Guglielmo VII - Castelli Aperti

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Guglielmo VII - Castelli Aperti
Mappa del Marchesato e dei territori limitrofi nel 1255
Ci sono figure che hanno attirato l’attenzione d’illustri studiosi ma che nella loro
terra restano semi sconosciute, spesso avvolte di un’aurea leggendaria che prevale
su gesta che hanno invece sollecitarono l’interesse dei contemporanei.
Uno di questi casi, sicuramente tra i più eclatanti, è quello del marchese Guglielmo
VII - tra i più illustri principi del Duecento - che meritò l’immortalità grazie ai versi
che gli dedicò Dante Alighieri nel VII canto del Purgatorio. Malgrado ciò la fama del
“Gran Marchese” resta confinata all’episodio più inglorioso della sua esistenza: la
cattura, con l’inganno, e la prigionia “in una gabbia” che segnò la fine della sua
esistenza. Davvero poca cosa se confrontata a un arco temporale di una trentina di
anni in cui Guglielmo recitò un ruolo da protagonista nell’Italia nord occidentale,
divenendo signore o capitano d’importanti Comuni quali Alba, Alessandria, Asti,
Brescia, Como, Cremona, Genova, Ivrea, Lodi, Mantova, Milano, Novara, Pavia,
Torino, Vercelli, Verona; svolgendo un’incessante attività politica anche in ambito
francese e spagnolo e ponendo le basi, attraverso il matrimonio della figlia, per la
venuta in Monferrato dei Paleologo, imperatori di Bisanzio.
Queste poche righe credo dimostrino l’opportunità di avviare un lavoro di riscoperta e di ricerca dedicato a Guglielmo VII teso a coinvolgere non solo il mondo degli
eruditi ma anche, e soprattutto, di chi intende conoscere la storia del territorio in cui
vive e gli episodi che posero quel mondo all’attenzione delle potenze dell’epoca; ed
è a queste persone che lo scritto di Giancarlo Patrucco si rivolge. Con taglio divulgativo ma scientifico, Patrucco ricostruisce alcuni – tutti non sarebbe stato possibile in
queste poche pagine – degli aspetti più importanti dell’esistenza del Marchese,
cercando di cogliere il “respiro ampio” delle sue gesta.
Guglielmo VII non fu solo il Signore di una piccola realtà territoriale, ma un uomo
con un grande progetto: quello di diventare il punto politico di riferimento in
un’area sovra regionale; il progetto riuscì solo in parte, le ristrettezze economiche in
cui si dibatteva il Monferrato nel Duecento non potevano consentirgli di rendere
concreto il suo sogno, ma di sognare sì.
Cogliendo i molti spunti che la figura di Guglielmo VII ci offre, dedicheremo il 2014,
anno in cui ricorre il decennale della fondazione della nostra Associazione, a un fitto
percorso d’incontri e di pubblicazioni dedicate, non solo all’insigne marchese ma,
anche al tema del Monferrato nella Letteratura, ricollegandoci alle parole del
“sommo Poeta” per giungere fino agli Autori dei nostri giorni che dedicarono i loro
scritti al Monferrato, narrandone i momenti di gloria e le difficoltà.
Nell’augurarvi una piacevole lettura, vi invito a visitare il nostro sito internet
www.marchesimonferrato.com nel quale troverete molti approfondimenti di carattere storico e il costante aggiornamento delle iniziative dedicate al Gran Marchese
alle quali siete calorosamente invitati a partecipare.
Il presidente del Circolo Culturale
I Marchesi del Monferrato
Roberto Maestri
Finito di stampare nel mese di aprile 2014
Progetto grafico e ricerca iconografica:
Carlo Ponzano - Polyartstudio
Supervisione e coordinamento
Roberto Maestri - Marchesi del Monferrato
Gran Marchese
DI Monferrato
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200
4 - 201
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Sarebbe azzardato pensare di esaurire in queste
poche pagine la complessità della figura di Guglielmo VII, Gran Marchese di Monferrato. E sarebbe
sbagliato credere di poterlo fare, ricorrendo esclusivamente a una narrazione cronachistica del suo
agire. Ne risulterebbe un lavoro affastellato, greve
e di difficile lettura, perché l’uomo è stato appunto
grande e le vicende che lo hanno visto coinvolto altretStemma
tanto
grandiose e complicate. Procederemo, dunque,
degli Aleramici
a narrarne la storia, chiarendola intorno a quelli che
di Monferrato
riteniamo gli elementi fondamentali del suo operato, che sono poi quelli
comuni a molti dei protagonisti del secolo in cui ci ritroviamo: l’approccio
dinastico, quello diplomatico, quello politico e, ultimo ma nient’affatto tale,
quello militare.
Integrandoli, in un’analisi a volte differenziata, ma comunque unitaria,perché
è soltanto attraverso l’intreccio di questi quattro elementi che potremo ricostruire - pur nell’esiguo spazio che ci è qui consentito – il percorso storico del
Gran Marchese. Percorso per nulla rettilineo, bensì frastagliato e sfaccettato
com’erano d’altronde le vicende di quei tempi.
Luciano Viola
Cominceremo, cercando di inquadrare l’inizio della sua avventura, anche
se le date non sono del tutto certe e, i riferimenti di qualche storico, che se
n’è occupato, risultano da calcoli un po’
avventurosi. Per esempio, il Tricerri:
L'anno preciso della nascita di lui è
incerto, e lo si può soltanto congetturare
da due dati che ci riconducono a produrre un' epoca approssimativa. Il primo
è l'atto di matrimonio tra Bonifacio II
e Margherita, figlia secondogenita di
Amedeo IV, conte di Savoia, atto che
viene citato dal Sangiorgio e riportato
integralmente dal Guichenon. Questo
breve, ma importante trattato, è del 9
dicembre del 1235, e viene stipulato in
Chivasso…
… L'altro dato, dal quale si può pure
arguire l'anno di nascita di Guglielmo,
vien fornito dall'atto del matrimonio
contratto da Guglielmo stesso, atto
Chivasso
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Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Albero genealogico dei Marchesi del Monferrato. Il ramo aleramico è a destra
fattosi similmente in Chivasso, nella casa dell'abate di Lucedio, nel 1257.
In esso parlasi di questo marchese, il quale allora passava i 14 anni di età.
Quindi Guglielmo sarebbe certamente nato fra il 1236 e il 1242. Tuttavia è
da preferirsi il 1236 perchè possiamo con ragione credere che egli, appena
raggiunta l'età maggiorenne di anni 21 (cioè nel 1257), pensasse subito a
scegliersi una compagna sul trono, come si dirà in seguito.
SALVATORE TRICERRI, Il grande marchese di Monferrato,
RSAA, 1908, (in due fascicoli) fasc. I, pag. 32
Ma a rimettere le cose a posto pensano Settia:
Guglielmo nacque intorno al 1240 dal marchese
di Monferrato Bonifacio II e da Margherita
di Savoia, poco dopo la sorella Alasina, poi
moglie di Alberto di Brunswick… Il (suo) primo
atto ufficiale, compiuto il 12 giugno 1254, fu il
rinnovo del giuramento di fedeltà per i luoghi
che i marchesi di Monferrato tenevano in feudo
dal vescovo di Ivrea, atto che ripeté, non appena
uscito di tutela, nel gennaio 1257.
ALDO A. SETTIA, Guglielmo VII, in Dizionario Biografico degli
Italiani, 60, Roma 2003, pp.754-769.
Le Origini
Stemma
di Margherita di Savoia,
madre di Guglielmo VII
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e Bozzola:
Che a Guglielmo fosse applicato, come termine
della minorità, il quattordicesimo anno, si può dedurre dall'assicurazione che fa l'abate dì Lucedio
all'atto del suo fidanzamento con Isabella di Gloucester, nel 1257, che esso marchese eccedeva l'età
di quattordici anni» (Benvenuto Sangiorgio, 390)
ANNIBALE BOZZOLA, Un capitano di guerra e signore subalpino. Guglielmo VII di Monferrato (1254-1292).
Torino 1920 [estratto da “Miscellanea di Storia Italiana”, 19 (1920),
3 serie, p. 299 nota 3.
Stemma familiare
di Isabella di Gloucester
Quindi, nel 1257, Guglielmo esce dalla tutela della madre e anche dalla cura
dei tutori che suo padre Bonifacio aveva assicurato a garanzia dell’integrità
del Marchesato: Tommaso di Savoia, Giacomo del Carretto, lo zio naturale
Bastardino e i Comuni di Asti e di Pavia, cui è affidata la protezione delle
terre e dei vassalli.
Questo elenco è indicativo delle traversie che il giovane Guglielmo è destinato a incontrare in una vita d’intrighi e di battaglie, ma anche sintomatico dei
guai che il Marchesato sta attraversando in quel momento. Basta guardare
una carta dell’epoca e scorrere le cronache del tempo per rendersene conto.
Le grandi gesta compiute in Terrasanta
da Guglielmo V il Vecchio e dai suoi
figli, Guglielmo Lungaspada, Ranieri,
Corrado, Bonifacio, fanno brillare
il blasone dei Monferrato in tutti i
consessi europei. La difesa di Tiro, la
conquista di San Giovanni d’Acri, i
matrimoni e le morti, chi per pugnale
chi per veleno, rapiscono la fantasia
dei giovani rampolli e fanno brillare
gli occhi delle giovinette in ogni corte.
La fama è tanta che, nel 1204, Bonifacio I di Monferrato viene designato a
comandare la Quarta Crociata, quella
che doveva espugnare Gerusalemme
e, invece, saccheggia Bisanzio.
Corrado di Monferrato
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Però, tutte queste nobili imprese portano
con sé anche alcuni, prosaici, risvolti.
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Sentiamo cosa ne dice uno specialista come Haberstumpf:
Se a partire dal diploma di
Ottone I del 967, con cui
furono concessi ad Aleramo
quindici corti, si può parlare
di una stretta connessione tra i
marchesi e il Monferrato, è pur
vero tuttavia che la configurazione di detto territorio rimase
incerta fino ai primi decenni
del secolo XII…
…Proprio allora il marchese
Guglielmo il Vecchio cercò di Nomina di Bonifacio I a comandante della IV Crociata
Versailles - Salles des Croisades
dare ordine a queste terre di
tradizione famigliare, nel tentativo di costituire un insieme politico quanto
più geograficamente omogeneo destinato a durare nel tempo…
…Vanificati i progetti in Terrasanta e perso il regno di Salonicco, i marchesi
si limitarono a una pratica di politica matrimoniale con i lignaggi d’Oriente
che potremmo definire di routine e da cui null’altro si proponevano, forse, se
non di ricavare meri vantaggi diplomatici.
A ciò non fu estraneo, senza dubbio, l’enorme dispendio di denari, mezzi
e uomini necessari per le loro imprese che compromise le finanze del marchesato, al punto che viene da chiedersi se la frammentarietà geopolitica
propria delle terre aleramiche non sia dipesa, in qualche misura, anche
dalle loro costosissime imprese oltremarine...
WALTER HABERSTUMPF, Dinastie europee nel Mediterraneo Orientale,
Torino, Scriptorium, 1995, pp.19,20,23.
1204 - IV Crociata, assedio di Costantinopoli - Tintoretto - Palazzo Ducale a Venezia
Le Origini
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1066 - La Battaglia di Hastings
(Arazzo di Bayeux - Centre Guillaume-le-Conquérant di Bayeux)
Ecco. Così cominciamo ad avere una prospettiva più chiara delle difficoltà
che si trovarono di fronte Bonifacio II e poi suo figlio Guglielmo, dopo
l’ebbrezza delle avventure d’oltremare. Un territorio essenzialmente rurale,
con una città di riferimento come Chivasso, marginale nel contesto geografico del marchesato e insignificante al confronto delle grandi città d’Europa e
della Penisola, che conoscevano in quegli stessi decenni uno sviluppo demografico rigoglioso. Di qui, uno Stato ancora integralmente feudale, di là un
mondo in piena, se pur litigiosa, espansione.
Ancora nel secolo XI, erano i vescovi ad abitare le città, mentre i nobili
signoreggiavano sui loro domini feudali dai castelli e dalle rocche che punteggiavano il panorama collinare e dagli acrocori da cui si dominavano gli
accessi e i transiti di pellegrini e mercanzie. Ma, già nel secolo successivo,
l’espansione delle città attrae al loro interno nuovi gruppi sociali, fatti di
piccolo nobilato e di piccoli proprietari terrieri, cui occorre aggiungere il
maggior peso esercitato da artigiani e commercianti, che vedono crescere
le loro attività e i loro profitti. Si costruiscono magioni di pietra, torrioni,
rocche, e si edificano mulini, depositi, magazzini, esercizi commerciali
per lo scambio e la vendita all’ingrosso come al minuto.
A fronte dei diritti feudali che gli antichi Signori si sforzano di esercitare,
stanno le rendite che circolano, prima nei palazzi consolari e poi in quelli podestarili, la nascita di nuovi borghi franchi, il dissodamento di nuovi terreni,
la scoperta di nuove tecniche per la filatura, la cardatura e la coloritura dei
tessuti. Le cerchie delle mura cittadine divengono sempre più ampie e più
robuste. Le milizie si fanno meglio armate e, quando non bastano, si possono
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Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
prendere a soldo mercenari e berrovieri.
La Penisola soffre, poi, di alcuni mali antichi: lo Stato della Chiesa la taglia
in due come un’invalicabile muraglia. A Roma risiede il Papa e da quel
soglio dipendono i destini di tutti i pretendenti alla corona imperiale. Che
sono tanti, per via degli incroci parentali disseminati nell’intera Europa, ma
tutti ugualmente bramosi dell’investitura.
In Spagna, in Francia, in Inghilterra, in Germania, agli albori del secondo
millennio si assiste a un progressivo riassorbimento delle spinte frazionistiche maturate dopo la caduta dell’impero Carolingio. Tra il 1035 e il 1150,
una buona metà della penisola iberica è ricondotta sotto il dominio cristiano
e divisa in quattro regni: Portogallo, Castiglia e Leon, Navarra e Aragona.
Dopo la vittoria di Hastings, il 14 ottobre 1066, Guglielmo il Conquistatore
schiaccia la successiva rivolta degli anglo-sassoni e mette insieme un regno
poderoso. In Francia Luigi VI combatte duramente contro i principati locali
e contro Enrico I d’Inghilterra, ma già agli inizi del 1100 si avvia un processo di riorganizzazione che porterà all’individuazione di centri di potere più
forti e più definiti. In Germania la riunificazione passa attraverso la dinastia
sassone di Ottone e poi di quella salica di Enrico. Gli eventi bellici principali sono quasi interamente rivolti alla penetrazione dei confini orientali e alla
conservazione del regno d’Italia, con frequenti calate a sud per controllare
quel ganglio vitale dell’impero.
Insomma, come osserva Contamine:
…il periodo 1150-1300 conobbe a diverse riprese, e su aree geografiche
molto vaste, periodi di pace quasi completa…
Ma, nella Penisola non va allo stesso modo:
l’Italia centro-settentrionale fu teatro di ripetuti tentativi degli imperatori
1066 - La Battaglia di Hastings
(Arazzo di Bayeux - Centre Guillaume-le-Conquérant di Bayeux)
Le origini
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germanici per ristabilirvi il loro dominio.
L’insediamento della
dinastia angioina nel
regno di Sicilia, le
sue difficoltà dopo i
Vespri Siciliani (1282)
provocarono a loro
volta aspri conflitti.
E per tutto questo periodo, su scala locale o regionale, non cessarono
di combattersi Guelfi
e Ghibellini. In breve,
I Vespri Siciliani
Francesco Hayez: - Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma
le ambizioni straniere
(tedesche, francesi, aragonesi), il frazionamento politico, le rivalità commerciali, specialmente acute in questo epicentro del rinascimento economico,
fecero sì che l’Italia dei secoli XII e XIII conoscesse un elevato stato di belligeranza.
PHILIPPE CONTAMINE, La guerra nel Medioevo,
Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 101-102
Di fronte a una situazione siffatta, Guglielmo sa che ha bisogno di sostenitori
altolocati per ottenere il supporto degli uomini e dei mezzi che gli mancano e
sa che tutte le risorse devono essere indirizzate verso l’espansione. Solo uno
Stato più forte e più coeso, capace di intessere una fitta rete di colleganze con
i poteri che lo circondano, sarà in grado di misurarsi da pari a pari nel contesto locale e nel consesso europeo. La creazione di uno Stato del genere diventerà il suo punto di riferimento e la stella polare che guiderà costantemente il
suo cammino.
Vedremo come, ma già lo si intravede quando è appena agli inizi e nel 1258
sposa Isabella de Clare, figlia di Richard de Clare, conte di Gloucester, che,
grazie al secondo matrimonio della madre, diventerà figliastro di Riccardo
di Cornovaglia. Quel Riccardo il quale, oltre ad essere fratello di re Enrico
III d’Inghilterra era pure cognato dell’imperatore Federico II e, dunque, uno
dei legittimi pretendenti alla corona imperiale.
E’ vero che l’interesse per quelle nozze è anzi tutto dei Savoia, che appoggiano Riccardo per amicizie, parentele e comuni interessi. Margherita, la madre
e tutrice di Guglielmo, viene da quella casa, ma il suo consenso a quel matri
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Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
monio è senz’altro dettato anche dalla
volontà di portare giovamento al suo
giovane figlio e al difficile compito che
lo aspetta.
Invece, la candidatura non va a buon
fine. Il collegio elettivo del Sacro
Romano Impero non riesce a districarsi tra Riccardo e Alfonso di Castiglia.
Di conseguenza, nonostante entrambi
ottengano il titolo di Re dei Romani,
nessuno dei due riesce a imporsi.
Intanto, sulla scena politica europea
è apparsa una nuova stella: quella di
Papa Urbano IV (1195 – 1264)
Carlo d’Angiò, figlio del re di Francia
Louvre - Parigi
Luigi VIII e fratello di Luigi IX il
Santo. A Roma è scoppiato un contrasto fra papa Urbano IV e il re di Sicilia
Manfredi, voglioso di estendere il suo dominio all’intera Penisola. La politica del papato è immutata da secoli: nessun vicino al soglio pontificio deve
ingrandirsi tanto da poter costituire una minaccia per lo Stato della Chiesa.
Papa Urbano cerca vanamente un’intesa con Manfredi, poi lo scomunica,
offrendo il regno di Sicilia proprio a Carlo d’Angiò e lanciando una specie
di crociata contro i suoi due procuratori generali in Lombardia: Oberto
Pelavicino signore di Piacenza e il
famigerato quanto efferato Ezzelino
da Romano.
Carlo I d’Angiò
Arnolfo di Cambio - Musei Capitolini, Roma
Alessandria
In questo contesto, mentre il Pelavicino riesce a scamparla con una giravolta degna di quei tempi, per Guglielmo
è in arrivo una grande occasione:
Alessandria. Le furibonde lotte per la
conquista del potere cittadino vedono
tra le parti contrapposte quelle dei
Lanzavecchia e dei del Pozzo. Per facilitare la comprensione di chi legge,
diremo che i primi erano Ghibellini
e i secondi Guelfi, anche se il valore
di tale distinzione avrebbe bisogno di
qualche approfondimento.
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In quanto agli aspetti politico-militari
della conquista, lasciamo parlare Bozzola:
Anche nel quinto decennio del secolo
Alessandria fu sempre agitata da
torbidi interni, e quando Guglielmo
vi si mescolò, erano stati banditi
dalla città Pagano del Pozzo e i suoi
aderenti. Appunto per riconquistare il
dominio della città i fuorusciti non esitarono a sacrificare con gli avversari
Stemma della famiglia Del Pozzo
anche l'indipendenza del comune, e
invocarono l'aiuto di Guglielmo. Le condizioni dell'accordo furono fissate
il 27 settembre 1260. I del Pozzo proponevano al marchese di impadronirsi
di Alessandria, chiedevano di essere sostenuti e difesi insieme coi loro
alleati, i fuorusciti di Tortona e di Acqui, gli interdicevano ogni rapporto
con Alessandrini che non fossero fautori dei del Pozzo. Per questi servizi
lo avrebbero creato — lui e gli eredi — capitano e signore di Alessandria,
gli avrebbero riconosciuto i diritti che vantava su luoghi tenuti da Alessandria, e il podestà sarebbe stato eletto dietro suo consiglio. Guglielmo entrò
presto con la forza in Alessandria, bandì il partito dei Lanzavecchia e investì gli Alessandrini di tutti i beni che gli avevano dato a titolo di donazione,
ricevendone per sè e per gli eredi, il giuramento di fedeltà.
BOZZOLA, Un capitano di guerra… cit., p. 308.
A noi non resta che
aggiungere
come
Manfredi di Svevia
approvi e il suo vicario Bernardo di Arnario confermi i diritti
dei Monferrato sulla
città, però, poiché
si tratta della prima
grande impresa di
Guglielmo, vorremmo aggiungere alle
questioni politiche
anche una nota narrativa. La prendiamo
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Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
dalla storia romanzata di Guglielmo VII, scritta da Mario Granata nel 1934.
Non sfuggirà ad alcuno l’evidente intenzione agiografica del testo, tipica
del ventennio fascista. Se non altro, però, il racconto ci permette di cogliere
Guglielmo proprio nel pieno dell’azione.
In tempi normali, nella casupola che sorgeva alla testa del ponte, sulla riva
destra, sei gabellieri montavano la guardia di notte perché nessuno potesse
passare frodando le some e i pedaggi dovuti. Ma ora, da quando i Pozzi e i
Guasco erano stati banditi, il presidio era di dodici uomini: sei montavano la
guardia sulla riva sinistra e stavan riparati nella tuga del vecchio traghetto,
quello che quando non esisteva il ponte serviva a congiungere le due sponde
se il fiume non era in piena. Tanto la casetta quanto la tuga avevano da tre
lati una finestrella, e dal quarto una porticina chiusa da due assi sgangherati; dentro, su di un pancone, dormicchiavano le guardie, imbacuccate nelle
rozze coperte di lana di pecora loro fornite dagli Umiliati di San Rocco, che
erano esonerati da ogni altro balzello.
MARIO GRANATA, Guglielmo Lungaspada (Guglielmo VII di Monferrato),
Paravia, 1934, pp. 29-40, p. 44.
Ci vuol poco agli uomini di Guglielmo per aver ragione di quel presidio precario. Ma, improvvisamente, dalla parte di Bergoglio scoppia un incendio
che è intercettato dalla vedetta
sul campanile di Santa Maria
di Castello, la quale suona le
campane a martello. Subito fanno
eco le campane delle altre chiese
e quella del Comune, a segnalare
una minaccia ben più grave:
La milizia comunale è accorsa
alla piazza della podesteria,
ha formato i ranghi, accorre
al foro boario divisa in due drappelli, che pigliano per diversa
strada…All’imbocco di via degli
Orti, via del Castello, via S.
Rocco e via Sant’Ubaldo avviene
lo scontro con i monferrini.
Scaramuccia di poca importanza,
perché il nemico non è tracotante,
non è neppure violento, attende lo
Alessandria, chiostro e campanile
scontro in posizione di difesa, ed
di Santa Maria di Castello
Vicende alessandrine
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invita alla calma ed alla pace.
GRANATA, Guglielmo Lungaspada…
cit., p. 45.
Quindi si fa avanti Guglielmo, affiancato da Pagano del Pozzo, e dice parole
rassicuranti.
A quelle parole un mormorio di approvazione si alzò dalla folla. – Alla podesteria! Alla podesteria! – si gridò da
ogni parte…. Il popolo fece ala al passaggio lungo le contrade dei Tessitori e
dei Mercanti; poi affollò la piazza come
per una festa. Era giorno appena. Alla
torre della podesteria fu ammainato il
grande gonfalone rosso crociato.
GRANATA, Guglielmo Lungaspada… cit., p. 46.
Tutto vero, o almeno verosimile?
Attraccato alla riva sinistra, proprio nei
pressi del ponte, esisteva sicuramente il barcarozzo che serviva un tempo da
traghetto, così come dovevano esserci gabellieri alla porta della riva destra.
L’incendio divampato in Bergoglio appare meno verosimile, considerando
che quel borgo era da sempre ricetto dei Pagano e dei Trotti che in quel
momento accompagnavano le truppe di Guglielmo con loro milizie. Torna
a essere verosimile la descrizione del tragitto fino alla piazza del duomo e
della podesteria.
Del tutto inventata, invece, la ricostruzione
dell’incontro-scontro, dell’entusiasmo della folla
e dell’ammainamento del gonfalone cittadino
alla comparsa di Guglielmo. Ma, come abbiamo
già detto, l’intento di esaltare il giovane condottiero è evidente.
Manoscritto raro: una pagina
degli Statuti di Alessandria del 1179
Bella impresa, comunque, che prevedeva anche
la conquista di Acqui e di Tortona, sempre con
l’aiuto di fuorusciti. Ma le cose vanno in modo
del tutto diverso. Oberto Pelavicino, scampato
alla crociata, è più in auge che mai. Nel novem
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Stemma della famiglia
Pelavicino
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
bre del 1261, Enrico di Scipione occupa Tortona in nome di Oberto. Passano
pochi mesi e, nella primavera del 1262, Bernardo di Arnario rompe il patto siglato con Guglielmo e occupa Alessandria con l’aiuto di duecento mercenari
tedeschi al soldo di re Manfredi, richiamando in città i Lanzavecchia.
Per il giovane Guglielmo una sconfitta bruciante, la consapevolezza di
avere nel Pelavicino un temibile avversario e un ammonimento: non c’è
spazio per lui tra le file ghibelline. Meglio vedere come si mettono le cose,
per decidere poi il passo da fare. E, nella primavera del 1264, il momento
pare irrevocabilmente giunto: Manfredi è sempre più debole, mentre Carlo
d’Angiò sta per scendere in Italia. Guglielmo allora si reca ad Alba, città
dichiaratamente angioina, e stipula un’alleanza col siniscalco di Carlo in
Lombardia, Bertrando del Poggetto. Il Pelavicino reagisce duramente, ma
Guglielmo ha la meglio. Nello stesso anno prende il controllo di Acqui, di
Novi e di Nizza. Intanto, Carlo d’Angiò acquista un nuovo, potente alleato
in Filippo della Torre, signore di Milano. Gli stessi Torriani, fieri ghibellini
e parte avversa dei della Torre, si piegano agli eventi. Così, l’esercito angioino si trova la strada spianata quando scende
dal colle di Tenda per proseguire la sua marcia
verso il Sud e travolgere l’esercito di Manfredi.
Però, mentre Carlo d’Angiò debella Manfredi e
poi il povero Corradino a Tagliacozzo, Guglielmo non riesce a trarre dall’angioino i vantaggi
sperati. Ha bisogno di uomini, o almeno di
mezzi per arruolarli, ma Carlo gli lesina questi
e quelli. Sono anni di alti e bassi. Conquista la
fiducia dei Fallabrini, rappresentanti del partito
guelfo di Pavia, che tiene in custodia Tortona
Stemma della famiglia
per incarico di Oberto Pelavicino. Così, quando
Della Torre
i Fallabrini riescono a cacciare gli avversari da
Pavia, Guglielmo ottiene la signoria tortonese. Ma non riesce a prendere
Ivrea e si trova i Vercellesi come avversari.
Quando, nell’autunno del 1269, Carlo d’Angiò convoca a Cremona i signori
delle principali città lombarde per porre le condizioni del suo dominio, i
Torriani, i Fallabrini e Guglielmo dichiarano il loro dissenso, dicendosi
disposti ad accettarlo come amico, non come signore. Ma già pochi mesi
dopo i Torriani cambiano parere e gli giurano fedeltà, lasciando Guglielmo
sempre più solo.
Vicende italiane
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GLOUCESTER
1258 Isabella - matrimonio
SAINT MAURICE
DI ROTHERENS
PIERRE CHATEL 1280 prigionia
EN BUGEY
1280 prigionia
BURGOS
VITERBO
1281 presenza
BARCELLONA 1271
presenza al Conclave
1281 presenza
VALENZA
COSTANTINOPOLI
1271
alleata
1280 catturato
COMO
Gran Marchese
DI Monferrato
MURCIA
1278/1282 (Capitano)
1271 Beatrice - matrimonio
Trezzo d'Adda
1279 battaglia
Castano Primo
Mongrando
1290 (saccheggio)
1284 (occupazione)
Magenta
IVREA
1266/1267 e 1278 (Signore)
1281 (Signore) Biandrate
1271 (alleata) - 1278 (Signore) VERCELLI
TRINO
1279 (battaglia)
NOVARA
1271 (alleata)
1278 (Capitano)
Ozeno
MILANO
Vaprio d'Adda
BRESCIA
1278 (Capitano)
Soncino
1281 (Signore)
CREMA
1279 battaglia
1271 (alleata) - 1278 (Capitano)
- 1279/1282 (Signore)
Albairate
1279 battaglia
Melegnano
1279 (presenza)
1281 (Signore)
LODI
1271 (alleata)
Vigevano PAVIA
1278 (Capitano)
1285 presenza
CASALE
MONFERRATO
1278
(Capitano)
1262
CREMONA
Langosco
1278 (Capitano)
1289 (Signore)
1271 (alleata)
1290
(saccheggio)
Calliano
1278 (Capitano)
Rovescala
TORINO
Occimiano
1270
1260
Montemagno
1290 saccheggio
1276/1280 (Capitano)
Pomaro
1290
S. Salvatore
1270/1272
PIACENZA
1273
Bassignana Pietra de Giorgi 1271 (alleata)
Felizzano
ASTI
1290 presenza al castello di Fontana
1270
1260
1260/1263 e 1273/1278 (Alleata) - 1278 (Capitano)
ALESSANDRIA 1290 saccheggio
Quarto
1260/1262(Signore)
Isola d'Asti
TORTONA
1290 saccheggio
1278 (Capitano)
1290 saccheggio
1267/ 1272 (Signore)
Barbaresco
1279 (Signore)
1278 (Capitano)
Corneliano
1283 (Custodia)
1290 (saccheggio)
NIZZA
NOVI LIGURE 1264
PARMA
1264 (Signore)
Pollenzo
1271 (alleata)
Serravalle Scrivia
1285 riedificazione del castello
ALBA 1264 (Alleata)
Carpeneto
1278
1278 (Capitano)
1278
Rocca Grimalda
1283 (Signore)
ACQUI
La Morra
1278
1283 (Custodia)
Montelupo TERME
Bene Vagienna 1283 (Custodia) 1264/1272
1275/1292 Lucedio sepoltura
Lanzo
1283 (Custodia)
1279 (battaglia)
MANTOVA
1278 (Capitano)
Crevalcore
1290
1278/(Signore)
Castelnuovo
Borgo San Dalmazzo
VERONA
1278 (Capitano)
1283 (Custodia)
1285 (assedio)
PRESENZA E INCARICHI
BATTAGLIE E SACCHEGGI
Vado
GENOVA
1278 (Capitano)
1281 (sbarco dalla Spagna)
1281
(partenza per la Castiglia)
Finale Marina
1284 (presenza)
PRIGIONIA
VICENDE PERSONALI
18
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Mappa storica
19
Alfonso X di Castiglia e la sua corte
(Libro de los Juegos». Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo de El Escorial)
L’uomo non si arrende facilmente, neanche quando Carlo occupa Alessandria. Anzi, cerca rabbiosamente la sua rivincita, costruendosi nuovi rapporti
e tessendo nuove tele. Alfonso di Castiglia è l’opportunità che si presenta e
Guglielmo non esita a intrattenere colloqui con i suoi inviati, mettendosi in
rottura aperta con il d’Angiò.
Abbiamo già incontrato il re di Castiglia qualche anno prima, quando lui e
Riccardo di Cornovaglia si disputarono la corona imperiale, senza successo
per entrambi. Alfonso comunque persevera e il patto con Guglielmo è presto
concluso: il marchese di Monferrato agirà come intermediario di Alfonso
in Italia, con il compito precipuo di attirare alleati nelle file antiangioine.
La figlia di Alfonso, Beatrice sarà la promessa sposa di Guglielmo, rimasto
vedovo di Isabella di Gloucester.
Non occorre di più per far prendere lena a Guglielmo. Il malcontento provocato dai comportamenti di Carlo d’Angiò, sia all’interno della curia romana
che delle corti lombarde, continua a crescere. Guglielmo contatta gli Astigiani, i Pavesi, i Torriani, i Savoia, nonché i cardinali antiangioini del Sacro
Collegio. Quando, nel luglio del 1271, si abbocca con gli ambasciatori di Alfonso, il piano procede a vele spiegate. Si concorda un secondo matrimonio,
tra la figlia di Guglielmo, Margherita, e l’infante di Castiglia, Giovanni. Ma,
ciò che pesa maggiormente, Alfonso s’impegna a mandare in Italia nella primavera dell’anno successivo 10.000 soldati spagnoli, guidati dal medesimo
20
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Giovanni. Sono i mezzi che Guglielmo attende da anni e che dovrebbero
permettergli di consolidare ed estendere il suo dominio. Ora sì che è tempo
di festeggiamenti. Guglielmo arriva a Burgos, dove Alfonso tiene corte,
in settembre. In ottobre sposa Beatrice, in novembre viene designato dal
suocero come suo vicario per l’Italia.
Purtroppo, il ritorno in Italia non è altrettanto ricco di soddisfazioni. C’è un
nuovo papa, Gregorio X, che si mostra favorevole a Carlo d’Angiò sperando
di convincerlo ad appoggiare la Santa Crociata che vuole bandire per liberare
i Luoghi Santi. Ciò, da solo, basta a intiepidire molti della lega antiangioina
messa in piedi da Guglielmo. In più, Carlo attacca proprio i territori sotto il
dominio monferrino. Cade Acqui, cade Ivrea, cade Tortona e gli Astigiani si
trovano messi a mal partito. Alcuni fatti però intervengono a ribaltare nuovamente la situazione. Tra il 1272 e il 1274, arrivano due contingenti di militari
spagnoli, esigui ma preziosi per i ribelli; Genova si libera dalla soggezione
angioina e intraprende una politica di aggregazione fra coloro che meno si
prestano a una continuazione del governo d’Angiò; governo che, comunque,
subirà forti limitazioni dall’elezione di Rodolfo d’Asburgo al soglio del Sacro
Romano Impero.
Nel 1275 prestano fedeltà ad Alfonso come re dei Romani Pavia, Asti,
Genova, Verona, Vercelli, Novara, Mantova, una riottosa Alessandria e,
infine, Tommaso di Saluzzo. In tutto questo susseguirsi di vicende, Guglielmo risulta stranamente assente dalle cronache e non figura neanche fra i
presenti alla battaglia di Roccavione, che il 10 novembre disfa l’esercito
Stemma di Alfonso e Beatrice di Castiglia
Vicende con i Castiglia
21
panoramio
provenzale mentre già
è per la via dei monti,
diretto verso casa.
Assente, forse perché
gli alleati hanno vinto
ma non per Alfonso di
Castiglia, che il papa
è riuscito a distogliere
dal proposito di passare le Alpi per mettersi
personalmente a capo
della lega antiangioina
e, finalmente, a rinunciare al titolo di Re dei
Scontro di cavalleria
Romani.
Quella di Roccavione è considerata una delle poche vere battaglie combattute nel 1200. Ciò ci offre il destro per dire qualcosa degli armamenti e degli
armati messi in campo da Guglielmo. E’ già noto che, a partire dal XIII
secolo, la cavalleria pesante diventa il nucleo centrale degli eserciti. Cento
cavalieri, ben montati e ben equipaggiati, rivestiti di ferro, possono valere,
secondo l’opinione corrente, quanto mille uomini a piedi. Ma un equipaggiamento completo costa, e costano anche gli scudieri e i valletti che del cavaliere formano il seguito, assistendolo e talvolta sostenendolo in battaglia. E’ così
che la cavalleria viene a formare una classe professionale, cui hanno accesso
non solo nobili, bensì anche uomini capaci ed equipaggiati a dovere. Di qui,
la pratica dell’assoldamento, che letteralmente significa prendere a soldo. In
questo caso, primi milites o strenui milites,
Roccavione, zona della battaglia
22
Facino Cane, condottiero italiano
ma il sistema si estende progressivamente anche agli arcieri e ai balestrieri,
a piedi o a cavallo.
Tutto ciò è l’effetto, ma anche la causa, dell’intiepidirsi dei vecchi obblighi
feudali. Si discute di tutto: del numero di uomini, del loro equipaggiamento,
del periodo di servizio, dei luoghi dove esso deve essere prestato, dei risarcimenti e dei rimborsi eventuali. Si discute, e spesso si trova più semplice
riscattare il servizio offrendo denaro che servirà ad assoldare gente ben più
valida e munita. I cosiddetti mercenari, appunto.
In Italia l’obbligo feudale resiste più a lungo, soprattutto nei principati settentrionali come il marchesato di Monferrato. Ma delle milizie marchionali e del
loro armamento sappiamo ben poco. Essenzialmente quel che ci dice Settia,
che se n’è occupato in due distinti lavori:
- “Come si usa in Monferrato”, in “Bonifacio, marchese di Monferrato, re
di Tessalonica”, Atti del Convegno Internazionale, a cura di ROBERTO
MAESTRI, Acqui Terme 2009, pp. 7-15, si occupa soprattutto dei secoli
XII e XIII;
- “Grans cops se donnent les vassaux”, in “Gli Angiò nell’Italia nordoccidentale”, a cura di RINALDO COMBA, Unicopli, Milano, 2006, pp.
161-206, si occupa essenzialmente della battaglia di Gamenario del 1345,
non senza utili digressioni ai periodi precedenti.
Ecco cosa dice nel primo dei due lavori:
È noto quanto sia spinoso, in generale, il problema degli effettivi che componevano gli eserciti medievali; anche nel nostro caso si dispone soltanto di
dati numerici parziali e occasionali il cui valore rimane quindi puramente
indicativo…. Da tali dati si ricava l’impressione che nel marchesato si
potessero
normalmente
arruolare un massimo
di 500 cavalieri e forse,
secondo la proporzione
corrente, un numero triplo
di combattenti a piedi.
SETTIA, Come si usa in Monferrato cit., pp. 11-12.
Anche sull’armamento non
si posseggono che dati sporadici, ma in questo campo
valgono naturalmente, per
il marchesato di Monferra
Battaglia di Roccavione
Ricostruzioni di tipiche armi medievali
(Bosworth Battlefield Heritage Centre)
23
to, gli stessi usi generali vigenti in tutta l’Europa occidentale. Basterà quindi
qualche esempio. Nel 1217 alcuni uomini operanti a Paciliano furono feriti
e persero l’intero loro guarnimentum costituito da “spatam, panzerias,
capellos, clamides, cultellos, rco set lanzas”. Si ha qui, verisimilmente, un
saggio dell’armamento offensivo e difensivo di due diverse categorie di
fanti, più o meno ben equipaggiati, che si differenziano per la funzione loro
assegnata, rispettivamente, di lanciere e di tiratore…Come avveniva nel
resto dell’Occidente, anche gli Aleramici di Monferrato si servivano dunque
di tiratori montati armati allora esclusivamente di arco ma che, come si è già
visto, in tempi di poco successivi apparivano ormai completamente sostituiti
da balestrieri a cavallo.
SETTIA, Come si usa in Monferrato cit., p. 14.
L’intermezzo su armi e armati, che abbiamo testé concluso, non è stato
un siparietto a sé stante. Possiamo considerarlo, invece, come una linea di
separazione tra il periodo dell’espandersi
della potenza angioina e quello del suo
eclissarsi. Dopo la rinuncia di Alfonso
di Castiglia, anche il nuovo imperatore,
Rodolfo d’Asburgo, mostra difficoltà
a radunare uomini e armati in misura
sufficiente per scendere in Italia a imporsi
non solo con l’autorità, bensì anche con la
forza delle armi. I trionfatori di Roccavione, così, possono capitalizzare la vittoria
occupando gli spazi lasciati vuoti dal
tracollo di Carlo.
tomba di Rodolfo d’Asburgo
(duomo d Spira)
24
Guglielmo torna in prima fila. Nella
primavera del 1276 occupa Torino, che i
Savoia avevano perduto nella guerra con
gli Astigiani del 1255-56 e che era caduta
in mani angioine nel 1270. Lo scorno
dei Sabaudi è molto forte e Guglielmo
pagherà caro quest’affronto. Ma, in quel
momento, egli si sente all’apice della sua
potenza, a un passo dal suo obiettivo di
sempre, e non se ne cura, volando di successo in successo. Sconfigge sanguinosamente i Tortonesi, messisi in campo per il
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Asti medievale
castello di Serravalle, entra trionfalmente in quella Pavia che gli fu tanto
ostile ai tempi del Pelavicino, assale Arona, si afferma a Ivrea, Vercelli,
Trino, e poi Alessandria, Acqui, Tortona. Molti piccoli comuni lombardi,
in un’adunanza tenuta a Vercelli nel 1278, lo nominano loro capitano di
guerra.
Ma quali erano i caratteri di questi possessi, gli elementi distintivi degli
accordi, i titoli che Guglielmo andava ad assumere volta per volta? Domande
cui occorrerebbero risposte articolate, riflessioni approfondite e ragionamenti
che distinguano caso per caso. Cercheremo di darne qualche buon accenno,
ricorrendo a chi ha più investigato su tali aspetti della questione.
Bozzola, ad esempio, dopo aver elencato minutamente i singoli termini degli
accordi che ci sono giunti, così sintetizza:
Da qualche clausola dei trattati fra il marchese e i comuni sì possono
trarre soltanto tenui indizi per argomentare almeno che — a somiglianza di
quanto abbiamo notato per Alessandria e per Vercelli — dovunque i partiti
erano, alla radice,
l'espressione degli antagonismi di famiglie
magnatizie
divise
da interessi vari, da
rivalità, da ambizioni
di dominio….
Però… noi non vediamo — se non in alcuni
pochi comuni e, fatta
eccezione per Vercelli,
in un secondo momento — il disegno di una
politica di Guglielmo
intesa a rappacificare
i partiti per innalzarsi
Il centro di Alessandria nel XIII secolo
e trionfare di tutti.
In Piemonte
25
Sono al contrario i comuni, o
meglio i partiti o le classi che tengono il potere nei comuni, i quali
impongono al marchese condizioni
e limitazioni analoghe dovunque….
… In sostanza, per questo lato i
trattati hanno la forma di una vera
e propria assunzione in servizio,
dietro adeguata retribuzione,
del marchese come capitano di
guerra, il quale opera, secondo
le istruzioni del comune, a tutela
della pace interna e a difesa contro
i nemici esterni. Per un altro lato,
Cavaliere - piastrella in terracotta
XIII sec. - Victoria and Albert Museum
poi, essendo il capitano anche un
grande feudatario, investito di ampi poteri giurisdizionali su terre e uomini,
essi fissano obblighi e doveri reciproci quali soltanto si riscontrano in trattati di alleanza. E infine, in quei comuni sui quali il marchese di Monferrato
faceva valere ancora antichi diritti feudali della sua Casa, gli si riconosce
una molto attenuata e innocua supremazia feudale, che si esprime spesso
soltanto in certe formalità esteriori.
BOZZOLA, Un capitano di guerra… cit., p. 360-362.
Sullo stesso tema, Alberto Luongo, che
ha pubblicato recentemente un saggio
che fa particolare riferimento alle
istituzioni alessandrine, esprime queste
considerazioni:
L’attenzione posta finora sui limiti
del potere signorile, originati dalle
significative autonomie giuridiche,
economiche e istituzionali che le città
seppero mantenere anche nelle fasi
più avanzate della costruzione del
potere su scala regionale − pur senza
raggiungere i livelli del XII e del primo
XIII secolo –, porta ora gli studiosi a
vedere l’originaria fase duecentesca
del fenomeno signorile non più come in
netta contrapposizione con i precedenti
26
Cavaliere - statuetta in bronzo
circa 1275-1300 - 'British Museum - Londra
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
sviluppi comunali, ma come
una fase di sperimentazione
politica che da essi prende le
mosse e su di essi si innesta
in una maniera che non fu immediatamente percepita come
traumatica…
ALBERTO
LUONGO,
Istituzioni
comunali e forme di governo personale
ad Alessandria nel XIII secolo,
in “Reti Medievali Rivista”, (12), 2(2011),
Firenze University Press, p. 2.
E, dopo aver ricordato numerosi esempi, da Ezzelino al
Pelavicino, da Guglielmo VII
1277 - Ottone Visconti e la sua armata
ai della Torre, conclude:
Rocca di Angera - Varese
Schieramenti di riferimento,
personalità ed effettivo potere dei protagonisti, hanno avuto però in comune
l’iniziale inserimento dei signori nell’organigramma istituzionale delle città
e la fine del governo personale nel momento in cui questo aveva finito per
contrastare con un certo grado di partecipazione collettiva alla vita politica
e con i progetti dei gruppi sociali che lo sostenevano.
Spesso, ma non sempre, era il Popolo a sorreggere e promuovere i tentativi
signorili, probabilmente intesi come mezzo di affermazione delle proprie
prerogative di governo e della propria cultura istituzionale, in un momento
in cui gli scontri di fazione perdevano gran parte della loro già difficile
capacità di controllo.
LUONGO, Istituzioni comunali … cit., p. 4.
Milano medievale
A Milano
Pure, mentre Guglielmo sembra all’apice
della sua potenza e
della sua gloria, quello
è anche l’inizio della
sua fine. Che comincia
con la città delle città,
Milano,
l’emblema
delle libertà cittadine
e il simbolo della
sconfitta del potere
imperiale di Federico
Barbarossa.
27
A Milano si è istaurato un abbozzo di potere signorile nella persona
dell’arcivescovo Ottone Visconti, uomo di vaste amicizie, di acuto pensiero
e di raffinata diplomazia. Ma i suoi contendenti, i Torriani, se pur espulsi
dalla città, si fanno sempre più forti e minacciosi nel contado. Il Visconti,
allora, dopo aver aderito alla nuova lega imperiale promossa da Guglielmo,
decide di servirsi proprio delle capacità militari del marchese di Monferrato,
chiamandolo a Milano per offrirgli la
capitania. Ciò che avviene il 20 agosto
del 1278, dopo il trionfale ingresso di
Guglielmo in Milano il giorno 18.
Tra Ottone Visconti e Guglielmo di
Monferrato comincia così un confronto
giocato sul filo dei propositi del primo e
delle richieste del secondo. Richieste che
subiscono una brusca battuta d’arresto
quando Guglielmo, nel maggio del 1280,
intraprende il viaggio verso la Spagna,
insieme alla moglie Beatrice e alla
figlia Margherita che – ricorderete – era
promessa sposa di Giovanni di Castiglia.
Tommaso III di Savoia
Castello della Manta
Il viaggio inizia bene e la comitiva passa
tranquillamente per la val di Susa ma, arrivata in Provenza, incappa in un ben calcolato tranello, congegnato da Tommaso
di Savoia. Guglielmo è arrestato, trattenuto e condotto prigioniero a Saint Maurice
di Rotherens. Scopo dell’agguato? È
subito chiaro: Tommaso di Savoia, che
nel frattempo ha stipulato un accordo
di mutua difesa con Asti, ha un vecchio
conto da regolare con Guglielmo di Mon-
ferrato, l’occupazione di Torino.
In molti protestano e in molti intervengono per chiederne la liberazione.
Ma essa avverrà soltanto dopo che Guglielmo acconsentirà a firmare un
accordo particolarmente duro, che insieme alla perdita di Torino aggiunge
un risarcimento in denaro e altri vincoli minori.
Dopo le nozze di Burgos, dopo gli abboccamenti con Alfonso di Castiglia e
Pietro d’Aragona, dopo promesse mai mantenute di uomini e mezzi, Gugliel
28
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
mo torna a occuparsi delle vicende dei suoi domini
lombardi e, in particolare, di Milano. Ma Ottone
Visconti ha nel frattempo rafforzato la sua presa
sulla città e avviato un percorso di rappacificamento
con i nemici esterni che ha come principale obiettivo
quello di poter fare a meno di Guglielmo e del suo
appoggio militare.
Il momento buono giunge sul finire del 1282,
quando Guglielmo riconferma Giovanni Poggio
alla carica di podestà. Il 27 dicembre, un tumulto
Stemma di
di popolo sostenuto dal Visconti caccia il Poggio
Tommaso I di Saluzzo
e, subito, parte un’intimazione a Guglielmo di non
farsi più vedere in città. Quindi, Milano fa lega con Cremona, Piacenza,
Brescia e Modena contro un probabile rivolgimento del marchese.
La forza di Guglielmo è ancora notevole, ma i nemici stanno diventando
troppi. Di qui, la lega milanese, capeggiata da Ottone Visconti, di là quella
fra Asti e i Savoia, in mezzo insofferenze sempre più marcate al suo dominio,
a Vercelli, Tortona, Alessandria, Como, sulle cui braci Ottone Visconti soffia
per alimentare il fuoco. Nel frattempo, Guglielmo accompagna la figlia
Violante a Genova, per imbarcarla sulle galee giunte da Costantinopoli, dove
Violante va sposa all’imperatore Andronico Paleologo.
Torna in Monferrato, ma le cose stanno andando sempre peggio. L’unico
fedele rimastogli è l’amico di sempre, Tommaso di
Saluzzo. Il resto è tutto un affannoso rincorrere i tumulti, le sedizioni, le conferme di
primato in città che, ad una ad una, si
distanziano dal suo operato.
Nel 1287, Amedeo V di Savoia
riunisce intorno a sé una lega contro
il marchese, alla quale aderisce
anche Genova e si accostano città
come Asti e Pavia. Guglielmo riesce
a riconquistare quest’ultima, però la
guerra dilaga. Guglielmo si difende
bene, rintuzza ogni assalto, contrasta ogni
minaccia, fa valere la sua tenacia e il suo
genio militare. Ma i nemici sono troppi e lo
Amedeo V di Savoia
pressano da più parti.
stampa ottocentesca
Ultime vicende
29
Finché…finché, dopo aver rintuzzato
una sortita dei Piacentini, ha sentore che
in Alessandria tiri aria di tempesta. E la
tempesta si abbatte sul suo capo il 10 di
settembre, quando gli Alessandrini lo
prendono prigioniero.
Sull’episodio occorre subito far notare che
le fonti alessandrine primarie mancano del
tutto: il Liber crucis della città risulta pressoché privo di documentazione dal 1228
al 1292, mentre l’archivio del comune,
conservato nel campanile della cattedrale
di San Pietro, è quasi totalmente distrutto
elmo del XIII sec.
(Le Grand Curtius - Liegi)
da una rivolta antiviscontea avvenuta nel
1392. Restano i cronachisti posteriori, soprattutto Claro (fine ‘400), Lumelli
(seconda metà del ‘500) e i di poco successivi Schiavina e Ghilini. Le loro
versioni, però non combaciano integralmente.
Il Claro, ad esempio, dopo aver accennato a una campagna condotta da
Guglielmo contro i della Torre, a cui partecipano anche “milizie alessandrine”, sostiene che il marchese venga imprigionato al suo ritorno perché gli
Alessandrini andavano dicendo che egli volebat totam Civitatem destruere.
GIOVANNI ANTONIO CLARO, Chronica Alexandrina,
in “Vecchi cronisti alessandrini”, a cura di L. Madaro,
Biblioteca della Società Storica Subalpina, XC, nuova serie
XIII, Casale, Tip. Cooperativa, 1926, p. 174.
Il Lumelli sbaglia la datazione e fa
un’affermazione quanto mai improbabile:
che Guglielmo attacchi Alessandria “cum
Astensibus”.
RAFFAELE LUMELLI, De origine Civitatis Alexandriae,
in “Vecchi cronisti alessandrini”, a cura di L. Madaro,
Biblioteca della Società Storica Subalpina, XC, nuova serie
XIII, Casale, Tip. Cooperativa, 1926, p. 249.
Annali di Alessandria
di Girolamo Ghilini
30
Nel complesso, dunque, preferiamo affidarci
alla ricostruzione che ci sembra più affidabile. Quella del Ghilini:
I Guelfi Alessandrini, in parte indotti da odio
e malevolenza verso il Marchese, in parte
stimolati dagli Astigiani, deliberarono
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
con l’occasione opportuna della sua
assenza di levare dal collo della patria
il duro e insopportabile giogo della sua
servitù e della sua tirannia, per ridurla
alla primigenia, antica libertà. Perciò,
collegatisi con alcune città vicine che
molto aborrivano il tirannico dominio
del Marchese, operarono in modo che
tutto il popolo alessandrino, sollevato
con gran tumulto, pigliò coraggiosamente le armi e, con l’aiuto che da
ogni banda gli fu dato dai Confederati,
i quali speditamente in buon numero,
chi a piedi chi a cavallo, conversero
in Alessandria, si pose all’ordine,
per uscire in campagna e perché alla
perfezione di così valoroso e potente
Cavaliere italiano
esercito altro non mancava che un Geminiatura dai Regia Carmina
di Convenevole di Prato, primi del XIV sec.
nerale, fu fatto in necessità così grande
e in occasione di tanto rilievo, con voto e consenso universale dei soldati,
Alberto Guasco d’Alice, uomo con gran pratica d’armi, d’esperienza e in
particolare molto amato da quasi tutta
la città di Alessandria sua patria.
GIROLAMO GHILINI, Annali di Alessandria,
Milano, G. Marelli, 1666, p. 49.
San Salvatore - torre medievale
La battaglia finale
Con quel ben unito e ordinato esercito,
entrò egli animosamente nel Monferrato, saccheggiando e ruinando il tutto
con ogni libertà militare; onde il marchese, sbigottito e quasi abbandonato
da se stesso, lasciò da parte tutti i
negozi e con la sua soldatesca, la quale
era assai in buon numero, inviossi con
gran prestezza verso Alessandria. Frattanto, gli Alessandrini che di già con
l’esercito erano arrivati alla terra di
Castelletto, alla nuova della venuta del
Marchese fecero alt per poco spazio di
tempo; dipoi, essendo molto desiderosi
31
di combattere, non vedevano l’ora di far giornata col nemico e perciò
andarono con gran coraggio ad incontrarlo. E affrontatisi presso la terra
di San Salvatore ambedue gli eserciti, fu con tanto animo e ardire dagli
Alessandrini cominciata la battaglia che il Marchese, dopo aver, valorosamente combattendo, sostenuto un pezzo il loro impeto, sopraggiunto dalla
gran quantità dei Collegati, fu costretto a voltar le spalle alla scaramuccia
e ben presto sopra di un cavallo fuggirsene. Ma subito il Generale Alberto,
seguitandolo con una spedita e animosa squadra di cavalleria, dopo aver
posto in rotta e ruina tutto l’esercito nemico, alli 10 del mese di settembre
vivo lo fece prigione, trattenendolo con una collana d’oro che gli gettò al
collo mentre fuggiva e legato con una catena di ferro lo condusse vittorioso
e trionfante in Alessandria, dove fu dato in stretta custodia finché fu fatta
una sotterranea cassa, foderata d’intorno di tavole, nella quale due giorni
dopo la sua prigionia fu miseramente rinchiuso. E’ opinione che quella
cassa fosse fatta dove adesso si vede il Palazzo dei Governatori di questa
città, nel qual luogo era in quei tempi fabbricato il pretorio.
GHILINI, Annali di Alessandria cit., p. 50.
Ora, tralasciando l’episodio un po’ folcloristico della collana d’oro con cui il
Guasco trattiene il marchese, il resoconto pare tutto dalla parte dell’onore
e del coraggio degli Alessandrini.
Asti? “In parte stimolati”, dice il Ghilini, non specificando come.
Tutt’altra musica, invece, nelle fonti
non alessandrine. Vediamo cosa ne
dicono, ad esempio, gli “stimolatori”
astigiani del Codice di Malabayla,
nella versione riveduta e corretta,
pubblicata dall’Accademia dei Lincei:
Nel 1289 Guglielmo marchese di
Monferrato tentò con poderoso
esercito la conquista d'Asti e di
Alessandria, ma invece egli stesso fu
preso e tenuto in prigione fino alla
sua morte.
Codice di Malabayla - sec. XIII - XIV
32
Codex Astensis qui de Malabayla communiter
nuncupatur, Salviucci, Roma 1887, vol. I, p. 7.
Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato
Asciutti asciutti sul fatto, ben più ciarlieri sulla “stimolazione”:
Ai dieci di settembre gli Alessandrini,
benché aderenti al marchese di Monferrato, stretti dalle sollecitazioni di
Matteo Visconti e vinti dalla promessa
di 35,000 fiorini d’oro fatta da Asti (*),
insorgevano contro di lui, loro ospite e
lo carceravano.
(*) Cosi la cronaca del Ventura. Il
S. Giorgio dice 80,000 (CIBRARIO.
Stor. della Mon. di Savoia II, 213).
La cronaca del Monferrato riferita
dal Moriondo (Mon. Aq. II, 198) dice
85,000.
Codex Astensis… cit., p. 115.
Non se ne verrà mai veramente a capo,
così come di molte dicerie delle cronaMatteo Visconti
Basilica di Sant’Eustorgio - Milano
che, quali le percosse e la prova del
piombo fuso sul cadavere del marchese, pretesa da Pagano del Pozzo.
A noi sembra comunque opportuno chiudere l’episodio con le parole di
Settia: Poco dopo in Alessandria gli Astigiani corruppero la popolazione
con la promessa di 85.000 fiorini d'oro e la predisposero a sollevarsi contro
il marchese. Le fonti che ricordano l'episodio non sono sempre concordi
riguardo alla cronologia e allo svolgimento dei fatti, ma sarà certo da accettare quanto riferiscono le cronache più vicine nel tempo e nello spazio: avuto
sentore della trama contro di lui, Guglielmo si presentò alle porte di Alessandria il 10 settembre per chiederne conto, i cittadini lo avrebbero rassicurato
convincendolo a entrare
in città accompagnato
solo da una modesta
scorta. Fu facile allora
catturarlo. Guglielmo
fu poi rinchiuso in una
gabbia di legno dove
fu costretto a passare il
resto dei suoi giorni.
1290 - Consiglio della Città di Alessandria
Prigioniero - La fine
SETTIA, Guglielmo VII…cit., p. 768.
33
Poche notizie per concludere la sua storia:
- Dopo quasi un anno e mezzo di prigionia, senz’altro avvilito nel corpo e
nello spirito, Guglielmo VII muore il 6 febbraio 1292. Il suo corpo troverà
sepoltura nell’abbazia di famiglia di Santa Maria di Lucedio;
- nel frattempo, i suoi nemici si erano buttati come un cane sull’osso: Alessandria, Asti, i Visconti e i Savoia portano via terre, castelli e borghi, pur
difesi accanitamente dagli abitanti;
- delle città soggette al dominio di Guglielmo, gli rimangono fedeli solo
Casale, Ivrea ed Acqui. Dei consanguinei, si prodigano soltanto i conti di
Biandrate e l’amico di sempre, Tommaso di Saluzzo;
- lo stesso Tommaso conduce Giovanni, l’unico erede maschio della famiglia,
al sicuro prima nella sua terra in Revello, poi nel Delfinato e infine alla corte
angioina. Qui, il 26 dicembre 1293, il marchese Giovanni ratifica le tregue
stipulate dai suoi rappresentanti col Comune di Asti;
- quanto al comandante vittorioso, Alberto Guasco d’Alice viene ricompensato con la podesteria della città di Milano.
Rimane da dare un giudizio sul personaggio e sulla sua opera. Tiranno spietato o politico preveggente? Dante lo mette in Purgatorio e ha per lui parole
pesanti:
« ...Quel che più basso tra costor s'atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra
fa pianger Monferrato e Canavese... »
DANTE ALIGHIERI Purgatorio; canto VII, 133-36
Noi, però, preferiamo affidarci ancora una volta alle parole di Settia:
Guglielmo, peraltro, non aveva affatto inteso allargare il Marchesato includendovi le città sottoposte al suo dominio, ma si era sforzato di dare forma a
un governo forte e stabile che superasse le lotte di fazione da cui erano allora
dilaniati i Comuni cittadini; e se la costruzione, da lui messa in piedi con
accorgimenti politici e attività di uomo di guerra, ebbe fondamenta troppo
malferme per reggere a lungo, offrì comunque un modello che fu imitato dai
signori successivi. I suoi rapporti con Manfredi, con Carlo d'Angiò, Alfonso
di Castiglia e con Pietro d'Aragona gli assegnano comunque - come scrisse
A. Bozzola - "un posto cospicuo nella vita italiana del secolo XIII".
SETTIA, Guglielmo VII… cit., p. 769.
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Guglielmo VII - Gran Marchese di Monferrato