma anche negli oggetti di uso quotidiano come i servizi di piatti, cercando sempre nuovi mercati BUONA 3 ATTRATTIVITÀ Il fascino delle fornaci che non chiudono mai e delle lavorazioni artigianali ha preso: lo dimostra il grande afflusso turistico, penalizzato dalla mancanza di strutture ricettive, ma anche il recente fenomeno dell'arrivo di cittadini stranieri che qui si fermano per imparare l'arte del vetro artistico DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 CAPACITÀ DI FARE RETE Le iniziative di aggregazione stentano a decollare, anche se inizia a crearsi qualche sinergia fra imprese di settori diversi (appartenenti al lusso o all'arredo, ad esempio). La caratteristica dell'isola, e la lunga tradizione di difesa dei "segreti" delle lavorazioni di ogni maestro, non aiutano il cambiamento BASSA 2 COSTO DEL LAVORO L'altissima specializzazione delle maestranze incide non poco nei conti delle aziende. L'ultima trattativa per il premio di risultato non a caso è stata lunga e difficile, e il ricorso alla cig è diffuso. Se a questo si aggiungono gli altri costi – per l'energia, i trasporti – il risultato è che i margini per gli investimenti sono ridotti all'osso SCARSA 3 ANTIDOTI A CONCORRENZA SLEALE Il male di Murano sono le copie e i falsi, ma il paradosso è che non si tratta solo di prodotti provenienti da Paesi asiatici. Anche sull'isola è possibile acquistare pezzi che della tradizione muranese non hanno nulla, e senza accorgersene. E il marchio di riconoscimento ancora fatica a svolgere appieno la sua funzione di tutela INSUFFICIENTE 39 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 14/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online LU20121022016AAA 22-10-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Le scarpe del Brenta «salvate» dalla qualità Puntando sul contoterzismo e sulle calzature di pregio il distretto è sopravvissuto alla crisi degli anni Novanta L'INTERESSE DELLE GRIFFE - Armani, Prada e Louis Vuitton hanno fatto acquisizioni e continuano a sfornare ordini per i produttori della zona Paolo Bricco FIESSO D'ARTICO (VE). Dal nostro inviato Soldi, qui, ne hanno fatti tanti. Non a sufficienza, però, per emanciparsi dagli "altri". Qui no xe Sior Louis Vuitton, non c'è il Signor Vuitton. Anche se, senza la Riviera del Brenta, chissà dove monsieur Vuitton produrrebbe le sue calzature. Benvenuti nella campagna fra Venezia e Padova, da cinquant'anni tacchi e tomaie, suole e pelli per gli "altri". Gli "altri" sono le grandi firme della moda e del lusso che vi fanno realizzare (e vi realizzano) le loro calzature (da donna, soprattutto). Scarpe che saranno poi acquistate a caro prezzo a Pechino dalle mogli dei mandarini del Partito comunista e, a Parigi, dalle ragazze con master all'Insead, a New York dalle analiste finanziarie e, a Rio de Janeiro, dalle nuove borghesi con villa nel quartiere di Santa Teresa. O, senza distinzione di ceto e di capacità di spese, da ogni donna che, risparmiando venti euro o venticinque dollari al mese, voglia a un certo punto provare (intimamente) ed esibire (in pubblico) il piacere di averne un paio ai piedi. Vieni qui e capisci la forza e la debolezza dell'Italia manifatturiera, che pochi altri posti rappresentano bene come questo sistema distrettuale, formatosi negli anni Cinquanta e Sessanta con l'industrializzazione di una campagna e di un artigianato le cui origini risalgono al Duecento e al Trecento, quando i nobili della Serenissima si trasferivano in estate nelle ville in riva al fiume portandosi dietro la servitù, inclusi i "calegheri", i calzolai e i ciabattini, che a Venezia avevano fondato la loro confraternita nel 1268. Dunque, la Riviera del Brenta è fedele all'archetipo di lungo periodo fissato da Carlo Cipolla in Storia facile dell'economia italiana dal Medioevo a oggi: "La missione dell'Italia è produrre all'ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo". Questa coerenza con il modello di sviluppo italiano, o almeno con quella parte che non ha conosciuto il fenomeno della grande fabbrica fordista e che invece si è fondata sulle economie di territorio, ha visto l'artigianato trasformarsi in piccola impresa industriale, nella perpetuazione e nella modernizzazione del sapere delle corporazioni medievali. Questa perpetuazione e modernizzazione si è nutrita dell'energia ossessiva degli imprenditori della Riviera che, oggi come nel periodo aureo degli anni Settanta e Ottanta, la domenica pomeriggio, a casa, si sentono un po' persi. Un'evoluzione di quasi mille anni che, però, è stata segnata dalla poca forza finanziaria e patrimoniale delle imprese. E dalla conservazione di un profilo prettamente manifatturiero. Nessuno è riuscito, nel percorso dai laboratori artigiani alle organizzazioni industriali, a compiere il passo ulteriore: la creazione di un marchio in grado di imporsi sui mercati internazionali. «Noi – dice Luigino Rossi, uno dei padri nobili del distretto – non abbiamo mai avuto i capitali con cui fare il grande salto, con marchi e negozi nostri». Luigino Rossi è entrato a 17 anni nel laboratorio artigianale del padre Narciso, che allora aveva cinque dipendenti. Nel 1960 prende l'aereo per Parigi, acquista le calzature degli stilisti, torna sulla Riviera e, insieme al papà, viviseziona la scarpa destra di ogni paio. «Era un rito. "Ma guarda che colla hanno adoperato. Ma vedi qui il materiale. E questa lavorazione?" Ogni volta io e mio padre ci rendevamo conto che le nostre scarpe erano fatte meglio rispetto a quelle che avevo preso a Parigi». L'intuizione, allora, si rivela giusta. Nel 1963 capita l'incontro che avrebbe cambiato la sorte imprenditoriale di Rossi e che avrebbe, di fatto, segnato anche il destino produttivo della Riviera, trasformandola in un gigantesco laboratorio di lavorazione conto terzi per il lusso internazionale: «Conobbi Yves Saint Laurent», dice Rossi. Da allora quasi tutti i grandi stilisti stranieri hanno scelto Luigino Rossi per realizzare le loro calzature. Una traiettoria conclusasi, nel 2003, con la cessione dell'azienda a Lvmh (Vuitton). Rossi, che oltre a essere stato il presidente degli imprenditori calzaturieri italiani ed europei è stato anche editore del Gazzettino di Venezia, ha il realismo dolce dell'establishment del Nord-Est, composto da persone che hanno creato dal nulla imprese strutturate e redditizie, ma che si ricordano qual era il punto di partenza, quando la polenta era qualcosa di ben diverso dall'alimento base da usare per i piatti di cucina destrutturata. E, dunque, accettano con tranquillità il profilo del presente. Rossi conosce bene le imprese della Riviera. «I margini netti – osserva – sono sempre stati compresi fra il 3 e il 5%. E i fatturati non sono mai stati giganteschi. Qui abbiamo sempre avuto aziende di piccola o media dimensione». L'accumulazione di capitale, dunque, non c'è mai stata, perché semplicemente non poteva esserci. Sì, gli artigiani-imprenditori hanno acquistato ville meravigliose sul fiume Brenta. Questa campagna veneta, che fino agli anni Cinquanta ha conosciuto la povertà, ha capito che cosa è il benessere. Ma non in misura così rilevante da permettere l'ultimo passo. «Anche se – nota l'industrialista Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa – questa particolare dimensione ha consentito all'insieme della struttura produttiva di superare, pur fra mille difficoltà, la grave crisi che si è verificata fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila». 40 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/4 14/10/13 Banche Dati online Nelle alchimie del capitalismo italiano e internazionale non ci sarà forse stata la combinazione giusta, fra fattori umani e materiali, perché una griffe del lusso (o anche solo un marchio autonomo di fascia alta) venisse generata dagli eredi dei calegheri veneziani. Ma, di certo, questi ultimi avrebbero potuto, nei duri anni Novanta, fare una brutta fine. Come è successo a Vigevano. «E invece – riflette Vitali – proprio l'elasticità e la flessibilità di questa fisionomia produttiva hanno consentito la sopravvivenza del distretto e la selezione dei più virtuosi». Secondo gli ultimi dati elaborati dall'Acrib, l'Associazione calzaturifici della Riviera del Brenta, qui ci sono 568 imprese che danno lavoro a 10.516 addetti e che, producendo poco meno di 20 milioni di scarpe all'anno, sviluppano un fatturato aggregato di 1,65 miliardi di euro. Nel 2001 le imprese erano 993. Dunque, quasi il doppio rispetto al numero attuale. Impiegavano molto più personale: 14.260 addetti. Un quarto secco in più di adesso. Producevano poco più di adesso: 21,3 milioni di paia di scarpe. E sviluppavano un fatturato aggregato quasi identico: 1,68 miliardi di euro. Giusto per usare il criterio del medio periodo, nel 1991 le aziende erano 832 con 9.419 addetti e un valore storico di 800 miliardi di lire. In questi vent'anni, l'unica cosa che non è cambiata è la quota di export: più o meno il 90% dei ricavi aggregati. Per il resto, qui è davvero cambiato tutto. Di fronte alla crisi nera innescatasi fra il 1994 e il 1995 a causa della contrazione dei consumi del ceto medio europeo a cui si rivolgeva una buona parte della produzione, questo sistema di sviluppo locale aveva due opzioni: portare all'estero la produzione, come ha fatto buona parte del Nord-Est, abbattendo i costi e accettando però l'auto-spoliazione delle competenze e lo scivolamento verso il basso della qualità; oppure provare a conservare le posizioni di mercato, magari alzando ancora il livello della qualità, sapendo che a quel punto tutto si sarebbe giocato sul controllo dei costi operativi e del costo del lavoro di un ipotetico bilancio consolidato della Riviera del Brenta. «Abbiamo scelto tutti insieme – racconta il presidente dell'Acrib, Siro Badon – di provare ad alzare la qualità. È stato un processo non semplice. Siamo riusciti a farlo con l'accordo totale del sindacato, con cui abbiamo realizzato le ristrutturazioni». La Riviera del Brenta è forse il posto in Italia in cui i meccanismi concertativi fra associazioni delle imprese e sindacati hanno funzionato meglio. «Ogni parte secondo le proprie prerogative e i propri interessi – spiega Valeria Fedeli, leader dei tessili della Cgil – abbiamo definito ogni passo. Non soltanto sul tema della riduzione del costo del lavoro. Anche sulla strategia di medio e lungo periodo». Non è stato facile. Fra il 1995 e il 2007, qui hanno chiuso 330 aziende. Un trauma, per un pezzo d'Italia che, dai tempi del boom economico, non aveva mai conosciuto i fallimenti e le chiusure forzate. Probabilmente, per questa alleanza fra imprese e sindacati, è servita la tradizione di sinistra, in particolare viva nel Veneziano, in contrasto con l'eterna Balena Bianca del Veneto, sopravvissuta nello spirito (e nei meccanismi di potere) anche alla fine della Dc. In un contesto tanto complesso, esiste un tema di managerializzazione delle imprese che può corrispondere a una fase diversa di sviluppo. A Fiesso d'Artico la famiglia Ballin ha affidato la guida operativa dell'omonimo gruppo (una sessantina di milioni di fatturato quest'anno, contro i 53 del 2011) a un manager esterno di estrazione Marzotto, Luigi Valsecchi, che ha sdoppiato la struttura societaria per razionalizzare le attività (produzione e sviluppo del brand) spingendo soprattutto su quest'ultima attività. Produzione per le griffe o marchio proprio, la ricetta è sempre quella: export, export, export. «L'area più interessante – spiega Valsecchi – è l'ex Unione Sovietica». Se la managerializzazione è una opzione, un'altra possibilità è rappresentata dalle reti di impresa. Una forma associativa che, timidamente, sta prendendo piede nel capitalismo produttivo italiano. A Fiesso d'Artico si trova il punto vendita "Corte della pelle", che rappresenta una prima iniziativa di una rete di imprese formata da quattro piccole aziende della Riviera e da una banca, Antonveneta. «La forma associativa – dice l'imprenditore Mauro Zampieri – consente di avere un altro peso nel rapporto con le grandi reti commerciali, nella vendita dei nostri prodotti e nella successiva gestione dell'invenduto». Oltre, naturalmente, ad aprire la prospettiva di andare sul mercato con negozi propri. «Questa iniziativa ci incuriosisce – commenta Enzo Nicoli, responsabile della direzione corporate di Antonveneta – perché rappresenta un metodo intelligente per provare a ovviare deficit strutturali come la piccola dimensione e la sottocapitalizzazione». Provando e riprovando. L'economia italiana è cresciuta soprattutto così. Anche se, il problema, è appunto che, sopra una certa dimensione, sembra difficile andare. Giuseppe Baiardo, nel 2005, ha venduto la sua Iris a un gruppo giapponese, Onward Kashiyama, che fattura 3,5 miliardi di euro. Iris continua a gestirla lui, gli "altri" sono buoni azionisti che vogliono un ritorno sul capitale accettabile. «Semplicemente – spiega Baiardo – non avevo i soldi per sviluppare il mio brand. Non ho sensi di colpa: va bene così. È successo a tanti altri. In fondo gli unici marchi della Riviera sono Giorgio Moretto, che è stato rilevato da Prada, e Caovilla, un genio rinascimentale che però opera in una nicchia». Baiardo non dimostra rimpianti, mentre nello stabilimento di Fossò accarezza come fosse il piede di una donna una scarpa di John Galliano, tacco venti, una vertiginosa architettura in miniatura. «La nostra abilità è fabbricare le cose pensate da altri. Nella fase di industrializzazione ho ingegneri e fisici che fanno i calcoli. Sono orgoglioso e pazienza se gli altri vendono a cento e io guadagno dieci». Dai calzolai chini sotto la lampada agli ingegneri nucleari che progettano i tacchi a computer. Per questo, qui, sono venuti gli "altri", le griffe che dominano i mercati globali. Armani ha rilevato quattro imprese. Prada ha preso uno stabilimento. Louis Vuitton ha fatto due acquisizioni e aperto uno stabilimento nuovo. Operazioni strategiche, sotto il profilo industriale. «La Manufacture de Souliers Louis Vuitton di Fiesso d'Artico – conferma Serge Alfandary, direttore della divisione calzature di Louis Vuitton – ha 362 dipendenti, di cui 225 artigiani che lavorano non solo alle fasi produttive, ma anche di studio e di progettazione di tutte le calzature Louis Vuitton». Luigino Rossi ha un'idea precisa sugli investimenti realizzati nella Riviera del Brenta: «In pochi anni, soltanto Parigi ha mosso non meno di 120 milioni di euro». Non male, in un Paese che si lamenta di non sapere attirare capitali stranieri. Anche se, certo, dispiace l'assenza dell'ultimo (autonomo) passo verso il capitalismo dei grandi marchi (e dei grandi guadagni). «Come sistema italiano abbiamo perso l'occasione negli anni Ottanta – racconta Rossi – allora avremmo potuto stringere una alleanza vera con gli stilisti italiani. Soltanto che loro ci domandavano il 15% delle vendite, contro il 7% che per esempio ci chiedeva Yves Saint Laurent. Così, molti di noi hanno preferito lavorare con gli stranieri. E, soprattutto, non è sorta alcun alleanza strategica fra connazionali. La storia italiana poteva essere diversa. Unendoci avremmo forse potuto avere l'equivalente dei gruppi Pinault e Arnault». © RIPRODUZIONE RISERVATA 41 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/4 14/10/13 Banche Dati online IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. La Riviera del Brenta può contare sulla qualità dei prodotti e su una competenza nella manifattura ineguagliabile, ma trova un grosso ostacolo nell'incapacità di fare rete IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 ATTRATTIVITÀ La capacità attrattiva della Riviera del Brenta è a livelli di assoluta eccellenza. Qui si trova una competenza nella manifattura della scarpa, in particolare femminile, che non ha pari al mondo. Dunque, c'è una infrastruttura della conoscenza diffusa che spinge le griffe a scegliere di lavorare con questi produttori o ad aprire direttamente fabbriche sul Brenta. ALTO 2 PRODUTTIVITÀ Una produttività all'italiana. Al crocevia fra artigianato e impresa. Fra manualità e tecnologia. Qualcosa di difficile da spiegare, al di fuori di una interpretazione dello sviluppo italiano di lungo periodo. Non a caso gli operai e i tecnici, gli imprenditori e i manager sono gli eredi dei "calegheri" veneziani. BUONO 3 INNOVAZIONE Una innovazione di prodotto particolare. Nel senso che, le scarpe, sempre scarpe sono. Soltanto che, qui, l'innovazione si concentra sul saper fare, sulla manualità, sulla capacità di lavorare le materie prime. Un patrimonio che ha reso la Riviera del Brenta un luogo di forte attrattività delle griffe internazionali. DISCRETO PUNTI DI DEBOLEZZA 1 OCCUPAZIONE Gli ultimi vent'anni sono stati come le montagne russe per il sistema distrettuale della scarpa di lusso. Che ha dovuto affrontare una ristrutturazione profonda e un riposizionamento di mercato che non sono stati a costo zero. In particolare, fra il 2001 e il 2011 si sono persi poco meno di quattromila posti di lavoro. BASSO 2 DIMENSIONE D'IMPRESA Il problema della Riviera del Brenta è il problema dell'Italia. A un certo punto i processi di crescita industriale si bloccano. O, meglio, il sistema trova un'efficienza interna in una dimensione di impresa piccola o, al massimo, media. Così, però, non si riesce a stare sulle parti più ricche delle catene internazionali del valore. SCARSO 3 CAPACITÀ DI FARE RETE La difficoltà di fare rete riguarda sia il sistema interno del Brenta, sia l'economia italiana nel suo complesso. Non ci sono state grosse operazioni di fusione, se non per evitare che qualche impresa chiudesse. E, allo stesso tempo, i produttori veneti non sono riusciti a fare un'alleanza strutturale con gli stilisti italiani. INSUFFICIENTE 42 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/4 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20121031044AAA 31-10-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Occhiali del Cadore con vista sul mondo Ad Agordo, paese-fabbrica nella cornice delle Dolomiti, quartier generale Luxottica e del suo welfare aziendale - NELLA CAPITALE DEL REGNO - Il patron Leonardo Del Vecchio ha 7.500 dipendenti di cui 3.500 soltanto nel centro bellunese In provincia le altre aziende contano oltre 16mila addetti Mariano Maugeri AGORDO (BL). Dal nostro inviato «Un anno corre il cane, quello dopo la lepre». Così si esprimevano gli antagonisti di Luxottica nella seconda metà degli anni '90, quando ancora i grandi nomi dell'occhialeria si contendevano il primato ad armi pari. Un macht senza esclusione di colpi: un anno prevaleva un'azienda, l'anno dopo un'altra. Sembrava che il mercato fosse infinito, così come il fascino delle griffe e la capacità di macinare utili. Alla fine, però, il cane allenato da Leonardo del Vecchio si è fatto anche lepre e ha staccato tutti. Una corsa solitaria e senza sosta, la corsa del numero uno al mondo. Un leader internazionalizzato, ramificato, con una rete di distribuzione che taglia trasversalmente i Continenti. Nove mesi fa Luxottica ha comprato senza fare una smorfia la Tecnol (un'altra acquisizione è in vista, si veda articolo a pagina 30), la principale fabbrica brasiliana di occhiali che possiede la catena di distribuzione più capillare di quell'immenso Paese. Non che l'italianità di Luxottica sia venuta meno. Anzi. Agordo, un paese incastonato sulle Dolomiti che si raggiunge zigzagando tra immensi fiordi asfaltati, è ancora un paese-fabbrica che sforna centinaia di migliaia di occhiali al giorno (Luxottica non fornisce la produzione per singolo stabilimento) con 30 marchi diversi. C'è anche la Cina, dove Del Vecchio, secondo uomo più ricco d'Italia dopo Michele Ferrero, il signor Nutella, di occhiali ne produce 26 milioni l'anno. Re Leonardo ci ha tenuto a restituire una quota della ricchezza aziendale ai suoi dipendenti, 7.500 in Italia e 3.500 ad Agordo. Questi ultimi occupano 82 mila metri quadrati rubati pietra dopo pietra alla frazione di Valcozzena: polizze malattie per i dipendenti, l'acquisto dei libri di testo per i loro figli pagati dall'azienda, così come le vacanze e le borse di studio. Un modello di stampo nordeuropeo che in Italia ha rarissimi emulatori. Le altre 926 aziende italiane (con 16.150 dipendenti, di cui 12mila solo in provincia di Belluno) non stanno a guardare. Lo storico rivale, la Safilo, ora nelle mani di un fondo olandese, ha evitato in extremis un piano di ristrutturazione lacrime e sangue grazie alla pace sindacale raggiunta con la firma di un maxi piano di solidarietà. Contraccolpi inevitabili della crisi, che ha portato a un'autentica morìa di terzisti, l'ammortizzatore economico che negli anni del boom ha contribuito in misura determinante alla competitività del distretto. Conferma Renato Sopracolle, vicepresidente del Sipao, la sezione dei produttori di occhiali di Confindustria Belluno: «Nel distretto c'è stata una sorta di polarizzazione – osserva –: pochi grandi e molte piccole aziende, soprattutto quelle che hanno scovato una nicchia nel fashion. I terzisti, che stavano in mezzo e spesso erano dipendenti dalla mono committenza, sono praticamente spariti». All'Anfao, l'associazione che riunisce i produttori di occhiali, per bocca di Astrid Galimberti e Francesco Gili, sottolineano la crescita esponenziale dei volumi di export: «L'Italia esporta 90 milioni di occhiali l'anno». L'exploit nell'exploit lo ha fatto Ray-Ban, un marchio che da solo vende nel pianeta tra i 20 e i 25 milioni di paia d'occhiali ogni 12 mesi. Pensare che molti analisti sconsigliarono a Del Vecchio l'acquisto del marchio statunitense: «Come farà l'azienda di Agordo a guadagnare dove gli americani hanno perso una barca di soldi?», dicevano. La risposta l'ha data il mercato. Luxottica è presente in 130 Paesi al mondo. Un gigantismo che non ha annullato il dinamismo e la mobilità nel distretto, che si é rigenerato spontaneamente con la ricollocazione nelle aziende committenti di molti terzisti costretti a gettare la spugna. Una cooperazione verticale che dovrebbe fare scuola. Il cambiamento si può riassumere con una battuta: chi non è arrivato al mercato con un suo marchio o una rete commerciale propria si è autocondannato. Sono stati anni duri, inframezzati da un dibattito asprissimo tra industriali e sindacato sulla propensione troppo spiccata a delocalizzare. Per fortuna, la voglia di tornare sta prevalendo su quella di espatriare. Lo spiega bene il presidente di Sipao, Lorraine Berton: «L'80% degli occhiali prodotti nel Nord-Est va all'estero. La qualità su un prodotto fashion e per di più marchiato made in Italy è fondamentale. Oggi i clienti preferiscono spendere di più ma avere un prodotto perfetto. Ecco perché si sta rivalutando la professionalità delle nostre lavoratrici. La Cina è quantità, l'Italia qualità. Qualità femminile, aggiungerei: nel Nord-Est due dipendenti su tre sono donne». Di qui discendono una serie di azioni volte alla formazione di figure professionali sempre meglio attrezzate. Ci sono voluti tre anni affinché Roma autorizzasse l'avvio di un indirizzo meccanico e meccatronica, con l'opzione di tecnologia dell'occhiale, all'Istituto tecnico industriale di Belluno. «Sono i tempi del ministero», allarga le braccia la Berton. Le aziende hanno un passo diverso e tengono come un metronomo il tempo del mercato: tra i primi cinque grandi mondiali, a parte un'azienda americana, ci sono sempre Luxottica, Safilo, De Rigo, Marcolin (il cui controllo poche settimane fa è passato ai francesi di Pai partners), con un cameo rappresentato dalla Fedon di Pieve d'Alpago, che produce raffinatissimi astucci per occhiali e non a caso ha scelto di quotarsi alla borsa di Parigi. 43 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online L'export corre come un treno ad alta velocità soprattutto sui mercati emergenti: Brasile, Messico, Russia, Singapore e Cina hanno incrementato gli acquisti del 30 o 40 per cento. Oltre all' export, l'altra parola chiave è fashion, sempre più fashion: gli occhiali da vista o da sole sono un accessorio che per le misteriose traiettorie dei gusti e delle tendenze è diventato un tratto distintivo delle personalità di chi li indossa. Una volta il verbo più diffuso e ormai desueto era inforcare: s'inforca la protesi, s'indossa l'oggetto di moda. L'eterna primavera degli occhiali sta tutta nello slittamento di un verbo. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto descritto dagli inviati del Sole 24 Ore è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 CAPACITÀ DI FARE RETEÀ È una scelta spontanea, più che strutturata. Ma la frenata di questo ultimo decennio con la chiusura di molti terzisti, ha suggerito alleanze nelle innovazioni di prodotto che stanno dando ottimi risultati ALTA 2 INTERNAZIONALIZZAZIONE L'occhialeria si è sottratta dalla fuga in massa verso i Paesi emergenti, malgrado sia un settore labour intensive. Al made in Italy e all'alta qualità delle maestranze nordestine, d'altronde, non si rinuncia facilmente. BUONA 3 OCCUPAZIONE Vedi alla voce precedente. Con il felice paradosso che molti terzisti che hanno chiuso le loro aziendine sono stati riassorbiti dai loro clienti, in molti casi proprio quei big del settore che hanno internalizzato i processi. DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 ALLEANZE STRATEGICHE Neppure l'ombra, malgrado Belluno e Treviso abbiano una concentrazione notevole d'imprese. I big, Luxottica in testa, sono diventati tali grazie alla straordinaria forza di penetrazione commerciale. BASSA 2 ATTRATTIVITÀ Bassa, quasi inesistente. Ma forse è una questione psicologica più che la deterrenza territoriale. Nel senso che il distretto degli occhiali ha enormi competenze, ma gli stranieri stanno alla larga dalla tana del lupo. SCARSA 3 CAPACITÀ COMMERCIALE È qui che si vince o si perde. Le grandi lo hanno dimostrato in modo plastico. Falliti i progetti di accordi tra imprese per chiudere la filiera finanziati dalla Regione Veneto con la legge sui distretti. INSUFFICIENTE www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 44 2/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online LU20121203021AAA 03-12-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Il tessile del Vicentino si veste di alta qualità La risposta dell'innovazione alla sfida della concorrenza cinese - TRA PASSATO E PRESENTE - Nelle circa settecento aziende artigiane dell'area il 60% degli addetti è donna Formazione e reti d'impresa cruciali per guardare al futuro Barb ara Ganz VICENZA. Dal nostro inviato Un nome storico come Marzotto Spa, primo gruppo italiano del tessile. Una presenza dai contenuti fortemente innovativi come Diesel, che a Breganze ha inaugurato nel 2010 la nuova sede-villaggio con tanto di asili, palestra, bar e campo da calcio. La continuità di Bottega Veneta, oggi di proprietà della multinazionale francese PPR ma solidamente radicata in territorio veneto, tanto da creare qui una scuola che tramandi il mestiere. Il distretto tessile vicentino è nei grandi nomi e nella miriade di imprese diffuse: «Una provincia che sfiora il milione di abitanti – dice Michele Bocchese, presidente della sezione Moda degli industriali veneti –. Qui si trova il "monte" della produzione, ovvero la tessitura, la filatura, le diverse fasi che nobilitano i tessuti, e anche la "valle", l'industria della confezione e della maglieria. Due mondi diversi, ma collegati, a diverse intensità di capitale e lavoro». Il momento è difficile per i distretti, tutti: «Abbiamo perso addetti, 100mila in tre anni a livello nazionale, ma questo è ancora un settore che dà lavoro a 70mila famiglie in regione. E non dimentichiamo che per il 60% si tratta di occupazione femminile». La famiglia – e le sue donne – è fra i cardini del tessuto vicentino: lo stesso Bocchese mostra lo stemma con la data, 1908, accanto al cognome di una delle più antiche aziende venete, rilanciata pochi anni fa, di proprietà della Miles, fondata nel 1962, un fatturato di oltre 22 milioni e oltre 100 dipendenti, specializzata in maglieria di alta gamma. Le aziende, rispettivamente, di mamma e papà. Il setificio Bocchese è rinato per decisione «metà di testa e metà di cuore», puntando su una delle produzioni che la concorrenza cinese sembrerebbe avere sbaragliato, ma non è così: «Noi vendiamo la seta ai cinesi: una seta reinterpretata, mescolata al cotone o a fibre sintetiche per effetti moderni, capace di reggere gli utilizzi più sportivi, trattata per essere anti-pioggia e anti-vento. Abbiamo recuperato i telai del passato, ma creato effetti e lavorazioni innovative», racconta. Innovazione è l'altra parola che si ripete. E conoscenza, perché non è un caso se qui le griffe continuano ad affidarsi: committenti che portano i nomi di Vuitton, Gucci, Moncler, Dior, Chanel e che sempre più cercano di strutturare collaborazioni di lunga durata, stabili. «Qui cercano, e trovano, qualità del prodotto, puntualità, creatività, innovazione» dice Stefano Stenta, presidente del Sistema moda Vicenza di Confartigianato, scorrendo i risultati di una ricerca affidata allo Studio Ambrosetti e tarata sulle esigenze della committenza. I problemi non mancano e non sono certo legati alla crisi attuale: «Negli anni Ottanta l'Europa ha annullato le protezioni a difesa del tessile, mentre altri Paesi alzavano le proprie barriere. E in questo contesto si sono susseguiti i diversi cicli economici, nei quali l'export del tessile e abbigliamento è sempre rimasto trainante per l'economia nazionale, dietro alle macchine utensili». Oggi i dati parlano di circa 700 aziende artigiane associate, il 65% delle quali ha un'età media di 30 anni, dunque con un passaggio generazionale ancora da affrontare. «Il vero rischio – osserva Stenta – è quello di non riuscire ad aumentare l'attrattività di questo comparto verso i giovani, di perdere competenze, e la formazione è un punto cruciale. Non bastano i programmi degli istituti statali e neanche i percorsi dell'apprendistato specializzante. La verità è che bisognerebbe portare all'insegnamento le esperienze migliori delle aziende». Un tentativo difficile – come difficile è superare le logiche individuali e imparare a usare le aggregazioni e le reti d'impresa – e insieme un ritorno al passato: perché «una volta si pagava per andare in bottega a imparare; mio nonno pagava il conte Rossi perché insegnasse un mestiere a sua figlia, mia mamma, che poi ha fondato l'atelier Stimamiglio». L'azienda oggi ha 30 dipendenti e fa progettazione modellistica per quelli che qui non si chiamano sub, ma superfornitori. Le altre sfide del tessile vicentino riguardano la concorrenza sleale, la politica del prezzo combattuta con la responsabilità sociale e la collaborazione stretta fra cliente e fornitore. I dati mettono in evidenza quello che viene definito "effetto sostituzione": in Veneto nel 2002 gli imprenditori cinesi nella moda erano 624, nel 2012 sono diventati 2.155; nello stesso tempo gli italiani sono scesi da 5.547 a 3.023, una diminuzione di 2.524 unità. Ma il rapporto con la Cina non è affatto lineare: se i grandi marchi stanno ritirando le produzioni dai Paesi asiatici, riportandole in patria, le fabbriche orientali devono imparare a produrre per il proprio mercato e lo fanno rivolgendosi a chi di know how ne ha a bizzeffe. «Questo sapere di prodotto è una delle caratteristiche del nostro distretto – osserva Manuela Miola, presidente della sezione Moda Industria di Confindustria Vicenza e nel cda di Forall Confezioni, azienda di Quinto Vicentino che produce Pal Zileri –. Le nostre aziende hanno saputo creare e sviluppare prodotti con la sapienza artigiana e hanno saputo migliorarli nel tempo fino a farli diventare ricercati e sofisticati. Pensiamo per esempio al capospalla o al lavaggio dei jeans. Negli ultimi anni si è sviluppata una contaminazione internazionale con diversi Paesi e tra diversi settori: ci sono molti esempi di noti designer internazionali che hanno collaborato e collaborano tuttora con aziende del nostro territorio, portando nuove idee e l'entusiasmo di chi entra in contatto con una realtà dove in pochi chilometri trova una 45 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online densità di esperienza, di artigianalità e di tradizione che in pochi altri contesti è possibile trovare. È un distretto creativo, integrato e supportato anche dalla qualità del sistema formativo con gli esempi di eccellenza rappresentati dall'Università di Padova, dal Cuoa, dallo Iuav. Ed è proprio questo, secondo me – prosegue Miola – il punto sul quale occorre insistere e investire: rafforzare il legame fra aziende, Cuoa e atenei per poter puntare su un ulteriore sviluppo manageriale del comparto». Tutti segnali di una tradizione che si evolve e che Pietro Garbossa ha vissuto nelle diverse fasi: «Ho iniziato a 26 anni nel salotto di casa mia, poi sono andato nel sotterraneo del cinema a Scaldaferro di Pozzoleone, dal 1970 al 1983. Mi sono trasferito a Cartigliano fino al '96, poi ho comprato la fabbrica nuova a Bassano e adesso, da due anni, sono di nuovo a Cartigliano. Con me lavorano ancora due di quelle ragazze che andavo a prendere la mattina; andavamo in azienda a lavorare in Cinquecento, togliendo i sedili ci si stava in undici. Ho avuto linee mie, quando la Germania comprava e lavorare misto lana invece che acrilico era come usare il cachemire di adesso. Una volta compravo i macchinari e li davo in comodato d'uso a chi produceva per me, con la differenza che così la qualità era davvero garantita, l'errore di fare e disfare un maglione fatto male non ricadeva sull'azienda. Oggi siamo all'opposto: abbiamo tutto all'interno, la stiratura, il confezionamento, e allo stilista francese che viene da noi mostro subito l'azienda, così sa che è tutto sotto controllo, tutto garantito da noi». Oggi Vicenza Mode ha 50 dipendenti, al limite fra la dimensione artigiana e quella industriale. Il figlio Riccardo è entrato in azienda una settimana dopo la fine degli studi; poi è arrivato Giovanni, che dice con orgoglio: «Il più vecchio dei nostri macchinari ha tre anni». Due anni sono stati impiegati a fare carte e documenti per poter partecipare a Pitti, «ma non siamo stati ritenuti interessanti. Siamo stati invece a Parigi, a Première Vision, e tre giorni dopo avevamo i clienti in casa. E sono clienti che non chiedono di tirare sul prezzo, fanno capi che vendono a migliaia di euro, vogliono e cercano l'esecuzione perfetta e la soluzione ai problemi». Una girandola di cambiamenti «e ogni volta sono ringiovanito 10 anni», dice oggi Garbossa padre, quasi una fotografia del tessile di questa zona, che negli anni ha cambiato tutto, ha innovato, imparato lezioni e messo in discussione certezze, ma è rimasto fedele alle origini. @Ganz24Ore © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del polo vicentino attrattività e innovazione sono punti di forza, ma la scarsa capacità di fare rete rappresenta una debolezza IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 ATTRATTIVITÀ Al distretto di Vicenza guardano praticamente al completo le griffe mondiali: secondo una recente indagine dello Studio Ambrosetti le maison cercano qualità del prodotto e competenze specifiche, velocità di reazione e rispetto dei tempi di consegna. Decisamente meno rilevante la corsa al ribasso nei prezzi, mentre i rapporti di collaborazione diventano sempre più stabili ALTO 2 INNOVAZIONE Sia di prodotto che di processo. Ci sono materiali che cambiano veste (la seta applicata all'abbigliamento sportivo, antipioggia e antivento, ad esempio), nuove lavorazioni e l'utilizzo delle nanotecnologie per migliorare le performance dei tessuti. Il limite delle ridotte dimensioni aziendali si riflette però spesso nella possibilità di investire e di crescere anche sotto questo punto di vista BUONO 3 EXPORT Il tessile-abbigliamento rimane una voce determinante nella bilancia dei pagamenti nazionale. Nemmeno la Cina fa paura e sono molte le aziende che trovano proprio qui il proprio primo mercato di riferimento. Senza cadere nell'errore di produrre «per i cinesi e nel gusto cinese»: molte esperienze passate dimostrano che a essere ricercato è proprio lo stile del Made in Italy e in Vicenza DISCRETO PUNTI DI DEBOLEZZA 1 CONCORRENZA SLEALE L'effetto sostituzione fra titolari di imprese italiani, in vertiginoso calo, e di altre nazionalità, orientali in primis, mostra che il problema c'è. La risposta è ancora in fase di definizione, ma passa per i tavoli di lavoro con i sindaci, le 46 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online associazioni di categoria, la Prefettura. Decisivo risulta anche il richiamo alla responsabilità sociale di impresa, per evitare il ricorso a forme di lavoro sottopagate e l'impoverimento del tessuto produttivo BASSO 2 DIMENSIONI D'IMPRESA A parte le presenze di grandi aziende, molte sono le realtà artigiane e fra queste predominano quelle nelle quali il titolare è di prima generazione. La sfida del passaggio generazionale e della crescita è in questi casi tutta da affrontare. La piccola dimensione inoltre penalizza nelle strategie di mercato e nell'accesso al credito e rende le Pmi meno visibili e poco identificabili dal consumatore finale SCARSO 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Come per buona parte dell'economia veneta, il tessile non fa eccezione. I processi di aggregazione stentano a decollare, sia all'interno della filiera, sia nei confronti degli altri settori – dalla pelletteria alla gioielleria – che potrebbero presentare possibili sinergie e che proprio nel Vicentino trovano punti di eccellenza. Determinante potrebbe essere il ruolo delle associazioni di categoria INSUFFICIENTE 47 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20121213046AAA 13-12-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Il calore resiste oltr econfine e imbocca la str ada hi-tech Domanda interna debole per le 142 aziende locali della termoregolazione - L'AUSPICIO DELLE IMPRESE - Ettore Riello: «L'assenza di una chiara politica energetica penalizza fortemente il settore» Paola Ferroli: «È stato un errore puntare tutto sul fotovoltaico» Luca Orlando LEGNAGO (VR). Dal nostro inviato «Li collaudiamo tutti, mica possiamo permetterci difetti». Nell'impianto Riello di Legnago il direttore di produzione ci indica l'oblò lungo la linea di montaggio, dove la fiamma si vede appena. Il bruciatore passa il test e finisce all'imballaggio, pronto per la spedizione in tutto il mondo, «ora il 60% delle nostre vendite finisce all'estero e il 40% in Italia – spiega il presidente Ettore Riello – mentre prima era il contrario». La metamorfosi del gruppo, forte di 532 milioni di ricavi nel 2011 con un calo marginale previsto quest'anno, è in fondo ciò che è accaduto all'intero distretto della termomeccanica veronese, costretto a spingersi oltreconfine per sopravvivere alla frenata progressiva del mercato interno. Il caldo e il freddo sono la ricchezza del territorio, con 142 aziende impegnate a produrre caldaie, bruciatori, termosifoni, attrezzature per ventilazione e refrigerazione, motori e componenti correlate. E se in dieci anni l'area ha perso quasi una trentina di imprese, chi ha resistito ha saputo crescere conquistando nuovi mercati, come dimostrano le esportazioni, più che raddoppiate dal 2002 a 1,2 miliardi di euro, come segnala il monitor distretti di Intesa Sanpaolo. «L'Italia è molto sofferente – chiarisce Riello – l'estero va un poco meglio ma a macchia di leopardo». Gli ultimi numeri del distretto, infatti, vedono anche per l'export un 2012 difficile, con un calo semestrale del 3,2 percento. Ma rispetto all'abisso italiano c'è da festeggiare, perché gli ultimi numeri di Assotermica vedono per il Paese un crollo dei volumi del 15 percento. «Da un lato l'edilizia è un dramma – spiega il presidente di Assotermica Paola Ferroli –, dall'altro il nostro settore paga pesantemente la crisi dei consumi». Ferroli è l'altro colosso del distretto, con previsioni 2012 di 525 milioni di ricavi (+2/3%) con 3.200 addetti, un terzo in Italia e gli altri sparsi negli stabilimenti in Cina, Spagna, Polonia e Turchia. «Percorso iniziato anni fa – spiega Paola Ferroli, direttore marketing del gruppo - ma certo ora per le aziende esportare non è più un'opzione ma un obbligo». Esportare ma anche produrre direttamente all'estero, dove alla più agevole fornitura dei mercati locali si aggiunge il vantaggio di oneri inferiori rispetto all'Italia. «In Turchia tutti i concorrenti tedeschi hanno una produzione diretta di caldaie, noi per ora la serviamo da qui ma è chiaro che considerando i costi dell'energia e della manodopera, in Italia si deve razionalizzare l'attività». «E del resto – aggiunge Ettore Riello, che ha stabilimenti produttivi anche in Polonia e Cina – qui un operaio costa 28mila euro, a Varsavia 7mila, a Pechino 3mila, il problema del costo del lavoro è drammatico». Per il distretto non è però l'unico nodo, e forse neppure il principale. Alle aziende locali le scelte nazionali sulla politica energetica non hanno certo fatto piacere, in primis nella decisione di puntare sul fotovoltaico come fonte principale su cui orientare risorse, attenzioni e incentivi. «Trovo devastante – scandisce Riello – la pochezza della politica energetica del nostro Paese, dipendiamo troppo dall'estero, non puntiamo sul risparmio energetico, non facciamo nulla per cambiare ed efficientare il parco caldaie esistente. Nella ricerca ad esempio spendiamo il 3-4% dei ricavi ma è difficile decidere dove puntare se la politica cambia sempre idea. Ecco, noi siamo bravissimi nell'adattamento delle tecnologie e nella customizzazione dei prodotti, ma quando si parla di piani a lungo termine e di politica industriale siamo indietro anni luce». «Se ci fosse una politica nuova sulle ristrutturazioni – aggiunge Paola Ferroli – i consumi potrebbero scendere nelle case anche del 30%, puntare solo sul fotovoltaico ha fatto grandissimi danni». In realtà gli incentivi sono arrivati anche per alcuni comparti della Termomeccanica, come ad esempio le caldaie a condensazione, ma i meccanismi studiati, secondo gli operatori, non hanno facilitato la diffusione del fenomeno. «Nelle grandi città – spiega Paola Ferroli – le canne fumarie non sempre consentono queste installazioni, si dovrebbero attivare alcune deroghe per rendere realmente efficace lo strumento». «Gli sgravi aiutano – aggiunge Riello – ma servirebbe un ricambio massiccio del parco installato, perché gli ultimi studi dimostrano che solo il 10% degli impianti è davvero a norma». Ma anche a fronte di una politica disattenta, di oneri di sistema rilevanti e di una fiscalità non certo di vantaggio, il distretto resiste, conquista commesse estere, offre lavoro a quasi 6mila addetti e sviluppa due miliardi di ricavi. «Dopo il crollo del 2009 – spiega il responsabile della ricerca industry di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – il fatturato ha mostrato un rimbalzo nei due anni successivi, tornando vicino ai livelli mediani del 2008. La redditività è invece scesa, con un Ebitda arrivato al 7,2% dall'8,6% del 2008. Le imprese hanno dunque cercato di mantenere la quota di mercato sacrificando i margini e spingendosi sempre più all'estero, anche se qui il peso dei nuovi mercati resta ancora contenuto». Il distretto paga anche altre aree di difficoltà, tra cui spicca la crescita dell'indebitamento, con il rapporto tra debito e patrimonio quasi raddoppiato da 1,06 a 1,76 tra 2005 e 2010. Debolezza che si accompagna a una chiara segmentazione tra imprese: "big" che si contano sulle dita di una mano, con Riello e Ferroli a valere da sole il 40% dei ricavi del distretto a fronte di decine di microimprese, tra cui ben 101 aziende con meno di dieci addetti. Chi ha dimensioni adeguate ha capito per tempo che automazione e innovazione sono le armi principali per resistere e rimanere competitivi. Sul fronte dei 48 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online prodotti gli sviluppi riguardano caldaie a condensazione sempre più efficienti, pompe di calore, utilizzo integrato di più fonti per arrivare a sviluppare tecnologie ibride, inserimento progressivo dell'elettronica per gestire gli apparati, spostando progressivamente l'attenzione nel campo della domotica. Dal punto di vista dei processi c'è invece una sempre maggior attenzione all'automazione, con un inserimento massiccio di robot in fabbrica per migliorare la produttività. Nell'impianto Riello, ad esempio, le linee di montaggio dei bruciatori sono 12, i robot gestiscono più fasi del processo, i computer "ordinano" il trasporto dei prodotti sui pallet solo quando le quantità consentono un carico efficiente. E anche cambiando azienda il quadro non cambia. «Vede – ci spiega il direttore commerciale di Aermec Luigi Zucchi – in questa fase fanno tutto le macchine, le persone controllano e basta». I robot infilano in sequenza motore e ventole, le fissano ai supporti, tutto è automatico, tranne il test finale e l'imballaggio. Nell'azienda di Bevilacqua, 175 milioni di ricavi con 650 addetti, la ricerca assorbe il 3% del fatturato, l'adozione della lean production ha ridotto del 20% i tempi di attraversamento dei prodotti, le nuove maxi-camere di collaudo consentiranno di eliminare un collo di bottiglia nel processo, il risultato degli investimenti è visibile chiaramente in fabbrica, con dosi robuste di automazione nella parte più "standard" dei prodotti, cioè i ventilconvettori. L'azienda, guidata da un altro ramo della famiglia Riello, ha scelto di concentrarsi nel settore della climatizzazione, dunque non solo "caldo" ma soprattutto "freddo". Lo scorso anno è arrivata al record storico dei ricavi, con il 50% delle vendite all'estero, nel 2012 paga dazio alla crisi. «Italia ed Europa frenano – spiega Zucchi – solo l'extra-Ue garantisce margini di crescita, ecco perché ora vogliamo spingerci anche in Usa, Canada e Nuova Zelanda, allargando il più possibile i mercati di riferimento». Il nodo del settore, per Aermec come per altre aziende, è l'imprevedibilità del mercato, con picchi di domanda e poi vuoti improvvisi, flessibilità che si possono gestire solo attrezzandosi per tempo. «Qui abbiamo una sessantina di fornitori locali – spiega Zucchi – e la prossimità è un valore fondamentale quando devi reagire in tempi rapidi. L'altro asset è la disponibilità del personale: ad agosto abbiamo chiesto su base volontaria due settimane di lavoro in più per gestire un picco di ordini e il 70% dei dipendenti ha accettato». Lo straordinario, nel distretto, non è però la regola e anche qui la crisi si fa sentire, con 1,7 milioni di ore di Cassa integrazione tra gennaio e agosto, in otto mesi quasi l'intero valore del 2011. In Cig sono ad esempio i 350 addetti della Sime, 73 milioni di ricavi per il 50% all'estero, con un 2012 difficile soprattutto per il calo del 20% del mercato italiano. «Come reagiamo? Andando con più decisione all'estero e tagliando tutti i costi possibili – spiega il presidente Maria Cristina Menini –, tutto tranne l'innovazione e la ricerca sul prodotto. Quella no, è l'unica cosa che non tocchiamo». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE La valutazione Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è valutato nei suoi punti di forza e di debolezza. La termomeccanica di Verona innova ed esporta molto; la frenata del mercato interno è il punto critico principale. PUNTI DI FORZA 1 INNOVAZIONE I gruppi maggiori investono in ricerca il 3-4% dei ricavi, con punte più elevate per le piccole realtà di nicchia, ad esempio nell'elettronica. Visitando le linee produttive si può osservare il massiccio investimento in automazione e tecniche "lean", utilizzate per migliorare la produttività e ridurre i tempi di attraversamento dei prodotti lungo la fase di montaggio. 2 INTERNAZIONALIZZAZIONE La quota di export è in media pari al 60% e il livello assoluto delle esportazioni è arrivato a superare il picco pre-crisi del 2008. I gruppi maggiori hanno aperto filiali produttive all'estero e il trend sembra destinato a proseguire. Il limite dell'area è ancora l'eccessiva dipendenza dai mercati tradizionali come la Germania, mentre cresce ancora a macchia di leopardo il peso dei paesi emergenti. 3 ATTRATTIVITÀ Il tema del risparmio energetico e dell'efficienza nel consumo è diventato ormai pervasivo in tutti i Paesi. L'esempio del Gruppo Giordano, nato pochi anni fa e in grado di svilupparsi nell'elettronica dimostra che in quest'area le possibilità di crescita ci sono ancora. Incentivi mirati alla sostituzione del parco caldaie italiano darebbero ovviamente al distretto una spinta decisiva per la crescita. PUNTI DI DEBOLEZZA 1 DIMENSIONE D'IMPRESA I primi due gruppi del distretto veronese, Riello e Ferroli valgono il 40% dei ricavi dell'intero distretto. Accanto ai due big e ad una manciata di imprese di dimensioni medie vi sono un centinaio di realtà che contano meno di dieci addetti. Dimensioni ridotte che non consentono altro se non la presenza "al traino" dei big del territorio, con la conseguenza di una limitata presenza all'estero. 2 COSTO DEL LAVORO Tra i principali handicap spiccano il costo del lavoro (penalizzante in tutta Italia, però) e le infrastrutture. In alcuni punti 49 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online chiave del distretto, come Legnago e Bevilacqua, il casello autostradale più vicino è a 40-50 chilometri di distanza. Infrastrutture «pessime», ci confida un imprenditore, situazione grave perché l a logistica di questi prodotti non è affatto agevole e richiede la movimentazione di molti Tir. 3 MERCATO INTERNO In media nel 2012 cede il 15%, con punte di calo del 20% per alcuni prodotti specifici. Gli incentivi sulle caldaie a condensazione hanno aiutato il mercato, tuttavia secondo Assotermica, l'associazione di categoria, questi sostegni andrebbero resi permanenti. Pesa la ridotta capacità di spesa, si aggiusta l'usato e non si compra il nuovo. 50 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20121218047AAA 18-12-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY La recessione non sale sulle giostr e venete Dagli Usa alla Cina: mercati diversificati contro la crisi e investimenti in tecnologia e innovazione per il cluster - LE RIPERCUSSIONI - A causa della spending review il network risente dei tagli delle amministrazioni locali in occasione di celebrazioni e di sagre per i patroni cittadini Barb ara Ganz ROVIGO. Dal nostro inviato Non c'è crisi che possa far rinunciare a un giro di giostra per i bambini, o ad alzare lo sguardo sui fuochi artificiali che suggellano un evento, che sia su scala paesana, per il santo patrono, o mondiale, trasmesso in diretta tv come un'inaugurazione olimpica. Non c'è crisi che tenga se il mercato al quale guardi è il mondo intero, così che se c'è un Paese che arretra, un altro emerge e compensa la domanda mancante. La nicchia di distretto che vede aziende a cavallo fra le province di Rovigo (oltre la metà del totale) e di Vicenza, con qualche presenza nel Trevigiano, Veronese e Padovano, si definisce un “mondo delle emozioni”, ma sono punti di forza estremamente pratici – l'innovazione, la tecnologia – quelli sui quali punta. Un mondo che conta circa 100 realtà, un fatturato superiore ai 300 milioni, una propensione all'export ai livelli del 90% e una occupazione stabile, 1.500 addetti. «Non notiamo arretramenti, anzi, qualche segnale positivo – dice Franco Cestonaro, funzionario della Cna e referente del distretto, riconosciuto dalla Regione Veneto –. Parchi divertimento e luna park esistono ovunque, così come l'abitudine a organizzare feste che si concludono, sempre, con lo spettacolo pirotecnico. Quello che avviene qui è un miracolo continuo di creatività». Nei giorni scorsi, fra Bergantino e Melara, paesi che accolgono le principali presenze del distretto, hanno fatto visita 30 buyer, «tutti titolari di nuovi parchi dagli States, e poi Argentina, Messico, Guatemala, Brasile, Turchia, Venezuela. E le commesse non sono mancate – sottolinea Cestonaro –. Dobbiamo puntare sempre più sull'internazionalizzazione, perché avere un prodotto di qualità e non farlo conoscere, non portarlo all'estero, è un controsenso. Per questo serve investire nei processi di aggregazione, mettere le aziende in rete, consentendo anche alle più piccole di fare ricerca, di innovare e poi presentarsi su nuovi mercati. Certo in questo periodo le banche non aiutano, il credito è fermo». Se le origini della giostra made in Polesine risalgono fino alle fiere medievali, con un boom coinciso con il dopoguerra, oggi le trasformazioni si succedono a ritmo incalzante. Merito, anche, delle collaborazioni in atto fra il distretto e le università di Padova e Venezia, con tutte le facoltà che possano dare un contributo, dal design all'ingegneria. Così, in un tessuto di aziende che si sono specializzate nelle diverse fasi di lavorazione – verniciatura, lavorazione del legno e della vetroresina, illuminazione, carpenteria metallica leggera e pesante – la svolta in atto è verso produzioni a risparmio energetico, sempre più attente all'impatto ambientale e ai consumi, con strutture leggere che significano risparmi sia nel trasporto che nella manutenzione. Ma c'è anche chi ha fatto un punto di forza nell'avere sotto controllo ogni fase della produzione: «Abbiamo sviluppato un know how completo da ogni punti di vista: artistico, strutturale, idraulico, ogni tassello – spiega Alberto Zamperla, presidente della Spa con sede ad Altavilla Vicentina, 50 milioni di fatturato per il 95% realizzato all'estero, una storia di famiglia e un passaggio generazionale già assicurato –. Questo permette al committente di avere un unico responsabile con il quale confrontarsi, e dal quale attendersi eventualmente soluzioni o supporto tecnico». Una strategia che si è dimostrata vincente nel rapporto con l'amministrazione di Coney Island, dove è stato realizzato un parco curato dal progetto iniziale fino all'apertura. Nella strategia aziendale gli altri cardini sono la presenza diretta sui mercati principali – Usa, Russia ed Emirati arabi, e con stabilimenti anche produttivi in Cina e Filippine – per poter intercettare più rapidamente gusti e tendenze, e la completezza della gamma: ogni settore, dalla giostra per bambini a quella per adulti e teen ager, da quelle per le famiglie ai progetti speciali – è presidiato. Fra le ultime realizzazioni, quelle in centri poco di frequente abbinati a eventi festosi: Zamperla è al lavoro per il parco in costruzione a Baghdad, mentre le immagini del leader coreano su una giostra dell'azienda veneta – che sull'argomento mantiene una stretta privacy, richiesta dal committente – hanno fatto il giro del mondo. «Non c'è un momento di svago più alla portata di un giro in giostra» osserva Zamperla, discendente di una famiglia di artisti del circo e con un nonno che, dopo una vita da ambulante in giro per l'Italia, intravide il possibile successo dei parchi gioco fissi, iniziando a costruire da sé le prime attrazioni subito richieste da altri. Oggi tutte le giostre vengono testate personalmente dal presidente della società, che confessa il debole per le montagne russe, ma anche la difficoltà di fare impresa in Italia: «L'ideazione e il fulcro dell'azienda restano qui, ma potessi mettere le ruote a questo stabilimento e ai 160 dipendenti lo farei, così anche loro potrebbero avere un'imposizione fiscale minore. Solo un esempio: per il parco di Coney Island due attrazioni erano in ritardo, le abbiamo montate ma mancava il collaudo, ho chiesto al capo ispettore quando avrebbe potuto venire, e lui mi ha semplicemente chiesto: quando sarete pronti? Il controllo è stato fatto alle 6 della domenica mattina dell'inaugurazione, con le scuse per aver dovuto far pagare gli 51 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online straordinari. È un rapporto completamente rovesciato fra il cittadino e lo Stato, con una forma di difesa verso chi fa un investimento e crea posti di lavoro», rimarca con una certa amarezza Zamperla. Negli uffici commerciali le addette rispondono al telefono parlando in russo o in spagnolo. In ottobre è arrivato l'ordine per la fornitura di due attrazioni per il parco Disney di Shanghai, battendo oltre alla concorrenza mondiale i principali costruttori cinesi: 9 milioni di valore, consegna a fine 2014. La Cina, temibile competitor, viene così affrontata in casa; è così anche nel campo dei fuochi d'artificio, perché a essere cercate nel made in Italy non sono tanto i prodotti, riproducibili, ma l'esperienza e la creatività. A pochi metri dall'argine del Po, la Parente fireworks di Melara, Rovigo, à vicinissima alle zone del terremoto che ha infierito sull'Emilia. «Sembra che l'acqua abbia assorbito la scossa, perché non abbiamo avuto alcun danno» dice Antonio Parente, creative manager dell'azienda di famiglia ultracentenaria. E chi fa questo lavoro è abituato a prevenire i rischi: isolato e recintato, su un'area di 100mila metri quadri (e altrettanti esterni come una cintura di sicurezza) lo stabilimento è suddiviso in aree piccole per minimizzare l'effetto di un possibile incidente e far si che un danno rimanga limitato. Terrapieni e spessi muri di cemento creano un continuo effetto barriera; negli edifici che componevano il primo nucleo, restano i piccoli capitelli con i santi che dovevano proteggere il lavoro. Le ultime commesse sono targate Corea, Messico, Thailandia e, appunto, Cina. Firmato Parente è il più lungo spettacolo pirotecnico al mondo, andato in scena lo scorso 10 novembre in Kuwait per celebrare i 50 anni della Costituzione. «L'emiro ha voluto un evento che non escludesse nessuno, che raggiungesse la maggior parte possibile della popolazione», spiega Parente. Due voli dedicati hanno trasportato il materiale sul posto, 25 container di fuochi artificiali, hanno lavorato 80 persone: un investimento da 12 milioni e due mesi di lavoro "sparati" per un'ora, su un fronte di 6 chilometri che ha richiesto il dispiegamento di 250 chiatte, con il sottofondo di una colonna sonora composta per l'occasione, che hanno valso l'ingresso nel Guinnes dei primati. «In Francia c'è l'usanza, su manifesti e locandine, di mettere il nome del maestro che firma lo spettacolo: da noi c'è invece una consapevolezza ancora scarsa anche della professionalità necessaria. Serve un percorso che dia maggiore enfasi alla componente artistica», osserva Parente. L'azienda è un altro caso di controllo totale sulla produzione: «Facciamo tutto noi, dalla polvere nera – solo due aziende in Italia hanno la licenza per produrla – allo studio tecnico, fino alla fornitura delle piattaforme per i lanci». Nei magazzini, in questi giorni che precedono la fine dell'anno, vengono stipati i prodotti di fabbricazione cinese destinati alla commercializzazione, attività collaterale destinata ai mesi invernali, quando gli spettacoli pirotecnici sono meno richiesti: nomi come Raptor, Diablo o Rombo di tuono, con una domanda che resta elevata: «Ogni anno tremiamo quando sentiamo le notizie di chi si infortuna, perché è qualcosa che danneggia tutta la categoria. Anche se spesso gli incidenti riguardano laboratori abusivi, o merce che non avrebbe dovuto essere venduta, l'opinione pubblica tende a non fare differenze», osserva Parente. La spending review non sta risparmiando le spese dei Comuni italiani per patroni e sagre, «altre volte viene usata come scusa per non rispettare impegni già presi. E poi c'è il fattore meteo: più della pioggia il nostro nemico è il vento, che rende difficile valutare traiettorie e ricadute: in alcuni casi l'evento può essere posticipato, in altri va annullato perché se non avviene nel giorno prefissato perde di significato». È il caso della Notte del Redentore a Venezia, ripresa in gestione nel 2007 dopo una interruzione di qualche anno: una location del tutto particolare, in una zona che rientra in una fascia di decibel ammessi particolare a causa della sua peculiarità, o dell'inaugurazione delle Olimpiadi di Torino. Lavorare con l'estero – giostre o fuochi artificiali che siano – consente di crescere nonostante la crisi del mercato prima italiano e poi europeo, e di avere come interlocutori e clienti amministrazioni locali e Paesi stranieri, ma significa anche destreggiarsi fra normative (sicurezza, rispetto dei limiti di emissioni sonore e altro ancora) e prescrizioni diverse. Una sfida possibile, se il paragone è la burocrazia italiana, fra norme Ue non ancora recepite e regolamenti che risalgono agli anni 30. Eppure «questo è un esempio di imprenditoria che investe sul proprio territorio», ha ripetuto in più occasioni l'assessore all'Economia e Innovazione Marialuisa Coppola. Tanto che per consentire lo sviluppo dell'industria dei fuochi d'artificio, parte integrante del "distretto del divertimento", è stata recentemente modificata anche la legge regionale sulle emissioni sonore. @Ganz24Ore © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Il cluster veneto del divertimento, che comprende impianti per luna park e fuochi d'artificio fa leva sulla capacità innovativa e la competitività sui mercati esteri IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE Quando si è fermata la domanda italiana, le aziende del distretto erano già orientate sull'Europa, e ora che anche in questo mercato si moltiplicano i segnali di difficoltà l'orizzonte già acquisito sono i Paesi emergenti. Un tasso di export che arriva oltre la quota del 90% e che sta funzionando come baluardo anticrisi ALTA 2 INNOVAZIONE www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 52 2/3 25/10/13 Banche Dati online Le giostre stanno cambiando: a parte i modelli immutabili e sempre richiesti, la sfida attuale è saper cogliere le tendenze, i personaggi emergenti sui quali disegnare le attrazioni, diversificare l'offerta sui diversi mercati, puntare sul servizio e anche adattare la progettazione alla domanda di minori consumi energetici BUONA 3 OCCUPAZIONE I dati aggregati del distretto, e anche i casi delle aziende leader, mostrano una sostanziale tenuta della componente lavorativa e una forte connotazione di Made in Italy, sia nella produzione che nell'ideazione, nonostante la scelta di presidiare direttamente i mercati ritenuti più interessanti aprendo filiali estere DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 DIMENSIONI D'IMPRESA Il distretto della giostra non fa eccezione nel panorama veneto: alcune presenze leader, e molte imprese di dimensioni piccole e piccolissime. Si guarda alla nuova legge regionale anche per finanziare iniziative di rete e di aggregazione, ma la gran parte del lavoro è ancora tutta da costruire BASSA 2 ANTIDOTI ALLA CONCORRENZA SLEALE La difesa della propria produzione dalle copie richiede molte energie ed è costosa: una strada in salita per molte aziende. Anche nel caso in controtendenza, come la causa vinta da Zamperla in Florida, difficile non notare i tempi della giustizia americana (emessa un anno dopo l'inizio della causa) rispetto a quelli italiani SCARSA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Ancora insufficiente, con la conseguente penalizzazione per le aziende più piccole che rischiano di restare escluse su diversi fronti, dalla partecipazione alle fiere internazionali alla internazionalizzazione. Un primo segnale incoraggiante arriva però dal consorzio costituito per favorire l'export di prodotti pirotecnici, che sta dando i primi risultati INSUFFICIENTE 53 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 25/10/13 Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Banche Dati online SS20121219046AAA 19-12-2012 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY I «robot su misura» parlano vicentino Grande serie addio: produzioni ad hoc e innovazione Mercato interno assente, l'export vola oltre il 70% - LE STRATEGIE - Chi sa ben presidiare nicchie ad alta tecnologia è riuscito nel 2012 a ottenere ricavi record L'inglese non basta: Salvagnini chiede la conoscenza di due lingue Luca Orlando SAREGO (Vi). Dal nostro inviato Entra un foglio d'acciaio, esce un ripiano per uno scaffale. Pochi secondi per piegare, sagomare e tagliare senza ausilio umano, ad operare è solo la macchina, «o meglio il sistema», ci corregge Francesco Scarpari indicando l'apparato lungo una decina di metri dove il materiale viene ruotato e sistemato in una ventina di posizioni diverse con precisione micrometrica, prima di terminare la sua corsa e diventare prodotto finito. Il Presidente di Salvagnini ci mostra con orgoglio lo showroom aziendale dove sono allineate le macchine del gruppo, leader del distretto della meccanica strumentale vicentina con 1.300 addetti e 265 milioni di ricavi, per il 92% realizzati all'estero. «Il cliente ci porta qui una chiave Usb – spiega Scarpari – e ci fa vedere quale pezzo vuole realizzare, noi attrezziamo la macchina e lo produciamo». Per farlo Salvagnini ha creato un ufficio tecnico-monstre da 150 addetti, tra cui anche alcuni astronomi («guardi che la matematica la sanno»), con un investimento in ricerca di oltre cinque milioni di euro all'anno, una progettazione interna integrale dei macchinari, una rete di fornitori locali di prossimità, rapida e flessibile. Innovazione e flessibilità determinanti anche nell'ultimo esercizio per accompagnare l'azienda al nuovo record di ricavi, con un fatturato balzato del 37% grazie soprattutto alla corsa dei mercati internazionali che assorbono quasi integralmente le macchine da deformazione prodotte da Salvagnini. L'arma dell'export è cruciale per il gruppo così come per l'intero distretto, forte di 275 imprese capaci di sviluppare 1,7 miliardi di ricavi, per il 70% diretti proprio oltreconfine. Anche in presenza di un settore polverizzato, con aziende che fatturano in media 6 milioni ciascuna, la crescita dell'export, come evidenziato dal monitor distretti di Intesa Sanpaolo, è stata costante nel tempo, passata in dieci anni da 883 a 1236 milioni, arrivando nel 2011 al record storico e superando così il periodo pre-crisi. «Positiva – spiega il responsabile ricerca Industry di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – è stata l'evoluzione sui mercati esteri, dove le esportazioni hanno toccato il loro punto di massimo nel 2011 con un balzo del +30,1%. Germania e Cina sono i due principali sbocchi commerciali del distretto, che dimostra una buona capacità di raggiungere con successo i mercati emergenti». Meno brillante è invece l'evoluzione dei ricavi, che sono ancora al di sotto del 9% rispetto al 2008, appesantiti in particolare da un mercato interno sempre meno ricettivo. «L'Italia? Zero. Ma zero anche Spagna, Grecia, Francia e persino Germania». Alessandro Costa, presidente della Costa Levigatrici di Schio, non vede un futuro roseo, con nubi pesanti soprattutto nel settore dell'edilizia, traino principale per le sue macchine di lavorazione del legno. «Sopravviviamo con il settore metallo e con le macchine speciali – spiega – mentre la grande serie ormai è morta. Abbiamo 22 persone nel reparto progettazione, stiamo puntando molto sulla produzione customizzata ma è chiaro che con i prototipi non si fanno i volumi». Costa chiuderà l'anno con 26 milioni di ricavi, in calo a doppia cifra rispetto al 2011, un livello di fatturato analogo a quello del 2000, quando però gli addetti erano 120, 50 in meno rispetto ad oggi. «Facciamo Cassa e siamo in contratto di solidarietà – spiega Costa – e per fortuna nei tempi buoni abbiamo messo da parte un po' di grasso che ora stiamo consumando. Il 2013 però lo vedo male, se le banche non danno mutui la gente non compra casa, dunque l'edilizia non riparte». Nel complesso tuttavia l'occupazione del distretto tiene e anche gli ammortizzatori sociali non sono utilizzati a pieno regime: nei primi otto mesi dell'anno le ore di Cig della meccanica strumentale vicentina si sono infatti dimezzate, soprattutto grazie al -60% della Cassa Straordinaria, quella che segnala le difficoltà aziendali più gravi. «Il settore va a macchia di leopardo – spiega Massimo Carboniero, imprenditore del settore e presidente della sezione metalmeccanica di Confindustria Vicenza – e il problema di tutti è che non si possono fare piani a lungo termine. L'unica certezza è che resiste solo chi punta sull'alta tecnologia e sul servizio al cliente, quella è l'area in cui siamo ancora vincenti. Chi invece rimane sui macchinari di fascia medio-bassa è in forte difficoltà». L'azienda di Carboniero, Omera, si occupa di presse e rifilatrici, quest'anno crescerà del 15%, con ricavi nell'ordine dei 20 milioni e un centinaio di addetti. Ma queste dimensioni - obiettiamo - non limitano la capacità di fare ricerca e di innovare? «A Vicenza siamo tra le aziende medie – ribatte Carboniero – e comunque è chiaro che la ricerca è una strada obbligata: noi abbiamo numerosi brevetti, sviluppati dai 18 ingegneri del nostro ufficio tecnico». Cambiando azienda il quadro non cambia, con l'innovazione considerata attività fondamentale anche da Gastone Trecco, numero uno di Euroimpianti, attiva nei sistemi di pallettizzazione e movimentazione delle merci, realizzata ad esempio attraverso carrelli automatici a guida laser. «Quest'anno riusciamo a crescere del 20% – spiega l'imprenditore – e iniziamo a raccogliere i frutti del nostro investimento negli Usa, dove quattro anni fa abbiamo acquistato un'azienda. Il vantaggio è poter vendere in Europa 54 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 1/3 25/10/13 Banche Dati online anche i loro prodotti e negli Stati Uniti i nostri, sfruttando la fiducia che i clienti ripongono nella presenza diretta di una rete di vendita e di assistenza». Il gruppo, 60 addetti in Italia e altrettanti negli Usa, dedica qui sei persone alla ricerca, risorse impegnate ora anche in un progetto europeo che destina a Euroimpianti 400mila euro per trasferire una tecnologia militare di aggancio nave-elicottero ad una applicazione industriale per la movimentazione dei carrelli. Tutto bene per l'azienda, tranne in Italia. «Quest'anno abbiamo preso 14 milioni di ordini all'estero e 250mila euro in Italia. Qualche "no" lo abbiamo detto anche noi, perché qui l'abitudine è pagare al collaudo, mentre noi per sviluppare le applicazioni su misura per il cliente abbiamo bisogno di anticipi in corso d'opera». Per Euroimpianti l'export vale «il 99,9% dei ricavi» e lo scenario qui nel vicentino tra i produttori di macchine utensili si ripete un po' ovunque. Tanto che il leader del territorio, Salvagnini, ha deciso di alzare l'asticella per i neoassunti. «L'inglese – ci spiega il presidente Francesco Scarpari – ormai lo diamo per scontato, chi entra qui deve conoscere almeno un'altra lingua straniera». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Vicenza brilla per flessibilità e internazionalizzazione. Dimensioni d'impresa e grande debolezza del mercato interno i limiti principali del distretto delle macchine strumentali a Vicenza. IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 INTERNAZIONALIZZAZIONE L'export ora è in lieve frenata ma nel 2011 è arrivato al livello record di 1,2 miliardi con una crescita di oltre il 30%. Per le aziende meccaniche del distretto le vendite oltreconfine valgono in media il 70% dei ricavi, con punte del 90-95%. ALTA 2 INNOVAZIONE Le aziende più strutturate dedicano decine di tecnici alle attività di sviluppo e ricerca. L'innovazione si caratterizza soprattutto nella ricerca continua di customizzazione, dove di fatto ogni macchina venduta diventa una sorta di prototipo, un pezzo unico. BUONA 3 ATTRATTIVITÀ Il comparto delle macchine utensili resta uno dei punti di forza del Made in Italy grazie alla combinazione di know how manifatturiero e flessibilità produttiva. Vicenza conferma la regola, con il tessuto di Pmi del territorio che offre competenze per ogni tipo di lavorazione. DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 OCCUPAZIONE Il momento è difficile, a maggior ragione se anche chi avrebbe la possibilità di crescere è titubante e preferisce aspettare l'evoluzione del mercato. Le crisi aziendali nel 2012 si sono ridotte ma le prospettive dei prossimi mesi restano negative. BASSA 2 DIMENSIONI D'IMPRESA Sono 275 le aziende censite con oltre 750mila euro di ricavi, si tratta in media di realtà da 6 milioni di euro. È il limite principale del distretto allo sviluppo di nuove tecnologie e investimenti più massicci in ricerca e ingresso in nuovi mercati SCARSA 3 MERCATO INTERNO 55 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 2/3 25/10/13 Banche Dati online Il grido di dolore di Costa per la crisi dell'edilizia in Italia non è un caso isolato e per tutte le aziende spingersi all'estero è una necessità. Se qui non si investe in nuova capacità produttiva è ovvio che le macchine utensili più avanzate e competitive finiscano sempre più all'estero. INSUFFICIENTE 56 www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 3/3 Banche Dati online Identificativo: Data: Testata: Riferimenti: Pagina 1 di 3 SS20130104033AAA 04-01-2013 IL SOLE 24 ORE IMPRESA E TERRITORI IMPRESA & TERRITORI I distretti vent'anni dopo - COME CAMBIANO I POLI DEL MADE IN ITALY Il dolciario veronese lievita fuori stagione La trasformazione del business da occasionale a continuativo ha consolidato il cluster alimentare - LE AREE DI SVILUPPO - Perazzoli (Melegatti): «I maggiori segnali di incoraggiamento li abbiamo fuori dall'Europa: Giappone, Sudafrica e Australia» Barbara Ganz VERONA. Dal nostro inviato Le colombe pasquali cuociono nei forni della Dal Colle, a Colognola ai Colli: sono destinate ai mercati dell'Australia e del Canada, dovranno fare 45 giorni di nave, per questo vengono impastate e preparate prima di quelle che arriveranno sulle tavole italiane. Qui, e nelle altre aziende del dolciario veronese, l'atmosfera natalizia è passata da un pezzo, e già si guarda alla prossima ricorrenza. In provincia si concentra il 70% della produzione nazionale; un settore che impiega circa 3mila persone, con punte altissime di stagionali (circa 2.500), e – attendendo il bilancio del Natale appena strascorso – nel 2011 un fatturato che sfiorava i 500 milioni. Molti i grandi marchi, che spesso coincidono con aziende familiari con un passato e una tradizione che supera il secolo. La data chiave è il 1894, quando Domenico Melegatti inventa la forma, il nome e la ricetta del pandoro, che quattro anni dopo, intuendone le potenzialità, registra con un "attestato di privativa industriale" rilasciato dal Regno d'Italia, ministero dell'Agricoltura, industria e commercio. Un pasticcere alchimista, alla cui inventiva si devono fra l'altro i primi tentativi di dadi da brodo – "caramelle di carne", nei suoi diari – abbandonati fino a quando altri li riproposero, facendo fortuna. Il risultato non era considerato soddisfacente, almeno non tanto quanto quello di quel dolce che indusse Melegatti a sfidare tutti i pasticceri del territorio, in una gara pubblicizzata dal giornale della città, l'Arena. «Nessuno riuscì a imitare il suo dolce, nè ad aggiudicarsi il premio – racconta Emanuela Perazzoli, presidente e amministratore delegato dell'azienda, che oggi impiega un'ottantina di dipendenti fissi, arrivando nelle campagne natalizia e pasquale a 400 stagionali – Per 50 anni quella sorta di brevetto ha protetto la ricetta, poi la validità è decaduta e in molti si sono messi a produrre il pandoro». Da quando è stata fondata, l'azienda ha attraversato due guerre mondiali e più di una traversia, interna ed esterna, «proprio come un organismo vivente. Ed è ancora nelle mani dei discendenti e dei loro familiari», racconta l'amministratore delegato. Morto Melegatti senza eredi diretti, il lavoro fu portato avanti da una nipote, sposata al capo pasticcere di quel primo laboratorio. Un'unione fortunata come quella ricetta che nel 2005 per decreto è diventata un vero e proprio disciplinare, che stabilisce ingredienti e percentuali. Solo burro e uova fresche, niente strutto o margarina: «Questo ha certo protetto la qualità – osserva Perazzoli – ma in qualche modo ha anche posto molti limiti alla creatività: si sarebbe potuto tentare un pandoro senza burro, con l'olio, ad esempio». Di certo, a lievitare in modo lento ma costante è l'export dei dolci veronesi da ricorrenza: «Ad un certo punto abbiamo capito che un pandoro sulla tavola degli italiani arrivava sempre, impossibile spingere oltre: allora, meglio guardare a nuove destinazioni – prosegue Perazzoli –. Nel 2008 Melegatti praticamente non esportava, nel giro di quattro anni siamo al 10% e ora abbiamo strutturato un canale di vendite ad hoc: la cosa curiosa è che i maggiori segnali di incoraggiamento li abbiamo al di fuori dell'Europa, ad esempio dal Giappone, ma anche da Sudafrica e Australia». E come si conviene nell'era dei social network, @Melegatti1894 incassa su Twitter incassa le lodi dei consumatori più lontani come Ana Sofia («hola soy de Venezuela adoro el paneton»). Un'ancora di salvezza, l'export, ora che i consumi italiani tendono, inesorabilemnte, al ribasso. Alla Dal Colle, le vendite estere sono cresciute dal 10% dello scorso anno al 17%: «Questo ci ha consentito di mantenere i volumi, nonostante la flessione del mercato interno, e anche di preventivare una crescita del fatturato nel 2012 (36 milioni l'ultimo risultato, ndr)», dice Beatrice Dal Colle, quarta generazione, con il fratello Alvise, nell'azienda guidata dal padre e fondata dal nonno nel 1894. Insieme all'export, l'altro ingrediente sul quale si spinge è l'innovazione di prodotto: «Siamo in 72 dipendenti fissi, con punte stagionali di 200: lavorare solo per le campagne festive non consente di creare una vera squadra, di programmare e investire in ricerca e cultura aziendale. Per questo non smettiamo mai di rinnovarci: nuove farciture nei prodotti tradizionali, ma anche linee di merendine e prodotti continuativi che ormai valgono la metà del nostro giro d'affari». E nonostante sia un Paese segnato dalla crisi, è la Spagna il mercato che riserva le maggiori soddisfazioni: «È ancora presto per pensare a linee di prodotti dedicate a intercertarre i gusti di determinati consumatori; all'estero c'è chi cerca prodotti più leggeri o, paradossalmente, più ricchi di grassi, chi predilige il cioccolato e chi le confetture. Ma il 2013 potrebbe vedere il lancio di nuovi prodotti pensati direttamente per l'export», fa capire Beatrice Dal Colle. E il futuro? Nei mesi scorsi l'Economist ha lanciato l'allarme sulla possibile "fine dell'era del cibo a basso prezzo, dovuta all'aumento della popolazione e ad una tecnologia che non accresce la resa dei campi", con riferimento anche alla materia prima grano. «Il consumatore acquista di meno e consuma di meno, gli scontrini emessi dagli esercizi sono tanti con pochi generi acquistati, non più come una volta che si lavorava su grandi volumi – è la risposta di 57 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 25/10/2013 Banche Dati online Pagina 2 di 3 Michele Bauli, presidente della Sezione alimentare di Confindustria Verona e ai vertici dell'azienda familiare cresciuta negli anni anche grazie alle acquisizioni (tre anni fa lo storico marchio Motta Alemagna dalla svizzera Nestlé, fino alla recente trattativa per i biscotti Bistefani) – Oggi le aziende italiane hanno problemi di diminuita redditività a causa dei maggiori costi sulle materie prime, e minori ricavi per la difficoltà di gestire enormi volumi non aumentando i prezzi». In questo scenario, l'articolo 62 sui pagamenti contenuto nel Decreto liberalizzazioni e intitolato “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di prodotti agricoli e agroalimentari” aumenta la problematicità del settore: «Il provvedimento è monitorato da Confindustria per un esame approfondito di tutti gli impegnativi risvolti della sua applicazione. Finora è emersa la forte preoccupazione per una burocrazia farraginosa che ostacola ogni tipo di attività rendendo molto faticoso per le aziende il costante adeguamento al mercato», conclude Bauli. @Ganz24Ore © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RATING DEL SOLE Il punteggio Attraverso una griglia di 14 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Innovazione e internazionalizzazione sono tra i punti di forza del dolciario veronese, mentre tra i punti di debolezza si segnala una produttività a singhiozzo IL GIUDIZIO PUNTI DI FORZA 1 INNOVAZIONE Nonostante le ricette classiche di pandoro e panettone siano blindate dal disciplinare approvato nel 2005, le aziende propongono ogni anno nuovi gusti e farciture, ma anche prodotti diversi e capaci di superare la stagionalità come le merendine ALTA 2 INTERNAZIONALIZZAZIONE L'export, in crescita da quando il mercato italiano ha iniziato a mostrare i primi segnali di rallentamento, è oggi un fattore decisivo e sta consentendo di mantenere i volumi, in qualche caso anche consentendo aumenti di fatturato nell'anno peggiore della crisi BUONA 3 CAPACITÀ DI FARE RETE Nell'alimentare emerge una disponibilità a fare squadra che difficilmente si ritrova in altri distretti veneti: dalla partecipazione congiunta alle fiere alla costituzione di reti come "Buon gusto veneto", esistono ampi spazi di miglioramento ma il progetto è avviato DISCRETA PUNTI DI DEBOLEZZA 1 DIFESA DA CONCORRENZA SLEALE Le imitazioni dei prodotti tradizionali sono numerose, e la tutela appare ancora difficile oltre che costosa. Non solo: in Paesi quali Argentina e Brasile il nmome pandoro è già utilizzato da produttori locali, tanto che occorre ricorrere ad un nome diverso BASSA 2 PRODUTTIVITÀ Difficile far funzionare un lavoro di squadra quando la quota di lavoratori stagionali è così elevata: 2.500 su 3mila. Nelle realtà più grandi si cerca di andare oltre la stagionalità, ma la tipologia del prodotto da ricorrenza rimane comunque determinante SCARSA 3 DIMENSIONI D'IMPRESA Più che percepite come criticità, sono in molti casi difese come tratto distintivo e baluardo della qualità. Sono perlopiù i grandi marchi a crescere anche tramite acquisizioni. La terapia agli inevitabili limiti potrebbero essere forme diverse di aggregazioneCome INSUFFICIENTE 58 http://www.banchedati.ilsole24ore.com/previewDoc.htm 25/10/2013 Monitor dei Distretti Triveneto Servizio Studi e Ricerche Ottobre 2013 Le Banche sopra citate distribuiscono questo studio realizzato da 59 Monitor dei Distretti del Triveneto Ottobre 2013 Executive summary 2 I 34 distretti tradizionali e i 3 poli tecnologici del Triveneto 4 1. I distretti tradizionali nel secondo trimestre del 2013 4 Trimestrale – n. 16 1.1 Triveneto a confronto con il resto d’Italia 4 Intesa Sanpaolo 1.2 I distretti del Veneto 5 Servizio Studi e Ricerche 1.3 I distretti del Trentino-Alto Adige 11 Industry and Banking 1.4 I distretti del Friuli Venezia Giulia 12 A cura di: 2. L’export dei 3 poli tecnologici del Triveneto nel 2° trimestre 2013 15 3. La CIG nei distretti e nei poli tecnologici triveneti 16 4. Le prospettive di breve termine 17 Appendice Metodologica 18 Giovanni Foresti Database management: Angelo Palumbo Le Banche sopra citate distribuiscono questo studio realizzato da 60 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Executive summary Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti triveneti si è mantenuto su un sentiero di crescita positivo, registrando un aumento tendenziale dell’1,9%. Ancora una volta hanno sofferto le esportazioni del Friuli Venezia Giulia che da 7 trimestri consecutivi accusano un calo. Migliore è stato l’andamento dei distretti veneti e del Trentino-Alto Adige che nel periodo aprilegiugno hanno registrato un aumento tendenziale rispettivamente pari al 3,6% e al 5,4%. I distretti del Triveneto Il buon andamento del Trentino-Alto Adige si spiega con la vocazione agro-alimentare dei suoi distretti, nonché dal balzo delle vendite estere del legno-arredo dell’Alto Adige (+22,6% tendenziale nel periodo aprile-giugno 2013). Tra i distretti agro-alimentari si sono invece distinti i vini rossi e le bollicine di Trento (+10,7%) e le mele del Trentino (+12,4%). Hanno poi chiuso in territorio lievemente positivo i vini bianchi di Bolzano (+1,2%) e il porfido di Val di Cembra (+2,2%). Le mele dell’Alto Adige, invece, dopo tre trimestri di crescita a doppia cifra, hanno subito un lieve calo, che tuttavia lascia in territorio positivo la performance complessiva del distretto nel primo semestre dell’anno in corso. I distretti del Trentino-Alto Adige I distretti del Trentino-Alto Adige hanno ottenuto performance brillanti in Spagna (+66,9% grazie ai due distretti delle mele), Francia (bene soprattutto il legno-arredo e le mele dell’Alto Adige) e Regno Unito (vini rossi e bollicine di Trento). E’ poi tornato nuovamente positivo il contributo offerto dalla Germania, di gran lunga il primo sbocco commerciale della regione. Su questo mercato ha registrato un’ottima performance soprattutto il legno-arredo dell’Alto Adige, seguito dai due distretti del vino della regione. Il buon momento dei distretti del Trentino-Alto Adige trova conferma nell’analisi del divario rispetto ai livelli pre-crisi 2009. Questa regione nei primi sei mesi del 2013 ha evidenziato un aumento delle esportazioni distrettuali pari al 21,5% rispetto al corrispondente periodo del 2008. Tra le regioni italiane solo l’Umbria ha fatto meglio. Molte regioni presentano ancora un gap importante. Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti veneti ha mantenuto un profilo di crescita positivo e in linea con la media italiana (3,6 vs. 3,9%). Si tratta del tredicesimo trimestre di crescita consecutiva. Dei 23 distretti veneti monitorati 18 hanno chiuso il trimestre in territorio positivo. Spiccano 5 distretti che hanno sperimentato una crescita a doppia cifra: si tratta degli elettrodomestici di Treviso, della calzatura sportiva di Montebelluna, del prosecco di ConeglianoValdobbiadene (miglior distretto vitivinicolo italiano negli ultimi 10 anni), delle carni di Verona, della ceramica artistica di Bassano del Grappa. Buon ritmo di crescita anche per altri importanti distretti veneti, come la concia di Arzignano, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, l’oreficeria di Vicenza, il tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno, i vini del veronese, le calzature della Riviera del Brenta, e per alcuni distretti di minori dimensioni come il marmo e granito di Valpolicella, le calzature del Veronese, il mobile d’arte del bassanese. Hanno, invece, chiuso il secondo trimestre del 2013 in lieve arretramento il grafico veronese e la meccanica strumentale di Vicenza. Più pesante il calo per i prodotti in vetro di Venezia e, soprattutto, per il tessile e abbigliamento di Treviso, in territorio negativo ormai da otto trimestri consecutivi. I distretti del Veneto I distretti veneti hanno mantenuto un buon ritmo di crescita sui nuovi mercati (+6% la variazione tendenziale nel secondo trimestre del 2013). Sono stati trainanti gli Emirati Arabi Uniti, Hong Kong, il Vietnam, l’Arabia Saudita e la Russia. Nei mercati tradizionali, invece, l’export è tornato a crescere, seppur lievemente, evidenziando un aumento del 2,2%. Questa inversione di tendenza riflette, soprattutto, i segnali di recupero emersi in Francia, Portogallo e Spagna e il nuovo contributo positivo di Stati Uniti, Regno Unito e Svezia. E’, invece, rimasto in territorio lievemente negativo l’export diretto verso la Germania. 2 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 61 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Il secondo trimestre del 2013 si è aperto con un nuovo calo (il settimo consecutivo) per le esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia (-4,8%). Hanno continuato a soffrire riduzioni delle vendite sui mercati esteri i tre distretti già in difficoltà lo scorso anno: le sedie e i tavoli di Manzano, la componentistica e la termoelettromeccanica friulana e il mobile di Pordenone. A questi si sono aggiunti i vini del Friuli. Gli altri tre distretti della regione (prosciutto di San Daniele, coltelli e forbici di Maniago ed elettrodomestici di Pordenone) sono andati meglio, riuscendo a conseguire un aumento delle esportazioni intorno al 10%. I distretti del Friuli-Venezia Giulia A livello geografico i distretti friulani hanno ottenuto buoni risultati negli Stati Uniti e in alcuni mercati emergenti, come Malesia, Vietnam, Angola, Panama, Repubblica Ceca, Arabia Saudita, Indonesia, Nigeria. In tutti questi mercati ha conosciuto uno sviluppo notevole la componentistica e termoelettromeccanica friulana che, grazie all’acquisizione di importanti commesse, è riuscita a superare almeno in parte i cali subiti in altri paesi emergenti (Cina, Russia, India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto, Iraq). Dopo quattro trimestri negativi, si è poi riportato in territorio positivo l’importante mercato tedesco, dove hanno ottenuto ottime performance l’Inox valley e il mobile di Pordenone. I dati relativi agli ammortizzatori sociali confermano il momento di crisi che sta interessando una parte importante del tessuto produttivo locale, soprattutto sul mercato interno, ma anche, nel caso di alcuni distretti, sui mercati esteri. Nei primi otto mesi del 2013 le ore autorizzate di CIG nei distretti tradizionali triveneti si sono portate a 25,6 milioni, da 19,3 milioni dell’anno precedente, ritornando vicine al massimo storico toccato nel 2010. Tutte le componenti della cassa hanno registrato un aumento. Spicca, in particolare, il dato della CIG straordinaria (+41,8% la variazione tendenziale), attivata per situazioni di crisi strutturale delle imprese, che ha raggiunto quota 12,1 milioni, poco meno della metà del monte ore complessivamente autorizzato. Un balzo importante ha interessato anche la CIG in deroga (+58,3%) che è utilizzata soprattutto dalle piccole e piccolissime imprese non coperte dalla CIG ordinaria. Gli ammortizzatori sociali Le prospettive di superamento della fase recessiva dell’economia italiana e del Triveneto restano affidate nel breve termine principalmente alla capacità delle nostre imprese di sfruttare al meglio le opportunità di crescita presenti sui mercati internazionali. A questo proposito fanno ben sperare alcune indicazioni che emergono dai dati appena rilasciati dall’Istat sul commercio estero italiano di luglio. L’export di manufatti verso la Cina, infatti, è tornato a correre (+24,5% tendenziale, con risultati brillanti nel sistema moda e nel mobile, ma anche nella meccanica), mentre le vendite in Russia hanno mostrato segnali di ripresa (+18%). Inoltre, la stabilizzazione del ciclo nei Paesi UE sembra iniziare ad avere effetti positivi sulle esportazioni italiane verso i nostri maggiori partner commerciali: a luglio, infatti, l’export italiano di manufatti verso la Francia e la Germania ha registrato un aumento tendenziale pari all’1,9% e al 2,4% rispettivamente, dopo aver chiuso i primi sei mesi dell’anno in territorio negativo. Le attese di breve termine 3 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 62 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 I 34 distretti tradizionali e i 3 poli tecnologici del Triveneto 1. I distretti tradizionali nel secondo trimestre del 2013 1.1 Triveneto a confronto con il resto d’Italia Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti triveneti si è mantenuto su un sentiero di crescita positivo, registrando un aumento tendenziale dell’1,9% (Fig. 1.1 e Tab. 1.1). Il complesso dei distretti industriali italiani ha mostrato un andamento migliore, registrando un aumento tendenziale dei valori esportati pari al 3,9%. Ancora una volta, hanno sofferto le esportazioni del Friuli Venezia Giulia che da 7 trimestri consecutivi accusano un calo (Fig. 1.2). Migliore è stato l’andamento dei distretti veneti e del Trentino Alto Adige che nel periodo aprilegiugno hanno registrato un aumento tendenziale rispettivamente pari al 3,6% e al 5,4%. Fig. 1.1 – Export dei distretti italiani e del Triveneto a confronto (variazione %) 20 Fig. 1.2 - Export dei distretti del Friuli Venezia Giulia, del Trentino Alto Adige e del Veneto (variazione %) 30 Italia 15 Friuli-Venezia Giulia Trentino-Alto Adige Veneto 20 Triveneto 10 10 5 0 3,9 1,9 0 -10 -5 -20 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 10 10 10 10 11 11 11 11 12 12 12 12 13 13 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 10 10 10 10 11 11 11 11 12 12 12 12 13 13 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Fig. 1.3 – Evoluzione dell’export nel 2° trimestre 2013 a confronto (variazione % tendenziale) 6,0 4,5 3,9 3,0 2,1 1,9 1,7 1,5 0,0 -0,3 -1,5 -3,0 -0,4 -1,7 Distretti Aree non distrettuali (a) Distretti triveneti Manifatturiero Manifatturiero Manifatturiero Manifatturiero Triveneto italiano francese tedesco (a) a parità di specializzazione produttiva dei distretti. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat, Douanes françaises, Statistisches Bundesamt I buoni risultati dei distretti del Veneto e del Trentino Alto Adige acquistano ancora più valore se si considera che, sempre nel secondo trimestre dell’anno in corso, l’export del complesso dell’industria manifatturiera italiana ha subito una riduzione dello 0,3% (Fig. 1.3). Francia e Germania hanno fatto addirittura peggio, accusando una riduzione dell’export di beni manufatti pari rispettivamente al -0,4% e al -1,7%. 4 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 63 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Tab. 1.1 – Le esportazioni distrettuali nelle regioni italiane nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2° trim. 2° trim. 1° sem. 2° trim. 2013 e 2012 2013 2013 2013 2° trim. 2012 Nord-Ovest, di cui: 6.479,8 6.723,1 243,3 3,8 1,2 Lombardia 4.905,7 5.139,7 234,0 4,8 1,6 Piemonte 1.529,6 1.530,3 0,7 0,0 0,1 Nord-Est 8.686,4 8.881,3 194,9 2,2 2,2 Emilia-Romagna 2.656,4 2.736,1 79,7 3,0 3,6 Triveneto 6.030 6.145 115 1,9 1,6 Veneto 4.412,7 4.570,3 157,5 3,6 2,9 Trentino-Alto Adige 349,4 368,2 18,8 5,4 6,7 Friuli-Venezia Giulia 1.267,9 1.206,7 -61,1 -4,8 -4,5 Centro, di cui: 3.833,6 4.034,0 200,4 5,2 5,7 Toscana 2.866,8 3.058,8 192,0 6,7 6,6 Umbria 134,9 153,2 18,3 13,6 11,6 Marche 812,6 801,6 -11,0 -1,4 2,1 Sud, di cui: 1.233,4 1.375,3 141,9 11,5 9,9 Puglia 493,7 600,3 106,6 21,6 16,1 Campania 501,0 535,9 35,0 7,0 9,6 Sicilia 69,3 77,8 8,5 12,3 17,9 Abruzzo 139,9 128,9 -11,0 -7,9 -14,6 Totale complessivo 20.233,2 21.013,7 780,5 3,9 3,0 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat L’alta variabilità delle performance a livello regionale suggerisce di analizzare l’andamento dei distretti separatamente in ognuna delle tre regioni del Triveneto. Nel paragrafo 1.2 ci si soffermerà pertanto sui distretti veneti, nel paragrafo 1.3 sui distretti del Trentino Alto Adige, nel paragrafo 1.4 sui distretti friulani. 1.2 I distretti del Veneto Nel secondo trimestre del 2013 l’export dei distretti veneti ha mantenuto un profilo di crescita positivo e in linea con la media italiana (3,6 vs. 3,9%; Fig. 1.4). Si tratta del tredicesimo trimestre di crescita consecutiva. Dei 23 distretti veneti monitorati 18 hanno chiuso il secondo trimestre dell’anno in territorio positivo (erano 16 nei primi tre mesi del 2013). Fig. 1.4 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale) 20 Veneto 15 Italia 10 3,6 3,9 5 0 -5 1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Spiccano per performance positiva 5 distretti che hanno sperimentato una crescita a doppia cifra: 5 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 64 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 gli elettrodomestici di Treviso (+13,2% la variazione tendenziale nel secondo trimestre del 2013) hanno ottenuto ottime performance in Germania, Francia, nei mercati dell’Est Europa e negli Emirati Arabi Uniti; la calzatura sportiva di Montebelluna ha mostrato segnali di recupero dopo le difficoltà incontrate nel 2012, grazie all’inversione di tendenza sperimentata nei mercati tradizionali come Francia, Germania, Spagna; il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, dopo le straordinarie performance degli ultimi anni, ha registrato un nuovo balzo dei valori esportati (+16,7%) grazie al traino di Stati Uniti e Regno Unito; le carni di Verona, dopo un ottimo 2012 (+18%), hanno evidenziato un nuovo aumento dell’export in doppia cifra (+10,9%), grazie all’evoluzione particolarmente favorevole fatta segnare in Francia, Austria, Germania e Regno Unito; la ceramica artistica di Bassano del Grappa (+22%) è stata trainata da Spagna, Francia, Austria, Russia, Stati Uniti. Tab. 1.2 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti veneti (i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013) Milioni di euro Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim . 2012 Totale distretti veneti, di cui: 4.413 4.570 157,5 Concia di Arzignano 504 535 31,5 Elettrodomestici di Inox valley (Treviso) 173 196 22,8 Materie plastiche di Treviso, Vicenza, Padova 299 320 21,4 Calzatura sportiva di Montebelluna 144 164 19,7 Oreficeria di Vicenza 355 373 17,8 Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene 95 111 15,9 Tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno 310 325 15,0 Vini del veronese 197 209 12,0 Termomeccanica scaligera 294 304 9,5 Calzature del Brenta 147 156 8,6 Carni di Verona 64 71 7,0 Marmo e granito di Valpolicella 101 107 5,8 Calzatura veronese 79 84 5,1 Mobile d'arte del bassanese 80 85 4,6 Ceramica artistica di Bassano del Grappa 9 11 2,1 Dolci e pasta veronesi 70 72 1,5 Mobile di Treviso 365 366 1,0 Mobili in stile di Bovolone 26 27 0,8 Grafico veronese 17 17 -0,2 Prodotti in vetro di Venezia 27 24 -3,1 Meccanica strumentale di Vicenza 322 316 -5,4 Tessile e abbigliamento di Treviso 182 164 -17,5 Var. % tendenziali 2° trim. 2013 1° sem. 2013 3,6 6,3 13,2 7,2 13,6 5,0 16,7 4,9 6,1 3,2 5,8 10,9 5,8 6,4 5,7 22,0 2,1 0,3 3,1 -1,4 -11,3 -1,7 -9,6 2,9 6,7 12,7 3,8 -1,8 7,2 16,8 3,4 8,3 8,6 3,9 9,6 4,5 -0,4 9,2 14,6 -0,7 0,4 5,7 -0,2 -7,4 -2,0 -7,6 Nota: nella tavola non è riportato il distretto dell’occhialeria di Belluno che presenta dati non coerenti con l’evoluzione sui mercati esteri dell’occhialeria italiana. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Buon ritmo di crescita anche per altri importanti distretti veneti, come la concia di Arzignano (bene in Vietnam, Cina, Hong Kong, Stati Uniti, Portogallo), le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova (Francia, Lituania), l’oreficeria di Vicenza (Svizzera, Hong Kong, Emirati Arabi Uniti), il tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno (Germania, Svizzera, Cina ed Est Europa), i vini del veronese (Austria, Regno Unito, Svezia), le calzature della Riviera del Brenta (Russia, Stati Uniti e Francia), e per alcuni distretti di minori dimensioni come il marmo e granito di Valpolicella (trainanti gli Stati Uniti), le calzature del Veronese (Francia e paesi dell’Est Europa), il mobile d’arte del bassanese (Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Russia). 6 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 65 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 In lieve crescita poi anche la termomeccanica scaligera, il mobile di Treviso, il mobile in stile di Bovolone e i dolci e la pasta veronese. Hanno, invece, chiuso il secondo trimestre del 2013 in lieve calo il grafico veronese e la meccanica strumentale di Vicenza, che pur crescendo sul mercato cinese, è stata penalizzata dagli arretramenti accusati in Germania, e in alcuni mercati emergenti come Brasile, Turchia e India. Più pesante il calo per i prodotti in vetro di Venezia e, soprattutto, per il tessile e abbigliamento di Treviso, in calo ormai da otto trimestri consecutivi. Alcuni importanti distretti della regione hanno maturato performance migliori rispetto ad aree distrettuali localizzate in altre aree italiane. Spiccano, in particolare, il mobile di Treviso (a questo proposito si rimanda al focus presentato nelle pagine che seguono), il prosecco di ConeglianoValdobbiadene, il calzaturiero della Riviera del Brenta. Il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, ad esempio, è il distretto vitivinicolo italiano che tra il 2002 e il 2012 ha performato meglio sui mercati esteri, registrando un aumento medio annuo del suo export pari all’8,6% (Fig. 1.5). A sua volta, la Riviera del Brenta è l’unico tra i principali distretti calzaturieri italiani ad aver recuperato quanto perso nel corso della crisi del 2009. Spiccano, in particolare, le performance della provincia di Venezia, i cui flussi di export nel 2012 hanno toccato un nuovo record storico, distanziando del 6,4% i livelli del precedente picco del 2007 (Fig. 1.6). Fig. 1.5 – Export: variazione % media annua tra 2012 e 2002 Vini del Friuli Fig. 1.6 – Export: distanza rispetto ai livelli pre-crisi (var. % tra 2012 e anno di picco; tra parentesi l’anno di picco pre-2009) 0,0 Vini del Chianti S.Mauro Pascoli (2008) -11,2 1,4 Vini di Franciacorta Montebelluna (2008) 1,8 Vini e liquori della Sicilia occidentale 3,2 Rossi e bollicine di Trento Fermo (2006) 3,4 Vini bianchi di Bolzano -8,7 3,8 -7,0 Padova (2007) Vini del veronese -5,4 5,9 Vini di Langhe, Roero e Monferrato Riviera del Brenta (2007) 7,1 Montepulciano d'Abruzzo 7,7 Prosecco Conegliano-Valdobbiadene Venezia (2007) 8,6 -2 0 2 4 6 8 0,6 6,4 -15 -12 -9 -6 -3 10 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat 0 3 6 9 Riviera del Brenta: Padova e Treviso. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat A livello di sbocco commerciale, hanno mantenuto un buon ritmo di crescita i nuovi mercati, dove i distretti veneti hanno messo a segno una crescita tendenziale delle vendite del 6% (Fig. 1.7). Sono stati trainanti gli Emirati Arabi Uniti (oreficeria di Vicenza e elettrodomestici dell’Inox Valley), Hong Kong (oreficeria di Vicenza e concia di Arzignano), il Vietnam (concia di Arzignano), l’Arabia Saudita (meccanica strumentale di Vicenza) e la Russia (termomeccanica scaligera e calzature della Riviera del Brenta). Nei mercati tradizionali, invece, l’export è tornato a crescere, seppur lievemente, evidenziando un aumento del 2,2%. Questa inversione di tendenza riflette, soprattutto, i segnali di recupero emersi in Francia, Portogallo e Spagna e il nuovo contributo positivo di Stati Uniti, Regno Unito e Svezia. E’, invece, rimasto in territorio lievemente negativo l’export diretto verso la Germania. Su questo mercato gli arretramenti di alcuni importanti distretti (meccanica strumentale di Vicenza, concia di Arzignano, tessile e abbigliamento di Treviso, marmo e granito di Valpolicella, oreficeria di Vicenza), non sono stati compensati dai buoni risultati conseguiti dall’occhialeria di Belluno, dagli elettrodomestici di Treviso, dal tessile e abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno e dalla calzatura sportiva di Montebelluna. 7 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 66 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Fig. 1.7 – Export dei distretti veneti verso mercati nuovi e maturi a confronto (var. % tendenziale) 30 Mercati maturi 25 Nuovi mercati 20 15 10 6,0 5 2,2 0 -5 1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Tab. 1.3 – I 15 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti veneti è stata più elevata (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013 2° trim. 2012 Totale, di cui: 4.413 4.570 157,5 3,6 2,9 Stati Uniti 412 442 29,6 7,2 7,0 Francia 434 460 26,0 6,0 2,7 Emirati Arabi Uniti 89 105 15,9 17,9 29,7 Hong Kong 99 111 11,9 12,1 7,0 Vietnam 9 19 10,1 118,5 99,1 Arabia Saudita 24 34 9,9 42,0 25,3 Regno Unito 244 254 9,5 3,9 4,8 Russia 132 141 9,2 7,0 13,6 Svezia 60 69 8,7 14,4 12,4 Repubblica Ceca 58 66 7,7 13,3 9,6 Sudafrica 21 27 5,9 28,0 26,5 Algeria 8 14 5,4 64,8 37,1 Portogallo 54 59 5,0 9,3 9,3 Romania 125 130 5,0 4,0 2,1 Spagna 178 183 4,9 2,7 -3,1 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Tab. 1.4 – Gli 8 mercati dove il calo delle esportazioni dei distretti veneti è stato più pronunciato (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013 2° trim. 2012 Svizzera 268 258 -10,3 -3,8 -2,0 Australia 44 36 -8,2 -18,4 -15,9 Germania 589 582 -7,6 -1,3 -1,0 Venezuela 11 4 -6,8 -61,0 -45,7 Messico 32 26 -6,0 -18,8 -3,5 Cina 148 143 -5,0 -3,4 -2,8 Egitto 12 10 -2,5 -19,9 -21,4 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Stati Uniti e Francia sono stati i due paesi che hanno offerto il più alto contributo alla crescita dei distretti veneti: dei 157,5 milioni di aumento registrato dalle esportazioni dei distretti veneti tra il secondo trimestre del 2012 e il secondo trimestre del 2013, 55,6 milioni sono stati realizzati in questi due Paesi (un terzo circa). Negli Stati Uniti ha registrato un vero e proprio balzo l’export del mobile di Treviso (+43,2%). Il miglioramento del settore immobiliare americano ha poi 8 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 67 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 sostenuto anche la crescita delle vendite del marmo e granito di Valpolicella, della termomeccanica scaligera e del mobile d’arte del bassanese. Molto bene poi su questo mercato anche il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, la concia di Arzignano e le calzature della Riviera del Brenta. In Francia è tornata a crescere la calzatura sportiva di Montebelluna. Hanno poi mantenuto profilo di crescita sostenuto altri importanti distretti del sistema moda, come l’occhialeria di Belluno e le calzature della Riviera del Brenta. Su questo mercato bene poi gli elettrodomestici dell’Inox Valley di Treviso. Focus sull’industria del mobile in Veneto Le esportazioni venete di mobili hanno registrato una migliore evoluzione rispetto alla media italiana tra il 2008 e il 2012 (Fig. 1). Questo miglior andamento è proseguito nei primi sei mesi del 2013 quando l’export della regione ha mostrato un aumento tendenziale dell’1,4% (vs. il +0,8% nazionale). Tuttavia, le vendite estere venete di mobili non hanno ancora recuperato quanto perso nel biennio 2008-2009: il ritardo rispetto ai livelli di export del 2007 è, infatti, pari al 6,4%; nella media italiana il gap è addirittura pari al 15,2%. Fig. 1 – Export di mobili di Veneto e Italia a confronto (variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente) 15 Veneto 10 9,2 Italia 6,5 5,7 5 3,9 2,6 0,9 1,4 0,8 0 -5 -0,8 -2,8 -10 -15 -20 -20,2 -25 2008 -21,8 2009 2010 2011 2012 1° sem 2013 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Treviso è di gran lunga la principale provincia veneta per livelli di export: nel 2012 il 65% circa delle esportazioni della regione partivano da questa provincia (Tab. 1). Sempre Treviso è la provincia veneta che, insieme a Venezia, ha mostrato la migliore evoluzione tra il 2007 e il 2012: nel 2012, infatti, l’export di Treviso ha interamente recuperato quanto perso nel 2009, riportandosi su livelli di massimo storico sui mercati esteri. Tra i principali distretti italiani, Treviso è l’unico a essersi riportato sui propri record storici. La Brianza, ad esempio, accusa un ritardo del 7,5%, Pesaro del 32,2%, Manzano del 50%, la Murgia del 70%. Tab. 1 – Export di mobili delle province del Veneto (variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente) Milioni di Comp. % Variazione % rispetto al corrispondente Ritardo pre-crisi: euro periodo dell'anno precedente var. % 2012 2012 2008 2009 2010 2011 2012 1° sem. 2013 2012-2007 Veneto, di cui: Treviso Vicenza Padova Venezia Verona 2.230 1.446 323 213 109 107 100,0 64,8 14,5 9,6 4,9 4,8 -0,8 1,2 -3,6 -4,9 -6,0 -4,3 -20,2 -14,5 -32,4 -28,3 -22,1 -24,2 9,2 8,2 7,1 12,1 20,2 11,3 5,7 4,9 5,4 11,6 18,5 -5,0 2,6 2,4 4,8 -5,4 3,0 8,7 1,4 0,4 9,2 -5,0 1,8 5,7 -6,4 0,6 -23,0 -19,4 7,4 -16,6 Nota: sono riportate solo le province venete che hanno esportato più di 100 milioni di euro di mobili nel 2012. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat 9 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 68 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Il gap rispetto ai livelli pre-2009 è molto pronunciato nelle altre due province venete specializzate nell’industria del mobile e sedi di distretti industriali: Vicenza e Padova. Vicenza sconta il crollo del 2009 (-32,4% in un solo anno) e il debole recupero degli anni successivi. Padova, invece, dopo il forte calo accusato nel biennio 2008-2009 e il buon recupero nel 20102011, è tornata in territorio negativo nel 2012, allontanandosi dai livelli di export del 2007. Tab. 2 – Export di mobili della provincia di Treviso (variazione % sul corrispondente periodo dell’anno precedente) Milioni di Comp. % Variazione % rispetto al corrispondente Ritardo pre-crisi: euro periodo dell'anno precedente differenza in milioni di euro 2012 2012 2008 2009 2010 2011 2012 1° sem. 2013 tra 2012 e 2007 Totale Germania Francia Regno Unito Stati Uniti Russia Svizzera Spagna Belgio Svezia Cina Austria Paesi Bassi Canada Emirati Arabi Uniti Polonia Ucraina Arabia Saudita Danimarca Qatar Romania Slovenia Grecia Australia Ceca, Repubblica Giappone Croazia Norvegia Portogallo Turchia India 1.445,8 273,2 244,5 146,4 106,9 105,0 57,2 47,1 38,0 30,6 23,2 20,0 18,2 17,2 17,2 16,7 16,5 14,3 13,3 12,6 12,2 12,0 10,4 10,2 9,2 8,6 8,1 7,4 7,3 7,2 7,1 100,0 18,9 16,9 10,1 7,4 7,3 4,0 3,3 2,6 2,1 1,6 1,4 1,3 1,2 1,2 1,2 1,1 1,0 0,9 0,9 0,8 0,8 0,7 0,7 0,6 0,6 0,6 0,5 0,5 0,5 0,5 1,2 -1,1 3,2 -4,8 -8,9 23,9 -5,4 -12,9 2,8 7,3 59,0 -9,5 -0,2 -17,2 32,6 12,6 33,1 -42,6 -3,7 58,3 11,4 7,8 -5,1 21,4 6,7 -18,5 3,6 6,0 -18,8 -3,0 22,8 -14,5 3,7 2,6 -31,7 -25,2 -28,0 11,9 -31,9 -12,3 -23,4 143,2 3,3 -14,0 -12,0 9,6 -30,1 -36,7 9,8 -27,8 54,8 -26,8 -11,4 -17,4 -0,9 -31,7 23,2 -13,4 -23,7 -6,9 -49,6 17,7 8,2 12,1 4,7 7,9 11,1 -4,9 21,9 44,4 -2,5 20,3 13,8 16,5 -4,9 109,1 -39,1 -15,0 -11,9 71,7 10,2 32,6 -2,6 117,0 -24,1 8,3 45,3 15,1 -20,2 26,6 15,6 7,3 22,2 4,9 3,9 12,7 -3,2 13,9 4,3 13,4 -10,5 6,7 -4,9 55,5 -0,5 -2,3 18,2 16,5 34,1 16,8 20,5 8,4 -25,9 37,0 3,0 -33,2 21,4 12,9 26,3 3,3 -2,9 -18,9 26,5 63,6 2,4 -4,6 -1,7 -2,0 46,6 13,0 13,7 -18,5 -14,4 0,4 27,6 -8,7 -1,6 49,0 38,7 0,2 8,5 31,5 2,2 315,1 -13,0 -22,4 -45,2 -4,6 -4,6 26,8 -7,7 13,6 -17,7 -1,2 -10,6 0,4 -8,8 -2,9 -8,8 51,3 -5,1 7,7 -10,9 -7,9 -5,7 16,1 1,9 -21,3 45,5 67,0 -10,7 -3,3 28,9 -2,6 15,0 -20,1 -63,8 -28,9 24,3 5,1 18,9 -17,7 3,7 82,1 76,0 -22,4 8,5 33,6 45,5 -73,5 22,4 0,1 22,8 -28,3 -9,4 -1,8 20,5 -0,2 -5,0 10,8 5,2 -1,9 -1,0 6,0 -2,4 11,4 -0,7 4,7 -37,3 3,4 1,1 3,9 -3,8 0,8 -5,2 -3,8 4,4 Nota: sono riportate solo le province venete che hanno esportato più di 100 milioni di euro di mobili nel 2012. Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Nel triennio 2009-2011 le imprese della provincia di Treviso hanno consolidato la loro presenza nei loro due principali sbocchi commerciali (Germania e Francia rispettivamente; Tab. 2); successivamente (2012 e prima metà del 2013), le difficoltà incontrate in questi mercati, nel Regno Unito e nei paesi colpiti dalla crisi del debito sovrano (Spagna, Grecia e Portogallo), sono state compensate dall’affermazione sul mercato americano (negli Stati Uniti +46,6% nel 2012 e +51,3% nel 1° semestre 2013; in Canada +49% nel 2012 e +45,5% nel 1° semestre 2013) e in Giappone, e dagli ottimi risultati ottenuti in alcuni importanti nuovi mercati ad alto potenziale: la Cina, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Qatar e, limitatamente al 2012, la Russia. Le imprese di Treviso, pertanto, si sono dimostrate altamente proattive, sfruttando al meglio le opportunità di crescita che si sono di volta in volta venute a creare sui mercati mondiali. Ciò tuttavia non ha impedito loro di sperimentare un forte rallentamento nel 2012 (quando la crescita si è fermata al 2,4%) e, soprattutto, nel primo semestre del 2013 (+0,4% la variazione tendenziale), a causa soprattutto delle crescenti difficoltà incontrate sul mercato europeo (Germania e Regno Unito in primis). 10 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 69 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 1.3 I distretti del Trentino-Alto Adige Nel secondo trimestre del 2013 i distretti del Trentino-Alto Adige hanno mantenuto un buon ritmo di crescita, riportando un aumento tendenziale dell’export pari al 5,4% e facendo nuovamente meglio della media italiana (+3,9%; Fig. 1.8). Fig. 1.8 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale) 30 Trentino-Alto Adige 25 Italia 20 15 10 5,4 3,9 5 0 -5 -10 1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Ancora una volta la regione è stata premiata dalla sua vocazione agro-alimentare, nonché dal balzo delle vendite estere del legno-arredo dell’Alto Adige (+22,6% tendenziale nel periodo aprile-giugno 2013; Tab. 1.5). Nel secondo trimestre l’export di questo distretto ha toccato quota 65 milioni di euro, un valore di massimo storico mai registrato prima grazie al balzo delle vendite in Germania, Austria, Svizzera, Francia e Russia. Tra i distretti agro-alimentari si sono invece distinti i vini rossi e le bollicine di Trento (+10,7%) che sono stati trainati dal mercato inglese, cui si è aggiunto l’importante contributo di Stati Uniti e Germania. Molto bene poi anche le mele del Trentino (+12,4%) le cui vendite sono cresciute soprattutto in Spagna, Libia, Francia e Germania. Hanno poi chiuso in territorio lievemente positivo i vini bianchi di Bolzano (+1,2%) e il porfido di Val di Cembra (+2,2%). Le mele dell’Alto Adige, invece, dopo tre trimestri di crescita a doppia cifra, hanno accusato un lieve calo, che tuttavia lascia in territorio positivo la performance complessiva del distretto nel primo semestre dell’anno in corso. Tab. 1.5 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti del Trentino Alto Adige (i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013) Milioni di euro Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim . 2012 Distretti del Trentino Alto Adige 349 368 18,8 Legno e arredamento dell'Alto Adige 53 65 12,0 Vini rossi e bollicine di Trento 83 92 8,9 Mele del Trentino 19 21 2,4 Vini bianchi di Bolzano 40 41 0,5 Porfido di Val di Cembra 13 13 0,3 Mele dell'Alto Adige 141 136 -5,2 Var. % tendenziali 2° trim. 2013 1° sem. 2013 5,4 22,6 10,7 12,4 1,2 2,2 -3,7 6,7 13,9 9,8 12,8 -0,2 1,9 3,8 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat A livello geografico, i distretti del Trentino-Alto Adige hanno ottenuto performance brillanti in Spagna (+66,9% grazie ai due distretti delle mele), Francia (bene soprattutto il legno-arredo e le mele dell’Alto Adige) e Regno Unito (vini rossi e bollicine di Trento; Tab. 1.6). E’ stato poi nuovamente positivo il contributo offerto dalla Germania, di gran lunga il primo sbocco commerciale della regione. Su questo mercato ha registrato un’ottima performance soprattutto il legno-arredo dell’Alto Adige, seguito dai due distretti del vino della regione. 11 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 70 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Tab. 1.6 – Gli 8 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti del Trentino Alto Adige è stata più elevata (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013 2° trim. 2012 Totale, di cui: 349 368 18,8 5,4 6,7 Spagna 16 27 11,0 66,9 67,5 Germania 109 119 9,8 8,9 7,6 Francia 10 15 5,0 49,7 41,8 Regno Unito 19 24 4,3 21,9 13,6 Svizzera 15 18 2,9 19,9 20,3 Algeria 5 7 1,8 35,2 69,9 Stati Uniti 48 49 1,4 2,9 10,2 Libia 8 10 1,2 13,9 25,7 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Il buon momento dei distretti del Trentino-Alto Adige trova conferma nell’analisi del divario rispetto ai livelli pre-crisi 2009. Questa regione, grazie anche alla sua specializzazione agroalimentare, nei primi sei mesi del 2013 ha evidenziato un aumento delle esportazioni distrettuali pari al 21,5% rispetto al corrispondente periodo del 2008 (Tab. 1.7). Tra le regioni italiane solo l’Umbria ha registrato un andamento migliore. Solo le mele del Trentino accusano ancora un lievissimo ritardo. Spiccano, in particolare, i risultati dei vini rossi e bollicine di Trento (+28%), del legno arredo dell’Alto Adige (+21,4%) e delle mele dell’Alto Adige (+26,4%). Tab. 1.7 – Le esportazioni distrettuali nelle regioni italiane nella prima metà del 2013 rispetto ai livelli pre-crisi Variazione % Variazione % Variazione % tra 1° trim. 2013 tra 2° trim. 2013 tra 1° sem. 2013 e 1° trim. 2008 e 2° trim. 2008 e 1° sem. 2008 Nord-Ovest, di cui: -5,7 -2,2 -3,9 Lombardia -8,2 -4,6 -6,3 Piemonte 3,6 6,3 5,0 Nord-Est -6,4 0,0 -3,2 Veneto -5,8 5,7 -0,4 Emilia-Romagna 0,6 2,4 1,5 Trentino-Alto Adige 16,7 26,6 21,5 Friuli-Venezia Giulia -26,6 -24,3 -25,4 Centro, di cui: 4,6 16,8 10,4 Toscana 13,8 30,3 21,8 Umbria 28,5 36,5 32,4 Marche -17,3 -16,5 -16,9 Sud, di cui: -2,8 4,0 0,4 Puglia -2,0 8,8 3,1 Campania 12,5 13,1 12,8 Abruzzo -43,3 -29,9 -37,4 Totale complessivo -3,9 2,3 -0,8 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat 1.4 I distretti del Friuli Venezia Giulia Il secondo trimestre del 2013 si è aperto con un nuovo calo (il settimo consecutivo) per le esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia (-4,8%; Fig. 1.9). Hanno continuato a soffrire riduzioni delle vendite sui mercati esteri i tre distretti già in difficoltà lo scorso anno: le sedie e i tavoli di Manzano, la componentistica e la termoelettromeccanica friulana e il mobile di Pordenone (Tab. 1.8). A questi si sono aggiunti i vini del Friuli. 12 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 71 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Fig. 1.9 – Evoluzione trimestrale dell’export dei distretti a confronto (variazione % tendenziale) 25 20 Friuli Venezia Giulia 15 Italia 10 3,9 5 0 -5 -4,8 -10 -15 -20 1° 10 2° 10 3° 10 4° 10 1° 11 2° 11 3° 11 4° 11 1° 12 2° 12 3° 12 4° 12 1° 13 2° 13 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Il mobile di Pordenone, con l’eccezione di Germania e Regno Unito, ha sofferto riduzioni di export in tutti i principali sbocchi commerciali e, in modo particolare, in Francia e Stati Uniti. Le sedie e i tavoli di Manzano hanno continuato ad arretrare in Francia e Germania (primo e secondo mercato di riferimento), pur mostrando un’accelerazione dei valori esportati nel Regno Unito e un nuovo balzo delle vendite in Russia. La componentistica e la termomeccanica friulana, pur ottenendo ottimi risultati negli Stati Uniti e in Arabia Saudita, ha subito un nuovo calo, penalizzata dalla riduzione dell’export subito in molti nuovi mercati come Cina, Russia, India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto. I vini del Friuli, infine, hanno accusato cali di export in molti sbocchi commerciali e, in particolare, negli Stati Uniti, in Germania, Polonia, Russia e Canada. Gli altri tre distretti della regione sono andati meglio, riuscendo a conseguire un aumento delle esportazioni intorno al 10%. Il prosciutto di San Daniele ha superato il calo accusato in Germania e Francia con un balzo delle vendite negli Stati Uniti, in Svizzera e in Slovenia. I coltelli e forbici di Maniago hanno consolidato la loro presenza in Germania (prima destinazione commerciale del distretto) e hanno significativamente aumentato i loro flussi diretti verso Austria, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti. Gli elettrodomestici di Pordenone hanno ottenuto risultati ragguardevoli soprattutto sui mercati europei e, in particolare, in Svezia, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Svizzera. Tab. 1.8 – Evoluzione delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia (i distretti sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2é trimestre del 2013) Milioni di euro Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim . 2012 Distretti del Friuli Venezia Giulia 1.268 1.207 -61,1 Elettrodomestici di Inox valley (Pordenone) 74 81 7,0 Coltelli, forbici di Maniago 23 26 2,7 Prosciutto San Daniele 7 8 0,7 Sedie e tavoli di Manzano 116 115 -1,5 Vini del Friuli 22 18 -4,0 Mobile di Pordenone 162 146 -15,9 Componentistica e termoelettromeccanica friulana 864 814 -50,3 Var. % tendenziali 2° trim. 2013 1° sem. 2013 -4,8 9,4 11,9 10,8 -1,3 -18,0 -9,8 -5,8 -4,5 16,7 9,8 6,5 -3,5 -21,0 -14,3 -4,7 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat A livello geografico i distretti friulani hanno maturato buone performance negli Stati Uniti e in alcuni mercati emergenti, come Malesia, Vietnam, Angola, Panama, Repubblica Ceca, Arabia Saudita, Indonesia, Nigeria (Tab. 1.9). In tutti questi mercati ha conosciuto uno sviluppo notevole la componentistica e termoelettromeccanica friulana che, grazie all’acquisizione di importanti commesse, è riuscita a superare almeno in parte i cali subiti in altri paesi emergenti (Cina, Russia, 13 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 72 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 India, Brasile, Tailandia, Ucraina, Egitto, Iraq; Tab. 1.10). Dopo quattro trimestri negativi, si è poi riportato in territorio positivo l’importante mercato tedesco, dove hanno ottenuto ottimi risultati l’Inox valley e il mobile di Pordenone. Tab. 1.9 – I 12 mercati dove la crescita delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia è stata più elevata (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013 2° trim. 2012 Malaysia 1 25 24,4 Stati Uniti 64 84 20,2 31,8 26,0 Vietnam 1 13 12,0 Angola 0 11 11,1 Panama 0 11 10,6 Repubblica Ceca 7 17 10,1 145,5 72,3 Arabia Saudita 22 30 8,4 38,0 8,9 Indonesia 3 10 7,1 261,8 48,4 Nigeria 1 8 6,8 670,5 514,4 Regno Unito 62 69 6,6 10,6 5,6 Bielorussia 5 11 5,4 99,4 91,6 Germania 162 166 3,8 2,4 -3,1 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat Tab. 1.10 – I 9 mercati dove il calo delle esportazioni dei distretti del Friuli Venezia Giulia è stato più pronunciato (in milioni di euro) nel 2° trimestre del 2013 Milioni di euro Var. % tendenziale Differenza tra 2° trim. 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim. 2013 1° sem. 2013 2012 2° trim. 2012 Iraq 26 0 -25,6 -99,2 -87,8 Brasile 31 10 -21,4 -68,1 -48,5 Venezuela 22 2 -20,4 -93,0 -88,4 Russia 68 53 -15,5 -22,7 -18,1 Egitto 20 6 -14,3 -70,6 -54,9 Cina 84 70 -14,0 -16,8 -20,0 India 31 17 -13,4 -43,4 -14,0 Thailandia 27 15 -12,5 -46,3 -28,4 Ucraina 22 10 -12,5 -55,7 -43,8 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat 14 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 73 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 2. L’export dei 3 poli tecnologici del Triveneto nel 2° trimestre 2013 Dall’analisi dell’evoluzione delle esportazioni dei tre poli tecnologici triveneti emerge un quadro solo apparentemente positivo. La chiusura positiva del secondo trimestre del 2013 (+16,1% la variazione tendenziale) è interamente spiegata dal balzo dell’export del biomedicale di Padova negli Stati Uniti che, tuttavia, va letto con molta attenzione anche alla luce dell’elevata volatilità dei dati di export di questo distretto e di alcune incongruenze emerse nell’attribuzione dei dati provinciali relativi ai flussi di strumenti e forniture mediche e dentistiche1. Gli altri due poli tecnologici della regione, l’ICT veneto e l’ICT di Trieste, hanno, invece, subito una lieve riduzione delle esportazioni, in linea con quanto osservato mediamente negli altri poli ICT monitorati da Intesa Sanpaolo. All’ICT di Trieste non è bastato crescere in Germania e negli Emirati Arabi Uniti per compensare quanto perso nel Regno Unito e, soprattutto, in Francia e negli Stati Uniti. L’ICT veneto, invece, ha scontato il pesante calo delle vendite in Austria, Stati Uniti, Polonia e Francia, non compensato dai buoni risultati conseguiti in Svizzera, Regno Unito e Cina. Tab. 2.1 – Evoluzione delle esportazioni dei poli tecnologici nel 2° trimestre del 2013 (i poli sono ordinati per contributo alla crescita delle esportazioni nel 2° trimestre del 2013) Milioni di euro Differenza tra 2° trim. 2012 2° trim. 2013 2° trim. 2013 e 2° trim . 2012 Totale poli tecnologici italiani, di cui: 5.471 6.061 590 Totale poli tecnologici del Triveneto 265 308 43 Biomedicale di Padova 85 133 48 Polo Ict di Trieste 34 33 -1 Polo Ict veneto 147 141 -5 Var. % tendenziali 2° trim. 2013 1° sem. 2013 10,8 16,1 57,3 -1,8 -3,5 8,9 8,0 55,3 -5,7 -15,4 Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat 1 E’ per questi stessi motivi che in questo numero del Monitor non sono stati riportati i dati del distretto dell’occhialeria di Belluno. 15 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 74 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 3. La CIG nei distretti e nei poli tecnologici triveneti I dati relativi agli ammortizzatori sociali confermano il momento di crisi che sta interessando una parte importante del tessuto produttivo locale, soprattutto sul mercato interno, ma anche, nel caso di alcuni distretti, sui mercati esteri. Nei primi otto mesi del 2013 le ore autorizzate di CIG2 (cassa integrazione guadagni) nei distretti tradizionali si sono portate a 25,6 milioni, da 19,3 milioni dell’anno precedente, ritornando vicine al massimo storico toccato nel 2010. Tutte le componenti della cassa hanno registrato un aumento. Spicca, in particolare, il dato della CIG straordinaria (+41,8% la variazione tendenziale)3, attivata per situazioni di crisi strutturale delle imprese, che ha raggiunto quota 12,1 milioni, poco meno della metà del monte ore complessivamente autorizzato (Fig. 3.1). Fig. 3.1 – Monte ore di CIG autorizzate nei distretti industriali del Triveneto (milioni di ore) Fig. 3.2 – Monte ore di CIG autorizzate nei poli tecnologici del Triveneto (migliaia di ore) 36 1.000 gen-ago 2009 gen-ago 2011 24 gen-ago 2010 gen-ago 2012 800 gen-ago 2009 gen-ago 2010 gen-ago 2011 gen-ago 2012 gen-ago 2013 gen-ago 2013 600 400 12 200 0 0 CIG Ordinaria CiG CIG in deroga Straordinaria CIG totale CIG Ordinaria Nota: sono esclusi i distretti agro-alimentari. Fonte: elaborazione su dati INPS CiG CIG in deroga Straordinaria CIG totale Fonte: elaborazione su dati INPS Un balzo importante ha interessato anche la CIG in deroga4 (+58,3%) che è utilizzata soprattutto dalle piccole e piccolissime imprese non coperte dalla CIG ordinaria. Sostanzialmente stabile poi il numero di ore autorizzate di CIG ordinaria5 (+1,2%), richiesta dalle imprese nelle fasi di ripiegamento ciclico. Su livelli più contenuti si collocano le ore di CIG autorizzate nei poli tecnologici: anche in questo caso però si sono osservati segnali di accelerazione, con la CIG totale che, spinta soprattutto dall’ICT veneto, ha avvicinato i livelli di massimo toccati nel 2011. 2 Il dato CIG dei distretti è stato ricavato assegnando a ciascun distretto la specializzazione produttiva fornita dalla banca dati INPS. Poiché i settori di specializzazione INPS risultano talvolta più ampi degli effettivi settori di specializzazione distrettuali, il calcolo del monte ore potrebbe risultare sovrastimato. Si segnala come l’INPS abbia recentemente messo a disposizione i dati di Cassa Integrazione Guadagni ripartiti per classe merceologica Ateco 2002 a 2 digit. E’ stato quindi eseguito l’incrocio tra dati provinciali e categoria industriale ricorrendo a tale classificazione. Si segnala inoltre come il calcolo delle ore di Cassa comprenda, oltre ai settori manifatturieri, anche i settori dei servizi, utile per identificare meglio lo status di alcuni distretti dell’informatica. Quest’ultimo risulta particolarmente importante per fotografare con più precisione la situazione del mercato del lavoro dei distretti tecnologici, come ad esempio, l’ICT veneto. In questo paragrafo non viene considerato il monte ore di CIG dei distretti agro-alimentari. 3 La Cassa straordinaria è adottata quando l’azienda si trova a fronteggiare processi di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o in caso di crisi aziendale, fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria. 4 Sono definiti “in deroga” i trattamenti straordinari di integrazione salariale (CIGD) destinati ai lavoratori di imprese escluse dalla CIGS, quindi aziende artigiane e industriali con meno di 15 dipendenti o industriali con oltre 15 dipendenti che non possono usufruire dei trattamenti straordinari. 5 La CIGO è rivolta alle aziende industriali non edili e alle aziende industriali e artigiane dell’edilizia e del settore lapideo che sospendono o riducono l’attività aziendale a causa di eventi temporanei e transitori quali ad esempio la mancanza di commesse, le avversità atmosferiche. Può essere concessa per 13 settimane, più eventuali proroghe fino a 12 mesi; in alcune aree territoriali il limite è elevato a 24 mesi. 16 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 75 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 4. Le prospettive di breve termine Il 2013 sarà un altro anno difficile per l’economia italiana. Stretta fiscale, condizioni finanziarie ancora tese, nuova contrazione del reddito disponibile reale delle famiglie continueranno a pesare sulla domanda interna. Il commercio estero resterà l’unica fonte di crescita. Il ciclo economico internazionale presenta indicazioni di leggera ripresa, anche grazie al recupero dei flussi commerciali. La crescita mondiale per il 2013 dovrebbe raggiungere livelli simili a quelli dello scorso anno (intorno al +3,0%); solo nel 2014 avremo una ripresa più consistente (vicino al +4%). La crescita sarà trainata dai paesi asiatici, OPEC e dagli Stati Uniti, mentre l’Eurozona rimarrà in recessione. Negli Stati Uniti il freno della politica fiscale verrà controbilanciato dalla politica monetaria fortemente espansiva della Fed, dal graduale riequilibrio dei bilanci delle famiglie e dalla ripresa del settore dell’edilizia residenziale. Nel 2013 nell’Eurozona anche la Germania registrerà una crescita modesta, mentre i paesi periferici subiranno un nuovo e significativo calo del PIL. Il peggio sembra comunque alle spalle. Dopo sei trimestri consecutivi di contrazione, il PIL dell’Eurozona è tornato a crescere nel 2° trimestre, trainato da Germania e Francia. Gli indicatori anticipatori segnalano, inoltre, una svolta del ciclo degli ordini, anche se la ripresa per il momento è ancora trainata dall’export. Ci attendiamo pertanto che la ripresa in corso, seppur debole, prosegua nel secondo semestre, per il momento ancora alimentata dalle esportazioni. Se non interverranno nuovi elementi destabilizzanti, l’Eurozona potrà tornare a crescere nel 2014, quando il freno al ciclo derivante dalla politica fiscale dovrebbe allentarsi e l’accelerazione della domanda mondiale dovrebbe dare nuovo impulso alle esportazioni europee. Anche in Italia iniziano a registrarsi i primi deboli segnali di ripresa. Già da qualche mese, alcuni indicatori anticipatori delle tendenze di medio termine (il leading indicator dell’OCSE o la massa monetaria M1 al netto dell’inflazione) segnalano una possibile svolta ciclica tra fine 2013 e inizio 2014. La fiducia delle imprese manifatturiere (sia secondo l’indagine Istat che in base alla survey PMI) mostra da qualche mese un trend di ripresa. A luglio l’indice PMI manifatturiero è tornato in territorio espansivo per la prima volta dopo due anni. Gli ordini dall’estero continuano a essere trainanti, ma la novità degli ultimi mesi è il minor pessimismo delle imprese anche sulle commesse dal mercato domestico. Permangono tuttavia dei rischi, derivanti principalmente dalle incertezze sulla stabilità e la durata del governo, che potrebbero incidere sulle condizioni finanziarie e la fiducia di imprese e famiglie. Le prospettive di superamento della fase recessiva dell’economia italiana e del Triveneto restano affidate nel breve termine principalmente alla capacità delle nostre imprese di sfruttare al meglio le opportunità di crescita presenti sui mercati internazionali. A questo proposito fanno ben sperare alcune indicazioni che emergono dai dati appena rilasciati dall’Istat sul commercio estero italiano di luglio. L’export di manufatti verso la Cina, infatti, è tornato a correre (+24,5% tendenziale, con risultati particolarmente positivi nel sistema moda e nel mobile, ma anche nella meccanica), mentre le vendite in Russia hanno mostrato segnali di accelerazione (+18%; bene soprattutto la meccanica e l’agro-alimentare). Inoltre, la stabilizzazione del ciclo nei Paesi UE sembra iniziare ad avere effetti positivi sulle esportazioni italiane verso i nostri maggiori partner commerciali: a luglio, infatti, l’export italiano di manufatti verso la Francia e la Germania ha registrato un aumento tendenziale pari all’1,9% e al 2,4% rispettivamente, dopo che nei primi sei mesi dell’anno avevano accusato un calo del 3% e del 4,4%. 17 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 76 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Appendice Metodologica Non è facile monitorare l’evoluzione congiunturale dei distretti industriali. Le uniche informazioni aggiornate disponibili a livello territoriale (provinciale) riguardano le esportazioni espresse a prezzi correnti (dati trimestrali). La congiuntura dei distretti può essere pertanto approssimata in un modo molto grezzo, con un maggiore grado di confidenza solo per i distretti fortemente export-oriented (non ci sono, infatti, dati sul mercato interno) e per quelli che producono beni non troppo specifici (non abbiamo statistiche su micro-settori ad esempio come “coltelli e forchette”…). I distretti analizzati costituiscono una sintesi di quelli individuati dalla Federazione dei distretti italiani, dall’Istat, dalla Fondazione Edison e dalle Leggi regionali che censiscono i distretti stessi. Poiché il presente lavoro ha finalità soprattutto quantitative a livello del sistema distretti nel suo complesso, ci si è concentrati solo sui distretti che potevano essere ben rappresentati dai dati Istat disponibili sul commercio estero a livello provinciale. Vale la pena precisare che i dati Istat provinciali si riferiscono alle export espresse a prezzi correnti e, pertanto, non tengono conto dei fenomeni inflativi, ovvero delle variazioni di prezzo non dovute a miglioramenti qualitativi dei beni prodotti. Questi dati devono, pertanto, essere valutati con cautela poiché l’evoluzione positiva (negativa) dell’export può nascondere aumenti (diminuzioni) di prezzo legati all’andamento delle quotazioni delle materie prime. In questo numero del Monitor l’evoluzione delle esportazioni nel 2012 è calcolata confrontando i dati rettificati nel 2012 con i dati definitivi del 2011. Infine, l’evoluzione delle esportazioni nel 2013 è calcolata confrontando i dati provvisori nel 2013 con i dati rettificati del 2012. 18 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 77 Monitor dei Distretti - Triveneto Ottobre 2013 Le pubblicazioni sui Distretti del Servizio Studi e Ricerche Studi sui distretti industriali Monografie sui principali distretti industriali italiani Il distretto del mobile della Brianza, Marzo 2003 Il distretto del mobile del Livenza e Quartiere del Piave, Agosto 2003 Il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna, Agosto 2003 Il distretto del tessile–abbigliamento di Schio-Thiene-Valdagno, Settembre 2003 Il distretto delle piastrelle di Sassuolo, Dicembre 2003 Il distretto della calzetteria di Castel Goffredo, Gennaio 2004 Il distretto dei metalli di Lumezzane, Febbraio 2004 Il distretto del tessile–abbigliamento di Prato, Marzo 2004 Il distretto del mobile di Pesaro, Giugno 2004 Il distretto dell’occhialeria di Belluno, Settembre 2004 Il distretto della concia di Arzignano, Settembre 2004 Il distretto delle calzature di Fermo, Febbraio 2005 Il distretto tessile di Biella, Marzo 2005 Il distretto della sedia di Manzano, Maggio 2005 Il distretto serico di Como, Agosto 2005 Il distretto della calzetteria di Castel Goffredo (aggiornamento), Novembre 2005 Il distretto dei prodotti in pelle e cuoio di Santa Croce sull’Arno, Dicembre 2005 Il distretto della concia di Arzignano (aggiornamento), Aprile 2006 Il distretto del mobile imbottito della Murgia, Giugno 2006 I distretti italiani del mobile, Maggio 2007 Il distretto conciario di Solofra, Giugno 2007 Il distretto dei prodotti in pelle e cuoio di S.Croce sull’Arno (aggiorn.), Settembre 2007 Il distretto della calzatura del Brenta, Ottobre 2007 Il distretto della calzatura veronese, Dicembre 2007 Il Polo fiorentino della pelle, Luglio 2008 Il distretto dei casalinghi di Omegna, Novembre 2008 Il distretto della calzatura di San Mauro Pascoli, Febbraio 2009 Il distretto metalmeccanico del Lecchese, Giugno 2009 I distretti calzaturieri del sud: Casarano, il Nord Barese e il Napoletano, Settembre 2009 Il distretto della maglieria e dell’abbigliamento di Carpi, Marzo 2010 Il distretto delle macchine agricole di Modena e Reggio Emilia, Marzo 2010 I distretti veneti del tessile-abbigliamento: le strategie per un rilancio possibile, Aprile 2010 L’occhialeria di Belluno all’uscita dalla crisi: quale futuro per il tessuto produttivo locale?, Settembre 2010 La Riviera del Brenta nel confronto con i principali distretti calzaturieri italiani, Ottobre 2010 Il comparto termale in Italia: focus Terme Euganee, Giugno 2011 Il calzaturiero di San Mauro Pascoli: strategie per un rilancio possibile, Luglio 2011 Il distretto della carta di Capannori: Marzo 2012 I distretti industriali e i poli tecnologici del Mezzogiorno: struttura ed evoluzione recente, Giugno 2012 Il mobile imbottito di Forlì nell’attuale contesto competitivo, Novembre 2012 Abbigliamento abruzzese e napoletano, Novembre 2012 Maglieria e abbigliamento di Perugia, Luglio 2013 Monitor dei distretti e Monitor dei distretti regionali Trimestrale di congiuntura e previsioni sui principali distretti industriali italiani Ultimo numero: Settembre 2013 Economia e finanza dei distretti industriali Rapporto annuale sui bilanci delle imprese distrettuali Quinto numero: Dicembre 2012 19 Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 78 Monitor dei Distretti – Triveneto Ottobre 2013 Intesa Sanpaolo Servizio Studi e Ricerche - Responsabile Gregorio De Felice Ufficio Industry & Banking Fabrizio Guelpa (Responsabile Ufficio) Industry Stefania Trenti (Responsabile) Giovanni Foresti (Responsabile Analisi Territoriale) Maria Cristina De Michele Serena Fumagalli Angelo Palumbo Caterina Riontino Ilaria Sangalli Banking Elisa Coletti (Responsabile) Marco Lamieri Tiziano Lucchina Finanza e Servizi Pubblici Locali Laura Campanini (Responsabile) Andrea Olivetto 0287962051 [email protected] 0287962067 0287962077 0287963660 0280212270 0287935842 0280215569 0280215785 [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] 0287962097 0287935987 0287935939 [email protected] [email protected] [email protected] 0287962074 0287962265 [email protected] [email protected] Il rapporto è stato elaborato con informazioni disponibili al 13 settembre 2013 Editing: Elisabetta Ciarini Avvertenza Generale La presente pubblicazione è stata redatta da Intesa Sanpaolo. Le informazioni qui contenute sono state ricavate da fonti ritenute da Intesa Sanpaolo affidabili, ma non sono necessariamente complete, e l’accuratezza delle stesse non può essere in alcun modo garantita. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione ed illustrazione, ed a titolo meramente indicativo, non costituendo pertanto la stessa in alcun modo una proposta di conclusione di contratto o una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario. Il documento può essere riprodotto in tutto o in parte solo citando il nome Intesa Sanpaolo. Intesa Sanpaolo – Servizio Studi e Ricerche 79