mostri dell`inquisizione moderna

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mostri dell`inquisizione moderna
MOSTRI DELL’INQUISIZIONE MODERNA
Marco Dimitri
al Dott. Jekill e a tutti gli altri mostri che hanno separato il bene dal male
(Marco Dimitri)
IL LUPO
Ancora, sempre di più, che cosa?
Uhm?
Ti puoi avvicinare al libro?
Un attimo solo.
Come sono distratto, ho dimenticato una cosa, volevo quasi sibilartela, poi...
Capitale del mondo, tu tremi, chi tracciò il tuo solco fu figlio del lupo e tu, immensa,
cancelli, cancelli...
Oh, tutto sommato che importa?
Quale sapore ha il sangue sulla bocca, sugli occhi e nella mente?
Voi che ne avete bevuto prima di me, che sapore ha?
Nei calici, nelle statue, che sapore ha?
"Solve et Coagula" scritto nelle braccia del Demonio*(1)
oh miracolo! Il sangue torna liquido per poi rapprendersi. Solve et Coagula Demonio!
Mi amate? Mi odiate? Mi volete? Ci sono lati intimi che volete ancora sondare?
Aprendomi la mente e il cuore, riempiendomi di sale, valutando il risultato con metri di
misura inadeguati, non si trova quello che non si è.
Sarei indifferente, sono più stupido o più Dimitri?
Se Dimitri è un traguardo, un vertice ipotetico, io sono quel ragazzo che
corre lungo la linea zero*(2) verso un Dimitri sempre in movimento con millenni
di vantaggio sul circuito in cui le ere incontrano se stesse.
Incontrai il mio traguardo, fu finzione, illusione: doppiato chissà quante volte lungo le
immense strade.
Poi forse un traguardo non c'è, lo scopo è spiaccicarci come mosche, lungo il tragitto con
tutta la platealità possibile.
Quello che importa è il sangue, unica misura che si può comprendere, forse
solo allora la mente e il cuore avranno un senso e le parole diventeranno potenti.
Canne mosce, sparate sempre dove non occorre!
Il lupo vi arriva alle spalle, conti e regole sballati nella loro perfezione logica.
Non mi sono dimenticato di chi ha donato il suo sangue schizzandolo sul mio corpo,
offrendomelo nella coppa, spalmandolo sulle mie labbra.
Degenerato e Antico, come posso dimenticare la vita?
Arte!
Mi hai reso eterno, si tu, proprio tu.
Il tuo sangue sul mio petto e il tuo bacio, nero, nero nella notte che abbiamo condiviso e
assaporato attraverso noi e il nostro sentirci.
Hai un nome, lo avevi e l'hai perso; cammini dopo avermi dato, ennesimamente, vita.
C'era bisogno?
Era bastato un morso, il primo. Il bello del mondo è che questo cambia in continuazione
come uno specchio in cui non puoi rifletterti.
Sono pazzo? Non ho mai mangiato il mio maestro e ne godo!
Sono figlio di un cane che mi ha mangiato, di gente che mi ha cosparso di vita, quante
volte ho dato a loro, quante volte ho ricambiato con la vita!
Sangue è vita?
Mio demone hai lascito la tua impronta nel mio dna ed ora non ho anima!
Quanto è lunga questa stirpe? Una firma che si è diramata nei secoli e che ancora oggi
cerca se stessa oltre fantasmi e ombre.
Sono rimasti i miei vestiti?
Indubbiamente no!
Li ha divorati Eliogabalo!
Per quanto Salomone abbia lasciato, la chiave resta un mio pregio, un
ìnutile verso non compreso, oppure un delirio: la vita si sviluppa fuori dal
cerchio, potete ripararvi dentro la continuità, evocare i nomi degli Dei con
una Spada in mano, perchè vi proteggano.
Gli Dei uccidono la Spada.
Bevo sangue dalla mia infanzia e il primo morso lo diedi a un coetaneo,
all'asilo. Perchè?
Oh, contestai un suo disegno, un'oca che ci chiesero di disegnare e colorare, lui la colorò
di nero, era orribile: "Che brutta!" dissi! Mi colpì con una sberla, lo morsi e ci riempimmo di
botte, ce ne diedimo così tante da sputare i dentini da latte; eppure eravamo amici. Che
strana malattia!
Francesca, non mi sono dimenticato di te, del tuo corpo caldo e freddo, del tuo bicchiere di
yogurt che ti portavi sempre dietro, se ti veniva sete...
Non ho dimenticato il tuo dono, nemmeno i baci e le sberle, le litigate e la fuga, lontano dai
giornalisti ancora più vampiri di noi.
Esiste sangue nero che non va più via
*(1) Nelle antiche illustrazioni Lucifero era rappresentato con le scritte
"solve - coagula" sulle braccia. E' il moto materiale,
distruzione-rigenerazione.
*(2) Linea ipotetica fra la bocca di un'arma e il bersaglio.
*(3) L'Imperatore romano Marco Aurelio Antonino, si fece chiamare Eliogabalo. Nacque
nel 204 d.C. in Siria, figlio del console Sesto Vario Marcello, divenne imperatore con
l'inganno: sua nonna Giulia Mesa convinse i legionari di Emesa che il ragazzo era frutto di
una relazione incestuosa di sua figlia Giulia Soemia con l'Imperatore Caracalla, di fatto
rendendolo l'erede ufficiale dell'Impero.
Il ragazzo era attratto dal culto del dio sole, El-Galab, ne divenne sacerdote.
Si vestiva di seta e si faceva truccare. Il suo seguito era composto da una selva di giovani
siriani. Oltre ai siriani, si portò dall'est una grande pietra nera a forma fallica , simbolo del
dio sole, e la pose in un bellissimo templio "l'Eliogabalum", fatto costruire appositamente
sul Palatino. Eliogabalo fu inoltre un erotomane pervertito, bisessuale, con una infinità di
amanti con le/i quali consumò orge sfrenate, accompagnate da flauti e da tamburi. Ebbe
ben sei mogli, una delle quali era addirittura una vestale, sposata con la scusa che lui,
sacerdote del dio Sole..
Wolf were, wolf there.
Chi non ha visto uno dei capolavori di Mel Brooks "Frankenstein Junior" sorridendo alla
battuta che in italiano è doppiata come "lupo ululà, castello ululì"?
La figura del lupo mannaro è sepolta nel nostro intimo ed è un cardine che compone
l'iniziazione di ogni persona; mi riferisco ovviamente a quell'iniziazione pagana che
riceviamo in età infantile attraverso le fiabe.
Tutti conosciamo Cappuccetto Rosso, la bambina che entrò in contatto col lupo nel grande
bosco che rappresenta la vita trasgredendo la regola basilare che i genitori dettano ai
propri figli.
Proprio quel lupo che arriva da chissà dove e ci si para davanti sulla nostra sicurissima
retta via, già proprio quel lupo è la nostra iniziazione, prima dell'asilo, prima del confronto
col mondo.
Già! E ci si scopre discepoli della sua figura oscura, perchè, in fin dei conti, non possiamo
negare d'esserlo!
Il lupo rappresenta l'estraneo che ci avvicina, colui che ha così tanta esperienza fa
conoscere il bosco nei dettagli mentre noi ne conosciamo a malapena un piccolo sentiero
che pensiamo sia sicuro; è l'imprevisto,
sappiamo che arriva ma non ne conosciamo la direzione, allora ci comportiamo bene,
mangiamo e dormiamo perchè il mondo adulto è protettivo e forte, benevolo e crudele
perchè può evocare il lupo quando noi disobbediamo ai genitori.
Resta, il lupo resta. Diventiamo adulti e il lupo è li, ancora sconosciuto, divoratore e
fascinoso.
No? Signori assassini che al lupo volete andare in bocca sperando che crepi!
Il bosco è il lupo, i sentieri sono trappole per essere meglio divorati.
Il lupo si muove nella vita come un alfiere sulla scacchiera, per quanto incredibile bisogna
baciarlo in bocca e fissarlo negli occhi almeno una volta per avere accesso alla nostra
origine.
La prima evocazione della mia vita, inevitabilmente avvenne nel periodo dell'infanzia,
dovevo conoscere il perno della fiaba e del mistero.
Avevo sei anni allora, quando si sa che sotto la rampa della scala che conduce alle
cantine abita il lupo, beh questa è la realtà di tutte le realtà, nulla è più reale del mondo
delle favole.
Io e i coetanei di allora sapevamo per certo che in quel sottoscala, buio e con una
finestrella a due ante che si affacciava su dell'altro buio c'era il lupo.
Aprendo la finestrella si sentiva scrosciare l'acqua, non la si vedeva, non c'era luce li, in
quel luogo che portava chi sa dove.
Ci si avvicinava solo in gruppo, poi si scappava via.
Ogni volta che dovevo riporre la bicicletta in cantina ero costretto a passare davanti a quel
tunnel nero perchè questa era proprio l'ultima in fondo al corridoio! Facevo delle corse
incredibili quando passavo davanti alla "tana del lupo"; a volte pensavo al mio amico
Andrea, povero Andrea,
lui aveva la cantina di fronte al sottoscala, riponeva la bici o in mia compagnia o in
compagnia di un suo familiare.
Un corridoio lungo e freddo, la luce del giorno veniva inghiottita assieme alla percezione
delle immagini, l'unica cantina che rimaneva un po' in luce era adibita a laboratorio, dentro
venivano fabbricati astucci di legno e l'odore di colla diventò per me rievocativo della
paura del lupo.
Quante volte ho tentato di avvicinarmi alla finestrella del sottoscala!
Sfida, sfida delle paure e voglia di conoscere la grande ombra che aveva il potere di non
darmi pace e di tenermi lontano.
Era quello che portava via, quel lupo, la sua consistenza era enorme come un gigante, i
genitori come automi recitavano la filastrocca per fare dormire: "Questo bimbo a chi lo do?
Se lo do al lupo nero se lo tiene un anno intero...". Cos'era un anno? Mia madre entrava e
usciva dall'ospedale, comunque da quel luogo che non conoscevo e rimaneva in uno
spazio lontano sorretto dalla mia fantasia; se mi davano al lupo? Si, se mi davano al lupo
così come mi davano ogni tanto a qualche famiglia estranea?
Il lupo batteva i suoi colpi con le zampe sul cuscino del mio letto, il mio cuore batteva e il
battito risuonava nell'orecchio, tutta la guancia pulsava e il buio percepito dai miei occhi
aveva come supporto il chiarore della
notte che rimbalzava nello specchio dell'ampio armadio proprio di fronte a me.
Accadeva che ululasse pure il vento usando come onda portante il silenzio della notte;
Era nero il lupo ne ero sicuro e, diamine, poteva confondersi col buio della mia camera da
letto oppure disegnare l'accenno di una forma con l'ausilio delle poche luci al neon della
strada.
Il mio timore era concentrato tutto sulla figura del lupo, non pensavo cosa esso potesse
farmi, nemmeno ne avevo un'idea! L'oggetto della paura e non la conseguenza di
un'azione determinata.
Forse avevo paura che mi portasse via, non ne sono mica sicuro però! Quello che so è
che a momenti mi strozzavo col ciuccio che i miei genitori mi piazzavano in bocca dopo
averlo cosparso di zucchero, sentivo ululare il vento e "sbattere" nel cuscino il ritmo di
quello che non immaginavo fosse il mio cuore. Avevo un'orsacchiotto con le pupille vitree,
lucide come bilie, pungeva coi maledetti peli sintetici e finivo per scaraventarlo chissà
dove!
Come compagno lo sostituii subito con un pupazzetto di Batman, lui si che era potente,
aveva una dimensione e una vita, una macchina e una casa, una luna tutta sua proiettata
in cielo.
Ma Batman funzionava solo di notte, durante il giorno dovevo affrontare il lupo una o due
volte, il tempo di prendere la bicicletta, il tempo di riporla passando davanti a quel
sottoscala ubriaco di mistero, avvolto
dall'odore bagnato dell'umidità, a volte impregnato di odore di colla da legno che iniziavo a
sentire già dal cortile, prima di arrivare alla porta del corridoio che conduceva alle cantine.
I ragazzi più grandi incalzavano con la storia del lupo divertendosi.
C'erano due fratelli che abitavano nell'appartamento di fronte al mio, avevano circa il
doppio dei miei anni e si divertivano come matti a terrorizzarmi, non solo coi racconti sul
lupo ma anche con scherzi a sfondo
horror. Una sera andai da loro, come spesso accadeva, per scambiarci i giornalini di
Batman, Alan Ford, Topolino; lo scherzo che mi fecero fu davvero folgorante perchè uno di
loro si era infilato nella vasca da bagno con della marmellata di ciliegie che, bella rossa,
scendeva a pezzettini
dalla gola fino alle braccia e lungo un coltellaccio da cucina adagiato vicino al corpo.
"Vai a vedere cosa c'è in bagno!" mi disse l'amico che stava per scambiare con me alcuni
giornalini, aprii la porta e mi trovai di fronte alla scena del delitto, bene organizzata se non
fosse che il cadavere scoppiasse a
ridere prima con un sorrisetto trattenuto e poi a dirotto.
Risi anch'io, però solo dopo un po', il tempo di capire che diavolo stava succedendo e di
essere imbrattato a mia volta di marmellata rossa perchè mr. cadavere me la spalmò in
volto con una manata.
La marmellata ce la siamo mangiata, la scena fu subito ripulita perchè suonò il campanello
e i genitori dei due ragazzi stavano arrivando, il loro padre era abbastanza manesco, quel
che basta per incutere timore e rispetto.
Dai due nascevano le fantasie più assurde, il povero signore che abitava nel palazzo di
fronte al nostro era diventato nella loro fantasia un personaggio
che chiamavano "Strangolius". Aveva i denti brutti, vestiva sempre con una giacca a
quadrettoni grandi che, forse, era addirittura esteticamente più brutta di lui, i capelli unti e
un motorino rosso con una corda legata al
manubrio, con questa, dicevano i due fratelli, ci strangolava i bambini.
Era una catena, loro raccontavano a me e io raccontavo ai miei coetanei.
Con Andrea mi misi d'accordo, si portava la bicicletta in cantina assieme e assieme la si
andava a prendere.
Ma chi mantiene i patti? Quando uno dei due è ancora a casa l'altro, per forza, deve
confrontarsi col lupo.
Si, quello che ora è la regina di tutte le assurdità un tempo era un profondo sentimento di
consapevolezza. Voi credete forse in Dio, io credevo ci fosse il lupo li, dentro quel
sottoscala al di la della finestrella.
Il lupo esisteva eccome! Ero certo anche perchè qualche anno prima, mentre ero in
braccio a mia mamma, un paio di lupi erano usciti dalla televisione e volevano mangiarmi.
Si, proprio così e ne sono certo anche ora al solo ricordo; vidi i lupi tentare di uscire dallo
schermo, ricordo mia mamma che mi teneva stretto a se e, una sua frase senza dubbio
ambigua, mi stimolò: "No, non ti mangiano!" disse stringendomi un po' di più a se.
Lo ripetevo sempre, mi arrabbiavo e mi facevo sentire: "Mamma, i lupi volevano
mangiarmi!" "Mamma c'erano i lupi nella televisione". Inutile ogni spiegazione che mia
mamma forniva, era solo un tentativo di rassicurarmi, una balla degli adulti per sminuire le
situazioni.
Ecco, avevo quel ricordo in supporto alle mie certezze.
Attorno agli otto anni mi ero costruito una cerbottana a doppia canna usando due tubi di
metallo vuoti all'interno, quelli che si usano per i lampadari, li avevo fissati paralleli fra loro
a una distanza di circa dieci
centimetri, appoggiavano a due grossi tappi di sughero da damigiana, la struttura era
tenuta insieme con qualche giro di nastro isolante color blu.
Con quest'arma ci sparavo di tutto, dal pongo allo stucco avvolto attorno a un ago.
Mi esercitavo contro dei palloncini soffiando contro questi la mia freccia letale, con tutto il
fiato che avevo per farli scoppiare.
Non solo i palloncini ovviamente, anche Andrea era un bersaglio ottimo e, se non ci
massacravamo di botte e graffi, ci prendevamo reciprocamente a frecciate.
Un'ottima arma per difendermi dal lupo.
Perchè difendermi? Era lui, la sua coda e la bocca impazzita, tutto quello che volevo.
Un pomeriggio, il sole filtrava dal vetro della finestra e disegnava una riga d'arcobaleno sul
pavimento, cercavo di saltarci sopra e questo, furbo, si modellava sopra la mia scarpa.
All'improvviso volli di nuovo giocare con un esperimento che avevo realizzato leggendo un
libro; una scatola da scarpe cui avevo tolto il coperchio e messo al suo posto un foglio
bianco di carta velina, alla base della scatola avevo praticato un foro. Se chiudi la
serranda della finestra e fai buio nella stanza accade questo: ogni oggetto luminoso che
metti davanti al foro lo vedi proiettato capovolto sulla carta velina. Era qualcosa che avevo
realizzato io e questo mi eccitava ancora di più.
Il buio da me creato in pieno pomeriggio di sole mi fornì la voglia di vedere giù nelle
cantine, nel sottoscala, il lupo.
Scesi con la cerbottana le rampe di scale saltandole quando arrivavo a metà di ognuna,
scesi al volo "adesso o mai più".
Mi trovai in un lampo di fronte al sottoscala, fissando la finestrella. Era così facile ritrovarsi
li, così veloce, un attimo prima ero altrove e, subito dopo, li.
Forse ero sempre stato li e mi ero immaginato tutta la vita.
Dov'è? Mi è bastato un attimo, il pensiero che "il lupo c'è" e il lupo era li.
Il suo aspetto era come l'immagine di un lupo dei cartoni animati, era come disegnato,
nero e la sua testa si intravedeva dentro la finestrella, duro e lucente non mi mostrò i denti
ma si mosse un po', solo un po'. Era bellissimo e penso che fu l'ultima volta che ne ebbi
paura, ricordo l'odore di muffa, freddo e intenso quando mi affacciai dentro la finestrella,
azione che non avevo mai fatto prima.
Prima e ultima volta che lo vidi, il lupo.
Con gli amici raccontai tutto, e tutti si fidarono: il lupo è grandioso e gli adulti ci raccontano
un mare di balle.
La sera si ululava dalle terrazze o dal cortile, ricordo con simpatia quest'episodio e quel
verso che echeggiava fra i palazzi: "Ahuuuuuuuuuuuuuuuu" e veniva bello se lo si faceva
guardando verso l'alto, la luna o le stelle.
I genitori che ci rimproveravano per il caos che si faceva, ricordo con simpatia anche
questo, la madre di Andrea che gridò: "State mo' buoni te e quell'altro la!".
Se vi sembra strano posso rassicurarvi d'avere conosciuto diverse persone che facevano
risuonare ululati per il mondo, per una ritualità che non si è mai spenta e rimane presente
a livello genetico, codificata e minuta nel suo infinitamente piccolo.
Estate, la notte copriva il mondo, Dio ero io nel contemplare me stesso fra ombre e alberi
neri. Dio era bambino nel ventre di una pineta proprio dietro casa. Non c'era altro, il mondo
iniziava e finiva li, meno vasto di un armadio.
Sei anni di vita e le mie prime vacanze dopo l'inferno dantesco del primo anno di scuola e i
suoi gironi. Col mio migliore amico e coetaneo Andrea,, avevo costruito una specie di
accampamento indiano con tanto di tenda malandata che si reggeva in piedi grazie a delle
mollette da bucato e un filo teso fra due pini. Quella tana insicura era il lavoro di un intero
pomeriggio, la sede diplomatica del nostro infantile delirio. Sdraiati come bambolotti
proprio nei pressi della tenda, precisamente al suo esterno visto il caldo che faceva,
avevamo le gambe inarcate perchè l'erba ce le pungeva come una bastarda. Il mondo era
un piccolo ponte invalicabile fra le gionocchia e le stelle.
Atmosfera da fiaba, alberi che si ergevano verso il cielo con una geometria conica, pezzi
di buio e stelle giganti, lucciole pazze coinvolte in una danza stroboscopica
oh, Andrea se per caso leggi questo libro dirai che sono un pazzo irrecuperabile, forse ti
spaventerai e penserai: "Cosa c'entro io col tuo blasfemo modo di essere? Col tuo
satanismo cosa c'entro?". Se ti dicessi che il senso della vita è non sapere? Essere
talmente orgasmatici da non considerare nulla in relazione di nulla, se ti dicessi così?
Fottiti anche te, amico che non posso dimenticare, demonio con gli occhi.
A volte chi vuole bene è sepolto in un cristallo, bussa coi pugni con tutto il proprio impeto,
si taglia le mani e, nonostante i suoi sforzi, il valico che apre conduce sempre allo
smarrimento.
Fanculo! Non eri meno folle di me, ti ricordi? Tre anni, avevamo appena tre anni e già ci
devastavamo il volto con morsi, graffi, pugni, si tornava a casa quasi irriconoscibili, pieni di
sangue e sbraghi, i nostri genitori ci medicavano e ci menavano per come eravamo in
grado di ridurci.
Solo oggi ti posso dire che il lupo è li, ancora li in quel sottoscala di fronte alla tua cantina,
non ti ha divorato perchè io volevo così.
Non ti ha divorato perchè eri l'amico a cui confidavo i miei drammi, il primo che mi vide
girare in bici senza le rotelline posteriori che ci evitavano di cadere. Anzi, tu sei stato più
precoce di me, tuo padre te ne tolse una, già riuscivi a tenere l'equilibrio e io, invece,
avevo ancora paura.
Certo che di botte ce ne siamo date veramente tante, ci colava sangue dal naso, dalle
guance, dalle orecchie; nostre forme espressive che capivamo soltanto noi o qualche
pediatra da Nobel. Chissà perchè passavi interi periodi vestito da Zorro?
Cazzi tuoi, sto usando la legge a tutela della privacy come filo interdentale.
Sfiga! Hai avuto un compagno di giochi satanista.
Ma quella notte d'estate quale realtà si contemplava?
Quella composta da tutte le immagini che spesso ci venivano negate: le stelle, i frammenti
di cielo nero che si affacciavano dai rami degli alberi.
Dovevi essere convincente coi genitori per uscire di casa quando era buio, dovevi avere
con te un amico perché la paura era tanta. Impossibile attraversare da soli il nero profondo
della sera.
"Marco, dici che c'è gente che abita nelle stelle?"
"Mhhh, dicono che scoppiano poi! Le stelle a un certo punto boom! Se ci abitano sono
morti!".
"Ma allora perché non le vediamo scoppiare?".
"Sono lontane oppure scoppiano quando dormiamo, mia mamma dice che cadono, se ne
trovo una la metto in un vasetto assieme alle lucciole!";
"Marco ma le lucciole la mattina sono spente e sono nere, fanno schifo!"
"Si, ne ho schiacciata una e ho preso la polverina verde che aveva, però la sera non si
accendeva, poi mia mamma l'ha fatta guarire e lei è andata via dalle altre".
"Ma dai, l'avrà buttata via, figurati! Se l'hai uccisa!"
"No! Non è vero, non era morta! L'ho rivista!".
Vedendomi un po' a disagio Andrea cercò di confortarmi:
"Va bene, domani mia mamma va a prendere il pupazzetto di Diabolik, lo danno coi
formaggini, se vuoi lo prende anche per te!"
Io tutto contento: "Si, quello nero che corre!".
"Sai che mio padre ha una stella caduta in mare?"
"Ma no! Quelle sono le stelle marine, io ne ho una ma è rotta! Però mio padre mi ha detto
che dei signori sono andati sulla luna, ci hanno messo tre giorni!"
"Si, è vero! Poi potevano cadere però! Con una scala lunga ci si arriva?"
"No, non credo, ma loro hanno usato un missile coi razzi, ci sono andati dentro!"
"Ma come sono scesi poi?"
"Boh, forse sono li, oppure poi sono morti! Voglio Diabolik!
"Si, domani te lo prende mia mamma, ti fidi di me? Sei mio amico?"
"Si, sono tuo amico e tu?
"Si anch'io!".
A sette anni ho avuto il primo amore, mi innamorai di Antonella, una ragazzina con
qualche anno più di me che abitava nel palazzo di fronte al mio; l'aspettai un giorno come
un pirla, con l'ombrello in mano e tutto inzaccherato dalla pioggia; mi chiamò amore e ci
sposammo in chiesa, quando questa era vuota, ben quattro volte in un mese.
Mai un bacio, mai una carezza, solo folli corse in bicicletta, poi lei iniziava a giocare con le
amiche, con la Barbie e io mi sentivo inutile. Così le sfasciai la bicicletta, le pisciai nell'atrio
dello stabile dove abitava. Per replica alle mie gesta Antonella mi frustò con delle rose e
relative spine estirpate dal roseto che separava i nostri due cortili; me la fece pagare cara,
mi tirò delle frustate nele gambe e mi chinai urlando. Non si fermò, mi sollevò la maglietta
e mi diede un ennesimo colpo sulla schiena.
Scappò e mi lasciò a terra, piangevo come un matto. Non la volli più vedere, non le parlai
più.
Il sangue è anche il testimone di tutto il sentimento che abbiamo donato.
Sembra incredibile ma mi sono avvicinato all'esoterismo (parola che è bene svelare
etimologicamente: dal greco esoterikos, esoteros, significa "dentro" "che è dentro", quindi
il lato nascosto delle cose in rapporto alla coscienza dell'Io) all'età di dodici anni.
A quell'età ero frequentatore del "Centro Studi Fratellanza Cosmica" (attualmente
esistente col nome di "Nonsiamosoli" e diretto dallo stesso fondatore Eugenio Siragusa)
un gruppo che trattava la tematica degli UFO.
Come mi accostai al gruppo ha dell'incredibile, in onore alla verità debbo però raccontare
quello che accadde.
Gli UFO
Sono figlio di un poliziotto, ero in ferie a Punta Marina in una spiaggia riservata ai parenti
dei dipendenti del Ministero dell'Interno; con me c'erano alri 2 amici miei coetanei, Enrico e
Luca.
Come spesso accade in età adolescenziale si fantasticava fra noi sulla possibilità di vita al
di fuori del nostro pianeta, di "dischi volanti" e invasioni spaziali.
Una mattina ero in spiaggia, ricordo che stavo giocando col freesbee, Enrico mi chiama,
deve farmi vedere urgentemente qualcosa; mi porta in prossimità della riva del mare,
proprio dove la sabbia inizia a essere un po' umida, allarmato mi mostra un'orma
stranissima, sembrava l'impronta di un piede spettrale, grande e con artigli di una decina
di centimetri.
Di notte erano venuti li alieni, questo dicevamo e io ero l'unico a non sapere che l'alieno
era Luca, disegnò lui l'orma e si mise d'accordo con Enrico di tirarmi uno scherzo. Ci caddi
come un pirla!
Solo dopo mi confessarono d'essere vittima di un loro scherzo.
Ricordo, passò un giorno, un giorno solo e al tramonto del sole, proprio quando questo
dipinge il cielo di sfumature rosee, ero coi miei due amici su uno scivolo, il classico scivolo
con scaletta, piattaforma e rampa di discesa; ero in piedi sulla piattaforma in cima alla
scaletta, Luca era
seduto alla fine della rampa di discesa, Enrico era in piedi appoggiato alla scaletta, di
fronte a noi il mare col suo orizzonte.
Non mi crederete mai, a un certo punto lungo l'orizzonte vediamo due navi, una barca a
vela stava intanto solcando il mare, all'improvviso lungo la linea dell'orizzonte fra le due
navi, abbastanza distanti fra loro, si accese una semi-sfera enorme, la luce che emanava
era fra il bianco e il
giallo, non aveva riflessi ma era grande più delle due navi, molto di più se
cosideravamo le proporzioni fra occhio - orizzonte - oggetti.
Ci guardiamo stupiti, l'oggetto si muove lentamente senza emettere rumori, solo luce; si
muove a destra e sinistra poi sparisce all'improvviso.
Passano pochi secondi e la semi-sfera riappare, stavolta viene verso la spiaggia e
sparisce proprio a "metà" fra spiaggia e orizzonte.
Le due navi si avvicinano fra loro, la barca a vela le raggiunge; arriva un motoscafo e si
unisce a loro; poco dopo anche un elicottero.
Dire che siamo rimasti meravigliati è davvero poco, però non ho detto ancora tutto.
Passano un paio di giorni e, casualmente, raccontiamo l'esperienza a un ragazzo che
frequentava la spiaggia, ques'tulimo, figlio di un collega di mio padre, racconta d'essere
uno studioso di "dischi volanti".
Mostra due album pieni di foto inerenti a avvistamenti UFO (o presunti tali), ci invita a una
conferenza che si sarebbe tenuta il 7 settembre successivo a Bologna.
Curioso no? Andai alla conferenza, le tematiche trattate non erano solo inerenti agli
oggetti volanti ma spaziavano a livello culturale nella filosofia pagana; Ermete Trismegisto
e la cultura egiziana, il microcosmo e il macrocosmo.
Divenni, loro frequentatore e amico; non ero membro del gruppo, queste persone le
vedevo solo il sabato sera, si cenava in pizzeria con alcuni appartenenti e dopo si andava
alla conferenza.
Le conferenze erano quasi tutte tenute da Roberto Negrini, personaggio che vediamo oggi
come uno dei fondatori di una corrente dell'O.T.O. (Ordo Templi Orientis, fondato
ufficialmente da Carl Kellner [1851 - 1905] ripreso e ristrutturato da Theodor Reuss [1861
- 1925] e Aleister Crowley [1875 - 1947] oggi ha diverse diramazioni filosofiche) poteva
intervenire il pubblico, si trattava di discussioni culturali, le persone facenti parti della
Fratellanza Cosmica ancora oggi le ricordo con affetto.
Con questo smentisco ufficialmente chi è caduto in errore e ha scritto che io facevo parte
dell'OTO a 12 anni.
Assieme al Centro Studi Fratellanza Cosmica rimasi circa due anni; ero interessato al lato
di tutta quella iconografia collegata ai dischi volanti ma non disdegnavo le nozioni culturali
che venivano divulgate alle conferenze pubbliche del sabato sera.
All'interno del gruppo mi feci qualche amico, spesso si facevano gite assieme o, più
semplicemente, si usciva per una pizza e un film.
Occorre specificare che non partecipavo alle attività del C.S.F.C. ero troppo giovane.
In me vi era sempre stata la voglia di sapere, vedere oltre il comune senso delle cose, era
più forte di me il desiderio di avere tutto ciò che era oltre la banalità; non mi bastava la
logica spicciola che la società tentava di inculcarmi "studia, fai il bravo, dai retta..." a cosa
serviva? C'era tanto di più,
percepivo che sussisteva un grande passo da compiere ma non capivo la sua dinamica o
la sua direzione, dovevo oltrepassare una barriera e non sapevo cosa essa fosse o dove
conducesse.
Orfano
Forse i miei tredici anni erano l'età in cui uno si chiede "perchè esisto e cosa devo fare?",
le risposte che mi venivano date non mi soddisfacevano per nulla, tantomeno le risposte
che mi davo io.
Banalità e ristagno, volevo una dinamica, volevo essere e sentivo che dovevo esistere
davvero altrimenti la mia vita sarebbe stata una perdita di tempo, un insieme di deliri
comuni, un gioco monotono che la gente conduce con una saggezza che non mi stimola.
Accidenti, c'era una Verità oppure la vita semplicemente seguiva se stessa proclamando
solo se stessa? Qualsiasi verità suprema non valeva il mio prezzo.
A incrementare quell'impeto che per me era irrefrenabile si aggiunse anche la morte di mia
madre.
Quattordici anni suonati, il giorno del mio compleanno ero da lei nel reparto di
rianimazione dell'ospedale Santorsola in Bologna, avevo un camice bianco come un
piccolo dottore, una mascherina, un cappello e gli appositi copriscarpa, tutto per evitare
contagi in quell'ambiente sterilizzato.
La vidi l'ultima volta, non sapevo cosa avesse, non lo capivo e non me lo dissero, era
seduta sul lettino, visibilmente appena ridestata, pallidissima si teneva stretta a un laccio
perchè le forze erano pochissime, le sue ultime parole furono "Marco è il tuo compleanno
oggi? Studia eh!".
Dopo pochi giorni sprofondò di nuovo in coma, non volli più vederla. Mi devastò, quel suo
risveglio e quel suo ritorno a uno stato di coma mi impaurì tantissimo.
Questo alternarsi di morte-risveglio-morte, legato a una figura che amavo, ebbe il potere di
freddarmi come una fucilata. Non avevo mai assaporato la morte, ne fui costretto proprio
quando le mie domande fondamentali non trovavano una risposta soddisfacente.
Esistiamo? Chi siamo? C'è una Verità o tutto è un grande gioco che si ripete e si infrange?
Noi così folli da volere tracciare una retta via in seno al Caos!
La vita di mia mamma si era stroncata poco dopo il compimento dei miei quattordici anni,
qualche giorno dopo che la vidi ridotta a un'inerme bambola.
Accadde di notte, una notte di febbraio.
I medici ci telefonarono a casa, fu mio padre a rispondere e io capii dalle sue parole che
mia madre era deceduta.
Venne l'alba e mio padre si recò in ospedale, io invece andai a scuola come se nulla fosse
accaduto, come fosse un giorno uguale agli altri senza nulla di speciale. Non piansi, non
manifestai alcuna emozione e, forse, quel mattino ero morto anch'io.
Confidai solo a un mio compagno di scuola quello che era accaduto e lui parlò agli
insegnanti, quando questi vennero a chiedermi chiarimenti io fuggii, ricordo solo una voce
che mi gridava: "Dove vai? Non si può!"
Nemmeno avevo portato con me lo zainetto coi libri, giacca a vento e zainetto restarono a
scuola.
Ricordo quella fuga, strade e porticati si diramavano davanti a me come binari paralleli in
cui non si vede la fine, probabilmente questi avevano la stessa geometria alle mie spalle
ma a me interessava solo essere via, via da tutto.
Non presi nemmeno il bus, camminai come un matto fino a casa dove trovai mio padre
che piangeva, tentò di ricomporsi quando mi vide, non avevo mai visto mio padre piangere
prima di allora.
I miei genitori hanno sempre cercato di trasmettermi una figura serena della
loro vita, il dolore e i sentimenti di coppia erano segregati nella loro vita privata.
Persi mia madre quando avevo quattordici anni, un giorno di febbraio, per quanto possa
sembrare illogico assieme a lei, lo stesso giorno, persi anche mio padre.
"Papà?"
"E' tutto a posto papà?"
c'era il sole, le solite fottute case di sempre e il cielo con qualche sputo di nuvola bianco
latte; fissavo oltre i vetri della finestra nell'ampia sala di casa.
Lo sguardo come una velocissima zoomata di un cameraman incapace; case e colli, tante
case.
"Si, si tutto a posto. Ho chiamato gli zii di Genova e ho avvisato gli altri parenti.
Arriveranno domani mattina. Tu non vai a scuola, ho telefonato e gli ho detto che la
mamma è morta e che ti tengo a casa per qualche giorno.
Marco ma perchè oggi sei uscito senza permesso? Ti hanno cercato e poi mi hanno
telefonato. Non mi fare preoccupare anche te!".
Scattai all'improvviso: "Io non faccio preoccupare nessuno, va bene?" andai in camera,
presi il mio skate e mi fiondai ai giardinetti vicino casa; era ora di pranzo e proprio non
c'era nessuno.
Girai un po' saltando dal marciapiede alla distesa di cemento dove generalmente si
giocava a pallone e a pallacanestro. Qualche albero, la fontanella, le panchine vuote, una
distesa grigia d'asfalto con un solo "canestro", righe bianche tracciate col gesso per
simulare un campo da
calcio.
Girai un po' e poi mi farmai.
Seduto sullo skate con la schiena appoggiata contro il paletto su cui si ergeva il canestro.
Possibile che non c'era nessuno? Nessuno, già, a quell'ora chi doveva esserci? "Dove
cazzo vado adesso?" misi la testa sulle ginocchia che tenevo raccolte al petto avvolte
dalle braccia conserte.
I capelli mi scendevano sugli avambracci e lasciavano agli occhi quello spiraglio in cui la
luce sembra diventare irreale, schiariva e si oscurava in continuazione.
All'improvviso iniziai a incidere l'asfalto con la chiave del portone di casa, qualche
rigagnolo bianco e la "faccia" di un gatto, disegnai peggio che un bambino dell'asilo.
Dissi da solo "Nooooooooo!" e mi alzai, istrionico mi diressi verso la fontanella che
zampillava acqua dalla sua cima, lasciando lo skate sotto al canestro.
Ora vi svelerò uno dei miei migliori passatempi, vi svelerò un segreto: ai giardinetti del
Palazzo dello Sport a Bologna c'è la fontanella, vicino alla fontanella c'è una botola. Ecco,
se uno ha un moschettone riesce ad aprire la botola e dentro trova il rubinetto centrale.
L'acqua si può chiudere da li, ma anche da li si può ovviamente aprire facendo andare al
massimo la fontana.
Il getto arrivvava fino in cima agli alberi, stupendo!
La lasciai così e tornai a casa.
Fu l'ultimo giorno in cui ebbi una famiglia; rifiutai di vedere mia madre morta, andai al suo
funerale come uno spettatore estraneo, quello che ricordo è il silenzio e una carezza che
mi fece in testa un collega di mio padre, stavo per scoppiare a piangere dopo quel gesto
ma mi trattenni.
Evitavo il dialogo coi parenti che si erano piazzati come sanguisughe attorno me e mio
padre, non mi diedero mai affetto, non lo volli nemmeno quel giorno.
La sera stessa uscii e mi fiondai in un cinema in cui veniva proiettato per l'ennesima volta
"l'Esorcista", era un film che non avevo ancora visto nonostante tutta la pubblicità che gli
faceva la gente. Linda Blair faceva davvero paura, seduta nel letto col volto truccato su cui
emergevano gialle pupille, ferite e saliva, la sua posizione e il suo robotico movimento mi
ricordarono inevitabilmente l'ultima volta che vidi mia madre viva. Avevo scelto una via di
fuga proprio adeguata! Come se non
bastasse, il prete protagonista perse la madre e sullo schermo fecero vedere un suo
incubo, la madre usciva da un sottopassaggio risalendone le scale, lui la chiamò:
"Mamma!" si mosse la bocca e la parola era solo intuitiva perchè nella sala echeggiavano
le note di "Tubolar Bells" la stupenda
colonna sonora del film; la chiamò ma lei tornò nel sottopassaggio discendendone le
scale. La donna era morta in un ospizio e prima del decesso aveva detto rivolgendosi al
figlio: "Perchè mi hai portato qua, perchè?".
Non so, non ho mai capito se avessi sensi di colpa, non lo so nemmeno oggi; mia madre
spesso mi rimproverava perchè ero un ragazzino caotico, ogni giorno combinavo qualcosa
e lei mi sgridava spesso.
Oggi sono forse cosciente del fatto che, col mio comportamento, cercavo di distrarre mia
madre dalle preoccupazioni che le emergevano spesso sul suo stato di salute: lei si
preoccupava, entrava e usciva dall'ospedale per malattie varie e subì otto operazioni
chirurgiche, io nel frattempo venivo
parcheggiato da qualche famiglia amica; sono passato di famiglia in famiglia da quando
avevo cinque anni, erano brevi periodi, una o due settimane, ma subivo ugualmente il
trauma di quello che consideravo un abbandono.
Il mio verbo non poteva essere udito dai "grandi", allora gettavo in terra la posta che
fuoriusciva dalle buchette del condominio dove abitavo, ci saltavo sopra e le rompevo, ho
verniciato di bianco il gatto nero dei vicini di casa prelevando della vernice da un
contenitore lasciato nello stabile
dagli imbianchini, mi azzuffavo coi miei amici per questioni che io stesso facevo nascere,
ero quello che tirava il pallone di un altro bambino contro il roseto nel cortile perchè si
forasse e mi fornisse il pretesto di un litigio; se il pallone era mio lo portavo via nel bel
mezzo di una partita con le scuse più varie.
Tutto il caos che potevo fare lo facevo, graffiavo le auto, feci pipì nell'atrio, spaccai tutti i
vetri a colpi di pallone e quando mi chiesero "perchè?" risposi: "Così!"
L'atteggiamento continuava fino a quando mia madre si esasperava e mi rincorreva col
battipanni o con una scopa per menarmi.
Era il mio modo di distrarla perchè in realtà avevo paura "che lei andasse via".
Uno di questi orgasmi di vita mi celebrò la nascita, o meglio, la rinascita della cultura
satanista. quel demoniaco che non può che essere "avversario"di tutto un iter oscurantista
imposto nei secoli con la più bastarda delle violenze.
Bastò tracciare un cerchio sul piazzale del cimitero di Secchiano, un paesino disperso
nelle Marche. Un bel cerchio fatto con una bomboletta di vernice spray, condito con la cifra
666.
Tutto li. Un cerchio e un numero rievocativo.
A creare tutto ci pensò la stampa: "Messe nere, trovati resti di rituali satanici, gatti morti,
bottiglie di vino vuote. Il prete della zona, chiamato a dare un senso a quanto ritrovato,
scappò in preda al terrore".
Nulla di così falso, gatti morti, preti in fuga, bottiglie vuote... solo una fantasia di chi scrisse
l'articolo, in realtà mi limitai a fare il cerchio e il 666 con un amico.
Quante balle che dicono i giornali di paese.
Quale monotonia vive l'uomo? Costretto a inventare una storia assurda per combattere la
noia di un elettroencefalogramma piatto.
1986, qualche tempo prima di quest'episodio, morì mio padre, era il 6 giugno. Questo "6
6" mi accompagnò quasi beffardo lungo la mia vita.
Beffardo sì, partì militare il 6 giugno, mi diedero l'incarico 66, cioè tavolettista addetto ai
calcoli di tiro.
Il 6 giugno i carabinieri irruppero durante un rituale.
Il 6 giugno fu firmato il mio arresto, un beffardo 6 6 '96.
Vedevo pochissimo mio padre, mi riavvicinai a lui quando ormai una malattia lo stava
devastando.
Lo persi di nuovo nell'arco di una settimana. L'aspetto più orribile della morte si manifesta
quando tu hai qualcosa da dire a chi se ne va ma non fai a tempo.
Questa è la morte; volevo dire delle cose a mio padre, parlargli del mio carattere ribelle,
spiegargli il perchè ero fuggito da lui per tutti quegli anni, ripudiando i suoi tentativi di
affetto, le sue scelte, l'amore che tentava di manifestarmi andandosene via da me e
ricostruendosi una vita.
Già, perchè quello fu il suo atto d'amore per me, scelse una vita nuova, più bella e più
stimolante; trovava sempre il tempo di accudirmi, darmi un pasto, dei soldi, pagarmi l'affitto
di casa, le bollette.
Era l'uomo che continuava a guardare il futuro inciampando in continuazione nel passato.
Io rappresentavo il suo matrimonio crollato, ero l'anello di congiunzione a un universo che
voleva dimenticare, inconsapevolmente ero il giudice delle sue scelte, il figlio della sua
prima moglie, uno specchio crudele.
Tutte le volte che tentava di manifestarmi affetto lo attaccavo ferocemente con le parole
più taglienti; mi disgustava la sola sua vista, più se ne rendeva conto e più soffriva per la
sua scelta.
Volevo dirgli di non avere paura, volevo spiegargli il moto caotico dell'universo, il suo
uccidersi e rinnovarsi.
Ancora di più volevo dirgli: "Mi dispiace, ti ho sempre voluto bene, non mi sono
dimenticato di nulla, dei treni che mi portavi a vedere quando ero bambino, delle
passeggiate in spiaggia, di quella volta che mi tenevi in braccio mentre facevamo il bagno
al mare e io ti scivolai sott'acqua, di tutta l'acqua salata che sputavo, delle lacrime mentre
tu ridevi per la situazione. Non mi sono dimenticato le nostre sparatorie quando
giocavamo a guardie e ladri, non mi sono dimenticato le tue fiabe. Non so perchè sono
diventato così crudele con te".
Mio padre è morto prima che riuscissi a dirgli tutto questo.
Non vi è più morte di questa. Avrei potuto prendere a cazzotti l'universo, sarebbe stato
inutile. Ho un messaggio che non potrò mai recapitare. Questa è la verità, questa è la
morte.
Morte
Un mondo spirituale? Una dimensione parallela in cui vivono i morti? Come potrei credere
a questo?
Penso che, se davvero esistesse un "aldilà" , un luogo post morte, non servirebbero libri
rivelatori, codici di comportamento e leggi spirituali.
Quando qualcuno si danna per farci credere qualcosa, beh questo qualcosa è per forza
un'utopia, sopravvive solo nella mente, non confondiamo la regola e la menzogna, la
prima appartiene alla fisica e può essere applicata con riscontri oggettivi uguali per tutti, la
seconda non da mai riscontri ed è alimentata in continuazione.
Se si declama una verità per secoli e secoli significa che non le si riesce a dare una
dimensione tangibile.
Sentimenti privati come la fede non possono soddisfare la mia natura.
Sono abituato a volere e a ottenere ciò che voglio tramite una combinazione di gesta,
questa è la mia ritualità, la mia legge.
Sembrerà assurdo ma ciò che uccide un dio è, appunto, la fede. Sono dannatamente
bello, coinvolto in me stesso, sarò vivo finchè la gente alimenterà gli déi con speranza e
genuflessione. Sarò vivo per sempre.
Cosa dovevo dire a mio padre? Nulla, nulla.
Non sarebbe servito. Signora Morte, o sei trasformazione o ci prendi tutti quanti in giro!
Masturbazione mentale, ho sofferto grazie alle regole degli idioti, ai codici cui ho creduto,
sono stato un imbecille credulone. Scusate, in fondo sono un satanista e voglio giocare, vi
ho offeso?
Magari la vostra natura è simile alla mia, siete forse detentori di nuovi giochi da
insegnarmi.
Torno agli spiriti dell'aldilà, vita volle che mi cimentassi nel gioco del piccolo medium, mi
interessai allo spiritismo ovviamente dopo la morte di mia madre.
Ho visto fenomeni davvero strani, giuro.
Levitazioni, sentito colpi chiamati in gergo "raps" sui muro, nei tavolini a tre piedi, sul
corpo.
Addirittura ho registrato voci con esperimenti di psicofonia, frasi e addirittura un coro.
Queste esperienze mi hanno dato qualcosa? Assolutamente no, restano i risultati di un
esperimento, nemmeno una prova dell'esistenza degli spiriti perchè, si sa, il nostro
cervello ha potenzialità incredibili, se tutto fosse stato generato da questo?
Di nuovo la fede, unica sostenitrice dello spiritismo.
L'uomo ha una vita dopo la morte, un mondo che può entrare in contatto col nostro,
tramite persone predisposte che fanno da intermediarie: questo è lo spiritismo diffuso da
Allan Kardec, autore di testi come "Il libro degli spiriti" "Il libro dei medium" "Genesi
miracoli e profezie", buon Allan i nostri maestri sono i morti? Gli spiriti guida, giusto? E la
nostra anima come una petata vola in un'altra un'altra dimensione. Per piacere, basta col
mondo dietro le maschere, basta con i maestri invisibili, basta con le rette vie imposte dal
terrore vestito da Charlie Brown.
Esorcizzatemi, togliete il mio nome e il mio codice, fatelo nel nome del vostro unico idolo
senza volto, fatelo timorati di lui, ditemi la vostra millenaria frase e nel contempo non
giudiate, come egli vi ha insegnato.
Brutto insegnamento, avete teso la corda al collo degli eretici e non avete pace.
Già, un esorcismo me lo fecero quando avevo quattordici anni, parenti mi portarono da un
prete, un sant'uomo come tanti. Rimasi solo con lui e un suo
assistente. quest'ultimo era una specie di guardia del corpo, non disse mai una parola,
aveva un sorriso stampato in volto e le braccia conserte.
Il prete esorcista aveva una sessantina d'anni, tutti i capelli e un pancione ben coltivato;
attorno a me l'ambiente era inquietante, specchi antichi tutti lavorati, un tabernacolo, effigi
di Padre Pio, Cristo, Papa Giovanni, incenso in abbondanza. Don Luigi, così si chiamava
l'esorcista, mi mise una "stola" viola sulle spalle, aprì un libretto dalla copertina colore
marrone scuro, lesse qualche frase e mi mise una mano sulla fronte, lentamente la spostò
fino ad accarezzarmi i capelli; accese di nuovo un po' di incenso e, un po' seccato, tirai via
la "stola" da indosso, mi guardò perplesso Don Luigi e mi rimise la stola, mi accarezzò di
nuovo i capelli e mi fiondò un bacio in fronte: "Nel mondo ci vuole tanto amore!" disse,
accarezzò tre volete le spalle e di nuovo iniziò a leggere dal librettino color cacca.
Qualche frase, stavolta una carezza lungo una coscia, mi sistemò ancora la stola perchè
l'avevo tolta un'altra volta, all'improvviso un pugno, lo colpii sul mento "mollami!" gli dissi e
lui si mise una mano davanti alla faccia, scappai nell'altra stanza dove i parenti mi stavano
aspettando, un istante dopo fummo raggiunti da Don Luigi, furibondo: "Portatemelo via,
non venite più qua!" urlò quasi assatanato.
Inutili le spiegazioni al parentato, Don Luigi era una persona squisita e io un teppistello
invasato.
Ho adottato una visione poliedrica rigurado alle "possessioni diaboliche" , mi sono chiesto
tante volte perchè il Demonio non possieda un capo di stato, sarebbe un gioco per lui
accendere i conflitti mondiali; mi sono chiesto perchè il concetto di male assoluto
contemplato dalla filosofia cattolica possieda solo contadinelle e casalinghe, ragazzini e
fanatici religiosi; mi sono chiesto come mai Dio, se esiste ed è amore, conceda questo.
Non aveva forse detto di non intervenire più sulle vicende umane? Dopo il fantomatico
diluvio universale che uccise tutta l'umanità eccetto il buon Noè e tutti gli animali puri Dio
accettò in sacrificio quest'ultimi che vennero bruciati su un altare in suo onore, fece brillare
in cielo un arcobaleno e promise di non intervenire più, mai più nelle vicende umane.
Ora, che senso ha il diavolo in una persona? Essere posseduti e liberati che senso ha?
Se il diavolo possiede una persona, questa perde la propria volontà di intendere e volere,
ci sono persone condannate all'ergastolo, sarà stato il diavolo?
E Dio concede?
Non è forse Dio che gioca con Satana sulla vita di Giobbe? Un accordo terribile per testare
la fede di quel povero uomo. Tutto scritto nella Bibbia.
Lo stesso Dio, che è amore, devasta intere popolazioni come Sodoma, Gomorra
perchè le sue creature fatte a sua immagine e somiglianza si accoppiavano come bestie
con tanto di rapporti omosessuali.
Sono cose che ho letto, la mia mente non può che trovare una logica idiosincratica fra
verbo e realtà dei fatti.
Considerazioni, non credo esista un concetto di male assoluto o di bene
assoluto, penso che queste due forme siano relative al metro di misura di chi giudica.
Ancora di più non credo esistano enti che incarnino concetti statici di bene e male, non
credo esista un dio o un diavolo al di fuori dell'uomo.
Il vero Satana, l'avversario del sistema oscurantista, è l'uomo che acquisisce coscienza
della propria natura ed esprime con logica o con sentimento la propria indole in simbiosi
col moto caotico universale.
Mi è sempre piaciuto questo esperimento: prendete una moneta, scegliete "testa" o
"croce" e lanciatela.
Avete indovinato o avete fallito? Non importa, nessuno al mondo può stabilire in anticipo il
risultato in maniera continuata e sistematica, non può la mente umana e nemmeno il più
potente elaboratore.
Qualcuno dirà: "Beh, Dio può!" giusto?
Ebbene, se Dio può sapere in anticipo il risultato, se è in grado di sapere su che lato cade
la moneta prima che questa venga lanciata, allora significa che c'è un disegno già
tracciato, significa che la nostra vita ha già un percorso prestabilito; se così è, il giudizio
finale è un'assurdità, verremo giudicati da Dio per un disegno di cui lui è autore!
E se un disegno non c'è? Se siamo davvero liberi di interagire nella materia, sarebbe una
corsa all'utopia? O al caos?
Io lancio la moneta e l'universo intero segue il mio gesto; è il principio della legge sul caos:
una farfalla sbatte le ali e a New York piove. Tutto varia, tardiamo due minuti a uscire di
casa e troviamo una realtà spostata di due minuti, interagiamo e modifichiamo tutto e tutti
in base a quei due minuti in più.
Giudizio finale? Datemelo voi, io sono troppo coinvolto a giocare.
Vita di strada
Come vissi dopo la morte di mia madre e il secondo matrimonio di mio padre? Ero
inebriato di non senso, rabbia, disperazione e paura del futuro; Bologna era una terra dalle
mille risorse, la più immediata quella della prostituzione minorile, immediata e quotata a
dispetto dei benpensanti.
Riuscii a continuare gli studi scolastici, prendere un diploma in telecomunicazioni e, nel
frattempo, fare “marchette”.
I clienti erano tanti e di età svariate, gentili, generosi, generosissimi… soprattutto distratti,
quindi riuscivo a prendere qualche soldo in più rispetto alla mia normale tariffa. Oggi ne
parlo un po’ con simpatia e un po’ con imbarazzo, del resto è un’esperienza che ho fatto
per tre anni, dai quattordici ai diciassette.
Non facevo nulla di concreto, mi limitavo a subire rapporti orali o fare un po’ di compagnia
a persone sole.
A Bologna, vicino alla stazione centrale, tanti altri coetanei svolgevano questo tipo di
attività.
Il primo cliente aveva circa trentacinque anni, si chiamava Sanzio, arrivò da me a piedi,
non mi accorsi proprio del suo arrivo, lo trovai davanti all'improvviso: "Che fai di bello?" mi
chiese, gli risposi la prima cosa che mi venne in mente "aspetto che piova" dissi.
Ero molto titubante e più esitavo più lui mi veniva incontro; mi disse che gli piacevo
moltissimo e continuò il mio gioco: "aspetti che venga a piovere o vieni a fare un giro?
Giuro, un giro e se vuoi non ti sfioro neppure". Mi frugai nelle tasche, estrassi una sigaretta
e mi trovai l'accendino quasi piantato in faccia, Sanzio era stato velocissimo a intuire il mio
desiderio di fumare. "E se viene a piovere? Ma dico, sei a piedi, dove andiamo? Poi chi è
quell'idiota che mi fissa dall'altra parte della strada? E' un totale che è li, mi snerva!".
La sigaretta si consumò in un baleno fra le mie mani, Sanzio me lo fece notare e rinnovò
l'invito ad andare con lui per un giro, disse d'avere l'auto parcheggiata poco distante, mi
informai del tipo di auto e del suo colore "E' una Mercedes color blu scuro, un po'
ammaccata perchè sono andato a sbattere l'altro giorno mentre facevo retromarcia in un
vicolo" rispose;
"E non la ripari?" incalzai;
"Si, poi la riparo, senti andiamo via da qua dai!"
Raggiungemmo l'auto e con questa ci inoltrammo per le vie di Bologna, poi per la periferia.
Un giro di circa un paio d'ore, Sanzio parlava io ero quasi estraneato, rispondevo a
monosillabi e giocherellavo con l'autoradio, col cruscotto, coi sedili e quant'altro di "duttile"
vi fosse nell'auto.
"Sono eccitatissimo..." disse e, mentre guidava allungò una mano sulla mia gamba, lo
scostai e andò su tutte le furie: "Voi giovani non avete più un senso, dite tante cose e poi
non siete capaci di nulla, vestite con jeans strappati e li comprate proprio così, adesso sei
venuto con me e non ci stai, sono due ore che giriamo a vuoto e di "Marco" ne trovo quanti
ne voglio!"
Mi misi una mano davanti agli occhi e reclinai un po' il capo, non risposi, fu lui a ripristinare
il dialogo: "Hey, ti si vedono solo i capelli, dai riprenditi... vuoi venire a casa da me?
Sentiamo un po' di musica, giuro che non ti tocco".
Accettai e andai a casa sua, in realtà un monolocale in periferia che Sanzio usava nei
momenti di intimità.
Mi fece accomodare "Tirati via almeno il giubotto" disse ironicamente, poi mi chiese se
volevo bere qualcosa, decisi per un caffè. Andò dietro una tenda dove c'era una piccola
cucina a gas, preparò la moka e io attesi guardando la stanza, il letto e una lampada con
dentro del liquido che
faceva le bolle colorate.
Arrivò col caffè "Tranquillo non è drogato" disse, "Peccato" replicai per farmi un po' di
coraggio.
Sorbito il caffè fumai l'ennesima sigaretta, poi Sanzio mi invitò a sdraiarmi sul letto
matrimoniale che occupava buona parte della stanza.
Mi coricai e lui venne vicino, mi chiese se poteva toccarmi "solo attraverso i jeans", non
risposi.
Iniziò ad accarezzarmi il pube, fissavo il soffitto e all'improvviso: "Poi me li dai i soldi?" mi
rassicurò e chiese quanto volevo, chiesi cinquantamila lire.
"Va bene!" disse senza smettere di accarezzarmi attraverso i jeans.
Ci volle un po', ero teso, continuavo a contemplare il soffitto.
Mi provocò una semi-erezione, poi mi slacciò i jeans e continuò la sua opera con la lingua;
finì per spogliarmi del tutto, iniziò a masturbarsi ma non si svestì.
Raggiunse l'orgasmo solo lui.
Dopo l'esperienza mi riaccompagnò a casa.
Cosa pensavo? Nulla, il vuoto oppure tutto, non lo so.
Mi accorsi solo a casa di non avere più il documento di identità, l'avevo perso... ma che
cazzo di situazione, "come faccio adesso?" . Impaurito, non potevo certo dire a mio padre
che avevo perso la carta di identità mentre mi facevo tirare una sega da un uomo!
Restai preoccupato anche la mattina successiva, solo al ritorno da scuola l'incubo finì
perchè il portiere dello stabile mi avvisò che un signore aveva trovato per strada la mia
carta di identità e l'aveva consegnata a lui non trovandomi in casa.
Siamo gli eterni bambini della nera tinta irta di stelle.
Il nome "Bambini di Satana" è fin troppo ambiguo ma , il suo significato è, a dispetto dei
maliziosi, molto profondo.
Non vi è nulla di puro nel bambino così come non vi è nulla di puro nell'adulto, il concetto
di "purezza" non calza a nessuna parte dell'universo. Contaminati, siamo contaminati
dalla voglia assurda di imprimere la nostra forma a qualcosa che è sempre in costante
movimento.
E' la "purezza dell'ideale satanista" ma anche il riferimento al "bambino interiore".
Cos'è il "bambino interiore"? La fecondazione come conseguenza di un'autoinseminazione volontaria.
Noi abbiamo un impeto, qualcosa che emerge nel mare della nostra mente e si
fa distinguere.
C'è qualcosa che desideriamo e c'è qualcosa che, invece, vogliamo per natura, lo
vogliamo così follemente che diviene impeto e spina dorsale dell'universo.
E' la volontà vera, molto dissimile da ciò che crediamo di volere.
Questa volontà è un organo inseminatore; il "bambino interiore" è la nostra "creatura" che
si forma, fino a nascere e diventare ente animato da vita propria.
L'universo si separa dall'universo a scopo di nutrizione, questo è il suo moto, preceduto da
una "gravidanza magica". Questo è il "bambino interiore".
Consideriamo Satana l'uomo procreatore, chi è cosciente di essere ventre fecondo e
inseminatore.
Questa blasfema opera alchemica che non da spazio agli dèi, è ciò che ci stimola ad
esistere col nome che ormai tuti conoscete: Bambini di Satana.
Ancora doveva accadere tutto ed eravamo bambini, di Satana, sparsi per il mondo.
Ragazzi, ragazze, uomini, donne che si riunivano ammaliati dalla voglia di conoscere, di
sperimentare; per quanto possa sembrare strano agli occhi del giudizio sociale, non
facevamo nulla di male, eravamo davvero felici di esistere sotto quell'emblema diabolico
che era la nostra rinascita, il nostro modo di assaporare il mondo e l'ignoto.
Iniziavamo ad esprimere, finalmente. La nostra era una danza nei boschi, attorno al fuoco,
un riscoprirci di nuovo attraverso i movimenti e le frasi urlate, qualcosa che non avevamo
mai detto o percepito nella vita di tutti i giorni.
Si assaporava il demoniaco, l'istinto primoridiale che sorgeva nei nostri corpi ed
esprimeva.
I Bambini di Satana esistevano, non avevano un verbo sociale ma esistevano, inebriati
dalla superbia: il prodigio era proprio quello di essere vivi, presenti dentro il mondo e il suo
macrocosmo.
Noi eravamo i demoni, eravamo la Terra e il piede che la calpesta. Lo siamo
anche oggi e lo saremo domani; nulla è cambiato, il Bambino Vole e
Conquista, divora se stesso per rigenerarsi, questo è il moto della vita e nessuno può
fermarlo.
Ho fondato i Bambini di Satana quando di satanico avevo solo una divisa dello Stato e un
fucile, una maschera anti-gas e un basco più grande di me.
Le prime riunioni avvenivano in caserma, nel tempio delle armi dell'uomo contro l'uomo. Io
e altri ragazzi militari ci radunavamo nel magazzino dove erano riposti elmetti e maschere
anti-gas, eravamo un gruppetto di otto persone, artiglieri, caporali e un sergente maggiore;
le nostre riunioni avvenivano con sistematica regolarità subito dopo il contrappello, dopo
che "il silenzio" era stato diffuso dai megafoni della caserrma. Ci riunivamo
quando tutti dormivano, non era un'impresa difficile anche perchè il magazzino era allestito
all'interno della nostra camerata.
Baattaglione 155° Emilia, artiglieria pesante, semovente e campale, caserma
Cavalzerani, Udine.
Appartenevo al sesto scaglione, il mio incarico era siglato col numero 66.
Un destino!
La mia ritualità per il satanismo di Stato era quella di calcolare la traiettoria di tiro degli
"FH", cannoni semoventi computerizzati, armi dalla canna lunga e sottile in grado di
sparare un ordigno letale in un raggio di trenta chilometri.
Ero il "tavolettista" di gruppo, calcolavo quanto gli "FH" dovevano alzare e ruotare la loro
canna da fuoco per colpire il nemico. Passavo le coordinate di tiro via radio a quelli che
materialmente sparavano.
Il calcolo di tiro lo misuravo su una tavola di un metro quadrato, divisa in settori, avevo un
apposito goniometro tramite il quale misuravo le distanze fra nemici e nostre batterie da
fuoco, tre batterie di cannoni "FH" che chiamavamo con affetto "A" "B" "C". Ecco, questo
era il mio incarico: tracciare l'ipotetica direzione di fuoco.
Le nostre stelle erano, si pagane, ma eravamo tutti confratelli della setta chiamata
"esercito".
Li a Udine, dopo il contrappello, sono nati i Bambini di Satana.
Siamo un gruppo di liberi pensatori, sembrerà blasfemo ma non adoriamo nessuna
divinità.
Adorare costa troppo, non possiamo permettercelo, dannati soldi! Senza Dio!
Siamo dei "senza Dio" perchè, tutto sommato, un dio costa un'eternità!
Donazioni, lasciti, offerte, otto per mille, genuflessioni, confessioni, matrimoni, funerali...
come potremmo essere fedeli servienti di déi così pretenziosi? Non esiste un dio
economico, i prezzi sono alle stelle e noi, persone illuse da una libertà d'associazionismo,
preferiamo considerarci epicentro pensante di un universo che non ha per base la
creazione.
Tutto sommato siamo coerenti della nostra essenza demoniaca e indomabile,
consideriamo l'universo qualcosa di non creato, forti del più conosciuto concetto che ormai
è luogo comune: se alla base di tutto vi fosse un creatore, beh chi avrebbe creato
quest'ultimo?
Quale dio creerebbe un universo che ha per dinamica il caos?
Non ci convince nemmeno il fatto d'essere creature a immagine e somiglianza di un dio,
così fosse, sarebbe la più evoluta delle bestemmie! Essere cloni imperfetti di un dio
perfetto che è potere e silenzio? No, troppo assurdo!
Nell'atomo c'è una dinamica meravigliosamente logica; la Terra è molto più antica
dell'uomo, l'hanno calpestata i dinosauri, ha visto ere glaciali e miliardi di predicatori i cui
verbi non hanno mai trovato riscontro e si sono fermati davanti a quel demone che è,
appunto, il moto caotico dell'universo.
Signori dei soldi e della fede, mi avete torturato e rinchiuso nella torre, correva l'anno
1996, ricordate?
Bruciare il diavolo con le fiamme, assurdo!
Cos'è cambiato? Continuo a vedere i potenti della terra desiderare la donna d'altri, rubare,
uccidere e fare della falsa testimonianza un brillante stile di vita.
I Bambini di Satana sono un'associazione culturale di matrice pagana che considera
l'uomo e la donna il centro pensante dell'universo in grado di esprimere attraverso la
ritualità una presa di coscienza che è simbiosi con l'ego.
Dannati liberi pensatori, ammaliati da noi stessi. Perchè Satana? Chi è veramente se
stesso e segue la propria natura non può essere che "avversario" "satana" di un sistema
oscurantista e repressivo.
Tutto il potere politico e religioso si basa sulla repressione dell'ego.
Valore tolto all'uomo e depositato in un emblema; è logico che, riacquisendo il potenziale
sottratto noi incarniamo la figura di Satana.
Si è satanisti quando si è coscienti che non c'è via di scampo dall'essere se stessi.
Pura idiosincrasia con chi propone la salvezza e la vita oltre la morte.
L'opera dei Bambini di Satana richiama al pubblico un'ideologia concreta e ben definita: la
divinità all'interno dell'Uomo e della Donna. Per questo la forma di pensiero dei Bambini di
Satana è pagana e rievoca qualcosa di antico, l'istinto primordiale che infuoca noi stessi,
uno stile di vita che si sviluppa nel gestire il nostro universo. il satanismo, quello vero, è
l'arte dell'uomo e della donna di essere veramente se stessi, in primo luogo sopra ad ogni
cosa. Lungi da noi il fatto di genuflettere l'umanità ai piedi di fantasmi dell'invisibile, troppo
l'uomo e soprattutto la donna sono stati demonizzati per colpe mai commesse schiavi di
"divinità padrone" che limitano con folli leggi. Siamo meravigliosamente noi, la cosa più
sublime mai esistita.
La nostra necessità è fare quello che Veramente
Vogliamo, non quello che ci pare ma mettere in atto la nostra Vera Volontà
In noi risiede la vera radice divina, Uomo e Donna divinizzati: questo è il satanismo.
Satana è l'uomo che esiste veramente in modo assoluto, non è il dio del male, non è il dio
del bene, è la Conoscenza che si fa strada è l'Uomo che innalza la propria identità, si può
affermare che il satanismo è il culto di se stessi l'arte di esistere e di dire: Io Sono!
Lo scopo dei Bambini di Satana è quello di studiare l'interrelazione fra uomo e universo,
riarticolare le forme pagane la cui filosofia ha come epicentro l'uomo, esprimere tramite la
ritualità, dare una pubblica informazione
Proprio questa pubblica informazione, diffusa attraversto i mass-media, ha scatenato tutto
il sentimento del nostro occidentale monoteismo: amore, odio, possessione e possessività.
Chi era questo ragazzino coi capelli lunghi e il ciuffo sugli occhi che osava puntare il dito
contro la Chiesa di Roma? A volto scoperto o con un cappuccio in testa, chi era questo
Marco Dimitri? Come osava scontrarsi con Milingo e Balducci dissacrando l'esorcismo? Al
rogo! Blasfemo!
Dopo essere apparso su tutti i giornali, "Famiglia Cristiana" compresa, dopo avere varcato
il Parioli a fianco di Maurizio Costanzo, beh l'ira di Dio, per mano dei suoi emissari, si
scatenò su di me, sui miei amici.
Dare un'informazione pubblica equivaleva a infrangere il muro sussistente fra cittadino e
cultura satanista, una parete spessa e consistente, eretta pazientemente nei secoli.
Rovinare quest'opera d'arte, questa parete composta di sangue e delirio, cemento e roghi
fu per noi tutti un tentativo di suicidio.
Chi ce l'ha fatto fare? Potevamo rimanere nel segreto più inviolato, coi privilegi settari e
l'ipocrisia del mondo dietro il mondo, invece no, ci siamo scontrati col controllo sociale, coi
guardiani del gregge.
La storia è colma di persone che hanno lottato per la libertà, una libertà che dovrebbe
essere nata con l'uomo e invece è morta con esso, per quanto noi, acuti osservatori,
cerchiamo una logica andiamo sempre a sbattere contro l'assurdo;
La storia è colma di cadaveri e di illusi.
Gente comune deceduta col fucile in mano in nome di un diritto all'esistenza, noi non
siamo satanisti e non siamo nemmeno un'associazione culturale, siamo altri illusi che
lottano per esistere!
Quanto dureranno gli scontri?
Non lo so, comunque il destino è la tanto agoniata esistenza, chiediamo molto? Esistere!
Proclamando il satanismo culturale abbiamo riacceso il conflitto più antico,
questo lo sapete tutti: "ti sei messo contro i preti? Poi non lamentarti se finisci male!"
questo è il diapason partorito dalla gente di mezz'età, quante volte ho sentito questa frase
e quante volte mi sono meravigliato!
Non sono contro i preti ma gradirei non essere incriminato per stupro se contrasto le loro
opinioni!
Comunque è dato di fatto che ogni realtà, per esistere, ha dovuto lottare e ghettizzarsi, è
dato di fatto che ancora oggi 2002 esiste la discriminazione razziale, la discriminazione
sessuale e la discriminazione ideologica.
Ancora voglio fare notare che queste forme di discriminazione appartengono alla mentalità
sociale e nulla hanno a che vedere col satanismo.
Mi spiego ancora meglio, oggi i neri, gli omosessuali, gli atei sono tollerati dalla società,
tollerati per una forma borghese di finta emancipazione culturale, questa finzione getta la
propria maschera nei luogo in cui gli individui danno il meglio di se stessi: il bar!
I "discorsi da bar" li conosciamo tutti, debbo dire che fanno paura! Gente
che inneggia alla caccia al mostro, alla pena di morte, al massacro dei
diversi, accaniti bevitori di caffè che vomitano sentenze allucinanti leggendo solo il titolo di
un giornale.
A proposito di giornali, avete mai pensato quanta gente, un certo tipo di giornalismo, ha
ucciso?
Fate voi i calcoli, perchè una parte di me è fra queste vittime, solo una parte di me perchè
il mio vero ego vive per sfondare il famigerato muro appena descritto.
Una testa di cazzo di Dimitri che vuole sfondare un'imene di ferro e cemento.
Risultato di un'attenta valutazione.
Scusate il folclore del mio linguaggio, nessuno mi ha dato un'educazione., sono cresciuto
fra di voi, un po' figlio di tutti.
E' maledettamente vero! Sono il vostro Bambino!
Ogni persona ha il dovere di dare un'educazione ai propri figli, ha il dovere di fargli dare
un'istruzione, di mantenerli fino a che non siano autosufficienti. Questo rientra nel concetto
di "famiglia" ed è indiscutibile dal momento che una persona ritiene opportuno mettere al
mondo dei figli.
Ciò che manca, questo bisogna dirlo, è il rispetto dell'individualità del proprio figlio/figlia.
Ad esclusione di pochi casi si ha la pretesa di vedere nel giovane membro della famiglia
un doppione di se stessi, un clone, un essere capace di compiere le azioni che padre e
madre non sono stati capaci di portare a termine o purtroppo hanno portato a termine. Si
ha l'assurda filosofia morale che l'essere perfetto sia: laureato, cattolico, eterosessuale,
amante della musica leggera (perché se sente il rock lo portano dall'esorcista...) vestito in
modo "opportuno", presentabile socialmente... ma il figlio/figlia "fotocopia" spesso e
volentieri non assimila così nasce una continua violenza psicologica.
Non dimentichiamo che, quella che viene classificata come ribellione giovanile, non è altro
che un periodo di consapevolezza in contrasto a compassione, dolore, lamento e a chi
apre bocca solo per lamentarsi: "Buon giorno signora, ma che tempo! Piove ha visto? Fa
freddo... due giorni fa era un caldo insopportabile e adesso... poi c'è anche l'influenza in
giro... e Carletto come sta?"
"Eh è ancora a letto con la febbre ma gli è scesa, ieri sera gli ho fatto un brodino caldo!".
Dannata ribellione che non udrà ma: "Buongiorno signora il freddo mi
illumina gli occhi, belli vero? Carletto come sta?" "Oh, Carletto? E' la a casa che scopa
come un pazzo!.. ".
Ribelli, dannati e ribelli, abbiamo la certezza di essere sulla retta via solo quando gli
zombie ci dicono che siamo stronzi, blasfemi, amorali.
Quindi ho seguito solo me stesso, dirvi perchè i Bambini di Satana sono nati sarebbe
come dirvi perchè vado in erezione davanti a qualcosa che mi attrae.
Ho seguito l'orgasmo e la carica mentale.
Del resto il senso della vita è quello di amarci e darci guerra, non vi è altro al di fuori di
queste forme; siamo tutti passionali, anche dietro il nostro silenzio.
Satanismo: per me l'alta forma del mio ego, per altri è sinonimo di adoratori del male.
A quest'ultimi va il mio ghigno infantile!
Si proprio a voi perchè, non siete forse quelli che sfoggiano l'auto lussuosa in faccia a chi
non se la può permettere? Non siete quelli che esercitano violenza dietro le mura
domestiche? O quelli che detestano i "negri" invasori dei posti di lavoro? E non siete quelli
che si masturbano davanti ai telegiornali e ai linciaggi pubblici? Siete voi che usate come
meta turistica un paesino di montagna dove c'è la casa degli orrori, dove una madre
uccide un figlio o un figlio una madre?
Avete amato il diverso, così tanto da accompagnarlo fino all'ultimo istante di vita nel
sacrificio umano sugli altari della giustizia, voi avete acclamato la pena di morte, voi la
contemplate in nome della vendetta.
Beh, leccatemi!
Mi avete tenuto in vita con le vostre lingue, senza i vostri pompini sarei morto di fame! Mi
avete voluto allo stesso tempo massacrare e curare come un bambolotto.
Si parla tanto male della pedofilia in giro ma se non fosse stato per i pedofili sarei morto di
fame.
I servizi sociali non funzionano, gli dici che hai fame, freddo e loro ti regalano consigli.
Pedagoghi che con parole più ricercate ti danno gli stessi consigli che ti da una qualsiasi
madre di un qualsiasi tuo coetaneo.
Studia, mangia, inchinati, prega…
Davvero se non fosse per i pedofili sarei morto. Mi hanno ascoltato, aiutato, dato soldi e
leccato. Ma quali mostri d’Egitto? Ma quali orchi!
Sono sempre stati pieni d’attenzioni, quando non volevo andassero oltre loro si
fermavano. Sono stati gentili, spiritosi, hanno saputo ascoltare tutto senza tabù.
Altro che isolati “orchi” un viavai di auto con gente di tutto rispetto, tanta, tanta gente, di
Bologna, di altre città. Altro che mostri, gente più che normale.
Sarò anche cresciuto male secondo i santi della mente, i “perbenisti” ma sono cresciuto.
Cose che voi fate cari santi
Per quanto folle io possa essere, per quanto squallido e schifoso ai vostri occhi, beh non
sarei mai in grado di recludere degli innocenti per eccellere davanti alle platee, non sarei
capace di pignorare i beni a dei disagiati, nemmeno di danzare assieme a voi davanti ai
roghi.
Ieri avete bruciato e goduto, oggi bruciate e godete, domani sarà la stessa cosa; non
importa chi bruciate, se Wanna Marchi o Pietro Pacciani, l'importante per voi è godere di
una giustizia che non può essere giustificata.
Siete ladri anche voi, assassini anche voi, perversi e banali nel modo di operare.
Non vi è nulla di più amorfo di un killer monotono e goffo.
Ma chi tentate di convincere? Me? Eh no! Non incarno le vostre perversioni, non sono il
vostro capro espiatorio, abbiamo logiche dissimili, metri di misura antitetici.
Signori gonfi di birra e giustizialismo, non sempre i vostri mali sono prodotti dalle sette
sataniche e dai servizi segreti; provate a cercare il mostro fra i vostri simili, c'è buona
possibilità che diventiate degli ottimi investigatori.
I vostri figli gettano i sassi dai cavalcavia? Si drogano e vi picchiano? Vi uccidono?
Magari fosse ribellione giovanile, magari! Parlano solo il vostro linguaggio. Loro gettano il
sasso dal cavalcavia, voi gettate il neonato dalla finestra o lo infilate in lavatrice, in un
cassonetto dei rifiuti...
Ma quale ecstasi, ma quale patto diabolico? Non c'è bisogno! Riuscite a fare tutto da soli e
in modo naturale.
L’ira di Dio
1989 l'ira di Dio aveva la sua unica forma nelle menti dei suoi emissari.
Carnefici nel nome di uno che, secondo me, non esiste. Amore, perdono,
tolleranza,pazienza, umiltà? Balle, grandi bolle.
C'è più amore, tolleranza e umiltà in una partita di calcio Lazio - Roma che in tutte le
schiere cattoliche politicamente devote all'onnipotenza.
Se esistesse davvero un dio che è amore, beh penso che l'ultimo posto in cui andrebbe
sarebbe una chiesa cattolica!
Non dire falsa testimonianza? Non uccidere? Non rubare?
Se fossero veri i teoremi del monoteismo occidentale, ci sarebbe la coda all'inferno peggio
che in un ufficio postale; la figura del Satana contemplato dalla religione cattolica non
servirebbe a nulla, non sarebbe accesso alla sacralità ma colui che è l'onda portante del
"mistero religioso" .
La parola di Cristo? L'avete mai riscontrata nei pensieri, nelle azioni delle legioni vaticane?
Cosa debbo pensare? Non servirebbe il concetto di male assoluto quando gli stessi
pastori e lo stesso gregge divorano il verbo del loro antico maestro!
Mangiarne il corpo? Berne il sangue? E poi? Già! E poi massacrare in maniera subdola e
sistematica come invasati.
Questa è la messa nera, quello che fate voi, signori del "bene". Di nuovo scusate la mia
sincerità e la mia rabbia infantile, mi perdonino i veri cristiani i cui pensieri non condivido
ma rispetto; il mio messaggio è rivolto solo ai confronti di una violenza che dura da
millenni.
1989 i Bambini di Satana escono allo scoperto dopo che un carabiniere, amico della mia
ex ragazza che avevo lasciato due anni prima, si infiltrò con la sua compagna nelle nostre
schiere.
Era il periodo della "Uno Bianca" la banda composta da poliziotti che terrorizzò Bologna e
buona parte dell'Emilia Romagna. Ancora non sapevo chi aveva ucciso il mio amico
d'infanzia Carlo Beccari, guardia giurata come me, massacrato a colpi di fucile a pallettoni
il 19 febbraio 1987 a Casalecchio, prima periferia di Bologna durante una rapina al
supermercato "Coop"; Carlo era in servizio come portavalori e nel tardo pomeriggio arrivò
assieme a dei colleghi su un furgone blindato per il prelievo dagli incassi della giornata: un
boato, Carlo cerca di difendersi estraendo la pistola di servizio, ha indosso il giubotto antiproiettile divenuto obbligatorio da poco tempo, proprio quel giubotto blu scuro che
eravamo obbligati a mettere durante i servizi di scorta valori e antirapina; una beffa del
destino, i componenti della banda della "Uno Bianca" fanno fuoco con un fucile a
pallettoni, la "rosata" raggiunge Carlo in pieno petto, i pallettoni rimbalzano scivolando dal
corpetto anti-proiettile fino alla sua gola, muore in una pozza di sangue, era ancora
giovanissimo, lascia una moglie e una bambina piccola.
Ancora non sapevo che la mia storia si sarebbe in seguito, per analogia, intrecciata con
quella della Uno Bianca, una beffa orribile!
Crimini della Uno Bianca:
23 persone uccise a sangue freddo nel corso di rapine dai bottini magrissimi e nel corso di
semplici uscite di gruppo. Un benzinaio ucciso per 500.000 lire, carabinieri, impiegati di
banca, semplici testimoni massacrati "perché si interponevano fra la banda e il bottino",
zingari e persone di colore usati come bersagli umani.
Le vittime
1987
3 ottobre
Cesena: Antonio Mosca (poliziotto)*
1988
30 gennaio
Rimini: Giampiero Picello (guardia giurata)
19 febbraio
Casalecchio: Carlo Beccari (guardia giurata)
20 aprile
Castelmaggiore: Umberto Erriu (carabiniere), Cataldo Stasi (carabiniere)
1989
26 giugno
Corticella: Adolfino Alessandri (pensionato)
1990
15 gennaio
Bologna: Giancarlo Armorati (pensionato)**
6 ottobre
Bologna: Primo Zecchi (pensionato)
23 dicembre
Bologna: Rodolfo Bellinati (nomade), Patrizia Della Santina (nomade)
27 dicembre
Castelmaggiore: Luigi Pasqui (dirigente d'azienda)
Trebbo di Reno: Paride Pedini (artigiano)
1991
4 gennaio
Bologna: Mauro Mitilini, Andrea Moneta, Paride Stefanini (carabinieri)
20 aprile
Borgo Panigale: Claudio Bonfiglioli (benzinaio)
2 maggio
Bologna: Licia Ansaloni (comm.)Pietro Capolungo (carabiniere in pensione)
19 giugno
Cesena: Graziano Mirri (benzinaio)
18 agosto
San Mauro Mare: Babon Cheka, Malik Ndiay (operai extracomunitari)
1993
24 febbraio
Zola Predosa: Massimiliano Valenti (fattorino)
7 ottobre
Riale: Carlo Poli (elettrauto)
1994
24 maggio
Pesaro: Ubaldo Paci (direttore di banca)
* già ammalato di cancro, muore un anno dopo.
** muore l'11 novembre 1993 a seguito delle ferite riportate.
(Fonte: Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato)
La banda:
Cinque poliziotti: Roberto Savi, Alberto Savi, Luca Valliccelli, Pietro Gugliotta e Marino
Occhipinti.
Un aspirante tale: Fabio Savi e la sua compagna, Eva Mikula, risultata in seguito estranea
alle azioni della banda, ha ampiamente collaborato con gli inquirenti.
55 innocenti condannati per reati commessi da altri. E in trasparenza una misteriosa trama
di appoggi e coperture. Un altro mistero di Stato.
Le azioni
20 aprile 1988
Castel Maggiore, località non distante da Bologna, due giovanissimi carabinieri, Cataldo
Stasi e Umberto Erriu, muoiono massacrati sotto i colpi delle armi da fuoco sparati dai
componenti della Uno Bianca.
Uccisi a sangue freddo mentre erano di pattuglia; la possibilità di incappare in un controllo
di routine fu per i componenti della Uno Bianca motivo sufficiente per sparare a morte.
Stasi e Erriu si erano insospettiti a tale punto da accendere il faro alogeno della "gazzella",
riescono a malapena a intravedere le sagome dei loro assassini, prima di cadere colpiti a
morte.
Le indagini degli inquirenti subiscono successivi depistaggi da parte di un appartenente
alla benemerita, il brigadiere Domenico Macauda, figura ambigua che riporta ad un'ipotesi
di un ruolo oscuro dei servizi segreti militari (il SISMI). Macauda semina false prove per
incastrare degli innocenti e sembra che agisca proprio per coprire le azioni dei componenti
della Uno Bianca.
.
Un'infermiera accorsa sul luogo del delitto racconterà ai giornalisti:
: «Ho sentito urlare e sono corsa sulla strada. Un carabiniere era per terra, con la faccia verso la
ruota posteriore dell'auto. Rantolava nel sangue. Mamma, ha detto quando l'ho girato. E basta.
Aveva la faccia di un bambino e gli occhi spalancati sulla notte. Dopo la respirazione artificiale si
è un poco ripreso, ma solo per un attimo. L'altro era tra l’Alfetta e la rete della ferrovia, in
ginocchio, la testa sul sedile. Non ha detto nulla. Insieme con mio marito ed un'altra persona l'ho
girato e per un momento mi è sembrato che respirasse. L'ho guardato in faccia, una bella faccia
pallida. Era come tenere in braccio un bambino smarrito. Mi sono sentita una nullità. Morivano
due ragazzi ed io non potevo farci nulla. Poi, un minuto e un secolo dopo, è arrivata l'ambulanza e
quella fretta mi è sembrata un po' irreale e come stonata: per quei due poveri ragazzi c'era ormai
solo da piangere»
Sull’eccidio di Castel Maggiore restano ancora oggi molti dubbi. A cominciare dal numero
dei partecipanti all’azione. La corte d’Assise di Bologna, per questo episodio, ha
condannato i fratelli Roberto e Fabio Savi; resta il dubbio che all'eccidio abbia partecipato
anche l’altro fratello poliziotto, Alberto.
4 gennaio 1991
Bologna, quartiere Pilastro, ore 22 circa, tre carabinieri a bordo dell'auto di servizio notano
tre uomini in atteggiamento sospetto, non si fermano per identificarli ma probabilmente ne
hanno tutta l'intenzione visto che tornano sul luogo subito dopo, un secondo
passaggio che stavolta risulta fatale. "Quelli della Uno Bianca", così come vengono
chiamati nel gergo dei media, non vogliono essere identificati e non esitano a sparare
all'impazzata sui tre militari che nel frattempo accellerano l'auto tentando una fuga
disperata verso la salvezza Vengono inseguiti, non hanno il tempo di estrarre le armi di
servizio per rispondere al fuoco e l'auto finisce la sua corsa al lato della strada, i tre
carabinieri agonizzati vengono finiti con un "colpo di grazia" alla nuca. Un'atto d'amore o
piuttosto quelli della Uno Bianca volevano accertarsi che nessuno fosse in grado di parlare
dopo averli riconosciuti? Tre carabinieri poco più che ventenni letteralmente massacrati:
Andrea Moneta, Otello Stefanini, Mauro Mitilini.
Per quasi quattro anni polizia, carabinieri e magistratura bolognesi seguirono per
quell’eccidio piste del tutto incerte, a volte confuse, appositamente deviate.
Perizie errate, testimonianze false e ricostruzioni sballate saranno i micidiali ingredienti
di un processo contro degli innocenti. Tre abitanti del quartiere Pilastro, con alle spalle
precedenti penali, un camorrista rischiarono una condanna all’ergastolo per reati che non
avevano mai commesso.
I depistaggi di Macauda
Giugno 1988, poco dopo l'omicidio dei carabinieri a Castelmaggiore, gli investigatori
dichiarano di avere imboccato una pista che conduce nientemeno che alla mafia siciliana.
Ad occuparsi a tempo pieno del duplice delitto è il procuratore Giovanni Spinosa
coadiuvato dalla collega Lucia Musti.
Giovanni Spinosa nativo di Bisacce, lo stesso paese dell'ex magistrato Antonio Di Pietro, è
appassionato di ciclismo amatoriale, per questa passione rischiò addirittura la vita, durante
un raduno sul lago di Como, fu investito da un pirata della strada. Stando alle cronache
pare abbia avuto un passato politico in "Comunione e Liberazione". Salirà alle cronache
assieme a Lucia Musti per le indagini sulla Uno Bianca.
Magro quasi quanto me, occhiali da vista "spessi" è un magistrato ancora giovane così
come lo è Lucia Musti il magistrato che seguì tutta la "nostra" inchiesta che ci interesso nel
1996 e di cui scriverò in seguito, nelle pagine di questo libro dannato.
Appunto ancora tutti giovani, io che scrivo, i componenti della Uno Bianca, le vittime, i
magistrati, gli innocenti.
.
I magistrati emettono gli avvisi di garanzia. Trapelano i nomi:
Salvatore
Adamo
trent'anni, originario di Nicosia (Enna). Adamo è stato arrestato ai primi di maggio
nell'ambito di un'operazione antidroga che ha portato anche alla cattura di un'intera
famiglia formata da quattro persone incensurate. Sono Erminio Testoni, la moglie Adriana
Preti e i figli Elio e Marcello. Abitano al Pilastro, quartiere in cui si svolse il secondo eccidio
dei carabinieri. I Testoni hanno fama di gente perbene, lavoratori, tutti militanti comunisti,
e a Galliera, un paese dell'hinterland bolognese, possiedono una cascina dove è
stata rinvenuta una rudimentale raffineria di droga, con tanto di formula per la
trasformazione in eroina della morfina base, oltre a quaranta grammi di stupefacenti,
un'agendina fitta di nomi di pregiudicati e alcune cartucce calibro 38 special.
Nell'armadietto del bagno dell'abitazione degli Adamo i carabinieri del nucleo operativo
hanno invece fatto una scoperta più interessante: un'agendina telefonica con nomi di
spacciatori di droga e cinque bossoli di proiettili calibro 38 special marca Winchester, dello
stesso tipo di quelli sparati dall'arma che uccise uno dei due carabinieri. Un bossolo
calibro 38 special è stato infatti trovato, assieme a un proiettile inesploso, sulla Uno bianca
abbandonata dopo la strage di Castel Maggiore.
Le perizie hanno accertato che i due carabinieri sono stati uccisi da due pistole, una
calibro 38 special e una calibro 357 magnum.
Le cronache riportarono che su una delle tante Fiat Uno rubate dai componenti della
banda "perchè è un modello di auto comune che poteva passare inosservato" furono
rinvenuti solo un proiettile inesploso e delle impronte ed erano le uniche tracce
riconducibili all'omicidio dei carabinieri a Castel Maggiore.
Improvvisamente ad un'attenta verifica dell'auto usata dai banditi per la fuga, dopo
l'attacco ai carabinieri, da sotto un tappetino spunta misteriosamente anche questo
bossolo appartenente a un proiettile esploso.
Nitto Santapaola
boss di Cosa Nostra, alleato di Totò Riina, già accusato della strage di via Carini a
Palermo, quella del 3 settembre 1982 in cui morì, assieme a sua moglie e al suo agente di
scorta, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Ma i Carabinieri si rendono conto che su questa pista «tutto torna in modo troppo lineare»
e che gli indizi sono tanti e tali che sembrano disseminati ad arte.
E così infatti è stato: il 17 giugno viene arrestato il brigadiere del nucleo operativo dei
Carabinieri di Bologna Domenico Macauda, ventisette anni. Per lui l'accusa è di calunnia,
falso e detenzione di sostanze stupefacenti, le stesse che il brigadiere disseminava qua e
là, assieme a bossoli di proiettili e addirittura a pentole ed alambicchi necessari per
costruire mini laboratori per la raffinazione della droga. Il bossolo di proiettile esploso era
stato lui a metterlo sulla Uno bianca, abbandonata dagli assassini a Castel Maggiore. E
sempre lui aveva infilato nell'armadietto del bagno della famiglia Adamo ben cinque
bossoli identici al primo. Depistaggi in grande stile, tesi ad incolpare degli innocenti, ma
soprattutto a coprire i veri responsabili dell'eccidio.
Depistaggi che il sottufficiale non può avere messo in pratica da solo.
Per l'Arma dei Carabinieri il colpo è durissimo. Un carabiniere che indirizza su una falsa
pista le indagini sulla tragica morte di due suoi giovanissimi colleghi è cosa da provocare
ribrezzo. Ma perché il brigadiere Macauda depistava gli investigatori, facendo cadere le
responsabilità di una strage su una famiglia completamente innocente, qualche
pregiudicato e addirittura un boss del calibro di Nitto Santapaola?
Interrogato, Macauda si difende male: "volevo fare carriera, volevo mettermi in luce agli
occhi dei miei superiori..." dirà.
Ma sui carabinieri di Bologna la tempesta non si placava ancora.
Assieme alle manette ai polsi del brigadiere scattano anche tre avvisi di garanzia diretti ad
altrettanti militari della Benemerita felsinea: il tenente colonnello Sabato Mazzone,
comandante del gruppo; il maggiore Marcello Carnevali, comandante del reparto
operativo, e il tenente Gaetano Palmieri, comandante del nucleo investigativo dell'Arma.
Le accuse sono pesantissime: concussione, omessa denuncia da parte di pubblico
ufficiale e abuso innominato in atti d'ufficio, avrebbero nascosto l'ammanco di circa
25.000.000 di lire dalla cassa della Caserma di via dei Bersaglieri a Bologna, adibita alla
custodia dei corpi di reato. In mancanza del colpevole, il comandante avrebbe deciso di
tassare il personale, al fine di coprire l'ammanco.
Ma torniamo a Domenico Macauda, il suo non è un depistaggio qualsiasi. A prescindere
dagli effetti a cui mirava (distogliere le indagini dai veri assassini al momento ancora ignoti
e lo resteranno per altri sei anni e mezzo), ciò che solleva altri interrogativi è la dinamica
stessa del depistaggio.
Punto primo: ve lo immaginate un carabiniere in divisa che si muove sempre assieme ai
suoi colleghi, ma che scende dall'auto di servizio carico di pentole, pentolini, fiale e
alambicchi per andarle a nascondere in una cascina di campagna, per poi ritrovare il tutto,
denunciando il luogo come una raffineria di eroina?
Punto secondo: non c'è dubbio che il bossolo di 38 special trovato sulla Uno bianca e i
cinque bossoli della stessa arma trovati nell'armadietto del bagno di Salvatore Adamo
siano identici. Risultano sparati cioè dalla stessa identica arma a tamburo (cioè di una
pistola che trattiene i bossoli), il cui cane lascia sul dorso un'impronta unica che equivale
alle impronte digitali. Quindi quei sei bossoli sono stati sparati proprio da quell'arma che
avrebbe fatto fuoco sui due carabinieri assassinati a Castelmaggiore. A questo punto per
capire appieno la dinamica del depistaggio di Macauda occorre esaminare tre possibilità.
Prima possibilità: Macauda, usando una 38 special qualsiasi, .ma non quella che ha
sparato a Castelmaggiore, ha esploso sei colpi. Poi ha disseminato i bossoli: uno lo ha
nascosto sulla Uno bianca e cinque in casa di Salvatore Adamo.
Seconda possibilità: i cinque bossoli che Macauda ha messo in casa di Adamo gli sono
stati consegnati dagli assassini che si erano accorti di aver perso una pallottola inesplosa
sulla Uno bianca.
Terza possibilità (la più terribile): Macauda quella sera ha partecipato al massacro dei suoi
due colleghi, provocando poi un depistaggio interessato.
Fermo restando - lo ripetiamo - che a bordo della Uno bianca in un primo momento venne
trovato soltanto un proiettile inesploso di 38 special, nel primo e nel terzo caso come ha
potuto Macauda mettere il bossolo necessario a creare il suo depistaggio sull'auto dei
killer? La Uno bianca usata dai poliziotti killer è stata infatti trovata dagli investigatori
soltanto quarantotto ore dopo il duplice omicidio, è stata subito caricata su un carro
attrezzi e poi consegnata alla Scientifica per le analisi di rito, e durante quel periodo è
stata sempre tenuta chiusa e controllata a vista. Come e quando il brigadiere infedele ha
potuto agire?
Difficilmente, a meno di pensare ad altre complicità, dopo il ritrovamento dell'auto. E allora
quando, durante le quarantotto ore in cui la Uno bianca è rimasta abbandonata? E non
equivale questo a ritenere Macauda complice quantomeno indiretto degli assassini? Un
dubbio atroce che coincide con quello prospettato nella seconda possibilità ma che,
evidentemente, è stato scartato da chi lo ha indagato e poi fatto rinviare a giudizio e
condannare per il solo reato di calunnia.
Macauda, stando almeno alle sue confessioni, avrebbe fatto tutto da solo.
Da solo, con la sua pistola, avrebbe sparato quei sei colpi per ricavarne altrettanti bossoli,
tutti recanti la stessa impronta del percussore.
Ma la sua pistola presenta una limatura sul percussore che impedisce di accertare che
quei sei bossoli siano stati effettivamente esplosi dalla sua arma. E sempre da solo
Macauda avrebbe infilato un bossolo nella Uno bianca. Ma come e soprattutto quando? E
poi perché lo avrebbe fatto?
Interrogato il 22 giugno nel carcere militare di Forte Boccea a Roma, Macauda sul perché
del depistaggio cambia versione: non per far carriera, ma per incassare la taglia messa
sulla testa degli assassini. Ma il brigadiere mente anche questa volta, perché quella taglia
fu messa dopo che Macauda aveva fotografato la cascina dei Testoni, dove poi era stata
trovata la falsa raffineria di droga.
Quindi Macauda, mentre ordiva il depistaggio, di quella taglia non poteva sapere nulla.
Dai suoi interrogatori saltano fuori anche due particolari.
Uno lo abbiamo già ricordato ed è quanto mai inquietante: Macauda fotografò la cascina
dei Testoni diverso tempo prima dell'eccidio di Castelmaggiore. Come dire: il brigadiere
preparava il depistaggio su un fatto che doveva ancora accadere, come se lui sapesse
che sarebbe presto accaduto. La strage dei due carabinieri non è nata dunque da una
sparatoria occasionale. Si è trattato di un agguato premeditato?
L'altro particolare riguarda invece un errore, un fortunoso errore commesso dal brigadiere
che ha permesso che quel depistaggio venisse smascherato. Ancora una volta prima
dell'eccidio di Castelmaggiore, Macauda segnala ai suoi superiori di aver localizzato, una
raffineria di droga in via Ca' bianca 16 dove abita un pregiudicato. Macauda non conosce
però una singolarità toponomastica della zona: via Ca' bianca corre ininterrotta,
attraversando due comuni dell'hinterland bolognese, Malalbergo e Galliera. Il pregiudicato
che Macauda intende incastrare con false prove, così come la famiglia Testoni, abitano in
via Ca' bianca 16.
Ma il primo nel comune di Malalbergo e la seconda in quello di Galliera. Macauda si
sbaglia e mette in piedi il suo depistaggio nella cascina di persone assolutamente
incensurate. Se avesse cercato di incastrare il pregiudicato, forse, il suo diabolico
depistaggio non sarebbe stato mai scoperto.
Insospettiti dai numerosi successi investigativi accumulati nella sua carriera, i suoi colleghi
carabinieri prendono a spulciare uno ad uno tutti gli atti delle varie indagini a
lui affidate. Scoprono un altro depistaggio.
Tutto ha inizio il 19 febbraio 1988, esattamente due mesi prima dell'eccidio di
Castelmaggiore. E’ l’assalto che Fabio e Roberto Savi, portano con grande ferocia al
supermercato Coop di Casalecchio di Reno. E’ l'azione della banda in cui muore il
mio amico d'infanzia Carlo Beccari, ancora oggi ricordare la sua morte è per me
estremamente doloroso, non riesco a capacitarmi e trovare un efettivo perchè; ho
immaginato la scena, dato la caccia a un identikit del tutto sballato che era stato
pubblicato dai giornali, non trovavo pace e confesso di avere più volte pattugliato la città
alla ricerca di non so cosa Conoscevo Carlo Beccari da quando avevo 13 anni, uscivamo
spesso in compagnia di suo cugino più grande di noi perchè aveva la patente, una Fiat
126 con sopra il "CB", un cugino benvestito con occhiali enormi, un po' impacciato,
simpaticissimo e disarmante, ricordo la notte dell'ultimo dell'anno di quando ero
quindicenne, una festa dentro una discoteca privata che avevamo affittato per quella sera
io, Carlo, suo cugino e i miei compagni di scuola.
Dopo mezzanotte, dopo i botti e lo spumante aprii la confezione di un pandoro, estrassi la
bustina dello zucchero e fissai il cugino di Carlo che era seduto immobile da ore su una
sedia, chiuso nel suo vestito marrone, dietro i suoi occhiali enormi, beh tutta la polvere di
zucchero a velo gliela cosparsi addosso, mi fissava senza dire nulla, solo dopo che finni la
mia opera mi disse, guardandosi: "Lo vedi che hai fatto?".
Ricordo i miei compagni di scuola che ridevano ma ho in mente in particolare modo Carlo
le sue smorfie in quella circostanza. Carlo Beccari, voleva arruolarsi nei carabinieri e per
questo lo prendevamo un po' in giro "Charles Bechard" un nomignolo con cui l'avevamo
appellato io e gli altri amici; voleva arruolarsi nella benemerita ma finì col fare la guardia
giurata, lo stesso mestiere che feci anch'io tempo dopo.
Destino, a volte davvero strano perchè l'amicizia con Carlo si accentuò nel periodo in cui
venne ucciso da quelli della Uno Bianca. Destino a cui non credo per stile di vita, per
filosofia esistenziale.
Dentro le nostre divise, un po' più grandi di noi, coi cappelli in testa e i riccioli che ci
sbucavano fuori, io e Carlo ci incontravamo la mattina in un bar nel pieno centro di
Bologna, le 6.45, gli occhi mezzi assonnati, il craphen e il cappuccino che una volta
pagava lui e una volta pagavo io, poi si andava in servizio.
La sera dell'omicidio Carlo non doveva essere in servizio, pochissimi sanno che sostituì un
collega all'ultimo momento.
Lui muore, lascia la moglie e una bambina piccolissima, altri tre colleghi cadono a terra
feriti. La rapina è tempestiva, ma cruenta. Per quell'impresa la banda usa una Y10, rubata
la mattina stessa a Salvatore Moncada, un giovane del Pilastro, quartiere bolognese che
ogni tanto torna a comparire in queste storie di morte. Moncada ha denunciato
regolarmente il furto ai Carabinieri, raccontando di aver lasciato alle 6.30 la macchina con
il motore acceso e la chiave nel quadro, davanti ad un bar del Pilastro dove era entrato per
fare colazione. Il modo in cui la macchina gli è stata rubata insospettisce gli investigatori
che indagano sull'omicidio di Casalecchio i quali il 4 marzo ordinano la perquisizione
dell'abitazione del giovane. Perquisizione che dà esito negativo.
Ma il 19 marzo è il brigadiere Macauda a dirigere una nuova perquisizione, e questa volta
dalla cantina della famiglia Moncada spuntano tra le altre cose cento grammi di eroina e
una certa quantità di tritolo, guarda caso, identico a quello usato dai banditi al momento
della fuga dalla Coop di Casalecchio. Oltre a Salvatore, anche i suoi fratelli Giuseppe e
Pietro finiscono in gattabuia.
Vi resteranno per oltre tre mesi, fino a quando anche questo depistaggio del brillante
brigadiere Domenico Macauda non sarà scoperto. Gli inquirenti in quel momento non
possono saperlo, ma i lettori avranno forse già immaginato chi, con questo secondo
depistaggio, Macauda voleva coprire. Sempre loro, i fratelli Savi.
Una coincidenza può essere solo una coincidenza, ma due...
Interrogato dal sostituto procuratore Giovanni Spinosa, il sottufficiale dell'Arma continua a
cambiare versione sui motivi del depistaggio: non più questioni di carriera e nemmeno la
taglia da intascare, bensì un complicato ricatto a “luci rosse" cui lo avrebbero sottoposto
due pregiudicati che di notte, per carpire loro delle informazioni, Macauda incontrava sulle
colline bolognesi.
All'origine del ricatto ci sarebbero delle foto pornografiche che ritrarrebbero la moglie del
brigadiere. Macauda aveva infatti il vizietto di mettere annunci e rispondere a quelli che
appaiono sulle riviste pornografiche per praticare lo scambio delle coppie.
Durante uno di questi incontri qualcuno avrebbe immortalato la moglie del carabiniere in
"atteggiamenti inequivocabili" come lo stesso Macauda avrebbe finito con lo scrivere se
fosse stato chiamato a redigere un rapporto.
Un deliro, questa storia è un delirio con patria nomi e cognomi.
Le convinzioni di Giovanni Spinosa
Il misteriso depistaggio di Macauda ha fatto sì che venissero accusati e fatti incarcerare
degli innocenti, ma non ha tolto la voglia agli investigatori del nucleo operativo dei
Carabinieri e soprattutto al sostituto procuratore Giovanni Spinosa di continuare a nutrirsi
dell'ipotesi errata della criminalità più o meno organizzata.
A fine maggio del 1989 Spinosa ordina l'arresto di diciassette persone: secondo lui sono
proprio loro i banditi delle Coop, quei rapinatori inesperti e impauriti che hanno ammazzato
a Rimini e a Casalecchio, che hanno assaltato le Coop di Casteldebole e Forlì, il
supermercato di via Massarenti a Bologna, quello di Pesaro. Tra di loro ci sarebbero
anche quattro sospettati dell'eccidio dei carabinieri di Castel Maggiore. Sarebbero quattro
malavitosi, tutti residenti da tempo a Bologna anche se di origine meridionale, che - forse
anche per questo - ben si prestano all'idea dell'agguato mafioso che il magistrato si è fatta.
Sono Angelo Alboino, trentotto anni, di Licata (Agrigento), in quel momento detenuto nel
carcere tedesco di Saarbruken; Giuseppe Balsano, trentun anni, palermitano; Paolo
Steriti, trentotto anni, di Trevico (Avellino); Giuseppe Giuffrida, trentatré anni, di Paternò
(Catania). Per tutti l'accusa è di concorso in omicidio. Il giudice istruttore Adriana
Scaramuzzino avalla la richiesta. Sarebbero loro gli spietati killer di Castel Maggiore. E per
loro è anche pronto un facile movente e un altrettanto facile scenario. Movente e scenario
entrambi granitici, difficili anche soltanto da graffiare, sorretti come sono dalle assolute e
incrollabili certezze di cui dispone il loro assertore, il magistrato che indaga, il dottor
Spinosa, appunto.
E pensare che mentre Alboino e Balsano all'epoca del massacro di Castel Maggiore erano
latitanti, gli altri due incriminati, Steriti e Giuffrida, hanno un alibi di ferro, un alibi
inattaccabile, di quelli che è impossibile costruire a tavolino: essendo entrambi detenuti in
semilibertà, con l'obbligo cioè di rientrare in carcere alle 22 in punto, non un minuto più
tardi, e dal momento che l'eccidio di Castel Maggiore è avvenuto tra gli undici e i
quattordici minuti dopo le 22, a loro l'alibi lo fornisce la direzione penitenziaria dei carcere
bolognese della Dozza. Nel momento del massacro dei carabinieri, Steriti e Giuffrida
erano senza ombra di dubbio nel chiuso delle loro celle.
Ma a Spinosa questo non importa. Se non hanno sparato ai carabinieri - dice il magistrato
- certamente erano fino a poco prima in compagnia degli altri due, cioè di Alboino e
Balsano, e quindi devono rispondere di un reato quanto mai complicato,
anche nella formulazione: concorso in duplice omicidio come evento più grave di quello
voluto.
Le cose, sempre stando alle certezze di un magistrato della Repubblica, sarebbero andate
così: i quattro banditi farebbero parte, assieme ad altri ricercati, della "banda delle Coop"
che ha già messo a segno una serie infinita di colpi ai supermercati della catena,
caratterizzati, come abbiamo visto, più dalla spietatezza che dal bottino, sempre di pochi
milioni di lire. Nella tarda serata del 20 aprile 1988 i quattro banditi si troverebbero a
Castel Maggiore, sul retro del supermercato Coop, in attesa che giunga il furgone
portavalori che fa il giro dei supermercati per ritirare gli incassi della giornata. Il loro scopo
è quello di assaltarlo e svaligiarlo. Ma il furgone blindato tarda ad arrivare. I banditi non
sanno che lungo la strada ha avuto un guasto e che una Opel ha prelevato l'incasso per
poi proseguire nel solito giro e giungere a Castel Maggiore con un notevole anticipo
sull'ora abituale. Si è fatto tardi, i banditi si accorgono che il colpo, per un motivo a loro
ignoto, è fallito. Ma anziché allontanarsi dalla zona, come logica vorrebbe, si limitano a
dividersi. E mentre Steriti e Giuffrida tornano a Bologna per rientrare in carcere, gli altri
due, non si sa per quale motivo, decidono di restare in via Gramsci. Poi – è sempre la
magistratura che ricostruisce l'azione - i due banditi rimasti, finalmente, si decidono ad
andarsene, si avvicinano alla Uno bianca a bordo della quale sono arrivati, ma vengono
sorpresi dalla pattuglia dei Carabinieri verso i quali, per paura di essere identificati in
quanto latitanti e magari arrestati, aprono il fuoco.
Una ricostruzione, piena di buchi ed incongruenze. Buchi ed incongruenze che saltano
agli occhi anche tralasciando un particolare decisivo: tutti i testimoni dell'eccidio parlano e
continuano a parlare ancora oggi di tre banditi assassini e non di due. Ma il dottor Spinosa
non si scoraggia e comincia a cercare il quinto uomo che però non troverà mai.
Né lo scoraggia un altro episodio, un altro assalto ad un supermercato Coop che avviene
proprio mentre i diciassette indiziati (tredici per le rapine e quattro anche per il duplice
omicidio dei carabinieri) sono in galera.
E’ il 26 giugno 1989. Sono trascorsi appena una manciata di giorni dalla retata del giudice
Spinosa contro la banda delle Coop. Ed ecco proprio la banda delle Coop tornare in
azione. Sono passate da pochi minuti le 22, quando davanti al supermercato Coop di via
Gorki arriva il furgone portavalori, una società di vigilanza, scortato da una Fiat Regata. Il
loro compito è il solito: prelevare l'incasso della giornata dalla cassa continua posta
all'esterno del grande magazzino. Claudio Gambini, guardia giurata, scende dal blindato e
si dirige verso la cassa continua. Tre suoi colleghi si dispongono a ventaglio per
proteggerlo. Una quinta guardia giurata resta al volante del furgone con il motore acceso.
E a questo punto che una bomba esplode sulla scala che sovrasta l'ingresso del
supermercato, mentre da una Uno bianca due uomini aprono il fuoco sui vigilantes che
stramazzano a terra, mentre l'altra guardia giurata al volante del furgone fugge. Due di loro
vengono ricoverati in condizioni gravissime, ma si salveranno. I banditi, questa volta, si
avventano sulla cassaforte e riescono ad impadronirsi di un sacco contenente 30.000.000
di lire.
Stando alle confessioni di Fabio e Roberto Savi, quegli uomini sono loro e nessun altro.
Eppure i testimoni parlano di una rapina compiuta da almeno sei persone. Chi ha ragione?
Poi i banditi fuggono a piedi, ma sul retro del supermercato si imbattono in un anziano
pensionato in tuta da ginnastica che sta tornando a casa in bicicletta. E’ Adolfino
Alessandri, cinquantatré anni. L'uomo si ferma, li guarda, grida: «Mascalzoni, cosa fate?».
Anche i banditi si fermano. Uno dei due non esita a sparargli alla testa. Lo guarda fisso
negli occhi e gli dice: «Tu devi morire».
Così Fabio Savi, nel corso di un interrogatorio, racconta quella impresa: «Le rapine alle
Coop le abbiamo fatte praticamente tutte noi e cioè io e mio fratello. Poiché voi mi
contestate che appare impossibile che fossimo in due vi rappresento che, ad esempio, alla
Coop di via Gorki eravamo in due. E cioè io e mio fratello Roberto. Posso riferire quanto
segue. Facemmo questa rapina con una Fiat Uno ………………… andava male perché
aveva il cambio rotto e cioè la prima non ingranava. Ci siamo appostati a novanta gradi
rispetto all'obiettivo, come da schizzo che allego. Siamo scappati da una parte che dà su
un'altra via. Durante la fuga ci si parò davanti una persona in bicicletta che urlava contro
mio fratello ed allora lui gli ha sparato contro. Gli sparò con un fucile AR 70. Ignoravo che
per tale vicenda fossero state condannate altre persone».
Giunto sul luogo di questo nuovo assassinio assieme a Polizia e Carabinieri, il sindaco di
Bologna Renzo Imbeni pronuncia due sole frasi. Due frasi dettate dal buon senso: «Si era
detto che la banda delle Coop era stata sgominata. Evidentemente non era così».
E’ un'indagine, quella sulla banda delle Coop, ma ancor più quella, che dovrebbe essere
intimamente connessa, sul duplice omicidio dei carabinieri di Castel Maggiore, tutta
sbagliata, fin dall'inizio. In primo luogo per il modo in cui si è giunti al gruppo di banditi
killer.
Volete sapere chi è stato il teste chiave per l'identificazione di Alboino e Balsano, all'epoca
- lo ripetiamo - entrambi latitanti? Il brigadiere Domenico Macauda. Già ancora lui, il
depistatore di professione, che è così riuscito a mettere in atto il suo terzo depistaggio
consecutivo e allo stesso tempo nel sacco investigatori e magistrato.
Ricordate il presunto ricatto a “luci rosse” ordito ai danni del sottufficiale dei Carabinieri da
due delinquenti sulle colline bolognesi? Ad avere le foto porno che ritraevano quella
Messalina di sua moglie in pose ardite sarebbero stati proprio Alboino e Balsano. Il
brigadiere fa il nome solo del primo. Ma per Balsano fa di più.
Ecco cosa scrive Il Resto del Carlino:
«Per comprendere bene il ruolo di Macauda occorre fare un passo inidetro, fino al giorno
del processo che lo ha riguardato. Macauda non era in aula, ma fece sapere che era stato
costretto a depistare le indagini da due malavitosi che aveva incontrato sui colli e che lo
avevano pesantemente minacciato anche di morte. L’ordine che gli avevano impartito era
questo: “Fai in modo che le ricerche puntino sui mammasantissima, tanto quelli non li
prende mai nessuno”. E aveva fatto il nome di uno dei due: Angelo Alboino. L'altro non lo
conosceva.
Recentemente il pubblico ministero Giovanni Spinosa, interrogandolo nel carcere militare
di Forte Boccea, gli ha chiesto se l'altro uomo poteva essere Giuseppe Balsano. Per
ottenere una risposta concreta è stato organizzato un "esperimento giudiziario " in carcere.
Balsano è stato fatto vedere a Macauda (probabilmente attraverso il classico specchiofinestra) e questi lo ha riconosciuto con sufficiente certezza: al settanta, ottanta per cento.
Non a caso Alboino e Balsano sono stati accusati anche di concorso in calunnia con
Macauda per le ingiuste accuse piovute sul capo dei tanti innocenti sospettati e incarcerati
durante il depistaggio.
Il ragionamento dell'accusa è dunque il seguente: Alboino e Balsano facevano parte del
commando che il 20 aprile '88 ha assassinato i carabinieri a Castelmaggiore. Potendo
ricattare Macauda (anche per alcune foto osé che riguardavano la moglie del
brigadiere) lo fecero senza esitazioni. Attraverso un "confidente" di Macauda, del quale
l'interessato non ha mai voluto fare il nome (ma gli inquirenti sanno già chi è), lo attirarono sui
colli e lo costrinsero ad obbedire»
Ma il sostituto procuratore Giovanni Spinosa commette un altro errore: forza le
responsabilità di Steriti e Giuffrida che all'eccidio - questo è matematicamente sicuro - non
possono aver partecipato, trovandosi in carcere. E poi sbaglia a non tenere in alcun conto
gli alibi di Balsano e Alboino. Alibi di ferro per entrambi che erano latitanti, ed oltretutto
all'estero. Il primo, il 20 aprile 1988, giorno del duplice omicidio di Castelmaggiore, era in
Spagna. A testimoniarlo un veterinario a cui, proprio quel giorno, portò il suo cane. Il
secondo era addirittura in Estremo Oriente, a
Bangkok. Lo afferma un sarto che sempre quel giorno gli consegnò un vestito.
Eppure i quattro presunti banditi delle Coop, che oggi sappiamo invece essere i poliziotti
killer della Uno bianca, resteranno in carcere per oltre un anno e mezzo, del tutto estranei
ai fatti loro attribuiti. Tant'è vero che nell'ottobre del 1990, senza attendere la scadenza dei
termini di custodia cautelare, il giudice istruttore Adriana Scaramuzzino, che pure aveva
convalidato i loro arresti, non può fare altro che decretare la loro scarcerazione.
Il brigadiere Macauda ha colpito ancora. Le sue protezioni nei confronti degli assassini
della Uno bianca sono funzionate alla perfezione per più di due anni e mezzo.
Ma oggi i fratelli Fabio e Roberto Savi hanno confessato anche la duplice eliminazione dei
carabinieri Umberto Erriu e Cataldo Stasi a Castel Maggiore. Ecco come Fabio Savi ha
ricostruito quell'eccidio nel corso dell'interrogatorio del 6 dicembre 1994:
«Ricordo il duplice omicidio dei carabinieri a Castel Maggiore. Eravamo fermi di notte su
una macchina rubata io e Roberto. Sopraggiunse una macchina dei Carabinieri e cominciò
a passare molto lentamente, dopo essere arrivata a velocità molto sostenuta davanti alle
macchine parcheggiate, illuminando gli interni fino alla nostra autovettura. Dopo averci
illuminato, scesero subito dalla macchina, dopo aver fermato la loro davanti a noi, in modo
da non consentirci l'uscita. Anche noi scendemmo dalla macchina e ricordo che i
carabinieri avevano le armi in pugno. Ricordo che erano molto agitati. Roberto cercò di
calmarli, dicendo che eravamo colleghi e stavamo facendo due chiacchiere, ma loro
continuavano a chiederci cosa facevamo là e sembrò chiara l'intenzione di controllarci. A
quel punto io ho sentito uno sparo ed un urlo e mi sono messo a sparare e poi sono
andato, passando dietro alla macchina, dalla parte di mio fratello che ho incrociato proprio
dietro alla macchina. A quel punto ci allontanammo. Non ricordo come uscimmo dal
parcheggio, probabilmente facendo manovra».
Ma Fabio, nel corso dello stesso interrogatorio, sollleva il dubbio che, in realtà, la loro
banda fosse controllata da qualcuno, da un uomo in divisa. Riportiamo esattamente
quanto scritto in quel verbale:
«Si dà atto che viene allegato al verbale un disegno redatto dal Savi, relativo ai luoghi. Vi
è l'indicazione di un'autovettura, relativa ad un mezzo che il Savi dichiara: "Ho visto una
persona che mi è sembrata in divisa che, su tale autovettura, alcuni giorni prima ci ha
seguiti sempre da quel parcheggio fino al centro di Bologna, tanto che nell'occasione,
essendo io e Roberto con la mia macchina, speravamo di incrociare una pattuglia per
chiedere di controllare tale persona"».
Chi è l'uomo in divisa che controllava i sopralluoghi dei killer della banda della Uno
bianca? Ancora Macauda?
Sugli assalti alle Coop rosse c'è da segnalare un altro mistero. Il mistero delle targhe
scomparse. Tutte le auto utilizzate per le rapine alle Coop e poco dopo ritrovate avevano
in comune un particolare: non avevano la targa anteriore. Sul cruscotto della Uno bianca
usata per l'eccidio di Castel Maggiore vennero trovati i dadi e i bulloni che erano stati
svitati per togliere la targa. Questa stranezza ha costituito sempre un rebus per gli
investigatori. Una stranezza che però non è stata chiarita dagli autori di quegli assalti.
Interrogato sul perché togliessero le targhe anteriori, Roberto Savi è caduto dalle nuvole.
Né lui, né suo fratello Fabio, né
alcun altro della banda ha mai toccato quelle targhe.
Ancora oggi le modalità con cui scattarono le manette attorno ai polsi dei "poliziotti
assassini"risulta essere parte di un complesso mistero. Quello che è certo consta nelle
103 azioni poste in essere dalla banda, nei 24 morti e 102 feriti che si lasciarono alle
spalle.
Ci sono due versioni ufficiali sulle dinamiche con cui vennero effettuati gli arresti.
La prima versione:
il 20 gennaio 1994 il Sostituto Procuratore di Rimini Daniele Paci eredita dal collega
Roberto Sapio, appena andato in pensione, il fascicolo dell'inchiesta sulla Uno Bianca.
Paci costituisce un pool "anti Uno Bianca" composto da agenti della Squadra Mobile di
Forlì, Rimini e Bologna, dalla Criminalpol dell'Emilia Romagna e dai carabinieri di Rimini e
Forlì.
Un fascicolo composto probabilmente da indizi sballati e considerazioni smunte; le uniche
certezze che ne trapelavano erano nel modus operandi dei componenti della banda:
In primis
i banditi rubavano principalmente auto Fiat Uno di colore bianco usando una carta
telefonica inserita nel blocco d'accensione, la banda magnetica creava il contatto e il
motore si avviava.
Per colpire, fino al 2 maggio 1991, la banda ha usato sempre un fucile "AR70", in seguito
ha usato unicamente due pistole Beretta mod. 98 rubate appunto la mattina del 2 maggio
1991 a Bologna nell'armeria che era sita in via Volturno, dopo averne ucciso i gestori.
In secundi
la banda usava una tipologia d'attacco "stile militare", colpiva obiettivi troppo vari, banche,
supermercati, caselli autostradali, distributori di benzina. Molto lontani dall'essere semplici
rapinatori, i componenti della banda uccidevano per 500.000 lire o per il solo gusto di
uccidere come accadde nell'assalto al campo nomadi. Ricordiamo che "i poliziotti
assassini" uccisero persone di colore, carabinieri, testimoni.
Il pool conduce indagini fortunate, si muove in ascesa appena fondato. Il 21 marzo 1994,
durante una rapina all'agenzia 6 della Banca Popolare dell'Emilia Romagna a Cesena, la
telecamera a circuito chiuso riprende, per una frazione di secondo, un uomo col volto semi
coperto.
La polizia scientifica pare fece miracoli, ingrandì il fotogramma, lo sezionò e ci fece senza
dubbio qualcosa di diabolico che io non so, alla fine avevano una specie di identikit.
Altro colpo di fortuna per il pool, due poliziotti iniziano a fare decollare letteralmente
l'inchiesta, sono l'assistente capo di Polizia Luciano Baglioni, stesso grado di Roberto
Savi, e l'ispettore Pietro Costanza, entrambi in servizio al Commissariato di Rimini. I due,
soprattutto nel tempo libero, svolgono indagini private, acquistano un computer nel quale
schedano nominativi di persone e targhe d'auto raccolti dopo mesi di lunghi appostamenti
in luoghi "sospetti" e istituti bancari. I due, forse dotati di una genialità più unica che rara,
iniziano a "pensare come rapinatori" proseguendo i loro appostamente nei pressi delle
banche fra Bologna e Rimini, davvero infaticabili lavoratori, quasi possessori di
antiche facoltà visto che, le banche fra Bologna e Rimini, sono numerosissime, molte
centinaia!
Sicuramente la madre di tutte le intuizioni, Baglioni e Costanza il 3 novembre sono davanti
all'agenzia del Credito Romagnolo di Santa Giustina, paesello dai circa mille abitanti nel
riminese. E' Baglioni che nota un uomo sospetto con occhiali neri a bordo di un'auto Fiat
Tipo di colore bianco.
"E' lui, l'umo del fotogramma!" dice rivolgendosi al collega.
I due poliziotti inseguono il sospetto fino a Torriana, frazione di Rimini, vedono la sua
abitazione.
L'uomo viene identificato in Fabio Savi, trentaquattro anni, carrozziere.
L'abitazione ha un lungo elenco di passaggi di proprietà col fratello Roberto, quarant'anni,
poliziotto in servizio presso la Questura di Bologna.
Vengono controllati i turni di servizio di Roberto Savi, i momenti in cui non lavorava
coincidevano temporalmente con gli orari in cui venivano consumati rapine e omicidi.
Scattano le manette.
C'è da dire che polizia e carabinieri avevano covato in seno qualcosa che era un cancro
letale così potente da avere logorato in modo permanente l’immagine sociale. La versione
appena raccontata poteva avere una funzione rivalutativa?
Difficile dare una risposta. Eravamo cittadini terrorizzati, chiedevamo giustizia, una fottuta
spiegazione alla morte di amici, parenti, conoscenti e scopriamo che chi ha ucciso era
nientemeno che la giustizia. Polizia che uccideva e carabinieri che insabbiavano le prove e
incastravano gli innocenti. Era utile forse salvare il salvabile dicendo che la stessa
polizia ha arrestato i colpevoli?
Molto più credibile è la seconda versione della cattura:
il 21 ottobre 1994 due banditi assaltano la filiale della Banca Nazionale dell'Agricoltura a
Bologna, in zona Fiera. Il colpo però fallisce e i banditi fuggono a bordo si una Fiat Uno di
colore azzurro. L'auto, rubata, venne abbandonata e i due salirono a bordo di una
Mercedes targata Forlì, questa volta l'auto è di proprietà di uno di loro. Qualcuno nota il
cambio d'auto e annota la targa. L'auto risulta intestata a Roberto Savi, fratello di un
poliziotto.
Il primo ad essere arrestato è Roberto Savi, poi è la volta del fratello Fabio.
Fabio Savi venne arrestato ai confini con l'Austria, intuendo di essere ormai con le spalle
al muro tentò di espatriare assieme alla sua compagna Eva Mikula, una fuga di appena 48
ore, poi l'arresto.
Seguono poi gli arresti degli altri componenti della banda.
Via Dei Bersaglieri
Via Dei Bersaglieri una stradina stretta e lunga nel cuore di Bologna, unisce Strada
Maggiore a via S. Stefano. Le Due Torri, simbolo d'orgoglio cittadino, troneggiano su lei
come giganti. In un ex convento è maestosamente arrangiata la centrale operativa dei
carabinieri, le lodi al Signore Iddio hanno ceduto il posto a fascicoli, gazzelle e armi.
L'ira del Bambino, la mia ira! Lungi da me il volere incriminare il cuore della Benemerita
bolognese! Come potrei? E quale veste potrei incarnare nel farlo? Dannazione,
dannazione, tripla dannazione, non trovate che io sia un po' diabolico?
Via Dei Bersaglieri, l'arma dei carabinieri è sconvolta per i depistaggi delle indagini sulla
Uno Bianca da parte del loro collega, il brigadiere Macauda. Il tenente colonnello Sabato
Mazzone, comandante del gruppo; il maggiore Marcello Carnevali, comandante del
reparto operativo, e il tenente Gaetano Palmieri, comandante del nucleo investigativo
dell'Arma, erano colpiti da avvisi di garanzia conteneti accuse terribili.
Qua si denota il potere della Benemerita, nonostante l'Arma fosse sotto inchiesta i militari
del nucleo operativo riuscirono a trovare tempo e voglia per condurre delle indagini, del
tutto autonome e volontarie sulle messe nere dei cittadini.
Perchè inseguire il diavolo quando Bologna celava ben altro che l'Anticristo?
Ma andiamo, appunto, per gradi:
cosa avevo combinato io? Cos'avevano combinato i BdS?
Riunioni maledette fra Bologna e Rimini, eravamo poco più di una decina, tutti
giovanissimi, si evocava e si parlava, si usciva assieme per un'escursione o per una pizza.
E' vero, le nostre riunioni avvenivano in casolari diroccati, cimiteri sconsacrati, chiese dal
tetto crollato, inutilizzate da anni. Tracce di rituali, del tutto innocui, venivano trovate un po'
qua e la. Un cerchio nel vecchio camposanto, gli avanzi di un cero nella chiesa mezza
crollata di Auditore, un paese disabitato in provincia di Rimini, tre case in croce. Ammetto,
ero un ragazzetto vivacissimo, saltavo qua e la fra simboli magici tracciati con la srpay e
falò, danzavo sul vecchio altare della chiesa di Auditore, fra l'altro pieno di escrementi di
topo e avanzi dei picnick dei turisti estivi, mi infilavo il cappuccio in testa ed esprimevo
assieme ai miei amici quello che per me è l'impeto primordiale.
Un ragazzino dannato, non uccidevo nessuno, non deviavo le indagini sugli omicidi della
Uno Bianca, mi limitavo a piangere la morte del mio amico Carlo Beccari. Evocazioni
davanti al fuoco, riunioni con gli amici. Satana probabilmente voleva me, i carabinieri
anche.
Chissà, una bell'azione antisettaria avrebbe distolto l'opinione pubblica dai crimini legati
alla Uno Bianca, forse l'arma dei carabinieri poteva un po', solo un po', riprendere
credibilità. Fermare il diavolo, certo! Il male aveva il suo covo all'ombra delle Due Torri, le
forze del bene dovevano intervenire, certo!
Eccomi sono qua! Gradite altro? Mi è rimasto del caffè.
Lavoravo sodo, i pochi attimi che avevo a disposizione li passavo con gli amici o con la
"mia ragazza di turno", sono uno che si innamora spesso, sono distratto, ho cotte
adolescenziali anche varie volte al mese, sono sostanzialmente un sentimentalista, devo
tanto al mio "sentire" al mio "pensare" e al mio contemporaneo essere "ranocchio dalla
bocca larga".
Distratto, distrattissimo, ho incamerato un carabiniere "talpa" e l'ho portato in giro con me,
nei miei luoghi segreti e nelle pizzerie, l'ho presentato ai miei amici, ho evocato con lui, gli
ho confidato i miei modi di vedere il mondo.
Lavoravo moltissimo, principalmente nei servizi antirapina e nelle pattuglie di zona, agli
occhi di chi osserva potevo essere un nullafacente, sembra facile vigilare ma in realtà si
accumula una tensione enorme, si sta spesso al freddo e i piedi bruciano, lo stomaco è
invaso dall'acidità, molte volte non c'era nemmeno la possibilità di trovare riparo in auto
per via delle esigenze di servizio. State una decina di ore davanti a una banca quando la
temperatura è sotto la soglia dello zero, capirete.
Accidenti, sto trovando scusanti per giustificare la mia disattenzione, beh concedetemelo,
dai.
Facciamo così: ero stanco, non mi sono accorto di avere incamerato un carabiniere nei
Bambini di Satana, sono stato disattento, ingenuo. Ho creduto nella sua amicizia, ho
confidato a lui i miei problemi, il fatto d'essere orfani, le paure, gli amori.
Tutto registrato, tutto su supporto magnetico, portava sempre addosso un registratore
nascosto nel taschino.
Non ho commesso reati, se ne avessi commessi l'infiltrato della Benemerita mi avrebbe
arrestato in flagrante, questo concedetemelo, è una riprova della mia buona fede.
“Giudiziaria” ?
1989) Un carabiniere infiltrato e una successiva perquisizione alla sede. I giornali
intervistano l'agente della benemerita. Rivela che: la sera del venerdì è da noi consacrata
al culto delle vergini. Donne, ma anche uomini, vengono sverginati da Marco Dimitri.
La realtà però è meno avvincente della fantasia perché il venerdì sera svolgevo un
servizio antisequestro fino alle tre di notte. Questo il carabiniere infiltrato non poteva
saperlo. Quello che so è che mentiva. Quello che immagino, che ipotizzo insomma… forse
c’era bisogno di creare un’immagine forte per distogliere l’attenzione pubblica terrorizzata
dal caso “Uno Bianca”.
1990 l'inchiesta viene archiviata perchè "non sussistono fatti perseguibili d'ufficio"
1992) Un pregiudicato dal nome Antonio Foglia viene infiltrato in una nostra sede dai
carabinieri di Rimini. L'uomo si iscrive spacciandosi per avvocato civilista. Durante un
rituale in una sede in provincia di Forlì, il Foglia si getta letteralmente addosso alla
sacerdotessa che, svestita, fungeva da altare simbolico. Con un radiocomando da l'ordine
a dieci carabinieri che sfondano la porta con un "piede di porco" ed irrompono nella stanza
armati di pistole, mitra, giubotti antiproiettile. Il foglia davanti a tutti perquote Marco Dimitri
dandogli uno schiaffone. La stanza viene perquisita, "Guardiamo se c'è droga" dissero.
Portati in caserma siamo stati in seguito rilasciati dopo circa due ore con l'aberrante
accusa di sfruttamento della prostituzione. L'inchiesta, dopo nostre conferenze stampa,
esposti alla Procura ed al C.S.M. viene archiviata.
1996) A gennaio Marco Dimitri, il vice presidente e Gennaro Luongo vengono arrestati
senza preavviso alcuno. Messi in custodia cauelare con l'accusa di avere violentato una
ragazza minorenne. Date, tempi e luoghi delle accuse vengono in continuazione spostati
per via degli alibi di ferro delle persone imputate che, nel frattempo, erano aumentate di
numero. I tre arrestati vengono scarcerati dal Tribunale del Riesame dopo circa ventuno
giorni.
Conduce l'inchiesta il P.M. Lucia Musti
1996) Giugno, le stesse tre persone vengono di nuovo arrestate e messe in carcere in
regime di custodia cautelare, conduce l'inchiesta il P.M. Lucia Musti. Le accuse sono di
violenza su minore. I tre avrebbero messo in una bara in data sconosciuta ed in località
sconosciuta un bambino di anni due penetrandolo in seguito con una matita. La custodia
cautelare si rivela lunghissima, tredici mesi durante i quali le accuse continuavano ad
aumentare: sacrifici umani, licantropia (sic!) occultamento di cadavere, associazione
mafiosa. Nell'inchiesta vengono coinvolti: Efrem Del Gatto (Sergio Gatti) che MAI si è
definito un satanista riconoscendosi invece come "Luciferiano" e quindi di un'altra cultura,
Cristina Bagnolini (attrice che recitava in teatri la parte della "Strega dei Castelli), un noto
Marchese di Bologna (cinquantenne, cattolico, agricoltore). I carabinieri svolgono indagini
costanti senza mai trovare un riscontro oggettivo. Ad accusarci anche due preti cattolici
esorcisti ed "esperti" del GRIS, qualcuno addirittura amico della famiglia del bambino di
due anni.
1997) Dopo un processo durato mesi, tutte le persone coinvolte vengono assolte "perchè il
fatto non sussiste"
1999) Marco Dimitri, il socio Alessandro Chalambalakis vengono accusati l'uno di
estorsione, l'altro di minacce telefoniche nei confronti di un' ex iscritta accusata d'avere
sottratto sul posto di lavoro la somma di cinque milioni. Conduce l'inchiesta il P.M. Lucia
Musti
1999) Patrizia S. associata nel 1993 e subito espulsa per avere fornito nell'iscrizione dati
falsi, testimone di Lucia Musti nel procedimento del 1996 e che mai si presentò in
tribunale, questa volta accusa Marco Dimitri di avergli inoltrato una telefonata minatoria
"ho scritto il tuo nome su un proiettile" avrebbe detto. Fornisce un numero telefonico che
risulta inesistente. Non si presenta in tribunale nemmeno questa volta.
1999) Patrizia S. inoltra accuse a tappeto divenendo una "superteste" accusa d'essere
stata violentata da Marco Dimitri, Efrem Del Gatto (nel frattempo deceduto) dal proprio
amante che oggi chiamano "il mago nero". Accusa d'essere stata depredata di novecento
milioni.
Scattano le perquisizioni a tappeto a: Milano, Bologna, Torino, Viareggio, Udine, Lucca,
Treviso. In tutto diciassette persone vengono perquisite alle sei del mattino nelle loro
abitazioni Le accuse: truffa, usura, truffa informatica, abusi sessuali su una
cinquantenne, associazione per delinquere.. Vengono sequestrati:
1) Poesie (nel verbale di sequestro: "preghiere sataniche")
2) Lo stemma dei Bambini di Satana rappresentato su stoffa
3) Libri commerciali di magia
4) Un rocchetto da bicicletta marcato "Bestia Line"
5) La rivista "metal" Grind Zone
6) I numeri della nostra fanzine "Kaffeina"
7) Teschi di gesso, effigi di caproni
8) Alcuni "cd" di musica "metal"
9) Quattro fotografie di Lucia Musti
10) Articoli di giornale con interviste a Marco Dimitri
11) Videocassette con interviste televisive a Marco Dimitri
12) Vesti rituali e relativi cappucci
13) Candele colorate
Alcuni degli indagati per truffa informatica non posseggono nemmeno il computer!
Il sangue pubblico, il sangue nero, il sangue del pensiero... Inchiostro che non va più via,
nero, nerissimo. Qualcuno afferma che un tempo, leggendo il giornale, ti sporcavi le dita di
nero. L'inchiostro restava proprio li, nei polpastrelli.
Giorni interminabili, leggevo il giornale e stupivo per le dichiarazioni lasciate dalla "talpa" (il
carabiniere della centrale di Via Dei Bersaglieri).
Chi ero io? Il ritratto che emergeva pubblicamente contrastava con la mia figura ma era
talmente appetibile che l'intero mondo giornalistico si mosse per conoscermi.
Avevo il desiderio di riscattarmi e non scartai l'invito della stampa a mostrarmi
pubblicamente, perchè io ero ancora ignoto.
Una delusione! I giornalisti si aspettavano un marcantonio di due metri, un essere dalle
larghe spalle e l'andatura un po' inclinata all'indietro mentre io, trenta centimetri più basso
delle aspettative ero pure minuto. Del mio corpo parlavano sostanzialmente gli occhi e i
capelli lunghi attorno ad essi.
Un diavolo angelico, molto lontano dalle esigenze dei media.
Nell'arco di due giorni ero sulle prime pagine dei giornali, "la Repubblica" "Il Resto del
Carlino" e poi "Linea Diretta" da Enzo Biagi su Rai 1.
Un diavolo timido più che altro. Davanti alle telecamere di Rai 1 e dei tg mi comportavo
come a un'esame di terza media; la parola singhiozzata, impacciata, balbettata.
Le mie risposte date alla stampa erano incerte, ancora non abituato all'emisfero
comunicativo mediatico.
Rivedendomi nel programma "Linea Diretta" condotto da Enzo Biagi mi sono chiesto fra
me e me: "Ma cazzo ho detto?".
L'escaltion però non si fermava, nel giro di poco tempo ero finito sui principali giornali e
settimanali, passando da programma in programma fino ad una diretta serale su Rai 3 con
Monsignor Emmanuel Milingo.
Il titolo della trasmissione era alquanto accattivante: "Milingo sfida il diavolo in diretta".
L'appuntamento coi cronisti di Rai 3 era alle 11 del mattino in un hotel nel centro di Milano,
la trasmissione era fissata invece per le 23!!!
Probabilmente si volevano sincerare per tempo che io fossi presente.
Arrivai a Milano con un'amica alle 9 della mattina, raggiunto l'hotel prendemmo due stanze
da sogno, il costo era di un milione a notte, ovviamente a spese dell'emittente televisiva.
La giornata fu interminabile, dopo avere raccontato praticamente tutta la mia vita all'amica
che mi accompagnava e dopo avere fatto quello che si può fare in una stanza d'albergo
con tanto di hall incorporata, la noia prese il sopravvento. Raccolsi tutte le bottiglie dal
frigo bar e le disposi sul fondo della stanza, presi le noci di cocco che erano fra la frutta
disposta sul tavolo nella "zona pranzo" e giocai a bowling usando la noce come palla
e le bottiblie come birilli. Verso le 17 un giro per Milano fino alle 20.
Cena e, finalmente alle 21.30 ci venne a prendere un'auto blu della Rai e ci portò presso
gli studi televisivi.
Dopo il telegiornale di mezzasera, alle 23 Milingo aveva già iniziato la trasmissione. Il set
era a dire poco risibile: Milingo era seduto su una specie di trono, vestito di bianco con il
cappellino rosso e gli occhiali, ai suoi piedi una statua della Madonna di circa mezzo
metro, alle sue spalle era proiettata una croce di colore rosso, sembrava un pronto
soccorso! Io venni microfonato ed entrai dopo circa una decina di minuti presentato così
dal conduttore: "Oh ma vedo che fra il pubblico c'è quel ragazzo, il capo dei satanisti! Ma
vieni qua!". Arrivo già col microfono attaccato alla giacca, praticamente si capiva al volo
che eravamo già tutti d'accordo, anche perchè la trasmissione si intitolava "Milingo sfida il
diavolo". Io il diavolo lo rappresentai abbastanza bene rispondendo alle domande e
parlando di un'unica essenza che abbraccia uomo e universo. Milingo parlava
l'italiano in modo approssimativo ma sparò una battuta davvero in grado di suscitare
l'ilarità di chiunque: "Io in mattina ero New York, in ascensore Diavolo spingeva, spingeva
e io pregato così lui subito via!". Un cameraman sussurrò al collega: "Chissà a che piano è
sceso!"; una fatica a non ridere in diretta, beh potete immaginare! Un sorriso scappò
anche al conduttore.
C'erano le telefonate in diretta, tutte inoltrate da donne di mezz'età che volevano parlare a
Milingo vedendo il Diavolo nel figlio col mal di testa o nel figlio che ascolta musica "Metal".
Altra gaffe, Milingo seguitò a fare domande sul figlio a una signora che già aveva messo
giù la cornetta: "Hem... guardi che ha agganciato!" disse il presentatore. Il programma
durò circa mezz'ora, poi di nuovo fummo accompagnati in albergo. Non ero nello stesso
hotel di Milingo, lui soggiornava altrove, forse avevano paura di forti liti all'interno dell'hotel
se c'avessero messo assieme.
IL CASO “DIMITRI” 1996 : arresto o sequestro di Stato?
Le accuse
Ratto a fine di libidine, violenza carnale su due minorenni: una ragazza di sedici anni ex
fidanzata di Gennaro Luongo, nostro iscritto, è stata narcotizzata mediante la
somministrazione di un caffè corretto al cloroformio e seviziata da più persone durante lo
stato di incoscienza. Un bambino di due anni e mezzo violentato mediante introduzione di
una matita nell'orifizio anale e calato in una bara assieme ad un cadavere il cui nome era
"Margherita". Violazione di sepolcro, pluriomicidio di persone non identificate in luoghi
sconosciuti e in date sconosciute. Associazione per delinquere di stampo mafioso, conti
correnti miliardari. Detenzione di più di duecento dischetti per personal computer
contenenti immagini pornografiche di bambini iscritti alla "setta". Licantropia (sic!)
Le prove che portano al provvedimento di custodia cautelare in carcere
Dichiarazioni della sedicenne chiamata dalla stampa col nome fittizio di "Simonetta" vero
nome Elisabetta Dozza. Dichiarazioni dei parenti del bambino oggetto di violenza. Pareri di
"esperti" dell'Azione Cattolica e del G.R.I.S. (gruppo ricerca informazioni sulle sette della
Curia).
Risultati di un anno di indagini
I carabinieri setacciano tutti i cimiteri dei comuni limitrofi a Bologna, perquisiscono la sede
dei Bambini di Satana più volte. Risultati: nulla, nessuna tomba scoperchiata, nessun
cadavere o traccia di esso, nessuna denuncia di scomparsa di cadavere. Nessuna traccia
di sostanze stupefacenti, di cloroformio, di residui di caffè corretto al cloroformio. I
duecento dischetti che in accusa contenevano immagini pornografiche di iscritti minorenni
sono in realtà videogiochi per "Atari ST" incompatibili con un personal computer. Nessun
conto corrente.
La vicenda giudiziaria: il "Caso Dimitri"
Tutto iniziò a gennaio 1996 quando apparve sui giornali un articolo: "Violentata durante la
messa nera" c'era scritto. Un racconto non tanto dettagliato in cui si narrava che una
ragazza era stata violentata durante un rito satanico, presso un casolare abbandonato
nella periferia di Bologna. "Chi è questo stronzo?" dissi: ebbene il violentatore misterioso
ero io! L'appresi una sera dello stesso mese quando alcuni carabinieri irruppero in casa
mia con un mandato di “custodia cautelare in carcere” sul quale vi era scritto che io, il vice
presidente del nostro gruppo (che continuerò a chiamare "vice presidente" per sua libera
richiesta di non far apparire il nome oggi 1999 poiché non fa più parte dei Bambini di
Satana) , un mio vecchio iscritto, Gennaro Luongo, che non vedevo da tempo avevamo
drogato forse con un caffè corretto al cloroformio in data 18 o 19 novembre 1995 una
ragazza rispondente al nome di Elisabetta Dozza. La ragazza in questione era stata legata
sentimentalmente a Luongo. Drogata con un caffè corretto al cloroformio, portata in un
auto che lei descrisse come una panda bianca, violentata e picchiata in stato di
incoscienza durato circa quattro ore dopo le quali non si ricordava il luogo dove si era
risvegliata: in campagna o sotto i nostri uffici. Mi notificarono l’atto e gli consegnai,
prendendola da un cassetto, la mia pistola legalmente denunciata che avevo comprato
qualche anno prima quando lavoravo come guardia giurata. Vidi un’ombra di terrore
quando presi l’arma e gliela consegnai in mano. In quel preciso istante non sapevo il mare
di accuse che covavano nascoste. Mi ammanettarono e pensai ad un equivoco, uno
scherzo e continuai a pensarlo sull'auto dei carabinieri con le manette ai polsi mentre la
radio ricetrasmittente emetteva suoni. Ricordo che erano le 23 ed era buio, il lampeggiante
blu illuminava fasce d'erba ai lati della strada. Dov'era il carcere? Pensavo, com'era il
carcere? Cosa avrei detto ai miei compagni di cella? A quei volti con la barba di due giorni
cosa avrei detto? Cosa mi avrebbero fatto? Più pensavo e più stavo male, avrei perso i
miei amici, i sogni, questi due elementi che costituivano la mia vera famiglia, visto che
sono orfano di padre e madre. Non sapevo di stare andando alla caserma di Medicina, lo
intuii quando il viaggio si fece lungo e la paura tanta. Arrivammo in caserma, la macchina
entrò in un cancello e si fermò. Venni fatto uscire, entrai negli uffici desideroso di vedere il
mio amico arrestato con me, per scambiare un'opinione e forse vincere la paura. Fummo
messi in due stanze differenti e non potemmo vederci. Nell'ufficio spiegai ai carabinieri
d'essere estraneo alle accuse, chiesi se era possibile evitare il carcere ma le loro risposte
erano più che palesi: "Stiamo eseguendo quello che ci è stato chiesto, vedrai che quando
parlerai col giudice si chiarirà tutto, anche noi non siamo tanto convinti". La procedura
andò avanti, mi fecero togliere gli orecchini, il mio piercing che avevo al capezzolo,
consegnai il portafogli, un anello, tutto quello che avevo in tasca e il telefonino cellulare. I
miei occhi fissavano il retro di un computer, l’uscita seriale e quella parallela, le guardavo
intensamente mentre i pensieri volavano e i rumori di fondo si mischiavano con la luce
della caserma. Poi il pensiero si soffermò sul gatto che avevo a casa, dissi d'essere
orfano e di non avere nessuno che si prendesse cura del mio gatto: "Beh, morirà" disse un
carabiniere, poi sorrise dicendo di scherzare, per il gatto ne avrebbero parlato al giudice.
Iniziai a tremare, a sentirmi male, il panico non riuscivo a contenerlo. Chiamarono la
guardia medica perché tremavo visibilmente tanto da non riuscire a firmare gli incartamenti
relativi all'arresto. Attesi e la guardia medica arrivò, nelle vesti di una dottoressa
dall'aspetto giovanile e simpatico, mi fece una carezza sui capelli e mi porse un bicchiere
di plastica con un calmante che bevvi molto lentamente. La dottoressa si rivolse a un
maresciallo dicendo: "adesso il ragazzo sta meglio ma starebbe meglio a casa sua!" io
annuii ma il maresciallo ovviamente disse di non potere fare nulla. La dottoressa se ne
andò e io restai solo attendendo l'effetto del calmante che non ebbe l'efficacia desiderata
tanto era grande la mia paura. Fermai un carabiniere, uno di quelli vestiti in borghese che
mi era venuto a prendere nella mia abitazione e chiesi se era possibile circoscrivere
l'arresto solo a me e lasciare libero il mio amico: "E che ne portiamo in prigione solo uno?
Mica possiamo!" ovvia risposta a un mio stupido tentativo. La procedura d'arresto andò
avanti, venni portato in un'altra stanza dove mi presero le impronte digitali, riempii diversi
fogli guidato dalla mano di un carabiniere che indossava un guanto di lattice, poi venni
fotografato di fronte e di profilo. Mi fecero alzare lo sguardo verso la luce al neon situata
sul soffitto, "sguardo aquilino" dissero e la cosa mi incuriosì tanto da chiedere cosa
significasse: "Vedi, ogni persona ha un'ombra che gli contorna il volto quando è sotto una
luce, tu hai quella aquilina". Non so quante sigarette scroccai ai carabinieri, furono però
gentili nell'offrirmele ogni volta che le chiedevo. Uno di loro entrò nella stanza e mi disse:
"Mhh, ma lo sai che in carcere con un reato come il tuo ti fanno il culo? Ti mettono con uno
che ti inchiappetta!" ero talmente terrorizzato che risposi: "No, io evado, se è vero scappo
anche adesso e sparatemi a sto punto! ". Intervenne un altro carabiniere: "Ma dai, sta
scherzando, appena arrivi ti mettono in cella da solo!" "Davvero?" dissi e mi sentii già più
sollevato, "Si, tutti quelli che arrivano vengono messi in cella da soli". All'improvviso passò
Gennaro Luongo, l'ex ragazzo di Elisabetta Dozza, la ragazza che ci accusava: "Ciao!" mi
disse mentre stava uscendo portato da due carabinieri, "Cazzo! Ma diglielo che non è vero
niente!" gridai, lui alzò le spalle in una specie di "cosa ci vuoi fare". Intanto fuori dalla
caserma si stava assembrando un mare di giornalisti. Le manette tornarono ai miei polsi, i
carabinieri si misero i giubbotti sugli abiti borghesi, i giubbotti con la scritta "carabinieri"
appunto, eravamo tutti in fila, loro a due a due attorno a noi arrestati in fila indiana, Ad un
cenno venni portato fuori e mitragliato da tantissimi flash dei fotografi, da luci alogene di
supporto alle telecamere, dire che ero arrabbiato era poco, la mia espressione era feroce,
sentivo solo orrore e disperazione trasalirmi. Beh, in pratica davo l'impressione del più
grande criminale del mondo in quel momento. L'auto in cui salii partì sgommando, si
inoltrò nel buio e nel buio caddi anch'io, speravo che succedesse qualcosa, una qualsiasi
cosa che mi levasse da quella situazione, accidenti se speravo!. Dopo poco l’auto arrivò al
carcere, si alzò una sbarra e si inoltrò lungo una piccola stradina. Si aprì un cancello e si
richiuse alle mie spalle, davanti a noi un altro cancello, lentamente si aprì anch'esso e
l'auto percorse un breve tratto di strada fermandosi vicino a una porticina. Scesi dall'auto,
seguii i carabinieri ed entrai: la prigione. "Buonasera" dissi agli agenti del carcere vestiti di
blu, "Buonasera un cazzo" mi risposero e un carabiniere mi disse di stare calmo. Venni
portato dentro ad una stanza fredda e maleodorante, mi fecero spogliare, perquisirono
tutto il perquisibile e mi fecero rivestire. Uscii dalla stanza e un'agente di custodia mi diede
uno spintone. "Cammina!" risposi con un "Non mi tocchi!" e l'agente si calmò vedendo che
c’erano ancora i carabinieri. Avrei voluto chiedere aiuto a loro in quel momento, tanto ero
impaurito dalla situazione! Andati via i carabinieri restai solo con gli agenti del carcere, uno
di loro mi portò in una cella, aprì la porta blindata e vidi un letto a castello, un piccolo
bagno, "Non è una camera d'albergo ma ci starai comodo", mi fece raccogliere lenzuola,
coperta, cuscino e un pacchetto contenente un rotolo di carta igienica, due ciotole in
acciaio, cucchiaio e forchetta, un bicchierino e una caraffa di plastica. Non so perché ma
ebbi paura a prendere in braccio tutta quella roba. Entrai dentro la cella e l'agente richiuse
la porta blindata. Mi recai in bagno, vi era un lavandino, un bidè, un water e una finestrella
che dava sul corridoio, una finestrella col compito di consentire alle guardie di vedermi nei
miei momenti più intimi. Feci il letto, e mi sdraiai, volevo dormire e per incanto far apparire
il giorno successivo e il mio avvocato. Disteso sul letto vedevo la branda sopra la mia,
vedevo delle strisce parallele fra loro cancellate da una striscia in diagonale, come se
qualcuno contasse il tempo, i giorni. Paura, avevo una fottuta paura. Arrivarono due agenti
e si fermarono di fronte alla mia porta, dissero. "Guarda questo, si è già messo a letto!" mi
chiamarono e mi fecero alzare, aprirono la porta della cella e mi fecero uscire, mi
condussero di nuovo nella stanza maleodorante, attorno a me c’erano in tutto quattro
agenti che calzavano nelle mani dei guanti di nailon. "Perché avevi la pistola?" mi dissero
e risposi che ero stato una guardia giurata per cinque anni "Non dire cazzate!" mi urlarono
e uno mi colpì con uno schiaffone, poi un altro schiaffone, ancora un altro e smisero
quando caddi in terra coprendomi il volto con le mie mani per proteggerlo. Mi fecero uscire
e avvicinare ad un ufficio dove mi notificarono che in tasca avevo un importo di
trentaduemila lire, mi diedero ancora qualche schiaffetto, stavolta non forte. Uscii e girai
l'angolo vedendo un altro agente "Mi ha già picchiato il suo collega!" dissi ironicamente,
forse per sdrammatizzare, questi mi portò in cella e mi ci infilò dandomi un calcio in culo.
Mi distesi sul letto, in lontananza sentivo il telegiornale di canale 5 che annunciava il
nostro arresto, dopo un po' riuscii ad addormentarmi svegliandomi però di tanto in tanto.
Era ancora buio, la finestra alle mie spalle era lercia, con una fitta griglia che la rivestiva.
Verso mattina arrivò un ragazzo vestito con una specie di divisa marrone, aveva un
carretto e mi chiese la caraffa che riempì di latte e caffè. Bevvi il latte e caffè per paura di
rimproveri, lo ingurgitai anche se il latte mi fa schifo. Avevo bisogno di una sigaretta,
dovevo fumare era più forte di me, dovevo fumare, era tanto che non fumavo una
sigaretta! Fermai il ragazzo che portava il latte, gli chiesi una sigaretta e lui mi rispose:
"Dimitri, io sono un criminale e sono qua da tre anni, ma la sigaretta non te la do perché
non condivido il tuo crimine" "Fantastico!" dissi, "Fantastico! Cazzo! Sono innocente! Non
ho violentato nessuno, lo capisci o no? E poi… che cazzo vuoi capire anche te…" Lui si
allontanò.
Presi a calci il muro e poi cercai di dormire ancora. Arrivò un'infermiera col camice bianco,
mi chiese se ero sieropositivo e mi porse una provetta, dovevo urinarci dentro e
consegnarla in seguito in infermeria. Urinai, riempii la dannata provetta. Poi tentai di
guardare fuori dalla griglia della finestra, vedevo un giardino sporco, la luce del giorno,
quella pochissima luce che iniziava a illuminare la cella, ma la luce del neon della cella era
più forte, era più intensa. Dovevo fumare, dovevo farlo e i nervi mi stavano saltando
letteralmente, iniziai a prendere a calci la cella, le sbarre della porta, dovevo essere molto
nervoso poiché una guardia si fermò ad osservarmi, dissi che volevo fumare e che non ce
la facevo più, la guardia si guardò attorno, estrasse un pacchetto e mi porse una sigaretta
dicendo che la questione sigarette sarebbe iniziata e finita li. Fumai mezza sigaretta e la
spensi conservandola gelosamente. Arrivò un'altra guardia e aprì la cella chiedendomi di
seguirlo, mi condusse in un ufficio dove un agente si mise un guanto di nailon lungo fino al
gomito e mi disse di spogliarmi. "Cosa vuoi fare?" chiesi terrorizzato, "Ti perquisisco i
vestiti!" rispose divertito dall'evidente terrore che mi trapelava dal volto. Mi spogliai,
perquisì tutti i miei indumenti, mi fece piegare un paio di volte e mi fece rivestire. In un
elenco venne segnato ogni cosa che avevo, un inventario di tutto quello che avevo con me
e che dovetti firmare. Di nuovo in cella e l'avvocato non si era ancora visto. Venni
chiamato in infermeria, io e la dannata provetta con l'urina. Venni misurato: 170 cm,
pesato: 56 kg. Interrogato sulle varie malattie, se le avevo avute o meno, tremavo così
tanto da infastidire il dottore che mi auscultava i polmoni con lo stetoscopio: "Dimitri pensi
a respirare non a tremare!" disse seccato. Di nuovo in cella. Lo stesso ragazzo che mi
aveva portato il latte mi portò una specie di minestra di verdura che presi e buttai nel water
senza farmi vedere. Fumai una sigaretta abilmente scroccata a un detenuto di colore che
passava vicino alla mia cella. Cercai di riposarmi, non vi era nulla da fare, nulla da
leggere, nulla da guardare, cercai di riposare aspettando l'avvocato che evidentemente
aveva troppi impegni perché quel giorno non venne. Venne però l'avvocato di Gennaro
Luongo perché vidi Luongo avvicinarsi alla mia cella dicendo: "L'avvocato mi ha detto che i
carabinieri sanno che non è vero niente!". Gennaro mi abbracciò introducendo le braccia
dentro lo sportellino della porta della cella, aveva un orecchio medicato, fasciato con una
garza e una specie di tubetto, gli chiesi cos'aveva fatto e lui mi rispose d'essere sbattuto
contro il muro e indicò la guardia con gli occhi. Iniziai a piangere scalciando contro tutto
quello che trovavo: una branda a castello e solidi muri. Venni chiamato di nuovo fuori dalla
cella, questa volta per andare dallo psicologo. Entrai in un altro ambulatorio dove c'era
seduto a una scrivania un uomo con la barba dall'aspetto simpatico e distinto. Lo
psicologo disse alla guardia che mi accompagnava di uscire e si rivolse a me dicendo:
"Hanno paura che tu mi aggredisca!" io mi misi a ridere, "A quanto pare narcotizzo le mie
vittime prima di stuprarle, le faccio bere il cloroformio!" dissi, e lui sorrise: "Un po' difficile...
vedi, hanno attaccato la tua figura, ciò che rappresenti, dai fastidio e mi sembra ovvio!".
Era intelligente, cazzo! Una persona intelligente in quel posto, pazzesco!
Per risposta gli domandai una sigaretta che non ebbe il coraggio di negarmi quando seppe
che ero orfano e senza una lira. "Come ti senti?" disse, e stavo per ridergli in faccia, ma
che domanda era? Ah, già! Una domanda di prassi e me ne fece parecchie prima di farmi
tornare in cella. Di nuovo sentii parlare di me al telegiornale diffuso da un televisore situato
da qualche parte che non sono mai riuscito a localizzare. Buio, era buio e quella notte
riuscii a dormire. Il mio avvocato venne la mattina seguente, lo incontrai dopo essere stato
chiamato da un agente, scortato al primo piano dell'edificio, chiuso ad attendere dentro
una stanza in cui non vi era nulla. Una perquisizione rapida e fui fatto entrare in una
stanzina dove c'era il mio avvocato. "Gli consegnai il mandato di cattura, lui lesse e mi
chiese se c'era qualcosa di vero: "Assolutamente no" risposi. Mi disse che il giorno
successivo ci sarebbe stato l'incontro col giudice, mi chiese se mi avevano picchiato e
risposi di si con un cenno del capo. Un breve colloquio e l'avvocato andò via. Tornai in
cella, il mio sguardo era posato sul via vai che vi era in corridoio, scorsi all'improvviso il
mio amico vice presidente, il suo volto era bianchissimo, il suo sguardo perso nel vuoto, lo
chiamai, si girò e mi sorrise salutandomi. Potevamo capirci con lo sguardo, distribuirci
l'orrore con una muta espressione tanto eravamo coscienti che il fatto contestatoci non era
stato da noi commesso. Il giorno dopo verso le 15 ci misero su tre automezzi e ci
portarono in tribunale per l'interrogatorio. “Il Resto del Carlino” quel giorno esordì con un
articolo di Roberto Canditi la cui entità di genio e demenzialità le potrà misurare il lettore
vedendo l’articolo che riporto:
“SOTTO SEQUESTRO UN FLOPPY DISK CON I SEICENTO NOMI DEI “BAMBINI DI
SATANA”
A Montecalvo l’altare di Belzebù.
Oggi pomeriggio gli inquirenti interrogheranno Marco Dimitri e i coimputati che negano
tutto.
(Come faceva Roberto Canditi a dire che io e i coimputati avremmo negato tutto se
l’interrogatorio si sarebbe svolto solo nel pomeriggio? N.d.A.)
I raggi della luna penetrarono come una spada nella radura e il sasso largo e piatto
foderato di scaglie di silice brilla come madreperla (ma chi è Steven Spielberg a
confronto? N.d.A.). Il riflesso scivola dolcemente sul sottobosco e le foglie si illuminano
d’argento (Avrei voluto vedere le facce dei lettori… “ninna nanna fiorellino” N.d.A). L’altare
per la messa nera, sui colli che da Montecalvo corrono fino a Pianoro, è pronto. Tutto va
fatto prima che la luna, viaggiando nel cielo, lascia al buio quell'angolo perverso di bosco
(Ha ha ha!!! N.d.A.). Lo spiazzo è largo e i seguaci di Belzebù hanno il tempo di portare la
vergine fino al sasso sul quale sarà sacrificata. Non è ovviamente in gioco la vita (Si, solo
la nostra reputazione visto che abbiamo sempre affermato di non essere un gruppo
fideistico, quindi di non fare rituali messianici, ma d’essere un gruppo pagano che
riconosce Satana come la Conoscenza insita nell’uomo… N.d.A.) ma al termine della
messa la fanciulla avrà perso un valore che forse non avrà messo in gioco
spontaneamente. L’inchiesta della magistratura sui riti dei “Bambini di Satana” apre
scenari sconcertanti e il pubblico ministero Lucia Musti sta facendo scandagliare macchie
collinari, chiese sconsacrate, casolari sperduti e appartamenti per ricostruire la mappa dei
luoghi nei quali la setta operava. La sede della “Bambini di Satana corporation”, nella
centralissima via Riva Reno, è stata sigillata. I carabinieri hanno sequestrato
videocassette, documenti, dischetti da computer e una polverina che verrà esaminata al
più presto dai periti. (Attenti ora… N.d.A.) E’ droga? E’ incenso? Oppure è rosmarino in
polvere? Ma ciò che più importa è il “floppy” con l’elenco degli adepti (Mai esistito poiché
gli iscritti erano regolarmente registrati su un archivio cartaceo a disposizione dei controlli.
N.d.A.). Cinque o seicento nomi a disposizione degli inquirenti. Tutti invasati ma spesso
anche vittime che, per stupida credulità, hanno versato nelle casse del Satana di turno
pacchi di milioni (Ma da dove esce??? L’iscrizione era di lire centomila annue per le spese
di gestione socio!!! Questa è una libera invenzione di Canditi! N.d.A.). Non a caso, accanto
all’inchiesta penale per lo stupro subito da una sedicenne della Bassa (Lo da per certo
N.d.A.), si muove un’indagine fiscale e amministrativa che lascerà il segno (Un milione di
multa per la mancata bollatura di un registro da parte della commercialista… così si è
conclusa l’indagine della Guardia di Finanza. N.d.A.). Marco Dimitri, il “Deus ex machina”
dei Bambini di Satana, il suo vice e Gennaro Luongo (tutte e re accusati di violenza
carnale e ratto a fine di libidine) verranno interrogati oggi pomeriggio dal giudice per le
indagini preliminari Grazia Nart e dal pm Lucia Musti, il penalista Nicola Chirco, che
assiste i primi due, riferisce che i “sacerdoti” (SIC! N.d.A.) negano d’aver usato violenza
sulla sedicenne. Dimitri ammette di averla vista una volta sola in compagnia del Luongo.
Nulla di più. Ma al rito avvenuto (E continua pure a darlo per certo, brav'uomo! N.d.A.) in
un fienile della bassa (Ma non aveva detto d’essere narcotizzata e di non sapere dove si
sia svegliata? N.d.A.), secondo l’accusa hanno preso parte tutti e tre. La parola della
ragazza contro la loro. Ma agli atti deve esserci qualcosa di più, altrimenti non sarebbero
scattate le manette (Ti sbagli, le manette sono scattate senza avere in mano nulla altro
che sia un racconto. N.d.A.). La minorenne è stata ascoltata a lungo dalla Musti. Non è
stato facile vincere la paura e il comprensibile riserbo della fanciulla. Ma la vicenda, fra un
silenzio e una lacrima, pare sia emersa in tutti i suoi contorni.
Roberto Canditi “
L’articolo è corredato dalla foto dei soli miei occhi e la didascalia: “Nella foto, gli occhi di
Marco Dimitri”.
Ho messo delle “Note d’Autore” per evidenziare alcuni punti dell’articolo. Ero già stato dato
per stupratore dal più letto quotidiano bolognese, anche se il luogo cambiava e, da altare
sotto la luna piena, era diventato un fienile. Addirittura un condimento ritrovato dai
carabinieri era diventato, nella fantasia di Canditi, incenso o droga. Andato
all’interrogatorio ero già accusato dall’articolo di essere stupratore certo, possessore di
droga, milionario truffatore con tutto l’intento di negare quello che era già evidenza. A nulla
serviva dire quello che era la verità.
Arrivati in tribunale salimmo al secondo piano dell'edificio. Ero convinto che l'equivoco si
sarebbe risolto, non mi aspettavo di trovarmi nell'anticamera di un complotto atto a
devastare me: il Diavolo in persona.
Vennero interrogati per primi i miei due coimputati, io rimasi in attesa con le manette ai
polsi davanti a numerosi giornalisti. Intanto, ebbi occasione di leggere le accuse in modo
più dettagliato: Elisabetta Dozza dopo avere bevuto il caffè nella nostra sede è salita su
una Panda bianca di proprietà del Luongo, lungo la strada abbiamo caricato una quarta
persona che chiamavamo "Maestro". La Dozza perde i sensi e si risveglia, forse nel bagno
della sede o forse in aperta campagna con un dolore ai genitali e capisce d'essere stata
stuprata.. Il "maestro" è un ragazzo che in realtà esiste davvero, non è il membro
carismatico di un'oscura setta ma bensì un personaggio di folklore, un amico di paninoteca
che chiamavamo così per via del suo vantarsi di sapere tutto su tutti, uno di quei
personaggi da "bar sport" in una narrativa di Stefano Benni. Un nome ironico per un
personaggio simpatico. Il colpo di scena: il Maestro non era in Italia nel periodo in cui
erano collocati i fatti, era all'estero in Tailandia con tanto di passaporto timbrato che
sbandierava a destra e manca per edurre la compagnia della paninoteca delle sue gesta
di intellettuale viaggiatore. Partito il primo di novembre 1995, rientrato in Italia il 21 della
stesso mese: come poteva essere presente il 19 sull'auto assieme a me, il vice presidente,
Luongo ed Elisabetta Dozza? L'interrogatorio dei miei due coimputati divenne più lungo
del previsto. Attesi, attesi tanto ma l'orario era ormai tardo e il mio interrogatorio venne
rimandato alla mattina successiva; io che ero convinto d'essere liberato subito! Mi
vergogno tuttora della mia ingenuità. Uscì il giudice Grazia Nart e disse col mio avvocato
che il gatto era stato trasferito al "gattile", "Così, quando vogliono andare a prenderlo..."
disse e quella frase mi aprì uno spiraglio di speranza. Non avere l'ombra di un parente
vicino, non avere nessuno accanto, in una situazione come questa che descrivo, è orribile
senti come di stare affogando e di non avere un appiglio ove ancorarti, senti d'avere solo
le tue pinne che puoi dimenare ritmicamente per far si che il corpo si alzi un po' più del
livello della acqua (o merda visto la situazione) per non affogare, senti che le forze sono
quelle di un ragazzo e che alla fine scemeranno. La mattina dopo venni nuovamente
infilato dentro al cellulare assieme a un immigrato "Mustafà" che mi parlò durante tutto il
tragitto carcere / tribunale andata e ritorno a spese dei contribuenti (grazie) senza che io
capissi una sola parola. Ancora una volta al secondo piano, ancora una volta i flash dei
fotografi prima che i carabinieri accompagnatori mi togliessero le manette e mi facessero
entrare nell'ufficio del giudice Grazia Nart ove era presente il Pubblico Ministero
Dottoressa Lucia Musti e un signore dalla corporatura obesa che seppi essere il
Procuratore Dottor Luigi Persico. Preciso che l'accusa era di avere narcotizzato una
ragazza per poi abusare di lei assieme ad altre tre persone di cui una era chiamata
"maestro". Il Dottor Luigi Persico mi fece un mucchio di domande sull'attività del gruppo
"Bambini di Satana" mi chiese se percepivo soldi dai giornalisti per i vari articoli apparsi in
Italia, mi chiese quanto costassero i nostri corsi, quanto costassero le nostre magliette.
Solo il Giudice Dott. Grazia Nart mi interrogò in base alle accuse riportate sul mandato di
custodia cautelare. Ecco cosa risposi: "Ho effettivamente conosciuto la ragazza che ci
accusa, è venuta col suo ragazzo Gennaro Luongo che non vedevo da tre anni a iscriversi
i primi di ottobre, una sera verso le 21. Dopo l'iscrizione andammo, io, il «vice presidente»,
ragazza e ragazzo in un pub a bordo della macchina con cui erano venuti quest'ultimi. Nel
pub prendemmo da bere, io una coca cola, la ragazza una camomilla tanto che mosse
una mia espressione di ilarità nel sentirla ordinare una bevanda così depravata in un pub
ove di solito la gente si ingozza di birre e patatine, il «vice presidente» e l'altro presero una
birra in due. Un'oretta e ci accompagnarono in ufficio per poi andarsene senza salire nei
nostri locali. Una delle due volte che vidi la ragazza accusatrice di una cosa che non avrei
mai fatto, la seconda è stata in un pub vicino all'ufficio ove eravamo soliti recarci quasi
tutte le sere verso le 23 per un panino o una bevanda, la ragazza entrò col suo compagno,
oggi coimputato, si fermò un paio di minuti alla nostra tavolata ove eravamo seduti in una
decina. La coppia disse d'essere di passaggio e che era entrata per un saluto, in
quell'occasione Elisabetta Dozza vide il Maestro che, come al suo solito, era intento a
raccontare qualche episodio eclatante della sua vita". Lucia Musti chiese allora chi fosse il
maestro, le spiegai che era un compagno di paninoteca, che veniva chiamato così poiché
era un personaggio che si vantava di sapere tutto, che mai aveva fatto parte dei Bambini
di Satana, che il nomignolo gliel'avevamo dato per ilarità, dissi il vero nome e cognome. Il
giudice prese cinque giorni per deliberare. Fui ricondotto in carcere. Le guardie, nel tragitto
del lungo corridoio che conduceva alla mia cella, si facevano scherno di me con commenti
cui serve poca fantasia per immaginarne il contenuto. Attesi cinque giorni in una cella del
braccio 2D in cui nel frattempo ero stato portato: il “braccio degli infami” era chiamato. In
quella cella durante l’attesa della sentenza venivo spesso reso oggetto di scherni: croci
improvvisate con nastro isolante e collocate sulla porta della cella, sveglie notturne alle ore
più impensabili in cui le guardie mi facevano fare il "cu cu": dovevo entrare in bagno e, al
loro bussare nel muro, uscirne fuori dicendo: "Cu cu! Sono le due e trenta di notte", questo
si verificava alle 23, alle 2,30, alle 4. Arrivò la sentenza del giudice in cui era dichiarato
che: il vicepresidente era spedito a casa agli arresti domiciliari, io e Luongo restavamo li,
in carcere. Le motivazioni sono le solite che reggono in piedi una custodia cautelare senza
prove oggettive: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento della prove, pericolo di
reiterazione del reato. Intanto la stampa continuava il suo linciaggio: "Anche bambini nella
setta demoniaca”, invenzione di Roberto Canditi del quotidiano bolognese “Il Resto del
Carlino” che riporto per conoscenza:
“Bologna – c’erano anche i ragazzini nella setta demoniaca dei “Bambini di Satana”;
l’indagine della magistratura, aperta dalla denuncia di una sedicenne che è stata drogata e
violentata (Ancora una volta il buon Roberto Canditi spaccia l’episodio per vero. N.d.A.),
ha aperto scenari allucinanti. Ai riti partecipavano anche dodicenni che firmavano la
propria scheda di iscrizione col sangue (Tutte le schede furono state visionate dai
carabinieri ma nessun ragazzino dodicenne era mai stato trovato. Questa è pura
invenzione di un “giornalista” che mira al massacro stampa, ormai eccitato dalla carriera.
La gente legge il giornale e, ovviamente, crede a ciò che legge, in parte o nel totale, ma
qua si parla di bimbi che inneggiano a Satana e di me che, probabilmente, mi leccavo i
baffi nel vederli. Ero diventato agli occhi della gente: stupratore, pedofilo circuitore di
bimbetti. Questo grazie a Roberto Canditi che continuava a riempire la gente di balle
attraverso i suoi articoli. N.d.A.). Nel floppy disk sequestrato nella sede della setta, fra i
seicento nomi degli adepti ci sono anche quelli di 50 minori, alcuni non ancora adolescenti
(Ma nemmeno Pinocchio le sparava così! N.d.A.). Nelle videocassette in possesso degli
inquirenti ci sarebbero esplicite scene di sesso (Avevo dei video porno commerciali che
furono sequestrati durante la perquisizione. N.d.A.); i magistrati hanno inoltre ricevuto
segnalazioni che sembra prospettino casi di violenza anche più agghiaccianti di quello dal
quale ha preso il via l’indagine.
Roberto Canditi”
Ebbene, ero al centro di un mare di menzogne, in un gioco che continuava a incrementarsi
da solo, giorno dopo giorno. L’opinione pubblica era manovrata da giornalisti forcaioli e da
gente disposta al massacro per uno straccio di carriera. Il fantomatico GRIS ovviamente
non perse l’occasione di soffiare altre bolle di sapone nelle teste dei cittadini ormai
ubriacati dalle innumerevoli balle che continuavano a cambiare in continuazione.
Ovviamente sul “Carlino” apparve:
“SETTE / L’INDAGINE GRIS
“Un escalation preoccupante”
Servizio di Paolo Giacomin
Nell’ultima colonna del portico di via Marsala, verso via Zamboni, c’è uno strano graffito:
una stella a cinque punte, rovesciata. E, sopra, il numero 666, il numero della Bestia, di
Satana. Graffiti metropolitani o segno di una tendenza che sta prendendo sempre più
piede –quella del satanismo anche sotto le Due Torri? “C’è un escalation, non abbiamo
dubbi e coinvolge soprattutto i ragazzi, il mondo giovanile –spiega il dottor Ferrari,
coordinatore bolognese del GRIS che sta per gruppo di ricerca e informazioni sulle sette –
Difficile dare un numero, una cifra esatta, ma la ricerca di esperienze esoteriche è
sicuramente in aumento. Molto spesso dietro alle persone che finiscono nelle sette c’è un
senso di malessere verso il modo di vivere contemporaneo. Quella che una volta poteva
sfociare nella contestazione politica e che, magari, oggi trova sfogo nei riti magici”.
Tendenza pericolosa? Non c’è dubbio. I fatti su cui la magistratura sta indagando sono
eloquenti. “Fatti spiacevoli non c’è dubbio, ma quello che è accaduto, se i giudici
accerteranno che così sono andate le cose, potrebbe accadere all’interno di qualunque
setta demoniaca – continua Ferrari – I “Bambini di Satana”, il gruppo fondato nell’82 da
Dimitri e il «vice presidente», è sicuramente la setta più nota anche se, di loro, non si
sapeva nulla di più di quello che loro stessi raccontavano. Tuttora si sa ben poco.
Ultimamente parlavano di 400 iscritti e di aderenti anche all’estero. Sicuramente avevano
contatti con gruppi di satanisti a livello mondiale. A contribuire al loro successo è stata
anche la pubblicità che Dimitri, diventato a modo suo un personaggio, è riuscito a farsi:
intervistato apparendo in tv , ricercato un po’ da tutti. E intanto ha fatto proseliti. Tra l’altro
ci risulta che all’interno dei “Bambini di Satana” ci siano state delle sorte di scissioni e
siano nati altri gruppi, autonomi ma ancora senza un’identità e un nome preciso”. L’altra
parte della storia delle sette le scrivono, spesso loro, malgrado, le persone più deboli che
entrano, poco a poco, in un gorgo in cui è difficile uscire: “I familiari, gli amici, pero’, se ne
accorgono subito: le persone più care cambiano completamente, sembrano persone
diverse e non riescono, specie i più deboli, nemmeno a rendersi conto di cosa sta
accadendo loro.. Molti addirittura, credono di essere ormai irrimediabilmente perduti. Che
nessuno possa più fare niente per loro. Anche se non è così”.
Com’è facilmente notabile, il sant’uomo, cerca il lato criminoso delle culture alternative,
che deve per forza esserci, anche se il gruppo è un’associazione di soli studiosi.
L’equazione “non cattolico = criminale” è più che evidente. Ferrari non può quantificare i
satanisti, però suppone che dietro l’aspetto filosofico ci sia di più. E proprio quel “di più” la
piattaforma di lancio del GRIS. Ufologi, psicologi, palestre yoga, mormoni, testimoni di
Geova, protestanti sono classificati dal GRIS come “sette”. Quest’ultimo termine è stato
demonizzato a tale punto da rivelarsi un’associazione a delinquere. Quando una persona
entra a fare parte di un culto non cattolico, qualsiasi esso sia, attira le ire dei familiari, degli
amici che si preoccupano di cosa penserà la gente vedendo un loro componente lontano
dal culto d’etichetta perbenistica. Nemmeno si preoccupano di sapere quale filosofia
supporta quel tipo di culto abbracciato dal familiare. Ogni azione diviene sbagliata, ogni
pensiero scorretto e criminalizzato al suono di “Sono loro che ti hanno messo in testa
queste cose…” “Ti hanno fatto il lavaggio del cervello!”. Ecco che entra in gioco il GRIS
con mille ipotesi e suggerimenti, il primo dei quali è quello di rivolgersi all’autorità
giudiziaria. Personalmente sono anni che affermo che i “Bambini di Satana” sono
un’associazione culturale. Risultato? Il GRIS continua la sua opera, continua a dire che
siamo una setta. Le dichiarazioni sono quasi identiche a quelle lette nell’articolo fatte da
Ferrari. Quando al GRIS viene chiesto un riscontro quest’ultimi non sanno fornirlo. La
gente appartenente ai “Bambini di Satana” è sempre stata libera d’entrare e uscire, io
sono il presidente fondatore e non un santone. Eppure vengo dipinto come il sommo capo,
il lestofante che rincorre i portafogli. Lo scopo del GRIS? Quello di criminalizzare le culture
non cattoliche, sono i vigili urbani della Chiesa, supportatori del monoteismo, sapendo che
nuovi culti equivale a meno fedeli. Ma torniamo all’inchiesta.
Carcere, un rogo che dura tutta la vita
Era l'alba e avevo in mano la sentenza, in me scattò qualcosa. Decisi di uccidermi, di
tagliarmi le vene appena scesa la sera con una lametta trovata nascosta nella cella, non
volevo stare la dentro innocente, in quella condizione. Pensai che il carcere era per i
colpevoli, che la vita è una perdita di tempo, di un’insieme di azioni che non servono a
nulla, che ogni persona saggia si sarebbe uccisa poiché la vita non ha senso, quello che ci
hanno insegnato non ha senso, l'universo è una palla senza senso. Un pastone di vermi
intenti a mangiare, ingannando. La vita era inganno, un inganno che inizia ai tempi delle
fiabe, continua con la scuola, con la normale “informazione, una bugia da non vivere se
hai
un
minimo
di
sentimento.
Cosè il carcere? Muri alti per separare i diversi dalla gente comune, più i diversi sono
dietro spesse mura più i normali si sentono bene e si stimano. L’autocompiacimento della
persona comune è direttamente proporzionale al carico di cui si grava il “mostro” di turno.
Quindi le mura debbono essere spesse, la società si sente pulita in questa maniera.
Il carcere è una vendetta della società, la rieducazione non esiste, c’è solo un goffo
tentativo di giustificare chi ti ha fatto finire li, privandoti della vita, lasciandoti in un limbo.
In qualche stato estero si uccide con l’iniezione letale, la follia comune porta anche questo
ad essere considerato “giustizia”. Un sacrificio umano compiuto da una setta di cretini.
Perché solo un cretino mette la morte a tutela delle probabilità, a sigillo di una tutela che in
realtà non cè.
Ero talmente amareggiato, stavo così male da essere felice di farla finita, non vedevo l'ora
che la sera scendesse e le guardie riducessero i loro passaggi di controllo, non volevo più
stare in quella cella ad osservare il corridoio ed a respirare la “puzza di minestra” che vi
aleggiava. Circa alle 21 presi il foglio in cui era stata scritta la sentenza, con una penna
scrissi "sono innocente", mi misi a letto e mi coprii con la pesante coperta; iniziai a
tagliarmi le vene, a spingere la lametta: sei, sette, otto tagli per polso ed il sangue iniziò a
sgorgare. Nascosi le mani sotto la coperta e mi addormentai pensando di morire durante
la notte. Mi svegliai regolarmente la mattina, il sangue si era tutto coagulato attorno ai
polsi. Per paura di ritorsioni non dissi nulla, il mio tentativo venne scoperto il giorno
successivo quando, ad uno scherno di una guardia, risposi selvaggiamente prendendo a
calci e pugni la porta blindata della cella e dicendo: "Mollami! Hai capito? Levati!" la
guardia sbiancò per la mia reazione ed io svenni per la debolezza e fui condotto in
infermeria ove mi misurarono la pressione e si accorsero che i miei polsi erano pieni di
tagli. Successe un macello, venni messo sotto stretta sorveglianza con una guardia 24 ore
su 24 che mi osservava ed annotava le mie gesta, tutte le mie gesta. Fui portato dallo
psicologo, vennero i miei avvocati: "Sei impazzito? Se fai così non uscirai più! Da
sottoterra non si esce, da qua prima o poi esci! Abbiamo fatto ricorso al Tribunale del
Riesame, entro quindici giorni avremo una nuova udienza, non fare cazzate!". Fu così, non
feci altre gesta azzardate ed aspettai. Qualche giorno dopo, ricordo che era un sabato, ci
fu il riesame presso il Tribunale. Il giudice ascoltò me e Luongo, l'arringa degli avvocati
che era forte in vari punti: Elisabetta Dozza aveva affermato d'essersi recata all'ospedale
di Budrio, nella zona dove lei abitava, per una visita di controllo dopo la violenza carnale.
Allo stesso ospedale era stato risposto che nessuna persona col nome Elisabetta Dozza
era mai andata a farsi esaminare. Il Maestro non era in Italia. All'epoca in cui venivano
poste le accuse. Dopo quattro giorni di attesa in cella arrivò la sentenza: non vi erano
elementi per sostenere una custodia cautelare io ed il «vice presidente» eravamo liberi,
Gennaro Luongo spedito agli arresti domiciliari per un periodo preventivo di trenta giorni
poi libero anche lui. "Satana sei libero!" disse una guardia e non me lo feci ripetere due
volte. Uscito dal carcere fui preso d'assalto dai giornalisti ai quali non potevo che ripetere
l'orrore della situazione che stavo vivendo. Tornai a casa ma la mia abitazione era sotto
sequestro per ordine di Lucia Musti. Non avendo parenti ho dovuto girare l'intera città per
trovare un albergo a prezzi contenuti e soprattutto disposto ad accogliere me: il mostro dei
giornali. Trovai una pensioncina e vi rimasi due notti. All'alba del terzo giorno i carabinieri
dissequestrarono l'appartamento. Entrato in casa avrei voluto avere una macchina
fotografica a disposizione: tutto smontato, cassetti gettati all'aria assieme al loro
contenuto, un mare di carte, fogli, pezzi di mobilio smontato non mi lasciavano nemmeno
un tratto per camminare. Ci misi due ore per trovare il letto e rimontarlo. I vicini di casa
suonavano il campanello e mi consigliavano di cambiare abitazione dicendo che si erano
riuniti e avevano deciso che mi avrebbero fatto sfrattare. Non ero più io, inaspettatamente
quei giorni di carcere avevano lasciato in me qualcosa che io percepivo con un sapore a
livello del palato, come una luce oscura nel mio corpo, come un grido di una persona
tornata dalla morte. Intanto Lucia Musti appariva giorno per giorno sui giornali, affermando
d'avere in mano prove schiaccianti, d'avere fatto ricorso presso la Cassazione contro la
nostra scarcerazione. Le date d'accusa cominciavano a cambiare, Elisabetta Dozza non
era più sicura, forse il fatto era accaduto il 24 o il 25 di novembre. All'ospedale di Budrio si
era recata sotto falso nome. Pochi giorni dopo i giornali scrivono che Elisabetta Dozza era
stata salvata da un passante mentre era intenta a tentare di gettarsi da un cavalcavia nel
fiume Reno. Gli stessi giornali riportano una frase virgolettata della Dozza: "Dimitri è libero
e io mi uccido". Rientrato a casa, di fronte ai residui della perquisizione fui colto dalla
depressione più nera, scrissi un biglietto: "Elisabetta Dozza perché hai inventato tutto?
Musti perché?" e ingoiai una scatola intera di sonniferi. Mi svegliai regolarmente il giorno
dopo al suono del campanello: era il «vice presidente» anche lui allarmato da continue
minacce di un'altra imminente carcerazione. Assieme tentammo di riordinare l'ufficio ma
abbiamo dovuto ricorrere all'ausilio di altri nostri amici.
Inviammo poi un fax al GRIS:
“Grazie GRIS
A nome dei Bambini di Satana, ancora un grazie per tutto quello che ci avete fatto e ci
state tuttora facendo, grazie. Che il vostro dio vi perdoni per le cattiverie che ci avete fatto
subire nel nome del vostro falso ideale.
N.B. Avete dimostrato di essere corrotti e malvagi, ma avete tralasciato un piccolo
particolare degno dei mafiosi: se proprio volete eliminarci, fatelo una volta per tutte.”
Il GRIS rispose entro un quarto d’ora con un altro fax, qualche riga:
“Non è colpa nostra, siete voi col vostro comportamento”.
Questo fu un fatto straordinario perché mai sino ad allora il GRIS rispose ai nostri
comunicati, ai nostri scherni, alle nostre bambinate. In passato gli riempimmo la segreteria
telefonica di messaggini idioti: “Pronto, gruppo ricerca sette? Ma non le avete trovate?
Sono fra le sei e le otto!” “Pronto, c’è Giuseppe brummm, Giuseppe brrrummm, Giuseppe
Ferrari?”. Siccome la segreteria telefonica aveva come messaggio: “Questa è la segreteria
telefonica del GRIS, gruppo ricerca e informazioni sulle sette. This is the phone of
GRIS…” gli lasciammo un messaggio che suonava così: “This is the phone dei Bambini di
Satana…” e azionammo un asciugacapelli. Scherzi innocui inoltrati ad ogni uscita sui
giornali di loro dichiarazioni contro i culti alternativi..
Un fax spedito ai giornali dall’ ”Istituto Politeista” datato 1 marzo 1996 arrivò presso la
nostra sede:
“Per l’agenzia ANSA
L’Istituto Politeista di Vicenza esprime profonda solidarietà con l’ordine dei Bambini di
Satana e con il suo fondatore Marco Dimitri. Pur non condividendo lo stile di vita e la
dottrina religiosa di tale gruppo non possiamo tacere di fronte alla inquisizione giudiziaria
cui è vittima tale congrega satanista. Ancora una volta il vero e più pericoloso satanismo
si annida nel GRIS e negli apparati del SISDE
Ancora una volta si spaventano le masse con i roghi e con lo spettacolo horror”
Già qualcuno aveva aperto gli occhi.
Ci preoccupammo di recuperare il gatto, anche lui chissà come stava soffrendo!
Telefonammo a diversi gattili descrivendolo nei particolari; infine lo trovammo. Era in
periferia, arrivammo sul posto con un taxi color blu notte, il custode quando ci vide
sbiancò: "Il... ga..tto sta bene... ha... ha... mangiato tutto!" ma io replicai: "Mi sembra un po'
dimagrito..." "NO! E' il cambiamento di posto che l'ha un po' stressato!" lo mise dentro una
gabbietta e ce lo restituì: "Quanto dobbiamo per il disturbo?" "Niente!". Così anche il
gattino tornò a casa. Nei giorni successivi fui chiamato in due trasmissioni televisive:
"Diversi" in onda su Rai 2 e una diretta su Rete 4 condotta da Cecchi Pavone. In entrambi
i casi venni presentato come accusato di stupro. Nella trasmissione "Diversi" erano
presenti alcuni sacerdoti cattolici con la bava alla bocca tanto erano forti delle accuse che
gravavano su di me e lo scrittore Bevilacqua, descritto tanto intelligente ma che non si
accorse che ero vittima di una manovra politica.. Ovviamente attaccato dai prelati:
"Ragazze non andate da Dimitri che vi mette sull'altare e vi usa" e da uno degli ex mostri
di Firenze: "Merda umana!" Ecco cosa penso!". Ma l'opinione è opinione, non voglio
criminalizzare queste brave persone, voglio raccontare i fatti di un'inchiesta che porta il
mio nome.
Spunta il bambino
Troppe lacune, l'inchiesta era divenuta una mina vagante pronta ad esplodere in mano a
chiunque, le date erano incerte, il 18 o il 19 novembre ma uno degli imputati non era in
Italia, il 24 o il 25 novembre ma si scopre che a mezzanotte del 24 novembre Gennaro
Luongo a bordo della propria auto in compagnia di Elisabetta Dozza viene fermato e
multato dai carabinieri a Ravenna dopo essere passato col semaforo rosso . La Corte di
Cassazione se ne lava le mani e spedisce di nuovo gli incartamenti al Tribunale del
Riesame poiché motivino in modo più ampio la loro decisione. Sui quotidiani iniziano ad
apparire notizie riguardanti un bambino di due anni e mezzo chiamato col nome fittizio di
"Federico". Federico, a detta dei genitori, racconta di essere stato infilato in una bara da
dei "dadi cattivi" in presenza della sua cuginetta di 14 anni che gli faceva da baby sitter.
L'episodio sarebbe avvenuto dopo che il bambino era stato portato in una casa di colore
rosso e nero (io ho una piccola stanza tempestata di articoli, più volte apparsa in
televisione di colore rosso e nero) . Nella bara, continua il racconto, vi era una persona
vecchia e brutta coi dentoni il cui nome era Margherita. L'episodio incalza giorno dopo
giorno, il bambino addirittura era stato portato dai genitori da due noti preti esorcisti i quali
"gli hanno dato una robusta benedizione". Psicologi, recitano i giornali, hanno escluso che
il bambino possa essere stato influenzato da qualche film. I genitori erano stati bene
attenti a fargli vedere solo videocassette di Walt Disney. Inizia il colpo di scena, l'episodio
si ingigantisce, il bambino inizia ad indicare la mia fotografia e quella degli altri due
coimputati che vedeva sul giornale lasciato inavvertitamente sul divano dai genitori.
Federico inizia a indicare le nostre foto che ci ritraevano in manette in mezzo ai
carabinieri, indica e si abbassa i pantaloncini indicando l'ano e gridando: "fuca fuca" "Sono
i dadi cattivi!". Quello che sta per accadere è un delirio. Il sei giugno viene richiesto da
Lucia Musti il nostro arresto per violenza su minore, il Giudice Grazia Nart lo firma ed il
giorno successivo alle sei della mattina Lucia Musti e i carabinieri irrompono di nuovo in
casa mia con un mandato di custodia cautelare. Questa volta io e Lucia Musti iniziamo a
litigare: "Stavolta hai sbagliato in pieno, questo bimbo nemmeno lo conosco!" la replica
della Musti davanti ai carabinieri fu: "Non è colpa mia, l'arresto non l'ho firmato io!".
Dannatamente vero, l'aveva soltanto richiesto. Riporto, per conoscenza del lettore, l’atto di
custodia cautelare supportato da sole dichiarazioni, supposizioni e nessuna prova
materiale.
“ 7 giugno 96
N. 14/ 96 R.G.N.R.
N. 15/ 96 R.G.I.P.
Tribunale di Bologna Sezione dei giudici per le indagini preliminari.
Ordinanza di custodia cautelare in carcere. Artt. 272 e segg., 285 c.p.p.
Il Giudice Dott. ssa Grazia Nart
Esaminata la richiesta in data 13.5.96 del Pubblico Ministero Dr. L. Musti nel procedimento
n. 14/96 N.R.
Per l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di Marco Dimitri, «vice
presidente» e Gennaro Luongo (ometto i dati personali di tutti N.d.A.)
In relazione ai reati di
a) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv e 524, 605, 61 n. 2 CP (attualmente applicabile
dopo la legge 15.2.1996 n.66 che ha abrogato l’art. 524 CP) perché in concorso tra
loro e con altre persone non potute identificare in considerazione della giovane età
della persona offesa, con più azioni eseguite di un medesimo disegno criminoso, al fine
di eseguire il delitto sub b), privavano della libertà personale il minore (omissis)
conducendolo nella sede della setta di via Riva Reno, nonché in casolari abbandonati
della provincia di Bologna ivi ritenendolo e comunque privandolo della libertà nei tempi
di trasferimento in vari luoghi in giorni diversi anche per utilizzarlo in pratiche non
sessuali, come rinchiuderlo in una bara; (Come si può notare, date, luoghi non sono
conosciuti a Grazia Nart. N.d.A.)
b) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv, 609 quater CP inserito dalla legge 15.2.1996 n.
66 (attualmente applicabile dopo l’abrogazione, ex art. 1 stessa legge, degli artt. 519 e
521 CP ) perché, in concorso tra loro e con altre persone non potute identificare in
considerazione della giovane età della persona offesa, con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso, compivano in vari luoghi, tra cui un cimitero, atti sessuali
su minore (omissis N.d.A.) di anni 2 e mesi 69 (Riporto com’è effettivamente scritto
sull’atto. N.d.A.) che veniva sottoposto anche a penetrazione a mezzo di “matita” e
“dita” e costretto a coiti orali;
c) del delitto p e p dagli artt. 110, 407 CP perché in concorso tra loro e con altre persone
non potute identificare, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso,
violavano una tomba in cui era sepolta tale "Margherita" prelevandone la bara ed
introducendovi, successivamente, il minore (omissis N.d.A.); (Roba da X – files,
oltretutto Grazia Nart non aveva nemmeno in mano una bara, un cimitero profanato,
una denuncia di scomparsa di cadavere, alcuna prova per affermare quest‘accusa.
N.d.A.).
d) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 411 CP perché in concorso tra loro, sottraevano il
cadavere di “Margherita” e la relativa bara nella quale, successivamente, vi
introducevano il minore (omissis. N.d.A.).
In Bologna e luoghi imprecisati della provincia (Mamma mia! N.d.A.) nei mesi di giugno,
luglio e agosto 1995 (Nemmeno il mese in cui sarebbe successo sapeva! N.d.A.)
Letti gli atti osserva:
A carico di Luongo Gennaro, Dimitri Marco e «vice presidente» sussistono gravi,
concordanti e univoci indizi di colpevolezza in ordine ai soli reati contestati di cui agli art.
110, 81 cpv., di cui agli art. 519 e 521 c. p. con esclusione del reato di cui al capo a)
dell’imputazione.
Gli indizi dei reati contestati ai capi b), c) e d) dell’imputazione si desumono innanzitutto
dalle dichiarazioni estremamente particolareggiate della parte offesa (Omissis. N d A.) il
quale riferiva nonostante la tenera età – anni 2 e mesi 6 all’epoca dei fatti.
A tale proposito è emerso che (Omissis N.d.A.) è solito vedere, per scelta dei genitori, solo
cartoni animati di Walt Disney, con esclusione perciò di tutti quei film dell’ “orror” che
possano ingenerare nel bimbo fantasie macabre o a sfondo sessuale.
La perizia effettuata dalla psicologa Cheli dell’ USL Azienda Nord di San Giorgio di Piano
(cifr. All. 1), confermano che effettivamente il piccolo è stato oggetto di utilizzo ripetuto nel
tempo in rituali cosiddetti satanici con implicazioni di natura sessuale, escludendosi che le
situazioni narrate possano essere frutto di pura fantasia per la particolarità – come già
detto – dei fatti narrati, per i riscontri oggettivi di talune situazioni, per il riscontro fornito da
persona presente ai riti ed inoltre perché esse trovano corrispondenza reale nelle
descrizioni concernenti lo svolgimento dei rituali satanici che coinvolgono bambini piccoli
(Le descrizioni sono di “esperti” del GRIS della Curia. N.d.A.). Le circostanze riferite dal
bambino, di chiara portata sessuale, si sono infatti sicuramente verificate nell’ambito dei
riti c.d. satanici.
Le prime avvisaglie della grave e traumatizzante situazione vissuta dal bimbo vengono
riscontrate dai familiari, nel momento in cui il bimbo d’ottimo appetito comincia, circa alla
fine dell’estate (settembre) 1996 (ma l’anno era il ’95 N.d.A.) a rifiutare il cibo con un
minimo di consistenza, sfamandosi solo con il latte; egli ancora rifiuta il cambio dei
pannolini, evita di stare in compagnia del solo padre (fino a poco prima interscambiabile
con la madre), soffre di frequenti disturbi del sonno e di crisi d’ansia. Poco alla volta
comincia a riferire alla madre e all’amica di famiglia (Omissis. N. d. A.), persona a cui il
bimbo veniva spesso affidato e che lo accudiva, alcune situazioni che gli procuravano
durante il racconto, crisi di paura, d’ansia e di angoscia. Si leggano in particolare alcuni
passi della perizia: “(la baby sitter N.d.A.) ha fucato nel mio letto” li dove il termine “fucare”
deriva chiaramente dall’inglese “to fuck” “Il bimbo ha bevuto quello che fa il fuca”,
spiegando successivamente meglio e mettendo così in condizione gli interlocutori di
ripugnanti sevizie cui è stato costretto: “il bambino è stato fucato” ; “E’ stato fucato con un
dito e con una matita” e laddove è scritto che il bambino ha mimato i rapporti sessuali ed
in particolare le sevizie, attuate con le dita, con la matita e schiacciandogli l’organo
sessuale, cui è stato sottoposto.
Ancora è il bambino a parlare di “Aizel”, termine che non appartiene al linguaggio dei
bambini ed identifica Aizel col «vice presidente» che riconosce fin dal primo momento
dell’apparizione di quest’ultimo sul giornale all’epoca del suo arresto, specificando che lui
era stato promesso a Aizel e di avere subito pesanti minacce se avesse raccontato
qualcosa agli altri. Ancora il bambino racconta di essere stato nella casa di Dimitri e
descrive puntualmente tale luogo ove spesso venivano consumati la maggior parte dei riti,
ossia “una stanza nera e rossa” (La mia abitazione ha un ingressino rosso tempestato di
articoli di giornale: facevamo i rituali nell’ingersso? N.d.A.) corrispondente esattamente
alla sede della setta “Bimbi di Satana” (SIC! N.d.A.) di via Riva Reno. La madre ipotizza
che li vi fossero animali, forse insetti (Coraggio, arriva al dunque visto che sul giornale
c’era scritto che avevo una tarantola. N.d.A.), poiché il bimbo , pur non avendo mostrato
timore nei confronti dei ragni (anzi li catturava con le mani), ha evidenziato segni di grande
turbamento e di aggressività vedendo un ragno rappresentato in uno dei suoi libri. Ed in
effetti presso la sede di via Riva Reno venne trovata (Peccato che l’avessimo acquistata a
gennaio ’96. N.d.A.) all’epoca dei primi arresti, una tarantola viva appartenente a Dimitri.
Ancora il bambino riferisce di un luogo dove è stato portato (dichiarazione dell’ AMICA DI
FAMIGLIA ai carabinieri in data 31. 1. 96 dopo CINQUE MESI di distanza dall’epoca in
cui l’episodio sarebbe accaduto… N.d.A.). descrivendone le modalità di accesso: “C’è una
chiave che hanno il Tedesco e Aizel, un cancello ed una fontana, si sentono i treni, si
scende giù, è buio , c’è la porta di Margherita”, li ove tale momento costituisce il momento
successivo della precedente violazione di sepolcro, condotta quest’ultima anch’essa dei riti
satanici (affermazioni di “esperti” del GRIS. N.d.A.). Il bambino continua questo macabro
racconto narrando, con il linguaggio proprio dei bimbi in tenera età, di essere stato
introdotto in una bara e di essere venuto a contatto con il cadavere di “Margherita” dicendo
che “è vecchia, molto brutta, ha i dentoni, la sua casa è buia e fredda, è vestita di bianco e
ha i piedi nudi”. Su sollecitazione (Notasi “sollecitazione” N.d.A.) della signora (Omissis.
N.d.A.), riferisce sempre la madre, il bambino ha propriamente mimato l’apertura della
“casina”, rappresentando strumenti quali il piccone e il palanchino. “Aprono le tombe,
battono margherita e la portano via”. “I dadi cattivi portano via anche i teschi più piccoli”. In
quel luogo, lontano da casa, il bimbo dice d’essere stato condotto dalla baby sitter e da un
certo “Lorenzo con la moto” in motocicletta (Tutti qua si chiederanno come tre persone, di
cui un bimbo di due anni e mezzo, in una motocicletta in pieno agosto non vengano notati
dalla Polizia Municipale. N.d.A.). Ad ulteriore conferma si legga l’annotazione dei C.C. di
Medicina in data 12.02.1996 contenente la denuncia della madre la quale riferiva d’essersi
recata in vari cimiteri – Mezzolara di Budrio, Borgo Panigale, Ferrara, Castenaso ed altri la
cui caratteristica fosse quella di trovarsi nelle vicinanze di una linea ferroviaria. – La
ricerca di un cimitero avente la caratteristica di cui sopra veniva giustificata dal fatto che il
bimbo le avrebbe detto che nel luogo in cui andavano a trovare “Margherita” si sentivano
passare i treni. Il bambino parla di Marco Dimitri ( anche lui “dado cattivo” ) e lo descrive
come “quello brutto coi capelli lunghi”. Nella perizia si afferma che il fatto che il bambino
cominci a un certo punto a togliersi i calzini e ad annusarsi i piedini sembra essere la
ripetizione di una condotta vista fare nel corso di riti satanici (E qua vediamo quanto
“esperta” era la perizia che non considerava il gesto come una scoperta olfattiva del corpo
bensì un rituale satanico peraltro mai esistito nella storia. Di alcun culto, religione,
disciplina alternativa Che significato rituale ci sarebbe nell’annusarsi i piedi? N.d.A.).
Ancora il bimbo riferisce un’altra circostanza e cioè l’uso di forbici lunghe sul corpo,
particolare puntualmente riscontrato nel corso della perquisizione (E venuto fuori solo
dopo la perquisizione… le forbici trovate erano in realtà pinze dall’estremità ad anello che
usavamo per il piercing e cioè per mettere orecchini, l’estremità forata aveva il compito di
fare passare l’ago. N.d.A.) in data 24.04.96 e 4.05.96 durante la quale sono stati reperiti
degli attrezzi sul cui utilizzo riferisce la perizia medico legale disposta dal P.M.
I terrificanti racconti del bimbo trovano puntuale conferma nelle dichiarazioni di Elisabetta
Dozza (Guarda un po’ chi sostiene l’accusa solo quand’essa è venuta fuori a livello
giornalistico e non prima. N. d. A.) rese al P.M. in data 24.04.1996 e 4.05.1996 la quale,
improvvisamente presa dall’esigenza di narrare numerosi particolari, sino a quel momento
taciuti, di cui era a conoscenza per essere stessa adepta della setta e per avere spesso
partecipato a riti satanici, si presentava spontaneamente confermando l’uso del bambino
nel rituale satanico e fornendo una descrizione dettagliata dei fatti e dei riti a quali il
piccolo fu costretto a partecipare, pienamente conforme alle narrazioni del bimbo (E’
utilissimo dire che Elisabetta Dozza e il bimbo erano stati oggetto di “robuste benedizioni”
da parte dello stesso esorcista Padre Clemente Leonardi della Basilica di San Francesco
in Bologna e le dichiarazioni furono fatte solamente dopo queste pratiche religiose. N.d.A.)
e alle risultanze della disposta perizia sul minore. La conoscenza dei fatti da parte della
Dozza altro non è che il risultato della sua densa esperienza satanista. La Dozza
innanzitutto fornisce la motivazione (Dannatamente uguale a quella esposta dagli “esperti”
del GRIS. N.d.A.) possta alla base dell’uso del minore in tenera età in un rito satanico:
trattandosi di soggetto innocente e quasi per definizione vicino a Dio, infierire e cagionare
sofferenze ad un bambino, significa cagionare e infierire sofferenze a Dio (Ho sempre
sostenuto di non credere al Dio cristiano o al Satana cristiano, che Satana significa
“avversario” ed è l’uomo eretto nella Conoscenza, avversario degli idealismi religiosi che
quest’ultima distrugge. N.d.A.). Tale interpretazione è confermata dall’annotazione dei
carabinieri di Medicina in data 7.02.1996 riguardanti le deposizioni di Padre Clemente
Leonardi, noto “esorcista “ (Lupus in fabula. N.d.A.) e dalla perizia. Ella descrive
l’escaletion (Lo riporto com’è stato scritto. N.d.A.) di “iniziazioni” e di “prove” alle quali è
stata sottoposta, come del resto accadeva a tutti gli adepti, nell’ambito dei riti satanici. Una
di queste è stata proprio assistere (ed anche, a parere di questo GIP, a partecipare) alle
violenze operate sul bambino. È sempre la Dozza che conferma attività di natura sessuale
sul bambino, quali introduzioni di matite o dito nel suo sedere e l’effettuazione di riti
orgiastici in sua presenza (ed effettivamente il piccolo riferisce che “la baby sitter legge il
libro e fa la magia con Tedesco – mimando il gesto del coito – la baby sitter alza i piselli”
ed inoltre narra dei rapporti orali col bimbo, dell’uso nei riti satanici di cadaveri e
dell’effettiva introduzione del piccolo in una tomba. Da ultimo, ad ulteriore riprova, si
leggano le sconcertanti dichiarazioni della madre e dell’amica di famiglia in data 3.06.1996
ai carabinieri di Medicina che riferiscono le confidenze effettuate dal bimbo in relazione ai
rapporti sessuali subiti. Orbene non concorda questo GIP con la valutazione effettuata dal
P.M. sulle dichiarazioni rese dalla Dozza la quale non è solo “persona informata sui fatti”
ma deve essere considerata, in base alle sue stesse affermazioni, correa nella
perpetrazione delle condotte contestate. (Perché allora Elisabetta Dozza non è stata
messa in carcere? Mistero della fede. N.d.A.) . Per sua stessa ammissione infatti non solo
era presente e partecipava ai riti durante i quali si usava violenza sul minore ma addirittura
in una occasione, durante le sevizie effettuate sul bambino con il dito e con la matita, la
Dozza si era prestata a tenere le gambe del bimbo il quale, ovviamente tentava di
ribellarsi. Orbene, il disposto di cui all’art. 63 c.p.p. imponeva al P.M. di interrogare la
Dozza con la presenza di un difensore, emergendo chiaramente sin dalla deposizione in
data 24.04.1996 indizi di reità a carico della stessa. Sebbene queste dichiarazioni non
possano essere attualmente utilizzate nei confronti del dichiarante, ossia della Dozza,
tuttavia per giurisprudenza, esse – ai sensi dell’art. 63 c.p.p. – possono essere utilizzate
contro terzi (Cass. Sez. I, 7.02.1992, pag. 423; VI, 30.05.1991 n. 6007; sez VI, 20.05.1993
n. 5226, Sez. I, 25.03.1995 n.377; sez. VI 19.07.1995 n.8057. “ Le dichiarazioni rese da un
soggetto che, pur dovendo assumere la veste d’imputato, sia stato, ciononostante, sentito
senza difensore, sono inutilizzabili nei confronti dello stesso dichiarante ma non vi è
ragione per escluderne l’utilizzabilità nei confronti di un terzo dato che la “ratio” della
norma è ispirata alla tutela del diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini” e
costituiscono perciò anch’esse riscontro alle dichiarazioni della parte offesa e della perizia
agli atti. D’altra parte la peculiarità della situazione psicologica della dichiarante e la
particolarità intrinseca dei fatti narrati avrebbero dovuto consiliare il P.M. ad adottare ogni
cautela nell’esame della stessa anche a evitare il minimo sospetto di coartazione della
sua volontà. (Svelato il mistero della Fede, Elisabetta Dozza sapeva di potere accusare
qualcuno a suo piacimento, di autoaccusarsi per rendere il tutto più credibile senza finire in
carcere. N.d.A). Ad ogni buon conto le modalità dei fatti e i personaggi indicati dalla Dozza
trovano inoltre piena conferma sia nelle già citate risultanze peritiali (Gli “esperti” del GRIS.
N.d.A.) sia dalle indagini di polizia giudiziaria sin qui espletate. (Non è assolutamente vero
visto che i carabinieri non avevano trovato alcuna prova. N.d.A.) Inoltre è sempre la Dozza
che introduce nella vicenda riguardante il bambino un altro personaggio: Gennaro Luongo.
Egli aveva il compito, secondo le sue dichiarazione, di “reclutare” il materiale umano per i
riti. Del resto anche il piccolo menziona “Tedesco, la baby sitter, Aizel, Marco, Paride,
Milena, Elisabetta, Giovanni, Mario, Alessandra, Laura, Rino (soprannome di Gennaro
Luongo), Giacomo con la moto. (Dichiarazioni dell’amica di famiglia ai carabinieri di
Medicina in data 3.06.1996). Le risultanze delle indagini e le dichiarazioni della Dozza
hanno permesso di individuare nella baby sitter il tramite tra il bambino e i satanisti ed in
particolare col «vice presidente». Ciò appare sicuramente provato nonostante [gli amici
minorenni della baby sitter quattordicenne] tentino di accreditare una diversa ricostruzione
dei fatti (i poveri ragazzini continuavano a dire la verità, cioè che non era vero nulla di
quelle accuse ma venivano non creduti. N.d.A.) ed in particolare dell’episodio avvenuto
nell’abitazione dei genitori del bimbo in data 26.08.1996 in modo tale da escludere la
conoscenza e frequentazione della baby sitter con il «vice presidente».(dichiarazioni ai
carabinieri in data 31.01.1996 e della baby sitter in data 9.02.1996, 5.03.1996 e
14.03.1996 al P.M.; confronto innanzi al P.M. fra la baby sitter ed il Tedesco; confronto
videoregistrato innanzi al P.M. in data 20.03.1996 con contestuale riconoscimento
effettuato dall’amica di famiglia). Si concorda sul punto con le conclusioni del P.M. e cioè
che il tentativo espletato dai tre minorenni di ingenerare confusione sull’esatta
configurazione del “Tedesco”, fornendo una descrizione platealmente incompatibile con
quella dell’altro Tedesco che ella assumeva essere presente la sera del 26.08.1996 nel
giardino dell’abitazione del bimbo. (Preciso che il «vice presidente» era stato accusato
d’essere nel giardino di casa del bimbo, quella sera, dall’amica di famiglia che lo avrebbe
visto assieme alla baby sitter ed al suo fidanzato. Entrambi dissero che il «vice
presidente» non era mai stato li, che con loro c’era il “Tedesco” un ragazzo che affermò
d’essere stato lui presente in quell’occasione, il vero “Tedesco”. N.d.A.) . La baby sitter,
sempre nel chiaro intento di ingenerare confusione, chiama il “Tedesco” Giovanni quando
lo stesso “Tedesco” ammette al P.M. che la stessa conosceva bene il suo nome di
battesimo. A riprova della falsità delle sue dichiarazioni, nel chiaro tentativo di negare la
sua conoscenza con il «vice presidente» e pienamente consapevole d’essere l’anello di
congiunzione fra la setta ed il bimbo si sottolineano le dichiarazioni del Prof. Adamo (nome
fittizio. N.d.A.), amico di famiglia, il quale racconta d’avere visto, un giorno d’agosto 1995,
la baby sitter ed il bimbo, seduto sul sellino di una moto e ad una persona che poi
successivamente, nell’ambito di ricognizione fotografica e personale, identifica per il «vice
presidente». A ulteriore riprova si evidenzia, come già riferito, l’esito positivo della
individuazione svolta dalla madre del bambino, sul «vice presidente» quale persona
presente nel suo giardino in compagnia della baby sitter. Infine appare opportuno
osservare come la baby sitter nella sua condotta assolutamente negatoria, trovi costante
sostegno nella madre anch’essa frequentatrice della setta (Mamma mia!!! N.d.A.), anche
se per motivi non satanici (dichiarazione di Elisabetta Dozza 9.05.1996). Le dichiarazioni
della Dozza, la sua conoscenza di uomini e situazioni, trovano infine una ulteriore
conferma nelle positive individuazioni della baby sitter e di un’amica, segno evidente del
coinvolgimento dei due minori nei riti satanici sul bimbo e della profonda conoscenza da
parte della Dozza di Dimitri e della sua attività (riferisce ad esempio di avere visto la madre
della baby sitter nella sede di via Riva Reno). In base agli elementi riportati si può perciò
affermare, con tranquillante sicurezza, che il bambino è stato veramente vittima, per
mezzo della baby sitter, di riti satanici con la perpetrazione delle condotte contestate nelle
richieste del P.M. sub B) C) e D) da parte di Dimitri e del «vice presidente», presidente e
vice presidente della setta “Bambini di Satana” che il bambino ben conosce e da parte del
Luongo la cui posizione processuale viene meglio chiarita per mezzo delle dichiarazioni di
Elisabetta Dozza. Rileva il GIP, da ultimo, come le condotte contestate sub C) e D),
perseguibili d’ufficio, siano comunque connesse ex art. 12 con quella contestata sub B). Si
sottolinea infine come non sia invece ravvisabile, a parere del GIP, l’ipotesi di cui all’art.
524, 605, 61 n.2 c.p. così come contestata. Invero la baby sitter del bimbo aveva avuto
dalla zia in affidamento ed in custodia il piccolo. La giurisprudenza ha avuto modo di
affermare che “ai fini della configurabilità del reato di sequestro di persona deve
prescindersi dall’esistenza nell’offeso di una capacità volitiva di movimento e istintiva di
percezione della privazione di libertà per cui tale delitto è ipotizzabile anche nei confronti di
infermi di mente o di paralitici e di minori. Se però l’azione repressiva della libertà di
movimento viene imposta ed è attuata nei limiti strettamente indispensabili, nell’esercizio
di potestà disciplinari espletate principalmente nell’ambito della convivenza familiare quali,
ad esempio, l'attività di custodia di alienati, oggi delegata ai familiari, l'assistenza di
interdetti per incapacità di intendere e di volere affidati all'assistenza e sorveglianza di
tutori, vigilanza di anormali, di infermi, soggetti ad imprevedibili reazioni o movimenti ecc.
rimane esclusa la punibilità dell’ipotesi delittuosa in esame o comunque viene a mancare
l’intenzionalità del compimento di un attentato all’altrui libertà. Tale impunibilità è esclusa
anche in presenza di modalità di attuazione del potere – dovere di custodia e sorveglianza
che introducono ingiustificati trattamenti trasmodanti il legittimo esercizio di esso le quali
non possono trasferire, di per se, il riprovevole comportamento sotto lo schema delittuoso
del sequestro di persona, ma qualora tale comportamento sia integrativo di un’ipotesi di
reato – nella specie maltrattamenti in famiglia – sarà eventualmente punibile sotto tale
diverso titolo “ (Cass. Sez V, n. 1342 del 6.02.1987).
Ritiene il GIP che si tratti di delitti di notevole gravità per i quali l’unica misura adeguata,
proporzionata ai fatti e idonea a garantire le esigenze cautelari esistenti di cui all’art. 274
lett. C) c.p.p. , sia quella della custodia cautelare in carcere. Trattasi infatti di condotta
grave in quanto attuata per mezzo di violenza su bambino in tenera età che viene
sottoposto ad ogni tipo di sevizie pur di infliggere, per suo tramite, sofferenze a Dio, tali da
provocargli una vera e propria malattia, com’è dato desumere dalla risultanza della perizia.
Trattasi inoltre di condotte attuate nell’ambito di una “setta religiosa” e perciò stesso
abusando della credulità e dello stato di soggezione degli adepti. Sussiste pertanto il
concreto pericolo di reiterazione criminosa di cui all’art.274 lett. C) c.p.p. dovendosi evitare
la reiterazione di fatti analoghi attuati attraverso un’opera di plagio su soggetti di giovane
età e minorenni. Ed essendo emerso dalle indagini di polizia giudiziaria che la pratica di riti
a sfondo sessuale del tipo di quelli denunciati, costituisce la filosofia ispiratrice della setta:
è emerso infatti che l’utilizzo di bimbi in tenera età riveste un ruolo di notevole importanza
in quanto è mezzo attraverso cui si determina sofferenza a Dio perciò piacere a Satana ed
è emerso l’utilizzo di altri minori.
Visto l’art. 291 e segg. c.p.p. ordina agli ufficiali e agli agenti della polizia giudiziaria di
procedere alla cattura.
Bologna 6.6.1996”
Ho omesso i nomi, usato il termine “baby sitter” “madre del bambino” “amica di famiglia”
ecc. per evidenti motivi di privacy.
Quello che immediatamente trapela è l’uso nell’inchiesta di persone minorenni, facilmente
trasformabili in individui da me plagiabili e in seguito non punibili. Questo per costituire in
me il grande demone da eliminare. Analizzando quanto sopra Elisabetta Dozza partecipa
alla violenza fisica di un bimbo di due anni e mezzo, compie rituali orgiastici assieme a noi,
un bel giorno la narcotizziamo per abusare del suo corpo anche se ce lo concedeva
durante le orge. Lei stessa ci denuncia per stupro asserendo che successe all’epoca in cui
mi aveva conosciuto ed era entrata nel gruppo dei Bambini di Satana” e cioè a novembre
1995.. Immediatamente dopo cambia la data e ad agosto 1995 era insieme a noi nelle
orge, teneva i piedini al bimbo mentre lo violentavamo e si autoaccusa alla Procura. Gli
“esperti” del GRIS della Curia da anni affermano che i satanisti violentano i bimbi per fare
dispiacere a Dio. Un’ipotesi che non ha mai avuto riscontro. Allora mettiamo che sia tutto
vero e il sole girasse attorno alla terra, che io sia un satanista di stile cristiano che
identifica il male come il Diavole e il bene come Dio, volutamente scelgo il male e di
profanare Dio perché mi da fastidio, mettiamo che io sia così imbecille da portare una
“vittima” quasi neonata nel mio appartamento dentro un condominio di quaranta nuclei
familiari che mai fanno gli affari propri tanto da indispettirsi ogni qualvolta venisse un
giornalista ad intervistarmi. Mettiamo anche che sia così fortunato che nessuno veda me,
un bimbo ed alcuni minorenni penetrare nella mia abitazione. Ma quanto può piangere un
bimbo violentato in quel modo? Nessuno sente nulla? Ci sarebbero impronte in casa mia.
Perquisita varie volte non si trova nulla? Perché il bimbo nota il ragno e non il mio gattino?
Perché Elisabetta Dozza era presente alle sevizie in casa mia e non nel fantomatico
cimitero? Facile, perché il cimitero non esisteva, casa mia si sa dov’è. Perché il bimbo non
parla di noi all’epoca dei fatti ma inizia a parlarne quando la prima inchiesta stava
declinando? E perché nessun genitore trovò tracce di violenza su di lui quando il fatto
sarebbe immediatamente successo? Perché non sono state trovate tombe profanate, bare
scoperchiate, cadaveri vaganti? E quanto può puzzare una salma di una vecchia in pieno
agosto? Una salma che oltretutto “ha i dentoni” viene “battuta” c’è il “palanchino” come
nella videocassetta del “Dracula” di Ford Coppola trovata nell’abitazione del bimbo.
Perché Elisabetta Dozza impara dettagli sul bambino solo dopo essersi recata dal buon
esorcista Padre Clemente Leonardi? Come sapeva che autoaccusandosi non sarebbe
finita in prigione? Quesiti cui solo il lettore colto può dare una risposta. Luongo si trovò in
carcere con un mandato di cattura in cui vi era scritto che, a detta di genitori religiosissimi,
tanto da portare il figlioletto dall’esorcista perché si annusava i piedini, il loro bimbo aveva
detto la parola “Rino”. Luongo non era certo un satanista, era il classico “ragazzo di
campagna” come lo definiva Carla Mei, suo legale. Un bonaccione che entrò nei “Bambini
di Satana” tre anni prima che scoppiasse l’inchiesta e vi restò per circa un mese. Credeva
che affiancandosi al “diavolo” gli avrebbe aperto le glorie del successo nello sport del
calcio. Una volta appreso che il gruppo non riconosce il “satana cristiano” ma chiama
“Satana” cioè “Avversario” la presa di coscienza della mente umana che diviene il vero
“dio epicentro” dell’universo, allora se ne tornò sui suoi passi e non si vide più sino
all’epoca di novembre 1995 quando portò con se una ragazza di cui era innamorato:
Elisabetta Dozza. Con lei Luongo aveva passato momenti intimi, si era investito del
carisma dello “spiritista” andando con la ragazza in un casolare di campagna in piena
notte. I due erano in possesso di tonache e cappucci fatti dalla madre di Luongo. Cosa
fecero? Una seduta spiritica, chiamarono gli spiriti, chiacchierarono. Tutto li, una ragazzata
di paese, ma Elisabetta affascinata da quelle “tenebre” chiese al ragazzo di conoscere me
e così successe, mi conobbe e si iscrisse. L’unica volta che venne nella nostra sede.
Un’iscrizione e una trasferta al pub. Probabilmente in lei restò il fascino della “setta alla
film horror” e la sua mente fece il resto. Ma questa è solo la mia ipotesi, non posso dare
pareri spudorati su una ragazza che ho visto una sola volta. Sta di fatto però che lei oggi,
1999, fa spogliarelli in locali notturni della riviera Romagnola, armata di crocioni capovolti e
teschi finti. Ma torniamo al secondo arresto.
Di nuovo in caserma a Medicina, sirene spiegate, riti di prassi. Alle nove usciamo dalla
caserma sotto un mare di giornalisti armati di macchine fotografiche, telecamere,
microfoni: "Dimitri, ci sono nuove accuse su di lei!" " Si e sono tutte balle!" la mia replica
alla domanda del TG5. Di nuovo in carcere, questa volta nessuno di noi viene picchiato.
La sera stessa dalla cella di smistamento vengo portato in isolamento al braccio "2A".
L'accusa merita d'essere riportata nel suo completo per conoscimento del lettore:
Elisabetta Dozza afferma che la sua conoscenza coi Bambini di Satana non era più
avvenuta nel periodo ottobre/novembre 1995 bensì nell'agosto 1995, lei stessa era
presente alle sevizie su Federico tanto che lo teneva stretto per i piedini durante un rituale
in un cimitero di periferia. Racconta di come le otto persone abbiano caricato una bara e
un cadavere a bordo di un furgoncino e tutte insieme sullo stesso mezzo abbiano
raggiunto il cimitero alla periferia di Bologna. Fra le otto persone oltre che me c’erano:
Gennaro Luongo, il «vice presidente», la baby sitter, la nostra sacerdotessa Emanuela, vi
erano personaggi noti come: Efrem del Gatto, Cristina Bagnolini.
Elisabetta Dozza
sapeva dove Federico abitava, assieme a lui ha preso una serie di "robuste benedizioni"
dai due preti esorcisti presso la Basilica di San Francesco in Bologna. Queste accuse
vengono condite con indizi: Federico rifiutava il cambio del pannolino, faticava a mangiare
dal biberon questo perché aveva vissuto qualcosa di traumatizzante. Federico si annusava
i piedini e sicuramente, annusarsi i piedi, era un rituale satanista che aveva osservato fare
da noi. Federico diceva in più circostanze "Fuca, fuca" e, secondo Lucia Musti e il GIP
Grazia Nart, certamente "fuca" deriva dal verbo inglese "to fuck" quindi il bambino era
stato stuprato. Come fosse poliglotta restava nel mistero. Federico dice in varie
circostanze che "l'animale che fa miao è il gatto, il gatto è un uomo" questo riconduceva
senza ombra di dubbio ad Efrem del Gatto (vero nome Gatti Sergio) sessantenne mago di
Roma apparso più volte in programmi televisivi e capo carismatico di un movimento
"luciferiano", personaggio che sbarcava il lunario facendo il cartomante e l'occultista.
Elisabetta Dozza dichiara che la "sacerdotessa" di Efrem è Cristina Bagnolini, la stessa
era apparsa più volte sulla stampa nazionale autoeticchettatasi "La strega dei Castelli"
Cristina Bagnolini non era una satanista ma un'attrice di teatro che recitava in commedie
sulle streghe e i sabba. Una nota di colore che non può passare inosservata: in Italia gli
unici satanisti che si sono fatti vedere su giornali e televisioni siamo appunto io, Efrem del
Gatto, Cristina Bagnolini. Senza considerare il fatto che Del Gatto non era satanista, la
Bagnolini era un'attrice. Accusare la Bagnolini d'essere satanista è come accusare Andrea
Roncato d'essere un prete che fa le indagini per conto dell'ispettore Sammarchi! Nessun
"satanista nascosto" è stato tirato in ballo. Le accuse, gli indizi, venivano incrementati da
"esperti" del GRIS e dell'Azione Cattolica come, ad esempio il Professor Michele Del Re
già autore di libri forcaioli sui crimini dei satanisti, ovviamente senza riscontri oggettivi, libri
basati su leggende metropolitane riconosciute per tali dall'F.B.I. E' utile affermare che
Lucia Musti non aveva in mano la minima prova per effettuare la richiesta di arresto, non si
è nemmeno chiesta la domanda più semplice che torno a riportare: "Ma quanto può
puzzare un cadavere in pieno agosto? Ma non ci si sta vicino nemmeno a cento metri di
distanza!" e nemmeno si è ritrovata fra le mani una tomba rotta, una bara, un pezzo
d'osso: nulla di ciò, la nostra accusa era sostenuta da Elisabetta Dozza, da un bimbo di
due anni e mezzo e dalle convinzioni di "esperti" nella caccia alle streghe. Ad incastrare
Luongo vi era l'accusa di avere portato il bambino a bordo di uno dei suoi numerosi
furgoncini dati in dotazione dalla ditta di libri presso cui era rappresentante. Nessuno fa
caso alle dichiarazioni di Elisabetta Dozza la quale narra che otto persone, una bara, un
cadavere, un bambino di due anni e mezzo erano a bordo di un furgoncino il quale
attraversava Bologna in pieno agosto! La custodia cautelare, questa volta, durò un anno.
Nella cella, appena introdotto, avevo una tale voglia di fumare che arrivai ad estrarre un
mozzicone dal water che avevo nel piccolo bagno della mia nuova dimora, ad asciugarlo
al sole, a sterilizzarlo con la fiamma dell'accendino e a fumarmelo. Dalla mia finestra con
sicure sbarre d'acciaio e una rete a maglie strette vedevo i detenuti passeggiare nel cortile
di cemento. "Stupratore!" un ometto calvo e grosso gridò verso me, ad interromperlo fu
una specie di Boss a torso nudo e con gli occhiali neri: "Taci pirla, non vedi che la Musti li
ha presi in mezzo? Dagli subito delle sigarette!". Sigarette! Urca, wow! Ma come le
prendevo? "Prova a strappare il lenzuolo!" dissero dal cortile. Feci di meglio, un pezzo di
lenzuolo ed alcuni metri di cavo elettrico che strappai da una cavità aperta nel muro del
bagno. Dopo vari tentativi riuscii a calare giù la strana lenza che avevo costruito, tornò su
con una decina di sigarette che feci passare ad una ad una dai buchi della griglia. Io non
vedevo il sole a scacchi, lo vedevo a pallini! Non avevo il televisore in cella, non ancora
nonostante continuassi a chiederlo e lo stesso fosse "ministeriale" ed ognuno avesse per
regolamento il proprio. Un detenuto mi lanciò un pacco di giornalini: "Lando" "Messalina"
"Storie Nere" "Corna vissute" "Cappuccetto Rotto" "Zanna Bianca". Per primo lessi Zanna
Bianca, lo divorai. Poi i restanti giornalini, piano piano per non restare senza amici invisibili
che mi tenessero compagnia. Ricordo che vi era un buco fra la mia cella e quella
adiacente, un buco dove due ragazzi mi passavano qualche sigaretta. Come di prassi, due
giorni dopo l'arresto vi è stato l'interrogatorio da parte del Pubblico Ministero Lucia Musti
ed il giudice per le indagini preliminari Grazia Nart. Caricato sul furgone dei carabinieri fui
condotto in tribunale, durante il tragitto guardavo le strade della mia città attraverso la
feritoia di un finestrino, mi chiedevo se mai più le avrei percorse coi miei piedi, la gente, le
automobili mi sembravano parte di un altro mondo: io ero una realtà come loro facente
parte dello stesso istante, nello stesso posto ma con la differenza che io sarei tornato
dentro la mia tomba. La città non mi era mai sembrata così bella. L'interrogatorio merita
d'essere riportato per intero.
TRASCRIZIONE DELLA REGISTRAZIONE FONOGRAFICA DELL'INTERROGATORIO
DI DIMITRI MARCO SVOLTISI IL GIORNO 10/06/96
GIP GRAZIA NART: Allora lei è Dimitri Marco, nato a Bologna il 13/02/73...
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: ... ivi residente in via Riva Reno 56.
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: E' difeso dall'avvocato Chirco e Clausi Schettini... Clausi Schettini...
AVV. SCHETTINI: Guido
GIP GRAZIA NART: Guido. Senta, dove elegge domicilio? In via Riva Reno, 56?
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: Titolo di studio?
DIMITRI: Attestato di telecomunicazioni
GIP GRAZIA NART: Ha un attestato di telecomunicazioni. Professione? Me l'ha già detto
l'altra volta...
DIMITRI: Imprenditore
GIP GRAZIA NART: Presidente della B.d.S. no?
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: Imprenditore. È sposato, no?
DIMITRI: no
GIP GRAZIA NART: Celibe
DIMITRI: Celibe
GIP GRAZIA NART: E' formalmente incensurato, sottoposto ad altri procedimenti penali?
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: Dunque, intende rispondere a questo interrogatorio?
DIMITRI: Certo.
AVV. CHIRCO:: Io debbo fare una... una richiesta preliminare.
GIP GRAZIA NART: Si
AVV. CHIRCO:: Io ritengo che non sia possibile per un difensore prendere conoscenza
degli atti del processo alle ore 13 di sabato perché soltanto alle ore 13 ci sono stati messi
a disposizione. Io sono venuto alle 10, 10 e mezza dopo che questi... Dimitri e il «vice
presidente», i miei clienti, erano stati arrestati. Ho detto che erano stati arrestati, mi è stato
detto non ho la disponibilità... non ho l'ordine, la disposizione di mettere a disposizione gli
atti processuali. Io sono andato via, convinto quindi che sarebbero stati messi a
disposizione lunedì, fortunatamente è rimasto l'avvocato Guido Clausi Schettini, il quale li
ha avuti alle ore 12...
AVV. SCHETTINI: 12 e mezza...
AVV. CHIRCO:: ... 12 e mezza... si. O ... questa udienza ha uno scopo, ha una funzione.
Io so benissimo che dal punto di vista di rito si può fissare il giorno dopo nell'ambito dei
cinque giorni però il nuovo codice di procedura penale vuole mettere sulla stessa
posizione, quanto meno, di... nell'ambito di quella che è ciascuna udienza, il più possibile
paritetica l'accusa e la difesa. Io credo che in questo caso un'udienza fissata al lunedì alle
10 con il carcere chiuso alla domenica, io ho chiesto di poter andare in carcere doma... ieri
per parlare con Dimitri e non mi è stato consentito. Quindi la possibilità... non ho avuto la
possibilità...
GIP GRAZIA NART: Da chi le è stato vietato? Dalla direzione del carcere?
AVV. CHIRCO:: Come?
GIP GRAZIA NART: Da chi le è stato vietato?
AVV. CHIRCO:: Io ho chiesto se posso visitare una persona in carcere, mi è stato detto...
è
un'istruzione che c'è...
GIP GRAZIA NART: Da chi?
AVV. CHIRCO:: No da nessuno però so che in carcere non ci si può andare di domenica e
quindi... e poi, altro discorso, per poter andare in carcere a parlare con Dimitri, avrei
dovuto prima studiare gli atti del processo e quindi, siccome gli atti del processo ci sono
stati dati... sabato alle 18... alle 15 son terminate le fotocopie, ho dovuto fare una fotocopia
per me. Mi è mancato materialmente il tempo per potere conferire con il cliente, per poter
studiare gli atti del processo.
Quindi io chiedo formalmente, nel rispetto di un principio che non è codificato ma che
appartiene al diritto della difesa di poter preparare quest'udienza nei termini dovuti, io
chiedo di... che questa udienza sia spostata di due, tre giorni per consentire alla difesa di
studiare gli atti del processo.
GIP GRAZIA NART: Allora prima le rispondo informalmente poi formalmente. Purtroppo
questo ufficio è di turno, ha udienza... ha udienza domani, udienza dopo domani. Io fra
l'altro... comunque non l'ho fissato io, l'ha fissato la mia collega ma l'avrei fissato anch'io
lunedì perché è l'unico giorno libero che ho. Quindi i termini di legge sono rispettati... a me
dispiace...
AVV. CHIRCO:: Si d'accordo, il problema è che qui si gioca sulla libertà... si gioca... è in
gioco, non si gioca, è in gioco la libertà personale di tre persone.
GIP GRAZIA NART: Comunque avvocato, posso dire una cosa? Se anche gli atti sono
stati fatti sabato pomeriggio, è già tanto perché qui alle due van tutti via, c'è la domenica
per studiare...
AVV. CHIRCO:: Certo, la domenica per studiare 500 pagine quando il P.M. ce l'ha da sei
mesi questo processo... e anche lei giudice per emettere un'ordinanza di custodia
cautelare li ha studiati almeno 20, 25 giorni...
GIP GRAZIA NART: Con una broncopolmonite in mezzo...
AVV. CHIRCO:: D'accordo... ma io non discuto mica...
GIP GRAZIA NART: Cioè non vorrei delle polemiche di questo tipo... perché... e poi sulle
catture non ci sono termini, quindi potevo tenerlo tre giorni come un mese.
AVV. CHIRCO:: Non discuto... dico...
GIP GRAZIA NART: Ho altre cose da fare, non è che ho solo questo...
AVV. CHIRCO:: ... per carità però mi pare che sia preminente ad ogni processo... ad
ogni...
nell'ambito della valutazione dell'urgenza di ogni processo, il fatto che qui si discute della
libertà
personale di una persona e quindi, come tale, questo processo ha preminenza su ogni
altra cosa. Si potrà rinviare un altro processo, non è caduto il mondo quando si è rinviato
un altro processo a differenza di qualcun altro...
GIP GRAZIA NART: Le posso dire che non è un processo a differenza di qualcun altro... [
rumori di fondo ] ce ne sono anche di più gravi.
AVV. CHIRCO:: Non ne discuto, io penso che questo è un processo... oggi abbiamo detto
che è più importante... abbiamo letto sulla stampa che è più importante del processo dei
Savi...
GIP GRAZIA NART: Non lo condivido...
AVV. CHIRCO: Neanch'io lo condivido però è stato scritto.
GIP GRAZIA NART: E' stato scritto... questa è un'altra polemica sulla quale non vorrei...
per
favore perché...
AVV. CHIRCO: No, io mi riferisco a quello che ho letto: è una dichiarazione ufficiale del
Pubblico Ministero, non è una dichiarazione nostra perché ci siamo astenuti da rendere
dichiarazione alle banche... alla stampa... e io ho letto oggi sul giornale una dichiarazione
di questo genere.
GIP GRAZIA NART: Allora il giudice, sulla richiesta della difesa, rilevato che sono stati
rispettati i termini di legge per la fissazione dell'interrogatorio, che avviene già nel terzo
giorno dalla cattura; rilevato che non è possibile per... rinviare l'udienza, posto che l'ufficio
ha altri concomitanti impegni, rigetta la richiesta e dispone procedersi oltre. Allora ci sono
altre questioni preliminari? Intende rispondere?
DIMITRI: Si
GIP GRAZIA NART: Allora lei ha letto l'ordinanza di custodia cautelare e le imputazioni
che sono quelle di cui al capo b) c) e d) e penso che sia stata rigettata quella di cui al capo
a) e in particolare vengono contestati atti di tipo sessuale su un bambino minore nonché
appunto il reato di cui all'articolo 407, violazione di sepolcro e sottrazione di cadavere. Le
fonti sono quelle che sono indicate... cosa vuole dire?
DIMITRI: Si... io questa gente non l'ho mai conosciuta. Io, della gente menzionata,
conosco la
Dozza... che l'ho vista a ottobre, come ho detto l'altra volta... i primi di ottobre, una volta
sola.
GIP GRAZIA NART: Allora contesto gli addebiti, le persone menzionate non le conosco.
Conosco solo Dozza Elisabetta che vidi una volta sola... in settembre ha detto?
DIMITRI: Ai primi di ottobre!
GIP GRAZIA NART: I primi di ottobre. Ecco vorrei dire che questo bambino, come è
chiaramente spiegato, lungi dal pensar che si possa essere inventato delle cose...
DIMITRI: Io sono convinto che non si è inventato
GIP GRAZIA NART: Ecco e da delle particolarità che poi sono state anche riscontrate, ad
esempio quella della sua abitazione, nera e rossa che mi sembra, se non sbaglio,
corrisponda a verità
DIMITRI: Si... adesso la mia... è andata sui telegiornali di tutto il mondo la mia abitazione
per
cui...
GIP GRAZIA NART: Va beh... un bambino di tre anni...
DIMITRI: Vede la televisione...
GIP GRAZIA NART: Quindi lei [ uso il nome di Federico per mantenere l'anonimato del
bambino] Federico non lo conosce?
DIMITRI: No.
GIP GRAZIA NART: Allora non conosce Federico, il fatto che il bambino abbia riferito
particolari oggettivamente riscontrati...
AVV. CHIRCO: E diciamo quali però!
GIP GRAZIA NART: Si, un attimo...
AVV. CHIRCO: Siccome lei ha detto particolari...
GIP GRAZIA NART: ... tipo la mia abitazione, il colore della mia abitazione...
AVV. CHIRCO: Chiediamo soltanto che... descriviamo questi particolari dell'abitazione,
sarebbero?
GIP GRAZIA NART: ... non vuol dire niente in quanto la mia abitazione è andata su tutti i
giornali.
DIMITRI: Si, il pomeriggio, di mattina e di sera, dappertutto... sui giornali, su tutte le
televisioni.
GIP GRAZIA NART: Allora chiedo all'avvocato di descrivere... prego...
AVV. CHIRCO: No, io chiesto soltanto che si dicesse quale particolare è stato contestato a
Dimitri. Quindi è stato contestato il rosso e nero, che sia messo a verbale che gli viene
contestato...
DIMITRI: Esatto...
GIP GRAZIA NART: Il colore... in particolare...
AVV. CHIRCO: In particolare che gli è stato contestato...
GIP GRAZIA NART: Gli è stato contestato il colore della stanza rosso e nero [ da un
appartamento rosso e nero è diventato una stanza rossa e nera!!!*]
AVV. CHIRCO: Va bene, ok!
P.M. LUCIA MUSTI: Anch'io vorrei dire qualcosa. Se risulta a Dimitri che sia stata ripresa
dalla TV anche la tarantola
DIMITRI: Uhm... non lo so, questo non lo so.
P.M. LUCIA MUSTI: Non lo sa
DIMITRI: Non lo so perché...
P.M. LUCIA MUSTI: Perché il bimbo conosce anche la tarantola.
DIMITRI: Si, però la tarantola è stata acquistata il 18...
AVV. CHIRCO: No ascolti, il bimbo non conosce la tarantola, il bimbo conosce un ragno e
quindi non facciamo una domanda suggestiva. Il bimbo...
[* Questa è una gaffe storica, la mia abitazione non ha stanze rosse e nere, la stanza
adibita a ufficio ha le pareti nere piene di quadri e iconografie artistiche mai menzionate e
l'ingresso è di colore rosso tappezzato, da bravo esaltato di me stesso quale sono, di
articoli giornalistici e foto che mi riguardano ( particolare non presente agli atti ). Si parla
di “appartamento rosso e nero” e di “stanza rossa e nera” il motivo è semplice, in una
nostra rivista appare la fotografia della stanza rossa con il «vice presidente» a cavalcioni
di una scopa... una goliardata intitolata: Arriva la Befana e nella fotografia non si
intravedono articoli ma solo un pezzettino di parete rossa ed una parte di una porta nera..
Questa rivista è in possesso al G.R.I.S. il quale veniva mensilmente informato delle nostre
iniziative appunto dalla rivista da noi stessi inviatagli. ]
DIMITRI: E' stata acquistata il 18 di sette...
AVV. CHIRCO: Il bimbo ha detto che è rimasto impressionato da un ragno...
GIP GRAZIA NART: Allora facciamo rispondere, no una tarantola... facciamo la
precisazione. Allora, a domanda del P.M. se il bimbo può conoscere anche la tarantola,
Dimitri risponde non lo so... [ non ho mai detto una cosa simile, io avevo risposto di non
sapere se la mia tarantola era stata ripresa dalla TV!!! ]
DIMITRI: Non so... l'ho acquistata...
GIP GRAZIA NART: ... l'ho acquistata...
DIMITRI: ... l'ho acquistata quattro giorni prima della prima carcerazione... circa il 18 di
gennaio.
GIP GRAZIA NART: ... quattro giorni prima..
DIMITRI:... vicino all'autostazione, sotto.
GIP GRAZIA NART: ... della precedente cattura...
DIMITRI: Penso che il «vice presidente» ha lo scontrino, credo.
AVV. CHIRCO: Dove... ha tutti gli estremi di questo acquisto...
GIP GRAZIA NART: ... e penso che di questo acquisto il «vice presidente» abbia lo
scontrino.
AVV. CHIRCO: No, la data che è stata acquistata
GIP GRAZIA NART: Allora quattro giorni prima della precedente cattura...
DIMITRI: Circa il 18 credo
AVV. CHIRCO: Dov'è stata acquistata?
DIMITRI: Sotto l'autostazione, c'è un...
GIP GRAZIA NART: Sotto casa sua?
DIMITRI: No! L'autostazione. Stazione delle corriere, ecco.
GIP GRAZIA NART: La tarantola è stata acquistata sotto... in quel negozio di animali? Di
fronte all'autostazione delle corriere dove c'è il negozio di animali.
DIMITRI: Il bambino ha visto anche il gatto? Perché c'ho un gatto.
GIP GRAZIA NART: E il bambino ha visto anche il gatto.
AVV. CHIRCO: Chi l'ha detto? È una domanda!
DIMITRI: E' una domanda... perché il bambino lo vede, un micetto lo vede.
GIP GRAZIA NART: Allora le domande... le domande se permette le faccio io!
DIMITRI: lo so però... se permette ci sono dentro io in galera!
AVV. CHIRCO: No tu non fare... non andare a rompere...
DIMITRI: Lo so io non ce la faccio più...
GIP GRAZIA NART: E il difensore precisa... è tutto registrato per cui non c'è problema,
che il bambino... si può essere anche più succinti nella verbalizzazione... il difensore
precisa che il
bambino ha visto un ragno
AVV. CHIRCO: No io non l'ho precisato assolutamente questo, negli atti c'è scritto... no,
no...
P.M. LUCIA MUSTI: Si chiama ragno non tarantola...
AVV. CHIRCO: io non ho precisato questo...
GIP GRAZIA NART: Avvocato, lei quando a domanda del P.M., se la broncopolmonite non
m'ha fatto andar via anche l'udito, ha detto che il bambino ha visto un ragno... sbagliato...
AVV. CHIRCO: No, no io ho detto che negli atti del processo si parla del bambino che
avrebbe visto un ragno. Questo è quello che io dichiaro, che... non posso dichiarare che il
bambino ha visto un ragno perché non so quello che ha visto il bambino perché io non ero
li...
GIP GRAZIA NART: No, va beh.... Era chiaro...
AVV. CHIRCO: Allora negli atti del processo c'è soltanto scritto, a un certo punto nella
relazione peritale, che il bambino si sarebbe spaventato vedendo un ragno [ negli atti vi
era scritto che il bambino si sarebbe spaventato vedendo la foto di un grosso ragno in un
libro]
GIP GRAZIA NART: Il difensore precisa che dagli atti risulta che il bambino ha visto un
ragno.
AVV. CHIRCO: Io non ho detto questo!
GIP GRAZIA NART: Allora lo togliamo?
AVV. CHIRCO: No, no io voglio che... le mie parole sono ben chiare. Dico che ho letto
negli atti del processo che il bambino si sarebbe, in una certa occasione, non la ricordo
quale perché il tempo che ho avuto per studiare questi atti è molto limitato, che in una
certa occasione il bimbo si sarebbe spaventato vedendo riprodotto la fotografia di un
ragno: ho detto soltanto questo, punto e basta.
GIP GRAZIA NART: Bene.
DIMITRI: Questo particolare posso dirlo? Sui giornali venne scritto che c'era un ragno in
casa mia.
AVV. CHIRCO: Va beh questo è un altro problema ancora.
GIP GRAZIA NART: Allora diamo atto che da questo punto non verbalizziamo e si
procede a registrazione che verrà poi trascritta...
AVV. CHIRCO: Va beh, non ci son problemi.
GIP GRAZIA NART: ... facciamo prima. Dunque eravamo arrivati al... invece la baby
sitter?
DIMITRI: Nemmeno. Conosco solo la Dozza... forse non mi capisce quando parlo! Delle
persone menzionate li sopra io conosco solo la Dozza che è venuta a ottobre... una sola
volta.
GIP GRAZIA NART: Non conosco nemmeno la baby sitter Poi rispetto alle situazioni che
vengono descritte, cioè ai riti satanici così come vengono praticati, corrisponde in
qualcosa?
DIMITRI: No.
GIP GRAZIA NART: Assolutamente?
[ negli atti si affermava, da perizia di "esperti" che l'uso del bambino nei riti satanici era
importante perché maltrattare un bambino innocente e figlio di Dio era come fare male a
Dio stesso]
DIMITRI: No. Spiego perché... l'uomo discendente di Adamo è figlio di Satana, per
diventare figlio di Dio deve diventare cristiano, seguace di Cristo [ questo è il compito del
cristianesimo, convertire i figli di Satana a Cristo per farli diventare figli di Dio] per cui
anche se maltratti un bambino è già figlio di Satana, questa è la filosofia.
GIP GRAZIA NART: Si, quindi basta fare questo, non occorre...
DIMITRI: Non occorre fare male.
GIP GRAZIA NART: Ma fare male cosa significa?
DIMITRI: Fare del male. Seviziare, fare del male.
GIP GRAZIA NART: Esatto.
DIMITRI: Quello che interpreto.
GIP GRAZIA NART: Quindi già un bambino è figlio di Satana quindi basta ciò per...
DIMITRI: Satana non è il male, satana è una coscienza di se.
GIP GRAZIA NART: Io faccio un po' fatica ad entrare....
DIMITRI: satana non è il male perché c'è questo luogo comune che Satana sia il male e
via...
Satana è uno che prende coscienza di se, si stacca da qualsiasi forma di divinità esterna a
se stesso. Questo è Satana.
GIP GRAZIA NART: Senta e corrisponde al fatto che uno di voi veniva chiamato Aizel?
DIMITRI: No.
GIP GRAZIA NART: Non corrisponde.
DIMITRI: il «vice presidente» veniva chiamato Ergot.
GIP GRAZIA NART: Ergot.
DIMITRI: Viene chiamato Ergot, no Aizel.
P.M. LUCIA MUSTI: Aizel, vogliamo chiedere se lo conosce?
GIP GRAZIA NART: Si
P.M. LUCIA MUSTI: Chi è Aizel allora?
DIMITRI: Non è un demone Aizel.
P.M. LUCIA MUSTI: E chi è allora?
DIMITRI: L'ho imparato li sopra io [ sugli atti ]. Gliel'ho detto anche l'altra mattina, l'ho
imparato li sopra chi è Aizel.
AVV. CHIRCO: Tu conosci Aizel?
DIMITRI: No
P.M. LUCIA MUSTI: Quindi lei non ha mai sentito dire questo nome Aizel?
DIMITRI: No, mai sentito né come demone né su un vocabolario di demoni né come
angelo... no Aizel.
GIP GRAZIA NART: Senta e per quanto riguarda il tedesco?
DIMITRI: Nemmeno
GIP GRAZIA NART: Non sa neanche chi sia. Per quanto riguarda
profanazione dei sepolcri, corrisponde al vero che vengono fatti...
invece i riti di
DIMITRI: No
GIP GRAZIA NART: No
DIMITRI: Ama più Dio chi lo profana che chi lo ama, eh! No
GIP GRAZIA NART: Se volete fare delle domande perché visto che tanto...
P.M. LUCIA MUSTI: Posso chiedergli una cosa, dottoressa?
GIP GRAZIA NART: Si, prego
P.M. LUCIA MUSTI: Grazie. Se può chiedere... anche se lui ha già risposto nel momento
in cui dice io conosco solo la Dozza, se ha mai fatto le carte o comunque delle fatture per
la mamma della baby sitter che si chiama Donatella.
DIMITRI: Non me lo ricordo. Io è cinque anni, anche di più che faccio le carte, questo non
me lo ricordo
P.M. LUCIA MUSTI: Donatella, questa signora non se la ricorda?
DIMITRI: Non me lo ricordo, non lo escludo... non lo... lo ammetto questo, se sono venuti
a farsi le carte ha una ricevuta... non lo so... però non mi ricordo.
P.M. LUCIA MUSTI: Dottoressa se vuole chiedere, poiché c'è un teste che lo riconosce, se
è mai stato a Ca' de Fabbri, Minerbio.... A una fermata di un...
AVV. CHIRCO: No, io vorrei sapere qual' è il teste che lo riconosce perché questo non
risulta da nessuna parte, che ci sia stato un teste che lo riconosca. Gli facciamo la
contestazione precisa, dov'è questo scritto eccetera perché così genericamente la
contestazione non... non mi pare che sia consentita. Diciamo dov'è il teste, chi è il teste e
gli diciamo la fonte della prova perché a questo punto...
P.M. LUCIA MUSTI: Gliela diciamo nei limiti che si può...
AVV. CHIRCO: Certo però... allora io domando se questo atto è stato depositato, del
teste, lo citiamo in giudizio... lo richiamiamo. Io non...
P.M. LUCIA MUSTI: Lei leggerà tutto avvocato.
AVV. CHIRCO: Come?
P.M. LUCIA MUSTI: Poi avrà modo di leggere tutto.
AVV. CHIRCO: D'accordo, siccome io ho avuto modo di avere questi atti soltanto
domenica... sabato sera, e quindi ho potuto leggerli frettolosamente, io chiedo che di
fronte ad una contestazione specifica che riguarda un teste che lo avrebbe riconosciuto e
dov'è questo riferimento al quale il P.M. si riferisce. Non chiedo mica molto di più, siccome
gli atti sarebbero li, il teste è stato... se gli atti non sono stati depositati...
P.M. LUCIA MUSTI: Scusi è il giudice che deve fare la domanda
AVV. CHIRCO: bene, d'accordo, io mi oppongo a questa cosa e desidero che il P.M. nel
formulare la sua domanda precisi chi è che lo ha riconosciuto, dove e quando... a quale
affoliazione c'è e così via.
GIP GRAZIA NART: io ho presente il riconoscimento di il «vice presidente»... ho presente
esattamente che il bambino parla di lui dicendo... ha i capelli lunghi [ riferito a me]
eccetera...
P.M. LUCIA MUSTI: C'è una teste, che è la mamma del tedesco... di colui che è nominato
"tedesco"...
GIP GRAZIA NART: Temo che qui non ci sia
P.M. LUCIA MUSTI: Non c'è
AVV. CHIRCO: La mamma del tedesco... per carità! ... no dico, chiedo scusa, non per
carità...
GIP GRAZIA NART: La mamma... cioè c'è la dichiarazione della mamma della baby sitter
che dice chiaramente...
P.M. LUCIA MUSTI: No invece questa è la mamma del fantomatico tedesco che ha
dichiarato di averlo visto a una fermata dell'autobus a Ca' de Fabbri
AVV. CHIRCO: Allora questa qui... questa... negli atti qui non c'è...
GIP GRAZIA NART: Allora gli vogliamo fare la domanda?
DIMITRI: E poi non ci sono mai stato a Ca' de Fabbri
AVV. CHIRCO: Comunque tu non sei mai stato a Ca' de Fabbri
DIMITRI: No!
AVV. CHIRCO: Ad ogni modo negli atti non c'è
GIP GRAZIA NART: Non è mai stato...
DIMITRI: Non è specificato l'epoca. Comunque non ci sono mai stato
GIP GRAZIA NART: Poi? Ci sono altre domande perché visto che tanto nega tutto...
DIMITRI: Non è che nego tutto...
GIP GRAZIA NART: No, no ho capito, nega quello che è scritto qui [ che è peggio ]
P.M. LUCIA MUSTI: Vogliamo chiedere a Dimitri a cosa servono i calici che lui ha nella
casa?
DIMITRI: Cosa c'entrano i calici? Ne ho uno solo di calici
P.M. LUCIA MUSTI: A che cosa serve il calice?
GIP GRAZIA NART: le spade...
DIMITRI: E' rappresentativo... è rappresentativo, come la spada è simbolo di Giustizia, il
calice è simbolo di terra... unione... fecondità
P.M. LUCIA MUSTI: Questo calice non viene mai riempito da nulla?
DIMITRI: No
P.M. LUCIA MUSTI: Quindi poiché... quindi se ricordo bene la sua misura, si parla che al
minore è stato fatto bere un intruglio un po' strano
GIP GRAZIA NART: Io, si l'ho detto per le dichiarazioni della Dozza, che raccontava che
questi intrugli sono fatti di... sperma... si sperma del... del maestro e del... del capo...
DIMITRI: La Dozza ha detto che mi ha conosciuto a novembre...
GIP GRAZIA NART: ... sangue di animali...
AVV. CHIRCO: E mestruale
GIP GRAZIA NART: ... e mestruale, che questo sinceramente non mi ricordo più...
P.M. LUCIA MUSTI: Comunque lo dice anche la consulenza; la consulenza la Dozza non
c'entra mica niente
AVV. CHIRCO: Ah io so che... facciamo la contestazione, mi perdoni, la consulenza è una
valutazione non è una teste. Facciamo la contestazione se ha mai fatto bere a Federico
del sangue... nel calice del sangue mestruale, dello sperma e del sangue di pollo. È
questa la domanda che gli dobbiamo fare: facciamogli la domanda specifica. La
consulenza trarrà le sue conclusioni... in 14 giorni tra l'altro... ha avuto l'incarico il 15
febbraio e ha depositato gli atti il 1° marzo
P.M. LUCIA MUSTI: Non vuole mica dire che mi contesta i giorni della consulenza no!
AVV. CHIRCO: No, per carità, ho detto semplicemente che la consulente in 15 giorni ha
fatto questa consulenza
GIP GRAZIA NART: Allora vorrei sapere la risposta
DIMITRI: Si, mi rifà la domanda perché siccome...
GIP GRAZIA NART: Se... cioè questi calici a cosa servono e se sono mai stati utilizzati a
questo fine
DIMITRI: Mai utilizzati
GIP GRAZIA NART: Mai utilizzati. Sembra poi che lei filmasse tutti questi riti...
DIMITRI: No, non ce ne sono di riti filmati eh... sono quelli filmati dalla RAI...
GIP GRAZIA NART: Ah no io qui so che son stati... un borsone pieno di filmini...
AVV. CHIRCO: Non ne è stato trovato uno...
GIP GRAZIA NART: ... di ragazze...
AVV. CHIRCO: ... non ne è stato trovato uno dei film di Dimitri perché si parla... li hanno
visionati tutti non è stato trovato uno, uno che sia uno, sia ben chiaro questo. Non è stato
trovato uno che sia uno
GIP GRAZIA NART: Io, avvocato, non so se sono stati visionati [ La Nart non sapeva
nemmeno se le videocassette che avevo in casa erano state visionate!] io dico che dagli
atti mi risulta che la Dozza dice chiaramente che sono stati tutti filmati... sono stati trovati...
io non lo so...
AVV. CHIRCO: Allora sono stati trovati... no mi scusi... lei non può fare...
GIP GRAZIA NART: La domanda, per favore, la domanda... mi risponde si o no... non
occorre mica contestare... voglio sapere se c'erano riti di tipo sessuale fra gli adepti. L'altra
volta aveva detto di no, scusate eh! [ Avevo detto di si, fra maggiorenni]
DIMITRI: Si, no... no avevo detto di si...
GIP GRAZIA NART: Ecco insomma.
DIMITRI: ... l'altra volta ho detto di si, fra maggiorenni c'erano, raramente ma c'erano. L'ho
detto anche ai giornali... con lei...
GIP GRAZIA NART: Non era il... diciamo nucleo fondamentale del rito satanico?
DIMITRI: Non è il nucleo fondamentale... il nucleo fondamentale è la volontà...
GIP GRAZIA NART: Va bene, basta, non occorre...
P.M. LUCIA MUSTI: Dottoressa possiamo chiedere in quali luoghi in genere effettuava
questi riti?
AVV. SCHETTINI: Sono oggetto...
DIMITRI: Su in casa
AVV. SCHETTINI: ... di domande proprio nell'altro interrogatorio...
GIP GRAZIA NART: Non importa... la ripetiamo
P.M. LUCIA MUSTI: Siccome il bambino dice che sente il rumore dell'acqua e del treno,
nella casa di Dimitri non...
DIMITRI: In via Riva Reno non passa il treno... comunque potete perquisire, poteva...
trovare le impronte di sto bambino... ci saranno le impronte in giro!
GIP GRAZIA NART: Diciamo un attimo... visto che anche se no...
DIMITRI: ... scusi io non ce la faccio più...
GIP GRAZIA NART: ... il povero Mazzitelli quando dovrà trascrivere non capirà niente, io
vorrei che si rispondesse alle domande... si o no, punto e basta. Allora ritornando, sono
stati fatti i riti...
P.M. LUCIA MUSTI: Quali luoghi?
GIP GRAZIA NART: ... quali luoghi?
DIMITRI: In casa
GIP GRAZIA NART: Sempre e solo in casa?
DIMITRI: Esatto
GIP GRAZIA NART: Mai ville? Mai luoghi abbandonati?
DIMITRI: Mai ville, mai luoghi abbandonati... sono abbastanza squallidi
P.M. LUCIA MUSTI: Possiamo contestare che abbiamo trovato la setta [ la Musti chiama
"setta" una stella!] a cinque punti con 666...
DIMITRI: E' un simbolo che viene da 2000 anni fa... è internazionale
P.M. LUCIA MUSTI:... l'abbiamo trovato in un cortile su un... [ rumori di fondo] metallico in
villa Ghigi, ad esempio... o meglio dell'edificio contrassegnato dal civico 111 posto in via
S.Mamolo all'interno del parco.
GIP GRAZIA NART: Questa è una contestazione...
DIMITRI: Le rispondo subito...
P.M. LUCIA MUSTI: E' stato trovato all'interno della villa, adesso le dico... le anticipo
anche una cosa tanto non ho problemi, un quadro che raffigura Elisabetta Dozza, molto
strano, un quadro che raffigura la Dozza [ ho visto il quadro in tribunale, la figura della
donna assomiglia di più al mio avvocato che alla Dozza se bisogna fare il paragone]
DIMITRI: Questo non lo so. E io a villa Ghigi non ho mai fatto niente
P.M. LUCIA MUSTI: Non c'è mai andato, quindi è qualcuno che...
DIMITRI: E' un parco pubblico... c'è tantissima gente che fa le stelle, fa quelle cose... ci
sono i
metallari, c'è tanta gente perché devo essere sempre io? C'è ... [ rumore di fondo ] si legge
nelle fermate degli autobus scritto col pennarello [ Lucifer Band... un gruppo a me
sconosciuto]
P.M. LUCIA MUSTI: Quindi non è mai stato a villa Ghigi?
DIMITRI: Mai a fare dei rituali, ci andavo da piccolo a girare in bicicletta
GIP GRAZIA NART: Senta le chiedo un'altra cosa. E la spada in ottone a cosa le serviva e
poi, lei l'altra ha detto che i minori non se ne ammettevano, ci sono faldoni con domande
di iscrizione all'interno, rinvenuto sull'altare dell'ufficio del Dimitri in direzione del balcone,
dalle schede si rileva la presenza di nominativi di alcuni minorenni che sono stati
riscontrati... [ rumore di fondo ] del contenuto del faldone contenente i giuramenti firmati
con il sangue riguardanti i minori... e comunque come mai le fece fare?
DIMITRI: Si, comunque di 16 anni, non meno di 16 anni... non meno di 16 anni. C'era il
patto di simpatia però non potevano partecipare ai rituali
GIP GRAZIA NART: Che sia minorenni... meno di 18. Allora quindi ammette che c'erano
iscrizioni di minorenni?
DIMITRI: Si, ma non al di sotto dei 16
GIP GRAZIA NART: Mai al di sotto dei 16 ma al di sotto dei 18
DIMITRI: Come simpatizzanti
GIP GRAZIA NART: Poi altra cosa...
DIMITRI:... cioè sono simpatizzanti ma questo l'ho detto l'altra volta...
GIP GRAZIA NART: Però sono iscritti eh, non sono simpatizzanti
AVV. SHETTINI: Ha detto... c'è un patto di simpatia... l'aveva già spiegato anche questo
nel
corso dell'altro interrogatorio
DIMITRI: E' un patto di simpatia...
GIP GRAZIA NART: Però si dice giuramenti firmati... e un'altra cosa importante...
DIMITRI: Giuramenti firmati ma non è che partecipavano a rituali... non avevo niente da
nascondere se no non erano li [ i patti a disposizione di tutti i controlli ]
GIP GRAZIA NART: Però erano simpatizzanti nel senso che non erano iscritti, non
avranno
partecipato ai riti secondo la sua tesi però erano iscritti, giusto?
DIMITRI: Ai miei riti non hanno partecipato, sono iscritti senz'altro
AVV. CHIRCO: Io volevo terminare sul problema della... di questa... di questa villa...
GIP GRAZIA NART: Villa Spaggiari diciamo...
AVV. CHIRCO: Non so, adesso andiamo a vedere queste fotografie... andiamo a vedere
queste fotografie... cos'è villa Spaggiari... perché... perché... perché è stata prodotta una
fotografia dove ci sono "Figli di Satana" se lui si chiama Figli di Satana o Bambini di
Satana, se avete mai adoperato l'espressione Figli di Satana?
DIMITRI: No
AVV. CHIRCO: Questa è la fotografia ad affoliazione... ad affoliazione... il numero non c'è,
comunque nel... nel... nel... fascicolo dei rilievi fotografici 7 dicembre 1995, dei carabinieri
dell'
Emilia Romagna. Io faccio vedere la fotografia a Dimitri: è la fotografia 1,2,3,4,5,6,7,8,9...
pagina 10, se questa scritta mai... avete mai adoperato questo logos?
DIMITRI: No
AVV. CHIRCO: Voi sempre Bambini di Satana?
DIMITRI: Si, si ma non è che marchiamo le case... no!
AVV. CHIRCO: O.K. grazie
GIP GRAZIA NART: Ecco, per quanto riguarda medicinali... fa così... anche se
effettivamente era più una contestazione che valeva per l'altro processo però poi anche
qui mi sembra che fossero usate delle pozioni, delle cose che comunque facessero
perdere un po' i sensi, addirittura sembra sia stato trovato se non sbaglio una confezione
di etere o una cosa di questo tipo [ la Nart non sapeva cosa fosse stato trovato e
nemmeno se effettivamente fosse stato trovato]
DIMITRI: No, non è mai stato trovato dell'etere
GIP GRAZIA NART: No? [ me lo chiede lei!!! ]
DIMITRI: no, non ho mai avuto dell'etere
GIP GRAZIA NART: Allora nega l'etere
P.M. LUCIA MUSTI: Può chiedere se ha mai avuto la disponibilità di cocaina?
DIMITRI: No
GIP GRAZIA NART: La Dozza Elisabetta parla, mi sembra che sia la Dozza vero? Parla di
uso di stupefacente...
DIMITRI: Le sto dicendo di no!
GIP GRAZIA NART: No, bene. Poi... va beh cinque negativi relativi a pellicole con persone
prive di abiti in atteggiamenti pornografici omosessuali... questo mi sembra già che lei
l'altra volta avesse detto che ha un rapporto omosessuale con il «vice presidente», se non
sbaglio...
DIMITRI: Si [ ma cosa c'entra la mia bisessualità? ]
GIP GRAZIA NART: Ecco e poi una confezione di ostie...
DIMITRI: Farmaceutiche
GIP GRAZIA NART: Eh! E che servono?
DIMITRI: Per i rituali [ vi tracciavo sopra il sigillo del demone da evocare ]
GIP GRAZIA NART: Allora... anche se poi lei appunto ha negato alcune cose [ quali? ] le
volevo chiedere alcune particolarità. Allora risponde al vero che nei riti di tipo satanico si
usa schiacciare l'organo sessuale sia maschile che femminile?
DIMITRI: No, lo imparo da lei. Dove l'ha letto?
GIP GRAZIA NART: Non è vero?
DIMITRI: No!
GIP GRAZIA NART: Su sto punto mi ha già detto di no. Corrisponde al vero che nei riti
satanici spesso ci sia questo... sembra che questo... sia riferito comunque... si usa
annusarsi i piedi, farsi...
DIMITRI: No, che schifo!
GIP GRAZIA NART: No, Poi uso di forbici sul corpo...
DIMITRI: Le forbici trovate, l'ho dichiarato ai carabinieri, le ha usate il «vice presidente»
per il piercing...
GIP GRAZIA NART: Per il piercing...
DIMITRI: Erano quelli forati... [ forbici forate per far passare l'ago tirando la pelle ]
P.M: Per caso ha rapporti o ha avuto rapporti con la setta di Roma, Efrem del Gatto?
DIMITRI: Si li ho avuti
P.M. se è mai venuto qualche rappresentante della setta a Bologna?
DIMITRI: No. Sono andato io a Roma anni fa, un paio di volte... da Efrem il...
P.M. LUCIA MUSTI: Sacerdotesse di Efrem lei non ne conosce?
DIMITRI: No
DIMITRI: beh lei prima l'ha già detto, comunque se corrisponde al vero mi dirà di no [ ? ] ...
ma comunque perché m'ha già parzialmente risposto prima, che la filosofia propria
sarebbe quella per quanto riguarda il bambino, che comunque è confermato negli studi sui
riti satanici [ quali studi? Quelli del G.R.I.S.? ] adesso al di la...
DIMITRI: Non sul nostro gruppo
GIP GRAZIA NART: Ecco non sul vostro gruppo, ma in genere sono confermati l'uso del
bambino come, essendo puro come Dio... [ rumori di fondo ] di un male al bambino
significa...
DIMITRI: Il bambino non è puro come Dio, è figlio di un adulterio di Adamo e di Eva, non
può essere... cioè mi scusi... lo devo ripetere ancora! No sarei un cane se facessi delle
cose così... io mi sento accusato per... per queste cose... lo capisco anche meglio
GIP GRAZIA NART: Dato che ci sono dichiarazioni di più persone convergenti perché al di
la di quello che ha detto il bambino che sicuramente è da solo... loro lo hanno confermato,
mi sembra strano che possa essere...
DIMITRI: C'è una dichiarazione della Dozza Elisabetta che dice di avermi conosciuto a
novembre... dice...
GIP GRAZIA NART: No...
DIMITRI: e poi dice che già da agosto la frequentavo allora...
GIP GRAZIA NART: ... beh... adesso non dice più così...
[ pazzesco! ]
DIMITRI: ...adesso non dice più così allora... cioè vede anche lei da queste divergenze
di... di considerazioni come può far un arresto senza una prova, mi scusi!
GIP GRAZIA NART: Visto che coincidono esattamente con quelle del bambino, visto
beh... l'ha già letto quello che è il... quindi è inutile stare...
DIMITRI: L'ho già letto ma non... lo disapprovo, non l'ho mai conosciuto ecco...
AVV. CHIRCO: per la verità non ha letto gli atti perché non ne ha avuto il tempo di leggerli
[ tutti, ne avevo solo una parte]
GIP GRAZIA NART: Li leggerà avvocato, d'altronde se il codice che prevede cinque
giorni...
--- LE VOCI SI SOVRAPPONGONO ---
GIP GRAZIA NART: ... io domani e dopodomani ho degli altri impegni
AVV. CHIRCO: D'accordo, non discuto mica io rimango sempre... io rimango sempre della
mia convinzione...
GIP GRAZIA NART: ...per me questo per me è un processo pari agli altri avvocato [
andiamo bene! ] non ho tempo... non posso rimandare degli altri processi mi dispiace
neanche... [ rumori di fondo ]
DIMITRI: Insomma una prova ci sarà? Una prova ci sarà? [ nessuno mi considera ]
AVV. CHIRCO: Siccome uno dice li ha letti, io ho detto non li può aver letto...
GIP GRAZIA NART: Ha letto l'ordinanza...
DIMITRI: Come ho risposto all'inizio, ho letto l'ordinanza però conosco solamente la Dozza
di
quelle persone menzionate li sopra, se conoscessi gli altri direi li conosco... non ho fatto
niente,
cioè conosco solo la Dozza
P.M. LUCIA MUSTI: Gli vogliamo chiedere come si spiega che il «vice presidente» sia
riconosciuto da più persone come persona...
AVV. CHIRCO: No, io mi oppongo a questa domanda perché il «vice presidente» non è
stato riconosciuto da più persone. Noi gli facciamo anzitutto la domanda a il «vice
presidente» e poi gli facciamo delle cose specifiche, questa domanda fatta in questo modo
è soltanto suggestiva a mio avviso perché non è vero...
GIP GRAZIA NART: Ma il «vice presidente» è stato riconosciuto avvocato, se poi non...
AVV. CHIRCO: No, il «vice presidente» è stato riconosciuto, sappiamo, da alcune
persone... non si può fare una domanda in questo genere perché ci sono delle persone
addirittura che hanno escluso in modo tassativo che possa essere il «vice presidente»,
persone che probabilmente sono state denunciate per favoreggiamento eccetera eccetera
. C'è un chiaro riferimento negli atti a delle denunce per favoreggiamento, penso, almeno
se io riesco a capire il codice...
GIP GRAZIA NART: Si, chiaramente si sarà, è anche giusto però
AVV. CHIRCO: Almeno due, due ce ne sono almeno e sarebbe la baby sitter e sarebbe
Luca
GIP GRAZIA NART: Luca, certo si, si sono d'accordo
AVV. CHIRCO: Per favoreggiamento. Così abbiamo i testi che diventano favoreggiatori
GIP GRAZIA NART: Se ci sono domande io non... sinceramente non ho altre perché dato
che nega completamente tutto...
DIMITRI: Non è successo, non è che nego! Poi lo vedrà, se adesso non vede poi lo
vedrà... è la seconda volta che mi trovo in prigione senza aver fatto quello che mi
contestate
GIP GRAZIA NART: Avvocati c'è qualche domanda? Cioè potremmo leggere pagina per
pagina le dichiarazioni della Dozza [ senza avere una prova che sia una in mano ]
DIMITRI: E' l'unica, io sono qua...
GIP GRAZIA NART: ... i riti e tutte le varie particolarità cioè il... appunto l'uso della... del
cadavere... mi ha già risposto lui...
DIMITRI: ma dov'è sto cadavere? Ci sarà un cadavere... un pezzo di osso in casa mia...
non c'è! L'avete perquisita da cima a fondo, santo cielo [ in realtà era "cazzo" ] ... ma
possibile!
P.M. LUCIA MUSTI: Ma poi ci sono tutte le dichiarazioni, giudice, ad esempio della madre
del bambino... famiglia del bambino... [ e mai del bambino per bocca sua diretta ]
DIMITRI: Ma... non ho conosciuto sta madre... cioè può dichiarare quello che vuole, può
dichiarare anche che... [ omissis ]
P.M. LUCIA MUSTI: [ rumori di fondo ] il «vice presidente»...
AVV. CHIRCO:: prima di tutto non è il «vice presidente» e poi mi perdoni lei non abbia
quest'aria di sufficienza nei confronti di un imputato che protesta la propria innocenza [ la
Musti stava sorridendo ironicamente ] e che ha diritto di essere ritenuto innocente sinché
non è stato condannato
P.M. LUCIA MUSTI: Un imputato che mi scrive "corrotta" nella stanza in una gigantografia
appena si entra...
DIMITRI: Io sono andato giù di testa, lo so che l'ha letto... però è così... io la penso così
VARIE VOCI
AVV. CHIRCO: Nel suo segreto può scrivere quello che vuole probabilmente
DIMITRI: Ho scritto quello che pensavo, cosa dovevo fare... ho osato tagliarmi le vene in
carcere...
GIP GRAZIA NART: Per favore...
DIMITRI: Io sono arrivato a tagliarmi le vene!!!
GIP GRAZIA NART: Beh questo purtroppo guardi dei nostri detenuti...
DIMITRI: Va bene a voi non interessa, mi interessa a me perché la vita è la mia, vero?
AVV. CHIRCO: Detenuti che muoiono per la verità
GIP GRAZIA NART: Eh lo so però non è sempre colpa della giustizia
DIMITRI: No! Me ne sto rendendo conto adesso!
P.M. LUCIA MUSTI: Al di la della consulenza tecnica ci sono delle persone informate sui
fatti che sono state interrogate. Sono persone che hanno vissuto la trasformazione di
questo bambino, che è stato usato ripetutamente nei riti satanici [ almeno la Musti poteva
usare il condizionale invece da per certo un fatto che deve essere ancora giudicato] sono
la madre... sono la persona di fiducia della famiglia che frequenta la casa che racconta
delle modifiche nelle abitudini del bambino. Difficoltà a cambiare il pannolino, difficoltà a
mangiare, a dormire...[ a me da piccolo per farmi mangiare e dormire mi dovevano
promettere la macchina di Batman... anch'io ho subito i riti satanici??? ]
DIMITRI: Ma io questo l'ho letto... io l'ho letto ma probabilmente è successo secondo me...
AVV. CHIRCO: Facciamogli la contestazione specifica su che cosa? Cosa gli
contestiamo? Cioè lei ha riassunto molto bene una perizia però facciamo una domanda a
Dimitri su quello che vuole...può essere un fatto, una partecipazione sua ad un
comportamento. Ha detto che lui non ha fatto niente col bambino... c'è una descrizione, la
valuteremo eccetera eccetera però... riassumere la perizia a Dimitri mi pare che agli effetti
di una contestazione di domanda non abbia un risultato pratico.
GIP GRAZIA NART: Si io direi infatti che è perfettamente inutile perché nell'ordinanza di
custodia cautelare sono riportati tutti i fatti che sono contestati come il bambino ha
cominciato a ricordare, ricorda di avere gli organi sessuali schiacciati, di aver usato il
cadavere, ricorda il ragno e parla di Aizel... riconosce il «vice presidente» sul giornale la
prima volta che è stato catturato...
AVV. CHIRCO: Il ragno non l'ha riconosciuto per... comunque...
2
GIP GRAZIA NART: Parla di un ragno, quando prima non aveva paura del ragno,
riconosce
guarda caso Aizel sul giornale [ è risaputo che tutti i bimbi di tre anni leggono il Carlino
senza che nessuno glielo sbatta sotto gli occhi e gli faccia vedere una persona in manette
in mezzo a due in divisa ] il bambino chiama Aizel quella persona che era sul giornale
quando è stato catturato [ se c'era la foto di Mentana era la stessa cosa ]
DIMITRI: Non è mai stato chiamato Aizel...
GIP GRAZIA NART: Quindi si nega tutto a questo punto...
DIMITRI: Ho detto che non è vero! Non è che nego! Non ci siamo mica capiti!
GIP GRAZIA NART: O.K. no, no...
DIMITRI: ... cioè negare è un'altra cosa, io ho detto che non è vero
AVV. CHIRCO: Che non l'hai fatto tu
GIP GRAZIA NART: Ecco
AVV. CHIRCO: Questo è il discorso
DIMITRI: No, non l'ho fatto l'avevo detto
GIP GRAZIA NART: Quindi quello che c'è scritto sull'ordinanza che sono esattamente le
contestazioni che vengono fatte, lei dice che non l'ha fatto
DIMITRI: Sono venuti fuori i rei confessi di quella storia? Così mi diceva il «vice
presidente»... avete fatto un filmato qua dentro che sono venuti fuori dei rei confessi
ecco...
GIP GRAZIA NART: [ di colpo ] Va Bene, allora io chiuderei l'interrogatorio a questo punto,
se non avete domande voi...
AVV. SCHETTINI: No, io posso soltanto chiedere una cosa siccome era già emersa
nell'altro interrogatorio... se l'utilizzazione nei riti di una persona incapace di intendere e di
volere sia conforme ai principi della setta? Perché io ricordo che agli atti dell'altra custodia
cautelare c'è un suo scritto in cui lei contestava anche l'istituto del battesimo appunto
perché è un rito posto in essere su una creatura priva di volontà
DIMITRI: Forza di volontà...
AVV. SCHETTINI: ... non dotata di coscienza...
DIMITRI: Il rituale parte dal punto di vista... il principio di volontà, se manca la volontà non
ha
seguito [ questo spiega il "Fa ciò che vuoi" di Crowley mille volte mal interpretato ]
GIP GRAZIA NART: Quindi la vostra sarebbe una setta anche un po' diversa da tutte le
altre... io ieri ho...
DIMITRI: Non è un satanismo di tipo cristiano...
GIP GRAZIA NART: ... sentito una intervista di uno che si... così tanto per... anche... [
rumori di fondo] di una persona che studia le sette [ e le combatte ] e proprio l'uso del
bambino eccetera è una cosa...
DIMITRI: Invece dovrebbero smetterla di dire quelle cose...
GIP GRAZIA NART: ...si, la vostra è una setta particolare?
DIMITRI: No, no il vero satanismo è uno che prende coscienza di se, è questa la filosofia
che
stiamo tramandando... altrimenti...
AVV. CHIRCO: Ci sono delle sette che fanno queste esperienze così...
DIMITRI: Sono delle cose orribili, quello che è scritto li sono delle cose orribili e mi
dispiace che... se è vero che è successo, quello mi dispiace tanto
GIP GRAZIA NART: Questa era una mia cosa anche per capire... a parte il fatto che...
AVV. CHIRCO: Per carità, se c'è alcuni che dicono che fanno questo cerchiamo di
individuarli
AVV. SCHETTINI: Signor giudice ci sono degli scritti precedenti a questo processo di
Dimitri che dicono tutte queste cose cioè sanciscono questi principi, adesso non voglio...
GIP GRAZIA NART: E' inutile che...
AVV. SCHETTINI: ... appunto, non voglio entrare nella discussione filosofica...
GIP GRAZIA NART: ...no, lo ricordo bene...
AVV. SCHETTINI: ... però proprio questo principio della volontà sovrana e del fatto di
ricercare le cose all'interno di se stessi, per cui mi sembrano abbastanza chiare... a meno
che non si voglia pensare che siano parole create da Dimitri precedentemente...
GIP GRAZIA NART: No, io mi riferivo solo... e dato che io sono assolutamente contraria
alla
pubblicizzazione dei giornali... sui giornali di questo fatto come di altri però dato che è
stato fatto... io ieri...
AVV. SCHETTINI: Diciamo che l'anticipazione sui giornali non parte da noi perché...
GIP GRAZIA NART: No, no, no certo ma sui giornali in genere per cui io sentivo questa
intervista e volevo solo sapere se questa setta è diversa dalle altre
DIMITRI: E' diversa [ da quello che dice il G.R.I.S. ]
P.M. LUCIA MUSTI: Come mai nell'intervista delle ore 15 conoscevano integralmente la
motivazione della sua ordinanza? [ Attenzione, qua la Musti mostra la sua bella recita, il
suo modo di fingere...]
[ preciso che i giornali erano stati informati da qualcuno in merito alle motivazioni della
nostra
cattura ]
GIP GRAZIA NART: Non sicuramente da me che venerdì mattina ero partita per la
montagna e sono tornata...
P.M. LUCIA MUSTI: E non sicuramente da me che sono rimasta di stucco per non dire un
altro termine
AVV. CHIRCO: Allora non sicuramente da...
P.M. LUCIA MUSTI: Se poi mi viene detto che la difesa... io non dico niente però non...
AVV. CHIRCO: Allora mi scusi, no, no, no... no, no mi scusi...
P.M. LUCIA MUSTI: Mi è stata letta integralmente l'ordinanza della dottoressa Nart
AVV. CHIRCO: Dottoressa Musti qui io ho avuto l'ordinanza ieri pomeriggio sul tardi...
P.M. LUCIA MUSTI: Va beh, qualcuno l'ha...
AVV. CHIRCO: Quindi non ho... non ho mai consegnato un atto al pubblico del pubblico
ministero o degli altri... no, no io desidero che si vada a fondo su questa posizione. Si
cerchi chi ha dato un'eventuale ordinanza al... io escludo che la difesa possa aver dato
ordinanza di questo genere...
AVV. SCHETTINI: A parte il fatto che sarebbe un fatto illecito e poi c'era una conferenza
stampa
convocata dal Pubblico Ministero Lucia Musti [ guarda, guarda un po' chi ha spifferato tutto
ai
giornali... chissà poi perché? ] per cui...
P.M. LUCIA MUSTI: Nella quale non è stato detto nulla [ il mondo è pieno di gente che
organizza conferenze stampa per non dire nulla ] perché avete già scritto troppo e non ho
niente da dire
AVV. CHIRCO:: Ma insomma io certamente sui giornali di oggi e ieri interviste della difesa
non ce ne sono quanto meno
GIP GRAZIA NART: Va bene, allora... se non c'è altro... ah si... non è una convalida per
cui...
[ rumore di fondo ]
Fine interrogatorio.
I dialoghi riportati sono conformi all'originale. La trascrizione dell'interrogatorio dal nastro
magnetico è stata fatta a cura del Geom. Mazzitelli Giuseppe consulente tecnico del
tribunale di Bologna. Le considerazioni mie personali ed i particolari tecnici di trascrizione
come "rumori di fondo" sono state inserite fra parentesi quadre e i nomi, ad eccezione di
quello della superteste, sono stati da me cambiati per evidenti motivi di privacy.
L’affermazione di Lucia Musti, cioè che quest’inchiesta era da paragonare a livello
peggiore di quella dei fratelli Savi, la “banda della Uno Bianca”, mi ferì notevolmente per il
fatto che un mio amico e collega di lavoro, Carlo Beccari, venne ucciso con un colpo di
fucile a pallettoni dai Savi mentre esplicava il suo servizio di guardia giurata scortando un
furgone portavalori. Accadde durante la rapina alla “Coop” di Casalecchio in provincia di
Bologna. Beccari era un mio amico di infanzia, uno di quei ragazzi coi quali passavo il
tempo quando avevo sedici anni. L’amicizia rimase anche dopo che io e Beccari
entrammo nel corpo delle guardie giurate, anche se, prestavamo servizio in due differenti
istituti di vigilanza. Beccari era all’istituto “La Patria” io all’istituto “Due Torri” nel quale
prestai servizio per cinque anni. L’omicidio di Beccari mi sconvolse, lasciò un profondo
segno in me, una ferita che ancora oggi non si è rimarginata. L’affermazione della Musti
su questa inchiesta, che era da considerare peggio di quella dei Savi, era quanto di più
inumano un pubblico ministero potesse affermare. C’è anche da considerare, però, che
Lucia Musti ebbe in mano l’inchiesta della “Uno Bianca” ai suoi inizi e poi le fu tolta.
Probabilmente questo la infastidì tanto da condurla ad affermare quella frase per me tanto
inopportuna.
La richiesta dei miei legali di procedere a livello di incidente probatorio a confronto della
baby sitter e Elisabetta Dozza,, tra Luongo Gennaro, la baby sitter e Elisabetta Dozza e
l’interrogatorio del bimbo anche sotto forma di perizia, venne misteriosamente rigettata:
“Non luogo a provvedere allo stato delle istanze, riservandosi in attesa del deposito delle
notifiche previste ex art. 395 c.p.p. e della conclusione dell’iter procedimentale di cui agli
art. 392 e 395 c.p.p.
Bologna,
li
13.6.1996
“
Il tempo non passava mai, una frase che può sembrare ovvia ma che esprime il concetto
di una situazione che io vivevo nella maniera più ampia: nessuno con cui dialogare, niente
libri, nulla con cui scrivere, niente televisione, solo mezze frasi di ragazzi detenuti che
passavano una volta al giorno n corridoio davanti alla mia cella, dette con l'espressione
rassegnata, col volto piangente mentre mi stringevano e accarezzavano la mano, una
specie di carezza sulle nocche, sulle dita, una morsa che gridava "aiuto" . Come tocca una
mano un carcerato non la tocca nessuno, quasi non se ne vuole staccare, quasi per
trasmetterti l'orrore di una situazione indescrivibile: troppo per un piccolo furto commesso,
per una scazzottata isterica fra compagni di cella trasformata in isolamento.
E’ proprio il carcere la dimostrazione dell’inefficienza di religioni e cultura.
E’ proprio quella vendetta sociale a dimostrare che il traguardo ad un intelletto collettivo è
lontanissimo.
Parlo di società e non di potere, se invece di avvinghiarci attorno alla ruota della fortuna
emettessimo un suono ragionato, tentassimo un confronto, forse un minuscolo passo si
potrà compiere. Perché ora si stando evolvendo solo i computer.
Altrimenti resteremo tanti stronzi col cellulare in mano a cercare di mettere ordine in un
meccanismo instabile qual è la vita stessa!
Mangiavo quello che potevo mangiare essendo vegetariano, potevo mangiare solo
insalatina e pasta al pomodoro quando c’era. Ho avuto una penna per scrivere solo dopo
una settimana, la chiesi in prestito ad un detenuto che si guardò molto bene da non farsela
più restituire. "Sono un Testimone di Geova" disse, "Se me la rendi verrò a patti col
Demonio, tienila tu e non chiedermi più nulla". Con la penna ed un foglio riciclato feci una
tavoletta "ouija" di quelle usate dagli spiritisti per gli assurdi contatti con l'aldilà, almeno
potevo dialogare con la mia mente se non con qualche spiritello inesistente.
Ecco come mi ero ridotto. Ovunque guardavo vedevo cemento e ferro, dalla finestra
vedevo il cielo attraverso la sottile griglia, il cortile di cemento, il mondo di cemento grigio.
Non rimproveravo nulla della mia vita, l'avevo vissuta appieno, non mi ero inchinato mai a
nessuno, tutte le mie azioni le avevo fatte di mia volontà, amavo quello che ero e la mia
filosofia, amavo il gruppo da me creato, se il prezzo da pagare per essere se stessi è la
prigione, se andare contro il sistema riduce in stato di reclusione fisica, allora ero nel posto
giusto per uno come me: ero il pericolo pubblico perché avevo detto: "credete in voi stessi
e non in un dio". Ero io contro l'inquisizione in una partita ad armi dispari. Una cosa sola
costituiva la mia certezza: la verità. La verità si nutre da sola mentre la menzogna deve
essere incrementata attimo dopo attimo. Qual è la spada più nobile in questo duello? La
mia di degenerato innocente o quella mascherata da giustizia? Mi chiedevo lo stato di
coscienza dei cittadini nei miei confronti: come potevano credere ad accuse che
continuavano a cambiare? Insomma, uno stupro avvenuto forse il 18 novembre, forse il
19, forse il 23, forse il 24, forse il 25... ma era ridicolo! Nessuna prova trapelava da
nessuna delle accuse, nessuna bara e nessun cadavere oggetto di profanazione erano
stati rinvenuti eppure i cittadini credevano ai giornali. Questo è il potere che hanno i media
sulla gente: controllarne i pensieri mascherandosi da "informazione". E quale diavolo di
libertà di pensiero ed opinione c''è? Qualsiasi fottuto giornalista è libero di cambiare
l'opinione degli italiani a proprio piacimento poiché nessuno si prenderà mai il compito di
verificare la veridicità dei fatti che esso riporta sulla carta stampata. Stanno così le cose o
vi è una tale repressione che quando si crea un "mostro" la gente sfoga tutto la rabbia su
di lui? I miei pensieri in quella cella danzavano alla ricerca di tanti perché. Eppure le
risposte erano semplici: i giornalisti controllano le masse, la repressione è tanta. Ma cosa
si può fare in una cella 24 ore su 24? Chi mai, conscio della propria innocenza,
accetterebbe un massacro fisico e psichico a livello nazionale? I roghi di un tempo
duravano quei cinque minuti, quanto sarebbe durato il mio? Cosa sarebbe uscito da quella
cella, un giorno?
Il Tribunale del Riesame, cui si erano ennesimamente rivolti i nostri avvocati, confermò
questa volta la tesi d'accusa e restammo tutti in carcere.
Mentre milioni di pensieri mi fungevano da compagni di giochi, le accuse continuavano ad
incrementare giorno per giorno. Lucia Musti ,avendo trovato nel nostro computer un email
diretta ad un mio amico giornalista americano, parlò di una "pista estera" e di agganci
mafiosi. Il settimanale "Famiglia Cristiana" pubblica una mia fotografia in cui ero ritratto
ammanettato in mezzo a due carabinieri, corredata da un articolo in cui ero dipinto come
"mafioso" con agganci a "sette estere". Il clima inquisitorio divenne rovente. Il Tribunale
del Riesame, raccolti gli atti dell'accusa in merito al primo provvedimento di custodia
cautelare in carcere, gli stessi atti che in un primo momento aveva riconosciuto
insufficienti per determinare una carcerazione preventiva e ai quali Lucia Musti ricorse in
appello presso la Corte di Cassazione, tramite una camera di consiglio convalidò il primo
arresto. In questa camera di consiglio, oltre a me, il «vice presidente», Gennaro Luongo, i
nostri avvocati era presente il Procuratore Luigi Persico.
Le motivazioni per la convalida del primo arresto
Difesa
Il Maestro non era in Italia i giorni 18/19 novembre 1995. La violenza carnale non poteva
essere avvenuta la sera del 25 novembre poiché Gennaro Luongo a bordo della propria
autovettura in compagnia di Elisabetta Dozza era stato fermato e multato a Ravenna dai
carabinieri per essere passato col semaforo rosso alle ore 24.00. E' improbabile che una
persona che viene stuprata il 24 se ne vada al mare il 25 cl proprio carnefice.
Accusa inoltrata dal Procuratore Luigi Persico
Le ragazze non possono andare in giro col taccuino e macchina fotografica per scrivere la
data di uno stupro e fotografarne la dinamica.
Conclude con la frase: "Le prove non ci sono ma questi sono satanisti qualcosa dobbiamo
fare!"
Bene, ditemelo pure in faccia, oltre i danni le beffe! io e il «vice presidente» rispondiamo
con un sonoro applauso e veniamo buttati fuori dall'aula dal Giudice.
I carabinieri ci trascinarono fuori di peso, io puntai l'indice contro il Procuratore Luigi
Persico dicendogli: "L'hai detto tu!". Il carabiniere che mi stava portando fuori dall'aula si
bloccò e mi lasciò finire la frase, dissi per la seconda volta: "L'hai detto tu!". Gennaro
Luongo non reagì e rimase in aula. I carabinieri ci portarono nella sala d'aspetto, ci misero
le manette e dissero: "Ragazzi, dovevate stare calmi!" "Ma ha sentito cos'ha detto?"
risposi, uno di loro annuì e disse: "Dimitri, noi non possiamo farci nulla, vedrai che poi si
sistema ma devi essere bravo e non fare queste cose altrimenti il giudice ti manda fuori
dall'aula!". Sarà, ma il senso di liberazione che ho provato in quell’istante fu immenso. Mi
ero espresso applaudendo, mi ero espresso, finalmente! Avevo dato una mia voce in quel
vicolo cieco ed essa mi si era riversata addosso.
Una decina di minuti dopo venimmo riaccompagnati in carcere.
Passò qualche giorno e venni spostato di cella, un breve spostamento di solo un paio di
loculi ma almeno nella nuova dimora c'era la tv in bianco e nero mezza scassata: la gioia
di un collezionista d'antiquariato e il mio nuovo passatempo. Per tre giorni le immagini mi
tennero compagnia, specie nelle ore serali tra un film ed un TG. Gli scherzi e le umiliazioni
delle guardie iniziarono a diventare ancora più infimi tanto che una notte una di loro arrivò
con un sacchetto nero della spazzatura infilato in testa, all'altezza degli occhi c'erano due
fori: "Buhhhh!! Sono il Diavolo, sono venuto a liberarti da quest'orrore!" disse con voce
cavernosa. La mia risposta lo folgorò: "Hai infilato il cervello nel posto giusto!" dissi e lui se
ne andò promettendomi schiaffoni. Furono solo parole perché non venni più picchiato. Nei
giorni successivi iniziarono ad arrivare lettere di amici. Due mie amiche si erano
interessate a prendersi cura di me e del gatto che era rimasto a casa. Una si prese
addirittura il permesso per potermi fare avere un pacco una volta alla settimana
lasciandolo in dotazione alle guardie in servizio all'entrata del carcere. Iniziarono ad
arrivarmi libri, biscotti, giornalini e un po' di soldi per fare la spesa. In carcere si può fare la
spesa una volta alla settimana, ti lasciano un foglio in cui devi scrivere il prodotto e la
quantità di quello che vuoi acquistare. La mia scelta era sempre la medesima: sigarette,
buste e francobolli, caffè e una volta al mese "Dylan Dog". Nel giro di un mese avevo
iniziato a scrivere a tutti quelli cui ero affezionato. Mi ero affezionato al detenuto che
lavorava in sezione come scrivano, era una persona molto intelligente che studiava
filosofia "zen". Tramite lui riuscivo a sapere le condizioni fisiche in cui erano il «vice
presidente» e Gennaro Luongo, il suo lavoro era quello di girare mezzo carcere per
prendere dai detenuti richieste scritte, liste della spesa e quant'altro di cartaceo gira
nell'istituto penitenziario. Disse da subito di non credere ad una virgola delle accuse nei
nostri confronti, di vedere in noi dei ragazzi vittime di un oscuro complotto. Mi fece avere
un paio di libri: "Marcovaldo" di Italo Calvino, "Sulle ali dell'aquile" di K. Follett, in
quest'ultimo libro ritrovai analogie alla situazione che stavo vivendo. Con lo scrivano
parlavo di filosofia, diceva di volere diventare un maestro zen, era i carcere da un po' di
tempo e doveva scontare sei anni per detenzione di cocaina. Non aveva l'aspetto del
drogato ma di un uomo simpatico e molto buono al quale dicevo che non sarebbe
diventato maestro zen poiché, secondo la mia filosofia, la sua vera volontà era quella di
uscire di li e l'universo segue sempre la prima vera volontà dell'uomo. Disse che avevo
ragione e che il suo era un adattarsi alla condizione di reclusione. Un giorno arrivò con
due pacchetti di Marlboro: “Te li manda il «vice presidente»..." disse. Fu una breve
amicizia poiché il suo turno finì ed il suo sostituto non era un tipo loquace. Ad una amica in
uno dei momenti di depressione avevo scritto che pensavo di impiccarmi e che non ce la
facevo più a stare li da solo come un pirla. L'amica, preoccupata, fece leggere la lettera al
direttore del carcere il quale mi mise sotto stretta sorveglianza. Per dieci giorni, ancora
una volta, le mie gesta venivano annotate da una guardia ce mi sorvegliava 24 ore su 24:
Dimitri legge, Dimitri va a fare la doccia, Dimitri dorme, Dimitri fa i cruciverba, Dimitri
guarda la televisione (mi chiedevano che programma guardassi) Dimitri va in bagno... Al
decimo giorno di sorveglianza decisero di trasferirmi in un reparto tranquillo. Mi dissero
che stavo per cambiare cella e mi fecero prendere i miei effetti personali, le lenzuola e la
coperta. Due guardie mi accompagnarono al piano terra, entrai in un corridoio bianco con
le porte blu, camminai ancora per un lungo tragitto somigliante al labirinto di un inconscio.
La passeggiata ebbe termine in uno stanzino dove fui spogliato completamente e
perquisito. Venni accompagnato nella nuova cella, la finestra con sbarre e griglia dava su
un piccolo giardinetto frequentato da tre gattini neri che giocavano fra loro. La televisione
era a colori e mi diedero un telecomando sigillato con un piombo dicendomi di non aprirlo
per nessun motivo. La prima cosa che feci fu quella di guardare la cella di fronte alla mia:
c'era un ragazzo grassoccio dal volto simpatico che mi salutò e mi lanciò una bottiglia di
plastica contenente del caffè: "Metti fuori la scopa!" disse, con la ramazza tirai a me la
bottiglia e la recuperai. Bevvi golosamente l'espresso anche perché, per paura di un mio
tentativo di suicidio, mi era stato sequestrato il fornellino a gas. Feci subito amicizia col
nuovo vicino di cella. Era siciliano, accusato di associazione mafiosa si era pentito ed era
in quella sezione poiché "protetto". Quello era il suo racconto. Il tempo lo passavamo a
disegnare o a fare parole incrociate in comune: lui leggeva le definizioni e insieme si
trovava la soluzione. All'allegra nostra compagnia si aggiunse un signore di circa
cinquant'anni che portarono una sera nella cella a fianco alla nostra. Io facevo i tarocchi,
un mazzo di carte che abbiamo costruito disegnando le carte una ad una, il ragazzo della
cella di fronte cucinava la roba che compravamo ricavandone panzerotti alla ricotta,
spaghetti alla carbonara che mangiavo separandoli dalla pancetta essendo io vegetariano.
Qualche cella più in la, sulla destra di fronte alla mia c'era un uomo sulla quarantina,
capelli lunghi, volto abbronzato e grosso nasone che mi rivolse la parola all'improvviso: "Ti
piace la salsiccia eh?", una frase che era chiaramente riferita all'accusa di stupro, la frase
suonò così fastidiosa che reagì rispondendogli un modo molto brusco: "Oh! Ma che cazzo
vuoi??? Ma non lo vedi che mi hanno preso in mezzo? Sono innocente, testa di cazzo!!!"
"Allora stai preoccupato!" rispose.. Passò qualche ora e il ragazzo della cella di fonte alla
mia mi chiamò e disse: "Oh ma sai chi è quello che ti ha chiesto se ti piace la salsiccia? E'
un serial killer, è qua in carcere da diciotto anni, ha ucciso diverse persone, gli sparava in
faccia senza mostrare la minima emozione..." "Brutto scemo, vuoi dire che ho dato della
testa di cazzo a un serial killer psicolabile ?" risposi e i precedenti penali mi furono
confermati dalle guardie. Fantastico, pensai, adesso quello mi mangia a colazione! Arrivò
la sera, erano circa le 22.00 e stavo vedendo un film alla tv quando il killer mi chiamò dalla
sua cella, mi alzai dal letto e cercai di affacciarmi il più possibile dallo spioncino della porta
blindata. Il killer aveva in mano una bottiglia di plastica col caffè, me la lanciò e disse: "Tu
hai fegato ragazzo! Molto fegato!" lo guardai e dissi: "Senti, scusa, mi dispiace per oggi,
insomma sto da schifo con tutte ste accuse, non ho fatto nulla di quello che dicono!".
Rispose che nella mattinata aveva detto così perché era nervoso, di avermi visto in tv da
Maurizio Costanzo mentre indossavo una maglietta con un lupo. Da quella volta, quando
preparava il caffè, me ne mandava sempre un po' tirandolo in una bottiglia di plastica al
ragazzo che era nella cella di fronte alla mia e dicendo: "lasciane un po' anche al diavolo".
Quel mese, era agosto, lo passai abbastanza bene per quanto si possa stare bene in un
carcere. Disegnavo, scrivevo, iniziarono anche ad arrivarmi lettere dal «vice presidente».
Appresi che ci si può scrivere da cella a cella. Arrivò una lettera di una ragazza di Treviso
dal nome Federica, voleva conoscermi ed instaurare un'amicizia con me. Dapprima non le
risposi, poi passai la lettera al ragazzo della cella di fronte alla mia e gli dissi di scriverle
che era un mio amico, che non volevo conoscere gente in una situazione simile. Ero già in
corrispondenza con una mia cara amica, Cinzia. Un giorno venni chiamato per un
colloquio, mi sembrò strano perché non avevo nessun parente ma seguii le guardie e, una
volta perquisito, arrivai nella sala apposita. Dall'altra parte di un tavolo c'era Cinzia, Disse
che la Musti le aveva dato un permesso per fare un colloquio con me, mi sorpresi. Con
Cinzia parlai del mio stato d'animo, di come ci si sente ad essere vittime di un complotto,
dissi che non ce la facevo più e mi rispose che stava pensando di rivolgersi ad un
investigatore privato per arrivare alla radice del problema. Mi salutò e tornai in cella. Solo
dopo qualche mese scoprii che la conversazione era stata fatta registrare da Lucia Musti
che non l'ammise mai come prova poiché la stessa affermava che la registrazione era
piena di fruscii e quindi non udibile. In realtà la mia opinione è che questa era una prova a
mio favore. Cinzia non mi scrisse più da quel giorno, era andata in ferie con un ragazzo
che aveva conosciuto da poco e sparì. La mia corrispondenza fu messa sotto controllo da
Lucia Musti e lo scoprii un giorno quando mi arrivò una lettera del «vice presidente»
contenente un disegno di un maiale nei pressi di una forca con scritto il nome: "Persic". La
lettera era stata aperta e richiusa usando una graffettatrice, sulla busta vi era un timbro
che da quel giorno accompagnò tutta la mia corrispondenza: "visto per censura". Ogni
lettera che ricevevo od inviavo era fotocopiata dalla Procura e annotata su un registro del
carcere che dovevo firmare. La cosa non mi preoccupò poiché non avevo nulla da
nascondere ma mi diede un po' fastidio perché nemmeno l'intimità di una lettera mi era più
concessa. Dopo una ventina di giorni venni di nuovo spostato di cella, questa volta il
tragitto fu breve perché rimasi nello stesso reparto in una cella di un corridoio adiacente.
La nuova cella aveva ancora il vecchio televisore in bianco e nero ma era grandissima ed
aveva un bagno ampio in cui c'era l'acqua calda. Quella cella non mi piacque ma fu la mia
dimora definitiva. Non vi erano celle di fronte alla mia ma un muro bianchissimo, la finestra
era una specie di botola situata nella sommità della parete, la griglia che la ricopriva
lasciava passare una luce fioca ed insufficiente per illuminare la stanza resa visibile dalla
luce bianca di un neon. In compenso mi misero subito un compagno di cinquantacinque
anni che monopolizzò l'uso della televisione, mi riempì di racconti di reati costituenti
furtarelli commessi quando era giovane ed anche una breve evasione. Puntualmente alle
diciannove ogni sera sintonizzava la tv su Rai 1 per vedere "La Piovra" col commissario
interpretato da Michele Placido. Durante la trasmissione di quel telefilm in carcere
sembrava d’essere nel mezzo di una partita dell’Italia durante i mondiali di calcio, il tifo era
per la mafia, i suoni del telefilm echeggiavano per tutta la struttura carceraria.
Fortunatamente passavo il mio tempo scrivendo numerose lettere ai miei amici. Al mio
compagno di cella devo l'insegnamento del riciclaggio dei francobolli costituente nell'usare
di nuovo i francobolli timbrati infatti, massaggiandoli con acqua e dentifricio, il timbro
postale sbiadisce fino a divenire invisibile. Mi insegnò a rendere fresca, quasi gelata, una
bottiglia di aranciata che avevamo appena comprato, mettendola nel lavandino ed
aprendo il rubinetto fino a far scorrere un filo d'acqua sul suo fianco per qualche ora. Non
ce la facevo più! Dopo qualche giorno di agonia arrivò una lettera di Federica che mi
rimproverava: "Sei solo un bambino, volevo parlare con te ed invece mi hai fatto scrivere d
un compagno di carcere...". Le risposi con sarcasmo: "Ma scusi, lei sta parlando con il
capo dei satanisti, non ha paura?". Federica divenne una grande amica di penna, mi aiutò
economicamente e moralmente scrivendomi anche tre volte la settimana. Le lettere, per
via del controllo, arrivavano con ritardi di otto / dieci giorni . Intanto i carabinieri
continuavano a girare cimiteri, case abbandonate senza riuscire a trovare un solo indizio.
Elisabetta Dozza condusse gli uomini dell’Arma e lo stesso Pubblico Ministero lungo le
strade periferiche bolognesi più insolite. Una di quelle conduceva alla residenza estiva di
un nobile bolognese: il Marchese Ippolito Ariosti Bevilacqua. La residenza è nota alla città
di Bologna col nome “Palazzo de’ Rossi”. Elisabetta Dozza iniziò ad affermare che
conosceva quel posto per avere partecipato assieme a me a festini a base di cocaina e
sacrifici umani. Ben presto anche il bambino iniziò a mimare scene d’omicidio…
Lucia Musti assieme ai carabinieri entrò nella residenza del Marchese. La dinamica dei
fatti merita d’essere riportata. Musti, carabinieri in borghese a bordo di un’auto arrivarono
a casa Bevilacqua, la moglie del marchese vedendo Lucia Musti affermò: “Chi è quella
stracciona?”. Il palazzo venne perquisito da cima a fondo, unico risultato uno straccio nero
nelle cantine che a detta della Musti era una prova certa di oscuri rituali satanici.
L’inchiesta iniziò a sparare a zero, il Marchese venne diffamato come indagato d’omicidio
sui quotidiani tanto che lo stesso uomo scrisse ai giornali:
“Sono Ippolito Bevilacqua Ariosti, ho 50 anni, mi occupo di agricoltura e di immobili. Sono
cattolico praticante. Una ragazzina mai conosciuta mi accusa. di aver violentato
minorenni, distribuito droghe, e partecipato a riti satanici con un certo Marco Dimitri che ho
visto soltanto in tivù […]. La ragazzina dice anche che abbiamo fatto sacrifici umani
uccidendo con 21 coltellate un extracomunitario nei sotterranei della mia dimora di
campagna, Palazzo de’ Rossi. L’ho appreso l’altro giorno, leggendo “il Resto del Carlino”
che mi indica come indagato sulla base delle di quelle affermazioni ignobili, sono rimasto
sbalordito… Penso di avere il diritto che la stampa informi senza infangare e che la
giustizia indaghi verificando i fatti e senza consentire assurde calunnie.”
Dal quotidiano “La Repubblica” in data 24 gennaio 1997 a firma Paola Cascella
Il Marchese ripose bene la sua fiducia nella giustizia poiché fu prosciolto, assieme a noi
tutti, nella seconda metà del 1998, dopo solo due anni da quella che fu definita l’inchiesta
bis.
Ma voi che leggete, in un caso d’omicidio, avete diritto d’avere anche un cadavere.
Spiacenti, non sono in grado di fornirvelo… nemmeno Lucia Musti c’è riuscita.
Ovviamente sui giornali i titoli echeggiavano: “Satanisti e assassini” scriveva “il Resto del
Carlino”. Appresi tutto dalla mia cella. Ormai nemmeno gli agenti di custodia credevano
più ad una virgola di quello che veniva detto in merito all’inchiesta. Per bocca dei genitori
si seppe che Federico mimava visibilmente la scena dell’omicidio di quello che lui
chiamava “il dado blu”. Fu proprio il blu a concretizzare l’idea nella testa di Lucia Musti che
il cadavere fosse quello di un extracomunitario. Io sarò anche stato un bambino particolare
chiamando “dadi” le persone simpatiche a cui volevo bene e non “dadi cattivi” “dadi blu” i
mostri violentatori ed i cadaveri. La mia idea è che queste sono le parole di adulti che
tentano di imitare i pensieri di un infante, sia chiaro però che questa resta la mia opinione.
Comunque, tirando le somme, un uomo di cinquantanni che potrebbe essere il mio papà,
in mia compagnia ed in compagnia di una baby sitter di 14 anni, cuginetta sadica di un
bimbo di due anni e mezzo, lo stesso bimbo, Elisabetta Dozza di anni 16 in un festino
satanico con tanto di cocaina, ammazza un extracomunitario nella propria abitazione con
un numero di coltellate da fare invidia a Giulio Cesare e, una volta indagato sotto gli occhi
dell’Italia intera, scrive una lettera ai giornali dichiarando d’essere agricoltore e cattolico,
non si da alla fuga nell’ipotesi di un imminente arresto. Tutto questo non desta alcun
sospetto ed i mass media continuano la loro opera “informativa”. In casa del Marchese fu
fatta solo una perquisizione, nessun apparecchio in dotazione alla polizia scientifica è
stato usato nell’ipotesi di rinvenire tracce di un omicidio. Si è parlato di omicidio senza
avere fra le mani un cadavere o traccia di esso ma solo le dichiarazioni di una minorenne
che continuavano a cambiare giorno dopo giorno. Il tenore dell’inchiesta, la mancanza di
ogni indizio, le lacune dei racconti di Elisabetta Dozza non passarono inosservati, in
carcere arrivavano lettere di solidarietà da varie parti d’Italia. Tutto ciò non contribuì a
sollevarmi il morale, passavo le mie giornate a leggere, scrivere lettere. Lessi nuovamente
“Marcovaldo” di Italo Calvino, “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco, “Ecce homo” di
Friedrich Nietzsche. L’ora d’aria era costituita da “passeggiate” in un cortile grande come il
pianerottolo di un condominio, con muri immensi tanto da darmi solo la possibilità di
vedere il cielo, una fetta di cielo. Per più di un anno non riuscii a vedere una stella, la luna,
le luci intermittenti di un aereo. Fortunatamente tolsero il vecchietto dalla mia cella ed al
suo posto arrivò un ragazzo di vent’anni, Claudio. Entrò nella cella con un grosso livido sul
collo, disse che aveva tentato il suicidio per venire in cella con me, perché gli ero stato
simpatico dal primo momento che mi aveva visto. In seguito disse che il tentativo di
suicidio era stato solo simulato, appena vista una guardia si era gettato da un tavolo con
un lenzuolo annodato fra collo e sbarre della finestra. Solo quando entrammo in
confidenza disse chiaramente la verità: voleva morire e lo dimostrava chiaramente
l’enorme livido scuro. Era un ragazzo con un po’ di problemi, faceva marchette, rubava,
aveva consumato un paio di rapine con occhiali e baffoni finti, quest’ultima cosa mi fece
ridere non poco nell’immaginarlo. Con Claudio andavo d’accordo, dividevamo le sigarette,
il caffè, il walkman e la televisione. Passammo assieme l’ultimo dell’anno in quella cella. A
mezzanotte feci un botto con un grosso sacco nero per la spazzatura riempito d’aria e mi
misi a vedere fuori dalla piccola finestra, c’era la neve che scendeva con grossi fiocchi, era
bellissima, i fari arancioni lungo il muro del perimetro del carcere la illuminavano dello
stesso colore. Guardavo la scena, avrei voluto toccare la neve, piansi di rabbia nel
pensare alla situazione in cui mi trovavo. Lo scrissi a Federica, l’unica vera confidente che
avevo trovato nel mare di lettere che mi arrivavano di continuo. Con Claudio rimasi
qualche mese poi venne portato all’OPG (ospedale psichiatrico giudiziario) per crisi
depressive accentuate dalla sua abilità di simulazione. Una notte mi disse: “Guarda,
prendo in giro la guardia…” chiamò l’agente di servizio e si mise a sbattere la testa contro
le sbarre dicendo che in cella c’era la morte che lo voleva portare via. La guardia in
servizio accese la luce, il neon illuminò la cella, mi nascosi sotto il cuscino perché ridevo
visibilmente, “Non c’è niente vedi?” disse la guardia, Claudio continuò ed alla fine
un’infermiera gli portò un sonnifero che ingoiò con gioia. Prima dei processi studiava
smorfie per passare per squilibrato. Un giorno, nel tentativo di trasformare il mais in “pop
corn” affumicammo la cella a tal punto che le guardie dovettero intervenire e posteggiarci
in corridoio nell’attesa che tutto il fumo dell’olio svanisse dalla piccola finestra. Al posto di
Claudio mi misero in cella un quarantenne totalmente squilibrato, Giuseppe. Scorreggiava
come un trombone tutto il giorno, ruttava, non si lavava, sputata dietro la branda, non
puliva mai la cella e toccava sempre farlo a me. Una sera, mentre stavo guardando in
televisione un cartone animato con Paperino improvvisamente cambiò canale dicendo:
“Basta vedere i pupazzi, mettiamo un po’ di figa!” e sullo schermo apparve la Carrà… si
soffermò a vederla per un’ora circa. Giuseppe era dentro per scippo, aveva scippato una
vecchietta poi, pentito, era tornato subito indietro per restituirle la borsetta ma un poliziotto
in borghese l’arrestò. Mi fece talmente schifo che iniziai uno sciopero della fame per farlo
mandare via dalla cella. Lo scioperò durò tre giorni, poi ottenni la grazia e rimasi in cella
da solo. L’inchiesta oltre che la solidarietà di alcuni cittadini attirò sin dai primi mesi
l’attenzione di “Luther Blissett” un gruppo che ha preso il nome dal famoso calciatore e
che si occupa di “controinformazione”. Lo pseudonimo “Luther Blissett” non ha copyright
ed è adottabile da chiunque voglia fare opera contrinformativa. Luther Blissett era in
possesso di un vecchio teschio umano e di alcune ossa provenienti da un laboratorio
universitario. Teschio e ossa le rinchiuse in uno zainetto che depositò al deposito bagagli
della stazione FS di Bologna. Lo scontrino per il ritiro dello zainetto venne spedito al
“Resto del Carlino” a nome di un oscuro comitato di cacciatori di satanisti. Lo stesso
Luther Blissett nel suo libro “Lasciate che i bimbi, pedofilia: un pretesto per la caccia alle
streghe” edito da Castelvecchi nel 1997, scrisse della beffa: “Ho poi spedito lo scontrino al
Carlino, alla cortese attenzione del giornalista più criminalizzatore, accompagnato da un
messaggio scritto con titoli di giornale: ritira la borsa alla stazione. Riguarda i Bambini di
Satana. E’ importante. La beffa venne annunciata dallo stesso Luther Blissett su “Zero in
Condotta” un giornale bolognese diretto da Valerio Monteventi.
[L. Blissett, un teschio per il Carlino, “Zero in Condotta”, n.19, Bologna, 12 luglio 1996,
p.23]
Alcuni si sorpresero, ora che la beffa era stata annunciata i cronisti del Carlino lo
avrebbero scoperto. Ragionamento equo che non fa una piega.
Da “Il Resto del Carlino”, Bologna sabato 3 agosto 1996, richiamo in prima pagina ed
articolone all’interno:
Luther Blissett
“ENTRANO IN SCENA I “CACCIATORI DI SATANA”
Un misterioso comitato fa ritrovare al “Carlino” un teschio, ossa e lettere.
Il lugubre fardello era sistemato in uno zainetto. Si tratta di resti sottratti alla setta di Marco
Dimitri?
Un gruppo misterioso nemico giurato degli adepti del maligno, una specie di squadra di
“cacciatori di Satana”. Il loro grido di battaglia è un versetto del libro dell’Apocalisse, una
promessa di guerra totale a quelli come Marco Dimitri, il «vice presidente» e Gennaro
Luongo, i satanisti di Bologna finiti in manette con l’accusa di violenza carnale su un
minore […] dei “cacciatori di Satana”, veri o presunti che siano, adesso dovrà occuparsi la
Magistratura, soprattutto il sostituto procuratore Lucia Musti. Lo stesso P.M. che ha
chiesto l’arresto dei tre giovani appartenenti alla setta dei “Bambini di Satana” che in base
a una prima ricostruzione dei fatti avrebbero organizzato e celebrato un rito satanico
coinvolgendo un bimbo di appena due anni e mezzo. Lo avrebbero calato in una bara,
vicino a uno scheletro e lo avrebbero infine violentato con una matita. Lo stesso rito cui
fanno cenno gli autori della lettera anonima che ha messo il “Carlino” sulle tracce del
lugubre fardello. La missiva, con l’indirizzo stampato a computer, è stata imbucata a
Bologna il tre luglio scorso, subito dopo che qualcuno si era preso la briga di recarsi in
stazione, al deposito bagagli, e vi aveva lasciato in custodia lo zainetto. Un’operazione
semplice. Basta pagare 5.000 lire, ti rilasciano uno scontrino con relativa contromarca e te
ne vai. Qualche volta gli addetti agli stanzoni in cui si ammucchiano valige e pacchettini li
aprono e controllano il contenuto, a volte no. È chiaro che lo zainetto (ieri è stato
sequestrato dalla Procura) non è stato aperto. Ed è rimasto li per un mese intero, quando,
per un motivo o per l’altro, la busta è arrivata a destinazione (al cronista di nera) ed è stato
ritirato. Costo dell’operazione 295mila lire, perché dal secondo giorno in poi la tariffa passa
dalle cinque alle diecimila lire. Delle azioni di questo misterioso “Comitato per la
Salvaguardia della Morale”, che fa così la sua prima apparizione in Emilia Romagna, ci
sono tracce a Viterbo.
Biagio Marsiglia “
L’articolo è corredato da due foto di cui una a colori che riproducono lo zainetto. Luther
Blissett rivendica la beffa: con un comunicato stampa che si conclude con questa frase:
“Per una balla che ho inventato io, quante se le è inventate il “Carlino”?”. L’azione non
passa inosservata, una giornalista di “Repubblica” dice a Blissett che vorrebbe fare un
articolo ma che il suo direttore non vuole. L’atmosfera era tesissima, il gioco ancora non
valeva la candela. L’unico giornale che commentò l’accaduto fu “Il Giorno” un quotidiano
non bolognese che scrisse quanto segue:
“Una storia bellissima, di quelle ai confini della realtà, forti e massicce da brivido teologico:
un cimitero sotto la , gli adoratori del diavolo che stanno per sacrificare la loro solita vittima
umana, le ossa biancheggianti, il teschio che ghigna e sbatte le mascelle, poi i cacciatori
di satanisti all’assalto. Un vero peccato che non sia vera. Meriterebbe d’esserlo, ma niente
da fare: la storia è una balla e il “Carlino” se l’è bevuta. Non esistono, haimè, gli esorcisti
clandestini. Tutta la faccenda è una burla di Luther Blissett, il guerrigliero mediatico che da
anni sbertuccia giornali e case editrici inventando notizie, imbambolando l’informazione,
rispondendo all’inesattezza della cronaca con insensatezze peggiori, colpo su colpo […].
Fossero solo scherzi, si riderebbe e amen. Ma c’è qualcosa d’inquietante nei miraggi
messi a fuoco da Luther Blissett. Ogni burla riuscita del guerrigliero massmedianico
suggerisce un dubbio radicale sulla natura dell’informazione e della realtà. Potrebbero
essere burle, volontarie o involontarie poco importa, tutte quante le notizie che ci scorrono
sotto gli occhi, compresa quella che stavolta ha ispirato il burlone reo, confesso e recidivo.
Non esistono i “Cacciatori di Satana”. Perché dovrebbero esistere i “Bambini di Satana”?.”
Lo stesso giorno alcuni amici di Gennaro Luongo scrissero ai giornali manifestando la
solidarietà e chiedendo per lui gli arresti domiciliari.
A poco a poco nell’inchiesta si espanse in tutt’Italia. Conoscendo, per averlo visto un paio
di volte, Davide Zanotti, un ragazzo “metallaro” di La Spezia il Pubblico Ministero iniziò a
parlare di pista ligure, conoscendo un ragazzo di Pompei iniziò a parlare di una pista
napoletana. Zanotti, dal mio punto di vista, non rientra in un satanismo di tipo filosofico,
culturale ma negli adoratori del Satana cristiano o meglio, di quei ragazzi affascinati dalla
musica metallara. Lui stesso aveva un gruppo suo, una corrispondenza con lettori e lettrici
di riviste “metal”. Era iscritto alla “Chiesa di Satana” californiana di Anton La Vey, si era
iscritto da noi e, non trovando consona la nostra filosofia al suo stile, si mise in proprio.
Entrò nell’inchiesta dopo una perquisizione della DIGOS che gli trovò qualche osso
trafugato, delle foto che aveva fatto al cimitero dipingendosi il volto di bianco e armandosi
di un’ascia. All’epoca riempì i giornali come il più grosso dei criminali. Nessuno capì che
Zanotti era un ragazzo con seri problemi. Male oggettivo non ne fece mai a nessuno. Lui
stesso al “TG5” si scusò con gli spettatori dicendo che la musica “metal” l’aveva trascinato
in quella situazione, ancora oggi quella dichiarazione è un’arma in mano di chi la musica la
vuole demonizzare. Zanotti è un “satanista acido”, crede nell’esistenza di Dio e nella
filosofia cattolica, tanto che tende a ribaltarla, a profanarla. I suoi reati si limitavano a
qualche scorreggia mentale nei cimiteri, qualche foto “macabra”, qualche dichiarazione
alle riviste metallare di cui una ricordo benissimo: “Vivo per profanare Gesù” diceva..
Il ragazzo di Pompei, invece, arrivò da me con un suo amico che parlava uno strettissimo
dialetto napoletano tanto da non darmi la possibilità di capirlo. Entrambi si iscrissero, in
seguito e per due volte vidi solo il primo. Tenetevi forte perché accade l’impossibile: il
“Carlino” pubblica una mia foto accanto a quella del Presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro. Il Presidente nella foto indicava me, mentre io stavo a braccia conserte. Si
lamentava con la Rai perché aveva mandato in oda un rituale simulato in cui io tracciavo
col mio sangue un occhio sul ventre di una ragazza che fungeva da altare. La ragazza
simboleggiava la terra, il sangue la mia volontà attiva, l’occhio la Conoscenza. Al
Presidente questo fece orrore tanto da intervenire con lamentele nei confronti della Rai La
stessa si difendeva nell’articolo del “Carlino” con titolo a otto colonne: “Non siamo tv
Satana”. Sotto quell’articolo un altro affermava che io avrei drogato e tenuto sequestrato
quel ragazzo dall’accento napoletano. Le accuse divennero mare, divennero oceano, si
ribaltavano su se stesse, cambiavano, un giorno ero miliardario, un giorno avevo
addirittura regalato una casa ad una mia amica (io abito in una appartamento dello IACP)
un giorno facevo conferenze in grossi alberghi a cinque stelle, un giorno avevo ucciso ma
non si trovava nulla. Spero che mi crediate se affermo che anche adesso che sto
scrivendo faccio molta fatica a riportare quello che è accaduto, a districare la matassa per
potervela raccontare. Ne giro di un anno da ragazzo orfano di padre e madre occupante
una casa popolare mi sono trovato ad essere un feroce killer che uccide a colpi di
pugnale, droga la gente, la stupra, fa sesso immondo tanto da attirare le ire di Scalfaro,
detiene miliardi, ha agganci con l’emisfero “satanista – mafioso”. Quale mente vi era dietro
la Musti, dietro Elisabetta Dozza? Se lo scrivo tolgo la sorpresa in questo giallo di scoprire
chi è l’assassino (o assassina, vi do una mano). Riguardo al Presidente Scalfaro, Forattini
fece una vignetta divertente: il Presidente era vestito da diavolo con le ali aperte dicendo:
“Lasciate che i Bambini vengano a me”.
Luther Blissett inizia a chiedere una petizione per la nostra scarcerazione. “Zero in
Condotta” la riporta per intero:
“Dal 6 giugno scorso Marco Dimitri, il «vice presidente» e Gennaro Luongo (conosciuti
come i “Bambini di Satana”) sono detenuti al carcere della Dozza con accuse gravissime
di plagio e abusi sessuali sui minori. Questa prolungata “custodia cautelare” li ha prostrati
fisicamente e psicologicamente. Il 9 agosto gli avvocati di Luongo e del «vice presidente»
hanno chiesto gli arresti domiciliari per i loro assistiti, ma per la Procura essi sono
“socialmente pericolosi”, quindi non scarcerabili. Pochi mesi fa, sempre a Bologna, gli
arresti domiciliari sono stati concessi ad alcuni nazisti responsabile di una rivoltante
“caccia all’immigrato” per le vie del centro. Il Tribunale del Riesame ritiene i “Bambini di
Satana” più pericolosi degli squadristi? A dispregio della “presunzione d’innocenza”, e
benchè nel corso dell’inchiesta siano sorti e continuino a sorgere dubbi sull’attendibilità
delle testimonianze, per la cosiddetta “opinione pubblica” gli imputati sembrano essere già
colpevoli. Una campagna di stampa denigratoria ha sconquassato la città prima ancora
degli arresti, preparando il terreno per qualunque scelta repressiva; dopo gli arresti, il tono
si è fatto ancora più isterico, e la disinformazione – spettacolo ha superato i livelli di
guardia. Agli avvocati della difesa è stato concesso pochissimo spazio, mentre il Pubblico
Ministero Lucia Musti ha potuto usare tutti gli organi d’informazione come tribune da cui
esporre il suo teorema (quello di un “network” nazionale di satanisti pedofili con Bologna
come centro) e per annunciare pubblicamente l’apertura di nuove “piste: la “pista
campana”, la “pista ligure” ecc. Molti degli articoli pubblicati sul caso erano una vera e
propria fiction . La sistematica demonizzazione (mai termine fu più appropriato) prosegue
ora a livello nazionale, e coinvolge la musica death metal, i “giochi di ruolo” ecc. Si
richiede a gran voce la censura. Al mercato dei sentimenti l’”indignazione” sembra essere
la merce più richiesta ma, come ha scritto Nietzsche, “nessuno è più un falso di un uomo
indignato”. Tutto questo nel silenzio colpevole degli opinion leader “garantisti”, delle
organizzazioni per i diritti umani e civili, delle organizzazioni omosessuali (Dimitri e «vice
presidente» sono gay dichiarati, e non è difficile vedere l’equazione gay= pedofilo
stupratore). Questi imputati non sono “politicamente corretti”, sono “brutti, sporchi e
cattivi”, e quasi nessuno ha voluto sporcarsi le mani con loro. Noi ci opponiamo a questo
clima di caccia alle streghe, e chiediamo:
1) La scarcerazione di Dimitri e «vice presidente»
2) Una riconsiderazione globale del caso da parte dei media locali e nazionali: pari
opportunità per accusa e difesa, ospitalità alle voci critiche (che si spera siano sempre
di più).
Luther Blissett Project – Enrico Brizzi (scrittore) Valerio Monteventi (consigliere comunale
Prc)
Libreria Grafton 9 “
La carcerazione di Luongo durò in tutto sei mesi, a sua detta era stato anche avvicinato da
Lucia Musti, in un colloquio di cui gli avvocati difensori non erano stati informati,
speranziosa di ottenere elementi per la sua inchiesta che non trapelava alcun riscontro. Gli
furono concessi gli arresti domiciliari, il suo avvocato, Carla Mei, aveva “giocato” sulla
sentenza del Tribunale del Riesame riguardo il primo mandato di custodia cautelare il
quale lo condannò a un mese di arresti domiciliari. La sua carcerazione era finita. Fui
contento per lui, quel ragazzo “pacioccone” soffriva notevolmente dentro di se anche se
all’esterno non dava a dimostralo. Un giorno un ragazzo che faceva le pulizie nei corridoi
mi fece avere un foglietto scritto da Luongo: “Marco, mi sento solo, non ce la faccio più,
voglio morire…”Ancora oggi mi vengono i lacrimino a scrivere questa cosa. Gli replicai
d’essergli vicino, di tenere duro e gli aggiunsi un disegnino ironico. Lucia Musti controllava
tutta la nostra corrispondenza, sapeva che fra me e il «vice presidente» c’era scambio di
lettere, Luongo non scriveva ad altri che non fossero i suoi amici. Questo forse le diede
l’idea che il ragazzo fosse il più isolato dei tre. Uscì dal carcere mentre io e il «vice
presidente» restammo la fra le mura del carcere che ha lo stesso nome della grande
accusatrice.
La petizione andò a colpire il giusto bersaglio. “L’Espresso” del 3 ottobre 1996 riporta la
dichiarazione di un portavoce del GRIS (gruppo ricerca informazioni sulle sette) Giuseppe
Ferrari: “Abbiamo registrato contatti [dei satanisti] con gruppi di autonomi e di anarchici”.
L’allusione a Luther Blissett è più che evidente anche se lo stesso non abbia nulla a che
vedere con quelle tipologie di militanze menzionate. Giuseppe Ferrari reputa “autonomo,
anarchico” le “pecore nere” dell’immenso gregge, quelli che non stanno al gioco, chi osa
esprimere una contorce, come da convinto cattolico quale lui è. Ferrari si è sempre
dichiarato estraneo all’inchiesta, eppure “esperti” accusatori di cose indimostrabili,
proclamati di “teoremi da Inquisizione” appartenenti al GRIS hanno supportato l’inchiesta,
parlato con le parti in causa, coi carabinieri, con Lucia Musti che si avvalse nell’accusa di
una dichiarazione del professor Michele Del Re, fra l’altro scrittore di libri sui culti satanisti
gonfi di crimini indimostrabili persino dall’ABI. L’inchiesta prosegue, Lucia Musti non
trovando riscontri fra il mare di persone interrogate inizia a parlare di “omertà mafiosa”
Unno degli interrogati era il fidanzato dell’attrice Cristina Bagnolini che, sentendo il mare di
accuse, diede uno schiaffone alla Musti. Quanto sono stato stupido io a rispondere
all’interrogatorio! Il ragazzo, oltre che a finire in carcere, venne descritto dal “Carlino” come
“indemoniato romano”. L’articolo conclude con un elogio all inchiesta: “L’episodio dimostra
una volta di più quanto sia efficace l’inchiesta condotta dalla dottoressa Musti che sta
scardinando dalle fondamenta l’intera organizzazione bolognese. Il “Carlino” usò il termine
giusto: “scardinare” perché Lucia Musti veniva usata come ariete per sfondare i gruppi
satanisti o quelli che la Procura vedeva come tali: Efrem del Gatto: luciferiano. Cristina
Bagnolini: attrice di commediole sui culti delle streghe. Lo schiaffo è l’azione di una
persona spazientita, accusata di amenità e penso che questo sia comprensibile.
Nell’inchiesta oltre che ad una donna lupo, una amica di Elisabetta Dozza che lei stessa
dichiara e definisce “licantropia” con poteri strabilianti, entra anche il padre dell’amica: era
lui il pittore di un misterioso ed immenso quadro trovato a villa Ghigi di Bologna,
raffigurante una donna dai lunghi capelli neri che Lucia Musti definì maledettamente
somigliante alla Dozza stessa, era lui che aveva dipinto i quadri che adornavano casa mia.
Di nuovo la mia abitazione venne perquisita, tutti i dipinti vennero sequestrati. Il pittore
S.G. venne messo alla gogna della stampa, un uomo rovinato. Un quadro della mia
abitazione rappresentava Lucifero, un caprone con le ali che i carabinieri “schedarono”
come reperto di “quadro raffigurante il demonio con tipica faccia di toro”. Al processo
dovette venire l’autore che l’aveva dipinto: un occultista di Salinano in provincia di Rimini
che fece notare come dietro al quadro vi fosse una sua poesia, che il quadro era stato
dipinto su un’altra immagine raffigurante l’arcano n. 13 dei tarocchi: la morte su di un
cavallo bianco. Spiegare che l’occhio del cavallo bianco era di colore rosso e che quel
colore l’aveva ottenuto con una parte del suo sangue per costituire un piccolo elemento
magico nel dipinto, spiegò che il caprone era tratto da un antico disegno di Eliphas Levi,
un monaco mago del passato, rappresentava il capro espiatorio con le mani una che
indicava l’alto e una che indicava il basso per riprendere la teoria dell’unione dell’universo
in una sola entità di conoscenza che era rappresentata da una fiamma brillante sul capo
del caprone. Aveva il seno per rappresentare l’uomo e la donna. Il mio avvocato Nicola
Chirco chiese al giudice l’esame del DNA sul sangue contenuto nel quadro, il giudice
stesso comprese che il quadro era matematicamente dipinto da lui e non dall’accusato che
venne in aula con alcuni suoi quadri rappresentanti fiori e zucche, non nascondo che avrei
voluto avere una telecamera per riprenderlo quando davanti alla Corte, interrogato da
Lucia Musti gridava facendosi rosso in volto: “Ecco!!! Cosa dipingo!!!! Questo! Mica quella
roba di Satana! La gente in paese mi indica con le dita!!!” la Musti incalzò: “Ma non è mica
un reato dipingere quadri satanici!” “Ahhhhhh!!!!!!” fu la risposta. Il processo meriterebbe
un libro a se dato che durò cinque mesi. Iniziò il 13 febbraio 1997. La parte lesa era
rappresentata dall’avvocato Ronchi un uomo alto e magro dai movimenti aggraziati che mi
riferì d’essere membro di “Comunione e Liberazione” un gruppo di matrice cattolica. Noi
eravamo rappresentati dagli avvocati difensori: Nicola Chirco, Guido Clausi Schettini per
me, Roberto Bellogi per il «vice presidente», Carla Mei per Gennaro Luongo. Sui giornali
apparve anche una dichiarazione interessante della madre della baby sitter e zia del
bambino:
“Sarei pronta a giurare che il mio nipotino non ha mai neppure visto un rito satanico. [Di
quali segni si parla?] l’insofferenza per il pannolone? Oppure il rifiuto di alcuni cibi, come la
carne? Il bambino ha cominciato ad avere quei problemi mesi prima dell’estate del ’95,
quando secondo la madre avrebbe subito le violenze dei satanisti. Gli era nata la sorellina,
magari la sua era una “normale” forma di regressione, come capita a tanti fratelli maggiori
[…]. In tutta questa vicenda processuale che apparentemente è nata per la necessità di
proteggere i minori, proprio i bambini risultano essere meno tutelati. Mia figlia è parte lesa,
ma nessuno le crede. Quando i suoi amici minorenni confermano di essere stati loro, e
non i satanisti, a
favoreggiamento.”.
incontrarla
durante
la
villeggiatura,
vengono
accusati
di
Questa vicenda era così falsa che anche oggi non riesco a credere nella “buona fede” del
del P.M. Lucia Musti. Le domande sorgono spontanee e non sono frutto di una mia
ritorsione
personale.
Non c’erano cadaveri, tombe profanate, bimbi fisicamente lesi, conti correnti milionari. Non
vi era nulla che reggesse in piedi simili mostruosità. Io soffrivo in carcere, ma una
ragazzina di 14 anni, vistasi trasformare in assassina, stupratrice del suo cuginetto, mostro
di fronte ad un mondo che gli insegnamenti scolastici continuavano a considerare per vero
ed interessante. Che fiducia può avere questa ragazzina nei confronti dello Stato, delle
istituzioni che stava conoscendo per “vere e poste a tutela” sui libri scolastici?
Due giorni prima del processo riuscii finalmente a lasciare un’intervista. Una giornalista di
“Repubblica”, Paola Cascella che avevo incontrato già una volta agli inizi degli anni
novanta per un’intervista di tutt’altro tenore, venne in carcere e ottenne di potermi
intervistare. Mi sfogai con lei che in quell’istante mi sembrò quasi materna nei miei
confronti, quella che segue è la mia dichiarazione regolarmente apparsa sul giornale:
“Sono solo. Non ho nessuno, né genitori, né parenti. Per favore, qualcuno mi dia una
mano […]. Soffro d’attacchi d’ansia, mi curano con Tavor e il Prozac […]. Sono io il vero
violentato […] le pare che io possa… uccidere a colpi d’ascia povere vittime fra le pareti di
un condominio in via Riva Reno? […] alla base di tutto c’è la chiesa che vuole distruggere
le sette sataniche. Il GRIS è la sua longa manus […] in questi anni non sono mancati i
segnali… Irruzioni durante i riti da parte dei carabinieri, consigli di lasciar perdere […] il
ruolo del GRIS è evidente. La madre di Simonetta (lo pseudonimo di Elisabetta Dozza
N.d.A.) ha portato la figlia varie volte dall’esorcista, come la madre di Federico (il bambino
N.d.A.). Entrambe sono religiosissime. Simonetta è stata a lungo seguita da una psicologa
del GRIS che avrebbe partecipato anche a molti interrogatori. Persino la donna che faceva
le pulizie a casa mia un certo giorno fu dirottata verso la canonica di un parroco. Chi se ne
occupò? Il GRIS […] [La mamma di “Federico”] lo martella mostrandogli continuamente le
nostre immagini. […] queste persone probabilmente agiscono in buona fede, senza
rendersi conto che altri le stanno strumentalizzando.”
Una nota di colore: Paola Cascella nell’intervista ai primi degli anni novanta mi chiese se
io facessi orge come varie voci dicevano e le risposi: “Ti sembro un tipo da orge?”.
All’inizio dell’inchiesta, telefonicamente, Cascella mi chiese: “Hai stuprato Elisabetta
Dozza?” e la mia replica fu: “Ti sembro uno stupratore?”. Quel giorno in carcere mi disse
che ero anche accusato di sacrifici umani: “Ti sembro un assassino?” le dissi mentre
ridevo e piangevo allo stesso tempo, una risata per fermare il magone ormai trasformato in
pianto. Si, sono sensibile e romantico quello che mi mancava era un prato, una notte
stellata, l’abbraccio della verità perché ero costretto a vergognarmi, a sentirmi colpevole di
cose che non avevo fatto, ogni momento dovevo dare una spiegazione razionale ad
accuse irrazionale, ai detenuti, alle guardie, ai giornalisti. Dovevo passare in manette in
mezzo alla gente, sorridere per l’imbarazzo, passare in Tribunale davanti a Lucia Musti
senza darle una pedata nel fondoschiena e la tentazione era paritetica ad un uomo del
deserto che incontra una piscina d’acqua fresca e sente che dovrebbe buttarcisi dentro.
La Musti, turbata dalla mia intervista apparsa su “Repubblica”, visto che avevo toccato i
punti nevralgici della sua inchiesta dichiarò allo stesso giornale che io non avevo il diritto di
parola, che ero peggio di un terrorista. Il primo giorno d’udienza il Presidente del Tribunale
Sergio Cornia, dietro richiesta dei nostri legali, acconsentì a lasciarmi il diritto di parola. La
stessa mattina del 13 febbraio ’97 “Repubblica” pubblica l’articolo:
“Non sarà un processo come gli altri, perché l’inchiesta, fin dall’inizio, si è sviluppata in un
clima da inquisizione, di vera e propria caccia alle streghe, con tanto di esorcisti e riti
purificatori, di ricerca di tombe profanate (per altro non trovate), sullo sfondo di un mondo
parallelo e speculare a quello dei cultori di Satana che pare aver trasformato questa
vicenda in una sorta di guerra finale contro il Demonio. Un clima cui, occorre dirlo,
abbiamo contribuito anche noi giornalisti, chi più chi meno, almeno all’inizio delle indagini.
Sul banco degli imputati oggi non sono quindi tre ragazzotti scapestrati, sospettati
certamente di gravi reati, ma il Male personificato. Un’entità dai mille tentacoli, capace di
ordinare sacrifici umani, di stuprare bambini nei sepolcri violati, di filmarne la morte […]. La
questione è che in tanti mesi di indagini nessuno di questi agghiaccianti sospetti ha trovato
un solo riscontro. Sono state scavate buche, scoperchiate tombe, esaminati palmo a
palmo casolari e ville di periferia, passata al setaccio la sede della setta in via Riva Reno.
Nulla […]. Tutto l’impianto d’accusa dunque appare fondato sulle rivelazioni di Simonetta,
la ragazzina che ha denunciato d’essere stata violentata in un rito demoniaco. Un racconto
che gli psicologi hanno definito, a quanto si dice, attendibile. Ma Simonetta è la stessa che
racconta di cadaveri sventrati, fatti a pezzi e bruciati in un forno, di messe nere celebrate
in un palazzo di Pontecchio Marconi (la dimora estiva del Marchese Ippolito Ariosti
Bevilacqua N.d.A.) dove non è stato trovato nulla, di un “terzo livello” della setta affollato di
personaggi insospettabili e potentissimi, persino di dirigenti dell’USL da cui dipendono i
servizi sociali che si occupano di lei. Qualche dubbio sulla sua attendibilità, soprattutto se
i suoi racconti non hanno mai trovato riscontri, è lecito avanzarlo. Dubbi che d’altra parte
sorgono spontanei anche in relazione al caso dell’altra vittima dei satanisti […]. Il bimbo
avrebbe confermato tutto mimando con dei pupazzetti l’accaduto […]. Ma anche qui
appare sconcertante il fatto che l’attendibilità del “racconto” del bambino sia fondata quasi
esclusivamente non sull’osservazione diretta del perito, ma su quanto riferito dalla madre
e da un’amica di famiglia. Un ambiente, quello familiare, duramente provato dalla vicenda,
ma anche pervaso di una religiosità fortissima. Basti pensare che la madre, di fronte ad
alcuni comportamenti “strani” del figlio, decise di portarlo da un esorcista […].”
Il Processo
Il Tribunale era composto da:
Sergio Cornia, presidente
Milena Zavatti, giudice
Letizio Magliaro, giudice.
I nostri difensori:
Avv. ti Roberto Bellogi e Nicola Chirco, difensori di fiducia del «vice presidente»
Avv. ti Guido Clausi Schettini e Nicola Chirco, difensori di fiducia di Dimitri Marco
Avv. Carla Mei, difensore di fiducia di Luongo Gennaro
Avv. Roberto Bellogi, difensore di fiducia della “sacerdotessa”
Avv. Gianvito Califano, difensore di fiducia del “maestro”
Avv. ti Salvatore Di Mattia e Gabriele Bordoni, difensori di fiducia di Bagnolini Cristina
Il processo inizia, in aula alcuni cittadini fra cui ragazzi di 15 – 18 anni avevano costituito
un piccolo gruppo di solidarietà a me e lo affermarono ai giornali. Il presidente del
Tribunale Sergio Cornia disse che il processo mirava a vedere se alcuni fatti erano
successi o meno. Non era in discussione la mia filosofia. Dimostrava, a mio parere,
l’aspetto di un uomo buono e colto. Durante il lungo processo si scusò addirittura con me
per un teste che mi aveva offeso dicendo: “Quei ragazzi erano coglioni che giravano
attorno al fuoco, i carabinieri avranno altro a cui pensare spero…”. Alcuni testi
abbandonarono Lucia Musti, il Professor Adamo che affermava d’avere visto il «vice
presidente» sotto casa del bambino affermò d’essere un uomo malato e di vederci poco, di
non essere sicuro d’avere visto proprio il «vice presidente». La vecchietta che mi avrebbe
visto ad una fermata delle corriere nel paese dove il bimbo abitava entrata in aula affermò:
“Eh! Ma non è mica lui! Ho povero ragazzo!”. Continuavo a stupirmi attimo dopo attimo,
teste dopo teste. Il marchese Bevilacqua venne interrogato e confermò d’avermi visto solo
in televisione o sui giornali, la sua anziana domestica venne anch’essa interrogata,
affermò che era al servizio del marchese da diversi anni, che il drappo nero trovato nelle
cantine della residenza estiva l’aveva portato lei per spolverare ed era uno di quei panni in
cui le orchestre avvolgono gli strumenti. Il Palazzo de’Rossi ospitava spesso raduni
culturali in cui vi erano anche gruppi orchestrali. Dopo questa disposizione Lucia Musti
affermò che quelli della “servitù” erano “servi della gleba” e che servivano in tutto il
“padrone”. Un teste “particolare” che la Musti andò a ripescare nel passato dei “Bambini di
Satana” fu un carabiniere “volontario” che infiltrandosi convinse i propri superiori ad aprire
un’inchiesta che in seguito il tribunale rigettò. Il carabiniere M. infatti alla fine degli anni 80
si infiltrò veramente, raccontando poi ai suoi superiori (ed alla stampa) anche diverse balle
come “il venerdì della vergini” che, a detta del carabiniere, era il giorno in cui, nella serata,
numerose vergini (SIC!) venivano da me carnalmente possedute. In realtà, il venerdì sera,
prestavo servizio per il mio istituto facendo la guardia del corpo ad un industriale di via
Laura Bassi in Bologna. Anche in tribunale, indispettito perché la sua inchiesta non andò a
buon fine, egli disse falsità, ad esempio che Bagnolini Cristina era presente all’epoca in cui
lui si infiltrò, cosa assolutamente falsa poiché la Bagnolini iniziò la sua carriera di attrice
teatrale solo all’inizio degli anni 90. Ad ogni modo nell’inchiesta del carabiniere M. mai
apparve simile nominativo. A mia difesa, dietro richiesta dei miei legali, M. disse che mai
aveva visto me a profanare cadaveri o con bambini. Un Luther Blissett era presente in
aula sin dal primo giorno di processo, camuffato da giornalista si presentò solo a me e
Luongo dicendo: “Luther, ciao!” . Il giornalista del “carlino” Roberto Canditi non era mai in
aula, sempre nei corridoi a chiacchierare coi carabinieri e, negli intervalli, con la Musti.
Elisabetta Dozza rispose solo alle domande della Musti, rispondendo con un’ennesima
versione dei fatti, tanto che la stessa Musti esordiva con domande: “La verità è quella che
mi stai dicendo oggi o quella che mi hai detto nell’interrogatorio?”. Io intanto osservavo dal
gabbione degli imputati. Cosa doveva dire la Dozza? Sto mentendo oggi?. Disse che il suo
tentativo di suicidio all’inizio dell’inchiesta era simulato, che noi nei rituali usavamo la
tarantola in quello che lei definì “il rito della tarantola” che consisteva nel mettere quel
ragno su un corpo nudo poiché il suo morso era afrodisiaco. Lo stesso giudice rise e le
chiese: “Scusi, cos’era?” “Si, si, afrodisiaco!” confermò. Appena iniziò il contro
interrogatorio da parte dei nostri avvocati ella cadde per terra svenuta. Un quarto d’ora
dopo fu vista dall’avvocato Bellogi che chiacchierava amabilmente con i giornalisti. Chiese
di potere esporre il giorno seguente e le fu concesso. Il giorno dopo disse di non volere più
deporre. Dei disegni fatti dal bambino si scoprì che erano stati fatti da una parente su sua
indicazione. In un filmato visionato in aula il bambino corre a carponi fra le pareti
domestiche mentre un paio di persone lo seguono con una videocamera , la madre gli
chiede: “Federico, chi mettiamo in prigione oggi, Marco Dimitri?” e lui grida: “Marco
Dimitri!!!” “E poi? Gli altri dadi cattivi, chi sono???” “Efrem del Gatto!!!”. Lo stesso loro
avvocato Ronchi si avvicina al gabbinone dicendo: “Glielo stanno facendo dire loro! Si
capisce benissimo! Li sa a memoria!” e chiedo scusa a Ronchi se ho riportato il
particolare, se riporto quest’altro: “Dimitri lo capisco che sei innocente però io devo mirare
alla tua condanna!”, intervenne l’avvocato Bellogi dicendomi: “Non parlare con quello li…”
e riprendendo Ronchi, dicendogli di non dialogare più con me. Non intendo criminalizzare
Ronchi , faceva il suo lavoro ed il mio parere è che voleva chiedere la condanna senza
sentire rimorsi, mi disse di essere un membro del gruppo cattolico “Comunione e
Liberazione”. La ragazza accusata d’essere “licantropa” depose e rispose ad alcune
domande di tenore: “le sono mai cresciuti peli sulle braccia? Ha mai ululato?”. I preti
esorcisti di cui uno dal cognome francese, quasi cieco che venne accompagnato in aula
da un assistente e Padre Clemente Leonardi non deposero e si avvalsero, il primo della
facoltà di non rispondere, il secondo di non venire perché malato. Ogni giorno arrivavo li in
tribunale, a volte senza nemmeno prendere un caffè perché dal carcere si partiva molto
presto, restavo in tribunale tutto il giorno, toccavo le mani dei pochi amici che si
avvicinavano al gabbione, ogni fine udienza chiedevo all’avvocato Chirco o all’avvocato
Bellogi come stava andando e se potevo stare tranquillo. Non riuscivo più a dormire per la
tensione, la rabbia che avevo dentro. Per tv una sera vidi Cristina Bagnolini dire ai
giornalisti: “Ma porca miseria in che casino sono finita!”, giusto qualche secondo ma iniziai
a ridere considerando la situazione. In aula prima dell’inizio dell’ennesima udienza
Elisabetta Dozza mi fissa nel gabbione, si gira e ride con il suo legale. Intervengo dicendo:
“Se puoi evitare di ridere sarebbe meglio!”, accadde un macello, alcune guardie si
avvicinarono al gabbione, altre andarono a sgridare la Dozza. Furono chiamati a
testimoniare i proprietari degli alberghi ove, secondo Elisabetta Dozza, io facevo
conferenze sul satanismo. Tutti i proprietari portarono i registri ove risultava che nessuna
conferenza era stata fatta a mio nome o con tematiche sataniche. Pensai al “fuca fuca”
pronunciato dal bimbo, doveva averlo sentito dai ragazzini amici della sua baby sitter,
pensai a lungo e mi venne un’improvvisa ipotesi: ma “fuca” “la baby sitter ha fucato” non
significherà mica “fioccare?”. Un termine molto più consono che “to fuck”. Lo dissi a Carla
Mei che lo riferì al giudice attirando le ire della Musti: “Mi state ridicolizzando!”. La stessa
frase che disse agli inizi del processo quando, siccome il bambino parlava di “alcola” e
secondo lei l’alcola” era una miscela di liquidi seminali maschili e femminili, l’avvocato
Roberto Bellogi si presentò in aula con una bottiglietta avente l’etichetta “alcola” ed
affermando: “Signor Giudice, è una coca cola leggermente alcolica”. In quell’ambito
processuale vennero fuori tutte le accuse terribili di cui nemmeno ero a conoscenza. Il
bambino sarebbe da noi stato calato in un pozzo contenente acqua, immerso varie volte
ed altre amenità simili. Nessun segno venne però trovato sul corpo del piccolo all’epoca
dei fatti. Secondo Elisabetta Dozza io avrei regalato una casa ad una mia amica che
dovette portare in tribunale il rogito che ne attestava la proprietà da parte dei genitori da
più di quarantanni. Ogni virgola dell’accusa fu demolita. Il “Tedesco” fu in grado di ripetere
le esatte parole pronunciate dall’amica di famiglia del bambino che affermò di avere visto il
«vice presidente» al posto suo. Ancora oggi non sono in grado di capire se la famiglia fu
vittima di una situazione che credeva reale oppure compiacente con le autorità
ecclesiastiche desiderose di vedere i “Bambini di Satana” andare a gambe all’aria. Questa
titubanza che ho è anche supportata dalla dichiarazione in aula dell’amica di famiglia. Gli
strumenti per il piercing, aghi, pinze forate e spingiago erano custoditi in una scatola di
vetro con coperchio in metallo e messi a bagno in una soluzione sterilizzante. L’amica di
famiglia affermò in tribunale che il bimbo conosceva benissimo la scatola perché lei stessa
glielo chiese. Le domande erano: “di che materiale è fatta la scatola dove c’erano le forbici
con cui ti hanno schiacciato il pisellino?” e il bimbo corse ad indicare la superficie di un
tavolo che era di vetro. Per cui la risposta era “vetro”, la domanda però prosegue: “Di che
materiale è fatto il coperchio?” ed il bambino indica il ferro. Queste domande, a mio
parere, possono sussistere solo se l’amica di famiglia avesse visto fisicamente la scatola
poiché sapeva che la stessa era composta da due materiali diversi fra loro, oltre a sapere
che le forbici erano custodite in una scatola e non in un cassetto come uno potrebbe
pensare. Quindi la donna sapeva già com’era la scatola e stava cercando di incriminarmi.
Arrivò il giorno della requisitoria e Lucia Musti affermò che, siccome non era stato trovato
un cadavere, una tomba profanata, una bara probabilmente “Margherita” era un
manichino, quindi avrebbe ritirato le accuse di cui all’articolo 407 (violazione di sepolcro) e
chiese:
“Per Dimitri Marco la condanna alla pena di anni 8 di reclusione e Lire 1.000.000 di multa.
Per il «vice presidente» la condanna ad anni 7 di reclusione.
Per Luongo Gennaro la condanna ad anni 6 di reclusione.
Per Bagnolini Cristina la condanna ad anni 4 di reclusione.
Per la sacerdotessa: la condanna ad anni 3 di reclusione.
Per il “maestro” la condanna ad anni 2 di reclusione.”
L’avvocato civile della famiglia del bimbo, Marina Magistrelli: Lire 500.000 per danni morali
e materiali.
L’avvocato di Elisabetta Dozza: Lire 500.000 milioni per danni morali e materiali”
I nostri legali: Nicola Chirco, Guido Clausi Schettini, Roberto Bellogi, Carla Mei, chiesero
l’assoluzione per l’insussistenza del fatto.
Lucia Musti fuggì però dall’aula in lacrime quando l’avvocato Roberto Bellogi nella sua
requisitoria disse che il pubblico ministero forse si sentiva un po’ compiaciuta nel sentirsi
sempre dire di si dalla Dozza. I giornali riportarono: “P.M. scappa il lacrime durante la
requisitoria dell’avvocato Bellogi”. Passarono i giorni e venne quello della sentenza. Andai
in tribunale, la Corte prese tempo per deliberare ed io fui condotto di nuovo in carcere.
Quel giorno cercai di passarlo più in fretta che potevo, sapevo che la mia posizione di
satanista era fastidiosa, potevo essere condannato per “etichetta” anche senza prove.
Andai all’aria, passeggiai nervosamente e rientrai in cella. Solo alle 19 venni condotto in
tribunale. L’aula era affollata dai giornalisti, telecamere, macchine fotografiche, registratori.
Entrai nel gabbione. L’avvocato Guido Clausi Schettini si avvicinò e disse: “Dai, dovrebbe
andare bene, se ti condannano è solo perché sei satanista e questo alla morale da
fastidio”. Attesi interminabili minuti ed uscì il giudice coi membri della Corte. L’avvocato
Nicola Chirco chiese se potevo assistere alla lettura della sentenza fuori dal gabbione ed il
giudice acconsentì. Andai vicino a Chirco che mise la sua mano sulla mia ed
appoggiandola al bancone di fronte a noi. Il giudice iniziò a leggere la sentenza, in nome
del popolo italiano. Tutti gli imputati assolti perché il fatto non sussiste, io condannato al
pagamento di un milione di lire per la mancata bollatura di un registro fiscale da parte della
commercialista. L’ordine di scarcerazione immediata di tutti gli imputati, la restituzione
degli oggetti sequestrati. Lucia Musti diede un cricco alla penna che aveva appoggiato sul
suo bancone, la penna girò compiendo mezza rotazione. Io in lacrime abbracciai
l’avvocato sbagliato, Roberto Bellogi che non era il mio ma quello degli altri miei
coimputati, poi abbracciai finalmente l’avvocato giusto. Flash dei giornalisti, microfoni
orientati verso di me, telecamere: “E’ la fine di un incubo!” dissi, piangevo per la gioia di
una giustizia finalmente ricevuta. Tornai in carcere, questa volta senza manette, mi
accompagnarono in cella e mi dissero di raccogliere i miei effetti personali. Canale 5
interruppe il telegiornale dicendo: “Clamorosa sentenza a Bologna, i satanisti tutti assolti!”,
i carcerati applaudirono, “Vai! Si un grande!” dissero. Per risposta distribuii lanciandoli:
l’accappatoio, la caffettiera, buste, fogli, francobolli, schiuma da barba. Regalai ai detenuti
quello che avevo. Consegnai lenzuola e ciotole alle guardie che mi restituirono portafoglio,
un ciondolo rappresentante una stella col nome del gruppo in oro, il mio telefono cellulare,
un anello in oro. Attesi il «vice presidente» ed uscimmo finalmente dal carcere dove ci
aspettava una folla di giornalisti. In seguito il tribunale scrisse una sentenza di circa
ottocento pagine demolendo pezzo per pezzo l’accusa. Nonostante l’assoluzione nella
formula più piena ed ampia, la mia vita è duramente provata. Il susseguirsi d’apparizioni
sui giornali di articoli, nei quali si ricorda che fui denunciato per stupro continua anche oggi
1999. Raramente negli articoli viene scritto dell’assoluzione per insussistenza del fatto.
Addirittura, a distanza di quasi tre anni dall’assoluzione, la Rai mi mostra in manette
durante l’arresto nella trasmissione “Angeli o Diavoli?” Come potrò avere un futuro? In
questi anni non sono mancati i segni di una mia reazione informativa riguardo a quello che
era accaduto. Non potevo finire in carcere con deliranti e schifose accuse, completamente
innocente, arrivare a tentare il suicidio e fare finta di nulla o, addirittura, dimenticare come
mi consigliò diversa gente. Conobbi Luther Blissett, il gruppo bolognese dei Luther quando
Lucia Musti denunciò uno di loro per averla offesa nel libro “Lasciate che i bimbi…
pedofilia un pretesto per la caccia alle streghe” che trattava, come già detto, in una sua
parte dell’inchiesta giudiziaria della Musti sui “Bambini di Satana”. Lucia Musti si sentiva
offesa? E come dovevo sentirmi io? Terrorista, pedofilo, mostro sociale, miliardario –
mafioso, licantropo e peggio di un terrorista? Inoltrai un comunicato stampa di solidarietà a
Luther Blissett. Una sera incontrai il Luther denunciato dal P.M. Insieme facemmo alcune
conferenze fra il 1998 ed il 1999, parlando dell’inchiesta, informammo pubblicammo
comunicati. In un centro sociale occupato, per la precisione un teatro, fu messo in scena
uno spettacolo sul caso giudiziario che intitolarono “Il caso Musti”. “La Repubblica” anticipò
con un articolo in cui compaiono interviste a me ad a Riccardo Paccosi, artista che
metteva in recita il caso.
“Il caso giudiziario delle messe nere verrà presentato al Teatro Occupato
Satana e il pm in scena
Si recita lo scontro Dimitri – Musti
Il “caso Dimitri” diventa uno spettacolo teatrale come il “caso Sofri” di Dario Fo. Ma, forse
perché lo spettacolo si vuol caratterizzare più fortemente contro il magistrato che aveva
fatto arrestare il presidente dei Bambini di Satana, la rappresentazione si chiamerà “il caso
Musti”. La storia giudiziaria del “Satana bolognese” andrà in scena il 30 gennaio al Tpo “il
teatro polivalente occupato” di via Irnerio, luogo dove si aggira Luther Blissett, il soggetto
collettivo di controinformazione alternativa che già aveva attaccato l’inchiesta sulle messe
nere del sostituto procuratore Lucia Musti. Il magistrato, da parte sua, rispetto a questa
nuova “provocazione” si chiude dietro uno stretto “no comment”.
“Il caso Musti”, firmato dall’attore – autore Riccardo Paccosi, della “Amorevole compagnia
pneumatica”, che al teatro San Leonardo di Leo De Bernardis aveva messo in scena
“Gengis Khan”, è annunciato nell’ultimo numero della rivista alternativa “Zero in condotta”.
Sarà realizzato all’interno di una serata di autofinanziamento per sostenere le spese legali
di Luther Blissett nella causa intentata dal pm Musti dopo l’uscita del libro “Lasciate che i
bimbi”, che già trattava criticamente il caso Dimitri. “La serata servirà per finanziare, se
avanzeranno dei soldi, anche Dimitri, che dopo la scarcerazione deve ancora pagare gli
arretrati dell’affitto di casa allo Iacp e nessuno gli da più un lavoro nonostante sia stato poi
assolto”, dice un portavoce del “gruppo di lavoro su censura e repressione” di Luther
Blissett, che si può definire il produttore de “Il caso Musti “. Il 30 gennaio la performance
sarà ripetuta due volte in una serata danzante con musiche tropicali. Il teatro occupato da
tre anni, “tollerato" ma ora in via di sgombero, diventerà una specie di sauna, perché la
temperatura interna sarà fatta salire fino a 35 gradi “per evadere dal freddo inverno
inquisitorio”. Marco Dimitri è stato chiamato a fare il “consulente” della performance. “Mi
hanno chiesto l’autorizzazione quest’estate durante una serata in via Scandellara e l’ho
data ben volentieri – dice Dimitri –. Non ho mai seguito le prove né conosco il testo, ma mi
hanno chiesto informazioni su alcuni dettagli dell’inchiesta. Sono d’accordo con queste
iniziative perché è giusto che la gente sia informata dei rischi della giustizia. Non chiedo
risarcimenti o danni, è meglio informare”. Luther Blissett da parte sua afferma che l’idea di
tradurre in teatro la vicenda giudiziaria di Marco Dimitri “è sembrata allettante , perché c’è
un’odissea giudiziaria e anche la figura del magistrato è un soggetto interessante.
Nessuno però ha chiesto il parere all’interessata. Luther Blissett evidentemente non teme
un’altra accusa civile da parte della dottoressa Musti, per sostenere la quale è costretto a
autofinanziarsi utilizzando un teatro occupato illegalmente. Lucia Musti denunciò la
Castelvecchi Edizioni per il libro “Lasciate che i bimbi” e due providers, che avevano
diffuso il testo via Internet. Ora Luther Blissett critica la Castelvecchi, che non ha mai
concordato la linea difensiva con l’autore “collettivo” del libro.
Riccardo Paccosi: perché ho scritto “Il caso Musti”
Riccardo Paccosi, che ha scritto “Il caso Musti”, è un autore giovane, che un tempo
contestava Leo De Bernardis perché questi attaccava il teatro dei giovani e poi ha lavorato
anche insieme a lui. Ha fatto parte del “Teatro situazionautico Luther Blissett”, ora sciolto,
che creava “tumulti” in strada e ora fa parte del “Comitato 14 dicembre”, che occupa lo
stabile di via Altura . Si definisce “un teatrante che cerca di far si che l’arte sia etica e
quindi politica”.
Come sarà “Il caso Musti”?
“Non è uno spettacolo, ma una performance che durerà dai 20 ai 30 minuti, devo ancora
decidere. È teatro di racconto, come quello di Dario Fo, ma si ispira di più alla Tragedia del
Vajont di Marco Paolini. La scrittura che ho scelto è quella delle barzellette brutte, alla fine
delle quali nessuno ride, cercando di ottenere un effetto psichedelico e all’interno ho
inserito il racconto del caso giudiziario di Marco Dimitri. Ma citerò altri casi di persone
accusate e poi clamorosamente assolte”.
Lei interpreterà Dimitri?
“No, non avevo tempo per calarmi in un personaggio, sto preparando un Amleto . Dimitri lo
proietto in diapositiva, così come la dottoressa Musti. Mi farò accompagnare da un
chitarrista, siamo il duo “gli incredibili hulks” “.
Perché piuttosto non ha chiamato la sua performance “Il caso Dimitri” ?
“Perché è la dottoressa Musti che è salita alla ribalta con questa inchiesta, con le sue
interviste, che citerò. Mi limito a raccontare i fatti”.
L’obiettivo è proprio il magistrato?
“Sono tre. Il principale è il potere della Chiesa cattolica che è dietro l’inchiesta, poi il potere
della magistratura e poi il ruolo che hanno avuto i mass media”.
Luigi Spezia
Da “La Repubblica” venerdì 15 gennaio 1999 “
L’idea di Paccosi di paragonare l’inchiesta della Musti ad una barzelletta che non fa ridere
era davvero geniale. Dalla procura arrivò stranamente una richiesta di sgombero . Ci
furono varie opposizioni anche da parte del Comune di Bologna. Io esordii con un
comunicato: “I Bambini di Satana si oppongono allo sgombro”. Fu proprio il mio errore di
digitazione che trasformò lo “sgombero” in “sgombro” ad attirare l’attenzione di quel Luther
Blissett denunciato dalla Musti per avere redatto il libro “Lasciate che i bimbi…”. “Ma lo
sgombro è il pesce!”, mi disse durante una trasmissione in una diretta a “Radio città del
Capo” in cui dovevo leggere il mio comunicato. Durante una delle pause musicali. Ci
mettemmo a ridere ipotizzando Lucia Musti con in mano un pesce. Feci un fotomontaggio
al computer. Divenne il simbolo dello spettacolo, fu pubblicato da “Zero in Condotta”. La
sera del 30 gennaio lo spettacolo venne recitato alla presenza di ottocento persone.
L’incasso, tolte le immani spese di gasolio per portare la temperatura a 35 gradi, fu diviso
fra me e Blissett. Qualche giorno dopo venni nuovamente accusato da Lucia Musti (il
mondo è piccolo…) per falsa denuncia, estorsione. Praticamente, la stessa “sacerdotessa”
chiamata in causa durante l’inchiesta di questo libro, aveva sottratto dei soldi presso il
luogo di lavoro. Successe quando la stessa donna instaurò una relazione con un
parrucchiere di provincia dal passato penale generoso. La stessa Musti, senza ovviamente
alcun riscontro, ipotizzò che la “sacerdotessa” avesse rubato i soldi per darli alla “setta”.
Lo ipotizzò e venne supportata dalle dichiarazioni della donna che, nell’evidente motivo di
“salvarsi il culo” e proteggere l’amante, continuavano a rispondere affermativamente alle
domande poste dal PM. Per l’ennesima volta venne accusata la figura del “vice
presidente”, non più quello arrestato con me che si dileguò appena assolto, bensì l’attuale
persona che ricopre la carica, Alessandro Chalambalakis. Venne accusato dalla
“sacerdotessa” d’averla minacciata telefonicamente: “Fatti scopare da me altrimenti ti
rompo la testa”. La cosa fece sorridere parecchie persone, considerato che la
“sacerdotessa” ha una corporatura molto grossa, un comportamento evidentemente goffo.
Oltre che, da evidenti controlli che si possono effettuare presso la Telecom, risulterebbe la
falsità dell’affermazione posta in accusa. Come avrei estorto io i soldi? Dicendole che se
non me li dava le avrei lanciato il “malocchio” (SIC!). Demenzialità che solo i “maghi” all’
“Oronzo” possono affermare. La falsa denuncia? Perché la donna venne da me piangendo
e affermando d’essere stata scippata da due persone di colore. Perché l’accompagnai in
Questura a fare denuncia. Da quando sono uscito di galera vengo ancora perseguitato da
accuse gratuite. Da una “superteste” giudicata inattendibile che si è costruita un futuro da
pornostar, che si mostra nuda su giornali di scarso gusto affermando addirittura di avere
fatto orge con me ed alcuni avvocati dentro un cimitero. Da me denunciata Elisabetta
Dozza racconta ai giornali di avere “inventato qualcosa” per darsi un po’ di carisma. Per
risposta ad un comunicato stampa di Luther Blissett in quale affermava che una ragazzina
raccolta e trasformata in “superteste” per poi essere abbandonata a se stessa non poteva
che finire a fare pornografia, Lucia Musti abilmente afferma: “Ecco il futuro di chi esce da
una setta, chi esce non ha scampo”. Il comunicato in cui affermavo che, dal 1982 anno in
cui fondai i Bambini di Satana, la gente è sempre entrata ed uscita senza alcun problema,
che Elisabetta Dozza la vidi una sola volta e che era l’unica pornostar di seicento iscritti,
non fu mai pubblicato a smentita. Dopo lo spettacolo di Paccosi, Luther Blissett, per la
precisione quello che aveva redatto il libro denunciato dalla Musti, è stato minacciato,
presso il suo domicilio arrivò un pacco contenente la testa mozzata di un maiale.
Nemmeno io sono stato risparmiato, nella mia cassetta delle lettere recentemente ho
trovato una busta contenente un proiettile calibro 44 Magnum ed una lettera scritta a
pennarello: “Convertiti a Cristo, altrimenti te la facciamo arrivare in fronte…”. Sia io che il
Blissett abbiamo sporto denuncia ad ignoti presso gli uffici della DIGOS. Spero che un
giorno, la gente, sia libera di riunirsi a proprio piacimento, in associazioni di cultura o
religiose senza essere criminalizzata dal potere ecclesiastico, trasformata in “setta” dal
GRIS, perseguitata da organi di giustizia per colpe mai commesse. La libertà è il bene più
prezioso. .
Conclusioni
Mi sento un anticorpo, generato dall’universo, lo stesso universo che produce perversi e
perversione dichiarando la propria morbosa anarchia in barba a chi, inutilmente, cerca
ordine e disegni divini.
Si, caos allo stato puro, istinto, superbia, estasi creativa, carica sessuale, arte umana.
Tutto ciò ci rende creatori, artisti, scienziati, procreatori, in sostanza: maghi. Laddove la
magia è il prodotto dell’uomo epicentro universale, misura di tutte le cose, in seminatore
dell’elemento che modifica la sostanza fino all’ottenimento del prodotto voluto. E’ l’errore
che rende possibile il risultato; è la continua mutazione che permette l’intervento, il libero
arbitrio, un verso all’interno di un immenso spettacolo senza fine.
Questo è il verbo che avete visto contrastato coi mezzi più grotteschi, col vostro consenso,
si, col vostro consenso!
Le mostruosità contenute in questo libro sono possibili solo con l’orrore
dell’evangelizzazione, sono possibili col vostro consenso.
A Bologna l’inquisizione non ha trovato terreno fertile solo perché alcuni cittadini un po’ più
acuti si sono ribellati. Altrove cosa accadrà?
Perché è in pericolo la vostra vita, le vostre scelte, quella e quelle dei vostri figli.
L’amore codificato, imposto, insegnato è la più grossa palla d’escremento, la porta alle
guerre, il corridoio della discriminazione, dell’imbecillità e padre di tutti gli orrori.
Nessuno di noi fermerà la propria azione informativa, la propria guerra mediatica nel
tentativo, sicuramente folle ma utile, di ricostruire i valori che oggi troviamo solo nei musei,
chiusi sottovetro, narrati volgarmente nei depliant.
Perché l’arte, la creatività, la ritualità istintiva e la coesione con l’universo sono l’unica
realtà che attraversa il tempo.
Questi sono i valori che cerchiamo di ripristinare in seno all’individuo.
Una considerazione sul sistema carcerario: qualcuno oggi si chiede il perché dei numerosi
suicidi fra i detenuti. Solo un appunto, dettato da un’esperienza che mi è stata gentilmente
regalata dai signori del bene a tutti i costi e come piace a loro…
In carcere, una condanna a morte
Perché si arriva al suicidio spesso e volentieri? Le situazione che si presenta a un uomo
che fino a poco prima era libero è di totale disagio, un po' per l'incredulità di trovarsi in
stato di restrizione, un po' per paura dell'abbandono di chi è vicino negli affetti, un po' per
la vergogna e la considerazione che, usciti, resterà un'esperienza pendente e un ricordo in
seno a tutta la vita.
Aggiungiamoci anche gli scherni delle guardie carcerarie, qualche sberlone di benvenuto,
l'umiliazione di essere perquisiti totalmente nudi di fronte a vari estranei.
Anche il comportamento dei detenuti è di prevenzione, spesso fungono loro stessi da
giudici etichettando e prendendo provvedimenti che possono variare dal semplice scherno
alle botte.
I suicidi in carcere non sono così anomali in considerazione dei tempi di restrizione, del
linciaggio burocratico, del decadere personale, sociale, affettivo.
Non si tratta di semplice restrizione ma di una tappa che inevitabilmente può essere
considerata come conclusiva della propria vita esperita.
Le visite, una volta a settimana, sono insufficienti, vengono concesse solo a famigliari,
quindi decadono relazioni esterne e amicizie. Gli incontri avvengono alla presenza di
guardie e di altri detenuti a loro volta a colloquio. Decade ogni frammento di privacy, le
guardie ti osservano mentre dormi, mentre sei in bagno e mentre ti fai la doccia.
Difficile che le relazioni affettive possano avere una durata in considerazione di quanto
detto.
L'unica possibilità di relazione sociale è costituita dalla corrispondenza, se il detenuto ha
dei soldi può acquistare carta, penna, francobolli e sperare di ricevere una risposta.
Non dimentichiamo che spesso il detenuto viene messo in cella con altri in spazi
ristrettissimi, poco più di un pianerottolo, ammassati in letti a castello ivi compreso il
bagno.
L'ora d'aria viene consumata in spazi grandi come salotti con mura alte che consentono la
visuale solo del cielo.
e' quasi una condanna al suicidio.
Del carcere non si sa quasi nulla, è un luogo morto, a parte.
La negligenza, mi secca dirlo ma è così, non è solo da parte delle guardie ma anche da
parte dei detenuti stessi.
E' generata dalla comune ignoranza made in Italy o made in altri posti, è la collettività che
è in difetto, la collettività che, nonostante rivendichi le proprie matrici culturali continua a
mietere escrementi.
Si strilla e si ribalta la legge per il crocifisso da non togliere, mai come ora la religione è un
simbolo inchiodato.
Meglio! Preferisco un capolavoro firmato da un'anonima idiozia!
Le ragioni?
Prendiamo ad esempio una persona messa in regime di custodia cautelare, ovvero quella
fase in cui è in corso un'inchiesta su fatti presumibilmente accaduti e l'indiziato viene
messo in carcere perchè:
1) potrebbe scappare
2) potrebbe inquinare le prove
3) potrebbe commettere altri reati analoghi a quelli di cui è accusato...
Beh, il pericolo di fuga è un pericolo potenziale che ha ogni persona, l'inquinamento delle
prove (quindi le prove sono ancora da trovare...) è adattabile a ogni persona nella fase
primordiale dell'inchiesta, il pericolo di reiterazione del reato è quanto meno opinabile visto
che l'indiziato potrebbe essere anche innocente non essendo ancora stato giudicato da un
tribunale.
Spesso si impara di essere indiziati solo quando si viene arrestati.
Quindi la custodia cautelare si basa su delle supposizioni, la persona viene pensata
colpevole, creduta pericolosa e messa in carcere in attesa di un processo.
L'attesa può prolungarsi anche oltre un anno.
Arrivo alla motivazione per cui punto il dito sull'ignoranza della collettività, la persona in
custodia cautelare qualsiasi sia il reato a lei contestato, viene trattato dai detenuti e dalle
guardie come se fosse colpevole con tutti i disagi, gli scherni, le botte che possono variare
di caso in caso.
Qualsiasi pubblico ministero può richiedere e ottenere la custodia cautelare.
La morte, il suicidio, avviene nel contesto del branco con le modalità in seno alla
sottocultura, a queste modalità partecipano comunitari ed extracomunitari.
Questo è il perchè vi sono i suicidi in carcere!
Non per nulla ti levano i lacci delle scarpe, gli oggetti con cui puoi tagliarti, un messaggio
tacito: "Così non ti uccidi!" , ovvio che la persona si trova davanti uno stop a un'alternativa
che potrebbe essere solutiva: il suicidio.
I suicidi avvengono nelle maniere più architettate, la morte è desiderata per porre fine
all'agonia, qualcuno si impicca annodando lenzuola, sacchetti della spazzatura... altri
provano col gas del fornellino da campeggio, altri ancora si tagliano le vene coi coperchi
dei barattoli, con le lamette...
Inutile il supporto psicologico, la maggior parte degli psicologi nelle carceri non fa altro che
aggravare la situazione regalando consigli quasi risibili come "prendi questo periodo come
un periodo di riflessione" "Cerca di distrarti" e altre amenità simili.
Sono in buona parte psicologi alle prime armi o poco brillanti, risolvono le questioni
prescrivendo ansiolitici e sonniferi che, dopo qualche giorno creano assuefazione e non
hanno più effetto.
Ansiolitici che vengono nascosti nel pane e tirati da cella in cella perchè il prepotente di
turno possa avere la sua ora di sballo.
Qualcuno vuole fare credere che il cancro sociale sono i giovani con i loro incidenti del
sabato sera, il loro bicchiere di troppo, la loro perdita di valori.
Ora concludete voi, concludete voi…
Vi chiedo solo: in un Paese come l’Italia ci sono stragi in famiglia un giorno si e uno no.
Siamo noi satanisti il male da perseguire?