Il sintetizzatore, storia e utilizzo in ambiente live-electronics

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Il sintetizzatore, storia e utilizzo in ambiente live-electronics
CONSERVATORIO di MUSICA “G. VERDI" – COMO
Corso di Diploma Accademico
di primo livello in discipline musicali
Musica Elettronica e Tecnologie del suono
Il SINTETIZZATORE.
STORIA E UTILIZZO IN AMBIENTE LIVE ELECTRONICS
Relatore
M° Luca Richelli
Tesi finale di:
Yuri Dimitrov
Matr. 2879
Anno Accademico 2015-2016
Sommario
PREMESSE
4
1. CAPITOLO I:STORIA DEL SINTETIZZATORE
6
1.1. GLI ALBORI
7
1.2. LA NASCITA DEL SINTETIZZATORE
12
1.3. IL SINTETIZZATORE CONTROLLATO IN TENSIONE – BOB MOOG E LA FILOSOFIA
“EAST COAST”
1.4.
16
“SAN FRANCISCO TAPE MUSIC CENTER” – DON BUCHLA E LA FILOSOFIA
“WEST COAST”
20
1.5.
ANNI ’70: LA NASCITA DI NUOVE CASE COSTRUTTRICI E DEL MINIMOOG
24
1.6.
LA NASCITA DEL DIGITALE E DELLA POLIFONIA
27
1.7
PROTOCOLLO MIDI, SINTETIZZATORI DIGITALI E WORKSTATION
29
1.8
GLI ANNI '90: LA NASCITA DELLE DIGITAL AUDIO WORKSTATION E DEL
SINTETIZZATORE "VIRTUAL ANALOG"
1.9
33
IL SINTETIZZATORE AI GIORNI NOSTRI, IL RITORNO DELL'ANALOGICO E LA
NASCITA DELL'EURORACK
37
2. CAPITOLO 2: PERFORMANCE LIVE ELECTRONICS
42
2.1
INIZI E PRIMI SVILUPPI
43
2.2
SVILUPPO DEL PROGETTO: LA SCELTA DELLA SUDDIVISIONE IN SCENE E LA
COSTRUZIONE DEL PROGRAMMA DI ELABORAZIONE DEL SEGNALE TRAMITE
MAX
45
2.3
LA STRUTTURA DELLE SCENE ED I METODI DI SINTESI ADOPERATI
47
2.4
ESTETICA DELLA PERFORMANCE
55
2.5
I PROCESSORI DI SEGNALE NELLE SCENE
58
2.6
SPAZIALIZZAZIONE E ANALISI SPETTRALE
71
2
3.
CAPITOLO 3: GUIDA TECNICA ALLA REALIZZAZIONE DELLA PERFORMANCE
73
3.1
IL SINTETIZZATORE MODULARE
74
3.2
CLAVIA NORD LEAD 4
94
3.3
STRUMENTI ACUSTICI E MICROFONAGGIO
103
3.4
PATCH IN MAX PER IL LIVE ELECTRONICS
104
3.5
PATCHES DEI SINTETIZZATORI
113
3.6
ROUTING DEL SEGNALE ANALOGICO
123
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
125
RINGRAZIAMENTI
126
APPENDICE
127
BIBLIOGRAFIA
128
SITOGRAFIA
130
ALTRI MEDIA
133
3
PREMESSE
La ragione che mi ha spinto ad affrontare questo argomento, per la mia prova finale, trova spunto
nel mio percorso didattico ed artistico.
La mia formazione, presso il Conservatorio G. Verdi di Como, mi ha permesso di scoprire una
realtà musicale e delle tecniche di approccio alla musica fino ad allora a me sconosciute. La musica
elettroacustica (cito in particolare gli artisti che più apprezzo: Bernard Parmegiani, Trevor Wishart,
Karlheinz Stockhausen, Horacio Vaggione, John Chowning), le sue tecniche di riproduzione
acusmatica, la sintesi con CSound, sono delle realtà che ho scoperto solo grazie a questo percorso
formativo.
Dall’altra parte, al di fuori dell’ambiente accademico, scopro una passione verso lo strumento
musicale elettronico: il sintetizzatore. Apprezzo la sensazione di utilizzare una macchina piuttosto
che un algoritmo creato con il computer, ne scopro e ne colleziono di varie tipologie, diventando
così una grande passione, di cui mi servo, ovviamente, anche dal punto di vista lavorativo, per
l’elaborazione di suoni finalizzati alla produzione musicale.
Fu così che, in vista di una prova finale, decisi di unire questi due aspetti che fino ad allora non
avevano mai trovato un punto d’incontro, un po’ per mia scelta, un po’ secondo il pensiero comune.
Con l’avvento della computer music, infatti, gli studi di Europa e del resto del mondo,
accantonarono gli enormi sintetizzatori in favore di una soluzione più comoda e, sotto certi aspetti,
più efficiente.
Il mio scopo, quindi, era di fondere queste due realtà, con l’utilizzo dei miei sintetizzatori uniti
all’elaborazione del suono offerta dall’ambiente di programmazione Max, al fine di creare una
performance che potesse riunire questi due mondi. Decisi, inizialmente, di portare alla prova finale
un’improvvisazione basata sul concetto di modularità: lo strumento chiave doveva essere il mio
sintetizzatore modulare, con il DSP creato con il computer, che rappresentava un modulo
aggiuntivo. Dopo poco tempo, il mio collega Alessandro Arban mi propose di fondere il mio
progetto col suo, basato sull’improvvisazione tramite strumenti concreti e live electronics.
L’idea mi piacque subito, era l’occasione di arricchire la mia esibizione con ulteriori timbriche ed
aprire una sorta di dialogo musicale tra il sintetizzatore e gli strumenti “tradizionali”, senza uscire
dalla mia idea originaria: egli infatti poteva essere considerato come un altro modulo aggiuntivo da
utilizzare nella mia performance.
La scelta di un metodo di lavoro appropriato, trova spunto nelle metodologie utilizzate dal Gruppo
Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC), che si basavano sul registrare le loro lunghe sessioni
4
d’improvvisazione, per poi riascoltarle attentamente subito dopo, traendone poi spunto per la
sessione successiva. Un’altra tecnica utilizzata da questo collettivo su cui ci siamo ispirati per la
nostra performance, era nella pratica esecutiva, adoperando schemi comuni, basati su parametri
unici come il timbro o l’andamento del suono (inviluppo), al fine di trovare un ulteriore spunto al
dialogo tra gli esecutori.1
La scelta, invece, che abbiamo adottato riguardo la suddivisione dell’improvvisazione in scene,
fruibili singolarmente o amalgamabili in un unico brano, si ispira alle parole nel testo di
Stockhausen “The British Lectures”2, dove parla della scelta di dividere un brano in “momenti”,
cioè delle sezioni formate da strutture con parametri regolati secondo regole molto precise, pur
lasciando libertà esecutiva, come il tempo del brano o l’ordine secondo cui le varie sezioni
andavano suonate.
La nostra performance ha una durata di circa dieci minuti divisa omogeneamente nelle cinque scene
(due minuti ciascuna), che formano tre momenti musicali. Le prime due scene formano un climax,
che passa da un momento iniziale di “calma” attraverso l’uso di lunghe tessiture, che pian piano
evolvono in eventi più puntuali e improvvisi, sfociando, in seguito, nel secondo momento musicale,
rappresentato nella terza scena, dove si raggiunge il culmine della performance, dal punto di vista
delle dinamiche e della quantità di timbri utilizzati. È un momento intenso, energico, il dialogo è
veloce, a tratti caotico, pur avendo un proprio ordine di base; i suoni acustici e sintetici elaborati dal
DSP s’intrecciano, andando così a formare un unico amalgamato sonoro molto concentrato.
Dopo questa parte così concitata e frenetica, è il turno del terzo momento musicale, formato dalla
quarta e quinta scena, dove si ha un anticlimax, una perdita graduale delle dinamiche e del
contenuto spettrale. La concentrazione dei suoni si fa sempre più rarefatta, fino al termine
dell’esecuzione stessa.
Dopo questa breve anticipazione dei contenuti estetici dell’improvvisazione, concludendo,
l’argomento principale di questo trattato, quindi, è il sintetizzatore, la sua storia, ed il suo utilizzo
nell’ambiente live electronics, frutto di un lungo lavoro, durato circa un anno. Nel testo, inoltre, è
compresa un’attenta analisi degli strumenti utilizzati e dell’intero setutp della performance, dando
così la possibilità a chiunque di riprodurla o di implementarla con nuove idee.
1
Valerio Mattioli, Superonda: Storia segreta della musica italiana, Baldini e Castoldi Editore, 2016.
2
K. Stockhausen, The British Lectures, Institute of Contemporary Arts, Londra, 1972.
5
CAPITOLO I
6
1. STORIA DEL SINTETIZZATORE
1.1. GLI ALBORI
Per capire meglio come è nato il sintetizzatore dobbiamo fare un passo indietro agli albori dell’era
dell’elettricità. Alla fine del XIX secolo, a seguito della sua scoperta, nacquero le prime centrali
elettriche e, di conseguenza, l’elettricità. Questa grandissima scoperta trovò applicazione in quasi
tutti gli aspetti della vita delle persone, non stupisce quindi che abbia trovato spazio anche
nell’ambito della musica, non per registrarla, ma per produrla, utilizzando l’elettricità come fonte
sonora.
Il primo strumento elettrico costruito fu il Telharmonium3 o dinamofono, inventato da Thaddeus
Cahill nel 1897: il congegno era formato da 145 ruote foniche (simili ad alternatori) ed induttori, e
produceva corrente alternata di varie frequenze. I segnali venivano controllati da più tastiere da 7
ottave. Per aspetto e suono assomigliava incredibilmente ad un organo, potremmo infatti
considerarlo come l’antenato dell’organo elettromeccanico Hammond, ma, date le sue enormi
dimensioni, l’incredibile peso (200 tonnellate) e la sua scarsa praticità, fu essenzialmente un
fallimento in ambito commerciale.
Figura 1. Il Telharmonium
3
Reynold Weidenaar, Magic Music from the Telharmonium, Lanham, MD, Scarecrow Press, 436 pp., 1995
7
Il primo vero importante passo verso la nascita delle moderne macchine per la sintesi sonora fu il
Theremin4, inventato nel 1917 dal russo Leon Theremin (Lev Sergeevic Termen). L’apparecchio,
suonato con il solo movimento nell’aria delle mani dell’esecutore, è formato da due antenne
perpendicolari al corpo principale, una verticale e l’altra orizzontale, che captano i movimenti
dall’alto verso il basso in prossimità dello strumento. L’antenna verticale trasforma il movimento
dell’esecutore in variazione frequenziale, mentre quella orizzontale ne varia l’ampiezza. Il suono
veniva prodotto da due circuiti oscillanti formato da lampade triodi (antenate delle valvole) ad alta
frequenza (300kHz), se ne sfruttavano i battimenti che generavano e successivamente venivano
filtrati tramite un filtro passa basso, cancellando così tutte le frequenze al di sopra di quelle udibili
dall’uomo.
L’invenzione riscosse un discreto successo in campo compositivo ed esecutivo, con il contributo di
diversi esponenti, tra i quali i compositori Percy Grainger, Cristian Wolff, Kalevi Aho e gli
esecutori Lydia Kavina Pamelia Kurstin ed il duo Thowarld Jorgensen. Non mancano anche
citazioni nel campo della “popular music” come in “Good Vibrations” dei Beach Boys o nelle
performance di Jimmy Page dei Led Zeppelin.
Figura 2. Il Theremin, qui nell'immagine una moderna
Figura 3. Schema a blocchi del Theremin
versione prodotta dalla Moog
Nel 1928 Maurice Martenot, un tecnico radiotelegrafista e violoncellista, inventò l’Onde
Martenot5. I primi progetti risalgono al 1923, quando, dopo l’incontro con Leon Theremin, volle
sfruttare la tecnologia sviluppata nel theremin ma con uno strumento di controllo molto più
familiare ai musicisti del tempo: una tastiera come quella di un pianoforte da 88 tasti. Questa
4
http://www.thereminworld.com/theremin-faq (03-05-16)
5
http://www.thomasbloch.net/en_ondes-martenot.html (03-05-16)
8
tastiera inizialmente era finta, serviva solo come riferimento per le note, si infilava la mano destra
in un anello e lo si spostava in misura dell’intervallo voluto; vi era inoltre un tasto corrispondente
ad una resistenza a polvere che dava l’inviluppo al suono modificandone dinamicamente
l’ampiezza. Lo strumento ha due oscillatori, o
meglio, due circuiti oscillanti, essi possono
variare nella timbrica tramite filtri
azionabili
dalla mano sinistra tremite bottoni, dando la
possibilità di selezionare i suoni armonici del
circuito oscillante.
Pochi anni dopo Friedrich Trautwein inventò il
Trautonium 6 , uno strumento che sfrutta un
principio di funzionamento totalmente diverso da
quello del theremin o dell’onde martenot. Esso
Figura 4 Onde Martenot
infatti utilizza un oscillatore a bassa frequenza
che produce onde a dente di sega (un onda ricca
di armoniche). Il circuito oscillante era realizzato
utilizzando
le
scariche
periodiche
di
un
condensatore in un tubo a gas inerte (neon).
Variando la tensione di carica del condensatore
per mezzo di una valvola a tre poli la cui tensione
di griglia era determinata da un griglia si variava
il
numero
di
scariche
del
condensatore,
determinando così la frequenza del suono udito
dall’altoparlante.
Figura 5 Il Trautonium
Il trautonium non aveva una tastiera vera e
propria,
ma
un
nastro
metallico
con
un’impugnatura ed una resistenza sottostante; l’esecutore quindi premeva il nastro metallico fino a
chiudere il circuito, a seconda del livello di pressione si determinava la dinamica del suono, mentre
la frequenza veniva stabilita a seconda della posizione su cui si interveniva del nastro;
sull’impugnatura si potevano suonare fino a tre ottave. Il trautonium, inoltre, aveva degli
interruttori per estendere la tastiera e per la trasposizione ad ottave e, in seguito, per controllare dei
filtri attivi, usati per modificare le componenti armoniche delle forme d’onda.
6
Jean-Jacques Nattiez, Enciclopedia della Musica I – il Novecento, Einaudi, 2011
9
La Telefunken, azienda tedesca di elettronica, cominciò a produrre il trautonium dal 1932,
perfezionandolo nella circuitazione. La produzione in serie permise a questo strumento di essere
conosciuto in Europa, suscitando notevole interesse, soprattutto dopo la sua presentazione
all’esposizione radiofonica di Berlino sempre nel 1932.
Il trautonium, in seguito, subì delle modifiche ad opera di un allievo di Trautwein: Oscar Sala7. Egli
nel 1935 costruì il “Radio-Trautonium” e nel 1938 anche un modello portatile chiamato
“Konzerttrautonium” grazie all’utilizzo prima del
Thyratron (tubo a gas simile ad una valvola) poi
del transistor. Sala successivamente aggiunse alle
componenti originali una seconda voce ed un
generatore di rumore modulato, capace di produrre
degli effetti ritmici.
Lo
strumento
venne
chiamato
Mixturtrautonium8, costruito a partire dal 1938 e
presentato a Berlino nel 1952.
Nel corso degli anni successivi l’industria si
interessò molto a questo tipo di strumenti: grazie
anche al successo che riscossero nei musicisti del
Figura 6. Il Mixturtrautonium
tempo, videro un grande margine di guadagno con
la produzione in larga scala. Tra i vari produttori
spiccò senza dubbio l’americano Laurens Hammond9, che nel 1929 fondò la sua società per la
produzione di strumenti elettronici.
I prodotti della casa americana divennero ben presto veri pezzi di storia, tra i quali citiamo:
-
Solovox10, tastiera monofonica a cinque ottave, dotata di un oscillatore e vari filtri per il
controllo del timbro
-
Novachord11, tastiera polifonica a sei ottave dotata di quattordici filtri e vibrato. Venne
prodotto a partire dal 1938.
7
http://www.trautonium.com/sala.htm (05-05-16)
8
https://tecnologiamusicale.wordpress.com/2014/02/27/il-trautonium-e-il-mixtur-trautonium/ (05-05-16)
9
Alessandro Esseno, L'evoluzione degli strumenti a tastiera nella musica Pop-Rock-Jazz, 2015
10
http://120years.net/the-solovoxhammond-organs-companyusa1940/ (06-05-16)
11
http://www.organhouse.com/hammond_novachord.htm (06-05-16)
10
partire
Organo Hammond12, costruito a
dal
1934
a
Chicago,
è
sicuramente il prodotto più famoso della
casa americana. Diffuso in tutto il
mondo, fu pensato dapprima all’uso
nelle chiese, per sostituire i giganteschi
organi
meccanici
successivamente
a
trovò
canne,
larghissimo
utilizzo nel campo della “black music”,
come il Jazz, il Blues, la musica Gospel,
fino ad arrivare, diversi anni dopo, al
Figura 7. Hammond C3
Rock
ed
alla
musica
Pop.
Tra i vari modelli di organo Hammond spiccano il Model A (il primo mai stato costruito),
l’Hammond B3, e l’Hammond C3, il top di gamma della casa americana.
Oltre alla Hammond, vi furono altre case che
produssero diversi strumenti degni di nota, come il
Melochord13, costruito nel 1949 era costutuito da due
tastiere da 3 ottave ciascuna e polifonia a quattro
voci; la Clavioline14, prodotta dal 1947 da Harald
Bode, una tastiera monofonica con dieci preset e due
vibrati, dal suono molto simile al Solivox o
all’Hammond; l’Electronium
15
, prodotto dalla
tedesca Hohner nel 1950, aveva una tastiera a sei
ottave più altri venti tasti per il controllo del vibrato,
dello staccato e del basso. La timbrica era molto
Figura 8. La Clavioline
simile al Clavioline e al Solovox.
12
Stevens Irwin, Dictionary of Hammond-Organ Stops, G. Schirmer, New York, 1961
13
https://en.wikipedia.org/wiki/Harald_Bode (07-05-16)
14
Reid, Gordon. "The Story of the Clavioline". Rivista Sound On Sound. (Marzo 2007)
15
Chusid, Irwin, Beethoven-in-a-box: Raymond Scott’s electronium. Contemporary Music Review, 1999
11
1.2. LA NASCITA DEL SINTETIZZATORE
Dopo questo breve excursus sugli antenati del sintetizzatore, andiamo finalmente a parlare
concretamente della sua storia.
Durante la prima metà del novecento sorsero vari “laboratori” per così dire, una sorta di studi dove
si lavorava con strumenti elettronici da laboratorio adattati e costosi generatori per test radiofonici.
Negli ambienti accademici, i dipartimenti di musicologia erano ansiosi di esplorare questa nuova
frontiera della musica, la possibilità di lavorare con il suono a questi livelli ed elaborare nuovi
mezzi compositivi, nuove procedure, nuovi modi di operare; così negli anni ’50 nacquero diversi
studi di musica elettronica sparsi in Europa e Nord America.
A partire dalla fine degli anni ‘30, un edificio nella zona di Harlem, New York, fu sede di un
esperimento top-secret, la sede dell’originale Progetto Manhattan, il programma militare americano
per lo studio dell’energia nucleare e di conseguenza della bomba nucleare.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’edificio divenne la sede del centro per la computer
music, diventando nel giro di pochi anni uno degli studi di musica elettronica più sofisticati al
mondo16.
Nel 1955 la RCA (Radio Composition of America) presentò in quello stabilimento a New York un
apparecchio per la produzione di suoni sintetici: gli venne dato il nome di Mark I17 o electronic
music synthesizer., costruito a Princetown, nel New Jersey, da Henry F. Olson e Herbert Belar.
I
costruttori
concepirono
questo strumento come una
macchina musicale, con una
superficie di controllo molto
simile ad una tastiera di una
macchina
telescrivente,
costituita da 36 tasti, che
perforava
costituente
un
il
nastro
carta,
sistema
controllo
di
dell’intera
apparecchiatura. La macchina
Figura 10. RCA Mark II, uno dei primi sintetizzatori della storia
funzionava tramite alberi a
16
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
17
Holmes, Thom, Electronic and Experimental Music: Technology, Music, and Culture. Routledge, 2012
12
relais che leggevano le informazioni contenute nel nastro, vale a dire i fori, aprendo e chiudendo i
circuiti; il risultato veniva registrato su un disco a 33 giri.
Il sintetizzatore era formato da dodici oscillatori sinusoidali, che riproducevano le frequenze della
scala cromatica, trasportabili fino ad otto ottave; la forma d’onda veniva successivamente
trasformata in dente di sega e poi filtrata tramite filtri attivi e passivi. Il sintetizzatore inoltre
possedeva un generatore di inviluppo a 4 stadi (attacco, decadimento, sostegno e rilascio) ADSR,
un generatore di rumore bianco, il portamento (per ottenere glissandi ed un oscillatore a bassa
frequenza o subaudio (LFO) per modulazioni (vibrato, tremolo) fino a 7Hz.
Nel 1957 la RCA perfezionò il sintetizzatore, costruendone una seconda versione, Il Mark II18.
Nella nuova macchina era possibile ascoltare i suoni prima di registrarli su disco, innovazione non
da poco che facilitò il lavoro di chi si accingeva a programmare suoni.
Questi due apparecchi furono molto importanti nella storia della musica perché introdussero il
concetto di programmazione in questo ambito, cosa sconosciuta prima del suo avvento. Il
telharmonium o il theremin, infatti, erano
controllati manualmente, suonati. Il Mark I
o II era il primo sistema completo di
produzione
di
suono
elettronico
che
appunto automatizzava l’intero sistema di
oscillatori, filtri e moduli, l’intera sessione
veniva programmata e, successivamente,
ascoltata.
Anche in questo caso abbiamo esponenti
compositori che contribuirono alla ricerca
Figura 11. Milton Babbit, autore di "Ensemble For Synthesizer"
sonora ed allo sviluppo dello strumento,
primo tra tutti Milton Babbit19, compositore e matematico statunitense, esponente del serialismo,
che compose Ensemble For Synthesizer, proprio con il Mark II.
Lo sviluppo e la nascita di questi veri e propri laboratori per la produzione di suoni sintetici
interessò moltissimo anche le università e i conservatori di tutta Europa: per citare i più famosi
troviamo il GRM di Parigi (anche se inizialmente più a favore della musica concreta e dell’utilizzo
di nastri per la produzione musicale), lo Studio für Elektronische Musik di Colonia e lo Studio di
18
Holmes, Thom, Electronic and Experimental Music: Technology, Music, and Cluture. Routledge, 2012
19
https://en.wikipedia.org/wiki/Milton_Babbitt (10-05-16)
13
Fonologia della RAI a Milano20, dove era situato lo studio dedicato alla sintesi sonora più grande in
Europa in quei tempi (nella Figura 12, il modulo di sintesi).
Figura 12 Il sintetizzatore dello Studio di Fonologia della RAI di Milano
Lo studio milanese, infatti, vantava attrezzatura di altissimo livello, qui in breve cito tutti i
componenti da cui era formato e che aggiunsero nel corso degli anni successivi, sino all’anno della
sua chiusura, nel 198321:
-
9 oscillatori;
-
oscillatore a battimento BRÜEL & KJÆR modello 1011;
-
oscillatore HathKit modello AG-10;
-
oscillatore pilota;
-
oscillatore Wavetek modello 110;
-
oscillatore Wavetek modello 115;
-
oscilloscopio Siae modello 431°;
-
altoparlante Tannoy;
-
analizzatore d’onda;
-
banco di filtri a terzi di ottava Albiswerk modello 502/50;
-
banco di filtri a terzi di ottava BRÜEL & KJÆR;
-
banco di filtri d’ottava;
20
http://www.audiodigitale.net/docs/fonologia.htm (11-05-16)
21
http://fonologia.lim.di.unimi.it/strumenti.php (11-05-16)
14
-
banco di filtri passa-alto;
-
banco di filtri passa-basso;
-
camera d’eco;
-
comparatore;
-
deviatore di segnale;
-
eco a piastra metallica EMT;
-
eco magnetico Osae;
-
filtro passa-banda;
-
filtro passa-banda variabile Krohn-Hite modello 310-A;
-
filtro passa-banda variabile Krohn-Hite modello 310-B;
-
filtro selettivo;
-
generatore di rumore bianco;
-
generatore di rumore bianco BRÜEL & KJÆR modello 1402;
-
generatore di TOC;
-
giradischi Carson;
-
magnetofoni Ampex;
-
magnetofono a 1 pista AEG;
-
magnetofono a 1 pista AEG-Telefunken modello M15;
-
magnetofono a 1 pista Ampex modello 350;
-
magnetofono a 2 piste AEG-Telefunken modello M15;
-
magnetofono a 2 piste Ampex modello 350;
-
magnetofono a 4 piste Appel;
-
magnetofono a 4 piste Appel per riproduzione;
-
magnetofono a 4 piste Studer modello J37;
-
microfono;
-
millivoltmetro modello Elit 201/D;
-
miscelatore a 8 ingressi;
-
miscelatore a 9 ingressi;
-
modulatore ad anello;
-
modulatore ad anello per traspositore di frequenza;
-
modulatore bilanciato;
-
modulatore di ampiezza;
-
modulatore dinamico;
-
onde Martenot;
15
-
pannello sezionatore;
-
sala di riverberazione;
-
selezionatore di ampiezza;
-
sintetizzatore Sinket;
-
soppressore dinamico di disturbi;
-
tavolo di dosaggio;
-
tempophon;
-
tone burst generator General Radio modello 1398-A
-
traspositore di frequenza;
-
variatore di velocità.
Studi enormi, come quello citato, rappresentavano sicuramente un enorme passo verso il progresso
nel campo della musica elettronica. Il problema principale però era che erano ancora troppo di
nicchia, costosissimi e disponibili all’uso solo ad un ristrettissimo numero di compositori o
ricercatori. Bisognerà aspettare la metà degli anni ’60 prima di avere un sintetizzatore più pratico e
disponibile anche fuori dall’ambiente accademico.
1.3. IL SINTETIZZATORE CONTROLLATO IN TENSIONE – BOB
MOOG E LA FILOSOFIA “EAST COAST”
[Ciò di cui c’era bisogno era una soluzione completa, qualcosa che potesse fornire tutte le funzioni
di cui un compositore necessitava, in una macchina appositamente costruita.]
Tratto dal film documentario “Dream of Wires” , regia di Robert Fantinatto, 2014.
Alla fine degli anni ’50, il piccolo ed efficiente transistor divenne largamente disponibile, e
apparecchiature elettroniche di ogni tipo divennero più piccole ed economiche da produrre. Questa
nuova tecnologia fece si che si creassero le giuste condizioni alla creazione di un sintetizzatore
musicale più pratico ed economico.
Durante la permanenza della RCA nello studio ad Harmen a New York, la Columbia (celebre
università americana) aveva uno studente di fisica, il suo nome era Robert Moog22.
22
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
16
Sembra che Moog non fosse a conoscenza del centro di ricerca musicale RCA e del suo gigantesco
sintetizzatore, era tuttavia impegnato nella costruzione di strumenti musicali elettronici in piccola
scala. Per diversi anni ebbe un certo successo nella vendita per corrispondenza di kit D.I.Y. per
theremin nella piccola cittadina di Trumansburg, a
nord dello stato di New York, dove possedeva un
piccolo negozio.
Nel corso degli anni Moog conobbe il compositore
Herb Deutsch, possessore di uno dei suoi theremin,
alla “All-State Music Conference” dello stato di New
York. La fiera dava spazio ai giovani ingegneri o, più
i generale, a chiunque volesse esporre i propri
strumenti. È proprio lì dove il compositore conobbe
Bob Moog, intento a dimostrare il suo kit per
theremin. Nel corso della loro discussione emerse
subito l’idea di avere un sintetizzatore “a portata di
mano”, la possibilità di averlo in casa propria.
Deusch chiese a Moog di costruirgli un oscillatore
che potesse controllare con precisione, ed è proprio
Figura 13. Un giovanissimo Robert Moog
in questo momento che costruì il primo oscillatore
controllato in tensione.
Il controllo in tensione è una tecnica che permette di controllare dei parametri di un sintetizzatore
nelle sue principali componenti: frequenza, timbro, forma d’onda ed ampiezza.
Grazie a questo oscillatore, Deusch poté creare suoni puramente elettronici con un grado di
controllo di cui nessun oscillatore da laboratorio era dotato.
Successivamente Moog ebbe un idea che li permise di attirare l’attenzione da parte di numerosi
musicisti, e fu, tra l’altro, la vera chiave del suo successo: introdusse una tastiera simile a quella di
un organo o di un pianoforte come controllo dell’altezza sonora (pitch) del sintetizzatore.
I VCO (voltage controlled oscillator) catturarono presto l’attenzione di numerosi dipartimenti di
musica, ed egli proseguì nello sviluppo di altri strumenti per la manipolazione sonora che potessero
essere connessi tra loro.
Presto la piccola fabbrica di Traumansburg divenne la meta per chiunque cercasse strumenti per
esplorare questa nuova frontiera musicale. Grazie alla vendita dei suoi moduli alle università e i
college, Moog sviluppò nuovi moduli basati sulle richieste e sulle esigenze di musicisti, ingegneri e
compositori; ma fu durante una visita all’Università di Toronto che gli fu dato un utilissimo
17
suggerimento per un nuovo tipo di modulo, un modulo che avrebbe poi definito uno dei tratti più
riconoscibili delle sonorità dei suoi sintetizzatori: il filtro controllato in tensione (VCF).
Il progetto del suo filtro su subito messo in atto e, successivamente, mise in commercio una
versione rifinita del modulo, quello che tutt’ora è considerato uno dei migliori filtri esistenti:
Figura 14. Un banco filtri del Moog Modular. Sulla sinistra, il celebre filtro passa-basso a 4 poli "ladder filter"
904a series filter23 con il suo nuovo circuito transistor ladder filtro passa-basso a 4 poli (24db di
pendenza).
La nuova invenzione di Bob Moog produceva un suono assolutamente rivoluzionario per gli anni
’60; al giorno d’oggi quasi ogni sintetizzatore analogico ha un filtro risonante a controllo di
tensione al suo interno, ma è condivisa l’opinione secondo cui l’originale Moog sia per molti
tutt’ora il miglior filtro di tutti i tempi. Lo stesso Bob Moog si accorse che aveva tra le mani
qualcosa di assolutamente unico, non a caso infatti il circuito “transistor ladder” fu l’unico
componente del suo sistema modulare di cui ne registrò il brevetto.
La combinazione elaborata da Moog di oscillatori e filtri controllati in tensione, collegati per i
musicisti ad una familiare tastiera di pianoforte, divenne la caratteristica determinante del suo
23
http://modularsynthesis.com/moog/904a/904a.htmv (12-05-16)
18
approccio alla costruzione di strumenti elettronici, che sarebbe poi stato conosciuto come “filosofia
East-Coast” nella progettazione di sintetizzatori.
Il primo sintetizzatore ad essere prodotto a livello industriale fu quello realizzato da Moog nel 1966.
Il “Moog Modular System”24 era uno strumento monofonico costituito da moduli, e dalla struttura
completamente componibile, spesso venduto in configurazioni precostituite, come il “Model 15”,
“Model 35” e “Model 55”, con la possibilità di aggiungere o modificare il set-up con altri moduli
complementari separati.
Figura 15. Moog Modular System "Model 55"
La struttura era costituita da un mobile diviso in ripiani, le prime versioni erano formate da tre
ripiani che insieme potevano ospitare da 15 a 35 moduli. Quest’ultimi non avevano dei
collegamenti predefiniti ma, a discrezione, potevano essere collegati a piacimento tramite cavi
“patch cord” e relative prese poste sul fronte dell’apparecchio. Lo strumento di controllo
dell’altezza sonora (pitch), come già detto in precedenza, era una tastiera simile a quella di un
organo, a cinque ottave.
24
https://en.wikipedia.org/wiki/Moog_modular_synthesizer (12-05-16)
19
Tra i vari moduli, si ricordano:
-
oscillatore 901-b e 921-b, oscillatori e LFO (oscillatori a bassa frequenza) con controllo
manuale di frequenza e simmetria dell’onda. Dotati di quattro forme d’onda: sinusoide,
triangolare, quadra e dente di sega, e disponibili contemporaneamente su quattro uscite
separate;
-
unità di comando (driver) 901-a e 921-a, che potevano controllare la frequenza e la
simmetria dell’onda degli oscillatori;
-
filtro 904-a “ladder filter”, di cui abbiamo parlato in precedenza;
-
VCA 902, “voltage controlled amplifier”, in sostanza un amplificatore di ampiezza che può
essere modulato nei casi più comuni da un inviluppo o da un LFO;
-
generatori di inviluppo 911;
-
banco filtri 907;
-
envelope follower 912;
-
sequencer 960.
1.4. “SAN FRANCISCO TAPE MUSIC CENTER” – DON BUCHLA E LA
FILOSOFIA “WEST COAST”
Nella parte opposta del continente, nel frattempo, arrivarono nuove sonorità, ma non dagli ambienti
accademici. Il versante ovest degli Stati Uniti, infatti, stava attraversando una rivoluzione sociale;
San Francisco fu il punto di partenza per un fenomeno detto controcultura, un rifiuto dei valori e
degli ideali della generazione post-bellica. Giovani da tutta America si riunirono in aree come
Height Ashbury, ove trovarono la libertà di sperimentare nuovi stili di vita e nuove droghe, per
amplificare le loro percezioni.
Sperimentazioni avevano luogo anche in campo artistico, specialmente in ambito musicale: nello
specifico, è proprio qui, precisamente a Berkeley, che nacque un sintetizzatore modulare molto
diverso da quello costruito da Robert Moog.
Lo strumento in questione era il prodotto della mente di Don Buchla, un ex-ingegnere della NASA
che aderì alla controcultura della “West Coast” e alla sua comunità di artisti e musicisti. Egli venne
coinvolto dal “San Francisco Tape Music Center”25, un collettivo di compositori, sperimentatori
e avanguardisti, fondato da Ramon Sender e Morton Subotnick. Il motivo per cui questo
25
David Bernstein, The San Francisco Tape Music Center: 1960s Counterculture and the Avant-Garde. 2008
20
aggregato di persone si venne a formare fu di natura essenzialmente economica: nessuno di loro
infatti poteva permettersi la strumentazione completa per costruire uno studio, così i due fondatori
decisero di unire le strumentazioni che possedevano dando vita al movimento della Tape Music.
L’origine del nome Tape Music è riconducibile al fatto che il collettivo si occupava essenzialmente
tutto ciò che poteva essere registrato e riprodotto tramite su
nastro magnetico. Da quel momento un certo numero di
compositori e musicisti vennero a lavorare con questa
strumentazione, generando una vera e propria “fucina di
idee”.
L’avvento del transistor, come già detto in precedenza, fu
un grande passo avanti per il progresso tecnologico, così i
due fondatori della Tape Music, una volta venuti a sapere
della sua messa in commercio, pubblicarono diversi
annunci alla ricerca di un ingegnere che potesse progettare
e costruire un sintetizzatore in base alle loro esigenze. La
Figura 16. Morton Subotnick e Ramon Sender,
ricerca risultò più complicata del previsto, le richieste di
fondatori della "San Francisco Tape Music
Sender e Subotnick erano molto inusuali e in più non
Center"
offrivano un compenso in denaro, ma Buchla si presentò ed
accettò di costruire un sintetizzatore per il loro studio.
“Non voglio far musica come la conosciamo”26
Ciò che Subotnick voleva, era una sorta di “calcolatore analogico” che produceva suoni, con una
precisa caratteristica: l’interfaccia non sarebbe dovuta essere una tastiera cromatica come Moog,
Così nel 1966 Buchla portò a compimento la primissima versione del suo sintetizzatore, un primo
prototipo del futuro a100 modular electronic music system, portando il marchio San Francisco
Tape Music Center Incorporated. L’idea di trasformare il collettivo in un’attività commerciale
fece adirare Subotnick che si rifiutò di aderire alla proposta di produrre e vendere sintetizzatori. Fu
così che Buchla cambio il nome del marchio in “Buchla and Associates”, rendendo di fatto
disponibili i suoi prodotti al di fuori del Tape Center.
I suoni che producevano i Buchla erano qualcosa di assolutamente sconosciuto fino ad allora. La
città di San Francisco fu pervasa da sonorità “spaziali” che subito piacquero al popolo della
controcultura.
26
Morton Subotnik in un’intervista nel film documentario “Dream of Wires” , regia di Robert Fantinatto, 2014.
21
I sintetizzatori Buchla erano costituiti principalmente da tre fattori chiave che li differenziava dai
Moog: oscillatori waveshape, sequencer e particolari superfici di controllo.
Figura 17. Buchla “Series 100 modular electronic music
Figura 18. Don Buchla ed il suo sintetizzatore al Tape
system”
Music Center di San Francisco
Il waveshaping27 consiste nella distorsione non lineare dell’ampiezza di un suono allo scopo di
alterarne la forma d’onda, e quindi il suo contenuto spettrale. Questa tecnica inoltre permette il
controllo continuo dello spettro del segnale per mezzo di un indice, rendendo quindi possibile la
produzione di spettri dinamici mediante la variazione nel tempo dell’indice.
L’oscillatore adottato da Buchla sfruttava appunto questo principio come ricerca sonora verso
timbriche sempre più inusuali. Va sottolineato inoltre che le forme d’onda comunemente utilizzate
in questo processo erano solitamente la sinusoide o l’onda triangolare.
Il sequencer fu un’altra innovazione portata da Don Buchla (e successivamente ripresa da Bob
Moog): il congegno permetteva di mettere in loop una sequenza di un segnale di controllo che
permette di controllare uno o più parametri del sintetizzatore. Anche Bob Moog introdusse il
sequencer nei suoi strumenti, ma applicabile al pitch (altezza sonora) dello strumento, intonato
secondo la scala occidentale, fungendo così da arpeggiatore, oppure alla frequenza di taglio e
all’ampiezza del filtro.
La superficie di controllo del Buchla, come già detto, non si era una semplice tastiera di pianoforte
come nel Moog, ma una piastra metallica sensibile che poteva essere assegnata ad uno o più
controlli. La superficie non reagiva alla pressione, bensì alla quantità di superficie toccata.
27
Charles Dodge and Thomas A. Jersey, Computer Music: Synthesis, Composition, and Performance. Schirmer Books,
1997
22
Figura 19. L'interfaccia di controllo del Buchla "Series 100"
Riassumendo, quali sono le differenze principali tra “East Coast” e “West Coast”?
Secondo la filosofia East-Coast, forme d’onda armonicamente “ricche”, come l’onda a dente di
sega, l’onda quadra, l’onda ad impulso o rumore bianco sono solo un punto di partenza per poi
utilizzare filtri
risonanti per ridurre le armoniche e su cui modulare la risonanza per creare
sfasamenti timbrici, in poche parole l’utilizzo a pieno della sintesi sottrattiva. In più c’è la
questione della superficie di controllo a tastiera cromatica e, di conseguenza, l’intonazione degli
oscillatori secondo la comune scala cromatica occidentale.
In un Buchla (“West Coast)” si trovano oscillatori dotati di waveshaper, e se si vuole creare un
certo interesse armonico in un suono, non si interviene con filtri ma lo si fa modificando nella
forma le forme d’onda semplici, come una sinusoide tramite, per l’appunto, l’utilizzo di
waveshaper. E, al contrario di un Moog, era impossibile tenere intonati gli oscillatori secondo una
scala predefinita, e impossibile da suonare come un comune strumento, in quanto non era concepito
per questo scopo28.
28
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
23
1.5. ANNI ’70: LA NASCITA DI NUOVE CASE COSTRUTTRICI E DEL
MINIMOOG
Dopo aver parlato a lungo degli aspetti in cui differivano i due primi sintetizzatori modulari, è
chiaro che il Moog Modular divenne il più famoso tra i due. Ciò è dovuto al fatto che Moog
sviluppò il suo sistema ascoltando cosa effettivamente la clientela di musicisti professionisti
volesse. Sostanzialmente egli fu in grado di fornire al mercato uno strumento elettronico
relativamente pratico e affidabile, trasformandolo in un vero e proprio brand, tanto da rendere la
parola “Moog” un sinonimo di “sintetizzatore”.
Ma i due vennero ben presto affiancati da altri concorrenti che emersero rapidamente sul mercato
con i propri grandi sistemi modulari.
Nel 1968 l’ingegnere americano Alan Robert Pearlman
fonda la ARP Instruments, presentando, circa due anni
dopo, il suo primo modello di sintetizzatore l’ARP 250029,
strumento
monofonico
dalle
grandi
dimensioni,
equipaggiato con un set di matrici per collegare ulteriori
Figura 20. ARP 2500
moduli ai cavi di serie. Questo primo modello della casa
statunitense non ottenne successo commerciale, poiché ne
furono venduti solamente 100 esemplari.
Anche in Europa si producevano grandi sistemi modulari,
come l’EMS Synthi 10030, costruito dalla casa britannica
Electronic Music Studios. Il sintetizzatore era formato da 12
VCO, due tastiere con controllo di intonazione manuale, uno
Figura 21. EMS Synthi 100
step sequencer a tre tracce e la possibilità di integrare un
piccolo computer chiamato “Computer Synthi” ed il
Vocoder 5000, famoso vocoder prodotto dalla EMS.
In Giappone, invece, fu la Roland a cominciare a produrre
sintetizzatori modulari, come il System 700 ed il suo
successore, il System 100M. I sistemi si rifanno per
Figura 22. Roland System 700
concezione costruttiva al Moog Modular System, i moduli
sono alloggiati in un rack che, oltre a contenerli, gli fornisce
29
http://www.vintagesynth.com/arp/2500.php (14-05-16)
30
http://www.thesynthi.de/data/Synthi_100.pdf (14-05-16)
24
l’alimentazione. Il sintetizzatore è dotato di una tastiera monofonica o con una tastiera semipolifonica a quattro voci.31
I sistemi modulari, comunque, rappresentavano un oggetto praticamente irraggiungibile dai più, e,
pur avendo costi più bassi rispetto ai giganteschi studi di fonologia degli anni ’50 (il Mark II
costava circa 120000 dollari), rimanevano comunque altissimi per quei tempi (basti pensare che un
Moog modular aveva un prezzo che partiva dai 15000 dollari). Ma nel 1971 Moog mise in
commercio uno strumento che sarebbe diventato il modello di riferimento di tutti i sintetizzatori per
molti anni, il Minimoog32: era piccolo, facile da utilizzare e, nonostante fosse ancora abbastanza
costoso, poteva rientrava nelle possibilità di acquisto del musicista professionista.
Il sintetizzatore era completamente connesso internamente e formato da tre oscillatori con sei forme
d’onda ciascuno (triangolare, dente di sega, quadra, sinusoidale, quadra a simmetria variabile,
rampa), un generatore di rumore bianco e rosa, un mixer per miscelare i vari generatori, il famoso
filtro passa-basso transistor ladder (elemento preso dal “fratello maggiore” modulare), un inviluppo
sul filtro e sull’ampiezza ADS (dove il decay regola sia il tempo di decadimento che, mediante un
interruttore, il release), un VCA e il controllo del glide.
Figura 23. Moog Minimoog Model-D
31
http://www.suonoelettronico.com/cap_iiii_2_3_prodinst.htm (14-05-16)
32
T. Pinch e F. Trocco, Analog Days. The Invenction and the Impact of the Moog Synthetizer, Harvard University
Press, 2002
25
L’obbiettivo di Moog, con questo sintetizzatore, fu quello di realizzare uno strumento versatile e
maneggevole, che dava al musicista medio l’accesso alle timbriche ricche e profonde del Moog
Modular ad una frazione del prezzo e del peso.
Il piccolo sintetizzatore però non mancava di difetti: il principale senza dubbio era l’ovvia
diminuzione delle funzioni disponibili rispetto al modulare, che lo rendeva uno strumento molto
limitato; in secondo luogo non era possibile connetterlo con altri sintetizzatori o sequencer, a causa
della caratteristica del trigger input, realizzato con un connettore cinch-jones, che nessun’altro
strumento possedeva.
Il Minimoog Model-D rimase in produzione per circa dieci anni, fino alla cessazione nel 1981, a
causa degli elevati costi di produzione (come già detto, era molto meno costoso di un modulare, ma
rimaneva pur sempre uno strumento abbastanza costoso) e l’avvento del digitale.
Negli stessi anni in cui Moog produsse il Minimoog, la ARP Instruments sostituì il gigantesco 2500
con il suo successore, l’ARP 260033, un sintetizzatore molto più compatto e semi-modulare, cioè
con delle connessioni prestabilite al suo interno, ma con la possibilità di scavalcarle collegando tra
loro degli ingressi esterni accesso al circuito.
Combinato al suo sequencer, era un’alternativa potente, portatile e relativamente economica ad un
sintetizzatore modulare completo. L’ARP 2600 era formato da tre oscillatori con frequenza
variabile da 3Hz a
20kHz,
che
producevano
cinque
forme
d’onda:
triangolare,
quadra,
sinusoidale, rampa, e
quadra
a
simmetria
variabile. Era formato
inoltre da un filtro
passa-basso
con
un
inviluppo ADSR, un
Figura 24. ARP 2600 versione "Blue Marvin"
VCA, un generatore di
rumore, e una tastiera
esterna che, collegandola tramite cablaggio a due oscillatori separatamente, poteva produrre bicordi.
Le caratteristiche che lo resero così celebre nel mondo della musica erano le dimensioni ridotte
combinate alla flessibilità del modulare, in quanto, come già detto in precedenza, la sua connessione
33
http://www.vintagesynth.com/arp/arp.php (14-05-16)
26
interna base (VCO,VCF,VCA) poteva essere modificata tramite il cablaggio che interrompeva la
normale successione dei moduli. In più, era interfacciabile con qualsiasi altro sintetizzatore o
interfaccia, grazie ai suoi processori di voltaggio, con cui si potevano uniformare tutti i tipi di
trigger e di tensioni.
1.6. LA NASCITA DEL DIGITALE E DELLA POLIFONIA
Verso la fine degli anni ’70, l’intera industria dei sintetizzatori si concentrò verso il raggiungimento
di un altro traguardo tecnologico: la polifonia.
I primi a raggiungere questo risultato furono le cosiddette “string machines”, strumenti creati per
emulare il suono della sezione degli archi, e costituite da una tastiera polifonica il cui suono veniva
generato da due oscillatori con forma d’onda a dente di sega lievemente scordati tra loro, il modo da
produrre i battimenti generati da un insieme di archi. Una delle più popolari string machines fu la
Solina, o meglio conosciuta come ARP String Ensemble.
Ma il problema principale era che, in un sintetizzatore polifonico, il numero degli elementi base per
la sintesi del suono deve essere moltiplicato per il numero delle voci eseguibili
contemporaneamente sullo strumento; in poche parole se un sintetizzatore monofonico possiede, ad
esempio, un VCO, un VCF, e un VCA, un sintetizzatore polifonico a otto voci dovrà possedere
minimo otto VCO, otto VCF, e otto VCA, rendendo molto difficile le modifiche sul suono con cui
si vuole suonare.34
Fu così che vennero introdotte delle tecnologie digitali negli strumenti musicali, rendendo possibile
la costruzione di sintetizzatori programmabili e dotati di memoria. Tra i sintetizzatori più famosi
nati con questa nuova tecnologia ricordiamo:
-
Moog Polymoog35: sintetizzatore analogico polifonico con otto memorie modificabili. Era
costituito da
2 oscillatori, 3 LFO, filtro passa-basso e passa-alto, due inviluppi,
equalizzatore a tre bande e tastiera a 71 tasti.
-
Yamaha CS8036: sintetizzatore analogico a otto voci, con due VCO per voce, due VCF due
ADSR e da due generatori di rumore. La tastiera era di 61 tasti e dotata di velocity e aftertouch. La memoria digitale era dotata di 28 preset. Il peso si aggirava attorno ai 100 kg.
34
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
35
http://www.vintagesynth.com/moog/polymoog.php (15-05-16)
36
http://www.vintagesynth.com/yamaha/cs80.php (15-05-16)
27
-
Korg PS 3100, PS3200, PS3300 37 : sintetizzatori analogici polifonici modulari, con
possibilità di richiamare 16 memorie contenenti timbri diversi.
Figura 25. Yamaha CS-80
Pochi anni più tardi, con la nascita del microprocessore e l’immediato utilizzo nel campo dei
sintetizzatori, sarà possibile programmare e memorizzare tutti i parametri presenti sui pannelli dei
nuovi strumenti polifonici. Gli oscillatori ora vengono controllati digitalmente, non più tramite
controllo di voltaggio, e si chiameranno quindi non più VCO ma DCO (Digital Controlled
Oscillator), pur mantenendo la generazione dell’onda di tipo analogico.
Tra questi citiamo:
-
Roland Jupiter 8
38
: sintetizzatore otto voci con 64 memorie completamente
programmabile, sedici oscillatori (due per voce), un filtro multimodo (utilizzabile a scelta
come passa-basso o passa-alto), un LFO e due inviluppi, uno per il filtro ed uno per
l’ampiezza generale.
Figura 26. Roland Jupiter-8
37
http://www.suonoelettronico.com/cap_iiii_2_3_prodinst.htm (16-05-16)
38
http://www.vintagesynth.com/roland/jup8.php (16-05-16)
28
-
Moog Memorymoog 39 : sintetizzatore a sei voci con 100 memorie. Comprendeva tre
oscillatori, un generatore di rumore rosa digitale e un filtro passa-basso 24dB per ogni
singola voce.
-
Korg Polysix40: uno dei primi sintetizzatori a bassissimo costo (attorno ai 1000 dollari
contro i 5000 dei concorrenti). Sintetizzatore a sei voci con 32 programmi e comprendente
sei oscillatori (uno per voce), un filtro passa-basso e un inviluppo d’ampiezza
-
Oberheim OB-Xa41: sintetizzatore a otto voci con fino a 120 memorie, comprendente di
due oscillatori per voce, due inviluppi (uno per il filtro, l’altro per l’ampiezza), un LFO ed
un filtro passa-basso (commutabile da 12 a 24dB)
-
Sequential Circuit Prophet 5 42 : sintetizzatore a cinque voci con 40 memorie,
comprendente due oscillatori per voce, un LFO, un filtro passa-basso risonante a quattro
poli, e poly-mod (modulazione di frequenza “FM”).
1.7. PROTOCOLLO MIDI, I SINTETIZZATORI DIGITALI E LE “MUSIC
WORKSTATION”
Gli anni ’80 furono senza dubbio un periodo di profondi cambiamenti nella musica, ma anche negli
strumenti musicali elettronici, grazie ad una serie di piccole rivoluzioni tecniche.
Una svolta storica per il mondo degli strumenti musicali elettronici fu nel 1983 al NAMM43
(National Assotiation of Music Merchants), una delle più importanti fiere dedicate ai prodotti
musicali al mondo, insieme al Musikmesse di Francoforte sul Meno. In quella edizione fu
presentata una nuova tecnologia, creata in risposta ad una esigenza di far comunicare tra loro
diversi strumenti musicali elettronici di diversa tipologia o marca: il protocollo MIDI44 (Musical
Instrument Digital Interface).
L’idea nacque un paio di anni prima presso la fabbrica della Sequential Circuit, ad opera dei due
progettisti Dave Smith e Chet Wood, che progettarono un prototipo con relative specifiche
contenute del documento “The Complete SCI MIDI”. Diversi costruttori, come Oberheim e Roland,
39
http://www.vintagesynth.com/moog/memory.php (17-05-16)
40
http://www.synthmuseum.com/korg/korpolysix01.html (17-05-16)
41
http://www.vintagesynth.com/oberheim/obxa.php (17-05-16)
42
http://www.vintagesynth.com/sci/p5.php (17-05-16)
43
https://www.namm.org/ (17-05-16)
44
Peter Manning, Electronic and Computer Music. Oxford University Press, 1985.
29
avevano già introdotto nei propri prodotti soluzioni simili di interfacciamento, ma basate su
protocolli propri, e quindi interfacciabili solo con strumenti della stessa casa costruttrice. Il
protocollo Smith e Wood invece si presentava come un sistema in grado di garantire il
funzionamento su strumenti di costruttori diversi. Per garantirne la compatibilità, ogni produttore di
sintetizzatori fu invitato ad aderire al progetto, procedendo alla stesura delle specifiche MIDI. Dopo
varie divergenze tra i produttori americani e giapponesi, nel 1985 la IMA (International MIDI
Association) pubblicò la versione 1.0 delle specifiche MIDI, definendo lo standard del protocollo.
Il primo sintetizzatore dotato di interfaccia MIDI fu il Prophet 60045 della Sequential Circuit,
prodotto a partire dal 1982, molto simile per caratteristiche al Prophet 5 (di cui sopra abbiamo
trattato), ma con sei voci di polifonia (contro le cinque), uno step-sequencer e arpeggiatore e, per
l’appunto, questa nuova tecnologia appena nata.
Uno degli strumenti che ebbero per primi in dotazione l’interfaccia MIDI fu un vero e proprio
simbolo degli anni ’80: Yamaha DX-746.
Figura 27. Yamaha DX-7
Fu il primo sintetizzatore interamente digitale ad aver avuto successo, un enorme successo a dire il
vero, ne produssero oltre 200.000 unità, rimanendo tutt’oggi uno dei sintetizzatori più venduti della
storia.
Prodotto dalla casa giapponese Yamaha dal 1983 al 1989, il suono del DX-7 fu uno dei tratti
distintivi di molta musica negli anni ’80, soprattutto nell’ambito della “pop music”; come non citare
suoni come il “DX7 Rhodes”, emulazione del famoso piano elettrico Fender Rhodes, o “DX7
Marimba” e le emulazioni di basso, presenti in decine di successi di quegli anni, come “Take on
me” degli A-ha o “Relax” dei Frankie Goes To Hollywood.
45
http://www.vintagesynth.com/sci/p600.php (18-05-16)
46
http://www.vintagesynth.com/yamaha/dx7.php (18-05-16)
30
Il motivo di tutto questo successo va cercato nelle necessità di molti musicisti di avere suoni “pronti
all’uso” (cioè senza eccessivo bisogno di programmare il sintetizzatore) in un prodotto compatto ed
economico. Un altro motivo fu che, poiché venne usato nella musica commerciale e di conseguenza
in molti successi nella musica “pop” e “rock”, molti musicisti vennero spinti ad acquistarlo per
avere quel determinato suono che avevano sentito alla radio o in televisione.47
Il metodo di sintesi del DX-7 si basava quasi interamente sulla “modulazione di frequenza”, detta
“sintesi FM”, tecnica scoperta e sviluppata dal ricercatore e compositore John Chowning, nel 1967
presso l’università di Stanford, in California.48
Il motore di sintesi era formato da sei operatori (in altre parole degli oscillatori virtuali) sinusoidali
per voce, producendo suoni tramite modulazione lineare di frequenza e sintesi additiva. Il sistema
non possedeva filtri di alcun tipo, ma incorporava un inviluppo sul “pitch” (altezza sonora) e sei
generatori di ampiezza per voce. La polifonia arrivava a sedici voci.
Il pannello di controllo consisteva in un singolo cursore per l’immissione di dati, ciò significava
che, per l’utente medio, creare le proprie patch sarebbe stata una vera e propria impresa. Per questo
motivo lo strumento era fornito di 32 preset pre-programmati, che raramente venivano modificati.
Strumenti come questo e le “music workstation” sancirono una volta per tutte la “morte
dell’analogico”. Come appena detto, un
altro strumento che fece sì che gli
strumenti analogici come i grossi Moog o
Buchla tornassero ad occupare solo le
aule delle accademie e non più gli studi
dei musicisti, furono le cosiddette “music
workstation”. Nate alla fine degli anni
’70, si affermarono nel mercato mondiale
già nei primi anni ’80. Le prime
workstation furono il Synclavier
49
,
prodotto dalla New England Digital dal
1977, ed il Fairlight CMI50 (dove CMI
Figura 27. Fairlight CMI, una delle prime "music workstation" della
sta per “Computer Musical Instrument),
storia
47
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
48
John Chowning, David Bristow, "FM Theory & Applications - By Musicians For Musicians", Tokyo, Yamaha, 1986
49
http://web.archive.org/web/20091012182849/http://digitalmusics.dartmouth.edu/?page_id=7 (18-05-16)
50
Vail, Mark, Keyboard Magazine Presents Vintage Synthesizers: Pioneering Designers, Groundbreaking Instruments,
Collecting Tips, Mutants of Technology. Backbeat Books. 2000
31
lanciato nel 1979. Questi strumenti utilizzavano per lo più sintesi additiva digitale (elaborata,
quindi, per mezzo di algoritmi di un computer) e il campionamento, tecnica che consiste nel
convertire un segnale audio continuo nel tempo in un segnale discreto, che viene successivamente
quantizzato e trasformato in una stringa digitale, vale a dire in un codice binario.
I campioni (samples) avevano un frequenza di campionamento pari a 24kHz, e venivano caricati
nella workstation per mezzo di floppy disc da otto pollici con una memoria di 500 kilobyte. Ogni
floppy poteva contenere circa ventidue campioni. I suoni più utilizzati con questi apparecchi erano
campioni di strumenti orchestrali.
Negli anni ’80, come già anticipato, ci fu una vera e propria espansione di questa tipologia di
strumenti. Tantissime aziende, che prima costruivano sintetizzatori analogici, si concentrarono sulla
progettazione e produzione di queste nuove macchine totalmente digitali, come l’americana E-mu
Systems, che produsse il famoso E-mu Emulator; ma furono le case produttrici giapponesi come
Figura 28. Korg M1, una delle "music workstation" più vendute della storia
Korg, Yamaha, Roland ad occupare la fetta più grossa del mercato delle workstation, fornendo
prodotti sempre più compatti ed economici, grazie ai minori costi di produzione. Una delle più
conosciute e vendute music workstation della storia fu infatti la Korg M151, strumento a sedici voci
con generatore sonoro a campioni, il cui suono poteva essere modificato tramite un filtro digitale
non risonante, tre inviluppi ADSR e vari effetti, come riverbero, delay, overdrive, equalizzatore,
chorus e flanger. I preset erano organizzati secondo le specifiche General MIDI52, uno standard di
organizzazione dei suoi secondo un ordine predefinito che doveva essere rispettato da tutte le case
costruttrici che aderivano.
Nel corso dei sei anni della sua produzione (dal 1988-89 fino al 1994-95), vennero venduti più di
250000 esemplari di Korg M1, sostituito poi dal Korg Trinity e a sua volta dal famoso Korg Triton.
51
http://www.vintagesynth.com/korg/m1.php (19-05-16)
52
Enrico Paita, Computer e musica, manuale completo, Jackson Libri, 1997
32
1.8. GLI ANNI ’90: LA NASCITA DELLE DIGITAL AUDIO
WORKSTATION E DEL SINTETIZZATORE “VIRTUAL ANALOG”
I sintetizzatori digitali furono senza dubbio, per quanto riguarda gli strumenti musicali elettronici, i
protagonisti per quasi tutti gli anni ’80 e gran parte dei ’90, salvo una piccola parentesi con l’acid
house53, genere musicale nato verso la fine degli anni ’80 a
Chicago, che fece riscoprire ai giovani produttori del
tempo i vecchi sintetizzatori e drum machine analogiche,
introducendo per la prima volta nel mondo degli strumenti
musicali elettronici la parola “vintage”. In questo genere
musicale venivano utilizzati strumenti come TR-808
Rhythm Composer o TB-303 Bass Line della Roland
(tutt’ora usate o emulate per la produzione di musica
elettronica), piccoli sintetizzatori prodotti nei primi anni
‘80 dotati di un sequencer incorporato, capace quindi di
produrre pattern ritmici (come nel caso del TR-808) o vere
Figure 29 e 30. Roland TR-808 e TB-303
e proprie linee di basso (come nel caso del TB-303).
Negli stessi anni, parallelamente, un nuovo approccio andò via via affermandosi nel mondo della
produzione musicale, fino ai giorni nostri, dove ha sostituito i vecchi nastri multitraccia negli studi
di registrazione, e permette a chiunque di produrre musica di ogni tipo con il solo ausilio di un
personal computer: stiamo parlando di Digital Audio
Workstation, o più semplicemente chiamata DAW54. Si
tratta in sostanza di una serie di strumenti hardware e
software per la produzione musicale, vale a dire un
software comunemente detto “editor audio”, un computer
e una scheda audio. L’idea è nata alla fine degli anni ’70
Figura 31. Digidesign Sound Tools
dall’azienda Soundstream, che costruì quella che si
potrebbe considerare una delle primissime DAW; ma bisognerà aspettare la fine degli anni ’80 per
veder comparire i primi programmi che possono avvalersi del titolo di editor audio. Ciò avvenne
grazie al progresso in campo informatico: prima di allora, infatti, i computer erano troppo poco
potenti per gestire un programma che necessitava di molta potenza e memoria. Le prime DAW
53
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
54
Enrico Paita, Computer e musica, manuale completo, Jackson Libri, 1997
33
furono progettate da Digidesign, che introdusse dapprima “Sound Tools” e, successivamente, le
versioni “Sound Designer” e “Sound Designer II”, costituite da un DSP e da un editor per
l’elaborazione audio.
Nel 1996 l’azienda tedesca Steinberg (nata nel 1989) lanciò Cubase Audio, il primo dei loro
prodotti ad avere la possibilità di registrare campioni audio, fino ad allora infatti era possibile solo
registrare via MIDI. Ma fu solo con la pubblicazione di Cubase VST, che nacque un editor potente,
capace di registrare e riprodurre fino a 32 tracce audio e MIDI su un Apple Macintosh, e senza
l’ausilio di un DSP (processore digitale del segnale) esterno.
Un anno dopo, nel 1997, Steinberg ideò uno standard di
plug-ins musicali, chiamati VST
55
(Virtual Studio
Technology), cioè dei componenti aggiuntivi che,
utilizzati in un programma di produzione audio,
permettono di aggiungere effetti o generare suoni tramite
veri e propri sintetizzatori virtuali.
Il VST quindi rappresenta, soprattutto oggi, una
Figura 32. Un esempio di diversi VST
soluzione economica e potente, avendo tutte le
caratteristiche del sintetizzatore (o del processore di
segnale) hardware, ma racchiuso nel proprio computer e ad un prezzo solitamente molto inferiore.
In più possono essere suonati con una tastiera MIDI, con un sequencer virtuale, proprio come un
sintetizzatore normale, oppure scrivendo una partitura MIDI all’interno dell’editor stesso.
Oggi tra i vari VST si possono trovare migliaia di sintetizzatori e processori di segnale di qualità
sonora altissima, comprese fedeli emulazioni dei sintetizzatori analogici che hanno fatto la storia
degli strumenti elettronici, con la possibilità quindi di avere il suono, ad esempio di un Moog
Modular, all’interno del proprio computer senza l’enorme dispendio in termini di denaro e spazio.
Ovviamente, al giorno d’oggi, non mancano i “puristi” dell’hardware, che sostengono che il suono
che esce da una macchina sia in ogni caso di qualità migliore rispetto ad un VST.
Gli anni ’90 furono un periodo di sviluppo di nuove tecnologie audio, non sono nei sistemi legati
prettamente ai computer, come le Digital Audio Workstation, ma anche nel campo dei
sintetizzatori. Nel 1994, un’azienda svedese di nome Clavia56 progettò e mise in commercio una
tipologia di macchine del tutto nuova,
che prometteva di coniugare le caratteristiche dei
sintetizzatori analogici con la comodità e praticità di quelli digitali tramite la sintesi a modelli fisici:
55
Martin Russ, Sound Synthesis and Sampling. Focal Press, 2008
56
http://www.nordkeyboards.com/about-us/company-history (19-05-16)
34
i “sintetizzatori virtual analog”. Il primo modello della casa scandinava, chiamato Nord Lead57,
era uno strumento dall’architettura relativamente semplice: due oscillatori in grado di operare
modulazione di frequenza e dotati di onda triangolare, rampa e quadra (con la possibilità di
Figura 33. Clavia Nord Lead, il primo sintetizzatore virtual analog della storia
modificare la simmetria dell’onda quadra trasformandola in impulso), un LFO con onda triangolare,
rampa e S&H (sample and hold), un LFO che poteva essere convertito in arpeggiatore, un filtro
digitale multimodo (passa-basso con frequenza di taglio di 12 o 24dB, e passa-alto a 24dB ), due
inviluppi ADSR rispettivamente per l’ampiezza e il filtro, e un inviluppo A/D assegnabile a vari
parametri selezionabili tramite un tasto selezionatore.
La polifonia era a quattro voci, con la possibilità di metterle in unisono oppure di sfruttare il
sintetizzatore in modalità monofonica (legato). La macchina inoltre era dotata di tastiera a 49 tasti
con key velocity, una piccola memoria con 99 preset editabili, pitch bend e mod wheel.
La Nord Lead fu uno strumento assolutamente rivoluzionario sotto vari aspetti: prima di tutto, come
già anticipato, grazie alla tecnologia “analogico virtuale”, abbiamo il carattere e il “calore” degli
strumenti analogici (anche se è solo un’emulazione di queste caratteristiche) racchiusi in un
sintetizzatore completamente digitale; in secondo luogo, con questa macchina c’è un ritorno alla
sperimentazione delle timbriche e delle sonorità, grazie alla reintroduzione di tasti e potenziometri
per la modifica dei parametri dello strumento, scomparsi negli anni ’80 e sostituiti da un unico
cursore.
Dopo Clavia, altre case costruttrici volsero i propri interessi verso la tecnologia dell’analogico
virtuale, tra le quali, come non citare l’azienda tedesca Access Music GmbH58, che costruì il
57
http://www.vintagesynth.com/clavia/nord.php (20-05-16)
58
https://de.wikipedia.org/wiki/Access_Music_Electronics (20-05-16)
35
famoso Virus59, oggi giunto alla quinta versione, chiamata Ti2, e preceduta dalle serie “A”, “B”,
“C” e “Ti”. Questo sintetizzatore rappresenta al giorno d’oggi un vero e proprio standard, data la
sua incredibile flessibilità, il che lo rende lo strumento perfetto per tantissimi generi musicali,
soprattutto per quanto concerne la “dance music” in ogni sua forma. L’attuale versione è una
macchina dalle incredibili prestazioni in termini di elaborazione, con i suoi nove oscillatori, che
dispongono di centinaia di forme d’onda diverse, 110 voci di polifonia, un intero rack di effetti e la
possibilità di assegnare i vari modulatori come LFO o inviluppi a qualsiasi parametro della
macchina. Per facilitare la modifica dei parametri, inoltre, dispone di un software editor costruito
con la tecnologia VST, che permette così di utilizzare il sintetizzatore come fosse uno strumento
virtuale.
Figura 34. Access Virus Ti2, qui nella versione “desktop” senza tastiera e con solo il modulo di sintesi
La tecnologia virtual analog, come già detto, emula fedelmente le caratteristiche timbriche delle
macchine analogiche, riuscendo ad ottenere un risultato molto vicino allo strumento reale, ma
rimarrà pur sempre un’emulazione, quindi non potrà mai eguagliare appieno il suono, le
caratteristiche e la particolare timbrica di un vero sintetizzatore analogico. C’è poi un discorso di
“personalità”: ogni macchina differisce da un’altra per circuitazione o per componenti di base
utilizzati, è proprio per questo che un Moog non potrà mai suonare uguale ad un Buchla, o ad un
ARP, proprio perché costruiti in maniera diversa da costruttori diversi. Le differenze ovviamente
non sono enormi, ma comunque tangibili, e le si possono notare già solo ascoltando attentamente il
suono che esce dal solo oscillatore, senza filtraggi o modulazioni.
Proprio per questi motivi che i sintetizzatori analogici sono tutt’ora prodotti ed apprezzatissimi dai
musicisti, proprio perché, acquistando un prodotto piuttosto che altri, si sceglie uno stile, un
carattere fondamentale, che solo quel modello offre.
59
http://www.virus.info/virusti/overview (20-05-16)
36
1.9. IL SINTETIZZATORE AI GIORNI NOSTRI, IL RITORNO
DELL’ANALOGICO E LA NASCITA DELL’EURORACK
Nella seconda metà degli anni ’90, un gruppo di appassionati di macchine analogiche, vollero
riproporre strumenti modulari ispirati ai sintetizzatori degli anni ‘60/’70. Il lavoro di Moog fu senza
dubbio rivoluzionario, e fece sicuramente del suo meglio con le tecnologie che aveva a disposizione
alla fine degli anni ’60, ma questi nuovi ingegneri e costruttore si promisero di costruire sistemi su
quella base ma con componenti tecnologicamente avanzati ed elettroniche all’avanguardia. La
prima persona ad aver riportato in vita la filosofia modulare fu Bruce Duncan, fondatore di
Modcan 60 , che offrì il primo
sistema modulare completo e
completamente nuovo nel suo
design. I suoi sistemi nacquero
dapprima come un hobby, ma già
verso la metà degli anni ’90 Bruce
cominciò a vendere i moduli
meglio
riusciti
dalle
sue
progettazioni attraverso un sito
Figura 35. Bruce Duncan ed il suo sintetizzatore
web, ottenendo già da subito un
discreto successo, rimanendo pur sempre in un mercato di nicchia. La Modcan può essere
considerata la prima nuova compagnia produttrice di sintetizzatori modulari, ma non rimase sola a
lungo. Presto Paul Schreiber, fondatore di Synthesis Technology, cominciò a progettare nuovi
moduli, con l’idea di costruire sistemi pensando ad implementare il sistema modulare di Bob Moog.
I primi moduli prodotti furono un semplice alimentatore ed un generatore di rumore, messi in
vendita all’inizio del 1998 attraverso il suo sito internet.
Nello stesso anno Roger Arrick lanciò il suo sito web “synthesizers.com”, offrendo sistemi
modulari emulazioni del Moog Modular,
permettendo di avere lo stesso aspetto e le stesse
funzionalità del mitico sintetizzatore, ma senza il costo elevatissimo e la continua manutenzione che
necessitava. Il boom dei modulari full-size negli ultimi anni ’90 fu un fenomeno di grande impatto
per le persone che desideravano uno strumento simile a quello che suonava Keith Emerson, ma, a
differenza degli anni ’70, questo era dotato di componenti nuovissimi e all’avanguardia.61
60
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
61
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
37
Dopo questo excursus, arriviamo finalmente ai giorni nostri, al XXI secolo, secolo di rinascite,
come il ritorno di Bob Moog nella produzione di sintetizzatori: egli infatti fu obbligato a lasciare,
nel 1977, la propria compagnia, la Moog Music, a causa di una cattiva gestione generale
dell’azienda e delle risorse di marketing. L’azienda successivamente venne portata alla bancarotta
nel 1986, liquidata e cessò definitivamente di esistere nel 1993.
Nel 2002, dopo una battaglia legale con
Don Martin, colui che ai tempi assunse i
diritti sul nome Moog Music, Robert Moog
ne riacquistò i pieni diritti e rilanciò
appieno il marchio in tutto il mondo. Il
prodotto che segnò la rinascita dell’azienda
Figura 36. Moog Minimoog Voyager
di Asheville fu il nuovo modello di
Minimoog, chiamato Minimoog Voyager,
basato sugli stessi principi costruttivi della vecchia versione, ma con l’aggiunta di moderne
soluzioni per quanto concerne la superficie di controllo (tastiera MIDI) e la gestione dei preset.
Questo è da considerarsi l’ultimo vero sintetizzatore progettato da Bob Moog, prima della sua
morte, il 24 agosto 2005 ad Asheville.62
La Moog Music, invece, è tutt’ora attiva e ha prodotto molte nuove macchine dopo la morte del suo
fondatore, rimanendo, come un tempo, un marchio simbolo di qualità.
Verso la metà degli anni 2000, molti
musicisti
elettronici
cominciarono
ad
utilizzare una macchina che normalmente
veniva usata per tutt’altro: il personal
computer. Le prime DAW, come già detto
nacquero verso la fine degli anni ’80, e
dalla metà degli anni ’90, con Cubase
VST, si poteva avere un editor audio che
funzionasse senza l’ausilio di DSP esterni,
Figura 37. Ableton Live, una moderna Digital Audio Workstation per
la produzione musicale.
ma le prestazioni in termini qualitativi
erano ancora troppo al di sotto degli
strumenti classici per la produzione e la registrazione audio. Fu proprio in questo periodo dove le
nuove tecnologie e l’evoluzione esponenziale degli editor fanno si che si prendesse piena coscienza
62
https://en.wikipedia.org/wiki/Moog_Music (21-05-16)
38
delle potenzialità delle DAW e dei soft-synths, letteralmente Software Synthesizers, e del loro
impiego nella produzione musicale.
Questo setup per la produzione audio (computer ed i vari software) da la possibilità all’utente di
avere qualsiasi strumento di cui necessiti per la produzione audio in un singolo “contenitore”, in più
all’interno delle nuove DAW sono presenti già al suo interno vari sintetizzatori, effetti e processori
di segnale (come equalizzatori o compressori), permettendo quindi di avere tutto il necessario con
l’acquisto di un singolo prodotto.
Questa nuova tecnologia sembrava dovesse sancire la fine dell’era del sintetizzatore tradizionale,
soprattutto per quanto riguarda la fascia di utenza dei più giovani musicisti e produttori, ma un
nuovo formato hardware avrebbe introdotto un approccio diverso ai sintetizzatori modulari, un
modo per diffonderli tra le masse. Nel 2004 il
tedesco Dieter Doepfer sviluppò un nuovo
formato per i sintetizzatori modulari, oggi
conosciuto come Eurorack63. Anziché utilizzare
lo standard Moog di cinque unità verticali in
altezza ne usò solo tre, rendendo il sistema
molto più compatto. La sensazionale svolta che
avvenne poi, nel giro di pochi anni, fu che altri
Figura 38. Dieter Doepfer con il suo sistema modulare
Eurorack
produttori di moduli cominciarono a progettarli
secondo le specifiche dello standard Eurorack,
che comprendeva il formato di tre unità,
connettori PCB per l’alimentazione dei moduli a 12 o 5 volt, e connettori jack mono da 3.5
millimetri (mini-jack) per i collegamenti tra moduli (patch).
Grazie all’adesione di molte aziende al formato Eurorack, oggi è possibile scegliere tra centinaia di
moduli, permettendo all’utente una vastissima scelta di modelli, dalle emulazioni di sintetizzatori
“vintage” a soluzioni più sofisticate e particolari (moduli che diventano veri e propri computer o
altri, ad esempio, che sfruttano vecchie tecnologie come le valvole al posto dei transistor); ed è
proprio questa la forza di questo nuovo fenomeno: basta comprare un “case” (contenitore dove
poter alloggiare i moduli) e riempirlo di tutti i moduli desiderati. Con questo sistema il proprio
sintetizzatore è in completa evoluzione, basta comprare un altro modulo per cambiare totalmente la
tipologia di suono che produce, o addirittura l’approccio che si ha sullo strumento. La crescente
presenza di concorrenti quindi ha solo un effetto positivo, in quanto accresce la varietà di moduli
disponibili sul mercato e, di conseguenza, ne alimenta l’espansione del fenomeno Eurorack.
63
http://www.doepfer.de/home.htm (21-05-16)
39
In questi anni, mentre questi sistemi stavano prendendo velocemente piede, Don Buchla mise sul
mercato il suo sistema 200e, basato sulla serie 200 degli anni ’70, ma con un formato simile a
quello in voga, più compatto e funzionale. Tutti i moduli infatti svolgono più funzioni (un modulo
oscillatore si trasforma in un doppio oscillatore, un filtro in un doppio filtro) per far sì che si
ottengano più funzionalità possibili in un contenitore il più compatto possibile. Questo approccio di
Buchla influenzò anche molti produttori di moduli Eurorack: sono infatti moltissimi oggi quelli che
emulano i suoi prodotti, portando le funzioni e caratteristiche dei suoi sintetizzatori nel nuovo
formato creato da Doepfer.
Figura 39. Un moderno sistema modulare in formato Eurorack
Il sintetizzatore modulare senza dubbio stava affrontando un ritorno sulla scena, ma per la prima
decade degli anni 2000 rimase un oggetto per un mercato di nicchia, è solo in questi ultimi anni che
hanno cominciato a lambire la scena “mainstream”.
La rinascita del modulare in tempi moderni crebbe inizialmente a partire dal desiderio di vecchi
appassionati di possedere quella macchina dei sogni un tempo inottenibile. Poi lo standard
Eurorack introdusse un gruppo di utenti del tutto nuovo, una generazione cresciuta con laptop e
40
strumenti digitali, che cercava qualcosa di nuovo e che ironicamente trovò in qualcosa un tempo
ritenuto obsoleto.64
Concludendo: oggi il musicista, il produttore, o il semplice appassionato, hanno a loro disposizione
una vastissima scelta di strumenti elettronici musicali, tra sintetizzatori analogici di nuova e vecchia
generazione, virtual analog, digitali, modulari, soft-synth ecc., di tutte le tipologie di prezzo, dai più
economici ai più costosi per i più esigenti, rendendo finalmente questo strumento e questo mondo
alla portata di tutti.
64
Film documentario I Dream Of Wires, regia di Robert Fantinatto, 2014
41
CAPITOLO II
42
2. PERFORMANCE LIVE ELECTRONICS
Dopo aver affrontato la storia del sintetizzatore, andiamo ora a descrivere la struttura della
performance improvvisativa, e com’è nata questa idea di una collaborazione tra me e il mio collega
ed amico Alessandro Arban.
La scelta di un argomento, da portare come capitolo finale del mio percorso di studi, coincide con le
mie più grandi passioni: la musica elettronica e gli strumenti elettronici per la sintesi del suono.
Grazie a ciò, cominciai a collezionare sintetizzatori di varie tipologie (analogico, digitale, virtual
analog), fino a tre anni fa, quando scoprii il mondo degli Eurorack65, acquistandone diversi moduli.
La filosofia del sintetizzatore modulare, come abbiamo già visto, non è una soluzione comune a
tutti nella musica d’oggi, spinge l’esecutore ad esplorare la macchina, cosciente dell’incredibile
vastità di combinazioni di cablaggio disponibili e, quindi, di grandissima flessibilità.
2.1. INIZI E PRIMI SVILUPPI
Il mio cammino verso la riuscita di questo progetto cominciò più di un anno fa quando, una volta
completati tutti gli esami dei corsi, cominciai a maturare l’idea di sfruttare i miei sintetizzatori per
la prova finale ed integrare l’ambiente di programmazione Max 66 come frutto delle nozioni
imparate in conservatorio. Il concetto base era la modularità, cioè utilizzare il mio sistema modulare
con Max che fungeva da modulo virtuale aggiuntivo per l’elaborazione del segnale. Più tardi questo
concetto venne esteso a tutti gli aspetti della performance, arrivando a toccare anche lo scheletro
dell’esibizione stessa.
Dopo poco tempo, il mio collega Alessandro Arban mi propose di collaborare al suo progetto,
basato sull’improvvisazione tramite strumenti concreti e live-electronics. L’idea mi coinvolse
subito, questa occasione infatti poteva essere un modo di arricchire la mia esibizione con ulteriori
timbriche ed aprire una sorta di dialogo musicale tra il sintetizzatore e gli strumenti “tradizionali”,
senza uscire dalla mia idea originaria: egli infatti poteva essere considerato come un altro modulo
aggiuntivo da utilizzare nella mia performance.
65
http://www.soundonsound.com/reviews/secret-world-modular-synthesizers (25-05-16)
66
https://cycling74.com/products/max/#.V9L5vrWSUgs (25-05-16)
43
Nei nostri primi incontri, ci fu una sperimentazione reciproca dei materiali a nostra disposizione:
costruimmo un semplice programma di elaborazione del segnale tramite Max, comprendente un
“granulatore” ed un “harmonizer”, io portai solamente il mio sintetizzatore modulare (integrato poi
con una macchina virtual analog), mentre Alessandro utilizzava piccoli strumenti musicali o
comuni oggetti presenti a casa sua, insomma qualsiasi cosa che potesse incuriosirlo e stimolarlo
timbricamente; le primissime prove furono ovviamente dei semplici test per verificare se il progetto
sarebbe stato fattibile.
In questo periodo, le mie prime patch col sintetizzatore erano sostanzialmente delle linee melodiche
prodotte utilizzando il sistema modulare con un arpeggiatore/sequencer. Il risultato prodotto non mi
convinse affatto, la melodia risultava banale e le timbriche erano troppo “statiche”, in più le
gestualità ed i suoni prodotti da entrambi risultavano distaccate tra loro; fu così che cominciammo
ad elaborare varie ipotesi su come amalgamare i nostri strumenti atte a formare una performance
più organica.
La ricerca di un dialogo più fitto tra le due parti trova compimento dopo poco tempo: il mio collega
selezionò una serie di strumenti tradizionali secondo la classificazione “Hornbostel-Sachs67”, un
metodo di classificazione del 1914 che divide tutti gli strumenti musicali in quattro categorie:
idiofoni, membranofoni, cordofoni ed aerofoni, corrispondenti rispettivamente a strumenti metallici
(come un glockenspiel o un gong), strumenti a membrana (percussioni come djembe o timpano),
strumenti a corda (come una chitarra o un violino) e strumenti a fiato (come una tromba o un
didgeridoo). Come si può facilmente notare, gli strumenti elettronici non erano compresi nella
classificazione del tempo, il Theremin sarebbe stato inventato tre anni dopo, ed il Telharmonium,
unico strumento elettronico ai tempi, non fu quello che potremmo definire un successo
nell’ambiente musicale; dovremo aspettare fino al 1937, quando il “Galpin Society Journal”
modifica il precedente articolo includendo una quinta categoria: gli elettrofoni, cioè qualsiasi
strumento musicale che genera suono tramite l’elettricità.
Alla luce di questa classificazione, gli strumenti definitivi scelti da Alessandro per la performance
sono: un armonica a bocca (aerofoni), un glockenspiel (idiofoni), uno djembe e una darabouka
(membranofoni), e un ukulele (cordofoni). Il segnale degli strumenti acustici viene catturato ed
inviato al DSP (processore di segnale) grazie ad un microfono a condensatore cardioide ed un
microfono a contatto, quest’ultimo utilizzato solo per il microfonaggio dell’ukulele.
Tutti strumenti di piccole dimensioni, selezionati in modo da permettere all’elaboratore del segnale
(Max) ed ai sintetizzatori di espandere il loro contenuto spettrale: il mio contributo quindi sarebbe
67
La classificazione Hornbostel-Sachs è stata pubblicata per la prima volta nel 1914, all’interno della Zeitschrift für
Ethnologie. Successivamente, ne è stata pubblicata una traduzione in inglese dal Galpin Society Journal, nel 1961.
44
servito a completare la lista delle categorie strumentali, inserendo i sintetizzatori (elettrofoni)
all’interno del suo sistema, e di arricchire le timbriche base degli strumenti acustici.
La performance cominciava a prendere velocemente forma, le lunghe sessioni d’improvvisazione
permettevano di affinare sempre più il dialogo tra le due parti, in più campionavamo ogni sessione
e, successivamente, ne analizzavamo il contenuto con ascolti meticolosi. Questo metodo di lavoro
(improvvisazione – campionamento – ascolto) è ispirato dalla tecnica del GINC di Evangelisti,
riportata nel libro “Roma ’60 – Viaggio alle radici dell’underground italiano”, che consigliava
appunto un regolare ascolto delle registrazioni subito dopo l’improvvisazione.68
2.2. SVILUPPO DEL PROGETTO: LA SCELTA DELLA SUDDIVISIONE
IN SCENE E LA COSTRUZIONE DEL PROGRAMMA DI
ELABORAZIONE DEL SEGNALE TRAMITE MAX.
Durante le sessioni di prova dell’improvvisazione, col passare del tempo, sentii la necessità di
implementare il mio setup con un altro sintetizzatore in mio possesso, di concezione opposta al
sistema modulare, in modo da ampliare ulteriormente la mia gamma timbrica e tecnica: una
macchina basata su modelli fisici di strumenti analogici, o meglio detta, come abbiamo già visto nel
capitolo della storia dei sintetizzatori, “virtual analog”. L’oggetto in questione si chiama “Nord
Lead 4”, costruito dall’azienda svedese Clavia, leader di questa tipologia di sintetizzatori (il primo
modello Nord Lead fu la prima macchina “virtual analog” mai stata costruita).
Con l’aggiunta di questa ulteriore sorgente sonora, ebbi a disposizione anche delle forme d’onda
particolari, basate su un metodo di sintesi detto wavetable, che producevano suoni simili a strumenti
o oggetti “reali”, come quello di una campana intonata o un pianoforte, fornendomi così un diverso
approccio alla sintesi.69
Grazie a ciò, cominciai a distaccarmi dal concetto di sintesi in quanto generazione di materiale
sonoro puramente sintetico, in favore di un emulare timbriche o caratteristiche tipiche di quella
categoria di strumenti tradizionali scritta da “Hornbostel-Sachs”: quando il mio collega, ad
esempio, suonava uno djembe, ricreavo delle sonorità con caratteristiche simili agli strumenti a
percussione, quindi dall’andamento impulsivo con attacco e rilascio molto brevi, quando suonava
68
Valerio Mattioli, Roma 60. Viaggio alle radici dell'underground italiano. Parte seconda. Blow up, #188 gennaio
2014, Tuttle Edizioni.
69
Manuale Operativo Nord Lead 4 v1.3
45
l’ukulele, invece, ricreavo la timbrica di un altro strumento a corde, magari suonato con l’archetto,
andando ad agire su modulazioni ed inviluppi per ricreare i battimenti tipici di un violoncello ad
esempio.
Fu così che s’istaurò un legame morfologico molto solido tra le sonorità acustiche e quelle
sintetiche, sfociando in un dialogo reciproco, che aveva da una parte i sintetizzatori che emulavano
strumenti acustici, dall’altra invece gli strumenti tradizionali che venivano suonati in modo da
ricreare caratteristiche e timbriche delle sonorità tipicamente sintetiche, attraverso gestualità e
metodi di esecuzione inusuali.
Con questa interazione tra gli esecutori, fu necessario introdurre una struttura formale
all’improvvisazione: decidemmo così di dividere l’intera performance in sezioni da noi nominate
“scene”, formate da momenti musicali dove venivano utilizzati uno o più strumenti musicali
appartenenti alla stessa categoria strumentale “Hornbostel-Sachs”, in dialogo con gli elettrofoni.
Questa tipologia di divisione dell’esecuzione ha come unico scopo quello appena citato, non ci sono
infatti partiture dedicate delle singole scene o particolari restrizioni esecutive, in quanto, se così
fosse, si perderebbe il senso dell’intera performance, finalizzata all’improvvisazione in live
electronics.
Nel corso delle numerose sessioni di prova, abbiamo diviso l’improvvisazione in cinque scene
principali: quattro comprendenti la classificazione degli strumenti tradizionali, ed una quinta,
dedicata all’utilizzo della voce umana.
Le scene quindi sono da considerarsi come piccole “matrici improvvisative”, utilizzabili
collegandole assieme o separate tra loro, decidendo un ordine a propria scelta ed in base ai propri
gusti personali; per quando riguarda la nostra performance, abbiamo scelto un certo ordine in
quanto conseguenza di un flusso
creativo unico, andatosi poi a
separare per comodità esecutiva.
Ogni scena ha il proprio setup
all’interno di Max, grazie ad una
matrice a griglia che permette di
tracciare il percorso del segnale di
ogni singola entrata: ad ogni scena
corrisponde
un
preset
sul
processore di segnale, sviluppato
sulla base delle nostre esigenze
estetiche.
46
Il programma, sviluppatosi nel corso delle sessioni di prova, viene dotato di ulteriori processori di
segnale: un harmonizer, un pitch-shifter, un granulatore polifonico, un delay ed un riverbero. Gli
effetti possono essere utilizzati singolarmente o collegati tra loro tramite la matrice che stabilisce il
percorso del segnale; ogni segnale in entrata può essere manipolato tramite un percorso dedicato, ed
ogni effetto ha una propria uscita stereofonica, che andrà poi finire nel modulo dedicato alla
spazializzazione, del quale parlerò approfonditamente nel corso di questo capitolo.
2.3. LA STRUTTURE DELLE SCENE ED I METODI DI SINTESI
ADOPERATI
Dopo questo excursus dedicato alla storia su come questa performance ha avuto inizio e come si è
poi sviluppata nel tempo, passerò ora alla descrizione delle singole scene, con particolare attenzione
alla struttura formale ed alle timbriche generate dai miei sintetizzatori tramite vari metodi di sintesi.
La performance, come già detto in precedenza, è suddivisa in cinque sezioni, denominate scene,
ognuna comprendente le categorie descritte nella classificazione degli strumenti musicali
“Hombostel-Sachs”, e l’ultima, dedicata alla voce.
Passiamo ora all’analisi delle singole scene.
I SCENA: AEROFONI
(CD: Campione 1)
La prima scena è dedicata alla categoria strumentale degli aerofoni, riguardante quindi tutti gli
strumenti in grado di produrre suono tramite l’utilizzo dell’aria. Il mio collega, per questa sezione,
ha scelto di utilizzare un’armonica a bocca cromatica, traendo da essa i vantaggi della polifonia e
della capacità di emettere suono sia in fase di respirazione, che d’inspirazione.
Qui il mio lavoro con i sintetizzatori è stato focalizzato principalmente su due piani sonori, uno di
accompagnamento, quindi con sonorità in secondo piano per dar spazio all’armonica, e un altro in
primo piano, sfruttando come accompagnamento le code sonore dello strumento acustico,
processate dal DSP. All’interno di questa scena, quindi, troviamo tre differenti suoni: due prodotti
con Clavia Nord Lead 4 e un terzo prodotto con il sintetizzatore modulare.
Il primo suono di cui andremo a parlare è una testura prodotta con il sintetizzatore “virtual analog”.
Si tratta di un lungo evento tessiturale, simile nella timbrica ad un corno filtrato. Il suono è in
continua evoluzione nel tempo, i lunghi attacchi degli inviluppi, sull’ampiezza e sulla frequenza di
47
taglio del filtro, permettono un’entrata graduale del suono, andando così a formare l’introduzione
alla performance, e la modulazione sull’altezza sonora da movimento alla timbrica generale.
I due oscillatori producono rispettivamente un’onda a dente di sega ed un’onda quadra, e vengono
modulati nel “pitch” tramite LFO (oscillatore a bassa frequenza). Un generatore di rumore bianco
viene modulato nel suo filtro passa-alto interno per ricreare l’effetto del vento che va a sommarsi
alla timbrica fondamentale dello strumento a fiato ricreato, andando così a formare una ricca testura
in continua evoluzione nel tempo.
Lo scopo di questo suono non è il ricreare fedelmente la timbrica del corno, ma di generare un
tappeto sonoro di accompagnamento allo strumento in primo piano (armonica a bocca) che solo
richiamasse la categoria sonora presa in analisi.
Il secondo suono in analisi è generato tramite lo stesso sintetizzatore (Nord Lead 4) e vuole ricreare
la timbrica del didgeridoo. Questo strumento, nato in Australia dagli aborigeni, ha origini
antichissime, è formato sostanzialmente da un tubo in bambù o eucalipto con lunghezza variabile
dai 1.5 metri ai 2.5 metri. Il metodo di generazione del suono è ad ancia labiale: l’esecutore quindi
utilizza la propria bocca e le proprie labbra per produrre suoni che mettano in risonanza lo
strumento.
Il suono di sintesi, che ho elaborato per ricreare il suono di questo strumento, è prodotto filtrando
una forma d’onda a dente di sega con un filtro passa-basso risonante (con un indice di taglio di
24dB) ed un filtro a formanti. Per emulare fedelmente le caratteristiche timbriche tipiche di questo
strumento a fiato, occorre affinare la gestualità nell’esecuzione: il cut-off (frequenza di taglio) del
filtro viene assegnato al modulation-wheel dello strumento, tramite questo parametro genero un
inviluppo “manuale” con attacco e decadimento repentini, per ricreare i movimenti della bocca
umana che funge da ancia per il didgeridoo.
Il terzo ed ultimo suono sintetico della prima scena è prodotto tramite il mio sistema modulare: si
tratta in sostanza di un pattern aritmico, lo stesso che andrò ad usare nella terza scena, che genera
una serie di suoni impulsivi. In questo caso il segnale viene profondamente processato dal DSP, più
precisamente dal granulatore, che modifica a tal punto il suono da renderlo indistinguibile rispetto
al segnale di partenza. Il risultato è una “nuvola di grani”, che arricchisce la testura generata dal
Nord Lead 4.
48
II SCENA: IDIOFONI
(CD: Campione 2)
La seconda scena è dedicata alla categoria strumentale degli idiofoni, cioè riguardante tutti gli
strumenti musicali il cui suono è producibile unicamente mediante la messa in vibrazione del
materiale da cui sono costituiti, senza l’ausilio di superfici o parti poste in tensione come corde,
membrane o colonne d’aria.
Il mio collega per questa sezione utilizza un Glockenspiel, un piccolo strumento a percussione
“diretta”, formato da delle barre metalliche intonate secondo la scala cromatica.
In questa parte della performance uso esclusivamente il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4, il quale,
grazie ai suoi speciali algoritmi che permettono di ottenere delle forme d’onda digitali, dette
wavetables, riproduce varie timbriche, tra le quali delle emulazioni di suoni di campane e
campanelli intonati.
Utilizzo un solo suono di sintesi, modificato dinamicamente nell’inviluppo d’ampiezza,
precisamente nell’attacco e nel rilascio, tramite modulation wheel, passando da eventi impulsivi,
dove genero suoni percussivi simili, per l’appunto, a delle campane intonate, ad eventi tessiturali
(con attacco e rilascio lunghi), cioè un tappeto sonoro, che ha come scopo l’arricchire la timbrica e
costruire una coda sonora del glockenspiel, suonato dal mio collega, generando così un ulteriore
dialogo all’interno dell’esecuzione.
La generazione di segnale avviene principalmente tramite due oscillatori, che generano un’onda
triangolare e, come già anticipato, da una forma d’onda complessa wavetable scolpita per emulare
un suono di campana intonata. Le due forme d’onda vengono miscelate tra loro (30% triangolare,
70% “bell” wavetable), e modulate nel pitch tramite un oscillatore a bassa frequenza (LFO) ed un
inviluppo dall’attacco molto lungo, che ricrea una sorta di “glissando infinito”. I due oscillatori
vengono filtrati tramite un filtro passa-basso risonante di quarto grado (indice di risonanza 24dB)
modulato anch’esso da un inviluppo.
L’utilizzo di suoni di campana e il glissando infinito trova ispirazione nei lavori di Risset.
III SCENA: MEMBRANOFONI
(CD: Campione 3)
La terza scena prende in analisi la categoria strumentale dei membranofoni, cioè qualsiasi
strumento il cui suono è prodotto dalla vibrazione di una membrana tesa: fanno parte di questa
famiglia tutti i tamburi ed i mirliton (come il kazoo).
49
Qui il dialogo tra gli strumenti acustici e quelli sintetici è puntuale e repentino tra i due esecutori,
sfruttando il carattere impulsivo degli strumenti tradizionali presi in questione ed il sintetizzatore,
che ricrea materiale sonoro percussivo tramite vari pattern ritmici.
Il mio collega per questa scena ha deciso di utilizzare due percussioni africane: uno djembe di legno
e con membrana di pelle di capra, ed una darabouka in metallo con una membrana in fibra sintetica.
L’idea di utilizzare due strumenti costruiti con materiali così diversi permette di avere un timbro ed
uno spettro totalmente diverso e da un tamburo all’altro.
Per quanto riguarda il mio utilizzo dei sintetizzatori, in questa sezione mi servo esclusivamente del
sistema modulare, per generare tre segnali separati tra loro ed utilizzabili parallelamente tramite un
piccolo mixer a tre canali.
Il primo dei tre suoni è un pattern aritmico caratterizzato da una serie di eventi impulsivi intonati
secondo la scala cromatica. La parte generativa è affidata ad un particolare oscillatore digitale (di
cui poi andremo a parlare nel capitolo successivo) che offre la possibilità di scegliere tra decine di
forme d’onda, e incidere sulla loro selezione tramite una modulazione (con un LFO o un sequencer
ad esempio); utilizzando questa particolare funzione, ho a disposizione una vastissima gamma
timbrica che utilizzo a piacimento per costruire le linee ritmiche nella performance. Un delay
combinato con un pitch-shifter, presenti nel mio sistema modulare, arricchiscono la ritmica generale
della linea sonora.
Il secondo segnale è una sorta di rumore continuo che vuole ricreare lo sfregamento di un dito su
una membrana di un grosso tamburo, come un timpano o una grancassa.
Il suono viene generato tramite due oscillatori analogici sinusoidali messi in modulazione di
frequenza cross modulation synthesis (di cui parleremo nella sezione dedicata alle tecniche di
sintesi utilizzate per la performance), tecnica che ricrea timbri profondi e, in certi casi, caotici.
Questo segnale viene introdotto nella scena periodicamente “manualmente” tramite uno dei volumi
di uscita del piccolo mixer a tre canali, sfruttato oltre che per la somiglianza timbrica appena
descritta, anche per il contenuto spettrale molto ricco che incide sui parametri di spazializzazione
(dei quali parleremo nel corso di questo capitolo).
Il terzo ed ultimo suono di questa scena è un altro pattern aritmico differente da quello visto in
precedenza; esso infatti non possiede intonazione e viene ricreato tramite un oscillatore analogico
che produce una forma d’onda a dente di sega messa in modulazione di frequenza (FM) da un
generatore d’onda sinusoidale.
Il risultato è una linea ritmica simile a quella prodotta con piccoli strumenti a membrana come tomtom o tamburelli.
50
IV SCENA: CORDOFONI
(CD: Campione 4)
La quarta scena prende spunto dalla categoria strumentale dei cordofoni, riguardante quindi tutti gli
strumenti che generano suono attraverso le vibrazioni prodotte dalle corde di cui sono dotati. Queste
vengono eccitate tramite varie tecniche: pizzicandole (come nel caso di una chitarra), percuotendole
(come in un pianoforte), strofinate con un archetto (violino) o da ruote (ghironda).
Il mio collega, in questa sezione, utilizza un piccolo strumento di origine hawaiana chiamato
ukulele, scelto per la brillantezza della timbrica e per il suo naturale inviluppo che, a causa della
dimensione ridotta della cassa di risonanza, risulta molto breve nell’attacco, ma soprattutto nel
decadimento. Il microfonaggio, a differenza degli strumenti visti fino ad ora, avviene tramite un
microfono a contatto, posizionato dei pressi del ponte.
L’approccio alla sintesi, anche in questo caso, è stato di tipo emulativo: ho ricreato un suono simile
a quello di un grosso strumento a corde, come un violoncello, suonato con un archetto. Per farlo ho
utilizzato il mio sintetizzatore Clavia Nord Lead 4: ho utilizzato un oscillatore che miscela un onda
quadra con un’onda ad impulso (pulse), ed un secondo con forma d’onda sinusoide modulato in
frequenza (FM) dal primo. Per avvicinarmi il più possibile allo strumento reale, ho ricreato,
modulando l’ampiezza e la frequenza, le caratteristiche tipiche di un violoncello; nello specifico, ho
inserito un oscillatore a bassa frequenza (LFO) nell’ampiezza generale per simulare la non linearità
dello sfregamento dell’archetto sulle corde: la gestualità di un violoncellista per natura non è
totalmente lineare, è portato quindi, a seconda della velocità del movimento e della pressione
esercitata sulla corda, a generare differenze di ampiezza. Ho aggiunto inoltre un tremolo sull’altezza
sonora generale, per simulare il vibrato, gesto tipico utilizzato in uno strumento “fretless” come il
violino, la viola o, per l’appunto, il violoncello. Quest’ultimo parametro viene controllato
nell’intensità dinamicamente, proprio per cercare di riprodurre nel migliore dei modi la gestualità
della mano sul manico dello strumento.
Durante la performance, andrò a modificare il timbro del suono: discostandomi dalla pura
emulazione di un cordofono agisco sulla miscelazione dei due oscillatori, facendo prevalere
l’oscillatore in modulazione di frequenza e, attraverso l’indice di ampiezza dell’onda modulante,
creo un glissando che genera una transizione verso la quinta ed ultima scena.
Il sintetizzatore, in questa sezione, è posto in primo piano, mentre l’ukulele, con l’ausilio dei
processori di segnale, in particolare del granulatore polifonico, genera nuvole di grani che fungono
da sfondo nella scena.
51
V SCENA: VOCE
(CD: Campione 5)
La quinta ed ultima scena si discosta dalla classificazione strumentale di “Hombostel-Sachs”; essa
infatti vede come protagonista la voce umana, lo “strumento” con il più alto grado di comunicatività
e di duttilità, permettendo di generare una grandissima quantità di timbri diversissimi tra loro.
Prima di parlare, nello specifico, del ruolo che la voce ha nella nostra performance, volevo parlare
di una tecnica che, fino al ‘900, è stata esclusa dal mondo musicale occidentale: le “tecniche vocali
estese”. La musica che oggi definiamo “classica” e gran parte dei canti folcloristici europei ed
americani, prevede un utilizzo della voce tramite un testo, quindi con parole, cantato intonandosi
sulla scala cromatica. Nelle culture orientali, o meglio, al di fuori della cultura occidentale, la voce
viene utilizzata anche per emettere suoni, timbri particolari, utilizzando non solo le corde vocali, ma
anche la modulazione della gola, della lingua e delle cavità orali, come viene descritto nell’articolo
An Introduction to Extend Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance
Problems di Deborah Kavasch.70
La ragione per cui abbiamo voluto integrare la voce nella nostra improvvisazione è nata quasi per
caso: durante una delle numerose prove sulle quattro scene ispirate alle categorie strumentali, il mio
collega cominciò ad emettere timbri molto interessanti con la bocca che, uniti al processore di
segnale in Max, ricreavano sonorità particolarissime e distanti tra loro, come il canto degli uccellini
o il suono dell’acqua. Data la sua bravura nell’utilizzo della voce, e della nostra comune passione
verso i brani del Maestro e compositore Trevor Wishart71, noto per i suoi lavori d’improvvisazione
vocale, decidemmo di creare una quinta scena, basata sulle “tecniche vocali estese”.
Il ruolo dei sintetizzatori, in questa sezione, è andato mano a mano dividendosi in due parti: la
prima che segue la voce dell’esecutore (Arban), ricreando sonorità simile a quelle da lui prodotte, la
seconda, invece, più focalizzata sulle potenzialità dell’utilizzo dei filtri a formanti, crea una sorta di
dialogo tra il sintetizzatore e la voce del mio collega.
Per la performance ho scelto di utilizzare principalmente due suoni, prodotti entrambi tramite il
sintetizzatore Clavia Nord Lead 4. Il primo è costituito da una semplice forma d’onda a dente di
sega filtrata da un filtro passa banda con risonanza molto alta, quasi da cancellare l’onda iniziale e
lasciando il filtro in “auto-oscillazione”; quest’ultimo è modulato in frequenza da un LFO con
forma d’onda a rampa ascendente con ampiezza controllata dinamicamente.
70
Deborah Kavasch, An Introduction to Extend Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance
Problems. Contenuto in Reports from the Center vol.1, n.2. Center for Music Experiment, Università della California,
San Diego, 1980
71
http://www.trevorwishart.co.uk/ (15-06-16)
52
A seconda della posizione dell’indice di frequenza di taglio del filtro (cut-off), il risultato finale va
dal suono che richiama il canto degli uccelli (alta frequenza) ad un suono che imita il ribollire
dell’acqua (bassa frequenza); anche questo parametro viene controllato dinamicamente durante la
perfomance.
Il secondo suono si divide principalmente in due momenti: il primo di carattere impulsivo, formato
da una serie di suoni dall’inviluppo molto breve modulati nel pitch (altezza sonora), il secondo,
invece, ha un carattere tessiturale, con attacco e decadimento molto lunghi. In entrambe le
situazioni il carattere fondamentale viene dato dal filtro a formanti, controllato dinamicamente
tramite modulation-wheel, che “dialoga” con l’esecutore vocale attraverso veloci contrappunti o con
lunghe tessiture.
Per comporre tutti questi suoni appena descritti, ho utilizzato una serie di tecniche di sintesi, che
andrò ad esporre brevemente:
-
Sintesi Sottrattiva72: si riferisce a quel modello di sintesi del suono nella quale una
sorgente sonora ricca di armoniche, come rumore bianco o un’onda a dente di sega, viene
filtrata dal punto di vista spettrale “sottraendo”, per l’appunto, bande frequenziali o porzioni
di spettro. Questo procedimento è il più utilizzato per la produzione di timbri con vecchie
macchine analogiche ( l’esempio tipico è la concezione “East-Coast” di Robert Moog); oggi,
molto spesso, questa tecnica è spesso incrociata o aggiunta ad altri metodi di sintesi, come
ad esempio, con la modulazione in frequenza (FM).
-
Wavetable Synthesis73: questa tecnica di sintesi è prettamente di origine digitale, creata da
Wolfgang Palm alla fine degli anni ’70. Il processo consiste nell’utilizzo di un unico
oscillatore della macchina che non produce una forma d’onda, bensì legge una tabella che ne
ospita, una dietro l’altra, un certo numero precedentemente campionate: in prospettiva,
modulare tale lettura spalanca le porte a timbri nuovi, cangianti, evolutivi. La riproduzione
di queste forme d’onda nella tabella può essere scelta arbitrariamente o modulata tramite
oscillatori in bassa frequenza (LFO) o inviluppi. Questa tecnica non va confusa, come
successe in passato, con la cosiddetta “sample-based synthesis”, cioè una sintesi basata su
campioni preregistrati di forme d’onda o suoni di strumenti, oppure con la “Pulse-code
modulation” (PCM), tecnica usata per la rappresentazione digitale di un segnale analogico.
72
http://www.fisica.unina.it/mfa/acust/materiale%20sito/Sistemi%20di%20sintesi/sintsott.htm (21-06-16)
73
Bristow-Johnson, Robert, Wavetable Symthesis 101, A Foundamental Perspective. 101st AES Convention, Los
Angeles, California, 1996
53
-
Sintesi FM74: La “sintesi a modulazione di frequenza”, o più semplicemente sintesi “FM” è
una tecnica di sintesi sonora messa a punto da John Chowning nella prima metà degli anni
settanta all'Università di Stanford in California, trovando un vasto impiego grazie alla
caratteristica di ottenere risultati molto complessi a partire da pochi dati iniziali, ed ha
caratterizzato l'avvento dei primi sintetizzatori digitali a basso costo e di grande potenzialità.
La tecnica consiste semplicemente nella modulazione della frequenza di un segnale
portante, generalmente una forma d’onda semplice come una sinusoide di frequenza udibile
dall’orecchio umano (20Hz – 20kHz), da parte di un’altra onda semplice, detta modulante.
Quest’ultima, se utilizzata in bassa frequenza, cioè al di sotto del campo udibile umano
(<20Hz) genera l’effetto del vibrato, ma la novità della sintesi di Chowning consiste
nell’utilizzare la modulante all’interno delle frequenze udibili dall’orecchio umano e,
quindi, vicina alla frequenza dell’onda portante, generando così un aumento del contenuto
armonico del segnale finale.
-
Cross Modulation synthesis75: la tecnica definita come “cross modulation synthesis” è un
metodo utilizzato per lo più all’interno dei sistemi modulari. È molto simile alla comune
modulazione di frequenza (sintesi FM) ma, al contrario di questa tecnica, il segnale portante
modula in frequenza l’onda modulante, generando una sorta di sintesi FM “incrociata”. In
pratica il segnale di uscita dell’oscillatore portante (detto carrier) viene diviso in due parti, il
primo fungerà da normale uscita audio, il secondo invece andrà a modulare in frequenza
l’oscillatore modulante.
-
Sintesi AM76: per sintesi “AM” si intende la modulazione di ampiezza, è molto simile alla
modulazione in frequenza, con la differenza che la modulante non va ad incidere sulla
frequenza dell’onda ma sull’ampiezza del segnale della portante. Questa tecnica di
elaborazione del segnale deriva dalle radiotrasmissioni e da alcuni metodi di misura del
campo dell’elettronica analogica. Nei fatti questa tecnica di sintesi si traduce nella
formazione di tremolo tramite l’utilizzo di un oscillatore in bassa frequenza (LFO) e la
modulazione dell’andamento generale del suono tramite l’utilizzo di inviluppi d’ampiezza.
La generazione dei suoni, le patch e il setup dei sintetizzatori verranno descritte meticolosamente
nel capitolo successivo, con particolare attenzione alla descrizione dei singoli moduli e delle loro
74
John Chowning, David Bristow, "FM Theory & Applications - By Musicians For Musicians", Tokyo, Yamaha, 1986
75
http://www.csounds.com/journal/issue12/crossfm.html (05-07-16)
76
https://cycling74.com/wiki/index.php?title=MSP_Synthesis_Tutorial_3:_Amplitude_Modulation (05-07-16)
54
potenzialità, dando così la possibilità di implementare la performance o ricreare le stesse sonorità
con differenti sintetizzatori.
2.4. ESTETICA DELLA PERFORMANCE
La scelta di un metodo di lavoro appropriato, trova spunto nelle metodologie utilizzate dal Gruppo
Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC), che si basavano, come già accennato in precedenza,
sul registrare le loro lunghe sessioni d’improvvisazione, per poi riascoltarle attentamente subito
dopo, traendone poi spunto per la sessione successiva. Un’altra tecnica utilizzata da questo
collettivo su cui ci siamo ispirati per la nostra performance, era nella pratica esecutiva, adoperando
schemi comuni, basati su parametri unici come il timbro o l’andamento del suono (inviluppo), al
fine di trovare un ulteriore spunto al dialogo tra gli esecutori. Questo concetto viene spiegato dal
Maestro Morricone in questo breve passo:
[…]Per il resto, gli “schemi” messi in campo dalla formazione guidata da Evangelisti, Morricone
li ricorda come “esercizi che facevamo su un parametro unico. Esempio: gioco delle coppie;
risposta positiva all’intervento di un esecutore (vuol dire che a un mio intervento, rispondeva
l’intervento di un altro); oppure: risposta negativa (l’altro non rispondeva, o meglio rispondeva
con un altro linguaggio). E così via”.[…]77
La scelta, invece, che abbiamo adottato riguardo la suddivisione dell’improvvisazione in scene,
fruibili singolarmente o amalgamabili in un unico brano, trae ispirazione dal testo di Stockhausen
“The British Lectures”78, dove parla della scelta della divisione di un brano in segmenti (da lui
chiamati “momenti”) formati da strutture con precise regole interne, ma che lasciano una certa
libertà all’esecutore, come ad esempio il tempo del brano o l’ordine secondo cui le varie sezioni
andavano suonate (come nel suo famosissimo brano “Solo”, scritto nel 1966, eseguibile scegliendo
liberamente l’ordine dei sei momenti da cui è formato).
Alla luce di queste fonti d’ispirazione dal punto di vista artistico, ma anche metodico, abbiamo
costruito le basi della nostra improvvisazione. La scelta di utilizzare la tecnica degli schemi comuni
77
78
Valerio Mattioli, Superonda: Storia segreta della musica italiana, Baldini e Castoldi Editore, 2016.
K. Stockhausen, The British Lectures, Institute of Contemporary Arts, Londra, 1972.
55
del GINC e della suddivisione in scene di Stockhausen hanno influito in modo rilevante
sull’estetica fondamentale sull’esecuzione.
La performance ha una durata di circa dieci minuti distribuita in egual misura nelle cinque scene,
che formano tre momenti musicali principali. Le prime due scene generano un climax, che passa da
un momento iniziale di “calma” attraverso l’uso di lunghe tessiture, che pian piano evolvono in
eventi più puntuali e improvvisi, sfociando, in seguito, nel secondo momento musicale,
rappresentato nella terza scena, dove si raggiunge il culmine della performance, dal punto di vista
delle dinamiche e della quantità di timbri utilizzati. È un momento intenso, energico, il dialogo è
veloce, a tratti caotico, pur avendo un proprio ordine di base; i suoni acustici e sintetici elaborati dal
DSP s’intrecciano, andando così a formare un unico amalgamato sonoro molto concentrato.
Dopo questa parte così concitata e frenetica, è il turno del terzo momento musicale, formato dalla
quarta e quinta scena, dove si ha un anticlimax, una perdita graduale delle dinamiche e del
contenuto spettrale. La concentrazione dei suoni si fa sempre più rarefatta, fino al termine
dell’esecuzione stessa.
Analizziamo con più precisione il contenuto estetico delle singole scene all’interno della
performance, sulla base degli schemi esecutivi del GINC appena citati.
La prima scena è la sezione introduttiva: i due esecutori attuano un dialogo imitativo basato
sull’andamento nel tempo dei rispettivi strumenti (inviluppo), e, naturalmente, sulla stessa categoria
strumentale.
Il primo strumento a suonare è il sintetizzatore “virtual analog” che, con il suo lunghissimo attacco,
introduce l’armonica a bocca, suonata ricreando lo stesso inviluppo del timbro sintetico che la
precede (con un lungo attacco); nel frattempo “nuvole di grani” intervengono saltuariamente
arricchendo le testure e donandole movimento. La scena si chiude con il suono del digeridoo
creando così un’atmosfera quasi “mistica” nella performance.
Le code sonore provenienti dal DSP fungono da collegamento tra la prima e la seconda scena. In
questa parte gli esecutori creano un dialogo per contrasto tra inviluppi: i sintetizzatori modificano il
proprio suono ma continuano a generare lunghe testure che richiamano timbro di campane intonate,
con un lungo glissando, mentre lo strumento acustico (glockenspiel) invece, genera suoni puntuali,
bloccando manualmente la barra metallica che risuona, interrompendo quindi il suo naturale
decadimento. Le regolazioni sul granulatore che agisce sul glockenspiel creano un effetto reverse
sul suo suono.
I lunghi eventi tessiturali assumono un carattere melodico, il glissando crea aspettativa verso quello
che accadrà in seguito, i suoni puntuali, invece, sono violenti, repentini, e con l’evolversi della
scena sono sempre più frequenti (andando così a generare il culmine del climax).
56
Il materiale sonoro di entrambe le sorgenti (sintetizzatore e glockenspiel) procedono per
accumulazione, culminando nella terza scena.
In questa terza sezione i vari timbri dialogano freneticamente, i suoni puntuali di entrambe le
sorgenti si alternano repentinamente, “disturbati” per così dire da un fragore che interviene
periodicamente.
La dinamica generale di questa sezione rimane energica ma stabile per tutto il periodo, fino a
giungere alla transizione con la quarta scena, che sancisce l’inizio del climax discendente per
rarefazione. In questa parte si ritorna ad un dialogo per contrasto: il sintetizzatore riprende un
andamento tessiturale ma sempre in continua evoluzione timbrica, lo strumento acustico (ukulele)
continua con una generazione di suoni puntuali e nuvole di grani (grazie all’utilizzo del
granulatore). L’inizio di questa sezione è anch’esso concitato come la scena precedente, proprio per
unire questi due momenti, ma destinato poi ad acquietarsi, facendo spazio alla quinta scena,
dedicata alla voce umana. In questa ultima sezione il dialogo è di origine imitativo, questa volta
sulla base dei timbri e non degli inviluppi. La sezione si apre con un suono tipicamente sintetico che
ricrea le vocali della voce umana alternato
ai suoni prodotti dall’esecutore tramite la bocca
(utilizzando le tecniche vocali estese). Dopo pochi istanti le voci fanno spazio a suoni che
richiamano la natura, come il canto degli uccelli o lo scrosciare dell’acqua di una cascata. Le due
sonorità generate dalle due sorgenti sonore (che seguono uno schema imitativo), che prima erano
così distanti, ora si amalgamano, diventando quasi un tutt’uno. I timbri gradualmente si fanno
sempre più diradati, e l’alternarsi tra loro si fa sempre più lento, fino alla completa dissoluzione.
Come possiamo facilmente notare, il primo momento musicale (formato dalla prima e seconda
scena) è speculare con il terzo momento (quarta e quinta scena), sia dal punto di vista
dell’andamento dinamico (climax nel primo momento, anticlimax nel terzo momento), ma anche
sotto l’aspetto degli schemi esecutivi utilizzati: nella prima e quinta scena, il dialogo è di origine
imitativo, al contrario della seconda e quarta scena, dove il dialogo è per contrasto.
Un’ultima considerazione estetica sull’esecuzione va ricercata nell’utilizzo della spazializzazione:
questa tecnica, infatti, divide e posiziona i vari suoni nello spazio, rendendoli molto più
comprensibili all’ascoltatore, e, con loro spostarsi in continuazione tra gli otto diffusori, evita che
accadano episodi di staticità sonora nel corso dell’improvvisazione. Questa soluzione fu adottata già
da Stockhausen nel 195879: il parametro spazio, infatti, avrebbe tolto quell’omogeneità derivate
dalle solite tecniche di manipolazione del suono (altezza, intensità, timbro).
79
K. Stockhausen, Musik im Raum (Musica nello Spazio), 1958, tad. It. di D. Guaccero, in La Rassegna Musicale,
32(4), 1961.
57
La posizione ed il movimento nello spazio vengono stabilite attraverso l’analisi spettrale delle
singole componenti sonore (descritta nel paragrafo 2.6), contribuendo ad evidenziale ancora di più
il carattere timbrico e dinamico dei suoni.
2.5. I PROCESSORI DI SEGNALE NELLE SCENE
Dopo aver descritto gli strumenti acustici e le varie timbriche prodotte dai sintetizzatori, andiamo
ora a descrivere l’utilizzo del DSP, costruito con l’ambiente di programmazione MAX, e le varie
modifiche apportate in ogni singola scena.
Partendo da una descrizione generale, il programma è costituito da cinque processori di segnale: un
harmonizer, un pitch-shifter, un granulatore, un riverbero ed un delay. Questi effetti possono essere
applicati ad ognuno dei quattro segnali in entrata, due per i microfoni e due per i sintetizzatori
(nell’immagine in alto a sinistra), o sommati tra loro attraverso la matrice per il routing del segnale
generale (nell’immagine a destra). Tutti gli effetti sono stereofonici ed hanno un proprio volume di
uscita (nell’immagine, in basso) così da poter missare facilmente i vari segnali in uscita.
La matrice di controllo è stata dotata di una serie di richiami (preset) con il setup ottimale da
utilizzare per ogni singola scena. La parte dei parametri “verticali” si riferiscono alle entrate
possibili, mentre la parte “orizzontale” si riferisce nei primi cinque valori (H, S, D, G, R) alle
destinazioni su dove si vuole indirizzare il segnale, mentre nei successivi alle uscite per il segnale
diretto “DRY” (1, 2, 3, 4) o del segnale dagli effetti (Hl, Hr, Sl, Sr, Di, Dr, Gl, Gr, Rl, Rr).
Le lettere riportate nella matrice sono semplici abbreviazioni degli effetti utilizzati, nello specifico:
-
H: harmonizer;
-
S: pitch-shifter;
-
D: delay;
-
G: granulatore;
-
R: riverbero;
-
“l” e “r”: corrispondente a left e right, rispettivamente canale sinistro e destro;
-
1: canale per il microfono a condensatore;
-
2: canale per il microfono a contatto;
-
3: canale per il sintetizzatore modulare;
58
-
4: canale per il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4.
Nell’immagine: la sezione di controllo generale dei processori di segnale in Max/MSP, con la propria matrice per il routing
generale del segnale.
Andiamo ora a descrivere brevemente gli effetti utilizzati in ogni singola scena, con l’ausilio della
matrice di rounting.
59
I SCENA
Nella prima scena vengono utilizzati tre canali, uno per il microfono a condensatore che capta il
segnale dell’armonica a bocca, e due per i sintetizzatori.
Come si può notare dalla matrice, il segnale dell’armonica a
bocca (1) entra direttamente nell’harmonizer e nel
granulatore, il sintetizzatore Clavia (4), invece, viene
processato da solo il riverbero, mentre il sintetizzatore
modulare (3) entra nel granulatore, come il primo canale.
Entrambi i sintetizzatori hanno un’uscita parallela diretta,
cioè con il segnale non effettato.
Il segnale in uscita dall’harmonizer, successivamente, entra
nel riverbero e nel delay il quale, assieme al granulatore,
finisce il suo percorso nel riverbero stesso.
Le uscite finali della matrice sono del delay, del granulatore
e del riverbero, oltre alle uscite dirette 3 e 4 dei
sintetizzatori.
Schematizzando, in sintesi, i percorsi dei segnali, avremo:
-
Canale 1 (armonica a bocca) entra in harmonizer e granulatore.
-
Canale 3 (sintetizzatore modulare) entra in granulatore.
-
Canale 4 (Clavia Nord Lead 4) entra in riverbero.
-
Harmonizer entra nel delay e nel riverbero.
-
Delay entra nel riverbero.
-
Granulatore entra nel riverbero.
-
Uscite dirette: canali 3 e 4.
-
Uscite dal DSP: delay, granulatore e riverbero.
Per quanto riguarda i parametri dei processori di segnale utilizzati, abbiamo scelto i seguenti valori
per quanto concerne granulatore, delay, e harmonizer.
60
Granulatore.
-
Grain separation: 100.
-
Grain rate variation: 20.
-
Grain size: 1.
-
Grain size variation: 20.
-
Grain pitch: 2.
-
Grain pitch variation: 20.
-
Stereo spread: 1.
Delay.
-
del1 pow on;
-
del1 gain-in 127;
-
del1 gain-out 127;
-
del1 mix 100;
-
del1 maxdel 9000;
-
del1 fbk 93.75;
-
del1 random off;
-
del1 1 del 46.875;
-
del1 1 gain 127;
-
del1 1 pan 20;
-
del1 1 pow on;
-
del1 2 del 187.5;
61
-
del1 2 gain 127;
-
del1 2 pan 50;
-
del1 2 pow on;
-
del1 3 del 562.5;
-
del1 3 gain 127;
-
del1 3 pan 80;
-
del1 3 pow on;
-
del1 4 del 937.5;
-
del1 4 gain 127;
-
del1 4 pan 100;
-
del1 4 pow on.
Harmonizer.
62
II e V SCENA
La seconda e la quinta hanno gli stessi parametri all’interno del DSP, gli strumenti utilizzati si
limitano al glockenspiel (nella seconda scena) e alla voce umana (quinta scena) e al sintetizzatore
Clavia.Nord Lead 4 (utilizzato in entrambe le sezioni).
Come si può notare dalla matrice, il microfono entra
esclusivamente nel granulatore, che a sua volta viene
processato dal pitch-shifter, concludendo il suo percorso nel
riverbero.
Il sintetizzatore, invece, si divide in due percorsi: nel primo
esce il segnale diretto, nel secondo viene processato dal
delay, concludendo anch’esso nel riverbero.
Schematizzando i parametri avremo:
-
-
Canale 1 entra in granulatore.
-
Canale 4 entra in delay.
-
Granulizzatore entra in pitch-shifter.
-
Pitch-shifter entra in riverbero.
-
Delay entra in riverbero.
-
Uscita diretta canale 4.
Uscite dal DSP: pitch-shifter, delay, granulatore, riverbero.
I parametri del granulatore, del pitch-shifter e del delay cambiano a seconda della scena selezionata,
in questa seconda sezione, quindi, avremo i seguenti parametri.
Granulatore.
-
Grain separation: 400.
-
Grain rate variation: 300.
-
Grain size: 2000.
-
Grain size variation: 500.
-
Grain pitch: 2.
-
Grain pitch variation: 1.
-
Stereo spread: 1.
63
Pitch-shifter
-
shifter1 pow on;
-
shifter1 gain-in 127;
-
shifter1 gain-out 127;
-
shifter1 mix 100;
-
shifter1 1 pow on;
-
shifter1 1 gain 90;
-
shifter1 1 pan 30;
-
shifter1 1 freq 1875;
-
shifter1 2 pow on;
-
shifter1 2 gain 187.5;
-
shifter1 2 pan 0;
-
shifter1 2 freq 100;
-
shifter1 3 pow on;
-
shifter1 3 gain 70;
-
shifter1 3 pan 50;
-
shifter1 3 freq -5625;
-
shifter1 4 pow on;
-
shifter1 4 gain 40;
-
shifter1 4 pan 110;
-
shifter1 4 freq -93.75;
Delay
-
del1 pow on;
-
del1 gain-in 127;
-
del1 gain-out 127;
-
del1 mix 100;
-
del1 maxdel 7875;
-
del1 fbk 46.875;
-
del1 random on;
-
del1 1 del 46.875;
64
-
del1 1 gain 127;
-
del1 1 pan 20;
-
del1 1 pow on;
-
del1 2 del 187.5;
-
del1 2 gain 127;
-
del1 2 pan 50;
-
del1 2 pow on;
-
del1 3 del 562.5;
-
del1 3 gain 127;
-
del1 3 pan 80;
-
del1 3 pow on;
-
del1 4 del 937.5;
-
del1 4 gain 127;
-
del1 4 pan 100;
-
del1 4 pow on.
III SCENA
Nella terza scena vengono utilizzati due strumenti a
percussione,
microfonati
tramite
il
microfono
a
condensatore, ed il sistema modulare.
Il microfono a condensatore, capta il segnale dei
membranofoni, mandandoli nell’harmonizer e nel delay, a
loro volta processati dal pitch-shifter e granulatore.
Il segnale del sintetizzatore modulare, invece, viene diviso in
due parti, la prima esce direttamente, la seconda viene
processata dal riverbero del DSP
Schematizzando i parametri, avremo:
-
Canale 1 entra in harmonizer e delay;
-
Canale 3 entra in riverbero;
-
Delay entra in harmonizer e granulatore;
-
Harmonizer entra in pitch-shifter e riverbero;
65
-
Granulatore entra in riverbero;
-
Uscite dirette: canale 1 e 3;
-
Uscite dal DSP: harmonizer, pitch-shifter, delay, granulatore e riverbero.
Per quanto riguarda i parametri variabili all’interno dei processori di segnale, per questa scena
troviamo i seguenti valori del granulizzatore, del pitch-shifter, del delay e dell’harmonizer.
Granulatore.
-
Grain separation: 500.
-
Grain rate variation: 157.
-
Grain size: 500.
-
Grain size variation: 74.
-
Grain pitch: 19.
-
Grain pitch variation: 36.
-
Stereo spread: 1.
Pitch-shifter.
-
shifter1 pow on;
-
shifter1 gain-in 127;
-
shifter1 gain-out 127;
-
shifter1 mix 50;
-
shifter1 1 pow on;
-
shifter1 1 gain 90;
-
shifter1 1 pan 30;
-
shifter1 1 freq 2062.5;
-
shifter1 2 pow on;
-
shifter1 2 gain 100;
-
shifter1 2 pan 0;
-
shifter1 2 freq 187.5;
-
shifter1 3 pow on;
66
-
shifter1 3 gain 70;
-
shifter1 3 pan 50;
-
shifter1 3 freq 2250;
-
shifter1 4 pow on;
-
shifter1 4 gain 40;
-
shifter1 4 pan 110;
-
shifter1 4 freq 375.
Delay
-
del1 pow on;
-
del1 gain-in 127;
-
del1 gain-out 127;
-
del1 mix 100;
-
del1 maxdel 9000;
-
del1 fbk 93.75;
-
del1 random on;
-
del1 1 del 46.875;
-
del1 1 gain 127;
-
del1 1 pan 20;
-
del1 1 pow on;
-
del1 2 del 187.5;
-
del1 2 gain 127;
-
del1 2 pan 50;
-
del1 2 pow on;
-
del1 3 del 62.5;
-
del1 3 gain 127;
-
del1 3 pan 80;
-
del1 3 pow on;
-
del1 4 del 93.75;
-
del1 4 gain 127;
-
del1 4 pan 100;
-
del1 4 pow on;
67
Harmonizer.
IV SCENA
Nella quarta scena verranno utilizzati il microfono a contatto per l’ukulele ed il sintetizzatore Clavia
Nord Lead 4.
Il microfono a contatto viene processato dal granulatore, che
a sua volta entra nel delay, finendo il suo percorso nel
riverbero.
Il sintetizzatore, invece, viene separato in due segnali, il
primo esce direttamente, il secondo viene processato dal
pitch-shifter, finendo anch’esso nel riverbero.
Schematizzando i parametri, avremo.
-
Canale 2 entra in granulatore;
-
Canale 4 entra in pitch-shifter e riverbero;
-
Granulatore entra in delay;
-
Pitch-shifter entra in riverbero;
-
Delay entra in riverbero;
-
Uscite dirette: canale 4;
-
Uscite del DSP: delay, granulatore, riverbero.
Per quanto riguarda i parametri variabili da scena a scena, troviamo i seguenti valori per il
granulatore, il pitch-shifter ed il delay.
68
Granulatore.
-
Grain separation: 400.
-
Grain rate variation: 300.
-
Grain size: 5000.
-
Grain size variation: 500.
-
Grain pitch: 1.
-
Grain pitch variation: 1.
-
Stereo spread: 1.
Pitch-shifter
-
shifter1 pow on;
-
shifter1 gain-in 127;
-
shifter1 gain-out 127;
-
shifter1 mix 50;
-
shifter1 1 pow on;
-
shifter1 1 gain 127;
-
shifter1 1 pan 100;
-
shifter1 1 freq -18.75;
-
shifter1 2 pow on;
-
shifter1 2 gain 127;
-
shifter1 2 pan 100;
-
shifter1 2 freq -4.6875;
-
shifter1 3 pow on;
-
shifter1 3 gain 127;
-
shifter1 3 pan 80;
-
shifter1 3 freq 9.375;
-
shifter1 4 pow on;
-
shifter1 4 gain 127;
-
shifter1 4 pan 100;
-
shifter1 4 freq 5.625;
69
Delay
-
del1 pow on;
-
del1 gain-in 127;
-
del1 gain-out 127;
-
del1 mix 100;
-
del1 maxdel 7875;
-
del1 fbk 62.5;
-
del1 random on;
-
del1 1 del 46.875;
-
del1 1 gain 127;
-
del1 1 pan 20;
-
del1 1 pow on;
-
del1 2 del 187.5;
-
del1 2 gain 127;
-
del1 2 pan 50;
-
del1 2 pow on;
-
del1 3 del 56.25;
-
del1 3 gain 127;
-
del1 3 pan 80;
-
del1 3 pow on;
-
del1 4 del 93.75;
-
del1 4 gain 127;
-
del1 4 pan 100;
-
del1 4 pow on;
RIVERBERO
Nelle diverse sezioni, come abbiamo appena visto, vi sono dei processori di segnale che cambiano a
seconda della scena selezionata, il riverbero, invece, rimane fisso nel corso di tutta l’esecuzione.
Nell’immagine troviamo i parametri
base di questo effetto.
70
2.6. SPAZIALIZZAZIONE E ANALISI SPETTRALE
Il programma sviluppato tramite l’ambiente di programmazione Max, prevede quattro entrate (due
per i microfoni e due per i sintetizzatori) e otto uscite dedicate alla spazializzazione del materiale
sonoro. La necessità di creare movimento nel segnale deriva da un’eccessiva staticità in una
normale riproduzione stereofonica e da un bisogno di posizionare il differente materiale sonoro
all’interno dello spazio. Distribuendo i vari segnali in punti diversi di una stanza, attraverso
l’utilizzo di un sistema di riproduzione “acusmatica”, sarà più facile comprendere le singole
sonorità, evitando un eccessivo amalgamarsi dei vari timbri. Il risultato di questa tecnica di
riproduzione è un’esecuzione dinamica e brillante, dove l’esecutore può diventare anche regista,
attraverso una serie di controlli analogici, pilotando i vari diffusori attraverso gli indici di guadagno
del mixer.
L’esecuzione tramite i nostri vari strumenti, però, non lasciava tempo materiale affinché uno dei
due si dedicasse anche alla regia del suono, e la prospettiva di integrare un’altra persona nella
performance avrebbe sicuramente influito eccessivamente sul risultato finale, in quanto, essendo
un’improvvisazione, la riproduzione sonora sarebbe stata troppo “personalizzata”, per così dire, dal
regista aggiunto. Decidemmo così di affidare la spazializzazione ad un algoritmo di elaborazione
dati sviluppato tramite l’ambiente di programmazione Max.
Questo programma, di fatto, estrapola una serie di
dati dallo spettro del segnale prodotto dal DSP, e
genera dei valori che andranno ad influenzare
l’andamento nello spazio dei suoni, nello specifico:
Loudness, Brightness e Noisiness.
Questi parametri, una volta estrapolati, vengono
riscalati e vanno a modificare la posizione dei segnali
rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della
sala rispetto ai diffusori; l’analisi della loudness, cioè
l’indice di intensità del segnale, incide sull’altezza
della sorgente rispetto al punto di partenza, la
Brightness,
(tradotto
letteralmente
“luminosità”,
misura la concentrazione delle alte frequenze
all’interno dello spettro) incide sull’angolazione
(angolo azimut) della sorgente, mentre la Noisiness
71
utilizza dei valori in riferimento alla scala Bark, una scala psicoacustica che misura l’altezza sonora
suddividendo lo spettro udibile in bande critiche (in questo caso, avendo una frequenza di
campionamento di 44100Hz, sarà suddiviso in venticinque bande), e modifica la distanza del
segnale dal punto centrale di partenza.
Una volta elaborati e riscalati, questi dati vengono mandati ogni 200 millisecondi al modulo di
spazializzazione, che muoverà nello spazio tutti i segnali stereofonici in entrata, cioè i segnali diretti
dai microfoni o dai sintetizzatori (senza effetti), ed i segnali del DSP (harmonizer, delay, pitchshifter e granulatore) escluso il riverbero, che viene diffuso in stereo su tutte le coppie di diffusori
(quattro coppie).
Il modulo di spazializzazione, inoltre, ha un controllo sull’interpolazione del segnale di controllo
entrante, in modo da controllare il tempo di transizione tra un dato ed un altro, rendendo i
movimenti del segnale audio nello spazio più o meno fluidi (se non fosse presente questo controllo,
il suono si procederebbe a “scatti”).
Un’ultima miglioria per quanto concerne il metodo di riproduzione della performance da noi
utilizzato, è l’introduzione di una coppia di diffusori di “rinforzo”, posta di fronte all’ascoltatore,
dove verranno riprodotti tutti i segnali diretti e del DSP in stereofonia al fine di ridurre la
percezione dei movimenti nello spazio.
72
CAPITOLO III
73
3. GUIDA
TECNICA
ALLA
REALIZZAZIONE
DELLA
PERFORMANCE
In questo capitolo passerò in rassegna tutti gli elementi utili per la realizzazione del nostro progetto,
i sintetizzatori ed il loro set-up, gli strumenti tradizionali, e la patch di Max per il live electronics,
che utilizzeremo nella performance.
3.1. IL SINTETIZZATORE MODULARE
In questo paragrafo andrò ad esporre tutti i moduli del mio sintetizzatore Eurorack, con una breve
descrizione di ogni singolo modulo e della propria funzione nella patch che ho creato per la
performance.
DOEPFER “A-100P6”
“Case” (termine tecnico derivato
dall’inglese, che letteralmente sta per
“scatola”, “contenitore”) trasportabile
per moduli Eurorack, formato da due
file rack da tre unità ognuno della
lunghezza di 84HP ciascuno (unità di
misura che indica lo spazio che
occupa il modulo. 1HP = 5.08mm). Il
case oltre ad alloggiare i moduli,
provvede
anche
alla
loro
alimentazione tramite un alimentatore
da 12volts (nel caso di particolari
moduli può essere portata a 5volts), che trasmette corrente si moduli tramite bus board con
connettori a pin con intensità massima pari a 1200mA (milliampere).80
80
http://www.doepfer.de/a100p_e.htm (05-08-16)
74
INTELLIJEL “RUBICON”
(CD: Campione 15)
Oscillatore analogico Rubicon Dixon Thru Zero
Triangle
Core
VCO,
prodotto
dall’azienda
Intellijel.81
Questo modulo ha diverse caratteristiche che lo
differenziano dai classici oscillatori: in primo luogo
quella che viene chiamata “thru zero FM”, cioè una
particolare modulazione di frequenza che sta ad
indicare che i cicli che compie l’onda modulante
(proveniente da un oscillatore esterno) va a
comprendere le frequenze sia positive che negative
della forma d’onda, al contrario di una normale FM
che comprenderebbe invece solo le frequenze
positive. La forma d’onda in frequenza negativa non
è altro che la replica dell’originale ma a tempo
inverso, come se andasse in reverse. Quando
l’oscillatore
viene
modulato
“trough
zero”
(letteralmente “attraverso lo zero”) quindi, la forma d’onda rallenta fino a fermarsi (zero hertz) per
poi ripartire in senso contrario; ad esempio se questa operazione fosse fatta con un’onda a rampa
ascendente, la sua corrispondente negativa sarebbe un’onda rampa discendente. Questa tecnica
produce come risultato una varietà di suoni più ricca ed ampia a livello spettrale
L’indice di modulazione può essere controllato tramite un attenuatore, o limitato alle sole frequenze
positive (modulazione di frequenza lineare) attraverso un apposito tasto.
Descrivendo brevemente il modulo, troviamo (da sinistra a destra, e dall’alto verso il basso) le
seguenti funzioni:
-
potenziometro “FINE” per regolare finemente l’intonazione del VCO, nell’ordine di +/- 6
semitoni
-
tasto per passare da modalità LFO (da 0.01Hz a 240Hz) a modalità VCO (da 1Hz a 24kHz),
-
potenziometro “EXP FM” per il controllo del livello di crescita esponenziale della
modulazione di frequenza
81
https://intellijel.com/eurorack-modules/rubicon/ (07-08-16)
75
-
tasto a tre opzioni per modificare una sinusoide in una “SIGMOID” semplice o una
“SIGMOID” doppia (una forma d’onda dalla timbrica simile a quella di una dente di sega,
ma con un suono che potremmo definire più “caldo”). L’opzione ha effetto solo se si sta
utilizzando una forma d’onda sinusoidale
-
potenziometro “COARSE” per regolare la frequenza dell’oscillatore
-
tasto a tre opzioni per il controllo della forma d’onda ad impulso
-
potenziometro “TZFM” che funge da attenuatore dell’ampiezza dell’onda modulante in
entrata
-
potenziometro “SYMMETRY” regola l’andamento della forma d’onda, se “aperto”
totalmente produce una forma d’onda lineare tradizionale, se “chiuso” produce una forma
d’onda con frequenze negative, se posto all’esatta metà è a 0Hz (non produce suono)
-
potenziometro “PW” per regolare il volume di uscita della forma d’onda ad impulso
-
tasto selettore del tipo di modulazione di frequenza desiderata, lineare o esponenziale
-
tasto “SUB OCT” stabilisce a quante ottave sotto la principale lavora la forma d’onda SUB
(-1 o -2 ottave)
-
tasto “RESET”: in caso di HARD sync con un altro oscillatore blocca il processo in atto di
crescita o decrescita frequenziale
-
fila di entrate jack, per le modulazioni dei parametri, nell’ordine: modulazione pitch 1volt
per ottava, modulazione dell’attenuatore per la modulazione in frequenza “TZFM”
(compreso di attenuatore), entrata per la modulazione di frequenza “TZFM”, entrata per la
modulazione della simmetria dell’onda (compreso di attenuatore), entrata per SOFT sync
(compreso di attenuatore), entrata per HARD sync, entrata per modulare il volume dell’onda
ad impulso (compreso di attenuatore), entrata per modulare il grado di esponenzialità della
modulazione di frequenza
-
fila di uscita delle forme d’onda, nell’ordine: sinusoide, triangolare, rampa, dente di sega,
zig zag, quadra, impulso, quadra SUB (una o due ottave sotto la frequenza base)
Un’altra caratteristica di questo VCO è la possibilità di sfruttare tutte le forme d’onda a sua
disposizione nello stesso momento, dato che ogni forma d’onda ha una propria uscita fisica.
76
MUTABLE INSTRUMENTS “BRAIDS”
(CD: Campione 16)
Oscillatore digitale Braids macro oscillator, prodotto
da Mutable Instruments.82
Questo modulo non è un oscillatore semplice, lo
potremmo definire una sorgente sonora monofonica
digitale, capace di elaborare intricati algoritmi. La
ragione è che molti dei timbri che genera da solo, sono
talmente complessi da elaborare che richiederebbero un
intero sistema modulare di oscillatori, filtri, waveshapers
e modulatori ad anello per ricrearli in analogico.
Ogni algoritmo è controllato da due parametri variabili:
“timbre” e “colour”, entrambi modulabili tramite
controllo di voltaggio.
Il pannello principale del modulo si presenta abbastanza
essenziale,
con pochi comandi fisici, necessari alla
gestione degli algoritmi per la generazione delle forme
d’onda al suo interno.
Facendo un breve descrizione del modulo troviamo nell’ordine:
-
display LED e selettore rotativo con bottone al suo interno. Il display mostra il nome del
modello di sintesi che si sta utilizzando, ed il selettore viene usato per la selezione del
modello. Premendo il selettore, vengono visualizzati sul display una lista di opzioni e
funzioni che andremo ad approfondire in seguito;
-
potenziometro per il controllo della frequenza in un range ristretto (usato solitamente per
intonare l’oscillatore);
-
potenziometro per il controllo della frequenza generale dell’oscillatore;
-
potenziometro “FM”: attenuatore dell’ampiezza dell’onda modulante in entrata per la
modulazione di frequenza;
-
potenziometro per il controllo del parametro “timbre”;
-
potenziometro “modulation”: controlla l’ampiezza e la polarità in caso di modulazione sul
parametro “timbre”;
82
potenziometro per il controllo del parametro “colour”;
Mutable Instruments, Braids User Manual (09-08-16)
77
-
cinque entrate mini-jack, rispettivamente per il trigger, pitch controllato in tensione (1 volt
per ottava), modulazione di frequenza, modulazione del parametro “timbre”, modulazione
del parametro “colour”;
-
uscita mini-jack del segnale audio.
Braids può contare su 45 forme d’onda diverse, classificate in sette categorie:
Analog Synthesis. Direct Digital Synthesis, Vocal Synthesis, FM, Simulations, Wavetables, Noise
Scorrendo con il selettore troviamo nel seguente ordine queste forme d’onda:
1. CSAW. Emulazione di un’onda dente di sega del sintetizzatore Yamaha CS-80,
precisamente una particolare imperfezione che ha questo strumento analogico, regolabile
tramite il parametro “timbre”. Il parametro “colour”, invece, controlla la polarità della forma
d’onda.
2. /VI-_-_. Questo algoritmo produce un morphing tra un’onda triangolare, una dente di sega,
una quadra ed una ad impulso, particolarità che si può trovare in sintetizzatori come RSF
Kobol o Moog Voyager. Con il parametro “timbre” si seleziona la forma d’onda e con
“colour” si controlla un filtro passa-passo a un polo e l’intensità di un waveshaper.
3. /|/|-_-_. Una forma d’onda dente di sega sfasata ed un’onda quadra con modulazione di
larghezza di impulso. Il parametro “timbre” regola l’indice di sfasamento o della larghezza
dell’impulso, mentre “colour” esegue un “morph” tra una forma d’onda e l’altra.
4. FOLD. Sinusoide ed un’onda triangolare elaborate da un wavefolder. “Timbre” regola
l’intensità del wavefolder, “colour” controlla il bilanciamento tra i segnali delle due onde.
5. _I_I_I_I_. Sintesi digitale che sviluppa una serie di forme d’onda partendo da una sinusoide
ad un treno di impulsi, la transizione da una forma d’onda e l’altra è controllata dal “timbre”
6. SYN Π. Due oscillatori che emettono onde quadre collegate mediante HARD sync. Timbre
controlla l’intervallo tra onda “master” e onda “slave”, mentre “colour” controlla il
bilanciamento tra i segnali dei due oscillatori.
7. SYN /I. Due oscillatori che emettono onde a dente di sega collegate mediante HARD sync.
Timbre controlla l’intervallo tra onda “master” e onda “slave”, mentre “colour” controlla il
bilanciamento tra i segnali dei due oscillatori.
8. /I/Ix3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda quadre intonabili singolarmente. Il
controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour”
controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore.
78
9. Π_X3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda quadre intonabili singolarmente. Il
controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour”
controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore.
10. /\X3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda triangolari intonabili singolarmente. Il
controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour”
controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore.
11. SIx3. Tre oscillatori che emettono forme d’onda sinusoidali intonabili singolarmente. Il
controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour”
controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore.
12. RING. Tre oscillatori sinusoidali modulate tramite modulatore ad anello e waveshaper. Il
controllo della frequenza generale intona il primo oscillatore, mentre “timbre” e “colour”
controllano rispettivamente la frequenza del secondo e terzo oscillatore.
13. /I/I/I/I. Sette onde a dente di sega, “timbre” controlla l’indice di detuning delle onde, mentre
“colour” è un filtro passa-alto.
14. /I/I_I_I. Onda a dente di sega mandata in un filtro a pettine. “Timbre” controlla la frequenza
della forma d’onda e la linea di ritardo del filtro, “colour” regola il feedback e la polarità.
15. TOY. Questo algoritmo emula le timbriche generate da giocattoli elettronici musicali
modificati (circuit-bent). “Timbre” e “colour” regolano rispettivamente il tempo e
l’ammontare dei “glitch”.
16. ZLPF. Filtro passa-basso che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un
waveshaper, “timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda
(dente di sega, quadra, triangolare).
17. ZPKF. Filtro a picco che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper,
“timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega,
quadra, triangolare).
18. ZBPFFiltro passa-banda che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper,
“timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega,
quadra, triangolare).
19. ZHPF. Filtro passa-alto che filtra una forma d’onda analogica elaborata da un waveshaper,
“timbre” controlla la frequenza di taglio, “colour” modifica la forma d’onda (dente di sega,
quadra, triangolare).
20. VOSM. Tre oscillatori messi in HARD sync e combinati ad un modulatore ad anello per
emulare la sintesi a formanti. “Timbre” e “colour” controllano la frequenza delle relative
formanti.
79
21. VOWL. Modello che sintetizza i suoni delle vocali, emulazione dei vecchi programmi
“speech” per computer. “Timbre” controlla le vocali ed effettua un morphing tra di esse,
“colour” modifica il timbro a seconda del genere (maschile o femminile).
22. VFOF. Modello che sintetizza i suoni delle vocali, emulazione della sintesi FOF (Formant
Wave Function) ideata da Rodet. “Timbre” controlla le vocali ed effettua un morphing tra di
esse, “colour” modifica il timbro a seconda del genere (maschile o femminile).
23. HARM. Modello per la sintesi additiva, formato da 12 sinusoidi in rapporto armonico.
“Colour” modifica la distribuzione delle ampiezze delle armoniche attorno alla frequenza
centrale, impostata tramite il parametro “timbre”.
24. FM. Due operatori per la sintesi FM. “Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour”
controlla l’intervallo tra la frequenza dell’oscillatore modulante con la frequenza
dell’oscillatore portante.
25. FBFM. Due operatori per la sintesi FM. Ma con l’oscillatore portante messo in feedback
con sé stesso. “Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour” controlla l’intervallo tra
la frequenza dell’oscillatore modulante con la frequenza dell’oscillatore portante.
26. WTFM. Due operatori per la sintesi FM a doppio feedback detta “cross synthesis”.
“Timbre” controlla l’indice di modulazione, “colour” controlla l’intervallo tra la frequenza
dell’oscillatore modulante con la frequenza dell’oscillatore portante.
27. PLUK. Algoritmo che simula una corda pizzicata, “timbre” controlla lo smorzamento della
corda, “colour” la frequenza.
28. BOWD. Algoritmo che simula gli strumenti ad arco. “Timbre” controlla la pressione
dell’arco sulla corda, “colour” la posizione dell’arco.
29. BLOW. Algoritmo che simula gli strumenti ad ancia. “Timbre” controlla la pressione
dell’aria, “colour” la geometria dello strumento.
30. FLUTE. Algoritmo che simula il suono di un flauto. “Timbre” controlla la pressione
dell’aria, “colour” la geometria dello strumento.
31. BELL. Algoritmo di sintesi additiva su modello di Risset per ricreare il timbro di una
campana. “Timbre” controlla l’indice di smorzamento, “colour” l’indice di “inarmonicità”
del suono.
32. DRUM. Variante dello stesso algoritmo precedente, ma al fine di ricreare suoni dei piatti
della batteria. “timbre” controlla lo smorzamento, “colour” il tono del suono.
33. KICK. Emulazione del suono di grancassa della drum machine Roland TR-808. “Timbre”
controlla il tempo di decadimento del suono, “colour” controlla il tono del suono.
80
34. CYMB. Emulazione del suono di charleston della drum machine Roland TR-808. “Colour”
controlla il bilanciamento tra la somma di onde quadre e rumore bianco, “timbre” controlla
il cut-off di un filtro passa-banda.
35. SNAR. Emulazione del suono di rullante della drum machine Roland TR-808. “Timbre”
controlla il bilanciamento tra i due risonatori, e “colour” controlla il volume del rumore in
relazione ai risonatori
36. WTBL. Sintesi “wavetable”: “timbre” varia il punto di partenza dell’onda, e “colour”
seleziona una delle venti wavetable a disposizione.
37. WMAP. Sintesi “wavetable” con schema a due dimensioni. 256 forme d’onda sono disposte
su una griglia virtuale 16X16, e i parametri “tinbre” e “colour” controllano lo spostamento
del selettore dell’onda rispettivamente sull’asse X e Y.
38. WLIN. Sintesi “wavetable” con tutte le forme d’onda wavetable, ma il selettore opera su
una dimensione. “Timbre” muove il selettore tra le onde, “colour” seleziona il metodo di
interpolazione.
39. WTx4. Sintesi “wavetable” a quattro voci. “Timbre” svolge un “morph” tra le sedici forme
d’onda wavetable disponibili, “colour” seleziona la struttura armonica tra le quattro voci.
40. NOIS. Rumore bianco filtrato da un filtro multimodo. “Timbre” controlla l’indice di
risonanza del filtro, la frequenza centrale del modulo è la frequenza di taglio del filtro,
“colour” opera un crossfade tra un filtro passa-basso ed un filtro passa-alto.
41. TWNQ. Rumore bianco filtrato da due filtri passa-banda risonanti. “Timbre” controlla
l’indice di risonanza dei filtri, “colour” controlla la distanza tra i picchi dei due filtri.
42. CLKN. Questo modello genera campioni casuali ad un certo grado dato, determinato dal
controllo di frequenza centrale del modulo. “Timbre” controlla la periodicità della
generazione dei campioni, “colour” la loro quantizzazione.
43. CLOU. Sintesi granulare attua a creare testure organiche, ottenute missando piccoli grani
ottenuti da sinusoidi. La frequenza dei grani viene controllata tramite il controllo di
frequenza del modulo, “colour” controlla l’indice di casualità dei grani, “timbre” ne
controlla la densità.
44. PRTC. Sintesi granulare attua a creare testure organiche, ottenute missando piccoli grani
ottenuti da impulsi simili a tintinnii. La frequenza dei grani viene controllata tramite il
controllo di frequenza del modulo, “colour” controlla l’indice di casualità dei grani,
“timbre” ne controlla la densità.
81
45. QPSK. Questo modello genera, all’interno delle frequenze udibili dall’uomo, la tipologia di
segnale usato nei sistemi di telecomunicazione digitale. “Timbre” e “colour” controllano
rispettivamente bit-rate ed indice di modulazione.
All’interno del menu opzioni, attivabile premendo il selettore posto alla destra dello schermo led, è
possibile accedere a delle funzionalità utili per l’utilizzo del modulo:
-
META: permette in sostanza di modulare la selezione degli algoritmi. Quando lo si attiva
infatti, l’entrata “FM” per la modulazione di frequenza del modulo viene disattivata e, al
posto di modulare l’altezza sonora, verrà modulata la scelta delle forme d’onda tramite
controllo di voltaggio.
-
BITS: seleziona la profondità in bit (da 2 a 16 bit).
-
RATE: seleziona la frequenza di campionamento del convertitore analogico-digitale (da 2
kHz a 96 kHz).
-
TSRC: seleziona la provenienza da cui il modulo riceve il trigger. Con l’opzione EXT il
modulo risponde al trigger proveniente dall’entrata jack “trigger”, con l’opzione AUTO
invece, il modulo genera automaticamente un trigger tramite i cambiamenti nel pitch che
riceve dall’entrata V/OCT, generalmente utilizzata per i sequencer o arpeggiatori, superiori
al semitono.
-
TDLY: quanto si utilizzano gli algoritmi dei modelli fisici (come ad esempio pluk, blow, o
bell) applica una linea di ritardo fino a 4 millisecondi tra il momento in cui il trigger viene
ricevuto al momento in un la nota viene suonata. per prevenire errori generati da impreciso
controllo in voltaggio che potrebbe generare glitch o rumori indesiderati.
-
I\ ATT, I\ DEC: indice di attacco e decadimento in caso si usi il generatore d’inviluppo al
suo interno.
-
I\FM, I\TIM, I\COL, I\VCA: controlla l’indice di modulazione del generatore di inviluppo
interno al modulo, rispettivamente assegnati ai parametri “FM”, “timbre”, “colour” e
ampiezza del segnale in uscita.
-
RANG: regola il raggio d’azione del potenziometro “coarse” (che controlla la frequenza
fondamentale del modulo). Con l’opzione EXT, il potenziometro agisce in un raggio
d’azione di +/- 4 ottave attorno alla frequenza centrale rivevuta dall’input V/OCT. Con
FREE il potenziometro agisce in un raggio d’azione di +/- 4 ottave attorno alla nota C3
82
(261.5Hz). XTND estende il raggio frequenziale del parametro, ma non segue una scala
intonata. 440 invece blocca l’oscillatore a 440Hz esatte, disabilitando il potenziometro.
-
OCTV: trasposizione generale del modulo in ottave.
-
QNTZ: applica una quantizzazione del controllo di voltaggio proveniente dall’entrata
V/OCT. La frequenza può essere quantizzata in semitoni, toni, o in varie scale disponibili,
oppure disabilitata.
-
ROOT: permette di selezionare la nota d’origine su cui si basa la quantizzazione del
controllo di voltaggio.
-
FLAT: applica una leggera stonatura (detuning) nelle frequenze più basse e più alte, per
ricreare le imperfezioni di intonazione degli oscillatori analogici vintage.
-
DRFT: ricrea delle imperfezioni presenti nei VCO a basso costo.
-
SIGN: aggiunge glitch o forme d’onda sporche e
imperfette al segnale in uscita. Il
comportamento di questa opzione è unica e varia da modulo a modulo.
-
BRIG: regola la luminosità dello schermo led.
-
CAL.: opzione per calibrare l’oscillatore.
MAKE NOISE “MATHS”
Maths è un modulo costruito dall’azienda Make
Noise, definito dagli stessi costruttori come
“computer analogico progettato per uso musicale”.
L’ideale di utilizzo di questo modulo si rifà ad
alcuni moduli costruiti da Don Buchla alla fine
degli anni ’60, come Model 257 e Model 281,
chiamati “Buchla’s Algebraic Processors”.
Make Noise Maths è in grado di generare una vasta
varietà
di
funzioni
lineari,
logaritmiche
o
esponenziali, amplificare o attenuare un segnale in
entrata ed inviare o ricevere segnali di controllo.
Le principali funzioni che svolge questo incredibile
modulo sono:
-
generatore di inviluppi in controllo di
83
voltaggio;
-
LFO “in banda audio” con un ambito di frequenza da 0.00066 Hz (25 minuti per compiere
un ciclo) a 1000Hz;
-
Applicare ritardo, sfasamento, o portamento al controllo di voltaggio;
-
Attenuare l’ampiezza di una modulazione o invertirne la polarità;
-
Combinare fino a quattro controlli di segnale per creare modulazioni più complesse;
-
Incrementare o diminuire il tempo (proveniente, ad esempio, da un “clock”);
Maths è formato da 4 canali, precisamente due coppie identiche e in posizione speculare, così da
avere il canale 1 identico al canale 4, ed il 2 identico al canale 3.
-
Canale 2 e 3. Svolgono funzioni prettamente di controllo di un segnale, utilizzati come
attenuatore o per invertirne la polarità, attraverso i potenziometri indicanti il numero 2 e 3
posti al centro del modulo. Una piccola linea disegnata indica le entrate minijack poste sopra
a questi controlli, mentre le uscite sono poste al di sotto dei potenziometri ed indicate con i
numeri corrispondenti.
-
Canale 1 e 4. Svolgono le funzioni primarie del Maths, sono identici tra loro fungono da
generatori di rampe, necessari all’utilizzo del modulo come un generatore di inviluppi, e con
la possibilità, grazie ai due tasti “CYCLE” presenti, di poter mettere i canali in ciclo
continuo,
permettendo
così
di
utilizzare
il
modulo
come
un
LFO.
Partendo dalla parte alta del modulo, troviamo in alto a sinistra (o a destra) due entrate, una
per il segnale, e quindi utilizzata per applicare ritardo, o portamento, e l’altra per l’entrata di
un impulso o un gate necessari a triggerare il segnale. Quest’ultima è utile a generare un
inviluppo, “pulse delay”, o “clock division”. Situato subito sotto le due entrate, troviamo un
tasto selezionatore con un led, che attiva o disattiva la funzione “cycle” (ciclo continuo),
necessaria (nel caso in cui sia attiva) e produrre una continua ripetizione della funzione,
utilizzabile quindi nel caso si volesse un LFO o per generare un clock. Successivamente
troviamo tre potenziometri di colore blu, che servono a regolare rispettivamente la velocità
di ascesa, discesa e della curva generale della funzione. Quest’ultimo ha un range
ampissimo, e viene indicato a seconda del tipo di risposta al segnale: logaritmica, lineare,
esponenziale fino a “Hyper-Exponential”. Alla destra dei potenziometri troviamo le entrate
per modulare i parametri appena esposti, rispettivamente ascesa, curva generale, discesa e
“cycle”. Nel centro del modulo, assieme ai controlli per i canali 2 e 3, troviamo due
potenziometri bianchi per i canali 1 e 4 (rispettivamente primo ed ultimo in fila) utilizzati
come negl’altri canali, da attenuatore o per invertire la polarità del segnale. Nella parte bassa
84
del modulo invece troviamo diverse uscite, le principali del canale 1 e 4 sono, in ordine, le
prime tre o le ultime tre: nella prima (riferito al canale 1) esce un’onda quadra, che funge da
gate o da clock (a seconda che la funzione “cycle” sia rispettivamente disattivata o attivata).
Nella seconda invece esce il segnale normale proveniente dal circuito, questa uscita è
provvista di led indicante se il voltaggio è positivo (luce verde) o negativo (luce rossa).
Dalla terza uscita, indicata dal numero del canale (in questo caso “1”), esce lo stesso
segnale della seconda, ma influenzato dall’attenuatore (potenziometro bianco).
-
Uscite “OR”, “SUM” e “INV”: questi tre circuiti offrono diverse opzioni, tutte regolate
dagli attenuatori dei quattro canali. L’uscita “SUM” è la somma dei segnali di tutti e quattro
i canali, con la possibilità di missare l’uscita tramite i quattro attenuatori che, avendo la
possibilità di invertire la polarità, possono aggiungere, invertire o sottrarre voltaggio tra di
loro; è un’uscita utile a combinare diversi segnali di controllo al fine di generare
modulazioni complesse. L’uscita “INV” svolge le stesse funzioni dell’uscita precedente, ma
ne inverte la polarità. L’uscita “OR” invece svolge una funzione leggermente diversa: sulla
base del concetto del controllo di voltaggio (per cui la frequenza dell’onda viene controllata
in base al voltaggio, vale a dire bassa frequenza = basso voltaggio e al contrario alta
frequenza = alto voltaggio), il circuito “OR” fa uscire il segnale del canale con il voltaggio
più alto in quel momento, e solo con segnali positivi in polarità. Ad esempio: sapendo che il
modulo opera in un range che va da 0 a 10 volt, se il primo canale genera un onda che va da
2 a 10 volt, e il quarto canale invece un’onda che va da 3 a 4 volt, Maths farà uscire il
segnale del primo canale solamente quando opererà dai 4 ai 10 volt, mentre al di sotto di
quel voltaggio, ad esempio quando sarà a 2 volt, farà uscire il segnale del canale 4, perché
superiore in voltaggio.
Oltre alle funzioni descritte finora, questo incredibile modulo offre inoltre la possibilità di fare
collegamenti tra di esso. Combinando tra loro i vari canali infatti, è possibile generare ulteriori
funzioni come modulazioni particolari, inviluppi molto complessi, envelope follower ecc.83
INTELLIJEL “KORGASMATRON II”
Modulo Korgasmatron II, costruito da Intellijel. Si tratta essenzialmente di un doppio filtro
multimodo (utilizzabile in serie o in parallelo), costruito basandosi sulla circuitazione del filtro del
sintetizzatore Korg MS20, ma con l’implementazione di diverse funzioni.
83
Make Noise, Maths Manual 2013
85
Successore del famoso “Corgasmatron”, questo modulo offre ben sei filtri tipologie di filtro
diverso: passa-basso 1polo, passa-basso- 2poli, passa-banda 1 polo, passa-alto 1 polo, passa-alto 2
poli, notch (elimina-banda) a 1 polo. La scelta è affidata ad un selettore rotativo a sei stadi.84
Descrivendo brevemente i controlli e le funzioni di questo modulo, possiamo trovare:
-
CUTOFF. Potenziometro per il controllo della frequenza di taglio (cut-off) posto in cima;
-
CLIP. Tasto selettore, per scegliere il grado
di saturazione del filtro, “soft” o “hard”.
-
Q. Potenziometro per il controllo del “Q”
(indice di risonanza de filtro);
-
FM1.
Attenuatore
modulazione
di
frequenza;
-
Q-DRIVE. Indice di saturazione del filtro;
-
FM2. Attenuatore per la modulazione di
frequenza, con la possibilità di invertire la polarità
del segnale modulante in entrata;
-
IN
A.
Attenuatore
dell’ampiezza
del
segnale audio in entrata;
-
MODE. Selettore rotativo per la scelta della
tipologia di filtro;
-
XFADE. Potenziometro miscelare gradualmente (tramite fading) il segnale dei due filtri.
Posto subito sotto troviamo un piccolo potenziometro per regolare l’effetto della
modulazione su questo parametro;
-
XFADE DIR. Tasto selettore a due stadi per decidere il percorso del segnale, se dal filtro A
o B o viceversa;
-
Tasto selettore a due stadi per decidere se mettere i due filtri in serie o in parallelo, posto in
centro del modulo sotto questi ultimi due parametri.
Sotto i vari tasti e potenziometri, troviamo l’aerea con le varie entrate ed uscite del modulo.
Quest’ultime sono posizionate agli esterni, si riconoscono perché di colore diverso e con la scritta
OUT (uscita del filtro) A o B, e MIX (uscita della somma dei due filtri, posti in serie).
84
https://intellijel.com/eurorack-modules/korgasmatron-ii/ (17-08-16)
86
Le due entrate audio sono poste in mezzo alle altre, riconoscibili dalla scritta IN A o IN B, mentre
le restanti sono entrate per segnali di controllo: FM1, FM2, XFADE (per la modulazione del
miscelatore) e l’intonatura 1V/OCT.
Ci si chiederà il perché in un filtro ci sia un controllo per intonare la frequenza, e la spiegazione è
molto semplice: questo modulo, all’occorrenza, può trasformarsi in un doppio oscillatore
sinusoidale. Per farlo occorre semplicemente alzare al massimo l’indice di risonanza, la saturazione
ed il parametro “IN A” del filtro, e spostare il selettore “CLIP” su “hard”; in questo modo, l’estrema
risonanza lo porta in auto oscillazione, diventando così un VCO a tutti gli effetti.
DOEPFER “A-130”
Modulo VCA modello A-130, costruito da Doepfer: è un amplificatore
lineare controllato in voltaggio.85
Lo scopo all’utilizzo di un VCA è modulare un segnale audio in
ampiezza, tramite LFO o inviluppi. Questo modulo in particolare ha la
possibilità di inserire due segnali audio e due controlli in voltaggio (uno
ciascuno), i due segnali sommati, poi escono tramite un'unica uscita.
Il modulo è formato nell’ordine:
-
Prima entrata per il controllo di voltaggio con relativo “gain”
(guadagno);
-
Seconda entrata per il controllo di voltaggio con relativo “gain”
(guadagno);
-
Entrata segnale audio con relativo controllo del volume entrante;
-
Entrata del secondo segnale audio con relativo controllo del
volume entrante;
-
Uscita segnale audio con relativo controllo del volume uscente.
Per quanto riguarda gli indici di guadagno del segnale di controllo in entrata (gain del CV1), perché
l’inviluppo, o in generale una modulazione, abbia effetto totale, il potenziometro andrà posto al
85
http://www.doepfer.de/a130.htm (18-08-16)
87
minimo (livello “0”) e non al massimo (livello “10”), questo perché, in caso contrario, ne uscirebbe
il segnale senza la modulazione. Questi due parametri, uno per ogni entrata, servono essenzialmente
da miscelatore, detto comunemente “mix dry/wet”, tra, per l’appunto, il segnale modulato e quello
“pulito”.
MAKE NOISE “WOGGLEBUG”
Wiard Wogglebug, costruito da Make Noise.86
Questo è sicuramente uno dei moduli più particolari
all’interno del sintetizzatore: nasce come generatore di
voltaggi casuali, vale a dire un “random generator”, ma
contiene al suo interno molte più funzioni:
-
Modulatore ad anello,
-
“Sample and hold” senza il bisogno di fonti esterne
produce la modulazione in controllo in voltaggio da 0 a 10
volt;
-
Due VCO ad onda quadra, utilizzati per la funzione
sample and hold o utilizzabili singolarmente come fonte
sonora;
-
LFO.
Passando quindi all’analisi del modulo, troviamo nella
parte sinistra le entrate, nella parte centrale tutti i controlli,
sotto forma di potenziometri, mentre nella parte destra
tutte le uscite.
Procedendo in ordine per le entrate:
-
Entrata per la modulazione del tempo all’interno del modulo;
-
Entrata per inserire un clock esterno;
-
Entrata per regolare l’indice di randomizzazione tramite clock esterno,
-
Entrata per la modulazione della frequenza del modulatore ad anello.
Nella sezione centrale invece, procedendo dall’alto verso il basso, troviamo:
86
Controllo dell’ampiezza del generatore di voltaggio casuale;
Make Noise, Wiard Wogglebug Manual
88
-
Volume VCO1;
-
Tempo generale/ controllo indice di “caos” del modulo;
-
Volume VCO2, detto “woggle”;
-
Tempo del VCO2.
Nella parte destra del modulo invece, troviamo le uscite:
-
Uscita segnale di controllo “Sample and Hold”;
-
Uscita segnale di controllo generato dal primo oscillatore;
-
Uscita VCO1;
-
Due uscite, poste alla sinistra delle altre, dei segnali casuali, dette “SOURCE OF
UNCERTAINTY”;
-
Uscita modulatore ad anello;
-
Uscita VCO2 “woggle”;
-
Uscita segnale di controllo generato dal secondo oscillatore.
Questo modulo si rifà come concezione al “Model 256 Source of Uncertainty” ideato da Don
Buchla. Il significato letteralmente sta per sorgente di incertezza, e nella pratica genera segnali di
controllo (CV) totalmente casuali nel tempo e nella frequenza.
INTELLIJEL “µFOLD II”
Wavefolder “µFOLD II” costruito da Intellijel. 87 Questo modulo nasce come integrazione
dell’oscillatore “Rubicon”, che abbiamo già visto in precedenza, e svolge funzione di “wavefolder”,
che letteralmente significa “onda piegata”, cioè un modo di modificare e distorcere una forma
d’onda. Il sistema fu visto per la prima volta in uno dei sintetizzatori modulari costruiti da Don
Buchla, precisamente il modello “200 series”. All’interno di esso vi era un modulo denominato
“259”, un doppio oscillatore capace di fare sintesi FM tramite circuitazione interna, quindi senza
l’ausilio di cavi per il routing. Tra le varie funzioni a disposizione vi erano dei controlli per la
gestione delle armoniche, della simmetria, e del timbro della risultante delle onde dei due
oscillatori; e sono proprio queste ultime funzioni che hanno ispirato i tecnici di Intellijel alla
costruzione di questo modulo, qui in una chiave più essenziale, con solo tre controlli che vanno a
modificare i parametri appena descritti. In formato Eurorack sono disponibili diverse emulazioni del
modulo “259” di Buchla, come “DPO” di Make Noise, o “Complex Oscillator” di Verbos
87
https://intellijel.com/eurorack-modules/µfold-ii/ (20-08-16)
89
Electronics, o “Furthrrrr Generator” di Endorphin.es; tutte riproduzioni fedelissime
di un modulo che ha fatto la storia dei sintetizzatori modulari.
Procedendo ad una breve descrizione del modulo in analisi, troviamo nell’ordine:
-
Tasto selettore indicante II, IV o VI stadi di “folding” (letteralmente
“piegamento”) della forma d’onda in entrata;
-
Potenziometro rappresentante l’indice di attenuazione dell’effetto sulla
forma d’onda originale in entrata;
-
Potenziometro indicante la simmetria dell’onda nel processo; in sostanza
questo parametro modifica la distanza tra un picco e l’altro, generando eventi
asimmetrici, piccoli raggruppamenti di picchi (alte frequenze) intervallati da
periodi ad ampiezza e frequenza più basse;
-
Entrate per la modulazione di questi due parametri, con relativo attenuatore
posto sotto di essi;
-
Entrata ed uscita del segnale audio.
Nelle immagini sottostanti, attraverso lo spettrogramma, possiamo notare come un’onda sinusoidale
venga modificata dal wavefolder:
90
MAKE NOISE “ECHOPHON”
Delay
analogico
“Soundhack
costruito da Make Noise.
Echophon”,
88
Questo modulo è, in sostanza, un delay analogico
abbinato ad un pitch-shifter digitale, due effetti che
insieme possono produrre dai semplici suoni
ripetuti (delay) trasposti (pitch-shifter) fino a
taglienti suoni “robotici”.
I due effetti sono collegati nella circuitazione
interna, la linea di ritardo va da 7 millisecondi fino
ad 1.7 secondi, mentre il pitch-shifter traspone il
segnale nel raggio di +/- 2 ottave. Tutti i parametri
del modulo sono modulabili tramite controllo in
tensione (CV), tra i quali il “feedback”, che qui
può essere applicato non solo tradizionalmente alla
linea di ritardo, ma anche al traspositore, e il
“freeze”, una speciale opzione che blocca tutti i processi del modulo mettendo in “loop” l’ultimo
ciclo della linea di ritardo.
Al centro dell’”ECHOPHON”, possiamo notare i due grossi potenziometri color nero,
corrispondenti rispettivamente al controllo del pitch del traspositore e del tempo della linea di
ritardo, e sotto ad essi tutti i controlli o gli attenuatori di modulazione. Il modulo infatti è
internamente diviso in due sezioni, corrispondenti ai due effetti appena citati.
Passando quindi ad una breve descrizione del modulo, troviamo:
-
Parametri generali. I parametri generali (cioè che non riguardano essenzialmente un effetto
o un altro) sono collocate nella parte alta del modulo e nel centro. In alto possiamo subito
trovare un entrata ed un uscita per il segnale audio, provviste di attenuatore del segnale
d’entrata e un potenziometro per la miscelazione del suono diretto con il suono effettato
(dry/wet). Quest’ultimo parametro è provvisto di un’entrata di controllo per poterlo
modulare tramite LFO o inviluppo. Al centro del modulo invece troviamo il controllo del
feedback, assegnabile, come già detto in precedenza, sia alla linea di ritardo che al
88
Make Noise, Soundhack Echophon Manual
91
traspositore. Il controllo inoltre è provvisto di entrata di controllo per la modulazione ed un
potenziometro regola ampiezza e polarità della modulante;
-
Pitch-shifter: posizionato nella parte sinistra del modulo, ha principalmente due controlli: il
livello di trasposizione positiva o negativa, modulabile in controllo di tensione tramite le
due entrate poste sotto ad esso (una provvista di controllo di ampiezza e polarità della
modulante, l’altra “libera”) e il livello dell’effetto, modulabile anch’esso tramite un’entrata
sotto ad esso provvista di attenuatore;
-
Delay. Posizionato nella parte destra del modulo, il delay ha diverse entrate ed uscite per la
gestione del “delay-time” (cioè il tempo della linea di ritardo). Echophon infatti, oltre al
parametro principale, può ricevere o inviare un clock (tramite l’entrata “tempo” e l’uscita
“CLK out”), e può essere modulato nel decay time (entrata “ECHO”). Inoltre, come già
anticipato, possiede l’opzione “freeze delay” attivabile tramite un tasto o con un gate
esterno.
ALM BUSY CIRCUITS “ALM001 - PAMELA’S WORKOUT”
ALM001 – Pamela’s Workout89, costruito dall’azienda ALM Busy Circuits,
è una generatore di tempo, o meglio conosciuto come “clock source”, un
modulo completamente programmabile con ben otto uscite indipendenti a cui
si possono assegnare molteplici tipologie di battute (1/4, 2/4 ecc) sulla base di
un unico tempo base, che va dai 25 fino ai 300 BPM (battiti per minuto). Alle
battute possono essere abbinate delle linee di ritardo, un selettore “random” e
un “offset”.
Nella parte centrale del pannello troviamo un cursore con tasto integrato, con
cui si naviga attraverso tutte le opzioni del modulo, cioè il tempo generale, e
l’assegnazione delle battute di ogni singola uscita. Sotto di esso, un semplice
tasto per l’attivazione o lo stop del ciclo.
Al di sotto troviamo le otto uscite, con un pratico led che indica il tempo del
clock dell’uscita, mentre in alto vengono collocate delle entrate, necessarie a
89
ALM-001, Pamela’s Workout – Operation Manual
92
sincronizzare il modulo con un altro clock generator, o per modulare il parametro “start/stop”.
MANHATTAN ANALOG “MIX”
Mixer analogico “Mix” progettato e costruito dalla azienda americana Manhattan
Analog.90
Si tratta di un modulo semplicissimo, come si può notare dalla foto, utilizzato per
lo più per sommare più segnali e miscelarli.
È l’ultimo modulo prima dell’uscita del segnale audio dal sintetizzatore, destinato
poi ad una scheda audio o ad un riproduttore sonoro.
Il pannello è formato da quattro mini-jack con relativi attenuatori, tre per le entrate
(indicate con i numeri “1”, ”2” e ”3”), ed uno per l’uscita (rappresentata tramite la
lettera “O”).
90
https://www.modulargrid.net/e/manhattan-analog-mix (24-08-16)
93
3.2. CLAVIA NORD LEAD 4
Clavia Nord Lead 4 è il secondo sintetizzatore che utilizzo nel corso della performance. Erede del
famoso Nord Lead (prima versione), il primo strumento elettronico “analogico virtuale”, è una delle
migliori macchine con questa tipologia costruttiva. Al contrario del modulare, questo è uno
strumento polifonico (24 voci) e totalmente integrato, perciò tutti i componenti per la sintesi e
l’elaborazione del segnale sono contenute in un unico circuito, in questo caso, digitale.
Tra le varie caratteristiche che rendono questo sintetizzatore uno strumento assolutamente
professionale, è la facilità d’uso e la presenza di comandi intuitivi, che consentono di modificare
facilmente un suono anche durante una performance dal vivo. Inoltre, a disposizione si trovano ben
400 suoni preimpostati editabili (tra i quali 100 “vuoti” e quindi disponibili alla programmazione
del sintetizzatore partendo dalla forma d’onda base senza alcun effetto).
Andiamo ora a vedere nel dettaglio tutti i componenti di questo sintetizzatore.91
PANNELLO OSCILLATORI
Clavia Nord Lead 4 è un sintetizzatore sottrattivo, cioè che opera basilarmente con sintesi sottrattiva
(ma non solo), dispone di due oscillatori utilizzabili simultaneamente e miscelabili tramite un
apposito controllo, o utilizzabili per sintesi FM (modulazione di frequenza); in questo ultimo caso
l’oscillatore 1 genera l’onda portante, mentre l’oscillatore 2 l’onda modulante.
91
Manuale Operativo Nord Lead 4 v1.3
94
I controlli per la modulazione di frequenza sono collocati sotto il secondo oscillatore con la scritta
“OSC1 MOD”, con tre impostazioni FM (FM1, FM2, FM3), indicante tre livelli diversi di
“keyboard tracking” (cioè la variazione della risposta in base alla nota suonata), e due per la
sincronizzazione (“soft” o “hard”) tra il primo oscillatore e ed un terzo generatore aggiuntivo; ogni
ciclo della forma d’onda prodotta da quest’ultimo riavvia il ciclo della forma d’onda dell’oscillatore
originale. Un potenziometro, posto a lato del selettore, regola l’ampiezza dell’onda modulante (nel
caso della sintesi FM) o la frequenza del terzo generatore d’onda (nel caso del “sync.”)
OSCILLATORE 1 E
WAVETABLE GENERATOR
OSCILLATORE 2 E NOISE
GENERATOR
MODULATORE OSCILLATORE 1
E MISCELATORE OSC1-OSC2
L’oscillatore principale (“OSC1”), oltre a disporre delle forme d’onda classiche tipiche di un VCO
(quadra, dente di sega, triangolare, sinusoidale e ad impulso), è dotato di ben 128 onde “wavetable”,
che offrono vari timbri con particolari caratteristiche tonali, tra le quali le simulazioni di campane e
kalimba (“Bells/Tines”) e le onde a formanti (“Formants”) che riproducono il suono delle vocali.
Il secondo oscillatore invece, oltre alle classiche forme d’onda, è dotato di generatore di rumore
bianco con un filtro incorporato, gestibile tramite i due parametri visibili nel’immagine,
rispettivamente nella risonanza e nella frequenza di taglio. Per le altre forme d’onda invece, i due
potenziometri gestiscono l’intonazione fine (+/- 50 centesimi di tono) e a semitoni (+/- 60
95
semitoni). Vi è un’altra opzione, selezionabile tramite il selettore delle forme d’onda (“KBT OFF”),
che disabilita il controllo della tastiera sull’oscillatore.
Sotto ai due generatori d’onda troviamo il pannello per la gestione della modulazione
dell’oscillatore principale (“OSC1 MOD”) e il miscelatore (“OSC MIX”) tra i due oscillatori.
PANNELLO FILTRO E INVILUPPO D’AMPIEZZA
Il secondo pannello che andremo ad analizzare è la sezione comprendente filtro multimodo,
inviluppo del filtro e inviluppo dell’ampiezza, situato alla destra degli oscillatori.
Clavia nel corso degli anni ha fatto del filtro uno dei suoi tratti distintivi, emergendo tra le altre per
la sua sonorità caratteristica e tagliente; qui, nella quarta versione del suo celebre sintetizzatore,
porta un filtro multimodo con tipologie classiche, come passa-basso (12, 24 e 48 dB di indice di
taglio), un passa-alto a 2 poli, un passa-banda (prodotto unendo passa-basso e passa-alto) e due
emulazioni riprese da due famosissimi sintetizzatori analogici “vintage”: il filtro “transistor ladder”
del Moog “Minimoog”, e il famoso filtro del Roland “TB-303” componente fondamentale per la
creazione di uno dei suoni più caratteristici della acid-house, detto ”acid bass”.
INVILUPPO DELL’AMPIEZZA
INVILUPPO DEL FILTRO
FILTRO MULTIMODO
Partendo dalla parte alta del pannello troviamo l’inviluppo
dell’ampiezza e del filtro, entrambi della tipologia ADSR
(attacco, decadimento, sustain e rilascio). Nel grafico qui
96
riportato notiamo come i parametri influenzino l’andamento del suono si preme e si rilascia il tasto
della tastiera.
Nella parte bassa del pannello invece troviamo la sezione del filtro, con i relativi controlli.
-
FREQ. L’indice della frequenza di taglio (cut-off) del filtro, messa in risalto dalla
colorazione rossa attorno al potenziometro;
-
RESONANCE. Controllo per la risonanza applicata al filtro;
-
DRIVE. Parametro per il controllo della saturazione applicata al filtro,
-
ENV AMT. Controllo che determina in che quantità l’inviluppo del filtro influenza la
frequenza di taglio. Il parametro può avere un andamento positivo o negativo (il
corrispondente nel sintetizzatore analogico dell’inversione della polarità in tensione);
-
KB TRACK. Questo parametro viene utilizzato per regolare la frequenza di taglio del filtro
a seconda del tato che viene suonato; una nota grave chiuderà di più il filtro di una nota
acuta, come riportato nel grafico sottostante.
-
FILTER TYPE. Selettore della tipologia di filtro da applicare (LP12, LP24, LP48, BP, HP,
LADDER M, LADDER TB);
-
VELOCITY e AMP VEL. Questi due parametri abilitano la funzione “velocity” (cioè la
velocità di pressione del tasto) per controllare rispettivamente l’inviluppo sul filtro e
l’inviluppo d’ampiezza.
PANNELLO MODULATORI
Il pannello dei modulatori, posto alla sinistra degli oscillatori, è diviso principalmente in tre sezioni,
ognuna corrispondente ad un modulatore diverso:
-
LFO1/ARP. Il primo modulatore è un LFO (oscillatore in bassa frequenza) e arpeggiatore, a
seconda di come venga impostato. La manopola “RATE” regola la frequenza dell’LFO (da
0.03 a 523 Hz) o la velocità dell’arpeggio (30 – 300 BPM); questo parametro può essere
97
sincronizzato con il tempo principale (“master clock”) del sintetizzatore. Alla sua destra,
due pulsanti selezionano rispettivamente la forma d’onda dell’LFO o la tipologia di
arpeggio (ascendente, discendente, random, monofonico o polifonico) e la destinazione della
modulazione o l’attivazione dell’arpeggiatore. Il potenziometro “AMOUNT”, situato a
destra della sezione, stabilisce in quale misura il segnale dell’LFO influenza la destinazione
selezionata con indice positivo o negativo (inversione della forma d’onda) oppure il raggio
d’azione dell’arpeggiatore da 1 a 4 ottave.
-
LFO 2. Il secondo modulatore è un LFO molto simile a quello appena visto, ma con diverse
forme d’onda selezionabili (come ad esempio random step e random slide) e diverse
destinazioni della modulazione Entrambi gli oscillatori a bassa frequenza hanno un’opzione,
denominata “KBS” che riavvia il ciclo dell’LFO ogniqualvolta si preme una nota della
tastiera.
-
MOD ENV. L’ultima sezione del pannello è occupata da un inviluppo, assegnabile a vari
parametri, tra i quali la frequenza e il miscelatore dei due generatori d’onda, l’indice di
modulazione FM e Sync del primo oscillatore, il controllo degli effetti e l’ampiezza del
secondo LFO. Il modulatore è formato da due controlli, rispettivamente per attacco e
decadimento/rilascio (l’uso di uno o l’altro parametro è selezionabile), il selettore delle
destinazioni della modulazione e l’indice di influenza del segnale modulante sulla
destinazione scelta, con indice positivo o negativo (inversione dell’inviluppo).
LFO1/ARPEGGIATORE
LFO2
INVILUPPO ASSEGNABILE
98
PANNELLO EFFETTI E OUTPUT
VOLUME
EFFETTI:
_
DELAY/RIVERBERO
SATURATORE
COMPRESSORE
BIT CRUSHER
FILTRI VOCALI
COMB FILTER
-
OUTPUT. Il potenziometro “LEVEL” del parametro “OUTPUT” imposta l’ampiezza del
preset in corso, perciò anche questo valore verrà salvato nel programma. Esso non è infatti il
controllo del volume generale del sintetizzatore, è stato creato proprio perché, in fase di
performance, dovendo utilizzare due suoni ma senza voler toccare il volume generale, è
possibile attenuare o incrementare il volume di un preset in modo da uniformare l’ampiezza
di tutti i suoni necessari.
-
FX. La sezione “FX” comprende sei diversi effetti, utilizzabili uno solo alla volta tramite un
selettore, tra cui: un saturatore/distorsore in stile valvolare (“DRIVE”), un compressore
(“COMPR”), un bit-crusher (“CRUSH), due filtri vocali (“TALK1” e “TALK2”) ed un
filtro a pettine (“COMB”). La gestione degli effetti è affidata ad un solo controllo, che ne
gestisce l’intensità e l’indice di modulazione.
-
DLY/REVERB. L’ultima sezione del pannello comprende altri due effetti, utilizzabili uno
alla volta tramite selettore: un delay e un riverbero. Quando il sintetizzatore viene impostato
99
su l’effetto delay, si ha a disposizione tre controlli, in ordine: il tempo della linea di ritardo
(da 20 millisecondi a 1.4 secondi), sincronizzabile con il tempo principale (“master clock”),
un selettore a tre stadi con tre livelli di “feedback” e il miscelatore tra suono diretto e suono
effettato, parametro comune ad entrambe le opzioni. Nel caso del riverbero invece, il primo
controllo svolge funzione di “decay.time” (tempo di decadimento), il selettore permette di
scegliere tra tre algoritmi di riverberazione diversi, a scelta tra “ROOM”, “STAGE”, e
“HALL” corrispondenti a tre “grandezze di stanze” differenti.
PANNELLO CONTROLLI GENERALI E VOICE MODE
L’ultima sezione di questo sintetizzatore di cui parleremo è parte riguardante i controlli generali, la
gestione dei programmi (preset) e la gestione delle “voci” (VOICE MODE).
VOLUME GENERALE
SEZIONE MORPH TRAMITE VELOCITY
E MODULATION WHEEL
SEZIONE
PER
LA
GESTIONE
DEI
PROGRAMMI E DEI RICHIAMI RAPIDI
SEZIONE
GESTIONE
PARAMETRI
TASTIERA, MST CLK E MORPH LOCK
SEZIONE CON SELETTORI MORPH
100
-
UNISONO
_
GLIDE
VIBRATO
_
MONO/LEGATO
MASTER LEVEL. La manopola “Master Level” controlla il livello generale delle uscite
audio, delle uscite di linea, e dell’uscita delle cuffie. La posizione effettiva del
potenziometro indica quindi il livello di uscita del segnale in quel momento.
-
MORPHING. La sezione “Morph” comprende tre sorgenti di controllo: la “modulationwheel” (tramite “wheel” o pedale di controllo), la tastiera e i tre pulsanti “Impulse Morph”
(utilizzabili anche a combinazione, quindi con a disposizione sette impostazioni differenti
per ogni program). Questi parametri permettono di controllare dinamicamente uno o più
controlli del sintetizzatore contemporaneamente: basta premere la sorgente di morph
desiderata e muovere o selezionare uno o più potenziometri o pulsanti.; a seconda della
sorgente avremo un grado di controllo diverso: ad esempio se si utilizza la “Mod Wheel”
potremo modulare in modo continuo il cambiamento di parametro, mentre con i tasti
“Impulse Morph” il cambiamento sarà istantaneo.
-
PROGRAM. Questa sezione è dedicata alla gestione generale dei preset del sintetizzatore:
è formata principalmente da un cursore con cui navigare tra i vari programmi, un tasto per
salvare i cambiamenti effettuati in maniera permanente, e quattro tasti di richiamo. Questi
ultimi sono molto utili in fase di performance, ad ogni tasto si può assegnare un programma
diverso, così, nel momento di necessità si hanno a disposizione quattro preset a scelta
rapida; in più, selezionando più tasti assieme, si possono suonare due programmi nello
stesso momento o “splittare” la tastiera, cioè assegnare un preset alle prime due ottave ed un
altro nelle altre due ottave.
101
-
PARAMETRI TASTIERA. Nord Lead 4 ha diverse opzioni per la gestione della tastiera. I
primi due controlli (tasti di colore grigio sotto la sezione “PROGRAM”) sono chiamati
“HOLD” e “CHORD MEMORY”. Il primo, se attivato, fa sì che le note suonate sulla
tastiera vengano tenute come se il pedale sustain fosse abbassato, mentre la seconda
funzione può essere usata per memorizzare intervalli di note e aggiungerli automaticamente
alle note che vengono eseguite.“Octave Shift” invece è un controllo che permette la
trasposizione di tutta la tastiera due ottave sopra o sotto la normale intonazione.
-
MST CLK E MORPH LOCK. “MST CLK” sta per “Master Clock”, cioè tempo generale:
premendo il pulsante, verrà visualizzato sullo schermo “Program” i battiti per minuto, per
modificarli muoversi con il cursore posto a fianco dello schermo. “Morph Lock” invece
permette la visione generale delle destinazioni dei controlli “Morph”.
-
VOICE MODE. “Voice Mode” è la sezione dedicata al controllo della polifonia, del
vibrato e dell’unisono. Il sintetizzatore, normalmente, è dotato di 24 voci di polifonia, ma se
si attiva il parametro mono/legato, diventa uno strumento monofonico. La differenza tra
mono e legato è che il primo ad ogni nota suonata reinnesca gli inviluppi, mentre il secondo,
anche al cambio di nota, genera un suono continuo modificando solo l’intonazione. Il
parametro “Glide” viene usato per il controllo del “Portamento”, cioè per impostare
l’intervallo di tempo impiegato dall’intonazione per glissare dalla nota precedente a quella
successiva. “DLYVIB1 e 2”, sono due opzioni per ottenere un vibrato con ritardo. Le
impostazioni 1 e 2 corrispondono a due tempi di ritardo diversi (con una terza opzione
invece, è possibile assegnare la gestione del vibrato alla “Modulation Wheel”). Il parametro
“Unison”, una volta attivato, aggiunge voci leggermente scordate l’una sull’altra; i tre stadi
corrispondono a tre livelli d’intensità.
102
3.3. STRUMENTI ACUSTICI E MICROFONAGGIO
La sezione della performance legata all’esecuzione di strumenti acustici in “live-electronics” è
affidata al mio collega. Qui sopra, nella foto, sono riportati gli strumenti da lui utilizzati, tra cui:
-
Glockenspiel, tradotto letteralmente “suono di campane”, è uno strumento tedesco inventato
da Giovanni Monroe, formato da due file di lamelle metalliche ordinate orizzontalmente
come una tastiera di pianoforte che si estende da un’ottava fino a tre ottave, e suonato
tramite due bacchette.
-
Armonica a bocca cromatica, è uno strumento a fiato di origine tedesca nato nel 1821,
costituito da un corpo centrale, due placchette porta ance ed i gusci esterni. Il suono viene
prodotto dalla vibrazione generata dal passaggio dell’aria sulle ance di ottone amplificato
dal guscio metallico, che funge da cassa di risonanza. La versione detta “cromatica”
consente di suonare tutte le dodici note (al contrario della variante detta “diatonica” che per
ogni ottava consente di suonare solo le note della tonalità in cui è accordata).
-
Darabouka, è uno strumento a percussione nato in Africa settentrionale, costituito da un
corpo globulare in terracotta o in alluminio sostenuto da un alto piede e aperto sul fondo,
con una larga apertura chiusa da una pelle animale o di fibre sintetiche.
-
Djembe, è uno strumento dell’Africa occidentale, e composto originariamente da un calice
in legno ricoperto di pelle di capra e da un sistema di tiraggio della pelle stessa, formato da
corde e cerchi metallici.
103
-
Ukulele, è uno strumento originario delle isole Haway, appartenente alla famiglia dei
cordofoni composti, è formato da quattro corde parallele ad una piccola cassa armonica, e
un manico con incisa una tastiera simile ad una chitarra; è suonato generalmente pizzicando
con le dita.
L’amplificazione di questi strumenti è affidata, eccetto l’ukulele che utilizza un microfono a
contatto, ad un microfono a condensatore a diaframma largo “AKG”, modello “C214”, con
diagramma cardioide, risposta di frequenza 20Hz – 20kHz e con un impedenza di 200ohm.92
3.4. PATCH IN MAX PER IL LIVE ELECTRONICS
L’elaborazione dei segnali audio provenienti dagli strumenti acustici e dai sintetizzatori è affidata
all’ambiente di programmazione Max, come già descritto nel capitolo precedente. In questo
paragrafo passerò in rassegna tutti i moduli che formano il DSP, dagli effetti alla spazializzazione
del segnale.
MAIN
“Main” è il modulo principale della patch elaborata
per la performance. Al suo interno sono contenuti
tutte le sub-patches necessarie all’elaborazione del
suono, come i processori di segnale (“harmonizer”,
“shifter”, “ritardo”, “granulatore”, “riverbero”),
l’algoritmo di analisi spettrale (“Analisi”), il
programma
di
spazializzazione
l’interfaccia
esecutiva
(“panning”),
(“Playermixer”)
e
un
richiamo alle opzioni di base di Max (“dac~”), per
gestire il segnale in entrata e in uscita, la frequenza
92
Tutte le descrizioni degli strumenti acustici sono tratti dal libro di Bert Oling, Heinz Wallish, Enciclopedia degli
strumenti musicali. White Star, 2007.
La decrizione del microfono AKG k214 è disponibile al seguente indirizzo: http://www.akg.com/pro/p/c214
104
di campionamento, la dimensione della finestra di buffer e la selezione del convertitore AD/DA.
PLAYER’S MIXER
Il seguente modulo costituisce l’interfaccia esecutiva per il controllo di tutto il DSP. All’interno di
esso, troviamo tutti i parametri fondamentali per il controllo dei segnali in entrata, le mandate degli
effetti, un’uscita stereofonica da utilizzare per i due diffusori di “rinforzo”, ed una matrice con cui
poter assegnare un percorso desiderato al segnale.
In alto, a sinistra, troviamo i quattro ingressi, rispettivamente assegnati al microfono a
condensatore, al microfono a contatto, al sintetizzatore modulare, e al sintetizzatore virtual analog
Clavia Nord Lead 4; ogni ingresso ha un proprio fader ed un VU meter per il controllo del livello di
segnale entrante, al fine di evitare distorsioni indesiderate.
105
Al centro dell’interfaccia, troviamo l’uscita stereofonica “DRY OUTS”, costituita da due faders e
due meter digitali per il controllo del gain, che riceve tutti segnali uscenti dalla matrice (riverbero
escluso) da destinarsi, come già accennato, ai due diffusori di “rinforzo” posti a fronte
dell’ascoltatore (una soluzione tecnica da noi adottata, spiegata nel paragrafo 2.5).
Nella parte bassa del modulo, invece, troviamo le mandate degli effetti in uscita dalla matrice,
formate da cinque fader e cinque VU meter per il controllo dei segnali in uscita dai processori di
segnale (rispettivamente per l’harmonizer, il pitch-shifter, il delay, il granulatore ed il riverbero).
Ognuno di questi parametri appena citati, possono essere controllati via MIDI attraverso l’oggetto
di Max “ctlin”
Nella parte destra dell’interfaccia troviamo la matrice, parte fondamentale per il routing generale
del segnale (spiegata nel dettaglio nel paragrafo 2.4 relativo ai percorsi di segnale di ogni singolo
strumento nelle scene), da noi pre-configurata grazie all’utilizzo di cue selezionabili attraverso i
numeri da “1” a “5” (a seconda della scena) con la tastiera del computer
HARMONIZER
Il primo processore di segnale di cui andremo a parlare è l’harmonizer.
Questo modulo è un effetto che genera più copie del segnale trasponendole in altezza, con la
possibilità di applicare alla singola voce generata (nel caso di questo harmonizer sono quattro) un
ritardo espresso in millisecondi.
106
La programmazione è basata sull’invio di liste tramite messaggi grazie allo strumento poly~,
permettendo così un risparmio in termini di utilizzo della CPU del computer.
I parametri delle singole voci, modificabili dinamicamente, sono principalmente: il livello di
trasposizione in centesimi di tono, il volume, il panning, ed il tempo di ritardo applicabile.
PITCH-SHIFTER
Il secondo processore di segnale, che troviamo nella matrice di routing, è il pitch-shifter, un
traspositore di segnale. È molto simile all’effetto precedente, ha una polifonia a quattro voci, e la
trasposizione viene regolata su centesimi di tono; l’unico aspetto che differisce dall’harmonizer è
che l’esecuzione delle voci avviene in maniera simultanea, senza quindi l’aggiunta di linee di
ritardo.
Anche in questo caso la programmazione generale è basata sull’oggetto poly~, tramite un oggetto
chiamato freqshift~
I vari parametri generali, applicabili alle singole voci, sono principalmente: il livello di
trasposizione in centesimi di tono, il volume, ed il panning. Queste impostazioni sono modificabili
dinamicamente anche se, nel caso della nostra performance, saranno controllati tramite l’invio di
liste di messaggi.
107
DELAY
Il terzo modulo, di cui andremo a parlare, è il delay, un effetto che produce varie linee di ritardo del
segnale in entrata. Questo processore di segnale registra il suono in ingresso tramite un buffer di
512 campioni e lo riproduce sovrapponendo due copie della stessa linea di ritardo tramite l’oggetto
sah~ (sample and hold), con un determinato ritardo temporale.
Il delay-time (tempo di ritardo) è modificato in maniera casuale (random).
Anche in questo caso la programmazione è basata sull’oggetto di MAX poly~
Tra i vari parametri delle singole linee, vi sono alcuni modificabili dinamicamente, come il
feedback generale, l’ampiezza (volume) delle linee di ritardo, ed il panning.
108
GRANULATOR
Il processore di segnale denominato “Granulator” è in sostanza un modulo di sintesi granulare
chiamato munger~, ed è, grazie alla sua espressività, l’effetto più utilizzato all’interno della
performance.
Questo granulatore polifonico ha a disposizione diversi controlli, tra i quali la grandezza del
“grano” (cioè la lunghezza del campione preso dal buffer di partenza, espresso in millisecondi), la
distanza da un “grano” all’altro e l’altezza sonora (pitch) del grano. I tre parametri possono essere
modulati tramite altrettanti generatori di dati casuali (grain rate variation, grain size variation e
grain pitch variation), delimitati tramite un indice che stabilisce un range entro il quale starà il
parametro; questa soluzione genera talvolta risultati imprevedibili, ma è comunque molto utile, se
regolato correttamente, per ottenere un alto numero di timbriche. All’interno del modulo, inoltre, è
presente un’impostazione aggiuntiva per il controllo dell’immagine stereo.
I parametri appena citati possono essere controllati dinamicamente, ma all’interno della
performance verranno richiamati, come nei precedenti moduli, attraverso delle liste di messaggi.
109
REVERB
L’ultimo degli effetti del DSP è il riverbero.
Questo modulo è stato programmato sulla base dell’oggetto Gigaverb~, ed è dotato di sette
parametri di base:
-
roomsize: la dimensione della stanza;
-
revtime: il tempo di decadimento del riverbero;
-
spread: l’immagine stereofonica;
-
bandwidth: la larghezza di banda del filtro;
-
damping: il coefficiente di smorzamento;
-
early: le prime riflessioni
-
tall: altezza.
Questi parametri sono stati precedentemente impostati e non subiscono variazioni nel corso della
performance.
110
ANALISI SPETTRALE
Il modulo di analisi spettrale ha il compito di fornire una serie di dati utili per controllare la
posizione del segnale con la spazializzazione.
L’algoritmo, come già anticipato nel capitolo precedente (paragrafo 2.5), estrapola in tempo reale
tre dati dallo spettro di ogni singolo segnale proveniente dalla matrice:
-
Loudness: è la misurazione dell’intensità del segnale (energia spettrale), misurata in dB.
Essa incide sull’altezza della sorgente sonora rispetto ad un punto ipotetico posto al centro
della sala;
-
Brightness: misura la concentrazione di alte frequenze all’interno dello spettro udibile, ed
incide sull’angolazione del segnale (azimut) rispetto ad un punto ipotetico posto al centro
della sala;
-
Noisiness: questa opzione ricava i dati sulla base della scala psicoacustica Bark.93 Essa
suddivide lo spettro udibile in bande critiche (il numero cambia a seconda della frequenza di
campionamento) e ne misura l’altezza sonora. I dati estrapolati andranno ad incidere sulla
distanza del segnale rispetto ad un punto ipotetico posto al centro della sala.
I dati vengono estrapolati, riscalati, e mandati al modulo di spazializzazione ad una frequenza di
duecento millisecondi.
93
http://www.igi-global.com/dictionary/bark-scale/2184 (12-09-16)
111
SPAZIALIZZAZIONE
Il modulo dedicato alla spazializzazione è l’ultima parte del percorso che compie il segnale nel
programma costruito in Max.
La sezione relativa ai controlli di base (che troviamo nell’immagine qui sopra) è affidata ai due
grafici, che la rendono molto semplice ed intuitiva.
Il primo grafico serve unicamente a seguire visivamente i movimenti delle singole voci, mentre il
secondo è utile per configurare il numero e la posizione dei diffusori utilizzati per la riproduzione
(in questo caso, il sistema sarà dotato di otto diffusori).
Il modulo, inoltre, è dotato di un sistema d’interpolazione dei dati entranti, in modo da evitare
cambiamenti troppo bruschi della posizione della sorgente spazializzata (in conseguenza a dei dati
opposti tra loro) rendendoli così più o meno fluidi. La programmazione è basata sull’algoritmo
ambipanning~, sviluppato da Ambisonics94, che va a trasformare i dati ricevuti dal programma di
analisi spettrale, traducendoli in coordinate da assegnare ai vari segnali audio.
94
https://cycling74.com/toolbox/icst-ambisonics-tools/#.V9bjALWSUgs (10-09-16)
112
3.5. PATCHES DEI SINTETIZZATORI
Dopo aver spiegato in modo esaustivo come sono formati i sintetizzatori usati per la performance di
improvvisazione, in questo paragrafo spiegherò come ho costruito le patch sul sintetizzatore
modulare e su Clavia Nord Lead.
SINTETIZZATORE MODULARE
Il sintetizzatore modulare genera tre diversi segnali sonori tramite due sorgenti principali: Intellijel
Rubicon e Mutable Instruments Braids. Il primo oscillatore genera due segnali timbricamente
simili, attraverso la tecnica di “cross modulation synthesis”: il primo è un suono continuo simile
allo sfregamento dei polpastrelli di una mano sulla pelle di un grosso tamburo (come un timpano), il
secondo invece è un pattern ritmico atonale che richiama il suono di percussioni mute. Il secondo
oscillatore invece genera un pattern ritmico tonale, sfruttando tutte le sue forme d’onda disponibili
(ben 45) e arricchito nella ritmica dal delay (Echophon).
Passiamo ora a spiegare più precisamente la costruzione dei tre segnali sonori.
Suono continuo “pelle di tamburo”
(CD: Campione 12)
Questo suono è sicuramente il più semplice da costruire; per farlo infatti occorrono solo tre moduli:
Rubicon, Korgasmatron II e Mix (per l’uscita finale).
Prima di tutto, mettere uno dei due filtri del Korgasmatron II in auto-oscillazione e collegarne
l’uscita OUT-A all’entrata TZFM del Rubicon. Successivamente, impostare il tipo di FM in LIN
(lineare) e collegare l’uscita sinusoidale dell’oscillatore a due destinazioni diverse tramite un cavo
doppio: all’entrata FM2 del filtro in auto-oscillazione e in uno dei tre canali del Mix per l’uscita
finale del segnale. In questo modo un’onda modula la frequenza dell’altra e viceversa, generando
così le timbriche taglienti e caotiche tipiche della “cross modulation synthesis”.
Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie
regolazioni:
-
CUTOFF di Korgasmatron ore 1;
-
COARSE di Rubicon a ore 11;
-
Selettore SYNE TYPE a metà;
-
EXP FM di rubicon 50%;
113
-
TZFM Rubicon 100%;
-
SIMMETRY Rubicon ore 4.
Foto della patch.
Cavi gialli = segnali di controllo
Cavi grigi = segnale audio
Pattern tonale.
(CD: Campione 13)
Per generare questo suono, si sfruttano parte delle particolari caratteristiche all’interno
dell’oscillatore digitale Braids. Per la patch in questione occorrono i seguenti moduli: Braids,
Maths, Wogglebug, Echophon e Mix.
114
Prima di fare qualsiasi collegamento, posizionare l’oscillatore sulla forma d’onda HARM ed entrare
nella sezione opzioni: a questo punto attivare la funzione META e l’inviluppo interno d’ampiezza
(VCA ON), regolando l’attacco a “1” e il decadimento a “8”.
Partiamo collegando i cavi per il segnale audio, partendo dall’uscita OUT di Braids, andando a
collegarla all’entrata di Echophon e infine collegando l’uscita del delay in una delle entrate del
mixer (Mix). Ora passiamo a tutti i segnali di controllo, partendo da Wogglebug. Questo modulo
controlla principalmente i parametri V/OCT e FM di Braids (vale a dire l’intonazione e la
modulazione META delle forme d’onda) e il parametro ECHO di Echophon, tramite sample and
hold: collegare quindi l’uscita con tre cavi direttamente a V/OCT, ECHO e all’entrata del secondo
canale di Maths (canale attenuatore). Questo procedimento viene attuato perché l’ampiezza
dell’onda modulante di Wogglebug necessita una attenuazione prima di finire nel parametro FM,
altrimenti META tenderebbe a selezionare solamente le prime e le ultime forme d’onda
dell’oscillatore; grazie a questo procedimento avviene una sorta di “riscalamento” della
modulazione, permettendo così il corretto funzionamento della modulazione (collegare quindi
l’uscita del secondo canale di Maths al parametro FM di Braids).
Successivamente, utilizzare il quarto canale di Maths per modulare, tramite LFO, i parametri
“Timbre” e “Colour” di Braids; per farlo occorre attivare “CYCLE” dal modulatore e collegare
l’uscita del canale “4” alle rispettive entrate (utilizzare una frequenza bassa dell’LFO per ottenere
risultati tangibili e soddisfacenti). Infine ho collegato l’uscita “onda quadra” dello stesso canale di
Maths come gate per attivare o disattivare il parametro “FREEZE” del delay.
Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie
regolazioni:
-
COARSE Braids ore 9;
-
FM Braids ore 3;
-
TIMBRE Braids ore 11;
-
MODULATION Braids ore 3;
-
COLOR Braids ore 1;
-
Ampiezza Sample&Hold Wogglebug ore 2;
-
RISE e FALL Maths ore 12;
-
LOG/EXP Maths ore 8;
-
Attenuatore canale 2 Maths ore 2;
-
Attenuatore canale 4 Maths ore 3;
-
ECHO Echophone ore 1;
-
Attenuatore ECHO di Echophone al massimo;
115
-
DRY/WET Echophone ore 12;
-
DEPTH PITCH Echophone 50% o 100%;
-
Feedback Echophone ore 1 o 2.
Controllare dinamicamente l’andamento del suono con il parametro che controlla il tempo generale
di Wogglebug e la frequenza del pitch-shifter di Echophone.
Foto della patch.
Cavi gialli = segnali di controllo
Cavi grigi = segnale audio
Pattern atonale.
(CD: Campione 14)
Questo suono ha per sorgente Rubicon, e per farlo lasciamo invariato il routing del suono visto in
precedenza (“pelle di tamburo”). I moduli che ci occorrono quindi sono Rubicon, Korgasmatron II,
Maths, A-130 VCA, uFold II, Pamela’s Workout, Wogglebug e Mix.
116
Cominciamo quindi collegando i cavi per il segnale audio: colleghiamo l’uscita della forma d’onda
a dente di sega di Rubicon all’entrata del wavefolder (uFold), l’uscita di uFold all’entrata del filtro
B (IN-B), OUT-B di Korgasmatron in Audio IN1 del VCA, Audio OUT del VCA in una delle
entrate del mixer.
Il collegamento tra il filtro A (in auto-oscillazione) e Rubicon in questo caso svolge solo funzione
di controllo (modulazione cross modulation synthesis).
Ora passiamo ai collegamenti per i segnali di controllo: collegare due uscite di Pamela’s Workout
rispettivamente all’entrata TRIG del canale “1” di Maths e all’entrata del controllo di tensione
(V/OCT) di Rubicon; successivamente, collegare l’uscita del canale “1” di Maths a CV1 del VCA
(qui il Maths svolge funzione di inviluppo A/D, ricordarsi quindi di tenere spenta l’opzione
CYCLE). A questo punto utilizzare i due generatori di segnale casuale “Source of Uncertainty” per
modulare i parametri FOLDS e SYMMETRY di uFold II e l’uscita OR di Maths per modulare la
frequenza di taglio del filtro B.
Per quanto riguarda il settaggio dei vari potenziometri dei parametri, elenco in breve le mie
regolazioni (i parametri di Rubicon rimangono invariati rispetto all’altra patch):
-
STAGES uFold II su “IV”;
-
FOLDS uFold ore 11;
-
Attenuatore modulazione su parametro FOLDS ore 11;
-
SYMMETRY uFold ore 12;
-
Attenuatore modulazione su parametro SYMMETRY ore 11;
-
Frequenza di taglio filtro B Korgasmatron II ore 12;
-
Indice di risonanza (Q) di Korgasmatron II ore 2;
-
FM1 Korgasmatron II ore 12;
-
Q-DRIVE Korgasmatron II 100%;
-
Impostare come tipologia di filtro LP2 (passa-basso 2 poli);
-
Regolare i parametri RANGE i Wogglebug rispettivamente a ore 12 e 11;
-
RISE di Maths (attacco inviluppo) al minimo;
-
LOG/EXP Maths 100%
-
Attenuatore canale 1 Maths ore 3.
Controllare dinamicamente l’andamento del suono con il parametro FALL (decadimento
dell’inviluppo) di Maths e la frequenza di taglio del filtro.
117
Foto del routing della patch.
Cavi gialli = segnali di controllo
Cavi grigi = segnale audio
Cavi rossi = Cross Modulation Synthesis
CLAVIA NORD LEAD 4
Il sintetizzatore Clavia Nord Lead 4 genera sei tipologie diverse di suoni, richiamabili attraverso il
cursore di gestione dei programmi (preset); i suoni sono ispirati ed elaborati facendo riferimento a
strumenti tradizionali, alla voce umana e al canto degli uccelli.
(Nelle immagini che compariranno, i potenziometri con assegnato un LED color verde sono i
parametri influenzati dal modulation wheel.
118
Preset 1 – Breath Pad (SCENA 1)
(CD: Campione 6)
Il primo preset è la testura presente nella prima scena della performance. A seguire elencherò tutte
le impostazioni necessarie alla creazione di questo suono:
-
Oscillatore 1 su forma d’onda F.2
-
Oscillatore 2 su NOISE, noise res ore 2 noise freq. ore 11
-
OSC1 MOD su H-SYNC, ampiezza massima (amount)
-
OSC MIX ore 9
-
LFO1: rate 1, amount 5, forma d’onda a rampa ascendente, destinazione OSC2
-
MOD ENV: attack 8, dec/rel 8 amount 10 destinazione OSCMIX
-
AMP ENV: attack 6, decay 8, sustain 10, release 7
-
FILTER: lp48, freq 5, resonance 4, drive 3, env amt 5
-
FILTER ENVELOPE: attack 8 decay 8, sustain 0, release 0
-
DLY/REVERB: reverb, dry/wet 5, reverb type hall, bright 7
PRESET 1
Preset 2 – Digeridoo (SCENA 1)
(CD: Campione 7)
Questo secondo preset è il suono che emula il suono di digeridoo, presente nella prima scena:
-
Oscillatore 1 su forma d’onda P.4
-
Oscillatore 2 su dente di sega, tune e fine tune 0
-
OSC1 MOD su FM2, amount 8
-
OSC MIX ore 2
119
-
LFO1: rate 3, amount 5, forma d’onda triangolare, destinazione AM
-
AMP ENV: attack 2, decay 3, sustain 10 release 3
-
FILTER: lp24, freq 4, resonance 6, drive 5, env amt 0
-
FX: talk1, amount 4
-
DLY/REVERB: reverb, dry/wet 3, reverb type stage, bright 4
-
MOD WHEEL su freq del filtro e amount di FX entrambi da 4 a 8
PRESET 2
Preset 3 – Bells (SCENA 2)
(CD: Campione 8)
Campane intonate.
-
Oscillatore 1 su forma d’onda B.2
-
Oscillatore 2 su triangolare tune +12 semitoni, fine tune 0
-
OSC MIX ore 9
-
LFO1: rate 1, amount 10, forma d’onda triangolare, destinazione FILTER
-
MOD ENV: attack 10, dec/rel 10 amount 10 destinazione OSC1 e OSC2
-
AMP ENV: attack 0 decay 4 sustain 10, release 0
-
FILTER: lp24, freq 7, resonance 4, drive 2, env amt 0
-
FX: compr, amount 8
-
DLY/REVERB: reverb, dry/wet 10, reverb type hall, bright 8
-
MOD WHEEL su attack e release di AMP ENV entrambi da 0 a 10
120
PRESET 3
Preset 4 – Cello (SCENA 4)
(CD: Campione 9)
Suono utilizzato all’interno della quarta scena per emulare il timbro di un violoncello. Durante la
performance è possibile operare una transizione verso un suono puramente sintetico, elaborato
tramite sintesi FM.
-
Oscillatore 1 su sinusoide
-
Oscillatore 2 su onda quadra+impulso, tune +12 semitoni, fine tune a ore 1
-
OSC1 MOD su FM3, amount controllato dinamicamente
-
OSC MIX modulato dinamicamente (osc1 pad fm, osc 2 violoncello)
-
LFO1: rate 3, amount 5, forma d’onda triangolare, destinazione AM
-
AMP ENV: attack 3, decay 10, sustain 10, release 2
-
FILTER: lp24, freq 6, resonance 2, drive 0, env amt 0
-
DLY/REVERB: reverb, dry/wet 3, reverb type room, bright 5
-
MOD WHEEL sul vibrato generale
PRESET 4
121
Preset 5 – Birds (SCENA 5)
(CD: Campione 10)
-
Oscillatore 1 su forma d’onda dente di sega
-
Oscillatore 2 su onda triangolare, tune 0, fine tune 0
-
OSC MIX ore 11
-
LFO1: rate 4, amount controllato dinamicamente da 0 a 5, forma d’onda a rampa
discendente, destinazione FILTER
-
LFO2: rate 6, amount 4 (indicativamente), forma d’onda a rampa ascendente, destinazione
FILTER
-
AMP ENV: attack 1, decay controllato dinamicamente in un range da 3 a 7, sustain 0,
release 2
-
FILTER: bp (lp48+hp), freq controllata dinamicamente in un range da 3 a 7, resonance
10, drive 0, env amt 0
-
FX: crush, amount 0
-
DLY/REVERB: delay, dry/wet 5, feedback 1, tempo 7
-
MOD WHEEL su amount di FX range da 0 a 8
PRESET 5
Preset 6 – Mad Voices (SCENA 5)
(CD: Campione 11)
-
Oscillatore 1 su onda dente di sega
-
Oscillatore 2 su onda quadra+pulse, tune 0, fine tune 0
-
OSC MIX ore 1
-
LFO1: rate 4, amount 10, forma d’onda a rampa ascendente, destinazione OSC2
-
LFO2: rate 6, amount 10, forma d’onda random step, destinazione OSC1+OSC2
122
-
AMP ENV: attack 0, decay 0, sustain 10, release 0
-
FILTER: NO
-
FX: talk2, amount 1
-
DLY/REVERB: delay, dry/wet controllato dinamicamente in un range da 0 a 5, feedback
2, tempo controllato dinamicamente in un range da 1 a10
-
MOD WHEEL su amount di FX range da 1 a 9
PRESET 6
3.6. ROUTING DEL SEGNALE ANALOGICO
Il percorso che svolge il segnale analogico, all’interno del routing generale, avviene in fase di
entrata e di uscita dal DSP, tramite una scheda audio che funge da convertitore AD/DA.
I due microfoni e le uscite dei due sintetizzatori entrano nella scheda audio, il segnale viene
convertito da analogico in digitale entrando nel DSP del computer elaborato in Max.
Successivamente le otto uscite dell’oggetto ambipanning~ sono inviate alla scheda audio che
effettua una conversione da digitale ad analogico, inviando gli otto segnali ad un mixer analogico,
che invia il segnale in quattro coppie stereofoniche agli otto diffusori posizionati attorno
all’ascoltatore. La somma dei segnali, inoltre, viene inviata alla coppia di diffusori di “rinforzo”.
Come già detto in precedenza, la spazializzazione regola l’esatta posizione dei singoli segnali nello
spazio, fatta eccezione per il segnale riverberato, che verrà riprodotto in stereofonia in tutte e
quattro le coppie di diffusori poste attorno alla zona di ascolto.
123
Nello schema: un resoconto grafico dell’intero percorso del segnale analogico
124
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI
La ricerca verso un dialogo tra strumenti acustici ed elettronici ha portato a me e al mio collega ad
una interazione unica nel suo genere. Le sonorità delle due tipologie strumentali coesistono e si
fondono grazie all’utilizzo del live electronics, e la ricerca dei timbri di entrambi prende spunto da
uno all’altro in maniera reciproca.
Non è stato facile arrivare ad un dialogo così fitto tra le parti, la fase di sperimentazione e la
completa riuscita del progetto hanno richiesto circa un anno di lavoro. In più, per quanto concerne il
mio progetto, l’utilizzo di sintetizzatori modulari con Max ha ben pochi precedenti. Quando si
ricerca una tipologia di strumento come il sistema modulare, infatti, si è portati ad usarlo sempre in
maniera indipendente, senza l’ausilio di nessun’altro oggetto o software, fatta eccezione per segnali
MIDI provenienti da un computer o una tastiera, o effetti come riverberi o compressori, solitamente
sempre hardware. Ciò significa quindi che questo progetto porta una piccola innovazione
nell’utilizzo del sintetizzatore modulare e, grazie all’apporto del mio collega, apre un varco verso
nuove sperimentazioni, attraverso il dialogo tra strumenti acustici ed elettronici.
Il nostro lavoro può considerarsi come un buon punto di partenza, e anche uno stimolo per altre
sperimentazioni, coscienti dell’incredibile potenzialità che hanno questi strumenti uniti al
programma Max.
Tra gli sviluppi futuri di questa performance, ci sarà sicuramente una ricerca verso altre sonorità,
ampliando la gamma degli strumenti acustici, implementando altre patch del sintetizzatore (o
sviluppando il sintetizzatore con l’aggiunta di nuovi moduli) e di Max, e la ricerca di altre strategie
e schemi improvvisativi, ad esempio: approfondire lo studio dei membranofoni, dove il mio lavoro
è stato incentrato sulla riproduzione dell’inviluppo dinamico, cercando di sviluppare maggiormente
l’aspetto spettrale; o viceversa nel caso degli aerofoni, dove invece mi concentro più sul tono dello
strumento, cercare di riprodurre altri aspetti come l’espressività o l’andamento del suono
(inviluppo).
Un ulteriore sviluppo nella performance va ricercato nella struttura formale, amalgamando meglio
le varie sezione e rendendo più organica l’improvvisazione.
In conclusione, questo lavoro è stato molto stimolante sotto molti punti di vista: prima di tutto la
possibilità di lavorare con un’altra persona ad un progetto musicale crea l’occasione di confrontarsi
a vicenda, comportando una crescita delle doti di entrambi. In secondo luogo, il cimentarmi verso
una tipologia esecutiva da me ben poco conosciuta, cioè l’improvvisazione, mi ha offerto la
possibilità di implementare ulteriormente le mie conoscenze musicali, grazie ai metodi del GINC.
125
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento va in particolare al relatore, Maestro Luca Richelli, per la disponibilità
concessami in questi mesi.
Un altro ringraziamento va ai docenti che mi hanno seguito nel corso di questi anni al
Conservatorio G. Verdi di Como, Maestro Sapir, Maestro Cospito, Maestro Klauer, Maestro
Vigani, Maestro Bezza e Maestro Marinoni: un grazie sentito per tutto ciò che ho appreso e che mi
è stato trasmesso da Voi, soprattutto per quanto concerne la composizione della musica, oggi
diventato un lavoro, oltre che la mia passione più grande.
Un ringraziamento alla mia famiglia che mi ha sostenuto nel corso dei miei studi, ma soprattutto nel
mio cammino musicale, iniziato sin dai primi anni di vita.
Infine ringrazio il mio amico e collega Alessandro Arban, per aver collaborato con me alla riuscita
di questo progetto.
126
APPENDICE
CAMPIONI NEL CD AUDIO
TRACCIA 1 – CAMPIONE 1: Performance Scena 1
TRACCIA 2 – CAMPIONE 2: Performance Scena 2
TRACCIA 3 – CAMPIONE 3: Performance Scena 3
TRACCIA 4 – CAMPIONE 4: Performance Scena 4
TRACCIA 5 – CAMPIONE 5: Performance Scena 5
TRACCIA 6 – CAMPIONE 6: Preset Clavia 1
TRACCIA 7 – CAMPIONE 7: Preset Clavia 2
TRACCIA 8 – CAMPIONE 8: Preset Clavia 3
TRACCIA 9 – CAMPIONE 9: Preset Clavia 4
TRACCIA 10 – CAMPIONE 10: Preset Clavia 5
TRACCIA 11 – CAMPIONE 11: Preset Clavia 6
TRACCIA 12 – CAMPIONE 12: Patch 1 sistema modulare (“pelle di tamburo”)
TRACCIA 13 – CAMPIONE 13: Patch 2 sistema modulare (pattern tonale)
TRACCIA 14 – CAMPIONE 14: Patch 3 sistema modulare (pattern atonale)
TRACCIA 15 – CAMPIONE 15: Intellijel Rubicon waveforms
TRACCIA 16 – CAMPIONE 16: Mutable Instruments Braids waveforms
127
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