La rivoluzione dei trasporti: la “scatola globale”

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La rivoluzione dei trasporti: la “scatola globale”
La rivoluzione
dei trasporti:
la “scatola globale”
di Giovanni Grimaldi
L
La nascita del container
Negli anni Trenta Malcom McLean, autotrasportatore americano, nell’osservare le operazioni di spostamento di un carico di cotone da un camion della sua azienda alla stiva di una
nave, pensò di utilizzare una “scatola metallica” di dimensioni fisse che, contenendo il voluminoso materiale, ne avrebbe consentito una movimentazione più agevole.
Idea semplice e apparentemente banale che invece, solo qualche anno più tardi si
sarebbe dimostrata addirittura rivoluzionaria. La varietà degli imballaggi utilizzati, all’epoca,
per il trasporto merci moltiplicava infatti gli effetti negativi delle rotture di carico su un percorso di lungo raggio. Ogni cambio di mezzo imponeva laboriose movimentazioni, complicate
dalla necessità di coordinare le attività su involucri di formato diverso. Il passaggio mare-terra,
poi, era quello maggiormente penalizzato: molta manodopera, allungamento dei tempi improduttivi, soste forzate nei depositi con incremento dei rischi di furto e danneggiamento.
McLean, forte della sua brillante intuizione, anni dopo acquistò la compagnia marittima Pan Atlantic, allestì la cisterna Ideal X per il carico dei contenitori e, il 26 aprile 1956,
sulla linea Newark-Port Hudson, organizzò il primo trasporto container della storia. Si calcola
che, con questo primo viaggio, riuscì ad abbattere del 90% i costi complessivi. Iniziava così
una nuova epoca nel settore del trasporto merci, destinata a produrre riflessi rilevanti sugli
assetti geopolitici, economici e culturali di tutto il mondo.
L’innovazione, seppur notevolissima, ebbe difficoltà a imporsi perché comportava un
vero e proprio sovvertimento delle logiche di distribuzione del lavoro e della configurazione
degli spazi operativi in porto. Paradossalmente, proprio le realtà prive di strutture operative
già consolidate al loro interno riuscirono a orientare senza difficoltà il proprio sviluppo verso
la nuova configurazione che andava delineandosi man mano che si affermava l’idea della
“scatola globale”: il porto container. Il caso di Rotterdam è esemplificativo: rasa al suolo dopo
la seconda guerra mondiale diventò, in poco più di un decennio, sede di uno scalo portuale
merci di rilevanza mondiale, ancora oggi in piena attività.
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GIOVANNI GRIMALDI È PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ PORTUALE DI GIOIA TAURO.
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Il porto di Gioia Tauro e la “scatola globale”
La storia del porto di Gioia Tauro si intreccia con quella della scatola metallica grazie
a un’altra notevole intuizione.
All’inizio degli anni Novanta, l’imprenditore ligure Angelo Ravano individua con chiarezza proprio nello scalo calabrese, imponente realizzazione della Cassa per il Mezzogiorno
pensata a servizio di un polo siderurgico mai attivato, le potenzialità ancora inespresse di un
porto container. La posizione geografica mediana e di minima deviazione lungo la direttrice
Suez-Gibilterra, la disponibilità di grandi spazi a ridosso delle banchine portuali, l’ampiezza
degli accosti e la profondità dei fondali aprono la strada alla riconversione produttiva di quella che era oramai considerata solo una cattedrale nel deserto.
L’attività operativa del porto container di Gioia Tauro inizia nel 1995 e si sviluppa a
ritmo vertiginoso fino a elevare, in pochi anni, lo scalo al
ruolo di leader tra gli hub portuali del Mediterraneo. Oggi
tremila navi all’anno scalano il porto e, nei piazzali a ridosLe compagnie,
so delle banchine, squadre superorganizzate di operatori
determinando di fatto
portuali movimentano tre milioni di contenitori e 140.000
l’itinerario delle merci e
veicoli.
Un piccolo centro di una regione del Mezzogiorno
la localizzazione dei nodi
d’Italia, storicamente afflitto da situazioni di arretratezza e
di scambio, sono in grado
disagio, si trova quindi a essere investito da flussi imponendi condizionare in
ti di merci, ma reagisce in maniera controversa. Acquisisce
misura determinante
elevata specializzazione nelle operazioni di trasbordo navenave (transhipment): si lascia, cioè, attraversare dai traffici
l’andamento dei
limitandosi, quasi fosse un’isola, a offrire un punto di approvolumi di traffico
do e di scambio, senza trasferire al territorio retrostante gli
nei diversi scali.
indotti che le merci in arrivo sarebbero in grado di generare
in misura rilevante.
Non può invece sottrarsi alle ferree logiche di quello
scenario di economia globale che ha iniziato a configurarsi proprio a seguito della “rivoluzione della scatola metallica”.
Il settore del trasporto merci via mare, infatti, sembra quasi amplificare i tipici effetti distorsivi del mercato globale: potenti spinte verso la concentrazione portano poche compagnie di navigazione a controllare la quasi totalità dei traffici planetari e dunque della
domanda di servizi portuali. Le compagnie, determinando di fatto l’itinerario delle merci e
la localizzazione dei nodi di scambio, sono in grado di condizionare in misura determinante l’andamento dei volumi di traffico nei diversi scali, e quindi acquisiscono potere contrattuale sempre crescente anche nella gestione dei terminal portuali. Queste le dinamiche
che, fin dall’inizio, si impongono con forza nel governo dei processi evolutivi degli scali container.
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Le politiche dei trasporti nell’era globale
Esiste, dunque, una stretta correlazione tra lo sviluppo del traffico container e i modelli di economia globale: laddove i costi di trasporto a lunga distanza sono abbattuti, i produttori di beni industriali non traggono più vantaggi significativi dalla vicinanza geografica al consumatore. I mercati di approvvigionamento, produzione e distribuzione si allargano, le aziende revisionano continuamente le proprie scelte insediative, riorganizzano le catene di divisione del lavoro e devono necessariamente aprirsi a nuove forme di concorrenza. Le rapidissime
evoluzioni del mercato incidono profondamente sulla domanda di mobilità, per cui anche le
politiche del settore dei trasporti devono repentinamente adeguarsi. Quello che è accaduto
negli ultimi anni è significativo: i flussi commerciali provenienti dall’Estremo Oriente sono
aumentati in maniera impressionante, anche a seguito della progressiva delocalizzazione dei
centri produttivi dal bacino dell’Europa centrale verso le periferie.
Le politiche dei trasporti, di riflesso, si sono concentrate su soluzioni di corridoio multimodale, finalizzate a costruire un più fitto tessuto di relazioni tra i nuovi poli produttivi e i
mercati europei, africani e orientali.
In questo contesto, l’intera fascia mediterranea riacquista una posizione di solida centralità, con rilevanti prospettive di incremento per le interconnessioni a servizio delle aree che
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si affacciano sul bacino. Alcuni Paesi europei, Spagna e Francia in particolare, hanno già da
tempo intuito questa notevole occasione di sviluppo e hanno orientato programmi e risorse su
progetti di piattaforme logistiche a servizio dei collegamenti mediterranei lungo la dorsale sudnord, unica implementabile in considerazione della loro collocazione geografica.
L’Italia, almeno fino a oggi, non sembra invece essere stata in grado di impostare un’azione di contrasto efficace mirata al consolidamento di scenari che la vedrebbero relegata a
un ruolo secondario riguardo alle favorevolissime opportunità riconducibili ai flussi mediterranei. Tutto ciò nonostante il fatto che proprio il nostro Paese, in virtù della sua vantaggiosissima posizione geografica, sarebbe il naturale candidato alla leadership nei collegamenti tra
Mediterraneo ed Europa centrale, potendo avvalersi della doppia direttrice sud-nord e estovest.
È comunque evidente che il vantaggio geografico possa essere pienamente messo a
frutto solo lavorando su un sistema complessivo di trasporto nazionale che sia in grado di offrire solide garanzie. I progressi su una sola componente della catena del trasporto non sono sufficienti: strozzature ferroviarie o autostradali in qualsiasi punto della rete, così come intasamenti ai valichi alpini, sono in grado di invalidare in maniera decisiva i risparmi di tempo che
potrebbero indurre gli spedizionieri a scaricare nei porti italiani piuttosto che presso gli scali
atlantici.
I fattori critici della portualità italiana
La portualità italiana, peraltro, nonostante gli obiettivi vantaggi derivanti dalla collocazione geografica e dal rilevante sviluppo costiero, evidenzia segni di debolezza nei riguardi
della concorrenza mediterranea e in particolare di quella spagnola. Sembra ormai consolidato che la perdita di competitività del sistema portuale italiano sia dovuta alla scarsa capacità
manifestata dagli scali nell’assorbire le quantità di merci in transito.
Un evidente segnale di questa inadeguatezza è dato dal fatto che gli scali italiani tendono a rispondere alle sollecitazioni del mercato con una sensibile evoluzione del transhipment, che trova precisa corrispondenza anche nell’estrema frammentazione del sistema, dotato di un elevato numero di porti sparsi lungo le coste. Questa polverizzazione causa notevoli
limitazioni nel conseguimento di economie di scala, dei cui benefici godono invece pienamente i sistemi portuali fortemente concentrati. Anche i dati sulla movimentazione dei contenitori evidenziano come, nei porti italiani, sia trattenuta quasi esclusivamente la merce
necessaria a soddisfare i consumi e la produzione del mercato interno.
Di contro, i sistemi portuali tedeschi e spagnoli spiccano per la capacità di gestire traffici di contenitori sensibilmente superiori ai volumi nazionali di commercio estero, proponendosi nel ruolo di piattaforma logistica a servizio di vaste aree territoriali. Queste realtà sono il
prodotto di politiche nazionali già da tempo indirizzate verso la specializzazione logistica del
Paese, e perseguite attraverso la costruzione di sistemi intermodali a forte concentrazione,
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governati da soggetti estremamente qualificati. Inoltre lo squilibrio tra gli scali di transito e
quelli in grado di trattenere e lavorare merce è destinato ad accentuarsi per effetto della tendenza al gigantismo navale, in sensibile rafforzamento negli ultimi anni. I porti di tutto il
mondo saranno infatti attraversati da navi di dimensioni sempre maggiori, in grado di trasportare enormi quantità di merci racchiuse nei containers. Ne conseguirà una ulteriore concentrazione delle rotte delle “navi madri” impiegate nei servizi principali, che le compagnie
di navigazione tenderanno ovviamente a orientare sugli scali più competitivi, in grado di assorbire e lavorare maggiori quantitativi di merce.
Certamente nei prossimi anni il confronto su questi temi diventerà più intenso e il
nostro Paese, se intende parteciparvi con il dovuto slancio competitivo, dovrà puntare, oltre
che alla ricerca di nuovi percorsi di sviluppo, a valorizzare pienamente le risorse di cui già
dispone.
Gioia Tauro: una risorsa da valorizzare
Si può serenamente affermare che, allo stato attuale delle cose, almeno per quel che
riguarda il traffico container le sorti del sistema nazionale sono legate a filo doppio al porto
di Gioia Tauro. Il porto oggi sembra rifletterne le criticità complessive, non reagendo con la
dovuta prontezza alle sollecitazioni del mercato di riferimento. L’andamento dei traffici degli
ultimi due anni ha faticato, infatti, a sostenere il trend estremamente positivo dei flussi mediterranei.
Sono stati proposti diversi correttivi e, tra l’altro, è stata prospettata l’opportunità di
incidere sui parametri tecnici dello scalo: approfondire i fondali, incrementare le lunghezze di
banchina, ampliare gli spazi operativi. In realtà un semplice confronto, condotto sulla base
degli elementi tecnici più significativi, evidenzia che già oggi lo scalo si colloca in posizione
di assoluta preminenza rispetto alla concorrenza mediterranea.
Occorre pertanto prestare attenzione a questioni diverse, tenendo comunque bene a
mente che le dinamiche della portualità, come sopra è stato evidenziato, sono connesse a
molti fattori, alcuni dei quali per nulla orientabili da logiche politiche o dall’attività degli organismi istituzionali. Alcuni dati sono comunque già certi: la spiccata connotazione transhipment del porto calabrese, che nei primi anni di attività dello scalo aveva impresso una spinta propulsiva imponente, nel contesto modificato di oggi rischia di trasformarsi in un vero e
proprio elemento di vulnerabilità. Diventa quindi determinante lavorare alla costruzione di
un’offerta diversificata di servizi e attività, che sia in grado di conformare le risposte della
struttura portuale alle continue variazioni della domanda.
Un altro aspetto essenziale riguarda i collegamenti con il territorio retrostante, la cui
attuale inefficacia rischia di vanificare anche l’attività di un terminal portuale superfunzionale e altamente qualificato.
Polifunzionalità e connessioni: su questi temi deve dunque concentrarsi uno sforzo col-
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lettivo teso a ricollocare il porto nella posizione di assoluta rilevanza che ha già dimostrato di
saper assumere e sostenere.
La rivoluzione compiuta
Tutte le previsioni di settore annunciano condizioni estremamente favorevoli per i traffici nel Mediterraneo di cui Gioia Tauro è “condannato” a essere uno dei principali beneficiari. I dati positivi dei transiti registrati lo scorso anno attraverso il canale di Suez indicano
anche che è in atto un processo di ridistribuzione, su rotte atlantiche, di traffici asiatici che
tradizionalmente raggiungevano l’America attraverso il Pacifico, evitando il Mediterraneo. Gli
imponenti progetti di ampliamento del canale, in fase di avanzata predisposizione, e gli accordi istituzionali sottoscritti dai governi di Egitto, Cina e Italia, lasciano intravedere un progetto organico teso a richiamare un sensibile incremento di traffico sulla rotta Suez-Gibilterra.
Le prospettive favorevoli, peraltro, non riguardano solo il fronte occidentale, cui siamo
spesso portati a guardare, forse perché troppo condizionati dai successi della portualità spagnola, ma anche l’area orientale e la fascia del Mar Nero. I Paesi dell’Est Europeo, infatti, pur
in presenza di un quadro di connessioni nella sostanza insufficiente, già oggi intrattengono
con l’Italia significative relazioni commerciali, suscettibili di ulteriori evoluzioni, anche in considerazione del prevedibile effetto benefico dell’allargamento dell’Unione.
Si presenta dunque una ulteriore notevolissima prospettiva di sviluppo: l’Italia non solo
“porta sud” per l’accesso ai mercati del Nord Europa, ma anche ponte ideale di connessione
tra il Mediterraneo sud-orientale e le regioni europee più evolute, o ancora tra il Mediterraneo
occidentale e il Nord Africa.
Cogliere appieno questa opportunità significherebbe, per l’intero Paese e per le regioni
meridionali in particolare, il definitivo riconoscimento del ruolo di piattaforma logistica del
centro del Mediterraneo, a lungo solo ipotizzato nei testi di studio e nei documenti di pianificazione e programmazione. Si compirebbe, così, un altro significativo passo della rivoluzione
silenziosa della “scatola globale”.
Bibliografia
Autorità portuale di Gioia Tauro, «Piano operativo triennale 2007-2009», ottobre 2006.
E. Cascetta, Il Sud isolato, Il Sole 24 Ore Pirola 2006.
CENSIS, «III° Rapporto sull’economia del mare», maggio 2006.
Ministero affari esteri, Atti del Seminario reti mediterranee «Interconnessioni materiali e immateriali per l’integrazione
dei mercati», Milano 10-11 febbraio 2006.
F. Rampini, La rivoluzione silenziosa della scatola globale, «La Repubblica», 23 aprile 2006.
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