La disposizione a corte nel progetto della
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Politecnico di Milano Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Dottorato di Ricerca in Architettura Urbanistica Conservazione dei Luoghi dell’Abitare e del Paesaggio XVII ciclo La disposizione a corte nel progetto della residenza Studio dell’evoluzione di un tipo urbano nel ‘900 in Europa Coordinatore Prof.ssa Maria Grazia Folli Relatore Prof. Massimo Fortis Fabio Zorza Milano 2005 Indice 7 Introduzione I motivi della ricerca: la disposizione a corte nel progetto della residenza 15 Premessa Questioni di metodologia della ricerca in architettura 35 I. Precisazioni definizione intorno a una Corte residenziale collettiva – Tipo urbano, progetto urbano – Disposizione a corte, isolato e tracciato viario 45 II. Inquadramento storico: la città ereditata La formazione della città industriale – Alta densità e speculazione fondiaria – Suddivisione in lotti e regolamenti edilizi – Questione delle abitazioni 55 III. I precedenti New Town di Edimburgo di J. Craig – Le grandi corti di Cerdà a Barcellona – Parigi tra Haussmann e Movimento Moderno ed evoluzione di corti e courettes 81 IV. La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Diffusione della corte-isolato come soluzione tipo della moderna città industriale – Amsterdam, Van der Pek, Berlage, de Bazel – Rotterdam, Brinkman e Oud – Milano, le realizzazioni dello Iacp – Vienna, gli Höfe operai – Amburgo, il piano di Schumacher – Madrid, l’influenza di Zuazo – Berlino, siedlungen di transizione V. Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa _ 149 La definizione di un nuovo linguaggio urbano La rottura del 1929 – Il blocco isolato, tipizzazione, standardizzazione – Forma aperta, serialità – I CIAM e la città funzionale, il clima ideologico e sperimentale – La svolta di May con Westhausen – Oud a Blijdorp – Gropius, razionalità scientifica – Concorso di Amsterdam del ’33 – E. May a Francoforte _ Dilatazione della forma chiusa, chiusura della forma aperta Il dopoguerra, la crisi degli ultimi CIAM – Il progetto del quartiere, influenze sociologiche – Alla ricerca di un centro, di una piazza, di una strada – Bakema e isolato composito – A. e P. Smithson – Pouillon e gli interni urbani nella periferia parigina _ La “rinascita” del passato, lo spazio chiuso come valore La riproposta di modelli di strada e isolato negli anni ’70 e ’80 – Gli studi di Leslie Martin – I tentativi “nostalgici” di Rob Krier – I progetti di Hans Kollhoff – Il banco di prova dell’IBA di Berlino, Kleihues, Krier, Ungers – Martorell, Bohigas, Mackay a Barcellona, De Las Casas a Madrid VI. Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo 199 Corte e paesaggio naturale – Variazioni e distorsioni della disposizione a corte – Nuovi quartieri ad Amsterdam – I casi recenti di Barcellona – Considerazioni finali Note 227 Bibliografia 231 Tavole comparative 239 J. Coenen, quartiere Céramique, Maastricht, 1987. Introduzione I motivi della ricerca: la disposizione a corte nel progetto della residenza Da una rapida ricognizione dei progetti di carattere residenziale costruiti durante l’ultimo decennio negli ambiti urbani o di prima periferia delle grandi città europee possiamo riscontrare la presenza costante di una forma urbana riconoscibile, di una logica di disposizione degli edifici residenziali che rimanda in vari modi alla forma chiusa della corte e alle sue numerose varianti. Non si può negare che questa attitudine progettuale di carattere generale sia diffusa tra architetti e urbanisti, nonostante la sua apparente inattualità: essa predilige per il progetto di residenza quella che possiamo definire una disposizione a corte, declinata con diverse soluzioni di chiusura o apertura, attraverso i volumi costruiti che tendono a racchiudersi e definire uno spazio interno distinto e protetto. Lo spazio così delimitato tende ad assumere una valenza domestica ma allo stesso tempo collettiva, contrapponendosi allo spazio pubblico della città al di fuori. Dopo un secolo di sperimentazioni sulla residenza, ritorna ancora una forma urbana che rimanda alla città storica e ai suoi elementi, anche se a scala diversa. È evidente la distanza che separa queste recenti realizzazioni dagli esempi più noti del periodo eroico della ricerca sull’abitazione razionale del secolo scorso, come se tutta l’eredità rappresentata dalla produzione degli architetti moderni tra le due guerre, che si studia ripetutamente sui libri di storia, fosse stata dimenticata o volontariamente ignorata. Gli esempi che possiamo elencare sono molti, più o meno noti; dalla periferia recente di Madrid, dove interi quartieri presentano isolati chiusi sui quattro lati accostati in modo serrato, per i quali si potrebbe parlare strettamente di 7 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 8 tipo urbano a corte, al quartiere Céramique di Maastricht dove nell’insieme della composizione del planivolumetrico compaiono solo alcuni edifici a corte chiusa, che i progettisti hanno successivamente reinterpretato; dalla tendenza a ripetere la corte chiusa o semiaperta come principio di uniformità urbana nelle Zac (Zone d’Aménagement Concerté) parigine, ai monotoni blocchi a C accostati o contrapposti nei recenti Pru (Piani di riqualificazione urbana) milanesi. In alcuni casi si tratta del risultato di un preciso intento progettuale, basato su una certa idea di città compatta; in altri si tratta della semplice trascrizione architettonica di regolamenti e indici urbanistici, stilati ad hoc da uffici tecnici che si trasformano in involontari artefici della nuova immagine urbana; in altri ancora possiamo solo scorgere una stanca applicazione di modelli di edilizia residenziale sufficientemente sicuri e in sintonia con le tendenze speculative del mercato immobiliare. Se assumiamo come unico parametro di lettura la forma dell’impianto planimetrico, questi progetti, come molti altri, possono essere raggruppati sotto la categoria di edifici residenziali collettivi con disposizione a corte; tra di loro corrono similitudini e assonanze evidenti. Ma se li analizziamo più a fondo, tentando di B. Albert, complesso residenziale “Grote Circus” nel quartiere Céramique, Maastricht, 1994. Introduzione: i motivi della ricerca A. Cruz, A. Ortiz, complesso residenziale “Patio Sevilla” nel quartiere Céramique, Maastricht, 1999. MBM Arquitectes, complesso residenziale “Kleine Circus” nel quartiere Céramique, Maastricht, 1994. entrare nei meccanismi di costruzione della forma architettonica, scopriamo delle profonde differenze: per fare degli esempi, nella logica di disposizione degli spazi, nella collocazione degli accessi, nella natura dello spazio racchiuso e nel suo rapporto con l’esterno, nella distribuzione degli alloggi e nel trattamento degli affacci, fino al rapporto della forma costruita con il tracciato viario, e di conseguenza con l’isolato. Importanti variazioni sul tema, queste ultime, che contribuiscono a definire l’identità e la qualità di ciascun progetto. Sono proprio queste differenze a spingere chi scrive ad approfondire, attraverso l’analisi, lo smontaggio e la comparazione dei progetti residenziali a corte, le possibilità che offre questo particolare tipo insediativo alla città contemporanea, in termini di qualità, adeguatezza e attualità. Come vediamo, questi parametri non sono legati espressamente alla disposizione a corte, ma alla sua concretizzazione attraverso il progetto degli elementi specifici, che informano il progetto generale e ne determinano le qualità. Infatti, a fronte di una grande diffusione, per non dire successo, di questo tipo urbano, ci troviamo di fronte a giudizi molto disparati sulla qualità e l’appropriatezza di queste architetture nei diversi contesti urbani. Spesso abbiamo l’impressione di progetti svuotati di senso, ripetitivi e autoreferenziali, in quanto carenti di rapporti da un lato con le forme e i modi d’uso della città, dall’altro con il carattere stesso dell’abitare che trapela dalla forma degli alloggi e dalla loro distribuzione. Non vi è dubbio che in molti casi sia evidente un processo di banalizzazione della forma urbana, da forma a formula; la corte residenziale è facilmente applicabile in tutti i contesti ma spesso risulta fatalmente svilita e svuotata di quei contenuti progettuali che apprezziamo nei migliori esempi costruiti nelle città europee. Talvolta la corte diventa una formula magica 9 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 10 per rendere meglio appetibili insediamenti urbani che presentano una bassa qualità architettonica, ma che attraverso lo slogan “abita a corte” pretendono di incarnare i preziosi valori che garantiscono quiete, armonia, serenità e comfort senza rinunciare ai vantaggi di abitare nel centro della città. L’approfondimento dei progetti, strumento analitico essenziale di questa ricerca, ci sembra quindi necessario al fine di far emergere i nodi problematici specifici della residenza a corte nei contesti urbani; è per questo motivo che il nostro sguardo deve volgere verso gli esempi migliori, e inevitabilmente verso un passato recente, a cui gli esempi sopra riportati rimandano, denso di casi importanti per la definizione di questo tipo urbano. Il tipo insediativo a corte, considerato come uno dei possibili modi di risolvere il problema della residenza collettiva in ambito urbano, è stato messo a punto e largamente utilizzato lungo tutto il corso del XX secolo, con qualche precedente importante anche nel ‘700 e nell’800; come vedremo, esso ha visto le sue origini come soluzione per risolvere il problema della carenza di alloggi nei centri urbani in espansione. È quindi strettamente legato alla formazione della moderna città industriale, e si propone come strategia per risolvere i problemi del suo sviluppo organico, in accordo con i principi che invocavano migliori condizioni di igiene e salubrità per le abitazioni operaie in primo luogo, per evidenti ragioni di emergenza quantitativa, ma anche per tutti gli altri edifici residenziali in genere. La grande corte residenziale è diventata quindi, nei diversi casi che vedremo, una soluzione che garantiva il controllo del disegno urbano in continuità con la città storica e allo stesso tempo condizioni ottimali per la residenza in termini di presenza di aria, luce, e verde. Ritroviamo questo tipo di forma urbana declinata lungo tutto il corso del ‘900, durante il quale ha C. Weeber, quartiere residenziale Venserpolder, Amsterdam, 1986. Introduzione: i motivi della ricerca Complesso residenziale di via Segantini, Milano, 2000. subito variazioni, sperimentazioni e verifiche, e ha contribuito alla costruzione di intere parti di città. Spesso si presenta sotto forme simili contemporaneamente in città diverse. Possiamo dire che ha una sua storia precisa, fatta di casi reali, forme che si ripetono o che rimandano l’una all’altra a distanza di tempo e di spazio; si può fare luce sulla sua formazione e sviluppo, come tipo riconoscibile. Ipotesi della ricerca è che la lenta evoluzione di questa forma non si sia mai interrotta, che si possa tracciare una linea continua, un filo rosso che lega alcune esperienze senza soluzione di continuità, nonostante alcuni intervalli significativi, come per esempio l’apparente rottura degli anni ‘30. Una specie di ritorno costante di questa forma urbana, anche dopo periodi in ombra, come se seguisse un suo particolare percorso, trasversale alle vicende e alle ideologie che accompagnano la storia dell’architettura, a volte infilandosi in percorsi carsici per rispuntare alla luce più a valle. In questa evoluzione, non certo naturale o finalistica ma legata al progresso e all’innovazione 11 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza della cultura progettuale urbana, si possono riscontrare alcune costanti, come vedremo, che dipendono dalla strategia urbana indotta dalla forma generale, ma anche significative variazioni, che ci permettono di valutare la corrispondenza con il tempo e il contesto, con l’evoluzione dei modi di abitare la casa e la città. L’approfondimento di questi concetti sembra essere l’unica forma di conoscenza utile e trasmissibile nell’ambito della progettazione architettonica; il retaggio costituito dagli esempi del passato offre a tutti gli effetti un bagaglio di conoscenza di forme, dispositivi, soluzioni e risultati che è indispensabile acquisire per emettere un giudizio sulla realtà e per affrontare la progettazione nel presente. “L’approfondimento conoscitivo su quanto di meglio è già stato ideato, caldeggiato e verificato su un determinato problema può evitare il rischio di ricominciare sempre daccapo, ripercorrendo strade fallimentari già battute, e, in ogni caso, può aiutare a rintracciare le innovazioni da apportare alle linee di ricerca cui ci si intende consapevolmente riallacciare per riprendere il cammino verso una nuova architettura, a partire dal punto in cui si è arrestato il lavoro intellettuale di chi ci ha preceduto”.1 12 Complesso residenziale Oggiaro, Milano, 1997. (P.r.u.) Palizzi-Quarto Introduzione: i motivi della ricerca De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter, quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001. 13 Premessa Questioni di metodologia della ricerca in architettura Il problema di chiarire, per quanto possibile, la natura del lavoro di ricerca nel campo dell’architettura si è posto come premessa indispensabile al lavoro stesso, in particolare nel caso di una ricerca elaborata all’interno di un dottorato di progettazione dell’architettura. Sicuramente non è facile indagare i rapporti tra teoria e pratica della progettazione, per la varietà con cui questi si sono verificati nel lungo corso della storia dell’architettura, per le enormi differenze che possiamo riscontrare nel tempo e nello spazio. Non si pretende nemmeno di dare in questa sede risposte illuminanti e definitive; sembra importante però impostare il problema nelle sue linee generali, riportando idee e tesi consolidate per quanto attiene alla epistemologia della ricerca e in generale ai processi della conoscenza, provando a fare delle precisazioni e indicare una direzione possibile. Il senso di questa premessa è proprio quello di trovare una coerenza per il lavoro che segue. Quadro epistemologico Esiste la possibilità di una conoscenza oggettiva e trasmissibile nel campo dell’attività artistica? Se la disciplina architettonica si può definire artistica, in che cosa si differenzia da quelle scientifiche? Si può parlare, infine, di teoria architettonica se non riconosciamo ad essa lo statuto scientifico? Sono domande che investono tutto il campo del sapere, la sua produzione, la sua accumulazione e trasmissione; ma anche la natura del rapporto 15 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 16 tra il sapere teorico e il mondo reale, tra teoria e pratica. In questo terreno scivoloso ci sono ancora molti dubbi da chiarire, ostacoli e pregiudizi da superare; per esempio la tendenza diffusa ad identificare tutta la complessità del sapere umano e i suoi meccanismi con la conoscenza scientifica. “Non c’è dubbio che la scienza è stata, durante gli ultimi due secoli, il principale referente epistemologico. Ma il fatto che le scoperte scientifiche dell’era moderna si annoverino tra le principali conquiste del pensiero, non autorizza a pensare che la ricerca scientifica sia il passo obbligato di qualsiasi possibile forma di conoscenza”2. Gli interrogativi posti mettono quindi in luce quella che ancora oggi si può riconoscere come una dicotomia irriducibile tra scientificità e artisticità, visti come due poli opposti delle attività conoscitive, che operano con procedimenti completamente diversi. In particolare, come evidenzia Carlos Martí Arís3, le attività artistiche soffrono di una concezione soggettivistica basata sulla manifestazione del sentimento o della coscienza dell’artista, concezione ereditata dalla filosofia di matrice idealista. “Succede così che, quando si pone il problema di formulare, in modo sistematico, la conoscenza legata alle discipline artistiche, sorge immediatamente un’opinione latente e generalizzata incline a negare, in quanto impossibile, qualsiasi strutturazione del sapere artistico, nonché a rifugiarsi in una visione atomizzata e particolarista, basata sulla presunta condizione ineffabile dell’arte”4. Allo stesso modo, una concezione di origine positivista ridurrebbe la scienza a una mera accumulazione di esperimenti e di dati dai quali ricavare meccanicamente teorie e spiegazioni scientifiche, come fossero già contenute ma solo nascoste nella realtà, ed escludendo a priori qualsiasi attività legata al campo dell’immaginazione. A questo proposito l’opera teorica di Karl Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura Popper, che riflette in generale sui meccanismi di produzione della conoscenza, rappresenta un riferimento importante per la cultura contemporanea. Anche se i suoi sforzi mirano per lo più a spiegare ciò che denomina la “logica della scoperta scientifica”, evidenziando un ruolo attivo del soggetto osservatore a cui viene riconosciuta una “immaginazione critica” che guida e pianifica la propria percezione, le sue elaborazioni teoriche ci sono di grande aiuto per dimostrare la possibilità di una conoscenza oggettiva anche nel campo artistico. Seguiamo la teoria di Popper: i meccanismi di percezione della realtà presuppongono l’esistenza di un mondo reale fatto di cose e di un soggetto individuale che percepisce attraverso i sensi. Gli stati mentali dell’individuo, necessari nell’atto di acquisire informazioni, sono però temporanei, hanno un’esistenza effimera, e non possono essere condivisi con altri individui se prima non vengono espressi attraverso il linguaggio. Il lavoro di formulazione attraverso il linguaggio presuppone un’operazione di astrazione e generalizzazione, e il prodotto così ottenuto possiede una nuova natura, diventa un concetto autonomo dal soggetto che lo ha espresso. Inizia una vita indipendente, in un mondo popolato da oggetti che possiedono tutti la stessa natura: teorie, argomenti, concetti formano così un universo di contenuti oggettivi del pensiero, che si possono accumulare nel tempo. Il contributo di Popper sta proprio nella definizione di questa “epistemologia senza soggetto conoscente”, indipendente dagli stati mentali del soggetto, che invece sono temporanei e variabili. Questa precisazione permette a Popper di formulare la “teoria dei tre mondi”, che riassume e generalizza i processi della conoscenza umana. Superando definitivamente le posizioni derivanti dalla filosofia idealista, che proponevano una visione dualista della conoscenza basata sulla contrapposizione di mondo della realtà da una 17 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza parte e soggetto pensante dall’altra, Popper rivendica una nuova autonomia al mondo delle idee, affermando l’esistenza di tre universi ontologicamente distinti tra loro, ma tutti indiscutibilmente reali: il mondo delle cose materiali (mondo 1), il mondo dei concetti e delle costruzioni teoriche (mondo 3), entrambi indipendenti nella loro crescita nel tempo, e il mondo degli stati di coscienza (mondo 2). L’attività mentale dell’individuo è il solo collegamento esistente tra concetti astratti e realtà fisica, opera cioè da tramite tra i due mondi. Il soggetto è inoltre l’unica forza attiva, con potere di azione e di scelta, è il motore che permette di passare dalle idee alle cose e viceversa. Questa volontà, legata al soggetto, ma anche al luogo e al tempo, è immediatezza, è presente continuo; in quanto tale non ha la facoltà di contenere nel tempo idee e concetti, che invece si accumulano, sempre ad opera dell’attività del pensiero, nel loro mondo autonomo, il mondo 3, e sopravvivono nel tempo. Proprio questa è la differenza che sottolinea Popper tra l’avere un pensiero e formularlo in un linguaggio. 18 In base a questa teoria ci sarebbe quindi una continua azione di scambio: per costruire concetti si parte dall’osservazione della realtà, al contrario per incidere sul mondo delle cose si utilizzano le conoscenze teoriche. “Questo travaso di materiali provoca un processo continuo di retroalimentazione nel quale gli effetti si convertono in cause generatrici del dinamismo stesso”.5 Resta da definire allora la natura dell’attività del soggetto: infatti quando opera in un senso, dal mondo 3 al mondo 1, agisce concretamente nel mondo della realtà fisica; quando invece opera dal mondo 1 al mondo 3 il prodotto è di natura concettuale e teorica. Possiamo ora affermare che questa è la base epistemologica sia dell’attività scientifica dell’uomo sia di quella artistica? Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura Possiamo cioè riconoscere concretamente sia nel campo artistico che in quello scientifico questo travaso di materiali, e gli oggetti specifici relativi ai due ambiti del sapere? Per quanto attiene al campo scientifico, è opinione condivisa che il mondo 1 sia composto dalle cose materiali, oggetto dell’osservazione, mentre il mondo 2 da teorie, dimostrazioni di carattere generale. Un esempio: non ci sono dubbi sull’appartenenza a quest’ultima categoria della tavola degli elementi di Mendelejev, o della legge gravitazionale dei corpi, così come appartengono al mondo 1 gli oggetti da cui queste leggi chimiche e fisiche sono desunte. Nel campo artistico ci troviamo d’accordo nel riconoscere gli oggetti del mondo 1 come le cose prodotte dall’uomo, “artefatte”, siano esse opere d’arte in senso stretto o meno, mentre è più difficile definire la natura degli oggetti del mondo 3; che cosa sono per esempio i concetti astratti nell’attività architettonica? Come si formano, come si tramandano? Nel tentativo di dimostrare la dimensione conoscitiva dell’architettura, Martí Arís introduce il concetto di tipo architettonico, legato alla struttura organizzativa della forma, come generalizzazione basata su fatti singolari che porta alla possibilità di mettere a punto concetti generali dotati di legittima cittadinanza nel mondo 3. “Basti pensare ai termini che, nel corso della storia, hanno consentito alla nostra disciplina di mettere a punto una descrizione degli edifici. Ricordiamo, ad esempio, con quanta esattezza si possono descrivere le parti di un organismo basilicale e come a ogni parte corrisponda una denominazione precisa e inequivocabile: atrio, portico, navata, transetto, coro, abside, deambulatorio. Questi sostantivi rimandano a contenuti universali, dato che sono applicabili a diversi fatti particolari, ciascuno dotato di una propria individualità”6. Secondo questa teoria, già l’attività di descrizione assolve 19 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 20 un ruolo decisivo nello sviluppo del sapere architettonico, perché presuppone l’espressione attraverso il linguaggio scritto di un’opera costruita, e di conseguenza una inevitabile generalizzazione che produce oggetti del mondo 3 dotati di astrazione e autonomia. Un simile ragionamento lo si può estendere anche ad altre arti, declinando il significato di forma strutturale agli specifici oggetti delle discipline. Verificata l’esistenza di concetti astratti anche in campo artistico, Martí Arís propone una ulteriore precisazione rispetto alla teoria popperiana dei tre mondi. In linea generale la differenza tra le due attività del sapere consiste nella direzione privilegiata nel processo descritto sopra: l’attività scientifica dal mondo delle cose tende al mondo delle idee teoriche, mentre l’attività artistica dal mondo delle costruzioni teoriche a quello delle opere reali. Entrambe condividono lo stesso sistema epistemologico, ma non lo stesso fine, e nemmeno la natura del prodotto dell’azione del soggetto. “Mentre l’obiettivo fondamentale della ricerca scientifica è quello di formulare principi astratti e leggi universali a partire dall’osservazione dei fenomeni, la principale finalità dell’attività artistica consiste, al contrario, nell’elaborazione di oggetti fisici che sorgono per distillazione di idee e concetti con i quali cerchiamo di interpretare la realtà”.7 Se il fine conoscitivo quindi è comune ai due campi disciplinari del sapere umano, come questa teoria ha legittimato, i prodotti finali sono invece di natura radicalmente opposta: dagli sforzi scientifici nascono teorie e concetti astratti, la cui origine e i cui effetti sono nel mondo reale; dal lavoro artistico nascono opere concrete, che hanno avuto origine nel mondo delle idee, e contribuiscono ad ampliarlo ulteriormente. In tutte le attività possiamo riscontrare una tendenza alla comprensione del reale, all’avanzamento e alla trasformazione, ma se in un campo i prodotti sono dipinti, edifici, sinfonie, parole, nell’altro Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura sono concetti, dimostrazioni, teorie, che si accumulano nel tempo acquistando una propria autonomia proprio come i prodotti artistici. Da un lato viene riconosciuto uno statuto conoscitivo alle attività artistiche, liberandole dall’interpretazione soggettivistica della mera “creazione” individuale, isolata nel tempo e nello spazio, dall’altra si legittima una volontà attiva nel campo scientifico, una “immaginazione critica” che non rinuncia all’intuizione, nel senso etimologico di guardare con attenzione. Sulla natura della ricerca Le riflessioni appena fatte ricostruiscono sinteticamente un quadro di riferimento epistemologico che individua le differenze tra discipline artistiche e scientifiche, non in un’ottica di contrapposizione ma di complementarità che abbraccia il territorio del sapere umano in tutta la sua complessità. Si rileva inoltre come i prodotti specifici dell’arte siano oggetti reali, non concettuali: essi hanno un carattere sintetico, sono la precipitazione concreta in un tempo e in un luogo di idee attraverso l’azione soggettiva. In questo quadro dove si colloca allora il lavoro di ricerca nel campo artistico? Se il lavoro di ricerca ha come fine il riconoscimento di concetti generali e la loro descrizione partendo dalle opere reali, allora percorre la strada che abbiamo descritto in precedenza come senso privilegiato dall’attività scientifica. La possiamo allora definire come attività scientifica applicata all’arte, oppure come attività artistica secondaria? E chi la pratica è uno scienziato dell’arte, o un artista in pausa di riflessione? Non c’è dubbio che vi sono in merito molte posizioni di pensiero. Giorgio Grassi, per esempio, mettendo in luce l’aspetto sintattico dell’architettura ne evidenzia il suo carattere di costruzione logica; in questo senso arriva a dire 21 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza che analisi e progetto hanno in comune il fine conoscitivo, ma anche il procedimento, cioè un ordine logico di scelte successive di carattere logico-sintattico8. C’è anche chi ritiene, non senza un certo grado di provocazione, che in campo artistico non esiste la ricerca, e che l’unico modo per contribuire all’avanzamento delle discipline artistiche è produrre oggetti artistici; nello specifico ciò significa occuparsi di fare progetti di architettura e di portarli alla realizzazione. Avendo dimostrato però l’esistenza di un mondo di oggetti astratti anche nel nostro campo disciplinare, ci chiediamo come e da chi vengano prodotti se non dall’azione del pensiero soggettivo, unica volontà attiva nel processo della conoscenza, come abbiamo dimostrato sopra. I concetti precisi e condivisi di navata, transetto, abside, ma anche di colonna, finestra, cornicione non esisterebbero se nessuno avesse proceduto alla descrizione di opere costruite, dopo una loro osservazione e comparazione, attraverso il linguaggio. Questi concetti non nascono da soli, né esistono già a priori, come se fossero idee platoniche. D’altra parte l’esistenza di un dottorato di ricerca in progettazione dell’architettura legittima già di per sé l’esistenza di questo tipo di attività, e pone la questione di definire i meccanismi del lavoro di ricerca ad un livello di primaria importanza. 22 Il lavoro di ricerca esiste quindi, ed è subito evidente anche l’utilità di una teoria architettonica, che permette di riflettere sui contenuti dei progetti. A differenza dei prodotti principali dell’arte e della scienza, rispettivamente opere concrete e opere concettuali, le generalizzazioni conseguenti al lavoro di ricerca in architettura non possiedono lo stesso carattere di verità e perfezione. La evidenza pregnante di una dimostrazione matematica possiede, a ben vedere, un carattere di verità simile alla presenza inevitabile e concreta di un’opera costruita. Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura Hanno forse in comune il carattere sintetico, operazione di una distillazione. L’operazione di risalire la corrente del processo di sintesi quindi non può che avere un carattere analitico, paziente e laborioso. E conduce in un territorio vasto dove non troviamo verità e risposte, ma materiali generali per rispondere più consapevolmente alle domande della conoscenza, attraverso il progetto, o per ampliare la gamma delle domande possibili. Risulta chiaro allora che la ricerca è definita come attività peculiare anche in campo artistico, soprattutto per lo stretto rapporto che mantiene con il progetto; il fine ultimo infatti sembra quello di definire basi sempre più ampie per l’elaborazione di risposte progettuali. Allo stesso tempo, però, progetto e ricerca sono due procedimenti ben distinti, che muovono materiali in senso opposto; sono autonomi nei metodi, l’uno sintetico l’altro analitico, e nei fini, l’uno rispondere concretamente ad un problema e l’altro aprire le questioni. Attraverso il lavoro teorico nelle arti non si arriva alla messa a punto di procedimenti da applicare meccanicamente, come qualcuno può credere: sempre Martí Arís in questo senso avverte che “la parola teoria non dovrebbe suscitare in nessun caso false illusioni, e meno ancora insinuare l’esistenza di percorsi infallibili”9. È proprio questa tendenza che trasforma pericolosamente (per i processi conoscitivi) la teoria in dottrina, “teoria che afferma che la sua verità è definitivamente provata, e rifiuta tutte le smentite della realtà”10; dottrina che mette a punto processi progettuali sicuri dei quali dimostra la necessità e la correttezza. Evidentemente questo non è il fine di questa ricerca, né lo dovrebbe essere per i lavori che hanno questo nome. “Considero perciò che il compito di una teoria del progetto non sia quello di confezionare formule in grado di risolvere i problemi una volta per tutte, ma piuttosto quello 23 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza di ampliare la pratica del progetto ed il suo campo problematico, fornendo allo stesso tempo strumenti che consentano di porre tali problemi con maggiore chiarezza e correttezza, vale a dire che permettano di riconoscere più ordinatamente la complessità del reale”11. Sulla centralità del progetto 24 Con quale metodo procede la ricerca in architettura? Se pensiamo al ruolo che essa riveste nel processo della conoscenza del reale possiamo arrivare a definirne i meccanismi, spero in modo condivisibile. La ricerca procede in modo analitico, abbiamo visto, risalendo la corrente del progetto, ed ha come materiale base di lavoro ma anche come fine ultimo la realtà costruita; tuttavia produce concetti e idee teorici. Ecco perché esiste il pericolo che una teoria si chiuda in sé stessa quando si allontana troppo dal progetto e dalle condizioni materiali, costruendo un ambito autoreferenziale e sterile ai fini della conoscenza. Per questo motivo inoltre affermiamo la centralità del progetto come interesse della ricerca, e la necessità di partire sempre dalle opere realizzate, che sono la definizione stessa di architettura. “...qualsiasi teoria del progetto deve partire dallo studio delle opere di architettura nella loro singolarità e concretezza. Questa affermazione pare ovvia, e probabilmente lo è davvero. Tuttavia mi sembra che il suo frequente inadempimento sia una delle principali cause del discredito che oggi grava su qualsiasi tentativo di discorso teorico nel campo dell’architettura”12. Per fare un esempio, il libro Delirious New York è stato sempre indicato sia dall’autore, che lo sottotitola “Un manifesto retroattivo per Manhattan”, sia dai critici un lavoro mirato alla fondazione di una nuova teoria della progettazione, mettendo così in secondo piano Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura l’interesse specifico che la ricerca mostra sulla città: “Koolhaas diffonde il proprio manifesto, getta le basi della propria architettura, pone i cardini e i decumani della propria fondazione”13. In realtà il libro è un lavoro di ricerca principalmente perché analitico, indagatore, fondato sull’analisi dettagliata delle opere più importanti di un certo periodo, di cui ricostruisce le ragioni, i principi, nonché le vicende e le fasi della realizzazione; perché evidenzia il dato costante che emerge, cioè un esasperato gigantismo abbinato ad una innovativa complessità nei programmi funzionali. Solo alla fine Koolhaas decide di prendere in prestito quei principi per farli rivivere nei propri progetti, con un procedimento operativo, sintetico, che appartiene di più al mondo del progetto che a quello della ricerca. Un lavoro di ricerca inoltre deve saper rinunciare al desiderio di influire direttamente sulla realtà; il cambiamento e la trasformazione sono compiti del progetto, e attraverso la ricerca si può solo dare un contributo indiretto. L’autonomia del momento teorico è fondamentale affinché questi apporti possano essere utilizzati come fonte di ragionamenti anche da altri soggetti, diversi dal ricercatore stesso. Ciò non esclude che quest’ultimo possa farne uso, quando indossa le vesti di progettista. “Per tale motivo ogni costruzione teorica che abbia per oggetto il progetto architettonico deve essere capace di accettare la sua condizione secondaria, il suo ruolo transitivo ed ausiliare, sempre riferito e subordinato alle opere, vere depositarie della conoscenza in qualsiasi attività artistica”14. Sulla forma Downtown Athletic Club, New York, 1931. Il lavoro di indagine e di descrizione delle opere di architettura si avvale, come categoria di generalizzazione, della forma e della sua concettualizzazione, la struttura formale, meglio 25 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 26 definita come tipo architettonico: categoria che contiene “tutti quei concetti che alludono a una struttura, a un’idea organizzativa della forma che riporta gli elementi dell’architettura verso un ordine riconoscibile”15. Questa è una delle scelte possibili, ma a noi sembra che la forma, per il suo carattere fisico e materiale, per il suo essere evidente e descrivibile, sia una categoria tra le più adatte ad avvicinare i dispositivi del progetto di architettura. Inoltre essa è, a differenza di altre categorie come l’uso e la funzione, la più stabile nel tempo, quella che coincide più in profondità con l’essenza materiale dell’architettura, fino a diventare un suo strumento peculiare. Vi sono sicuramente altri modi possibili di fare ricerca: per esempio, per avere una conoscenza più approfondita è necessario indagare le cause e la situazione al contorno che hanno portato a costruire un’opera in un certo modo. Mettere in evidenza motivazioni, attori, contesto sembra però un lavoro di ricerca che appartiene più all’ambito storico che a quello progettuale. Non c’è dubbio che la produzione delle opere reali sia strettamente legata ad un contesto storico ben preciso e alla destinazione funzionale originale, dai quali spesso dipende anche la stessa declinazione di una forma. Ma “l’esperienza storica mostra con chiarezza che la forma è più duratura di qualsiasi sua utilizzazione”, e “la somma integrale di tutte le particolarità d’uso non dà come risultato un’architettura”16. Nel saggio di Rudolf Borchardt sulla villa della campagna toscana, per esempio, la ricostruzione del contesto storico e delle origini di questa forma di abitare radicata nel territorio non è sufficiente a descrivere le relazioni tra gli elementi dell’architettura che la costituiscono; infatti l’autore, uomo di lettere più che di architettura, per descrivere questa forma procede ad una analisi degli elementi generali e ricorrenti, dando così sostanza formale ad un tipo architettonico che esprime un contrasto di Hotel Waldorf-Astoria, New York, 1929. Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura origine latina fra campagna e città. “In questo genere di costruzioni, in cui da lungo tempo l’esigenza del signore è riuscita a conciliare gli aspetti puramente utilitari dell’edificio con le forme tradizionali della sua vita, rimangono anche altre testimonianze sparse, rispecchiate nell’architettura, della destinazione originaria. [...] La serie delle stanze adatte a questo scopo [abitazione] incomincia al primo piano, a cui nella casa colonica si accede per mezzo di una scala laterale che termina su un pianerottolo con una tettoia sorretta da pilastri, archetipo della loggia; la villa invece sviluppa questa scala in un ampio giro frontale che serve da accesso scoperto con belle balaustre e articola lo spazio antistante nella forma ardita e splendida di una mezza esedra (la più bella forse è quella della Villa Sardi a Pieve San Martino presso Lucca) raccordandola poi, in modi sempre nuovi, col balcone sovrastante, dove si apre di solito la vetrata centrale del salone. E così, quanto più a fondo si va, più spesso si intuisce una forma più antica della villa, al di là dell’aspetto principesco, barocco o stile impero, e si ammira la tenacia con cui, nel paese più conservatore del mondo, le forme e le funzioni continuano a dipendere organicamente le une dalle altre”17. Provando ad ampliare il campo anche all’ambito della città, e parlando quindi di configurazione fisica e spaziale siamo d’accordo con Ludovico Quaroni quando, descrivendo le caratteristiche costitutive della città, egli distingue tra struttura sociale, che è sostanza e contenuto, e città fisica, costituita da strutture edilizie contenenti (civitas e urbs nel pensiero dei latini). “Quando parliamo di spazio ci riferiamo soltanto alla città fisica, ma questo spazio dovrà essere calibrato, organizzato, strutturato in relazione stretta con la città sociale”18: il tentativo in questa ricerca è però quello di indagare con maggiore autonomia il momento del progetto sulla città fisica, che in alcuni casi è legato alla realtà sociale ed 27 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza economica solo nella motivazione iniziale, per poi cercare strade proprie, riferimenti e ragioni interne, come se esistesse un mondo delle forme parallelo e autonomo, fatto da realizzazioni e progetti, che fosse possibile studiare e ricostruire a prescindere dalle specifiche situazioni storiche di sfondo. Come scrive elegantemente Henri Focillon, “il segno significa, ma, divenuto forma, aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso, si cerca un contenuto, gli dà una nuova giovane vita per mezzo di associazioni, di dislocazioni, di stampi verbali”19. Per questo motivo ci sembra che lo strumento più utile per ampliare la base delle conoscenze in architettura, avendo come fine il progetto, sia la forma, le sue permanenze e le sue declinazioni, da descrivere e analizzare nei progetti costruiti e nelle intenzioni rimaste sulla carta. Il fine della ricognizione, è bene ricordarlo, non è dimostrativo della correttezza di una forma o di un metodo; la forma in sé non può essere giusta o sbagliata, né tanto meno il progetto. “In architettura, anche il contrario può essere vero”, ha scritto Fernando Tavora20, evidenziando questo apparente paradosso che sta alla base della conoscenza nel campo artistico. Sia la forma che il progetto quindi possono avere un carattere profondo, oppure superficiale. E proprio il lavoro della ricerca ha il dovere di definire le basi per agevolare un’attività progettuale consapevole e che sfugga la banalità della costruzione corrente. Sull’esperienza storica 28 Portare alla luce la permanenza e le trasformazioni di una particolare struttura formale, che nel capitolo successivo cercheremo di definire, sembra essere il compito di una ricerca nel nostro campo disciplinare. Il materiale che andiamo ad indagare nel corso dello studio, nella sua fisicità ed evidenza, ha una caratteristica Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura particolare: esso è il prodotto di una attività progettuale che si colloca in un tempo passato (più o meno antico) ma ci si presenta a noi con una inevitabile simultaneità. Noi viviamo immersi in questo continuo presente; edifici di epoche passate stanno accanto a edifici contemporanei, senza soluzione di continuità. È vero che abbiamo parlato di forma come carattere generale dell’architettura, da estrapolare e studiare secondo regole proprie; Giorgio Grassi afferma che “gli esempi di un passato più remoto e più recente si confrontano sul piano della loro forma, al di sopra dei motivi umani ed economici, politici e religiosi ai quali essi per lo più vengono fatti corrispondere”21. Tuttavia non è possibile prescindere dalla condizione storica del loro stesso farsi, dalla successione temporale del manifestarsi di forme e idee. E dato che tutto il materiale su cui lavoriamo si colloca genericamente nel passato, come ogni opera nel momento stesso in cui entra nel mondo reale e si stacca dall’autore iniziando una vita propria22, è necessario chiarire meglio il rapporto con il nostro oggetto di studio, o con ciò che possiamo definire tradizione. A tale proposito, nell’ambito della letteratura, Thomas S. Eliot scrive che “la tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare: chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica. [...] Avere senso storico significa essere consapevole non solo che il passato è passato, ma che è anche presente; il senso storico costringe a scrivere non solo con la sensazione fisica, presente nel sangue, di appartenere alla propria generazione, ma anche con la coscienza che tutta la letteratura europea da Omero in avanti, e all’interno di essa tutta la letteratura del proprio paese, ha una sua esistenza simultanea e si struttura in un ordine simultaneo”. Questo vale a maggior ragione per l’architettura, come abbiamo visto prima, per la reale presenza contemporanea di oggetti di 29 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 30 epoche diverse. Tale ragionamento porta Eliot ad affermare che nel lavoro di critica letteraria spesso viene lodato un poeta “per quelle caratteristiche della sua opera in cui egli somiglia meno ad altri poeti”, e si cercano “quegli elementi che lo differenziano dai predecessori”; invece, accostandosi a un poeta senza alcun pregiudizio, “ci accorgeremmo che le parti non solo migliori, ma anche più personali della sua opera sono forse quelle in cui i poeti scomparsi, i suoi antenati, dimostrano con maggiore vigore la loro immortale vitalità”. Il contrasto tra l’interesse nello studio delle caratteristiche costanti o di quelle variabili sembra, a prima vista, un’opposizione tra due modelli inconciliabili di accostarsi al passato; in realtà a noi sembra una falsa dicotomia, in quanto l’uno presuppone e giustifica l’altro. È dalla interazione tra i due che possiamo avere una conoscenza complessiva dei fenomeni di produzione e permanenza di forme. Infatti proprio la variazione sul tema, la presenza concreta di opere individuali e quindi diverse che affrontano situazioni simili con soluzioni analoghe, permette la individuazione di caratteri generali e astratti che uniscano tra loro le esperienze, creando i presupposti per la confrontabilità. Secondo Martí Arís “la storia mostra i processi in trasformazione, l’analisi tipologica si rifà a ciò che, negli stessi processi, permane identico. Inoltre, entrambi gli aspetti si relazionano l’un l’altro, giacché solo la mutazione rende visibile la permanenza. Come sostiene la teoria aristotelica, l’essenza di una cosa può essere stabilita attraverso i cambiamenti che essa subisce” 23. L’esempio di uno studio che accosta liberamente opere del presente e del passato classico, utilizzando il concetto di forma per trovare delle costanti ma non rinunciando ad evidenziare le differenze storiche tra le opere è la ricerca di Colin Rowe24, uno tra i primi Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura critici moderni a gettare ponti strutturali tra l’architettura moderna e quella antica. Nel suo saggio sulla villa, utilizza i concetti di forma, struttura e geometria per comparare abilmente i progetti di Le Corbusier e Palladio, trovando costanti formali che permettono di identificare il tipo, ma procedendo con una lettura precisa delle differenze e delle loro ragioni storiche. C. Rowe, confronto tra Villa Stein di Le Corbusier e Villa Malcontenta di Palladio, 1947. Il lavoro di ricerca, per come lo stiamo definendo, si serve dei concetti di permanenza e di variazione nell’analisi del passato, ma è sempre 31 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 32 orientato comunque al presente, nel senso che l’azzeramento del tempo nella formazione dei ragionamenti sulla forma è ciò che consente al progettista di appropriarsi dei concetti generali e allo stesso tempo di raggiungere una consapevolezza storica. “Il possesso del senso storico, che è senso dell’atemporale come del temporale, e dell’atemporale e del temporale insieme: ecco quello che rende tradizionale uno scrittore. Ed è nello stesso tempo ciò che lo rende più acutamente consapevole del suo posto nel tempo, della sua contemporaneità”25. Si delinea in questo modo un processo di accumulazione di esperienze e forme, per cui possiamo dire che il progettista contemporaneo possiede un maggiore grado di conoscenza rispetto ai progettisti del passato; questo è vero solo se intendiamo il maggior livello di complessità insita nella contemporaneità non come qualità in se stessa, ma come potenzialità espressa attraverso lo studio analitico, la immedesimazione profonda e la riscoperta di una tradizione sempre più ampia. “Ma la differenza tra il presente e il passato sta in questo: che il presente, quando sia consapevolezza, è consapevolezza del passato in un senso e in una misura mai raggiunti, come consapevolezza di sé, dal passato” 26. Tuttavia sembra necessario precisare che lo studio del passato deve cercare di evitare i rischi di una sua riproposizione attraverso il frammento isolato, sclerotizzato e senza una conoscenza profonda, come è avvenuto nel caso del citazionismo sconnesso e segmentato di certa architettura postmoderna. Salvatore Settis27, a tale proposito, evidenzia come sia molto diffusa attualmente la pratica della “scomposizione dell’antico in frammenti decontestualizzati, e perciò pronti al riuso, al montaggio”. Egli in particolare si riferisce al passato cosiddetto “classico”, o quello che nelle varie epoche è stato considerato tale, mettendo in luce i meccanismi ricorrenti nella cultura occidentale di riscoperta Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura periodica del proprio passato. Attraverso continui “rinascimenti”, secondo un modello ciclico di nascita e morte delle arti, le varie epoche hanno cercato di rivivere le esperienze degli antichi e di riproporne l’insegnamento, nel tentativo di legittimare il presente scegliendosi nel passato i modelli “giusti”. All’estremo opposto troviamo un modo di agire che è tutto incentrato nel presente e nel transitorio, nel tentativo di afferrare la mutevole realtà contemporanea. “Questa concentrazione ossessiva ed esclusiva sul contemporaneo, tanto caratteristica del nostro tempo, si spiega forse per l’ansia di intendere l’enorme complessità di un mondo globale, limitandosi a conoscerlo quale esso è oggi (e lo sforzo è già grande)” 28. Ma è chiaro che in questo modo emerge solo la condizione frammentaria delle continue variazioni, a meno di non assumere proprio il frammento come condizione peculiare della modernità, fino a farne un valore assoluto. Quello che si propone con la ricerca che segue è lo studio di un tipo urbano nelle sue manifestazioni concrete e nelle variazioni significative, concentrandosi nel periodo storico che ha visto il suo maggiore successo, in termini di quantità e di qualità dei progetti, non con l’intenzione di riproporlo oggi incondizionatamente, ma per metterne in luce i modi, i motivi formali, e le caratteristiche spaziali in rapporto alla città. In ultima analisi, con un fine disinteressatamente conoscitivo, questo lavoro vuole essere “liberato, non solo dal vincolo dell’utilizzazione immediata, ma anche da un malinteso funzionalismo moderno che confina gli elementi storici dell’architettura agli studi di storia dell’arte”29. 33 B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925. I. Precisazioni intorno a una definizione Procedere ad una definizione di tipo insediativo a corte potrebbe essere un’operazione rischiosa: vorrebbe dire fissare uno schema a priori non basato sulla consistenza dei fatti costruiti, ma su un’idea precostituita. Infatti una definizione dovrebbe essere scritta alla fine della ricerca quando, con la conoscenza acquisita dei progetti, potremmo con facilità chiarire le costanti formali e arrivare ad una generalizzazione soddisfacente. Allo stesso tempo però il procedimento intuitivo, cioè di “immaginazione critica” precedentemente descritto, è indispensabile per decidere cosa guardare, dove orientare la scelta; il soggetto non può essere passivo nell’acquisizione dei dati. L’ipotesi di questo lavoro è che, se le prime forme compiute di residenza collettiva a corte fanno la loro comparsa nei primi anni del ‘900, in realtà la gestazione degli elementi che la compongono e delle problematiche connesse alla pianta, alla distribuzione degli alloggi, agli accessi, avviene a partire da metà ‘800; coincide cioè con la formazione della città industriale europea, con i tentativi di pianificarne lo sviluppo e di risolvere gli urgentissimi problemi di domanda di case a basso costo. Ma è solo a partire dall’inizio del ‘900 che troviamo questo tipo urbano applicato con tutti i suoi elementi, anche di origine diversa, a formare una nuova combinazione riconoscibile come tale. Case a patio, Priene, IV sec. a.C. A. Sangallo, palazzo Farnese, Roma, 1515. La genesi della corte nell’architettura domestica, come è noto, ha origini antichissime, ed è una presenza costante in culture lontane nel tempo e nello spazio: dalle case a patio delle antiche città ellenistiche e romane, fino alla corte dei palazzi rinascimentali, lo spazio aperto racchiuso dalla casa è un elemento fisso riconoscibile, attorno al quale si organizzano gli spazi domestici e 35 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 36 rappresentativi. In questi esempi però esso conserva sempre un carattere privato, legato alle attività svolte dal singolo nucleo familiare che lo abita. Per trovare quel carattere collettivo e quel senso di comunità a cui rimanda la corte che accoglie più abitazioni bisogna risalire agli impianti conventuali, soprattutto dell’ordine dei Certosini, che organizzavano le singole dimore dei frati intorno ad un cortile comune: un procedimento di montaggio di elementi autonomi attorno ad una grande corte chiusa, come il modello conventuale della Certosa di Ema evocato e riattualizzato da Le Corbusier nella sua proposta degli Immeubles-Villas. Vi sono analogie anche con altri tipi di impianti a corte, come le caserme militari, gli ospedali e i lazzaretti, i villaggi operai degli utopisti come Owen e Fourier, con le realizzazioni sovvenzionate di impronta “sociale” come la Cité Napoléon di Parigi e di Lille, o ancora più lontano nel tempo con i beghinaggi fiamminghi o i caravanserragli; un forte senso di collettività si rispecchia nello spazio racchiuso della corte, ma ciò è indissolubilmente legato al carattere speciale o temporaneo di quel tipo di residenza. Nel tipo urbano a corte che stiamo indagando invece c’è una combinazione di elementi: da un B. Ammannati, progetto di un complesso residenziale per canonici, XVI sec. Certosa di Garegnano, Milano, XVI sec. I - Precisazioni intorno a una definizione lato alloggi destinati a nuclei familiari stabili, dall’altro la collettività dello spazio interno della corte, spesso intesa come manifesto estetico della comunità, in contrapposizione all’individualismo piccolo borghese della casa unifamiliare. Verbrannter Hof, Straßburg, 1760. Hôtel dei Moschettieri neri, quartiere di SaintGermain, Parigi, 1671. La scelta di trattare il tema residenziale è strettamente legata anche al periodo storico oggetto di studio: mai come nel ‘900 infatti la residenza è stata il problema centrale del lavoro degli architetti in Europa. L’urgenza della questione abitativa in tutte le maggiori città, a causa di un rapido e ingente aumento della popolazione, porta a una grande quantità di realizzazioni, ma anche a un considerevole sforzo teorico per discutere attorno alle soluzioni migliori da adottare nella città moderna, che ha dato vita ad un dibattito a scala internazionale ricco e stimolante, solo in parte rappresentato dalle tematiche emerse nei CIAM. “Sono molteplici i testi, le proposte, gli schemi, le realizzazioni e i dibattiti che tra il 1910 e il 1945 affrontano la riflessione sulle forme residenziali che devono corrispondere a un mondo soggetto a tali profonde trasformazioni. In un certo modo, quindi, è lecita la identificazione tra città moderna e proposte residenziali della architettura 37 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza moderna, poiché queste costituiscono la trama di fondo dalla quale emerge l’idea di città elaborata dalla cultura architettonica della prima metà del secolo XX” 30. Attraverso lo studio delle forme residenziali, considerate come una parte dell’intero, si propone di conseguenza uno studio dell’evoluzione dell’idea di città e del suo spazio. 38 Dalla definizione che abbiamo dato di residenza a corte risulta chiaro che non si tratta precisamente di un tipo architettonico, ma piuttosto di un tipo urbano; si colloca cioè in una categoria intermedia tra architettura e urbanistica, in quanto nella sua identificazione sono presenti materiali di entrambe le discipline. Si parla della E. Vandenbergh, Cité Napoléon, Lille, 1863. I - Precisazioni intorno a una definizione Veugny, Cité Napoléon, Parigi, 1849. forma degli spazi e della loro organizzazione, di corrispondenza fra questi e la struttura, ma non si coinvolgono gli elementi minimi della costruzione, come per esempio colonne o finestre. Allo stesso modo è una categoria che pur non coinvolgendo direttamente le scelte di carattere previsionale, macrourbanistico, e nemmeno l’organizzazione generale della città, risulta strettamente connessa alla forma delle strade, all’altezza delle facciate, e in generale alla disposizione degli spazi pubblici e privati negli ambiti residenziali. “Quanto al termine progettazione urbana adottato in vece di quello più convenzionale di urbanistica, vale la pena di precisare che tale nuova dizione, pur essendosi imposta nel dibattito internazionale solo da pochi decenni, denota un’attitudine progettuale molto più antica di quella implicata dalla seconda espressione. Si tratta, a ben riflettere, di quell’ambito disciplinare che, fin da tempi remoti, ha contrassegnato il disegno della forma fisica dello spazio urbano come sviluppo delle teorie architettoniche.”31 A questa categoria intermedia di fatti costruiti possiamo far corrispondere una specifica attività progettuale, distinta sia dal progetto architettonico sia da quello urbanistico, che potremmo in via generale definire progetto urbano. Se il progetto di architettura può essere inteso come una precipitazione concreta e 39 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza sintetica di intenzioni e principi attorno ad un edificio, e l’urbanistica come una riflessione programmatica aperta a scenari e previsioni sulla città, necessariamente legata alle reali dinamiche socio-economiche, il progetto urbano lavora con materiali prettamente fisici e spaziali, attraverso la loro “disposizione”, con un’attenzione alla specificità del luogo, e ad una scala che andando oltre la dimensione del singolo alloggio cerca di dare senso all’insieme. 40 Il tipo insediativo a corte, inteso come risultato del progetto urbano, non può non confrontarsi con i concetti di isolato e di tracciato viario. Questi due ambiti sono strettamente legati fra loro, ma non sono in rapporto consequenziale. Dalla combinazione tra la forma del lotto edificabile delimitato dalle strade e la modalità di costruzione dello stesso possono scaturire soluzioni molto diverse; anche se nella realtà sono spesso così coincidenti da essere inscindibili, conservano comunque a livello disciplinare una loro precisa autonomia. In questo senso l’isolato inteso come elemento specifico del progetto urbano, anche se per tradizione rimanda al fatto costruito e all’edificazione compatta tipica della città densa, non indica un tipo di costruzione chiusa sui lati perimetrali, ma è da intendersi come la forma delle aree edificabili in rapporto alle strade; “è un principio generale di urbanizzazione che possiede un valore universale e permanente. È presente, come elemento strutturante della forma urbana, in culture molto distanti tra loro nello spazio e nel tempo: dal sistema ippodamico ellenistico o dalla centuriazione romana, passando per le bastie e le città mercantili medievali o le città della colonizzazione spagnola in America, fino ad arrivare alla nozione di superisolato che appare in molte proposte urbanistiche degli architetti del Movimento Moderno”32. Il concetto di isolato, quindi, coincide con un modo generale di I. Cerdà, il tracciato del piano per Barcellona, 1859. I - Precisazioni intorno a una definizione F. Schumacher, piano per Dulsberg, Amburgo, 1919. urbanizzare un territorio, che procede attraverso la definizione del tracciato stradale, la maglia, di qualsiasi forma e dimensione, e la definizione dei lotti edificabili, a prescindere dalla forma del volume con cui viene occupato questo lotto. Se possiamo riscontrare l’applicazione concreta di questo principio ancora dai tempi antichi, è nel XIX secolo che troviamo le prime riflessioni teoriche, accompagnate alla pratica, sull’isolato come principio ordinatore per la costruzione della città moderna. L’ingegnere catalano Ildefonso Cerdà nel 1859, per esempio, parla di vías e intervías come elementi fondamentali costitutivi di ogni fenomeno urbano, a proposito del suo piano di ampliamento di Barcellona. “L’intervías è la porzione di spazio compresa e delimitata dalle vías, indipendentemente all’inizio dalla dimensione, dato che può trattarsi di isolati geografici o agrari di diversi chilometri di lunghezza, come di intervías urbani di alcune decine di metri di lato”33. Al suo progetto di 41 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza ensanche antepone una dettagliata analisi di forma e misure degli isolati di numerose città europee, nord e sudamericane, come per esempio Buenos Aires. Con questo studio Cerdà legittima il ruolo fondativo dell’isolato e della maglia stradale nella costruzione della città. Anche l’urbanista tedesco Joseph Stübben, nel suo manuale del 1890, dà una definizione simile di isolato: “I terreni edificabili racchiusi da strade o da linee di allineamento vengono chiamati isolati edilizi o semplicemente isolati. Essi si formano perché i terreni compresi tra le strade principali della zona di ampliamento vengono ulteriormente suddivisi con l’inserimento di strade secondarie, finché si raggiunge la grandezza di terreno giusta per la costruzione”34. Tale principio quindi è generalmente accettato nella cultura urbanistica a cavallo tra ottocento e novecento; successivamente, a partire dalla fine degli anni ’20 e dalle idee connesse alla nuova natura della “città funzionale”, l’isolato come processo di urbanizzazione verrà identificato con la forma della città compatta e, per proprietà transitiva, con tutti i difetti legati alla altissima densità e alle scarse condizioni igienico sanitarie riscontrate spesso nelle città europee dominate dalla speculazione fondiaria; a ciò si aggiungano le problematiche relative alla spazialità della strada corridoio, alle cortine edilizie continue, alle corti chiuse. Proprio per questo motivo il termine “isolato” è stato rifiutato dalla cultura ufficiale dei moderni a partire dagli anni ’30, come vedremo, a favore di un nuovo modo di costruire svincolato dalla strada e fondato sull’autonomia del blocco edilizio isolato, anche se possiamo affermare che in generale non c’è una consequenzialità diretta fra principio di urbanizzazione e forma del costruito. 42 I - Precisazioni intorno a una definizione Le Corbusier, evoluzione nella costruzione dell’isolato urbano, 1946. 43 K. Gruber, veduta ricostruttiva del centro di Danzig. II. Inquadramento storico: la città ereditata Se il concetto di isolato rimanda ad un’idea generale che corrisponde a molti modi diversi di costruire la città, in questa ricerca cerchiamo di restringere il campo dell’analisi: in primo luogo con la funzione residenziale, come abbiamo visto; in secondo luogo orientando l’interesse verso un particolare modo di occupare il lotto edificabile, cioè quello a corte. Secondo la definizione precedentemente data, l’isolato residenziale a corte possiede due aspetti peculiari: la disposizione dei volumi ai margini del lotto e la conseguente delimitazione di una spazialità protetta centrale e riconoscibile come volontà del progetto. Per questo motivo nella ricerca rientrano solo gli esempi che sono stati costruiti con un unico atto progettuale, dal quale dipende la forma generale e la presenza dello spazio interno della corte; per lo stesso motivo non consideriamo gli isolati che si sono venuti costruendo nel tempo, attraverso una suddivisione in lotti e una edificazione per parti accostate. In questi casi non riconosciamo la presenza di un interno collettivo, come nell’esempio degli isolati della città gotico mercantile, che presentano una continuità esterna, ma una frammentazione dello spazio all’interno. Non trattiamo gli isolati della città romana che, ad eccezione delle insulae di Ostia antica, sono formati per lo più da case a un piano disposte intorno a un piccolo cortile e presentano un interno quasi completamente occupato, se si escludono i vuoti dei patii. Per le stesse ragioni escono dall’ambito della ricerca tutti i prodotti della città industriale del XIX secolo, come gli isolati di case d’affitto della Berlino di fine ottocento, ma anche Colonia, Madrid, e in generale tutte le città che hanno subito a partire dalla fine del XVIII secolo grossi 45 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza processi di industrializzazione. Queste forme con cui si è andata costruendo la città industriale europea sono frutto il più delle volte dell’attività edilizia speculativa, e quindi non vi possiamo trovare una volontà architettonica. Nonostante ciò, proprio da qui prendiamo le mosse per rintracciare le origini delle motivazioni di una alta densità in ambito urbano, e in parallelo anche le prime comparse degli elementi della tipologia a corte come soluzione alternativa. 46 Dai disegni riportati in molti manuali di urbanistica di fine ottocento, possiamo vedere come il tipo di isolato urbano destinato a residenza operaia fosse costruito con altissime densità, e con fine evidentemente speculativo. A Berlino, per esempio, i lotti edificabili in cui era suddiviso l’isolato erano sfruttati in tutta la loro profondità, con la costruzione spesso di corpi edilizi interni con precarie condizioni igieniche per la mancanza di aria e di luce. I cortili interni infatti erano ridotti al minimo, fino a prendere le misure e le fattezze di veri e propri cavedi. Questo tipo di costruzione era consentito, in alcuni casi fissato, dai regolamenti edilizi comunali; tali normative cercavano di regolare la costruzione dei quartieri della nuova città industriale: tuttavia i vincoli imposti riguardano le misure minime dei singoli elementi e non la forma generale di occupazione dell’isolato, lasciando quindi grandi libertà agli speculatori edilizi di densificare tutto lo spazio disponibile. Anche dove viene applicato un vero piano di trasformazione il risultato non cambia molto: la città di Parigi con gli interventi di Haussmann, prefetto della città dal 1853 al 1869, come analizza puntualmente Philippe Panerai35, presenta un’edificazione compatta con isolati omogenei all’esterno, per il disegno delle facciate e delle aperture, ma la suddivisione degli isolati in lotti fa sì che venga messa a punto una tipologia intensiva che utilizza lo spazio interno solo come servizio Isolati a costruzione compatta, Colonia, Magdeburgo, Vienna, fine 1800. II - Inquadramento storico: la città ereditata Isolati a costruzione compatta, Mannheim, 1900 circa. per garantire il minimo di aria e luce. In sostanza, anche nella Parigi di Haussmann l’interno degli isolati non esiste come fatto compiuto. L’esito, anche se pianificato, non è molto diverso dagli isolati speculativi delle altre città europee. D’altra parte il tipo di edificazione intensiva è riconosciuto come inscindibile dalla formazione della città industriale, per tutti i meccanismi di accumulazione del capitale e di presenza della forza lavoro necessari allo sviluppo della metropoli. Il modello dell’edilizia chiusa è visto da alcuni come un male inevitabile, contrapposto al modello dell’edilizia aperta, cioè a edifici liberi sui quattro lati costruiti al centro del lotto, che ha una densità molto inferiore. Vi sono anche posizioni intermedie come quella di Stübben che, elencando pregi e difetti dei due modelli compresenti nella costruzione della città 47 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 48 moderna, aggiunge anche che “sarebbe dunque una pazzia adottare in una città l’edilizia aperta come regola generale”36, per gli alti costi connessi alla proprietà del terreno per esempio, ma anche per la necessità di offrire case in affitto ai quei larghi strati della popolazione che non hanno grandi capacità economiche ma allo stesso tempo costituiscono la forza lavoro base per l’esistenza stessa della città industriale. “I vantaggi della tipologia edilizia chiusa consistono nel fatto che per un edificio residenziale è necessaria un’area edificabile di minori dimensioni, che gli edifici sono più adatti ad assolvere funzioni commerciali e industriali, che infine essendo l’area accessibile solo dal davanti, la sicurezza è maggiore. [...] Gli svantaggi di quest’ultima tipologia edilizia sono di triplice natura: primo, allineamento una accanto all’altra di facciate di diverse altezze, di orditura e distribuzione degli elementi costruttivi diseguali; secondo, spiacevoli inconvenienti causati da inutili elementi di proprietà comune come ad esempio muri divisori tra un’abitazione e l’altra, canne fumarie, scarichi e gabinetti, entrate e servizi di altro genere; terzo, pericolo di togliersi a vicenda aria, luce e sole”37. Certamente alla fine dell’ottocento la situazione in alcune grandi città doveva avere raggiunto un punto critico, con risvolti inquietanti sulle condizioni di vita di buona parte della popolazione, se sempre Stübben nel 1890 arriva a scrivere nel suo manuale questa frase significativa: “Come la costruzione della prima G. E. Haussmann, isolato lungo il boulevard Pereire, Parigi, 1860 circa. II - Inquadramento storico: la città ereditata Edilizia residenziale speculativa, Madrid, 1900 circa. casa d’abitazione rappresenta per l’umanità la fine della preistoria e la costruzione della prima città l’inizio di una civiltà più sviluppata, così la presenza di più famiglie ammassate in un edificio di cui non sono proprietarie, se non proprio un passo indietro, costituisce certo un lato oscuro della nostra civiltà”38. Anche Rudolf Eberstadt nel 1910 mette in luce il grave problema delle abitazioni nelle grandi città, diventato ormai “questione”, e quindi patologia da curare con soluzioni nuove e urgenti. Professore ordinario di economia nazionale all’università di Berlino, egli coglie soprattutto gli aspetti legati alla speculazione fondiaria e all’andamento dei prezzi delle case in rapporto alle conseguenze sociali del problema; ma nel suo manuale troviamo anche riportate le piante delle mietkasernen berlinesi, per esempio. I corpi edilizi di 5 o 6 piani, che variano tra i 10 e i 12 metri di profondità corrispondenti a due stanze, sono collocati in successione dalla strada all’interno del lotto, e sono separati da cortili di circa 7 metri, cioè poco più della metà degli edifici stessi. Risulta subito evidente la completa mancanza di spazi aperti, terrazze e balconi, ma anche di luce e aria per gli appartamenti interni dei piani più bassi. La situazione di emergenza lo porta ad affermare che “le trasformazioni fondiarie nelle città lasciano pensare che la crescita urbana non abbia altro scopo che costituire l’oggetto di una attività redditizia di alcune poche persone. [...] In nessun altro periodo l’urbanistica tedesca ha avuto simili difficoltà”39. Eberstadt partecipa, insieme a Möhring e Petersen al concorso del 1910 per la grande Berlino; in questa occasione viene presentata una soluzione alternativa per la residenza in città che cerca di risolvere i problemi della eccessiva densità: un grande impianto a corte, sempre fondato sul principio dell’isolato a costruzione perimetrale, contiene grazie alle sue dimensioni dilatate un interno urbano organizzato con una serie di abitazioni basse, 49 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 50 giardini privati, strade locali e servizi collettivi. L’apporto fondamentale degli urbanisti e architetti del “razionalismo tedesco” a cavallo del secolo, come evidenzia Giorgio Grassi, è l’approccio analitico con cui guardano ai problemi della costruzione della città moderna partendo dai dati di fatto della città stessa, in continuità con una tradizione storica che non rifiuta l’esistente cercando modelli alternativi, ma tenta una soluzione razionale con i materiali disponibili, rifuggendo l’utopia. Per questo motivo nei manuali di Eberstadt, di Stübben, di Wolf, troviamo spesso descrizioni e classificazioni dell’esistente, molto utili per capire la realtà che essi dovevano affrontare, ma anche considerazioni che contengono in nuce questioni diventate poi prioritarie per gli esponenti del Movimento Moderno. Per esempio possiamo leggere, nel manuale di Stübben, le caratteristiche precise delle case d’affitto in area tedesca: “A seconda che sul fronte si affaccino due appartamenti per piano o un solo appartamento, la larghezza dell’edificio varia tra i 9 e i 40 metri, con una media di circa 18 metri. La profondità del lotto oscilla anch’essa tra valori così diversi. Poiché per una casa d’affitto il giardino riveste un’importanza secondaria e di solito per la presenza tutt’intorno di edifici alti, ha vita molto stentata, si può concludere che per le case d’affitto, ancora più che le case individuali, è auspicabile una profondità ridotta. [...] Così, nel lotto trovano posto di solito un edificio Mietskaserne, i cortili interni, Berlino, 1902. II - Inquadramento storico: la città ereditata Mietskaserne, pianta tipo e planimetria di un isolato, Berlino, 1902. anteriore, le ali laterali, una dipendenza sul retro e un cortile senza giardino. Se il lotto è molto profondo, il sistema dei corpi di fabbrica laterali, posteriori o trasversali, può essere ripetuto a piacere, malgrado ciò possa essere dannoso per gli abitanti. A Berlino per esempio ci sono casi in cui cinque cortili ed altrettanti edifici trasversali seguono uno dietro l’altro e più di 200 famiglie abitano lo stesso lotto”40. L’esigenza di un modo diverso di abitare è evidenziata dall’uso delle parole “aria, luce e sole”, diventate in seguito manifesto di Le Corbusier, e priorità di tutti gli architetti moderni. Accanto a descrizioni così manualistiche troviamo anche riflessioni più generali, come quelle di Eberstadt, che mettono a fuoco per esempio la condizione nuova di separazione tra luogo del lavoro e luogo di residenza che si presenta nella città moderna, e che richiede alcune modifiche nella struttura urbana. “L’urbanistica attuale dunque per la prima volta si trova a dover risolvere il problema di costruire dei quartieri esclusivamente di abitazione”41. E la messa a punto della tipologia per questi quartieri sarà il problema principale degli architetti per i successivi decenni. Un’altra considerazione importante, che aggiunge un ulteriore tassello per comprendere i motivi storici delle proposte residenziali che seguirono, è che la necessità di spazi per abitare, in rapporto ai costi della costruzione e degli affitti, porta alla riflessione intorno alle dimensioni ottimali degli appartamenti. “Il fabbisogno di alloggi piccoli e medio piccoli costituisce almeno l’85% del totale. Gli alloggi più cari costituiscono solo una minima parte del totale degli alloggi urbani. Nelle città essenzialmente industriali il rapporto forse è ancora più deciso. Oggi in fondo dovrebbe essere l’appartamento piccolo a dare la propria impronta all’urbanistica”42. Sono chiare le relazioni e quindi la continuità con le ricerche dei moderni sull’existenzminimum; successivamente 51 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza il senso di queste ricerche è stato frainteso, nel senso che le misure minime accettabili per gli appartamenti avevano il senso di aumentare lo spazio a disposizione degli abitanti e quindi di migliorarne le condizioni di vita, non di fissarlo al minimo per sempre. In ultima analisi, nella città ereditata dall’800 è la suddivisione dell’isolato in lotti edificabili, accompagnata da una mancanza di vincoli sulla profondità e altezza delle costruzioni, che porta allo sfruttamento intensivo del terreno, e ad un completo riempimento dell’interno. In area tedesca, abbiamo visto, la soluzione diffusa è quella della successione di corpi edilizi e di cortili nella profondità dello stesso lotto. Questo porta Stübben a consigliare una misura ridotta della profondità dei lotti per costruire case d’affitto. Ma la situazione di addensamento delle costruzioni e di carenza di alloggi per i ceti popolari non è molto diversa in tutte le capitali europee. Anche se sono numerosi i piani di sviluppo elaborati nell’800, dobbiamo ricordare che erano per lo più volti a dotare le città di quelle attrezzature collettive che caratterizzano la moderna civiltà industriale. Ai nuovi monumenti della città borghese (scuole, ospedali, carceri, municipi, musei, biblioteche, mercati, dogane, cimiteri), meticolosamente quantificati e posizionati, faceva riscontro spesso il laissez-faire delle zone destinate alla residenza, favorendo il libero sviluppo della rendita fondiaria. 52 II - Inquadramento storico: la città ereditata Eberstadt, Möhring, Petersen, concorso per la grande Berlino, 1910. 53 A. Armesto, ricostruzione volumetrica del piano Cerdà, Barcellona, 1979. III. I precedenti Se i primi esempi compiuti di tipi a corte per la residenza collettiva, per come l’abbiamo definita, fanno la loro comparsa a partire dal primo decennio del ‘900, ci sono dei casi precedenti che non possiamo trascurare perché contengono in nuce molte tematiche che risulteranno fondamentali per gli esempi successivi. Per questo motivo ci sembra lecito lanciare dei ponti all’indietro e ricercare l’origine di forme e idee progettuali, o anche solo qualche traccia. Proprio di traccia possiamo parlare a proposito dei progetti di ampliamenti urbani molto lontani nel tempo, come Berlino Friedrichstadt di Nehring del 1688, che presenta una maglia regolare di isolati rettangolari costruiti lungo il perimetro e liberi al centro. Più innovativo e sperimentale sembra invece il piano per la New Town di Edimburgo redatto da James Craig quasi un secolo dopo, nel 1767. Alla metà del settecento i problemi della moderna città industriale erano ancora lontani, e in questo F. Nehring, Friedrichstadt, Berlino, 1688. 55 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 56 caso non si tratta di case economiche, o di carattere collettivo. Tuttavia Craig introduce una singolare complessità nell’organizzazione interna dell’isolato a corte: non un grande spazio vuoto, ma una nuova ricchezza di volumi e funzioni, definendo così un paesaggio interno e nascosto, un microcosmo domestico e di servizio che permette il funzionamento autonomo del grande blocco rettangolare. Il piano realizzato è il progetto risultato vincitore di un concorso indetto dal comune di Edimburgo: esso si presenta come nuova parte della città, separata nettamente dal preesistente nucleo medioevale. Sicuramente Craig era a conoscenza del lavoro di John Wood a Bath e dei progetti urbani più importanti in Gran Bretagna prima di quella data, come la costruzione degli squares londinesi, ma anche delle piazze parigine a forma regolare come place Vendôme. La particolarità che presenta questo intervento però, almeno nella parte originale che si imposta su George Street, è che esso non sembra manipolare lo spazio aperto a definire piazze di varie forme collegate fra loro da strade; non procede cioè con J. Craig, New Town, Edimburgo, 1767. III - I precedenti J. Craig, New Town, Edimburgo, 1767. il disegno di circuses e squares, come nei progetti di Wood a Bath; l’elemento del progetto è invece l’isolato costruito, ripetuto e accostato a formare una strada principale, atto fondativo della New Town, in tensione fra due fuochi, Charlotte Square e St. Andrew’s Square. Dalla planimetria si può intuire come l’importanza della composizione sia sbilanciata a favore della strada principale e dei suoi elementi, gli isolati a corte, piuttosto che sulle estremità “monumentali”, le due piazze, che in realtà risultano marginali. Quindi l’attenzione compositiva è concentrata sulla tipologia degli isolati, uniti tra loro dalla regolarità del tessuto stradale. Negli ampliamenti successivi, dovuti a vari architetti tra i quali spiccano le figure di Robert Adam e William Henry Playfair, compariranno invece equilibrate composizioni basate su crescents e circuses. L’isolato, che misura circa 135 x 175 metri, non è considerato come un grande edificio unico, ma è costruito attraverso la suddivisione in lotti lasciati all’edilizia privata. Tuttavia, le precise indicazioni del progetto, la continuità dell’edificazione perimetrale, e i vincoli dei 57 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 58 regolamenti edilizi emanati a più riprese, danno una interessante uniformità agli isolati, tanto che nelle rappresentazioni del progetto ultimato assumono la generalità di una soluzione tipo. L’edificazione perimetrale, di 3 piani, è interrotta sui lati corti da una strada che penetra all’interno e taglia a metà l’isolato; su questa strada (street) dalle dimensioni ridotte si affacciano altre case di 2 piani d’altezza. Il dato interessante è che compare un’altra forma di circolazione interna, un anello di servizio (lane) per l’accesso al retro delle case e ai giardini, delimitato da basse costruzioni, come antiche autorimesse, destinate a stalle e depositi di carri e attrezzi. Quindi ciò che all’esterno appare come una grande corte, all’interno nasconde una organizzazione funzionale degli spazi, una inner city fatta di giardini, depositi, strade di servizio, affacci più silenziosi e riparati; spazi sempre serviti da strade pubbliche ma dal carattere più domestico, proprio per il loro insinuarsi in un interno riparato dalla costruzione continua perimetrale. Nel caso di Edimburgo, quindi, abbiamo un isolato dalle grandi dimensioni costruito a J. Craig, planimetria di un isolato, Edimburgo, 1767. III - I precedenti corte, che si presenta come elemento autonomo e ripetibile, e che di fatto costruisce il primo nucleo della New Town. La definizione dello spazio interno e circoscritto, atto fondativo della tipologia urbana a corte, non avviene per contrasto con lo spazio pubblico esterno, e cioè attraverso un grande spazio libero e rappresentativo dell’identità della corte, ma per analogia: viene riproposto, a scala ridotta, un microcosmo urbano, protetto e domestico, dove trovano posto i percorsi secondari, le funzioni di servizio e i flussi di persone e di cose necessari alla vita del grande isolato. Un isolato non senza interno, come saranno gli isolati densificati dalla speculazione edilizia nelle città industriali dell’ottocento; l’interno diventa invece una città in miniatura, cuore nascosto e pulsante che propone una spazialità a scala umana, rispetto alle grandi dimensioni delle strade pubbliche principali, che rispondono alla scala della città. La possibilità di attraversare la corte, passando da un luogo pubblico ad uno più privato, o comunque riservato, verrà sviluppata in altri progetti molti anni dopo, come l’isolato Permanyer a Barcellona, o il Winarskyhof a Vienna; la variazione nella declinazione dello spazio aperto, al fine di definire nuovi livelli di privacy, come per gradi successivi, è una qualità ottenuta solo dopo l’azione iniziale di demarcazione di un limite, di costruzione di un confine, un dentro e un fuori, attraverso l’edificazione perimetrale a corte. F. Mansart, place Vendôme, Parigi, 1685. Un secolo dopo, un tentativo di fondare l’isolato a partire dallo spazio libero centrale, principale affaccio delle costruzioni ai suoi lati, e quindi nuova tipologia per la residenza urbana, è il progetto per l’ensanche di Barcellona. Il piano di ampliamento della capitale catalana, redatto da Ildefonso Cerdà nel 1859, presenta alcune grosse novità rispetto ai coevi piani ottocenteschi per le altre grandi città europee: allontanandosi dalla retorica della grande 59 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 60 composizione propria dell’eclettismo, l’ingegnere catalano è alla ricerca di una struttura urbana moderna, equilibrata e senza gerarchie in grado di rispondere alle esigenze di vita di una grande città, in contrapposizione al tessuto denso e insalubre dell’antico centro medievale, attraverso la definizione precisa di un nuovo tessuto urbano e delle dimensioni corrette dei suoi elementi costitutivi, strada e isolato. La sua opera appare stranamente isolata dal contesto storico del tempo: infatti i legami che allaccia sono piuttosto da rintracciare nella tradizione antica della centuriazione romana, intesa come processo di colonizzazione di un nuovo territorio, ma anche nelle città americane di nuova fondazione, come testimoniano i suoi studi contenuti nella Teoría de la Construcción de las Ciudades, una sorta di memoria del progetto per Barcellona pubblicata nel 1867. L’urbanizzazione del nuovo ampliamento è disegnata secondo una maglia regolare e ortogonale di strade che si estende in modo omogeneo e che sembra non avere limiti, se non quelli naturali del nucleo antico I. Cerdà, piano di Reforma y Ensanche, Barcellona, 1859. III - I precedenti I. Cerdà, diversi raggruppamenti dei nuovi isolati dell’ensanche, Barcellona, 1863. a sud, del fiume Besós a est, della montagna di Montjuic a ovest e del borgo di Gracia a nord, senza apparenti gerarchie. All’interno di questa scacchiera vi sono punti eccezionali e irregolarità, come la forte cesura costituita dalla avinguda Diagonal. L’ensanche si presenta così come una città alternativa a quella storica, non un suo ampliamento, proprio per questo modo di accostarsi alle preesistenze senza continuità di disegno. Lo sforzo progettuale ruota principalmente attorno all’elemento base del nuovo tracciato, 61 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 62 l’isolato quadrato con gli angoli smussati: Cerdà giunge a definirne le dimensioni esatte dopo un lungo studio comparativo degli isolati di circa 17 grandi città di tutto il mondo, tra cui Boston, New York, Philadelphia, Washington, New Orleans, Pechino, Buenos Aires, Lima, Edimburgo e Berlino. Attraverso grafici e tabelle, con un’analisi matematico-geometrica, mette in relazione lunghezza dei lati, superficie coperta, densità, altezza e tipologia di occupazione del suolo. Le dimensioni ottimali scelte per Barcellona però non sono semplicemente la media dei risultati, ma una deliberata scelta basata anche su osservazioni relative alle condizioni climatiche della città, per la quale rileva la benefica influenza dei venti dominanti, alle previsioni di occupazione del suolo e di profondità degli edifici, alle esigenze funzionali del traffico veicolare e pedonale. Emergono a questo proposito tematiche igieniste, basate sulla quantità di aria e di luce assorbite dagli edifici, che ritorneranno spesso nelle argomentazioni degli architetti del primo novecento, a volte con la forza e la novità di un manifesto, ma che hanno evidentemente radici lontane. Laboriose analisi statistiche consentirono a Cerdà di concludere che la mortalità degli abitanti era in diretto rapporto con l’incidenza dei raggi solari sugli edifici; perciò riteneva che fosse necessario “cercare per gli isolati una giacitura che permetta a tutti i loro lati di sfruttare il più possibile i raggi del sole”. La soluzione adottata fa coincidere le diagonali del quadrato che costruisce l’isolato con i quattro punti cardinali; i volumi costruiti lungo i lati quindi hanno orientamento nord-est sud-ovest e nord-ovest sud-est. L’isolato si presenta quindi come il risultato matematico che garantisce le condizioni più favorevoli per una moderna città industriale; i lati del quadrato misurano 113 metri, le strade più strette 20 metri, di cui 10 per i veicoli e 5 sui due lati per i pedoni; gli angoli sono smussati Tipica casa d’affitto dell’ensanche, Barcellona. III - I precedenti Ricostruzione dei tipi urbani del piano Cerdà, Barcellona. a 45° per favorire il traffico e per ingrandire lo spazio degli incroci; l’altezza massima è fissata in 20 metri, così da generare una sezione stradale anch’essa quadrata; la profondità del corpo di fabbrica varia da 17 metri, in un primo tempo, fino a 28 metri, con le successive modifiche delle ordinanze. Quest’ultimo dato risulta molto importante perché incide sulla densità edilizia; in caso di profondità massima e di costruzione sui quattro lati dell’isolato, è garantito comunque un valore accettabile, con una occupazione del suolo che si mantiene inferiore al 50%. Il tipo di riferimento per gli edifici residenziali, come dimostrano i progetti realizzati dallo stesso Cerdà, deriva dalle prime case plurifamiliari costruite a Barcellona nel XVIII secolo, e si configura come una sorta di casa d’affitto che occupa un lotto di 24 metri di profondità e di 15-20 metri di facciata. Il piano terra è destinato ad attività commerciali; il primo piano, detto “principale”, è destinato all’abitazione del proprietario, a volte con accesso indipendente da una apposita scala; il resto dei piani, 3 o 4, è collegato da una scala centrale, contigua al cortile d’illuminazione, che distribuisce due appartamenti per piano. Nonostante l’edificazione dell’isolato venga parcellizzata attraverso la suddivisione in lotti destinati a questa tipologia, diventata 63 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 64 poi tipica dell’ensanche barcellonese, lo studio della forma di occupazione dell’intero isolato mantiene un’importanza centrale nel piano di Cerdà, come si evince dal valore attribuito allo spazio libero interno: “Affinché l’entitàisolato abbia tutte le condizioni necessarie per sussistere di per sé, in modo da darle una certa indipendenza ed autonomia, deve avere appunto una grande corte, o meglio giardino, che la attraversi nel mezzo [...], la quale ha da essere aperta alle sue estremità”43. Dunque la soluzione ottimale e più ricorrente nel piano è quella dei due corpi paralleli con giardino passante, che prefigura una sorta di città radiosa, con il verde che penetra all’interno di un’edificazione sostanzialmente aperta. Ma Cerdà prevede anche altre disposizioni, come quella ad angolo retto, o con edifici su tre lati; questi elementi base, come fossero tasselli di un domino, gli servono all’operazione più interessante, dal nostro punto di vista, che consiste nella costruzione di una serie di possibilità combinatorie alla scala urbana che sviluppano l’idea della disposizione a corte, prefigurando nuove e stimolanti soluzioni. All’interno di una omogeneità di tracciato, l’accostamento di un limitato numero di forme tipo porta a composizioni volumetriche complesse, impostate su più isolati, dove spesso troviamo la figura della corte, anche se dilatata e attraversata da strade, ma sempre delimitata dagli edifici residenziali. Per queste proposte possiamo parlare di un’apertura dell’isolato e di una nuova immagine di città, ma sempre all’interno di una concezione di città costruita con gli elementi desunti dalla storia, cioè, oltre all’isolato, la strada, la facciata continua, la corte interna. Sono evidenti la ricchezza delle possibilità progettuali e le nuove e variegate qualità che può assumere lo spazio aperto racchiuso dagli edifici nelle soluzioni prospettate nel piano. Una esemplificazione concreta, oltre alle variazioni I. Cerdà, diversi raggruppamenti dei nuovi isolati dell’ensanche, Barcellona, 1863. III - I precedenti I. Cerdà, proposta per due isolati a corte aperta contrapposti, Barcellona, 1863. rimaste sulla carta, può essere il progetto, elaborato dallo stesso Cerdà, di ridefinizione dei due isolati per la società del Fomento del Ensanche de Barcelona, del 1863; due U contrapposte che racchiudono spazi a giardino in parte privati, adiacenti alle case, in parte pubblici, in forma di passaggio trasversale agli isolati controllato da due casette unifamiliari poste sui due lati liberi dei quadrati. In questo caso l’accostamento di due isolati permette una gestione diversa dello spazio aperto che, cambiando di dimensione, può essere destinato ad attività più pubbliche. Una variazione all’interno di un singolo isolato, invece, è rappresentata dal cosiddetto passaggio Permanyer, costruito nel 1864 dall’architetto Jeroni Granell i Barrera. La costruzione a tutta altezza lungo il perimetro è interrotta da un passaggio che divide in due parti uguali l’isolato, sul quale affacciano 17 case “all’inglese” (secondo la terminologia dello stesso progetto), cioè case unifamiliari a schiera di ascendenza georgiana con ingresso da un giardino privato collegato 65 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 66 al passaggio. L’accesso a queste case avviene quindi attraverso un graduale attraversamento di spazi sempre più interni e sempre più privati, disvelando le potenzialità di uno schema all’apparenza rigido, e la qualità degli spazi che si possono ottenere. Tuttavia, com’è noto, la Barcellona immaginata da Cerdà è rimasta sulla carta; le potenzialità espresse dalle combinazioni nella disposizione dei diversi isolati non hanno avuto esito. In realtà anche la soluzione ottimale dell’edificazione sui due soli lati paralleli è stata presto scartata a causa delle pressioni della rendita fondiaria, costringendo ad una revisione del piano verso una maggiore densità; la soluzione tipo divenne quindi la costruzione chiusa sui quattro lati, con profondità e altezza dell’edificato aumentate a colpi di ordinanze comunali, fino ad una situazione limite di chiusura e inaccessibilità della corte interna. Il piano ha comunque avuto il merito di evitare che l’interno degli isolati venisse occupato con altre costruzioni residenziali a cortili successivi, come per esempio a Berlino; in molti casi è stato però occupato il piano terra, invaso dal prolungamento verso l’interno delle attività commerciali affacciate sulla strada, tanto che non si può parlare di interno unitario e J. Granell i Barrera, Passaje Permanyer, Barcellona, 1864. J. Serraclara, “Progetto per la costruzione di 211 case”, Barcellona, 1867. III - I precedenti Interno dell’isolato tipico dell’ensanche, situazione attuale, Barcellona, 2004. riconoscibile, ma solo di retri. Il tipo urbano a grande corte prefigurato da Cerdà, come abbiamo visto, non ha avuto occasioni di essere realizzato nella capitale catalana; possiamo avere un’idea dell’immagine di questi spazi dai disegni prospettici a volo d’uccello realizzati da Antonio Armesto, che ha ricostruito una Barcellona immaginaria ma fedele ai principi originali del piano. Paradossalmente gli esempi che più si avvicinano a questo tipo di città sono stati costruiti solo molto recentemente quando, a partire dagli anni ’80 e dall’evento scatenante delle Olimpiadi, la 67 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza città riscopre un nuovo periodo di espansione edilizia. Il prolungamento della scacchiera verso il mare, nella zona della Villa Olimpica, è interessato da progetti che reinterpretano l’isolato riscoprendo il valore dello spazio interno della corte, o dilatando la corte stessa su più isolati, come vedremo nel capitolo VI. Sono esempi interessanti i tre isolati residenziali progettati da Carlos Ferrater, attraversati da un percorso parzialmente pubblico che collega le tre corti trattate a giardino; i cinque isolati al Poble Nou con soluzione simile ma con un affaccio sul mare; la zona della Villa Olimpica, progettata da Martorell, Bohigas e Mackay, che sperimenta le potenzialità degli isolati accorpati. Un altro esempio che rimanda alle prefigurazioni di Cerdà, anche se costruito in un’altra città, può essere considerato il progetto della Casa de las Flores di Secondino Zuazo, realizzato a Madrid nel 1928. L’isolato rettangolare è occupato da due corpi doppi paralleli che lasciano nella parte centrale un giardino libero e passante. Tutti questi progetti, anche se costruiti in tempi e luoghi lontani dalla Barcellona di Cerdà, sono dimostrazioni importanti delle potenzialità contenute nelle combinazioni spaziali delle diverse disposizioni a corte nell’isolato. Essi dimostrano anche che il piano per Barcellona è un precedente fondamentale, anche se solo parzialmente realizzato, di un modo possibile di costruire la residenza urbana; la prefigurazione di grandi disposizioni a corte per un’immagine di città dai contenuti nuovi e moderni, ma che allo stesso tempo salva gli strumenti disciplinari di strada, isolato e corte, derivati dalla città storica. 68 Un altro tema fondamentale legato alla definizione del tipo residenziale a corte è il processo, che ha origini nel XIX secolo, di progressiva eliminazione dei cavedi di aerazione e illuminazione interni al corpo di fabbrica; la loro C. Ferrater, isolati residenziali al Poble Nou, Barcellona, 1992. S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928. III - I precedenti trasformazione, che spesso si attua attraverso una dilatazione dimensionale, porta alla formazione di vere e proprie corti interne, talvolta trattate a giardino, che assumono il ruolo di nuovo affaccio pregiato nell’isolato. Le conseguenze sulla forma e l’organizzazione degli spazi interni agli alloggi sono di una certa importanza: per esempio, la diminuzione della profondità dell’edificio, a sua volta legata alla comparsa di un nuovo affaccio interno, silenzioso e intimo sullo spazio della corte, cambia profondamente le regole della distribuzione e la gerarchia delle zone che compongono la casa. Anche se le problematiche relative ai cavedi sono diverse da città a città, a causa del loro stretto legame con i regolamenti edilizi e le consuetudini costruttive delle singole città europee, si riscontra una similitudine nel percorso evolutivo che porta alla loro graduale scomparsa, almeno nelle proposte più avanzate. Ciò non toglie che vi siano delle eccezioni: permanenze di una forma dovute alla persistenza della costruzione dei cavedi, come per esempio a Barcellona. La corrispondenza con una particolare situazione climatica e la tradizionale profondità del corpo di fabbrica negli isolati dell’ensanche hanno favorito la larga diffusione di uno spazio d’ingresso derivato dal cavedio, immagine ricorrente della casa d’affitto catalana: una sorta di atrio coperto, con la luminosità di un patio e con finiture da esterno, da cui parte la scala di distribuzione e su cui affacciano stanze di soggiorno e corridoi. La qualità spaziale di questa soluzione è rilevante; tuttavia la luce e la ventilazione naturale che assicura alle stanze delle case risultano scarse. Atrio d’ingresso di una casa d’affitto dell’ensanche, Barcellona, 2004. Un caso esemplificativo, invece, può essere l’evoluzione della corte nella Parigi posthaussmanniana, nel periodo che va dalla metà dell’800 alla prima guerra mondiale. Il piano urbanistico del prefetto della Senna, a causa della forma stellare delle maglie stradali, definiva 69 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 70 isolati dalle forme irregolari, spesso triangolari, il cui principio di costruzione si basava su una divisione in parcelle. Gli studi di Philippe Panerai rilevano come la suddivisione in lotti e la costruzione all’interno di queste parcelle obbedisse a principi molto chiari; ogni parcella aveva un solo lato sulla strada, ed era di forma regolare con un rapporto equilibrato fra i lati, non esistevano lotti sviluppati in profondità né disposti nel senso della facciata; la costruzione, allineata su strada, era in forma di L o di T, ed i corpi interni prendevano luce da corti formate dall’accostamento di più elementi. “A questo punto si potrebbe considerare l’isolato una costruzione unica, un blocco nel quale sono stati ricavati dei cortili. Ma in realtà, questo blocco risulta dall’associazione di elementi identici”44. Questa tecnica prevede dunque la messa in comune, fra due o più lotti, dei cavedi e dei cortili, che acquistano un valore negativo di retro; l’isolato di Haussmann si può leggere così come un tutto pieno, senza interno, come dimostra anche la grande attenzione posta esclusivamente sull’uniformità delle facciate sulla strada, ottenuta attraverso vincoli sull’altezza, sulle sporgenze di cornici e balconi, sulla dimensione delle finestre. “Lo spazio collettivo del cortile non coincide più con l’unità chiusa del lotto: esso ha un carattere ibrido, che non è quello del singolo lotto, ma nemmeno dipende dalla disposizione dell’insieme dell’isolato. Soprattutto, questo spazio collettivo poco definito ha perduto la sua capacità di dar vita a forme di identificazione, perché è venuto meno il suo valore di spazio nascosto alla vista e riservato; al piano terreno, un muro, dall’aspetto spesso sgradevole, continua a separare gli immobili; anche se, al di sopra di questo muro, il cortile può ancora essere letto come unitario, esso è percepito da persone fra cui non c’è però rapporto di vicinato perché entrano nell’edificio da parti diverse”45. Oltre ai cortili in comune, negli edifici P. C. Fouquiau, piano di lottizzazione a Clignancourt, Parigi, 1880. III - I precedenti A. Fasquelle, edificio in avenue du Bois-de-Boulogne, Parigi, 1895. L. Sorel, edificio in rue Le Tasse, Parigi, 1906. residenziali della Parigi di metà ottocento continuava a comparire anche il cavedio di aerazione, per affacciare le stanze di servizio come toilette e cucine. È nel periodo successivo ad Haussmann che troviamo i primi tentativi di modificare la natura e la funzione di questo spazio buio e malsano, tentativi sollecitati anche dalle critiche mosse dai medici igienisti che iniziavano a trattare i problemi della salute pubblica. Questi anni di transizione, come evidenzia Monique Eleb, tra Haussmann e il Movimento Moderno, non conoscono cambiamenti rivoluzionari nei modi e nelle forme dell’abitare; tuttavia “tutti gli elementi che struttureranno le idee moderne esistono, ma in disordine; sono stati testati e sperimentati, spesso senza pubblicità”46. L’introduzione dei sistemi tecnici di distribuzione dell’acqua, del gas, dell’elettricità e le numerose invenzioni come l’ascensore o il telefono, si osservano più frequentemente nelle case di lusso; così come, sempre nelle case della borghesia, si osservano più facilmente 71 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 72 le innovazioni sulla pianta, che vedono una razionalizzazione della distribuzione basata su un raggruppamento degli ambienti della vita domestica. Tende a configurarsi un sistema di tripartizione funzionale: la zona di accoglienza (salon), la zona di servizio (cuisine e toilette) e le camere private (chambre à coucher) sono disimpegnate da un sistema di circolazione che garantisce l’indipendenza funzionale. Ad ogni blocco corrisponde un affaccio privilegiato: il salone sulla facciata principale, le camere sulla piccola corte interna (cour), mentre i servizi sui cavedi (courette). Nelle case per le classi medie e operaie, per evidenti economie sugli spazi, la tripartizione diventa bipartizione, cioè le tre funzioni tendono ad accorparsi in due blocchi; la funzione di accoglienza confluisce in parte nelle camere e in parte nella zona cucina, spesso incorporata nella salle à manger, con un corridoio minimo di distribuzione. Garnier e Amman, nel 1892, descrivono così la distribuzione dell’appartamento in un edificio collettivo destinato alla classe media: “En général, on cherche à établir dans un appartement deux espèces de grands compartiments distincts. Le premier est consacré aux pièces de réception et aux chambres à coucher; le second est occupé par la salle à manger, la cuisine et les pièces accessoires. Cette distribution donne de la netteté au plan et, dans les détalis de la vie simplifie les mouvements”47. A questa bipartizione corrispondono due tipi di affaccio, che si vanno configurando come l’esterno su strada e l’interno sulla corte. Tuttavia, prima di questa soluzione ideale, vi sono molti passi intermedi: nell’edificio per abitazioni operaie di rue Ernest-Lefèvre, progettato da Labussière nel 1905, compare una grande cour su cui affacciano le camere ma anche delle petite cour per scale e servizi (pièces humides), solo sui tre lati dell’isolato senza sbocco su strada. Dalla disposizione interna dei servizi nel lato verso strada è chiaro che la H. Guimard, Castel Béranger, rue Lafontaine, Parigi, 1898. G. Umbdenstock e E. Picard, edificio in avenue HenriMartin, Parigi, 1912. III - I precedenti A. Labussière, blocco di abitazioni in rue ErnestLefèvre, Parigi, 1905. gerarchia degli spazi aperti vede ancora come privilegiato lo spazio pubblico della strada. Ma in questo esempio la corte inizia ad avere un ruolo importante, collettivo e rappresentativo, come dimostra il trattamento curato dei parterre verdi, l’orologio centrale, ma anche la regola distributiva d’insieme che trasforma la corte in passaggio obbligato per l’accesso alle scale di distribuzione. Anche nelle abitazioni borghesi la corte, considerata un lato secondario e scadente, un mauvais côté, subisce un processo di abbellimento, un’attenzione progettuale che tende a trasformarla in giardino, con 73 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 74 l’introduzione quindi della qualità dell’elemento verde come accessorio di lusso della casa in città. Permangono invece ancora i piccoli cavedi di aerazione dei servizi. Le dimensioni minime di cour e courette vengono fissate, nel periodo preso in considerazione, da due decreti successivi adottati dalla municipalità di Parigi nel 1884 e nel 1902. Esse sono definite a partire dal tipo di stanza alla quale danno luce e aria. “Il decreto del 1884 fissa, in funzione dell’altezza dell’edificio, una superficie e una larghezza media minime per la corte sulla quale prendono luce e aria le stanze destinate all’abitazione (per un immobile di meno di 18 m, 30 m2; se è più alto, 40 m2 quando le ali hanno meno di 18 m di altezza, e 60 m2 se sono più alte) [...] Per le cucine, una categoria intermedia di corti di superficie minima di 15 m2 è definita dal secondo decreto (9 m2 nel 1884). Per i cavedi sui quali si aprono gabinetti, vestiboli e corridoi, che non possono essere destinati all’abitazione la superficie di 4 m2 prima richiesta passa a 8 m2 nel A. Labussière, blocco di abitazioni dell’avenue Daumesnil, Parigi, 1908. L. Chesnay, cavedio della casa d’affitto di rue de Messine, Parigi, 1906. III - I precedenti A. Perret, edificio di rue Franklin, Parigi, 1902. 1902”48. Anche se le ordinanze ne hanno aumentato le superfici minime, le courettes rimangono comunque invariate nella loro natura funzionale per quanto riguarda le case d’affitto; sono sostanzialmente un retro, uno spazio da nascondere, e nemmeno i tentativi di aprirne un lato verso l’interno, introducendo i principi della corte aperta, contribuiscono a migliorarne la qualità. Il risultato è che la corte interna è penalizzata da una serie di rientranze con gli affacci di toilette, cucine e scale. Sostanziali innovazioni si hanno solo nei progetti di architetti d’avanguardia e nelle case popolari, come quelle costruite dalle varie fondazioni che aderiscono ai programmi delle H.B.M. (Habitations à bon marché). Nel primo caso si tratta del tentativo di aprire la corte verso l’esterno, ripensando quindi al ruolo della strada, come nel progetto della casa di rue Franklin di Auguste Perret, del 1902. In questo edificio la rientranza del volume, che interessa solo i piani intermedi dell’edificio, serve a far penetrare il sole fino al cuore della casa, ad aumentare la lunghezza della facciata, ma sempre per dare luce ai locali di soggiorno e alle camere; all’interno i servizi sono aerati da cavedi anche in questo caso. La particolare disposizione della pianta permette anche uno sfruttamento intensivo del lotto: “la superficie di questo arretramento misura 12 m2, quando il regolamento municipale esige che una corte interna misuri almeno 56 m2 di superficie”49. Questa soluzione quindi testimonia una attitudine ad innovare il ruolo della corte, a modificare la sua natura e a farla entrare in rapporto con la strada, dandole aria e luce; le potenzialità contenute in embrione in rue Franklin hanno forse influenzato il progetto di boulevards à redans elaborato da Eugène Hénard nel 1903. In questo sistema lineare, composto da un viale alberato delimitato da edifici residenziali continui, compaiono delle grandi corti aperte sul 75 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 76 lato strada che fungono da spazio intermedio tra l’edificio e la strada stessa: una innovazione tipologica importante, rimasta sulla carta, attuata con la definitiva trasformazione della natura della corte interna in corte esterna, anche se persistono ancora piccole corti chiuse al centro degli edifici per l’affaccio di scale e corridoi. Il boulevard è un progetto che si presta a molte letture; per esempio, possiamo vedere le due corti aperte che si fronteggiano sui due lati del viale come un’unica corte chiusa e attraversata da un passaggio pubblico, oppure considerare tutto il boulevard come un unico interno semi pubblico, frastagliato con arretramenti più privati, e opposto al vero esterno della città al di fuori, che gli edifici delimitano chiaramente con una facciata continua. La portata di questa innovazione tipologica è evidente, tanto che non si può escludere che anche Le Corbusier, nei suoi progetti utopici sulla città contemporanea, abbia attinto da questo e da altri progetti di Hénard, pubblicati tra il 1903 e il 1909 con il titolo Etudes sur les transformations de Paris. Il principio della corte aperta su strada inizia ad essere discusso anche nei congressi internazionali, insieme all’abolizione dei cavedi, soprattutto per le abitazioni economiche; la corte è percepita come un polmone che fa respirare l’edificio, uno spazio rappresentativo, o dove trovano posto i giochi dei bambini; spesso è trattata come un prolungamento della strada, sia nella forma che nei materiali come pavimentazioni e arredi. Altre volte, come abbiamo visto, la corte assume la forma di un giardino, diventando un affaccio pregiato per la salubrità dell’aria, e la tranquillità e il silenzio. Talvolta lo spazio aperto del giardino è suddiviso in diverse aree funzionali legate alla vita all’aperto; trovano posto così i prolungamenti verso l’esterno delle lavanderie, o addirittura gli orti, dati in concessione agli abitanti, come nell’edificio della fondazione Singer-Polignac in rue de la Colonie, del 1911. La corte è E. Hénard, progetto di boulevard à redans, 1903. A. Labussière, blocco di abitazioni in rue de l’AmiralRoussin, Parigi, 1907. III - I precedenti M. Payret-Dortail, blocco di abitazioni dell’avenue Emile-Zola, Parigi, 1913. Albenque e Gonnot, progetto di un blocco di abitazioni in rue Henri-Becque, Parigi ,1913. G. Vaudoyer, blocco di abitazioni della Fondazione Singer-Polignac in rue de la Colonie, Parigi, 1911. diventata così un elemento fondamentale per la vita dell’edificio, uno spazio gioioso e pieno di attività, un prolungamento all’aperto degli alloggi, ma anche una passeggiata d’ingresso per raggiungere le scale. Questo processo di formazione delle corti interne a giardino è legato anche alle dimensioni del lotto edificabile, che nella Parigi a cavallo tra XIX e XX secolo si va ingrandendo fino ad occupare l’intero isolato. Mentre per le case della borghesia, spesso legate alla piccola parcella edificabile, le innovazioni sono meno evidenti, per le abitazioni popolari, le habitations à bon marché, e per alcune case d’affitto si registrano importanti modificazioni tipologiche, che portano alla comparsa della corte interna come elemento caratterizzante e irrinunciabile del progetto. Nella casa d’affitto di rue CharlesBaudelaire progettata da J. Charlet e F. Perrin nel 1908, per esempio, l’unione di tre lotti contigui ha permesso di lavorare con grandi 77 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 78 dimensioni; è comparsa una cour commune di 260 m2 al centro, trattata a giardino con percorsi che portano alle scale di distribuzione; sono scomparsi definitivamente i cavedi, e la pianta sembra rispondere a precise regole compositive. Il corpo di fabbrica è doppio con corridoio centrale dove c’è un doppio affaccio, mentre è singolo sulle ali e sul retro; sulla corte si aprono sia camere e sale da pranzo, sia servizi e cucine, anche se in posizione più defilata. Nella casa d’affitto dell’avenue de Suffren dell’architetto Bouvard, del 1912, abbiamo un’innovazione tipologica sostanziale che dipende direttamente dalla dimensione del lotto, che coincide con l’intero isolato; l’edificio a corte è libero sui quattro fronti esterni e la distribuzione è razionale e omogenea nelle varie parti, con un corridoio centrale che distribuisce camere e saloni, affacciati sull’esterno, e cucine, sale da pranzo e servizi rivolti all’interno della corte chiusa, denominata cour jardin. Questo progetto contiene molti temi compositivi che caratterizzano la tipologia urbana a corte, come la profondità costante del corpo di fabbrica, la chiusura attorno allo spazio aperto a giardino, la presenza eccezionale degli angoli esterni, e quindi delle stanze d’angolo, elementi che si caricano di valenze rappresentative e simboliche. In questo caso l’angolo è stato smussato con un profilo tondo, e compaiono le finestre proprio sulla parete curva. In altri casi, come vedremo nel prossimo capitolo, nell’angolo vengono concentrati gli sforzi progettuali per risolvere il problema dell’incontro di due regolarità, o se si vuole di una regola che si piega all’eccezione: dalla soluzione banale dei due fianchi ciechi all’introduzione di stanze d’angolo con finestre particolari; al piano terra, dalla presenza di locali commerciali al posizionamento dell’ingresso alla corte. L’evoluzione dell’abitazione a Parigi nel periodo considerato è quindi interessante per l’evidente J. Charlet e F. Perrin, casa d’affitto in rue CharlesBaudelaire, Parigi, 1908. III - I precedenti lavoro sugli elementi che compongono la casa moderna, come dimostrano gli esempi costruiti che abbiamo analizzato. Inoltre numerosi architetti, collaborando con filantropi e riformatori sociali, creano nuovi dispositivi atti a trasformare la società o, per lo meno, le condizioni di vita delle classi svantaggiate. “La messa in pratica da parte delle fondazioni filantropiche di una politica di costruzione di habitations à bon marché apre un nuovo campo di riflessione ai progettisti. In luogo di semplici riduzioni dei programmi per le abitazioni borghesi, la casa popolare diventa l’oggetto di una ricerca specifica”50. E proprio legata a questo nuovo orizzonte di ricerca progettuale troviamo la trasformazione dello spazio interno, da piccola courette di servizio a grande corte giardino, che si definisce come elemento portante di questa nuova tipologia urbana. Un nuovo interno protetto e collettivo, che arricchisce lo spazio aperto di nuove qualità; un nuovo affaccio, silenzioso e intimo, che talvolta inverte le regole della distribuzione dei locali della casa. R. Bouvard, blocco di abitazioni in avenue Suffren, Parigi, 1912. 79 G. F. La Croix, complesso di abitazioni per la Rochdale, Amsterdam, 1917. IV. La definizione di un tipo urbano Le esperienze che abbiamo analizzato nel capitolo precedente lasciano intravedere come, sia a Barcellona che a Parigi, la risposta al problema dello sviluppo urbano e della costruzione di residenza di massa converga verso un tipo di costruzione perimetrale dell’isolato, che riconosce un nuovo spazio aperto interno e collettivo come valore aggiunto per le abitazioni in città. A fronte di un dato di partenza molto diverso, retaggio della storia, dalle tradizioni costruttive, dal contesto specifico delle due città, la soluzione di disporre a corte il corpo di fabbrica, e di considerare l’intero isolato come unità minima di progetto, ha origini diverse: a Barcellona l’isolato quadrato è proposto come elemento base del piano di espansione, anche se nella realizzazione, lasciata all’iniziativa privata attraverso la frammentazione in piccoli lotti, l’unità dello spazio interno viene meno; a Parigi l’unione dei piccoli lotti edificabili in cui sono suddivisi gli isolati del piano Haussmann permette la costruzione di complessi residenziali di dimensioni sempre maggiori, fino a raggiungere la misura dell’intero isolato, che si dispongono attorno ad un nuovo tipo di spazio aperto, la corte giardino. In un caso è un processo imposto che ha trovato difficoltà di realizzazione, nell’altro un processo nato dall’interno, causato dalla progressiva trasformazione degli elementi della casa urbana, delle normative e delle condizioni di urbanizzazione, fino a raggiungere una conformazione a corte. Se nel corso dell’ottocento si sono create le premesse generali, è solo dagli anni ’10 del novecento che la corte urbana collettiva viene proposta in modo sistematico come una possibile soluzione razionale alla necessità di espansione di molte città europee; la grande quantità di 81 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 82 realizzazioni, e quindi le sperimentazioni e le variazioni che possiamo analizzare nei vari casi, ci conducono a parlare di formazione di un tipo urbano riconoscibile. Si rende cioè evidente un grado di generalità in questo tipo di forma costruita: una modalità che utilizza soluzioni progettuali ricorrenti per rispondere a problemi simili e in contesti simili, e di cui possiamo distinguere gli elementi strutturanti. In parallelo alla definizione della soluzione urbana ottimale, nei primi trent’anni del novecento assistiamo anche ad una messa a punto razionale della dimensione e della distribuzione degli ambienti della casa, codificazione che si ripeterà in modo abbastanza stabile per tutto il secolo: “stabilire la definitiva separazione fra residenza e lavoro, rigettare fuori dall’alloggio familiare i membri estranei al nucleo ristretto, H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, 1900-1917. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Amsterdam sud, trattamento dello spazio centrale degli isolati. regolamentare le relazioni di vicinato e il sistema delle circolazioni interne ed esterne all’edificio, fornire servizi collettivi al di fuori della casa in luoghi istituzionalizzati, assegnare ad ogni persona luoghi appropriati del territorio domestico, proporzionare la superficie dell’abitazione alla grandezza della famiglia, infine, dare una configurazione funzionale allo spazio domestico, stabilizzando le specializzazioni, facendo funzionare le relazioni domestiche in uno spazio reso utile”51. Ad un profondo cambiamento nell’organizzazione dello spazio interno della casa, non corrisponde un altrettanto drastico sovvertimento dello spazio urbano che, definito attraverso il blocco perimetrale, presenta gli elementi caratteristici della città storica, senza sostanziali innovazioni: la strada, delimitata dalla continuità delle facciate, come un vuoto allungato che si apre nelle piazze senza soluzione di continuità, che accoglie tutte le funzioni pubbliche e di circolazione; la facciata che separa nettamente un esterno da un interno. Il tipo urbano a corte quindi si profila come la soluzione in grado di risolvere i problemi posti dalla nuova città in espansione, di rispondere alle domande di razionalità e igiene, aria e luce per gli alloggi, alla necessità di verde, e allo stesso tempo di garantire una continuità di spazi con la città storica, attraverso il sistema della maglia stradale e dell’isolato, e di conseguenza della strada corridoio e di tutto il suo consolidato 83 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza funzionamento. Tale soluzione, che vede in questo periodo le prime realizzazioni importanti, permette di riconquistare lo spazio interno dell’isolato come grande corte comune, e spesso di introdurre l’elemento naturale del verde nella città di pietra; ma consente anche di controllare per intero la costruzione del corpo di fabbrica perimetrale, e quindi di progettare con criteri razionali le piante, garantendo una profondità ridotta e un doppio affaccio agli alloggi. Di seguito si propone un’analisi delle esperienze più significative, concentrate per la maggior parte nelle città del nord Europa: Amsterdam, Rotterdam, Milano, Vienna, Amburgo, Madrid e Berlino. 84 L’Olanda in particolare è ad un livello avanzato nella risposta ai problemi di carenza degli alloggi, di sovraffollamento delle città e delle scarse condizioni igieniche delle abitazioni operaie; dotandosi di una legge nazionale sulla casa, la Woningwet, entrata in vigore nel 1902, ha dato avvio a processi diffusi che hanno avuto influenze, anche se indirette, sull’architettura, e in generale hanno sensibilizzato l’amministrazione pubblica e la cultura imprenditoriale sui temi della casa economica. La legge, infatti, obbligava i comuni a dotarsi di una normativa sulle abitazioni che determinasse standard qualitativi minimi, come la dimensione di stanze, scale, finestre e la tipologia di servizi e impianti; a svolgere un censimento della popolazione e degli alloggi, per determinare i reali bisogni di case; a dotarsi di una commissione d’igiene che vigilasse sulle condizioni delle abitazioni. La grande importanza storica della Woningwet è legata anche all’introduzione dello strumento di esproprio delle aree edificabili e dell’obbligo per un gran numero di comuni di redigere piani regolatori; in questo modo le amministrazioni diventavano parte integrante IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 H. P. Berlage, elaborazione di piante dal modello di A. Keppler, 1911. 85 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 86 nell’attività urbanistica, e i programmi di edificazione non incontravano ostacoli burocratici. Il tutto era favorito dall’aiuto economico dello stato, che garantiva contributi per la costruzione e la gestione delle case; l’ammissione a questi fondi era possibile solo per quelle società attive esclusivamente nell’interesse del miglioramento dell’edilizia popolare, e quindi riconosciute ufficialmente dal governo. “Anche se non si tratta di strumenti concettualmente nuovi, né rivoluzionari, è la prima volta che vengono contemplati in una legge di estensione nazionale e sono organicamente legati a un regime di finanziamenti pubblici e di controlli. [...] Lo stato, con la Woningwet, dava un riconoscimento ufficiale e sociale ad associazioni, cooperative e società aventi come scopo la realizzazione di edilizia popolare”52. Questo è il motivo del diretto coinvolgimento dei migliori architetti olandesi nella progettazione dei nuovi quartieri: le imprese, per mantenere il loro statuto e l’accesso ai fondi, dovevano spostare il loro obiettivo dalla speculazione alla innovazione qualitativa nel rispetto delle nuove normative, e quindi non potevano che far lavorare gli architetti in questo senso. Inoltre la casa per la società non era un bene di consumo da immettere sul mercato: rimaneva di proprietà della società per i primi cinquant’anni e poi passava alla gestione comunale. “Le condizioni della progettazione sono quindi tali da rappresentare un campo di sperimentazione per tutti gli architetti che si impegnano nel settore dell’edilizia residenziale”53. Il problema del progetto della casa economica diventa un tema specifico di ricerca progettuale, con una sua autonomia e una sua nuova dignità. Alla ricerca sulla tipologia dell’alloggio si affianca il tema della composizione urbana, dato il nuovo significato che acquista la dimensione dell’intervento residenziale; “i grandi complessi unitari, che gli imprenditori privati non avevano IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 mai realizzato, vengono invece adottati dalle società edilizie e diventano le nuove quantità di crescita della città e di identificazione della sua forma”54. In questo quadro complesso e variegato, soffermiamo la nostra attenzione sulle esperienze progettuali di Van der Pek, Berlage e de Bazel ad Amsterdam, e di Oud e Brinkman a Rotterdam. J. E. Van der Pek, complesso residenziale in Van Beuningenstraat, Amsterdam, 1909. Gli anni che vanno dal 1909 al 1918, anno di approvazione del piano di espansione di Amsterdam sud, sono caratterizzati da numerose realizzazioni, nei quartieri ad est e ad ovest, dove vengono sperimentate le prime innovazioni sulle piante degli alloggi, secondo la Woningwet, e i primi impianti urbani unitari che confermano il blocco chiuso perimetrale come soluzione condivisa. L’architetto Van der Pek realizza per la società Rochdale l’intervento pioniere di case sovvenzionate ad Amsterdam, in Van Beuningenstraat: completato nel 1909, anche se non occupa un intero isolato ma solo due lati, mostra i caratteri distintivi di questo tipo di edilizia, che resteranno costanti anche nelle opere 87 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 88 di altri architetti. Il blocco di 4 piani si presenta compatto e solido, l’uniformità è garantita dalla ripetizione di uno stesso tipo di apertura; il muro di mattoni a vista ha una decorazione scarna ed essenziale, e anzi presenta degli elementi strutturali “grezzi” come le chiavi delle catene di rinforzo dei solai. La facciata è scandita da volumi leggermente sporgenti che segnalano gli ingressi al piano terra, raggruppati con quattro porte molto vicine; data l’impossibilità di dare l’accesso diretto su strada a tutti gli appartamenti, come nella tradizione della casa olandese, Van der Pek ha cercato una soluzione di compromesso: la casa al piano terra ha la porta su strada, le case agli altri piani sono servite da una scala che distribuisce un solo appartamento per piano. Quindi lo spazio interno comune viene attentamente ridotto al minimo, o eliminato quando è possibile. Gli elementi sporgenti scandiscono verticalmente la facciata, e rimandano alle proporzioni delle tradizionali case a schiera; il ritmo serrato è evidenziato anche dall’alternanza di tetto piano e tetto a falda, un abile compromesso tra casa singola e casa collettiva. All’interno la pianta è scandita dai muri portanti trasversali, che misurano la dimensione degli alloggi; la stanza più importante è il soggiorno, affacciato sulla strada, che distribuisce la cucina con finestra verso l’interno. La disposizione degli ambienti è razionale e con buoni standard igienici; per esempio le due camere sono indipendenti e disimpegnate dal locale di ingresso. Da una tavola riassuntiva delle piante tipo di vari interventi realizzati ad Amsterdam, si può capire l’interesse progettuale che ruota attorno alla tipologia della casa economica; su disegni di questo tipo ci sarà uno scambio e un confronto anche con altri progettisti, attorno alle questioni di normalizzazione della casa e dei suoi elementi. Si può notare che Van der Pek sperimenta anche soluzioni con maggiore profondità del corpo di fabbrica; nel progetto realizzato in Atjehstraat IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 J. E. Van der Pek, piante tipo di vari interventi realizzati ad Amsterdam tra il 1909 e il 1913. 89 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 90 nel 1912 la scala trova la sua collocazione nel centro dell’edificio, evitando così sulla facciata le finestre non allineate corrispondenti al mezzo piano. Con una sola rampa di 15 alzate, impensabile oggi con i regolamenti edilizi di altri paesi come l’Italia, distribuisce due appartamenti per piano, con doppio affaccio e suddivisione tra soggiorno, affacciato su strada, cucina e camera sull’interno; qui c’è la presenza interessante di una loggia coperta. Questa loggia è la testimonianza di una nuova qualità nell’affaccio interno: infatti, l’elemento di maggiore novità J. E. Van der Pek, complesso residenziale in Atjehstraat, Amsterdam, 1912. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 H. P. Berlage, complesso residenziale Indischebuurt, Amsterdam, 1912. di questo intervento è proprio la disposizione degli edifici nel lotto, due blocchi lineari che racchiudono un giardino comune. La corte giardino assume così un carattere collettivo, ma allo stesso tempo intimo e protetto; l’accesso, nel lato corto aperto sulla strada, è limitato da un cancello, e controllato da due padiglioni, con una soluzione che richiama il progetto non realizzato di due isolati contrapposti di Cerdà a Barcellona, illustrato nel capitolo precedente. La tendenza ad occupare l’intero isolato con una costruzione perimetrale è confermata anche dai progetti di Berlage per la società De Arbeiderswoning. Nel 1911 viene invitato, insieme a de Bazel, ad elaborare alcuni progetti partendo da una planimetria tipo, copia esatta del modello che Roberts progetta per l’esposizione universale di Londra nel 1851. Il modello propone una scala centrale che serve due appartamenti speculari per piano; sul lato interno guardano le camere da letto, sulla strada le stanze di soggiorno e la scala. La cucina è ridotta ad un piccolo locale di servizio con il lavello, ed è raggruppata con il bagno di fianco alle scale. Questo prototipo viene ripetuto, con poche variazioni, in molti progetti tra cui i tre blocchi ad Amsterdam est, Indischebuurt, del 1912. Berlage in questo intervento suddivide il grande lotto edificabile con tre blocchi a corte rettangolari di 4 piani, di dimensioni 28 x 45 metri. Anche qui l’uniformità è garantita dall’utilizzo essenziale del mattone, ma compaiono finestre di diverse dimensioni: una standard per camere e stanze di soggiorno, una molto ridotta per il locale della cucina, che inquadra sui due lati il corpo scale, in aggetto e con aperture ancora differenti. La disposizione a corte è ottenuta dall’accostamento del modulo con scala centrale descritto, più adatto ad una tipologia in linea, con una variazione per poter risolvere l’angolo; la giustapposizione di due moduli ruotati di 90 gradi genera uno svuotamento dello spigolo esterno, colmato parzialmente da una stanza da 91 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 92 letto supplementare. In questo progetto viene confermato il rapporto diretto degli ingressi con la strada: non compare nessun elemento di mediazione, e il percorso d’accesso alla casa tocca solo in minima parte gli spazi comuni. La corte destinata a giardino, per esempio, non è attraversabile; anche se è comune, risulta accessibile solo dagli appartamenti del piano terra. Berlage utilizza per la prima volta in questo H. P. Berlage, complesso residenziale Indischebuurt, Amsterdam, 1912. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 progetto il blocco chiuso perimetrale (bouwblok) in modo sistematico, ed ha quindi l’opportunità di studiarne anche le implicazioni urbanistiche: con l’accostamento dei blocchi è possibile agire sulla gerarchia degli spazi aperti, e identificare diversi gradi tra pubblico e privato. Tra la corte, intima e inaccessibile, e la strada carrabile, definisce strade trasversali dal carattere pedonale e domestico: passaggi che sono veri prolungamenti all’esterno delle case, e che hanno una dimensione simile alle corti interne. In questo e in altri progetti, come quelli elaborati per la Algemeene Woningbouwvereeniging, Berlage si distanzia dalla tradizione olandese della costruzione a schiera; il modello adottato di organizzazione orizzontale degli alloggi, sovrapposti su quattro piani, non permette più il riconoscimento in facciata della singola abitazione, e introduce una nuova scala compositiva. “Attraverso la concatenazione speculare, Berlage fa scomparire, nella costruzione del prospetto dell’isolato, la singola casa olandese quale momento espressivo. La moltiplicazione delle dimensioni attraverso la simmetria porta l’attenzione direttamente all’intero isolato, mentre il nucleo minimo di costruzione, il singolo tipo d’alloggio, è privo di espressione propria”55. Anche se il progetto di Indischebuurt consolida l’idea del bouwblok come elemento base per la costruzione della città, esso rappresenta un’eccezione per il disegno unitario della corte e del blocco nella sua totalità: l’interesse di Berlage è concentrato più sull’unità dello spazio pubblico della strada e della piazza, che su quella del blocco a corte. Nello scritto del 1918 sulla normalizzazione nell’edilizia residenziale56 Berlage, partendo da argomentazioni in difesa di Van der Waerden e della sua proposta di utilizzare un unico tipo edilizio per la residenza economica, arriva a discutere il problema di base, cioè di come ci si fosse sempre serviti di poche e 93 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 94 semplici forme per costruire città e architetture; la standardizzazione è vista come attività umana per eccellenza, nel tentativo di dare regolarità e ordine al senza-forma. Analizzando impianti urbani dell’antichità, mette in evidenza la regolarizzazione dello stesso tracciato stradale, considerandola come scelta logica e necessaria. “L’edilizia è direttamente legata al tracciato stradale. La pianta e la costruzione procedono unitamente, l’una presuppone l’altra. Perché è evidente che, mentre si progetta il tracciato stradale, contemporaneamente è necessario pensare anche agli edifici che vanno costruiti, per soddisfare nel modo più vantaggioso le esigenze economiche. [...] La strada, la piazza e la costruzione sono reciprocamente interagenti in ogni progetto urbanistico. Urbanistica significa creare lo spazio usando le costruzioni come materiale”57. Da queste parole è chiara la gerarchia nel metodo progettuale di Berlage; egli crea lo spazio con la costruzione, non crea la costruzione che definisce lo spazio. Per questo motivo è più importante l’unità architettonica di una strada che di un isolato; lo spazio di cui parla Berlage è quello della piazza, non quello della corte interna. Tuttavia la disposizione perimetrale nell’isolato non è messa in discussione, anzi è la forma urbana che garantisce i risultati spaziali voluti. La conseguenza sul piano concreto, come dimostrano le realizzazioni del piano per Amsterdam sud approvato nel 1918, è che l’isolato a corte non è inteso come unità minima di progetto; la sua costruzione viene suddivisa per parti, privilegiando l’uniformità degli spazi pubblici, o delle parti degli isolati che affacciano sulla stessa strada. “L’esame dell’attività edilizia e lo studio della pianta catastale mostrano come l’isolato, ad eccezione di qualche caso, non sia un’unità sul piano del progetto architettonico, ma venga sempre realizzato per piccoli frammenti assegnati ad architetti differenti. C’è la tendenza a realizzare interventi che interessano i due lati H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso sull’Amstelkanaal, 1922. H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso Takbuurt, 1920. H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso Amstel’s Bouwvereeninging, 1921. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Amsterdam sud, trattamento dello spazio centrale degli isolati. di una strada piuttosto che un isolato. Tuttavia, non è possibile ridurre la nozione di isolato ad una sommatoria di interventi ottenuta a posteriori. L’isolato si impone invece come un tipo riconosciuto, vale a dire come uno strumento da usare collettivamente, una organizzazione spaziale sulla quale si verifica un consenso, della quale è possibile enumerare le proprietà e definire l’evoluzione”58. Queste considerazioni sono verificate nelle realizzazioni degli architetti della “scuola” di Amsterdam, per le quali difficilmente si può parlare di disposizione a corte; i progetti residenziali, con una tipologia praticamente uniforme di costruzione in linea sul margine del lotto, ripropongono il modello con scala centrale e due appartamenti per piano, e accessi direttamente sulla strada. L’interno dell’isolato, anche se protetto e intimo, non ha un carattere collettivo a causa della frammentazione dello spazio, destinato a giardini privati; talvolta è attraversabile, ma solo per raggiungere gli ingressi dal giardino delle case al piano terra. A conferma di ciò è anche la mancanza di disegni planimetrici d’insieme degli isolati, e anche di rappresentazioni prospettiche dell’interno: una delle poche eccezioni è la prospettiva dell’interno del progetto di de Klerk per Eigen Haard, che conferma quanto detto. Paradossalmente il tema della corte e del blocco uniforme è stato sviluppato più negli interventi di edilizia economica precedenti il piano di Amsterdam sud; per la nostra ricerca quindi è più interessante la preparazione, il banco di prova del piano che il piano stesso. Tra questi esempi troviamo Spaarndammerbuurt, quartiere operaio a ovest di Amsterdam, il cui piano di espansione fu redatto nel 1912 da Van der Mey. Gli isolati, di grandi dimensioni, sono costruiti generalmente lungo il perimetro dei lotti, ma spesso sono deformati e piegati per la presenza di funzioni pubbliche, come la scuola o l’ufficio postale: queste irregolarità sono progettate all’interno 95 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 96 del blocco che, nella maggioranza dei casi, è affidato ad un solo progettista. Il blocco a corte acquista così una complessità interna controllata già in partenza dall’azione del progetto. Un esempio molto interessante nel quartiere di Spaarndammerbuurt è l’insieme di isolati progettato da Cornelis de Bazel nel 1918: una sequenza di 5 isolati a corte disposti a loro volta intorno a uno spazio aperto, una vasta piazza interna ove è situata una scuola. L’accostamento serrato dei volumi permette di leggere questo intervento come un unico grande isolato a corte con un doppio anello concentrico che racchiude spazi aperti di diversa natura: i giardini privati tra la prima e la seconda cortina, e la piazza pubblica con funzioni collettive al centro. Questo esterno però non è “al di fuori”, anzi è doppiamente protetto, è riconosciuto come cuore pubblico del quartiere, e filtrato dagli stretti passaggi tra gli isolati: possiamo parlare di un interno doppiamente isolato, o di un isolato nel quale viene costruita una dinamica che riproduce la città, ma alla scala del quartiere. Se questo tipo di disposizione a corte degli isolati stessi viene riproposta anche in alcune parti del piano di Amsterdam sud, in questo caso vi è anche un’unità interna alle singole corti; lo spazio è organizzato in modo che accanto ai giardini privati troviamo anche cortili comuni, con una continuità di percorsi interni. L’accesso alle case invece avviene sempre da un corpo scale che si apre sulla strada, come negli esempi precedenti, e la costruzione è scandita dall’accostamento di moduli con muri portanti trasversali, scala centrale, e distribuzione con camere affacciate all’interno e soggiorni all’esterno. Dello stesso anno è anche il complesso adiacente costruito da Walenkamp, lo Zaanhof, che propone ancora la doppia cortina che racchiude una corte giardino. In questo caso compare una variante che ricorda gli isolati di Craig a Edimburgo: l’anello più esterno, come un bastione di difesa, J. M. Van der Mey, quartiere Spaarndammerbuurt, Amsterdam Ovest, 1912. C. de Bazel, complesso residenziale nel quartiere Spaarndammerbuurt, Amsterdam, 1918. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 C. de Bazel, complesso residenziale nel quartiere Spaarndammerbuurt, Amsterdam, 1918. 97 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 98 è di 4 piani e nasconde un anello interno di soli 2 piani, una sorta di cittadella con la piazza pubblica al centro. L’accesso a questo interno pubblico avviene in modo graduale attraverso dei sottopassaggi, delle porte a difesa di questa nuova intimità collettiva: un modo di ricreare delle dinamiche urbane all’interno del grande isolato, le cui case riprendono la tradizione dei beghinaggi fiamminghi. In realtà la cortina interna non è composta dall’accostamento di case a due piani, ma risulta dalla sovrapposizione di due alloggi. Panerai sottolinea le influenze, per i progetti di de Bazel e di Walenkamp, della forma del close inglese: “In questi due esempi l’isolato, di vaste H. P. Berlage, J. Gratama, G. Versteeg, complesso residenziale Transvaalbuurt, Amsterdam Est, 1916. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 H. P. Berlage, J. Gratama, G. Versteeg, complesso residenziale Transvaalbuurt, Amsterdam Est, 1916. dimensioni, è orientato tanto verso il centro, costituito da uno square pubblico, che verso le strade che lo definiscono. Il perimetro, formato da una doppia cortina edilizia, potrebbe, esso stesso, essere considerato come una somma di isolati, ma ci sembra che la marcata unità di ciascuno di questi elementi rimandi piuttosto all’idea di un particolare tipo di isolato: lo Hof, che viene riproposto riallacciandosi alla tradizione fiamminga del beghinaggio e reinterpretando l’esperienza inglese del close”59. Una simile complessità nell’articolazione interna dell’isolato si può ritrovare anche nell’insieme di abitazioni al Trasvaalbuurt, progettato da Berlage nel 1916 in collaborazione con Gratama e Versteeg. La grande corte accoglie al suo interno alcune strade pubbliche, che si configurano come un’inflessione dello spazio esterno che si insinua, compresso da strette vie, e che si allarga in una piazza con funzioni pubbliche da una parte, e in due close residenziali dall’altra. La doppia cortina nasconde al suo interno i giardini privati, che hanno però un sistema di accesso collettivo che parte dagli angoli svuotati 99 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 100 delle corti. Anche in questo caso l’anello esterno è costituito da edifici più alti, come si legge in una descrizione di Gratama: “[...] si è deciso di chiudere con una barriera perimetrale di edilizia alta, entro cui l’edilizia bassa possa rimanere protetta, aprendosi sul lato lungo verso il Ringvaart; come una piccola cittadina, circondata da forti mura”60. L’atto del proteggere è rafforzato dal fatto che la strada di spina del complesso passa attraverso due portali scavati nell’anello esterno, che conserva la sua continuità e delimita nettamente un dentro e un fuori. Grande attenzione poi è posta sulle soluzioni d’angolo, che viene risolto con una interruzione del volume e un accostamento dei due fianchi: questa soluzione, apparentemente schematica, è momento di eccezionalità, nel disegno del profilo scalettato e nel posizionamento di terrazzi, diventando l’immagine stessa del quartiere. In tutti questi esempi analizzati ad Amsterdam viene confermato il bouwblok con la grande corte centrale come elemento base per la costruzione della città; i progetti presentano tematiche più interessanti quando da un semplice accostamento di edifici lungo il margine del lotto si passa ad un controllo sull’intero isolato, e quindi alla sua organizzazione e al suo spazio interno, come nei progetti di case economiche per le società edilizie che costruiscono quartieri per lavoratori a partire dal 1910, cioè prima del piano di Amsterdam sud. In questi casi la tipologia delle abitazioni prevede quasi sempre la scala di distribuzione con accessi solo dalla strada, per cui la corte interna, a diretto contatto con gli alloggi al piano terra, non presenta mai quel carattere collettivo a cui rimanda invece l’unità architettonica. Un maggiore grado di complessità nell’organizzazione degli spazi si presenta nei progetti che, ad una scala ancora più vasta, controllano un insieme di isolati: questa differenziazione è ottenuta non dal semplice accostamento, ma da una loro disposizione a IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 corte, attorno ad uno spazio pubblico ma interno e protetto. Nelle planimetrie si legge il tentativo di isolare e proteggere un interno prezioso e intimo, attraverso una doppia cortina di edificazioni, con i passaggi controllati da portali scavati nella continuità della costruzione. Un ulteriore sviluppo verso un trattamento unitario e collettivo della corte interna è rappresentato dai progetti elaborati da J. J. P. Oud a Rotterdam tra il 1918 e il 1924. In questi anni, e fino al 1933, Oud è professionalmente impegnato nelle problematiche della residenza di massa grazie alla carica che ricopre di architetto capo dell’autorità municipale, la Woningdienst. In questa veste egli affronta le questioni della carenza degli alloggi, della normalizzazione dell’edilizia e della ottimizzazione della tipologia della casa confrontandosi anche con le teorie e le esperienze concrete degli architetti di Amsterdam; tra questi Berlage, con cui ha un fitto scambio di idee, e che parteciperà anche al progetto per il masterplan del quartiere di Spangen, insieme a P. Verhagen. Nei progetti elaborati per Rotterdam il modello di edificazione a blocco marginale non viene mai messo in discussione, ma viene applicato con un minore grado di complessità per quanto riguarda l’organizzazione dell’insieme di isolati, che tendono ad essere semplicemente accostati senza definire ulteriori “interni” urbani, come avviene ad Amsterdam. La soluzione ottimale è vista nella massima regolarità del tracciato: in fase di realizzazione dei primi blocchi di Spangen, Oud si lamenta delle numerose soluzioni particolari da progettare in corrispondenza degli angoli ottusi o acuti, o in presenza di strade curve. “La planimetria è più o meno dettata dalle linee degli isolati edificabili. L’andamento di queste linee, che si incontrano con angoli acuti od ottusi, e si incurvano in modo irregolare in corrispondenza di Spaansche Bocht, ha costretto all’elaborazione di 101 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 102 specifici disegni, e ha causato dispendio di tempo in fase esecutiva e realizzativa. In generale, una planimetria stradale semplicemente ortogonale, o comunque regolare, è essenziale per una costruzione veloce ed economica, che in questi tempi è un imperativo”61. A questa ricerca di regolarità nel disegno urbano corrisponde però un maggiore grado di elaborazione progettuale del blocco, vero J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen I e V, Rotterdam, 1918. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen I e V, Rotterdam, 1918. elemento minimo della nuova città; Oud infatti è più interessato all’uniformità del blocco a corte in sé che dei due lati di una strada. In questo senso egli supera la concezione “monumentale” dello spazio urbano di Berlage, fatta di simmetrie e assi, e si sofferma sul valore civile e urbano della facciata stessa, sull’immagine del blocco che esprime la nuova condizione urbana: l’uniformità della costruzione, il suo prospetto “discreto” e ritmico, devono generare un contrasto con gli episodi eccezionali, come il trattamento degli angoli o gli edifici isolati. Nei blocchi di Spangen I e V, progettati nel 1918, lo sforzo per la ricerca di un tema unitario di facciata è testimoniato dall’utilizzo di un 103 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 104 solo tipo di finestra, dalla proporzione verticale e allungata. Le piccole dimensioni di questa bastano ad illuminare camere e servizi; per i soggiorni, invece, sono ravvicinate in gruppi di tre. A loro volta le aperture sono allineate in fasce verticali dell’altezza di tre piani, ottenute con un leggero arretramento del paramento di mattoni, come lesene che riportano il disegno di facciata ad una scala urbana. Per unire in orizzontale i lunghi prospetti viene introdotto il tema, poi ricorrente, delle tre bande nere che fanno da basamento su cui appoggiano le lesene, e che incorniciano gli ingressi. Questi procedimenti “classici” nella composizione del blocco riguardano anche l’angolo: non si legge uno svuotamento, una negazione, come in Indischebuurt di Berlage, ma solo una leggera rientranza data dall’accostamento di due volumi. Il quarto lato dei due grandi isolati è assegnato ad un’impresa privata, per cui Oud non ha la possibilità di controllare l’uniformità dell’intero blocco; ciononostante, riesce a convincere i progettisti Meischke & Schmidt ad introdurre nei loro prospetti alcuni elementi, come le bande nere orizzontali, che garantiscono una certa continuità. L’interno della corte è pubblico e contiene una scuola, raggiungibile attraverso J. J. P. Oud, masterplan per il polder Mathenesser, Rotterdam, 1920. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen VIII e IX, Rotterdam, 1919. alcune aperture nella cortina edilizia; questa soluzione non convince Oud, che nei progetti successivi tenderà a sviluppare le caratteristiche domestiche della corte, e ad isolare gli edifici pubblici, mettendoli in diretto contatto con la strada, come nel masterplan del 1920 per il polder Mathenesser, non realizzato. Se nei blocchi I e V viene riproposta una tipologia di alloggi già ampiamente sperimentata ad Amsterdam, con i quattro ingressi ravvicinati, nei successivi blocchi VIII e IX Oud introduce una nuova soluzione tipologica che ha conseguenze importanti sull’organizzazione degli spazi della corte: l’unica scala distribuisce un appartamento al piano terra e al primo, e due duplex al secondo. Questi ultimi hanno una scala interna che collega il soggiorno con le camere, al terzo piano. Il corpo scale però riesce a scomparire nel disegno di facciata perché le finestre corrispondenti alla mezza rampa terminano al secondo piano, mentre al terzo compare la finestra della camera da letto, perfettamente allineata con le altre: viene così efficacemente ricomposta la continuità del coronamento. Inoltre viene invertita per la prima volta la posizione del locale di soggiorno: non più affacciato sulla strada, ma sulla corte interna. Questa coraggiosa scelta, giustificata anche dal fatto che il locale più grande trova così posto sulla facciata libera da scale e servizi, testimonia il nuovo valore che viene attribuito alla corte, vero luogo della quiete e della domesticità. “Essendo la larghezza delle corti interne di solito maggiore della larghezza delle strade, i locali di soggiorno sono collocati non sulla strada ma affacciati sulla corte. Questa di conseguenza è circondata da una fascia continua di balconi sui quali aprono i soggiorni, mentre al centro c’è un giardino comune delimitato da percorsi pedonali che danno accesso ai giardini privati degli appartamenti del piano terra. Negli ultimi progetti, basati ampiamente sullo stesso tipo di 105 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 106 alloggio, è stato fatto uno sforzo più deciso per traslare l’aspetto residenziale dalla strada alla corte interna: i percorsi pedonali sono progettati meglio, pergolati con panchine offrono ai residenti un luogo dove sedersi, mentre per i bambini una vasca di sabbia è stata installata al centro del giardino”62. La corte in effetti raggiunge dimensioni importanti, atte a contenere le funzioni descritte da Oud: nel blocco IX i lati di 25 e 70 metri racchiudono una superficie di circa 1.750 m2. La presenza di uno spazio centrale collettivo e protetto, dedicato ai momenti di relax della domesticità, introduce quindi un nuovo modo di vivere, proiettato all’interno del blocco, anche attraverso i prolungamenti all’aperto dei soggiorni che vi si affacciano, le logge. Il giardino interno è però accessibile, per gli abitanti degli appartamenti dei piani superiori, solo con un percorso tortuoso; la scala, in posizione esterna, obbliga ad uscire in strada per poi rientrare all’interno del giardino attraverso un passaggio ricavato nei due lati corti del blocco. Questa caratteristica è probabilmente ancora un retaggio della tradizione olandese della casa singola, che ha rigorosamente la porta di casa sulla strada. Nel blocco IX di Spangen si può notare che l’angolo diventa un tema compositivo particolare, che richiede una decisa variazione del modulo: verso l’interno vengono concentrate le zone di servizio, difficilmente illuminabili, con un affaccio molto ravvicinato di due appartamenti diversi; all’esterno invece la stanza d’angolo è privilegiata per la possibilità di aprire finestre sui due lati. Questa possibilità viene sfruttata pienamente posizionando nell’angolo il locale di soggiorno, al primo e al secondo piano, con porte finestre e logge: unica eccezione in cui il soggiorno affaccia sulla strada. Al piano terra invece trovano posto i locali commerciali, per cui l’angolo diventa il punto più visibile, data la variazione nel trattamento del prospetto, e più pubblico, per la presenza di attività connesse alla IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 J. J. P. Oud, complesso residenziale Tusschendijken, Rotterdam, 1920. residenza, che rimandano alla vita urbana della strada. Tutte le caratteristiche messe a punto a Spangen verranno riproposte da Oud, in modo organico e completo, negli isolati di Tusschendijken del 1920. Oltre ad un perfezionamento delle scelte tipologiche utilizzate nei progetti precedenti, qui l’intero complesso di 8 isolati è progettato in modo uniforme, in una sequenza ordinata e regolare. L’angolo, con le logge scavate nella facciata e il muro pieno che raccorda i due prospetti, diventa l’elemento ritmico e costante del complesso, in coerenza con gli intenti di Oud di generare un contrasto tra la facciata dal carattere discreto e l’eccezione, come l’angolo o come il prospetto interno. La corte interna mantiene la stessa larghezza, ma diventa più lunga: con i lati di 100 e 25 metri raggiunge una superficie di 2.500 m2. Acquista così sempre più importanza, anche nella fase di progettazione: l’estrema cura nei dettagli è evidente anche nella famosa prospettiva a china, 107 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 108 che per la prima volta mostra l’interno della corte come volontà di progetto, nell’ambito delle case economiche. Viene rafforzato maggiormente il rapporto tra l’interno delle case e la corte: per esempio anche le cucine sono dotate di una porta finestra che apre sul balcone, che diventa così un elemento continuo e fruibile da tutte le stanze della casa. La presenza degli affacci dei soggiorni su tutti e quattro i lati interni della corte, con i prolungamenti delle logge, genera un’impressione di estrema intimità tra i diversi appartamenti; in questo modo infatti essi condividono uno spazio verde comune, ma esposto alla vista diretta di tutti. Anche i giardini privati al piano terra mancano di quel legame diretto ed esclusivo con l’appartamento a cui appartengono: divisi solo da una bassa recinzione dallo spazio comune vengono assorbiti da questo, e ne acquistano le caratteristiche. Tuttavia la novità di questo spazio J. J. P. Oud, complesso residenziale Tusschendijken, Rotterdam, 1920. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 109 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 110 interno è importante: possiamo interpretarlo come il tentativo di definire una città alternativa, tutta interna e nascosta dalla strada, squisitamente residenziale, separando con lucidità il luogo della domesticità dell’abitare dagli altri spazi della vita urbana. Negli stessi anni, e sempre nel quartiere di Spangen, Michiel Brinkman dà una diversa interpretazione del blocco a corte; l’isolato, di dimensioni molto maggiori di quelli progettati da Oud, viene chiuso da una costruzione perimetrale, e poi suddiviso all’interno con altri volumi simulando spazi e dinamiche urbane. In questo complesso troviamo una strada di accesso, giardini comuni, sottopassaggi, piazze; un interno pubblico a tutti gli effetti, anche grazie a una strada carrabile che lo attraversa. Questa sequenza di spazi però mantiene anche un carattere di interno domestico; il giardino, anche se collettivo, è protetto dallo spazio “al di fuori” della città attraverso il recinto perimetrale M. Brinkman, blocco residenziale in Spangen, Rotterdam, 1919. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 continuo di quattro piani, le cui soglie di accesso sono limitate in numero e dimensione. L’interno di questo grande isolato a corte è dunque uno spazio frammentato dove il pubblico e il privato hanno raggiunto una commistione equilibrata e senza conflitti. Diversamente dagli isolati di Oud, il rapporto tra le case e lo spazio aperto è più diretto, non solo per gli ingressi dalla corte, ma anche per il nuovo utilizzo del ballatoio: collocato al secondo piano per distribuire gli alloggi duplex, il ballatoio viene potenziato, trasformandosi in una sorta di strada soprelevata, animando di vita “pubblica” le corti interne. Anche se molto diverse nei principi di organizzazione dello spazio interno, le esperienze di Oud e di Brinkman a Rotterdam rappresentano sperimentazioni sull’isolato a corte che hanno in comune l’utilizzo del blocco chiuso perimetrale come elemento minimo di progetto dello spazio urbano. Ancora una volta l’innovazione non si pone ad un livello generale che coinvolge tutti gli spazi esterni della città, i quali rimangono configurati attraverso gli elementi classici della strada, delimitata da facciate continue, e della piazza; l’evoluzione della forma riguarda lo spazio collettivo all’interno della corte, e da questa dipendono le importanti novità apportate al modo di abitare in città, ottenute senza sconvolgere il generale assetto urbano. M. Brinkman, blocco residenziale in Spangen, Rotterdam, 1919. I progetti di case economiche elaborati dall’Istituto per le Case Popolari di Milano rappresentano una esperienza importante e poco studiata nel panorama dell’architettura moderna: forse il carattere passatista o eclettico della loro immagine esteriore ha impedito alla critica ufficiale di considerarli come degni e meritevoli di attenzione. Ma il trattamento dei prospetti, con elementi ripresi dal repertorio classico, rientra in un ambito tematico, quello del linguaggio, che merita una trattazione autonoma rispetto al taglio di questa ricerca; interessa 111 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 112 invece che questa esperienza si presenti come coerente e riconoscibile per la sperimentazione condotta sulla tipologia della casa popolare, sia per l’alloggio che per la disposizione planimetrica all’interno del tessuto urbano. Le numerose realizzazioni, distribuite in modo uniforme nelle zone di espansione della città, hanno contribuito a consolidare il tipo urbano a corte per la casa economica, accogliendo un modo di abitare tutto interno agli isolati, eredità delle corti storiche milanesi come quelle delle case di ringhiera, ma introducendo alcune innovazioni nell’organizzazione degli spazi legate soprattutto Iacp, quartiere Mac-Mahon, Milano, 1909. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Iacp, quartiere Mac-Mahon, Milano, 1909. al sistema degli accessi e alla distribuzione. In particolare prendiamo in considerazione i progetti realizzati a partire dal 1909 e fino al 1929 da Giovanni Broglio e dall’ufficio tecnico da lui diretto. In occasione del ventennale della fondazione dell’Istituto, Broglio cura una pubblicazione delle opere costruite, facendo anche un bilancio del lavoro svolto e cercando di evidenziare i principi che hanno guidato la sperimentazione tipologica, nonché gli obiettivi di base da perseguire: “Il programma [dello Iacp] è di procurare case sane, bene costruite, decorose e al massimo buon mercato alla classe operaia 113 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 114 e alla piccola borghesia”63. A questa accennata distinzione di classe dei destinatari delle case corrisponde una chiara differenza nei progetti: gli appartamenti “popolari” e “ultra popolari” hanno superfici ridotte, servizi igienici minimi, mancano del locale di soggiorno, sostituito da una stanza da pranzo con un piccolo cucinino annesso; gli appartamenti “per sovventori” invece hanno spazi abbondanti, con soggiorni e atri, oltre che stanze da bagno con vasca, e cucina separata dalla sala da pranzo. È interessante notare invece che, per quanto riguarda la tipologia urbana, la scelta della costruzione perimetrale e della corte interna non viene discussa o problematizzata, ma viene assunta come l’unica scelta possibile. Inoltre Broglio, nonostante siano stati eliminati gli stretti cavedi di aerazione interni al corpo degli edifici, fa ancora una distinzione fra cortili di servizio chiusi sui quattro lati e corti, generalmente aperte almeno su un lato, rilevando effettivamente lo stato di fatto delle realizzazioni dell’Istituto: “Quando vengono adottati fabbricati a cortile chiuso, verso l’interno prospettano solamente le scale, le cucinette, le anticamerine, i gabinetti, terrazzini ecc. (vedi quartieri Genova e Vittoria). Quando invece verso il cortile prospettano locali di abitazione, i cortili medesimi sono tenuti molto ampi, di modo che aria e sole non facciano difetto. In ogni caso sono assolutamente Iacp, quartiere Lombradia, Milano, 1911. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Iacp, quartiere Genova, Milano, 1919. eliminati gli alloggi che abbiano luce e prospetto solamente verso cortili chiusi, siano essi grandi o piccoli. Nel quartiere Melloni i cortili sono quattro volte più grandi di quelli prescritti dal regolamento d’igiene e nel mezzo di ciascuno di essi è stato collocato il campo da gioco, dove i bambini possono fare la ricreazione sotto la vigilanza dei genitori e del custode”64. Da queste parole emerge un atteggiamento ambiguo: da un lato permane una diffidenza verso l’affaccio sulla corte, considerato secondario e sfavorito, retaggio dei cortili di servizio e delle loro scarse condizioni igieniche, e vengono accolte le nuove istanze di aria e luce in abbondanza per gli appartamenti, attraverso l’introduzione del doppio affaccio; dall’altro si intuisce che lo spazio della corte tende a diventare sempre più grande e ad accogliere nuove funzioni, confermando il proprio ruolo di cuore collettivo e protetto dell’isolato residenziale. La vicinanza 115 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 116 tra appartamenti e corte è consentita dalla posizione interna delle scale di distribuzione e dal loro rapporto diretto con la corte, caratteristica costante di tutte le realizzazioni dell’Istituto; la corte diventa così un prolungamento all’aperto delle case, un passaggio obbligato per l’accesso agli alloggi ma intermedio tra casa e strada, e quindi luogo collettivo di incontri nell’intimità di uno spazio racchiuso. La scelta della posizione delle scale ha una serie di conseguenze sull’organizzazione della forma architettonica e presenta alcune costanti che risultano strutturanti rispetto a questo tipo urbano: dalla strada alla corte vi è un solo ingresso, rappresentato da un androne segnalato con una eccezione nel ritmo di facciata, e controllato da un locale annesso destinato a portineria; questo ingresso, solitamente aperto, è uno stretto filtro tra interno ed esterno e riveste un ruolo simbolico come porta collettiva; diversamente dagli esempi olandesi che abbiamo analizzato, la facciata su strada risulta libera dagli ingressi delle scale, per cui frequentemente compaiono locali commerciali. Inoltre il primo piano utile è rialzato di mezza rampa: questa soluzione evita l’introspezione diretta dalla strada, favorendo una maggiore privacy, e garantisce una notevole altezza ai negozi. A fronte di una serie di regole ricorrenti nella distribuzione generale del blocco a corte, riscontriamo invece una ricca sperimentazione tipologica sull’alloggio: un grande numero di variazioni, anche minime, che cercano la collocazione ottimale dei locali di servizio. I piccoli bagni e le cucine sono oggetto di continui spostamenti e sembrano vagare nella pianta come un corpo estraneo, fino ad assestarsi contro il muro esterno; in alcuni quartieri, come il Regina Elena del 1923, viene sperimentata infatti la soluzione innovativa della facciata doppia, con una fascia destinata a servizi o a ripostigli. Generalmente, però, i locali di servizio sono di Iacp, quartiere Vittoria, Milano, 1919. Iacp, quartiere Botticelli, Milano, 1923. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Iacp, quartiere Villapizzone, Milano, 1926. Iacp, quartiere Tonoli, Milano, 1928. piccole dimensioni e si scontrano con la logica costruttiva con muri portanti longitudinali, dove il passo strutturale coincide con i locali; in pianta si legge in modo preciso e costante il corpo doppio e la continuità del muro di spina centrale, anche se tutti gli appartamenti hanno il doppio affaccio. La disposizione a corte è quindi costante, ma le dimensioni variano notevolmente: la prima realizzazione, il quartiere Mac Mahon del 1909, racchiude una corte di 26 x 22 metri, per una superficie di 572 m2; il quartiere Genova del 1919, 117 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 118 20 x 40 metri, e 800 m2; il quartiere Villapizzone del 1926, 34 x 38 metri, e 1.292 m2; il quartiere Melloni del 1929, 31 x 65 metri, e 2.015 m2. Se possiamo riscontrare una crescita “cronologica” della dimensione della corte, vi sono anche alcune riproposte inspiegabili, come il cortile cavedio nel quartiere Vittoria del 1919, con i lati di soli 4 x 10 metri, e una superficie di 40 m2. In generale la corte tende ad avere una dimensione riconoscibile, una specie di unità massima di grandezza che non viene mai superata, oltre la quale funziona solo la ripetizione. Infatti anche nei quartieri di notevoli dimensioni, dov’era possibile ampliare ancora la grandezza della corte, viene preferita la ripetizione del blocco, la sua combinazione e declinazione a formare insiemi urbani sempre leggermente diversi. E proprio in questi ensemble di corti che occupano un grande isolato viene definita una nuova spazialità. I blocchi accostati non generano sempre strade carrabili; spesso lo spazio tra una corte e l’altra non è pubblico e attraversabile, ma destinato a giardino privato delle abitazioni al piano rialzato, che vi accedono attraverso una rampa con pochi gradini. In questo modo lo spazio verde privato e la corte comune non sono attigui, come negli isolati Tusschendijken di Oud, ma separati dall’edificio stesso: una variante importante, perché permette di dare alla corte un carattere più rappresentativo, e di collocare Iacp, quartiere XXVIII ottobre, Milano, 1927. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 più opportunamente lo spazio aperto privato, spesso destinato a orto, e quindi con un carattere più spontaneo e variegato. Inoltre questa sorta di strada verde e inaccessibile definita tra gli edifici, e visibile dalla strada carrabile, interrompe ritmicamente i prospetti, che risultano sempre di lunghezza contenuta. In alcuni casi, come nel quartiere Melloni del 1929, la strategia di disegno dell’ensemble è simile a quella adottata nel quartiere Spaarndammerbuurt da de Bazel; i blocchi a corte vengono disposti a loro volta a corte a definire uno spazio più interno, protetto dalle grandi vie di traffico della città. In questo caso però il cuore del quartiere non è occupato da uno spazio aperto pubblico, ma da un’altro blocco, evidentemente il più grande e il più regolare. Iacp, quartiere Melloni, Milano, 1929. La caratteristica distributiva tipica e costante dei blocchi a corte realizzati dall’Istituto case popolari di Milano, che riconosce la corte come elemento intermedio tra le scale interne e la strada, e quindi tra pubblico e privato, viene proposta anche nelle realizzazioni della 119 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 120 municipalità di Vienna nel periodo dal 1919 al 1933. Il modello di hof che ha costruito interi quartieri nel periodo della Vienna socialista, impostato sulla costruzione perimetrale del lotto attorno ad una corte collettiva centrale, ha però una caratteristica dimostrativa della politica sociale dell’amministrazione, che sfocia in una certa monumentalizzazione della residenza; l’enfatizzazione di alcuni elementi simbolici della composizione, o la comparsa dei nomi dei quartieri incisi sulle facciate si possono ascrivere a questa finalità, anche se il tema della scritta ha contribuito notevolmente a definire l’identità dei complessi residenziali, e talvolta è utilizzato anche oggi senza fini propagandistici. Le corti residenziali assumono in questo modo il carattere difensivo di castelli costruiti a protezione di un modo sicuro di abitare, di un rifugio opposto allo spazio di vita della città, con cui difficilmente si integrano. “Cosa essi presuppongono per l’avventura esperita dagli abitanti del Castello, C. Holzmeister, Blathof, Vienna, 1924. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 K. Ehn, Lindenhof, Vienna, 1924. una volta usciti dal tutto-chiuso che li protegge, ma che contemporaneamente – per il solo fatto di essere Castello – li espelle quotidianamente? Una cosa è sicura: lo Hof lascia solo chi in esso ha dimora, una volta immesso nel mondo dei fatti, degli accadimenti. Eppure, in quel mondo di accadimenti, lo Hof galleggia. Esso non abita la città, anche se promette un riposo, un catartico abitare. [...] A chi esce dai portali enfatizzati degli Höfe, a chi decide di forzare quelle soglie che avvertono – con le loro cancellate in ferro battuto e con la loro struttura sovradimensionata – del pericolo che è lì pronto ad assalirlo, il regno del simbolico non ha più nulla da dire”65. Costruzioni dimostrative di una volontà di risolvere con grandi ensemble il problema degli alloggi popolari, spesso gli höfe hanno programmi complessi, che accolgono al loro interno oltre alla residenza anche funzioni collettive, comprese dentro l’edificio stesso, oppure come volumi autonomi all’interno delle corti. Per questo motivo le corti a volte raggiungono dimensioni notevoli: Blathof (di Clemens Holzmeister, 1924) ha una corte allungata di circa 5.000 m2, suddivisa in tre parti a quote diverse e con un asilo infantile al centro; Lindenhof (di Karl Ehn, 1924) ha una forma simile con una corte di 4.800 m2 anch’essa divisa in tre parti da edifici destinati a servizi collettivi, un asilo e un’aula circolare per spettacoli; Bebelhof (di Karl Ehn, 1925) ha 121 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 122 una forma irregolare ma più accentrata, con una corte di 4.600 m2 completamente libera, destinata a giardino. Questi interni sono realtà protette e collegate allo spazio esterno solo da pochi passaggi; le porte di ingresso sono enfatizzate e curate con dettagli architettonici ricercati; la corte viene attrezzata con giardini e percorsi pavimentati con ruolo di promenade, di graduale passaggio dal pubblico al privato. Sul lato esterno verso la strada trovano posto negozi e laboratori, spesso in posizione angolare, come in Blathof, o lungo un intero lato, come in Bebelhof. In genere la soluzione d’angolo è sempre occasione di eccezionalità plastica, o di aumento dell’altezza con soluzioni a torre; i portali di ingresso invece corrispondono alla mezzeria di uno dei lati. Le corti possono essere anche di dimensioni più ridotte, simili a quelle realizzate dallo Iacp a Milano: Quarinhof (di Siegfried Theiss e Hans Jaksch, 1924) ha una corte giardino di 1.600 m2; Klosehof (di Josef Hoffmann, 1924) racchiude in una corte quadrata di 1.700 m2 un edificio isolato a torre, che ospita una palestra al piano terra e che occupa visivamente quasi tutto lo spazio libero; Reumanhof (di Hubert Gessner, 1924) si sviluppa con una corte aperta su strada, ulteriore filtro con lo spazio pubblico, che distribuisce K. Ehn, Bebelhof, Vienna, 1925. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 S. Theiss, H. Jaksch, Quarinhof, Vienna, 1924. gli ingressi alle due corti chiuse laterali, di soli 1.250 m2. Effettivamente queste corti risultano abbastanza piccole e strette: la considerevole altezza degli edifici, di 6 o 7 piani, contribuisce a togliere aria e luce all’affaccio interno, e quindi a peggiorare le condizioni igieniche degli alloggi. Ad un livello di innovazione nell’uso collettivo degli spazi interni delle corti, non corrisponde un’altrettanta qualità negli spazi degli alloggi; la mancata sperimentazione tipologica, insieme ad un utilizzo di tecniche di costruzione tradizionali e a basso costo, rendono gli appartamenti della Vienna socialista non paragonabili a tutte le realizzazioni coeve in Europa. Le gravi carenze dipendono in primo luogo dalla mancanza del doppio affaccio, a causa della continuità del muro di spina centrale; le stanze sono poste in sequenza, senza il corridoio di distribuzione, i servizi sono minimi, con bassi livelli di igiene e comfort; in generale c’è una certa indifferenza per l’affaccio, interno o esterno, e le superfici 123 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 124 H. Gessner, Reumanhof, Vienna, 1924. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 K. Ehn, piante tipo del Karl Marx-hof, Vienna, 1927. Pianta tipo delle höfe viennesi. sono sempre molto ridotte, come si può vedere anche nelle piante tipo del Karl Marx-Hof del 1927. In generale, quindi, l’esperienza degli höfe viennesi non è all’avanguardia per la sperimentazione sugli spazi degli alloggi; essa appare come un esempio incompleto, mancando di quel nesso necessario tra progetto dello spazio privato della casa e organizzazione degli spazi collettivi. Tuttavia è interessante per le soluzioni urbane dei blocchi a corte, che talvolta presentano grossi elementi di novità. Nel Winarskyhof (di Josef Hoffmann e Peter Behrens, 1924), per esempio, viene proposta una corte formata da due cortine concentriche a cavallo di due isolati che la rendono pubblica e attraversabile: una strada carrabile penetra al suo interno ma non spezza la continuità del corpo di fabbrica, aperto solo con una successione di portali. Lo spazio interno rimane separato dallo spazio urbano pubblico dalla continuità dell’edificio ai piani superiori. Anche nel Karl Seitz-hof (di Hubert Gessner, 1926) possiamo leggere un tentativo di trovare una commistione tra spazio racchiuso privato e spazio pubblico: la cortina perimetrale dell’isolato a corte viene piegata verso l’interno a definire, con la forma di emiciclo, una grande piazza pubblica, sulla quale si aprono gli ingressi alla corte interna. In questo modo l’esterno pubblico e attraversabile rimane nettamente diviso dall’interno privato, anche se entrambi sono definiti dallo stesso atto progettuale. 125 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 126 L’interesse di questa esperienza sta nella conferma della nuova qualità dello spazio interno collettivo della corte, come abbiamo visto, e nelle strategie urbane che tentano di modificare il rapporto tra blocco a corte e isolato urbano, introducendo sempre variazioni all’interno di un modo condiviso di costruire la città. Questi grandi complessi che declinano la corte in modi continuamente diversi, non definiscono però una tecnica precisa di disegno urbano basata sul blocco chiuso, come avviene a Rotterdam per esempio, ma risolvono punto per punto i problemi progettuali posti dalla città esistente attraverso la disposizione a corte. “Il modello dello Hof non implica infatti ipotesi di nuova organizzazione urbana. Al contrario, esso si inserisce nelle maglie della città esistente accettandone tutti i J. Hoffmann, P. Behrens, Winarskyhof, Vienna, 1924. H. Gessner, Karl Seitz-hof, Vienna, 1926. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 vincoli”66. Il carattere eccezionale e dimostrativo, quindi, impedisce il formarsi di un’esperienza condivisa, di una proposta teorica di città attraverso degli elementi riconoscibili; gli höfe si pongono come alternativa alla città, non come elemento strutturante del disegno urbano. Per questa loro condizione eccezionale, e per la monumentalizzazione della residenza Manfredo Tafuri li ha definiti come “luoghi collettivi per dimorare in tragica provvisorietà”67. Isolati residenziali di Amburgo, inizi 1900. Un caso in cui il blocco a corte è utilizzato sistematicamente come elemento base dell’espansione urbanistica è quello di Amburgo negli anni dal 1919 al 1930. L’attività di pianificazione dei nuovi quartieri di espansione è dovuta principalmente a Fritz Schumacher che, in qualità di sovrintendente all’edilizia della città di Amburgo, sperimenta nei progetti le potenzialità della disposizione a corte degli edifici residenziali. Il suo lavoro parte da una osservazione delle condizioni della città esistente, della quale ripropone i valori spaziali legati alla parte pubblica della strada; rileva invece, ancora una volta, una insufficienza di progetto nella parte interna dell’isolato, usato come affaccio di servizio e occupato intensivamente da prolungamenti delle case. L’abilità di Schumacher nella manipolazione dello spazio urbano si mostra chiaramente nella proposta di riforma di un isolato tipico di Amburgo, dalla forma allungata e frazionato in piccoli lotti sfruttati intensivamente; il progetto, che prevede di interrompere la continuità del lotto, è una contaminazione tra una corte aperta e una strada a fondo cieco, ma in realtà percorribile attraverso un sottopassaggio pedonale. La nuova qualità di questo spazio urbano racchiuso è ottenuta con un progetto che interessa l’isolato edificabile nel suo insieme, e non il singolo lotto; questa nuova scala del progetto urbano viene utilizzata per le proposte dei quartieri di 127 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 128 Dulsberg (1919-1931) e di Jarrestadt (1927-1930), impostati sull’elemento base del blocco a corte e realizzati con la collaborazione di numerosi architetti che hanno diversamente interpretato questo tipo urbano. Il primo esempio interessante è rappresentato da una serie di blocchi realizzati dallo stesso Schumacher nel 1919 a Dulsberg: un gruppo di cinque edifici residenziali con la corte interna passante, aperta sul lato corto, che richiamano la forma degli isolati di Spangen progettati da Oud negli stessi anni. Anche se l’attraversabilità è solo pedonale, le aperture sono vere interruzioni del volume, che quindi si compone con due C contrapposte; la corte interna si configura come giardino semi-pubblico, protetto, e con la presenza degli ingressi alle scale di distribuzione. Inoltre verso l’interno affacciano direttamente le zone giorno e indirettamente i servizi: viene introdotto lo spazio di mediazione della loggia, per evitare in facciata le piccole finestre dei bagni. La forma del blocco non corrisponde all’isolato stradale: come in molti progetti dello Iacp di Milano, quest’ultimo è molto più grande, F. Schumacher, riforma di un isolato tipico di Amburgo, 1918. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 F. Schumacher, quartiere di Dulsberg, Amburgo, 19191931. F. Schumacher, blocchi residenziali a Dulsberg, Amburgo, 1919. 129 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 130 per cui tra un blocco e l’altro non c’è una strada carrabile, ma viene definito uno spazio aperto destinato a orto o giardino privato. In questo caso, diversamente da Milano, tale spazio non è visibile dalla strada, ma è chiuso con un edificio ad un solo piano destinato ad attività commerciali. Questa serie di edifici quindi, attraverso la disposizione a corte, racchiude in sequenza spazi con diversi livelli di privacy: i piccoli giardini privati, dove affacciano le camere, e le corti giardino, di dimensioni maggiori (circa 2.500 m2), che esprimono l’immagine collettiva della residenza, e che rappresentano la mediazione tra la strada e gli ingressi alle scale. Il blocco “Freie Stadt V” (di Klophaus e Schoch), nello stesso quartiere, propone invece il tema della doppia cortina su un isolato molto grande, che racchiude al centro una corte pubblica e attraversabile, mentre tra il primo e il secondo anello nasconde i giardini privati. Simile in planimetria al complesso Zaanhof di Walenkamp, nel quartiere Spaarndammerbuurt ad Amsterdam, differisce da questo per l’altezza dei corpi costruiti, che rimane costante per l’anello esterno e quello interno, invece di diminuire verso il centro. Klophaus e Schoch, blocco residenziale Freie Stadt V, Amburgo, 1920. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Quartiere Barmbeck-nord, Amburgo, 1920. K. Schneider, blocco residenziale in Habichtstrasse, Amburgo, 1927. 131 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 132 In generale, per quanto riguarda la posizione degli ingressi alle scale, non c’è una regola applicata in modo uniforme nei vari quartieri realizzati; se nei progetti di Schumacher sono per lo più interni alla corte, in altri casi sono posizionati all’esterno, come in molti edifici nel quartiere di Barmbeck-nord. In questi casi però troviamo la presenza costante di una fascia di verde che distanzia l’ingresso dal marciapiede, e quindi le finestre del piano rialzato dalla strada, a differenza della tradizione olandese che mette a stretto contatto l’edificio con la strada. In altri casi ancora, come per il blocco in Habichtstrasse di Karl Schneider del 1927, la posizione delle scale, e di conseguenza degli ingressi, non segue una logica dettata dalla presenza della corte, ma dal migliore orientamento rispetto all’irraggiamento solare. Infatti le scale sono posizionate il più possibile verso l’affaccio sfavorito a nord, segno della preminenza delle istanze igieniche legate all’asse eliotermico rispetto a quelle spaziali della tipologia urbana. Anche nel progetto per il blocco centrale del quartiere di Jarrestadt, Schneider alterna nell’affaccio interno le zone giorno e le camere, ma la posizione delle scale rimane sempre Quartiere Jarrestadt, Amburgo, 1927-1930. K. Schneider, blocco centrale di Jarrestadt, Amburgo, 1927. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 K. Schneider, blocco centrale di Jarrestadt, Amburgo, 1927. esterna. Questo perché viene introdotto un nuovo elemento architettonico, il balcone continuo verso la corte, che abbiamo già trovato nel progetto per Tusschendijken di Oud, che rappresenta un vero prolungamento degli alloggi verso lo spazio aperto. Diversamente dagli isolati di Rotterdam, dove abbiamo evidenziato un eccesso di intimità per l’estrema vicinanza degli affacci interni, l’isolato a corte di Jarrestadt si sviluppa su dimensioni eccezionali, con i lati di circa 100 metri per una superficie di 10.000 m2. La corte, trattata a giardino e divisa in quattro quadranti, ha così le caratteristiche per diventare un elemento autonomo, in rapporto con l’edificio che la racchiude ma non direttamente dipendente 133 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza da questo; la presenza dei lunghi e continui balconi confermano un rapporto esclusivamente visivo tra gli appartamenti e lo spazio aperto, e gli ingressi posizionati all’esterno rendono la corte libera dalla funzione distributiva. Infatti la corte è pubblica e attraversabile, e rappresenta il centro del quartiere, nonché lo sfondo prospettico dell’asse principale di penetrazione. Nell’esperienza di Amburgo, quindi, l’impostazione dei quartieri ad opera di Fritz Schumacher fondata sull’elemento del blocco a corte, visto come naturale sviluppo e razionalizzazione della città ottocentesca, ha prodotto una successiva sperimentazione su questo tipo urbano attorno ad un modo condiviso di costruire la città. La variazione e le innovazioni apportate dai progetti di numerosi architetti hanno mostrato la ricchezza di questo nuovo spazio interno, in alcuni casi strettamente domestico, in altri pubblico e rappresentativo dell’identità del quartiere stesso. 134 Un caso abbastanza isolato, ma che vale la pena di prendere in considerazione, è rappresentato dall’esperienza di Secundino Zuazo a Madrid. Nonostante i numerosi progetti residenziali realizzati a partire dal 1919 su singoli lotti edificabili all’interno della città consolidata, solo nel 1930 Zuazo ha la possibilità di intervenire su un intero isolato: con il progetto della casa de Las Flores egli cerca di dare una nuova configurazione all’isolato urbano storico di Madrid, caratterizzato da un’alta densità e da una divisione in parcelle, occupate da case molto profonde e con cavedi di aerazione al centro. Questo progetto rappresenta un’alternativa alla tipologia intensiva della città dell’ottocento, ottenuta senza scardinare i rapporti urbani con la strada e la continuità delle facciate. Nello stesso tempo però egli ripropone una densità molto alta, insieme ad un nuovo tipo di cortile di servizio. S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928. Il dato innovativo della casa de Las Flores, per la città di Madrid, è la presenza della corte interna collettiva, curata e disegnata come cuore del blocco; l’isolato, di 115 x 80 metri, è costruito perimetralmente da un doppio corpo aperto sui lati corti che racchiude un campo de juegos di 70 x 25 metri, per una superficie di 1.750 m2; lo spazio interno risulta quindi passante, ma è privato e separato dalla strada da una cancellata, una leggera variazione di quota, e uno spazio intermedio, pavimentato e pubblico. Il giardino interno quindi è una specie di oasi protetta di quiete e tranquillità, anche perché gli ingressi alle scale sono posizionati sull’esterno, in diretto rapporto con il marciapiede che circonda l’isolato; allo stesso tempo risulta visibile dalla strada pubblica come un fronte interno inaccessibile. Tuttavia questa corte rimane oppressa dalla eccessiva altezza dei corpi di fabbrica che la racchiudono, altezza che aumenta dall’anello esterno di 4 piani a quello interno di 8 piani. La soluzione soffre quindi di un alto sfruttamento del suolo, dato 135 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 136 necessario per dimostrare la possibilità di un nuovo tipo di costruzione all’interno dell’isolato urbano storico, mantenendo gli stessi livelli di densità, ma raggiungendo una nuova qualità dello spazio aperto interno. Per fare ciò, Zuazo è costretto a proporre i cortili di servizio, avvicinando il corpo su strada e quello sulla corte fino alla misura minima di 10 metri; in questo spazio affacciano i bagni, le cucine, gli atri, talvolta le camere, e vi trovano posto anche le scale di distribuzione. Espulse così dal corpo di fabbrica, le scale costituiscono un volume di collegamento tra edificio su strada e edificio interno, servendo 4 appartamenti per piano. Le camere e i locali di soggiorno affacciano “fuori” da questi cortili, cioè sulla strada o sulla corte giardino; per questo motivo ci sembra che per la casa de Las Flores si possa parlare non di isolato a corte, ma di disposizione a corte di due blocchi a corte. Il progetto di Zuazo, volutamente S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928. esemplificativo di una transizione tra città storica e nuovi quartieri residenziali, è stato applicato anche come modello nella seconda proposta di prolungamento del paseo de la Castellana di Madrid, del 1930, in sostituzione del blocco isolato funzionalista proposto l’anno precedente dallo stesso Zuazo insieme a Hermann Jansen. In questo progetto si notano le potenzialità del blocco semi-chiuso di definire un fronte continuo sul grande asse stradale, e insieme di racchiudere spazi interni più protetti e domestici. In altri progetti urbani, anche se non realizzati, Zuazo sviluppa il tema dello spazio racchiuso attraverso una disposizione planimetrica a corte, nel tentativo ripetuto di definire un interno urbano dal carattere residenziale, talvolta complesso e di grandi dimensioni, contrapposto allo spazio pubblico e caotico della grande città. Nel progetto di sistemazione della Plaza de Toros, del 1933, il grande isolato viene perimetrato da un edificio continuo, e suddiviso in altre due corti residenziali; l’accesso ai giardini interni è preceduto da una piazza pubblica destinata al mercato, con un alto edificio lamellare che sembra custodire l’ingresso alla strada interna. Strategie simili si possono riscontrare nei progetti per Saragoza del 1928 e per la Diagonal di Barcellona del 1931. Tuttavia la casa de Las Flores rimane come caso esemplare, per i rimandi alle altre esperienze europee degli anni ’20 e per l’immediatezza del fatto costruito. 137 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza S. Zuazo, progetto per la Plaza de Toros, Madrid, 1933. S. Zuazo, H. Jansen, prolungamento del paseo de la Castellana, Madrid, 1929. 138 S. Zuazo, prolungamento del paseo de la Castellana, Madrid, 1930. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 Eberstadt, Möhring, Petersen, concorso per la grande Berlino, 1910. Il caso di Berlino è molto complesso e variegato, e qui selezioniamo solo alcune esperienze significative per la ricerca. Data la presenza massiccia delle mietkasernen per l’abitazione popolare, negli anni antecedenti la prima guerra mondiale vi sono dei tentativi, da parte della municipalità, di modificare le condizioni abitative di questo tipo di costruzione a cortili chiusi in successione, ma con risultati assai discutibili. Tuttavia ci sembrano interessanti gli esiti del concorso per la grande Berlino del 1910, e in particolare il progetto di Möhring, Eberstadt e Petersen che presenta un’alternativa al modo di concepire la città densa: il principio del blocco chiuso viene riproposto, ma con dimensioni dilatate a tal punto che è possibile ricostruire all’interno un altro pezzo di città, caratterizzata da basse costruzioni a schiera. L’anello esterno continuo, che definisce il grande isolato a corte e presenta solo poche aperture, racchiude una superficie di 94.000 m2: si viene così a definire una realtà autonoma e protetta, con strade secondarie, un parco, una piazza alberata e una chiesa; una sorta di unità minima della nuova città, che garantisce una densità controllata e mantiene una realtà separata dallo spazio pubblico della metropoli. Solo con la presenza di Martin Wagner, direttore dell’ufficio per l’attività edilizia nella circoscrizione di Berlino-Schönberg nel periodo fra le due guerre, avviene il passaggio reale a una serie di importanti realizzazioni che interessano la città, soprattutto nel campo dell’edilizia residenziale. Affiancano la municipalità di Berlino nella sua opera varie cooperative edilizie di pubblica utilità per le costruzioni economiche, tra cui la Gehag, costituita nel 1924. Tra i fondatori c’è lo stesso Wagner, a cui si deve l’assunzione di Bruno Taut alla direzione della società. Fino al 1925 gli interventi delle varie cooperative edilizie hanno un carattere disperso ed eterogeneo, e 139 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 140 sono ispirati ad un modello che accoglie la bassa densità e gli elementi naturali del verde come alternativa alla densità speculativa delle caserme d’affitto; i risultati sono siedlungen che rimandano più ad insediamenti rurali che a quartieri urbani di una grande città come Berlino. Dal 1925 invece ha inizio la costruzione di grandi complessi residenziali che fanno uso del tipo edilizio a tre piani con scala a servizio di due appartamenti per piano, grazie da una parte alle maggiori possibilità finanziarie del comune e dall’altra alle idee di Wagner sulla razionalizzazione del ciclo edilizio. In questo contesto, la prima grossiedlung realizzata e la più significativa è Berlino Britz, progettata da Bruno Taut in collaborazione con Martin Wagner nel 1925. La parte centrale, a forma di ferro di cavallo, è una perfetta sintesi tra B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925. costruzione in linea aperta e costruzione a blocco chiuso: il modulo costituito da scala e due alloggi viene ripetuto in serie, senza variazioni, ma la leggera inclinazione dei muri trasversali produce una curvatura costante al corpo edilizio, che si richiude attorno ad uno spazio centrale comune. In questo modo la disposizione a corte è ottenuta con un accostamento in serie, evitando le problematiche soluzioni degli angoli, che richiedono sempre un maggiore sforzo progettuale, e comunque una variazione troppo onerosa in una costruzione basata su principi di razionalizzazione del cantiere. È a tutti gli effetti un tipo in linea, piegato e curvato, che definisce però un tipo urbano a corte, anche se aperto su un lato verso la strada. La corte centrale è trattata con diverse fasce concentriche: orti privati direttamente a contatto con l’edificio, un percorso pedonale e un prato in discesa verso uno specchio d’acqua centrale, per un totale di 16.000 m2. La grande estensione di questo spazio, più di una volta e mezza rispetto al blocco centrale di Jarrestadt ad Amburgo, e la sua articolazione fanno del ferro di cavallo di Britz una corte aperta sul paesaggio, che da questo si differenzia per il grado di artificialità e di disegno dello spazio aperto. Lo spazio non ha il carattere pubblico di una piazza, non è direttamente attraversabile; ha un valore contemplativo, e allo stesso tempo è uno spazio domestico, un prolungamento delle logge. Tutti gli elementi funzionali infatti sono portati al di fuori: la strada curva che segue la sagoma dell’edificio, per esempio, e gli ingressi alle scale. Come a Rotterdam, questa corte giardino non è direttamente accessibile dagli appartamenti, ma non c’è nemmeno quella commistione tra verde pubblico e privato che causa nei progetti di Oud una eccessiva intimità domestica. Il grande parco nel blocco centrale della siedlung, intimo cuore del quartiere, è allo stesso tempo anche collettivo e rappresentativo; infatti 141 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 142 è il luogo dove si svolge la annuale festa del lavoro, manifestazione che esalta i valori morali, spirituali e fisici di chi vi abita. La disposizione a corte di Berlino Britz quindi contiene una doppia valenza, perfettamente in equilibrio tra la sfera dell’intimità domestica e quella della rappresentatività collettiva: “Le stesse case, qui, smettono per la prima volta di esserlo in senso individuale, non sono più nemmeno singoli blocchi, ma l’architettura piuttosto è qui l’espressione di un lavoro collettivo per la soluzione del problema della casa. Ciò che un tempo si chiamava facciata di una casa, si estende qui per più di 300 metri, ed il concetto stesso di facciata si è trasformato in una forma che tiene insieme il tutto, e che mostra il meglio della tecnica abitativa, e il più sano, con semplicità”68. La siedlung di Britz viene anche esaltata dalla Gehag come esempio di razionalizzazione della costruzione, che permette di contenere notevolmente i costi. In realtà non c’è ancora un’introduzione consistente di macchine nel processo costruttivo, né l’introduzione di B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 tecniche nuove basate sulla prefabbricazione; c’è una tipizzazione degli alloggi, l’utilizzazione di carrelli su rotaia per trasportare i materiali, ma la costruzione è in mattoni, con tecniche quasi tradizionali. La distribuzione degli alloggi invece è notevolmente razionalizzata, con disimpegno che distribuisce tutti i locali, doppio affaccio e dimensioni generose per servizi e cucine. Le successive siedlungen berlinesi seguiranno la strada, oltre che della razionalizzazione costruttiva, anche della serialità urbana, abbandonando definitivamente le forme chiuse per seguire una logica ripetitiva del blocco in linea. Ma anche Britz non definisce una regola di disegno urbano fondato sulla costruzione perimetrale; la disposizione a corte del blocco centrale è un fatto eccezionale, ed intorno ad esso si organizza il resto del quartiere in forma più aperta. Per questo possiamo parlare di Britz come di una siedlung di transizione tra due modi di concepire lo spazio urbano, che nel progetto di Taut convivono in equilibrio dinamico. Un caso, invece, in cui a Berlino viene proposta la forma chiusa come regola per il disegno urbano, è la serie di progetti per i terreni a sud di Schönberg, una grande area a soli 3 chilometri da Potsdamer Platz che rimane inedificata per tutti gli anni Venti. Su questa area si succedono diverse proposte, legate alle vicende urbanistiche, tra cui il progetto di Bruno Möhring del 1911, basato sulla suddivisione in isolati e sulla costruzione perimetrale, che non definisce però un tipo urbano preciso e ripetuto, e il progetto redatto da Otto Bartning nel 1927 su richiesta dello stesso Wagner, che sembra più interessante per la chiarezza nell’espressione del tipo a corte. L’urbanizzazione dell’area prevista da Bartning, infatti, si fonda su un tipo di isolato di grandi dimensioni, racchiuso da un edificio di 4 piani e attraversato longitudinalmente da una strada secondaria rispetto alla viabilità principale. In pratica la corte è definita da due 143 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 144 corpi a C contrapposti, divisi da una strada alberata che da alcuni disegni sembrerebbe un percorso pedonale, mentre le linee di traffico, automobilistico e tranviario, sono collocate tra un isolato e l’altro, e in alcuni casi raggiungono i 40 metri di ampiezza. La corte, destinata a giardino, ha dimensioni che vanno da 14.000 a 18.000 m2, e quindi paragonabili alla corte centrale di Britz: anche qui la disposizione a corte permette di racchiudere pezzi di paesaggio naturale; in questo caso però risulta attraversabile con una sorta di tracciato secondario sovrapposto a quello stradale, con un carattere pedonale, lento e naturalistico, forse poco domestico. Nel progetto di Bartning viene quindi proposto il blocco chiuso come regola generale di urbanizzazione, ma la forma è irregolare. Il tracciato basato sulla maglia rettangolare viene distorto, per seguire le irregolarità dell’area e mantenere la continuità degli assi principali, per cui l’edificato si adatta rigidamente alle linee delle strade, definendo corti dalla forma sempre diversa. Il principio di costruzione rimane sempre lo stesso, però, generalizzando la soluzione della O. Bartning, quartiere di Schöneberg, Berlino, 1927. IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 corte semi-chiusa di grandi dimensioni introdotta a Britz da Taut ed introducendo il dato innovativo dell’attraversabilità, non funzionale agli ingressi, ma rispondente ad una logica di percorsi urbani nel verde. O. Bartning, quartiere di Schöneberg, Berlino, 1927. In questa rassegna di progetti e realizzazioni abbiamo evidenziato come, nel periodo degli anni ’10 e ’20 del novecento, in molte città europee venga messo a punto un tipo urbano basato sulla disposizione a corte per la residenza di massa; ereditando il classico modo di urbanizzazione fatta da isolati e costruzione perimetrale, vengono introdotte nuove qualità legate, oltre che alla razionalizzazione dell’alloggio, anche all’invenzione di un nuovo tipo di spazio interno collettivo. Nei vari esempi, analizzati cercando di cogliere le logiche progettuali, si è visto che vi sono grandi differenze nel modo di trattare questo spazio; dalla corte privata e inaccessibile, 145 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 146 al giardino-parco attraversabile. Spesso questa caratteristica ha delle conseguenze sia sulla disposizione dell’alloggio e degli ingressi, sia sullo spazio urbano. Ciò che rimane costante è la concezione di fondo della forma della città e dei suoi elementi, che non vengono messi in discussione radicalmente, ma pazientemente innovati. Possiamo trovare delle analogie tra la costruzione di questo tipo urbano e quella che Gravagnuolo definisce la linea di pensiero che vede la tradizione come principio di progresso, parallela alle esperienze “ufficiali” di progettazione urbana del novecento: “[...] filo mentale contraddistinto dalla scelta di fondo di operare nel senso di una continuità con i processi di costruzione storica delle città; filo che lega insieme le esperienze teoriche e progettuali di architetti di varie generazioni e di diverso orientamento ideologico”69. In questo ambito prevale il tema della tradizione sulla mitologia del nuovo, cara alle avanguardie antipassatiste. “La predisposizione mentale a ritessere i fili della memoria, rivitalizzandoli con nuove pulsioni progettuali, trova riscontro in un metodo di progettazione urbana consapevolmente fondato su un procedimento autoanalitico; un metodo che tende a ritrovare all’interno dell’evoluzione storica dell’architettura delle città non solo gli strumenti e le tecniche, ma la stessa ragion d’essere della costruzione dello spazio collettivo”70. In questo senso l’avanzamento disciplinare si attua a partire da un dato risultato, che in architettura è il fatto costruito con tutta la sua evidenza, in positivo e in negativo. “Il ricorso alla memoria diventa così una sorta di ideale staffetta storica, di work in progress che muove dalla predisposizione a valutare criticamente il già-costruito. In fin dei conti è solo un ragionevole criterio di economia mentale, che si oppone allo spreco di ricominciare sempre da capo, alla presunzione di inventare velleitarie soluzioni ex novo a IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929 problemi che hanno alle spalle una lunga catena di pensiero”71. Aggiungiamo che questo discorso vale in particolare per l’abitare, in cui il dato di permanenza ha una netta superiorità sul dato di variazione: proprio per questo l’innovazione introdotta dal tipo urbano a corte, a prima vista minima, è una variazione sostanziale nei modi di costruire la residenza collettiva, e rappresenta un’esperienza riconoscibile, come abbiamo cercato di dimostrare. 147 J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931. V. Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa La definizione di un nuovo linguaggio urbano La sperimentazione attuata sulla disposizione a corte nei progetti di residenza collettiva, attraverso le numerose realizzazioni che abbiamo analizzato, subisce un improvviso arresto a partire dal 1929; da questo anno di svolta la forma chiusa non solo scompare quasi completamente da tutti i nuovi quartieri, ma viene anche criticata fortemente, e da varie parti, nel dibattito teorico europeo e internazionale. Non sembra esserci una spiegazione logica a questo cambiamento, e nemmeno un motivo unico, quanto piuttosto una convergenza di motivazioni diverse, favorite anche da una serie di coincidenze storiche. La crisi economica mondiale del 1929, per esempio, iniziata con il crollo della borsa di New York ma con ripercussioni poi in tutta l’Europa, ha interrotto un periodo di ottimismo e fiducia nell’avanzamento lineare del progresso, e di conseguenza nella crescita illimitata delle città, nel progressivo miglioramento delle condizioni di vita urbana. Negli ambienti di ricerca architettonica nasce l’esigenza di trovare un approccio più scientifico alla costruzione di case, una soluzione che avvicini il problema della costruzione della città ai metodi di produzione industriali, basati sulla tipizzazione degli elementi, sulla serialità e sulla ripetizione; metodi che consentono di contenere al massimo i costi di costruzione in un periodo dominato dall’incertezza economica. Estendendo il procedimento di ripetizione di un elemento tipo considerato ottimale dall’alloggio all’aggregazione degli alloggi, che prende forma nel blocco edilizio in linea, viene impostata una modalità di progetto che si distanzia radicalmente 149 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 150 dall’esperienza storica di costruzione della città: la ripetizione del blocco in linea, orientato in modo ottimale rispetto all’irraggiamento solare, presuppone un rifiuto dei concetti spaziali tradizionali di strada e isolato, di spazio interno ed esterno in favore di una libera e isotropa disposizione dei volumi sul suolo urbano. Numerosi studiosi, come Carlos Martí, stanno cercando di confutare la tesi della tabula rasa, della rottura con la storia imputata genericamente agli architetti moderni: “Nel corso degli ultimi anni hanno proliferato gli attacchi contro l’architettura moderna basati, precisamente, sul rifiuto dei modelli urbani che quella, presumibilmente, avrebbe generato. In questo contesto, le proposte dell’architettura moderna sono viste come pura negazione o semplice rifiuto delle forme storiche della costruzione della città. [...] l’idea di città che in quelle proposte è implicita non ha origine da una tabula rasa concettuale rispetto alla tradizione urbana, ma, al contrario, definisce una fitta rete di rimandi, a volte sottili, spesso forti e palesi, che la vincolano con la cultura storica della città. Tale questione è importante poiché con frequenza si utilizza l’argomento della rottura con la storia come prova per incolpare l’architettura moderna di tutte le miserie della città contemporanea. [...] Quello con cui rompe l’architettura moderna è l’eredità della città ottocentesca e questa rottura è, a sua volta, un intento di ricomporre i legami con la tradizione positiva della costruzione della città”72. Tuttavia non possiamo non evidenziare che negli anni ’30 e ’40 le proposte e le realizzazioni della cultura architettonica ufficiale sono caratterizzate da un desiderio di rinnovamento radicale delle modalità del progetto urbano, alla ricerca di una spazialità nuova e più consona alla città moderna; questa innovazione, a volte giustificata con motivazioni ideologiche, presuppone il rifiuto categorico dello spazio V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa P. Mondrian, Composizione in rosso, nero, blu, giallo, grigio, 1920. chiuso della corte per la residenza urbana. Per questo possiamo parlare di abbandono di un tipo urbano, e di una presa di distanza anche da tutte le realizzazioni del ventennio precedente impostate sullo spazio della corte collettiva come luogo rappresentativo della residenza. Il nuovo approccio scientifico predilige una forma lineare, che risponde ad una regola di accrescimento per parti minime, senza il raggiungimento di una configurazione di ordine superiore; esso si oppone così alla forma chiusa, non solo per la definizione di uno spazio delimitato da una disposizione a corte, ma anche in quanto forma conclusa, finita. Si configura una contrapposizione di metodo, ma anche di pensiero tra forma ripetitiva, seriale, in-finita, e forma chiusa, conclusa e finita. Inoltre la regola della disposizione a corte presuppone che vi sia un centro nella composizione urbana attorno al quale si dispone il volume costruito; la costruzione di un centro dal quale dipende l’intorno rimanda ad un sistema gerarchico, simbolo della cultura tradizionale, in cui il valore dello spazio varia rispetto alla posizione. Il vero superamento di questa linea di pensiero avviene attraverso la disposizione lineare, che tende a simbolizzare la forza dinamica e l’aspirazione egualitaria della società moderna. “La forma lineare presuppone l’assenza di gerarchia e favorisce l’equivalenza delle condizioni per tutti gli elementi che configurano una struttura. Proprio per questo diventa uno dei fondamenti dell’architettura residenziale del Movimento Moderno. Lo schema lineare è il più congruente con il principio di ripetizione di un elemento e con la ricerca di una serie basata su una legge costante”73. La ripetizione degli elementi base secondo una regola costante passa attraverso un processo di scomposizione della forma e delle funzioni; per riproporre un nuovo ordine urbano è necessaria un’opera di smontaggio dell’ordine esistente, 151 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 152 di separazione e isolamento delle unità minime di significato. Questa operazione, nell’atto per esempio di separare gli isolati residenziali dalla rete stradale, di distinguere la rete dei traffici veicolari da quella dei percorsi pedonali, le zone dei negozi dalle abitazioni, per ripresentarli con una nuova organizzazione più razionale e geometrica, ha evidenti analogie con il processo di costruzione di un nuovo linguaggio urbano, o meglio una nuova sintassi, peraltro già anticipata nel campo delle arti figurative da artisti come Mondrian o Klee. Non si può negare che in tutto ciò vi sia un desiderio eversivo di innovazione radicale, di ricominciare “da capo” facendo tabula rasa delle forme urbane ereditate dal passato e disponendo sulla nuova griglia razionale ed egualitaria i pezzi scomposti della città, unico lascito della storia, ma utilizzati solo dopo un’attenta opera di isolamento e depurazione. Questo atteggiamento mentale, diventato presto ideologico, è sfociato in prese di posizione sbrigative contro la città storica e i suoi spazi, come la strada corridoio, la piazza, gli isolati densi senza aria e luce; ma nella generalizzazione sono state incluse anche tutte le esperienze del ventennio precedente, basate sulla grande corte collettiva, che avevano razionalizzato la forma storica, e per questo più vicine alla modernità che al passato. Il tipo urbano a corte, quindi, viene rifiutato a priori; viene abbandonata tutta l’esperienza dei quartieri costruiti seguendo la logica dell’isolato, dello spazio racchiuso dall’edificato che definisce un interno e un esterno, metodo radicato in una concezione classica di spazio urbano, anche se tutte le istanze riguardanti la razionalizzazione degli spazi dell’abitare erano già state abbondantemente accolte. È possibile individuare questa svolta anche all’interno del lavoro degli stessi architetti, portatori all’improvviso di un rinnovamento radicale. Per esempio, nel progetto di Blijdorp a Rotterdam, del 1931, Oud propone una serie J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931. di blocchi in linea paralleli, disposti lungo l’asse est-ovest, distanziati da un’area a giardino e una strada di servizio. La distanza con i progetti di Spangen e Tusschendijken è evidente; l’unità minima del disegno urbano non è più l’isolato a corte, ma il blocco in linea. Non c’è più uno spazio domestico racchiuso e separato dalla strada, anche se il giardino adiacente alla facciata sud è chiuso sui lati corti da edifici bassi destinati a residenza per gli anziani. L’edificio però risulta visibile su tutti i lati, è definitivamente un oggetto isolato nello spazio, non definisce un dentro e un fuori, semmai un fronte e un retro; e le differenze, a parte l’affaccio a sud e a nord, e la presenza o meno dei balconi, non sono molte: l’accesso alle scale avviene da tutti e due i fronti, ed entrambi i lati affacciano su un giardino, il proprio verso sud, quello del blocco adiacente verso nord. In questo senso la strada, come elemento separatore di ambiti distinti, scompare, così come scompaiono i locali commerciali al piano terra. In generale tutta la situazione dell’architettura 153 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 154 olandese vive una svolta repentina e segnata dalla rottura con il passato; Francesco Dal Co evidenzia la concomitanza di diversi fatti: “Il 1929-1930 è uno di quegli anni durante i quali l’accumulazione storica subisce una brusca accelerazione. Nel caso dell’architettura olandese, essa coincide con una svolta accentuata. Si chiude, alla fine degli anni Venti, una stagione irripetibile, tra le più felici vissute dalla cultura e dall’architettura d’avanguardia. [...] Alcuni protagonisti rimangono ancora sulla scena, ma la loro presenza non è affatto garanzia di tranquillizzanti continuità. [...] Come tradizione ne discuterà la cultura architettonica degli anni Trenta, i quali sono introdotti da un groviglio di avvenimenti singolarmente significativo e, per alcuni aspetti, premonitore”74. Nel 1929 infatti viene terminata la fabbrica Van Nelle a Rotterdam, ad opera di Brinkman e Van der Vlugt, esito dimostrativo della ricerca razionalista europea; viene completata la costruzione del quartiere di Kiefhoek, manifesto avanguardistico e tappa di svolta nella carriera di Oud. Ma soprattutto nel 1929 Cornelis van Eesteren riveste la carica di architetto-capo della Divisione urbanistica del comune di Amsterdam, diventando il maggior protagonista della scena olandese e giungendo alla stesura del piano urbanistico di Amsterdam, approvato nel 1935. Tale piano sancisce il definitivo abbandono del modello chiuso a favore del sistema aperto per la costruzione dei nuovi complessi residenziali; i quartieri di dimensioni omogenee, per uno sviluppo complessivo di 250.000 abitanti, sono organizzati con un’edificazione in linea, suddivisa in vari settori lineari diversificati per tipi edilizi, disposti con rigida continuità e regolarità su vaste aree. Un altro caso significativo è il concorso bandito nel 1933 dal comune di Amsterdam per la progettazione di nuove tipologie residenziali, il Goedkoope arbeiderswoningen (GAW)75. Van Tijen, urbanizzazione Amserdam, 1930. di Indischebuurt, V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa Van Tijen, progetto per il concorso GAW, Amsterdam, 1933. Su un’area regolare, dalle proporzioni quasi quadrate, 300 x 240 metri, si confrontano le soluzioni degli architetti più attivi nel campo residenziale; il risultato è una gamma molto ampia di progetti che conferma la dicotomia esistente tra blocco a corte e blocco isolato, anche se solo quattro progetti tra i selezionati presentano la soluzione a corte chiusa, mentre la maggior parte, tra cui quelli premiati, sviluppano le nuove potenzialità organizzative del quartiere “aperto”. In particolare il progetto di Van Tijen, vincitore del primo premio, suddivide l’isolato con una serie di blocchi con poche variazioni solo ai margini del lotto, del tutto contingenti; gli edifici però, anche se perfettamente equidistanti, sono raggruppati simmetricamente due a due ai lati di un grande giardino su cui affacciano le zone giorno, soluzione che Van Tijen aveva già sperimentato nel 1930 per l’urbanizzazione di Indischebuurt. I “retri” invece affacciano su una strada senza uscita, di servizio agli ingressi delle scale. Inoltre i blocchi sono uniti, solo su 155 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 156 un lato, da un corpo basso che chiude il giardino; in questo modo si configura ancora una specie di corte chiusa su tre lati, e quindi protetta e nascosta dalla strada. In questa chiave di lettura i blocchi, accorpati due a due, sono i lati lunghi di un classico isolato, che all’interno racchiude un giardino dal carattere domestico, mentre all’esterno definisce lo spazio della strada. Anche se l’immagine che domina il quartiere è quella del blocco residenziale funzionalista, permangono ancora logiche di organizzazione dello spazio legate alla disposizione a corte. Non si può dire la stessa cosa del progetto di Bodon, Groenewegen, Karsten e Merkelbach, vincitore del secondo premio: qui il blocco mantiene costantemente lo stesso orientamento, Bodon, Groenewegen, Karsten e Merkelbach, progetto per il concorso GAW, Amsterdam, 1933. Van Den Broek, progetto per il concorso GAW, Amsterdam, 1933. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa Progetti per il concorso GAW: Stuyt, Bakker, Kray, Hamerpagt, Amsterdam, 1933. e lo spazio definito tra un edificio e l’altro è organizzato in modo simile al progetto di Blijdorp di Oud. La sequenza è sempre edificio, giardino e strada; non vi sono simmetrie che possano far riconoscere uno spazio chiuso, anche se questo giardino è sempre delimitato da corpi bassi posizionati in testata ai blocchi. Le stesse considerazioni si possono fare per il progetto quarto classificato, di Van Den Broek, il quale introduce una variante importante, che coinvolge la scala del quartiere nel suo insieme: l’intera area, considerata come un enorme isolato, viene circondata su tre lati da un tipo di edificazione che rimanda alla scala della città, con un respiro più metropolitano. Sul lato nord quattro alti edifici lamellari disposti a pettine rispetto alla strada, per esempio, e sul lato est un lungo e continuo fronte di quattro piani, chiudono il quartiere come a proteggere un interno più legato alle dinamiche della residenza, dove possono dispiegarsi liberamente i blocchi isolati, da un esterno pubblico, caotico ed estraneo. Possiamo quindi riscontrare che il modo della disposizione a corte in questo progetto ha fatto un salto di scala; tuttavia le tipologie urbane utilizzate segnano indiscutibilmente una rottura con gli spazi definiti da una classica tipologia urbana a corte, come invece ancora propongono i progetti di Hamerpagt, di Stuyt, di Kray e di Bakker, non premiati perché evidentemente 157 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 158 considerati superati. Anche in ambito tedesco si avverte lo stesso clima di svolta verso una spazialità più aperta, libera dai condizionamenti dell’isolato stradale. Le siedlungen berlinesi, dopo la costruzione di Britz, vanno in questa direzione: Siemenstadt, per esempio, del 1929, nonostante il lungo edificio curvo che definisce lo spazio della strada, è dominata dal blocco isolato, elemento regolatore dell’impianto; il blocco lineare domina anche il disegno di Haselhorst, di Hinsch e Deimling del 1929. Ma pure Dammerstock a Karlsruhe, nella versione realizzata del 1929, vede scomparire qualsiasi modalità di disposizione a corte. In generale, come abbiamo già notato, alcuni studiosi mettono in guardia da facili schematizzazioni sul tema tanto variegato delle siedlungen tedesche: “Come altri prodotti del moderno, queste sono state lette in modo anche molto differenziato: risultato per sommatoria degli studi analitici e delle innovazioni tipologiche per la cellula di abitazione; variazioni sul tema della città giardino; esito schematico della edificazione a blocco aperto e della regola dell’asse eliotermico. Le siedlungen vengono spesso considerate tra i capostipiti dei quartieri di edilizia pubblica costruiti nelle città europee anche nel secondo dopoguerra e, in una certa misura, come matrici della estraneità dell’urbano propria della maggior parte di questi interventi. Tali letture, in realtà ben più articolate e complesse di quanto siano qui schematizzate, sono tuttavia in genere riferite a sistemazioni storiografiche, a quadri tendenzialmente conclusi”76. Ci sembra tuttavia lecito parlare di una tendenza generalizzata, supportata da motivazioni comuni, a trovare una disposizione alternativa a quella a corte per i quartieri residenziali, sperimentando soluzioni radicalmente nuove. Talvolta questa volontà è anche molto esplicita, come nel caso di Ernst May: nella sua famosa tavola egli illustra il processo di trasformazione H. Scharoun, W. Gropius, siedlung Siemensstadt, Berlino, 1929. Hinsch e Deimling, siedlung Haselhorst, Berlino, 1929. W. Gropius, siedlung Dammerstock, Karlsruhe, 1929. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa E. May, fasi di evoluzione dell’isolato urbano di Berlino, 1929. E. May, siedlung Bornheimer Hang, Francoforte, 1926. dell’isolato urbano (in quel caso di Berlino) come un’evoluzione naturale verso il sistema di edificazione in linea, fine ultimo di un’architettura egualitaria, che posiziona tutti gli edifici con lo stesso ottimale orientamento. In questo schema non compare la tappa fondamentale che abbiamo illustrato nel capitolo precedente, quella dell’isolato con la corte collettiva, che ha costruito interi quartieri negli anni ’10 e ’20. E in realtà May, nell’esperienza di Francoforte, giunge alla configurazione più astratta e razionale solo con la siedlung Westhausen, del 1929. 159 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 160 Ritorna ancora questo anno di svolta; infatti nei quartieri costruiti precedentemente come Bornheimer Hang o Bruchfeldstrasse, entrambi del 1926, compaiono ancora come regola di disegno urbano non solo la disposizione a corte, ma anche configurazioni decisamente chiuse. Nel primo, un grande isolato racchiude una corte di 32.000 m2; all’interno una strada, su cui sono attestati bassi edifici disposti a pettine, attraversa la corte longitudinalmente. Questo modo di definire un interno protetto destinato alla residenza a bassa densità ricorda il progetto di concorso per la grande Berlino di Möhring, Eberstadt e Petersen del 1910. In Bruchfeldstrasse invece viene completato un isolato esistente, chiudendo su tre lati una corte giardino collettiva di 6.800 m2. In altri progetti, come nella siedlung Praunheim del 1926 e Römerstadt del 1927, anche se scompare la corte collettiva per la bassa densità E. May, siedlung Bruchfeldstrasse, Francoforte, 1926. E. May, siedlung Praunheim, Francoforte, 1926. E. May, tipologie con affacci a nord, Francoforte, 1926. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa E. May, siedlung Westhausen, Francoforte, 1929. che le caratterizza, le schiere di case sono organizzate in modo da definire un interno, destinato a giardini privati e orti, e una strada, fronteggiandosi quindi in modo simmetrico per riproporre la logica dell’isolato. Le strade così disegnate, inoltre, curvano liberamente, seguendo la conformazione del terreno, e le case le seguono cambiando orientamento. Proprio per questo tra le varie tipologie messe a punto da May c’è anche quella con esposizione principale a nord. Solo con la siedlung Westhausen May cambia rotta e perviene ad una applicazione precisa, logica e astratta dei principi razionali illustrati nel suo schema; qui ogni riferimento ad una disposizione a corte scompare, e così anche il riferimento spaziale alla strada, e l’unico elemento della sintassi urbana rimane il blocco isolato, accostato e ripetuto per garantire il massimo “scientifico” di qualità, in termini di esposizione, aria e verde. La scomposizione di una forma urbana chiusa in una forma aperta e in-finita è avvenuta; si aprirà in seguito la questione dell’identità degli spazi, nella situazione di difficoltà effettiva di fondare le differenze seguendo un metodo seriale che tende ad annullarle. Il 1929 quindi è un anno di svolta, che sancisce la scomparsa della forma a corte dai progetti e dalle realizzazioni più innovative; la coincidenza di motivazioni e forme nuove tra diversi architetti in diversi luoghi è dovuta anche alla internazionalizzazione del dibattito sulla residenza, iniziata con la costruzione della Weissenhofsiedlung a Stoccarda nel 1927, e culminata con la fondazione dei CIAM nell’anno successivo. È proprio nei lavori dei primi congressi internazionali che si elaborano e si teorizzano i nuovi principi sulla costruzione della residenza, e si affermano le idee radicali di personaggi influenti come Gropius e Le Corbusier. Se nel II CIAM, tenutosi a Francoforte nel 1929, gli sforzi si concentrano sull’alloggio, attraverso 161 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 162 l’analisi comparativa dei presunti dati scientifici della distribuzione e del dimensionamento degli ambienti della casa, alla ricerca del “livello minimo di vita”, nel III congresso, a Bruxelles nel 1930, il metodo analitico-comparativo è applicato all’organizzazione del quartiere. Avviene un salto di scala, e la scomposizione interessa ora gli elementi urbani, che vengono riproposti come volumi in uno spazio isotropo, con rapporti proporzionali auspicabili e distanza ottimale tra i blocchi edilizi. La qualità dello spazio racchiuso della corte non viene nemmeno presa in considerazione: la scena è dominata dalle idee sulla costruzione in linea di Gropius, con la sua riflessione su “Case basse, medie e alte”. È evidente che questa era l’occasione per Gropius di teorizzare le esperienze fatte con la costruzione di Dammerstock e Siemenstadt, ma anche con il significativo progetto del 1929 di grosssiedlung: lo spazio della strada è definito da corpi bassi destinati ad ospitare attività commerciali, mentre i blocchi residenziali sono disposti a pettine, tutti rigorosamente con lo stesso orientamento. W. Gropius, progetto di grosssiedlung, 1929. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa Le Corbusier, tavola comparativa, III CIAM, Bruxelles, 1930. L’ulteriore passaggio di scala dal quartiere alla città avviene con il IV CIAM del 1933; van Eesteren, presidente dei CIAM dal 1930, scompone in quattro funzioni l’unità del corpo urbano costruito (abitare, lavorare, ricrearsi e circolare), fornendo l’indicazione metodologica per la nuova urbanistica funzionale; Le Corbusier chiarisce ulteriormente il metodo, promuovendo la stesura della “Carta di Atene”, definitiva formulazione di città funzionale che sottintende il modello urbano della sua Ville Radieuse. In quest’ultima scompare qualsiasi riferimento alla forma chiusa, che lo stesso Le Corbusier aveva proposto dieci anni prima nel progetto della Ville Contemporaine de 3 Millions d’habitants; lungo il suo perimetro, infatti, questa città utopica era costruita con una serie di Immeuble Villa disposte regolarmente a definire strade e corti interne. Prima di affermare “Il faut tuer la rue corridor!”, prima cioè che la battaglia contro la strada e la forma chiusa diventasse ideologica, anche Le Corbusier aveva sperimentato quindi le possibilità che l’isolato a corte offriva di 163 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 164 racchiudere uno spazio collettivo e di isolarlo dalle funzioni pubbliche della metropoli. Nella prima versione del progetto, del 1922, le dimensioni della corte, di 25 x 120 metri, sono piccole in rapporto all’altezza di circa 9 piani: le proporzioni e la superficie della corte, di circa 3.000 m2, sono simili a quelle di Tusschendijken di Oud, costruita solo due anni prima, che aveva però un’altezza inferiore alla metà di quella dell’Immeuble Villa. Forse per questo motivo le terrazze-giardino a doppia altezza, vero dato innovativo di questo progetto, sono rivolte verso l’esterno, mentre verso l’interno della corte sono collocate le strade ballatoio di distribuzione. Nella seconda versione del progetto, del 1925, abbiamo invece un’inversione nella pianta, per cui le logge sono orientate verso l’interno della Le Corbusier, Immeuble Villa, 1922. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa Le Corbusier, Immeuble Villa, 1925. 165 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza corte che, grazie alla notevole dilatazione delle dimensioni, si configura come un grande giardino verde, di 45.000 m2, con funzioni di servizio e di svago collettive. Le potenzialità di questa enorme corte collettiva sono però rimaste sulla carta. Nonostante lo stesso Le Corbusier abbia sperimentato negli anni ’20 la disposizione a corte per la residenza collettiva, dunque, mediante i lavori dei CIAM di Bruxelles nel 1930 e di Atene nel 1933 viene fondato un metodo progettuale che conferma la costruzione a blocco come il modello più corretto per la città moderna; allo stesso tempo viene rifiutata esplicitamente la strada corridoio perché rimanda ad un modo antico e malsano di progettare le città, e con essa anche la forma chiusa ottenuta con la disposizione a corte dei volumi nell’isolato. Dilatazione della forma chiusa, chiusura della forma aperta 166 È noto che il modello di città funzionale messo a punto con la “Carta di Atene” si sia prestato ottimamente ad una banale semplificazione nel periodo della ricostruzione post-bellica, e che il suo utilizzo indifferenziato e diffuso in tutte le città europee ha accentuato i difetti della forma aperta, in particolare per quanto riguarda la difficoltà di dare forma ad uno spazio pubblico rispondente a modi radicati di vita urbana, e di definire spazi collettivi in grado di interpretare il senso di identità dei quartieri. La cultura architettonica “ufficiale”, espressa dai congressi internazionali, non è rimasta indifferente all’evidente fallimento del modo scientifico e astratto di costruire i quartieri residenziali basati sul blocco in linea, registrando, a partire dal VI CIAM di Bridgewater del 1947, un mutato stato d’animo e una nuova serie di istanze progettuali. Sono soprattutto gli architetti delle nuove generazioni ad introdurre V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa temi di discussione inediti, legati non solo ai bisogni materiali, ma anche alle attese “emotive” dell’uomo, con tutte le conseguenze sulla conformazione dello spazio urbano. Riemerge, dopo essere stato cancellato, il lato estetico, irrazionale, simbolico della progettazione, insieme ad un tentativo di considerare la vita dell’uomo nella sua interezza, nella sua complessità; questo implica la necessità di pensare alla residenza insieme alle altre funzioni della vita, in un quadro più ampio che abbraccia il senso profondo dell’abitare la città, al di là del semplice vivere in un quartiere residenziale. Gli studi riguardanti la scala umana vengono supportati da una nuova componente sociologica, che cerca di individuare i principi di aggregazione delle persone, i modi di fruizione dello spazio pubblico e privato, i meccanismi di identificazione in un luogo. Questa tendenza è favorita anche da un riavvicinamento alle problematiche e agli spazi dei centri storici delle città che, dopo le ingenti distruzioni causate dai bombardamenti bellici, diventano un’occasione di verifica progettuale particolarmente propizia, ma inattesa. “Relegati per decenni ad operare in periferia, gli architetti moderni devono ora affrontare la questione del centro, con tutto il suo complesso groviglio di radicati valori simbolici nei quali la collettività residente si identifica ed alla cui appartenenza non vuole rinunciare nel nome dei freddi dettati della pura funzionalità. Ne deriva una prima crisi delle certezze d’acciaio dell’anteguerra, che apre divergenze di opinioni all’interno degli stessi membri dei CIAM”77. Tutta questa serie di nuove questioni sfocia nel VIII CIAM, tenutosi a Hoddesdon nel 1951, che ha come tema “Il cuore della città”; nella pubblicazione ufficiale, in lingua inglese, oltre al termine heart è usato spesso il termine core, più enigmatico, che rimanda ad un senso di centro, fisico e simbolico allo stesso tempo. In questo congresso sono numerosi i rimandi alla città 167 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 168 storica e ai suoi luoghi di identificazione della collettività, al suo ruolo di accentramento delle funzioni urbane complementari alla residenza; core della vita associata, la funzione che svolge la città storica è vista quindi come parte irrinunciabile della vita dell’uomo, e il tentativo è quello di trovare nuove configurazioni spaziali che riproducano dinamiche simili. È su questi temi che le nuove generazioni di architetti impostano la critica alla città funzionalista degli anni ’30: “l’urbanistica considerata e sviluppata nei termini della Carta d’Atene tende a produrre città nelle quali le forme associative dell’uomo sono espresse in modo inadeguato”78. Sono quindi gli spazi pubblici la grossa carenza delle proposte precedenti, ed è interessante notare che Sert, per esempio, presidente dei CIAM all’epoca del VIII congresso, cerchi nella formazione delle antiche città elleniche il principio di costruzione dello spazio pubblico citando una riflessione del filosofo Ortega y Gasset: “So, the urbs or the polis starts by being an empty space, the forum, the agora, and all the rest are just a means of fixing that empty space, of limiting its outlines. The polis is not primarily a collection of habitable dwellings, but a meeting place for citizens, a space set apart for public functions. [...] the Greco-Roman decides to separate himself from the fields, from Nature, from the geo-botanic cosmos. How is this possible? [...] he will mark off a portion of this field by means of walls, which set up an enclosed finite space over against amorphous, limitless space. Here you have the public square”79. Parlando del nuovo compito di recentralisation nel processo di costruzione delle città, Sert riconosce che “these areas require a special treatment that previous city planning studies have never dealt with”80. In ogni caso questi spazi, sempre esistiti nelle città europee, necessitano di una riformulazione, in sintonia con i nuovi bisogni della società: “we still believe that the places of public gatherings such as public S. Steinberg, Galleria Vittorio Emanuele di Milano, 1951. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa J. B. Bakema, quartiere residenziale, Pendrecht, 1951. squares, promenades, cafés, popular community clubs, etc, where people can meet freely, shake hands, and choose the subject of their discussion, are not things of the past and, properly replanned for the needs of today, should have a place in our cities”81. Il principio di delimitazione di uno spazio racchiuso è associato allo spazio pubblico per eccellenza, la piazza, e non è accostato all’idea domestica di residenza. Tuttavia non si può negare che da questa riflessione emerga un’associazione tra l’atto di racchiudere un centro e il senso di collettività di chi contribuisce a questa azione, anche in senso fisico. Possiamo riscontrare quindi una coincidenza della forma a corte con il processo di identificazione di una comunità, di individuazione di un luogo, di protezione e appartenenza. È proprio in questo senso che vediamo ricomparire l’aggregazione a corte nei progetti dei giovani architetti dei CIAM, tra i quali Jacob Berend Bakema. Partendo da una critica ai quartieri costituiti da gruppi allineati di case a schiera e in linea, come nelle estensioni del nuovo piano di Amsterdam, Bakema propone le “unità residenziali”, elementi minimi dell’organizzazione dell’abitare, costruite su un isolato composto da vari tipi abitativi dotati di negozi di quartiere e disposti intorno a una piazza pubblica. Questa struttura si fonda su un nuovo concetto di urbanistica che prevede un rinnovamento politico nella gestione dei quartieri, dove la forma fisica coincide con le forme di rappresentanza sociale. In altre parole, l’unità residenziale è anche la base per il consiglio di quartiere locale. Tuttavia, nei progetti di Pendrecht II del 1951 e nel quartiere Klein Driene a Hengelo del 1952, l’innovazione introdotta si legge soprattutto a livello di organizzazione spaziale e di variazione tipologica, intesa come composizione equilibrata di tipi alti e bassi. Queste unità minime, disposte 169 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 170 su un isolato di circa 13.000 m2, sono organizzate in una composizione centrifuga, e proprio per questo riconoscono un centro dal quale dipende l’ordine generale. Possiamo parlare quindi di ritorno ad una disposizione a corte, ottenuta attraverso una chiusura della forma aperta; i blocchi in linea e a schiera, prima disposti in rigide configurazioni parallele, ora si piegano verso un nocciolo, un core, e racchiudono uno spazio collettivo centrale; allo stesso tempo dipendono da questo cuore nella loro disposizione. La corte centrale, di circa 1.500 m2, risulta precisamente definita ma molto aperta; la sua spazialità coincide con i modi di costruzione della città funzionale, è libera e attraversabile, piena di luce e di verde; anche se essa non instaura un rapporto diretto con i volumi che la racchiudono, riesce però ad esprimere un senso collettivo e domestico insieme. Inoltre può dirsi a tutti gli effetti un interno, protetto e pedonale, contrapposto all’esterno al di fuori della cortina sfrangiata dei volumi costruiti, dove le strade carrabili separano una unità dall’altra. Il tema della chiusura di schemi di aggregazione aperti è un motivo portante nel lavoro di Bakema, J. B. Bakema, quartiere Klein Driene, Hengelo, 1952. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa J. B. Bakema, Alexanderpolder, Rottedam, 1956. 171 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 172 che sviluppa questa interessante forma di cortepiazza, in bilico tra spazio pubblico e privato, tra domesticità e collettività, tra spazio chiuso e spazio aperto. Possiamo trovarne diverse versioni nei progetti per l’Alexanderpolder del 1956: da una sequenza lineare di corti aperte, a configurazioni più chiuse, dove compaiono anche edifici a corte chiusi su tre lati. In altri casi le corti sono il termine di una strada carrabile senza uscita, con una disposizione che rimanda al close inglese, come nell’organizzazione a grappolo del progetto di Leeuwarden nord, del 1959. In ogni caso viene sempre riconosciuto lo spazio protetto della corte come luogo irrinunciabile della domesticità del quartiere, come atto fondativo dell’abitare, definendolo con gli strumenti moderni del progetto di residenza. Un altro tema che emerge in vari modi nei CIAM del dopoguerra è il nuovo rapporto con la storia dell’architettura, che vede l’inizio di un confronto con il passato senza opposizioni ideologiche, ma anzi considerandolo come strumento utile per il progetto. La predisposizione all’ascolto del passato è peraltro una tendenza diffusa nella cultura architettonica internazionale del periodo, come dimostra l’interesse suscitato da testi come Architectural Principles in the Age of Humanism (1949), di Rudolf Wittkower, o The mathematics of the ideal villa (1947), di Colin Rowe. In linea con questo ritrovato interesse, possiamo leggere il progetto di Alison e Peter Smithson per Golden Lane, del 1952, come un tentativo di ricomporre la frammentazione degli elementi urbani effettuata negli anni ’30 e ’40. In particolare, il loro interesse per lo spazio della strada e il rapporto con la facciata li avvicina alla considerazione della qualità degli spazi in relazione alla loro definizione come interno ed esterno, alla loro vicinanza con gli ingressi alle case, al tipo di affaccio dei prospetti. In realtà i progettisti non propongono chiare organizzazioni a corte ma, negli schemi e nei fotomontaggi, J. B. Bakema, complesso residenziale a Leeuwarden nord, 1959. A. e P. Smithson, progetto per Golden Lane, Londra, 1952. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood Gardens, Londra, 1966. il volume costituito da una sovrapposizione verticale di “strade” piega liberamente a definire degli ambiti spaziali più chiusi, svincolandosi dalla regola dell’orientamento solare. Il tema della strada ballatoio trova la sua combinazione con l’aggregazione a corte nel progetto per Robin Hood Gardens, realizzato a Londra nel 1966. Due lunghi edifici definiscono un’area interna destinata a giardino, mentre i ballatoi, strade sovrapposte d’accesso alle case, sono posizionati verso l’esterno. “The theme of Robin Hood Gardens is protection. To achieve calm centre, the pressures of external world are held off by the buildings and outworks. This is effected, as near to the source of noise as possible, by the first layer of a boundary wall. Noises that penetrate this layer to the access decks along the outer facades are diffused by more domestic noises. The access decks are separated from the habitable rooms by the individual entrances and stairs so that this internal circulation acts as a further insulation to the bedrooms. These bedrooms have windows on the inner facade overlooking the quiet of the protected 173 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 174 garden”82. In questo grande isolato quindi viene attuata un’azione di chiusura, di protezione, anche se solo su due lati; per questo possiamo parlare di dilatazione della forma chiusa, con uno spazio interno di 10.000 m2 separato nettamente da un esterno pubblico, caotico e rumoroso. In una sezione schematica i progettisti chiariscono che i due affacci sono destinati ad ospitare diverse attività della sfera domestica; all’interno tutto ciò che concerne la quiete e il riposo, come le camere da letto, all’esterno tutto ciò che è rumoroso, come i soggiorni. Questi sono visti come cuore sociale dell’appartamento, luogo del ricevimento di amici, del divertimento, dello svago e della televisione. Per questo motivo la grande corte interna, definita a ritagliare uno spazio di quiete nella metropoli, rimanda non tanto a un senso di collettività, ma a una domesticità condivisa; i percorsi di accesso ai ballatoi sono mantenuti all’esterno, per cui il passaggio dalla corte non è obbligato. Inoltre in questo progetto viene introdotto in modo rilevante il tema dell’accesso carraio al complesso residenziale, diventato preponderante rispetto a quello pedonale, e ai relativi spazi per le autorimesse. Considerando inquinante e rumoroso tutto ciò che riguarda l’automobile, i progettisti collocano le strade di servizio all’esterno e in trincea, nascondendo le autorimesse nel piano interrato dell’edificio e lungo i margini del lotto. Il carattere tecnico A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood Gardens, Londra, 1966. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood Gardens, Londra, 1966. e di servizio dello spazio per l’automobile, che occupa tutto il piano terra attorno agli edifici, contrasta con quello pubblico e collettivo delle strade ballatoio in quota; la sensazione è quella di aver perso il contatto con il suolo pubblico esterno, e di conseguenza con la città, e che tutto il complesso sia un rifugio intimistico in un giardino artificiale, costruito come pausa dalla vita urbana. In generale possiamo affermare che i progetti di Bakema e degli Smithson sono legati all’elaborazione concettuale emersa nei congressi internazionali degli anni ’50, in particolare Bridgewater, Hoddesdon e Aix-en-Provence; insieme ad altri architetti, essi sono anche i protagonisti della crisi dei CIAM, che porterà al loro definitivo scioglimento nel 1959 a Otterlo. È interessante però notare che, negli stessi anni, la disposizione a corte nei progetti di residenza urbana ritorna, con nuove declinazioni, anche al di fuori dell’ambito dei congressi internazionali. Uno dei casi più significativi in questo senso sembra essere quello di Fernand Pouillon e delle sue realizzazioni nella periferia parigina. 175 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 176 È difficile collocare a prima vista i progetti di Pouillon in un periodo storico preciso; essi sembrano in effetti senza tempo, o meglio sembrano riferirsi ad un tipo di costruzione urbana che ha solide radici nel passato, ma allo stesso tempo alcuni dettagli li riportano con decisione al presente. Ciò dipende sicuramente dalla particolare personalità di questo architettocostruttore, legato agli insegnamenti di Perret e di Beaudouin; ma è anche prova del fatto che ad una riproposizione della disposizione a corte per la residenza collettiva si è giunti da un percorso diverso da quello compiuto nella sede ufficiale dei congressi internazionali. “Egli vive con la cultura architettonica del suo tempo un rapporto decisamente conflittuale. Delle teorie sulla città funzionale non condivide l’enfasi posta sull’edificio residenziale che tende a diventare un sistema complesso autosufficiente a scapito degli elementi dello spazio urbano tradizionale (strade, piazze, isolati). L’affannosa ricerca del nuovo che impegnava negli anni ’50 gli architetti contemporanei non lo interessa e nei suoi progetti dedica una profonda attenzione al rapporto generale fra l’insediamento e il suo contesto all’interno del quale assumono un ruolo fondamentale la costruzione dello spazio aperto F. Pouillon, complesso centrale di Bordj-el-Barhj, Algeria, 1955. F. Pouillon, quartiere Buffalo a Montrouge, Parigi, 1955. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa F. Pouillon, quartiere Buffalo a Montrouge, Parigi, 1955. e le sue relazioni con quello edificato”83. La priorità di Pouillon nella progettazione dei quartieri residenziali è quindi il disegno dello spazio urbano attraverso gli elementi che da sempre lo hanno caratterizzato, senza attuare quella scomposizione della città necessaria invece per i moderni; per questo motivo lo sforzo progettuale non è incentrato sul blocco residenziale, ma sulla composizione dell’insieme, e in particolare sul disegno dei vuoti. Lo spazio vuoto, plasmato e definito dai blocchi residenziali, assume la forma di strada interna, di viale alberato, di corte collettiva. “[...] l’œuvre obéit au souci constant de la composition des espaces, le plan de masse si cher à notre époque, 177 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 178 n’apparaît plus. Ce sont les espaces vides qui créent le paysage intérieur et non pas la vue aérienne des volumes distribués au sol dont l’harmonie ne peut être perceptible à la vue du promeneur et de l’habitant”84. In questo paesaggio interno la forma della corte è un elemento fondamentale, e nei vari progetti essa compare con caratteristiche e dimensioni sempre diverse. Nel quartiere Buffalo a Montrouge, del 1955, le tre corti interne sono sempre aperte almeno su un lato, in una composizione che le unisce attraverso spazi intermedi, portici, viali; è un paesaggio interno pubblico e pedonale, estremamente curato, e le corti variano da 2.000 a 4.500 m2 di superficie. Nel quartiere Victor Hugo a Pantin, dello stesso anno, un’unica corte pavimentata di soli 1.000 m2 domina la composizione, vera piazza urbana aperta da un lato su un viale alberato e dall’altro F. Pouillon, quartiere Victor Hugo a Pantin, Parigi, 1955. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa F. Pouillon, quartiere Victor Hugo a Pantin, Parigi, 1955. su un portico di passaggio. Il complesso Le Point du Jour a Boulogne, del 1958, è invece strutturato su una successione di tre corti molto ampie, che raggiungono le dimensioni di 8.000 m2, e sono trattate come giardini pubblici, con alberature, prati e fontane. In questa varietà di soluzioni si possono riscontrare però alcuni caratteri costanti che rendono riconoscibili i progetti di Pouillon: le corti interne non sono in diretto contatto con gli ingressi alle scale di distribuzione degli appartamenti, posizionati invece all’esterno, e raggiungibili attraverso passaggi pedonali di dimensioni ridotte e dal carattere domestico. Di conseguenza la corte assume una valenza più pubblica e collettiva, non avendo un diretto rapporto con gli alloggi; il piano rialzato come regola per i piani più bassi contribuisce all’efficacia della soluzione. Le componenti strettamente funzionali sono quindi allontanate dal cuore centrale dei quartieri; allo stesso modo le automobili sono tenute al di fuori, talvolta sistemate in bassi volumi posizionati sui margini 179 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 180 più esterni del lotto, a diretto contatto con la strada, come nel complesso di Montrouge. Questa sottrazione di funzioni distributive accentua il valore simbolico e pubblico della corte. Ad una grande varietà di tipologie di spazi aperti non corrisponde un altrettanta sperimentazione nella costruzione del blocco edilizio: costituito dalla ripetizione di un modulo con scala e due appartamenti, il volume risulta estremamente regolare. Anche quando esso piega liberamente per definire gli angoli delle corti, la soluzione di pianta è sempre tesa a non fare trapelare in facciata l’eccezionalità della posizione d’angolo. I singoli alloggi sono così nascosti dietro la perentoria regolarità delle facciate, che presentano dove possibile sempre lo stesso tipo di apertura; la posizione interna dei servizi elimina il problema delle finestre irregolari. L’uniformità dei prospetti è un altro fattore che sposta l’attenzione sulla qualità dello spazio racchiuso, vero cuore collettivo dei quartieri di Pouillon. “Lottando contro la desolazione della città contemporanea, Pouillon mostra di sapere che l’architettura urbana richiede strumenti particolari e che una sorta di stato di esaltazione dell’architettura è indispensabile per ridare o salvare la qualità dei luoghi. [...] Molti fattori concorrono a configurare questo processo e tra F. Pouillon, complesso Le Point du Jour a Boulogne, Parigi, 1958. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa questi sicuramente un ruolo privilegiato spetta all’uso libero ed evocativo delle forme della storia (urbana in questo caso) e al sapiente impiego della pietra. Non a caso i quartieri di Pouillon ricordano di volta in volta acropoli, fortezze ottomane, mura e piazze storiche, impianti barocchi o la casbah, anche se dai loro impianti planimetrici è bandita ogni indulgenza storicistica”85. La disposizione a corte nei progetti di Pouillon, quindi, non si risolve in una forma urbana legata alla costruzione dell’isolato, ripetibile come regola di urbanizzazione, ma in una soluzione eccezionale, legata ogni volta alla situazione del contesto da un lato, e alla composizione dell’ensemble dall’altro: la corte è forse, tra gli elementi dello spazio urbano, quello più importante e rappresentativo, ma deve interagire anche con viali, passaggi, portici e scalinate per mediare il rapporto con la città. Indubbiamente però, in questo paysage intérieur, si riscontra la volontà di fondare con regole precise e ripetute un interno urbano protetto e collettivo, luogo dell’abitare per eccellenza, attraverso la declinazione della forma a corte che delimita uno spazio separato dalla città pubblica al di fuori. F. Pouillon, complesso Le Point du Jour a Boulogne, Parigi, 1958. 181 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza La “rinascita” del passato, lo spazio chiuso come valore 182 Negli anni ’50 e ’60 le nuove organizzazioni spaziali dei quartieri residenziali, e quindi delle forme dell’abitare collettivo, hanno visto il riaffiorare della figura della corte con modalità e dimensioni anche molto diverse; per gli spazi della vita associata, invece, c’è stato il tentativo di riproporre le attività pubbliche caratterizzanti della città storica organizzate in nuove configurazioni, come sostiene Sert “properly replanned for the needs of today”, e cioè attraverso la scomposizione e la ricomposizione degli elementi urbani del passato, come la strada e la piazza. A partire dagli anni ’70, tuttavia, si iniziano a registrare i risultati insoddisfacenti di questo tentativo, e la cultura architettonica internazionale da più parti muove verso il riconoscimento delle forme storiche della città come unica possibilità di garantire qualità urbana, oltre ad un corretto equilibrio spaziale tra sfera privata e vita pubblica. In questo processo gioca un ruolo fondamentale la forma chiusa dell’isolato a corte tradizionale, che torna ad essere visto come soluzione ottimale per la costruzione della residenza in città; lo spazio chiuso dalla corte, rifacendosi agli illustri precedenti della storia dell’architettura residenziale, diventa così un valore a priori, in quanto evocatore del modello di città di riferimento. Il tipo a corte collettiva, dopo aver percorso un lungo e tortuoso fiume carsico, vede di nuovo la luce con innovata intensità. A questo processo di “rinascita” del passato non è estraneo il giudizio negativo sulle periferie delle grandi città, costruite a partire dal dopoguerra con il modello di città aperta e dominate da una dispersione incontrollabile dello spazio urbano a causa dell’utilizzo indiscriminato del blocco isolato in linea. L. Martin, diagramma di Fresnel, 1972. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa L. Martin, studi sulla forma chiusa, 1972. A questa “tendenza” si accompagna una sensibilità ancora più intensa verso le forme del passato, come confermano il successo e la diffusione internazionale di studi sui fatti urbani come L’architettura della città di Aldo Rossi, del 1966, o Collage City di Colin Rowe, del 1978, che riportano l’interesse degli architetti sulle forme costruite della città consolidata. Ma rivestono una certa importanza anche gli studi “scientifici” di Leslie Martin e le derive nostalgiche di Rob Krier. Nel 1972 Leslie Martin pubblica il libro Urban space and structures, nel quale cerca di dimostrare che la grande corte è, anche da un punto di vista tecnico, la migliore forma di urbanizzazione di una città; rispetto all’edificio alto isolato al centro del lotto essa consente, a parità di densità, di occupare una minore porzione di suolo, di concentrare lo spazio libero al centro da destinare a verde e di mantenere una minore altezza degli edifici. Oltre a numerosi schemi e all’utilizzo del diagramma di Fresnel, che mostra una successione di quadrati concentrici che delimitano aree con uguale superficie, per rendere esplicito il ragionamento Martin 183 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 184 L. Martin, studi sulla forma chiusa, 1972. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa R. Krier, complesso presso il Tower Bridge, Londra, 1974. conduce un esperimento sulla città di New York, paragonando la attuale griglia occupata da edifici alti alla nuova struttura urbana che, con l’applicazione del principio della corte, potrebbe svelare così una nuova spazialità fatta da vuoti interni di grandi dimensioni e da strade corridoio delimitate da facciate continue: “Exactly the same amount of floor space that was contained in the towers can be arranged in another form. If this floor space is placed in buildings around the edges of our enlarged grid then the same quantity of floor space that was contained in the 21-storey towers now needs only 7-storey buildings. And large open spaces are left at the centre”86. Senza tentare dimostrazioni scientifiche, ma solo affidandosi all’evidenza degli esempi storici, Rob Krier invece abbandona definitivamente tutte le forme urbane prodotte dall’architettura modernista per esaltare la qualità senza tempo degli spazi urbani della città storica e dei suoi elementi, la strada, la piazza e l’isolato a corte; con il libro Lo spazio della città del 1975, dal carattere decisamente nostalgico, egli condanna la distruzione dello spazio urbano avvenuta nel corso del XX secolo e la frammentazione ottenuta con l’ampio utilizzo del blocco edilizio isolato su lotto, affermando che “non sarà mai possibile costruire una città accontentandosi di sommare questo tipo di case”87. L’enfasi è posta non tanto sull’edificio a corte per la residenza, considerato elemento indispensabile del tessuto urbano, ma sullo spazio pubblico della piazza che, nelle sperimentazioni progettuali di Krier, viene costruito e delimitato da corti pubbliche che si combinano indissolubilmente con quelle residenziali, in un processo di progettazione “in negativo”: i volumi sono ottenuti per sottrazione di materia, non per aggiunta; lo spazio aperto viene plasmato come strada, cortile, giardino, piazza, e acquista valore solo in quanto chiuso e delimitato. Si può parlare quindi di una decisa inversione di rotta rispetto ai dettami moderni; 185 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 186 lo stesso Krier conferma che il libro, con le sue proposte, vuole essere una “revisione della Carta d’Atene e delle sue conseguenze”88. Questa tendenza, che ottiene consensi in tutti gli ambienti di ricerca architettonica europei, trova una delle occasioni più importanti per dimostrare concretamente i suoi principi nell’esposizione internazionale di Berlino, l’I.B.A. ’84: in questa esperienza, iniziata nel 1979 con la costituzione dell’agenzia pubblica incaricata di preparare l’Internationale Bauausstellung, l’isolato residenziale a corte ritorna ad essere Planimetria dell’intervento I.B.A., Berlino, 1984. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa l’elemento base per la costruzione della città, anche se le interpretazioni della sua forma sono molto varie. Il principale ispiratore della filosofia generale è Josef Paul Kleihues, direttore del settore che si occupa delle nuove edificazioni; il tema della ristrutturazione urbana, nell’ampia zona situata tra il Tiergarten e Kreuzberg, lo costringe a confrontarsi con la maglia stradale esistente, di cui ripropone forme e allineamenti, a differenza di quanto si è fatto nel quartiere attiguo, in occasione dell’Interbau del 1957. In molte occasioni Kleihues chiarisce che il rapporto con la storia si fonda su una ricostruzione critica, che indaga gli elementi della città per riproporne i principi: “[...] la riscoperta del fatto che la città storica si conformasse a regola è stata tanto immediata quanto irrinunciabile. Ma l’idea della ricostruzione degenera sensibilmente in senso nostalgico. Mi riferisco, per prevenire malintesi, alla necessità di una ricostruzione critica della città che può riuscire solo sulla base di un razionale confronto con i suoi elementi costitutivi. [...] Ma il moderno, che prese posizione frontale contro lo storicismo, ha inizialmente messo in moto la dialettica solo con una semplice negazione. Non è un caso, al contrario proprio una conseguenza meccanicocausale di questo atteggiamento semplicemente negativo che il moderno ha assunto nei confronti della tradizione, il fatto che esso abbia cercato le proprie categorie prevalentemente in dati sperimentali oggettivabili”89. Una dimostrazione di questo atteggiamento è il progetto di Kleihues per l’isolato 270 della Vinetaplatz, del 1972: in una serie di schemi che mostrano la trasformazione del tessuto storico emergono i due isolati di progetto che ripropongono le dimensioni di quelli preesistenti, ma con lo spazio centrale liberato dalle costruzioni e destinato a giardino comune. Il dato innovativo è il trattamento degli angoli, 187 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 188 dove la smussatura diagonale viene accentuata, come nell’isolato dell’ensanche di Barcellona, e il volume viene svuotato: gli angoli diventano così gli ingressi principali al giardino interno, mentre l’accesso alle scale di distribuzione degli appartamenti avviene sempre dal marciapiede esterno, generando due reti di percorsi distinte. Come nei progetti degli anni ’20 ad Amburgo, anche qui l’edificio prende sempre le distanze dalla strada, proteggendo gli ingressi con un’ampia fascia di verde che allontana le finestre del piano rialzato dal marciapiede pubblico. Inoltre Kleihues pone molta attenzione alle dimensioni degli isolati, giudicando sfavorevoli quelle eccessive che non consentono una agevole circolazione pedonale; nel progetto di Vinetaplatz le misure preesistenti non vengono modificate perché considerate ottimali: l’isolato di 60 x 110 metri racchiude una corte di 3.400 m2 di superficie. Parlando dell’ampliamento di Berlino come città residenziale, tra Dorotheenstadt e Friedrichstadt, Kleihues ritorna sull’argomento delle dimensioni: “Il dato di fascino di quell’ampliamento è la suddivisione in piccoli elementi. Gli isolati hanno una grandezza di 60-65 metri di profondità, da 70 a 200 metri di lunghezza; si tratta di grandezze che sono confrontabili, ad esempio, con quelle di New York. Isolati di questa grandezza non costituiscono un ostacolo, possono essere facilmente aggirati e consentono una comunicazione intensa, presentando un cuore verde e edificazioni ai margini. Questa è la parte di città meglio progettata che Berlino può mostrare; non c’è niente di meglio. [...] In J. P. Kleihues, isolato 270 della Vinetaplatz, Berlino, 1972. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa certo senso ha costituito parziale eccezione Charlottenburg. A Charlottenburg le case hanno all’incirca un’altezza di 21 metri alla grondaia, ma anche lì i cortili sono completamente coperti di costruzioni; soprattutto lo svantaggio è che vi sono isolati giganteschi, avendo il lato maggiore di 200-250 metri e perfino 300 metri di lunghezza. Quando un isolato ha questa grandezza, è automatico che la vita al suo interno è avulsa da tutto il resto: è proprio questo il tipo di isolato, questo il tipo di sovrastruttura che ha condotto alla critica della Berlino di pietra da parte di Werner Hegemann”90. In altri progetti elaborati per l’I.B.A. viene sviluppato il tema dell’unità nella varietà: cercando di simulare il processo di costruzione della città storica, si ritiene che un corretto grado di variazione controllata nell’immagine della città si possa ottenere conservando gli allineamenti e le altezze dei fronti fabbricabili, e cambiando i partiti architettonici. Per questo scopo la fase preliminare, che comprende uno o più isolati, è coordinata da un solo architetto, mentre successivamente si procede ad una parcellizzazione dei lotti e le progettazioni sono affidate ad architetti diversi. La conseguenza è che viene perduta l’unità architettonica d’insieme, soprattutto all’interno degli isolati, in modo simile all’ampliamento di Amsterdam di Berlage: l’immagine unitaria e collettiva della corte viene meno, poiché si tenta con un unico atto progettuale di riprodurre i processi storici spontanei di accumulazione di gesti individuali. Lo spazio interno rimane a tutti gli effetti un giardino comune, ma l’importanza simbolica e architettonica è affidata ai fronti esterni e pubblici sulla strada. Un caso significativo in questo senso è il complesso Ritterstrasse di Rob Krier: anche se il piano generale è stato redatto prima della nascita dell’I.B.A., la sua costruzione poi ha seguito le regole comuni di frammentazione dei singoli 189 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 190 interventi, con conseguente perdita dell’unità architettonica d’insieme. Tuttavia il progetto è interessante perché presenta una combinazione di 4 isolati a corte che individuano una serie di spazi chiusi dal carattere diverso: i giardini interni collettivi ma domestici; le corti aperte su un lato e pavimentate, simili a strade pedonali a fondo cieco; il cuore centrale rappresentativo e pubblico, che insegue il concetto di piazza. Un altro esempio di frammentazione dell’isolato a corte è il complesso residenziale Victoria, coordinato da Hans Kollhoff; il sito, difficile per le diverse preesistenze conservate, è diviso in due ambiti distinti, nord e sud. A nord il completamento del grande isolato con una costruzione perimetrale è realizzato solo parzialmente da Kollhoff, per cui la grande corte, destinata a giardino comune con una superficie di 6.600 m2, non rappresenta il cuore R. Krier, complesso Ritterstrasse, Berlino, 1980. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa H. Kollhoff, complesso residenziale Victoria, Berlino, 1980. collettivo dell’isolato, ma solo un prolungamento all’aperto dello spazio domestico che aumenta le qualità dell’abitare, mentre il fattore di rappresentatività pubblica è affidato alla facciata su strada, dove sono collocati anche gli ingressi alle scale. “In contrapposizione a un credo del moderno, l’edificio di progetto ha un fronte e un retro chiaramente riconoscibili. A nostro avviso, questa è la conseguenza necessaria, a livello urbano, di isolati costruiti solo lungo il perimetro. L’orientamento principale è forzatamente quello pubblico, verso la strada. La parte a nord è invece il retro, la zona più privata, consegnata a elementi casuali e al bisogno di espressione individuale. Poiché all’interno dell’isolato c’è un cortile e non un giardino pubblico o un parco, l’immagine qui doveva essere segnata ancora con più forza dagli interessi privati di chi vi abita. Verso la strada, invece, il carattere pubblico è prioritario e il bisogno di espressione privata trova qui il suo limite”91. Viene confermata anche la volontà di nascondere tutto ciò che riguarda l’automobile, e cioè autorimesse e percorsi di servizio: l’interramento con accesso tramite una rampa dalla strada pubblica è la soluzione che diventerà standard nelle nuove costruzioni in città, e che permette di separare nettamente la quiete dei giardini interni, ad uso esclusivamente pedonale, dalle strutture di servizio e di mobilità privata, rumorose e inquinanti, fermate così nell’anello più esterno dell’isolato residenziale. L’unico inconveniente di questa soluzione è che il percorso di accesso agli appartamenti, soprattutto quando l’automobile diventa il principale mezzo di trasporto in città, è troppo diretto, secondo la formula box-ascensore-porta di casa, escludendo gli abitanti dall’esperienza di quegli spazi di mediazione tra vita pubblica e casa privata che l’isolato a corte configura con precisione. Ma la questione è ancora oggi molto aperta, data la difficoltà di conciliare una forma 191 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 192 urbana legata ad una fruizione sostanzialmente pedonale e l’urgenza di trovare una sistemazione per il numero sempre crescente di automobili private, che evidentemente occupano troppo suolo pubblico per essere semplicemente lasciate lungo le strade. Nella parte sud del complesso Victoria un isolato stretto e lungo è racchiuso non da un volume continuo, ma da una serie di padiglioni a pianta quadrata, o ville urbane, disposti lungo il perimetro a distanza regolare. In questo modo il giardino interno, di circa 3.000 m2, risulta collettivo e attraversabile perché, a differenza dell’isolato a nord, è passaggio obbligato per gli ingressi dei padiglioni. La disposizione a corte di padiglioni isolati è proposta anche da Rob Krier in Rauchstrasse; in questo caso la volontà di operare in continuità con la storia lo spinge a riproporre il tipo a “villa urbana” che aveva caratterizzato l’area tra il Tiergarten e il Landwehrkanal a partire dai primi insediamenti H. Kollhoff, complesso residenziale Victoria, Berlino, 1980. R. Krier, ville urbane in Rauchstrasse, Berlino, 1982. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa O.M. Ungers, blocco d’abitazione su Lützowplatz, 1982. della seconda metà dell’ottocento. Anche qui la sistemazione è imperniata sul giardino centrale di fruizione collettiva, e quindi la corte viene riproposta con una forma appartenente al passato ma con un nuovo valore per la residenza urbana. Una soluzione intermedia sembra essere invece quella di Oswald Mathias Ungers per Lützowplatz: per racchiudere uno spazio interno collettivo trattato a giardino utilizza su un lato un volume continuo, configurato come un blocco in linea, dall’altro una serie di padiglioni isolati. Anche in questo caso, come nel complesso Victoria, la volontà di costruire perimetralmente l’isolato è incrinata dalla difficoltà di risvoltare l’angolo con una variazione nel corpo in linea, per cui si preferisce lasciare un vuoto, staccare gli edifici, o risvoltare con un fianco quasi cieco, 193 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 194 come nel complesso di Ungers. L’ambiguità di questo progetto è confermata anche dalla imprecisata funzione della corte allungata, troppo stretta per essere un giardino, e al contempo priva dei percorsi di accesso alle scale, collocati tutti invariabilmente all’esterno. Il progetto dello stesso Ungers in Kothenerstrasse, invece, sembra essere più significativo per il valore attribuito allo spazio chiuso in sé e alla forma precisa della corte come elemento del progetto urbano. L’unità dello spazio è assicurata da impianto perfettamente quadrato che racchiude una piccola corte di 20 x 20 metri con un albero al centro. La ridotta superficie di soli 400 m2 in realtà si prolunga verso la strada, attraverso portali di tre piani di altezza che rendono lo spazio interno percepibile dal marciapiede pubblico. L’accesso alla distribuzione verticale avviene sotto questi “androni”, e le scale sono posizionate nei quattro angoli interni, i punti più sfavorevoli per l’illuminazione naturale. In questo impianto rigido non sembra esserci una regola precisa per la posizione degli ambienti in pianta: locali di servizio, camere e soggiorni sono collocati indifferentemente all’interno e all’esterno, ma l’uniformità dei prospetti è garantita da un unico O.M. Ungers, blocco d’abitazione in Kothenerstrasse, 1987. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa Martorell, Bohigas, Mackay, complesso residenziale La Maquinista, Barcellona, 1979. tipo di apertura ripetuta sia nella corte che su strada. Per questo motivo l’isolato quadrato di Ungers è la rappresentazione astratta di un atteggiamento che riconosce la disposizione a corte come la sintesi del progetto urbano di residenza. L’esperienza dell’I.B.A. di Berlino, di cui abbiamo riportato alcuni esempi, è sicuramente il momento più importante di verifica dell’atteggiamento critico e progettuale nei confronti della città e della storia emerso tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Per questo motivo essa ha avuto una grande risonanza in tutta Europa, oltre che una certa influenza su esperienze meno note che riguardano le periferie di alcune grandi città. A tal proposito, e per dimostrare come la tendenza a riproporre la forma chiusa della corte fosse alquanto generalizzata in quel periodo, sembra interessante riportare l’esperienza di Martorell, Bohigas e Mackay nell’area urbana di Barcellona e quella di Manuel e Ignacio De Las Casas a Madrid. Lo studio MBM è impegnato in una ricerca costante per trovare una sintesi tra le istanze e le conquiste del moderno nel campo della residenza e una forma che assicuri continuità con la città esistente, senza eliminare gli spazi strutturanti della strada e della piazza. “The aim has been to establish the theoretical principles and design methods of an architecture which restores to the city a form and an image rooted in tradition – the street, the square, and even the formal matrix of the closed city block – yet without abandoning the unquestionable achievements of the Modern Movement, especially in the field of residential typologies. That is, to accept the criticism – hygienic, economic, social, ect. – of the nineteenth century city while at the same time acknowledging that the more significative forms of that tradition could absorb new types of dwelling in the making of hygienic, economic, and social housing which 195 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 196 would require neither redents, nor deurbanization, nor zoning”92. Tra i numerosi progetti a corte realizzati, due in particolare sembrano introdurre importanti elementi di novità che dimostrano come la sperimentazione sul blocco chiuso possa portare ad una ricchezza spaziale che va oltre la semplice costruzione perimetrale: nel complesso La Maquinista a Barcellona, del 1979, il lavoro sullo spazio aperto ha portato ad una fusione tra dentro e fuori, tra interno ed esterno, con una corte residenziale attraversata da una strada al centro; nel blocco di Mollet, del 1983, un lato della corte quadrata diventa doppio, definendo così lo spazio di una strada pedonale che funge da filtro tra il cuore interno dell’isolato e la strada pubblica. Nella capitale spagnola, invece, Ignacio De Las Casas critica la mancanza di un principio guida che informi i progetti urbani dei nuovi nuclei residenziali cresciuti a dismisura nella Comunidad de Madrid negli anni ’80, senza direttive precise che controllino lo spazio pubblico e le tipologie delle case, e suggerisce un modello di città che erediti dal passato le regole di costruzione urbana, come l’allineamento degli edifici sui margini stradali, o l’utilizzo dei blocchi a corte, e allo stesso tempo accolga le conquiste del Movimento Moderno per la residenza. “Viene abbandonato non solo il controllo del modello urbano, ma anche il rigore nel disegno dell’abitazione. [...] Sembra che si confidi nel rispetto della normativa sperando che risulti una buona architettura. Invece, com’è logico, anche ipotizzando una normativa ottima, questa è astratta e la sua applicazione automatica non può risolvere i problemi se manca un’adeguata interpretazione spaziale”93. Parlando della città del passato invece afferma: “Questa immagine oggi rimpianta di città in espansione, egualitaria e continua, considerata miglior soluzione per la città, non smette di essere un modello astratto Martorell, Bohigas, Mackay, complesso residenziale a corte, Mollet, 1983. V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa M. e I. De Las Casas, quartiere Fontinas a Santiago de Compostela, Madrid, 1982. di riferimento. Era un modello inventato per risolvere una città di un milione, un milione e mezzo di abitanti, ma non è oggi né soddisfacente, né adeguato per una città di quattro o cinque milioni. Bisognerà continuare nella ricerca di nuove impostazioni, che facciano proprie sia le conquiste dei Movimenti Moderni che i vantaggi di altri modelli di città storica”94. Questa concezione di controllo dello spazio urbano si attua ancora una volta attraverso un utilizzo sistematico dell’isolato a corte, declinato con diverse funzioni e dimensioni, nel progetto del quartiere Fontinas a Santiago de Compostela, Madrid, 1982-1988. Questo progetto è fondato su un isolato urbano base di forma quadrata e costruito con la corte centrale aperta su un lato; l’asse di simmetria, sul quale si organizzano i blocchi, attraversa al centro una corte gigante, ottenuta dal raggruppamento di 4 isolati, di circa 100 x 100 metri; il centro del quartiere, racchiuso da questa corte eccezionale, risulta così pubblico e attraversabile, a differenza degli altri isolati, che hanno un interno protetto, domestico e destinato a giardino. 197 KCAP, Müllerpier Masterplan, Rotterdam, 1998. VI. Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Com’è noto, è molto difficile individuare nel panorama architettonico contemporaneo una tendenza comune e condivisa per quanto riguarda l’approccio al progetto urbano; lo è ancora di più mettere a fuoco il rapporto tra le realizzazioni di nuovi quartieri e il tipo urbano a corte, inteso come principio di aggregazione della residenza attorno ad uno spazio interno collettivo, ma anche come principio ordinatore del disegno urbano. Si riscontra in generale un processo di globalizzazione della cultura architettonica, favorito dalla diffusione dei mezzi di comunicazione informatici, che porta alla condivisione in tempo reale delle esperienze progettuali, e alla conoscenza di fenomeni di trasformazione simili in territori urbani anche molto lontani. A fronte di una somiglianza nella modalità di crescita delle città europee, di un appiattimento dei bisogni e delle aspettative degli abitanti, non abbiamo una risposta progettuale univoca, ma al contrario un sostanziale localismo, e cioè l’esplosione di una grande varietà di metodi di previsione progettuale che variano caso per caso, in cui i tipi urbani non sono considerati risolutori di specifici problemi architettonici; spesso la corte, la torre, il blocco in linea, la schiera sono utilizzati indifferentemente come in un collage casuale, in una sorta di eccesso di variazione per rispondere a tutte le presunte richieste dei futuri abitanti. Forse il tentativo di trovare linee di pensiero e di progetto dominanti, ammettendo che fosse possibile, sarebbe anche poco interessante ai fini di questa ricerca; sembra più utile invece rintracciare alcuni nodi problematici ancora aperti, o considerare esempi particolarmente 199 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza significativi che introducono temi ed elementi innovativi, ma sempre all’interno della matrice spaziale della corte collettiva. 200 Un tema ancora aperto, poiché coincide con un bisogno sempre crescente nella vita contemporanea, è il rapporto tra la disposizione a corte e l’elemento naturale, inteso di volta in volta come giardino costruito e disegnato, come paesaggio naturale oppure agricolo. Il verde nella vita urbana rappresenta il momento di quiete, il luogo di svago, di silenzio, di relax, oltre che una preziosa riserva di aria pulita: nella città compatta esso è generalmente un elemento eccezionale, anche in termini quantitativi, rispetto al suolo pavimentato o costruito. In questo caso il tipo urbano a corte ha sempre contribuito a definire il luogo adatto per il verde: l’atto di racchiudere uno spazio separato dalla città al di fuori è accompagnato quasi sempre dalla volontà di caratterizzarlo in contrapposizione con lo spazio urbano pubblico della strada, e quindi attraverso elementi naturali come prato, alberi, arbusti, siepi. Allo stesso tempo questo interno prezioso per la vita urbana è protetto, simbolicamente e fisicamente, dalla continuità del volume costruito che lo circonda. Quando la dimensione della corte è ridotta, il giardino presenta un carattere domestico, che può variare a seconda di molti fattori: la vicinanza dei corpi di fabbrica perimetrali, la presenza o meno di orti, di elementi come i giochi per i bambini, degli affacci delle zone giorno o di eventuali prolungamenti all’aperto come le logge, la posizione degli ingressi alle scale e dei relativi percorsi. Negli esempi analizzati nei capitoli precedenti abbiamo trovato molte combinazioni diverse di questi elementi, ed è chiaro come ogni piccola variazione contribuisca a cambiare il risultato finale. A volte la corte può essere invece molto grande, perdendo il carattere domestico e diventando un parco di VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Kempe e Thill, “Living in-between”, progetto di concorso Europan 5, Rotterdam, 1999. respiro pubblico: il volume costruito diventa uno sfondo che ne delimita i confini, ma non influisce più in modo decisivo sulla qualità dello spazio, che dipende invece dal disegno e dall’organizzazione del “vuoto”. Generalmente la corte di grandi dimensioni diventa pubblica e attraversabile, rispecchiando il sentire di una collettività allargata: per questo la città guadagna un parco interno, mentre gli appartamenti che vi si affacciano perdono il luogo dove prolungare all’aperto le attività domestiche, ma stabiliscono con esso un rapporto di tipo contemplativo. Recentemente però l’esigenza di vivere più a contatto con la natura ha portato a soluzioni che utilizzano la corte per appropriarsi di intere parti molto dense di verde, simili ad un bosco trasportato all’interno e mantenuto gelosamente separato dall’esterno della città, come una risorsa da proteggere; è il caso del progetto vincitore del concorso Europan 5 a Rotterdam, “Living in-between”, di Kempe e Thill. In questo caso 201 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 202 la forma chiusa della corte, con una superficie che va dai 2.000 ai 2.500 m2, è utilizzata come soluzione dei problemi di isolamento dalla vita pubblica e caotica della città, nascondendo un interno di giardini rigogliosi; con la diminuzione della profondità del corpo di fabbrica, qui proposto di soli 5 metri, si ottiene una maggiore superficie di affaccio sia verso l’interno che verso l’esterno: “Many people believe that they can get closer to nature if they take up residence in terraced housing in the suburbs. An urban alternative has been developed for them: a building type which replaces the urban sprawl with a inner-urban sprawl. Residents live in a mere five-metre-deep zone which separates the urban external space from a large winter garden”95. Le stanze in questo modo possono godere di una doppia esposizione, che è anche una doppia natura, pubblica o intima; allo stesso tempo il volume, poco profondo e molto vetrato, lascia trasparire all’esterno il cuore Kempe e Thill, “Living in-between”, progetto di concorso Europan 5, Rotterdam, 1999. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo H. Kollhoff, progetto per Tegel sud, Berlino, 1989. verde della corte: chiusura per nascondere un giardino segreto, e trasparenza per estendere alla città la qualità del verde. Inoltre questa soluzione possiede una importante valenza ambientale, oggi molto attuale per i climi nordici: il giardino d’inverno si può chiudere con una copertura trasparente, diventando una grande serra utilizzata anche per il risparmio energetico dell’edificio stesso. Se il progetto di Kempe e Thill racchiude un vero bosco artificiale, portato all’interno a generare una nuova qualità separata dalla vita urbana pubblica attraverso la forma chiusa della corte, altri approcci invece, sempre in ambiti urbani, ricercano modi più liberi di inglobare l’elemento naturale con la forma della corte, accogliendo il verde senza distinguere precisamente un dentro e un fuori. Il progetto di Kollhoff per Tegel sud del 1989, per esempio, sembra contenere al suo interno i principi razionalisti del blocco isolato nel verde e le regole urbane dell’edilizia compatta: il lungo edificio continuo che si sviluppa nel verde tuttavia definisce degli ambiti ben precisi attraverso la disposizione a corte aperta, in equilibrio tra carattere pubblico e domestico, rifacendosi alla qualità rappresentativa della siedlung Britz di Taut. “[...] oltre a una coerente edificazione dell’isolato sul perimetro, con il suo limitato potenziale nel soddisfare differenti aspettative abitative e oltre alla cosiddetta villa urbana, che contraddice sotto tutti i punti di vista le intenzioni di un’edilizia abitativa sociale, non è stato intrapreso ancora niente che, da un lato, sollevi la problematica dell’edilizia residenziale di massa e, dall’altro, giunga alla significanza costruttiva e spaziale del ferro di cavallo di Bruno Taut. [...] intenzione specifica di riallacciarsi a questa tradizione berlinese di un’edificazione aperta, che crei degli spazi e sia figurativa [...] ricerca di un effetto di apertura paesaggistica, nonostante la densità edilizia”96. Se da un lato vi sono i tentativi di includere 203 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 204 l’elemento naturale negli ambiti urbani densi della città compatta, dall’altro si aprono tutte le problematiche relative alle nuove espansioni urbane nel territorio, caratterizzate da una bassa densità e dalla presenza già importante del paesaggio naturale e agricolo, in quanto preesistenza che struttura il territorio. Come sostiene Martí Arís, in questi contesti di periferia, o comunque esterni alla città consolidata, non si può pensare di estendere all’infinito il disegno urbano del tessuto storico senza accogliere i nuovi elementi nella strategia urbana: “Bien al contrario, estamos asistiendo a la emergencia de los valores específicos de la periferia como lugar abierto, distendido, bien comunicado con los grandes equipamientos e infraestructuras, lugar de contacto con los grandes vacíos y con los espacios naturales, ámbito de fácil acomodo para las nuevas formas de instalación residencial”97. In questo senso si possono leggere i progetti del Movimento Moderno che mettevano in questione la strada corridoio: la volontà di aprire l’isolato chiuso era un tentativo di diminuire la densità dei nuovi quartieri rispetto alla città storica, incorporando i grandi vuoti del paesaggio naturale, e cercando una organizzazione che permettesse un contatto con il verde più H. Kollhoff, progetto per Tegel sud, Berlino, 1989. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Nijenhuis e Vos, progetto di concorso Europan 5, Almere, 1999. Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia. immediato e intenso. Tuttavia il blocco in linea isolato nel verde non è il solo modo per mettere in pratica questo rapporto: la disposizione a corte, a prescindere dalla riduttiva identificazione con l’edilizia compatta e da limiti dimensionali fissati a priori, può benissimo accogliere gli elementi del paesaggio naturale, trasformarli in dati portanti del progetto e istituire con loro un nuovo e intenso contatto. Risulta difficile tuttavia verificare tale possibilità nell’architettura residenziale costruita, poiché nella grande maggioranza dei casi le realizzazioni nei contesti di bassa densità delle città europee hanno preso la strada della casa unifamiliare su lotto, che, con grande spreco di territorio, tende a cancellare le preesistenti tracce naturali. Un esempio significativo, anche se non ancora costruito, può essere il progetto vincitore del concorso di Europan 5 ad Almere, di Nijenhuis e Vos: una corte bassa, dilatata fino a una lunghezza di 400 metri e sopraelevata dal suolo si adagia nel paesaggio agricolo del polder, esaltandone l’orizzontalità e assicurando anche una continuità del suolo naturale. Il progetto estremizza le dimensioni della corte che, con una superficie di 21.000 m2, delimita una intera porzione di campagna; dal verde racchiuso all’interno, su cui affacciano le case a due piani legate fra di loro da un ballatoio continuo, nascono 205 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 206 bassi volumi che ospitano funzioni legate al tempo libero e al relax. Nella relazione i progettisti insistono sulla possibilità di mantenere intatta la bellezza del paesaggio agricolo, evitandone la frammentazione e la privatizzazione che avviene con la diffusione della casa unifamiliare: “In suburban residential areas such as Almere Buiten the beauty of the open polder landscape is divided into fragmented private gardens and small parks”98. Sorge quindi il bisogno e la ricerca di una nuova dimensione, più estesa e dilatata in cui la forma a corte riveste un ruolo risolutivo: consona al paesaggio orizzontale della campagna, essa garantisce anche un rapporto diretto con il dato naturale originale, radicato nel territorio, e non modificato dall’azione particolare di ogni singolo abitante. Tuttavia è chiaro che questa visione sfiora i confini dell’utopia se confrontata con la diffusa tendenza verso una frammentazione e una privatizzazione del suolo che dilaga nei territori a bassa densità. È interessante fare un parallelo, anche se a grande distanza di spazio e di tempo, tra questa soluzione e un insediamento agricolo del XVII secolo nella pianura lombarda, la corte residenziale di Monticelli d’Oglio. Fatte le dovute distinzioni tra un progetto di concorso e un complesso antico che ha subito aggiunte e modifiche nel tempo, e tra il carattere della campagna olandese e quella italiana, si possono trovare alcune analogie nel modo in cui la forma generale a corte riesce a stabilire un rapporto con il territorio naturale e con lo spazio aperto: le case hanno un affaccio diretto sull’estesa Nijenhuis e Vos, progetto di concorso Europan 5, Almere, 1999. Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia. 207 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza campagna all’esterno, mentre all’interno si aprono sulla corte collettiva dove l’elemento naturale viene “urbanizzato”; con una superficie di circa 6.000 m2, la corte diventa così una piazza interna dedicata alle attività comuni e di svago, e quindi in diretto contatto con le case attraverso gli ingressi collocati sotto il porticato continuo. All’esterno, invece, il territorio agricolo rimanda a una natura estranea e selvaggia, legata alle attività del lavoro; il rapporto è qui soltanto contemplativo, e la facciata continua accentua il senso di difesa. Con una certa coerenza generale, anche gli elementi dell’architettura sono collocati seguendo questa logica: all’interno, di carattere collettivo, troviamo il porticato e gli ingressi alle case; all’esterno, più legato ad un rapporto individuale con la natura, vi sono finestre rialzate dal suolo, piccoli terrazzi e orti privati. Il borgo di Monticelli, recentemente recuperato con un certo successo in termini di nuovi abitanti, è un caso in cui la forma a corte, di origine antica e in un contesto naturale, sembra aderire perfettamente alle esigenze dell’abitare contemporaneo, in equilibrio tra collettività e intimità, e stabilendo uno stretto rapporto con la natura. L’organizzazione a corte della residenza, quindi, nel complesso rapporto che può stabilire con la natura si dimostra come una forma risolutrice, sia nei contesti urbani che nei territori estesi della periferia: il procedimento-chiave, il principio progettuale su cui si basa questo tipo urbano è rappresentato dall’atto fondativo di racchiudere una porzione di spazio aperto e trasformarlo, dandogli un nuovo significato in contrapposizione con lo spazio esterno. Se in città la corte tende a isolare porzioni di natura in contrasto con il suolo artificiale dello spazio pubblico esterno, in campagna invece al contesto paesaggistico esterno si oppone una corte pavimentata, “urbanizzata”, oppure destinata ad ospitare attrezzature comuni. 208 Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo H. Kollhoff, complesso residenziale Malchower Weg, Berlino, 1992. Abbiamo già detto che nel panorama contemporaneo la disposizione a corte nella residenza collettiva non presenta costanti formali, nel senso che non è possibile rintracciare nei progetti recenti la ripetizione di una forma ritenuta ottimale e applicata in contesti simili; è evidente tuttavia la diffusione di una certa attitudine ad utilizzare il principio aggregativo della corte e a identificarlo a priori con la funzione residenziale: l’atto di radunarsi intorno ad un grande vuoto è un’azione semplice e antica che indica la collettività dell’abitare, oltre che un modo sicuro di costruire un’immagine conclusa dell’insieme residenziale e garantire l’identità. Spesso si può riscontrare come il tipo urbano che abbiamo fin qui descritto attraverso gli esempi venga scomposto e ricomposto secondo un nuovo ordine; vengono applicate distorsioni alla forma e dilatazioni alle dimensioni; oppure talvolta, nell’operazione di smontaggio e ricomposizione, il tipo viene proposto solo con pochi ma inequivocabili elementi progettuali costitutivi che rimandano alla disposizione a corte. Si riscontrano alcuni casi in cui la continuità della costruzione perimetrale è spezzata, e l’organizzazione della residenza attorno ad uno spazio comune libero avviene per mezzo di volumi residenziali isolati. Il complesso residenziale Malchower Weg di Kollhoff, del 1992, rifacendosi alla tipologia della villa urbana, dispone i blocchi isolati intorno ad un piccolo giardino comune. A prima vista l’ensemble può sembrare un semplice gruppo di edifici con corpo scale centrale disposti in serie; tuttavia vi sono degli elementi che rimandano inequivocabilmente alla forma insediativa della corte. Il basamento rialzato di 1,4 metri su cui poggiano le case rappresenta un primo recinto, che definisce precisamente un dentro e un fuori; i gruppi di 8 case sono disposti chiaramente a corte poiché risvoltano gli angoli con una rotazione di 90 gradi e sono alquanto ravvicinati fra loro, così da generare un 209 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 210 secondo recinto più interno; i locali di soggiorno e i giardini d’inverno sono tutti affacciati verso l’interno, dove il giardino comune è disegnato con gruppi di betulle e panchine, in un’atmosfera di intimità condivisa. Un esempio che invece propone la corte ad una scala molto più grande è il quartiere Kitagata a Gifu, del 1994; anche se il Giappone esula dai confini geografici di questa ricerca, sembra lecito inserirlo in questo elenco di casi proprio per la condizione globale in cui si trova la cultura architettonica contemporanea. Il complesso residenziale, coordinato nella fase preliminare da Arata Isozaki, organizza 4 blocchi in linea di 10 piani piegati intorno ad una grande corte, che raggiunge la superficie di 25.000 m2; all’interno trovano posto servizi collettivi, attività di svago e un giardino tematico. La dimensione è adeguata al carattere pubblico dello spazio, che è attraversabile e diventa in questo modo il centro simbolico e sociale del quartiere. Nel blocco progettato da Kazujo Sejima, coerentemente con la qualità della grande corte, verso l’interno sono collocate le scale esterne di accesso e i ballatoi; al contrario, nel complesso Malchower Weg a Berlino gli ingressi erano mantenuti rigorosamente verso la strada esterna, per H. Kollhoff, complesso residenziale Malchower Weg, Berlino, 1992. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo A. Isozaki, quartiere Kitagata, Gifu, 1994. preservare l’intimità del giardino centrale. La qualità e il tipo di spazio racchiuso, che rispecchiano la condizione comunitaria dell’abitare collettivo, dipendono quindi da molti fattori legati a precise scelte progettuali: la “fondazione” della differenza con lo spazio esterno, la continuità della cortina edilizia perimetrale, il grado di isolamento del cuore centrale (anche con più recinti concentrici), i tipi di affaccio interno ed esterno, la posizione degli ingressi alle case e i relativi percorsi. Per ognuno di questi aspetti sarebbe possibile un ulteriore approfondimento basato anche sul confronto incrociato dei casi: per esempio, la dimensione della corte in rapporto all’altezza dei volumi, alla quantità di appartamenti che vi si affacciano e alla posizione di scale e ingressi, è un fattore che ne determina inequivocabilmente il carattere. La domesticità, l’accoglienza e l’intimità di uno spazio che si presenta come prolungamento all’aperto delle case tendono a caratterizzare le corti di piccole dimensioni, fino a circa 2.500 m2; al contrario, nelle corti che superano i 10.000 m2 si perde il contatto diretto tra le case e lo spazio aperto e diminuisce la possibilità di uno sguardo diretto negli appartamenti, favorendo così un uso pubblico della corte, o l’inclusione 211 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 212 di intere porzioni di paesaggio naturale. Una situazione problematica si presenta per le corti di dimensioni intermedie, spesso troppo grandi per una domesticità controllata e troppo piccole per una fruizione pubblica; talvolta vi è il rischio di richiamare un’immagine di eccessiva densità, o di volontà speculativa, come negli höfe viennesi degli anni ’20 oppure nel complesso residenziale di de Architekten Cie. nel quartiere Kop van Zuid a Rotterdam, del 1991. In altri casi la dimensione ridotta non è sufficiente a garantire la domesticità dello spazio aperto racchiuso: nel progetto di Kollhoff per la KNSM-Eiland ad Amsterdam, del 1991, una delle corti ottenute De Architekten Cie, complesso residenziale Kop van Zuid, Rotterdam, 1991. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo dalla distorsione del volume costruito esprime il suo valore pubblico, nonostante i soli 1.200 m2 di superficie, grazie all’apertura di un lato con un alto colonnato che lascia entrare la città al di fuori. H. Kollhoff, complesso residenziale in KNSM-Eiland, Amstedam, 1991. Un altro tema ancora aperto è la possibilità del tipo a corte di rappresentare un principio generale di disegno urbano, una regola di urbanizzazione dei nuovi quartieri residenziali: a questo proposito vi sono esempi molto diversi, che tendono a proporre modelli selezionando dal grande bacino della storia gli esempi più adatti allo scopo. La maggior parte delle nuove realizzazioni a cui ci riferiamo ha sede in Olanda, che continua ad avere, a differenza degli altri paesi europei, una grande produzione di edilizia residenziale. Mettendo a confronto i due nuovi insediamenti di Ij-burg e Borneo-Sporenburg ad Amsterdam, appare subito evidente una caratteristica che li accomuna: la distanza dai modelli rappresentati dai quartieri razionalisti, in quanto entrambi eliminano il tipo in linea a blocco isolato e la disposizione seriale dal proprio vocabolario urbano. Tutti e due, inoltre, fondano l’impianto generale su una griglia che definisce una maglia regolare di strade e isolati, per poi operare una paziente ricerca di variazione della regola; la differenza sostanziale invece sta nella modalità di costruzione degli isolati, e nel tipo urbano di riferimento. Nel quartiere di Ij-burg viene adottato come punto di partenza il principio della costruzione perimetrale degli isolati che, con una dimensione 213 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 214 De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter, quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter, quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001. media di 90 x 170 metri, possono mantenere così le corti centrali di notevoli dimensioni. Successivamente però, come mostrano gli schemi di progetto, la forma chiusa subisce distorsioni e interruzioni nella continuità del perimetro, per poi giungere ad una estrema frammentazione e ad una suddivisione per parti distinte, assegnate a diversi progettisti. Si ottiene in questo modo una completa perdita di unità nel progetto d’insieme, nei fronti stradali e nella corte, dove edifici distinti si confrontano senza rispettare regole planimetriche comuni o costanti progettuali, ma riproducendo una voluta casualità di accostamento e una estrema schizofrenia nella variazione tipologica. La mancanza di una regola nel tipo che costruisce l’isolato vanifica, in alcuni casi, gli sforzi per ottenere una corte interna che 215 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza sia una coerente espressione di un modo di vita urbano, nonché un’immagine unitaria dell’abitare collettivo caratteristico dell’isolato a corte. Nella penisola di Borneo-Sporenburg, invece, gli isolati non prevedono uno spazio libero interno e collettivo: non sono isolati “cavi”, ma isolati “pieni”, suddivisi con lotti edificabili stretti e profondi e occupati da case costruite sul modello dell’edilizia gotico mercantile, anche se con l’introduzione di patii privati. In questo quartiere il tipo urbano a corte collettiva non struttura il normale tessuto edilizio, ma compare solo come eccezionalità, invertendo la tradizione storica: grandi “monumenti” residenziali a corte chiusa sono utilizzati come strumenti di rottura della regola, luoghi di una spazialità più aperta che dialoga con il paesaggio. 216 Concludiamo questa ricerca con il caso dei recenti progetti residenziali costruiti a Barcellona, città che presenta un carattere eccezionale nel panorama delle grandi città europee proprio grazie alla continua azione regolatrice del piano di Cerdà. Anche a distanza di un secolo e mezzo, il progetto di ensanche (che abbiamo analizzato nel capitolo III) continua ad avere una grande influenza sul territorio A. Geuze, quartiere Borneo-Sporenburg, Amsterdam, 1997. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Trasformazioni recenti, Villa Olimpica e Poble Nou, Barcellona. della città catalana in espansione; le ragioni sono molteplici, e tra queste il fatto che il piano di Cerdà prevedesse già allora l’estensione della maglia regolatrice fondata sull’isolato quadrato in tutto il territorio circostante, dal Montjuic al fiume Besós. Di conseguenza le nuove operazioni di trasformazione della città, concentrate soprattutto nel settore nord orientale caratterizzato dalla presenza di grandi sacche industriali che impedivano l’accesso al mare, hanno avuto inevitabilmente un costante termine di confronto; proprio in questi casi è emersa la potenzialità del piano, che indica un principio di urbanizzazione aperto a molte combinazioni e variazioni e non una regola fissa e rigida di costruzione dell’isolato. La realizzazione della Villa Olimpica nel 1992 mette in moto il processo di rinnovamento di tutto il settore; il progetto, coordinato da Martorell, Bohigas e Mackay, propone la prosecuzione della maglia del piano Cerdà, modificata soltanto dalle irregolarità dei tracciati ferroviari preesistenti. La libera interpretazione nella costruzione degli isolati, tuttavia, attuata con l’accorpamento di più blocchi e con una notevole frammentazione dovuta alle numerose soluzioni particolari, ha suscitato alcune critiche sul risultato finale: “Si è voluto presentare la Villa Olimpica come un prolungamento verso il mare della trama di Cerdà, però in realtà è completamente estranea alla condizione generica e ripetitiva dell’ensanche, visto che scaturisce dall’accumulazione di soluzioni particolari che esaltano la singolarità di ogni caso. Dagli schizzi iniziali alla sua costruzione si è mantenuto come criterio la rinuncia alla componente strutturale del progetto favorendo un atteggiamento fenomenologico ed eclettico. Il risultato è un pezzo di città eterogeneo e pittoresco, nel quale si moltiplicano gli effetti visuali e la varietà di situazioni fino al punto in cui la norma urbana si sfuma diventando irriconoscibile”99. 217 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 218 Sembra interessante comunque il tentativo di lavorare su una dimensione che superi la scala del singolo isolato, come d’altra parte suggeriva lo stesso Cerdà negli schemi combinatori allegati al piano; è il caso dell’isolato Nova Icària di Martorell, Bohigas e Mackay, che individua un ambito interno protetto dalla continuità della cortina perimetrale dove organizzare un’edificazione più bassa, impensabile in un normale contesto urbano denso, ma rinunciando così allo spazio aperto collettivo. Questo progetto si propone quindi la fondazione di un luogo domestico e a scala umana all’interno del corpo della grande città. A questo proposito, i progettisti parlano del complesso come di un punto di arrivo nella loro ricerca sull’isolato urbano, che sintetizza i valori spaziali della città consolidata e le conquiste moderne sulla residenza: “Up to this point we had always worked with city blocks which Martorell, Bohigas, Mackay, piano per la Villa Olimpica, Barcellona, 1990. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo Martorell, Bohigas, Mackay, complesso Nova Icària, Barcellona, 1990. had an area of about 1 hectare. The scale and dimension of this project allows the organisation of superblocks of 4 or 5 hectares, in which the central space has the potential to be more than an empty space which complements the band of construction: it can be an area of new residential typologies, difficult to include within the compactness of this band. The penetration of vehicular traffic can also be systemised, continuing the layout of all the streets of the Cerdà grid, by way of gateway buildings which mark out the meeting point and the articulation of the two urban scales. To some extent, out of an experimental process directed at the recuperation of the city block and the street, a solution has been arrived at which is very similar to the Viennese Höfe. What was at the time virtually an intermediary step between the nineteenth century city block – in the style of Cerdà or Haussmann – and the Siedlungen or the Ville Radieuse, is now the final step in a re-examination whose objective is not exactly an acritical return”100. Il progetto di Carlos Ferrater, nel quartiere Poble Nou, sembra invece rispettare non solo la dimensione originale del singolo isolato, 219 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 220 ma anche l’unità dell’intervento; i tre isolati residenziali, con un trattamento uniforme dei fronti, nascondono un interno destinato a giardino che mantiene un carattere domestico nonostante le dimensioni della corte, di circa 5.000 m2: le logge delle camere affacciano verso il silenzioso spazio progettato con filari di alberi, vasche d’acqua, percorsi e panchine. Allo stesso tempo le corti diventano un nuovo spazio pubblico per la città, poiché sono attraversabili con un viale pedonale che le unisce, spezzando la continuità del volume perimetrale e introducendo così un nuovo tracciato alternativo all’interno della rigida maglia viaria. Questo intervento, rispetto ai superisolati affacciati sul mare a sud, rientra più coerentemente nella logica ripetitiva dell’ensanche, in quanto mette a punto una regola di costruzione dell’isolato e la declina con poche variazioni, riservando per la residenza la funzione di tessuto di base della città, senza elementi di eccezionalità o di singolarità. Al contrario, gli isolati come Nova Icària, grazie alle notevoli dimensioni della corte, possono accogliere un programma funzionale più complesso, che comprende oltre alla residenza anche funzioni diverse legate al commercio, allo svago e allo sport; essi non possono tuttavia diventare regola generale di costruzione della città. Un ultimo caso interessante è la costruzione dei cinque isolati del fronte marittimo del Poble C. Ferrater, isolati residenziali al Poble Nou, Barcellona, 1992. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo E. Bru, progetto per il fronte marittimo del Poble Nou, Barcellona, 1995. Nou: il rinnovamento dell’area, successivo ai lavori per le Olimpiadi, è stato oggetto di una consultazione ad inviti nel 1995. Si torna a lavorare in questo caso sulla dimensione del singolo isolato come elemento minimo del disegno urbano, ma la possibilità di controllarne una lunga sequenza disposta in prima linea sulla fascia costiera introduce il tema della doppia scala: la scala della città con il suo lungo fronte marittimo e la scala locale e domestica delle corti residenziali. Proprio su questo rapporto lavora il progetto di Eduard Bru: gli schemi sperimentano le potenzialità di variazione della regola combinando edifici bassi che costruiscono il perimetro dell’isolato e torri che disegnano il ritmo del lungo fronte. Rispondendo coerentemente a due logiche diverse, questo progetto riesce a trovare una sintesi efficace, in equilibrio fra regola ed eccezione. Il progetto realizzato, redatto da un gruppo guidato da Ferrater, propone invece una modalità molto più schematica nell’espressione di questo doppio registro, ripetendo sui cinque isolati la stessa combinazione tra edificio alto a sud e chiusura del perimetro sugli altri lati. Nonostante le corti destinate a giardini abbiano le stesse 221 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza dimensioni e proporzioni di quelle costruite dallo stesso Ferrater a poca distanza, il carattere di questi due interni urbani è completamente diverso: negli isolati del fronte marittimo lo spazio della corte è sospeso tra un’immagine che non riesce ad essere né pubblica né domestica, non è sufficientemente grande per essere un parco ma non è nemmeno in stretto rapporto con gli appartamenti, nascosti dietro ad un parapetto pieno e continuo; nel secondo caso invece i giardini sembrano essere un naturale prolungamento all’aperto degli alloggi, e allo stesso tempo rimandano al carattere pubblico di una piazza alberata. 222 Questo confronto introduce una riflessione finale: il tipo urbano a corte, come tutte le generalizzazioni della forma, nel momento della sua trascrizione in un dato reale e costruito, passa attraverso una importante serie di scelte progettuali specifiche, dalle quali dipende il risultato, la coerenza con gli intenti e in ultima analisi la qualità dell’abitare, ma anche il modo di abitare lo spazio urbano. Queste scelte coinvolgono gli elementi del progetto C. Ferrater, isolati residenziali, fronte marittimo del Poble Nou, Barcellona, 1998. VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo architettonico, l’organizzazione della pianta, ma anche il trattamento dello spazio aperto e il rapporto con il contesto urbano in cui si collocano. Il tentativo di questa ricerca è stato quello di mettere in luce la complessità delle questioni in gioco nella definizione dei progetti e il ruolo del tipo urbano a corte nella costruzione di uno spazio urbano intermedio tra pubblico e privato; lo si è fatto seguendo l’evoluzione dei progetti urbani, evidenziando lo sviluppo della forma nel corso del novecento, che ha visto periodi di scelte condivise sul tipo a corte, di abbandoni e di riaffioramenti, fino alla rarefazione nel panorama contemporaneo. Di tutti i progetti selezionati sono state analizzate le caratteristiche tecniche, dimensionali, architettoniche e i modi della distribuzione: questi dati, se da un punto di vista assoluto sono importanti per quanto riguarda la dinamica tutta interna dell’alloggio, solo nel rapporto con lo spazio della corte determinano un modo di intendere e di costruire la città abitabile. Il vuoto centrale, come atto fondativo, resta termine ultimo di definizione di qualità dell’abitare diverse e complementari e istanza di continuità dei valori trasmessi dalla città storica; ma esso si riconosce anche in un atteggiamento di comprensione della contemporaneità attraverso il progetto. 223 Ringraziamenti Ringrazio il mio relatore, prof. Massimo Fortis, che ha sempre creduto in questa ricerca; il prof. Carlos Martí Arís, che ha gentilmente reso possibile il mio soggiorno di studio a Barcellona e ha contribuito all’avanzamento della tesi offrendo importanti spunti di riflessione; la prof.ssa Maria Grazia Folli per l’attenzione che ha dedicato al mio lavoro. Ringrazio inoltre: Eleonora Salsa per il continuo scambio di idee, la pazienza e il prezioso aiuto nella stesura del testo; Simona Pierini; Bruno Melotto; Ingrid Jonsson e tutte le persone che hanno contribuito anche indirettamente alla elaborazione di questa tesi. 225 Note B. Gravagnuolo, La progettazione urbana in Europa. 1750-1960, 1 pp.XII/XIII. 2 C. Martí Arís, L’arte e la scienza: due modi di parlare con il mondo, testo conferenza del maggio 1998, p. 3. 3 C. Martí Arís, Le variazioni dell’identità, p. 24 e sgg. 4 Ibid., p. 24. 5 C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 4. 6 C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 27. 7 Ibid., p. 5. 8 G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura. 9 C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 1. 10 E. Morin, in C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 1. 11 C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 2. 12 Ibid., p. 2. 13 M. Biraghi, in R. Koolhaas, Delirious New York, p. 295. 14 Ibid., p. 6. 15 C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 28. 16 Ibid., p. 19. 17 R. Borchardt, Città italiane, pp. 57-58. 18 L. Quaroni, Il progetto per la città – Dieci Lezioni, p. 38. 19 H. Focillon, Vita delle forme, p. 9. 20 F. Tavora, in C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 7. 21 G. Grassi, La costruzione cit., p. 76. 22 R. Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, p. 131 e sgg. 23 C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 20. 24 C. Rowe, La matematica della villa ideale e altri scritti. 25 T. S. Eliot, “Tradizione e talento individuale”, Opere 1904-1939, p. 394. 26 Ibid., p. 396. 27 S. Settis, Futuro del classico. 28 Ibid., p. 8. 29 G. Grassi, La costruzione cit., p. 44. 30 C. Martí Arís, Las formas de la residencia en la ciudad moderna, p. 13 (T.d.A.). 31 B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. IV. 32 C. Martí Arís, La manzana en la ciudad contemporánea, testo conferenza del novembre 1996, COAM Urbanismo (T.d.A.). 33 Gruppo 2 C, “La Barcellona di Cerdà – Elementi dell’Ensanche e costruzione dell’isolato”, Lotus, 23 (1979), p. 77. 34 J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione dell’urbanistica – Germania 1871-1914, p. 297. 227 Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza 35 P. Panerai, J. Castex, J. Depaule, Isolato urbano e città contemporanea, p. 23 e sgg. 36 J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 263. 37 Ibid., p. 263. 38 Ibid., p. 269. 39 R. Eberstadt, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 434. 40 J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 271-272. 41 R. Eberstadt, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 433. 42 Ibid., p. 433. 43 I. Cerdà, in Gruppo 2 C, “La Barcellona...” cit., p. 84. 44 P. Panerai, Isolato urbano cit., p. 25. 45 Ibid., p. 26. 46 M. Eleb, L’Invention de l’habitation moderne – Paris 1880-1914, p. 7 (T.d.A.). 47 C. Garnier, A. Amman, in M. Eleb, L’Invention cit., pp. 44-45. 48 M. Eleb, L’Invention cit., pp. 304-305 (T.d.A.). 49 Ibid., p. 307 (T.d.A.). 50 Ibid., p. 505 (T.d.A.). 51 G. Teyssot, Le origini della questione delle abitazioni in Francia (1850-1894), pp. L-LI. 52 M. Casciato, Olanda 1870-1940 – Città, Casa, Architettura, p. 25. 53 Ibid., p. 23. 54 Ibid., p. 24. 55 J. de Heer, in S. Polano, Hendrick Petrus Berlage - Opera completa, p. 81. 56 H. P. Berlage, “Normalizzazione nell’edilizia residenziale”, in M. Casciato, Olanda cit., p. 58 e sgg. 57 Ibid., p. 61. 58 P. Panerai, Isolato urbano cit., p. 91. 59 Ibid., p. 86. 60 J. Gratama, in M. Casciato, La Scuola di Amsterdam, p. 202. 61 J. J. P. Oud, in J.J.P. Oud - The complete works, p. 169 (T.d.A.). 62 J. J. P. Oud, in J.J.P. Oud cit., p. 186 (T.d.A.). 63 G. Broglio, L’Istituto per le Case Popolari di Milano e la sua Opera Tecnica dal 1909 al 1929, p. XIII. 64 Ibid., p. XLV. 65 M. Tafuri, Vienna Rossa – La politica residenziale nella Vienna socialista, 1919-1933, p. 119. 228 66 Ibid., p. 28. 67 Ibid., p. 134. 68 L. Scarpa, Martin Wagner e Berlino, p. 41. 69 B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. 169. 70 Ibid., p. 169. 71 Ibid., p. 170. 72 C. Martí Arís, Las formas cit., p. 13 (T.d.A.). 73 Ibid., p. 33 (T.d.A.). 74 F. Dal Co, in M. Casciato, Olanda cit., p. 155. 75 M. Bote Delgado, El concurso del 33 de Amsterdam; una clave de lectura de la residencia de masas europea del XX, Tesis Doctoral, Las Palmas de Gran Canaria, 2004 76 M. Baffa, in G. D. Salotti, Bruno Taut – la figura e l’opera, p. 61. 77 B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. 328. 78 P. Smithson, in J. Bosman, “I CIAM del dopoguerra: un bilancio del Movimento Moderno”, Rassegna, 52 (1992), p. 6. 79 J. Ortega y Gasset, in J. L. Sert, The Heart of the City: towards the humanisation of urban life, p. 3. 80 J. L. Sert, in The Heart cit., p. 4. 81 Ibid., p. 6. 82 P. Smithson, in The Charged Void: Architecture - Alison and Peter Smithson, p. 352. G. Radicchio, “Fernand Pouillon. I quartieri residenziali della 83 cintura parigina”, Casabella, 639 (1996), p. 26. 84 F. Pouillon, in J. Lucan, Fernand Pouillon architecte, p. 26. 85 A. Ferlenga, “Fernand Pouillon”, Casabella, 639 (1996), p. 29. 86 L. Martin, Urban space and structures, p. 21. 87 R. Krier, Lo spazio della città, p. 104. 88 Ibid., p. 133. 89 J. P. Kleihues, Berlino (-ovest) e l’I.B.A. ‘84, p. 26. 90 Ibid., p. 32. 91 H. Kollhoff, in J. Cepl, Hans Kollhoff – Kollhoff & Timmermann architetti, pp. 46-47. 92 Martorell/Bohigas/Mackay, Der Baublock, p. 14. I. De Las Casas, “Edilizia residenziale pubblica spagnola 93 – L’evoluzione dalla fine degli anni settanta ad oggi”, Phalaris, 12 (1991), p. 39. 94 Ibid., p. 41. 95 A. Kempe, O. Thill, in Europan 5, p. 59. 96 H. Kollhoff, Hans Kollhoff – Kollhoff e Timmermann architetti, p. 134. 97 C. Martí Arís, La manzana cit., p. 42. 98 S. Nijenhuis, A. Vos, in Europan cit., p. 26. 99 C. Martí Arís, Barcellona: due o tre cose che so di lei, testo della conferenza tenuta a Mendrisio il 24/10/2003 100 Martorell/Bohigas/Mackay, Der Baublock, p. 20. 229 Bibliografia AA. VV., Los ensanches: el ensanche de Barcelona, Etsab, Barcelona 1978. AA. VV., La manzana como idea de ciudad - Elementos teoricos y propuestas para Barcelona, 2c ediciones, Barcelona 1980. AA. VV., “Cerdà y su influjo en los ensaches de poblaciones”, Ciudad y Territorio, 119-120 (1999). AA. VV., La villa Olimpica. Barcelona 92, G. Gili, Barcelona 1991. AA. VV., Transformacion de un frente maritimo. Barcelona. La Villa Olimpica, 1992, G. Gili, Barcelona 1988. AA. VV., H. P. Berlage 1856-1934 - En bouwmeester en zijn tijd, Fibula - Van Dishoeck, Bussum 1975. AA. 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