La comicità letteraria. Il comico di idee e la

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La comicità letteraria. Il comico di idee e la
La comicità letteraria.
Il comico di idee e la zoologia fantastica
Laura Schram Pighi
Universidade de Utrecht (Holanda); Universidade de Bolonha (Itália)
Resumo
Il territorio della comicità letteraria è grande quanto tutta la narrativa italiana
nella quale il regno animale ha dimensioni straordinarie: infatti la zoologia letteraria
occupa uno spazio immenso nel regno della fantasia. Come dice Italo Calvino
“L’animale, vero o fantastico che sia, ha un posto privilegiato nella dimensione
dell’immaginario: appena nominato s’investe di un potere fantasmale. Diventa allegoria,
simbolo, emblema”. Se questo è vero per tutta la narrativa italiana, come si ride in quella
che descrive una isola che non c’è? Chi sono i protagonisti del comico di idee, del comico
serio, tipico della narrativa di utopia? L’autrice ha individuato la costante conpresenza,
accanto al protagonista narratore, di un doppio che può essere un animale o un “diverso”:
incontriamo animali verosimili, in ruoli diversi, oppure creature fantastiche con una
doppia natura umana e animale, per arrivare a creature meccaniche, e anche a esseri
mutanti. Essi sono come ogni segnale di menzogna, delle parole di un mondo che
rovesciando quello noto ne propone uno nuovo, sono delle ipotesi, frutto dell’incontro
tra fantasia idee e umorismo, componenti indispensabili per creare il comico di idee così
come il progresso della scienza.
Palavras-Chave
Fantasia, idee, umorismo,"comico serio", segnali di menzogna, animali come
ipotesi di un mondo futuro.
Laura Schram Pighi, de 1955 a 1963 assistente na Universidade de Bolonha na área de Literatura
francesa, trabalha com literatura comparada ítalo-francesa e com história do teatro italiano na
França no século XVIII. Na Holanda, ensinou literatura italiana moderna na Universidade de
Utrecht de 1963 a 1990, publicou un dicionário italiano-holandês e concluiu, em 1985, seu
doutorado na Universidade de Amsterdam com um estudo sobre Henri Bergson e o bergsonismo
em “Il Leonardo” (1903-1907) de Papini e Prezzolini. Durante todos estes anos publicou na
Holanda e na Itália cerca de quarenta estudos de literatura italiana do século dezoito ao dezenove,
dentre os quais Narrativa italiana di utopia: 1750-1915 (Ravenna: Longo, 2003).
Laura Schram Pighi
N
¹ Laura Schram Pighi. "La
comicità letteraria". In: Atti
del convegno internazionale
sull’umorismo San Zeno
di Montagna, Verona,
Agosto 2010 (di prossima
pubblicazione).
² Pighi, 2003; inoltre si veda
Fortunati; Trousson; Spinozzi,
2008.
³ Lorenzo Pignotti (17391812) fu un favolista molto
noto al suo tempo scrittore di
favole dove predominano i
personaggi animali, in funzione
umoristica, ma secondo
la tradizione classica. Sul
rapporto tra fiaba e romanzo si
veda Calvino, 1988.
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el grande territorio della comicità letteraria, la cui mappa copre
la maggior parte della letteratura italiana nel suo insieme¹, spicca
un genere narrativo che fa della comicità il suo segno distintivo
assieme ad altri due elementi costanti: fantasia e idee. Si tratta della narrativa
di utopia che fiorì assieme ad altre forme di romanzo a Venezia, a partire da
metà Settecento per continuare con diverse fortune, fino ad oggi².
La narrativa d’utopia con la sua comicità difficile, quella di idee, fu
rimossa fino a non molti anni fa, dalla critica italiana che la considerava
“pericolosa” e “minore” e con lei venne considerata tale anche tutta la
produzione letteraria di ogni genere che contenesse parodie, satire, caricature
(Pighi, 1994).
Non era ancora evidente alla coscienza critica che il comico in tutte
le sue varianti ha un ruolo determinante in molti campi della cultura di una
società, e svolge una funzione di fondamentale importanza soprattutto nella
trasformazione della lingua.
Anche limitandoci alla sola prosa romanzesca, è evidente che il
gioco di fantasia e comicità tipico della narrativa d’utopia collaborò alla
trasformazione dell’italiano letterario, limitato all’uso scritto della classe dei
colti, in una lingua parlata e scritta da tutti gli italiani (Pighi, 2005).
Si può affermare che l’italiano di oggi, quello dei giornali e della
televisione, che gioca con i dialetti e le lingue europee fino a raggiungere
forme di plurilinguismo è anche frutto di quel lavoro di smitizzazione della
tradizione e di demolizione di ogni possibile conformismo, iniziato da
Luciano di Samosata, e innestato da Thomas More e dalla sua Utopia nella
antica pianta della narrativa europea. E continuato dal Settecento in poi
dalla narrativa d’utopia italiana che si affiancò intessendo scambi reciproci
continui, con un genere che già da più di un secolo era diffuso e fiorito in
una Europa dove l’italiano scritto era la seconda lingua di comunicazione
nel mondo della cultura, come il francese lo era in ambito italiano.
Per cogliere meglio l’importanza e il ruolo della comicità come
fattore di trasformazione della lingua, e quindi della cultura italiana, mi
limiterò ad esaminare solo alcuni esempi nel genere che più di altri ne fa un
fattore d’identità assieme a fantasia e idee: la narrativa di utopia.
Le tre costanti: fantasia, idee, umorismo
Per entrare nel mondo della fantasia, basta un segnale di menzogna
come C’era una volta... ma la favolistica, una corrente ricchissima nella
letteratura antica e moderna italiana ed europea, che continuerà a fiorire fino
ad oggi – pensiamo alle grandi raccolte di favole popolari dell’Ottocento per
arrivare a quelle raccolte e studiate da Calvino (1988) o quelle create da
Rodari – non si propone di suggerire un nuovo modo di vivere o di gestire
la società e non usa l’umorismo come una leva per scardinare le coordinate
del reale e proporre nuove possibili realtà³.
Anche seguire il gioco delle idee proposte dalla narrativa d’utopia
quando si riferisce ai problemi dell’attualità è pure relativamente facile,
tanto è trasparente l’impegno ideologico in un racconto di genere utopico
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LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
che mira a proporre ai contemporanei “nuovi modi di reggier stati” (Pighi,
2003, p.72-92 e 2001-2002).
Ma individuare le strategie adottate dallo scrittore per svelare la
verità nascosta dietro alla metafora della narrazione, servendosi della
comicità, richiede una lettura più attenta del testo utopico preferibilmente
con la guida di uno specialista nella menzogna letteraria. Harald Weinrich
per esempio col suo Metafora e menzogna: la serenità dell’arte è un maestro
prezioso quando ci invita ad osservare alcuni elementi nella narrazione, che
egli chiama “segnali di menzogna” o indicatori di finzione (1976).
Tali indicatori, studiati anche da Umberto Eco in Tra menzogna
e ironia (1998) possono essere di varia natura: l’uso insistito di alcune
parole, nomi propri di persone o luoghi del tutto inventati, il naufragio
del protagonista, il manoscritto ritrovato, oppure descrizioni di tempo o
di spazio esageratamente precise, così come ogni cambio di dimensione
del reale, il gigantismo o la miniaturizzazione, tutte strategie che suscitano
l’ilarità del lettore e lo inducono a mettere in dubbio ciò che gli viene
raccontato dai libri “seri” e quindi a mettere in discussione la verità del
mondo che lo circonda fino a chiedersi se non sia possibile cambiarlo.
“I segnali di menzogna appartengono necessariamente alla menzogna
letteraria, come i segnali d’ironia alla ironia” afferma il Weinrich (p. 184):
come dire che non c’è ironia o qualsiasi altro tipo di umorismo se non ci
sono dei segnali che ce la indicano.
Ma quali sono i segnali tipici della comicità utopica, quelli che ci
fanno riconoscere il comico serio, quello di idee?
Scorrendo il corpus di testi utopici italiani rinvenuti da metà
Settecento a tutto il Novecento, tra i vari segnali di menzogna che abbiamo
ricordato, si può notare che accanto al protagonista del viaggio, c’è spesso la
presenza di un doppio, o addirittura di un “diverso” che vede la stessa realtà,
quella del mondo alla rovescia dove si svolgono le avventure ma la osserva
da altri punti di vista (Pugliatti, 1985).
Questi personaggi “diversi” sono molto spesso degli animali perché,
come scrive Italo Calvino nei Saggi “L’animale, vero o fantastico che sia, ha
un posto privilegiato nella dimensione dell’immaginario: appena nominato
s’investe di un potere fantasmale. Diventa allegoria, simbolo, emblema”
(1995, p. 929). Inoltre con gli animali “veri” noti nella esperienza quotidiana
del lettore europeo, accanto al protagonista narratore incontriamo anche
dei selvaggi, o degli automi, o degli omuncoli, insomma tutta la fantastica
famiglia di Pinocchio e dei suoi fratelli (Lazzarin, 2006; Pighi, 2003, p.
216).
Gli animali e con loro i “diversi”, gli altri da sé, sono i portatori
privilegiati del comico di idee perché permettono all’autore di farli agire in
piena libertà fantastica nel regno del probabile, dell’ipotetico, del futuro là
dove vuole farci arrivare un viaggio in utopia.
La zoologia fantastica
La prosa italiana anche degli ultimi tre secoli di cui la narrativa
di utopia è parte integrante presenta un regno animale di dimensioni
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straordinarie, di antichissime tradizioni, che invade persino la lingua corrente
con molti modi di dire, come l’araba felice o il lupo mannaro. Basta seguire
la sterminata ricognizione nei regni dell’immaginario che ne fa Jorge Luis
Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica4 o quella di Richard Barber
e Anne Riches in Animali mai esistiti. Piccolo dizionario di bestie fantastiche
(1999) per avere una idea dello spazio immenso che la zoologia letteraria
occupa nel regno della fantasia.
Ne sono testimoni anche alcuni recenti inventari come Bestia sapiens,
animali, metamorfosi, viaggi e scritture di Stefano Lanuzza (2006) e la ricca
miscellanea di studi raccolti in Italies: Arches de Noé (2006).
In questo sterminato bestiario non vengono mai ricordati però quegli
animali che s’incontrano nella isola che non c’è, i portatori del comico di idee,
quello più pericoloso di tutti e per questo il più ignorato dalla critica.
Per colmare questa lacuna, sceglierò solamente alcuni esempi
significativi tra gli animali che s’incontrano nell’isola che non c’è, per capire
la loro funzione nel discorso utopico (Pighi, 2000).
Borges, 1957, inoltre Il libro
degli esseri immaginari (2006).
4
Il titolo per esteso è: L’uomo
di un altro mondo, o sia Memorie
di un solitario senza nome, scritte
da lui medesimo in due liguaggi,
chinese e persiano, e pubblicato
nella nostra lingua dall’abate
Pietro Chiari.
5
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Nel primo dei viaggi italiani verso un paese immaginario i veri
protagonisti sono addirittura gli animali.
L’autore è Zaccaria Seriman (1709-1784) che nel 1749 scrive i
Viaggi di Enrico Wanton alle Terre incognite Australi e al paese di Scimmiopoli.
Dove si intende Spiegare il carattere i costumi le Scienze e la polizia di quegli
straordinari abitanti.
I due viaggiatori, Enrico Wanton ed un suo amico, incontrano un
popolo di esseri simili agli uomini ma con la testa di cane, i Cinocefali, e
per sopravvivere devono imparare le lingua dei loro ospiti. L’effetto comico
è assicurato perché il rapporto uomo animale è totalmente capovolto a
vantaggio dei Cinocefali.
Il romanzo di Seriman, continuato più volte e ristampato fino al 1880,
è tutto basato sullo sforzo che i due protagonisti umani fanno, privati come
sono di ogni forma di potere, per apprendere una lingua complicatissima
fatta da un numero inverosimile di latrati. Come per dire che comunicare è
essenziale per vivere: le situazioni comiche abbondano come ben sa chi gira
il mondo e viene confrontato con lingue sconosciute.
Alcuni anni più tardi un altro narratore di viaggi utopici, Pietro
Chiari, racconterà in italiano le memorie dell’Uomo di un altro mondo, scritte
in origine, come si dichiara nel titolo, in cinese e persiano5, dove si afferma
che “Un uomo solo si raddoppia e moltiplica tante volte quante lingue egli
parla” (1760). La realtà dei rapporti commerciali veneziani con il medio ed
estremo oriente e la vita del grande porto internazionale di Venezia stavano
a confermarlo.
La fortuna di questi viaggi immaginari continuerà a lungo:
cinquant'anni dopo le prime avventure di Enrico Wanton, un altro scrittore
di viaggi, Scipione Bonifacio (1799) manderà Federico, nipote di Enrico,
nelle stesse "terre australi" e scrive il Viaggio e sposalizio di Federico nipote
di Enrico Wanton alle terre incognite australi ed ai regni delle Scimmie e de'
Cinocefali e alle provioncie dei Filosofi (1799). Questa opera verrà ristampata
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LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
fino al 1880 e sarà letta dallo stesso pubblico che leggerà poco più tardi i
romanzi della giungla di Salgari dove la fauna esotica delle isole del Borneo
circonda Sandokan, che è poi l’antenato del protagonista del Libro della
Giungla di Kipling e del più moderno Tarzan.
I Cinocefali appartengono alla razza degli ibridi di antica memoria
come il Centauri o il Minotauro, e fin dal racconto di Seriman viene loro
affidato uno dei più importanti problemi del primo Ottocento, quello di
inventare una lingua per comunicare tra tutti gli uomini a cominciare da
tutti gli italiani.
La questione della lingua che da tanto tempo preoccupava gli
intellettuali italiani, quando si fa problema politico si raddoppia in chiave
parodica nella narrativa antagonista, dove viene affidata ad esseri “diversi”
come i Cinocefali o gli abitanti di Scimmiopoli.
Una ventina d’anni più tardi la narrativa d’utopia ci presenta invece
animali noti, verosimili, ma investiti di un ruolo ben diverso da quello
tradizionale delle favole.
Gaspare Gozzi (1713-1786) nel suo giornale “Il Sognatore” del
1768 scrive la Storia del reame degli orsi/con la sua prefazione e il suo proemio/ e
le sue citazioni e le sue note. Opera tradotta dal francese ed inventata in italiano.
Qui i segnali di finzione sono più di uno: la ripetizione del pronome “suo”
per dire che quella storia ha tutti i carismi della veridicità come tutte le altre,
ossia è completamente inventata come loro, e la presenza degli orsi che non
sono più quelli delle favole classiche, simbolo di forza e di stupidità, ma
personaggi moderni che si comportano secondo i costumi della politica, una
parodia perfetta dei governanti del tempo. Dagli orsi di Gozzi nascerà tutta
un discendenza di orsi letterari: come quello del quale Cesare Confalonieri
scriverà la vita (1818) per arrivare alla Famosa invasione degli orsi in Sicilia
di Dino Buzzati (1946).
Anche il fratello di Gaspare Gozzi, Carlo, aveva avuto bisogno
nel 1765 di un Augellin belverde per la sua favola filosofica come “antidoto
(l’unico proponibile) contro il realismo e la comicità sociologicamente
pensosa delle commedie goldoniane”, come commenta Antonella Del
Gatto (Gozzi, 2001).
In pieno illuminismo la lotta tra fantasia e ragione nella Venezia di
fine Settecento si combatte su tutti i fronti: quello del teatro come quello
della narrativa fantastica, e l’arma più potente è come sempre la satira e la
parodia affidata agli animali (Beniscelli, 1986).
Un ruolo diverso, carico di significati moraleggianti, e meno di
comicità, viene assegnato ad un esercito di serpenti da Giacomo Casanova
(1725-1798) nel suo Icosameron (1788): essi sono una incombente costante
minaccia per i Megamicres tra i quali finiscono i due protagonisti umani
precipitati nel Protocosmo al centro della terra.
Dato che Casanova mira a fare la parodia del racconto biblico, i
serpenti sono l’immagine del male che minaccia l’umanità, un male che
i due umani intendono sconfiggere, costruendo una fabbrica di bombe
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assieme ai loro piccoli amici megamicri. Dalla esplosione della polveriera
i due umani, fratello e sorella, saranno espulsi in superficie, attraverso un
cratere aperto sulla terra.
Di fatto sono i megamicri i veri protagonisti del romanzo, ne
conosciamo la lingua dai numerosissimi suoni e colori, le case, l’aspetto
fisico, la riproduzione, le malattie: soprattutto quelle degli occhi curate dagli
improvvisati chirurghi oculisti con una operazione di cataratta come quella
che Casanova aveva esperimentato su di sé.
Casanova, esagerando la sua ammirazione, fa la caricatura di una
società ossessivamente ordinata, sistematica e pianificata dove persino la
morte arriva a data fissa, in contrasto con la società veneziana che lui ben
conosceva, caotica, assurda, imprevedibile ma viva: la comicità nasce dalla
esaltazione ammirata di un ordine razionale ma meccanico e morto, rispetto
ad una improvvisazione irrazionale ma vitale.
La stessa contrapposizione tra la lingua complicatissima e perfetta dei
megamicri che però essendo falsa sarà “schiava, povera, timida, monotona,
uniforme, arida e brutta, esangue, inanimata e morta”: questa tirata si deve
alla penna di Leopardi scritta non molti anni dopo (1821-23).
Foscolo, 1813. E la traduzione
di un opera di Sterne che grazie
a Foscolo diede origine ad una
corrente letteraria di umorismo
all’italiana, rappresentata dagli
“sterniani” e dai loro viaggi
sentimentali.
6
E’ una delle ultime opere di
Leopardi scritta nel 1836, edita
postuma a Parigi nel 1842.
7
AA.VV., 1998; ivi G.
Savarese, “Leopardi e la
caricatura” e F. Russo, “Gli
animali parlanti del Leopardi”;
inoltre Perle Abbrugiati in
Italies: Arches de Noé I, op. cit.,
p. 231-250.
8
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L’autore che per primo assegna agli animali un ruolo nettamente
diverso da quello tradizionale di tipo moralistico tramandato da Esopo,
Fedro, La Fontaine, è Giambattista Casti (1724-1803) che nel suo poema
burlesco Gli animali parlanti (1802) costruisce una satira feroce del potere
politico del tempo.
La cosa entusiasmò il Foscolo6, benché fosse scettico sui risultati
dell’attacco, e anche Giacomo Leopardi che indicò nel Casti il suo maestro,
precursore del proprio modo di porsi verso “il secolo superbo e sciocco”.
Leopardi colse anche la vera novità del Casti che per la prima volta
osava fare la parodia della letteratura vincente, e non più solo la satira dei
costumi sociali o politici. Casti ci lascia un esempio di come l’umorismo
colpendo i miti e le mode possa proporre non solo una nuova forma
espressiva, una nuova lingua, ma addirittura nuove forme letterarie col gioco
del rovesciamento della realtà appreso da Luciano, il maestro di comicità
per tutti i narratori di viaggi immaginari in utopia (Lavagetto, 1992).
Gli animali letterari ci portano soprattutto a Giacomo Leopardi
(1798-1837) che possiamo considerare come uno dei maggiori umoristi
del secolo pure lui traduttore e imitatore di Luciano e narratore di utopia
con le sue favole filosofiche (Pighi, 2003, p. 275-279).
Egli infatti nella traduzione di un poema burlesco tramandato dalla
cultura greca la Batracomiomachia (1836)7, affida agli animali la parodia
dell’Iliade nella sua Guerra dei topi e delle rane8. Le rane e i topi sono del tutto
realistici, ma l’umorismo scaturisce dalla loro lingua e dai nomi fantastici
che Leopardi inventa per loro per definirne il carattere: qui veramente il
poeta come il Creatore crea gli esseri dando loro un nome.
Pochi anni prima un abate padovano, Michele Colombo (17471830), si era servito degli animali per scrivere una Breve relazione della
Repubblica dei Cadmiti. Ghiribizzo di Agnolo Piccione, illustrato da Agnolino
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LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
suo figliolo (1826). La Repubblica dei Cadmiti non è mai esistita, come
quella di Tommaso Moro, dichiara lo scrittore, ma la casta degli accademici
con tutte le loro vanità e rivalità è ben presente a chi la descrive, quando la
riproduce in una repubblica con leggi, usi e costumi, un società animalesca
che è una feroce caricatura della vita accademica.
Gli animali di Colombo sono bruchi nati dalle unghie di Cadmo
l’inventore della scrittura, e da essi nascono dei farfalloni che hanno una
caratteristica nuova rispetto al bestiario di antica tradizione favolistica.
I loro modelli infatti sono nelle Metamorfosi di Ovidio, altra
ricchissima sorgente di fantasia accanto alle Storie vere di Luciano di
Samosata. I Cadmiti si trasformano continuamente, sono dei mutanti, sono
i primi esemplari totalmente fantastici, i primi animali pronti per vivere nel
futuro, ancora più degli ibridi incontrati da Enrico Wanton nei suoi viaggi.
Gli animali fantastici della narrativa di utopia anche e soprattutto
quelli più inverosimili sono dunque i maggiori testimoni e i difensori della la
fantasia di fronte alla ragione illuminista e ricoprono il ruolo di protagonisti
di un narrativa antagonista e anticonformista . E li troviamo particolarmente
numerosi nella narrativa d’utopia di un secolo come il Settecento impegnato
a razionalizzare il mondo animale, il secolo di Limneo e di Spallanzani.
Naturalmente ci dovranno essere anche uomini futuri, quelli che
Leopardi chiama gli “automati” e forse sono già nati. Li abbiamo incontrati
in Leopardi quando nel 1824 ci racconta degli “automati” fatti fabbricare
dalla Accademia dei Silografi, e li troveremo ancora con tutto il loro carico
di comico serio in Ippolito Nievo quando scrive nel 1860 la Storia filosofica
dei secoli futuri fino all’anno dell’E.V. 2222. Ovvero fino alla vigilia incirca
della fine del mondo (2003).
Qui il segnale di menzogna si presenta subito fin dal titolo, anche
quando nella prefazione il narratore racconta di un manoscritto ritrovato,
ma soprattutto nelle invenzione degli omuncoli e delle donnuncole,
umanoidi meccanici che avranno una lunga discendenza nella narrativa di
fantasia fino alla moderna fantascienza. Per questa opera soprattutto si può
considerare Ippolito Nievo come uno dei più completi narratori di utopia
di fine Ottocento.
Ma solo ai primi del Novecento nascerà un vero uomo futuro nelle
pagine di M0rasso e sarà il Watman “metà ordigno di ferro, un mostro
composito, un centauro, una sirena non mai contemplati dal mito…”
(1994). Peccato che l’umorismo o per lo meno i segnali di menzogna che
ci avvertono scarseggi in questo antenato del Mafarka marinettiano, un
innocuo discendete dai vecchi draghi.
Carlo Lorenzini-Collodi (1826-1890) invece col suo Pinocchio
(1883) ci porta in un variatissimo bestiario tutto composto da animali
verosimili: il Gatto e la Volpe, le Api industriose, la balena, il Grillo
parlante, tutti usciti dalla favolistica europea, animali che appartengono alla
quotidianità, sempre uguali da secoli9.
Nel racconto di Collodi il ”diverso” è il burattino stesso, un ibrido
tra uomo e natura inanimata, splendida invenzione sulla linea degli automi
Sassoli, 2009: magnifica
galleria di ritratti dei
personaggi animali compagni
di Pinocchio.
9
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Alberto Savinio, Nuova
enciclopedia, ricordato da
Lanuzza, op. cit., p. 25.
10
Fortunati; Trousson;
Spinozzi, 2008, p 1250 e inoltre
Pighi, 2003, p. 275 e sgg.
11
Calvino, 1991-1992; e inoltre
1995, 1990 e 1998.
12
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di Nievo, una razza di “diversi” e di mutanti, pensiamo a Pinocchio e
Lucignolo trasformati in asinelli, che si moltiplicherà rapidamente, assieme
a quelli che abbiamo già incontrato tra i Cadmiti: Pinocchio stesso, il re
delle bugie, “quelle dal naso lungo”, come dice la Fata, alla fine si trasformerà
in un noiosissimo e infelice bambino per bene.
Il bestiario fantastico accompagna molte opere di narratori del
Novecento con grandiosi effetti comici come ne sa trarre Italo Svevo (18611928) nei suoi apologhi (Vianello, 2000, p. 103 e sgg.) o Aldo Palazzeschi
(1885-1947) che dedicò un’opera intera alle Bestie del ‘900, un capolavoro
di ironia (Langbroek, 1985).
Questi grandi umoristi scelgono altre strategie per proporre il
futuro, non ipotizzano società diverse all’incontrario di quelle reali, i loro
animali non hanno nulla di diverso da quelli tradizionali ma essi guardano
la realtà dal loro punto di vista e questo basta per mostrarcela totalmente
“diversa”, forse probabile.
Ricordiamo che nel primo Novecento sull’onda del nuovo obbligo
scolastico si moltiplicano le narrazioni dedicate ai bambini, e queste sono
piene di umili animali domestici topi, pulcini, gatti, dove gli animali stessi
sono i protagonisti e guardano il mondo dal basso, dalla parte dei piccoli,
degli umili, dei vinti: un effetto antiretorico di fronte al moltiplicarsi dei
centauri di tipo dannunziano o all’esaltazione della forza e della violenza
tipica di ogni dittatura che non poteva accettare le storie di animali come
quelle di Fabio Tombari per esempio, uno dei tanti narratori messi in ombra
e quindi dimenticati.
Chi avrà la capacità di fondere insieme il ruolo dell’uomo e
dell’animale creando degli ibridi protagonisti di una futura società, sarà
un utopista di nuovo tipo, Alberto Savinio (1891-1952), pseudonimo di
Andrea De Chirico che nel 1919 pubblica il suo Hermaphrodito (1953).
Savinio che parla degli animali come dei “nostri padri dimenticati”
ci invita a cercare nell’aspetto umano “la rivelazione dell’uomo nascosto, il
quale è un gatto, ora un cervo, ora un maiale. Più di rado un leone. Ancor
più di rado un’aquila”10.
Gli ibridi di Savinio scrittore e pittore e del fratello pittore ben più
famoso Giorgio De Chirico non sono diversi dai Cinocefali del Seriman e
ci rimandano alle tavole di Arcimboldo (Mese, 2000, p. 225) e ai bestiari
di Aldrovandi (Petronio da Verona, 2008) e di Gessner (Gmeling-Nijboer,
1977) o alle tavole di Jeronimus Bosh, questi ultimi contemporanei
dell’Utopia di Thomas More, in quella meravigliosa zoologia rinascimentale
piena di fantasia e di proposte per il futuro (Acocella, 2001).
Mi piace concludere questa rapida incursione nei territori della
comicità nella letteratura italiana alla ricerca del comico di idee, sulle tracce
degli animali come segnali di menzogna, per ricordare il più illustre umorista
e studioso moderno di utopia letteraria, Italo Calvino11.
I suoi contributi critici sul fantastico e sull’utopia si trovano raccolti
principalmente in Romanzi e racconti ma basta ricordare opere dal titolo
eloquente come Il mondo alla rovescia e Il fantastico nella letteratura italiana12
per ritrovare lo scrittore che affronta tutte le varianti del comico di idee.
MORUS - Utopia e Renascimento, n. 7, 2010
LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
Per averne degli esempi è sufficiente ritrovare gli animali nelle opere
di Calvino: ricerca condotta minuziosamente per esempio da Fabrice De
Poli in L’oeil de l’iguane. Ou les fonctions de la figure animale dans Palomar
(2006). In questa opera Calvino manifesta pienamente il suo atteggiamento
verso la natura: Palomar, il personaggio umano, dall’esame minuzioso e
razionale degli animali arriva a porsi domande sul mistero del mondo e
sulla piccolezza e fragilità dell’uomo di fronte alla immensità del regno
animale. E Calvino conclude nella novella L’ordine degli squamati che “al
di là del vetro d’ogni gabbia c’è il mondo di prima dell’uomo, o di dopo, a
dimostrare che il mondo dell’uomo non è eterno e non è l’unico” (De Poli,
2006, p. 107).
Lo stesso testo calviniano è anche un capolavoro di umorismo
percorso com’è da una ironia sottile che nasce dalla osservazione della
piccolezza dell’uomo di fronte alla complessità della natura. La tonalità del
comico serio e dell’ironia è costante in Calvino che, come scrive Stefano
Beccastrini in Quanto è comico confrontarsi con l’universo “è stato non soltanto
un grande scrittore comico, ma anche un profondo pensatore sul comico”
(1994) e quindi un grande narratore di utopia.
Infatti “i personaggi comici da Marcovaldo a Qfwfq sono presenze
abituali nelle storie di Calvino”, commentano Luca Clerici e Bruno Falcetto
presentando uno studio prezioso a più mani su Calvino & il comico. Questo
è un libro indispensabile per la profondità e la varietà degli approcci al
comico di Calvino, validi anche ad illuminare tutto l’umorismo letterario
in generale.
Vorrei fermarmi in particolare sullo studio di Claudio Milanini
su L’umorismo cosmocomico13 per la sua analisi sui rapporti tra Letteratura,
scienza, parodia.
Le osservazioni del critico, che qui riassumo, colgono esattamente
quel nodo di apparente contraddizione tra letteratura e scienza dove “il
sapere scientifico si identificherebbe con il dominio della razionalità, mentre
la fantasia, l’immaginazione, l’illusione, sarebbero patrimonio privilegiato
dell’arte”.
Calvino si diverte a capovolgere questa opinione corrente e ci
dimostra nelle sue Cosmocomiche e ovunque nella sua opera, come anche
“l’altra cultura” ossia quella scientifica, implichi sempre una buona dose di
creatività e di invenzione.
E questo si dimostra soprattutto osservando la zoologia fantastica
che accompagna costantemente il viaggiatore nell’isola che non c’è.
Nei tre secoli di vita letteraria italiana che abbiamo rapidamente
percorsi, si passa da presenze di animali verosimili e famigliari pur cariche
della loro simbologia e tradizione letteraria, per trovare esseri sempre più
lontani dal vero e dal verosimile, sempre più frutto della scienza e tecnologia,
come gli ibridi o i mutanti o gli uomini macchina, gli unici abitanti adatti
a vivere nel futuro dove tutto deve essere all’incontrario per insegnarci a
“dare al rovescio delle cose la stessa dignità che alla facciata” come diceva
Leopardi.
In Clerici; Falceto, 1994,
p. 19.
13
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317
Laura Schram Pighi
Claudio Milanini (1994, p.
24) ricorda per la ricchissima
bibliografia: Battistini, 1994,
p. 12.
14
Celli, 1992, e Pandolci, 1992,
sono studi indispensabili alla
comprensione della zoologia
fantastica.
15
318
Negli alieni e nei robot cogliamo ciò che “la letteratura e la scienza
hanno in comune: l’attitudine a costruire modelli destinati ad essere messi
in crisi, un’istanza progettuale, non statica, ma perennemente in corso di
precisazione”14. Se non ci fossero fantasia e umorismo non ci sarebbero idee,
ossia scienza, razionalità, ma le idee isolate dall’umorismo e dalla fantasia
sarebbero pericolose cellule di morte.
Bruno Pischedda si chiede chi ha raccolto oggi in Italia la lezione di
Calvino e ci presenta le ultime frontiere dell’umorismo letterario inserendovi
per primo tra i critici anche il comico di idee. Nel suo “Narrazioni comiche
anni ottanta: Eco, Benni, Meneghello, Tadini, Busi” il critico presenta l’opera
di Stefano Benni che più di altri sviluppa quel comico di idee tipico della
narrativa d’utopia (1994, p. 177). Egli situa i fantasmagorici racconti del suo
primo romanzo Terra! del 1983 sulla scia delle Cosmocomiche di Calvino e
sviluppa un immaginario fantascentifico che porta al catastrofismo, ma con
un procedimento inverso da quello di Calvino. Palomar guarda il mondo
attraverso un microscopio per analizzare sempre più razionalmente la realtà
e scoprivi tutta la fantasia che essa sprigiona, Benni invece con la fantasia
ingrandisce al massimo il reale per scoprivi quanta scienza esso contenga e
quanto umorismo si sprigioni dal suo gigantismo.
Nella ricca produzione di Benni che Judith Obert (2000) studia
da vicino per cogliere il punto d’incontro tra umorismo e fantasia non
sono citati però due scritti di Benni, uno del 1984, I meravigliosi animali
di Stranalandia (1984), e l’altro l’Introduzione del 1992 a I Rinogradi di
Harald Stumpke e la zoologia fantastica (1992).
Stranalandia è un ‘isola bellissima dove approdano due scienziati
dopo un naufragio, aggrappati ad una grossa scrivania di noce “remando
con le righe di disegno, mangiando solo gomma da matita e bevendo acqua
piovana raccolta con la carta assorbente” come si legge nella presentazione
del diario dei due naufraghi. La descrizione dell’isola “con la sua carta
topografica, la sua lingua, la sua zoologia e botanica” come direbbe ogni
narratore di un viaggio immaginario ci viene dal diario andato disperso col
titolo I meravigliosi animali di Stranalandia. I disegni di Pirro Cuniberti
sono godibili in ogni particolare altrimenti come potremmo conoscere gli
scarafaggi riparatutto o l’albero nuvola?
Era inevitabile che Benni alcuni anni più tardi si unisse al gruppo
di scienziati, questa volta veri, nel commento al libro di Steiner sui
Rinogradi. Benni difende gli animali immaginari tra i quali il drago “che
è stato trafitto, mutilato, massacrato da santi e guerrieri “e invita a leggere
la storia dei Rinogradi, un classico della zoologia potenziale. Anche altri
entusiasti commentatori si uniscono a Benni e si chiedono come Giorgio
Celli Ma a che servono i Rinogradi? o Massimo Pandolfi che va a ritrovare Le
creature perse nel tempo15. Perché le “zoologie improbabili hanno da sempre
attraversato la nostra letteratura” commenta lo storico della zoologia in uno
ampio contributo che ci dimostra come scienza e fantasia formino una sola
unità.
Per confermare questo assunto vorrei concludere con un dono
prezioso ricevuto da un amico, un grande scienziato olandese, premio Nobel
MORUS - Utopia e Renascimento, n. 7, 2010
LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
per la fisica nel 1988, il Prof. Gerard’t Hooft, che ringrazio. Non credo che
egli conosca gli animali di Stranaldia di Benni o i Rinogradi di Stumke ma
il suo Polluticum confina certo con il loro zoo: gli scarafaggi riparatutto o
il brontosauro di Benni sono buoni amici dell’insetto cavatappi o del bruco
cingolato immaginato del fisico premio Nobel olandese.
Bandrups (Rolla Bolla)
Gerard't Hooft, The era of technozoicum
Rotipious vacuator
Gerard't Hooft, The era of technozoicum
Wandelende Spijker (Carausius Corrodus)
Gerard't Hooft, The era of polluticum
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Conclusione
Per ritrovare l’umorismo nella narrativa italiana, anche solo di
una specie particolare, quello di idee, che fiorisce in un appartato bosco
narrativo, quello di utopia, abbiamo seguito un segnale di menzogna tra
i più frequenti quello costituito dalla compresenza del doppio (animali
o “diversi” accanto al personaggio umano quasi sempre doppio) che è
tipico della ironia e della parodia. E ci siamo trovati in uno sconfinato zoo
letterario nato all’incrocio tra fantasia e umorismo. Un bestiario dove si
distinguono tre specie di esseri: gli animali verosimili con funzioni fissate
dalla tradizione favolistica che assumono nell’isola di utopia ruoli nuovi
(satira politica, parodia della letteratura e dei letterati) perché nuovi sono i
problemi della società di cui essi sono i segni di finzione.
Poi ci sono i diversi, creature fantastiche con una doppia natura come
i Cinocefali di Seriman o di Savinio, o Pinocchio di Collodi discendenti
dagli antichi centauri e dal Minotauro. La duplicità dei piani letterari
riflette la duplicità della scienza: a fine Cinquecento dai diari di Amerigo
Vespucci arrivati nelle mani di un uomo politico come Thomas More, ci
viene la descrizione di un nuovo mondo dove occorre tenere “nuovi modi
di governare stati, reggier popoli”, popolato da una zoologia fantastica
situata tra l’immaginario medievale e rinascimentale e la scientificità
dell’illuminismo. A questo bestiario si affiancano le creature meccaniche,
tecnologiche come il Watman di Morasso, e gli omuncoli e donnuncole di
Nievo, o gli abitanti del cosmo di Calvino.
Ma il futuro sarà soprattutto dei mutanti che nascono dalle
metamorfisi di Ovidio, come i Cadmiti, i farfalloni di Colombo o il
burattino di legno maestro di bugie, o agli abitanti di Stranalandia di Benni,
tutta quella zoologia parallela (Stumpke) che permette di ricollegare la
fauna fantastica rinascimentale (Gessner, Aldrovandi, Bosch, Arcimboldi)
con la fantascienza proiettata nel futuro di Calvino, di Benni tanto simile
a quella proposta da un discendete di Jeronimus Bosch, il fisico e premio
Nobel olandese Gerard’t Hooft.
Il doppio, il diverso, l’altro da noi, animale, o ibrido, oppure
omuncolo, e persino burattino di legno, tutti questi segnali di menzogna,
sono parole, e sono frutto della fantasia che rovesciando il reale produce
comicità. Sono soprattutto delle ipotesi, delle proposte, il punto di contatto
tra letteratura e scienza.
Perché l’ipotesi è necessaria per pensare e progettare il futuro: la
scienza va avanti solo partendo da ipotesi e dalla loro successiva verifica,
senza di questo non ci sarebbe progresso. Ma se non ci fosse fantasia e
umorismo non ci sarebbero le ipotesi e nemmeno il comico serio, il comico
delle idee, quello che siamo andati a cercare e forse abbiamo trovato tra gli
animali fantastici della narrativa di utopia.
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LA comicità letteraria. Il comico di idee e la zoologia fantastica
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Laura Schram Pighi
The literary comic.
The comic of ideas and the fantastic zoology
Laura Schram Pighi
Abstract
The field of the comic in literature is as wide as that of Italian narrative,
in which the animal kingdom has extraordinary dimensions: in fact, the literary
zoology occupies an immense space in the reign of fantasy. According to Italo
Calvino, “the animal, be it real or fantastic, has a privileged place in the dimension
of the imaginary: once it is mentioned, it assumes a phantasmal power, and turns
into allegory, symbol, emblem”. If this is true for the entire Italian narrative, how
does one laugh in that narrative that describes an island that there is not? Who are
the protagonists of the comic of ideas, the serious comic, typical of utopian narrative?
The author has distinguished the constant coexistence, besides the protagonist
narrator, of a double which can be an animal or a “different”: we find verisimilar
animals, in different roles, or fantastic creatures with a double human and animal
nature, as well as mechanical creatures and mutant beings. They are like every sign
of invention, words of a world which, by turning the known world over, propose
another one instead; hypotheses, a result of the encounter between fantasy, ideas
and humorism, indispensable components to create the comic of ideas, as well as
the progress of science..
Key-words
Fantasy, ideas, humorism, “serious comic”, signs of invention, animals as
hypothesis of a future world.
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