Anarchici italiani nella guerra civile
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Anarchici italiani nella guerra civile
Anarchici italiani nella guerra civile L’intervento si articolerà in 4 punti: 1. Situazione del movimento anarchico italiano in esilio 2. Lo scoppio della guerra e della rivoluzione. Al fronte aragonese dall’agosto 1936 3. Il ritorno a Barcellona nell’aprile 1937 e gli scontri del maggio 1937 4. Memorie libertarie controverse nell’Italia dal dopoguerra in poi 1. Situazione del movimento anarchico italiano in esilio 1. A. Tra i militanti libertari nel difficile esilio francese si diffonde una sensazione di grande delusione in seguito al crollo delle attese in un prossimo rovesciamento del fascismo. L’attacco ll’Etiopia dell’autunno 1935, in violazione aperta della Società delle Nazioni, avrebbe potuto significare una crisi internazionale e interna del dominio fascista. Al contrario, la dittatura riesce a fomentare un imprevisto “orgoglio nazionale” e a rafforzarsi mobilitando grandi masse di italiani in sostegno del regime che esce rafforzato. Lo sconforto dei libertari è simile a quello di altre tendenze dell’antifascismo in esilio che si rendono conto della solidità del controllo e del consenso mussoliniani. 1 B. Alla nascita della Seconda Repubblica spagnola nel 1931 si aprono nuovi spazi per il movimento anarchico soprattutto in Catalogna. Qui la forza della CNT garantisce, per alcuni anni, un’accoglienza solidale e un clima sociale favorevole. Perciò un paio di centinaia di attivisti si trasferiscono a sud dei Pirenei. Barcellona si conferma, come aveva detto, con una punta di orgoglio e di critica ad altri movimenti affini, Federica Montseny: “La Mecca dell’anarchismo”. La situazione cambia nel giro di qualche anno per una serie di scontri aperti tra i sindacati della CNT, la Patronal e la Generalitat. Lo stesso Luigi Damiani, uno stretto collaboratore di Errico Malatesta, lascia la capitale catalana dopo qualche mese. Diversi anarchici italiani sono arrestati mentre difendono le sedi sindacali e incarcerati per più mesi e quindi espulsi. Altri operano nell’illegalità con “azioni dirette” di autofinanziamento e alcuni sono uccisi dalla polizia. Nel luglio 1936, dopo la sconfitta elettorale delle forze più reazionarie, qualche decina torna nella metropoli mediterranea e partecipa ai conflitti armati del 19 luglio contro i golpisti. 2. Lo scoppio della guerra civile e della rivoluzione sociale 2 A. La vincente risposta, in parte popolare e in parte di reparti lealisti, che ferma il golpe a Barcellona, anima grandi speranze e spinge verso l’impegno armato immediato. Si varcano di nuovo i Pirenei nella convinzione netta che in Spagna si giochi anche l’avvenire dell’Italia, come afferma con la famosa frase Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia”. In effetti il leader del movimento liberalsocialista di Giustizia e Libertà, che in dibattiti pubblici si era definito “un anarchico del secolo XX”, ha un cruciale punto di convergenza con l’anarchismo: entrambi privilegiano l’”antifascismo d’azione” e rifiutano le tattiche attendiste o legalitarie presenti nell’antifascismo moderato esiliato. Attentati dimostrativi erano stati compiuti, negli anni precedenti, con la collaborazione delle due formazioni sia in Italia che all’estero. 2. B. Camillo Berneri, forse il leader intellettuale e militante del movimento libertario, ha una stretta collaborazione operativa con Rosselli e funge da intermediario per ottenere l’aiuto militare e organizzativo di Diego Abad de Santillan, uno dei dirigenti della CNT-FAI. Nella caserma Pedralbes, ribattezzata Bakunin, si forma il primo nucleo di combattenti antifascisti già tra la fine del luglio e l’inizio dell’agosto 1936. Tra essi vi sono alcuni meno giovani che avevano avuto l’esperienza militare durante la Prima guerra mondiale e che istruiscono i volontari più inesperti. La partenza per il fronte, con l’attraversamento della città tra ali di folla entusiasta, suscita grande soddisfazione nei militanti libertari che costituiscono circa i due terzi della Sezione Italiana della Colonna Ascaso, per lo più conosciuta come Colonna Rosselli. 2. C. Il primo scontro di questo gruppo di poco più di un centinaio di combattenti avviene su una località aragonese, da loro definita “Monte Pelato”, tra Almudevar e Huesca. La vittoria ottenuta respingendo truppe carliste della Navarra, più numerose e meglio armate, è dovuta in parte allo scavo delle trincee realizzato dai compagni più esperti e visto con diffidenza soprattutto dagli spagnoli. Il risultato fa crescere logicamente l’entusiasmo e le prospettive di rapida conquista della cittadella di Huesca e poi della città di Saragozza. Ma anche gli italiani devono ben presto fare i conti con la scarsità di mezzi militari a disposizione, in particolare con la quasi assenza di artiglieria e di aviazione. L’avanzata si arresta al cimitero di Huesca, a un paio di km. dalla città, e lì resta bloccata per alcuni mesi. 2. D. Nei mesi di forzata inattività si evidenzia e si radicalizza la diversa impostazione di tattica e di strategia che fino ad allora era rimasta in secondo piano per le urgenze della guerra. Le disposizioni governative, che intendono sostituire il modello miliziano fondato su base egualitaria e con certa autonomia con una struttura tradizionale a esplicita gerarchia interna e un comando centralizzato, procurano un contraccolpo fatale alla collaborazione che ruotava attorno all’accordo iniziale fra anarchici e GL. Quest’ultima formazione vedeva con favore, o come inevitabile, la trasformazione del modello militare. Tra gli anarchici prevaleva invece il rifiuto di questa misura che per loro avrebbe significato la vanificazione della scelta rivoluzionaria egualitaria e libertaria. In realtà l’esperienza aveva cambiato in alcuni militanti l’atteggiamento antimilitarista e vari combattenti, come Giuseppe Bifolchi o Emilio Canzi, accettarono la militarizzazione come un dato conseguente al prolungamento della guerra. La maggioranza della componente libertaria lasciò il fronte nell’aprile del 1937 per trasferirsi, quasi tutti, a Barcellona e lì continuare quella lotta che li aveva spinti a varcare la frontiera e a mettere in gioco la vita. 2. E. Le vicende intense della Sezione italiana, che giunse ad accogliere più di 600 combattenti, sono state trattate sotto forma di ricordi personali dai giellisti Aldo Garosci e Umberto Calosso e dagli anarchici Umberto Tommasini e Umberto Marzocchi. Varia documentazione su questa formazione sono consultabili all’Archivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia e in parte gli eventi principali appaiono su una specie di diario informale dal titolo “Un trentennio di attività anarchica (1915-1945)” edito negli anni Sessanta. L’evoluzione dell’anarchismo italiano tra le due guerre mondiali è riprodotta da Luigi Di Lembo che dedica un’adeguata attenzione alle vicende spagnole. Ci sono inoltre ricostruzioni biografiche in alcune pubblicazioni dell’AICVAS e in numerosi studi di rilievo locale. Negli ultimi anni un giovane ricercatore, Enrico Acciai, ha considerato i vari aspetti della vita della Sezione Italiana con articoli, alcuni apparsi sulla rivista “Spagna contemporanea”, e con interventi a congressi. 3. Ritorno a Barcellona (aprile 1937-autunno 1938) 3. A. Nella capitale catalana si editava, a partire dall’autunno del 1936, il periodico “Guerra di classe” che era seguito in buona parte da Camillo Berneri. Particolare interessante è che Berneri nell’agosto 1936 volle andare al fronte malgrado i notevoli deficit di vista e di udito. Dopo la battaglia di Monte Pelato gli fu quasi imposto di tornare a Barcellona per mettere le proprie qualità in altre attività più congeniali e utili. Come fu appunto “Guerra di classe”. Questo foglio, di cui uscirono una trentina di numeri, non si limitava a riportare i resoconti dal fronte aragonese, ma si impegnava anche nelle analisi della situazione complessiva in Spagna. E giungeva anche a criticare il ruolo ambivalente della Unione Sovietica quasi unanimente esaltato dalle altre componenti anifasciste come provvidenziale per la resistenza repubblicana. Sul giornale si denunciavano pure le minacce frequenti del PSUC verso il piccolo ma attivo POUM accusato di essere un agente del franchismo. 3. B. L’esplosione delle contraddizioni interne alle forze repubblicane nel maggio 1937 segna anche l’evoluzione dell’intervento dei militanti italiani in un contesto sempre più arduo e conflittuale. Gruppi di anarchici italiani partecipano quindi in prima linea agli scontri del maggio, ma alla fine accettano l’ordine dei vertici della CNT-FAI di sospendere le ostilità. In quei giorni Berneri venne ucciso da un gruppo stalinista come rivendicherà pochi giorni dopo il dirigente comunista Giuseppe Di Vittorio sulla stampa e in pubbliche manifestazioni. I militanti libertari di lingua italiana a Barcellona considerano questa uccisione un attacco frontale al movimento che aveva trovato in Berneri un punto di forza intellettuale e un dirigente organizzativo di rilievo. Tra l’altro, nei suoi rapporti frequenti con i vertici della CNT-FAI, egli aveva espresso critiche all’atteggiamento troppo conciliante della potente organizzazione nei confronti del progressivo accentramento decisionale dei vertici istituzionali e nella riduzione degli spazi dell’esperienza collettivista. 3. C. Il declino dell’egemonia della CNT-FAI in Barcellona si misura anche con gli arresti dei suoi militanti più esposti negli scontri del maggio. A decine si ritrovano nelle carceri repubblicane accusati di aver compiuto reati di natura comune nei giorni attorno al 19 luglio 1936 oppure di aver cercato di ribellarsi alla Generalitat di Companys e al Governo di Azaña nel maggio 1937. Tra essi vi sono anche diversi italiani, come il sardo Tommaso Serra, che resterà recluso per vari mesi. Le pressioni della CNT-FAI sugli organi carcerari e giudiziari, e quindi politici, non riescono a liberare i detenuti se non dopo laboriose e lunghe trattative. Questa debolezza rivela come il potere di fatto dell’anarcosindacalismo fosse in fase di netto ridimensionamento. Il nuovo clima politico e istituzionale spinge un certo numero di militanti a far ritorno in Francia per sfuggire alle pesanti attenzioni delle forze di polizia. Ad esempio ripassa i Pirenei Umberto Tommasini che, tra l’altro aveva rischiato la fucilazione con l’accusa di essere un agente fascista mentre andava a compiere una pericolosa azione di sabotaggio navale. Altri, come Emilio Canzi, restano a combattere e aderiscono alla Sezione Internazionale dell’ex Colonna Durruti, oppure sono attivi nella antimilitarista Columna de Hierro o finanche nella Brigata Garibaldi. 4. Memoria controversa 4. A. L’esaltazione dell’esperienza spagnola sembra rimanere, per decenni, come un dato costante nella propaganda esterna al movimento. Essa si basa su alcuni punti ritenuti di grande importanza: a) la realizzazione, ritenuta molto diffusa, spontanea e solida, delle collettivizzazioni, sia rurali che industriali e quindi la possibile concretizzazione di una società senza Stato né classi; b) il radicamento delle idee anarchiche in una notevole quantità di persone e di ambienti e quindi la prospettiva di espansione del movimento libertario anche in altre situazioni; c) la dimostrazione che, di fronte al fascismo dilagante in Europa, il popolo spagnolo ha potuto prima vincere e poi resistere ad un esercito professionale alleato delle maggiori potenze nazifasciste; d) le capacità di trasformare un movimento spontaneo e antimilitarista come quello anarchico in un organismo combattente con possibili esiti vincenti (“Monte Pelato” è l’equivalente di Guadalajara per le altre forze antifasciste italiane). Questa propaganda si è ripetuta, anche in Italia, ad ogni anniversario del 19 luglio. Soprattutto nelle organizzazioni storiche, come la FAItaliana, tali letture costituivano un punto di riferimento duraturo e quasi inossidabile. Valgano per tutte le memorie di Umberto Marzocchi, per molto tempo delegato italiano a livello internazionale. 4.B. Al di là di queste affermazioni, in fin dei conti prevedibili e che rispondevano agli attacchi frequenti del PCI che denunciava l’inefficienza anarchica del 1936-39, si è diffusa col tempo una serie di critiche e di distinguo che hanno modificato la precedente versione propagandistica. Ad esempio, un militante come Pio Turroni, presente in molte situazioni pericolose e delicate nel 1936-39, tra le quali le giornate del maggio barcellonese del 1937, intende sfidare la suddetta interpretazione semplicistica parlando di una specie di malattia diffusa nell’anarchismo italiano: la “spagnolite”. Egli, come altri militanti vicini alle tendenze antiorganizzatrici, ritiene che l’aver rinunciato a far valere la propria forza a tutti i livelli aveva portato alla subordinazione della CNT-FAI alla logica del collaborazionismo e della subordinazione allo Stato. Questa scelta avrebbe finito con l’indebolire la forte identità del movimento, sia spagnolo che italiano, intruppandolo in un sistema istituzionale che confliggeva con i principi antiautoritari. A questa critica si potrebbe aggiungere quella di un altro italiano che visse da vicino la lotta in Spagna e che scrisse sotto uno pseudonimo inglese: Vernon Richards. Dal suo punto di vista, l’opzione ministeriale fu la conseguenza del prevalere delle dimensioni di massa, in particolare sindacali, che alimentarono pratiche di delega e di fiducia quasi cieca nelle scelte dei dirigenti. Secondo Richards non ci fu una protesta contro l’ingresso nel governo di 4 esponenti della CNT-FAI, in quanto la base si era ormai abituata a seguire con troppa fiducia le scelte dei vertici. 4.C. Le riflessioni critiche, sempre dentro il movimento di lingua italiana, hanno pure messo in evidenza un altro problema centrale: quello del rapporto tra le idee e ideali umani dell’anarchismo e l’uso massiccio della violenza praticato in Spagna. Questa violenza derivava sia dal contesto bellico che dalla volontà di raggiungere, anche con mezzi incoerenti con i fini, l’abolizione del capitalismo e dello Stato. Al termine di queste riflessioni, riporto il pensiero sintetico e pratico del fabbro triestino Umberto Tommasini di fronte alle critiche, prevalenti negli anni Settanta, verso la scelta filogovernativa: “Bisogna trovarsi in quelle circostanze per valutare quale sia la via giusta e quella sbagliata”. Una spruzzata di buon senso, forse un po’ semplicistico, ma che serve per giudicare i comportamenti di ogni movimento in questa come in altre circostanze storiche. ClaudioVenza