Il sintetizzatore, storia e utilizzo in ambiente live-electronics
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Il sintetizzatore, storia e utilizzo in ambiente live-electronics
CONSERVATORIO di MUSICA “G. VERDI" – COMO Corso di Diploma Accademico di primo livello in discipline musicali Musica Elettronica e Tecnologie del suono Il SINTETIZZATORE. STORIA E UTILIZZO IN AMBIENTE LIVE ELECTRONICS Relatore M° Luca Richelli Tesi finale di: Yuri Dimitrov Matr. 2879 Anno Accademico 2015-2016 Sommario PREMESSE 4 1. CAPITOLO I:STORIA DEL SINTETIZZATORE 6 1.1. GLI ALBORI 7 1.2. LA NASCITA DEL SINTETIZZATORE 12 1.3. IL SINTETIZZATORE CONTROLLATO IN TENSIONE – BOB MOOG E LA FILOSOFIA “EAST COAST” 1.4. 16 “SAN FRANCISCO TAPE MUSIC CENTER” – DON BUCHLA E LA FILOSOFIA “WEST COAST” 20 1.5. ANNI ’70: LA NASCITA DI NUOVE CASE COSTRUTTRICI E DEL MINIMOOG 24 1.6. LA NASCITA DEL DIGITALE E DELLA POLIFONIA 27 1.7 PROTOCOLLO MIDI, SINTETIZZATORI DIGITALI E WORKSTATION 29 1.8 GLI ANNI '90: LA NASCITA DELLE DIGITAL AUDIO WORKSTATION E DEL SINTETIZZATORE "VIRTUAL ANALOG" 1.9 33 IL SINTETIZZATORE AI GIORNI NOSTRI, IL RITORNO DELL'ANALOGICO E LA NASCITA DELL'EURORACK 37 2. CAPITOLO 2: PERFORMANCE LIVE ELECTRONICS 42 2.1 INIZI E PRIMI SVILUPPI 43 2.2 SVILUPPO DEL PROGETTO: LA SCELTA DELLA SUDDIVISIONE IN SCENE E LA COSTRUZIONE DEL PROGRAMMA DI ELABORAZIONE DEL SEGNALE TRAMITE MAX 45 2.3 LA STRUTTURA DELLE SCENE ED I METODI DI SINTESI ADOPERATI 47 2.4 ESTETICA DELLA PERFORMANCE 55 2.5 I PROCESSORI DI SEGNALE NELLE SCENE 58 2.6 SPAZIALIZZAZIONE E ANALISI SPETTRALE 71 2 3. CAPITOLO 3: GUIDA TECNICA ALLA REALIZZAZIONE DELLA PERFORMANCE 73 3.1 IL SINTETIZZATORE MODULARE 74 3.2 CLAVIA NORD LEAD 4 94 3.3 STRUMENTI ACUSTICI E MICROFONAGGIO 103 3.4 PATCH IN MAX PER IL LIVE ELECTRONICS 104 3.5 PATCHES DEI SINTETIZZATORI 113 3.6 ROUTING DEL SEGNALE ANALOGICO 123 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI 125 RINGRAZIAMENTI 126 APPENDICE 127 BIBLIOGRAFIA 128 SITOGRAFIA 130 ALTRI MEDIA 133 3 PREMESSE La ragione che mi ha spinto ad affrontare questo argomento, per la mia prova finale, trova spunto nel mio percorso didattico ed artistico. La mia formazione, presso il Conservatorio G. Verdi di Como, mi ha permesso di scoprire una realtà musicale e delle tecniche di approccio alla musica fino ad allora a me sconosciute. La musica elettroacustica (cito in particolare gli artisti che più apprezzo: Bernard Parmegiani, Trevor Wishart, Karlheinz Stockhausen, Horacio Vaggione, John Chowning), le sue tecniche di riproduzione acusmatica, la sintesi con CSound, sono delle realtà che ho scoperto solo grazie a questo percorso formativo. Dall’altra parte, al di fuori dell’ambiente accademico, scopro una passione verso lo strumento musicale elettronico: il sintetizzatore. Apprezzo la sensazione di utilizzare una macchina piuttosto che un algoritmo creato con il computer, ne scopro e ne colleziono di varie tipologie, diventando così una grande passione, di cui mi servo, ovviamente, anche dal punto di vista lavorativo, per l’elaborazione di suoni finalizzati alla produzione musicale. Fu così che, in vista di una prova finale, decisi di unire questi due aspetti che fino ad allora non avevano mai trovato un punto d’incontro, un po’ per mia scelta, un po’ secondo il pensiero comune. Con l’avvento della computer music, infatti, gli studi di Europa e del resto del mondo, accantonarono gli enormi sintetizzatori in favore di una soluzione più comoda e, sotto certi aspetti, più efficiente. Il mio scopo, quindi, era di fondere queste due realtà, con l’utilizzo dei miei sintetizzatori uniti all’elaborazione del suono offerta dall’ambiente di programmazione Max, al fine di creare una performance che potesse riunire questi due mondi. Decisi, inizialmente, di portare alla prova finale un’improvvisazione basata sul concetto di modularità: lo strumento chiave doveva essere il mio sintetizzatore modulare, con il DSP creato con il computer, che rappresentava un modulo aggiuntivo. Dopo poco tempo, il mio collega Alessandro Arban mi propose di fondere il mio progetto col suo, basato sull’improvvisazione tramite strumenti concreti e live electronics. L’idea mi piacque subito, era l’occasione di arricchire la mia esibizione con ulteriori timbriche ed aprire una sorta di dialogo musicale tra il sintetizzatore e gli strumenti “tradizionali”, senza uscire dalla mia idea originaria: egli infatti poteva essere considerato come un altro modulo aggiuntivo da utilizzare nella mia performance. La scelta di un metodo di lavoro appropriato, trova spunto nelle metodologie utilizzate dal Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC), che si basavano sul registrare le loro lunghe sessioni 4 d’improvvisazione, per poi riascoltarle attentamente subito dopo, traendone poi spunto per la sessione successiva. Un’altra tecnica utilizzata da questo collettivo su cui ci siamo ispirati per la nostra performance, era nella pratica esecutiva, adoperando schemi comuni, basati su parametri unici come il timbro o l’andamento del suono (inviluppo), al fine di trovare un ulteriore spunto al dialogo tra gli esecutori.1 La scelta, invece, che abbiamo adottato riguardo la suddivisione dell’improvvisazione in scene, fruibili singolarmente o amalgamabili in un unico brano, si ispira alle parole nel testo di Stockhausen “The British Lectures”2, dove parla della scelta di dividere un brano in “momenti”, cioè delle sezioni formate da strutture con parametri regolati secondo regole molto precise, pur lasciando libertà esecutiva, come il tempo del brano o l’ordine secondo cui le varie sezioni andavano suonate. La nostra performance ha una durata di circa dieci minuti divisa omogeneamente nelle cinque scene (due minuti ciascuna), che formano tre momenti musicali. Le prime due scene formano un climax, che passa da un momento iniziale di “calma” attraverso l’uso di lunghe tessiture, che pian piano evolvono in eventi più puntuali e improvvisi, sfociando, in seguito, nel secondo momento musicale, rappresentato nella terza scena, dove si raggiunge il culmine della performance, dal punto di vista delle dinamiche e della quantità di timbri utilizzati. È un momento intenso, energico, il dialogo è veloce, a tratti caotico, pur avendo un proprio ordine di base; i suoni acustici e sintetici elaborati dal DSP s’intrecciano, andando così a formare un unico amalgamato sonoro molto concentrato. Dopo questa parte così concitata e frenetica, è il turno del terzo momento musicale, formato dalla quarta e quinta scena, dove si ha un anticlimax, una perdita graduale delle dinamiche e del contenuto spettrale. La concentrazione dei suoni si fa sempre più rarefatta, fino al termine dell’esecuzione stessa. Dopo questa breve anticipazione dei contenuti estetici dell’improvvisazione, concludendo, l’argomento principale di questo trattato, quindi, è il sintetizzatore, la sua storia, ed il suo utilizzo nell’ambiente live electronics, frutto di un lungo lavoro, durato circa un anno. Nel testo, inoltre, è compresa un’attenta analisi degli strumenti utilizzati e dell’intero setutp della performance, dando così la possibilità a chiunque di riprodurla o di implementarla con nuove idee. 1 Valerio Mattioli, Superonda: Storia segreta della musica italiana, Baldini e Castoldi Editore, 2016. 2 K. Stockhausen, The British Lectures, Institute of Contemporary Arts, Londra, 1972. 5 CAPITOLO I 6 1. STORIA DEL SINTETIZZATORE 1.1. GLI ALBORI Per capire meglio come è nato il sintetizzatore dobbiamo fare un passo indietro agli albori dell’era dell’elettricità. Alla fine del XIX secolo, a seguito della sua scoperta, nacquero le prime centrali elettriche e, di conseguenza, l’elettricità. Questa grandissima scoperta trovò applicazione in quasi tutti gli aspetti della vita delle persone, non stupisce quindi che abbia trovato spazio anche nell’ambito della musica, non per registrarla, ma per produrla, utilizzando l’elettricità come fonte sonora. Il primo strumento elettrico costruito fu il Telharmonium3 o dinamofono, inventato da Thaddeus Cahill nel 1897: il congegno era formato da 145 ruote foniche (simili ad alternatori) ed induttori, e produceva corrente alternata di varie frequenze. I segnali venivano controllati da più tastiere da 7 ottave. Per aspetto e suono assomigliava incredibilmente ad un organo, potremmo infatti considerarlo come l’antenato dell’organo elettromeccanico Hammond, ma, date le sue enormi dimensioni, l’incredibile peso (200 tonnellate) e la sua scarsa praticità, fu essenzialmente un fallimento in ambito commerciale. Figura 1. Il Telharmonium 3 Reynold Weidenaar, Magic Music from the Telharmonium, Lanham, MD, Scarecrow Press, 436 pp., 1995 7 Il primo vero importante passo verso la nascita delle moderne macchine per la sintesi sonora fu il Theremin4, inventato nel 1917 dal russo Leon Theremin (Lev Sergeevic Termen). L’apparecchio, suonato con il solo movimento nell’aria delle mani dell’esecutore, è formato da due antenne perpendicolari al corpo principale, una verticale e l’altra orizzontale, che captano i movimenti dall’alto verso il basso in prossimità dello strumento. L’antenna verticale trasforma il movimento dell’esecutore in variazione frequenziale, mentre quella orizzontale ne varia l’ampiezza. Il suono veniva prodotto da due circuiti oscillanti formato da lampade triodi (antenate delle valvole) ad alta frequenza (300kHz), se ne sfruttavano i battimenti che generavano e successivamente venivano filtrati tramite un filtro passa basso, cancellando così tutte le frequenze al di sopra di quelle udibili dall’uomo. L’invenzione riscosse un discreto successo in campo compositivo ed esecutivo, con il contributo di diversi esponenti, tra i quali i compositori Percy Grainger, Cristian Wolff, Kalevi Aho e gli esecutori Lydia Kavina Pamelia Kurstin ed il duo Thowarld Jorgensen. Non mancano anche citazioni nel campo della “popular music” come in “Good Vibrations” dei Beach Boys o nelle performance di Jimmy Page dei Led Zeppelin. Figura 2. Il Theremin, qui nell'immagine una moderna Figura 3. Schema a blocchi del Theremin versione prodotta dalla Moog Nel 1928 Maurice Martenot, un tecnico radiotelegrafista e violoncellista, inventò l’Onde Martenot5. I primi progetti risalgono al 1923, quando, dopo l’incontro con Leon Theremin, volle sfruttare la tecnologia sviluppata nel theremin ma con uno strumento di controllo molto più familiare ai musicisti del tempo: una tastiera come quella di un pianoforte da 88 tasti. Questa 4 http://www.thereminworld.com/theremin-faq (03-05-16) 5 http://www.thomasbloch.net/en_ondes-martenot.html (03-05-16) 8 tastiera inizialmente era finta, serviva solo come riferimento per le note, si infilava la mano destra in un anello e lo si spostava in misura dell’intervallo voluto; vi era inoltre un tasto corrispondente ad una resistenza a polvere che dava l’inviluppo al suono modificandone dinamicamente l’ampiezza. Lo strumento ha due oscillatori, o meglio, due circuiti oscillanti, essi possono variare nella timbrica tramite filtri azionabili dalla mano sinistra tremite bottoni, dando la possibilità di selezionare i suoni armonici del circuito oscillante. Pochi anni dopo Friedrich Trautwein inventò il Trautonium 6 , uno strumento che sfrutta un principio di funzionamento totalmente diverso da quello del theremin o dell’onde martenot. Esso Figura 4 Onde Martenot infatti utilizza un oscillatore a bassa frequenza che produce onde a dente di sega (un onda ricca di armoniche). Il circuito oscillante era realizzato utilizzando le scariche periodiche di un condensatore in un tubo a gas inerte (neon). Variando la tensione di carica del condensatore per mezzo di una valvola a tre poli la cui tensione di griglia era determinata da un griglia si variava il numero di scariche del condensatore, determinando così la frequenza del suono udito dall’altoparlante. Figura 5 Il Trautonium Il trautonium non aveva una tastiera vera e propria, ma un nastro metallico con un’impugnatura ed una resistenza sottostante; l’esecutore quindi premeva il nastro metallico fino a chiudere il circuito, a seconda del livello di pressione si determinava la dinamica del suono, mentre la frequenza veniva stabilita a seconda della posizione su cui si interveniva del nastro; sull’impugnatura si potevano suonare fino a tre ottave. Il trautonium, inoltre, aveva degli interruttori per estendere la tastiera e per la trasposizione ad ottave e, in seguito, per controllare dei filtri attivi, usati per modificare le componenti armoniche delle forme d’onda. 6 Jean-Jacques Nattiez, Enciclopedia della Musica I – il Novecento, Einaudi, 2011 9 La Telefunken, azienda tedesca di elettronica, cominciò a produrre il trautonium dal 1932, perfezionandolo nella circuitazione. La produzione in serie permise a questo strumento di essere conosciuto in Europa, suscitando notevole interesse, soprattutto dopo la sua presentazione all’esposizione radiofonica di Berlino sempre nel 1932. Il trautonium, in seguito, subì delle modifiche ad opera di un allievo di Trautwein: Oscar Sala7. Egli nel 1935 costruì il “Radio-Trautonium” e nel 1938 anche un modello portatile chiamato “Konzerttrautonium” grazie all’utilizzo prima del Thyratron (tubo a gas simile ad una valvola) poi del transistor. Sala successivamente aggiunse alle componenti originali una seconda voce ed un generatore di rumore modulato, capace di produrre degli effetti ritmici. Lo strumento venne chiamato Mixturtrautonium8, costruito a partire dal 1938 e presentato a Berlino nel 1952. Nel corso degli anni successivi l’industria si interessò molto a questo tipo di strumenti: grazie anche al successo che riscossero nei musicisti del Figura 6. Il Mixturtrautonium tempo, videro un grande margine di guadagno con la produzione in larga scala. Tra i vari produttori spiccò senza dubbio l’americano Laurens Hammond9, che nel 1929 fondò la sua società per la produzione di strumenti elettronici. I prodotti della casa americana divennero ben presto veri pezzi di storia, tra i quali citiamo: - Solovox10, tastiera monofonica a cinque ottave, dotata di un oscillatore e vari filtri per il controllo del timbro - Novachord11, tastiera polifonica a sei ottave dotata di quattordici filtri e vibrato. Venne prodotto a partire dal 1938. 7 http://www.trautonium.com/sala.htm (05-05-16) 8 https://tecnologiamusicale.wordpress.com/2014/02/27/il-trautonium-e-il-mixtur-trautonium/ (05-05-16) 9 Alessandro Esseno, L'evoluzione degli strumenti a tastiera nella musica Pop-Rock-Jazz, 2015 10 http://120years.net/the-solovoxhammond-organs-companyusa1940/ (06-05-16) 11 http://www.organhouse.com/hammond_novachord.htm (06-05-16) 10 partire Organo Hammond12, costruito a dal 1934 a Chicago, è sicuramente il prodotto più famoso della casa americana. Diffuso in tutto il mondo, fu pensato dapprima all’uso nelle chiese, per sostituire i giganteschi organi meccanici successivamente a trovò canne, larghissimo utilizzo nel campo della “black music”, come il Jazz, il Blues, la musica Gospel, fino ad arrivare, diversi anni dopo, al Figura 7. Hammond C3 Rock ed alla musica Pop. Tra i vari modelli di organo Hammond spiccano il Model A (il primo mai stato costruito), l’Hammond B3, e l’Hammond C3, il top di gamma della casa americana. Oltre alla Hammond, vi furono altre case che produssero diversi strumenti degni di nota, come il Melochord13, costruito nel 1949 era costutuito da due tastiere da 3 ottave ciascuna e polifonia a quattro voci; la Clavioline14, prodotta dal 1947 da Harald Bode, una tastiera monofonica con dieci preset e due vibrati, dal suono molto simile al Solivox o all’Hammond; l’Electronium 15 , prodotto dalla tedesca Hohner nel 1950, aveva una tastiera a sei ottave più altri venti tasti per il controllo del vibrato, dello staccato e del basso. La timbrica era molto Figura 8. La Clavioline simile al Clavioline e al Solovox. 12 Stevens Irwin, Dictionary of Hammond-Organ Stops, G. Schirmer, New York, 1961 13 https://en.wikipedia.org/wiki/Harald_Bode (07-05-16) 14 Reid, Gordon. "The Story of the Clavioline". Rivista Sound On Sound. (Marzo 2007) 15 Chusid, Irwin, Beethoven-in-a-box: Raymond Scott’s electronium. Contemporary Music Review, 1999 11 1.2. LA NASCITA DEL SINTETIZZATORE Dopo questo breve excursus sugli antenati del sintetizzatore, andiamo finalmente a parlare concretamente della sua storia. Durante la prima metà del novecento sorsero vari “laboratori” per così dire, una sorta di studi dove si lavorava con strumenti elettronici da laboratorio adattati e costosi generatori per test radiofonici. Negli ambienti accademici, i dipartimenti di musicologia erano ansiosi di esplorare questa nuova frontiera della musica, la possibilità di lavorare con il suono a questi livelli ed elaborare nuovi mezzi compositivi, nuove procedure, nuovi modi di operare; così negli anni ’50 nacquero diversi studi di musica elettronica sparsi in Europa e Nord America. A partire dalla fine degli anni ‘30, un edificio nella zona di Harlem, New York, fu sede di un esperimento top-secret, la sede dell’originale Progetto Manhattan, il programma militare americano per lo studio dell’energia nucleare e di conseguenza della bomba nucleare. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’edificio divenne la sede del centro per la computer music, diventando nel giro di pochi anni uno degli studi di musica elettronica più sofisticati al mondo16. Nel 1955 la RCA (Radio Composition of America) presentò in quello stabilimento a New York un apparecchio per la produzione di suoni sintetici: gli venne dato il nome di Mark I17 o electronic music synthesizer., costruito a Princetown, nel New Jersey, da Henry F. Olson e Herbert Belar. I costruttori concepirono questo strumento come una macchina musicale, con una superficie di controllo molto simile ad una tastiera di una macchina telescrivente, costituita da 36 tasti, che perforava costituente un il nastro carta, sistema controllo di dell’intera apparecchiatura. La macchina Figura 10. RCA Mark II, uno dei primi sintetizzatori della storia funzionava tramite alberi a 16 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 17 Holmes, Thom, Electronic and Experimental Music: Technology, Music, and Culture. Routledge, 2012 12 relais che leggevano le informazioni contenute nel nastro, vale a dire i fori, aprendo e chiudendo i circuiti; il risultato veniva registrato su un disco a 33 giri. Il sintetizzatore era formato da dodici oscillatori sinusoidali, che riproducevano le frequenze della scala cromatica, trasportabili fino ad otto ottave; la forma d’onda veniva successivamente trasformata in dente di sega e poi filtrata tramite filtri attivi e passivi. Il sintetizzatore inoltre possedeva un generatore di inviluppo a 4 stadi (attacco, decadimento, sostegno e rilascio) ADSR, un generatore di rumore bianco, il portamento (per ottenere glissandi ed un oscillatore a bassa frequenza o subaudio (LFO) per modulazioni (vibrato, tremolo) fino a 7Hz. Nel 1957 la RCA perfezionò il sintetizzatore, costruendone una seconda versione, Il Mark II18. Nella nuova macchina era possibile ascoltare i suoni prima di registrarli su disco, innovazione non da poco che facilitò il lavoro di chi si accingeva a programmare suoni. Questi due apparecchi furono molto importanti nella storia della musica perché introdussero il concetto di programmazione in questo ambito, cosa sconosciuta prima del suo avvento. Il telharmonium o il theremin, infatti, erano controllati manualmente, suonati. Il Mark I o II era il primo sistema completo di produzione di suono elettronico che appunto automatizzava l’intero sistema di oscillatori, filtri e moduli, l’intera sessione veniva programmata e, successivamente, ascoltata. Anche in questo caso abbiamo esponenti compositori che contribuirono alla ricerca Figura 11. Milton Babbit, autore di "Ensemble For Synthesizer" sonora ed allo sviluppo dello strumento, primo tra tutti Milton Babbit19, compositore e matematico statunitense, esponente del serialismo, che compose Ensemble For Synthesizer, proprio con il Mark II. Lo sviluppo e la nascita di questi veri e propri laboratori per la produzione di suoni sintetici interessò moltissimo anche le università e i conservatori di tutta Europa: per citare i più famosi troviamo il GRM di Parigi (anche se inizialmente più a favore della musica concreta e dell’utilizzo di nastri per la produzione musicale), lo Studio für Elektronische Musik di Colonia e lo Studio di 18 Holmes, Thom, Electronic and Experimental Music: Technology, Music, and Cluture. Routledge, 2012 19 https://en.wikipedia.org/wiki/Milton_Babbitt (10-05-16) 13 Fonologia della RAI a Milano20, dove era situato lo studio dedicato alla sintesi sonora più grande in Europa in quei tempi (nella Figura 12, il modulo di sintesi). Figura 12 Il sintetizzatore dello Studio di Fonologia della RAI di Milano Lo studio milanese, infatti, vantava attrezzatura di altissimo livello, qui in breve cito tutti i componenti da cui era formato e che aggiunsero nel corso degli anni successivi, sino all’anno della sua chiusura, nel 198321: - 9 oscillatori; - oscillatore a battimento BRÜEL & KJÆR modello 1011; - oscillatore HathKit modello AG-10; - oscillatore pilota; - oscillatore Wavetek modello 110; - oscillatore Wavetek modello 115; - oscilloscopio Siae modello 431°; - altoparlante Tannoy; - analizzatore d’onda; - banco di filtri a terzi di ottava Albiswerk modello 502/50; - banco di filtri a terzi di ottava BRÜEL & KJÆR; - banco di filtri d’ottava; 20 http://www.audiodigitale.net/docs/fonologia.htm (11-05-16) 21 http://fonologia.lim.di.unimi.it/strumenti.php (11-05-16) 14 - banco di filtri passa-alto; - banco di filtri passa-basso; - camera d’eco; - comparatore; - deviatore di segnale; - eco a piastra metallica EMT; - eco magnetico Osae; - filtro passa-banda; - filtro passa-banda variabile Krohn-Hite modello 310-A; - filtro passa-banda variabile Krohn-Hite modello 310-B; - filtro selettivo; - generatore di rumore bianco; - generatore di rumore bianco BRÜEL & KJÆR modello 1402; - generatore di TOC; - giradischi Carson; - magnetofoni Ampex; - magnetofono a 1 pista AEG; - magnetofono a 1 pista AEG-Telefunken modello M15; - magnetofono a 1 pista Ampex modello 350; - magnetofono a 2 piste AEG-Telefunken modello M15; - magnetofono a 2 piste Ampex modello 350; - magnetofono a 4 piste Appel; - magnetofono a 4 piste Appel per riproduzione; - magnetofono a 4 piste Studer modello J37; - microfono; - millivoltmetro modello Elit 201/D; - miscelatore a 8 ingressi; - miscelatore a 9 ingressi; - modulatore ad anello; - modulatore ad anello per traspositore di frequenza; - modulatore bilanciato; - modulatore di ampiezza; - modulatore dinamico; - onde Martenot; 15 - pannello sezionatore; - sala di riverberazione; - selezionatore di ampiezza; - sintetizzatore Sinket; - soppressore dinamico di disturbi; - tavolo di dosaggio; - tempophon; - tone burst generator General Radio modello 1398-A - traspositore di frequenza; - variatore di velocità. Studi enormi, come quello citato, rappresentavano sicuramente un enorme passo verso il progresso nel campo della musica elettronica. Il problema principale però era che erano ancora troppo di nicchia, costosissimi e disponibili all’uso solo ad un ristrettissimo numero di compositori o ricercatori. Bisognerà aspettare la metà degli anni ’60 prima di avere un sintetizzatore più pratico e disponibile anche fuori dall’ambiente accademico. 1.3. IL SINTETIZZATORE CONTROLLATO IN TENSIONE – BOB MOOG E LA FILOSOFIA “EAST COAST” [Ciò di cui c’era bisogno era una soluzione completa, qualcosa che potesse fornire tutte le funzioni di cui un compositore necessitava, in una macchina appositamente costruita.] Tratto dal film documentario “Dream of Wires” , regia di Robert Fantinatto, 2014. Alla fine degli anni ’50, il piccolo ed efficiente transistor divenne largamente disponibile, e apparecchiature elettroniche di ogni tipo divennero più piccole ed economiche da produrre. Questa nuova tecnologia fece si che si creassero le giuste condizioni alla creazione di un sintetizzatore musicale più pratico ed economico. Durante la permanenza della RCA nello studio ad Harmen a New York, la Columbia (celebre università americana) aveva uno studente di fisica, il suo nome era Robert Moog22. 22 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 16 Sembra che Moog non fosse a conoscenza del centro di ricerca musicale RCA e del suo gigantesco sintetizzatore, era tuttavia impegnato nella costruzione di strumenti musicali elettronici in piccola scala. Per diversi anni ebbe un certo successo nella vendita per corrispondenza di kit D.I.Y. per theremin nella piccola cittadina di Trumansburg, a nord dello stato di New York, dove possedeva un piccolo negozio. Nel corso degli anni Moog conobbe il compositore Herb Deutsch, possessore di uno dei suoi theremin, alla “All-State Music Conference” dello stato di New York. La fiera dava spazio ai giovani ingegneri o, più i generale, a chiunque volesse esporre i propri strumenti. È proprio lì dove il compositore conobbe Bob Moog, intento a dimostrare il suo kit per theremin. Nel corso della loro discussione emerse subito l’idea di avere un sintetizzatore “a portata di mano”, la possibilità di averlo in casa propria. Deusch chiese a Moog di costruirgli un oscillatore che potesse controllare con precisione, ed è proprio Figura 13. Un giovanissimo Robert Moog in questo momento che costruì il primo oscillatore controllato in tensione. Il controllo in tensione è una tecnica che permette di controllare dei parametri di un sintetizzatore nelle sue principali componenti: frequenza, timbro, forma d’onda ed ampiezza. Grazie a questo oscillatore, Deusch poté creare suoni puramente elettronici con un grado di controllo di cui nessun oscillatore da laboratorio era dotato. Successivamente Moog ebbe un idea che li permise di attirare l’attenzione da parte di numerosi musicisti, e fu, tra l’altro, la vera chiave del suo successo: introdusse una tastiera simile a quella di un organo o di un pianoforte come controllo dell’altezza sonora (pitch) del sintetizzatore. I VCO (voltage controlled oscillator) catturarono presto l’attenzione di numerosi dipartimenti di musica, ed egli proseguì nello sviluppo di altri strumenti per la manipolazione sonora che potessero essere connessi tra loro. Presto la piccola fabbrica di Traumansburg divenne la meta per chiunque cercasse strumenti per esplorare questa nuova frontiera musicale. Grazie alla vendita dei suoi moduli alle università e i college, Moog sviluppò nuovi moduli basati sulle richieste e sulle esigenze di musicisti, ingegneri e compositori; ma fu durante una visita all’Università di Toronto che gli fu dato un utilissimo 17 suggerimento per un nuovo tipo di modulo, un modulo che avrebbe poi definito uno dei tratti più riconoscibili delle sonorità dei suoi sintetizzatori: il filtro controllato in tensione (VCF). Il progetto del suo filtro su subito messo in atto e, successivamente, mise in commercio una versione rifinita del modulo, quello che tutt’ora è considerato uno dei migliori filtri esistenti: Figura 14. Un banco filtri del Moog Modular. Sulla sinistra, il celebre filtro passa-basso a 4 poli "ladder filter" 904a series filter23 con il suo nuovo circuito transistor ladder filtro passa-basso a 4 poli (24db di pendenza). La nuova invenzione di Bob Moog produceva un suono assolutamente rivoluzionario per gli anni ’60; al giorno d’oggi quasi ogni sintetizzatore analogico ha un filtro risonante a controllo di tensione al suo interno, ma è condivisa l’opinione secondo cui l’originale Moog sia per molti tutt’ora il miglior filtro di tutti i tempi. Lo stesso Bob Moog si accorse che aveva tra le mani qualcosa di assolutamente unico, non a caso infatti il circuito “transistor ladder” fu l’unico componente del suo sistema modulare di cui ne registrò il brevetto. La combinazione elaborata da Moog di oscillatori e filtri controllati in tensione, collegati per i musicisti ad una familiare tastiera di pianoforte, divenne la caratteristica determinante del suo 23 http://modularsynthesis.com/moog/904a/904a.htmv (12-05-16) 18 approccio alla costruzione di strumenti elettronici, che sarebbe poi stato conosciuto come “filosofia East-Coast” nella progettazione di sintetizzatori. Il primo sintetizzatore ad essere prodotto a livello industriale fu quello realizzato da Moog nel 1966. Il “Moog Modular System”24 era uno strumento monofonico costituito da moduli, e dalla struttura completamente componibile, spesso venduto in configurazioni precostituite, come il “Model 15”, “Model 35” e “Model 55”, con la possibilità di aggiungere o modificare il set-up con altri moduli complementari separati. Figura 15. Moog Modular System "Model 55" La struttura era costituita da un mobile diviso in ripiani, le prime versioni erano formate da tre ripiani che insieme potevano ospitare da 15 a 35 moduli. Quest’ultimi non avevano dei collegamenti predefiniti ma, a discrezione, potevano essere collegati a piacimento tramite cavi “patch cord” e relative prese poste sul fronte dell’apparecchio. Lo strumento di controllo dell’altezza sonora (pitch), come già detto in precedenza, era una tastiera simile a quella di un organo, a cinque ottave. 24 https://en.wikipedia.org/wiki/Moog_modular_synthesizer (12-05-16) 19 Tra i vari moduli, si ricordano: - oscillatore 901-b e 921-b, oscillatori e LFO (oscillatori a bassa frequenza) con controllo manuale di frequenza e simmetria dell’onda. Dotati di quattro forme d’onda: sinusoide, triangolare, quadra e dente di sega, e disponibili contemporaneamente su quattro uscite separate; - unità di comando (driver) 901-a e 921-a, che potevano controllare la frequenza e la simmetria dell’onda degli oscillatori; - filtro 904-a “ladder filter”, di cui abbiamo parlato in precedenza; - VCA 902, “voltage controlled amplifier”, in sostanza un amplificatore di ampiezza che può essere modulato nei casi più comuni da un inviluppo o da un LFO; - generatori di inviluppo 911; - banco filtri 907; - envelope follower 912; - sequencer 960. 1.4. “SAN FRANCISCO TAPE MUSIC CENTER” – DON BUCHLA E LA FILOSOFIA “WEST COAST” Nella parte opposta del continente, nel frattempo, arrivarono nuove sonorità, ma non dagli ambienti accademici. Il versante ovest degli Stati Uniti, infatti, stava attraversando una rivoluzione sociale; San Francisco fu il punto di partenza per un fenomeno detto controcultura, un rifiuto dei valori e degli ideali della generazione post-bellica. Giovani da tutta America si riunirono in aree come Height Ashbury, ove trovarono la libertà di sperimentare nuovi stili di vita e nuove droghe, per amplificare le loro percezioni. Sperimentazioni avevano luogo anche in campo artistico, specialmente in ambito musicale: nello specifico, è proprio qui, precisamente a Berkeley, che nacque un sintetizzatore modulare molto diverso da quello costruito da Robert Moog. Lo strumento in questione era il prodotto della mente di Don Buchla, un ex-ingegnere della NASA che aderì alla controcultura della “West Coast” e alla sua comunità di artisti e musicisti. Egli venne coinvolto dal “San Francisco Tape Music Center”25, un collettivo di compositori, sperimentatori e avanguardisti, fondato da Ramon Sender e Morton Subotnick. Il motivo per cui questo 25 David Bernstein, The San Francisco Tape Music Center: 1960s Counterculture and the Avant-Garde. 2008 20 aggregato di persone si venne a formare fu di natura essenzialmente economica: nessuno di loro infatti poteva permettersi la strumentazione completa per costruire uno studio, così i due fondatori decisero di unire le strumentazioni che possedevano dando vita al movimento della Tape Music. L’origine del nome Tape Music è riconducibile al fatto che il collettivo si occupava essenzialmente tutto ciò che poteva essere registrato e riprodotto tramite su nastro magnetico. Da quel momento un certo numero di compositori e musicisti vennero a lavorare con questa strumentazione, generando una vera e propria “fucina di idee”. L’avvento del transistor, come già detto in precedenza, fu un grande passo avanti per il progresso tecnologico, così i due fondatori della Tape Music, una volta venuti a sapere della sua messa in commercio, pubblicarono diversi annunci alla ricerca di un ingegnere che potesse progettare e costruire un sintetizzatore in base alle loro esigenze. La Figura 16. Morton Subotnick e Ramon Sender, ricerca risultò più complicata del previsto, le richieste di fondatori della "San Francisco Tape Music Sender e Subotnick erano molto inusuali e in più non Center" offrivano un compenso in denaro, ma Buchla si presentò ed accettò di costruire un sintetizzatore per il loro studio. “Non voglio far musica come la conosciamo”26 Ciò che Subotnick voleva, era una sorta di “calcolatore analogico” che produceva suoni, con una precisa caratteristica: l’interfaccia non sarebbe dovuta essere una tastiera cromatica come Moog, Così nel 1966 Buchla portò a compimento la primissima versione del suo sintetizzatore, un primo prototipo del futuro a100 modular electronic music system, portando il marchio San Francisco Tape Music Center Incorporated. L’idea di trasformare il collettivo in un’attività commerciale fece adirare Subotnick che si rifiutò di aderire alla proposta di produrre e vendere sintetizzatori. Fu così che Buchla cambio il nome del marchio in “Buchla and Associates”, rendendo di fatto disponibili i suoi prodotti al di fuori del Tape Center. I suoni che producevano i Buchla erano qualcosa di assolutamente sconosciuto fino ad allora. La città di San Francisco fu pervasa da sonorità “spaziali” che subito piacquero al popolo della controcultura. 26 Morton Subotnik in un’intervista nel film documentario “Dream of Wires” , regia di Robert Fantinatto, 2014. 21 I sintetizzatori Buchla erano costituiti principalmente da tre fattori chiave che li differenziava dai Moog: oscillatori waveshape, sequencer e particolari superfici di controllo. Figura 17. Buchla “Series 100 modular electronic music Figura 18. Don Buchla ed il suo sintetizzatore al Tape system” Music Center di San Francisco Il waveshaping27 consiste nella distorsione non lineare dell’ampiezza di un suono allo scopo di alterarne la forma d’onda, e quindi il suo contenuto spettrale. Questa tecnica inoltre permette il controllo continuo dello spettro del segnale per mezzo di un indice, rendendo quindi possibile la produzione di spettri dinamici mediante la variazione nel tempo dell’indice. L’oscillatore adottato da Buchla sfruttava appunto questo principio come ricerca sonora verso timbriche sempre più inusuali. Va sottolineato inoltre che le forme d’onda comunemente utilizzate in questo processo erano solitamente la sinusoide o l’onda triangolare. Il sequencer fu un’altra innovazione portata da Don Buchla (e successivamente ripresa da Bob Moog): il congegno permetteva di mettere in loop una sequenza di un segnale di controllo che permette di controllare uno o più parametri del sintetizzatore. Anche Bob Moog introdusse il sequencer nei suoi strumenti, ma applicabile al pitch (altezza sonora) dello strumento, intonato secondo la scala occidentale, fungendo così da arpeggiatore, oppure alla frequenza di taglio e all’ampiezza del filtro. La superficie di controllo del Buchla, come già detto, non si era una semplice tastiera di pianoforte come nel Moog, ma una piastra metallica sensibile che poteva essere assegnata ad uno o più controlli. La superficie non reagiva alla pressione, bensì alla quantità di superficie toccata. 27 Charles Dodge and Thomas A. Jersey, Computer Music: Synthesis, Composition, and Performance. Schirmer Books, 1997 22 Figura 19. L'interfaccia di controllo del Buchla "Series 100" Riassumendo, quali sono le differenze principali tra “East Coast” e “West Coast”? Secondo la filosofia East-Coast, forme d’onda armonicamente “ricche”, come l’onda a dente di sega, l’onda quadra, l’onda ad impulso o rumore bianco sono solo un punto di partenza per poi utilizzare filtri risonanti per ridurre le armoniche e su cui modulare la risonanza per creare sfasamenti timbrici, in poche parole l’utilizzo a pieno della sintesi sottrattiva. In più c’è la questione della superficie di controllo a tastiera cromatica e, di conseguenza, l’intonazione degli oscillatori secondo la comune scala cromatica occidentale. In un Buchla (“West Coast)” si trovano oscillatori dotati di waveshaper, e se si vuole creare un certo interesse armonico in un suono, non si interviene con filtri ma lo si fa modificando nella forma le forme d’onda semplici, come una sinusoide tramite, per l’appunto, l’utilizzo di waveshaper. E, al contrario di un Moog, era impossibile tenere intonati gli oscillatori secondo una scala predefinita, e impossibile da suonare come un comune strumento, in quanto non era concepito per questo scopo28. 28 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 23 1.5. ANNI ’70: LA NASCITA DI NUOVE CASE COSTRUTTRICI E DEL MINIMOOG Dopo aver parlato a lungo degli aspetti in cui differivano i due primi sintetizzatori modulari, è chiaro che il Moog Modular divenne il più famoso tra i due. Ciò è dovuto al fatto che Moog sviluppò il suo sistema ascoltando cosa effettivamente la clientela di musicisti professionisti volesse. Sostanzialmente egli fu in grado di fornire al mercato uno strumento elettronico relativamente pratico e affidabile, trasformandolo in un vero e proprio brand, tanto da rendere la parola “Moog” un sinonimo di “sintetizzatore”. Ma i due vennero ben presto affiancati da altri concorrenti che emersero rapidamente sul mercato con i propri grandi sistemi modulari. Nel 1968 l’ingegnere americano Alan Robert Pearlman fonda la ARP Instruments, presentando, circa due anni dopo, il suo primo modello di sintetizzatore l’ARP 250029, strumento monofonico dalle grandi dimensioni, equipaggiato con un set di matrici per collegare ulteriori Figura 20. ARP 2500 moduli ai cavi di serie. Questo primo modello della casa statunitense non ottenne successo commerciale, poiché ne furono venduti solamente 100 esemplari. Anche in Europa si producevano grandi sistemi modulari, come l’EMS Synthi 10030, costruito dalla casa britannica Electronic Music Studios. Il sintetizzatore era formato da 12 VCO, due tastiere con controllo di intonazione manuale, uno Figura 21. EMS Synthi 100 step sequencer a tre tracce e la possibilità di integrare un piccolo computer chiamato “Computer Synthi” ed il Vocoder 5000, famoso vocoder prodotto dalla EMS. In Giappone, invece, fu la Roland a cominciare a produrre sintetizzatori modulari, come il System 700 ed il suo successore, il System 100M. I sistemi si rifanno per Figura 22. Roland System 700 concezione costruttiva al Moog Modular System, i moduli sono alloggiati in un rack che, oltre a contenerli, gli fornisce 29 http://www.vintagesynth.com/arp/2500.php (14-05-16) 30 http://www.thesynthi.de/data/Synthi_100.pdf (14-05-16) 24 l’alimentazione. Il sintetizzatore è dotato di una tastiera monofonica o con una tastiera semipolifonica a quattro voci.31 I sistemi modulari, comunque, rappresentavano un oggetto praticamente irraggiungibile dai più, e, pur avendo costi più bassi rispetto ai giganteschi studi di fonologia degli anni ’50 (il Mark II costava circa 120000 dollari), rimanevano comunque altissimi per quei tempi (basti pensare che un Moog modular aveva un prezzo che partiva dai 15000 dollari). Ma nel 1971 Moog mise in commercio uno strumento che sarebbe diventato il modello di riferimento di tutti i sintetizzatori per molti anni, il Minimoog32: era piccolo, facile da utilizzare e, nonostante fosse ancora abbastanza costoso, poteva rientrava nelle possibilità di acquisto del musicista professionista. Il sintetizzatore era completamente connesso internamente e formato da tre oscillatori con sei forme d’onda ciascuno (triangolare, dente di sega, quadra, sinusoidale, quadra a simmetria variabile, rampa), un generatore di rumore bianco e rosa, un mixer per miscelare i vari generatori, il famoso filtro passa-basso transistor ladder (elemento preso dal “fratello maggiore” modulare), un inviluppo sul filtro e sull’ampiezza ADS (dove il decay regola sia il tempo di decadimento che, mediante un interruttore, il release), un VCA e il controllo del glide. Figura 23. Moog Minimoog Model-D 31 http://www.suonoelettronico.com/cap_iiii_2_3_prodinst.htm (14-05-16) 32 T. Pinch e F. Trocco, Analog Days. The Invenction and the Impact of the Moog Synthetizer, Harvard University Press, 2002 25 L’obbiettivo di Moog, con questo sintetizzatore, fu quello di realizzare uno strumento versatile e maneggevole, che dava al musicista medio l’accesso alle timbriche ricche e profonde del Moog Modular ad una frazione del prezzo e del peso. Il piccolo sintetizzatore però non mancava di difetti: il principale senza dubbio era l’ovvia diminuzione delle funzioni disponibili rispetto al modulare, che lo rendeva uno strumento molto limitato; in secondo luogo non era possibile connetterlo con altri sintetizzatori o sequencer, a causa della caratteristica del trigger input, realizzato con un connettore cinch-jones, che nessun’altro strumento possedeva. Il Minimoog Model-D rimase in produzione per circa dieci anni, fino alla cessazione nel 1981, a causa degli elevati costi di produzione (come già detto, era molto meno costoso di un modulare, ma rimaneva pur sempre uno strumento abbastanza costoso) e l’avvento del digitale. Negli stessi anni in cui Moog produsse il Minimoog, la ARP Instruments sostituì il gigantesco 2500 con il suo successore, l’ARP 260033, un sintetizzatore molto più compatto e semi-modulare, cioè con delle connessioni prestabilite al suo interno, ma con la possibilità di scavalcarle collegando tra loro degli ingressi esterni accesso al circuito. Combinato al suo sequencer, era un’alternativa potente, portatile e relativamente economica ad un sintetizzatore modulare completo. L’ARP 2600 era formato da tre oscillatori con frequenza variabile da 3Hz a 20kHz, che producevano cinque forme d’onda: triangolare, quadra, sinusoidale, rampa, e quadra a simmetria variabile. Era formato inoltre da un filtro passa-basso con un inviluppo ADSR, un Figura 24. ARP 2600 versione "Blue Marvin" VCA, un generatore di rumore, e una tastiera esterna che, collegandola tramite cablaggio a due oscillatori separatamente, poteva produrre bicordi. Le caratteristiche che lo resero così celebre nel mondo della musica erano le dimensioni ridotte combinate alla flessibilità del modulare, in quanto, come già detto in precedenza, la sua connessione 33 http://www.vintagesynth.com/arp/arp.php (14-05-16) 26 interna base (VCO,VCF,VCA) poteva essere modificata tramite il cablaggio che interrompeva la normale successione dei moduli. In più, era interfacciabile con qualsiasi altro sintetizzatore o interfaccia, grazie ai suoi processori di voltaggio, con cui si potevano uniformare tutti i tipi di trigger e di tensioni. 1.6. LA NASCITA DEL DIGITALE E DELLA POLIFONIA Verso la fine degli anni ’70, l’intera industria dei sintetizzatori si concentrò verso il raggiungimento di un altro traguardo tecnologico: la polifonia. I primi a raggiungere questo risultato furono le cosiddette “string machines”, strumenti creati per emulare il suono della sezione degli archi, e costituite da una tastiera polifonica il cui suono veniva generato da due oscillatori con forma d’onda a dente di sega lievemente scordati tra loro, il modo da produrre i battimenti generati da un insieme di archi. Una delle più popolari string machines fu la Solina, o meglio conosciuta come ARP String Ensemble. Ma il problema principale era che, in un sintetizzatore polifonico, il numero degli elementi base per la sintesi del suono deve essere moltiplicato per il numero delle voci eseguibili contemporaneamente sullo strumento; in poche parole se un sintetizzatore monofonico possiede, ad esempio, un VCO, un VCF, e un VCA, un sintetizzatore polifonico a otto voci dovrà possedere minimo otto VCO, otto VCF, e otto VCA, rendendo molto difficile le modifiche sul suono con cui si vuole suonare.34 Fu così che vennero introdotte delle tecnologie digitali negli strumenti musicali, rendendo possibile la costruzione di sintetizzatori programmabili e dotati di memoria. Tra i sintetizzatori più famosi nati con questa nuova tecnologia ricordiamo: - Moog Polymoog35: sintetizzatore analogico polifonico con otto memorie modificabili. Era costituito da 2 oscillatori, 3 LFO, filtro passa-basso e passa-alto, due inviluppi, equalizzatore a tre bande e tastiera a 71 tasti. - Yamaha CS8036: sintetizzatore analogico a otto voci, con due VCO per voce, due VCF due ADSR e da due generatori di rumore. La tastiera era di 61 tasti e dotata di velocity e aftertouch. La memoria digitale era dotata di 28 preset. Il peso si aggirava attorno ai 100 kg. 34 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 35 http://www.vintagesynth.com/moog/polymoog.php (15-05-16) 36 http://www.vintagesynth.com/yamaha/cs80.php (15-05-16) 27 - Korg PS 3100, PS3200, PS3300 37 : sintetizzatori analogici polifonici modulari, con possibilità di richiamare 16 memorie contenenti timbri diversi. Figura 25. Yamaha CS-80 Pochi anni più tardi, con la nascita del microprocessore e l’immediato utilizzo nel campo dei sintetizzatori, sarà possibile programmare e memorizzare tutti i parametri presenti sui pannelli dei nuovi strumenti polifonici. Gli oscillatori ora vengono controllati digitalmente, non più tramite controllo di voltaggio, e si chiameranno quindi non più VCO ma DCO (Digital Controlled Oscillator), pur mantenendo la generazione dell’onda di tipo analogico. Tra questi citiamo: - Roland Jupiter 8 38 : sintetizzatore otto voci con 64 memorie completamente programmabile, sedici oscillatori (due per voce), un filtro multimodo (utilizzabile a scelta come passa-basso o passa-alto), un LFO e due inviluppi, uno per il filtro ed uno per l’ampiezza generale. Figura 26. Roland Jupiter-8 37 http://www.suonoelettronico.com/cap_iiii_2_3_prodinst.htm (16-05-16) 38 http://www.vintagesynth.com/roland/jup8.php (16-05-16) 28 - Moog Memorymoog 39 : sintetizzatore a sei voci con 100 memorie. Comprendeva tre oscillatori, un generatore di rumore rosa digitale e un filtro passa-basso 24dB per ogni singola voce. - Korg Polysix40: uno dei primi sintetizzatori a bassissimo costo (attorno ai 1000 dollari contro i 5000 dei concorrenti). Sintetizzatore a sei voci con 32 programmi e comprendente sei oscillatori (uno per voce), un filtro passa-basso e un inviluppo d’ampiezza - Oberheim OB-Xa41: sintetizzatore a otto voci con fino a 120 memorie, comprendente di due oscillatori per voce, due inviluppi (uno per il filtro, l’altro per l’ampiezza), un LFO ed un filtro passa-basso (commutabile da 12 a 24dB) - Sequential Circuit Prophet 5 42 : sintetizzatore a cinque voci con 40 memorie, comprendente due oscillatori per voce, un LFO, un filtro passa-basso risonante a quattro poli, e poly-mod (modulazione di frequenza “FM”). 1.7. PROTOCOLLO MIDI, I SINTETIZZATORI DIGITALI E LE “MUSIC WORKSTATION” Gli anni ’80 furono senza dubbio un periodo di profondi cambiamenti nella musica, ma anche negli strumenti musicali elettronici, grazie ad una serie di piccole rivoluzioni tecniche. Una svolta storica per il mondo degli strumenti musicali elettronici fu nel 1983 al NAMM43 (National Assotiation of Music Merchants), una delle più importanti fiere dedicate ai prodotti musicali al mondo, insieme al Musikmesse di Francoforte sul Meno. In quella edizione fu presentata una nuova tecnologia, creata in risposta ad una esigenza di far comunicare tra loro diversi strumenti musicali elettronici di diversa tipologia o marca: il protocollo MIDI44 (Musical Instrument Digital Interface). L’idea nacque un paio di anni prima presso la fabbrica della Sequential Circuit, ad opera dei due progettisti Dave Smith e Chet Wood, che progettarono un prototipo con relative specifiche contenute del documento “The Complete SCI MIDI”. Diversi costruttori, come Oberheim e Roland, 39 http://www.vintagesynth.com/moog/memory.php (17-05-16) 40 http://www.synthmuseum.com/korg/korpolysix01.html (17-05-16) 41 http://www.vintagesynth.com/oberheim/obxa.php (17-05-16) 42 http://www.vintagesynth.com/sci/p5.php (17-05-16) 43 https://www.namm.org/ (17-05-16) 44 Peter Manning, Electronic and Computer Music. Oxford University Press, 1985. 29 avevano già introdotto nei propri prodotti soluzioni simili di interfacciamento, ma basate su protocolli propri, e quindi interfacciabili solo con strumenti della stessa casa costruttrice. Il protocollo Smith e Wood invece si presentava come un sistema in grado di garantire il funzionamento su strumenti di costruttori diversi. Per garantirne la compatibilità, ogni produttore di sintetizzatori fu invitato ad aderire al progetto, procedendo alla stesura delle specifiche MIDI. Dopo varie divergenze tra i produttori americani e giapponesi, nel 1985 la IMA (International MIDI Association) pubblicò la versione 1.0 delle specifiche MIDI, definendo lo standard del protocollo. Il primo sintetizzatore dotato di interfaccia MIDI fu il Prophet 60045 della Sequential Circuit, prodotto a partire dal 1982, molto simile per caratteristiche al Prophet 5 (di cui sopra abbiamo trattato), ma con sei voci di polifonia (contro le cinque), uno step-sequencer e arpeggiatore e, per l’appunto, questa nuova tecnologia appena nata. Uno degli strumenti che ebbero per primi in dotazione l’interfaccia MIDI fu un vero e proprio simbolo degli anni ’80: Yamaha DX-746. Figura 27. Yamaha DX-7 Fu il primo sintetizzatore interamente digitale ad aver avuto successo, un enorme successo a dire il vero, ne produssero oltre 200.000 unità, rimanendo tutt’oggi uno dei sintetizzatori più venduti della storia. Prodotto dalla casa giapponese Yamaha dal 1983 al 1989, il suono del DX-7 fu uno dei tratti distintivi di molta musica negli anni ’80, soprattutto nell’ambito della “pop music”; come non citare suoni come il “DX7 Rhodes”, emulazione del famoso piano elettrico Fender Rhodes, o “DX7 Marimba” e le emulazioni di basso, presenti in decine di successi di quegli anni, come “Take on me” degli A-ha o “Relax” dei Frankie Goes To Hollywood. 45 http://www.vintagesynth.com/sci/p600.php (18-05-16) 46 http://www.vintagesynth.com/yamaha/dx7.php (18-05-16) 30 Il motivo di tutto questo successo va cercato nelle necessità di molti musicisti di avere suoni “pronti all’uso” (cioè senza eccessivo bisogno di programmare il sintetizzatore) in un prodotto compatto ed economico. Un altro motivo fu che, poiché venne usato nella musica commerciale e di conseguenza in molti successi nella musica “pop” e “rock”, molti musicisti vennero spinti ad acquistarlo per avere quel determinato suono che avevano sentito alla radio o in televisione.47 Il metodo di sintesi del DX-7 si basava quasi interamente sulla “modulazione di frequenza”, detta “sintesi FM”, tecnica scoperta e sviluppata dal ricercatore e compositore John Chowning, nel 1967 presso l’università di Stanford, in California.48 Il motore di sintesi era formato da sei operatori (in altre parole degli oscillatori virtuali) sinusoidali per voce, producendo suoni tramite modulazione lineare di frequenza e sintesi additiva. Il sistema non possedeva filtri di alcun tipo, ma incorporava un inviluppo sul “pitch” (altezza sonora) e sei generatori di ampiezza per voce. La polifonia arrivava a sedici voci. Il pannello di controllo consisteva in un singolo cursore per l’immissione di dati, ciò significava che, per l’utente medio, creare le proprie patch sarebbe stata una vera e propria impresa. Per questo motivo lo strumento era fornito di 32 preset pre-programmati, che raramente venivano modificati. Strumenti come questo e le “music workstation” sancirono una volta per tutte la “morte dell’analogico”. Come appena detto, un altro strumento che fece sì che gli strumenti analogici come i grossi Moog o Buchla tornassero ad occupare solo le aule delle accademie e non più gli studi dei musicisti, furono le cosiddette “music workstation”. Nate alla fine degli anni ’70, si affermarono nel mercato mondiale già nei primi anni ’80. Le prime workstation furono il Synclavier 49 , prodotto dalla New England Digital dal 1977, ed il Fairlight CMI50 (dove CMI Figura 27. Fairlight CMI, una delle prime "music workstation" della sta per “Computer Musical Instrument), storia 47 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 48 John Chowning, David Bristow, "FM Theory & Applications - By Musicians For Musicians", Tokyo, Yamaha, 1986 49 http://web.archive.org/web/20091012182849/http://digitalmusics.dartmouth.edu/?page_id=7 (18-05-16) 50 Vail, Mark, Keyboard Magazine Presents Vintage Synthesizers: Pioneering Designers, Groundbreaking Instruments, Collecting Tips, Mutants of Technology. Backbeat Books. 2000 31 lanciato nel 1979. Questi strumenti utilizzavano per lo più sintesi additiva digitale (elaborata, quindi, per mezzo di algoritmi di un computer) e il campionamento, tecnica che consiste nel convertire un segnale audio continuo nel tempo in un segnale discreto, che viene successivamente quantizzato e trasformato in una stringa digitale, vale a dire in un codice binario. I campioni (samples) avevano un frequenza di campionamento pari a 24kHz, e venivano caricati nella workstation per mezzo di floppy disc da otto pollici con una memoria di 500 kilobyte. Ogni floppy poteva contenere circa ventidue campioni. I suoni più utilizzati con questi apparecchi erano campioni di strumenti orchestrali. Negli anni ’80, come già anticipato, ci fu una vera e propria espansione di questa tipologia di strumenti. Tantissime aziende, che prima costruivano sintetizzatori analogici, si concentrarono sulla progettazione e produzione di queste nuove macchine totalmente digitali, come l’americana E-mu Systems, che produsse il famoso E-mu Emulator; ma furono le case produttrici giapponesi come Figura 28. Korg M1, una delle "music workstation" più vendute della storia Korg, Yamaha, Roland ad occupare la fetta più grossa del mercato delle workstation, fornendo prodotti sempre più compatti ed economici, grazie ai minori costi di produzione. Una delle più conosciute e vendute music workstation della storia fu infatti la Korg M151, strumento a sedici voci con generatore sonoro a campioni, il cui suono poteva essere modificato tramite un filtro digitale non risonante, tre inviluppi ADSR e vari effetti, come riverbero, delay, overdrive, equalizzatore, chorus e flanger. I preset erano organizzati secondo le specifiche General MIDI52, uno standard di organizzazione dei suoi secondo un ordine predefinito che doveva essere rispettato da tutte le case costruttrici che aderivano. Nel corso dei sei anni della sua produzione (dal 1988-89 fino al 1994-95), vennero venduti più di 250000 esemplari di Korg M1, sostituito poi dal Korg Trinity e a sua volta dal famoso Korg Triton. 51 http://www.vintagesynth.com/korg/m1.php (19-05-16) 52 Enrico Paita, Computer e musica, manuale completo, Jackson Libri, 1997 32 1.8. GLI ANNI ’90: LA NASCITA DELLE DIGITAL AUDIO WORKSTATION E DEL SINTETIZZATORE “VIRTUAL ANALOG” I sintetizzatori digitali furono senza dubbio, per quanto riguarda gli strumenti musicali elettronici, i protagonisti per quasi tutti gli anni ’80 e gran parte dei ’90, salvo una piccola parentesi con l’acid house53, genere musicale nato verso la fine degli anni ’80 a Chicago, che fece riscoprire ai giovani produttori del tempo i vecchi sintetizzatori e drum machine analogiche, introducendo per la prima volta nel mondo degli strumenti musicali elettronici la parola “vintage”. In questo genere musicale venivano utilizzati strumenti come TR-808 Rhythm Composer o TB-303 Bass Line della Roland (tutt’ora usate o emulate per la produzione di musica elettronica), piccoli sintetizzatori prodotti nei primi anni ‘80 dotati di un sequencer incorporato, capace quindi di produrre pattern ritmici (come nel caso del TR-808) o vere Figure 29 e 30. Roland TR-808 e TB-303 e proprie linee di basso (come nel caso del TB-303). Negli stessi anni, parallelamente, un nuovo approccio andò via via affermandosi nel mondo della produzione musicale, fino ai giorni nostri, dove ha sostituito i vecchi nastri multitraccia negli studi di registrazione, e permette a chiunque di produrre musica di ogni tipo con il solo ausilio di un personal computer: stiamo parlando di Digital Audio Workstation, o più semplicemente chiamata DAW54. Si tratta in sostanza di una serie di strumenti hardware e software per la produzione musicale, vale a dire un software comunemente detto “editor audio”, un computer e una scheda audio. L’idea è nata alla fine degli anni ’70 Figura 31. Digidesign Sound Tools dall’azienda Soundstream, che costruì quella che si potrebbe considerare una delle primissime DAW; ma bisognerà aspettare la fine degli anni ’80 per veder comparire i primi programmi che possono avvalersi del titolo di editor audio. Ciò avvenne grazie al progresso in campo informatico: prima di allora, infatti, i computer erano troppo poco potenti per gestire un programma che necessitava di molta potenza e memoria. Le prime DAW 53 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 54 Enrico Paita, Computer e musica, manuale completo, Jackson Libri, 1997 33 furono progettate da Digidesign, che introdusse dapprima “Sound Tools” e, successivamente, le versioni “Sound Designer” e “Sound Designer II”, costituite da un DSP e da un editor per l’elaborazione audio. Nel 1996 l’azienda tedesca Steinberg (nata nel 1989) lanciò Cubase Audio, il primo dei loro prodotti ad avere la possibilità di registrare campioni audio, fino ad allora infatti era possibile solo registrare via MIDI. Ma fu solo con la pubblicazione di Cubase VST, che nacque un editor potente, capace di registrare e riprodurre fino a 32 tracce audio e MIDI su un Apple Macintosh, e senza l’ausilio di un DSP (processore digitale del segnale) esterno. Un anno dopo, nel 1997, Steinberg ideò uno standard di plug-ins musicali, chiamati VST 55 (Virtual Studio Technology), cioè dei componenti aggiuntivi che, utilizzati in un programma di produzione audio, permettono di aggiungere effetti o generare suoni tramite veri e propri sintetizzatori virtuali. Il VST quindi rappresenta, soprattutto oggi, una Figura 32. Un esempio di diversi VST soluzione economica e potente, avendo tutte le caratteristiche del sintetizzatore (o del processore di segnale) hardware, ma racchiuso nel proprio computer e ad un prezzo solitamente molto inferiore. In più possono essere suonati con una tastiera MIDI, con un sequencer virtuale, proprio come un sintetizzatore normale, oppure scrivendo una partitura MIDI all’interno dell’editor stesso. Oggi tra i vari VST si possono trovare migliaia di sintetizzatori e processori di segnale di qualità sonora altissima, comprese fedeli emulazioni dei sintetizzatori analogici che hanno fatto la storia degli strumenti elettronici, con la possibilità quindi di avere il suono, ad esempio di un Moog Modular, all’interno del proprio computer senza l’enorme dispendio in termini di denaro e spazio. Ovviamente, al giorno d’oggi, non mancano i “puristi” dell’hardware, che sostengono che il suono che esce da una macchina sia in ogni caso di qualità migliore rispetto ad un VST. Gli anni ’90 furono un periodo di sviluppo di nuove tecnologie audio, non sono nei sistemi legati prettamente ai computer, come le Digital Audio Workstation, ma anche nel campo dei sintetizzatori. Nel 1994, un’azienda svedese di nome Clavia56 progettò e mise in commercio una tipologia di macchine del tutto nuova, che prometteva di coniugare le caratteristiche dei sintetizzatori analogici con la comodità e praticità di quelli digitali tramite la sintesi a modelli fisici: 55 Martin Russ, Sound Synthesis and Sampling. Focal Press, 2008 56 http://www.nordkeyboards.com/about-us/company-history (19-05-16) 34 i “sintetizzatori virtual analog”. Il primo modello della casa scandinava, chiamato Nord Lead57, era uno strumento dall’architettura relativamente semplice: due oscillatori in grado di operare modulazione di frequenza e dotati di onda triangolare, rampa e quadra (con la possibilità di Figura 33. Clavia Nord Lead, il primo sintetizzatore virtual analog della storia modificare la simmetria dell’onda quadra trasformandola in impulso), un LFO con onda triangolare, rampa e S&H (sample and hold), un LFO che poteva essere convertito in arpeggiatore, un filtro digitale multimodo (passa-basso con frequenza di taglio di 12 o 24dB, e passa-alto a 24dB ), due inviluppi ADSR rispettivamente per l’ampiezza e il filtro, e un inviluppo A/D assegnabile a vari parametri selezionabili tramite un tasto selezionatore. La polifonia era a quattro voci, con la possibilità di metterle in unisono oppure di sfruttare il sintetizzatore in modalità monofonica (legato). La macchina inoltre era dotata di tastiera a 49 tasti con key velocity, una piccola memoria con 99 preset editabili, pitch bend e mod wheel. La Nord Lead fu uno strumento assolutamente rivoluzionario sotto vari aspetti: prima di tutto, come già anticipato, grazie alla tecnologia “analogico virtuale”, abbiamo il carattere e il “calore” degli strumenti analogici (anche se è solo un’emulazione di queste caratteristiche) racchiusi in un sintetizzatore completamente digitale; in secondo luogo, con questa macchina c’è un ritorno alla sperimentazione delle timbriche e delle sonorità, grazie alla reintroduzione di tasti e potenziometri per la modifica dei parametri dello strumento, scomparsi negli anni ’80 e sostituiti da un unico cursore. Dopo Clavia, altre case costruttrici volsero i propri interessi verso la tecnologia dell’analogico virtuale, tra le quali, come non citare l’azienda tedesca Access Music GmbH58, che costruì il 57 http://www.vintagesynth.com/clavia/nord.php (20-05-16) 58 https://de.wikipedia.org/wiki/Access_Music_Electronics (20-05-16) 35 famoso Virus59, oggi giunto alla quinta versione, chiamata Ti2, e preceduta dalle serie “A”, “B”, “C” e “Ti”. Questo sintetizzatore rappresenta al giorno d’oggi un vero e proprio standard, data la sua incredibile flessibilità, il che lo rende lo strumento perfetto per tantissimi generi musicali, soprattutto per quanto concerne la “dance music” in ogni sua forma. L’attuale versione è una macchina dalle incredibili prestazioni in termini di elaborazione, con i suoi nove oscillatori, che dispongono di centinaia di forme d’onda diverse, 110 voci di polifonia, un intero rack di effetti e la possibilità di assegnare i vari modulatori come LFO o inviluppi a qualsiasi parametro della macchina. Per facilitare la modifica dei parametri, inoltre, dispone di un software editor costruito con la tecnologia VST, che permette così di utilizzare il sintetizzatore come fosse uno strumento virtuale. Figura 34. Access Virus Ti2, qui nella versione “desktop” senza tastiera e con solo il modulo di sintesi La tecnologia virtual analog, come già detto, emula fedelmente le caratteristiche timbriche delle macchine analogiche, riuscendo ad ottenere un risultato molto vicino allo strumento reale, ma rimarrà pur sempre un’emulazione, quindi non potrà mai eguagliare appieno il suono, le caratteristiche e la particolare timbrica di un vero sintetizzatore analogico. C’è poi un discorso di “personalità”: ogni macchina differisce da un’altra per circuitazione o per componenti di base utilizzati, è proprio per questo che un Moog non potrà mai suonare uguale ad un Buchla, o ad un ARP, proprio perché costruiti in maniera diversa da costruttori diversi. Le differenze ovviamente non sono enormi, ma comunque tangibili, e le si possono notare già solo ascoltando attentamente il suono che esce dal solo oscillatore, senza filtraggi o modulazioni. Proprio per questi motivi che i sintetizzatori analogici sono tutt’ora prodotti ed apprezzatissimi dai musicisti, proprio perché, acquistando un prodotto piuttosto che altri, si sceglie uno stile, un carattere fondamentale, che solo quel modello offre. 59 http://www.virus.info/virusti/overview (20-05-16) 36 1.9. IL SINTETIZZATORE AI GIORNI NOSTRI, IL RITORNO DELL’ANALOGICO E LA NASCITA DELL’EURORACK Nella seconda metà degli anni ’90, un gruppo di appassionati di macchine analogiche, vollero riproporre strumenti modulari ispirati ai sintetizzatori degli anni ‘60/’70. Il lavoro di Moog fu senza dubbio rivoluzionario, e fece sicuramente del suo meglio con le tecnologie che aveva a disposizione alla fine degli anni ’60, ma questi nuovi ingegneri e costruttore si promisero di costruire sistemi su quella base ma con componenti tecnologicamente avanzati ed elettroniche all’avanguardia. La prima persona ad aver riportato in vita la filosofia modulare fu Bruce Duncan, fondatore di Modcan 60 , che offrì il primo sistema modulare completo e completamente nuovo nel suo design. I suoi sistemi nacquero dapprima come un hobby, ma già verso la metà degli anni ’90 Bruce cominciò a vendere i moduli meglio riusciti dalle sue progettazioni attraverso un sito Figura 35. Bruce Duncan ed il suo sintetizzatore web, ottenendo già da subito un discreto successo, rimanendo pur sempre in un mercato di nicchia. La Modcan può essere considerata la prima nuova compagnia produttrice di sintetizzatori modulari, ma non rimase sola a lungo. Presto Paul Schreiber, fondatore di Synthesis Technology, cominciò a progettare nuovi moduli, con l’idea di costruire sistemi pensando ad implementare il sistema modulare di Bob Moog. I primi moduli prodotti furono un semplice alimentatore ed un generatore di rumore, messi in vendita all’inizio del 1998 attraverso il suo sito internet. Nello stesso anno Roger Arrick lanciò il suo sito web “synthesizers.com”, offrendo sistemi modulari emulazioni del Moog Modular, permettendo di avere lo stesso aspetto e le stesse funzionalità del mitico sintetizzatore, ma senza il costo elevatissimo e la continua manutenzione che necessitava. Il boom dei modulari full-size negli ultimi anni ’90 fu un fenomeno di grande impatto per le persone che desideravano uno strumento simile a quello che suonava Keith Emerson, ma, a differenza degli anni ’70, questo era dotato di componenti nuovissimi e all’avanguardia.61 60 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 61 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 37 Dopo questo excursus, arriviamo finalmente ai giorni nostri, al XXI secolo, secolo di rinascite, come il ritorno di Bob Moog nella produzione di sintetizzatori: egli infatti fu obbligato a lasciare, nel 1977, la propria compagnia, la Moog Music, a causa di una cattiva gestione generale dell’azienda e delle risorse di marketing. L’azienda successivamente venne portata alla bancarotta nel 1986, liquidata e cessò definitivamente di esistere nel 1993. Nel 2002, dopo una battaglia legale con Don Martin, colui che ai tempi assunse i diritti sul nome Moog Music, Robert Moog ne riacquistò i pieni diritti e rilanciò appieno il marchio in tutto il mondo. Il prodotto che segnò la rinascita dell’azienda Figura 36. Moog Minimoog Voyager di Asheville fu il nuovo modello di Minimoog, chiamato Minimoog Voyager, basato sugli stessi principi costruttivi della vecchia versione, ma con l’aggiunta di moderne soluzioni per quanto concerne la superficie di controllo (tastiera MIDI) e la gestione dei preset. Questo è da considerarsi l’ultimo vero sintetizzatore progettato da Bob Moog, prima della sua morte, il 24 agosto 2005 ad Asheville.62 La Moog Music, invece, è tutt’ora attiva e ha prodotto molte nuove macchine dopo la morte del suo fondatore, rimanendo, come un tempo, un marchio simbolo di qualità. Verso la metà degli anni 2000, molti musicisti elettronici cominciarono ad utilizzare una macchina che normalmente veniva usata per tutt’altro: il personal computer. Le prime DAW, come già detto nacquero verso la fine degli anni ’80, e dalla metà degli anni ’90, con Cubase VST, si poteva avere un editor audio che funzionasse senza l’ausilio di DSP esterni, Figura 37. Ableton Live, una moderna Digital Audio Workstation per la produzione musicale. ma le prestazioni in termini qualitativi erano ancora troppo al di sotto degli strumenti classici per la produzione e la registrazione audio. Fu proprio in questo periodo dove le nuove tecnologie e l’evoluzione esponenziale degli editor fanno si che si prendesse piena coscienza 62 https://en.wikipedia.org/wiki/Moog_Music (21-05-16) 38 delle potenzialità delle DAW e dei soft-synths, letteralmente Software Synthesizers, e del loro impiego nella produzione musicale. Questo setup per la produzione audio (computer ed i vari software) da la possibilità all’utente di avere qualsiasi strumento di cui necessiti per la produzione audio in un singolo “contenitore”, in più all’interno delle nuove DAW sono presenti già al suo interno vari sintetizzatori, effetti e processori di segnale (come equalizzatori o compressori), permettendo quindi di avere tutto il necessario con l’acquisto di un singolo prodotto. Questa nuova tecnologia sembrava dovesse sancire la fine dell’era del sintetizzatore tradizionale, soprattutto per quanto riguarda la fascia di utenza dei più giovani musicisti e produttori, ma un nuovo formato hardware avrebbe introdotto un approccio diverso ai sintetizzatori modulari, un modo per diffonderli tra le masse. Nel 2004 il tedesco Dieter Doepfer sviluppò un nuovo formato per i sintetizzatori modulari, oggi conosciuto come Eurorack63. Anziché utilizzare lo standard Moog di cinque unità verticali in altezza ne usò solo tre, rendendo il sistema molto più compatto. La sensazionale svolta che avvenne poi, nel giro di pochi anni, fu che altri Figura 38. Dieter Doepfer con il suo sistema modulare Eurorack produttori di moduli cominciarono a progettarli secondo le specifiche dello standard Eurorack, che comprendeva il formato di tre unità, connettori PCB per l’alimentazione dei moduli a 12 o 5 volt, e connettori jack mono da 3.5 millimetri (mini-jack) per i collegamenti tra moduli (patch). Grazie all’adesione di molte aziende al formato Eurorack, oggi è possibile scegliere tra centinaia di moduli, permettendo all’utente una vastissima scelta di modelli, dalle emulazioni di sintetizzatori “vintage” a soluzioni più sofisticate e particolari (moduli che diventano veri e propri computer o altri, ad esempio, che sfruttano vecchie tecnologie come le valvole al posto dei transistor); ed è proprio questa la forza di questo nuovo fenomeno: basta comprare un “case” (contenitore dove poter alloggiare i moduli) e riempirlo di tutti i moduli desiderati. Con questo sistema il proprio sintetizzatore è in completa evoluzione, basta comprare un altro modulo per cambiare totalmente la tipologia di suono che produce, o addirittura l’approccio che si ha sullo strumento. La crescente presenza di concorrenti quindi ha solo un effetto positivo, in quanto accresce la varietà di moduli disponibili sul mercato e, di conseguenza, ne alimenta l’espansione del fenomeno Eurorack. 63 http://www.doepfer.de/home.htm (21-05-16) 39 In questi anni, mentre questi sistemi stavano prendendo velocemente piede, Don Buchla mise sul mercato il suo sistema 200e, basato sulla serie 200 degli anni ’70, ma con un formato simile a quello in voga, più compatto e funzionale. Tutti i moduli infatti svolgono più funzioni (un modulo oscillatore si trasforma in un doppio oscillatore, un filtro in un doppio filtro) per far sì che si ottengano più funzionalità possibili in un contenitore il più compatto possibile. Questo approccio di Buchla influenzò anche molti produttori di moduli Eurorack: sono infatti moltissimi oggi quelli che emulano i suoi prodotti, portando le funzioni e caratteristiche dei suoi sintetizzatori nel nuovo formato creato da Doepfer. Figura 39. Un moderno sistema modulare in formato Eurorack Il sintetizzatore modulare senza dubbio stava affrontando un ritorno sulla scena, ma per la prima decade degli anni 2000 rimase un oggetto per un mercato di nicchia, è solo in questi ultimi anni che hanno cominciato a lambire la scena “mainstream”. La rinascita del modulare in tempi moderni crebbe inizialmente a partire dal desiderio di vecchi appassionati di possedere quella macchina dei sogni un tempo inottenibile. Poi lo standard Eurorack introdusse un gruppo di utenti del tutto nuovo, una generazione cresciuta con laptop e 40 strumenti digitali, che cercava qualcosa di nuovo e che ironicamente trovò in qualcosa un tempo ritenuto obsoleto.64 Concludendo: oggi il musicista, il produttore, o il semplice appassionato, hanno a loro disposizione una vastissima scelta di strumenti elettronici musicali, tra sintetizzatori analogici di nuova e vecchia generazione, virtual analog, digitali, modulari, soft-synth ecc., di tutte le tipologie di prezzo, dai più economici ai più costosi per i più esigenti, rendendo finalmente questo strumento e questo mondo alla portata di tutti. 64 Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014 41 CAPITOLO II 42 2. PERFORMANCE LIVE ELECTRONICS Dopo aver affrontato la storia del sintetizzatore, andiamo ora a descrivere la struttura della performance improvvisativa, e com’è nata questa idea di una collaborazione tra me e il mio collega ed amico Alessandro Arban. La scelta di un argomento, da portare come capitolo finale del mio percorso di studi, coincide con le mie più grandi passioni: la musica elettronica e gli strumenti elettronici per la sintesi del suono. Grazie a ciò, cominciai a collezionare sintetizzatori di varie tipologie (analogico, digitale, virtual analog), fino a tre anni fa, quando scoprii il mondo degli Eurorack65, acquistandone diversi moduli. La filosofia del sintetizzatore modulare, come abbiamo già visto, non è una soluzione comune a tutti nella musica d’oggi, spinge l’esecutore ad esplorare la macchina, cosciente dell’incredibile vastità di combinazioni di cablaggio disponibili e, quindi, di grandissima flessibilità. 2.1. INIZI E PRIMI SVILUPPI Il mio cammino verso la riuscita di questo progetto cominciò più di un anno fa quando, una volta completati tutti gli esami dei corsi, cominciai a maturare l’idea di sfruttare i miei sintetizzatori per la prova finale ed integrare l’ambiente di programmazione Max 66 come frutto delle nozioni imparate in conservatorio. Il concetto base era la modularità, cioè utilizzare il mio sistema modulare con Max che fungeva da modulo virtuale aggiuntivo per l’elaborazione del segnale. Più tardi questo concetto venne esteso a tutti gli aspetti della performance, arrivando a toccare anche lo scheletro dell’esibizione stessa. Dopo poco tempo, il mio collega Alessandro Arban mi propose di collaborare al suo progetto, basato sull’improvvisazione tramite strumenti concreti e live-electronics. L’idea mi coinvolse subito, questa occasione infatti poteva essere un modo di arricchire la mia esibizione con ulteriori timbriche ed aprire una sorta di dialogo musicale tra il sintetizzatore e gli strumenti “tradizionali”, senza uscire dalla mia idea originaria: egli infatti poteva essere considerato come un altro modulo aggiuntivo da utilizzare nella mia performance. 65 http://www.soundonsound.com/reviews/secret-world-modular-synthesizers (25-05-16) 66 https://cycling74.com/products/max/#.V9L5vrWSUgs (25-05-16) 43 Nei nostri primi incontri, ci fu una sperimentazione reciproca dei materiali a nostra disposizione: costruimmo un semplice programma di elaborazione del segnale tramite Max, comprendente un “granulatore” ed un “harmonizer”, io portai solamente il mio sintetizzatore modulare (integrato poi con una macchina virtual analog), mentre Alessandro utilizzava piccoli strumenti musicali o comuni oggetti presenti a casa sua, insomma qualsiasi cosa che potesse incuriosirlo e stimolarlo timbricamente; le primissime prove furono ovviamente dei semplici test per verificare se il progetto sarebbe stato fattibile. In questo periodo, le mie prime patch col sintetizzatore erano sostanzialmente delle linee melodiche prodotte utilizzando il sistema modulare con un arpeggiatore/sequencer. Il risultato prodotto non mi convinse affatto, la melodia risultava banale e le timbriche erano troppo “statiche”, in più le gestualità ed i suoni prodotti da entrambi risultavano distaccate tra loro; fu così che cominciammo ad elaborare varie ipotesi su come amalgamare i nostri strumenti atte a formare una performance più organica. La ricerca di un dialogo più fitto tra le due parti trova compimento dopo poco tempo: il mio collega selezionò una serie di strumenti tradizionali secondo la classificazione “Hornbostel-Sachs67”, un metodo di classificazione del 1914 che divide tutti gli strumenti musicali in quattro categorie: idiofoni, membranofoni, cordofoni ed aerofoni, corrispondenti rispettivamente a strumenti metallici (come un glockenspiel o un gong), strumenti a membrana (percussioni come djembe o timpano), strumenti a corda (come una chitarra o un violino) e strumenti a fiato (come una tromba o un didgeridoo). Come si può facilmente notare, gli strumenti elettronici non erano compresi nella classificazione del tempo, il Theremin sarebbe stato inventato tre anni dopo, ed il Telharmonium, unico strumento elettronico ai tempi, non fu quello che potremmo definire un successo nell’ambiente musicale; dovremo aspettare fino al 1937, quando il “Galpin Society Journal” modifica il precedente articolo includendo una quinta categoria: gli elettrofoni, cioè qualsiasi strumento musicale che genera suono tramite l’elettricità. Alla luce di questa classificazione, gli strumenti definitivi scelti da Alessandro per la performance sono: un armonica a bocca (aerofoni), un glockenspiel (idiofoni), uno djembe e una darabouka (membranofoni), e un ukulele (cordofoni). Il segnale degli strumenti acustici viene catturato ed inviato al DSP (processore di segnale) grazie ad un microfono a condensatore cardioide ed un microfono a contatto, quest’ultimo utilizzato solo per il microfonaggio dell’ukulele. Tutti strumenti di piccole dimensioni, selezionati in modo da permettere all’elaboratore del segnale (Max) ed ai sintetizzatori di espandere il loro contenuto spettrale: il mio contributo quindi sarebbe 67 La classificazione Hornbostel-Sachs è stata pubblicata per la prima volta nel 1914, all’interno della Zeitschrift für Ethnologie. Successivamente, ne è stata pubblicata una traduzione in inglese dal Galpin Society Journal, nel 1961. 44 servito a completare la lista delle categorie strumentali, inserendo i sintetizzatori (elettrofoni) all’interno del suo sistema, e di arricchire le timbriche base degli strumenti acustici. La performance cominciava a prendere velocemente forma, le lunghe sessioni d’improvvisazione permettevano di affinare sempre più il dialogo tra le due parti, in più campionavamo ogni sessione e, successivamente, ne analizzavamo il contenuto con ascolti meticolosi. Questo metodo di lavoro (improvvisazione – campionamento – ascolto) è ispirato dalla tecnica del GINC di Evangelisti, riportata nel libro “Roma ’60 – Viaggio alle radici dell’underground italiano”, che consigliava appunto un regolare ascolto delle registrazioni subito dopo l’improvvisazione.68 2.2. SVILUPPO DEL PROGETTO: LA SCELTA DELLA SUDDIVISIONE IN SCENE E LA COSTRUZIONE DEL PROGRAMMA DI ELABORAZIONE DEL SEGNALE TRAMITE MAX. Durante le sessioni di prova dell’improvvisazione, col passare del tempo, sentii la necessità di implementare il mio setup con un altro sintetizzatore in mio possesso, di concezione opposta al sistema modulare, in modo da ampliare ulteriormente la mia gamma timbrica e tecnica: una macchina basata su modelli fisici di strumenti analogici, o meglio detta, come abbiamo già visto nel capitolo della storia dei sintetizzatori, “virtual analog”. L’oggetto in questione si chiama “Nord Lead 4”, costruito dall’azienda svedese Clavia, leader di questa tipologia di sintetizzatori (il primo modello Nord Lead fu la prima macchina “virtual analog” mai stata costruita). Con l’aggiunta di questa ulteriore sorgente sonora, ebbi a disposizione anche delle forme d’onda particolari, basate su un metodo di sintesi detto wavetable, che producevano suoni simili a strumenti o oggetti “reali”, come quello di una campana intonata o un pianoforte, fornendomi così un diverso approccio alla sintesi.69 Grazie a ciò, cominciai a distaccarmi dal concetto di sintesi in quanto generazione di materiale sonoro puramente sintetico, in favore di un emulare timbriche o caratteristiche tipiche di quella categoria di strumenti tradizionali scritta da “Hornbostel-Sachs”: quando il mio collega, ad esempio, suonava uno djembe, ricreavo delle sonorità con caratteristiche simili agli strumenti a percussione, quindi dall’andamento impulsivo con attacco e rilascio molto brevi, quando suonava 68 Valerio Mattioli, Roma 60. Viaggio alle radici dell'underground italiano. Parte seconda. Blow up, #188 gennaio 2014, Tuttle Edizioni. 69 Manuale Operativo Nord Lead 4 v1.3 45 l’ukulele, invece, ricreavo la timbrica di un altro strumento a corde, magari suonato con l’archetto, andando ad agire su modulazioni ed inviluppi per ricreare i battimenti tipici di un violoncello ad esempio. Fu così che s’istaurò un legame morfologico molto solido tra le sonorità acustiche e quelle sintetiche, sfociando in un dialogo reciproco, che aveva da una parte i sintetizzatori che emulavano strumenti acustici, dall’altra invece gli strumenti tradizionali che venivano suonati in modo da ricreare caratteristiche e timbriche delle sonorità tipicamente sintetiche, attraverso gestualità e metodi di esecuzione inusuali. Con questa interazione tra gli esecutori, fu necessario introdurre una struttura formale all’improvvisazione: decidemmo così di dividere l’intera performance in sezioni da noi nominate “scene”, formate da momenti musicali dove venivano utilizzati uno o più strumenti musicali appartenenti alla stessa categoria strumentale “Hornbostel-Sachs”, in dialogo con gli elettrofoni. Questa tipologia di divisione dell’esecuzione ha come unico scopo quello appena citato, non ci sono infatti partiture dedicate delle singole scene o particolari restrizioni esecutive, in quanto, se così fosse, si perderebbe il senso dell’intera performance, finalizzata all’improvvisazione in live electronics. Nel corso delle numerose sessioni di prova, abbiamo diviso l’improvvisazione in cinque scene principali: quattro comprendenti la classificazione degli strumenti tradizionali, ed una quinta, dedicata all’utilizzo della voce umana. Le scene quindi sono da considerarsi come piccole “matrici improvvisative”, utilizzabili collegandole assieme o separate tra loro, decidendo un ordine a propria scelta ed in base ai propri gusti personali; per quando riguarda la nostra performance, abbiamo scelto un certo ordine in quanto conseguenza di un flusso creativo unico, andatosi poi a separare per comodità esecutiva. Ogni scena ha il proprio setup all’interno di Max, grazie ad una matrice a griglia che permette di tracciare il percorso del segnale di ogni singola entrata: ad ogni scena corrisponde un preset sul processore di segnale, sviluppato sulla base delle nostre esigenze estetiche. 46 Il programma, sviluppatosi nel corso delle sessioni di prova, viene dotato di ulteriori processori di segnale: un harmonizer, un pitch-shifter, un granulatore polifonico, un delay ed un riverbero. Gli effetti possono essere utilizzati singolarmente o collegati tra loro tramite la matrice che stabilisce il percorso del segnale; ogni segnale in entrata può essere manipolato tramite un percorso dedicato, ed ogni effetto ha una propria uscita stereofonica, che andrà poi finire nel modulo dedicato alla spazializzazione, del quale parlerò approfonditamente nel corso di questo capitolo. 2.3. LA STRUTTURE DELLE SCENE ED I METODI DI SINTESI ADOPERATI Dopo questo excursus dedicato alla storia su come questa performance ha avuto inizio e come si è poi sviluppata nel tempo, passerò ora alla descrizione delle singole scene, con particolare attenzione alla struttura formale ed alle timbriche generate dai miei sintetizzatori tramite vari metodi di sintesi. La performance, come già detto in precedenza, è suddivisa in cinque sezioni, denominate scene, ognuna comprendente le categorie descritte nella classificazione degli strumenti musicali “Hombostel-Sachs”, e l’ultima, dedicata alla voce. Passiamo ora all’analisi delle singole scene. I SCENA: AEROFONI (CD: Campione 1) La prima scena è dedicata alla categoria strumentale degli aerofoni, riguardante quindi tutti gli strumenti in grado di produrre suono tramite l’utilizzo dell’aria. Il mio collega, per questa sezione, ha scelto di utilizzare un’armonica a bocca cromatica, traendo da essa i vantaggi della polifonia e della capacità di emettere suono sia in fase di respirazione, che d’inspirazione. Qui il mio lavoro con i sintetizzatori è stato focalizzato principalmente su due piani sonori, uno di accompagnamento, quindi con sonorità in secondo piano per dar spazio all’armonica, e un altro in primo piano, sfruttando come accompagnamento le code sonore dello strumento acustico, processate dal DSP. All’interno di questa scena, quindi, troviamo tre differenti suoni: due prodotti con Clavia Nord Lead 4 e un terzo prodotto con il sintetizzatore modulare. Il primo suono di cui andremo a parlare è una testura prodotta con il sintetizzatore “virtual analog”. Si tratta di un lungo evento tessiturale, simile nella timbrica ad un corno filtrato. Il suono è in continua evoluzione nel tempo, i lunghi attacchi degli inviluppi, sull’ampiezza e sulla frequenza di 47 taglio del filtro, permettono un’entrata graduale del suono, andando così a formare l’introduzione alla performance, e la modulazione sull’altezza sonora da movimento alla timbrica generale. I due oscillatori producono rispettivamente un’onda a dente di sega ed un’onda quadra, e vengono modulati nel “pitch” tramite LFO (oscillatore a bassa frequenza). Un generatore di rumore bianco viene modulato nel suo filtro passa-alto interno per ricreare l’effetto del vento che va a sommarsi alla timbrica fondamentale dello strumento a fiato ricreato, andando così a formare una ricca testura in continua evoluzione nel tempo. Lo scopo di questo suono non è il ricreare fedelmente la timbrica del corno, ma di generare un tappeto sonoro di accompagnamento allo strumento in primo piano (armonica a bocca) che solo richiamasse la categoria sonora presa in analisi. Il secondo suono in analisi è generato tramite lo stesso sintetizzatore (Nord Lead 4) e vuole ricreare la timbrica del didgeridoo. Questo strumento, nato in Australia dagli aborigeni, ha origini antichissime, è formato sostanzialmente da un tubo in bambù o eucalipto con lunghezza variabile dai 1.5 metri ai 2.5 metri. Il metodo di generazione del suono è ad ancia labiale: l’esecutore quindi utilizza la propria bocca e le proprie labbra per produrre suoni che mettano in risonanza lo strumento. Il suono di sintesi, che ho elaborato per ricreare il suono di questo strumento, è prodotto filtrando una forma d’onda a dente di sega con un filtro passa-basso risonante (con un indice di taglio di 24dB) ed un filtro a formanti. Per emulare fedelmente le caratteristiche timbriche tipiche di questo strumento a fiato, occorre affinare la gestualità nell’esecuzione: il cut-off (frequenza di taglio) del filtro viene assegnato al modulation-wheel dello strumento, tramite questo parametro genero un inviluppo “manuale” con attacco e decadimento repentini, per ricreare i movimenti della bocca umana che funge da ancia per il didgeridoo. Il terzo ed ultimo suono sintetico della prima scena è prodotto tramite il mio sistema modulare: si tratta in sostanza di un pattern aritmico, lo stesso che andrò ad usare nella terza scena, che genera una serie di suoni impulsivi. In questo caso il segnale viene profondamente processato dal DSP, più precisamente dal granulatore, che modifica a tal punto il suono da renderlo indistinguibile rispetto al segnale di partenza. Il risultato è una “nuvola di grani”, che arricchisce la testura generata dal Nord Lead 4. 48 II SCENA: IDIOFONI (CD: Campione 2) La seconda scena è dedicata alla categoria strumentale degli idiofoni, cioè riguardante tutti gli strumenti musicali il cui suono è producibile unicamente mediante la messa in vibrazione del materiale da cui sono costituiti, senza l’ausilio di superfici o parti poste in tensione come corde, membrane o colonne d’aria. Il mio collega per questa sezione utilizza un Glockenspiel, un piccolo strumento a percussione “diretta”, formato da delle barre metalliche intonate secondo la scala cromatica. In questa parte della performance uso esclusivamente il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4, il quale, grazie ai suoi speciali algoritmi che permettono di ottenere delle forme d’onda digitali, dette wavetables, riproduce varie timbriche, tra le quali delle emulazioni di suoni di campane e campanelli intonati. Utilizzo un solo suono di sintesi, modificato dinamicamente nell’inviluppo d’ampiezza, precisamente nell’attacco e nel rilascio, tramite modulation wheel, passando da eventi impulsivi, dove genero suoni percussivi simili, per l’appunto, a delle campane intonate, ad eventi tessiturali (con attacco e rilascio lunghi), cioè un tappeto sonoro, che ha come scopo l’arricchire la timbrica e costruire una coda sonora del glockenspiel, suonato dal mio collega, generando così un ulteriore dialogo all’interno dell’esecuzione. La generazione di segnale avviene principalmente tramite due oscillatori, che generano un’onda triangolare e, come già anticipato, da una forma d’onda complessa wavetable scolpita per emulare un suono di campana intonata. Le due forme d’onda vengono miscelate tra loro (30% triangolare, 70% “bell” wavetable), e modulate nel pitch tramite un oscillatore a bassa frequenza (LFO) ed un inviluppo dall’attacco molto lungo, che ricrea una sorta di “glissando infinito”. I due oscillatori vengono filtrati tramite un filtro passa-basso risonante di quarto grado (indice di risonanza 24dB) modulato anch’esso da un inviluppo. L’utilizzo di suoni di campana e il glissando infinito trova ispirazione nei lavori di Risset. III SCENA: MEMBRANOFONI (CD: Campione 3) La terza scena prende in analisi la categoria strumentale dei membranofoni, cioè qualsiasi strumento il cui suono è prodotto dalla vibrazione di una membrana tesa: fanno parte di questa famiglia tutti i tamburi ed i mirliton (come il kazoo). 49 Qui il dialogo tra gli strumenti acustici e quelli sintetici è puntuale e repentino tra i due esecutori, sfruttando il carattere impulsivo degli strumenti tradizionali presi in questione ed il sintetizzatore, che ricrea materiale sonoro percussivo tramite vari pattern ritmici. Il mio collega per questa scena ha deciso di utilizzare due percussioni africane: uno djembe di legno e con membrana di pelle di capra, ed una darabouka in metallo con una membrana in fibra sintetica. L’idea di utilizzare due strumenti costruiti con materiali così diversi permette di avere un timbro ed uno spettro totalmente diverso e da un tamburo all’altro. Per quanto riguarda il mio utilizzo dei sintetizzatori, in questa sezione mi servo esclusivamente del sistema modulare, per generare tre segnali separati tra loro ed utilizzabili parallelamente tramite un piccolo mixer a tre canali. Il primo dei tre suoni è un pattern aritmico caratterizzato da una serie di eventi impulsivi intonati secondo la scala cromatica. La parte generativa è affidata ad un particolare oscillatore digitale (di cui poi andremo a parlare nel capitolo successivo) che offre la possibilità di scegliere tra decine di forme d’onda, e incidere sulla loro selezione tramite una modulazione (con un LFO o un sequencer ad esempio); utilizzando questa particolare funzione, ho a disposizione una vastissima gamma timbrica che utilizzo a piacimento per costruire le linee ritmiche nella performance. Un delay combinato con un pitch-shifter, presenti nel mio sistema modulare, arricchiscono la ritmica generale della linea sonora. Il secondo segnale è una sorta di rumore continuo che vuole ricreare lo sfregamento di un dito su una membrana di un grosso tamburo, come un timpano o una grancassa. Il suono viene generato tramite due oscillatori analogici sinusoidali messi in modulazione di frequenza cross modulation synthesis (di cui parleremo nella sezione dedicata alle tecniche di sintesi utilizzate per la performance), tecnica che ricrea timbri profondi e, in certi casi, caotici. Questo segnale viene introdotto nella scena periodicamente “manualmente” tramite uno dei volumi di uscita del piccolo mixer a tre canali, sfruttato oltre che per la somiglianza timbrica appena descritta, anche per il contenuto spettrale molto ricco che incide sui parametri di spazializzazione (dei quali parleremo nel corso di questo capitolo). Il terzo ed ultimo suono di questa scena è un altro pattern aritmico differente da quello visto in precedenza; esso infatti non possiede intonazione e viene ricreato tramite un oscillatore analogico che produce una forma d’onda a dente di sega messa in modulazione di frequenza (FM) da un generatore d’onda sinusoidale. Il risultato è una linea ritmica simile a quella prodotta con piccoli strumenti a membrana come tomtom o tamburelli. 50 IV SCENA: CORDOFONI (CD: Campione 4) La quarta scena prende spunto dalla categoria strumentale dei cordofoni, riguardante quindi tutti gli strumenti che generano suono attraverso le vibrazioni prodotte dalle corde di cui sono dotati. Queste vengono eccitate tramite varie tecniche: pizzicandole (come nel caso di una chitarra), percuotendole (come in un pianoforte), strofinate con un archetto (violino) o da ruote (ghironda). Il mio collega, in questa sezione, utilizza un piccolo strumento di origine hawaiana chiamato ukulele, scelto per la brillantezza della timbrica e per il suo naturale inviluppo che, a causa della dimensione ridotta della cassa di risonanza, risulta molto breve nell’attacco, ma soprattutto nel decadimento. Il microfonaggio, a differenza degli strumenti visti fino ad ora, avviene tramite un microfono a contatto, posizionato dei pressi del ponte. L’approccio alla sintesi, anche in questo caso, è stato di tipo emulativo: ho ricreato un suono simile a quello di un grosso strumento a corde, come un violoncello, suonato con un archetto. Per farlo ho utilizzato il mio sintetizzatore Clavia Nord Lead 4: ho utilizzato un oscillatore che miscela un onda quadra con un’onda ad impulso (pulse), ed un secondo con forma d’onda sinusoide modulato in frequenza (FM) dal primo. Per avvicinarmi il più possibile allo strumento reale, ho ricreato, modulando l’ampiezza e la frequenza, le caratteristiche tipiche di un violoncello; nello specifico, ho inserito un oscillatore a bassa frequenza (LFO) nell’ampiezza generale per simulare la non linearità dello sfregamento dell’archetto sulle corde: la gestualità di un violoncellista per natura non è totalmente lineare, è portato quindi, a seconda della velocità del movimento e della pressione esercitata sulla corda, a generare differenze di ampiezza. Ho aggiunto inoltre un tremolo sull’altezza sonora generale, per simulare il vibrato, gesto tipico utilizzato in uno strumento “fretless” come il violino, la viola o, per l’appunto, il violoncello. Quest’ultimo parametro viene controllato nell’intensità dinamicamente, proprio per cercare di riprodurre nel migliore dei modi la gestualità della mano sul manico dello strumento. Durante la performance, andrò a modificare il timbro del suono: discostandomi dalla pura emulazione di un cordofono agisco sulla miscelazione dei due oscillatori, facendo prevalere l’oscillatore in modulazione di frequenza e, attraverso l’indice di ampiezza dell’onda modulante, creo un glissando che genera una transizione verso la quinta ed ultima scena. Il sintetizzatore, in questa sezione, è posto in primo piano, mentre l’ukulele, con l’ausilio dei processori di segnale, in particolare del granulatore polifonico, genera nuvole di grani che fungono da sfondo nella scena. 51 V SCENA: VOCE (CD: Campione 5) La quinta ed ultima scena si discosta dalla classificazione strumentale di “Hombostel-Sachs”; essa infatti vede come protagonista la voce umana, lo “strumento” con il più alto grado di comunicatività e di duttilità, permettendo di generare una grandissima quantità di timbri diversissimi tra loro. Prima di parlare, nello specifico, del ruolo che la voce ha nella nostra performance, volevo parlare di una tecnica che, fino al ‘900, è stata esclusa dal mondo musicale occidentale: le “tecniche vocali estese”. La musica che oggi definiamo “classica” e gran parte dei canti folcloristici europei ed americani, prevede un utilizzo della voce tramite un testo, quindi con parole, cantato intonandosi sulla scala cromatica. Nelle culture orientali, o meglio, al di fuori della cultura occidentale, la voce viene utilizzata anche per emettere suoni, timbri particolari, utilizzando non solo le corde vocali, ma anche la modulazione della gola, della lingua e delle cavità orali, come viene descritto nell’articolo An Introduction to Extend Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance Problems di Deborah Kavasch.70 La ragione per cui abbiamo voluto integrare la voce nella nostra improvvisazione è nata quasi per caso: durante una delle numerose prove sulle quattro scene ispirate alle categorie strumentali, il mio collega cominciò ad emettere timbri molto interessanti con la bocca che, uniti al processore di segnale in Max, ricreavano sonorità particolarissime e distanti tra loro, come il canto degli uccellini o il suono dell’acqua. Data la sua bravura nell’utilizzo della voce, e della nostra comune passione verso i brani del Maestro e compositore Trevor Wishart71, noto per i suoi lavori d’improvvisazione vocale, decidemmo di creare una quinta scena, basata sulle “tecniche vocali estese”. Il ruolo dei sintetizzatori, in questa sezione, è andato mano a mano dividendosi in due parti: la prima che segue la voce dell’esecutore (Arban), ricreando sonorità simile a quelle da lui prodotte, la seconda, invece, più focalizzata sulle potenzialità dell’utilizzo dei filtri a formanti, crea una sorta di dialogo tra il sintetizzatore e la voce del mio collega. Per la performance ho scelto di utilizzare principalmente due suoni, prodotti entrambi tramite il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4. Il primo è costituito da una semplice forma d’onda a dente di sega filtrata da un filtro passa banda con risonanza molto alta, quasi da cancellare l’onda iniziale e lasciando il filtro in “auto-oscillazione”; quest’ultimo è modulato in frequenza da un LFO con forma d’onda a rampa ascendente con ampiezza controllata dinamicamente. 70 Deborah Kavasch, An Introduction to Extend Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance Problems. Contenuto in Reports from the Center vol.1, n.2. Center for Music Experiment, Università della California, San Diego, 1980 71 http://www.trevorwishart.co.uk/ (15-06-16) 52 A seconda della posizione dell’indice di frequenza di taglio del filtro (cut-off), il risultato finale va dal suono che richiama il canto degli uccelli (alta frequenza) ad un suono che imita il ribollire dell’acqua (bassa frequenza); anche questo parametro viene controllato dinamicamente durante la perfomance. Il secondo suono si divide principalmente in due momenti: il primo di carattere impulsivo, formato da una serie di suoni dall’inviluppo molto breve modulati nel pitch (altezza sonora), il secondo, invece, ha un carattere tessiturale, con attacco e decadimento molto lunghi. In entrambe le situazioni il carattere fondamentale viene dato dal filtro a formanti, controllato dinamicamente tramite modulation-wheel, che “dialoga” con l’esecutore vocale attraverso veloci contrappunti o con lunghe tessiture. Per comporre tutti questi suoni appena descritti, ho utilizzato una serie di tecniche di sintesi, che andrò ad esporre brevemente: - Sintesi Sottrattiva72: si riferisce a quel modello di sintesi del suono nella quale una sorgente sonora ricca di armoniche, come rumore bianco o un’onda a dente di sega, viene filtrata dal punto di vista spettrale “sottraendo”, per l’appunto, bande frequenziali o porzioni di spettro. Questo procedimento è il più utilizzato per la produzione di timbri con vecchie macchine analogiche ( l’esempio tipico è la concezione “East-Coast” di Robert Moog); oggi, molto spesso, questa tecnica è spesso incrociata o aggiunta ad altri metodi di sintesi, come ad esempio, con la modulazione in frequenza (FM). - Wavetable Synthesis73: questa tecnica di sintesi è prettamente di origine digitale, creata da Wolfgang Palm alla fine degli anni ’70. Il processo consiste nell’utilizzo di un unico oscillatore della macchina che non produce una forma d’onda, bensì legge una tabella che ne ospita, una dietro l’altra, un certo numero precedentemente campionate: in prospettiva, modulare tale lettura spalanca le porte a timbri nuovi, cangianti, evolutivi. La riproduzione di queste forme d’onda nella tabella può essere scelta arbitrariamente o modulata tramite oscillatori in bassa frequenza (LFO) o inviluppi. Questa tecnica non va confusa, come successe in passato, con la cosiddetta “sample-based synthesis”, cioè una sintesi basata su campioni preregistrati di forme d’onda o suoni di strumenti, oppure con la “Pulse-code modulation” (PCM), tecnica usata per la rappresentazione digitale di un segnale analogico. 72 http://www.fisica.unina.it/mfa/acust/materiale%20sito/Sistemi%20di%20sintesi/sintsott.htm (21-06-16) 73 Bristow-Johnson, Robert, Wavetable Symthesis 101, A Foundamental Perspective. 101st AES Convention, Los Angeles, California, 1996 53 - Sintesi FM74: La “sintesi a modulazione di frequenza”, o più semplicemente sintesi “FM” è una tecnica di sintesi sonora messa a punto da John Chowning nella prima metà degli anni settanta all'Università di Stanford in California, trovando un vasto impiego grazie alla caratteristica di ottenere risultati molto complessi a partire da pochi dati iniziali, ed ha caratterizzato l'avvento dei primi sintetizzatori digitali a basso costo e di grande potenzialità. La tecnica consiste semplicemente nella modulazione della frequenza di un segnale portante, generalmente una forma d’onda semplice come una sinusoide di frequenza udibile dall’orecchio umano (20Hz – 20kHz), da parte di un’altra onda semplice, detta modulante. Quest’ultima, se utilizzata in bassa frequenza, cioè al di sotto del campo udibile umano (<20Hz) genera l’effetto del vibrato, ma la novità della sintesi di Chowning consiste nell’utilizzare la modulante all’interno delle frequenze udibili dall’orecchio umano e, quindi, vicina alla frequenza dell’onda portante, generando così un aumento del contenuto armonico del segnale finale. - Cross Modulation synthesis75: la tecnica definita come “cross modulation synthesis” è un metodo utilizzato per lo più all’interno dei sistemi modulari. È molto simile alla comune modulazione di frequenza (sintesi FM) ma, al contrario di questa tecnica, il segnale portante modula in frequenza l’onda modulante, generando una sorta di sintesi FM “incrociata”. In pratica il segnale di uscita dell’oscillatore portante (detto carrier) viene diviso in due parti, il primo fungerà da normale uscita audio, il secondo invece andrà a modulare in frequenza l’oscillatore modulante. - Sintesi AM76: per sintesi “AM” si intende la modulazione di ampiezza, è molto simile alla modulazione in frequenza, con la differenza che la modulante non va ad incidere sulla frequenza dell’onda ma sull’ampiezza del segnale della portante. Questa tecnica di elaborazione del segnale deriva dalle radiotrasmissioni e da alcuni metodi di misura del campo dell’elettronica analogica. Nei fatti questa tecnica di sintesi si traduce nella formazione di tremolo tramite l’utilizzo di un oscillatore in bassa frequenza (LFO) e la modulazione dell’andamento generale del suono tramite l’utilizzo di inviluppi d’ampiezza. La generazione dei suoni, le patch e il setup dei sintetizzatori verranno descritte meticolosamente nel capitolo successivo, con particolare attenzione alla descrizione dei singoli moduli e delle loro 74 John Chowning, David Bristow, "FM Theory & Applications - By Musicians For Musicians", Tokyo, Yamaha, 1986 75 http://www.csounds.com/journal/issue12/crossfm.html (05-07-16) 76 https://cycling74.com/wiki/index.php?title=MSP_Synthesis_Tutorial_3:_Amplitude_Modulation (05-07-16) 54 potenzialità, dando così la possibilità di implementare la performance o ricreare le stesse sonorità con differenti sintetizzatori. 2.4. ESTETICA DELLA PERFORMANCE La scelta di un metodo di lavoro appropriato, trova spunto nelle metodologie utilizzate dal Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC), che si basavano, come già accennato in precedenza, sul registrare le loro lunghe sessioni d’improvvisazione, per poi riascoltarle attentamente subito dopo, traendone poi spunto per la sessione successiva. Un’altra tecnica utilizzata da questo collettivo su cui ci siamo ispirati per la nostra performance, era nella pratica esecutiva, adoperando schemi comuni, basati su parametri unici come il timbro o l’andamento del suono (inviluppo), al fine di trovare un ulteriore spunto al dialogo tra gli esecutori. Questo concetto viene spiegato dal Maestro Morricone in questo breve passo: […]Per il resto, gli “schemi” messi in campo dalla formazione guidata da Evangelisti, Morricone li ricorda come “esercizi che facevamo su un parametro unico. Esempio: gioco delle coppie; risposta positiva all’intervento di un esecutore (vuol dire che a un mio intervento, rispondeva l’intervento di un altro); oppure: risposta negativa (l’altro non rispondeva, o meglio rispondeva con un altro linguaggio). E così via”.[…]77 La scelta, invece, che abbiamo adottato riguardo la suddivisione dell’improvvisazione in scene, fruibili singolarmente o amalgamabili in un unico brano, trae ispirazione dal testo di Stockhausen “The British Lectures”78, dove parla della scelta della divisione di un brano in segmenti (da lui chiamati “momenti”) formati da strutture con precise regole interne, ma che lasciano una certa libertà all’esecutore, come ad esempio il tempo del brano o l’ordine secondo cui le varie sezioni andavano suonate (come nel suo famosissimo brano “Solo”, scritto nel 1966, eseguibile scegliendo liberamente l’ordine dei sei momenti da cui è formato). Alla luce di queste fonti d’ispirazione dal punto di vista artistico, ma anche metodico, abbiamo costruito le basi della nostra improvvisazione. La scelta di utilizzare la tecnica degli schemi comuni 77 78 Valerio Mattioli, Superonda: Storia segreta della musica italiana, Baldini e Castoldi Editore, 2016. K. Stockhausen, The British Lectures, Institute of Contemporary Arts, Londra, 1972. 55 del GINC e della suddivisione in scene di Stockhausen hanno influito in modo rilevante sull’estetica fondamentale sull’esecuzione. La performance ha una durata di circa dieci minuti distribuita in egual misura nelle cinque scene, che formano tre momenti musicali principali. Le prime due scene generano un climax, che passa da un momento iniziale di “calma” attraverso l’uso di lunghe tessiture, che pian piano evolvono in eventi più puntuali e improvvisi, sfociando, in seguito, nel secondo momento musicale, rappresentato nella terza scena, dove si raggiunge il culmine della performance, dal punto di vista delle dinamiche e della quantità di timbri utilizzati. È un momento intenso, energico, il dialogo è veloce, a tratti caotico, pur avendo un proprio ordine di base; i suoni acustici e sintetici elaborati dal DSP s’intrecciano, andando così a formare un unico amalgamato sonoro molto concentrato. Dopo questa parte così concitata e frenetica, è il turno del terzo momento musicale, formato dalla quarta e quinta scena, dove si ha un anticlimax, una perdita graduale delle dinamiche e del contenuto spettrale. La concentrazione dei suoni si fa sempre più rarefatta, fino al termine dell’esecuzione stessa. Analizziamo con più precisione il contenuto estetico delle singole scene all’interno della performance, sulla base degli schemi esecutivi del GINC appena citati. La prima scena è la sezione introduttiva: i due esecutori attuano un dialogo imitativo basato sull’andamento nel tempo dei rispettivi strumenti (inviluppo), e, naturalmente, sulla stessa categoria strumentale. Il primo strumento a suonare è il sintetizzatore “virtual analog” che, con il suo lunghissimo attacco, introduce l’armonica a bocca, suonata ricreando lo stesso inviluppo del timbro sintetico che la precede (con un lungo attacco); nel frattempo “nuvole di grani” intervengono saltuariamente arricchendo le testure e donandole movimento. La scena si chiude con il suono del digeridoo creando così un’atmosfera quasi “mistica” nella performance. Le code sonore provenienti dal DSP fungono da collegamento tra la prima e la seconda scena. In questa parte gli esecutori creano un dialogo per contrasto tra inviluppi: i sintetizzatori modificano il proprio suono ma continuano a generare lunghe testure che richiamano timbro di campane intonate, con un lungo glissando, mentre lo strumento acustico (glockenspiel) invece, genera suoni puntuali, bloccando manualmente la barra metallica che risuona, interrompendo quindi il suo naturale decadimento. Le regolazioni sul granulatore che agisce sul glockenspiel creano un effetto reverse sul suo suono. I lunghi eventi tessiturali assumono un carattere melodico, il glissando crea aspettativa verso quello che accadrà in seguito, i suoni puntuali, invece, sono violenti, repentini, e con l’evolversi della scena sono sempre più frequenti (andando così a generare il culmine del climax). 56 Il materiale sonoro di entrambe le sorgenti (sintetizzatore e glockenspiel) procedono per accumulazione, culminando nella terza scena. In questa terza sezione i vari timbri dialogano freneticamente, i suoni puntuali di entrambe le sorgenti si alternano repentinamente, “disturbati” per così dire da un fragore che interviene periodicamente. La dinamica generale di questa sezione rimane energica ma stabile per tutto il periodo, fino a giungere alla transizione con la quarta scena, che sancisce l’inizio del climax discendente per rarefazione. In questa parte si ritorna ad un dialogo per contrasto: il sintetizzatore riprende un andamento tessiturale ma sempre in continua evoluzione timbrica, lo strumento acustico (ukulele) continua con una generazione di suoni puntuali e nuvole di grani (grazie all’utilizzo del granulatore). L’inizio di questa sezione è anch’esso concitato come la scena precedente, proprio per unire questi due momenti, ma destinato poi ad acquietarsi, facendo spazio alla quinta scena, dedicata alla voce umana. In questa ultima sezione il dialogo è di origine imitativo, questa volta sulla base dei timbri e non degli inviluppi. La sezione si apre con un suono tipicamente sintetico che ricrea le vocali della voce umana alternato ai suoni prodotti dall’esecutore tramite la bocca (utilizzando le tecniche vocali estese). Dopo pochi istanti le voci fanno spazio a suoni che richiamano la natura, come il canto degli uccelli o lo scrosciare dell’acqua di una cascata. Le due sonorità generate dalle due sorgenti sonore (che seguono uno schema imitativo), che prima erano così distanti, ora si amalgamano, diventando quasi un tutt’uno. I timbri gradualmente si fanno sempre più diradati, e l’alternarsi tra loro si fa sempre più lento, fino alla completa dissoluzione. Come possiamo facilmente notare, il primo momento musicale (formato dalla prima e seconda scena) è speculare con il terzo momento (quarta e quinta scena), sia dal punto di vista dell’andamento dinamico (climax nel primo momento, anticlimax nel terzo momento), ma anche sotto l’aspetto degli schemi esecutivi utilizzati: nella prima e quinta scena, il dialogo è di origine imitativo, al contrario della seconda e quarta scena, dove il dialogo è per contrasto. Un’ultima considerazione estetica sull’esecuzione va ricercata nell’utilizzo della spazializzazione: questa tecnica, infatti, divide e posiziona i vari suoni nello spazio, rendendoli molto più comprensibili all’ascoltatore, e, con loro spostarsi in continuazione tra gli otto diffusori, evita che accadano episodi di staticità sonora nel corso dell’improvvisazione. Questa soluzione fu adottata già da Stockhausen nel 195879: il parametro spazio, infatti, avrebbe tolto quell’omogeneità derivate dalle solite tecniche di manipolazione del suono (altezza, intensità, timbro). 79 K. Stockhausen, Musik im Raum (Musica nello Spazio), 1958, tad. It. di D. Guaccero, in La Rassegna Musicale, 32(4), 1961. 57 La posizione ed il movimento nello spazio vengono stabilite attraverso l’analisi spettrale delle singole componenti sonore (descritta nel paragrafo 2.6), contribuendo ad evidenziale ancora di più il carattere timbrico e dinamico dei suoni. 2.5. I PROCESSORI DI SEGNALE NELLE SCENE Dopo aver descritto gli strumenti acustici e le varie timbriche prodotte dai sintetizzatori, andiamo ora a descrivere l’utilizzo del DSP, costruito con l’ambiente di programmazione MAX, e le varie modifiche apportate in ogni singola scena. Partendo da una descrizione generale, il programma è costituito da cinque processori di segnale: un harmonizer, un pitch-shifter, un granulatore, un riverbero ed un delay. Questi effetti possono essere applicati ad ognuno dei quattro segnali in entrata, due per i microfoni e due per i sintetizzatori (nell’immagine in alto a sinistra), o sommati tra loro attraverso la matrice per il routing del segnale generale (nell’immagine a destra). Tutti gli effetti sono stereofonici ed hanno un proprio volume di uscita (nell’immagine, in basso) così da poter missare facilmente i vari segnali in uscita. La matrice di controllo è stata dotata di una serie di richiami (preset) con il setup ottimale da utilizzare per ogni singola scena. La parte dei parametri “verticali” si riferiscono alle entrate possibili, mentre la parte “orizzontale” si riferisce nei primi cinque valori (H, S, D, G, R) alle destinazioni su dove si vuole indirizzare il segnale, mentre nei successivi alle uscite per il segnale diretto “DRY” (1, 2, 3, 4) o del segnale dagli effetti (Hl, Hr, Sl, Sr, Di, Dr, Gl, Gr, Rl, Rr). Le lettere riportate nella matrice sono semplici abbreviazioni degli effetti utilizzati, nello specifico: - H: harmonizer; - S: pitch-shifter; - D: delay; - G: granulatore; - R: riverbero; - “l” e “r”: corrispondente a left e right, rispettivamente canale sinistro e destro; - 1: canale per il microfono a condensatore; - 2: canale per il microfono a contatto; - 3: canale per il sintetizzatore modulare; 58 - 4: canale per il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4. Nell’immagine: la sezione di controllo generale dei processori di segnale in Max/MSP, con la propria matrice per il routing generale del segnale. Andiamo ora a descrivere brevemente gli effetti utilizzati in ogni singola scena, con l’ausilio della matrice di rounting. 59 I SCENA Nella prima scena vengono utilizzati tre canali, uno per il microfono a condensatore che capta il segnale dell’armonica a bocca, e due per i sintetizzatori. Come si può notare dalla matrice, il segnale dell’armonica a bocca (1) entra direttamente nell’harmonizer e nel granulatore, il sintetizzatore Clavia (4), invece, viene processato da solo il riverbero, mentre il sintetizzatore modulare (3) entra nel granulatore, come il primo canale. Entrambi i sintetizzatori hanno un’uscita parallela diretta, cioè con il segnale non effettato. Il segnale in uscita dall’harmonizer, successivamente, entra nel riverbero e nel delay il quale, assieme al granulatore, finisce il suo percorso nel riverbero stesso. Le uscite finali della matrice sono del delay, del granulatore e del riverbero, oltre alle uscite dirette 3 e 4 dei sintetizzatori. Schematizzando, in sintesi, i percorsi dei segnali, avremo: - Canale 1 (armonica a bocca) entra in harmonizer e granulatore. - Canale 3 (sintetizzatore modulare) entra in granulatore. - Canale 4 (Clavia Nord Lead 4) entra in riverbero. - Harmonizer entra nel delay e nel riverbero. - Delay entra nel riverbero. - Granulatore entra nel riverbero. - Uscite dirette: canali 3 e 4. - Uscite dal DSP: delay, granulatore e riverbero. Per quanto riguarda i parametri dei processori di segnale utilizzati, abbiamo scelto i seguenti valori per quanto concerne granulatore, delay, e harmonizer. 60 Granulatore. - Grain separation: 100. - Grain rate variation: 20. - Grain size: 1. - Grain size variation: 20. - Grain pitch: 2. - Grain pitch variation: 20. - Stereo spread: 1. Delay. - del1 pow on; - del1 gain-in 127; - del1 gain-out 127; - del1 mix 100; - del1 maxdel 9000; - del1 fbk 93.75; - del1 random off; - del1 1 del 46.875; - del1 1 gain 127; - del1 1 pan 20; - del1 1 pow on; - del1 2 del 187.5; 61 - del1 2 gain 127; - del1 2 pan 50; - del1 2 pow on; - del1 3 del 562.5; - del1 3 gain 127; - del1 3 pan 80; - del1 3 pow on; - del1 4 del 937.5; - del1 4 gain 127; - del1 4 pan 100; - del1 4 pow on. Harmonizer. 62 II e V SCENA La seconda e la quinta hanno gli stessi parametri all’interno del DSP, gli strumenti utilizzati si limitano al glockenspiel (nella seconda scena) e alla voce umana (quinta scena) e al sintetizzatore Clavia.Nord Lead 4 (utilizzato in entrambe le sezioni). Come si può notare dalla matrice, il microfono entra esclusivamente nel granulatore, che a sua volta viene processato dal pitch-shifter, concludendo il suo percorso nel riverbero. Il sintetizzatore, invece, si divide in due percorsi: nel primo esce il segnale diretto, nel secondo viene processato dal delay, concludendo anch’esso nel riverbero. Schematizzando i parametri avremo: - - Canale 1 entra in granulatore. - Canale 4 entra in delay. - Granulizzatore entra in pitch-shifter. - Pitch-shifter entra in riverbero. - Delay entra in riverbero. - Uscita diretta canale 4. Uscite dal DSP: pitch-shifter, delay, granulatore, riverbero. I parametri del granulatore, del pitch-shifter e del delay cambiano a seconda della scena selezionata, in questa seconda sezione, quindi, avremo i seguenti parametri. Granulatore. - Grain separation: 400. - Grain rate variation: 300. - Grain size: 2000. - Grain size variation: 500. - Grain pitch: 2. - Grain pitch variation: 1. - Stereo spread: 1. 63 Pitch-shifter - shifter1 pow on; - shifter1 gain-in 127; - shifter1 gain-out 127; - shifter1 mix 100; - shifter1 1 pow on; - shifter1 1 gain 90; - shifter1 1 pan 30; - shifter1 1 freq 1875; - shifter1 2 pow on; - shifter1 2 gain 187.5; - shifter1 2 pan 0; - shifter1 2 freq 100; - shifter1 3 pow on; - shifter1 3 gain 70; - shifter1 3 pan 50; - shifter1 3 freq -5625; - shifter1 4 pow on; - shifter1 4 gain 40; - shifter1 4 pan 110; - shifter1 4 freq -93.75; Delay - del1 pow on; - del1 gain-in 127; - del1 gain-out 127; - del1 mix 100; - del1 maxdel 7875; - del1 fbk 46.875; - del1 random on; - del1 1 del 46.875; 64 - del1 1 gain 127; - del1 1 pan 20; - del1 1 pow on; - del1 2 del 187.5; - del1 2 gain 127; - del1 2 pan 50; - del1 2 pow on; - del1 3 del 562.5; - del1 3 gain 127; - del1 3 pan 80; - del1 3 pow on; - del1 4 del 937.5; - del1 4 gain 127; - del1 4 pan 100; - del1 4 pow on. III SCENA Nella terza scena vengono utilizzati due strumenti a percussione, microfonati tramite il microfono a condensatore, ed il sistema modulare. Il microfono a condensatore, capta il segnale dei membranofoni, mandandoli nell’harmonizer e nel delay, a loro volta processati dal pitch-shifter e granulatore. Il segnale del sintetizzatore modulare, invece, viene diviso in due parti, la prima esce direttamente, la seconda viene processata dal riverbero del DSP Schematizzando i parametri, avremo: - Canale 1 entra in harmonizer e delay; - Canale 3 entra in riverbero; - Delay entra in harmonizer e granulatore; - Harmonizer entra in pitch-shifter e riverbero; 65 - Granulatore entra in riverbero; - Uscite dirette: canale 1 e 3; - Uscite dal DSP: harmonizer, pitch-shifter, delay, granulatore e riverbero. Per quanto riguarda i parametri variabili all’interno dei processori di segnale, per questa scena troviamo i seguenti valori del granulizzatore, del pitch-shifter, del delay e dell’harmonizer. Granulatore. - Grain separation: 500. - Grain rate variation: 157. - Grain size: 500. - Grain size variation: 74. - Grain pitch: 19. - Grain pitch variation: 36. - Stereo spread: 1. Pitch-shifter. - shifter1 pow on; - shifter1 gain-in 127; - shifter1 gain-out 127; - shifter1 mix 50; - shifter1 1 pow on; - shifter1 1 gain 90; - shifter1 1 pan 30; - shifter1 1 freq 2062.5; - shifter1 2 pow on; - shifter1 2 gain 100; - shifter1 2 pan 0; - shifter1 2 freq 187.5; - shifter1 3 pow on; 66 - shifter1 3 gain 70; - shifter1 3 pan 50; - shifter1 3 freq 2250; - shifter1 4 pow on; - shifter1 4 gain 40; - shifter1 4 pan 110; - shifter1 4 freq 375. Delay - del1 pow on; - del1 gain-in 127; - del1 gain-out 127; - del1 mix 100; - del1 maxdel 9000; - del1 fbk 93.75; - del1 random on; - del1 1 del 46.875; - del1 1 gain 127; - del1 1 pan 20; - del1 1 pow on; - del1 2 del 187.5; - del1 2 gain 127; - del1 2 pan 50; - del1 2 pow on; - del1 3 del 62.5; - del1 3 gain 127; - del1 3 pan 80; - del1 3 pow on; - del1 4 del 93.75; - del1 4 gain 127; - del1 4 pan 100; - del1 4 pow on; 67 Harmonizer. IV SCENA Nella quarta scena verranno utilizzati il microfono a contatto per l’ukulele ed il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4. Il microfono a contatto viene processato dal granulatore, che a sua volta entra nel delay, finendo il suo percorso nel riverbero. Il sintetizzatore, invece, viene separato in due segnali, il primo esce direttamente, il secondo viene processato dal pitch-shifter, finendo anch’esso nel riverbero. Schematizzando i parametri, avremo. - Canale 2 entra in granulatore; - Canale 4 entra in pitch-shifter e riverbero; - Granulatore entra in delay; - Pitch-shifter entra in riverbero; - Delay entra in riverbero; - Uscite dirette: canale 4; - Uscite del DSP: delay, granulatore, riverbero. Per quanto riguarda i parametri variabili da scena a scena, troviamo i seguenti valori per il granulatore, il pitch-shifter ed il delay. 68 Granulatore. - Grain separation: 400. - Grain rate variation: 300. - Grain size: 5000. - Grain size variation: 500. - Grain pitch: 1. - Grain pitch variation: 1. - Stereo spread: 1. Pitch-shifter - shifter1 pow on; - shifter1 gain-in 127; - shifter1 gain-out 127; - shifter1 mix 50; - shifter1 1 pow on; - shifter1 1 gain 127; - shifter1 1 pan 100; - shifter1 1 freq -18.75; - shifter1 2 pow on; - shifter1 2 gain 127; - shifter1 2 pan 100; - shifter1 2 freq -4.6875; - shifter1 3 pow on; - shifter1 3 gain 127; - shifter1 3 pan 80; - shifter1 3 freq 9.375; - shifter1 4 pow on; - shifter1 4 gain 127; - shifter1 4 pan 100; - shifter1 4 freq 5.625; 69 Delay - del1 pow on; - del1 gain-in 127; - del1 gain-out 127; - del1 mix 100; - del1 maxdel 7875; - del1 fbk 62.5; - del1 random on; - del1 1 del 46.875; - del1 1 gain 127; - del1 1 pan 20; - del1 1 pow on; - del1 2 del 187.5; - del1 2 gain 127; - del1 2 pan 50; - del1 2 pow on; - del1 3 del 56.25; - del1 3 gain 127; - del1 3 pan 80; - del1 3 pow on; - del1 4 del 93.75; - del1 4 gain 127; - del1 4 pan 100; - del1 4 pow on; RIVERBERO Nelle diverse sezioni, come abbiamo appena visto, vi sono dei processori di segnale che cambiano a seconda della scena selezionata, il riverbero, invece, rimane fisso nel corso di tutta l’esecuzione. Nell’immagine troviamo i parametri base di questo effetto. 70 2.6. SPAZIALIZZAZIONE E ANALISI SPETTRALE Il programma sviluppato tramite l’ambiente di programmazione Max, prevede quattro entrate (due per i microfoni e due per i sintetizzatori) e otto uscite dedicate alla spazializzazione del materiale sonoro. La necessità di creare movimento nel segnale deriva da un’eccessiva staticità in una normale riproduzione stereofonica e da un bisogno di posizionare il differente materiale sonoro all’interno dello spazio. Distribuendo i vari segnali in punti diversi di una stanza, attraverso l’utilizzo di un sistema di riproduzione “acusmatica”, sarà più facile comprendere le singole sonorità, evitando un eccessivo amalgamarsi dei vari timbri. Il risultato di questa tecnica di riproduzione è un’esecuzione dinamica e brillante, dove l’esecutore può diventare anche regista, attraverso una serie di controlli analogici, pilotando i vari diffusori attraverso gli indici di guadagno del mixer. L’esecuzione tramite i nostri vari strumenti, però, non lasciava tempo materiale affinché uno dei due si dedicasse anche alla regia del suono, e la prospettiva di integrare un’altra persona nella performance avrebbe sicuramente influito eccessivamente sul risultato finale, in quanto, essendo un’improvvisazione, la riproduzione sonora sarebbe stata troppo “personalizzata”, per così dire, dal regista aggiunto. Decidemmo così di affidare la spazializzazione ad un algoritmo di elaborazione dati sviluppato tramite l’ambiente di programmazione Max. Questo programma, di fatto, estrapola una serie di dati dallo spettro del segnale prodotto dal DSP, e genera dei valori che andranno ad influenzare l’andamento nello spazio dei suoni, nello specifico: Loudness, Brightness e Noisiness. Questi parametri, una volta estrapolati, vengono riscalati e vanno a modificare la posizione dei segnali rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della sala rispetto ai diffusori; l’analisi della loudness, cioè l’indice di intensità del segnale, incide sull’altezza della sorgente rispetto al punto di partenza, la Brightness, (tradotto letteralmente “luminosità”, misura la concentrazione delle alte frequenze all’interno dello spettro) incide sull’angolazione (angolo azimut) della sorgente, mentre la Noisiness 71 utilizza dei valori in riferimento alla scala Bark, una scala psicoacustica che misura l’altezza sonora suddividendo lo spettro udibile in bande critiche (in questo caso, avendo una frequenza di campionamento di 44100Hz, sarà suddiviso in venticinque bande), e modifica la distanza del segnale dal punto centrale di partenza. Una volta elaborati e riscalati, questi dati vengono mandati ogni 200 millisecondi al modulo di spazializzazione, che muoverà nello spazio tutti i segnali stereofonici in entrata, cioè i segnali diretti dai microfoni o dai sintetizzatori (senza effetti), ed i segnali del DSP (harmonizer, delay, pitchshifter e granulatore) escluso il riverbero, che viene diffuso in stereo su tutte le coppie di diffusori (quattro coppie). Il modulo di spazializzazione, inoltre, ha un controllo sull’interpolazione del segnale di controllo entrante, in modo da controllare il tempo di transizione tra un dato ed un altro, rendendo i movimenti del segnale audio nello spazio più o meno fluidi (se non fosse presente questo controllo, il suono si procederebbe a “scatti”). Un’ultima miglioria per quanto concerne il metodo di riproduzione della performance da noi utilizzato, è l’introduzione di una coppia di diffusori di “rinforzo”, posta di fronte all’ascoltatore, dove verranno riprodotti tutti i segnali diretti e del DSP in stereofonia al fine di ridurre la percezione dei movimenti nello spazio. 72 CAPITOLO III 73 3. GUIDA TECNICA ALLA REALIZZAZIONE DELLA PERFORMANCE In questo capitolo passerò in rassegna tutti gli elementi utili per la realizzazione del nostro progetto, i sintetizzatori ed il loro set-up, gli strumenti tradizionali, e la patch di Max per il live electronics, che utilizzeremo nella performance. 3.1. IL SINTETIZZATORE MODULARE In questo paragrafo andrò ad esporre tutti i moduli del mio sintetizzatore Eurorack, con una breve descrizione di ogni singolo modulo e della propria funzione nella patch che ho creato per la performance. DOEPFER “A-100P6” “Case” (termine tecnico derivato dall’inglese, che letteralmente sta per “scatola”, “contenitore”) trasportabile per moduli Eurorack, formato da due file rack da tre unità ognuno della lunghezza di 84HP ciascuno (unità di misura che indica lo spazio che occupa il modulo. 1HP = 5.08mm). Il case oltre ad alloggiare i moduli, provvede anche alla loro alimentazione tramite un alimentatore da 12volts (nel caso di particolari moduli può essere portata a 5volts), che trasmette corrente si moduli tramite bus board con connettori a pin con intensità massima pari a 1200mA (milliampere).80 80 http://www.doepfer.de/a100p_e.htm (05-08-16) 74 INTELLIJEL “RUBICON” (CD: Campione 15) Oscillatore analogico Rubicon Dixon Thru Zero Triangle Core VCO, prodotto dall’azienda Intellijel.81 Questo modulo ha diverse caratteristiche che lo differenziano dai classici oscillatori: in primo luogo quella che viene chiamata “thru zero FM”, cioè una particolare modulazione di frequenza che sta ad indicare che i cicli che compie l’onda modulante (proveniente da un oscillatore esterno) va a comprendere le frequenze sia positive che negative della forma d’onda, al contrario di una normale FM che comprenderebbe invece solo le frequenze positive. La forma d’onda in frequenza negativa non è altro che la replica dell’originale ma a tempo inverso, come se andasse in reverse. Quando l’oscillatore viene modulato “trough zero” (letteralmente “attraverso lo zero”) quindi, la forma d’onda rallenta fino a fermarsi (zero hertz) per poi ripartire in senso contrario; ad esempio se questa operazione fosse fatta con un’onda a rampa ascendente, la sua corrispondente negativa sarebbe un’onda rampa discendente. Questa tecnica produce come risultato una varietà di suoni più ricca ed ampia a livello spettrale L’indice di modulazione può essere controllato tramite un attenuatore, o limitato alle sole frequenze positive (modulazione di frequenza lineare) attraverso un apposito tasto. Descrivendo brevemente il modulo, troviamo (da sinistra a destra, e dall’alto verso il basso) le seguenti funzioni: - potenziometro “FINE” per regolare finemente l’intonazione del VCO, nell’ordine di +/- 6 semitoni - tasto per passare da modalità LFO (da 0.01Hz a 240Hz) a modalità VCO (da 1Hz a 24kHz), - potenziometro “EXP FM” per il controllo del livello di crescita esponenziale della modulazione di frequenza 81 https://intellijel.com/eurorack-modules/rubicon/ (07-08-16) 75 - tasto a tre opzioni per modificare una sinusoide in una “SIGMOID” semplice o una “SIGMOID” doppia (una forma d’onda dalla timbrica simile a quella di una dente di sega, ma con un suono che potremmo definire più “caldo”). L’opzione ha effetto solo se si sta utilizzando una forma d’onda sinusoidale - potenziometro “COARSE” per regolare la frequenza dell’oscillatore - tasto a tre opzioni per il controllo della forma d’onda ad impulso - potenziometro “TZFM” che funge da attenuatore dell’ampiezza dell’onda modulante in entrata - potenziometro “SYMMETRY” regola l’andamento della forma d’onda, se “aperto” totalmente produce una forma d’onda lineare tradizionale, se “chiuso” produce una forma d’onda con frequenze negative, se posto all’esatta metà è a 0Hz (non produce suono) - potenziometro “PW” per regolare il volume di uscita della forma d’onda ad impulso - tasto selettore del tipo di modulazione di frequenza desiderata, lineare o esponenziale - tasto “SUB OCT” stabilisce a quante ottave sotto la principale lavora la forma d’onda SUB (-1 o -2 ottave) - tasto “RESET”: in caso di HARD sync con un altro oscillatore blocca il processo in atto di crescita o decrescita frequenziale - fila di entrate jack, per le modulazioni dei parametri, nell’ordine: modulazione pitch 1volt per ottava, modulazione dell’attenuatore per la modulazione in frequenza “TZFM” (compreso di attenuatore), entrata per la modulazione di frequenza “TZFM”, entrata per la modulazione della simmetria dell’onda (compreso di attenuatore), entrata per SOFT sync (compreso di attenuatore), entrata per HARD sync, entrata per modulare il volume dell’onda ad impulso (compreso di attenuatore), entrata per modulare il grado di esponenzialità della modulazione di frequenza - fila di uscita delle forme d’onda, nell’ordine: sinusoide, triangolare, rampa, dente di sega, zig zag, quadra, impulso, quadra SUB (una o due ottave sotto la frequenza base) Un’altra caratteristica di questo VCO è la possibilità di sfruttare tutte le forme d’onda a sua disposizione nello stesso momento, dato che ogni forma d’onda ha una propria uscita fisica. 76 MUTABLE INSTRUMENTS “BRAIDS” (CD: Campione 16) Oscillatore digitale Braids macro oscillator, prodotto da Mutable Instruments.82 Questo modulo non è un oscillatore semplice, lo potremmo definire una sorgente sonora monofonica digitale, capace di elaborare intricati algoritmi. La ragione è che molti dei timbri che genera da solo, sono talmente complessi da elaborare che richiederebbero un intero sistema modulare di oscillatori, filtri, waveshapers e modulatori ad anello per ricrearli in analogico. Ogni algoritmo è controllato da due parametri variabili: “timbre” e “colour”, entrambi modulabili tramite controllo di voltaggio. Il pannello principale del modulo si presenta abbastanza essenziale, con pochi comandi fisici, necessari alla gestione degli algoritmi per la generazione delle forme d’onda al suo interno. Facendo un breve descrizione del modulo troviamo nell’ordine: - display LED e selettore rotativo con bottone al suo interno. Il display mostra il nome del modello di sintesi che si sta utilizzando, ed il selettore viene usato per la selezione del modello. Premendo il selettore, vengono visualizzati sul display una lista di opzioni e funzioni che andremo ad approfondire in seguito; - potenziometro per il controllo della frequenza in un range ristretto (usato solitamente per intonare l’oscillatore); - potenziometro per il controllo della frequenza generale dell’oscillatore; - potenziometro “FM”: attenuatore dell’ampiezza dell’onda modulante in entrata per la modulazione di frequenza; - potenziometro per il controllo del parametro “timbre”; - potenziometro “modulation”: controlla l’ampiezza e la polarità in caso di modulazione sul parametro “timbre”; 82 potenziometro per il controllo del parametro “colour”; Mutable Instruments, Braids User Manual (09-08-16) 77 - cinque entrate mini-jack, rispettivamente per il trigger, pitch controllato in tensione (1 volt per ottava), modulazione di frequenza, modulazione del parametro “timbre”, modulazione del parametro “colour”; - uscita mini-jack del segnale audio. Braids può contare su 45 forme d’onda diverse, classificate in sette categorie: Analog Synthesis. Direct Digital Synthesis, Vocal Synthesis, FM, Simulations, Wavetables, Noise Scorrendo con il selettore troviamo nel seguente ordine queste forme d’onda: 1. CSAW. Emulazione di un’onda dente di sega del sintetizzatore Yamaha CS-80, precisamente una particolare imperfezione che ha questo strumento analogico, regolabile tramite il parametro “timbre”. Il parametro “colour”, invece, controlla la polarità della forma d’onda. 2. /VI-_-_. Questo algoritmo produce un morphing tra un’onda triangolare, una dente di sega, una quadra ed una ad impulso, particolarità che si può trovare in sintetizzatori come RSF Kobol o Moog Voyager. Con il parametro “timbre” si seleziona la forma d’onda e con “colour” si controlla un filtro passa-passo a un polo e l’intensità di un waveshaper. 3. /|/|-_-_. Una forma d’onda dente di sega sfasata ed un’onda quadra con modulazione di larghezza di impulso. Il parametro “timbre” regola l’indice di sfasamento o della larghezza dell’impulso, mentre “colour” esegue un “morph” tra una forma d’onda e l’altra. 4. FOLD. Sinusoide ed un’onda triangolare elaborate da un wavefolder. “Timbre” regola l’intensità del wavefolder, “colour” controlla il bilanciamento tra i segnali delle due onde. 5. _I_I_I_I_. Sintesi digitale che sviluppa una serie di forme d’onda partendo da una sinusoide ad un treno di impulsi, la transizione da una forma d’onda e l’altra è controllata dal “timbre” 6. SYN Π. Due oscillatori che emettono onde quadre collegate mediante HARD sync. Timbre controlla l’intervallo tra onda “master” e onda “slave”, mentre “colour” controlla il bilanciamento tra i segnali dei due oscillatori. 7. SYN /I. Due oscillatori che emettono onde a dente di sega collegate mediante HARD sync. Timbre controlla l’intervallo tra onda “master” e onda “slave”, mentre “colour” controlla il bilanciamento tra i segnali dei due oscillatori. 8. /I/Ix3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda quadre intonabili singolarmente. Il controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour” controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore. 78 9. Π_X3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda quadre intonabili singolarmente. Il controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour” controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore. 10. /\X3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda triangolari intonabili singolarmente. Il controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour” controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore. 11. SIx3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda sinusoidali intonabili singolarmente. Il controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour” controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore. 12. RING. Tre oscillatori sinusoidali modulate tramite modulatore ad anello e waveshaper. Il controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour” controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore. 13. /I/I/I/I. Sette onde a dente di sega, “timbre” controlla l’indice di detuning delle onde, mentre “colour” è un filtro passa-alto. 14. /I/I_I_I. Onda a dente di sega mandata in un filtro a pettine. “Timbre” controlla la frequenza della forma d’onda e la linea di ritardo del filtro, “colour” regola il feedback e la polarità. 15. TOY. Questo algoritmo emula le timbriche generate da giocattoli elettronici musicali modificati (circuit-bent). “Timbre” e “colour” regolano rispettivamente il tempo e l’ammontare dei “glitch”. 16. ZLPF. Filtro passa-basso che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper, “timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega, quadra, triangolare). 17. ZPKF. Filtro a picco che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper, “timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega, quadra, triangolare). 18. ZBPFFiltro passa-banda che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper, “timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega, quadra, triangolare). 19. ZHPF. Filtro passa-alto che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper, “timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega, quadra, triangolare). 20. VOSM. Tre oscillatori messi in HARD sync e combinati ad un modulatore ad anello per emulare la sintesi a formanti. “Timbre” e “colour” controllano la frequenza delle relative formanti. 79 21. VOWL. Modello che sintetizza i suoni delle vocali, emulazione dei vecchi programmi “speech” per computer. “Timbre” controlla le vocali ed effettua un morphing tra di esse, “colour” modifica il timbro a seconda del genere (maschile o femminile). 22. VFOF. Modello che sintetizza i suoni delle vocali, emulazione della sintesi FOF (Formant Wave Function) ideata da Rodet. “Timbre” controlla le vocali ed effettua un morphing tra di esse, “colour” modifica il timbro a seconda del genere (maschile o femminile). 23. HARM. Modello per la sintesi additiva, formato da 12 sinusoidi in rapporto armonico. “Colour” modifica la distribuzione delle ampiezze delle armoniche attorno alla frequenza centrale, impostata tramite il parametro “timbre”. 24. FM. Due operatori per la sintesi FM. “Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour” controlla l’intervallo tra la frequenza dell’oscillatore modulante con la frequenza dell’oscillatore portante. 25. FBFM. Due operatori per la sintesi FM. Ma con l’oscillatore portante messo in feedback con sé stesso. “Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour” controlla l’intervallo tra la frequenza dell’oscillatore modulante con la frequenza dell’oscillatore portante. 26. WTFM. Due operatori per la sintesi FM a doppio feedback detta “cross synthesis”. “Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour” controlla l’intervallo tra la frequenza dell’oscillatore modulante con la frequenza dell’oscillatore portante. 27. PLUK. Algoritmo che simula una corda pizzicata, “timbre” controlla lo smorzamento della corda, “colour” la frequenza. 28. BOWD. Algoritmo che simula gli strumenti ad arco. “Timbre” controlla la pressione dell’arco sulla corda, “colour” la posizione dell’arco. 29. BLOW. Algoritmo che simula gli strumenti ad ancia. “Timbre” controlla la pressione dell’aria, “colour” la geometria dello strumento. 30. FLUTE. Algoritmo che simula il suono di un flauto. “Timbre” controlla la pressione dell’aria, “colour” la geometria dello strumento. 31. BELL. Algoritmo di sintesi additiva su modello di Risset per ricreare il timbro di una campana. “Timbre” controlla l’indice di smorzamento, “colour” l’indice di “inarmonicità” del suono. 32. DRUM. Variante dello stesso algoritmo precedente, ma al fine di ricreare suoni dei piatti della batteria. “timbre” controlla lo smorzamento, “colour” il tono del suono. 33. KICK. Emulazione del suono di grancassa della drum machine Roland TR-808. “Timbre” controlla il tempo di decadimento del suono, “colour” controlla il tono del suono. 80 34. CYMB. Emulazione del suono di charleston della drum machine Roland TR-808. “Colour” controlla il bilanciamento tra la somma di onde quadre e rumore bianco, “timbre” controlla il cut-off di un filtro passa-banda. 35. SNAR. Emulazione del suono di rullante della drum machine Roland TR-808. “Timbre” controlla il bilanciamento tra i due risonatori, e “colour” controlla il volume del rumore in relazione ai risonatori 36. WTBL. Sintesi “wavetable”: “timbre” varia il punto di partenza dell’onda, e “colour” seleziona una delle venti wavetable a disposizione. 37. WMAP. Sintesi “wavetable” con schema a due dimensioni. 256 forme d’onda sono disposte su una griglia virtuale 16X16, e i parametri “tinbre” e “colour” controllano lo spostamento del selettore dell’onda rispettivamente sull’asse X e Y. 38. WLIN. Sintesi “wavetable” con tutte le forme d’onda wavetable, ma il selettore opera su una dimensione. “Timbre” muove il selettore tra le onde, “colour” seleziona il metodo di interpolazione. 39. WTx4. Sintesi “wavetable” a quattro voci. “Timbre” svolge un “morph” tra le sedici forme d’onda wavetable disponibili, “colour” seleziona la struttura armonica tra le quattro voci. 40. NOIS. Rumore bianco filtrato da un filtro multimodo. “Timbre” controlla l’indice di risonanza del filtro, la frequenza centrale del modulo è la frequenza di taglio del filtro, “colour” opera un crossfade tra un filtro passa-basso ed un filtro passa-alto. 41. TWNQ. Rumore bianco filtrato da due filtri passa-banda risonanti. “Timbre” controlla l’indice di risonanza dei filtri, “colour” controlla la distanza tra i picchi dei due filtri. 42. CLKN. Questo modello genera campioni casuali ad un certo grado dato, determinato dal controllo di frequenza centrale del modulo. “Timbre” controlla la periodicità della generazione dei campioni, “colour” la loro quantizzazione. 43. CLOU. Sintesi granulare attua a creare testure organiche, ottenute missando piccoli grani ottenuti da sinusoidi. La frequenza dei grani viene controllata tramite il controllo di frequenza del modulo, “colour” controlla l’indice di casualità dei grani, “timbre” ne controlla la densità. 44. PRTC. Sintesi granulare attua a creare testure organiche, ottenute missando piccoli grani ottenuti da impulsi simili a tintinnii. La frequenza dei grani viene controllata tramite il controllo di frequenza del modulo, “colour” controlla l’indice di casualità dei grani, “timbre” ne controlla la densità. 81 45. QPSK. Questo modello genera, all’interno delle frequenze udibili dall’uomo, la tipologia di segnale usato nei sistemi di telecomunicazione digitale. “Timbre” e “colour” controllano rispettivamente bit-rate ed indice di modulazione. All’interno del menu opzioni, attivabile premendo il selettore posto alla destra dello schermo led, è possibile accedere a delle funzionalità utili per l’utilizzo del modulo: - META: permette in sostanza di modulare la selezione degli algoritmi. Quando lo si attiva infatti, l’entrata “FM” per la modulazione di frequenza del modulo viene disattivata e, al posto di modulare l’altezza sonora, verrà modulata la scelta delle forme d’onda tramite controllo di voltaggio. - BITS: seleziona la profondità in bit (da 2 a 16 bit). - RATE: seleziona la frequenza di campionamento del convertitore analogico-digitale (da 2 kHz a 96 kHz). - TSRC: seleziona la provenienza da cui il modulo riceve il trigger. Con l’opzione EXT il modulo risponde al trigger proveniente dall’entrata jack “trigger”, con l’opzione AUTO invece, il modulo genera automaticamente un trigger tramite i cambiamenti nel pitch che riceve dall’entrata V/OCT, generalmente utilizzata per i sequencer o arpeggiatori, superiori al semitono. - TDLY: quanto si utilizzano gli algoritmi dei modelli fisici (come ad esempio pluk, blow, o bell) applica una linea di ritardo fino a 4 millisecondi tra il momento in cui il trigger viene ricevuto al momento in un la nota viene suonata. per prevenire errori generati da impreciso controllo in voltaggio che potrebbe generare glitch o rumori indesiderati. - I\ ATT, I\ DEC: indice di attacco e decadimento in caso si usi il generatore d’inviluppo al suo interno. - I\FM, I\TIM, I\COL, I\VCA: controlla l’indice di modulazione del generatore di inviluppo interno al modulo, rispettivamente assegnati ai parametri “FM”, “timbre”, “colour” e ampiezza del segnale in uscita. - RANG: regola il raggio d’azione del potenziometro “coarse” (che controlla la frequenza fondamentale del modulo). Con l’opzione EXT, il potenziometro agisce in un raggio d’azione di +/- 4 ottave attorno alla frequenza centrale rivevuta dall’input V/OCT. Con FREE il potenziometro agisce in un raggio d’azione di +/- 4 ottave attorno alla nota C3 82 (261.5Hz). XTND estende il raggio frequenziale del parametro, ma non segue una scala intonata. 440 invece blocca l’oscillatore a 440Hz esatte, disabilitando il potenziometro. - OCTV: trasposizione generale del modulo in ottave. - QNTZ: applica una quantizzazione del controllo di voltaggio proveniente dall’entrata V/OCT. La frequenza può essere quantizzata in semitoni, toni, o in varie scale disponibili, oppure disabilitata. - ROOT: permette di selezionare la nota d’origine su cui si basa la quantizzazione del controllo di voltaggio. - FLAT: applica una leggera stonatura (detuning) nelle frequenze più basse e più alte, per ricreare le imperfezioni di intonazione degli oscillatori analogici vintage. - DRFT: ricrea delle imperfezioni presenti nei VCO a basso costo. - SIGN: aggiunge glitch o forme d’onda sporche e imperfette al segnale in uscita. Il comportamento di questa opzione è unica e varia da modulo a modulo. - BRIG: regola la luminosità dello schermo led. - CAL.: opzione per calibrare l’oscillatore. MAKE NOISE “MATHS” Maths è un modulo costruito dall’azienda Make Noise, definito dagli stessi costruttori come “computer analogico progettato per uso musicale”. L’ideale di utilizzo di questo modulo si rifà ad alcuni moduli costruiti da Don Buchla alla fine degli anni ’60, come Model 257 e Model 281, chiamati “Buchla’s Algebraic Processors”. Make Noise Maths è in grado di generare una vasta varietà di funzioni lineari, logaritmiche o esponenziali, amplificare o attenuare un segnale in entrata ed inviare o ricevere segnali di controllo. Le principali funzioni che svolge questo incredibile modulo sono: - generatore di inviluppi in controllo di 83 voltaggio; - LFO “in banda audio” con un ambito di frequenza da 0.00066 Hz (25 minuti per compiere un ciclo) a 1000Hz; - Applicare ritardo, sfasamento, o portamento al controllo di voltaggio; - Attenuare l’ampiezza di una modulazione o invertirne la polarità; - Combinare fino a quattro controlli di segnale per creare modulazioni più complesse; - Incrementare o diminuire il tempo (proveniente, ad esempio, da un “clock”); Maths è formato da 4 canali, precisamente due coppie identiche e in posizione speculare, così da avere il canale 1 identico al canale 4, ed il 2 identico al canale 3. - Canale 2 e 3. Svolgono funzioni prettamente di controllo di un segnale, utilizzati come attenuatore o per invertirne la polarità, attraverso i potenziometri indicanti il numero 2 e 3 posti al centro del modulo. Una piccola linea disegnata indica le entrate minijack poste sopra a questi controlli, mentre le uscite sono poste al di sotto dei potenziometri ed indicate con i numeri corrispondenti. - Canale 1 e 4. Svolgono le funzioni primarie del Maths, sono identici tra loro fungono da generatori di rampe, necessari all’utilizzo del modulo come un generatore di inviluppi, e con la possibilità, grazie ai due tasti “CYCLE” presenti, di poter mettere i canali in ciclo continuo, permettendo così di utilizzare il modulo come un LFO. Partendo dalla parte alta del modulo, troviamo in alto a sinistra (o a destra) due entrate, una per il segnale, e quindi utilizzata per applicare ritardo, o portamento, e l’altra per l’entrata di un impulso o un gate necessari a triggerare il segnale. Quest’ultima è utile a generare un inviluppo, “pulse delay”, o “clock division”. Situato subito sotto le due entrate, troviamo un tasto selezionatore con un led, che attiva o disattiva la funzione “cycle” (ciclo continuo), necessaria (nel caso in cui sia attiva) e produrre una continua ripetizione della funzione, utilizzabile quindi nel caso si volesse un LFO o per generare un clock. Successivamente troviamo tre potenziometri di colore blu, che servono a regolare rispettivamente la velocità di ascesa, discesa e della curva generale della funzione. Quest’ultimo ha un range ampissimo, e viene indicato a seconda del tipo di risposta al segnale: logaritmica, lineare, esponenziale fino a “Hyper-Exponential”. Alla destra dei potenziometri troviamo le entrate per modulare i parametri appena esposti, rispettivamente ascesa, curva generale, discesa e “cycle”. Nel centro del modulo, assieme ai controlli per i canali 2 e 3, troviamo due potenziometri bianchi per i canali 1 e 4 (rispettivamente primo ed ultimo in fila) utilizzati come negl’altri canali, da attenuatore o per invertire la polarità del segnale. Nella parte bassa 84 del modulo invece troviamo diverse uscite, le principali del canale 1 e 4 sono, in ordine, le prime tre o le ultime tre: nella prima (riferito al canale 1) esce un’onda quadra, che funge da gate o da clock (a seconda che la funzione “cycle” sia rispettivamente disattivata o attivata). Nella seconda invece esce il segnale normale proveniente dal circuito, questa uscita è provvista di led indicante se il voltaggio è positivo (luce verde) o negativo (luce rossa). Dalla terza uscita, indicata dal numero del canale (in questo caso “1”), esce lo stesso segnale della seconda, ma influenzato dall’attenuatore (potenziometro bianco). - Uscite “OR”, “SUM” e “INV”: questi tre circuiti offrono diverse opzioni, tutte regolate dagli attenuatori dei quattro canali. L’uscita “SUM” è la somma dei segnali di tutti e quattro i canali, con la possibilità di missare l’uscita tramite i quattro attenuatori che, avendo la possibilità di invertire la polarità, possono aggiungere, invertire o sottrarre voltaggio tra di loro; è un’uscita utile a combinare diversi segnali di controllo al fine di generare modulazioni complesse. L’uscita “INV” svolge le stesse funzioni dell’uscita precedente, ma ne inverte la polarità. L’uscita “OR” invece svolge una funzione leggermente diversa: sulla base del concetto del controllo di voltaggio (per cui la frequenza dell’onda viene controllata in base al voltaggio, vale a dire bassa frequenza = basso voltaggio e al contrario alta frequenza = alto voltaggio), il circuito “OR” fa uscire il segnale del canale con il voltaggio più alto in quel momento, e solo con segnali positivi in polarità. Ad esempio: sapendo che il modulo opera in un range che va da 0 a 10 volt, se il primo canale genera un onda che va da 2 a 10 volt, e il quarto canale invece un’onda che va da 3 a 4 volt, Maths farà uscire il segnale del primo canale solamente quando opererà dai 4 ai 10 volt, mentre al di sotto di quel voltaggio, ad esempio quando sarà a 2 volt, farà uscire il segnale del canale 4, perché superiore in voltaggio. Oltre alle funzioni descritte finora, questo incredibile modulo offre inoltre la possibilità di fare collegamenti tra di esso. Combinando tra loro i vari canali infatti, è possibile generare ulteriori funzioni come modulazioni particolari, inviluppi molto complessi, envelope follower ecc.83 INTELLIJEL “KORGASMATRON II” Modulo Korgasmatron II, costruito da Intellijel. Si tratta essenzialmente di un doppio filtro multimodo (utilizzabile in serie o in parallelo), costruito basandosi sulla circuitazione del filtro del sintetizzatore Korg MS20, ma con l’implementazione di diverse funzioni. 83 Make Noise, Maths Manual 2013 85 Successore del famoso “Corgasmatron”, questo modulo offre ben sei filtri tipologie di filtro diverso: passa-basso 1polo, passa-basso- 2poli, passa-banda 1 polo, passa-alto 1 polo, passa-alto 2 poli, notch (elimina-banda) a 1 polo. La scelta è affidata ad un selettore rotativo a sei stadi.84 Descrivendo brevemente i controlli e le funzioni di questo modulo, possiamo trovare: - CUTOFF. Potenziometro per il controllo della frequenza di taglio (cut-off) posto in cima; - CLIP. Tasto selettore, per scegliere il grado di saturazione del filtro, “soft” o “hard”. - Q. Potenziometro per il controllo del “Q” (indice di risonanza de filtro); - FM1. Attenuatore modulazione di frequenza; - Q-DRIVE. Indice di saturazione del filtro; - FM2. Attenuatore per la modulazione di frequenza, con la possibilità di invertire la polarità del segnale modulante in entrata; - IN A. Attenuatore dell’ampiezza del segnale audio in entrata; - MODE. Selettore rotativo per la scelta della tipologia di filtro; - XFADE. Potenziometro miscelare gradualmente (tramite fading) il segnale dei due filtri. Posto subito sotto troviamo un piccolo potenziometro per regolare l’effetto della modulazione su questo parametro; - XFADE DIR. Tasto selettore a due stadi per decidere il percorso del segnale, se dal filtro A o B o viceversa; - Tasto selettore a due stadi per decidere se mettere i due filtri in serie o in parallelo, posto in centro del modulo sotto questi ultimi due parametri. Sotto i vari tasti e potenziometri, troviamo l’aerea con le varie entrate ed uscite del modulo. Quest’ultime sono posizionate agli esterni, si riconoscono perché di colore diverso e con la scritta OUT (uscita del filtro) A o B, e MIX (uscita della somma dei due filtri, posti in serie). 84 https://intellijel.com/eurorack-modules/korgasmatron-ii/ (17-08-16) 86 Le due entrate audio sono poste in mezzo alle altre, riconoscibili dalla scritta IN A o IN B, mentre le restanti sono entrate per segnali di controllo: FM1, FM2, XFADE (per la modulazione del miscelatore) e l’intonatura 1V/OCT. Ci si chiederà il perché in un filtro ci sia un controllo per intonare la frequenza, e la spiegazione è molto semplice: questo modulo, all’occorrenza, può trasformarsi in un doppio oscillatore sinusoidale. Per farlo occorre semplicemente alzare al massimo l’indice di risonanza, la saturazione ed il parametro “IN A” del filtro, e spostare il selettore “CLIP” su “hard”; in questo modo, l’estrema risonanza lo porta in auto oscillazione, diventando così un VCO a tutti gli effetti. DOEPFER “A-130” Modulo VCA modello A-130, costruito da Doepfer: è un amplificatore lineare controllato in voltaggio.85 Lo scopo all’utilizzo di un VCA è modulare un segnale audio in ampiezza, tramite LFO o inviluppi. Questo modulo in particolare ha la possibilità di inserire due segnali audio e due controlli in voltaggio (uno ciascuno), i due segnali sommati, poi escono tramite un'unica uscita. Il modulo è formato nell’ordine: - Prima entrata per il controllo di voltaggio con relativo “gain” (guadagno); - Seconda entrata per il controllo di voltaggio con relativo “gain” (guadagno); - Entrata segnale audio con relativo controllo del volume entrante; - Entrata del secondo segnale audio con relativo controllo del volume entrante; - Uscita segnale audio con relativo controllo del volume uscente. Per quanto riguarda gli indici di guadagno del segnale di controllo in entrata (gain del CV1), perché l’inviluppo, o in generale una modulazione, abbia effetto totale, il potenziometro andrà posto al 85 http://www.doepfer.de/a130.htm (18-08-16) 87 minimo (livello “0”) e non al massimo (livello “10”), questo perché, in caso contrario, ne uscirebbe il segnale senza la modulazione. Questi due parametri, uno per ogni entrata, servono essenzialmente da miscelatore, detto comunemente “mix dry/wet”, tra, per l’appunto, il segnale modulato e quello “pulito”. MAKE NOISE “WOGGLEBUG” Wiard Wogglebug, costruito da Make Noise.86 Questo è sicuramente uno dei moduli più particolari all’interno del sintetizzatore: nasce come generatore di voltaggi casuali, vale a dire un “random generator”, ma contiene al suo interno molte più funzioni: - Modulatore ad anello, - “Sample and hold” senza il bisogno di fonti esterne produce la modulazione in controllo in voltaggio da 0 a 10 volt; - Due VCO ad onda quadra, utilizzati per la funzione sample and hold o utilizzabili singolarmente come fonte sonora; - LFO. Passando quindi all’analisi del modulo, troviamo nella parte sinistra le entrate, nella parte centrale tutti i controlli, sotto forma di potenziometri, mentre nella parte destra tutte le uscite. Procedendo in ordine per le entrate: - Entrata per la modulazione del tempo all’interno del modulo; - Entrata per inserire un clock esterno; - Entrata per regolare l’indice di randomizzazione tramite clock esterno, - Entrata per la modulazione della frequenza del modulatore ad anello. Nella sezione centrale invece, procedendo dall’alto verso il basso, troviamo: 86 Controllo dell’ampiezza del generatore di voltaggio casuale; Make Noise, Wiard Wogglebug Manual 88 - Volume VCO1; - Tempo generale/ controllo indice di “caos” del modulo; - Volume VCO2, detto “woggle”; - Tempo del VCO2. Nella parte destra del modulo invece, troviamo le uscite: - Uscita segnale di controllo “Sample and Hold”; - Uscita segnale di controllo generato dal primo oscillatore; - Uscita VCO1; - Due uscite, poste alla sinistra delle altre, dei segnali casuali, dette “SOURCE OF UNCERTAINTY”; - Uscita modulatore ad anello; - Uscita VCO2 “woggle”; - Uscita segnale di controllo generato dal secondo oscillatore. Questo modulo si rifà come concezione al “Model 256 Source of Uncertainty” ideato da Don Buchla. Il significato letteralmente sta per sorgente di incertezza, e nella pratica genera segnali di controllo (CV) totalmente casuali nel tempo e nella frequenza. INTELLIJEL “µFOLD II” Wavefolder “µFOLD II” costruito da Intellijel. 87 Questo modulo nasce come integrazione dell’oscillatore “Rubicon”, che abbiamo già visto in precedenza, e svolge funzione di “wavefolder”, che letteralmente significa “onda piegata”, cioè un modo di modificare e distorcere una forma d’onda. Il sistema fu visto per la prima volta in uno dei sintetizzatori modulari costruiti da Don Buchla, precisamente il modello “200 series”. All’interno di esso vi era un modulo denominato “259”, un doppio oscillatore capace di fare sintesi FM tramite circuitazione interna, quindi senza l’ausilio di cavi per il routing. Tra le varie funzioni a disposizione vi erano dei controlli per la gestione delle armoniche, della simmetria, e del timbro della risultante delle onde dei due oscillatori; e sono proprio queste ultime funzioni che hanno ispirato i tecnici di Intellijel alla costruzione di questo modulo, qui in una chiave più essenziale, con solo tre controlli che vanno a modificare i parametri appena descritti. In formato Eurorack sono disponibili diverse emulazioni del modulo “259” di Buchla, come “DPO” di Make Noise, o “Complex Oscillator” di Verbos 87 https://intellijel.com/eurorack-modules/µfold-ii/ (20-08-16) 89 Electronics, o “Furthrrrr Generator” di Endorphin.es; tutte riproduzioni fedelissime di un modulo che ha fatto la storia dei sintetizzatori modulari. Procedendo ad una breve descrizione del modulo in analisi, troviamo nell’ordine: - Tasto selettore indicante II, IV o VI stadi di “folding” (letteralmente “piegamento”) della forma d’onda in entrata; - Potenziometro rappresentante l’indice di attenuazione dell’effetto sulla forma d’onda originale in entrata; - Potenziometro indicante la simmetria dell’onda nel processo; in sostanza questo parametro modifica la distanza tra un picco e l’altro, generando eventi asimmetrici, piccoli raggruppamenti di picchi (alte frequenze) intervallati da periodi ad ampiezza e frequenza più basse; - Entrate per la modulazione di questi due parametri, con relativo attenuatore posto sotto di essi; - Entrata ed uscita del segnale audio. Nelle immagini sottostanti, attraverso lo spettrogramma, possiamo notare come un’onda sinusoidale venga modificata dal wavefolder: 90 MAKE NOISE “ECHOPHON” Delay analogico “Soundhack costruito da Make Noise. Echophon”, 88 Questo modulo è, in sostanza, un delay analogico abbinato ad un pitch-shifter digitale, due effetti che insieme possono produrre dai semplici suoni ripetuti (delay) trasposti (pitch-shifter) fino a taglienti suoni “robotici”. I due effetti sono collegati nella circuitazione interna, la linea di ritardo va da 7 millisecondi fino ad 1.7 secondi, mentre il pitch-shifter traspone il segnale nel raggio di +/- 2 ottave. Tutti i parametri del modulo sono modulabili tramite controllo in tensione (CV), tra i quali il “feedback”, che qui può essere applicato non solo tradizionalmente alla linea di ritardo, ma anche al traspositore, e il “freeze”, una speciale opzione che blocca tutti i processi del modulo mettendo in “loop” l’ultimo ciclo della linea di ritardo. Al centro dell’”ECHOPHON”, possiamo notare i due grossi potenziometri color nero, corrispondenti rispettivamente al controllo del pitch del traspositore e del tempo della linea di ritardo, e sotto ad essi tutti i controlli o gli attenuatori di modulazione. Il modulo infatti è internamente diviso in due sezioni, corrispondenti ai due effetti appena citati. Passando quindi ad una breve descrizione del modulo, troviamo: - Parametri generali. I parametri generali (cioè che non riguardano essenzialmente un effetto o un altro) sono collocate nella parte alta del modulo e nel centro. In alto possiamo subito trovare un entrata ed un uscita per il segnale audio, provviste di attenuatore del segnale d’entrata e un potenziometro per la miscelazione del suono diretto con il suono effettato (dry/wet). Quest’ultimo parametro è provvisto di un’entrata di controllo per poterlo modulare tramite LFO o inviluppo. Al centro del modulo invece troviamo il controllo del feedback, assegnabile, come già detto in precedenza, sia alla linea di ritardo che al 88 Make Noise, Soundhack Echophon Manual 91 traspositore. Il controllo inoltre è provvisto di entrata di controllo per la modulazione ed un potenziometro regola ampiezza e polarità della modulante; - Pitch-shifter: posizionato nella parte sinistra del modulo, ha principalmente due controlli: il livello di trasposizione positiva o negativa, modulabile in controllo di tensione tramite le due entrate poste sotto ad esso (una provvista di controllo di ampiezza e polarità della modulante, l’altra “libera”) e il livello dell’effetto, modulabile anch’esso tramite un’entrata sotto ad esso provvista di attenuatore; - Delay. Posizionato nella parte destra del modulo, il delay ha diverse entrate ed uscite per la gestione del “delay-time” (cioè il tempo della linea di ritardo). Echophon infatti, oltre al parametro principale, può ricevere o inviare un clock (tramite l’entrata “tempo” e l’uscita “CLK out”), e può essere modulato nel decay time (entrata “ECHO”). Inoltre, come già anticipato, possiede l’opzione “freeze delay” attivabile tramite un tasto o con un gate esterno. ALM BUSY CIRCUITS “ALM001 - PAMELA’S WORKOUT” ALM001 – Pamela’s Workout89, costruito dall’azienda ALM Busy Circuits, è una generatore di tempo, o meglio conosciuto come “clock source”, un modulo completamente programmabile con ben otto uscite indipendenti a cui si possono assegnare molteplici tipologie di battute (1/4, 2/4 ecc) sulla base di un unico tempo base, che va dai 25 fino ai 300 BPM (battiti per minuto). Alle battute possono essere abbinate delle linee di ritardo, un selettore “random” e un “offset”. Nella parte centrale del pannello troviamo un cursore con tasto integrato, con cui si naviga attraverso tutte le opzioni del modulo, cioè il tempo generale, e l’assegnazione delle battute di ogni singola uscita. Sotto di esso, un semplice tasto per l’attivazione o lo stop del ciclo. Al di sotto troviamo le otto uscite, con un pratico led che indica il tempo del clock dell’uscita, mentre in alto vengono collocate delle entrate, necessarie a 89 ALM-001, Pamela’s Workout – Operation Manual 92 sincronizzare il modulo con un altro clock generator, o per modulare il parametro “start/stop”. MANHATTAN ANALOG “MIX” Mixer analogico “Mix” progettato e costruito dalla azienda americana Manhattan Analog.90 Si tratta di un modulo semplicissimo, come si può notare dalla foto, utilizzato per lo più per sommare più segnali e miscelarli. È l’ultimo modulo prima dell’uscita del segnale audio dal sintetizzatore, destinato poi ad una scheda audio o ad un riproduttore sonoro. Il pannello è formato da quattro mini-jack con relativi attenuatori, tre per le entrate (indicate con i numeri “1”, ”2” e ”3”), ed uno per l’uscita (rappresentata tramite la lettera “O”). 90 https://www.modulargrid.net/e/manhattan-analog-mix (24-08-16) 93 3.2. CLAVIA NORD LEAD 4 Clavia Nord Lead 4 è il secondo sintetizzatore che utilizzo nel corso della performance. Erede del famoso Nord Lead (prima versione), il primo strumento elettronico “analogico virtuale”, è una delle migliori macchine con questa tipologia costruttiva. Al contrario del modulare, questo è uno strumento polifonico (24 voci) e totalmente integrato, perciò tutti i componenti per la sintesi e l’elaborazione del segnale sono contenute in un unico circuito, in questo caso, digitale. Tra le varie caratteristiche che rendono questo sintetizzatore uno strumento assolutamente professionale, è la facilità d’uso e la presenza di comandi intuitivi, che consentono di modificare facilmente un suono anche durante una performance dal vivo. Inoltre, a disposizione si trovano ben 400 suoni preimpostati editabili (tra i quali 100 “vuoti” e quindi disponibili alla programmazione del sintetizzatore partendo dalla forma d’onda base senza alcun effetto). Andiamo ora a vedere nel dettaglio tutti i componenti di questo sintetizzatore.91 PANNELLO OSCILLATORI Clavia Nord Lead 4 è un sintetizzatore sottrattivo, cioè che opera basilarmente con sintesi sottrattiva (ma non solo), dispone di due oscillatori utilizzabili simultaneamente e miscelabili tramite un apposito controllo, o utilizzabili per sintesi FM (modulazione di frequenza); in questo ultimo caso l’oscillatore 1 genera l’onda portante, mentre l’oscillatore 2 l’onda modulante. 91 Manuale Operativo Nord Lead 4 v1.3 94 I controlli per la modulazione di frequenza sono collocati sotto il secondo oscillatore con la scritta “OSC1 MOD”, con tre impostazioni FM (FM1, FM2, FM3), indicante tre livelli diversi di “keyboard tracking” (cioè la variazione della risposta in base alla nota suonata), e due per la sincronizzazione (“soft” o “hard”) tra il primo oscillatore e ed un terzo generatore aggiuntivo; ogni ciclo della forma d’onda prodotta da quest’ultimo riavvia il ciclo della forma d’onda dell’oscillatore originale. Un potenziometro, posto a lato del selettore, regola l’ampiezza dell’onda modulante (nel caso della sintesi FM) o la frequenza del terzo generatore d’onda (nel caso del “sync.”) OSCILLATORE 1 E WAVETABLE GENERATOR OSCILLATORE 2 E NOISE GENERATOR MODULATORE OSCILLATORE 1 E MISCELATORE OSC1-OSC2 L’oscillatore principale (“OSC1”), oltre a disporre delle forme d’onda classiche tipiche di un VCO (quadra, dente di sega, triangolare, sinusoidale e ad impulso), è dotato di ben 128 onde “wavetable”, che offrono vari timbri con particolari caratteristiche tonali, tra le quali le simulazioni di campane e kalimba (“Bells/Tines”) e le onde a formanti (“Formants”) che riproducono il suono delle vocali. Il secondo oscillatore invece, oltre alle classiche forme d’onda, è dotato di generatore di rumore bianco con un filtro incorporato, gestibile tramite i due parametri visibili nel’immagine, rispettivamente nella risonanza e nella frequenza di taglio. Per le altre forme d’onda invece, i due potenziometri gestiscono l’intonazione fine (+/- 50 centesimi di tono) e a semitoni (+/- 60 95 semitoni). Vi è un’altra opzione, selezionabile tramite il selettore delle forme d’onda (“KBT OFF”), che disabilita il controllo della tastiera sull’oscillatore. Sotto ai due generatori d’onda troviamo il pannello per la gestione della modulazione dell’oscillatore principale (“OSC1 MOD”) e il miscelatore (“OSC MIX”) tra i due oscillatori. PANNELLO FILTRO E INVILUPPO D’AMPIEZZA Il secondo pannello che andremo ad analizzare è la sezione comprendente filtro multimodo, inviluppo del filtro e inviluppo dell’ampiezza, situato alla destra degli oscillatori. Clavia nel corso degli anni ha fatto del filtro uno dei suoi tratti distintivi, emergendo tra le altre per la sua sonorità caratteristica e tagliente; qui, nella quarta versione del suo celebre sintetizzatore, porta un filtro multimodo con tipologie classiche, come passa-basso (12, 24 e 48 dB di indice di taglio), un passa-alto a 2 poli, un passa-banda (prodotto unendo passa-basso e passa-alto) e due emulazioni riprese da due famosissimi sintetizzatori analogici “vintage”: il filtro “transistor ladder” del Moog “Minimoog”, e il famoso filtro del Roland “TB-303” componente fondamentale per la creazione di uno dei suoni più caratteristici della acid-house, detto ”acid bass”. INVILUPPO DELL’AMPIEZZA INVILUPPO DEL FILTRO FILTRO MULTIMODO Partendo dalla parte alta del pannello troviamo l’inviluppo dell’ampiezza e del filtro, entrambi della tipologia ADSR (attacco, decadimento, sustain e rilascio). Nel grafico qui 96 riportato notiamo come i parametri influenzino l’andamento del suono si preme e si rilascia il tasto della tastiera. Nella parte bassa del pannello invece troviamo la sezione del filtro, con i relativi controlli. - FREQ. L’indice della frequenza di taglio (cut-off) del filtro, messa in risalto dalla colorazione rossa attorno al potenziometro; - RESONANCE. Controllo per la risonanza applicata al filtro; - DRIVE. Parametro per il controllo della saturazione applicata al filtro, - ENV AMT. Controllo che determina in che quantità l’inviluppo del filtro influenza la frequenza di taglio. Il parametro può avere un andamento positivo o negativo (il corrispondente nel sintetizzatore analogico dell’inversione della polarità in tensione); - KB TRACK. Questo parametro viene utilizzato per regolare la frequenza di taglio del filtro a seconda del tato che viene suonato; una nota grave chiuderà di più il filtro di una nota acuta, come riportato nel grafico sottostante. - FILTER TYPE. Selettore della tipologia di filtro da applicare (LP12, LP24, LP48, BP, HP, LADDER M, LADDER TB); - VELOCITY e AMP VEL. Questi due parametri abilitano la funzione “velocity” (cioè la velocità di pressione del tasto) per controllare rispettivamente l’inviluppo sul filtro e l’inviluppo d’ampiezza. PANNELLO MODULATORI Il pannello dei modulatori, posto alla sinistra degli oscillatori, è diviso principalmente in tre sezioni, ognuna corrispondente ad un modulatore diverso: - LFO1/ARP. Il primo modulatore è un LFO (oscillatore in bassa frequenza) e arpeggiatore, a seconda di come venga impostato. La manopola “RATE” regola la frequenza dell’LFO (da 0.03 a 523 Hz) o la velocità dell’arpeggio (30 – 300 BPM); questo parametro può essere 97 sincronizzato con il tempo principale (“master clock”) del sintetizzatore. Alla sua destra, due pulsanti selezionano rispettivamente la forma d’onda dell’LFO o la tipologia di arpeggio (ascendente, discendente, random, monofonico o polifonico) e la destinazione della modulazione o l’attivazione dell’arpeggiatore. Il potenziometro “AMOUNT”, situato a destra della sezione, stabilisce in quale misura il segnale dell’LFO influenza la destinazione selezionata con indice positivo o negativo (inversione della forma d’onda) oppure il raggio d’azione dell’arpeggiatore da 1 a 4 ottave. - LFO 2. Il secondo modulatore è un LFO molto simile a quello appena visto, ma con diverse forme d’onda selezionabili (come ad esempio random step e random slide) e diverse destinazioni della modulazione Entrambi gli oscillatori a bassa frequenza hanno un’opzione, denominata “KBS” che riavvia il ciclo dell’LFO ogniqualvolta si preme una nota della tastiera. - MOD ENV. L’ultima sezione del pannello è occupata da un inviluppo, assegnabile a vari parametri, tra i quali la frequenza e il miscelatore dei due generatori d’onda, l’indice di modulazione FM e Sync del primo oscillatore, il controllo degli effetti e l’ampiezza del secondo LFO. Il modulatore è formato da due controlli, rispettivamente per attacco e decadimento/rilascio (l’uso di uno o l’altro parametro è selezionabile), il selettore delle destinazioni della modulazione e l’indice di influenza del segnale modulante sulla destinazione scelta, con indice positivo o negativo (inversione dell’inviluppo). LFO1/ARPEGGIATORE LFO2 INVILUPPO ASSEGNABILE 98 PANNELLO EFFETTI E OUTPUT VOLUME EFFETTI: _ DELAY/RIVERBERO SATURATORE COMPRESSORE BIT CRUSHER FILTRI VOCALI COMB FILTER - OUTPUT. Il potenziometro “LEVEL” del parametro “OUTPUT” imposta l’ampiezza del preset in corso, perciò anche questo valore verrà salvato nel programma. Esso non è infatti il controllo del volume generale del sintetizzatore, è stato creato proprio perché, in fase di performance, dovendo utilizzare due suoni ma senza voler toccare il volume generale, è possibile attenuare o incrementare il volume di un preset in modo da uniformare l’ampiezza di tutti i suoni necessari. - FX. La sezione “FX” comprende sei diversi effetti, utilizzabili uno solo alla volta tramite un selettore, tra cui: un saturatore/distorsore in stile valvolare (“DRIVE”), un compressore (“COMPR”), un bit-crusher (“CRUSH), due filtri vocali (“TALK1” e “TALK2”) ed un filtro a pettine (“COMB”). La gestione degli effetti è affidata ad un solo controllo, che ne gestisce l’intensità e l’indice di modulazione. - DLY/REVERB. L’ultima sezione del pannello comprende altri due effetti, utilizzabili uno alla volta tramite selettore: un delay e un riverbero. Quando il sintetizzatore viene impostato 99 su l’effetto delay, si ha a disposizione tre controlli, in ordine: il tempo della linea di ritardo (da 20 millisecondi a 1.4 secondi), sincronizzabile con il tempo principale (“master clock”), un selettore a tre stadi con tre livelli di “feedback” e il miscelatore tra suono diretto e suono effettato, parametro comune ad entrambe le opzioni. Nel caso del riverbero invece, il primo controllo svolge funzione di “decay.time” (tempo di decadimento), il selettore permette di scegliere tra tre algoritmi di riverberazione diversi, a scelta tra “ROOM”, “STAGE”, e “HALL” corrispondenti a tre “grandezze di stanze” differenti. PANNELLO CONTROLLI GENERALI E VOICE MODE L’ultima sezione di questo sintetizzatore di cui parleremo è parte riguardante i controlli generali, la gestione dei programmi (preset) e la gestione delle “voci” (VOICE MODE). VOLUME GENERALE SEZIONE MORPH TRAMITE VELOCITY E MODULATION WHEEL SEZIONE PER LA GESTIONE DEI PROGRAMMI E DEI RICHIAMI RAPIDI SEZIONE GESTIONE PARAMETRI TASTIERA, MST CLK E MORPH LOCK SEZIONE CON SELETTORI MORPH 100 - UNISONO _ GLIDE VIBRATO _ MONO/LEGATO MASTER LEVEL. La manopola “Master Level” controlla il livello generale delle uscite audio, delle uscite di linea, e dell’uscita delle cuffie. La posizione effettiva del potenziometro indica quindi il livello di uscita del segnale in quel momento. - MORPHING. La sezione “Morph” comprende tre sorgenti di controllo: la “modulationwheel” (tramite “wheel” o pedale di controllo), la tastiera e i tre pulsanti “Impulse Morph” (utilizzabili anche a combinazione, quindi con a disposizione sette impostazioni differenti per ogni program). Questi parametri permettono di controllare dinamicamente uno o più controlli del sintetizzatore contemporaneamente: basta premere la sorgente di morph desiderata e muovere o selezionare uno o più potenziometri o pulsanti.; a seconda della sorgente avremo un grado di controllo diverso: ad esempio se si utilizza la “Mod Wheel” potremo modulare in modo continuo il cambiamento di parametro, mentre con i tasti “Impulse Morph” il cambiamento sarà istantaneo. - PROGRAM. Questa sezione è dedicata alla gestione generale dei preset del sintetizzatore: è formata principalmente da un cursore con cui navigare tra i vari programmi, un tasto per salvare i cambiamenti effettuati in maniera permanente, e quattro tasti di richiamo. Questi ultimi sono molto utili in fase di performance, ad ogni tasto si può assegnare un programma diverso, così, nel momento di necessità si hanno a disposizione quattro preset a scelta rapida; in più, selezionando più tasti assieme, si possono suonare due programmi nello stesso momento o “splittare” la tastiera, cioè assegnare un preset alle prime due ottave ed un altro nelle altre due ottave. 101 - PARAMETRI TASTIERA. Nord Lead 4 ha diverse opzioni per la gestione della tastiera. I primi due controlli (tasti di colore grigio sotto la sezione “PROGRAM”) sono chiamati “HOLD” e “CHORD MEMORY”. Il primo, se attivato, fa sì che le note suonate sulla tastiera vengano tenute come se il pedale sustain fosse abbassato, mentre la seconda funzione può essere usata per memorizzare intervalli di note e aggiungerli automaticamente alle note che vengono eseguite.“Octave Shift” invece è un controllo che permette la trasposizione di tutta la tastiera due ottave sopra o sotto la normale intonazione. - MST CLK E MORPH LOCK. “MST CLK” sta per “Master Clock”, cioè tempo generale: premendo il pulsante, verrà visualizzato sullo schermo “Program” i battiti per minuto, per modificarli muoversi con il cursore posto a fianco dello schermo. “Morph Lock” invece permette la visione generale delle destinazioni dei controlli “Morph”. - VOICE MODE. “Voice Mode” è la sezione dedicata al controllo della polifonia, del vibrato e dell’unisono. Il sintetizzatore, normalmente, è dotato di 24 voci di polifonia, ma se si attiva il parametro mono/legato, diventa uno strumento monofonico. La differenza tra mono e legato è che il primo ad ogni nota suonata reinnesca gli inviluppi, mentre il secondo, anche al cambio di nota, genera un suono continuo modificando solo l’intonazione. Il parametro “Glide” viene usato per il controllo del “Portamento”, cioè per impostare l’intervallo di tempo impiegato dall’intonazione per glissare dalla nota precedente a quella successiva. “DLYVIB1 e 2”, sono due opzioni per ottenere un vibrato con ritardo. Le impostazioni 1 e 2 corrispondono a due tempi di ritardo diversi (con una terza opzione invece, è possibile assegnare la gestione del vibrato alla “Modulation Wheel”). Il parametro “Unison”, una volta attivato, aggiunge voci leggermente scordate l’una sull’altra; i tre stadi corrispondono a tre livelli d’intensità. 102 3.3. STRUMENTI ACUSTICI E MICROFONAGGIO La sezione della performance legata all’esecuzione di strumenti acustici in “live-electronics” è affidata al mio collega. Qui sopra, nella foto, sono riportati gli strumenti da lui utilizzati, tra cui: - Glockenspiel, tradotto letteralmente “suono di campane”, è uno strumento tedesco inventato da Giovanni Monroe, formato da due file di lamelle metalliche ordinate orizzontalmente come una tastiera di pianoforte che si estende da un’ottava fino a tre ottave, e suonato tramite due bacchette. - Armonica a bocca cromatica, è uno strumento a fiato di origine tedesca nato nel 1821, costituito da un corpo centrale, due placchette porta ance ed i gusci esterni. Il suono viene prodotto dalla vibrazione generata dal passaggio dell’aria sulle ance di ottone amplificato dal guscio metallico, che funge da cassa di risonanza. La versione detta “cromatica” consente di suonare tutte le dodici note (al contrario della variante detta “diatonica” che per ogni ottava consente di suonare solo le note della tonalità in cui è accordata). - Darabouka, è uno strumento a percussione nato in Africa settentrionale, costituito da un corpo globulare in terracotta o in alluminio sostenuto da un alto piede e aperto sul fondo, con una larga apertura chiusa da una pelle animale o di fibre sintetiche. - Djembe, è uno strumento dell’Africa occidentale, e composto originariamente da un calice in legno ricoperto di pelle di capra e da un sistema di tiraggio della pelle stessa, formato da corde e cerchi metallici. 103 - Ukulele, è uno strumento originario delle isole Haway, appartenente alla famiglia dei cordofoni composti, è formato da quattro corde parallele ad una piccola cassa armonica, e un manico con incisa una tastiera simile ad una chitarra; è suonato generalmente pizzicando con le dita. L’amplificazione di questi strumenti è affidata, eccetto l’ukulele che utilizza un microfono a contatto, ad un microfono a condensatore a diaframma largo “AKG”, modello “C214”, con diagramma cardioide, risposta di frequenza 20Hz – 20kHz e con un impedenza di 200ohm.92 3.4. PATCH IN MAX PER IL LIVE ELECTRONICS L’elaborazione dei segnali audio provenienti dagli strumenti acustici e dai sintetizzatori è affidata all’ambiente di programmazione Max, come già descritto nel capitolo precedente. In questo paragrafo passerò in rassegna tutti i moduli che formano il DSP, dagli effetti alla spazializzazione del segnale. MAIN “Main” è il modulo principale della patch elaborata per la performance. Al suo interno sono contenuti tutte le sub-patches necessarie all’elaborazione del suono, come i processori di segnale (“harmonizer”, “shifter”, “ritardo”, “granulatore”, “riverbero”), l’algoritmo di analisi spettrale (“Analisi”), il programma di spazializzazione l’interfaccia esecutiva (“panning”), (“Playermixer”) e un richiamo alle opzioni di base di Max (“dac~”), per gestire il segnale in entrata e in uscita, la frequenza 92 Tutte le descrizioni degli strumenti acustici sono tratti dal libro di Bert Oling, Heinz Wallish, Enciclopedia degli strumenti musicali. White Star, 2007. La decrizione del microfono AKG k214 è disponibile al seguente indirizzo: http://www.akg.com/pro/p/c214 104 di campionamento, la dimensione della finestra di buffer e la selezione del convertitore AD/DA. PLAYER’S MIXER Il seguente modulo costituisce l’interfaccia esecutiva per il controllo di tutto il DSP. All’interno di esso, troviamo tutti i parametri fondamentali per il controllo dei segnali in entrata, le mandate degli effetti, un’uscita stereofonica da utilizzare per i due diffusori di “rinforzo”, ed una matrice con cui poter assegnare un percorso desiderato al segnale. In alto, a sinistra, troviamo i quattro ingressi, rispettivamente assegnati al microfono a condensatore, al microfono a contatto, al sintetizzatore modulare, e al sintetizzatore virtual analog Clavia Nord Lead 4; ogni ingresso ha un proprio fader ed un VU meter per il controllo del livello di segnale entrante, al fine di evitare distorsioni indesiderate. 105 Al centro dell’interfaccia, troviamo l’uscita stereofonica “DRY OUTS”, costituita da due faders e due meter digitali per il controllo del gain, che riceve tutti segnali uscenti dalla matrice (riverbero escluso) da destinarsi, come già accennato, ai due diffusori di “rinforzo” posti a fronte dell’ascoltatore (una soluzione tecnica da noi adottata, spiegata nel paragrafo 2.5). Nella parte bassa del modulo, invece, troviamo le mandate degli effetti in uscita dalla matrice, formate da cinque fader e cinque VU meter per il controllo dei segnali in uscita dai processori di segnale (rispettivamente per l’harmonizer, il pitch-shifter, il delay, il granulatore ed il riverbero). Ognuno di questi parametri appena citati, possono essere controllati via MIDI attraverso l’oggetto di Max “ctlin” Nella parte destra dell’interfaccia troviamo la matrice, parte fondamentale per il routing generale del segnale (spiegata nel dettaglio nel paragrafo 2.4 relativo ai percorsi di segnale di ogni singolo strumento nelle scene), da noi pre-configurata grazie all’utilizzo di cue selezionabili attraverso i numeri da “1” a “5” (a seconda della scena) con la tastiera del computer HARMONIZER Il primo processore di segnale di cui andremo a parlare è l’harmonizer. Questo modulo è un effetto che genera più copie del segnale trasponendole in altezza, con la possibilità di applicare alla singola voce generata (nel caso di questo harmonizer sono quattro) un ritardo espresso in millisecondi. 106 La programmazione è basata sull’invio di liste tramite messaggi grazie allo strumento poly~, permettendo così un risparmio in termini di utilizzo della CPU del computer. I parametri delle singole voci, modificabili dinamicamente, sono principalmente: il livello di trasposizione in centesimi di tono, il volume, il panning, ed il tempo di ritardo applicabile. PITCH-SHIFTER Il secondo processore di segnale, che troviamo nella matrice di routing, è il pitch-shifter, un traspositore di segnale. È molto simile all’effetto precedente, ha una polifonia a quattro voci, e la trasposizione viene regolata su centesimi di tono; l’unico aspetto che differisce dall’harmonizer è che l’esecuzione delle voci avviene in maniera simultanea, senza quindi l’aggiunta di linee di ritardo. Anche in questo caso la programmazione generale è basata sull’oggetto poly~, tramite un oggetto chiamato freqshift~ I vari parametri generali, applicabili alle singole voci, sono principalmente: il livello di trasposizione in centesimi di tono, il volume, ed il panning. Queste impostazioni sono modificabili dinamicamente anche se, nel caso della nostra performance, saranno controllati tramite l’invio di liste di messaggi. 107 DELAY Il terzo modulo, di cui andremo a parlare, è il delay, un effetto che produce varie linee di ritardo del segnale in entrata. Questo processore di segnale registra il suono in ingresso tramite un buffer di 512 campioni e lo riproduce sovrapponendo due copie della stessa linea di ritardo tramite l’oggetto sah~ (sample and hold), con un determinato ritardo temporale. Il delay-time (tempo di ritardo) è modificato in maniera casuale (random). Anche in questo caso la programmazione è basata sull’oggetto di MAX poly~ Tra i vari parametri delle singole linee, vi sono alcuni modificabili dinamicamente, come il feedback generale, l’ampiezza (volume) delle linee di ritardo, ed il panning. 108 GRANULATOR Il processore di segnale denominato “Granulator” è in sostanza un modulo di sintesi granulare chiamato munger~, ed è, grazie alla sua espressività, l’effetto più utilizzato all’interno della performance. Questo granulatore polifonico ha a disposizione diversi controlli, tra i quali la grandezza del “grano” (cioè la lunghezza del campione preso dal buffer di partenza, espresso in millisecondi), la distanza da un “grano” all’altro e l’altezza sonora (pitch) del grano. I tre parametri possono essere modulati tramite altrettanti generatori di dati casuali (grain rate variation, grain size variation e grain pitch variation), delimitati tramite un indice che stabilisce un range entro il quale starà il parametro; questa soluzione genera talvolta risultati imprevedibili, ma è comunque molto utile, se regolato correttamente, per ottenere un alto numero di timbriche. All’interno del modulo, inoltre, è presente un’impostazione aggiuntiva per il controllo dell’immagine stereo. I parametri appena citati possono essere controllati dinamicamente, ma all’interno della performance verranno richiamati, come nei precedenti moduli, attraverso delle liste di messaggi. 109 REVERB L’ultimo degli effetti del DSP è il riverbero. Questo modulo è stato programmato sulla base dell’oggetto Gigaverb~, ed è dotato di sette parametri di base: - roomsize: la dimensione della stanza; - revtime: il tempo di decadimento del riverbero; - spread: l’immagine stereofonica; - bandwidth: la larghezza di banda del filtro; - damping: il coefficiente di smorzamento; - early: le prime riflessioni - tall: altezza. Questi parametri sono stati precedentemente impostati e non subiscono variazioni nel corso della performance. 110 ANALISI SPETTRALE Il modulo di analisi spettrale ha il compito di fornire una serie di dati utili per controllare la posizione del segnale con la spazializzazione. L’algoritmo, come già anticipato nel capitolo precedente (paragrafo 2.5), estrapola in tempo reale tre dati dallo spettro di ogni singolo segnale proveniente dalla matrice: - Loudness: è la misurazione dell’intensità del segnale (energia spettrale), misurata in dB. Essa incide sull’altezza della sorgente sonora rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della sala; - Brightness: misura la concentrazione di alte frequenze all’interno dello spettro udibile, ed incide sull’angolazione del segnale (azimut) rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della sala; - Noisiness: questa opzione ricava i dati sulla base della scala psicoacustica Bark.93 Essa suddivide lo spettro udibile in bande critiche (il numero cambia a seconda della frequenza di campionamento) e ne misura l’altezza sonora. I dati estrapolati andranno ad incidere sulla distanza del segnale rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della sala. I dati vengono estrapolati, riscalati, e mandati al modulo di spazializzazione ad una frequenza di duecento millisecondi. 93 http://www.igi-global.com/dictionary/bark-scale/2184 (12-09-16) 111 SPAZIALIZZAZIONE Il modulo dedicato alla spazializzazione è l’ultima parte del percorso che compie il segnale nel programma costruito in Max. La sezione relativa ai controlli di base (che troviamo nell’immagine qui sopra) è affidata ai due grafici, che la rendono molto semplice ed intuitiva. Il primo grafico serve unicamente a seguire visivamente i movimenti delle singole voci, mentre il secondo è utile per configurare il numero e la posizione dei diffusori utilizzati per la riproduzione (in questo caso, il sistema sarà dotato di otto diffusori). Il modulo, inoltre, è dotato di un sistema d’interpolazione dei dati entranti, in modo da evitare cambiamenti troppo bruschi della posizione della sorgente spazializzata (in conseguenza a dei dati opposti tra loro) rendendoli così più o meno fluidi. La programmazione è basata sull’algoritmo ambipanning~, sviluppato da Ambisonics94, che va a trasformare i dati ricevuti dal programma di analisi spettrale, traducendoli in coordinate da assegnare ai vari segnali audio. 94 https://cycling74.com/toolbox/icst-ambisonics-tools/#.V9bjALWSUgs (10-09-16) 112 3.5. PATCHES DEI SINTETIZZATORI Dopo aver spiegato in modo esaustivo come sono formati i sintetizzatori usati per la performance di improvvisazione, in questo paragrafo spiegherò come ho costruito le patch sul sintetizzatore modulare e su Clavia Nord Lead. SINTETIZZATORE MODULARE Il sintetizzatore modulare genera tre diversi segnali sonori tramite due sorgenti principali: Intellijel Rubicon e Mutable Instruments Braids. Il primo oscillatore genera due segnali timbricamente simili, attraverso la tecnica di “cross modulation synthesis”: il primo è un suono continuo simile allo sfregamento dei polpastrelli di una mano sulla pelle di un grosso tamburo (come un timpano), il secondo invece è un pattern ritmico atonale che richiama il suono di percussioni mute. Il secondo oscillatore invece genera un pattern ritmico tonale, sfruttando tutte le sue forme d’onda disponibili (ben 45) e arricchito nella ritmica dal delay (Echophon). Passiamo ora a spiegare più precisamente la costruzione dei tre segnali sonori. Suono continuo “pelle di tamburo” (CD: Campione 12) Questo suono è sicuramente il più semplice da costruire; per farlo infatti occorrono solo tre moduli: Rubicon, Korgasmatron II e Mix (per l’uscita finale). Prima di tutto, mettere uno dei due filtri del Korgasmatron II in auto-oscillazione e collegarne l’uscita OUT-A all’entrata TZFM del Rubicon. Successivamente, impostare il tipo di FM in LIN (lineare) e collegare l’uscita sinusoidale dell’oscillatore a due destinazioni diverse tramite un cavo doppio: all’entrata FM2 del filtro in auto-oscillazione e in uno dei tre canali del Mix per l’uscita finale del segnale. In questo modo un’onda modula la frequenza dell’altra e viceversa, generando così le timbriche taglienti e caotiche tipiche della “cross modulation synthesis”. Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie regolazioni: - CUTOFF di Korgasmatron ore 1; - COARSE di Rubicon a ore 11; - Selettore SYNE TYPE a metà; - EXP FM di rubicon 50%; 113 - TZFM Rubicon 100%; - SIMMETRY Rubicon ore 4. Foto della patch. Cavi gialli = segnali di controllo Cavi grigi = segnale audio Pattern tonale. (CD: Campione 13) Per generare questo suono, si sfruttano parte delle particolari caratteristiche all’interno dell’oscillatore digitale Braids. Per la patch in questione occorrono i seguenti moduli: Braids, Maths, Wogglebug, Echophon e Mix. 114 Prima di fare qualsiasi collegamento, posizionare l’oscillatore sulla forma d’onda HARM ed entrare nella sezione opzioni: a questo punto attivare la funzione META e l’inviluppo interno d’ampiezza (VCA ON), regolando l’attacco a “1” e il decadimento a “8”. Partiamo collegando i cavi per il segnale audio, partendo dall’uscita OUT di Braids, andando a collegarla all’entrata di Echophon e infine collegando l’uscita del delay in una delle entrate del mixer (Mix). Ora passiamo a tutti i segnali di controllo, partendo da Wogglebug. Questo modulo controlla principalmente i parametri V/OCT e FM di Braids (vale a dire l’intonazione e la modulazione META delle forme d’onda) e il parametro ECHO di Echophon, tramite sample and hold: collegare quindi l’uscita con tre cavi direttamente a V/OCT, ECHO e all’entrata del secondo canale di Maths (canale attenuatore). Questo procedimento viene attuato perché l’ampiezza dell’onda modulante di Wogglebug necessita una attenuazione prima di finire nel parametro FM, altrimenti META tenderebbe a selezionare solamente le prime e le ultime forme d’onda dell’oscillatore; grazie a questo procedimento avviene una sorta di “riscalamento” della modulazione, permettendo così il corretto funzionamento della modulazione (collegare quindi l’uscita del secondo canale di Maths al parametro FM di Braids). Successivamente, utilizzare il quarto canale di Maths per modulare, tramite LFO, i parametri “Timbre” e “Colour” di Braids; per farlo occorre attivare “CYCLE” dal modulatore e collegare l’uscita del canale “4” alle rispettive entrate (utilizzare una frequenza bassa dell’LFO per ottenere risultati tangibili e soddisfacenti). Infine ho collegato l’uscita “onda quadra” dello stesso canale di Maths come gate per attivare o disattivare il parametro “FREEZE” del delay. Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie regolazioni: - COARSE Braids ore 9; - FM Braids ore 3; - TIMBRE Braids ore 11; - MODULATION Braids ore 3; - COLOR Braids ore 1; - Ampiezza Sample&Hold Wogglebug ore 2; - RISE e FALL Maths ore 12; - LOG/EXP Maths ore 8; - Attenuatore canale 2 Maths ore 2; - Attenuatore canale 4 Maths ore 3; - ECHO Echophone ore 1; - Attenuatore ECHO di Echophone al massimo; 115 - DRY/WET Echophone ore 12; - DEPTH PITCH Echophone 50% o 100%; - Feedback Echophone ore 1 o 2. Controllare dinamicamente l’andamento del suono con il parametro che controlla il tempo generale di Wogglebug e la frequenza del pitch-shifter di Echophone. Foto della patch. Cavi gialli = segnali di controllo Cavi grigi = segnale audio Pattern atonale. (CD: Campione 14) Questo suono ha per sorgente Rubicon, e per farlo lasciamo invariato il routing del suono visto in precedenza (“pelle di tamburo”). I moduli che ci occorrono quindi sono Rubicon, Korgasmatron II, Maths, A-130 VCA, uFold II, Pamela’s Workout, Wogglebug e Mix. 116 Cominciamo quindi collegando i cavi per il segnale audio: colleghiamo l’uscita della forma d’onda a dente di sega di Rubicon all’entrata del wavefolder (uFold), l’uscita di uFold all’entrata del filtro B (IN-B), OUT-B di Korgasmatron in Audio IN1 del VCA, Audio OUT del VCA in una delle entrate del mixer. Il collegamento tra il filtro A (in auto-oscillazione) e Rubicon in questo caso svolge solo funzione di controllo (modulazione cross modulation synthesis). Ora passiamo ai collegamenti per i segnali di controllo: collegare due uscite di Pamela’s Workout rispettivamente all’entrata TRIG del canale “1” di Maths e all’entrata del controllo di tensione (V/OCT) di Rubicon; successivamente, collegare l’uscita del canale “1” di Maths a CV1 del VCA (qui il Maths svolge funzione di inviluppo A/D, ricordarsi quindi di tenere spenta l’opzione CYCLE). A questo punto utilizzare i due generatori di segnale casuale “Source of Uncertainty” per modulare i parametri FOLDS e SYMMETRY di uFold II e l’uscita OR di Maths per modulare la frequenza di taglio del filtro B. Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie regolazioni (i parametri di Rubicon rimangono invariati rispetto all’altra patch): - STAGES uFold II su “IV”; - FOLDS uFold ore 11; - Attenuatore modulazione su parametro FOLDS ore 11; - SYMMETRY uFold ore 12; - Attenuatore modulazione su parametro SYMMETRY ore 11; - Frequenza di taglio filtro B Korgasmatron II ore 12; - Indice di risonanza (Q) di Korgasmatron II ore 2; - FM1 Korgasmatron II ore 12; - Q-DRIVE Korgasmatron II 100%; - Impostare come tipologia di filtro LP2 (passa-basso 2 poli); - Regolare i parametri RANGE i Wogglebug rispettivamente a ore 12 e 11; - RISE di Maths (attacco inviluppo) al minimo; - LOG/EXP Maths 100% - Attenuatore canale 1 Maths ore 3. Controllare dinamicamente l’andamento del suono con il parametro FALL (decadimento dell’inviluppo) di Maths e la frequenza di taglio del filtro. 117 Foto del routing della patch. Cavi gialli = segnali di controllo Cavi grigi = segnale audio Cavi rossi = Cross Modulation Synthesis CLAVIA NORD LEAD 4 Il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4 genera sei tipologie diverse di suoni, richiamabili attraverso il cursore di gestione dei programmi (preset); i suoni sono ispirati ed elaborati facendo riferimento a strumenti tradizionali, alla voce umana e al canto degli uccelli. (Nelle immagini che compariranno, i potenziometri con assegnato un LED color verde sono i parametri influenzati dal modulation wheel. 118 Preset 1 – Breath Pad (SCENA 1) (CD: Campione 6) Il primo preset è la testura presente nella prima scena della performance. A seguire elencherò tutte le impostazioni necessarie alla creazione di questo suono: - Oscillatore 1 su forma d’onda F.2 - Oscillatore 2 su NOISE, noise res ore 2 noise freq. ore 11 - OSC1 MOD su H-SYNC, ampiezza massima (amount) - OSC MIX ore 9 - LFO1: rate 1, amount 5, forma d’onda a rampa ascendente, destinazione OSC2 - MOD ENV: attack 8, dec/rel 8 amount 10 destinazione OSCMIX - AMP ENV: attack 6, decay 8, sustain 10, release 7 - FILTER: lp48, freq 5, resonance 4, drive 3, env amt 5 - FILTER ENVELOPE: attack 8 decay 8, sustain 0, release 0 - DLY/REVERB: reverb, dry/wet 5, reverb type hall, bright 7 PRESET 1 Preset 2 – Digeridoo (SCENA 1) (CD: Campione 7) Questo secondo preset è il suono che emula il suono di digeridoo, presente nella prima scena: - Oscillatore 1 su forma d’onda P.4 - Oscillatore 2 su dente di sega, tune e fine tune 0 - OSC1 MOD su FM2, amount 8 - OSC MIX ore 2 119 - LFO1: rate 3, amount 5, forma d’onda triangolare, destinazione AM - AMP ENV: attack 2, decay 3, sustain 10 release 3 - FILTER: lp24, freq 4, resonance 6, drive 5, env amt 0 - FX: talk1, amount 4 - DLY/REVERB: reverb, dry/wet 3, reverb type stage, bright 4 - MOD WHEEL su freq del filtro e amount di FX entrambi da 4 a 8 PRESET 2 Preset 3 – Bells (SCENA 2) (CD: Campione 8) Campane intonate. - Oscillatore 1 su forma d’onda B.2 - Oscillatore 2 su triangolare tune +12 semitoni, fine tune 0 - OSC MIX ore 9 - LFO1: rate 1, amount 10, forma d’onda triangolare, destinazione FILTER - MOD ENV: attack 10, dec/rel 10 amount 10 destinazione OSC1 e OSC2 - AMP ENV: attack 0 decay 4 sustain 10, release 0 - FILTER: lp24, freq 7, resonance 4, drive 2, env amt 0 - FX: compr, amount 8 - DLY/REVERB: reverb, dry/wet 10, reverb type hall, bright 8 - MOD WHEEL su attack e release di AMP ENV entrambi da 0 a 10 120 PRESET 3 Preset 4 – Cello (SCENA 4) (CD: Campione 9) Suono utilizzato all’interno della quarta scena per emulare il timbro di un violoncello. Durante la performance è possibile operare una transizione verso un suono puramente sintetico, elaborato tramite sintesi FM. - Oscillatore 1 su sinusoide - Oscillatore 2 su onda quadra+impulso, tune +12 semitoni, fine tune a ore 1 - OSC1 MOD su FM3, amount controllato dinamicamente - OSC MIX modulato dinamicamente (osc1 pad fm, osc 2 violoncello) - LFO1: rate 3, amount 5, forma d’onda triangolare, destinazione AM - AMP ENV: attack 3, decay 10, sustain 10, release 2 - FILTER: lp24, freq 6, resonance 2, drive 0, env amt 0 - DLY/REVERB: reverb, dry/wet 3, reverb type room, bright 5 - MOD WHEEL sul vibrato generale PRESET 4 121 Preset 5 – Birds (SCENA 5) (CD: Campione 10) - Oscillatore 1 su forma d’onda dente di sega - Oscillatore 2 su onda triangolare, tune 0, fine tune 0 - OSC MIX ore 11 - LFO1: rate 4, amount controllato dinamicamente da 0 a 5, forma d’onda a rampa discendente, destinazione FILTER - LFO2: rate 6, amount 4 (indicativamente), forma d’onda a rampa ascendente, destinazione FILTER - AMP ENV: attack 1, decay controllato dinamicamente in un range da 3 a 7, sustain 0, release 2 - FILTER: bp (lp48+hp), freq controllata dinamicamente in un range da 3 a 7, resonance 10, drive 0, env amt 0 - FX: crush, amount 0 - DLY/REVERB: delay, dry/wet 5, feedback 1, tempo 7 - MOD WHEEL su amount di FX range da 0 a 8 PRESET 5 Preset 6 – Mad Voices (SCENA 5) (CD: Campione 11) - Oscillatore 1 su onda dente di sega - Oscillatore 2 su onda quadra+pulse, tune 0, fine tune 0 - OSC MIX ore 1 - LFO1: rate 4, amount 10, forma d’onda a rampa ascendente, destinazione OSC2 - LFO2: rate 6, amount 10, forma d’onda random step, destinazione OSC1+OSC2 122 - AMP ENV: attack 0, decay 0, sustain 10, release 0 - FILTER: NO - FX: talk2, amount 1 - DLY/REVERB: delay, dry/wet controllato dinamicamente in un range da 0 a 5, feedback 2, tempo controllato dinamicamente in un range da 1 a10 - MOD WHEEL su amount di FX range da 1 a 9 PRESET 6 3.6. ROUTING DEL SEGNALE ANALOGICO Il percorso che svolge il segnale analogico, all’interno del routing generale, avviene in fase di entrata e di uscita dal DSP, tramite una scheda audio che funge da convertitore AD/DA. I due microfoni e le uscite dei due sintetizzatori entrano nella scheda audio, il segnale viene convertito da analogico in digitale entrando nel DSP del computer elaborato in Max. Successivamente le otto uscite dell’oggetto ambipanning~ sono inviate alla scheda audio che effettua una conversione da digitale ad analogico, inviando gli otto segnali ad un mixer analogico, che invia il segnale in quattro coppie stereofoniche agli otto diffusori posizionati attorno all’ascoltatore. La somma dei segnali, inoltre, viene inviata alla coppia di diffusori di “rinforzo”. Come già detto in precedenza, la spazializzazione regola l’esatta posizione dei singoli segnali nello spazio, fatta eccezione per il segnale riverberato, che verrà riprodotto in stereofonia in tutte e quattro le coppie di diffusori poste attorno alla zona di ascolto. 123 Nello schema: un resoconto grafico dell’intero percorso del segnale analogico 124 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI La ricerca verso un dialogo tra strumenti acustici ed elettronici ha portato a me e al mio collega ad una interazione unica nel suo genere. Le sonorità delle due tipologie strumentali coesistono e si fondono grazie all’utilizzo del live electronics, e la ricerca dei timbri di entrambi prende spunto da uno all’altro in maniera reciproca. Non è stato facile arrivare ad un dialogo così fitto tra le parti, la fase di sperimentazione e la completa riuscita del progetto hanno richiesto circa un anno di lavoro. In più, per quanto concerne il mio progetto, l’utilizzo di sintetizzatori modulari con Max ha ben pochi precedenti. Quando si ricerca una tipologia di strumento come il sistema modulare, infatti, si è portati ad usarlo sempre in maniera indipendente, senza l’ausilio di nessun’altro oggetto o software, fatta eccezione per segnali MIDI provenienti da un computer o una tastiera, o effetti come riverberi o compressori, solitamente sempre hardware. Ciò significa quindi che questo progetto porta una piccola innovazione nell’utilizzo del sintetizzatore modulare e, grazie all’apporto del mio collega, apre un varco verso nuove sperimentazioni, attraverso il dialogo tra strumenti acustici ed elettronici. Il nostro lavoro può considerarsi come un buon punto di partenza, e anche uno stimolo per altre sperimentazioni, coscienti dell’incredibile potenzialità che hanno questi strumenti uniti al programma Max. Tra gli sviluppi futuri di questa performance, ci sarà sicuramente una ricerca verso altre sonorità, ampliando la gamma degli strumenti acustici, implementando altre patch del sintetizzatore (o sviluppando il sintetizzatore con l’aggiunta di nuovi moduli) e di Max, e la ricerca di altre strategie e schemi improvvisativi, ad esempio: approfondire lo studio dei membranofoni, dove il mio lavoro è stato incentrato sulla riproduzione dell’inviluppo dinamico, cercando di sviluppare maggiormente l’aspetto spettrale; o viceversa nel caso degli aerofoni, dove invece mi concentro più sul tono dello strumento, cercare di riprodurre altri aspetti come l’espressività o l’andamento del suono (inviluppo). Un ulteriore sviluppo nella performance va ricercato nella struttura formale, amalgamando meglio le varie sezione e rendendo più organica l’improvvisazione. In conclusione, questo lavoro è stato molto stimolante sotto molti punti di vista: prima di tutto la possibilità di lavorare con un’altra persona ad un progetto musicale crea l’occasione di confrontarsi a vicenda, comportando una crescita delle doti di entrambi. In secondo luogo, il cimentarmi verso una tipologia esecutiva da me ben poco conosciuta, cioè l’improvvisazione, mi ha offerto la possibilità di implementare ulteriormente le mie conoscenze musicali, grazie ai metodi del GINC. 125 RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento va in particolare al relatore, Maestro Luca Richelli, per la disponibilità concessami in questi mesi. Un altro ringraziamento va ai docenti che mi hanno seguito nel corso di questi anni al Conservatorio G. Verdi di Como, Maestro Sapir, Maestro Cospito, Maestro Klauer, Maestro Vigani, Maestro Bezza e Maestro Marinoni: un grazie sentito per tutto ciò che ho appreso e che mi è stato trasmesso da Voi, soprattutto per quanto concerne la composizione della musica, oggi diventato un lavoro, oltre che la mia passione più grande. Un ringraziamento alla mia famiglia che mi ha sostenuto nel corso dei miei studi, ma soprattutto nel mio cammino musicale, iniziato sin dai primi anni di vita. Infine ringrazio il mio amico e collega Alessandro Arban, per aver collaborato con me alla riuscita di questo progetto. 126 APPENDICE CAMPIONI NEL CD AUDIO TRACCIA 1 – CAMPIONE 1: Performance Scena 1 TRACCIA 2 – CAMPIONE 2: Performance Scena 2 TRACCIA 3 – CAMPIONE 3: Performance Scena 3 TRACCIA 4 – CAMPIONE 4: Performance Scena 4 TRACCIA 5 – CAMPIONE 5: Performance Scena 5 TRACCIA 6 – CAMPIONE 6: Preset Clavia 1 TRACCIA 7 – CAMPIONE 7: Preset Clavia 2 TRACCIA 8 – CAMPIONE 8: Preset Clavia 3 TRACCIA 9 – CAMPIONE 9: Preset Clavia 4 TRACCIA 10 – CAMPIONE 10: Preset Clavia 5 TRACCIA 11 – CAMPIONE 11: Preset Clavia 6 TRACCIA 12 – CAMPIONE 12: Patch 1 sistema modulare (“pelle di tamburo”) TRACCIA 13 – CAMPIONE 13: Patch 2 sistema modulare (pattern tonale) TRACCIA 14 – CAMPIONE 14: Patch 3 sistema modulare (pattern atonale) TRACCIA 15 – CAMPIONE 15: Intellijel Rubicon waveforms TRACCIA 16 – CAMPIONE 16: Mutable Instruments Braids waveforms 127 BIBLIOGRAFIA § T. Pinch e F. Trocco, Analog Days. The Invenction and the Impact of the Moog Synthetizer, Harvard University Press, 2002 § Deborah Kavasch, An Introduction to Extend Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance Problems. Contenuto in Reports from the Center vol.1, n.2. Center for Music Experiment, Università della California, San Diego, 1980 § Chusid, Irwin, Beethoven-in-a-box: Raymond Scott’s electronium. Contemporary Music Review, 1999 § Mutable Instruments, Braids User Manual § Enrico Paita, Computer e musica, manuale completo, Jackson Libri, 1997 § Charles Dodge and Thomas A. Jersey, Computer Music: Synthesis, Composition, and Performance. Schirmer Books, 1997 § Stevens Irwin, Dictionary of Hammond-Organ Stops, G. Schirmer, New York, 1961 § Holmes, Thom, Electronic and Experimental Music: Technology, Music, and Culture. Routledge, 2012 § Peter Manning, Electronic and Computer Music. Oxford University Press, 1985 § Bert Oling, Heinz Wallish, Enciclopedia degli strumenti musicali. 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