Scrivere gay
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Scrivere gay
Nino Bonaiuto Scrivere gay L'amore f(r)a uomini ebook gratuito Introduzione Questo ebook è dedicato a tutti coloro che amano leggere storie d'amore. Che poi in questo caso le storie d'amore siano fra individui dello stesso sesso (due maschi), la cosa è assolutamente irrilevante. L'umanità di oggi ha ormai universalmente accettato, almeno nell'Occidente avanzato, il fatto che non ci sono differenze qualitative fra omosessuali ed eterosessuali. Perfino la Chiesa Cattolica di Roma ha dovuto prenderne atto, pur opponendo limitazioni e prescrizioni dovute a una cultura – sessuofobica, ancor prima che omofobica - radicata nei secoli. In questo ebook si parla di narrativa omosessuale e sono riportati stralci dai seguenti libri: L'amore come viene L'uomo che cercavo Un futuro per noi due Intervista di G.Rizzuto a Nino Bonaiuto l'amore gay, gli ebook GR. Definisci i tuoi ebook eroticisentimentali, che significa esattamente? NB. Si tratta di storie d'amore, per cui il sesso ha un ruolo molto importante. Per una società sessuofobica come la nostra, il sesso dovrebbe essere confinato fra le manifestazioni morbose, sporche, da nascondere o da menzionare di sfuggita. E invece il sesso è la carne viva degli amori, anche quelli più puri e nobili, che poi sono quelli che porto al centro delle mie storie. Se l'eros viene taciuto, non si riesce a capire perché due amanti perseguano con tanta passione l'obiettivo di incontrarsi e stare insieme. Sono lontani i tempi in cui Alessandro Manzoni, nei "Promessi Sposi", per descrivere la "torbida" relazione di sesso fra Gertrude, la famosa monaca di Monza, ed Egidio si limita a scrivere: "La sventurata rispose". Come dire "...e ho detto tutto". GR. So che ti auto-produci. Com'è fare lo scrittore senza un editore alle spalle? NB. Grazie alla libertà delle nuove tecnologie è possibile pubblicare le proprie opere praticamente gratis. Gli autori non sono più costretti a fare anticamera presso gli editori, sperando che qualcuno li prenda in considerazione. E' il pubblico che decide se comprare o meno, decretando il tuo successo o il tuo fallimento. Un autore non si deve nemmeno più sottoporre alla gogna dei concorsi letterari, quasi sempre truccati e pilotati da interessi economici. C'è l'altro lato della medaglia, ovviamente: ogni giorno viene sfornata un'incredibile quantità di opere raffazzonate e spesso sconclusionate. Ho letto persino che ci sono in giro ebook tradotti da lingue straniere con i traduttori gratuiti presenti su internet: chiunque abbia utilizzato almeno una volta tali traduttori, si rende conto di quali risultati possano produrre. Il lettore si deve fare furbo e capire, dai pochi elementi che ha a disposizione, se l'ebook può essere messo alla prova o se eè meglio non prenderlo nemmeno in considerazione. Il bello anche in questo caso è che l'ultima parola è sempre quella del pubblico. La mia soddisfazione, per venire alla tua domanda, è che riesco a competere con gli editori professionali, sottraendo loro una fettina del mercato. GR. Hai pubblicato finora due romanzi. Che riscontro hai ricevuto? NB. Molto positivo. Il primo, “L'amore come viene” ha avuto delle buone vendite e un apprezzamento che mi ha fatto molto piacere. Il secondo, “L'uomo che cercavo” sta andando ancora meglio. GR. Qual'è la molla che ti ha spinto a iniziare a scrivere? NB. Non saprei dirlo, è stata un'esigenza interiore: dovevo condividere quello che avevo dentro, che spingeva per uscire. In Italia non si è ancora affermata una letteratura nella quale le persone gay vivono la propria condizione come un dono, quasi un privilegio. Niente vittimismo, niente sensi d'inferiorità, l'amore gay fra due uomini è meraviglioso come quello eterosessuale. Nella panorama della cultura italiana sono ancora troppo poche le storie che descrivono amori sublimi e pieni di passione erotica, nel contempo. Nella realtà tali storie esistono, con buona pace dei bigotti di tutte le confessioni. Occorre solo scriverle e diffonderle presso quei giovani omosessuali che ancora oggi si ritengono di "Serie B", per il solo fatto che la nostra società, aperta a parole, ma retriva nei fatti, insiste nell'emarginarli, in quanto gay. Se ho una missione, è questa: raccontare ai gay l'enorme potenziale di amore e felicità che possono esprimere nella loro vita, totalmente liberi dalle pastoie mentali del passato. GR. Sei impegnato in politica? NB. No, non sono iscritto a nessun partito e non sono portatore di alcuna ideologia, ma ogni atto che ci porti a relazionarci con gli altri è, di fatto, politico. Quindi tutti facciamo politica. GR. Per il futuro cosa pensi di fare? NB. Sto scrivendo una storia bellissima, di un amore puro (e passionale) fra due ragazzi universitari. E' una storia che scrivo senza fatica, come se fosse la storia stessa, dotata di vita propria, a volersi scrivere da sola. Conto di pubblicare l'ebook di questo romanzo prima di Natale, ma il lavoro da fare è parecchio. Non ho editor, né correttori bozze, devo fare tutto da solo. Poi, se una casa editrice decidesse contattarmi, di certo prenderei considerazione la loro offerta, ma per ora bene così. GR. Grazie. Alla prossima. NB. Grazie a te. Genevieve Rizzuto di di in va I – L'Amore Credere nell'Amore Ormai ne sono certo: l'Amore c'è, è la sostanza fondamentale dell'Universo. Il suo opposto è la Paura, che è una temporanea mancanza d'amore. Dalla paura discendono tutti i guai. Credo nell'Amore, nell'amore degli uomini e delle donne, nell'amore di Dio. Nessun malinteso può durare a lungo, nessuna vita che non abbia per obiettivo la ricerca dell'amore ha un senso. Capita a volte di vivere senza amore, o - per meglio dire - a "ridotto apporto d'amore". Sono i periodi bui, quando abbiamo perso di vista l'essenza divina che dimora in noi. In quei momenti rischiamo di perdere il rispetto per noi stessi, perchè magari qualcuno ci ha fatto sentire inadeguati. Non dobbiamo mai dimenticare che noi tutti siamo degni d'amore, sempre, indipendentemente da ciò che abbiamo fatto, da ciò che sappiamo fare, da quanto siamo o non siamo bravi. Se sapremo metter da parte le nostre stupide paure, allora riconosceremo l'amore che pervade la nostra vita. Ce n'è tanto, tantissimo, più di quello che possiamo immaginare. E darlo agli altri non lo fa diminuire, anzi lo moltiplica. Quando approdiamo nella dimensione dell'amore, la serenità e la saggezza diventano disponibili e la nostra vita ne è arricchita. Impariamo a perdonare, prima di tutti noi stessi e poi coloro che ci hanno fatto del male: il perdono è l'Amore che con la sua forza sconfigge la Paura. All'inizio di "La lingua perduta delle gru", David Leavitt cita il poeta americano James Merrill con le seguenti parole: "Perdonami se leggi questo.../ Vivevo da tanto senza amore /Che non sapevo più cosa pensavo". Mai più senza amore! Il vero esame di maturità è l'esperienza dell'amore Quando si passa dalla fanciullezza all'età adulta? Ai diciott'anni, quando per legge si diventa maggiorenni? O a sedici, l'età con la quale nei paesi più avanzati si prende la patente e si ha diritto di voto? Al debutto in società, come negli ammuffiti balli delle debuttanti? O quando in America scatta l'ora del grande Ballo della Scuola, per cui le ragazze debbono trovare - a tutti i costi uno straccio di ragazzo che faccia loro da cavaliere? Qui, da noi, in Italia, definiamo uno stupido esame nozionistico "Esame di maturità", come se la maturità consistesse nel conoscere il Manzoni o le corrette coniugazioni dei verbi latini. Neanche per idea. Il vero passaggio avviene, come sa la maggior parte di noi, quando c'innamoriamo per la prima volta, quando usciamo dagli angusti recinti della gretta vita materiale; l'anima si sveglia e cerca nell'altro il sentiero che conduce alla felicità. Non parlo dell'amore istituzionalizzato, quello per cui ci si fidanza e poi ci si comporta come coniugi sposati da quarant'anni. Parlo dell'amore che brucia e avvampa l'anima. L'amore che innalza a vette di felicità inimmaginabili e fa precipitare in abissi di dolore mai prima esplorati. Chi lo prova cessa di essere un ragazzo e diventa uomo. Ecco il vero esame di maturità. Queste esperienze valgono per tutti, uomini e donne, etero e gay. Il sesso c'entra fino a un certo punto, dato che è l'attrazione fisica ad innescare l'amore, ma non è l'elemento principale di questo processo di trasformazione interiore. Non tutti attraverseranno questo tipo di esperienza, per cui molti rimarranno invischiati nella materialità di un'esistenza piatta e banale, senza capirne il vero significato. Perché il sesso è così importante La nostra natura di esseri umani è molto legata alla sessualità, un'energia primordiale che si esprime in tutte le nostre manifestazioni, nelle nostre convinzioni e nel nostro modo di pensare. Se dobbiamo giudicare un'altra persona non siamo mai obiettivi e le caratteristiche sessuali di quella persona ci influenzano in positivo o in negativo, malgrado la nostra volontà cosciente di rimanere neutri e imparziali. Nel sesso è riposta una quantità di emotività estremamente elevata. I devoti di un guru si fanno trascinare dalle sue idee; si tratta cioè di una passione intellettuale che diventa anche fortemente emotiva. I fanatici però sono relativamente pochi. Tutti quanti invece potremmo essere trascinati da una passione di natura sessuale per un altro essere umano. La nostra personalità può esserne esaltata, se il legame sessualesentimentale è sano, o annichilita, se tale rapporto è squilibrato o sostenuto da energie negative (rabbia, paura, odio ecc.). Se il tuo partner ti tradisce, significa che ha preferito condividere la sua emotività più grande con un altro. In un certo senso ti ha svalutato come essere umano, preferendo un'altra persona. Ecco perché il tradimento è considerato un estremo oltraggio, un vilipendio imperdonabile. Avere condiviso il sesso con altri, costituisce quindi la rottura di un patto. Quando si fa scambio di coppia o si sceglie di allargare le esperienze sessuali della coppia includendo altre persone, si rischia di minare alla base il patto "sacro" fra due persone. Il rapporto di coppia di fatto non c'è più, il contratto è di fatto sciolto. Ecco perché fare esperienze sessuali con persone esterne alla coppia è estremamente pericoloso per la coppia di cui si fa parte. Non perché l'altro potrebbe scoprirlo (ciò accelererebbe solo la dissoluzione inevitabile della coppia), ma perché il sesso, portandosi dietro un carico di emotività spaventoso, potrebbe sovvertire i sentimenti dei due amanti clandestini. Coloro che si definiscono scopamici (termine orribile che si sente dire da poco tempo: designa due amici che fanno solo sesso, senza altro fine) ben lo sanno. Costoro credono che fare sesso sia come fare un po' di innocua ginnastica, e invece spesso si ritrovano a lottare con sentimenti impetuosi, che non sanno fronteggiare: l'amore spesso si sviluppa fra i due come un incendio, che poi nessuno è in grado di spegnere. Nel sesso c'è una forza primigenia che è più forte di noi. Quando abbiamo a che fare con essa scordiamoci quindi i piani a tavolino, il calcolo delle convenienze. Scherzare col sesso è come scherzare col fuoco. II – Le Storie Il romanzo popolare Nell'Ottocento, l'evoluzione della società rese necessaria la diffusione di opere letterarie istruttive ed educative per il vasto pubblico delle masse, sempre più istruite. Nacque così la cosiddetta letteratura di consumo. I romanzi d'appendice, in francese feuilleton, erano storie raccontate a puntate sui quotidiani, romanzi d'intrattenimento rivolti a un pubblico popolare. Si trattava per lo più di storie drammatiche, moralmente edificanti, che sfociavano dopo infinite vicende, emotivamente forti, in un liberatorio lieto fine. Seguitissimi, i romanzi d'appendice garantivano una certa tiratura dei quotidiani che li ospitavano, dovuta alla fidelizzazione dei lettori. Una specializzazione dei romanzi d'appendice fu il romanzo rosa, dove le vicende narrate riguardano storie romantiche di coppia. Con l'avvento della radio, le storie si trasferirono nell'etere sotto forma di radiodrammi a puntate. Nacquero così negli USA le cosiddette "soap opera", dove le vicende - sempre di natura sentimentale procedevano attraverso una narrazione diluita in un numero di puntate pressoché infinito. Le soap opera, trasferite in televisione, hanno avuto un enorme successo negli scorsi anni; successo che perdura tutt'oggi. Il nome "soap opera" è dovuto al fatto che queste produzioni servivano per reclamizzare, attraverso le interruzioni pubblicitarie, vari prodotti, fra i quali i detersivi (soap). La Procter &Gamble produsse a tal proposito "Sentieri", dapprima un radiodramma, successivamente trasposto in televisione come telefilm seriale. Le telenovelas, la versione sudamericana delle soap opera statunitensi, prevedono un finale che chiude la storia, mentre nelle soap non c'è mai un finale. La storia è di fatto infinita. Ultimamente i romanzi "popolari" si sono trasformati in saghe, ovvero storie raccontate lungo diversi volumi seriali numerati. Mi vengono in mente le diverse saghe sui vampiri adolescenti. Spesso i romanzi popolari sono sciatti, privi di fantasia, scritti solo per amore di guadagno. Altre volte gli scrittori sono dei semplici mestieranti, che scrivono tecnicamente bene, ma senza nessun afflato emotivo. Come capita spesso con i film hollywoodiani, la cattiva letteratura popolare segue un format specifico - non so quanto codificato - per cui nelle prime n pagine si deve descrivere l'incontro-scontro fra i protagonisti, cui seguono n capitoli che debbono descrivere il conflitto che separa i due momentaneamente, per poi, nelle ultime pagine, addivenire a una riconciliazione con l'inevitabile "...e vissero tutti felici e contenti". Il romanzo popolare, come qualsiasi forma d'arte, può essere scritto bene o male. Tantissimi grandi autori si sono cimentati con questo genere nella storia della letteratura. La dignità del romanzo popolare è indiscutibile, nonostante la grande quantità di spazzatura che esce tutti i giorni sotto le sue insegne. Per bacino di potenziali lettori, per le tematiche morali e civili che si possono veicolare, per la forza delle emozioni, il romanzo popolare - a parer mio - si dimostra una forma d'arte molto più rilevante rispetto alle opere "elevate", che ben pochi sono disposti a leggere. Quindi basta con lo snobismo di certa cultura sterile e autoreferenziale. Viva il romanzo popolare. Come trovare la buona narrativa gay Trovare buoni romanzi, ottima narrativa che abbia al centro la tematica gay non è semplice, poiché oggi c'è una grande e disordinata proliferazione di prosa specializzata nella parte omosessuale dell'amore. Come fare per orientarsi nella sterminata produzione letteraria, per trovare opere nelle quali il mondo gay sia rappresentato nella sua vera dimensione? Nel mondo di oggi l'omosessualità è uscita dal ghetto e cammina libera, alla luce del sole e reclama una letteratura che se ne occupi, che descriva la sua vera realtà. I romanzi che trattano dell'amore gay, incluso l'aspetto sessuale, debbono uscire dalla condizione di clandestinità a cui erano stati condannati nel passato e stare accanto alle migliori opere che trattano e decantano l'amore etero. Un gay deve avere dei modelli di riferimento, deve sapere quant'è meraviglioso amare un'altra persona dello proprio sesso. Questa nuova narrativa deve dare spunti per sognare, fornire modelli di pensiero finalmente liberi dai vecchi pregiudizi. Mi colpì, anni fa, la confessione di un ragazzo gay, che disse: "Per gli etero c'era Baglioni, Prevert, i Baci Perugina, il Tempo delle Mele... Per noi non c'era niente". Questo è il tempo in cui stanno per venir fuori opere che parlano dei gay, per i gay e per tutte le altre persone che vogliono comprendere la realtà che si trova oltre il loro recinto. Tornando alla domanda iniziale: "come trovare la buona narrativa gay", occorre distinguere la narrativa dalla letteratura porno-erotica, che ha una sua dignità, ma che si esaurisce nella descrizione del "delirio" sessuale, trascurando di rappresentare la vita al di fuori di questo (importantissimo) aspetto. Ci sono poi i romanzi d'amore definiti romance m/m (male/male, ossia maschio-maschio), che sono scritti perlopiù da autrici americane. Per quanto lodevoli, questi romanzi non rappresentano il modo di pensare degli uomini gay e le storie che descrivono si muovono in una realtà molto diversa da quella italiana. Va dato atto però a questo filone di letteratura "rosa", o forse si dovrebbe dire “fucsia”, di aver fatto scoprire al pubblico femminile occidentale la realtà del mondo gay, del quale a parte le caricature del passato - gli eterosessuali non sapevano niente. Un ragazzo gay che cerchi nella letteratura dei momenti per identificarsi e per non sentirsi "diverso", dovrebbe leggere innanzitutto un classico scritto cent'anni fa: "Maurice" di E. M. Forster e pubblicato postumo nel 1971. Un altro libro fondamentale è "La vita perduta delle gru", di David Leavitt. Altro caposaldo da non perdere è "Mentre l'Inghilterra dorme", sempre del Leavitt. Mi piace anche il libro "Alla fine di questo libro la mia vita si autodistruggerà" di Insy Loan, libro molto godibile, scritto qualche anno fa. Non conosco Insy, ma ho letto il libro e mi è piaciuto ;-) Non cito altri libri perché vorrei dire basta con i romanzi dove i gay finiscono male, uccisi, suicidi, esclusi ecc. ecc. Come se un po' se la fossero cercata. Ma perché? Nella realtà di oggi, sempre più giovani uomini gay vivono la loro vita felicemente, alla luce del sole, allo stesso modo delle coppie etero. Per quanto riguarda la scelta della nuova narrativa gay, proporrei un metodo abbastanza facile. Innanzitutto leggere la sinossi, o quarta di copertina, come viene spesso definita. Se è scritta con i piedi e se la consecutio temporum è andata a farsi friggere, direi di non comprare. Se la trama è complicata con colpi di scena pazzeschi, morti ammazzati compresi, direi che state comprando un thriller dove uno o più personaggi sono gay. La copertina può dare un'idea, ma non dovrebbe essere il principale criterio di scelta. Certe volte è bravo il grafico, ma lo scrittore fa pena. Il metodo del tassello dell'anguria è senz'altro un buon metodo, ossia provare a leggere qualche pagina dell'autore in generale o di un'opera in particolare. Se l'autore ha pubblicato qualcosa di gratuito, potete leggere quello e farvi un'idea di come sarà il romanzo. A tal proposito, su alcuni siti, come quello di Google, si possono leggere gratuitamente ampi stralci di tanti romanzi, così da valutare se meritano o no l'acquisto. Leggere fortifica l'anima. Leggere fa crescere. Il prezzo degli ebook Che prezzo far pagare per un ebook? Questa è una domanda alla quale gli autori che pubblicano libri digitali, prima o poi, debbono dare una risposta. Dipende da tanti fattori. Se sei Stephen King, spara pure alto, tanto un numero cospicuo di persone lo pagherà volentieri. Se invece sei un esordiente, uno di quelli che fa fatica a farsi conoscere, allora valgono le seguenti considerazioni. ● Se hai scritto un racconto di venti pagine, chiunque tu sia, non puoi chiedere più di 2 euro. ● Se hai scritto una storia cara al tuo cuore, ne hai curato tutte le fasi di lavorazione, hai fatto la correzione della bozza, l'hai letto, l'hai rivisto e poi ancora riletto... allora non chiedere meno di 5 euro. Il lavoro va pagato, l'ispirazione va premiata. ● Un ebook gratis si paga zero e spesso vale la stessa cifra. Ma ci sono anche delle lodevoli eccezioni. ● Se senti di aver fatto qualcosa che potrà elevare lo spirito di altre persone, allora farti pagare non è un delitto. ● Se hai scritto un volume immenso, tipo "Guerra e Pace", valuta tu quanto farlo pagare, ma non superare mai i 10 euro. E' pur sempre un libro digitale... III - L'uomo che cercavo (ebook) Un uomo, tanti uomini, poi l'amore "L'uomo che cercavo" è un romanzo a tematica romance m/m (gay). Si tratta della storia di un giovane gay che piano piano, attraverso esperienze sessuali e sentimentali con diversi uomini, arriva a una maggiore consapevolezza di se stesso, finchè non sarà pronto per incontrare il suo uomo, l'uomo che cercava. E' una storia per adulti, infatti il sesso è il mezzo attraverso il quale Pietro, il gay trentenne protagonista del libro, esplora se stesso, le proprie reazioni, le proprie emozioni e conosce anche gli altri, gli uomini che incontrerà lungo il suo percorso di crescita amoroso-sentimentale. Non sarà sempre un percorso facile, ma l'amore è sempre più accessibile di quello che crediamo. La felicità, a lungo cercata, è lì, a portata di mano. Trama "L'uomo che cercavo" è la storia di Pietro, un uomo di trent'anni che ha un buon lavoro; è inquadrato come ragioniere nell'amministrazione di un'azienda di prodotti chimici, nella periferia di Roma. Il suo capo, Ettore Saltafossi, è un uomo magnanimo e comprensivo; la collega Sara Parmigiani, una bella ragazzona appariscente, ma intelligente, una sua amica. Con l'altro collega con cui lavora, Giovanni Li Puma, non ha invece un grande rapporto, poiché non condividono nessun interesse comune. Pietro è gay, ma non l'ha mai detto a nessuno. Vive con la mamma, Jole, la quale si chiede quando mai suo figlio si deciderà a conoscere una brava ragazza, per poi sistemarsi. Un giorno i suoi occhi incrociano lo sguardo spudorato di Franco, un operaio addetto all'asfaltatura delle strade. La voglia di Franco lo eccita, come non era più abituato da anni e presto le sue fantasie trovano una reale concretizzazione. Gli incontri con l'operaio sono focosi e il sesso fra di loro è così sconvolgente da far "svegliare" Pietro dal suo torpore e dalla sua rassegnazione. Capisce finalmente che nella sua vita potrebbe entrare finalmente l'amore. A tal proposito, si ritrova a riflettere su tutte le sue precedenti esperienze sentimentali e sessuali, tutte, in un modo o nell'altro terminate in maniera fallimentare. Franco non si rivela pronto ad una relazione gay alla luce del sole. La breve ed intensa storia di sesso s'interrompe bruscamente. Pietro, dopo aver fatto coming out con la madre, si mette affannosamente alla ricerca dell'incontro con l'uomo giusto, quello con cui vivere l'esperienza dell'amore vero. Cerca un uomo per tutta la vita, non vuole solo una relazione temporanea, basata sull'aspetto fisico. Dopo una traumatica avventura maturata nell'ambiente dell'ufficio presso cui lavora, Pietro incontra in una sauna Adriano, un uomo lascivo ed affascinante di 36 anni, che lo introduce nella sua cerchia di amici. Le vacanze incombono e Pietro parte per la Sicilia con Adriano e la sua banda, felice come non è mai stato. In vacanza le cose presto prendono una piega imprevista. Ecco il primo capitolo del libro. Capitolo 1 Asfalto Era da un po' di tempo che aveva richiesto l'intervento del Comune per asfaltare la strada davanti a casa sua. Il suo tono era stato fermo e deciso, quando aveva parlato al telefono con l'impiegata: lui pagava le tasse e aveva tutto il diritto che la strada di casa sua non fosse più un sentiero dissestato, pieno di buche, polveroso d'estate e un pantano d'inverno. Il suo desiderio era quello di rientrare a casa con la sua ford, senza il rischio di danneggiarne le sospensioni tutte le volte. Aveva anche fatto pressione sui candidati delle scorse elezioni amministrative, di sicuro il metodo più rapido per ottenere la soddisfazione di quello che era un suo diritto. Ogni mattina Pietro si recava a Roma, dove lavorava presso un'azienda che produceva materie plastiche. Quando la gente sentiva dire “produzione di plastica”, pensava sempre ad un ambiente insalubre, pericoloso per la salute. Per sua fortuna, lui non era nella produzione, dove gli operai respiravano effettivamente i miasmi velenosi della lavorazione che seguiva al processo di polimerizzazione. In qualità di ragioniere, lavorava in amministrazione e si occupava di contabilità, in una bella stanza d'ufficio, pulita e ordinata, che condivideva con due colleghi. Quando un mercoledì di fine marzo squillò il telefono, intuì che a chiamare fosse sua madre. «Pronto?» «Pietro, non indovineresti mai!», disse la madre, con voce allegra. «Che c'è?», chiese, incuriosito. «Sono venuti gli operai ad asfaltare la strada», cinguettò tutta contenta la signora Jole. «Ma dai... non ci credo!», esclamò Pietro, con grande soddisfazione. Ogni giorno, alle quattordici, Pietro staccava, prendeva la sua auto, si faceva i suoi bravi quindici chilometri e raggiungeva la periferia del suo paese, dove abitava da solo con la madre, da quando, dodici anni prima, suo padre era venuto a mancare. A trent'anni non s'era ancora sposato e sua madre ogni tanto riprendeva quest'argomento per chiedergli quando si sarebbe deciso a portargli a casa finalmente una brava nuora. Quello che Jole non sapeva, era che Pietro non era affatto interessato a intrecciare una relazione con una donna: non ci pensava nemmeno. Erano gli uomini quelli che lo interessavano, che gli facevano girare la testa, che guardava per strada e sui quali fantasticava. Si era innamorato diverse volte di compagni di scuola, di amici e poi di colleghi di lavoro, ma tutte le volte era rimasto in silenzio per non tradirsi e – d'altro canto – le persone delle quali s'era infatuato erano state spesso degli eterosessuali, a volte addirittura sposati, che mai lo avrebbero corrisposto. Gli sembrava che l'amore, oltre a portargli un'ebbrezza e un desiderio sublimi, finisse sempre per condurlo a cocenti delusioni e a grandi sofferenze. La signora Jole capiva quando suo figlio attraversava quei momenti difficili e in quei casi cercava sempre un dialogo, per poterlo aiutare. Sfortunatamente, davanti alle domande della madre, Pietro era stato sempre evasivo e aveva mascherato la cosa dicendo che erano momenti di stanchezza dovuti allo stress eccessivo, prima a scuola e poi in ufficio, da quando aveva cominciato a lavorare. Si guardò nello specchietto retrovisore: era di sicuro un bel ragazzo, occhi azzurri, capelli chiari, tagliati corti, faccia virile, corpo ben modellato. Davvero niente male, pensò. Si ricordava che un uomo che aveva incontrato una volta, gli aveva detto che era 'bello come un arcangelo'. Per quanto ne sapeva, nessuno sospettava che fosse gay, né lui aveva alcuna intenzione di manifestarsi. Erano suoi affari privati, dopotutto. Quando imboccò la strada che portava a casa sua, vide la squadra di operai che stavano levigando la terra per renderla pianeggiante. C'era un uomo sopra i cinquant'anni, uno sui quaranta e un ragazzo poco più che ventenne. Pietro si fermò e volle fare la conoscenza dei tre. «Buongiorno,» disse scendendo dalla sua macchina, «Mi chiamo Pietro Pagliari. Ho chiesto io al comune di far asfaltare, una volta per tutte, questa strada. La macchina è abbastanza nuova», disse indicando la sua autovettura. «Non ne voglio cambiare una all'anno.» «Io sono Luigi», disse l'uomo più anziano. Era corpulento e aveva quella che a Roma si chiama “la panza”, un ventre prominente, indice di una scadente forma fisica. «Io sono Franco Morello», disse il quarantenne, fissandolo negli occhi. Pietro si sentì sciogliere dentro: era un uomo molto bello, dal corpo perfetto e scolpito, vestito di una salopette blu, da lavoratore. Dal colletto della t-shirt si intravedevano alcuni peli, rivelando un petto villoso, particolare capace di risvegliare la fantasia di Pietro. La stretta della sua mano era molto forte e possente. Pietro deglutì per l'emozione, mentre Franco lo scrutava senza alcun pudore. La stretta di mano durò un secondo di troppo: Luigi li guardò, chiedendosi cosa stesse succedendo. «Io sono Luca», disse il terzo componente della squadra, un ragazzo sorridente, contento per aver smesso per un momento di lavorare. «Abito nella casa sulla collinetta, alla fine di questa strada. Per qualsiasi necessità, per qualsiasi cosa, venitemi pure a bussare», disse allegramente Pietro, mentre si apprestava a rientrare in macchina. Mentre cautamente avanzava verso casa, sollevando una nuvola di polvere, si chiese se fosse stata una sua impressione o se Franco l’avesse effettivamente guardato da cima a fondo, facendogli una sorta di radiografia. “Come uno scanner”, pensò. Quello sguardo lo aveva messo a disagio, in una maniera che gli sarebbe piaciuto approfondire. La sua casa era costruita su due livelli. Al piano superiore c’era la camera da letto della madre e lo studio che era stato del padre, che lui chiamava la “biblioteca”, in quanto le pareti erano coperte da librerie zeppe di vecchi libri polverosi. Al piano di sotto, la cucina abitabile era il posto dove preferiva stare e dove lui e la madre consumavano i pasti. E poi c’era la sua camera, sulla destra, arredata sobriamente, con un letto matrimoniale e pochi altri mobili, che aveva comprato insieme alla madre. Jole lo aspettava per il pranzo. «Hai visto gli operai?», chiese al figlio. «Certo. Mi sono fermato e ho fatto la loro conoscenza. Quello più anziano andrebbe bene per te...», scherzò. Jole rise e si godette per un attimo il pensiero di se stessa di nuovo insieme a un uomo. Dio solo sapeva se ne aveva voglia. «Ma io sono vecchia, chi mi vorrebbe più?», disse sospirando la signora. Certo non era più un fiore di campo, ma aveva un portamento elegante e tutto sommato era riuscita a non ingrassare eccessivamente. A sessantaquattro anni era ancora una bella signora, per una donna della sua età. I capelli tagliati corti e tinti di scuro, rendevano alquanto giovanile la sua figura, almeno da lontano. Dopo aver pranzato, mentre lavava i piatti, chiese al figlio che programmi avesse per il pomeriggio. «Penso che guarderò un po' la televisione e poi me ne starò un po' tranquillo a leggere». La madre lo guardò sconsolata e lui se ne accorse. Sapeva che sua madre avrebbe voluto che lui uscisse a frequentare degli amici e che considerava il suo modo di passare le giornate, uno spreco di tempo. Avevano avuto molte volte questa discussione, per cui preferì far finta di niente. La madre salì in camera sua per il consueto riposo pomeridiano, mentre Pietro uscì fuori la porta, ad osservare la squadra di operai in lontananza. Avevano ripreso il lavoro, dopo la pausa pranzo. Ripensò a Franco, a quel suo sguardo che gli aveva fatto una 'radiografia' dalla testa ai piedi. Sapeva di interessargli. Ma come avrebbe potuto fare il primo passo, senza rischiare? Un venticello freddo e fastidioso si era sollevato, facendolo decidere di rientrare in casa. Notò all’ultimo momento che uno dei tre si era staccato dal gruppo e stava avanzando verso casa sua. Non riusciva a distinguere quale dei tre fosse. Rimase ad aspettare e dopo poco capì che a muoversi verso di lui era proprio Franco. Un brivido gli percorse la schiena, immaginando per un attimo che fosse mosso dall’interesse per lui. «Ciao Franco». «Che c’hai una bottiglia d’acqua? Quella che avevamo è finita a pranzo», chiese l’operaio con lo sguardo piantato negli occhi di Pietro. Franco aveva capelli neri corti, pettinati all'indietro e occhi neri profondissimi, che lo soggiogavano tutte le volte che scrutavano in fondo ai suoi. «Certo... entra», disse il padrone di casa, con la voce arrochita dall’emozione. Mentre entrava, Franco si fece troppo vicino a Pietro, perché fosse una casualità. Con la mano afferrò il braccio del giovane, forzandone la mano a toccare l’erezione durissima sotto la sua salopette blu. «Lo so che lo vuoi», sussurrò l’operaio, con tono perentorio. Pietro si girò con gli occhi sbarrati, colmi di desiderio. «Shhh... c’è mia mamma al piano di sopra. Vieni di qua», gli disse a bassa voce, trascinandolo verso la sua camera da letto. Franco si tolse le spalline della salopette, facendola crollare fino alle ginocchia. Pietro poté vedere che l’uomo portava degli slip bianchi, di quelli che si vendono nei mercatini. Un grosso rigonfiamento pulsante rivelava un’erezione prepotente. Il pene dell'operaio prometteva di essere grosso e lungo. I peli pubici, neri e rigogliosi, sfumavano verso l’ombelico, ancora coperto dalla maglietta bianca. Con due dita Franco abbassò gli slip, liberando il “mostro”. Era molto bello, scuro e puntava verso l’alto. Il glande rosa, con la sua boccuccia in cima, umido per il liquido trasparente che era fuoriuscito, appariva bello e nel contempo delicato, tanto che Pietro ne fu intenerito. I testicoli, si intravedevano, rosei, sotto la folta peluria. Pietro si inginocchiò e prese la grossa cappella nella sua bocca, assaporandone il gusto salato e respirando l’odore di sudore, mescolato all'afrore di un maschio vero. Franco dall’alto lo guardava ipnotizzato, mentre la sua mano sulla nuca di Pietro ne dirigeva il ritmo, spingendolo ad accelerare i movimenti e a far entrare il pene ancora più in profondità nella sua cavità orale. Quando arrivò al culmine del piacere Franco spinse con forza, senza badare al fatto che Pietro sembrava nel panico: si sentiva soffocare, gli mancava il respiro e sentiva lo sgradevole riflesso del vomito. Pietro guardò atterrito in alto implorando l'attenzione del suo partner occasionale. Franco continuò ignorando tutti i segnali, proseguendo un movimento che gli stava regalando un piacere realmente straordinario. Con grande sollievo di Pietro, Franco si fermò all'improvviso, gemendo, e rapidamente la sua bocca si riempì rapidamente dello sperma dell'uomo, caldo e salmastro. Per evitare di rimanerne soffocato, deglutì l'abbondante 'regalo' che aveva ricevuto, non senza un moto di disgusto. Franco estrasse il pene dalla sua bocca, riponendolo negli slip, richiudendo rapidamente la chiusura lampo, ricomponendosi. Pietro sputava, tossiva e deglutiva a vuoto. S'era sentito morire con quel pene che aveva invaso tutto lo spazio della sua bocca. «Che cazzo! Mi hai quasi soffocato!», lamentò il ragazzo. Franco lo guardò con disprezzo. «Non dire che non ti è piaciuto. Sei una grandissima troia». «Vattene», gli intimò Pietro. «Non farti più vedere in casa mia». «Quando hai bisogno di cazzo, qui ce n'è», disse Franco, toccandosi oscenamente il pene, ancora barzotto, attraverso la salopette. «Vattene», ripeté Pietro. Franco si girò e se andò tranquillamente, con la bottiglia d'acqua in una busta per la spesa. Pietro lo seguì con lo sguardo da dietro la finestra, mentre l'uomo percorreva a piedi la strada ancora polverosa, fino a che non lo vide ricongiungersi con gli altri due operai. Gli sembrava che per Franco non fosse successo niente di particolare, ma per lui erano state sensazioni fortissime, quasi uno choc. La sua testa era in preda a un turbinio di pensieri ed emozioni contrastanti. Il suo pene in erezione non accennava ad ammosciarsi. Un'eccitazione strana e persistente lo teneva sulla corda e gli faceva provare una frenesia piacevole, un'ansia in attesa di soddisfazione. Quello stronzo si era approfittato di lui, lo aveva usato come un oggetto per il suo piacere, senza minimamente preoccuparsi delle sue esigenze. Eppure una parte di lui era attratta in maniera ossessiva da quel bruto in salopette, in barba a qualsiasi logica, alla faccia di qualsiasi buon senso. Si pentì di averlo cacciato via: forse era stato troppo severo con lui. Estrasse il pene durissimo e con le dita giocò col prepuzio che ricopriva quasi completamente il glande. Una sensazione acutissima di piacere gli sconvolse la mente. Ripensò all'atto sessuale appena consumato col suo operaio. Bastarono pochi movimenti su e giù per procurargli un orgasmo violento. Copiosi schizzi attraversarono l'aria per infrangersi contro la parete e sul pavimento. Non ricordava di aver mai provato prima una sensazione di piacere così acuta e sublime. Guardò nuovamente dalla finestra. I tre operai stavano lavorando tranquillamente all'imbocco della stradina che portava a casa sua. Si sdraiò sul letto, per cercare di riposare. Franco, coi suoi modi spicci e sbrigativi era presente in tutti i suoi pensieri. Gli aveva promesso, con quel gesto volgare, che ci sarebbero potuti essere altri incontri. Quando si risvegliò guardò ancora dalla finestra e vide che i tre uomini erano ancora al lavoro, come di consueto. Erano un po' lontani, all'inizio della stradina da asfaltare, lunga quasi un chilometro, li guardò muoversi, vide che Franco sembrava un po' il leader del gruppo. Andò in soggiorno ed accese il televisore. La mamma nel frattempo si era svegliata dalla sua “pennichella” ed era scesa al piano di sotto, ignara di tutto quello che era successo. «Pietro, dovresti farmi un favore», disse. «Mi dovresti prendere in farmacia le pillole per il mal di testa». «Mamma, ma non le abbiamo prese la settimana scorsa?», obiettò il giovane. «Erano due settimane fa», precisò la donna. «Ultimamente il mal di testa si è fatto più frequente. Dev'essere questo tempo, così variabile... » «Fra poco ci vado», la rassicurò il giovane, mentre guardava un vecchio cartone animato della serie “Tom & Jerry”. Il giovane si divertiva a vedere il gatto Tom mentre subiva i dispetti del topolino, sua vittima designata. Rideva spensierato, come quando era un ragazzino. Jole lo guardò con tenerezza. Era sempre il suo bambino. Anche se era cresciuto, anche se era economicamente autonomo. Il loro legame era inscindibile. Non le importava più di tanto che Pietro si attardasse a formarsi una sua famiglia, poiché sapeva che, qualora il figlio avesse incontrato una donna che gli avesse fatto girare la testa, lei avrebbe cominciato a perderlo. Per adempiere al dovere di una brava mamma, e per non farsi rimordere la coscienza, tuttavia, ogni tanto lo esortava a mettersi alla ricerca di una brava ragazza e a 'sistemarsi'. Ma per come la vedeva lei, poteva benissimo stare con lei per sempre. Pietro sembrava comunque non sentirci da quell'orecchio. Poco dopo Pietro si fece dare dalla madre la scatola vuota delle pillole, per mostrarla al farmacista e farsene dare una uguale. Uscendo dalla strada, incrociò i tre operai e guardò Franco per capire se il suo atteggiamento verso di lui fosse cambiato. Franco lo guardò, accennando un sorriso. Pietro si fermò, abbassò il finestrino, e chiese a Franco se l'acqua bastava e se ne voleva un'altra bottiglia. Franco rispose al sorriso di cortesia del giovane: «Per oggi abbiamo finito. Domani magari tornerò a chiederle un'altra bottiglia». «Venga quando vuole. Di mattina troverà mia madre. Io ci sono nel pomeriggio, quando torno dal lavoro», spiegò il giovane simulando tranquillità, mentre nel suo animo si agitava un dolcissimo desiderio d'amore, assolutamente nuovo per lui. «Arrivederci Franco. Ciao a tutti», salutò, allontanandosi verso la borgata abitata. « Arrivederci Franco. L'hai sentito?», disse Luigi verso i suoi compagni, sghignazzando e facendo il verso della voce di Pietro. «Stai attento che quello ti salta addosso», disse poi in tono scherzoso, rivolto a Franco. «Non c'è problema. Sai quanti calci gli do, se osa avvicinarsi?», rispose rude il quarantenne. Quando Pietro tornò dalla farmacia con gli analgesici per la madre, la squadra di operai stava smontando. Passando toccò il clacson, in segno di saluto. Luigi guardò Franco con aria beffarda, ma l'uomo restò impassibile. http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/luomo-che-cercavo IV - L'amore come viene (ebook) Una storia fra “romance m/m”, erotismo gay e romanzo sentimentale Una storia d'amore omosessuale è sempre una storia peccaminosa, controcorrente. Il romanzo d'esordio di Nino Bonaiuto è una storia erotico-sentimentale gay dal titolo “L'amore come viene”. Narra le vicende di Federico, un ragazzo che proviene da una borgata popolosa e popolare di Roma, Pietralata, nel quadrante nord-est, lungo la via Tiburtina. E' un ragazzo come tanti, fa l'università, vive in famiglia e frequenta gli amici, prevalentemente eterosessuali. Ha avuto una storia d'amore che è finita per via delle tante difficoltà che una storia gay ancora incontra nell'Italia del XXI secolo. Accettarsi è difficile, fare coming out di più. Tuttavia la società è di sicuro più aperta alle tematiche omosex, rispetto a qualche anno fa. Anche il sesso gay è stato sostanzialmente “sdoganato”. Il sesso per Federico è molto importante, come lo è per ciascuno di noi, che lo si voglia ammettere o meno. Una storia d'amore cresce e prospera solo se vi è un consistente substrato di gioia sessuale condivisa. Senza raccontare il sesso, con tutta la sua carica vitale, non si capisce in cosa consista l'amore. Chiaramente l'amore di cui si parla nel libro non è un concetto astratto, ma il collante che unisce le persone e le fa sentire complete. Il libro non sorvola sugli atti sessuali a cui i protagonisti si lasciano andare, anzi. Spesso – soprattutto nella descrizione degli amplessi gay - vengono descritte le emozioni animalesche del momento, in maniera ben più coinvolgente dei racconti porno, facilmente reperibili in rete. La ricerca del partner è per tutti noi, uomini e donne, gay, lesbiche ed eterosessuali, una faccenda tremendamente importante, nell'ambito della nostra realizzazione come persone. In “L'amore come viene” - ricordiamolo, storia italiana nel filone “Romance M/M” - l'amore non riguarda solo i giovani gay, ma ha connotati diversi. Il professor Mancini, un uomo maturo e realizzato, ha una famiglia “tradizionale”, che è il suo orgoglio e il suo vanto. Ma il demone del sesso, Eros, lo colpisce dove è più debole: il docente è bisessuale e subisce il fascino del suo giovane studente. Il lato sessuale della sua vita non lo soddisfa più, manca quel brivido che potrebbe ancora una volta farlo sentire vivo. Perché la sua carne vuole ancora conoscere, non si è ancora arresa all'inarrestabile declino che lo aspetta negli anni che ha davanti a sé. Ma Eros non ha riguardo per le convenienze, per i piccoli calcoli, per le meschinità: se gli si dà via libera, egli ti stravolge l'esistenza. Ma anche a fermarlo, a ignorarlo, la vita non potrà mai più essere la stessa. Dopo aver conosciuto le sue “folli” promesse di felicità, tornare alla piatta monotonia della vita precedente sarà possibile solo a costo di abbracciare l'infelicità e il rimpianto, due compagni di viaggio assai sgradevoli. Nel libro le famiglie partecipano alle vicende dei loro uomini, tormentati dagli strali di Eros, come il coro delle antiche tragedie greche, commentando e partecipando emotivamente agli eventi. Famiglie aperte, chiuse, dubbiose, amareggiate. Anche gli amici partecipano alle emozioni dei protagonisti, mettendo in campo il loro amore, i loro personali pregiudizi e le loro personali vicissitudini. Un romanzo d'amore, erotico-sentimentale, come lo definisce l'autore, di forte presa e di grande emotività. Al di là che si tratti di romance m/m, di romanzo sentimentale, di romanzo porno o altro, nel libro viene raccontata una storia, una storia che descrive la realtà, senza ipocrisie e senza pregiudizi. Una bella storia. Recensione apparsa su una rivista semi-clandestina di Roma. Ecco il primo capitolo dell'ebook. Capitolo 1 Sapeva che era una domanda stupida, ma aveva bisogno che lui lo guardasse. Il professor Mancini guardò nella direzione da cui era venuta la domanda e incrociò per la prima volta il suo sguardo. Un brivido attraversò la schiena di Federico: tutto era magnetico in quell'uomo, il suo portamento, il tono della sua voce, il suo corpo maturo e la sua pelle abbronzata. A occhio e croce poteva avere poco più di quarant’anni, ma molto ben portati. I capelli scuri, corti, erano pettinati all’indietro. Le basette, ben curate e lasciate un po’ lunghe, gli davano un’aria molto sexy, un tocco di vanità che tradiva il suo desiderio di piacere. Era un uomo ben piantato, proporzionato, forte e sicuro di sé, il prototipo del maschio virile e possente. Dava l’impressione di appartenere a quella categoria di persone che tengono sempre in pugno le situazioni e sanno sempre cosa fare. Gli occhi chiari del docente emanarono un guizzo, come una saetta, che colpì Federico in un angolo nascosto e profondo della sua anima. «Lei ha una bella faccia intelligente», disse sorridendo, con sottile ironia. «Ma credo che stavolta non abbia colto il senso di quello che ho appena spiegato», continuò beffardo, sottolineando che la domanda rivelava una scarsa conoscenza delle peculiarità di Lucrezio nell'uso della lingua latina. Federico non sentì la risposta, ma annuì come se avesse capito. Per i tre quarti d'ora di lezione che seguirono, Federico ascoltò, come in trance, il suono delle parole del docente, senza capirne il significato. Guardava la gestualità del professore, i suoi passi, ascoltava la sua voce come se fosse musica. Erano due settimane che era iniziato il corso, all’inizio di ottobre, ma fino a quel momento non aveva mai avuto il coraggio di attaccare discorso con lui, per via della sua timidezza e del tono canzonatorio che il professore utilizzava parlando con gli studenti. Si rendeva conto che, per tanti motivi, non era saggio provarci col suo professore, ma non riusciva a impedire alla sua mente di scatenarsi in audacissime fantasie sessuali su di lui. Quando ormai mancavano cinque minuti alla fine dell’ora, Federico si costrinse ad ascoltare qualche concetto di quanto il docente stava spiegando, per attaccare discorso con lui a fine lezione. A mezzogiorno in punto il professore disse la fatidica frase «... ma di questo parleremo domani», al che gli studenti cominciarono ad alzarsi, richiusero i quaderni negli zaini e si mossero per abbandonare l'aula. Germana, che sedeva vicino a Federico esclamò sottovoce in sua direzione: «Non riesco a crederci, gli stai battendo i pezzi!». «Ma che dici ?!», fece Federico, fingendo sorpresa. Germana era una collega che conosceva da due anni e che a poco a poco si era conquistata la sua fiducia. Era una ragazza mingherlina, mora, capelli a caschetto, non certo appariscente, considerando che aveva solo una prima di seno e che anche le altre curve tendevano alla linea retta. Sapeva della sua omosessualità e tra loro c'era un rapporto confidenziale, da amici. Spesso si ritrovavano a condividere ansie, speranze e le rispettive pene d'amore. Non di rado facevano commenti sugli uomini, trovandosi per lo più d'accordo, dato che i loro gusti in fatto di maschi erano sostanzialmente gli stessi. Ad entrambi piaceva l'uomo pienamente adulto, virile, prestante, moderatamente peloso. Per Germana Federico rientrava in quei canoni, sebbene un po' troppo giovane. Una volta lei aveva sospirato, fra il serio e il faceto: «Peccato che sei gay, perché farlo con te non mi sarebbe dispiaciuto». Federico le aveva risposto: «Stammi lontana», prorompendo in una fragorosa risata. Da oltre un anno il giovane era ridiventato single, dopo la tumultuosa storia d’amore con Andrea, alla quale ripensava ancora spesso. Gli tornavano in mente i momenti in cui Andrea lo teneva stretto. Con lui si sentiva al sicuro da ogni problema, al riparo da qualsiasi difficoltà. «Guarda che è sposato», insinuò sogghignando l’amica. «Non porta la fede al dito, e comunque io non sono geloso», ridacchiò Federico. «Ci devo parlare, ci vediamo dopo», tagliò corto e si avviò frettolosamente sugli scalini verso l’uscita dell’aula magna. Si piazzò davanti al professor Mancini e gli fece una domanda sull’influenza della filosofia epicurea nel De rerum natura di Lucrezio. Il professore lo guardò negli occhi e di nuovo – impercettibilmente - si creò una corrente elettrica. Mentre rispondeva a Federico, il professore scrutò il giovane, soffermandosi sul suo aspetto tenero e indifeso, il che gli fece affiorare un senso paterno di protezione e un moto di tenerezza nei suoi confronti. «Grazie professore, la saluto», disse con intensità Federico, porgendo la mano al professore, che gliela strinse vigorosamente. Ancora una volta una scossa elettrica attraversò i due uomini, turbandoli profondamente. Germana nel frattempo aveva visto tutta la scena e, adesso che il professore era lontano, si era avvicinata lentamente a Federico. Aveva visto Federico ascoltare in trance la risposta del professore e l’aveva tenuto d’occhio mentre fissava il professore uscire dall’aula e avviarsi verso il vialetto della facoltà. «Fede, stai attento alle fregature: vedo che sei partito in quarta e questo non mi piace», commentò la ragazza. «Sento che stavolta è diverso. Mi ha guardato con uno sguardo speciale: so che non gli sono indifferente», disse lo studente, come in trance. «Sarà, ma non vorrei che poi andasse a finire come con il tuo ex», disse con forza Germana, mentre uscivano dall’aula per andare verso la metropolitana, fermata Policlinico. Andrea era stato il “grande amore” di Federico. Si erano conosciuti in una piscina sulla Nomentana quando Federico aveva diciassette anni. Si era subito innamorato di questo ragazzo spavaldo di ventiquattro anni, indipendente e con un atteggiamento da uomo scafato, che la sapeva lunga. Andrea era forte, asciutto, virile, la pelle olivastra, ma i suoi occhi neri ogni tanto lasciavano intravvedere smarrimento e insicurezza, rivelando le sue fragilità di fondo, mascherate a malapena dal suo atteggiamento da “duro”. Un po’ uomo, un po’ ragazzo, amava dire Federico. Andrea si era “messo” con Federico di nascosto, per paura di venir riconosciuto come gay, cosa che temeva avrebbe rovinato il suo rapporto con i suoi amici e distrutto la sua vita sociale. Alla fine, la continua necessità di utilizzare sotterfugi per vedersi aveva rovinato il loro rapporto. Negli ultimi tempi passavano più tempo a recriminare, ad accusarsi, a litigare che a fare l'amore. I momenti preziosi delle tenerezze, delle coccole e dei baci avevano reso felice la loro relazione, ma le paranoie e la continua paura di essere scoperti avevano finito per logorarla. Andrea aveva preso la decisione di lasciarlo, dicendogli che per loro non c’era futuro e che voleva starsene da solo per un po’. Il mondo di Federico era crollato in quel momento, ma la sua sofferenza si era in seguito intensificata, poiché Andrea aveva cominciato a trattarlo freddamente, come se non ci fosse mai stato niente fra loro. S’illudeva che quest’atteggiamento di rifiuto e di chiusura potesse servire a esorcizzare la realtà della sua omosessualità. Sperava che rinunciando a Federico potesse finalmente “guarire”. «Cosa c’entra Andrea?» esclamò Federico, mentre sentiva un senso di disagio a causa della rievocazione della figura del suo ex, con tutto il carico di emozioni che si portava dietro. «Quella è acqua passata. Andrea adesso fa la sua vita e io la mia». L’aveva visto la settimana precedente in un pub con i suoi amici, tutti avevano la ragazza e lui stava ancora da solo, ma gli era parso che la cosa non gli pesasse. Quando Andrea l’aveva visto, gli era corso incontro e l’aveva salutato con calore, sorprendendolo. Avevano scambiato poche parole, sufficienti a dargli l’impressione che il suo ex stesse ancora cercando la sua strada. Federico si chiese fino a che punto potesse essere cambiato, ma s’impose di scacciare via questo pensiero: troppo male aveva ricevuto da quell’uomo. Era una storia chiusa. Arrivati alla fermata Policlinico, i due universitari si divisero. Federico abitava a Pietralata, mentre Germana viveva sull’Appia, nei pressi dell’Arco di Travertino. La metropolitana di colpo arrivò e Federico – distraendosi dai suoi pensieri - entrò e si sedette di fronte a tre suore sudamericane piuttosto attempate, immobili come sfingi. «Maurizio Mancini è proprio un bel manzo», pensò Federico, sentendo l’acuto desiderio di abbracciarlo, baciarlo e poi accarezzarlo su tutto il corpo. E poi toccargli il pene duro attraverso i pantaloni del vestito. Queste fantasie gli avevano procurato un’erezione pazzesca, che cercò di coprire con lo zaino. S’impose di non pensare a lui, ma era un compito di là delle sue possibilità. Immaginava di aprirgli la cerniera e tenergli in mano il pene duro e delicato, masturbarlo dolcemente e sentire i suoi gemiti farsi sempre più forti. Avrebbe voluto poi prenderglielo in bocca e succhiarlo dolcemente, farlo godere e infine baciarlo fino allo sfinimento. La metro nel frattempo era arrivata a Pietralata. Federico scese e si avviò verso casa, che distava dalla stazione metro solo dieci minuti a piedi. Pietralata era un quartiere popolare piuttosto brutto, ma per Federico era il mondo, dato che vi era nato e cresciuto. Entrando a casa, sua madre lo guardò e gli chiese com’era andata la mattinata. «Bene», rispose laconicamente il ragazzo, «che c’è per pranzo?». «Stamattina al mercato c’erano dei piselli freschissimi e così ho pensato di farti il riso con i piselli, ti va?», disse la donna, ma Federico era andato in camera sua per posare lo zaino, senza dare alcuna risposta. Quando rientrò nel soggiorno, la signora Cinzia gli chiese se andava tutto bene. Il giovane si voltò verso di lei con un sorriso trasognato, dicendo «Certo ma', benissimo». Si sedette a tavola accendendo il televisore. L’appartamento della famiglia Grandi era piuttosto piccolo. Dopo il minuscolo atrio, si passava direttamente al soggiorno, una stanza relativamente ampia, dove si pranzava e vi si svolgeva la vita familiare. Sulla sinistra c’era la piccola cucina e sulla destra si aprivano le stanze da letto. Federico e sua sorella avevano ciascuno una propria cameretta. Cinzia era una donna molto pratica. La sua famiglia d’origine, originaria di Barletta, si era trasferita nella capitale, per sfuggire alla povertà del dopoguerra. I suoi genitori, negli anni settanta, avevano aperto una merceria e le cose erano andate sempre meglio. Le privazioni della sua infanzia, tuttavia, avevano reso Cinzia responsabile di se stessa e acuta nel giudicare il prossimo. Non aveva bisogno di parlare molto con i suoi figli: per lei erano trasparenti, era come se leggesse loro nel pensiero. A quarantadue anni Cinzia era una donna ancora piacente, curata nel suo aspetto e molto attenta a non esagerare a tavola. Portava capelli biondi ossigenati legati sulla nuca a coda di cavallo ed era sempre sorridente e accomodante. Sua figlia Manuela, di diciannove anni, entrò in quel momento nel soggiorno. Era una ragazza molto bella, pragmatica come la madre, dal piglio deciso e sicuro di sé. Più alta della media, aveva un viso armonioso e capelli castani, lisci, lunghi fino alle spalle. Portava la terza di reggiseno e aveva un bellissimo sedere. Attirare l’attenzione dell’altro sesso non era mai stata una sua preoccupazione. Il problema suo era stato semmai l’opposto: tenere a bada i maschi che le sbavavano dietro. Al momento era single, poiché si era lasciata da poco col suo ex ragazzo e si era data una pausa di riflessione. Dopo il diploma aveva deciso di non proseguire gli studi e aveva trovato lavoro come cassiera di un supermercato in zona Talenti. «Ciao», salutò, mettendosi a sedere davanti ad un telegiornale che dava conto dei consueti battibecchi di politici in perenne campagna elettorale. «Quando prendi servizio?», le domandò il fratello. «Alle due. Ho il tempo di mangiare e riposarmi un attimo», rispose Manuela. Mamma Cinzia servì il riso e poi si sedette con loro. Federico mangiò avidamente il suo riso, mentre i suoi pensieri erano concentrati su come fare per avere un incontro più riservato con Maurizio. Al riso seguirono le polpette scaldate, avanzate dalla cena della sera precedente e i primi clementini della stagione. Pochi commenti alle notizie del telegiornale furono l’unica conversazione del pranzo. «Io vado a studiare», annunciò Federico alzandosi e dirigendosi verso la sua stanza. Richiudendo la porta dietro di sé guardò la sua cameretta di ragazzo, come se la vedesse per la prima volta. Il suo lettino era a sinistra e sopra c’era un poster che celebrava la vita e la memoria di Ayrton Senna, lo sfortunato pilota di Formula Uno deceduto in un incidente sulla pista. Riportava una foto del campione brasiliano con la frase “Per sempre Ayrton”. A lato, un altro poster ritraeva la diva degli anni trenta Marlene Dietrich, in una celebre posa tratta dal film “L’Angelo Azzurro”. Un armadio malandato addossato alla parete opposta racchiudeva i vestiti di Federico. La parete in fondo ospitava il mobiletto del computer, proprio accanto alla finestra che dava su una stradina secondaria, piuttosto anonima. La sera sul tardi, Federico vi aveva visto spesso una certa attività sospetta, probabilmente di spaccio di stupefacenti. Il ragazzo si assicurò che la porta fosse chiusa a chiave, si distese sul letto e si mise a fantasticare di fare sesso con Maurizio. Slacciò la cintura, si aprì la cerniera, si sfilò i jeans e gli slip bianchi fino alle cosce, lasciando il pene duro e svettante in libertà. Si accarezzò i testicoli con voluttà, mentre pensava di accarezzare quelli di Maurizio. Con la mano si scappellò, lasciando intravvedere il glande, inumidito per l’eccitazione accumulata durante la mattinata. Lentamente fece scorrere il pugno su e giù, scoprendo e ricoprendo il glande col prepuzio. Con l’altra mano si accarezzava il petto, ricoperto da una leggera peluria chiara. La sensazione era di puro piacere. Con le dita si stuzzicò i capezzoli e la sensazione s’intensificò. Stava accelerando troppo, non voleva finire subito. Si fermò a ripulire il glande dal liquido trasparente che era fuoriuscito in abbondanza e rischiava di colare sulla peluria corta del pube. Riprese a masturbarsi, mentre la fantasia adesso stava dilagando. S’immaginava che Maurizio, dopo avergli lubrificato l’ano, lo stesse penetrando lentamente. Automaticamente il suo dito andò verso il suo ano e vi penetrò dolcemente. S’immaginava che il professore adesso spingesse e spingesse, fino a un orgasmo potentissimo. Federico non si trattenne più e si abbandonò a un orgasmo fra i più forti mai provati nell’ambito di una sega. Lo sperma fu spruzzato in diversi getti che atterrarono sul suo petto, sul cuscino e uno anche sulla sua guancia sinistra, mentre con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata provava la sensazione sublime dell’estasi. Avrebbe gridato, se fosse stato solo in casa. Con i fazzolettini di carta pulì lo sperma, cercando di cancellare anche gli aloni sul cuscino. Si rialzò le mutande, richiuse i jeans e aprì un libro di testo, cercando di studiare Lucrezio. Dopo due pagine la stanchezza ebbe la meglio su di lui e si assopì, sereno come un angioletto. http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/lamore-come-viene V - Un futuro per noi due (ebook) Due ragazzi, l'amore, la vita Antonio non ha ancora mai fatto l'amore: è un ragazzo ingenuo, spensierato, intenzionato a studiare e a esplorare l'universo misterioso e avvincente degli uomini, dai quali è prepotentemente attratto. Aurelio è più maturo, riservato, misterioso, con una determinazione e una forza morale insolite in un ragazzo della sua età. I due ragazzi, al primo anno di università, incrociano lo sguardo per strada, apparentemente per caso. L'attrazione fisica è fulminea e irresistibile. Per loro è l'inizio di una storia d'amore romantica, fatta di rispetto, attenzione dell'uno verso i bisogni dell'altro e, naturalmente, sesso senza tabù e senza inibizioni. I problemi più drammatici si presentano nel momento in cui debbono comunicare alle loro famiglie, ignare della loro omosessualità, la realtà della loro relazione di coppia. L'amore segna il passaggio essenziale dall'adolescenza all'età adulta, facendo approdare i due giovanissimi a una vita fatta di autodeterminazione e responsabilità. I due ragazzi si scoprono improvvisamente uomini, liberi di scegliere il proprio destino, liberi di scegliere l'amore. Ma è possibile per due diciannovenni realizzare il progetto di una vita di coppia stabile e duratura? Ecco il primo capitolo del libro. Capitolo 1 Università Camminavo per strada con la mia amica Maria Cristina. Erano i primi giorni di università, in facoltà non conoscevo ancora nessuno. Fortuna che c'era Maria Cristina, che veniva dalla mia stessa classe, al liceo; almeno con lei potevo parlare. A dir la verità quando eravamo stati compagni di scuola, io e lei non ci frequentavamo affatto. Semplicemente lei aveva il suo gruppetto e io il mio. Di lei dicevano che era una ragazza puntigliosa, “rompiscatole”, anche se non è esattamente questo il termine che utilizzavano. Devo dire che anch'io avevo avuto la stessa impressione: Maria Cristina battibeccava con tutti, perfino con i professori, sollevando obiezioni quando gli altri cadevano in contraddizione: non gliene faceva passare una. Lei probabilmente pensava che così sarebbe apparsa intelligente e sicura di sé, mentre invece, l'unico risultato di questo suo instancabile impegno erano l'isolamento e l'esclusione, dei quali, ovviamente, non sapeva spiegarsi il perché. “E' simpatica come la sabbia nel letto”, avevo sentito dire una volta da una nostra compagna, che pure faceva parte della sua cerchia. Dicevano anche che uscire la sera in sua compagnia equivaleva a rovinarsi la serata: aveva da ridire su tutto, non le stava mai bene niente. Ripensando agli anni del liceo, mi resi conto che la sua impopolarità era da addebitare al fatto che alla gente non piace sentirsi dire quello che è giusto e quello che è sbagliato; ecco, lei glielo diceva. I suoi più grandi difetti probabilmente erano stati un'imbarazzante franchezza e una totale mancanza di tatto. Quando cominciai a frequentarla nelle aule della facoltà di Scienze Naturali, capii che ci eravamo sbagliati tutti, sul suo conto, o quanto meno, lei aveva superato quel tipo d'atteggiamento infantile. La Maria Cristina che avevo imparato ad apprezzare, conoscendola da vicino, era saggia, aveva la testa sulle spalle, ed era molto più matura dei ragazzi della nostra età. Mora, alta, snella, con una terza di reggiseno, camminare con lei significava incrociare gli sguardi famelici di uomini di tutte le età, che la squadravano, come se le volessero farle una radiografia ai raggi X. Quando le parlavo, i suoi occhi scuri mostravano dei lampi di scaltrezza e la sua compagnia era sempre molto coinvolgente e interessante. Sapevo di essere invidiato da molti uomini, ma a me Maria Cristina non interessava, dal punto di vista fisico... per il semplice fatto che ero - e sono - gay, al cento per cento. Non posso farci niente, non fu mai una mia scelta, ma erano gli uomini, e non le donne, quelli che io guardavo per strada, quelli sui quali mi facevo le più sfrenate fantasie. Mi chiedevo come sarebbero stati nudi e come sarebbe stato avere una storia con loro. Maria Cristina ne era consapevole, e infatti era sempre a suo agio con me, come se, invece di essere un ragazzo, fossi stato un'amica. Con lei feci coming out subito dopo aver finito la maturità, quando seppi che si era iscritta a “Scienze Naturali”, lo stesso corso di laurea che avevo scelto io. Le proposi di cercare un appartamento insieme, rassicurandola che con me poteva stare tranquilla: ero gay. Fu la prima persona a sapere della mia omosessualità. A Marsala, la città da cui proveniamo, non è saggio far sapere agli altri che si è omosessuali, a causa della subcultura dell'omofobia, da secoli radicata profondamente nel modo di pensare della gente. Nessuno in città sapeva che ero gay, anche se molti chiacchieravano e facevano illazioni pruriginose, alcune delle quali erano giunte anche alle mie orecchie. A Palermo, grande città aperta alle diverse culture, quasi a nessuno importava se eri gay o meno. Quando arrivai nel capoluogo siciliano, capii che lì avrei avuto finalmente la possibilità di vivere liberamente la mia vita, come io la desideravo. Maria Cristina ed io abitavamo in un residence nei pressi dell'ospedale Civico di Palermo. Ci eravamo messi d'accordo nei mesi estivi e ci eravamo dati da fare, tramite conoscenze e attraverso internet, per trovare un piccolo appartamento da condividere. Avemmo la fortuna di trovare, su un sito, un appartamentino molto carino, che affittammo insieme, io e lei. Non era propriamente vicino alla facoltà; per raggiungere l'università avremmo preso un autobus che si fermava lì, vicino alla nostra nuova casa, in via Ughetti. Stavamo per arrivare in via dei Mille, quando vidi che un ragazzo, che veniva da solo, dalla parte opposta, verso di noi, mi guardava fissandomi. Non era proprio uno sconosciuto, era un viso familiare... ma chi poteva essere? Il suo sguardo penetrò nella mia anima, facendo sciogliere qualcosa dentro di me. I suoi occhi chiari s’impressero indelebilmente nella mia mente, il cuore cominciò a battermi forte e persi il filo del discorso che stava facendo Maria Cristina. Quando ci superò, mi voltai a guardarlo ancora, incrociando di nuovo il suo sguardo: anche lui, infatti, si era girato verso di me. Sentivo l'adrenalina nel sangue, ero agitato. «Ma che sei rimasto incantato?», mi chiese la mia amica, ridendo, dopo che il ragazzo si fu allontanato. «Hai visto come mi ha guardato? Ma chi è? Non credo di averlo mai visto, eppure...», dissi, con ancora il cuore in gola. «E' un nostro concittadino! Non lo riconosci? Si chiama Aurelio... Tommasello, credo. Andava al classico». “Aurelio”, che nome insolito, ma anche bello, musicale. «E ora fa l'università?», chiesi, sperando che mi dicesse che frequentava il nostro stesso corso. «Come faccio a saperlo? Se è qui, immagino che farà la nostra stessa facoltà... Ma che ti sei innamorato?», chiese ridendo. «Innamorato no. Ma hai visto com'è bello? Magari potessi uscire con lui!», dissi, decisamente euforico. «Quanto sei scemo», mi canzonò. «E' proprio vero che voi maschi ragionate col pisello». «Voglio vedere te, quando incontrerai il ragazzo della tua vita!», dissi, sentendomi sfidato. «Sono qui per studiare, non per conoscere ragazzi. Mi sono addirittura lasciata col mio ex, per poter venire qui...», rispose, accalorandosi. Prendemmo l'autobus e scendemmo dopo l’Ospedale Civico, all’inizio di via Ughetti, per poi percorrere a piedi il tragitto verso il nostro appartamento. Che quartiere squallido, pensai, guardando quelle brutte palazzine, una a fianco all'altra, senza uno spazio verde... Ah! La speculazione edilizia del secolo scorso! Maria Cristina parlava di quanto fosse corrotto il sistema universitario, basato sulle raccomandazioni e non sui meriti. E parlava, parlava... delle università americane... Io avevo stampati nella mente gli occhi di Aurelio, e non facevo che pensare a lui e a come rivederlo. Gli piacevo, questo mi era chiaro. Se era di Marsala pure lui, come mai non lo avevo mai incontrato? Un ragazzo così bello non sarebbe mai potuto sfuggire alla mia attenzione. Io e Maria Cristina avevamo fatto lo scientifico e lui il classico, se era vero quello che diceva la mia coinquilina. Il liceo classico “Giovanni XXIII” era nella parte centrale della città, mentre il nostro liceo scientifico, il “P. Ruggieri”, era più periferico; forse per questo non ci eravamo mai incontrati. Per diversi giorni pensai a lui, ma non lo vidi più. Era come scomparso, volatilizzato, nonostante mi impegnassi moltissimo a cercarlo: guardavo attentamente i gruppi di studenti che si radunavano in attesa delle varie lezioni e gli studenti che vagavano da soli all'interno della facoltà. In aula passavo in rassegna tutte le file, per vedere se magari fosse lì. Facevo queste mie ricerche avendo cura di non farmene accorgere da Maria Cristina, che se no mi avrebbe preso in giro o, peggio, mi avrebbe fatto una bella predica, cosa di cui non sentivo affatto la necessità. Poi, una settimana dopo quel primo incontro, arrivai in facoltà, scortato dalla sempre presente Maria Cristina, prima dell'apertura dell'aula. C'erano tanti ragazzi che aspettavano, parlottando fra loro, nell'ampio spiazzo. Le risate e i commenti concitati riempivano l'aria. Ormai avevo smesso di cercare Aurelio. Feci la cosa che mi veniva naturale e automatica in tutte le occasioni: mi misi a guardare i ragazzi. Ero costantemente eccitato e nella mia mente le fantasie sessuali si rincorrevano continuamente, senza sosta. Ero così allupato che avrei avuto volentieri una storia, anche solo un'avventura, con quasi tutti i presenti. Maria Cristina mi canzonava spesso dicendomi: «Per te basta che respirino. Nemmeno un po' di senso critico». Lei invece era schizzinosa: quello no perché ha l'aria del saputello, quell'altro è decisamente brutto, quell'altro si vede lontano un chilometro che è il classico fighetto figlio di papà... «Non ti sta bene nessuno, non è un caso che sei ancora sola», le avevo detto qualche giorno prima. Lo ammetto: mancai di sensibilità. Ed infatti mi tenne il muso per tutto il giorno, indice che avevo colto nel segno. E poi lo vidi, e il mio cuore si fermò. Stava da solo, seduto su un muretto. Sembrava pensieroso, con lo zaino in spalla, una camicia a quadretti a maniche lunghe e un paio di jeans scoloriti. Capelli corti sapientemente arruffati, castani con riflessi biondi, viso virile, barba di tre giorni, uno spettacolo. Non appena sentì il mio sguardo addosso, si girò e mi vide. Gli occhi chiari scintillarono di gioia e il suo volto s'illuminò in un sorriso. Stavo per avere un infarto. Mi girai verso Maria Cristina, che in quel momento aveva lo sguardo perso nel vuoto, e le dissi, sottovoce: «Vado un attimo a salutare Aurelio», come se lo conoscessi da anni. Non avevo idea di cosa dire, ma dovevo parlargli. Avrei trovato le parole, oppure il mio corpo avrebbe parlato per me. Ero in uno stato di agitazione, eppure ero determinato come non mai. «Ciao Aurelio», dissi semplicemente, guardandolo in faccia. I pensieri giravano nella mia mente in maniera vorticosa, fantasie e promesse di felicità si accavallavano senza sosta. «Come sai il mio nome?», mi chiese Aurelio, sorridendo compiaciuto. «Me l'ha detto Maria Cristina», dissi, indicando la ragazza che da lontano stava ora seguendo, con discrezione, la scena. «Mancano ancora quindici minuti all'apertura dell'aula. Che ne dici se andiamo a prenderci un caffè?», mi chiese Aurelio. «Certo!», risposi entusiasta. “Con te andrei dovunque, fino in capo al mondo”, pensai. C'incamminammo per raggiungere il bar, che distava circa duecento metri da lì. «Mi chiamo Antonio», dissi. «Lo so come ti chiami», rispose Aurelio. «So tutto di te». Di nuovo mi sentii mancare. Sapeva tutto di me? Com'era possibile? E perché? «Mi piaci, ho fatto delle ricerche su di te, per poterti incontrare», disse il ragazzo, con un sorriso disarmante. «Sei gay, giusto?», chiesi, per esserne rassicurato. Quello che stava accadendo era troppo bello per essere vero. Aurelio annuì. Dalla semplicità con cui ammise la sua omosessualità, trassi la conclusione che fosse gay dichiarato. Mi domandai allora come avesse fatto un ragazzo appena maggiorenne, nella città di Marsala, ad accettare in maniera così tranquilla e sicura la propria diversità. Ne ebbi invidia, dato che per me era stata molto dura riuscire ad accettarmi, ed ancora in quel momento a Marsala nessuno sapeva che ero un “finocchio”, come direbbe la maggior parte dei miei concittadini. Mi ero sentito gay fin da bambino e avevo sempre saputo che questa sarebbe stata per sempre la mia realtà. Sapevo di altri ragazzi di Marsala, anche molto più grandi di me, che nemmeno si sognavano di “venir fuori”, accettando di vivere una vita a metà, fatta di miseri compromessi e continue bugie. Mi offrì il caffè, mentre lui prese un cappuccino. «Se sai tutto di me, allora sai anche il mio numero di telefono...», dissi. Mi fece un sorriso impertinente e disse: «No. Quello non ce l'ho». Smart phone alla mano, ci scambiammo rapidamente i numeri di telefono. Adesso che sapevo il suo numero, mi sentivo molto più tranquillo: non sarebbe sparito nel nulla un'altra volta. «Adesso dobbiamo tornare in facoltà... ma mi devi promettere che presto usciremo insieme», dissi, avvertendo una forte ansietà nella mia voce. «Sicuro!», rispose Aurelio. Per un attimo desiderai di scappar via dalla facoltà in quel preciso istante e andarmene in giro per Palermo, con lui. «Tu dove abiti?», chiesi. «Vicino a dove abiti tu», disse Aurelio, con un sorriso angelico, mentre uscivamo dal bar. Dio mio! come avrei voluto baciarlo in quel momento. «Da solo?» «No, ho preso un appartamento per studenti, insieme con altri due miei compagni di classe», disse il ragazzo. «E' da una settimana che ti cerco, dopo che ci siamo incrociati per strada. Si può sapere che fine hai fatto?», chiesi, domandandomi che diritto avessi di fargli una simile domanda. Aurelio sorrise, evidentemente lusingato dalle mie parole. «Sono stato in campagna, ho lavorato con mio padre a fare il vino novello», disse con dolcezza. «Lo sai che mi fai impazzire?», ribattei a bassa voce, diventando audace. Mi resi conto che il mio pene era duro dal momento in cui l'avevo visto. L’eccitazione mi faceva fremere e la mia erezione non aveva nessuna intenzione di lasciarmi, dandomi una sensazione di urgenza e di squisita attesa nello stesso tempo. Non resistetti più: lo abbracciai, lì per lì, davanti al bar. Volevo avere un immediato contatto fisico con lui, accertarmi che fosse reale. Una donna di mezza età che passava in quel momento, con una busta della spesa, ci guardò con curiosità, cercando di capire quale fosse il motivo per cui ci stessimo abbracciando. Le sensazioni che ricevetti da quell'abbraccio la robustezza delle sue spalle, la solidità del suo torace, il leggero profumo di pulito che emanava dalla sua camicia, il lieve calore della sua pelle - travolsero i miei sensi come un'ondata di piena, a tal punto che rimasi quasi stordito. Aurelio rise e ricambiò l'abbraccio stringendomi forte. Quando ci staccammo, non potei fare a meno di notare un leggero rigonfiamento anche nei suoi jeans, segno evidente che anche lui stava provando le mie stesse inebrianti sensazioni. La lezione fu oltremodo noiosa. Maria Cristina mi rimproverò, all'uscita dall'aula, per aver guardato Aurelio, per tutta la durata delle due ore. Trasecolai: era davvero così evidente? «Non so, deve essere una forma di follia, che mi ha preso», dissi, per cercare di giustificarmi. «Già, una follia», sottolineò la mia amica. «Hai ragione: l'amore è una forma di follia», disse poi, maliziosamente. Le raccontai del mio incontro con Aurelio, compreso il fatto che il nostro concittadino aveva fatto delle indagini su di me, come farebbe un ispettore di polizia per scovare un criminale. Maria Cristina ci pensò e poi mi disse: «Se l'ha fatto è perché gli piaci molto, al tuo posto non sarei così sospettosa. Vedi le sue carte... cosa ti può succedere?» La sera successiva misi una bella camicia bianca, sotto un pullover blu cobalto, mi pettinai i capelli all'indietro e mi osservai per qualche minuto allo specchio, facendo le boccacce, spalancando gli occhi, per capire come potevo apparire dal punto di vista di Aurelio. Sorrisi al mio riflesso, compiaciuto. Ero uno splendido ragazzo di diciott'anni quasi diciannove, a dire il vero - capelli corti scuri, occhi scuri, decisamente bello. Come un moderno Narciso, mi ritrovai a deliziarmi nel rimirare la mia immagine nello specchio. Il mio unico cruccio era di non avere abbastanza peli sul corpo, eccezion fatta per una striscia di peli scuri proprio in mezzo al petto. Mi piacevano un casino i maschi virili, pelosi, barbuti, coi baffi; me li figuravo come dei peluche da accarezzare e dai quali trarre delizie inenarrabili. Le mie fantasie masturbatorie erano piene di queste magnifiche creature, zeppe di testosterone. Maria Cristina stava studiando, seduta al tavolo della cucina, con gli occhiali inforcati. «Esci?», mi chiese. «Esco con Aurelio, abbiamo deciso di andare in via Maqueda per vedere un po' di negozi». Si tolse gli occhiali e mi guardò. Via Maqueda era una delle strade più eleganti del centro di Palermo, dove la gente andava a passeggiare e a fare shopping. Io e Aurelio ci saremmo limitati a guardare le vetrine, dati i pochi soldi di cui disponevamo. «Mi raccomando, occhi aperti», disse seria. «Sì mamma, non ti preoccupare», dissi con un sospiro insofferente, guardando in alto. «Va bene», disse seccata. «Poi però non venire a piangere da me». «Scusami, Cristy, ma non volevo pensare a cose negative, almeno per una volta», dissi. Maria Cristina mi sorrise, stavolta con un'aria complice. «In bocca al lupo». «Crepi il lupo», dissi, anche se non avevo niente contro i lupi. http://www.bookrepublic.it/book/978605033192 un-futuro-per-noi-due/ VI - Ebook gratuito “Quella vacanza a Tunisi” Una breve storia, palpitante d'amore e sesso senza inibizioni. Alessandro è di nuovo single. Qualche mese fa il suo compagno Gianni lo ha lasciato per un ragazzo palestrato e alla moda, conosciuto in qualche locale gay. E' andato in vacanza da solo, in Tunisia. Vuole stare tranquillo e non pensare a niente, eccetto che a scoprire la magia che può offrire un paese arabo. Le vacanze però possono portare a nuovi incontri. I sentimenti non si possono semplicemente mettere in stand-by. Un ragazzo della sua età - un po' più giovane, a dire il vero - risveglierà in lui il desiderio sessuale e poi, quando si conosceranno più da vicino, farà rinascere in lui l'amore. Lo trovate sul blog: http://amorigay.blogspot.com