Scrivere gay

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Scrivere gay
Nino Bonaiuto
Scrivere gay
L'amore f(r)a uomini
ebook gratuito
Introduzione
Questo ebook è dedicato a tutti coloro che
amano leggere storie d'amore. Che poi in
questo caso le storie d'amore siano fra
individui dello stesso sesso (due maschi), la
cosa è assolutamente irrilevante.
L'umanità di oggi ha ormai universalmente
accettato, almeno nell'Occidente avanzato, il
fatto che non ci sono differenze qualitative fra
omosessuali ed eterosessuali. Perfino la
Chiesa Cattolica di Roma ha dovuto prenderne
atto, pur opponendo limitazioni e prescrizioni
dovute a una cultura – sessuofobica, ancor
prima che omofobica - radicata nei secoli.
In questo ebook si parla di narrativa
omosessuale e sono riportati stralci dai
seguenti libri:
L'amore come viene
L'uomo che cercavo
Un futuro per noi due
Intervista di G.Rizzuto a Nino
Bonaiuto
l'amore gay, gli ebook
GR. Definisci i tuoi ebook eroticisentimentali, che significa esattamente?
NB. Si tratta di storie d'amore, per cui il sesso
ha un ruolo molto importante. Per una società
sessuofobica come la nostra, il sesso dovrebbe
essere confinato fra le manifestazioni
morbose, sporche, da nascondere o da
menzionare di sfuggita.
E invece il sesso è la carne viva degli amori,
anche quelli più puri e nobili, che poi sono
quelli che porto al centro delle mie storie.
Se l'eros viene taciuto, non si riesce a capire
perché due amanti perseguano con tanta
passione l'obiettivo di incontrarsi e stare
insieme.
Sono lontani i tempi in cui Alessandro
Manzoni, nei "Promessi Sposi", per descrivere
la "torbida" relazione di sesso fra Gertrude, la
famosa monaca di Monza, ed Egidio si limita a
scrivere:
"La sventurata rispose". Come dire "...e ho detto
tutto".
GR. So che ti auto-produci. Com'è fare lo
scrittore senza un editore alle spalle?
NB. Grazie alla libertà delle nuove tecnologie
è possibile pubblicare le proprie opere
praticamente gratis. Gli autori non sono più
costretti a fare anticamera presso gli editori,
sperando che qualcuno li prenda in
considerazione. E' il pubblico che decide se
comprare o meno, decretando il tuo successo o
il tuo fallimento.
Un autore non si deve nemmeno più sottoporre
alla gogna dei concorsi letterari, quasi sempre
truccati e pilotati da interessi economici.
C'è l'altro lato della medaglia, ovviamente: ogni
giorno viene sfornata un'incredibile quantità di
opere raffazzonate e spesso sconclusionate.
Ho letto persino che ci sono in giro ebook
tradotti da lingue straniere con i traduttori
gratuiti presenti su internet: chiunque abbia
utilizzato almeno una volta tali traduttori, si
rende conto di quali risultati possano produrre.
Il lettore si deve fare furbo e capire, dai pochi
elementi che ha a disposizione, se l'ebook può
essere messo alla prova o se eè meglio non
prenderlo nemmeno in considerazione.
Il bello anche in questo caso è che l'ultima
parola è sempre quella del pubblico.
La mia soddisfazione, per venire alla tua
domanda, è che riesco a competere con gli
editori professionali, sottraendo loro una
fettina del mercato.
GR. Hai pubblicato finora due romanzi.
Che riscontro hai ricevuto?
NB. Molto positivo. Il primo, “L'amore come
viene” ha avuto delle buone vendite e un
apprezzamento che mi ha fatto molto piacere. Il
secondo, “L'uomo che cercavo” sta andando
ancora meglio.
GR. Qual'è la molla che ti ha spinto a
iniziare a scrivere?
NB. Non saprei dirlo, è stata un'esigenza
interiore: dovevo condividere quello che avevo
dentro, che spingeva per uscire.
In Italia non si è ancora affermata una
letteratura nella quale le persone gay vivono la
propria condizione come un dono, quasi un
privilegio.
Niente vittimismo, niente sensi d'inferiorità,
l'amore gay fra due uomini è meraviglioso
come quello eterosessuale.
Nella panorama della cultura italiana sono
ancora troppo poche le storie che descrivono
amori sublimi e pieni di passione erotica, nel
contempo.
Nella realtà tali storie esistono, con buona pace
dei bigotti di tutte le confessioni. Occorre solo
scriverle e diffonderle presso quei giovani
omosessuali che ancora oggi si ritengono di
"Serie B", per il solo fatto che la nostra società,
aperta a parole, ma retriva nei fatti, insiste
nell'emarginarli, in quanto gay.
Se ho una missione, è questa: raccontare ai gay
l'enorme potenziale di amore e felicità che
possono esprimere nella loro vita, totalmente
liberi dalle pastoie mentali del passato.
GR. Sei impegnato in politica?
NB. No, non sono iscritto a nessun partito e
non sono portatore di alcuna ideologia, ma ogni
atto che ci porti a relazionarci con gli altri è, di
fatto, politico. Quindi tutti facciamo politica.
GR. Per il futuro cosa pensi di fare?
NB. Sto scrivendo una storia bellissima, di un
amore puro (e passionale) fra due ragazzi
universitari. E' una storia che scrivo senza
fatica, come se fosse la storia stessa, dotata di
vita propria, a volersi scrivere da sola.
Conto di pubblicare l'ebook di questo romanzo
prima di Natale, ma il lavoro da fare è
parecchio. Non ho editor, né correttori
bozze, devo fare tutto da solo.
Poi, se una casa editrice decidesse
contattarmi,
di
certo
prenderei
considerazione la loro offerta, ma per ora
bene così.
GR. Grazie. Alla prossima.
NB. Grazie a te.
Genevieve Rizzuto
di
di
in
va
I – L'Amore
Credere nell'Amore
Ormai ne sono certo: l'Amore c'è, è la sostanza
fondamentale dell'Universo. Il suo opposto è la
Paura, che è una temporanea mancanza d'amore.
Dalla paura discendono tutti i guai.
Credo nell'Amore, nell'amore degli uomini e
delle donne, nell'amore di Dio.
Nessun malinteso può durare a lungo, nessuna
vita che non abbia per obiettivo la ricerca
dell'amore ha un senso.
Capita a volte di vivere senza amore, o - per
meglio dire - a "ridotto apporto d'amore". Sono
i periodi bui, quando abbiamo perso di vista
l'essenza divina che dimora in noi.
In quei momenti rischiamo di perdere il
rispetto per noi stessi, perchè magari qualcuno
ci ha fatto sentire inadeguati.
Non dobbiamo mai dimenticare che noi tutti
siamo
degni
d'amore,
sempre,
indipendentemente da ciò che abbiamo fatto, da
ciò che sappiamo fare, da quanto siamo o non
siamo bravi.
Se sapremo metter da parte le nostre stupide
paure, allora riconosceremo l'amore che
pervade la nostra vita.
Ce n'è tanto, tantissimo, più di quello che
possiamo immaginare. E darlo agli altri non lo
fa diminuire, anzi lo moltiplica.
Quando
approdiamo
nella
dimensione
dell'amore, la serenità e la saggezza diventano
disponibili e la nostra vita ne è arricchita.
Impariamo a perdonare, prima di tutti noi stessi
e poi coloro che ci hanno fatto del male: il
perdono è l'Amore che con la sua forza
sconfigge la Paura.
All'inizio di "La lingua perduta delle gru", David
Leavitt cita il poeta americano James Merrill
con le seguenti parole:
"Perdonami se leggi questo.../ Vivevo da tanto
senza amore /Che non sapevo più cosa
pensavo".
Mai più senza amore!
Il vero esame di maturità è
l'esperienza dell'amore
Quando si passa dalla fanciullezza all'età
adulta? Ai diciott'anni, quando per legge si
diventa maggiorenni? O a sedici, l'età con la
quale nei paesi più avanzati si prende la patente
e si ha diritto di voto?
Al debutto in società, come negli ammuffiti
balli delle debuttanti? O quando in America
scatta l'ora del grande Ballo della Scuola, per
cui le ragazze debbono trovare - a tutti i costi uno straccio di ragazzo che faccia loro da
cavaliere?
Qui, da noi, in Italia, definiamo uno stupido
esame nozionistico "Esame di maturità", come
se la maturità consistesse nel conoscere il
Manzoni o le corrette coniugazioni dei verbi
latini.
Neanche per idea.
Il vero passaggio avviene, come sa la maggior
parte di noi, quando c'innamoriamo per la prima
volta, quando usciamo dagli angusti recinti
della gretta vita materiale; l'anima si sveglia e
cerca nell'altro il sentiero che conduce alla
felicità.
Non parlo dell'amore istituzionalizzato, quello
per cui ci si fidanza e poi ci si comporta come
coniugi sposati da quarant'anni.
Parlo dell'amore che brucia e avvampa l'anima.
L'amore che innalza a vette di felicità
inimmaginabili e fa precipitare in abissi di
dolore mai prima esplorati.
Chi lo prova cessa di essere un ragazzo e
diventa uomo. Ecco il vero esame di maturità.
Queste esperienze valgono per tutti, uomini e
donne, etero e gay. Il sesso c'entra fino a un
certo punto, dato che è l'attrazione fisica ad
innescare l'amore, ma non è l'elemento
principale
di
questo
processo
di
trasformazione interiore.
Non tutti attraverseranno questo tipo di
esperienza, per cui molti rimarranno invischiati
nella materialità di un'esistenza piatta e banale,
senza capirne il vero significato.
Perché il sesso è così importante
La nostra natura di esseri umani è molto legata
alla sessualità, un'energia primordiale che si
esprime in tutte le nostre manifestazioni, nelle
nostre convinzioni e nel nostro modo di
pensare.
Se dobbiamo giudicare un'altra persona non
siamo mai obiettivi e le caratteristiche sessuali
di quella persona ci influenzano in positivo o in
negativo, malgrado la nostra volontà cosciente
di rimanere neutri e imparziali.
Nel sesso è riposta una quantità di emotività
estremamente elevata.
I devoti di un guru si fanno trascinare dalle sue
idee; si tratta cioè di una passione intellettuale
che diventa anche fortemente emotiva. I
fanatici però sono relativamente pochi.
Tutti quanti invece potremmo essere trascinati
da una passione di natura sessuale per un altro
essere umano. La nostra personalità può
esserne esaltata, se il legame sessualesentimentale è sano, o annichilita, se tale
rapporto è squilibrato o sostenuto da energie
negative (rabbia, paura, odio ecc.).
Se il tuo partner ti tradisce, significa che ha
preferito condividere la sua emotività più
grande con un altro. In un certo senso ti ha
svalutato come essere umano, preferendo
un'altra persona.
Ecco perché il tradimento è considerato un
estremo
oltraggio,
un
vilipendio
imperdonabile.
Avere condiviso il sesso con altri, costituisce
quindi la rottura di un patto.
Quando si fa scambio di coppia o si sceglie di
allargare le esperienze sessuali della coppia
includendo altre persone, si rischia di minare
alla base il patto "sacro" fra due persone. Il
rapporto di coppia di fatto non c'è più, il
contratto è di fatto sciolto.
Ecco perché fare esperienze sessuali con
persone esterne alla coppia è estremamente
pericoloso per la coppia di cui si fa parte. Non
perché l'altro potrebbe scoprirlo (ciò
accelererebbe solo la dissoluzione inevitabile
della coppia), ma perché il sesso, portandosi
dietro un carico di emotività spaventoso,
potrebbe sovvertire i sentimenti dei due amanti
clandestini.
Coloro che si definiscono scopamici (termine
orribile che si sente dire da poco tempo:
designa due amici che fanno solo sesso, senza
altro fine) ben lo sanno. Costoro credono che
fare sesso sia come fare un po' di innocua
ginnastica, e invece spesso si ritrovano a
lottare con sentimenti impetuosi, che non
sanno fronteggiare: l'amore spesso si sviluppa
fra i due come un incendio, che poi nessuno è
in grado di spegnere.
Nel sesso c'è una forza primigenia che è più
forte di noi. Quando abbiamo a che fare con
essa scordiamoci quindi i piani a tavolino, il
calcolo delle convenienze.
Scherzare col sesso è come scherzare col
fuoco.
II – Le Storie
Il romanzo popolare
Nell'Ottocento, l'evoluzione della società rese
necessaria la diffusione di opere letterarie
istruttive ed educative per il vasto pubblico
delle masse, sempre più istruite. Nacque così
la cosiddetta letteratura di consumo.
I romanzi d'appendice, in francese
feuilleton, erano storie raccontate a puntate
sui quotidiani, romanzi d'intrattenimento rivolti
a un pubblico popolare. Si trattava per lo più di
storie drammatiche, moralmente edificanti, che
sfociavano
dopo
infinite
vicende,
emotivamente forti, in un liberatorio lieto fine.
Seguitissimi, i romanzi d'appendice garantivano
una certa tiratura dei quotidiani che li
ospitavano, dovuta alla fidelizzazione dei
lettori.
Una specializzazione dei romanzi d'appendice
fu il romanzo rosa, dove le vicende narrate
riguardano storie romantiche di coppia.
Con l'avvento della radio, le storie si
trasferirono nell'etere sotto forma di
radiodrammi a puntate. Nacquero così negli
USA le cosiddette "soap opera", dove le
vicende - sempre di natura sentimentale procedevano attraverso una narrazione diluita in
un numero di puntate pressoché infinito.
Le soap opera, trasferite in televisione, hanno
avuto un enorme successo negli scorsi anni;
successo che perdura tutt'oggi.
Il nome "soap opera" è dovuto al fatto che
queste produzioni servivano per reclamizzare,
attraverso le interruzioni pubblicitarie, vari
prodotti, fra i quali i detersivi (soap). La
Procter &Gamble produsse a tal proposito
"Sentieri",
dapprima
un
radiodramma,
successivamente trasposto in televisione come
telefilm seriale.
Le telenovelas, la versione sudamericana delle
soap opera statunitensi, prevedono un finale
che chiude la storia, mentre nelle soap non c'è
mai un finale. La storia è di fatto infinita.
Ultimamente i romanzi "popolari" si sono
trasformati in saghe, ovvero storie raccontate
lungo diversi volumi seriali numerati. Mi
vengono in mente le diverse saghe sui vampiri
adolescenti.
Spesso i romanzi popolari sono sciatti, privi di
fantasia, scritti solo per amore di guadagno.
Altre volte gli scrittori sono dei semplici
mestieranti, che scrivono tecnicamente bene,
ma senza nessun afflato emotivo.
Come capita spesso con i film hollywoodiani,
la cattiva letteratura popolare segue un format
specifico - non so quanto codificato - per cui
nelle prime n pagine si deve descrivere
l'incontro-scontro fra i protagonisti, cui
seguono n capitoli che debbono descrivere il
conflitto che separa i due momentaneamente,
per poi, nelle ultime pagine, addivenire a una
riconciliazione con l'inevitabile "...e vissero
tutti felici e contenti".
Il romanzo popolare, come qualsiasi forma
d'arte, può essere scritto bene o male.
Tantissimi grandi autori si sono cimentati con
questo genere nella storia della letteratura.
La dignità del romanzo popolare è
indiscutibile, nonostante la grande quantità di
spazzatura che esce tutti i giorni sotto le sue
insegne.
Per bacino di potenziali lettori, per le
tematiche morali e civili che si possono
veicolare, per la forza delle emozioni, il
romanzo popolare - a parer mio - si dimostra
una forma d'arte molto più rilevante rispetto
alle opere "elevate", che ben pochi sono
disposti a leggere.
Quindi basta con lo snobismo di certa cultura
sterile e autoreferenziale. Viva il romanzo
popolare.
Come trovare la buona narrativa
gay
Trovare buoni romanzi, ottima narrativa che
abbia al centro la tematica gay non è semplice,
poiché oggi c'è una grande e disordinata
proliferazione di prosa specializzata nella parte
omosessuale dell'amore.
Come fare per orientarsi nella sterminata
produzione letteraria, per trovare opere nelle
quali il mondo gay sia rappresentato nella sua
vera dimensione?
Nel mondo di oggi l'omosessualità è uscita dal
ghetto e cammina libera, alla luce del sole e
reclama una letteratura che se ne occupi, che
descriva la sua vera realtà.
I romanzi che trattano dell'amore gay, incluso
l'aspetto sessuale, debbono uscire dalla
condizione di clandestinità a cui erano stati
condannati nel passato e stare accanto alle
migliori opere che trattano e decantano l'amore
etero.
Un gay deve avere dei modelli di riferimento,
deve sapere quant'è meraviglioso amare un'altra
persona dello proprio sesso.
Questa nuova narrativa deve dare spunti per
sognare, fornire modelli di pensiero finalmente
liberi dai vecchi pregiudizi.
Mi colpì, anni fa, la confessione di un ragazzo
gay, che disse: "Per gli etero c'era Baglioni,
Prevert, i Baci Perugina, il Tempo delle Mele...
Per noi non c'era niente".
Questo è il tempo in cui stanno per venir fuori
opere che parlano dei gay, per i gay e per tutte
le altre persone che vogliono comprendere la
realtà che si trova oltre il loro recinto.
Tornando alla domanda iniziale: "come trovare
la buona narrativa gay", occorre distinguere la
narrativa dalla letteratura porno-erotica, che ha
una sua dignità, ma che si esaurisce nella
descrizione del "delirio" sessuale, trascurando
di rappresentare la vita al di fuori di questo
(importantissimo) aspetto.
Ci sono poi i romanzi d'amore definiti romance
m/m (male/male, ossia maschio-maschio), che
sono scritti perlopiù da autrici americane.
Per quanto lodevoli, questi romanzi non
rappresentano il modo di pensare degli uomini
gay e le storie che descrivono si muovono in
una realtà molto diversa da quella italiana.
Va dato atto però a questo filone di letteratura
"rosa", o forse si dovrebbe dire “fucsia”, di aver
fatto scoprire al pubblico femminile
occidentale la realtà del mondo gay, del quale a parte le caricature del passato - gli
eterosessuali non sapevano niente.
Un ragazzo gay che cerchi nella letteratura dei
momenti per identificarsi e per non sentirsi
"diverso", dovrebbe leggere innanzitutto un
classico scritto cent'anni fa: "Maurice" di E. M.
Forster e pubblicato postumo nel 1971.
Un altro libro fondamentale è "La vita perduta
delle gru", di David Leavitt.
Altro caposaldo da non perdere è "Mentre
l'Inghilterra dorme", sempre del Leavitt.
Mi piace anche il libro "Alla fine di questo
libro la mia vita si autodistruggerà" di Insy
Loan, libro molto godibile, scritto qualche
anno fa. Non conosco Insy, ma ho letto il libro
e mi è piaciuto ;-)
Non cito altri libri perché vorrei dire basta con
i romanzi dove i gay finiscono male, uccisi,
suicidi, esclusi ecc. ecc. Come se un po' se la
fossero cercata. Ma perché?
Nella realtà di oggi, sempre più giovani uomini
gay vivono la loro vita felicemente, alla luce
del sole, allo stesso modo delle coppie etero.
Per quanto riguarda la scelta della nuova
narrativa gay, proporrei un metodo abbastanza
facile.
Innanzitutto leggere la sinossi, o quarta di
copertina, come viene spesso definita. Se è
scritta con i piedi e se la consecutio temporum
è andata a farsi friggere, direi di non comprare.
Se la trama è complicata con colpi di scena
pazzeschi, morti ammazzati compresi, direi che
state comprando un thriller dove uno o più
personaggi sono gay.
La copertina può dare un'idea, ma non dovrebbe
essere il principale criterio di scelta. Certe
volte è bravo il grafico, ma lo scrittore fa pena.
Il metodo del tassello dell'anguria è senz'altro
un buon metodo, ossia provare a leggere
qualche pagina dell'autore in generale o di
un'opera in particolare.
Se l'autore ha pubblicato qualcosa di gratuito,
potete leggere quello e farvi un'idea di come
sarà il romanzo.
A tal proposito, su alcuni siti, come quello di
Google, si possono leggere gratuitamente ampi
stralci di tanti romanzi, così da valutare se
meritano o no l'acquisto.
Leggere fortifica l'anima. Leggere fa crescere.
Il prezzo degli ebook
Che prezzo far pagare per un ebook? Questa è
una domanda alla quale gli autori che
pubblicano libri digitali, prima o poi, debbono
dare una risposta. Dipende da tanti fattori.
Se sei Stephen King, spara pure alto, tanto un
numero cospicuo di persone lo pagherà
volentieri.
Se invece sei un esordiente, uno di quelli che fa
fatica a farsi conoscere, allora valgono le
seguenti considerazioni.
● Se hai scritto un racconto di venti pagine,
chiunque tu sia, non puoi chiedere più di 2
euro.
● Se hai scritto una storia cara al tuo cuore,
ne hai curato tutte le fasi di lavorazione, hai
fatto la correzione della bozza, l'hai letto, l'hai
rivisto e poi ancora riletto... allora non
chiedere meno di 5 euro. Il lavoro va pagato,
l'ispirazione va premiata.
● Un ebook gratis si paga zero e spesso vale
la stessa cifra. Ma ci sono anche delle
lodevoli eccezioni.
● Se senti di aver fatto qualcosa che potrà
elevare lo spirito di altre persone, allora
farti pagare non è un delitto.
● Se hai scritto un volume immenso, tipo
"Guerra e Pace", valuta tu quanto farlo
pagare, ma non superare mai i 10 euro. E' pur
sempre un libro digitale...
III - L'uomo che cercavo (ebook)
Un uomo, tanti uomini, poi l'amore
"L'uomo che cercavo" è un romanzo a tematica
romance m/m (gay).
Si tratta della storia di un giovane gay che piano
piano, attraverso esperienze sessuali e
sentimentali con diversi uomini, arriva a una
maggiore consapevolezza di se stesso, finchè
non sarà pronto per incontrare il suo uomo,
l'uomo che cercava.
E' una storia per adulti, infatti il sesso è il
mezzo attraverso il quale Pietro, il gay
trentenne protagonista del libro, esplora se
stesso, le proprie reazioni, le proprie emozioni
e conosce anche gli altri, gli uomini che
incontrerà lungo il suo percorso di crescita
amoroso-sentimentale.
Non sarà sempre un percorso facile, ma
l'amore è sempre più accessibile di quello che
crediamo. La felicità, a lungo cercata, è lì, a
portata di mano.
Trama
"L'uomo che cercavo" è la storia di Pietro, un
uomo di trent'anni che ha un buon lavoro; è
inquadrato
come
ragioniere
nell'amministrazione di un'azienda di prodotti
chimici, nella periferia di Roma.
Il suo capo, Ettore Saltafossi, è un uomo
magnanimo e comprensivo; la collega Sara
Parmigiani, una bella ragazzona appariscente,
ma intelligente, una sua amica. Con l'altro
collega con cui lavora, Giovanni Li Puma, non
ha invece un grande rapporto, poiché non
condividono nessun interesse comune.
Pietro è gay, ma non l'ha mai detto a nessuno.
Vive con la mamma, Jole, la quale si chiede
quando mai suo figlio si deciderà a conoscere
una brava ragazza, per poi sistemarsi.
Un giorno i suoi occhi incrociano lo sguardo
spudorato di Franco, un operaio addetto
all'asfaltatura delle strade. La voglia di Franco
lo eccita, come non era più abituato da anni e
presto le sue fantasie trovano una reale
concretizzazione.
Gli incontri con l'operaio sono focosi e il
sesso fra di loro è così sconvolgente da far
"svegliare" Pietro dal suo torpore e dalla sua
rassegnazione.
Capisce finalmente che nella sua vita potrebbe
entrare finalmente l'amore. A tal proposito, si
ritrova a riflettere su tutte le sue precedenti
esperienze sentimentali e sessuali, tutte, in un
modo o nell'altro terminate in maniera
fallimentare.
Franco non si rivela pronto ad una relazione gay
alla luce del sole. La breve ed intensa storia di
sesso s'interrompe bruscamente.
Pietro, dopo aver fatto coming out con la
madre, si mette affannosamente alla ricerca
dell'incontro con l'uomo giusto, quello con cui
vivere l'esperienza dell'amore vero. Cerca un
uomo per tutta la vita, non vuole solo una
relazione temporanea, basata sull'aspetto
fisico.
Dopo una traumatica avventura maturata
nell'ambiente dell'ufficio presso cui lavora,
Pietro incontra in una sauna Adriano, un uomo
lascivo ed affascinante di 36 anni, che lo
introduce nella sua cerchia di amici.
Le vacanze incombono e Pietro parte per la
Sicilia con Adriano e la sua banda, felice come
non è mai stato. In vacanza le cose presto
prendono una piega imprevista.
Ecco il primo capitolo del libro.
Capitolo 1
Asfalto
Era da un po' di tempo che aveva richiesto
l'intervento del Comune per asfaltare la strada
davanti a casa sua. Il suo tono era stato fermo e
deciso, quando aveva parlato al telefono con
l'impiegata: lui pagava le tasse e aveva tutto il
diritto che la strada di casa sua non fosse più un
sentiero dissestato, pieno di buche, polveroso
d'estate e un pantano d'inverno.
Il suo desiderio era quello di rientrare a casa
con la sua ford, senza il rischio di danneggiarne
le sospensioni tutte le volte.
Aveva anche fatto pressione sui candidati delle
scorse elezioni amministrative, di sicuro il
metodo più rapido per ottenere la
soddisfazione di quello che era un suo diritto.
Ogni mattina Pietro si recava a Roma, dove
lavorava presso un'azienda che produceva
materie plastiche. Quando la gente sentiva dire
“produzione di plastica”, pensava sempre ad un
ambiente insalubre, pericoloso per la salute.
Per sua fortuna, lui non era nella produzione,
dove gli operai respiravano effettivamente i
miasmi velenosi della lavorazione che seguiva
al processo di polimerizzazione.
In qualità di ragioniere, lavorava in
amministrazione e si occupava di contabilità, in
una bella stanza d'ufficio, pulita e ordinata, che
condivideva con due colleghi.
Quando un mercoledì di fine marzo squillò il
telefono, intuì che a chiamare fosse sua madre.
«Pronto?»
«Pietro, non indovineresti mai!», disse la
madre, con voce allegra.
«Che c'è?», chiese, incuriosito.
«Sono venuti gli operai ad asfaltare la strada»,
cinguettò tutta contenta la signora Jole.
«Ma dai... non ci credo!», esclamò Pietro, con
grande soddisfazione.
Ogni giorno, alle quattordici, Pietro staccava,
prendeva la sua auto, si faceva i suoi bravi
quindici chilometri e raggiungeva la periferia
del suo paese, dove abitava da solo con la
madre, da quando, dodici anni prima, suo padre
era venuto a mancare.
A trent'anni non s'era ancora sposato e sua
madre ogni tanto riprendeva quest'argomento
per chiedergli quando si sarebbe deciso a
portargli a casa finalmente una brava nuora.
Quello che Jole non sapeva, era che Pietro non
era affatto interessato a intrecciare una
relazione con una donna: non ci pensava
nemmeno. Erano gli uomini quelli che lo
interessavano, che gli facevano girare la testa,
che guardava per strada e sui quali fantasticava.
Si era innamorato diverse volte di compagni di
scuola, di amici e poi di colleghi di lavoro, ma
tutte le volte era rimasto in silenzio per non
tradirsi e – d'altro canto – le persone delle
quali s'era infatuato erano state spesso degli
eterosessuali, a volte addirittura sposati, che
mai lo avrebbero corrisposto.
Gli sembrava che l'amore, oltre a portargli
un'ebbrezza e un desiderio sublimi, finisse
sempre per condurlo a cocenti delusioni e a
grandi sofferenze.
La signora Jole capiva quando suo figlio
attraversava quei momenti difficili e in quei
casi cercava sempre un dialogo, per poterlo
aiutare. Sfortunatamente, davanti alle domande
della madre, Pietro era stato sempre evasivo e
aveva mascherato la cosa dicendo che erano
momenti di stanchezza dovuti allo stress
eccessivo, prima a scuola e poi in ufficio, da
quando aveva cominciato a lavorare.
Si guardò nello specchietto retrovisore: era di
sicuro un bel ragazzo, occhi azzurri, capelli
chiari, tagliati corti, faccia virile, corpo ben
modellato. Davvero niente male, pensò. Si
ricordava che un uomo che aveva incontrato una
volta, gli aveva detto che era 'bello come un
arcangelo'.
Per quanto ne sapeva, nessuno sospettava che
fosse gay, né lui aveva alcuna intenzione di
manifestarsi. Erano suoi affari privati,
dopotutto.
Quando imboccò la strada che portava a casa
sua, vide la squadra di operai che stavano
levigando la terra per renderla pianeggiante.
C'era un uomo sopra i cinquant'anni, uno sui
quaranta e un ragazzo poco più che ventenne.
Pietro si fermò e volle fare la conoscenza dei
tre. «Buongiorno,» disse scendendo dalla sua
macchina, «Mi chiamo Pietro Pagliari. Ho
chiesto io al comune di far asfaltare, una volta
per tutte, questa strada. La macchina è
abbastanza nuova», disse indicando la sua
autovettura. «Non ne voglio cambiare una
all'anno.»
«Io sono Luigi», disse l'uomo più anziano. Era
corpulento e aveva quella che a Roma si chiama
“la panza”, un ventre prominente, indice di una
scadente forma fisica.
«Io sono Franco Morello», disse il
quarantenne, fissandolo negli occhi. Pietro si
sentì sciogliere dentro: era un uomo molto
bello, dal corpo perfetto e scolpito, vestito di
una salopette blu, da lavoratore. Dal colletto
della t-shirt si intravedevano alcuni peli,
rivelando un petto villoso, particolare capace di
risvegliare la fantasia di Pietro. La stretta della
sua mano era molto forte e possente. Pietro
deglutì per l'emozione, mentre Franco lo
scrutava senza alcun pudore.
La stretta di mano durò un secondo di troppo:
Luigi li guardò, chiedendosi cosa stesse
succedendo.
«Io sono Luca», disse il terzo componente
della squadra, un ragazzo sorridente, contento
per aver smesso per un momento di lavorare.
«Abito nella casa sulla collinetta, alla fine di
questa strada. Per qualsiasi necessità, per
qualsiasi cosa, venitemi pure a bussare», disse
allegramente Pietro, mentre si apprestava a
rientrare in macchina.
Mentre cautamente avanzava verso casa,
sollevando una nuvola di polvere, si chiese se
fosse stata una sua impressione o se Franco
l’avesse effettivamente guardato da cima a
fondo, facendogli una sorta di radiografia.
“Come uno scanner”, pensò. Quello sguardo lo
aveva messo a disagio, in una maniera che gli
sarebbe piaciuto approfondire.
La sua casa era costruita su due livelli. Al piano
superiore c’era la camera da letto della madre e
lo studio che era stato del padre, che lui
chiamava la “biblioteca”, in quanto le pareti
erano coperte da librerie zeppe di vecchi libri
polverosi.
Al piano di sotto, la cucina abitabile era il
posto dove preferiva stare e dove lui e la madre
consumavano i pasti. E poi c’era la sua camera,
sulla destra, arredata sobriamente, con un letto
matrimoniale e pochi altri mobili, che aveva
comprato insieme alla madre.
Jole lo aspettava per il pranzo. «Hai visto gli
operai?», chiese al figlio.
«Certo. Mi sono fermato e ho fatto la loro
conoscenza. Quello più anziano andrebbe bene
per te...», scherzò.
Jole rise e si godette per un attimo il pensiero
di se stessa di nuovo insieme a un uomo. Dio
solo sapeva se ne aveva voglia.
«Ma io sono vecchia, chi mi vorrebbe più?»,
disse sospirando la signora.
Certo non era più un fiore di campo, ma aveva
un portamento elegante e tutto sommato era
riuscita a non ingrassare eccessivamente. A
sessantaquattro anni era ancora una bella
signora, per una donna della sua età.
I capelli tagliati corti e tinti di scuro, rendevano
alquanto giovanile la sua figura, almeno da
lontano.
Dopo aver pranzato, mentre lavava i piatti,
chiese al figlio che programmi avesse per il
pomeriggio.
«Penso che guarderò un po' la televisione e poi
me ne starò un po' tranquillo a leggere».
La madre lo guardò sconsolata e lui se ne
accorse. Sapeva che sua madre avrebbe voluto
che lui uscisse a frequentare degli amici e che
considerava il suo modo di passare le giornate,
uno spreco di tempo. Avevano avuto molte
volte questa discussione, per cui preferì far
finta di niente.
La madre salì in camera sua per il consueto
riposo pomeridiano, mentre Pietro uscì fuori la
porta, ad osservare la squadra di operai in
lontananza. Avevano ripreso il lavoro, dopo la
pausa pranzo.
Ripensò a Franco, a quel suo sguardo che gli
aveva fatto una 'radiografia' dalla testa ai piedi.
Sapeva di interessargli. Ma come avrebbe
potuto fare il primo passo, senza rischiare?
Un venticello freddo e fastidioso si era
sollevato, facendolo decidere di rientrare in
casa.
Notò all’ultimo momento che uno dei tre si era
staccato dal gruppo e stava avanzando verso
casa sua. Non riusciva a distinguere quale dei
tre fosse. Rimase ad aspettare e dopo poco capì
che a muoversi verso di lui era proprio Franco.
Un brivido gli percorse la schiena,
immaginando per un attimo che fosse mosso
dall’interesse per lui.
«Ciao Franco».
«Che c’hai una bottiglia d’acqua? Quella che
avevamo è finita a pranzo», chiese l’operaio
con lo sguardo piantato negli occhi di Pietro.
Franco aveva capelli neri corti, pettinati
all'indietro e occhi neri profondissimi, che lo
soggiogavano tutte le volte che scrutavano in
fondo ai suoi.
«Certo... entra», disse il padrone di casa, con la
voce arrochita dall’emozione.
Mentre entrava, Franco si fece troppo vicino a
Pietro, perché fosse una casualità. Con la mano
afferrò il braccio del giovane, forzandone la
mano a toccare l’erezione durissima sotto la
sua salopette blu. «Lo so che lo vuoi», sussurrò
l’operaio, con tono perentorio. Pietro si girò
con gli occhi sbarrati, colmi di desiderio.
«Shhh... c’è mia mamma al piano di sopra. Vieni
di qua», gli disse a bassa voce, trascinandolo
verso la sua camera da letto.
Franco si tolse le spalline della salopette,
facendola crollare fino alle ginocchia. Pietro
poté vedere che l’uomo portava degli slip
bianchi, di quelli che si vendono nei mercatini.
Un grosso rigonfiamento pulsante rivelava
un’erezione prepotente. Il pene dell'operaio
prometteva di essere grosso e lungo.
I peli pubici, neri e rigogliosi, sfumavano verso
l’ombelico, ancora coperto dalla maglietta
bianca.
Con due dita Franco abbassò gli slip, liberando
il “mostro”. Era molto bello, scuro e puntava
verso l’alto. Il glande rosa, con la sua
boccuccia in cima, umido per il liquido
trasparente che era fuoriuscito, appariva bello e
nel contempo delicato, tanto che Pietro ne fu
intenerito.
I testicoli, si intravedevano, rosei, sotto la folta
peluria.
Pietro si inginocchiò e prese la grossa cappella
nella sua bocca, assaporandone il gusto salato e
respirando l’odore di sudore, mescolato
all'afrore di un maschio vero.
Franco dall’alto lo guardava ipnotizzato, mentre
la sua mano sulla nuca di Pietro ne dirigeva il
ritmo, spingendolo ad accelerare i movimenti e
a far entrare il pene ancora più in profondità
nella sua cavità orale.
Quando arrivò al culmine del piacere Franco
spinse con forza, senza badare al fatto che
Pietro sembrava nel panico: si sentiva
soffocare, gli mancava il respiro e sentiva lo
sgradevole riflesso del vomito. Pietro guardò
atterrito in alto implorando l'attenzione del suo
partner
occasionale.
Franco
continuò
ignorando tutti i segnali, proseguendo un
movimento che gli stava regalando un piacere
realmente straordinario.
Con grande sollievo di Pietro, Franco si fermò
all'improvviso, gemendo, e rapidamente la sua
bocca si riempì rapidamente dello sperma
dell'uomo, caldo e salmastro.
Per evitare di rimanerne soffocato, deglutì
l'abbondante 'regalo' che aveva ricevuto, non
senza un moto di disgusto.
Franco estrasse il pene dalla sua bocca,
riponendolo
negli
slip,
richiudendo
rapidamente
la
chiusura
lampo,
ricomponendosi.
Pietro sputava, tossiva e deglutiva a vuoto. S'era
sentito morire con quel pene che aveva invaso
tutto lo spazio della sua bocca.
«Che cazzo! Mi hai quasi soffocato!», lamentò
il ragazzo.
Franco lo guardò con disprezzo. «Non dire che
non ti è piaciuto. Sei una grandissima troia».
«Vattene», gli intimò Pietro. «Non farti più
vedere in casa mia».
«Quando hai bisogno di cazzo, qui ce n'è»,
disse Franco, toccandosi oscenamente il pene,
ancora barzotto, attraverso la salopette.
«Vattene», ripeté Pietro.
Franco si girò e se andò tranquillamente, con la
bottiglia d'acqua in una busta per la spesa.
Pietro lo seguì con lo sguardo da dietro la
finestra, mentre l'uomo percorreva a piedi la
strada ancora polverosa, fino a che non lo vide
ricongiungersi con gli altri due operai.
Gli sembrava che per Franco non fosse
successo niente di particolare, ma per lui erano
state sensazioni fortissime, quasi uno choc. La
sua testa era in preda a un turbinio di pensieri
ed emozioni contrastanti.
Il suo pene in erezione non accennava ad
ammosciarsi.
Un'eccitazione
strana
e
persistente lo teneva sulla corda e gli faceva
provare una frenesia piacevole, un'ansia in
attesa di soddisfazione.
Quello stronzo si era approfittato di lui, lo
aveva usato come un oggetto per il suo piacere,
senza minimamente preoccuparsi delle sue
esigenze. Eppure una parte di lui era attratta in
maniera ossessiva da quel bruto in salopette, in
barba a qualsiasi logica, alla faccia di qualsiasi
buon senso.
Si pentì di averlo cacciato via: forse era stato
troppo severo con lui.
Estrasse il pene durissimo e con le dita giocò
col
prepuzio
che
ricopriva
quasi
completamente il glande. Una sensazione
acutissima di piacere gli sconvolse la mente.
Ripensò all'atto sessuale appena consumato col
suo operaio. Bastarono pochi movimenti su e
giù per procurargli un orgasmo violento.
Copiosi schizzi attraversarono l'aria per
infrangersi contro la parete e sul pavimento.
Non ricordava di aver mai provato prima una
sensazione di piacere così acuta e sublime.
Guardò nuovamente dalla finestra. I tre operai
stavano lavorando tranquillamente all'imbocco
della stradina che portava a casa sua.
Si sdraiò sul letto, per cercare di riposare.
Franco, coi suoi modi spicci e sbrigativi era
presente in tutti i suoi pensieri.
Gli aveva promesso, con quel gesto volgare,
che ci sarebbero potuti essere altri incontri.
Quando si risvegliò guardò ancora dalla finestra
e vide che i tre uomini erano ancora al lavoro,
come di consueto. Erano un po' lontani,
all'inizio della stradina da asfaltare, lunga quasi
un chilometro, li guardò muoversi, vide che
Franco sembrava un po' il leader del gruppo.
Andò in soggiorno ed accese il televisore.
La mamma nel frattempo si era svegliata dalla
sua “pennichella” ed era scesa al piano di sotto,
ignara di tutto quello che era successo.
«Pietro, dovresti farmi un favore», disse. «Mi
dovresti prendere in farmacia le pillole per il
mal di testa».
«Mamma, ma non le abbiamo prese la
settimana scorsa?», obiettò il giovane.
«Erano due settimane fa», precisò la donna.
«Ultimamente il mal di testa si è fatto più
frequente. Dev'essere questo tempo, così
variabile... »
«Fra poco ci vado», la rassicurò il giovane,
mentre guardava un vecchio cartone animato
della serie “Tom & Jerry”.
Il giovane si divertiva a vedere il gatto Tom
mentre subiva i dispetti del topolino, sua
vittima designata. Rideva spensierato, come
quando era un ragazzino.
Jole lo guardò con tenerezza. Era sempre il suo
bambino. Anche se era cresciuto, anche se era
economicamente autonomo. Il loro legame era
inscindibile.
Non le importava più di tanto che Pietro si
attardasse a formarsi una sua famiglia, poiché
sapeva che, qualora il figlio avesse incontrato
una donna che gli avesse fatto girare la testa, lei
avrebbe cominciato a perderlo.
Per adempiere al dovere di una brava mamma, e
per non farsi rimordere la coscienza, tuttavia,
ogni tanto lo esortava a mettersi alla ricerca di
una brava ragazza e a 'sistemarsi'. Ma per come
la vedeva lei, poteva benissimo stare con lei per
sempre.
Pietro sembrava comunque non sentirci da
quell'orecchio.
Poco dopo Pietro si fece dare dalla madre la
scatola vuota delle pillole, per mostrarla al
farmacista e farsene dare una uguale.
Uscendo dalla strada, incrociò i tre operai e
guardò Franco per capire se il suo
atteggiamento verso di lui fosse cambiato.
Franco lo guardò, accennando un sorriso.
Pietro si fermò, abbassò il finestrino, e chiese
a Franco se l'acqua bastava e se ne voleva
un'altra bottiglia.
Franco rispose al sorriso di cortesia del
giovane: «Per oggi abbiamo finito. Domani
magari tornerò a chiederle un'altra bottiglia».
«Venga quando vuole. Di mattina troverà mia
madre. Io ci sono nel pomeriggio, quando torno
dal lavoro», spiegò il giovane simulando
tranquillità, mentre nel suo animo si agitava un
dolcissimo desiderio d'amore, assolutamente
nuovo per lui.
«Arrivederci Franco. Ciao a tutti», salutò,
allontanandosi verso la borgata abitata.
« Arrivederci Franco. L'hai sentito?», disse
Luigi verso i suoi compagni, sghignazzando e
facendo il verso della voce di Pietro. «Stai
attento che quello ti salta addosso», disse poi
in tono scherzoso, rivolto a Franco.
«Non c'è problema. Sai quanti calci gli do, se
osa avvicinarsi?», rispose rude il quarantenne.
Quando Pietro tornò dalla farmacia con gli
analgesici per la madre, la squadra di operai
stava smontando. Passando toccò il clacson, in
segno di saluto.
Luigi guardò Franco con aria beffarda, ma
l'uomo restò impassibile.
http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/luomo-che-cercavo
IV - L'amore come viene
(ebook)
Una storia fra “romance m/m”,
erotismo gay e romanzo
sentimentale
Una storia d'amore omosessuale è sempre una
storia peccaminosa, controcorrente. Il romanzo
d'esordio di Nino Bonaiuto è una storia
erotico-sentimentale gay dal titolo “L'amore
come viene”. Narra le vicende di Federico, un
ragazzo che proviene da una borgata popolosa e
popolare di Roma, Pietralata, nel quadrante
nord-est, lungo la via Tiburtina.
E' un ragazzo come tanti, fa l'università, vive in
famiglia e frequenta gli amici, prevalentemente
eterosessuali. Ha avuto una storia d'amore che
è finita per via delle tante difficoltà che una
storia gay ancora incontra nell'Italia del XXI
secolo.
Accettarsi è difficile, fare coming out di più.
Tuttavia la società è di sicuro più aperta alle
tematiche omosex, rispetto a qualche anno fa.
Anche il sesso gay è stato sostanzialmente
“sdoganato”.
Il sesso per Federico è molto importante,
come lo è per ciascuno di noi, che lo si voglia
ammettere o meno.
Una storia d'amore cresce e prospera solo se
vi è un consistente substrato di gioia sessuale
condivisa. Senza raccontare il sesso, con tutta
la sua carica vitale, non si capisce in cosa
consista l'amore. Chiaramente l'amore di cui si
parla nel libro non è un concetto astratto, ma il
collante che unisce le persone e le fa sentire
complete.
Il libro non sorvola sugli atti sessuali a cui i
protagonisti si lasciano andare, anzi. Spesso –
soprattutto nella descrizione degli amplessi gay
- vengono descritte le emozioni animalesche
del momento, in maniera ben più coinvolgente
dei racconti porno, facilmente reperibili in
rete.
La ricerca del partner è per tutti noi, uomini
e donne, gay, lesbiche ed eterosessuali, una
faccenda
tremendamente
importante,
nell'ambito della nostra realizzazione come
persone.
In “L'amore come viene” - ricordiamolo, storia
italiana nel filone “Romance M/M” - l'amore
non riguarda solo i giovani gay, ma ha connotati
diversi. Il professor Mancini, un uomo maturo
e realizzato, ha una famiglia “tradizionale”, che
è il suo orgoglio e il suo vanto. Ma il demone
del sesso, Eros, lo colpisce dove è più debole:
il docente è bisessuale e subisce il fascino del
suo giovane studente.
Il lato sessuale della sua vita non lo soddisfa
più, manca quel brivido che potrebbe ancora
una volta farlo sentire vivo. Perché la sua carne
vuole ancora conoscere, non si è ancora arresa
all'inarrestabile declino che lo aspetta negli
anni che ha davanti a sé.
Ma Eros non ha riguardo per le convenienze,
per i piccoli calcoli, per le meschinità: se gli si
dà via libera, egli ti stravolge l'esistenza. Ma
anche a fermarlo, a ignorarlo, la vita non potrà
mai più essere la stessa. Dopo aver conosciuto
le sue “folli” promesse di felicità, tornare alla
piatta monotonia della vita precedente sarà
possibile solo a costo di abbracciare l'infelicità
e il rimpianto, due compagni di viaggio assai
sgradevoli.
Nel libro le famiglie partecipano alle vicende
dei loro uomini, tormentati dagli strali di Eros,
come il coro delle antiche tragedie greche,
commentando e partecipando emotivamente
agli eventi.
Famiglie aperte, chiuse, dubbiose, amareggiate.
Anche gli amici partecipano alle emozioni dei
protagonisti, mettendo in campo il loro amore,
i loro personali pregiudizi e le loro personali
vicissitudini.
Un romanzo d'amore, erotico-sentimentale,
come lo definisce l'autore, di forte presa e di
grande emotività. Al di là che si tratti di
romance m/m, di romanzo sentimentale, di
romanzo porno o altro, nel libro viene
raccontata una storia, una storia che descrive
la realtà, senza ipocrisie e senza pregiudizi.
Una bella storia.
Recensione apparsa su una rivista semi-clandestina di Roma.
Ecco il primo capitolo dell'ebook.
Capitolo 1
Sapeva che era una domanda stupida, ma aveva
bisogno che lui lo guardasse. Il professor
Mancini guardò nella direzione da cui era
venuta la domanda e incrociò per la prima volta
il suo sguardo. Un brivido attraversò la schiena
di Federico: tutto era magnetico in quell'uomo,
il suo portamento, il tono della sua voce, il suo
corpo maturo e la sua pelle abbronzata. A
occhio e croce poteva avere poco più di
quarant’anni, ma molto ben portati.
I capelli scuri, corti, erano pettinati
all’indietro. Le basette, ben curate e lasciate un
po’ lunghe, gli davano un’aria molto sexy, un
tocco di vanità che tradiva il suo desiderio di
piacere. Era un uomo ben piantato,
proporzionato, forte e sicuro di sé, il prototipo
del maschio virile e possente. Dava
l’impressione di appartenere a quella categoria
di persone che tengono sempre in pugno le
situazioni e sanno sempre cosa fare.
Gli occhi chiari del docente emanarono un
guizzo, come una saetta, che colpì Federico in
un angolo nascosto e profondo della sua anima.
«Lei ha una bella faccia intelligente», disse
sorridendo, con sottile ironia. «Ma credo che
stavolta non abbia colto il senso di quello che
ho appena spiegato», continuò beffardo,
sottolineando che la domanda rivelava una
scarsa conoscenza delle peculiarità di Lucrezio
nell'uso della lingua latina.
Federico non sentì la risposta, ma annuì come
se avesse capito. Per i tre quarti d'ora di
lezione che seguirono, Federico ascoltò, come
in trance, il suono delle parole del docente,
senza capirne il significato. Guardava la
gestualità del professore, i suoi passi, ascoltava
la sua voce come se fosse musica.
Erano due settimane che era iniziato il corso,
all’inizio di ottobre, ma fino a quel momento
non aveva mai avuto il coraggio di attaccare
discorso con lui, per via della sua timidezza e
del tono canzonatorio che il professore
utilizzava parlando con gli studenti.
Si rendeva conto che, per tanti motivi, non era
saggio provarci col suo professore, ma non
riusciva a impedire alla sua mente di scatenarsi
in audacissime fantasie sessuali su di lui.
Quando ormai mancavano cinque minuti alla
fine dell’ora, Federico si costrinse ad ascoltare
qualche concetto di quanto il docente stava
spiegando, per attaccare discorso con lui a fine
lezione.
A mezzogiorno in punto il professore disse la
fatidica frase «... ma di questo parleremo
domani», al che gli studenti cominciarono ad
alzarsi, richiusero i quaderni negli zaini e si
mossero per abbandonare l'aula. Germana, che
sedeva vicino a Federico esclamò sottovoce in
sua direzione: «Non riesco a crederci, gli stai
battendo i pezzi!».
«Ma che dici ?!», fece Federico, fingendo
sorpresa.
Germana era una collega che conosceva da due
anni e che a poco a poco si era conquistata la
sua fiducia. Era una ragazza mingherlina, mora,
capelli a caschetto, non certo appariscente,
considerando che aveva solo una prima di seno
e che anche le altre curve tendevano alla linea
retta.
Sapeva della sua omosessualità e tra loro c'era
un rapporto confidenziale, da amici. Spesso si
ritrovavano a condividere ansie, speranze e le
rispettive pene d'amore. Non di rado facevano
commenti sugli uomini, trovandosi per lo più
d'accordo, dato che i loro gusti in fatto di
maschi erano sostanzialmente gli stessi. Ad
entrambi piaceva l'uomo pienamente adulto,
virile, prestante, moderatamente peloso.
Per Germana Federico rientrava in quei canoni,
sebbene un po' troppo giovane.
Una volta lei aveva sospirato, fra il serio e il
faceto: «Peccato che sei gay, perché farlo con
te non mi sarebbe dispiaciuto». Federico le
aveva
risposto:
«Stammi
lontana»,
prorompendo in una fragorosa risata.
Da oltre un anno il giovane era ridiventato
single, dopo la tumultuosa storia d’amore con
Andrea, alla quale ripensava ancora spesso. Gli
tornavano in mente i momenti in cui Andrea lo
teneva stretto. Con lui si sentiva al sicuro da
ogni problema, al riparo da qualsiasi difficoltà.
«Guarda che è sposato», insinuò sogghignando
l’amica.
«Non porta la fede al dito, e comunque io non
sono geloso», ridacchiò Federico. «Ci devo
parlare, ci vediamo dopo», tagliò corto e si
avviò frettolosamente sugli scalini verso
l’uscita dell’aula magna.
Si piazzò davanti al professor Mancini e gli
fece una domanda sull’influenza della filosofia
epicurea nel De rerum natura di Lucrezio. Il
professore lo guardò negli occhi e di nuovo –
impercettibilmente - si creò una corrente
elettrica. Mentre rispondeva a Federico, il
professore scrutò il giovane, soffermandosi sul
suo aspetto tenero e indifeso, il che gli fece
affiorare un senso paterno di protezione e un
moto di tenerezza nei suoi confronti.
«Grazie professore, la saluto», disse con
intensità Federico, porgendo la mano al
professore, che gliela strinse vigorosamente.
Ancora una volta una scossa elettrica attraversò
i due uomini, turbandoli profondamente.
Germana nel frattempo aveva visto tutta la
scena e, adesso che il professore era lontano,
si era avvicinata lentamente a Federico.
Aveva visto Federico ascoltare in trance la
risposta del professore e l’aveva tenuto
d’occhio mentre fissava il professore uscire
dall’aula e avviarsi verso il vialetto della
facoltà.
«Fede, stai attento alle fregature: vedo che sei
partito in quarta e questo non mi piace»,
commentò la ragazza.
«Sento che stavolta è diverso. Mi ha guardato
con uno sguardo speciale: so che non gli sono
indifferente», disse lo studente, come in
trance.
«Sarà, ma non vorrei che poi andasse a finire
come con il tuo ex», disse con forza Germana,
mentre uscivano dall’aula per andare verso la
metropolitana, fermata Policlinico.
Andrea era stato il “grande amore” di Federico.
Si erano conosciuti in una piscina sulla
Nomentana quando Federico aveva diciassette
anni. Si era subito innamorato di questo ragazzo
spavaldo di ventiquattro anni, indipendente e
con un atteggiamento da uomo scafato, che la
sapeva lunga.
Andrea era forte, asciutto, virile, la pelle
olivastra, ma i suoi occhi neri ogni tanto
lasciavano
intravvedere smarrimento
e
insicurezza, rivelando le sue fragilità di fondo,
mascherate a malapena dal suo atteggiamento
da “duro”. Un po’ uomo, un po’ ragazzo, amava
dire Federico.
Andrea si era “messo” con Federico di
nascosto, per paura di venir riconosciuto come
gay, cosa che temeva avrebbe rovinato il suo
rapporto con i suoi amici e distrutto la sua vita
sociale.
Alla fine, la continua necessità di utilizzare
sotterfugi per vedersi aveva rovinato il loro
rapporto. Negli ultimi tempi passavano più
tempo a recriminare, ad accusarsi, a litigare
che a fare l'amore.
I momenti preziosi delle tenerezze, delle
coccole e dei baci avevano reso felice la loro
relazione, ma le paranoie e la continua paura di
essere scoperti avevano finito per logorarla.
Andrea aveva preso la decisione di lasciarlo,
dicendogli che per loro non c’era futuro e che
voleva starsene da solo per un po’.
Il mondo di Federico era crollato in quel
momento, ma la sua sofferenza si era in seguito
intensificata, poiché Andrea aveva cominciato a
trattarlo freddamente, come se non ci fosse
mai stato niente fra loro.
S’illudeva che quest’atteggiamento di rifiuto e
di chiusura potesse servire a esorcizzare la
realtà della sua omosessualità. Sperava che
rinunciando a Federico potesse finalmente
“guarire”.
«Cosa c’entra Andrea?» esclamò Federico,
mentre sentiva un senso di disagio a causa della
rievocazione della figura del suo ex, con tutto
il carico di emozioni che si portava dietro.
«Quella è acqua passata. Andrea adesso fa la
sua vita e io la mia». L’aveva visto la settimana
precedente in un pub con i suoi amici, tutti
avevano la ragazza e lui stava ancora da solo, ma
gli era parso che la cosa non gli pesasse.
Quando Andrea l’aveva visto, gli era corso
incontro e l’aveva salutato con calore,
sorprendendolo. Avevano scambiato poche
parole, sufficienti a dargli l’impressione che il
suo ex stesse ancora cercando la sua strada.
Federico si chiese fino a che punto potesse
essere cambiato, ma s’impose di scacciare via
questo pensiero: troppo male aveva ricevuto da
quell’uomo. Era una storia chiusa.
Arrivati alla fermata Policlinico, i due
universitari si divisero. Federico abitava a
Pietralata, mentre Germana viveva sull’Appia,
nei pressi dell’Arco di Travertino. La
metropolitana di colpo arrivò e Federico –
distraendosi dai suoi pensieri - entrò e si
sedette di fronte a tre suore sudamericane
piuttosto attempate, immobili come sfingi.
«Maurizio Mancini è proprio un bel manzo»,
pensò Federico, sentendo l’acuto desiderio di
abbracciarlo, baciarlo e poi accarezzarlo su
tutto il corpo. E poi toccargli il pene duro
attraverso i pantaloni del vestito. Queste
fantasie gli avevano procurato un’erezione
pazzesca, che cercò di coprire con lo zaino.
S’impose di non pensare a lui, ma era un
compito di là delle sue possibilità.
Immaginava di aprirgli la cerniera e tenergli in
mano il pene duro e delicato, masturbarlo
dolcemente e sentire i suoi gemiti farsi sempre
più forti. Avrebbe voluto poi prenderglielo in
bocca e succhiarlo dolcemente, farlo godere e
infine baciarlo fino allo sfinimento.
La metro nel frattempo era arrivata a Pietralata.
Federico scese e si avviò verso casa, che
distava dalla stazione metro solo dieci minuti a
piedi.
Pietralata era un quartiere popolare piuttosto
brutto, ma per Federico era il mondo, dato che
vi era nato e cresciuto.
Entrando a casa, sua madre lo guardò e gli
chiese com’era andata la mattinata. «Bene»,
rispose laconicamente il ragazzo, «che c’è per
pranzo?».
«Stamattina al mercato c’erano dei piselli
freschissimi e così ho pensato di farti il riso
con i piselli, ti va?», disse la donna, ma
Federico era andato in camera sua per posare lo
zaino, senza dare alcuna risposta. Quando
rientrò nel soggiorno, la signora Cinzia gli
chiese se andava tutto bene. Il giovane si voltò
verso di lei con un sorriso trasognato, dicendo
«Certo ma', benissimo». Si sedette a tavola
accendendo il televisore.
L’appartamento della famiglia Grandi era
piuttosto piccolo. Dopo il minuscolo atrio, si
passava direttamente al soggiorno, una stanza
relativamente ampia, dove si pranzava e vi si
svolgeva la vita familiare. Sulla sinistra c’era la
piccola cucina e sulla destra si aprivano le
stanze da letto. Federico e sua sorella avevano
ciascuno una propria cameretta.
Cinzia era una donna molto pratica. La sua
famiglia d’origine, originaria di Barletta, si era
trasferita nella capitale, per sfuggire alla
povertà del dopoguerra. I suoi genitori, negli
anni settanta, avevano aperto una merceria e le
cose erano andate sempre meglio.
Le privazioni della sua infanzia, tuttavia,
avevano reso Cinzia responsabile di se stessa e
acuta nel giudicare il prossimo. Non aveva
bisogno di parlare molto con i suoi figli: per
lei erano trasparenti, era come se leggesse loro
nel pensiero.
A quarantadue anni Cinzia era una donna ancora
piacente, curata nel suo aspetto e molto attenta
a non esagerare a tavola. Portava capelli biondi
ossigenati legati sulla nuca a coda di cavallo ed
era sempre sorridente e accomodante.
Sua figlia Manuela, di diciannove anni, entrò in
quel momento nel soggiorno. Era una ragazza
molto bella, pragmatica come la madre, dal
piglio deciso e sicuro di sé. Più alta della
media, aveva un viso armonioso e capelli
castani, lisci, lunghi fino alle spalle. Portava la
terza di reggiseno e aveva un bellissimo sedere.
Attirare l’attenzione dell’altro sesso non era
mai stata una sua preoccupazione. Il problema
suo era stato semmai l’opposto: tenere a bada i
maschi che le sbavavano dietro. Al momento
era single, poiché si era lasciata da poco col
suo ex ragazzo e si era data una pausa di
riflessione. Dopo il diploma aveva deciso di
non proseguire gli studi e aveva trovato lavoro
come cassiera di un supermercato in zona
Talenti. «Ciao», salutò, mettendosi a sedere
davanti ad un telegiornale che dava conto dei
consueti battibecchi di politici in perenne
campagna elettorale.
«Quando prendi servizio?», le domandò il
fratello.
«Alle due. Ho il tempo di mangiare e riposarmi
un attimo», rispose Manuela.
Mamma Cinzia servì il riso e poi si sedette con
loro. Federico mangiò avidamente il suo riso,
mentre i suoi pensieri erano concentrati su
come fare per avere un incontro più riservato
con Maurizio.
Al riso seguirono le polpette scaldate, avanzate
dalla cena della sera precedente e i primi
clementini della stagione. Pochi commenti alle
notizie del telegiornale furono l’unica
conversazione del pranzo.
«Io vado a studiare», annunciò Federico
alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza.
Richiudendo la porta dietro di sé guardò la sua
cameretta di ragazzo, come se la vedesse per la
prima volta. Il suo lettino era a sinistra e sopra
c’era un poster che celebrava la vita e la
memoria di Ayrton Senna, lo sfortunato pilota
di Formula Uno deceduto in un incidente sulla
pista. Riportava una foto del campione
brasiliano con la frase “Per sempre Ayrton”.
A lato, un altro poster ritraeva la diva degli anni
trenta Marlene Dietrich, in una celebre posa
tratta dal film “L’Angelo Azzurro”.
Un armadio malandato addossato alla parete
opposta racchiudeva i vestiti di Federico.
La parete in fondo ospitava il mobiletto del
computer, proprio accanto alla finestra che
dava su una stradina secondaria, piuttosto
anonima. La sera sul tardi, Federico vi aveva
visto spesso una certa attività sospetta,
probabilmente di spaccio di stupefacenti.
Il ragazzo si assicurò che la porta fosse chiusa
a chiave, si distese sul letto e si mise a
fantasticare di fare sesso con Maurizio. Slacciò
la cintura, si aprì la cerniera, si sfilò i jeans e
gli slip bianchi fino alle cosce, lasciando il
pene duro e svettante in libertà. Si accarezzò i
testicoli con voluttà, mentre pensava di
accarezzare quelli di Maurizio. Con la mano si
scappellò, lasciando intravvedere il glande,
inumidito per l’eccitazione accumulata durante
la mattinata.
Lentamente fece scorrere il pugno su e giù,
scoprendo e ricoprendo il glande col prepuzio.
Con l’altra mano si accarezzava il petto,
ricoperto da una leggera peluria chiara. La
sensazione era di puro piacere. Con le dita si
stuzzicò i capezzoli e la sensazione
s’intensificò.
Stava accelerando troppo, non voleva finire
subito. Si fermò a ripulire il glande dal liquido
trasparente che era fuoriuscito in abbondanza e
rischiava di colare sulla peluria corta del pube.
Riprese a masturbarsi, mentre la fantasia
adesso stava dilagando. S’immaginava che
Maurizio, dopo avergli lubrificato l’ano, lo
stesse
penetrando
lentamente.
Automaticamente il suo dito andò verso il suo
ano e vi penetrò dolcemente. S’immaginava che
il professore adesso spingesse e spingesse,
fino a un orgasmo potentissimo.
Federico non si trattenne più e si abbandonò a
un orgasmo fra i più forti mai provati
nell’ambito di una sega. Lo sperma fu spruzzato
in diversi getti che atterrarono sul suo petto,
sul cuscino e uno anche sulla sua guancia
sinistra, mentre con gli occhi sbarrati e la
bocca spalancata provava la sensazione sublime
dell’estasi.
Avrebbe gridato, se fosse stato solo in casa.
Con i fazzolettini di carta pulì lo sperma,
cercando di cancellare anche gli aloni sul
cuscino.
Si rialzò le mutande, richiuse i jeans e aprì un
libro di testo, cercando di studiare Lucrezio.
Dopo due pagine la stanchezza ebbe la meglio
su di lui e si assopì, sereno come un angioletto.
http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/lamore-come-viene
V - Un futuro per noi due
(ebook)
Due ragazzi, l'amore, la vita
Antonio non ha ancora mai fatto l'amore: è un
ragazzo ingenuo, spensierato, intenzionato a
studiare e a esplorare l'universo misterioso e
avvincente degli uomini, dai quali è
prepotentemente attratto.
Aurelio è più maturo, riservato, misterioso,
con una determinazione e una forza morale
insolite in un ragazzo della sua età.
I due ragazzi, al primo anno di università,
incrociano
lo
sguardo
per
strada,
apparentemente per caso. L'attrazione fisica è
fulminea e irresistibile.
Per loro è l'inizio di una storia d'amore
romantica, fatta di rispetto, attenzione dell'uno
verso i bisogni dell'altro e, naturalmente, sesso
senza tabù e senza inibizioni.
I problemi più drammatici si presentano nel
momento in cui debbono comunicare alle loro
famiglie, ignare della loro omosessualità, la
realtà della loro relazione di coppia.
L'amore
segna
il
passaggio
essenziale
dall'adolescenza all'età adulta, facendo
approdare i due giovanissimi a una vita fatta di
autodeterminazione e responsabilità.
I due ragazzi si scoprono improvvisamente
uomini, liberi di scegliere il proprio destino,
liberi di scegliere l'amore.
Ma è possibile per due diciannovenni realizzare
il progetto di una vita di coppia stabile e
duratura?
Ecco il primo capitolo del libro.
Capitolo 1
Università
Camminavo per strada con la mia amica Maria
Cristina. Erano i primi giorni di università, in
facoltà non conoscevo ancora nessuno. Fortuna
che c'era Maria Cristina, che veniva dalla mia
stessa classe, al liceo; almeno con lei potevo
parlare.
A dir la verità quando eravamo stati compagni
di scuola, io e lei non ci frequentavamo affatto.
Semplicemente lei aveva il suo gruppetto e io il
mio.
Di lei dicevano che era una ragazza puntigliosa,
“rompiscatole”, anche se non è esattamente
questo il termine che utilizzavano.
Devo dire che anch'io avevo avuto la stessa
impressione: Maria Cristina battibeccava con
tutti, perfino con i professori, sollevando
obiezioni quando gli altri cadevano in
contraddizione: non gliene faceva passare una.
Lei probabilmente pensava che così sarebbe
apparsa intelligente e sicura di sé, mentre
invece, l'unico risultato di questo suo
instancabile impegno erano l'isolamento e
l'esclusione, dei quali, ovviamente, non sapeva
spiegarsi il perché.
“E' simpatica come la sabbia nel letto”, avevo
sentito dire una volta da una nostra compagna,
che pure faceva parte della sua cerchia.
Dicevano anche che uscire la sera in sua
compagnia equivaleva a rovinarsi la serata:
aveva da ridire su tutto, non le stava mai bene
niente.
Ripensando agli anni del liceo, mi resi conto
che la sua impopolarità era da addebitare al
fatto che alla gente non piace sentirsi dire
quello che è giusto e quello che è sbagliato;
ecco, lei glielo diceva. I suoi più grandi difetti
probabilmente erano stati un'imbarazzante
franchezza e una totale mancanza di tatto.
Quando cominciai a frequentarla nelle aule
della facoltà di Scienze Naturali, capii che ci
eravamo sbagliati tutti, sul suo conto, o quanto
meno, lei aveva superato quel tipo
d'atteggiamento infantile.
La Maria Cristina che avevo imparato ad
apprezzare, conoscendola da vicino, era saggia,
aveva la testa sulle spalle, ed era molto più
matura dei ragazzi della nostra età.
Mora, alta, snella, con una terza di reggiseno,
camminare con lei significava incrociare gli
sguardi famelici di uomini di tutte le età, che la
squadravano, come se le volessero farle una
radiografia ai raggi X.
Quando le parlavo, i suoi occhi scuri
mostravano dei lampi di scaltrezza e la sua
compagnia era sempre molto coinvolgente e
interessante.
Sapevo di essere invidiato da molti uomini, ma
a me Maria Cristina non interessava, dal punto
di vista fisico... per il semplice fatto che ero - e
sono - gay, al cento per cento. Non posso farci
niente, non fu mai una mia scelta, ma erano gli
uomini, e non le donne, quelli che io guardavo
per strada, quelli sui quali mi facevo le più
sfrenate fantasie. Mi chiedevo come sarebbero
stati nudi e come sarebbe stato avere una storia
con loro.
Maria Cristina ne era consapevole, e infatti era
sempre a suo agio con me, come se, invece di
essere un ragazzo, fossi stato un'amica.
Con lei feci coming out subito dopo aver finito
la maturità, quando seppi che si era iscritta a
“Scienze Naturali”, lo stesso corso di laurea
che avevo scelto io. Le proposi di cercare un
appartamento insieme, rassicurandola che con
me poteva stare tranquilla: ero gay.
Fu la prima persona a sapere della mia
omosessualità.
A Marsala, la città da cui proveniamo, non è
saggio far sapere agli altri che si è
omosessuali, a causa della subcultura
dell'omofobia,
da
secoli
radicata
profondamente nel modo di pensare della
gente.
Nessuno in città sapeva che ero gay, anche se
molti chiacchieravano e facevano illazioni
pruriginose, alcune delle quali erano giunte
anche alle mie orecchie.
A Palermo, grande città aperta alle diverse
culture, quasi a nessuno importava se eri gay o
meno. Quando arrivai nel capoluogo siciliano,
capii che lì avrei avuto finalmente la possibilità
di vivere liberamente la mia vita, come io la
desideravo.
Maria Cristina ed io abitavamo in un residence
nei pressi dell'ospedale Civico di Palermo. Ci
eravamo messi d'accordo nei mesi estivi e ci
eravamo dati da fare, tramite conoscenze e
attraverso internet, per trovare un piccolo
appartamento da condividere.
Avemmo la fortuna di trovare, su un sito, un
appartamentino molto carino, che affittammo
insieme, io e lei. Non era propriamente vicino
alla facoltà; per raggiungere l'università
avremmo preso un autobus che si fermava lì,
vicino alla nostra nuova casa, in via Ughetti.
Stavamo per arrivare in via dei Mille, quando
vidi che un ragazzo, che veniva da solo, dalla
parte opposta, verso di noi, mi guardava
fissandomi. Non era proprio uno sconosciuto,
era un viso familiare... ma chi poteva essere?
Il suo sguardo penetrò nella mia anima, facendo
sciogliere qualcosa dentro di me. I suoi occhi
chiari s’impressero indelebilmente nella mia
mente, il cuore cominciò a battermi forte e
persi il filo del discorso che stava facendo
Maria Cristina.
Quando ci superò, mi voltai a guardarlo ancora,
incrociando di nuovo il suo sguardo: anche lui,
infatti, si era girato verso di me. Sentivo
l'adrenalina nel sangue, ero agitato.
«Ma che sei rimasto incantato?», mi chiese la
mia amica, ridendo, dopo che il ragazzo si fu
allontanato.
«Hai visto come mi ha guardato? Ma chi è?
Non credo di averlo mai visto, eppure...», dissi,
con ancora il cuore in gola.
«E' un nostro concittadino! Non lo riconosci?
Si chiama Aurelio... Tommasello, credo.
Andava al classico».
“Aurelio”, che nome insolito, ma anche bello,
musicale.
«E ora fa l'università?», chiesi, sperando che mi
dicesse che frequentava il nostro stesso corso.
«Come faccio a saperlo? Se è qui, immagino
che farà la nostra stessa facoltà... Ma che ti sei
innamorato?», chiese ridendo.
«Innamorato no. Ma hai visto com'è bello?
Magari potessi uscire con lui!», dissi,
decisamente euforico.
«Quanto sei scemo», mi canzonò. «E' proprio
vero che voi maschi ragionate col pisello».
«Voglio vedere te, quando incontrerai il ragazzo
della tua vita!», dissi, sentendomi sfidato.
«Sono qui per studiare, non per conoscere
ragazzi. Mi sono addirittura lasciata col mio ex,
per poter venire qui...», rispose, accalorandosi.
Prendemmo l'autobus e scendemmo dopo
l’Ospedale Civico, all’inizio di via Ughetti, per
poi percorrere a piedi il tragitto verso il nostro
appartamento.
Che quartiere squallido, pensai, guardando
quelle brutte palazzine, una a fianco all'altra,
senza uno spazio verde... Ah! La speculazione
edilizia del secolo scorso!
Maria Cristina parlava di quanto fosse corrotto
il sistema universitario, basato sulle
raccomandazioni e non sui meriti. E parlava,
parlava... delle università americane...
Io avevo stampati nella mente gli occhi di
Aurelio, e non facevo che pensare a lui e a
come rivederlo. Gli piacevo, questo mi era
chiaro.
Se era di Marsala pure lui, come mai non lo
avevo mai incontrato? Un ragazzo così bello
non sarebbe mai potuto sfuggire alla mia
attenzione.
Io e Maria Cristina avevamo fatto lo scientifico
e lui il classico, se era vero quello che diceva
la mia coinquilina. Il liceo classico “Giovanni
XXIII” era nella parte centrale della città,
mentre il nostro liceo scientifico, il “P.
Ruggieri”, era più periferico; forse per questo
non ci eravamo mai incontrati.
Per diversi giorni pensai a lui, ma non lo vidi
più. Era come scomparso, volatilizzato,
nonostante mi impegnassi moltissimo a
cercarlo: guardavo attentamente i gruppi di
studenti che si radunavano in attesa delle varie
lezioni e gli studenti che vagavano da soli
all'interno della facoltà. In aula passavo in
rassegna tutte le file, per vedere se magari
fosse lì. Facevo queste mie ricerche avendo
cura di non farmene accorgere da Maria
Cristina, che se no mi avrebbe preso in giro o,
peggio, mi avrebbe fatto una bella predica, cosa
di cui non sentivo affatto la necessità.
Poi, una settimana dopo quel primo incontro,
arrivai in facoltà, scortato dalla sempre
presente Maria Cristina, prima dell'apertura
dell'aula. C'erano tanti ragazzi che aspettavano,
parlottando fra loro, nell'ampio spiazzo. Le
risate e i commenti concitati riempivano l'aria.
Ormai avevo smesso di cercare Aurelio. Feci la
cosa che mi veniva naturale e automatica in
tutte le occasioni: mi misi a guardare i ragazzi.
Ero costantemente eccitato e nella mia mente
le
fantasie
sessuali
si
rincorrevano
continuamente, senza sosta.
Ero così allupato che avrei avuto volentieri una
storia, anche solo un'avventura, con quasi tutti i
presenti.
Maria Cristina mi canzonava spesso dicendomi:
«Per te basta che respirino. Nemmeno un po' di
senso critico». Lei invece era schizzinosa:
quello no perché ha l'aria del saputello,
quell'altro è decisamente brutto, quell'altro si
vede lontano un chilometro che è il classico
fighetto figlio di papà...
«Non ti sta bene nessuno, non è un caso che sei
ancora sola», le avevo detto qualche giorno
prima. Lo ammetto: mancai di sensibilità. Ed
infatti mi tenne il muso per tutto il giorno,
indice che avevo colto nel segno.
E poi lo vidi, e il mio cuore si fermò. Stava da
solo, seduto su un muretto. Sembrava
pensieroso, con lo zaino in spalla, una camicia
a quadretti a maniche lunghe e un paio di jeans
scoloriti.
Capelli corti sapientemente arruffati, castani
con riflessi biondi, viso virile, barba di tre
giorni, uno spettacolo.
Non appena sentì il mio sguardo addosso, si
girò e mi vide. Gli occhi chiari scintillarono di
gioia e il suo volto s'illuminò in un sorriso.
Stavo per avere un infarto. Mi girai verso Maria
Cristina, che in quel momento aveva lo sguardo
perso nel vuoto, e le dissi, sottovoce: «Vado un
attimo a salutare Aurelio», come se lo
conoscessi da anni.
Non avevo idea di cosa dire, ma dovevo
parlargli. Avrei trovato le parole, oppure il mio
corpo avrebbe parlato per me. Ero in uno stato
di agitazione, eppure ero determinato come
non mai.
«Ciao
Aurelio»,
dissi
semplicemente,
guardandolo in faccia. I pensieri giravano nella
mia mente in maniera vorticosa, fantasie e
promesse di felicità si accavallavano senza
sosta.
«Come sai il mio nome?», mi chiese Aurelio,
sorridendo compiaciuto.
«Me l'ha detto Maria Cristina», dissi, indicando
la ragazza che da lontano stava ora seguendo,
con discrezione, la scena.
«Mancano ancora quindici minuti all'apertura
dell'aula. Che ne dici se andiamo a prenderci un
caffè?», mi chiese Aurelio.
«Certo!», risposi entusiasta. “Con te andrei
dovunque, fino in capo al mondo”, pensai.
C'incamminammo per raggiungere il bar, che
distava circa duecento metri da lì. «Mi chiamo
Antonio», dissi.
«Lo so come ti chiami», rispose Aurelio. «So
tutto di te».
Di nuovo mi sentii mancare. Sapeva tutto di
me? Com'era possibile? E perché?
«Mi piaci, ho fatto delle ricerche su di te, per
poterti incontrare», disse il ragazzo, con un
sorriso disarmante.
«Sei gay, giusto?», chiesi, per esserne
rassicurato. Quello che stava accadendo era
troppo bello per essere vero. Aurelio annuì.
Dalla semplicità con cui ammise la sua
omosessualità, trassi la conclusione che fosse
gay dichiarato. Mi domandai allora come
avesse fatto un ragazzo appena maggiorenne,
nella città di Marsala, ad accettare in maniera
così tranquilla e sicura la propria diversità. Ne
ebbi invidia, dato che per me era stata molto
dura riuscire ad accettarmi, ed ancora in quel
momento a Marsala nessuno sapeva che ero un
“finocchio”, come direbbe la maggior parte dei
miei concittadini.
Mi ero sentito gay fin da bambino e avevo
sempre saputo che questa sarebbe stata per
sempre la mia realtà. Sapevo di altri ragazzi di
Marsala, anche molto più grandi di me, che
nemmeno si sognavano di “venir fuori”,
accettando di vivere una vita a metà, fatta di
miseri compromessi e continue bugie.
Mi offrì il caffè, mentre lui prese un
cappuccino.
«Se sai tutto di me, allora sai anche il mio
numero di telefono...», dissi.
Mi fece un sorriso impertinente e disse: «No.
Quello non ce l'ho».
Smart phone alla mano, ci scambiammo
rapidamente i numeri di telefono. Adesso che
sapevo il suo numero, mi sentivo molto più
tranquillo: non sarebbe sparito nel nulla un'altra
volta.
«Adesso dobbiamo tornare in facoltà... ma mi
devi promettere che presto usciremo insieme»,
dissi, avvertendo una forte ansietà nella mia
voce.
«Sicuro!», rispose Aurelio.
Per un attimo desiderai di scappar via dalla
facoltà in quel preciso istante e andarmene in
giro per Palermo, con lui.
«Tu dove abiti?», chiesi.
«Vicino a dove abiti tu», disse Aurelio, con un
sorriso angelico, mentre uscivamo dal bar.
Dio mio! come avrei voluto baciarlo in quel
momento.
«Da solo?»
«No, ho preso un appartamento per studenti,
insieme con altri due miei compagni di classe»,
disse il ragazzo.
«E' da una settimana che ti cerco, dopo che ci
siamo incrociati per strada. Si può sapere che
fine hai fatto?», chiesi, domandandomi che
diritto avessi di fargli una simile domanda.
Aurelio sorrise, evidentemente lusingato dalle
mie parole.
«Sono stato in campagna, ho lavorato con mio
padre a fare il vino novello», disse con
dolcezza.
«Lo sai che mi fai impazzire?», ribattei a bassa
voce, diventando audace.
Mi resi conto che il mio pene era duro dal
momento in cui l'avevo visto. L’eccitazione mi
faceva fremere e la mia erezione non aveva
nessuna intenzione di lasciarmi, dandomi una
sensazione di urgenza e di squisita attesa nello
stesso tempo.
Non resistetti più: lo abbracciai, lì per lì,
davanti al bar. Volevo avere un immediato
contatto fisico con lui, accertarmi che fosse
reale.
Una donna di mezza età che passava in quel
momento, con una busta della spesa, ci guardò
con curiosità, cercando di capire quale fosse il
motivo per cui ci stessimo abbracciando.
Le sensazioni che ricevetti da quell'abbraccio la robustezza delle sue spalle, la solidità del
suo torace, il leggero profumo di pulito che
emanava dalla sua camicia, il lieve calore della
sua pelle - travolsero i miei sensi come
un'ondata di piena, a tal punto che rimasi quasi
stordito.
Aurelio
rise
e
ricambiò
l'abbraccio
stringendomi forte.
Quando ci staccammo, non potei fare a meno di
notare un leggero rigonfiamento anche nei suoi
jeans, segno evidente che anche lui stava
provando le mie stesse inebrianti sensazioni.
La lezione fu oltremodo noiosa. Maria Cristina
mi rimproverò, all'uscita dall'aula, per aver
guardato Aurelio, per tutta la durata delle due
ore.
Trasecolai: era davvero così evidente?
«Non so, deve essere una forma di follia, che
mi ha preso», dissi, per cercare di
giustificarmi.
«Già, una follia», sottolineò la mia amica. «Hai
ragione: l'amore è una forma di follia», disse
poi, maliziosamente.
Le raccontai del mio incontro con Aurelio,
compreso il fatto che il nostro concittadino
aveva fatto delle indagini su di me, come
farebbe un ispettore di polizia per scovare un
criminale.
Maria Cristina ci pensò e poi mi disse: «Se l'ha
fatto è perché gli piaci molto, al tuo posto non
sarei così sospettosa. Vedi le sue carte... cosa ti
può succedere?»
La sera successiva misi una bella camicia
bianca, sotto un pullover blu cobalto, mi
pettinai i capelli all'indietro e mi osservai per
qualche minuto allo specchio, facendo le
boccacce, spalancando gli occhi, per capire
come potevo apparire dal punto di vista di
Aurelio. Sorrisi al mio riflesso, compiaciuto.
Ero uno splendido ragazzo di diciott'anni quasi diciannove, a dire il vero - capelli corti
scuri, occhi scuri, decisamente bello. Come un
moderno Narciso, mi ritrovai a deliziarmi nel
rimirare la mia immagine nello specchio.
Il mio unico cruccio era di non avere
abbastanza peli sul corpo, eccezion fatta per
una striscia di peli scuri proprio in mezzo al
petto.
Mi piacevano un casino i maschi virili, pelosi,
barbuti, coi baffi; me li figuravo come dei
peluche da accarezzare e dai quali trarre delizie
inenarrabili. Le mie fantasie masturbatorie
erano piene di queste magnifiche creature,
zeppe di testosterone.
Maria Cristina stava studiando, seduta al tavolo
della cucina, con gli occhiali inforcati. «Esci?»,
mi chiese.
«Esco con Aurelio, abbiamo deciso di andare in
via Maqueda per vedere un po' di negozi».
Si tolse gli occhiali e mi guardò.
Via Maqueda era una delle strade più eleganti
del centro di Palermo, dove la gente andava a
passeggiare e a fare shopping. Io e Aurelio ci
saremmo limitati a guardare le vetrine, dati i
pochi soldi di cui disponevamo.
«Mi raccomando, occhi aperti», disse seria.
«Sì mamma, non ti preoccupare», dissi con un
sospiro insofferente, guardando in alto.
«Va bene», disse seccata. «Poi però non venire
a piangere da me».
«Scusami, Cristy, ma non volevo pensare a cose
negative, almeno per una volta», dissi.
Maria Cristina mi sorrise, stavolta con un'aria
complice. «In bocca al lupo».
«Crepi il lupo», dissi, anche se non avevo
niente contro i lupi.
http://www.bookrepublic.it/book/978605033192
un-futuro-per-noi-due/
VI - Ebook gratuito “Quella
vacanza a Tunisi”
Una breve storia, palpitante d'amore e sesso
senza inibizioni.
Alessandro è di nuovo single. Qualche mese fa
il suo compagno Gianni lo ha lasciato per un
ragazzo palestrato e alla moda, conosciuto in
qualche locale gay.
E' andato in vacanza da solo, in Tunisia. Vuole
stare tranquillo e non pensare a niente, eccetto
che a scoprire la magia che può offrire un
paese arabo.
Le vacanze però possono portare a nuovi
incontri. I sentimenti non si possono
semplicemente mettere in stand-by.
Un ragazzo della sua età - un po' più giovane, a
dire il vero - risveglierà in lui il desiderio
sessuale e poi, quando si conosceranno più da
vicino, farà rinascere in lui l'amore.
Lo
trovate
sul
blog:
http://amorigay.blogspot.com