La disposizione a corte nel progetto della

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La disposizione a corte nel progetto della
Politecnico di Milano
Dipartimento di Progettazione dell’Architettura
Dottorato di Ricerca in Architettura Urbanistica Conservazione
dei Luoghi dell’Abitare e del Paesaggio
XVII ciclo
La disposizione a corte nel progetto della residenza
Studio dell’evoluzione di un tipo urbano nel ‘900 in Europa
Coordinatore
Prof.ssa Maria Grazia Folli
Relatore
Prof. Massimo Fortis
Fabio Zorza
Milano 2005
Indice
7
Introduzione
I motivi della ricerca: la disposizione a corte nel progetto
della residenza
15
Premessa
Questioni di metodologia della ricerca in architettura
35
I.
Precisazioni
definizione
intorno
a
una
Corte residenziale collettiva – Tipo urbano,
progetto urbano – Disposizione a corte, isolato
e tracciato viario
45
II.
Inquadramento storico: la città
ereditata
La formazione della città industriale – Alta
densità e speculazione fondiaria – Suddivisione
in lotti e regolamenti edilizi – Questione delle
abitazioni
55
III.
I precedenti
New Town di Edimburgo di J. Craig – Le
grandi corti di Cerdà a Barcellona – Parigi
tra Haussmann e Movimento Moderno ed
evoluzione di corti e courettes
81
IV.
La definizione di un tipo urbano:
1900-1929
Diffusione
della
corte-isolato
come
soluzione tipo della moderna città industriale
– Amsterdam, Van der Pek, Berlage, de Bazel
– Rotterdam, Brinkman e Oud – Milano, le
realizzazioni dello Iacp – Vienna, gli Höfe operai
– Amburgo, il piano di Schumacher – Madrid,
l’influenza di Zuazo – Berlino, siedlungen di
transizione
V.
Abbandono e riaffioramenti della
forma chiusa
_
149
La definizione di un nuovo linguaggio
urbano
La rottura del 1929 – Il blocco isolato,
tipizzazione, standardizzazione – Forma aperta,
serialità – I CIAM e la città funzionale, il clima
ideologico e sperimentale – La svolta di May
con Westhausen – Oud a Blijdorp – Gropius,
razionalità scientifica – Concorso di Amsterdam
del ’33 – E. May a Francoforte
_
Dilatazione della forma chiusa, chiusura
della forma aperta
Il dopoguerra, la crisi degli ultimi CIAM – Il
progetto del quartiere, influenze sociologiche –
Alla ricerca di un centro, di una piazza, di una
strada – Bakema e isolato composito – A. e P.
Smithson – Pouillon e gli interni urbani nella
periferia parigina
_
La “rinascita” del passato, lo spazio chiuso
come valore
La riproposta di modelli di strada e isolato
negli anni ’70 e ’80 – Gli studi di Leslie Martin
– I tentativi “nostalgici” di Rob Krier – I progetti
di Hans Kollhoff – Il banco di prova dell’IBA di
Berlino, Kleihues, Krier, Ungers – Martorell,
Bohigas, Mackay a Barcellona, De Las Casas a
Madrid
VI.
Rarefazione di una tipologia: il
panorama contemporaneo
199
Corte e paesaggio naturale – Variazioni e
distorsioni della disposizione a corte – Nuovi
quartieri ad Amsterdam – I casi recenti di
Barcellona – Considerazioni finali
Note
227
Bibliografia
231
Tavole comparative
239
J. Coenen, quartiere Céramique, Maastricht, 1987.
Introduzione
I motivi della ricerca: la disposizione a corte
nel progetto della residenza
Da una rapida ricognizione dei progetti di
carattere residenziale costruiti durante l’ultimo
decennio negli ambiti urbani o di prima periferia
delle grandi città europee possiamo riscontrare
la presenza costante di una forma urbana
riconoscibile, di una logica di disposizione degli
edifici residenziali che rimanda in vari modi alla
forma chiusa della corte e alle sue numerose
varianti. Non si può negare che questa attitudine
progettuale di carattere generale sia diffusa tra
architetti e urbanisti, nonostante la sua apparente
inattualità: essa predilige per il progetto di
residenza quella che possiamo definire una
disposizione a corte, declinata con diverse
soluzioni di chiusura o apertura, attraverso i
volumi costruiti che tendono a racchiudersi e
definire uno spazio interno distinto e protetto.
Lo spazio così delimitato tende ad assumere una
valenza domestica ma allo stesso tempo collettiva,
contrapponendosi allo spazio pubblico della città
al di fuori. Dopo un secolo di sperimentazioni
sulla residenza, ritorna ancora una forma urbana
che rimanda alla città storica e ai suoi elementi,
anche se a scala diversa. È evidente la distanza
che separa queste recenti realizzazioni dagli
esempi più noti del periodo eroico della ricerca
sull’abitazione razionale del secolo scorso, come
se tutta l’eredità rappresentata dalla produzione
degli architetti moderni tra le due guerre, che si
studia ripetutamente sui libri di storia, fosse stata
dimenticata o volontariamente ignorata.
Gli esempi che possiamo elencare sono molti,
più o meno noti; dalla periferia recente di
Madrid, dove interi quartieri presentano isolati
chiusi sui quattro lati accostati in modo serrato,
per i quali si potrebbe parlare strettamente di
7
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
8
tipo urbano a corte, al quartiere Céramique di
Maastricht dove nell’insieme della composizione
del planivolumetrico compaiono solo alcuni
edifici a corte chiusa, che i progettisti hanno
successivamente reinterpretato; dalla tendenza
a ripetere la corte chiusa o semiaperta come
principio di uniformità urbana nelle Zac (Zone
d’Aménagement Concerté) parigine, ai monotoni
blocchi a C accostati o contrapposti nei recenti
Pru (Piani di riqualificazione urbana) milanesi.
In alcuni casi si tratta del risultato di un preciso
intento progettuale, basato su una certa idea di
città compatta; in altri si tratta della semplice
trascrizione architettonica di regolamenti e indici
urbanistici, stilati ad hoc da uffici tecnici che si
trasformano in involontari artefici della nuova
immagine urbana; in altri ancora possiamo solo
scorgere una stanca applicazione di modelli di
edilizia residenziale sufficientemente sicuri e in
sintonia con le tendenze speculative del mercato
immobiliare.
Se assumiamo come unico parametro di
lettura la forma dell’impianto planimetrico,
questi progetti, come molti altri, possono
essere raggruppati sotto la categoria di edifici
residenziali collettivi con disposizione a corte; tra
di loro corrono similitudini e assonanze evidenti.
Ma se li analizziamo più a fondo, tentando di
B. Albert, complesso residenziale “Grote Circus” nel
quartiere Céramique, Maastricht, 1994.
Introduzione: i motivi della ricerca
A. Cruz, A. Ortiz, complesso residenziale “Patio
Sevilla” nel quartiere Céramique, Maastricht, 1999.
MBM Arquitectes, complesso residenziale “Kleine
Circus” nel quartiere Céramique, Maastricht, 1994.
entrare nei meccanismi di costruzione della
forma architettonica, scopriamo delle profonde
differenze: per fare degli esempi, nella logica di
disposizione degli spazi, nella collocazione degli
accessi, nella natura dello spazio racchiuso e nel
suo rapporto con l’esterno, nella distribuzione
degli alloggi e nel trattamento degli affacci,
fino al rapporto della forma costruita con il
tracciato viario, e di conseguenza con l’isolato.
Importanti variazioni sul tema, queste ultime, che
contribuiscono a definire l’identità e la qualità di
ciascun progetto.
Sono proprio queste differenze a spingere
chi scrive ad approfondire, attraverso l’analisi,
lo smontaggio e la comparazione dei progetti
residenziali a corte, le possibilità che offre
questo particolare tipo insediativo alla città
contemporanea, in termini di qualità, adeguatezza
e attualità. Come vediamo, questi parametri non
sono legati espressamente alla disposizione a
corte, ma alla sua concretizzazione attraverso il
progetto degli elementi specifici, che informano
il progetto generale e ne determinano le qualità.
Infatti, a fronte di una grande diffusione,
per non dire successo, di questo tipo urbano,
ci troviamo di fronte a giudizi molto disparati
sulla qualità e l’appropriatezza di queste
architetture nei diversi contesti urbani. Spesso
abbiamo l’impressione di progetti svuotati di
senso, ripetitivi e autoreferenziali, in quanto
carenti di rapporti da un lato con le forme e i
modi d’uso della città, dall’altro con il carattere
stesso dell’abitare che trapela dalla forma degli
alloggi e dalla loro distribuzione. Non vi è
dubbio che in molti casi sia evidente un processo
di banalizzazione della forma urbana, da forma
a formula; la corte residenziale è facilmente
applicabile in tutti i contesti ma spesso risulta
fatalmente svilita e svuotata di quei contenuti
progettuali che apprezziamo nei migliori esempi
costruiti nelle città europee.
Talvolta la corte diventa una formula magica
9
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
10
per rendere meglio appetibili insediamenti urbani
che presentano una bassa qualità architettonica,
ma che attraverso lo slogan “abita a corte”
pretendono di incarnare i preziosi valori che
garantiscono quiete, armonia, serenità e comfort
senza rinunciare ai vantaggi di abitare nel centro
della città.
L’approfondimento dei progetti, strumento
analitico essenziale di questa ricerca, ci sembra
quindi necessario al fine di far emergere i nodi
problematici specifici della residenza a corte nei
contesti urbani; è per questo motivo che il nostro
sguardo deve volgere verso gli esempi migliori, e
inevitabilmente verso un passato recente, a cui
gli esempi sopra riportati rimandano, denso di
casi importanti per la definizione di questo tipo
urbano.
Il tipo insediativo a corte, considerato come
uno dei possibili modi di risolvere il problema
della residenza collettiva in ambito urbano, è
stato messo a punto e largamente utilizzato
lungo tutto il corso del XX secolo, con qualche
precedente importante anche nel ‘700 e nell’800;
come vedremo, esso ha visto le sue origini come
soluzione per risolvere il problema della carenza
di alloggi nei centri urbani in espansione. È
quindi strettamente legato alla formazione della
moderna città industriale, e si propone come
strategia per risolvere i problemi del suo sviluppo
organico, in accordo con i principi che invocavano
migliori condizioni di igiene e salubrità per le
abitazioni operaie in primo luogo, per evidenti
ragioni di emergenza quantitativa, ma anche
per tutti gli altri edifici residenziali in genere.
La grande corte residenziale è diventata quindi,
nei diversi casi che vedremo, una soluzione che
garantiva il controllo del disegno urbano in
continuità con la città storica e allo stesso tempo
condizioni ottimali per la residenza in termini
di presenza di aria, luce, e verde. Ritroviamo
questo tipo di forma urbana declinata lungo
tutto il corso del ‘900, durante il quale ha
C. Weeber, quartiere residenziale Venserpolder,
Amsterdam, 1986.
Introduzione: i motivi della ricerca
Complesso residenziale di via Segantini, Milano,
2000.
subito variazioni, sperimentazioni e verifiche,
e ha contribuito alla costruzione di intere parti
di città. Spesso si presenta sotto forme simili
contemporaneamente in città diverse. Possiamo
dire che ha una sua storia precisa, fatta di casi
reali, forme che si ripetono o che rimandano
l’una all’altra a distanza di tempo e di spazio; si
può fare luce sulla sua formazione e sviluppo,
come tipo riconoscibile.
Ipotesi della ricerca è che la lenta evoluzione di
questa forma non si sia mai interrotta, che si possa
tracciare una linea continua, un filo rosso che lega
alcune esperienze senza soluzione di continuità,
nonostante alcuni intervalli significativi, come
per esempio l’apparente rottura degli anni ‘30.
Una specie di ritorno costante di questa forma
urbana, anche dopo periodi in ombra, come se
seguisse un suo particolare percorso, trasversale
alle vicende e alle ideologie che accompagnano
la storia dell’architettura, a volte infilandosi in
percorsi carsici per rispuntare alla luce più a
valle. In questa evoluzione, non certo naturale o
finalistica ma legata al progresso e all’innovazione
11
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
della cultura progettuale urbana, si possono
riscontrare alcune costanti, come vedremo, che
dipendono dalla strategia urbana indotta dalla
forma generale, ma anche significative variazioni,
che ci permettono di valutare la corrispondenza
con il tempo e il contesto, con l’evoluzione dei
modi di abitare la casa e la città.
L’approfondimento di questi concetti sembra
essere l’unica forma di conoscenza utile e
trasmissibile nell’ambito della progettazione
architettonica; il retaggio costituito dagli
esempi del passato offre a tutti gli effetti un
bagaglio di conoscenza di forme, dispositivi,
soluzioni e risultati che è indispensabile
acquisire per emettere un giudizio sulla realtà
e per affrontare la progettazione nel presente.
“L’approfondimento conoscitivo su quanto di
meglio è già stato ideato, caldeggiato e verificato
su un determinato problema può evitare il rischio
di ricominciare sempre daccapo, ripercorrendo
strade fallimentari già battute, e, in ogni caso,
può aiutare a rintracciare le innovazioni da
apportare alle linee di ricerca cui ci si intende
consapevolmente riallacciare per riprendere il
cammino verso una nuova architettura, a partire
dal punto in cui si è arrestato il lavoro intellettuale
di chi ci ha preceduto”.1
12
Complesso residenziale
Oggiaro, Milano, 1997.
(P.r.u.)
Palizzi-Quarto
Introduzione: i motivi della ricerca
De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter,
quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001.
13
Premessa
Questioni di metodologia della ricerca in
architettura
Il problema di chiarire, per quanto possibile,
la natura del lavoro di ricerca nel campo
dell’architettura si è posto come premessa
indispensabile al lavoro stesso, in particolare
nel caso di una ricerca elaborata all’interno di
un dottorato di progettazione dell’architettura.
Sicuramente non è facile indagare i rapporti
tra teoria e pratica della progettazione, per la
varietà con cui questi si sono verificati nel lungo
corso della storia dell’architettura, per le enormi
differenze che possiamo riscontrare nel tempo e
nello spazio. Non si pretende nemmeno di dare
in questa sede risposte illuminanti e definitive;
sembra importante però impostare il problema
nelle sue linee generali, riportando idee e tesi
consolidate per quanto attiene alla epistemologia
della ricerca e in generale ai processi della
conoscenza, provando a fare delle precisazioni
e indicare una direzione possibile. Il senso di
questa premessa è proprio quello di trovare una
coerenza per il lavoro che segue.
Quadro epistemologico
Esiste la possibilità di una conoscenza oggettiva
e trasmissibile nel campo dell’attività artistica?
Se la disciplina architettonica si può definire
artistica, in che cosa si differenzia da quelle
scientifiche? Si può parlare, infine, di teoria
architettonica se non riconosciamo ad essa lo
statuto scientifico?
Sono domande che investono tutto il campo del
sapere, la sua produzione, la sua accumulazione
e trasmissione; ma anche la natura del rapporto
15
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
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tra il sapere teorico e il mondo reale, tra teoria
e pratica. In questo terreno scivoloso ci sono
ancora molti dubbi da chiarire, ostacoli e
pregiudizi da superare; per esempio la tendenza
diffusa ad identificare tutta la complessità
del sapere umano e i suoi meccanismi con la
conoscenza scientifica. “Non c’è dubbio che la
scienza è stata, durante gli ultimi due secoli, il
principale referente epistemologico. Ma il fatto
che le scoperte scientifiche dell’era moderna
si annoverino tra le principali conquiste del
pensiero, non autorizza a pensare che la ricerca
scientifica sia il passo obbligato di qualsiasi
possibile forma di conoscenza”2.
Gli interrogativi posti mettono quindi in luce
quella che ancora oggi si può riconoscere come
una dicotomia irriducibile tra scientificità e
artisticità, visti come due poli opposti delle attività
conoscitive, che operano con procedimenti
completamente diversi. In particolare, come
evidenzia Carlos Martí Arís3, le attività artistiche
soffrono di una concezione soggettivistica basata
sulla manifestazione del sentimento o della
coscienza dell’artista, concezione ereditata dalla
filosofia di matrice idealista. “Succede così che,
quando si pone il problema di formulare, in modo
sistematico, la conoscenza legata alle discipline
artistiche, sorge immediatamente un’opinione
latente e generalizzata incline a negare, in
quanto impossibile, qualsiasi strutturazione del
sapere artistico, nonché a rifugiarsi in una visione
atomizzata e particolarista, basata sulla presunta
condizione ineffabile dell’arte”4.
Allo stesso modo, una concezione di origine
positivista ridurrebbe la scienza a una mera
accumulazione di esperimenti e di dati dai quali
ricavare meccanicamente teorie e spiegazioni
scientifiche, come fossero già contenute ma
solo nascoste nella realtà, ed escludendo
a priori qualsiasi attività legata al campo
dell’immaginazione.
A questo proposito l’opera teorica di Karl
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
Popper, che riflette in generale sui meccanismi
di produzione della conoscenza, rappresenta
un riferimento importante per la cultura
contemporanea. Anche se i suoi sforzi mirano
per lo più a spiegare ciò che denomina la “logica
della scoperta scientifica”, evidenziando un
ruolo attivo del soggetto osservatore a cui viene
riconosciuta una “immaginazione critica” che
guida e pianifica la propria percezione, le sue
elaborazioni teoriche ci sono di grande aiuto
per dimostrare la possibilità di una conoscenza
oggettiva anche nel campo artistico. Seguiamo
la teoria di Popper: i meccanismi di percezione
della realtà presuppongono l’esistenza di un
mondo reale fatto di cose e di un soggetto
individuale che percepisce attraverso i sensi. Gli
stati mentali dell’individuo, necessari nell’atto di
acquisire informazioni, sono però temporanei,
hanno un’esistenza effimera, e non possono
essere condivisi con altri individui se prima non
vengono espressi attraverso il linguaggio. Il
lavoro di formulazione attraverso il linguaggio
presuppone un’operazione di astrazione e
generalizzazione, e il prodotto così ottenuto
possiede una nuova natura, diventa un concetto
autonomo dal soggetto che lo ha espresso. Inizia
una vita indipendente, in un mondo popolato
da oggetti che possiedono tutti la stessa natura:
teorie, argomenti, concetti formano così un
universo di contenuti oggettivi del pensiero, che
si possono accumulare nel tempo. Il contributo
di Popper sta proprio nella definizione di questa
“epistemologia senza soggetto conoscente”,
indipendente dagli stati mentali del soggetto, che
invece sono temporanei e variabili.
Questa precisazione permette a Popper di
formulare la “teoria dei tre mondi”, che riassume
e generalizza i processi della conoscenza umana.
Superando definitivamente le posizioni derivanti
dalla filosofia idealista, che proponevano una
visione dualista della conoscenza basata sulla
contrapposizione di mondo della realtà da una
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Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
parte e soggetto pensante dall’altra, Popper
rivendica una nuova autonomia al mondo delle
idee, affermando l’esistenza di tre universi
ontologicamente distinti tra loro, ma tutti
indiscutibilmente reali: il mondo delle cose
materiali (mondo 1), il mondo dei concetti e
delle costruzioni teoriche (mondo 3), entrambi
indipendenti nella loro crescita nel tempo, e il
mondo degli stati di coscienza (mondo 2). L’attività
mentale dell’individuo è il solo collegamento
esistente tra concetti astratti e realtà fisica, opera
cioè da tramite tra i due mondi. Il soggetto è
inoltre l’unica forza attiva, con potere di azione
e di scelta, è il motore che permette di passare
dalle idee alle cose e viceversa. Questa volontà,
legata al soggetto, ma anche al luogo e al tempo,
è immediatezza, è presente continuo; in quanto
tale non ha la facoltà di contenere nel tempo idee
e concetti, che invece si accumulano, sempre ad
opera dell’attività del pensiero, nel loro mondo
autonomo, il mondo 3, e sopravvivono nel tempo.
Proprio questa è la differenza che sottolinea
Popper tra l’avere un pensiero e formularlo in un
linguaggio.
18
In base a questa teoria ci sarebbe quindi
una continua azione di scambio: per costruire
concetti si parte dall’osservazione della realtà,
al contrario per incidere sul mondo delle cose
si utilizzano le conoscenze teoriche. “Questo
travaso di materiali provoca un processo continuo
di retroalimentazione nel quale gli effetti si
convertono in cause generatrici del dinamismo
stesso”.5
Resta da definire allora la natura dell’attività
del soggetto: infatti quando opera in un senso, dal
mondo 3 al mondo 1, agisce concretamente nel
mondo della realtà fisica; quando invece opera
dal mondo 1 al mondo 3 il prodotto è di natura
concettuale e teorica. Possiamo ora affermare che
questa è la base epistemologica sia dell’attività
scientifica dell’uomo sia di quella artistica?
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
Possiamo cioè riconoscere concretamente sia nel
campo artistico che in quello scientifico questo
travaso di materiali, e gli oggetti specifici relativi
ai due ambiti del sapere?
Per quanto attiene al campo scientifico, è
opinione condivisa che il mondo 1 sia composto
dalle cose materiali, oggetto dell’osservazione,
mentre il mondo 2 da teorie, dimostrazioni di
carattere generale. Un esempio: non ci sono
dubbi sull’appartenenza a quest’ultima categoria
della tavola degli elementi di Mendelejev, o
della legge gravitazionale dei corpi, così come
appartengono al mondo 1 gli oggetti da cui
queste leggi chimiche e fisiche sono desunte.
Nel campo artistico ci troviamo d’accordo
nel riconoscere gli oggetti del mondo 1 come le
cose prodotte dall’uomo, “artefatte”, siano esse
opere d’arte in senso stretto o meno, mentre è
più difficile definire la natura degli oggetti del
mondo 3; che cosa sono per esempio i concetti
astratti nell’attività architettonica? Come si
formano, come si tramandano?
Nel tentativo di dimostrare la dimensione
conoscitiva
dell’architettura,
Martí
Arís
introduce il concetto di tipo architettonico,
legato alla struttura organizzativa della forma,
come generalizzazione basata su fatti singolari
che porta alla possibilità di mettere a punto
concetti generali dotati di legittima cittadinanza
nel mondo 3. “Basti pensare ai termini che, nel
corso della storia, hanno consentito alla nostra
disciplina di mettere a punto una descrizione
degli edifici. Ricordiamo, ad esempio, con
quanta esattezza si possono descrivere le parti
di un organismo basilicale e come a ogni parte
corrisponda una denominazione precisa e
inequivocabile: atrio, portico, navata, transetto,
coro, abside, deambulatorio. Questi sostantivi
rimandano a contenuti universali, dato che sono
applicabili a diversi fatti particolari, ciascuno
dotato di una propria individualità”6. Secondo
questa teoria, già l’attività di descrizione assolve
19
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
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un ruolo decisivo nello sviluppo del sapere
architettonico, perché presuppone l’espressione
attraverso il linguaggio scritto di un’opera
costruita, e di conseguenza una inevitabile
generalizzazione che produce oggetti del mondo
3 dotati di astrazione e autonomia. Un simile
ragionamento lo si può estendere anche ad altre
arti, declinando il significato di forma strutturale
agli specifici oggetti delle discipline.
Verificata l’esistenza di concetti astratti anche in
campo artistico, Martí Arís propone una ulteriore
precisazione rispetto alla teoria popperiana dei
tre mondi. In linea generale la differenza tra le
due attività del sapere consiste nella direzione
privilegiata nel processo descritto sopra: l’attività
scientifica dal mondo delle cose tende al mondo
delle idee teoriche, mentre l’attività artistica dal
mondo delle costruzioni teoriche a quello delle
opere reali. Entrambe condividono lo stesso
sistema epistemologico, ma non lo stesso fine,
e nemmeno la natura del prodotto dell’azione
del soggetto. “Mentre l’obiettivo fondamentale
della ricerca scientifica è quello di formulare
principi astratti e leggi universali a partire
dall’osservazione dei fenomeni, la principale
finalità dell’attività artistica consiste, al contrario,
nell’elaborazione di oggetti fisici che sorgono
per distillazione di idee e concetti con i quali
cerchiamo di interpretare la realtà”.7
Se il fine conoscitivo quindi è comune ai due
campi disciplinari del sapere umano, come questa
teoria ha legittimato, i prodotti finali sono invece
di natura radicalmente opposta: dagli sforzi
scientifici nascono teorie e concetti astratti, la
cui origine e i cui effetti sono nel mondo reale;
dal lavoro artistico nascono opere concrete,
che hanno avuto origine nel mondo delle idee,
e contribuiscono ad ampliarlo ulteriormente. In
tutte le attività possiamo riscontrare una tendenza
alla comprensione del reale, all’avanzamento e
alla trasformazione, ma se in un campo i prodotti
sono dipinti, edifici, sinfonie, parole, nell’altro
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
sono concetti, dimostrazioni, teorie, che si
accumulano nel tempo acquistando una propria
autonomia proprio come i prodotti artistici.
Da un lato viene riconosciuto uno statuto
conoscitivo alle attività artistiche, liberandole
dall’interpretazione soggettivistica della mera
“creazione” individuale, isolata nel tempo e
nello spazio, dall’altra si legittima una volontà
attiva nel campo scientifico, una “immaginazione
critica” che non rinuncia all’intuizione, nel senso
etimologico di guardare con attenzione.
Sulla natura della ricerca
Le riflessioni appena fatte ricostruiscono
sinteticamente un quadro di riferimento
epistemologico che individua le differenze tra
discipline artistiche e scientifiche, non in un’ottica
di contrapposizione ma di complementarità
che abbraccia il territorio del sapere umano in
tutta la sua complessità. Si rileva inoltre come i
prodotti specifici dell’arte siano oggetti reali, non
concettuali: essi hanno un carattere sintetico,
sono la precipitazione concreta in un tempo e in
un luogo di idee attraverso l’azione soggettiva. In
questo quadro dove si colloca allora il lavoro di
ricerca nel campo artistico? Se il lavoro di ricerca
ha come fine il riconoscimento di concetti generali
e la loro descrizione partendo dalle opere reali,
allora percorre la strada che abbiamo descritto in
precedenza come senso privilegiato dall’attività
scientifica. La possiamo allora definire come
attività scientifica applicata all’arte, oppure come
attività artistica secondaria? E chi la pratica è
uno scienziato dell’arte, o un artista in pausa di
riflessione?
Non c’è dubbio che vi sono in merito molte
posizioni di pensiero. Giorgio Grassi, per
esempio, mettendo in luce l’aspetto sintattico
dell’architettura ne evidenzia il suo carattere di
costruzione logica; in questo senso arriva a dire
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Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
che analisi e progetto hanno in comune il fine
conoscitivo, ma anche il procedimento, cioè un
ordine logico di scelte successive di carattere
logico-sintattico8. C’è anche chi ritiene, non senza
un certo grado di provocazione, che in campo
artistico non esiste la ricerca, e che l’unico modo
per contribuire all’avanzamento delle discipline
artistiche è produrre oggetti artistici; nello
specifico ciò significa occuparsi di fare progetti
di architettura e di portarli alla realizzazione.
Avendo dimostrato però l’esistenza di un
mondo di oggetti astratti anche nel nostro
campo disciplinare, ci chiediamo come e da chi
vengano prodotti se non dall’azione del pensiero
soggettivo, unica volontà attiva nel processo
della conoscenza, come abbiamo dimostrato
sopra. I concetti precisi e condivisi di navata,
transetto, abside, ma anche di colonna, finestra,
cornicione non esisterebbero se nessuno avesse
proceduto alla descrizione di opere costruite,
dopo una loro osservazione e comparazione,
attraverso il linguaggio. Questi concetti non
nascono da soli, né esistono già a priori, come se
fossero idee platoniche. D’altra parte l’esistenza
di un dottorato di ricerca in progettazione
dell’architettura legittima già di per sé l’esistenza
di questo tipo di attività, e pone la questione di
definire i meccanismi del lavoro di ricerca ad un
livello di primaria importanza.
22
Il lavoro di ricerca esiste quindi, ed è subito
evidente anche l’utilità di una teoria architettonica,
che permette di riflettere sui contenuti dei
progetti. A differenza dei prodotti principali
dell’arte e della scienza, rispettivamente opere
concrete e opere concettuali, le generalizzazioni
conseguenti al lavoro di ricerca in architettura
non possiedono lo stesso carattere di verità
e perfezione. La evidenza pregnante di una
dimostrazione matematica possiede, a ben
vedere, un carattere di verità simile alla presenza
inevitabile e concreta di un’opera costruita.
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
Hanno forse in comune il carattere sintetico,
operazione di una distillazione. L’operazione di
risalire la corrente del processo di sintesi quindi
non può che avere un carattere analitico, paziente
e laborioso. E conduce in un territorio vasto
dove non troviamo verità e risposte, ma materiali
generali per rispondere più consapevolmente
alle domande della conoscenza, attraverso il
progetto, o per ampliare la gamma delle domande
possibili.
Risulta chiaro allora che la ricerca è definita
come attività peculiare anche in campo artistico,
soprattutto per lo stretto rapporto che mantiene
con il progetto; il fine ultimo infatti sembra
quello di definire basi sempre più ampie per
l’elaborazione di risposte progettuali. Allo
stesso tempo, però, progetto e ricerca sono
due procedimenti ben distinti, che muovono
materiali in senso opposto; sono autonomi nei
metodi, l’uno sintetico l’altro analitico, e nei fini,
l’uno rispondere concretamente ad un problema
e l’altro aprire le questioni.
Attraverso il lavoro teorico nelle arti non si
arriva alla messa a punto di procedimenti da
applicare meccanicamente, come qualcuno può
credere: sempre Martí Arís in questo senso avverte
che “la parola teoria non dovrebbe suscitare
in nessun caso false illusioni, e meno ancora
insinuare l’esistenza di percorsi infallibili”9.
È proprio questa tendenza che trasforma
pericolosamente (per i processi conoscitivi) la
teoria in dottrina, “teoria che afferma che la
sua verità è definitivamente provata, e rifiuta
tutte le smentite della realtà”10; dottrina che
mette a punto processi progettuali sicuri dei
quali dimostra la necessità e la correttezza.
Evidentemente questo non è il fine di questa
ricerca, né lo dovrebbe essere per i lavori che
hanno questo nome. “Considero perciò che il
compito di una teoria del progetto non sia quello
di confezionare formule in grado di risolvere i
problemi una volta per tutte, ma piuttosto quello
23
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
di ampliare la pratica del progetto ed il suo
campo problematico, fornendo allo stesso tempo
strumenti che consentano di porre tali problemi
con maggiore chiarezza e correttezza, vale a dire
che permettano di riconoscere più ordinatamente
la complessità del reale”11.
Sulla centralità del progetto
24
Con quale metodo procede la ricerca in
architettura? Se pensiamo al ruolo che essa
riveste nel processo della conoscenza del reale
possiamo arrivare a definirne i meccanismi,
spero in modo condivisibile. La ricerca procede
in modo analitico, abbiamo visto, risalendo la
corrente del progetto, ed ha come materiale
base di lavoro ma anche come fine ultimo la
realtà costruita; tuttavia produce concetti e idee
teorici. Ecco perché esiste il pericolo che una
teoria si chiuda in sé stessa quando si allontana
troppo dal progetto e dalle condizioni materiali,
costruendo un ambito autoreferenziale e sterile
ai fini della conoscenza. Per questo motivo
inoltre affermiamo la centralità del progetto
come interesse della ricerca, e la necessità di
partire sempre dalle opere realizzate, che sono
la definizione stessa di architettura. “...qualsiasi
teoria del progetto deve partire dallo studio
delle opere di architettura nella loro singolarità
e concretezza. Questa affermazione pare ovvia, e
probabilmente lo è davvero. Tuttavia mi sembra
che il suo frequente inadempimento sia una delle
principali cause del discredito che oggi grava su
qualsiasi tentativo di discorso teorico nel campo
dell’architettura”12.
Per fare un esempio, il libro Delirious New
York è stato sempre indicato sia dall’autore,
che lo sottotitola “Un manifesto retroattivo
per Manhattan”, sia dai critici un lavoro mirato
alla fondazione di una nuova teoria della
progettazione, mettendo così in secondo piano
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
l’interesse specifico che la ricerca mostra sulla
città: “Koolhaas diffonde il proprio manifesto,
getta le basi della propria architettura, pone i
cardini e i decumani della propria fondazione”13. In
realtà il libro è un lavoro di ricerca principalmente
perché analitico, indagatore, fondato sull’analisi
dettagliata delle opere più importanti di un certo
periodo, di cui ricostruisce le ragioni, i principi,
nonché le vicende e le fasi della realizzazione;
perché evidenzia il dato costante che emerge,
cioè un esasperato gigantismo abbinato ad una
innovativa complessità nei programmi funzionali.
Solo alla fine Koolhaas decide di prendere
in prestito quei principi per farli rivivere nei
propri progetti, con un procedimento operativo,
sintetico, che appartiene di più al mondo del
progetto che a quello della ricerca.
Un lavoro di ricerca inoltre deve saper rinunciare
al desiderio di influire direttamente sulla realtà;
il cambiamento e la trasformazione sono compiti
del progetto, e attraverso la ricerca si può solo
dare un contributo indiretto. L’autonomia del
momento teorico è fondamentale affinché
questi apporti possano essere utilizzati come
fonte di ragionamenti anche da altri soggetti,
diversi dal ricercatore stesso. Ciò non esclude
che quest’ultimo possa farne uso, quando
indossa le vesti di progettista. “Per tale motivo
ogni costruzione teorica che abbia per oggetto
il progetto architettonico deve essere capace di
accettare la sua condizione secondaria, il suo
ruolo transitivo ed ausiliare, sempre riferito e
subordinato alle opere, vere depositarie della
conoscenza in qualsiasi attività artistica”14.
Sulla forma
Downtown Athletic Club, New York, 1931.
Il lavoro di indagine e di descrizione delle
opere di architettura si avvale, come categoria
di generalizzazione, della forma e della sua
concettualizzazione, la struttura formale, meglio
25
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
26
definita come tipo architettonico: categoria che
contiene “tutti quei concetti che alludono a una
struttura, a un’idea organizzativa della forma che
riporta gli elementi dell’architettura verso un
ordine riconoscibile”15. Questa è una delle scelte
possibili, ma a noi sembra che la forma, per il
suo carattere fisico e materiale, per il suo essere
evidente e descrivibile, sia una categoria tra le
più adatte ad avvicinare i dispositivi del progetto
di architettura. Inoltre essa è, a differenza di altre
categorie come l’uso e la funzione, la più stabile
nel tempo, quella che coincide più in profondità
con l’essenza materiale dell’architettura, fino a
diventare un suo strumento peculiare.
Vi sono sicuramente altri modi possibili di fare
ricerca: per esempio, per avere una conoscenza
più approfondita è necessario indagare le cause
e la situazione al contorno che hanno portato a
costruire un’opera in un certo modo. Mettere in
evidenza motivazioni, attori, contesto sembra
però un lavoro di ricerca che appartiene più
all’ambito storico che a quello progettuale. Non
c’è dubbio che la produzione delle opere reali sia
strettamente legata ad un contesto storico ben
preciso e alla destinazione funzionale originale,
dai quali spesso dipende anche la stessa
declinazione di una forma. Ma “l’esperienza
storica mostra con chiarezza che la forma è più
duratura di qualsiasi sua utilizzazione”, e “la
somma integrale di tutte le particolarità d’uso
non dà come risultato un’architettura”16.
Nel saggio di Rudolf Borchardt sulla villa della
campagna toscana, per esempio, la ricostruzione
del contesto storico e delle origini di questa
forma di abitare radicata nel territorio non
è sufficiente a descrivere le relazioni tra gli
elementi dell’architettura che la costituiscono;
infatti l’autore, uomo di lettere più che di
architettura, per descrivere questa forma
procede ad una analisi degli elementi generali
e ricorrenti, dando così sostanza formale ad un
tipo architettonico che esprime un contrasto di
Hotel Waldorf-Astoria, New York, 1929.
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
origine latina fra campagna e città. “In questo
genere di costruzioni, in cui da lungo tempo
l’esigenza del signore è riuscita a conciliare gli
aspetti puramente utilitari dell’edificio con le
forme tradizionali della sua vita, rimangono
anche altre testimonianze sparse, rispecchiate
nell’architettura, della destinazione originaria.
[...] La serie delle stanze adatte a questo scopo
[abitazione] incomincia al primo piano, a cui
nella casa colonica si accede per mezzo di una
scala laterale che termina su un pianerottolo
con una tettoia sorretta da pilastri, archetipo
della loggia; la villa invece sviluppa questa scala
in un ampio giro frontale che serve da accesso
scoperto con belle balaustre e articola lo spazio
antistante nella forma ardita e splendida di una
mezza esedra (la più bella forse è quella della
Villa Sardi a Pieve San Martino presso Lucca)
raccordandola poi, in modi sempre nuovi, col
balcone sovrastante, dove si apre di solito la
vetrata centrale del salone. E così, quanto più a
fondo si va, più spesso si intuisce una forma più
antica della villa, al di là dell’aspetto principesco,
barocco o stile impero, e si ammira la tenacia
con cui, nel paese più conservatore del mondo,
le forme e le funzioni continuano a dipendere
organicamente le une dalle altre”17.
Provando ad ampliare il campo anche all’ambito
della città, e parlando quindi di configurazione
fisica e spaziale siamo d’accordo con Ludovico
Quaroni quando, descrivendo le caratteristiche
costitutive della città, egli distingue tra struttura
sociale, che è sostanza e contenuto, e città
fisica, costituita da strutture edilizie contenenti
(civitas e urbs nel pensiero dei latini). “Quando
parliamo di spazio ci riferiamo soltanto alla città
fisica, ma questo spazio dovrà essere calibrato,
organizzato, strutturato in relazione stretta con
la città sociale”18: il tentativo in questa ricerca è
però quello di indagare con maggiore autonomia
il momento del progetto sulla città fisica, che
in alcuni casi è legato alla realtà sociale ed
27
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
economica solo nella motivazione iniziale, per
poi cercare strade proprie, riferimenti e ragioni
interne, come se esistesse un mondo delle forme
parallelo e autonomo, fatto da realizzazioni e
progetti, che fosse possibile studiare e ricostruire
a prescindere dalle specifiche situazioni storiche
di sfondo. Come scrive elegantemente Henri
Focillon, “il segno significa, ma, divenuto forma,
aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso, si
cerca un contenuto, gli dà una nuova giovane
vita per mezzo di associazioni, di dislocazioni, di
stampi verbali”19.
Per questo motivo ci sembra che lo strumento
più utile per ampliare la base delle conoscenze in
architettura, avendo come fine il progetto, sia la
forma, le sue permanenze e le sue declinazioni,
da descrivere e analizzare nei progetti costruiti e
nelle intenzioni rimaste sulla carta. Il fine della
ricognizione, è bene ricordarlo, non è dimostrativo
della correttezza di una forma o di un metodo; la
forma in sé non può essere giusta o sbagliata, né
tanto meno il progetto. “In architettura, anche il
contrario può essere vero”, ha scritto Fernando
Tavora20, evidenziando questo apparente
paradosso che sta alla base della conoscenza nel
campo artistico. Sia la forma che il progetto quindi
possono avere un carattere profondo, oppure
superficiale. E proprio il lavoro della ricerca ha il
dovere di definire le basi per agevolare un’attività
progettuale consapevole e che sfugga la banalità
della costruzione corrente.
Sull’esperienza storica
28
Portare alla luce la permanenza e le
trasformazioni di una particolare struttura
formale, che nel capitolo successivo cercheremo
di definire, sembra essere il compito di una ricerca
nel nostro campo disciplinare. Il materiale che
andiamo ad indagare nel corso dello studio, nella
sua fisicità ed evidenza, ha una caratteristica
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
particolare: esso è il prodotto di una attività
progettuale che si colloca in un tempo passato
(più o meno antico) ma ci si presenta a noi
con una inevitabile simultaneità. Noi viviamo
immersi in questo continuo presente; edifici
di epoche passate stanno accanto a edifici
contemporanei, senza soluzione di continuità. È
vero che abbiamo parlato di forma come carattere
generale dell’architettura, da estrapolare e
studiare secondo regole proprie; Giorgio Grassi
afferma che “gli esempi di un passato più remoto
e più recente si confrontano sul piano della
loro forma, al di sopra dei motivi umani ed
economici, politici e religiosi ai quali essi per lo
più vengono fatti corrispondere”21. Tuttavia non
è possibile prescindere dalla condizione storica
del loro stesso farsi, dalla successione temporale
del manifestarsi di forme e idee. E dato che
tutto il materiale su cui lavoriamo si colloca
genericamente nel passato, come ogni opera nel
momento stesso in cui entra nel mondo reale e
si stacca dall’autore iniziando una vita propria22,
è necessario chiarire meglio il rapporto con il
nostro oggetto di studio, o con ciò che possiamo
definire tradizione.
A tale proposito, nell’ambito della letteratura,
Thomas S. Eliot scrive che “la tradizione non
è un patrimonio che si possa tranquillamente
ereditare: chi vuole impossessarsene deve
conquistarla con grande fatica. [...] Avere senso
storico significa essere consapevole non solo che
il passato è passato, ma che è anche presente;
il senso storico costringe a scrivere non solo
con la sensazione fisica, presente nel sangue,
di appartenere alla propria generazione, ma
anche con la coscienza che tutta la letteratura
europea da Omero in avanti, e all’interno di essa
tutta la letteratura del proprio paese, ha una sua
esistenza simultanea e si struttura in un ordine
simultaneo”. Questo vale a maggior ragione per
l’architettura, come abbiamo visto prima, per
la reale presenza contemporanea di oggetti di
29
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
30
epoche diverse.
Tale ragionamento porta Eliot ad affermare
che nel lavoro di critica letteraria spesso viene
lodato un poeta “per quelle caratteristiche
della sua opera in cui egli somiglia meno ad
altri poeti”, e si cercano “quegli elementi che
lo differenziano dai predecessori”; invece,
accostandosi a un poeta senza alcun pregiudizio,
“ci accorgeremmo che le parti non solo migliori,
ma anche più personali della sua opera sono
forse quelle in cui i poeti scomparsi, i suoi
antenati, dimostrano con maggiore vigore la loro
immortale vitalità”. Il contrasto tra l’interesse
nello studio delle caratteristiche costanti
o di quelle variabili sembra, a prima vista,
un’opposizione tra due modelli inconciliabili
di accostarsi al passato; in realtà a noi sembra
una falsa dicotomia, in quanto l’uno presuppone
e giustifica l’altro. È dalla interazione tra i due
che possiamo avere una conoscenza complessiva
dei fenomeni di produzione e permanenza di
forme. Infatti proprio la variazione sul tema, la
presenza concreta di opere individuali e quindi
diverse che affrontano situazioni simili con
soluzioni analoghe, permette la individuazione
di caratteri generali e astratti che uniscano tra
loro le esperienze, creando i presupposti per la
confrontabilità.
Secondo Martí Arís “la storia mostra i processi
in trasformazione, l’analisi tipologica si rifà a
ciò che, negli stessi processi, permane identico.
Inoltre, entrambi gli aspetti si relazionano l’un
l’altro, giacché solo la mutazione rende visibile la
permanenza. Come sostiene la teoria aristotelica,
l’essenza di una cosa può essere stabilita
attraverso i cambiamenti che essa subisce” 23.
L’esempio di uno studio che accosta
liberamente opere del presente e del passato
classico, utilizzando il concetto di forma per
trovare delle costanti ma non rinunciando ad
evidenziare le differenze storiche tra le opere
è la ricerca di Colin Rowe24, uno tra i primi
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
critici moderni a gettare ponti strutturali tra
l’architettura moderna e quella antica. Nel suo
saggio sulla villa, utilizza i concetti di forma,
struttura e geometria per comparare abilmente
i progetti di Le Corbusier e Palladio, trovando
costanti formali che permettono di identificare
il tipo, ma procedendo con una lettura precisa
delle differenze e delle loro ragioni storiche.
C. Rowe, confronto tra Villa Stein di Le Corbusier e
Villa Malcontenta di Palladio, 1947.
Il lavoro di ricerca, per come lo stiamo
definendo, si serve dei concetti di permanenza e
di variazione nell’analisi del passato, ma è sempre
31
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
32
orientato comunque al presente, nel senso che
l’azzeramento del tempo nella formazione dei
ragionamenti sulla forma è ciò che consente
al progettista di appropriarsi dei concetti
generali e allo stesso tempo di raggiungere una
consapevolezza storica. “Il possesso del senso
storico, che è senso dell’atemporale come del
temporale, e dell’atemporale e del temporale
insieme: ecco quello che rende tradizionale
uno scrittore. Ed è nello stesso tempo ciò che lo
rende più acutamente consapevole del suo posto
nel tempo, della sua contemporaneità”25.
Si delinea in questo modo un processo di
accumulazione di esperienze e forme, per cui
possiamo dire che il progettista contemporaneo
possiede un maggiore grado di conoscenza rispetto
ai progettisti del passato; questo è vero solo se
intendiamo il maggior livello di complessità insita
nella contemporaneità non come qualità in se
stessa, ma come potenzialità espressa attraverso
lo studio analitico, la immedesimazione profonda
e la riscoperta di una tradizione sempre più
ampia. “Ma la differenza tra il presente e il
passato sta in questo: che il presente, quando sia
consapevolezza, è consapevolezza del passato
in un senso e in una misura mai raggiunti, come
consapevolezza di sé, dal passato” 26.
Tuttavia sembra necessario precisare che
lo studio del passato deve cercare di evitare i
rischi di una sua riproposizione attraverso il
frammento isolato, sclerotizzato e senza una
conoscenza profonda, come è avvenuto nel caso
del citazionismo sconnesso e segmentato di certa
architettura postmoderna. Salvatore Settis27, a
tale proposito, evidenzia come sia molto diffusa
attualmente la pratica della “scomposizione
dell’antico in frammenti decontestualizzati,
e perciò pronti al riuso, al montaggio”. Egli in
particolare si riferisce al passato cosiddetto
“classico”, o quello che nelle varie epoche è stato
considerato tale, mettendo in luce i meccanismi
ricorrenti nella cultura occidentale di riscoperta
Premessa - Questioni di metodologia della ricerca in architettura
periodica del proprio passato. Attraverso continui
“rinascimenti”, secondo un modello ciclico di
nascita e morte delle arti, le varie epoche hanno
cercato di rivivere le esperienze degli antichi e
di riproporne l’insegnamento, nel tentativo di
legittimare il presente scegliendosi nel passato i
modelli “giusti”.
All’estremo opposto troviamo un modo di
agire che è tutto incentrato nel presente e nel
transitorio, nel tentativo di afferrare la mutevole
realtà contemporanea. “Questa concentrazione
ossessiva ed esclusiva sul contemporaneo, tanto
caratteristica del nostro tempo, si spiega forse
per l’ansia di intendere l’enorme complessità
di un mondo globale, limitandosi a conoscerlo
quale esso è oggi (e lo sforzo è già grande)” 28.
Ma è chiaro che in questo modo emerge solo
la condizione frammentaria delle continue
variazioni, a meno di non assumere proprio il
frammento come condizione peculiare della
modernità, fino a farne un valore assoluto.
Quello che si propone con la ricerca che segue è
lo studio di un tipo urbano nelle sue manifestazioni
concrete e nelle variazioni significative,
concentrandosi nel periodo storico che ha visto
il suo maggiore successo, in termini di quantità
e di qualità dei progetti, non con l’intenzione di
riproporlo oggi incondizionatamente, ma per
metterne in luce i modi, i motivi formali, e le
caratteristiche spaziali in rapporto alla città. In
ultima analisi, con un fine disinteressatamente
conoscitivo, questo lavoro vuole essere “liberato,
non solo dal vincolo dell’utilizzazione immediata,
ma anche da un malinteso funzionalismo moderno
che confina gli elementi storici dell’architettura
agli studi di storia dell’arte”29.
33
B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925.
I.
Precisazioni intorno a una definizione
Procedere ad una definizione di tipo insediativo
a corte potrebbe essere un’operazione rischiosa:
vorrebbe dire fissare uno schema a priori non
basato sulla consistenza dei fatti costruiti, ma
su un’idea precostituita. Infatti una definizione
dovrebbe essere scritta alla fine della ricerca
quando, con la conoscenza acquisita dei progetti,
potremmo con facilità chiarire le costanti formali
e arrivare ad una generalizzazione soddisfacente.
Allo stesso tempo però il procedimento intuitivo,
cioè di “immaginazione critica” precedentemente
descritto, è indispensabile per decidere cosa
guardare, dove orientare la scelta; il soggetto non
può essere passivo nell’acquisizione dei dati.
L’ipotesi di questo lavoro è che, se le prime forme
compiute di residenza collettiva a corte fanno la
loro comparsa nei primi anni del ‘900, in realtà
la gestazione degli elementi che la compongono
e delle problematiche connesse alla pianta, alla
distribuzione degli alloggi, agli accessi, avviene
a partire da metà ‘800; coincide cioè con la
formazione della città industriale europea, con i
tentativi di pianificarne lo sviluppo e di risolvere
gli urgentissimi problemi di domanda di case a
basso costo. Ma è solo a partire dall’inizio del
‘900 che troviamo questo tipo urbano applicato
con tutti i suoi elementi, anche di origine diversa,
a formare una nuova combinazione riconoscibile
come tale.
Case a patio, Priene, IV sec. a.C.
A. Sangallo, palazzo Farnese, Roma, 1515.
La genesi della corte nell’architettura domestica,
come è noto, ha origini antichissime, ed è una
presenza costante in culture lontane nel tempo e
nello spazio: dalle case a patio delle antiche città
ellenistiche e romane, fino alla corte dei palazzi
rinascimentali, lo spazio aperto racchiuso dalla
casa è un elemento fisso riconoscibile, attorno
al quale si organizzano gli spazi domestici e
35
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
36
rappresentativi. In questi esempi però esso
conserva sempre un carattere privato, legato alle
attività svolte dal singolo nucleo familiare che
lo abita. Per trovare quel carattere collettivo e
quel senso di comunità a cui rimanda la corte
che accoglie più abitazioni bisogna risalire agli
impianti conventuali, soprattutto dell’ordine
dei Certosini, che organizzavano le singole
dimore dei frati intorno ad un cortile comune:
un procedimento di montaggio di elementi
autonomi attorno ad una grande corte chiusa,
come il modello conventuale della Certosa di
Ema evocato e riattualizzato da Le Corbusier
nella sua proposta degli Immeubles-Villas. Vi
sono analogie anche con altri tipi di impianti
a corte, come le caserme militari, gli ospedali
e i lazzaretti, i villaggi operai degli utopisti
come Owen e Fourier, con le realizzazioni
sovvenzionate di impronta “sociale” come la
Cité Napoléon di Parigi e di Lille, o ancora più
lontano nel tempo con i beghinaggi fiamminghi
o i caravanserragli; un forte senso di collettività
si rispecchia nello spazio racchiuso della corte,
ma ciò è indissolubilmente legato al carattere
speciale o temporaneo di quel tipo di residenza.
Nel tipo urbano a corte che stiamo indagando
invece c’è una combinazione di elementi: da un
B. Ammannati, progetto di un complesso residenziale
per canonici, XVI sec.
Certosa di Garegnano, Milano, XVI sec.
I - Precisazioni intorno a una definizione
lato alloggi destinati a nuclei familiari stabili,
dall’altro la collettività dello spazio interno della
corte, spesso intesa come manifesto estetico della
comunità, in contrapposizione all’individualismo
piccolo borghese della casa unifamiliare.
Verbrannter Hof, Straßburg, 1760.
Hôtel dei Moschettieri neri, quartiere di SaintGermain, Parigi, 1671.
La scelta di trattare il tema residenziale è
strettamente legata anche al periodo storico
oggetto di studio: mai come nel ‘900 infatti
la residenza è stata il problema centrale del
lavoro degli architetti in Europa. L’urgenza
della questione abitativa in tutte le maggiori
città, a causa di un rapido e ingente aumento
della popolazione, porta a una grande quantità
di realizzazioni, ma anche a un considerevole
sforzo teorico per discutere attorno alle soluzioni
migliori da adottare nella città moderna, che ha
dato vita ad un dibattito a scala internazionale
ricco e stimolante, solo in parte rappresentato
dalle tematiche emerse nei CIAM. “Sono
molteplici i testi, le proposte, gli schemi, le
realizzazioni e i dibattiti che tra il 1910 e il 1945
affrontano la riflessione sulle forme residenziali
che devono corrispondere a un mondo soggetto
a tali profonde trasformazioni. In un certo
modo, quindi, è lecita la identificazione tra città
moderna e proposte residenziali della architettura
37
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
moderna, poiché queste costituiscono la trama di
fondo dalla quale emerge l’idea di città elaborata
dalla cultura architettonica della prima metà del
secolo XX” 30.
Attraverso lo studio delle forme residenziali,
considerate come una parte dell’intero, si propone
di conseguenza uno studio dell’evoluzione
dell’idea di città e del suo spazio.
38
Dalla definizione che abbiamo dato di
residenza a corte risulta chiaro che non si tratta
precisamente di un tipo architettonico, ma
piuttosto di un tipo urbano; si colloca cioè in una
categoria intermedia tra architettura e urbanistica,
in quanto nella sua identificazione sono presenti
materiali di entrambe le discipline. Si parla della
E. Vandenbergh, Cité Napoléon, Lille, 1863.
I - Precisazioni intorno a una definizione
Veugny, Cité Napoléon, Parigi, 1849.
forma degli spazi e della loro organizzazione,
di corrispondenza fra questi e la struttura, ma
non si coinvolgono gli elementi minimi della
costruzione, come per esempio colonne o
finestre. Allo stesso modo è una categoria che
pur non coinvolgendo direttamente le scelte
di carattere previsionale, macrourbanistico, e
nemmeno l’organizzazione generale della città,
risulta strettamente connessa alla forma delle
strade, all’altezza delle facciate, e in generale
alla disposizione degli spazi pubblici e privati
negli ambiti residenziali.
“Quanto al termine progettazione urbana
adottato in vece di quello più convenzionale
di urbanistica, vale la pena di precisare che
tale nuova dizione, pur essendosi imposta nel
dibattito internazionale solo da pochi decenni,
denota un’attitudine progettuale molto più antica
di quella implicata dalla seconda espressione. Si
tratta, a ben riflettere, di quell’ambito disciplinare
che, fin da tempi remoti, ha contrassegnato il
disegno della forma fisica dello spazio urbano
come sviluppo delle teorie architettoniche.”31
A questa categoria intermedia di fatti costruiti
possiamo far corrispondere una specifica
attività progettuale, distinta sia dal progetto
architettonico sia da quello urbanistico, che
potremmo in via generale definire progetto
urbano. Se il progetto di architettura può essere
inteso come una precipitazione concreta e
39
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
sintetica di intenzioni e principi attorno ad un
edificio, e l’urbanistica come una riflessione
programmatica aperta a scenari e previsioni sulla
città, necessariamente legata alle reali dinamiche
socio-economiche, il progetto urbano lavora con
materiali prettamente fisici e spaziali, attraverso
la loro “disposizione”, con un’attenzione alla
specificità del luogo, e ad una scala che andando
oltre la dimensione del singolo alloggio cerca di
dare senso all’insieme.
40
Il tipo insediativo a corte, inteso come risultato
del progetto urbano, non può non confrontarsi
con i concetti di isolato e di tracciato viario.
Questi due ambiti sono strettamente legati fra
loro, ma non sono in rapporto consequenziale.
Dalla combinazione tra la forma del lotto
edificabile delimitato dalle strade e la modalità
di costruzione dello stesso possono scaturire
soluzioni molto diverse; anche se nella realtà
sono spesso così coincidenti da essere inscindibili,
conservano comunque a livello disciplinare una
loro precisa autonomia.
In questo senso l’isolato inteso come
elemento specifico del progetto urbano, anche
se per tradizione rimanda al fatto costruito e
all’edificazione compatta tipica della città densa,
non indica un tipo di costruzione chiusa sui lati
perimetrali, ma è da intendersi come la forma
delle aree edificabili in rapporto alle strade; “è un
principio generale di urbanizzazione che possiede
un valore universale e permanente. È presente,
come elemento strutturante della forma urbana,
in culture molto distanti tra loro nello spazio e
nel tempo: dal sistema ippodamico ellenistico
o dalla centuriazione romana, passando per le
bastie e le città mercantili medievali o le città
della colonizzazione spagnola in America, fino ad
arrivare alla nozione di superisolato che appare
in molte proposte urbanistiche degli architetti
del Movimento Moderno”32. Il concetto di
isolato, quindi, coincide con un modo generale di
I. Cerdà, il tracciato del piano per Barcellona, 1859.
I - Precisazioni intorno a una definizione
F. Schumacher, piano per Dulsberg, Amburgo, 1919.
urbanizzare un territorio, che procede attraverso
la definizione del tracciato stradale, la maglia,
di qualsiasi forma e dimensione, e la definizione
dei lotti edificabili, a prescindere dalla forma
del volume con cui viene occupato questo lotto.
Se possiamo riscontrare l’applicazione concreta
di questo principio ancora dai tempi antichi, è
nel XIX secolo che troviamo le prime riflessioni
teoriche, accompagnate alla pratica, sull’isolato
come principio ordinatore per la costruzione
della città moderna.
L’ingegnere catalano Ildefonso Cerdà nel
1859, per esempio, parla di vías e intervías
come elementi fondamentali costitutivi di ogni
fenomeno urbano, a proposito del suo piano
di ampliamento di Barcellona. “L’intervías è
la porzione di spazio compresa e delimitata
dalle vías, indipendentemente all’inizio dalla
dimensione, dato che può trattarsi di isolati
geografici o agrari di diversi chilometri di
lunghezza, come di intervías urbani di alcune
decine di metri di lato”33. Al suo progetto di
41
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
ensanche antepone una dettagliata analisi di
forma e misure degli isolati di numerose città
europee, nord e sudamericane, come per
esempio Buenos Aires. Con questo studio Cerdà
legittima il ruolo fondativo dell’isolato e della
maglia stradale nella costruzione della città.
Anche l’urbanista tedesco Joseph Stübben, nel
suo manuale del 1890, dà una definizione simile
di isolato: “I terreni edificabili racchiusi da strade
o da linee di allineamento vengono chiamati
isolati edilizi o semplicemente isolati. Essi si
formano perché i terreni compresi tra le strade
principali della zona di ampliamento vengono
ulteriormente suddivisi con l’inserimento
di strade secondarie, finché si raggiunge la
grandezza di terreno giusta per la costruzione”34.
Tale principio quindi è generalmente accettato
nella cultura urbanistica a cavallo tra ottocento e
novecento; successivamente, a partire dalla fine
degli anni ’20 e dalle idee connesse alla nuova
natura della “città funzionale”, l’isolato come
processo di urbanizzazione verrà identificato
con la forma della città compatta e, per proprietà
transitiva, con tutti i difetti legati alla altissima
densità e alle scarse condizioni igienico sanitarie
riscontrate spesso nelle città europee dominate
dalla speculazione fondiaria; a ciò si aggiungano
le problematiche relative alla spazialità della
strada corridoio, alle cortine edilizie continue,
alle corti chiuse. Proprio per questo motivo il
termine “isolato” è stato rifiutato dalla cultura
ufficiale dei moderni a partire dagli anni ’30,
come vedremo, a favore di un nuovo modo
di costruire svincolato dalla strada e fondato
sull’autonomia del blocco edilizio isolato, anche
se possiamo affermare che in generale non c’è
una consequenzialità diretta fra principio di
urbanizzazione e forma del costruito.
42
I - Precisazioni intorno a una definizione
Le Corbusier, evoluzione nella costruzione dell’isolato
urbano, 1946.
43
K. Gruber, veduta ricostruttiva del centro di Danzig.
II.
Inquadramento storico: la città ereditata
Se il concetto di isolato rimanda ad un’idea
generale che corrisponde a molti modi diversi di
costruire la città, in questa ricerca cerchiamo di
restringere il campo dell’analisi: in primo luogo
con la funzione residenziale, come abbiamo
visto; in secondo luogo orientando l’interesse
verso un particolare modo di occupare il lotto
edificabile, cioè quello a corte. Secondo la
definizione precedentemente data, l’isolato
residenziale a corte possiede due aspetti
peculiari: la disposizione dei volumi ai margini
del lotto e la conseguente delimitazione di una
spazialità protetta centrale e riconoscibile come
volontà del progetto.
Per questo motivo nella ricerca rientrano solo
gli esempi che sono stati costruiti con un unico
atto progettuale, dal quale dipende la forma
generale e la presenza dello spazio interno della
corte; per lo stesso motivo non consideriamo
gli isolati che si sono venuti costruendo nel
tempo, attraverso una suddivisione in lotti e
una edificazione per parti accostate. In questi
casi non riconosciamo la presenza di un interno
collettivo, come nell’esempio degli isolati della
città gotico mercantile, che presentano una
continuità esterna, ma una frammentazione
dello spazio all’interno. Non trattiamo gli isolati
della città romana che, ad eccezione delle insulae
di Ostia antica, sono formati per lo più da case
a un piano disposte intorno a un piccolo cortile
e presentano un interno quasi completamente
occupato, se si escludono i vuoti dei patii.
Per le stesse ragioni escono dall’ambito della
ricerca tutti i prodotti della città industriale del
XIX secolo, come gli isolati di case d’affitto della
Berlino di fine ottocento, ma anche Colonia,
Madrid, e in generale tutte le città che hanno
subito a partire dalla fine del XVIII secolo grossi
45
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
processi di industrializzazione. Queste forme
con cui si è andata costruendo la città industriale
europea sono frutto il più delle volte dell’attività
edilizia speculativa, e quindi non vi possiamo
trovare una volontà architettonica. Nonostante
ciò, proprio da qui prendiamo le mosse per
rintracciare le origini delle motivazioni di una
alta densità in ambito urbano, e in parallelo
anche le prime comparse degli elementi della
tipologia a corte come soluzione alternativa.
46
Dai disegni riportati in molti manuali di
urbanistica di fine ottocento, possiamo vedere
come il tipo di isolato urbano destinato a
residenza operaia fosse costruito con altissime
densità, e con fine evidentemente speculativo. A
Berlino, per esempio, i lotti edificabili in cui era
suddiviso l’isolato erano sfruttati in tutta la loro
profondità, con la costruzione spesso di corpi
edilizi interni con precarie condizioni igieniche
per la mancanza di aria e di luce. I cortili interni
infatti erano ridotti al minimo, fino a prendere le
misure e le fattezze di veri e propri cavedi. Questo
tipo di costruzione era consentito, in alcuni casi
fissato, dai regolamenti edilizi comunali; tali
normative cercavano di regolare la costruzione
dei quartieri della nuova città industriale: tuttavia
i vincoli imposti riguardano le misure minime
dei singoli elementi e non la forma generale di
occupazione dell’isolato, lasciando quindi grandi
libertà agli speculatori edilizi di densificare tutto
lo spazio disponibile.
Anche dove viene applicato un vero piano di
trasformazione il risultato non cambia molto: la
città di Parigi con gli interventi di Haussmann,
prefetto della città dal 1853 al 1869, come analizza
puntualmente Philippe Panerai35, presenta
un’edificazione compatta con isolati omogenei
all’esterno, per il disegno delle facciate e delle
aperture, ma la suddivisione degli isolati in lotti fa
sì che venga messa a punto una tipologia intensiva
che utilizza lo spazio interno solo come servizio
Isolati a costruzione compatta, Colonia, Magdeburgo,
Vienna, fine 1800.
II - Inquadramento storico: la città ereditata
Isolati a costruzione compatta, Mannheim, 1900 circa.
per garantire il minimo di aria e luce. In sostanza,
anche nella Parigi di Haussmann l’interno degli
isolati non esiste come fatto compiuto. L’esito,
anche se pianificato, non è molto diverso dagli
isolati speculativi delle altre città europee.
D’altra parte il tipo di edificazione intensiva è
riconosciuto come inscindibile dalla formazione
della città industriale, per tutti i meccanismi
di accumulazione del capitale e di presenza
della forza lavoro necessari allo sviluppo della
metropoli. Il modello dell’edilizia chiusa è visto
da alcuni come un male inevitabile, contrapposto
al modello dell’edilizia aperta, cioè a edifici
liberi sui quattro lati costruiti al centro del
lotto, che ha una densità molto inferiore. Vi
sono anche posizioni intermedie come quella di
Stübben che, elencando pregi e difetti dei due
modelli compresenti nella costruzione della città
47
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
48
moderna, aggiunge anche che “sarebbe dunque
una pazzia adottare in una città l’edilizia aperta
come regola generale”36, per gli alti costi connessi
alla proprietà del terreno per esempio, ma anche
per la necessità di offrire case in affitto ai quei
larghi strati della popolazione che non hanno
grandi capacità economiche ma allo stesso tempo
costituiscono la forza lavoro base per l’esistenza
stessa della città industriale. “I vantaggi della
tipologia edilizia chiusa consistono nel fatto che
per un edificio residenziale è necessaria un’area
edificabile di minori dimensioni, che gli edifici
sono più adatti ad assolvere funzioni commerciali
e industriali, che infine essendo l’area accessibile
solo dal davanti, la sicurezza è maggiore. [...]
Gli svantaggi di quest’ultima tipologia edilizia
sono di triplice natura: primo, allineamento una
accanto all’altra di facciate di diverse altezze, di
orditura e distribuzione degli elementi costruttivi
diseguali; secondo, spiacevoli inconvenienti
causati da inutili elementi di proprietà comune
come ad esempio muri divisori tra un’abitazione
e l’altra, canne fumarie, scarichi e gabinetti,
entrate e servizi di altro genere; terzo, pericolo
di togliersi a vicenda aria, luce e sole”37.
Certamente alla fine dell’ottocento la
situazione in alcune grandi città doveva
avere raggiunto un punto critico, con risvolti
inquietanti sulle condizioni di vita di buona parte
della popolazione, se sempre Stübben nel 1890
arriva a scrivere nel suo manuale questa frase
significativa: “Come la costruzione della prima
G. E. Haussmann, isolato lungo il boulevard Pereire,
Parigi, 1860 circa.
II - Inquadramento storico: la città ereditata
Edilizia residenziale speculativa, Madrid, 1900 circa.
casa d’abitazione rappresenta per l’umanità la
fine della preistoria e la costruzione della prima
città l’inizio di una civiltà più sviluppata, così la
presenza di più famiglie ammassate in un edificio
di cui non sono proprietarie, se non proprio un
passo indietro, costituisce certo un lato oscuro
della nostra civiltà”38.
Anche Rudolf Eberstadt nel 1910 mette in luce
il grave problema delle abitazioni nelle grandi
città, diventato ormai “questione”, e quindi
patologia da curare con soluzioni nuove e urgenti.
Professore ordinario di economia nazionale
all’università di Berlino, egli coglie soprattutto
gli aspetti legati alla speculazione fondiaria e
all’andamento dei prezzi delle case in rapporto
alle conseguenze sociali del problema; ma nel
suo manuale troviamo anche riportate le piante
delle mietkasernen berlinesi, per esempio. I corpi
edilizi di 5 o 6 piani, che variano tra i 10 e i 12 metri
di profondità corrispondenti a due stanze, sono
collocati in successione dalla strada all’interno
del lotto, e sono separati da cortili di circa 7
metri, cioè poco più della metà degli edifici stessi.
Risulta subito evidente la completa mancanza di
spazi aperti, terrazze e balconi, ma anche di luce
e aria per gli appartamenti interni dei piani più
bassi. La situazione di emergenza lo porta ad
affermare che “le trasformazioni fondiarie nelle
città lasciano pensare che la crescita urbana non
abbia altro scopo che costituire l’oggetto di una
attività redditizia di alcune poche persone. [...]
In nessun altro periodo l’urbanistica tedesca ha
avuto simili difficoltà”39. Eberstadt partecipa,
insieme a Möhring e Petersen al concorso del
1910 per la grande Berlino; in questa occasione
viene presentata una soluzione alternativa per la
residenza in città che cerca di risolvere i problemi
della eccessiva densità: un grande impianto a
corte, sempre fondato sul principio dell’isolato
a costruzione perimetrale, contiene grazie
alle sue dimensioni dilatate un interno urbano
organizzato con una serie di abitazioni basse,
49
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
50
giardini privati, strade locali e servizi collettivi.
L’apporto fondamentale degli urbanisti e
architetti del “razionalismo tedesco” a cavallo
del secolo, come evidenzia Giorgio Grassi,
è l’approccio analitico con cui guardano ai
problemi della costruzione della città moderna
partendo dai dati di fatto della città stessa, in
continuità con una tradizione storica che non
rifiuta l’esistente cercando modelli alternativi,
ma tenta una soluzione razionale con i materiali
disponibili, rifuggendo l’utopia. Per questo
motivo nei manuali di Eberstadt, di Stübben, di
Wolf, troviamo spesso descrizioni e classificazioni
dell’esistente, molto utili per capire la realtà che
essi dovevano affrontare, ma anche considerazioni
che contengono in nuce questioni diventate poi
prioritarie per gli esponenti del Movimento
Moderno. Per esempio possiamo leggere, nel
manuale di Stübben, le caratteristiche precise
delle case d’affitto in area tedesca: “A seconda che
sul fronte si affaccino due appartamenti per piano
o un solo appartamento, la larghezza dell’edificio
varia tra i 9 e i 40 metri, con una media di circa 18
metri. La profondità del lotto oscilla anch’essa tra
valori così diversi. Poiché per una casa d’affitto il
giardino riveste un’importanza secondaria e di
solito per la presenza tutt’intorno di edifici alti,
ha vita molto stentata, si può concludere che per
le case d’affitto, ancora più che le case individuali,
è auspicabile una profondità ridotta. [...] Così,
nel lotto trovano posto di solito un edificio
Mietskaserne, i cortili interni, Berlino, 1902.
II - Inquadramento storico: la città ereditata
Mietskaserne, pianta tipo e planimetria di un isolato,
Berlino, 1902.
anteriore, le ali laterali, una dipendenza sul retro
e un cortile senza giardino. Se il lotto è molto
profondo, il sistema dei corpi di fabbrica laterali,
posteriori o trasversali, può essere ripetuto a
piacere, malgrado ciò possa essere dannoso per
gli abitanti. A Berlino per esempio ci sono casi in
cui cinque cortili ed altrettanti edifici trasversali
seguono uno dietro l’altro e più di 200 famiglie
abitano lo stesso lotto”40. L’esigenza di un modo
diverso di abitare è evidenziata dall’uso delle
parole “aria, luce e sole”, diventate in seguito
manifesto di Le Corbusier, e priorità di tutti gli
architetti moderni.
Accanto a descrizioni così manualistiche
troviamo anche riflessioni più generali, come
quelle di Eberstadt, che mettono a fuoco per
esempio la condizione nuova di separazione
tra luogo del lavoro e luogo di residenza che
si presenta nella città moderna, e che richiede
alcune modifiche nella struttura urbana.
“L’urbanistica attuale dunque per la prima
volta si trova a dover risolvere il problema
di costruire dei quartieri esclusivamente di
abitazione”41. E la messa a punto della tipologia
per questi quartieri sarà il problema principale
degli architetti per i successivi decenni. Un’altra
considerazione importante, che aggiunge un
ulteriore tassello per comprendere i motivi
storici delle proposte residenziali che seguirono,
è che la necessità di spazi per abitare, in rapporto
ai costi della costruzione e degli affitti, porta
alla riflessione intorno alle dimensioni ottimali
degli appartamenti. “Il fabbisogno di alloggi
piccoli e medio piccoli costituisce almeno l’85%
del totale. Gli alloggi più cari costituiscono solo
una minima parte del totale degli alloggi urbani.
Nelle città essenzialmente industriali il rapporto
forse è ancora più deciso. Oggi in fondo dovrebbe
essere l’appartamento piccolo a dare la propria
impronta all’urbanistica”42. Sono chiare le
relazioni e quindi la continuità con le ricerche dei
moderni sull’existenzminimum; successivamente
51
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
il senso di queste ricerche è stato frainteso, nel
senso che le misure minime accettabili per gli
appartamenti avevano il senso di aumentare lo
spazio a disposizione degli abitanti e quindi di
migliorarne le condizioni di vita, non di fissarlo
al minimo per sempre.
In ultima analisi, nella città ereditata dall’800
è la suddivisione dell’isolato in lotti edificabili,
accompagnata da una mancanza di vincoli sulla
profondità e altezza delle costruzioni, che porta
allo sfruttamento intensivo del terreno, e ad
un completo riempimento dell’interno. In area
tedesca, abbiamo visto, la soluzione diffusa è
quella della successione di corpi edilizi e di cortili
nella profondità dello stesso lotto. Questo porta
Stübben a consigliare una misura ridotta della
profondità dei lotti per costruire case d’affitto.
Ma la situazione di addensamento delle
costruzioni e di carenza di alloggi per i ceti
popolari non è molto diversa in tutte le capitali
europee. Anche se sono numerosi i piani di
sviluppo elaborati nell’800, dobbiamo ricordare
che erano per lo più volti a dotare le città di quelle
attrezzature collettive che caratterizzano la
moderna civiltà industriale. Ai nuovi monumenti
della città borghese (scuole, ospedali, carceri,
municipi, musei, biblioteche, mercati, dogane,
cimiteri), meticolosamente quantificati e
posizionati, faceva riscontro spesso il laissez-faire
delle zone destinate alla residenza, favorendo il
libero sviluppo della rendita fondiaria.
52
II - Inquadramento storico: la città ereditata
Eberstadt, Möhring, Petersen, concorso per la grande
Berlino, 1910.
53
A. Armesto, ricostruzione volumetrica del piano
Cerdà, Barcellona, 1979.
III.
I precedenti
Se i primi esempi compiuti di tipi a corte per la
residenza collettiva, per come l’abbiamo definita,
fanno la loro comparsa a partire dal primo
decennio del ‘900, ci sono dei casi precedenti
che non possiamo trascurare perché contengono
in nuce molte tematiche che risulteranno
fondamentali per gli esempi successivi. Per
questo motivo ci sembra lecito lanciare dei ponti
all’indietro e ricercare l’origine di forme e idee
progettuali, o anche solo qualche traccia.
Proprio di traccia possiamo parlare a proposito
dei progetti di ampliamenti urbani molto
lontani nel tempo, come Berlino Friedrichstadt
di Nehring del 1688, che presenta una maglia
regolare di isolati rettangolari costruiti lungo
il perimetro e liberi al centro. Più innovativo
e sperimentale sembra invece il piano per la
New Town di Edimburgo redatto da James
Craig quasi un secolo dopo, nel 1767. Alla metà
del settecento i problemi della moderna città
industriale erano ancora lontani, e in questo
F. Nehring, Friedrichstadt, Berlino, 1688.
55
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
56
caso non si tratta di case economiche, o di
carattere collettivo. Tuttavia Craig introduce una
singolare complessità nell’organizzazione interna
dell’isolato a corte: non un grande spazio vuoto,
ma una nuova ricchezza di volumi e funzioni,
definendo così un paesaggio interno e nascosto,
un microcosmo domestico e di servizio che
permette il funzionamento autonomo del grande
blocco rettangolare.
Il piano realizzato è il progetto risultato
vincitore di un concorso indetto dal comune di
Edimburgo: esso si presenta come nuova parte
della città, separata nettamente dal preesistente
nucleo medioevale. Sicuramente Craig era a
conoscenza del lavoro di John Wood a Bath e dei
progetti urbani più importanti in Gran Bretagna
prima di quella data, come la costruzione degli
squares londinesi, ma anche delle piazze parigine
a forma regolare come place Vendôme. La
particolarità che presenta questo intervento però,
almeno nella parte originale che si imposta su
George Street, è che esso non sembra manipolare
lo spazio aperto a definire piazze di varie forme
collegate fra loro da strade; non procede cioè con
J. Craig, New Town, Edimburgo, 1767.
III - I precedenti
J. Craig, New Town, Edimburgo, 1767.
il disegno di circuses e squares, come nei progetti
di Wood a Bath; l’elemento del progetto è invece
l’isolato costruito, ripetuto e accostato a formare
una strada principale, atto fondativo della New
Town, in tensione fra due fuochi, Charlotte Square
e St. Andrew’s Square. Dalla planimetria si può
intuire come l’importanza della composizione
sia sbilanciata a favore della strada principale e
dei suoi elementi, gli isolati a corte, piuttosto che
sulle estremità “monumentali”, le due piazze, che
in realtà risultano marginali. Quindi l’attenzione
compositiva è concentrata sulla tipologia degli
isolati, uniti tra loro dalla regolarità del tessuto
stradale. Negli ampliamenti successivi, dovuti
a vari architetti tra i quali spiccano le figure
di Robert Adam e William Henry Playfair,
compariranno invece equilibrate composizioni
basate su crescents e circuses.
L’isolato, che misura circa 135 x 175 metri,
non è considerato come un grande edificio
unico, ma è costruito attraverso la suddivisione
in lotti lasciati all’edilizia privata. Tuttavia, le
precise indicazioni del progetto, la continuità
dell’edificazione perimetrale, e i vincoli dei
57
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
58
regolamenti edilizi emanati a più riprese, danno
una interessante uniformità agli isolati, tanto
che nelle rappresentazioni del progetto ultimato
assumono la generalità di una soluzione tipo.
L’edificazione perimetrale, di 3 piani, è interrotta
sui lati corti da una strada che penetra all’interno
e taglia a metà l’isolato; su questa strada (street)
dalle dimensioni ridotte si affacciano altre case
di 2 piani d’altezza. Il dato interessante è che
compare un’altra forma di circolazione interna,
un anello di servizio (lane) per l’accesso al retro
delle case e ai giardini, delimitato da basse
costruzioni, come antiche autorimesse, destinate
a stalle e depositi di carri e attrezzi. Quindi
ciò che all’esterno appare come una grande
corte, all’interno nasconde una organizzazione
funzionale degli spazi, una inner city fatta di
giardini, depositi, strade di servizio, affacci più
silenziosi e riparati; spazi sempre serviti da strade
pubbliche ma dal carattere più domestico, proprio
per il loro insinuarsi in un interno riparato dalla
costruzione continua perimetrale.
Nel caso di Edimburgo, quindi, abbiamo
un isolato dalle grandi dimensioni costruito a
J. Craig, planimetria di un isolato, Edimburgo, 1767.
III - I precedenti
corte, che si presenta come elemento autonomo
e ripetibile, e che di fatto costruisce il primo
nucleo della New Town. La definizione dello
spazio interno e circoscritto, atto fondativo
della tipologia urbana a corte, non avviene
per contrasto con lo spazio pubblico esterno,
e cioè attraverso un grande spazio libero e
rappresentativo dell’identità della corte, ma per
analogia: viene riproposto, a scala ridotta, un
microcosmo urbano, protetto e domestico, dove
trovano posto i percorsi secondari, le funzioni di
servizio e i flussi di persone e di cose necessari
alla vita del grande isolato. Un isolato non senza
interno, come saranno gli isolati densificati
dalla speculazione edilizia nelle città industriali
dell’ottocento; l’interno diventa invece una città
in miniatura, cuore nascosto e pulsante che
propone una spazialità a scala umana, rispetto
alle grandi dimensioni delle strade pubbliche
principali, che rispondono alla scala della città. La
possibilità di attraversare la corte, passando da un
luogo pubblico ad uno più privato, o comunque
riservato, verrà sviluppata in altri progetti
molti anni dopo, come l’isolato Permanyer
a Barcellona, o il Winarskyhof a Vienna; la
variazione nella declinazione dello spazio aperto,
al fine di definire nuovi livelli di privacy, come per
gradi successivi, è una qualità ottenuta solo dopo
l’azione iniziale di demarcazione di un limite, di
costruzione di un confine, un dentro e un fuori,
attraverso l’edificazione perimetrale a corte.
F. Mansart, place Vendôme, Parigi, 1685.
Un secolo dopo, un tentativo di fondare
l’isolato a partire dallo spazio libero centrale,
principale affaccio delle costruzioni ai suoi lati, e
quindi nuova tipologia per la residenza urbana, è
il progetto per l’ensanche di Barcellona.
Il piano di ampliamento della capitale catalana,
redatto da Ildefonso Cerdà nel 1859, presenta
alcune grosse novità rispetto ai coevi piani
ottocenteschi per le altre grandi città europee:
allontanandosi dalla retorica della grande
59
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
60
composizione propria dell’eclettismo, l’ingegnere
catalano è alla ricerca di una struttura urbana
moderna, equilibrata e senza gerarchie in grado
di rispondere alle esigenze di vita di una grande
città, in contrapposizione al tessuto denso e
insalubre dell’antico centro medievale, attraverso
la definizione precisa di un nuovo tessuto urbano
e delle dimensioni corrette dei suoi elementi
costitutivi, strada e isolato. La sua opera appare
stranamente isolata dal contesto storico del
tempo: infatti i legami che allaccia sono piuttosto
da rintracciare nella tradizione antica della
centuriazione romana, intesa come processo
di colonizzazione di un nuovo territorio, ma
anche nelle città americane di nuova fondazione,
come testimoniano i suoi studi contenuti nella
Teoría de la Construcción de las Ciudades, una
sorta di memoria del progetto per Barcellona
pubblicata nel 1867. L’urbanizzazione del nuovo
ampliamento è disegnata secondo una maglia
regolare e ortogonale di strade che si estende
in modo omogeneo e che sembra non avere
limiti, se non quelli naturali del nucleo antico
I. Cerdà, piano di Reforma y Ensanche, Barcellona,
1859.
III - I precedenti
I. Cerdà, diversi raggruppamenti dei nuovi isolati
dell’ensanche, Barcellona, 1863.
a sud, del fiume Besós a est, della montagna
di Montjuic a ovest e del borgo di Gracia a
nord, senza apparenti gerarchie. All’interno di
questa scacchiera vi sono punti eccezionali e
irregolarità, come la forte cesura costituita dalla
avinguda Diagonal. L’ensanche si presenta così
come una città alternativa a quella storica, non
un suo ampliamento, proprio per questo modo
di accostarsi alle preesistenze senza continuità di
disegno.
Lo sforzo progettuale ruota principalmente
attorno all’elemento base del nuovo tracciato,
61
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
62
l’isolato quadrato con gli angoli smussati: Cerdà
giunge a definirne le dimensioni esatte dopo un
lungo studio comparativo degli isolati di circa 17
grandi città di tutto il mondo, tra cui Boston, New
York, Philadelphia, Washington, New Orleans,
Pechino, Buenos Aires, Lima, Edimburgo e
Berlino. Attraverso grafici e tabelle, con un’analisi
matematico-geometrica, mette in relazione
lunghezza dei lati, superficie coperta, densità,
altezza e tipologia di occupazione del suolo. Le
dimensioni ottimali scelte per Barcellona però
non sono semplicemente la media dei risultati, ma
una deliberata scelta basata anche su osservazioni
relative alle condizioni climatiche della città, per
la quale rileva la benefica influenza dei venti
dominanti, alle previsioni di occupazione del
suolo e di profondità degli edifici, alle esigenze
funzionali del traffico veicolare e pedonale.
Emergono a questo proposito tematiche
igieniste, basate sulla quantità di aria e di luce
assorbite dagli edifici, che ritorneranno spesso
nelle argomentazioni degli architetti del primo
novecento, a volte con la forza e la novità di
un manifesto, ma che hanno evidentemente
radici lontane. Laboriose analisi statistiche
consentirono a Cerdà di concludere che la
mortalità degli abitanti era in diretto rapporto
con l’incidenza dei raggi solari sugli edifici;
perciò riteneva che fosse necessario “cercare per
gli isolati una giacitura che permetta a tutti i loro
lati di sfruttare il più possibile i raggi del sole”.
La soluzione adottata fa coincidere le diagonali
del quadrato che costruisce l’isolato con i quattro
punti cardinali; i volumi costruiti lungo i lati
quindi hanno orientamento nord-est sud-ovest e
nord-ovest sud-est.
L’isolato si presenta quindi come il risultato
matematico che garantisce le condizioni più
favorevoli per una moderna città industriale; i
lati del quadrato misurano 113 metri, le strade
più strette 20 metri, di cui 10 per i veicoli e 5 sui
due lati per i pedoni; gli angoli sono smussati
Tipica casa d’affitto dell’ensanche, Barcellona.
III - I precedenti
Ricostruzione dei tipi urbani del piano Cerdà,
Barcellona.
a 45° per favorire il traffico e per ingrandire lo
spazio degli incroci; l’altezza massima è fissata in
20 metri, così da generare una sezione stradale
anch’essa quadrata; la profondità del corpo di
fabbrica varia da 17 metri, in un primo tempo,
fino a 28 metri, con le successive modifiche
delle ordinanze. Quest’ultimo dato risulta molto
importante perché incide sulla densità edilizia; in
caso di profondità massima e di costruzione sui
quattro lati dell’isolato, è garantito comunque
un valore accettabile, con una occupazione del
suolo che si mantiene inferiore al 50%.
Il tipo di riferimento per gli edifici residenziali,
come dimostrano i progetti realizzati dallo stesso
Cerdà, deriva dalle prime case plurifamiliari
costruite a Barcellona nel XVIII secolo, e si
configura come una sorta di casa d’affitto che
occupa un lotto di 24 metri di profondità e di
15-20 metri di facciata. Il piano terra è destinato
ad attività commerciali; il primo piano, detto
“principale”, è destinato all’abitazione del
proprietario, a volte con accesso indipendente
da una apposita scala; il resto dei piani, 3 o 4, è
collegato da una scala centrale, contigua al cortile
d’illuminazione, che distribuisce due appartamenti
per piano. Nonostante l’edificazione dell’isolato
venga parcellizzata attraverso la suddivisione
in lotti destinati a questa tipologia, diventata
63
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
64
poi tipica dell’ensanche barcellonese, lo studio
della forma di occupazione dell’intero isolato
mantiene un’importanza centrale nel piano
di Cerdà, come si evince dal valore attribuito
allo spazio libero interno: “Affinché l’entitàisolato abbia tutte le condizioni necessarie per
sussistere di per sé, in modo da darle una certa
indipendenza ed autonomia, deve avere appunto
una grande corte, o meglio giardino, che la
attraversi nel mezzo [...], la quale ha da essere
aperta alle sue estremità”43. Dunque la soluzione
ottimale e più ricorrente nel piano è quella
dei due corpi paralleli con giardino passante,
che prefigura una sorta di città radiosa, con il
verde che penetra all’interno di un’edificazione
sostanzialmente aperta. Ma Cerdà prevede anche
altre disposizioni, come quella ad angolo retto,
o con edifici su tre lati; questi elementi base,
come fossero tasselli di un domino, gli servono
all’operazione più interessante, dal nostro
punto di vista, che consiste nella costruzione di
una serie di possibilità combinatorie alla scala
urbana che sviluppano l’idea della disposizione
a corte, prefigurando nuove e stimolanti
soluzioni. All’interno di una omogeneità di
tracciato, l’accostamento di un limitato numero
di forme tipo porta a composizioni volumetriche
complesse, impostate su più isolati, dove spesso
troviamo la figura della corte, anche se dilatata
e attraversata da strade, ma sempre delimitata
dagli edifici residenziali. Per queste proposte
possiamo parlare di un’apertura dell’isolato
e di una nuova immagine di città, ma sempre
all’interno di una concezione di città costruita
con gli elementi desunti dalla storia, cioè, oltre
all’isolato, la strada, la facciata continua, la corte
interna.
Sono evidenti la ricchezza delle possibilità
progettuali e le nuove e variegate qualità che
può assumere lo spazio aperto racchiuso dagli
edifici nelle soluzioni prospettate nel piano. Una
esemplificazione concreta, oltre alle variazioni
I. Cerdà, diversi raggruppamenti dei nuovi isolati
dell’ensanche, Barcellona, 1863.
III - I precedenti
I. Cerdà, proposta per due isolati a corte aperta
contrapposti, Barcellona, 1863.
rimaste sulla carta, può essere il progetto,
elaborato dallo stesso Cerdà, di ridefinizione dei
due isolati per la società del Fomento del Ensanche
de Barcelona, del 1863; due U contrapposte che
racchiudono spazi a giardino in parte privati,
adiacenti alle case, in parte pubblici, in forma di
passaggio trasversale agli isolati controllato da
due casette unifamiliari poste sui due lati liberi
dei quadrati. In questo caso l’accostamento di
due isolati permette una gestione diversa dello
spazio aperto che, cambiando di dimensione,
può essere destinato ad attività più pubbliche.
Una variazione all’interno di un singolo isolato,
invece, è rappresentata dal cosiddetto passaggio
Permanyer, costruito nel 1864 dall’architetto
Jeroni Granell i Barrera. La costruzione a tutta
altezza lungo il perimetro è interrotta da un
passaggio che divide in due parti uguali l’isolato,
sul quale affacciano 17 case “all’inglese” (secondo
la terminologia dello stesso progetto), cioè case
unifamiliari a schiera di ascendenza georgiana
con ingresso da un giardino privato collegato
65
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
66
al passaggio. L’accesso a queste case avviene
quindi attraverso un graduale attraversamento
di spazi sempre più interni e sempre più privati,
disvelando le potenzialità di uno schema
all’apparenza rigido, e la qualità degli spazi che
si possono ottenere.
Tuttavia, com’è noto, la Barcellona immaginata
da Cerdà è rimasta sulla carta; le potenzialità
espresse dalle combinazioni nella disposizione
dei diversi isolati non hanno avuto esito. In realtà
anche la soluzione ottimale dell’edificazione
sui due soli lati paralleli è stata presto scartata
a causa delle pressioni della rendita fondiaria,
costringendo ad una revisione del piano verso
una maggiore densità; la soluzione tipo divenne
quindi la costruzione chiusa sui quattro lati, con
profondità e altezza dell’edificato aumentate
a colpi di ordinanze comunali, fino ad una
situazione limite di chiusura e inaccessibilità
della corte interna. Il piano ha comunque avuto il
merito di evitare che l’interno degli isolati venisse
occupato con altre costruzioni residenziali a
cortili successivi, come per esempio a Berlino; in
molti casi è stato però occupato il piano terra,
invaso dal prolungamento verso l’interno delle
attività commerciali affacciate sulla strada, tanto
che non si può parlare di interno unitario e
J. Granell i Barrera, Passaje Permanyer, Barcellona,
1864.
J. Serraclara, “Progetto per la costruzione di 211 case”,
Barcellona, 1867.
III - I precedenti
Interno dell’isolato tipico dell’ensanche, situazione
attuale, Barcellona, 2004.
riconoscibile, ma solo di retri.
Il tipo urbano a grande corte prefigurato
da Cerdà, come abbiamo visto, non ha avuto
occasioni di essere realizzato nella capitale
catalana; possiamo avere un’idea dell’immagine
di questi spazi dai disegni prospettici a volo
d’uccello realizzati da Antonio Armesto, che
ha ricostruito una Barcellona immaginaria
ma fedele ai principi originali del piano.
Paradossalmente gli esempi che più si avvicinano
a questo tipo di città sono stati costruiti solo
molto recentemente quando, a partire dagli anni
’80 e dall’evento scatenante delle Olimpiadi, la
67
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
città riscopre un nuovo periodo di espansione
edilizia. Il prolungamento della scacchiera
verso il mare, nella zona della Villa Olimpica,
è interessato da progetti che reinterpretano
l’isolato riscoprendo il valore dello spazio
interno della corte, o dilatando la corte stessa
su più isolati, come vedremo nel capitolo VI.
Sono esempi interessanti i tre isolati residenziali
progettati da Carlos Ferrater, attraversati da un
percorso parzialmente pubblico che collega le tre
corti trattate a giardino; i cinque isolati al Poble
Nou con soluzione simile ma con un affaccio sul
mare; la zona della Villa Olimpica, progettata da
Martorell, Bohigas e Mackay, che sperimenta le
potenzialità degli isolati accorpati.
Un altro esempio che rimanda alle prefigurazioni
di Cerdà, anche se costruito in un’altra città, può
essere considerato il progetto della Casa de las
Flores di Secondino Zuazo, realizzato a Madrid
nel 1928. L’isolato rettangolare è occupato da
due corpi doppi paralleli che lasciano nella
parte centrale un giardino libero e passante.
Tutti questi progetti, anche se costruiti in tempi
e luoghi lontani dalla Barcellona di Cerdà, sono
dimostrazioni importanti delle potenzialità
contenute nelle combinazioni spaziali delle
diverse disposizioni a corte nell’isolato. Essi
dimostrano anche che il piano per Barcellona
è un precedente fondamentale, anche se solo
parzialmente realizzato, di un modo possibile di
costruire la residenza urbana; la prefigurazione
di grandi disposizioni a corte per un’immagine
di città dai contenuti nuovi e moderni, ma che
allo stesso tempo salva gli strumenti disciplinari
di strada, isolato e corte, derivati dalla città
storica.
68
Un altro tema fondamentale legato alla
definizione del tipo residenziale a corte è il
processo, che ha origini nel XIX secolo, di
progressiva eliminazione dei cavedi di aerazione
e illuminazione interni al corpo di fabbrica; la loro
C. Ferrater, isolati residenziali al Poble Nou,
Barcellona, 1992.
S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928.
III - I precedenti
trasformazione, che spesso si attua attraverso una
dilatazione dimensionale, porta alla formazione
di vere e proprie corti interne, talvolta trattate a
giardino, che assumono il ruolo di nuovo affaccio
pregiato nell’isolato. Le conseguenze sulla forma
e l’organizzazione degli spazi interni agli alloggi
sono di una certa importanza: per esempio, la
diminuzione della profondità dell’edificio, a sua
volta legata alla comparsa di un nuovo affaccio
interno, silenzioso e intimo sullo spazio della
corte, cambia profondamente le regole della
distribuzione e la gerarchia delle zone che
compongono la casa.
Anche se le problematiche relative ai cavedi
sono diverse da città a città, a causa del loro stretto
legame con i regolamenti edilizi e le consuetudini
costruttive delle singole città europee, si
riscontra una similitudine nel percorso evolutivo
che porta alla loro graduale scomparsa, almeno
nelle proposte più avanzate. Ciò non toglie che
vi siano delle eccezioni: permanenze di una
forma dovute alla persistenza della costruzione
dei cavedi, come per esempio a Barcellona. La
corrispondenza con una particolare situazione
climatica e la tradizionale profondità del corpo di
fabbrica negli isolati dell’ensanche hanno favorito
la larga diffusione di uno spazio d’ingresso
derivato dal cavedio, immagine ricorrente della
casa d’affitto catalana: una sorta di atrio coperto,
con la luminosità di un patio e con finiture da
esterno, da cui parte la scala di distribuzione e su
cui affacciano stanze di soggiorno e corridoi. La
qualità spaziale di questa soluzione è rilevante;
tuttavia la luce e la ventilazione naturale che
assicura alle stanze delle case risultano scarse.
Atrio d’ingresso di una casa d’affitto dell’ensanche,
Barcellona, 2004.
Un caso esemplificativo, invece, può essere
l’evoluzione della corte nella Parigi posthaussmanniana, nel periodo che va dalla metà
dell’800 alla prima guerra mondiale. Il piano
urbanistico del prefetto della Senna, a causa
della forma stellare delle maglie stradali, definiva
69
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
70
isolati dalle forme irregolari, spesso triangolari,
il cui principio di costruzione si basava su una
divisione in parcelle. Gli studi di Philippe
Panerai rilevano come la suddivisione in lotti
e la costruzione all’interno di queste parcelle
obbedisse a principi molto chiari; ogni parcella
aveva un solo lato sulla strada, ed era di forma
regolare con un rapporto equilibrato fra i lati,
non esistevano lotti sviluppati in profondità né
disposti nel senso della facciata; la costruzione,
allineata su strada, era in forma di L o di T, ed
i corpi interni prendevano luce da corti formate
dall’accostamento di più elementi. “A questo
punto si potrebbe considerare l’isolato una
costruzione unica, un blocco nel quale sono stati
ricavati dei cortili. Ma in realtà, questo blocco
risulta dall’associazione di elementi identici”44.
Questa tecnica prevede dunque la messa in
comune, fra due o più lotti, dei cavedi e dei
cortili, che acquistano un valore negativo di retro;
l’isolato di Haussmann si può leggere così come
un tutto pieno, senza interno, come dimostra
anche la grande attenzione posta esclusivamente
sull’uniformità delle facciate sulla strada, ottenuta
attraverso vincoli sull’altezza, sulle sporgenze di
cornici e balconi, sulla dimensione delle finestre.
“Lo spazio collettivo del cortile non coincide più
con l’unità chiusa del lotto: esso ha un carattere
ibrido, che non è quello del singolo lotto, ma
nemmeno dipende dalla disposizione dell’insieme
dell’isolato. Soprattutto, questo spazio collettivo
poco definito ha perduto la sua capacità di dar
vita a forme di identificazione, perché è venuto
meno il suo valore di spazio nascosto alla vista e
riservato; al piano terreno, un muro, dall’aspetto
spesso sgradevole, continua a separare gli
immobili; anche se, al di sopra di questo muro,
il cortile può ancora essere letto come unitario,
esso è percepito da persone fra cui non c’è però
rapporto di vicinato perché entrano nell’edificio
da parti diverse”45.
Oltre ai cortili in comune, negli edifici
P. C. Fouquiau, piano di lottizzazione a Clignancourt,
Parigi, 1880.
III - I precedenti
A. Fasquelle, edificio in avenue du Bois-de-Boulogne,
Parigi, 1895.
L. Sorel, edificio in rue Le Tasse, Parigi, 1906.
residenziali della Parigi di metà ottocento
continuava a comparire anche il cavedio di
aerazione, per affacciare le stanze di servizio
come toilette e cucine. È nel periodo successivo
ad Haussmann che troviamo i primi tentativi di
modificare la natura e la funzione di questo spazio
buio e malsano, tentativi sollecitati anche dalle
critiche mosse dai medici igienisti che iniziavano
a trattare i problemi della salute pubblica. Questi
anni di transizione, come evidenzia Monique
Eleb, tra Haussmann e il Movimento Moderno,
non conoscono cambiamenti rivoluzionari nei
modi e nelle forme dell’abitare; tuttavia “tutti
gli elementi che struttureranno le idee moderne
esistono, ma in disordine; sono stati testati e
sperimentati, spesso senza pubblicità”46.
L’introduzione dei sistemi tecnici di
distribuzione dell’acqua, del gas, dell’elettricità
e le numerose invenzioni come l’ascensore o
il telefono, si osservano più frequentemente
nelle case di lusso; così come, sempre nelle case
della borghesia, si osservano più facilmente
71
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
72
le innovazioni sulla pianta, che vedono una
razionalizzazione della distribuzione basata su
un raggruppamento degli ambienti della vita
domestica. Tende a configurarsi un sistema di
tripartizione funzionale: la zona di accoglienza
(salon), la zona di servizio (cuisine e toilette)
e le camere private (chambre à coucher) sono
disimpegnate da un sistema di circolazione che
garantisce l’indipendenza funzionale. Ad ogni
blocco corrisponde un affaccio privilegiato: il
salone sulla facciata principale, le camere sulla
piccola corte interna (cour), mentre i servizi sui
cavedi (courette).
Nelle case per le classi medie e operaie, per
evidenti economie sugli spazi, la tripartizione
diventa bipartizione, cioè le tre funzioni tendono
ad accorparsi in due blocchi; la funzione di
accoglienza confluisce in parte nelle camere e
in parte nella zona cucina, spesso incorporata
nella salle à manger, con un corridoio minimo
di distribuzione. Garnier e Amman, nel 1892,
descrivono così la distribuzione dell’appartamento
in un edificio collettivo destinato alla classe
media: “En général, on cherche à établir dans un
appartement deux espèces de grands compartiments
distincts. Le premier est consacré aux pièces de
réception et aux chambres à coucher; le second
est occupé par la salle à manger, la cuisine et les
pièces accessoires. Cette distribution donne de la
netteté au plan et, dans les détalis de la vie simplifie
les mouvements”47. A questa bipartizione
corrispondono due tipi di affaccio, che si vanno
configurando come l’esterno su strada e l’interno
sulla corte. Tuttavia, prima di questa soluzione
ideale, vi sono molti passi intermedi: nell’edificio
per abitazioni operaie di rue Ernest-Lefèvre,
progettato da Labussière nel 1905, compare
una grande cour su cui affacciano le camere ma
anche delle petite cour per scale e servizi (pièces
humides), solo sui tre lati dell’isolato senza
sbocco su strada. Dalla disposizione interna
dei servizi nel lato verso strada è chiaro che la
H. Guimard, Castel Béranger, rue Lafontaine, Parigi,
1898.
G. Umbdenstock e E. Picard, edificio in avenue HenriMartin, Parigi, 1912.
III - I precedenti
A. Labussière, blocco di abitazioni in rue ErnestLefèvre, Parigi, 1905.
gerarchia degli spazi aperti vede ancora come
privilegiato lo spazio pubblico della strada. Ma
in questo esempio la corte inizia ad avere un
ruolo importante, collettivo e rappresentativo,
come dimostra il trattamento curato dei parterre
verdi, l’orologio centrale, ma anche la regola
distributiva d’insieme che trasforma la corte in
passaggio obbligato per l’accesso alle scale di
distribuzione.
Anche nelle abitazioni borghesi la corte,
considerata un lato secondario e scadente,
un mauvais côté, subisce un processo di
abbellimento,
un’attenzione
progettuale
che tende a trasformarla in giardino, con
73
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
74
l’introduzione quindi della qualità dell’elemento
verde come accessorio di lusso della casa in città.
Permangono invece ancora i piccoli cavedi di
aerazione dei servizi.
Le dimensioni minime di cour e courette vengono
fissate, nel periodo preso in considerazione, da
due decreti successivi adottati dalla municipalità
di Parigi nel 1884 e nel 1902. Esse sono definite
a partire dal tipo di stanza alla quale danno luce
e aria. “Il decreto del 1884 fissa, in funzione
dell’altezza dell’edificio, una superficie e una
larghezza media minime per la corte sulla
quale prendono luce e aria le stanze destinate
all’abitazione (per un immobile di meno di 18 m,
30 m2; se è più alto, 40 m2 quando le ali hanno
meno di 18 m di altezza, e 60 m2 se sono più
alte) [...] Per le cucine, una categoria intermedia
di corti di superficie minima di 15 m2 è definita
dal secondo decreto (9 m2 nel 1884). Per i cavedi
sui quali si aprono gabinetti, vestiboli e corridoi,
che non possono essere destinati all’abitazione la
superficie di 4 m2 prima richiesta passa a 8 m2 nel
A. Labussière, blocco di abitazioni dell’avenue
Daumesnil, Parigi, 1908.
L. Chesnay, cavedio della casa d’affitto di rue de
Messine, Parigi, 1906.
III - I precedenti
A. Perret, edificio di rue Franklin, Parigi, 1902.
1902”48.
Anche se le ordinanze ne hanno aumentato
le superfici minime, le courettes rimangono
comunque invariate nella loro natura funzionale
per quanto riguarda le case d’affitto; sono
sostanzialmente un retro, uno spazio da
nascondere, e nemmeno i tentativi di aprirne
un lato verso l’interno, introducendo i principi
della corte aperta, contribuiscono a migliorarne
la qualità. Il risultato è che la corte interna è
penalizzata da una serie di rientranze con gli
affacci di toilette, cucine e scale.
Sostanziali innovazioni si hanno solo nei
progetti di architetti d’avanguardia e nelle
case popolari, come quelle costruite dalle varie
fondazioni che aderiscono ai programmi delle
H.B.M. (Habitations à bon marché). Nel primo
caso si tratta del tentativo di aprire la corte verso
l’esterno, ripensando quindi al ruolo della strada,
come nel progetto della casa di rue Franklin di
Auguste Perret, del 1902. In questo edificio la
rientranza del volume, che interessa solo i piani
intermedi dell’edificio, serve a far penetrare il
sole fino al cuore della casa, ad aumentare la
lunghezza della facciata, ma sempre per dare luce
ai locali di soggiorno e alle camere; all’interno
i servizi sono aerati da cavedi anche in questo
caso. La particolare disposizione della pianta
permette anche uno sfruttamento intensivo
del lotto: “la superficie di questo arretramento
misura 12 m2, quando il regolamento municipale
esige che una corte interna misuri almeno 56
m2 di superficie”49. Questa soluzione quindi
testimonia una attitudine ad innovare il ruolo
della corte, a modificare la sua natura e a farla
entrare in rapporto con la strada, dandole aria e
luce; le potenzialità contenute in embrione in rue
Franklin hanno forse influenzato il progetto di
boulevards à redans elaborato da Eugène Hénard
nel 1903. In questo sistema lineare, composto da
un viale alberato delimitato da edifici residenziali
continui, compaiono delle grandi corti aperte sul
75
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
76
lato strada che fungono da spazio intermedio
tra l’edificio e la strada stessa: una innovazione
tipologica importante, rimasta sulla carta, attuata
con la definitiva trasformazione della natura
della corte interna in corte esterna, anche se
persistono ancora piccole corti chiuse al centro
degli edifici per l’affaccio di scale e corridoi. Il
boulevard è un progetto che si presta a molte
letture; per esempio, possiamo vedere le due
corti aperte che si fronteggiano sui due lati del
viale come un’unica corte chiusa e attraversata
da un passaggio pubblico, oppure considerare
tutto il boulevard come un unico interno semi
pubblico, frastagliato con arretramenti più
privati, e opposto al vero esterno della città al
di fuori, che gli edifici delimitano chiaramente
con una facciata continua. La portata di questa
innovazione tipologica è evidente, tanto che non
si può escludere che anche Le Corbusier, nei suoi
progetti utopici sulla città contemporanea, abbia
attinto da questo e da altri progetti di Hénard,
pubblicati tra il 1903 e il 1909 con il titolo Etudes
sur les transformations de Paris.
Il principio della corte aperta su strada inizia ad
essere discusso anche nei congressi internazionali,
insieme all’abolizione dei cavedi, soprattutto per
le abitazioni economiche; la corte è percepita
come un polmone che fa respirare l’edificio, uno
spazio rappresentativo, o dove trovano posto
i giochi dei bambini; spesso è trattata come un
prolungamento della strada, sia nella forma
che nei materiali come pavimentazioni e arredi.
Altre volte, come abbiamo visto, la corte assume
la forma di un giardino, diventando un affaccio
pregiato per la salubrità dell’aria, e la tranquillità
e il silenzio. Talvolta lo spazio aperto del giardino
è suddiviso in diverse aree funzionali legate alla
vita all’aperto; trovano posto così i prolungamenti
verso l’esterno delle lavanderie, o addirittura
gli orti, dati in concessione agli abitanti, come
nell’edificio della fondazione Singer-Polignac
in rue de la Colonie, del 1911. La corte è
E. Hénard, progetto di boulevard à redans, 1903.
A. Labussière, blocco di abitazioni in rue de l’AmiralRoussin, Parigi, 1907.
III - I precedenti
M. Payret-Dortail, blocco di abitazioni dell’avenue
Emile-Zola, Parigi, 1913.
Albenque e Gonnot, progetto di un blocco di abitazioni
in rue Henri-Becque, Parigi ,1913.
G. Vaudoyer, blocco di abitazioni della Fondazione
Singer-Polignac in rue de la Colonie, Parigi, 1911.
diventata così un elemento fondamentale per
la vita dell’edificio, uno spazio gioioso e pieno
di attività, un prolungamento all’aperto degli
alloggi, ma anche una passeggiata d’ingresso per
raggiungere le scale.
Questo processo di formazione delle corti
interne a giardino è legato anche alle dimensioni
del lotto edificabile, che nella Parigi a cavallo
tra XIX e XX secolo si va ingrandendo fino
ad occupare l’intero isolato. Mentre per le
case della borghesia, spesso legate alla piccola
parcella edificabile, le innovazioni sono meno
evidenti, per le abitazioni popolari, le habitations
à bon marché, e per alcune case d’affitto si
registrano importanti modificazioni tipologiche,
che portano alla comparsa della corte interna
come elemento caratterizzante e irrinunciabile
del progetto. Nella casa d’affitto di rue CharlesBaudelaire progettata da J. Charlet e F. Perrin
nel 1908, per esempio, l’unione di tre lotti
contigui ha permesso di lavorare con grandi
77
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
78
dimensioni; è comparsa una cour commune di
260 m2 al centro, trattata a giardino con percorsi
che portano alle scale di distribuzione; sono
scomparsi definitivamente i cavedi, e la pianta
sembra rispondere a precise regole compositive.
Il corpo di fabbrica è doppio con corridoio
centrale dove c’è un doppio affaccio, mentre è
singolo sulle ali e sul retro; sulla corte si aprono
sia camere e sale da pranzo, sia servizi e cucine,
anche se in posizione più defilata.
Nella casa d’affitto dell’avenue de Suffren
dell’architetto Bouvard, del 1912, abbiamo
un’innovazione tipologica sostanziale che
dipende direttamente dalla dimensione del
lotto, che coincide con l’intero isolato; l’edificio
a corte è libero sui quattro fronti esterni e la
distribuzione è razionale e omogenea nelle varie
parti, con un corridoio centrale che distribuisce
camere e saloni, affacciati sull’esterno, e cucine,
sale da pranzo e servizi rivolti all’interno della
corte chiusa, denominata cour jardin. Questo
progetto contiene molti temi compositivi che
caratterizzano la tipologia urbana a corte, come
la profondità costante del corpo di fabbrica, la
chiusura attorno allo spazio aperto a giardino,
la presenza eccezionale degli angoli esterni, e
quindi delle stanze d’angolo, elementi che si
caricano di valenze rappresentative e simboliche.
In questo caso l’angolo è stato smussato con un
profilo tondo, e compaiono le finestre proprio
sulla parete curva. In altri casi, come vedremo
nel prossimo capitolo, nell’angolo vengono
concentrati gli sforzi progettuali per risolvere il
problema dell’incontro di due regolarità, o se si
vuole di una regola che si piega all’eccezione:
dalla soluzione banale dei due fianchi ciechi
all’introduzione di stanze d’angolo con finestre
particolari; al piano terra, dalla presenza di locali
commerciali al posizionamento dell’ingresso alla
corte.
L’evoluzione dell’abitazione a Parigi nel periodo
considerato è quindi interessante per l’evidente
J. Charlet e F. Perrin, casa d’affitto in rue CharlesBaudelaire, Parigi, 1908.
III - I precedenti
lavoro sugli elementi che compongono la casa
moderna, come dimostrano gli esempi costruiti che
abbiamo analizzato. Inoltre numerosi architetti,
collaborando con filantropi e riformatori sociali,
creano nuovi dispositivi atti a trasformare la
società o, per lo meno, le condizioni di vita delle
classi svantaggiate. “La messa in pratica da parte
delle fondazioni filantropiche di una politica di
costruzione di habitations à bon marché apre
un nuovo campo di riflessione ai progettisti. In
luogo di semplici riduzioni dei programmi per
le abitazioni borghesi, la casa popolare diventa
l’oggetto di una ricerca specifica”50. E proprio
legata a questo nuovo orizzonte di ricerca
progettuale troviamo la trasformazione dello
spazio interno, da piccola courette di servizio a
grande corte giardino, che si definisce come
elemento portante di questa nuova tipologia
urbana. Un nuovo interno protetto e collettivo,
che arricchisce lo spazio aperto di nuove qualità;
un nuovo affaccio, silenzioso e intimo, che
talvolta inverte le regole della distribuzione dei
locali della casa.
R. Bouvard, blocco di abitazioni in avenue Suffren,
Parigi, 1912.
79
G. F. La Croix, complesso di abitazioni per la Rochdale,
Amsterdam, 1917.
IV.
La definizione di un tipo urbano
Le esperienze che abbiamo analizzato nel
capitolo precedente lasciano intravedere
come, sia a Barcellona che a Parigi, la risposta
al problema dello sviluppo urbano e della
costruzione di residenza di massa converga verso
un tipo di costruzione perimetrale dell’isolato,
che riconosce un nuovo spazio aperto interno e
collettivo come valore aggiunto per le abitazioni
in città. A fronte di un dato di partenza molto
diverso, retaggio della storia, dalle tradizioni
costruttive, dal contesto specifico delle due
città, la soluzione di disporre a corte il corpo di
fabbrica, e di considerare l’intero isolato come
unità minima di progetto, ha origini diverse: a
Barcellona l’isolato quadrato è proposto come
elemento base del piano di espansione, anche
se nella realizzazione, lasciata all’iniziativa
privata attraverso la frammentazione in piccoli
lotti, l’unità dello spazio interno viene meno; a
Parigi l’unione dei piccoli lotti edificabili in cui
sono suddivisi gli isolati del piano Haussmann
permette la costruzione di complessi residenziali
di dimensioni sempre maggiori, fino a raggiungere
la misura dell’intero isolato, che si dispongono
attorno ad un nuovo tipo di spazio aperto, la corte
giardino. In un caso è un processo imposto che
ha trovato difficoltà di realizzazione, nell’altro
un processo nato dall’interno, causato dalla
progressiva trasformazione degli elementi della
casa urbana, delle normative e delle condizioni
di urbanizzazione, fino a raggiungere una
conformazione a corte.
Se nel corso dell’ottocento si sono create
le premesse generali, è solo dagli anni ’10 del
novecento che la corte urbana collettiva viene
proposta in modo sistematico come una possibile
soluzione razionale alla necessità di espansione
di molte città europee; la grande quantità di
81
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
82
realizzazioni, e quindi le sperimentazioni e le
variazioni che possiamo analizzare nei vari casi,
ci conducono a parlare di formazione di un tipo
urbano riconoscibile. Si rende cioè evidente
un grado di generalità in questo tipo di forma
costruita: una modalità che utilizza soluzioni
progettuali ricorrenti per rispondere a problemi
simili e in contesti simili, e di cui possiamo
distinguere gli elementi strutturanti.
In parallelo alla definizione della soluzione
urbana ottimale, nei primi trent’anni del
novecento assistiamo anche ad una messa a punto
razionale della dimensione e della distribuzione
degli ambienti della casa, codificazione che si
ripeterà in modo abbastanza stabile per tutto
il secolo: “stabilire la definitiva separazione fra
residenza e lavoro, rigettare fuori dall’alloggio
familiare i membri estranei al nucleo ristretto,
H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, 1900-1917.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Amsterdam sud, trattamento dello spazio centrale
degli isolati.
regolamentare le relazioni di vicinato e il sistema
delle circolazioni interne ed esterne all’edificio,
fornire servizi collettivi al di fuori della casa in
luoghi istituzionalizzati, assegnare ad ogni persona
luoghi appropriati del territorio domestico,
proporzionare la superficie dell’abitazione
alla grandezza della famiglia, infine, dare una
configurazione funzionale allo spazio domestico,
stabilizzando le specializzazioni, facendo
funzionare le relazioni domestiche in uno spazio
reso utile”51.
Ad
un
profondo
cambiamento
nell’organizzazione dello spazio interno della
casa, non corrisponde un altrettanto drastico
sovvertimento dello spazio urbano che, definito
attraverso il blocco perimetrale, presenta gli
elementi caratteristici della città storica, senza
sostanziali innovazioni: la strada, delimitata
dalla continuità delle facciate, come un vuoto
allungato che si apre nelle piazze senza soluzione
di continuità, che accoglie tutte le funzioni
pubbliche e di circolazione; la facciata che
separa nettamente un esterno da un interno.
Il tipo urbano a corte quindi si profila come la
soluzione in grado di risolvere i problemi posti
dalla nuova città in espansione, di rispondere
alle domande di razionalità e igiene, aria e luce
per gli alloggi, alla necessità di verde, e allo
stesso tempo di garantire una continuità di spazi
con la città storica, attraverso il sistema della
maglia stradale e dell’isolato, e di conseguenza
della strada corridoio e di tutto il suo consolidato
83
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
funzionamento.
Tale soluzione, che vede in questo periodo
le prime realizzazioni importanti, permette di
riconquistare lo spazio interno dell’isolato come
grande corte comune, e spesso di introdurre
l’elemento naturale del verde nella città di pietra;
ma consente anche di controllare per intero la
costruzione del corpo di fabbrica perimetrale,
e quindi di progettare con criteri razionali le
piante, garantendo una profondità ridotta e un
doppio affaccio agli alloggi.
Di seguito si propone un’analisi delle esperienze
più significative, concentrate per la maggior
parte nelle città del nord Europa: Amsterdam,
Rotterdam, Milano, Vienna, Amburgo, Madrid
e Berlino.
84
L’Olanda in particolare è ad un livello avanzato
nella risposta ai problemi di carenza degli alloggi,
di sovraffollamento delle città e delle scarse
condizioni igieniche delle abitazioni operaie;
dotandosi di una legge nazionale sulla casa, la
Woningwet, entrata in vigore nel 1902, ha dato
avvio a processi diffusi che hanno avuto influenze,
anche se indirette, sull’architettura, e in generale
hanno sensibilizzato l’amministrazione pubblica
e la cultura imprenditoriale sui temi della casa
economica.
La legge, infatti, obbligava i comuni a dotarsi di
una normativa sulle abitazioni che determinasse
standard qualitativi minimi, come la dimensione
di stanze, scale, finestre e la tipologia di servizi
e impianti; a svolgere un censimento della
popolazione e degli alloggi, per determinare i
reali bisogni di case; a dotarsi di una commissione
d’igiene che vigilasse sulle condizioni delle
abitazioni. La grande importanza storica della
Woningwet è legata anche all’introduzione dello
strumento di esproprio delle aree edificabili
e dell’obbligo per un gran numero di comuni
di redigere piani regolatori; in questo modo le
amministrazioni diventavano parte integrante
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
H. P. Berlage, elaborazione di piante dal modello di A.
Keppler, 1911.
85
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
86
nell’attività urbanistica, e i programmi di
edificazione
non
incontravano
ostacoli
burocratici. Il tutto era favorito dall’aiuto
economico dello stato, che garantiva contributi
per la costruzione e la gestione delle case;
l’ammissione a questi fondi era possibile solo per
quelle società attive esclusivamente nell’interesse
del miglioramento dell’edilizia popolare, e quindi
riconosciute ufficialmente dal governo. “Anche se
non si tratta di strumenti concettualmente nuovi,
né rivoluzionari, è la prima volta che vengono
contemplati in una legge di estensione nazionale
e sono organicamente legati a un regime di
finanziamenti pubblici e di controlli. [...] Lo
stato, con la Woningwet, dava un riconoscimento
ufficiale e sociale ad associazioni, cooperative
e società aventi come scopo la realizzazione di
edilizia popolare”52.
Questo è il motivo del diretto coinvolgimento
dei migliori architetti olandesi nella progettazione
dei nuovi quartieri: le imprese, per mantenere
il loro statuto e l’accesso ai fondi, dovevano
spostare il loro obiettivo dalla speculazione
alla innovazione qualitativa nel rispetto delle
nuove normative, e quindi non potevano che
far lavorare gli architetti in questo senso.
Inoltre la casa per la società non era un bene di
consumo da immettere sul mercato: rimaneva di
proprietà della società per i primi cinquant’anni
e poi passava alla gestione comunale. “Le
condizioni della progettazione sono quindi tali
da rappresentare un campo di sperimentazione
per tutti gli architetti che si impegnano nel
settore dell’edilizia residenziale”53. Il problema
del progetto della casa economica diventa un
tema specifico di ricerca progettuale, con una
sua autonomia e una sua nuova dignità. Alla
ricerca sulla tipologia dell’alloggio si affianca
il tema della composizione urbana, dato il
nuovo significato che acquista la dimensione
dell’intervento residenziale; “i grandi complessi
unitari, che gli imprenditori privati non avevano
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
mai realizzato, vengono invece adottati dalle
società edilizie e diventano le nuove quantità di
crescita della città e di identificazione della sua
forma”54.
In questo quadro complesso e variegato,
soffermiamo la nostra attenzione sulle esperienze
progettuali di Van der Pek, Berlage e de Bazel ad
Amsterdam, e di Oud e Brinkman a Rotterdam.
J. E. Van der Pek, complesso residenziale in Van
Beuningenstraat, Amsterdam, 1909.
Gli anni che vanno dal 1909 al 1918, anno
di approvazione del piano di espansione di
Amsterdam sud, sono caratterizzati da numerose
realizzazioni, nei quartieri ad est e ad ovest, dove
vengono sperimentate le prime innovazioni sulle
piante degli alloggi, secondo la Woningwet, e i
primi impianti urbani unitari che confermano
il blocco chiuso perimetrale come soluzione
condivisa.
L’architetto Van der Pek realizza per la
società Rochdale l’intervento pioniere di
case sovvenzionate ad Amsterdam, in Van
Beuningenstraat: completato nel 1909, anche se
non occupa un intero isolato ma solo due lati,
mostra i caratteri distintivi di questo tipo di
edilizia, che resteranno costanti anche nelle opere
87
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
88
di altri architetti. Il blocco di 4 piani si presenta
compatto e solido, l’uniformità è garantita dalla
ripetizione di uno stesso tipo di apertura; il muro
di mattoni a vista ha una decorazione scarna
ed essenziale, e anzi presenta degli elementi
strutturali “grezzi” come le chiavi delle catene di
rinforzo dei solai. La facciata è scandita da volumi
leggermente sporgenti che segnalano gli ingressi
al piano terra, raggruppati con quattro porte
molto vicine; data l’impossibilità di dare l’accesso
diretto su strada a tutti gli appartamenti, come
nella tradizione della casa olandese, Van der Pek
ha cercato una soluzione di compromesso: la casa
al piano terra ha la porta su strada, le case agli altri
piani sono servite da una scala che distribuisce un
solo appartamento per piano. Quindi lo spazio
interno comune viene attentamente ridotto al
minimo, o eliminato quando è possibile. Gli
elementi sporgenti scandiscono verticalmente
la facciata, e rimandano alle proporzioni delle
tradizionali case a schiera; il ritmo serrato è
evidenziato anche dall’alternanza di tetto piano
e tetto a falda, un abile compromesso tra casa
singola e casa collettiva. All’interno la pianta
è scandita dai muri portanti trasversali, che
misurano la dimensione degli alloggi; la stanza
più importante è il soggiorno, affacciato sulla
strada, che distribuisce la cucina con finestra
verso l’interno. La disposizione degli ambienti
è razionale e con buoni standard igienici; per
esempio le due camere sono indipendenti e
disimpegnate dal locale di ingresso.
Da una tavola riassuntiva delle piante tipo di
vari interventi realizzati ad Amsterdam, si può
capire l’interesse progettuale che ruota attorno
alla tipologia della casa economica; su disegni di
questo tipo ci sarà uno scambio e un confronto
anche con altri progettisti, attorno alle questioni
di normalizzazione della casa e dei suoi elementi.
Si può notare che Van der Pek sperimenta anche
soluzioni con maggiore profondità del corpo di
fabbrica; nel progetto realizzato in Atjehstraat
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
J. E. Van der Pek, piante tipo di vari interventi realizzati
ad Amsterdam tra il 1909 e il 1913.
89
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
90
nel 1912 la scala trova la sua collocazione nel
centro dell’edificio, evitando così sulla facciata
le finestre non allineate corrispondenti al
mezzo piano. Con una sola rampa di 15 alzate,
impensabile oggi con i regolamenti edilizi di altri
paesi come l’Italia, distribuisce due appartamenti
per piano, con doppio affaccio e suddivisione tra
soggiorno, affacciato su strada, cucina e camera
sull’interno; qui c’è la presenza interessante
di una loggia coperta. Questa loggia è la
testimonianza di una nuova qualità nell’affaccio
interno: infatti, l’elemento di maggiore novità
J. E. Van der Pek, complesso residenziale in Atjehstraat,
Amsterdam, 1912.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
H. P. Berlage, complesso residenziale Indischebuurt,
Amsterdam, 1912.
di questo intervento è proprio la disposizione
degli edifici nel lotto, due blocchi lineari che
racchiudono un giardino comune. La corte
giardino assume così un carattere collettivo, ma
allo stesso tempo intimo e protetto; l’accesso, nel
lato corto aperto sulla strada, è limitato da un
cancello, e controllato da due padiglioni, con una
soluzione che richiama il progetto non realizzato
di due isolati contrapposti di Cerdà a Barcellona,
illustrato nel capitolo precedente.
La tendenza ad occupare l’intero isolato
con una costruzione perimetrale è confermata
anche dai progetti di Berlage per la società De
Arbeiderswoning. Nel 1911 viene invitato, insieme
a de Bazel, ad elaborare alcuni progetti partendo
da una planimetria tipo, copia esatta del modello
che Roberts progetta per l’esposizione universale
di Londra nel 1851. Il modello propone una scala
centrale che serve due appartamenti speculari
per piano; sul lato interno guardano le camere da
letto, sulla strada le stanze di soggiorno e la scala.
La cucina è ridotta ad un piccolo locale di servizio
con il lavello, ed è raggruppata con il bagno di
fianco alle scale. Questo prototipo viene ripetuto,
con poche variazioni, in molti progetti tra cui i
tre blocchi ad Amsterdam est, Indischebuurt, del
1912. Berlage in questo intervento suddivide il
grande lotto edificabile con tre blocchi a corte
rettangolari di 4 piani, di dimensioni 28 x 45 metri.
Anche qui l’uniformità è garantita dall’utilizzo
essenziale del mattone, ma compaiono finestre
di diverse dimensioni: una standard per camere
e stanze di soggiorno, una molto ridotta per il
locale della cucina, che inquadra sui due lati il
corpo scale, in aggetto e con aperture ancora
differenti. La disposizione a corte è ottenuta
dall’accostamento del modulo con scala centrale
descritto, più adatto ad una tipologia in linea,
con una variazione per poter risolvere l’angolo;
la giustapposizione di due moduli ruotati di 90
gradi genera uno svuotamento dello spigolo
esterno, colmato parzialmente da una stanza da
91
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
92
letto supplementare. In questo progetto viene
confermato il rapporto diretto degli ingressi
con la strada: non compare nessun elemento
di mediazione, e il percorso d’accesso alla casa
tocca solo in minima parte gli spazi comuni. La
corte destinata a giardino, per esempio, non
è attraversabile; anche se è comune, risulta
accessibile solo dagli appartamenti del piano
terra. Berlage utilizza per la prima volta in questo
H. P. Berlage, complesso residenziale Indischebuurt,
Amsterdam, 1912.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
progetto il blocco chiuso perimetrale (bouwblok)
in modo sistematico, ed ha quindi l’opportunità di
studiarne anche le implicazioni urbanistiche: con
l’accostamento dei blocchi è possibile agire sulla
gerarchia degli spazi aperti, e identificare diversi
gradi tra pubblico e privato. Tra la corte, intima e
inaccessibile, e la strada carrabile, definisce strade
trasversali dal carattere pedonale e domestico:
passaggi che sono veri prolungamenti all’esterno
delle case, e che hanno una dimensione simile
alle corti interne.
In questo e in altri progetti, come quelli elaborati
per la Algemeene Woningbouwvereeniging,
Berlage si distanzia dalla tradizione olandese
della costruzione a schiera; il modello adottato
di organizzazione orizzontale degli alloggi,
sovrapposti su quattro piani, non permette
più il riconoscimento in facciata della singola
abitazione, e introduce una nuova scala
compositiva. “Attraverso la concatenazione
speculare, Berlage fa scomparire, nella
costruzione del prospetto dell’isolato, la singola
casa olandese quale momento espressivo. La
moltiplicazione delle dimensioni attraverso
la simmetria porta l’attenzione direttamente
all’intero isolato, mentre il nucleo minimo di
costruzione, il singolo tipo d’alloggio, è privo di
espressione propria”55.
Anche se il progetto di Indischebuurt consolida
l’idea del bouwblok come elemento base per
la costruzione della città, esso rappresenta
un’eccezione per il disegno unitario della corte
e del blocco nella sua totalità: l’interesse di
Berlage è concentrato più sull’unità dello spazio
pubblico della strada e della piazza, che su
quella del blocco a corte. Nello scritto del 1918
sulla normalizzazione nell’edilizia residenziale56
Berlage, partendo da argomentazioni in difesa
di Van der Waerden e della sua proposta di
utilizzare un unico tipo edilizio per la residenza
economica, arriva a discutere il problema di base,
cioè di come ci si fosse sempre serviti di poche e
93
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
94
semplici forme per costruire città e architetture;
la standardizzazione è vista come attività umana
per eccellenza, nel tentativo di dare regolarità
e ordine al senza-forma. Analizzando impianti
urbani dell’antichità, mette in evidenza la
regolarizzazione dello stesso tracciato stradale,
considerandola come scelta logica e necessaria.
“L’edilizia è direttamente legata al tracciato
stradale. La pianta e la costruzione procedono
unitamente, l’una presuppone l’altra. Perché
è evidente che, mentre si progetta il tracciato
stradale, contemporaneamente è necessario
pensare anche agli edifici che vanno costruiti,
per soddisfare nel modo più vantaggioso le
esigenze economiche. [...] La strada, la piazza e
la costruzione sono reciprocamente interagenti
in ogni progetto urbanistico. Urbanistica
significa creare lo spazio usando le costruzioni
come materiale”57. Da queste parole è chiara
la gerarchia nel metodo progettuale di Berlage;
egli crea lo spazio con la costruzione, non crea
la costruzione che definisce lo spazio. Per questo
motivo è più importante l’unità architettonica di
una strada che di un isolato; lo spazio di cui parla
Berlage è quello della piazza, non quello della
corte interna. Tuttavia la disposizione perimetrale
nell’isolato non è messa in discussione, anzi è la
forma urbana che garantisce i risultati spaziali
voluti. La conseguenza sul piano concreto,
come dimostrano le realizzazioni del piano
per Amsterdam sud approvato nel 1918, è che
l’isolato a corte non è inteso come unità minima
di progetto; la sua costruzione viene suddivisa
per parti, privilegiando l’uniformità degli spazi
pubblici, o delle parti degli isolati che affacciano
sulla stessa strada. “L’esame dell’attività edilizia
e lo studio della pianta catastale mostrano come
l’isolato, ad eccezione di qualche caso, non sia
un’unità sul piano del progetto architettonico, ma
venga sempre realizzato per piccoli frammenti
assegnati ad architetti differenti. C’è la tendenza
a realizzare interventi che interessano i due lati
H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso
sull’Amstelkanaal, 1922.
H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso
Takbuurt, 1920.
H. P. Berlage, piano per Amsterdam sud, complesso
Amstel’s Bouwvereeninging, 1921.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Amsterdam sud, trattamento dello spazio centrale
degli isolati.
di una strada piuttosto che un isolato. Tuttavia,
non è possibile ridurre la nozione di isolato
ad una sommatoria di interventi ottenuta a
posteriori. L’isolato si impone invece come un
tipo riconosciuto, vale a dire come uno strumento
da usare collettivamente, una organizzazione
spaziale sulla quale si verifica un consenso,
della quale è possibile enumerare le proprietà e
definire l’evoluzione”58. Queste considerazioni
sono verificate nelle realizzazioni degli architetti
della “scuola” di Amsterdam, per le quali
difficilmente si può parlare di disposizione a
corte; i progetti residenziali, con una tipologia
praticamente uniforme di costruzione in linea
sul margine del lotto, ripropongono il modello
con scala centrale e due appartamenti per piano,
e accessi direttamente sulla strada. L’interno
dell’isolato, anche se protetto e intimo, non ha un
carattere collettivo a causa della frammentazione
dello spazio, destinato a giardini privati; talvolta
è attraversabile, ma solo per raggiungere gli
ingressi dal giardino delle case al piano terra. A
conferma di ciò è anche la mancanza di disegni
planimetrici d’insieme degli isolati, e anche di
rappresentazioni prospettiche dell’interno: una
delle poche eccezioni è la prospettiva dell’interno
del progetto di de Klerk per Eigen Haard, che
conferma quanto detto.
Paradossalmente il tema della corte e del blocco
uniforme è stato sviluppato più negli interventi
di edilizia economica precedenti il piano di
Amsterdam sud; per la nostra ricerca quindi è più
interessante la preparazione, il banco di prova
del piano che il piano stesso. Tra questi esempi
troviamo Spaarndammerbuurt, quartiere operaio
a ovest di Amsterdam, il cui piano di espansione
fu redatto nel 1912 da Van der Mey. Gli isolati, di
grandi dimensioni, sono costruiti generalmente
lungo il perimetro dei lotti, ma spesso sono
deformati e piegati per la presenza di funzioni
pubbliche, come la scuola o l’ufficio postale:
queste irregolarità sono progettate all’interno
95
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
96
del blocco che, nella maggioranza dei casi, è
affidato ad un solo progettista. Il blocco a corte
acquista così una complessità interna controllata
già in partenza dall’azione del progetto.
Un esempio molto interessante nel quartiere
di Spaarndammerbuurt è l’insieme di isolati
progettato da Cornelis de Bazel nel 1918: una
sequenza di 5 isolati a corte disposti a loro volta
intorno a uno spazio aperto, una vasta piazza
interna ove è situata una scuola. L’accostamento
serrato dei volumi permette di leggere questo
intervento come un unico grande isolato a corte
con un doppio anello concentrico che racchiude
spazi aperti di diversa natura: i giardini privati tra
la prima e la seconda cortina, e la piazza pubblica
con funzioni collettive al centro. Questo esterno
però non è “al di fuori”, anzi è doppiamente
protetto, è riconosciuto come cuore pubblico
del quartiere, e filtrato dagli stretti passaggi
tra gli isolati: possiamo parlare di un interno
doppiamente isolato, o di un isolato nel quale
viene costruita una dinamica che riproduce
la città, ma alla scala del quartiere. Se questo
tipo di disposizione a corte degli isolati stessi
viene riproposta anche in alcune parti del piano
di Amsterdam sud, in questo caso vi è anche
un’unità interna alle singole corti; lo spazio è
organizzato in modo che accanto ai giardini
privati troviamo anche cortili comuni, con una
continuità di percorsi interni. L’accesso alle case
invece avviene sempre da un corpo scale che si
apre sulla strada, come negli esempi precedenti,
e la costruzione è scandita dall’accostamento
di moduli con muri portanti trasversali, scala
centrale, e distribuzione con camere affacciate
all’interno e soggiorni all’esterno.
Dello stesso anno è anche il complesso adiacente
costruito da Walenkamp, lo Zaanhof, che propone
ancora la doppia cortina che racchiude una corte
giardino. In questo caso compare una variante
che ricorda gli isolati di Craig a Edimburgo:
l’anello più esterno, come un bastione di difesa,
J. M. Van der Mey, quartiere Spaarndammerbuurt,
Amsterdam Ovest, 1912.
C. de Bazel, complesso residenziale nel quartiere
Spaarndammerbuurt, Amsterdam, 1918.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
C. de Bazel, complesso residenziale nel quartiere
Spaarndammerbuurt, Amsterdam, 1918.
97
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
98
è di 4 piani e nasconde un anello interno di soli
2 piani, una sorta di cittadella con la piazza
pubblica al centro. L’accesso a questo interno
pubblico avviene in modo graduale attraverso
dei sottopassaggi, delle porte a difesa di questa
nuova intimità collettiva: un modo di ricreare
delle dinamiche urbane all’interno del grande
isolato, le cui case riprendono la tradizione
dei beghinaggi fiamminghi. In realtà la cortina
interna non è composta dall’accostamento di
case a due piani, ma risulta dalla sovrapposizione
di due alloggi.
Panerai sottolinea le influenze, per i progetti di
de Bazel e di Walenkamp, della forma del close
inglese: “In questi due esempi l’isolato, di vaste
H. P. Berlage, J. Gratama, G. Versteeg, complesso
residenziale Transvaalbuurt, Amsterdam Est, 1916.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
H. P. Berlage, J. Gratama, G. Versteeg, complesso
residenziale Transvaalbuurt, Amsterdam Est, 1916.
dimensioni, è orientato tanto verso il centro,
costituito da uno square pubblico, che verso le
strade che lo definiscono. Il perimetro, formato
da una doppia cortina edilizia, potrebbe, esso
stesso, essere considerato come una somma
di isolati, ma ci sembra che la marcata unità di
ciascuno di questi elementi rimandi piuttosto
all’idea di un particolare tipo di isolato: lo Hof, che
viene riproposto riallacciandosi alla tradizione
fiamminga del beghinaggio e reinterpretando
l’esperienza inglese del close”59.
Una simile complessità nell’articolazione
interna dell’isolato si può ritrovare anche
nell’insieme di abitazioni al Trasvaalbuurt,
progettato da Berlage nel 1916 in collaborazione
con Gratama e Versteeg. La grande corte accoglie
al suo interno alcune strade pubbliche, che si
configurano come un’inflessione dello spazio
esterno che si insinua, compresso da strette vie, e
che si allarga in una piazza con funzioni pubbliche
da una parte, e in due close residenziali dall’altra.
La doppia cortina nasconde al suo interno i
giardini privati, che hanno però un sistema di
accesso collettivo che parte dagli angoli svuotati
99
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
100
delle corti. Anche in questo caso l’anello esterno
è costituito da edifici più alti, come si legge in
una descrizione di Gratama: “[...] si è deciso
di chiudere con una barriera perimetrale di
edilizia alta, entro cui l’edilizia bassa possa
rimanere protetta, aprendosi sul lato lungo
verso il Ringvaart; come una piccola cittadina,
circondata da forti mura”60. L’atto del proteggere
è rafforzato dal fatto che la strada di spina del
complesso passa attraverso due portali scavati
nell’anello esterno, che conserva la sua continuità
e delimita nettamente un dentro e un fuori.
Grande attenzione poi è posta sulle soluzioni
d’angolo, che viene risolto con una interruzione
del volume e un accostamento dei due fianchi:
questa soluzione, apparentemente schematica, è
momento di eccezionalità, nel disegno del profilo
scalettato e nel posizionamento di terrazzi,
diventando l’immagine stessa del quartiere.
In tutti questi esempi analizzati ad Amsterdam
viene confermato il bouwblok con la grande
corte centrale come elemento base per la
costruzione della città; i progetti presentano
tematiche più interessanti quando da un semplice
accostamento di edifici lungo il margine del
lotto si passa ad un controllo sull’intero isolato,
e quindi alla sua organizzazione e al suo spazio
interno, come nei progetti di case economiche
per le società edilizie che costruiscono quartieri
per lavoratori a partire dal 1910, cioè prima
del piano di Amsterdam sud. In questi casi la
tipologia delle abitazioni prevede quasi sempre
la scala di distribuzione con accessi solo dalla
strada, per cui la corte interna, a diretto contatto
con gli alloggi al piano terra, non presenta mai
quel carattere collettivo a cui rimanda invece
l’unità architettonica. Un maggiore grado di
complessità nell’organizzazione degli spazi si
presenta nei progetti che, ad una scala ancora più
vasta, controllano un insieme di isolati: questa
differenziazione è ottenuta non dal semplice
accostamento, ma da una loro disposizione a
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
corte, attorno ad uno spazio pubblico ma interno
e protetto. Nelle planimetrie si legge il tentativo
di isolare e proteggere un interno prezioso
e intimo, attraverso una doppia cortina di
edificazioni, con i passaggi controllati da portali
scavati nella continuità della costruzione.
Un ulteriore sviluppo verso un trattamento
unitario e collettivo della corte interna è
rappresentato dai progetti elaborati da J. J. P.
Oud a Rotterdam tra il 1918 e il 1924. In questi
anni, e fino al 1933, Oud è professionalmente
impegnato nelle problematiche della residenza di
massa grazie alla carica che ricopre di architetto
capo dell’autorità municipale, la Woningdienst.
In questa veste egli affronta le questioni della
carenza degli alloggi, della normalizzazione
dell’edilizia e della ottimizzazione della tipologia
della casa confrontandosi anche con le teorie
e le esperienze concrete degli architetti di
Amsterdam; tra questi Berlage, con cui ha un
fitto scambio di idee, e che parteciperà anche
al progetto per il masterplan del quartiere di
Spangen, insieme a P. Verhagen.
Nei progetti elaborati per Rotterdam il modello
di edificazione a blocco marginale non viene mai
messo in discussione, ma viene applicato con un
minore grado di complessità per quanto riguarda
l’organizzazione dell’insieme di isolati, che
tendono ad essere semplicemente accostati senza
definire ulteriori “interni” urbani, come avviene
ad Amsterdam. La soluzione ottimale è vista
nella massima regolarità del tracciato: in fase di
realizzazione dei primi blocchi di Spangen, Oud
si lamenta delle numerose soluzioni particolari
da progettare in corrispondenza degli angoli
ottusi o acuti, o in presenza di strade curve. “La
planimetria è più o meno dettata dalle linee degli
isolati edificabili. L’andamento di queste linee,
che si incontrano con angoli acuti od ottusi, e si
incurvano in modo irregolare in corrispondenza di
Spaansche Bocht, ha costretto all’elaborazione di
101
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
102
specifici disegni, e ha causato dispendio di tempo
in fase esecutiva e realizzativa. In generale, una
planimetria stradale semplicemente ortogonale,
o comunque regolare, è essenziale per una
costruzione veloce ed economica, che in questi
tempi è un imperativo”61.
A questa ricerca di regolarità nel disegno
urbano corrisponde però un maggiore grado
di elaborazione progettuale del blocco, vero
J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen I e V,
Rotterdam, 1918.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen I e V,
Rotterdam, 1918.
elemento minimo della nuova città; Oud infatti è
più interessato all’uniformità del blocco a corte in
sé che dei due lati di una strada. In questo senso
egli supera la concezione “monumentale” dello
spazio urbano di Berlage, fatta di simmetrie e
assi, e si sofferma sul valore civile e urbano della
facciata stessa, sull’immagine del blocco che
esprime la nuova condizione urbana: l’uniformità
della costruzione, il suo prospetto “discreto” e
ritmico, devono generare un contrasto con gli
episodi eccezionali, come il trattamento degli
angoli o gli edifici isolati.
Nei blocchi di Spangen I e V, progettati nel
1918, lo sforzo per la ricerca di un tema unitario
di facciata è testimoniato dall’utilizzo di un
103
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
104
solo tipo di finestra, dalla proporzione verticale
e allungata. Le piccole dimensioni di questa
bastano ad illuminare camere e servizi; per i
soggiorni, invece, sono ravvicinate in gruppi di
tre. A loro volta le aperture sono allineate in
fasce verticali dell’altezza di tre piani, ottenute
con un leggero arretramento del paramento di
mattoni, come lesene che riportano il disegno
di facciata ad una scala urbana. Per unire in
orizzontale i lunghi prospetti viene introdotto
il tema, poi ricorrente, delle tre bande nere
che fanno da basamento su cui appoggiano le
lesene, e che incorniciano gli ingressi. Questi
procedimenti “classici” nella composizione del
blocco riguardano anche l’angolo: non si legge
uno svuotamento, una negazione, come in
Indischebuurt di Berlage, ma solo una leggera
rientranza data dall’accostamento di due
volumi.
Il quarto lato dei due grandi isolati è assegnato
ad un’impresa privata, per cui Oud non ha la
possibilità di controllare l’uniformità dell’intero
blocco; ciononostante, riesce a convincere i
progettisti Meischke & Schmidt ad introdurre
nei loro prospetti alcuni elementi, come le bande
nere orizzontali, che garantiscono una certa
continuità. L’interno della corte è pubblico e
contiene una scuola, raggiungibile attraverso
J. J. P. Oud, masterplan per il polder Mathenesser,
Rotterdam, 1920.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
J. J. P. Oud, blocchi residenziali Spangen VIII e IX,
Rotterdam, 1919.
alcune aperture nella cortina edilizia; questa
soluzione non convince Oud, che nei progetti
successivi tenderà a sviluppare le caratteristiche
domestiche della corte, e ad isolare gli edifici
pubblici, mettendoli in diretto contatto con
la strada, come nel masterplan del 1920 per il
polder Mathenesser, non realizzato.
Se nei blocchi I e V viene riproposta una
tipologia di alloggi già ampiamente sperimentata
ad Amsterdam, con i quattro ingressi ravvicinati,
nei successivi blocchi VIII e IX Oud introduce una
nuova soluzione tipologica che ha conseguenze
importanti sull’organizzazione degli spazi della
corte: l’unica scala distribuisce un appartamento
al piano terra e al primo, e due duplex al secondo.
Questi ultimi hanno una scala interna che collega
il soggiorno con le camere, al terzo piano. Il
corpo scale però riesce a scomparire nel disegno
di facciata perché le finestre corrispondenti
alla mezza rampa terminano al secondo piano,
mentre al terzo compare la finestra della camera
da letto, perfettamente allineata con le altre:
viene così efficacemente ricomposta la continuità
del coronamento.
Inoltre viene invertita per la prima volta
la posizione del locale di soggiorno: non più
affacciato sulla strada, ma sulla corte interna.
Questa coraggiosa scelta, giustificata anche dal
fatto che il locale più grande trova così posto
sulla facciata libera da scale e servizi, testimonia
il nuovo valore che viene attribuito alla corte,
vero luogo della quiete e della domesticità.
“Essendo la larghezza delle corti interne di solito
maggiore della larghezza delle strade, i locali di
soggiorno sono collocati non sulla strada ma
affacciati sulla corte. Questa di conseguenza
è circondata da una fascia continua di balconi
sui quali aprono i soggiorni, mentre al centro
c’è un giardino comune delimitato da percorsi
pedonali che danno accesso ai giardini privati
degli appartamenti del piano terra. Negli ultimi
progetti, basati ampiamente sullo stesso tipo di
105
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
106
alloggio, è stato fatto uno sforzo più deciso per
traslare l’aspetto residenziale dalla strada alla
corte interna: i percorsi pedonali sono progettati
meglio, pergolati con panchine offrono ai
residenti un luogo dove sedersi, mentre per i
bambini una vasca di sabbia è stata installata al
centro del giardino”62. La corte in effetti raggiunge
dimensioni importanti, atte a contenere le
funzioni descritte da Oud: nel blocco IX i lati di
25 e 70 metri racchiudono una superficie di circa
1.750 m2. La presenza di uno spazio centrale
collettivo e protetto, dedicato ai momenti di relax
della domesticità, introduce quindi un nuovo
modo di vivere, proiettato all’interno del blocco,
anche attraverso i prolungamenti all’aperto dei
soggiorni che vi si affacciano, le logge. Il giardino
interno è però accessibile, per gli abitanti degli
appartamenti dei piani superiori, solo con un
percorso tortuoso; la scala, in posizione esterna,
obbliga ad uscire in strada per poi rientrare
all’interno del giardino attraverso un passaggio
ricavato nei due lati corti del blocco. Questa
caratteristica è probabilmente ancora un retaggio
della tradizione olandese della casa singola, che
ha rigorosamente la porta di casa sulla strada.
Nel blocco IX di Spangen si può notare che
l’angolo diventa un tema compositivo particolare,
che richiede una decisa variazione del modulo:
verso l’interno vengono concentrate le zone
di servizio, difficilmente illuminabili, con un
affaccio molto ravvicinato di due appartamenti
diversi; all’esterno invece la stanza d’angolo è
privilegiata per la possibilità di aprire finestre
sui due lati. Questa possibilità viene sfruttata
pienamente posizionando nell’angolo il locale
di soggiorno, al primo e al secondo piano, con
porte finestre e logge: unica eccezione in cui il
soggiorno affaccia sulla strada. Al piano terra
invece trovano posto i locali commerciali, per
cui l’angolo diventa il punto più visibile, data la
variazione nel trattamento del prospetto, e più
pubblico, per la presenza di attività connesse alla
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
J. J. P. Oud, complesso residenziale Tusschendijken,
Rotterdam, 1920.
residenza, che rimandano alla vita urbana della
strada.
Tutte le caratteristiche messe a punto a Spangen
verranno riproposte da Oud, in modo organico
e completo, negli isolati di Tusschendijken del
1920. Oltre ad un perfezionamento delle scelte
tipologiche utilizzate nei progetti precedenti, qui
l’intero complesso di 8 isolati è progettato in modo
uniforme, in una sequenza ordinata e regolare.
L’angolo, con le logge scavate nella facciata e il
muro pieno che raccorda i due prospetti, diventa
l’elemento ritmico e costante del complesso, in
coerenza con gli intenti di Oud di generare un
contrasto tra la facciata dal carattere discreto e
l’eccezione, come l’angolo o come il prospetto
interno.
La corte interna mantiene la stessa larghezza,
ma diventa più lunga: con i lati di 100 e 25 metri
raggiunge una superficie di 2.500 m2. Acquista
così sempre più importanza, anche nella fase
di progettazione: l’estrema cura nei dettagli è
evidente anche nella famosa prospettiva a china,
107
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
108
che per la prima volta mostra l’interno della corte
come volontà di progetto, nell’ambito delle case
economiche. Viene rafforzato maggiormente il
rapporto tra l’interno delle case e la corte: per
esempio anche le cucine sono dotate di una porta
finestra che apre sul balcone, che diventa così un
elemento continuo e fruibile da tutte le stanze
della casa.
La presenza degli affacci dei soggiorni su
tutti e quattro i lati interni della corte, con i
prolungamenti delle logge, genera un’impressione
di estrema intimità tra i diversi appartamenti; in
questo modo infatti essi condividono uno spazio
verde comune, ma esposto alla vista diretta
di tutti. Anche i giardini privati al piano terra
mancano di quel legame diretto ed esclusivo con
l’appartamento a cui appartengono: divisi solo
da una bassa recinzione dallo spazio comune
vengono assorbiti da questo, e ne acquistano le
caratteristiche. Tuttavia la novità di questo spazio
J. J. P. Oud, complesso residenziale Tusschendijken,
Rotterdam, 1920.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
109
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
110
interno è importante: possiamo interpretarlo
come il tentativo di definire una città alternativa,
tutta interna e nascosta dalla strada, squisitamente
residenziale, separando con lucidità il luogo della
domesticità dell’abitare dagli altri spazi della vita
urbana.
Negli stessi anni, e sempre nel quartiere di
Spangen, Michiel Brinkman dà una diversa
interpretazione del blocco a corte; l’isolato, di
dimensioni molto maggiori di quelli progettati
da Oud, viene chiuso da una costruzione
perimetrale, e poi suddiviso all’interno con altri
volumi simulando spazi e dinamiche urbane.
In questo complesso troviamo una strada di
accesso, giardini comuni, sottopassaggi, piazze;
un interno pubblico a tutti gli effetti, anche
grazie a una strada carrabile che lo attraversa.
Questa sequenza di spazi però mantiene anche
un carattere di interno domestico; il giardino,
anche se collettivo, è protetto dallo spazio “al di
fuori” della città attraverso il recinto perimetrale
M. Brinkman, blocco residenziale in Spangen,
Rotterdam, 1919.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
continuo di quattro piani, le cui soglie di accesso
sono limitate in numero e dimensione. L’interno
di questo grande isolato a corte è dunque uno
spazio frammentato dove il pubblico e il privato
hanno raggiunto una commistione equilibrata e
senza conflitti. Diversamente dagli isolati di Oud,
il rapporto tra le case e lo spazio aperto è più
diretto, non solo per gli ingressi dalla corte, ma
anche per il nuovo utilizzo del ballatoio: collocato
al secondo piano per distribuire gli alloggi duplex,
il ballatoio viene potenziato, trasformandosi in
una sorta di strada soprelevata, animando di vita
“pubblica” le corti interne.
Anche se molto diverse nei principi di
organizzazione dello spazio interno, le esperienze
di Oud e di Brinkman a Rotterdam rappresentano
sperimentazioni sull’isolato a corte che hanno in
comune l’utilizzo del blocco chiuso perimetrale
come elemento minimo di progetto dello spazio
urbano. Ancora una volta l’innovazione non si
pone ad un livello generale che coinvolge tutti
gli spazi esterni della città, i quali rimangono
configurati attraverso gli elementi classici della
strada, delimitata da facciate continue, e della
piazza; l’evoluzione della forma riguarda lo
spazio collettivo all’interno della corte, e da
questa dipendono le importanti novità apportate
al modo di abitare in città, ottenute senza
sconvolgere il generale assetto urbano.
M. Brinkman, blocco residenziale in Spangen,
Rotterdam, 1919.
I progetti di case economiche elaborati
dall’Istituto per le Case Popolari di Milano
rappresentano una esperienza importante e
poco studiata nel panorama dell’architettura
moderna: forse il carattere passatista o eclettico
della loro immagine esteriore ha impedito alla
critica ufficiale di considerarli come degni e
meritevoli di attenzione. Ma il trattamento dei
prospetti, con elementi ripresi dal repertorio
classico, rientra in un ambito tematico, quello del
linguaggio, che merita una trattazione autonoma
rispetto al taglio di questa ricerca; interessa
111
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
112
invece che questa esperienza si presenti come
coerente e riconoscibile per la sperimentazione
condotta sulla tipologia della casa popolare, sia
per l’alloggio che per la disposizione planimetrica
all’interno del tessuto urbano. Le numerose
realizzazioni, distribuite in modo uniforme
nelle zone di espansione della città, hanno
contribuito a consolidare il tipo urbano a corte
per la casa economica, accogliendo un modo di
abitare tutto interno agli isolati, eredità delle
corti storiche milanesi come quelle delle case di
ringhiera, ma introducendo alcune innovazioni
nell’organizzazione degli spazi legate soprattutto
Iacp, quartiere Mac-Mahon, Milano, 1909.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Iacp, quartiere Mac-Mahon, Milano, 1909.
al sistema degli accessi e alla distribuzione.
In particolare prendiamo in considerazione
i progetti realizzati a partire dal 1909 e fino al
1929 da Giovanni Broglio e dall’ufficio tecnico
da lui diretto. In occasione del ventennale
della fondazione dell’Istituto, Broglio cura una
pubblicazione delle opere costruite, facendo
anche un bilancio del lavoro svolto e cercando
di evidenziare i principi che hanno guidato la
sperimentazione tipologica, nonché gli obiettivi
di base da perseguire: “Il programma [dello Iacp]
è di procurare case sane, bene costruite, decorose
e al massimo buon mercato alla classe operaia
113
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
114
e alla piccola borghesia”63. A questa accennata
distinzione di classe dei destinatari delle case
corrisponde una chiara differenza nei progetti:
gli appartamenti “popolari” e “ultra popolari”
hanno superfici ridotte, servizi igienici minimi,
mancano del locale di soggiorno, sostituito da
una stanza da pranzo con un piccolo cucinino
annesso; gli appartamenti “per sovventori”
invece hanno spazi abbondanti, con soggiorni e
atri, oltre che stanze da bagno con vasca, e cucina
separata dalla sala da pranzo.
È interessante notare invece che, per quanto
riguarda la tipologia urbana, la scelta della
costruzione perimetrale e della corte interna
non viene discussa o problematizzata, ma viene
assunta come l’unica scelta possibile. Inoltre
Broglio, nonostante siano stati eliminati gli stretti
cavedi di aerazione interni al corpo degli edifici,
fa ancora una distinzione fra cortili di servizio
chiusi sui quattro lati e corti, generalmente aperte
almeno su un lato, rilevando effettivamente lo
stato di fatto delle realizzazioni dell’Istituto:
“Quando vengono adottati fabbricati a cortile
chiuso, verso l’interno prospettano solamente le
scale, le cucinette, le anticamerine, i gabinetti,
terrazzini ecc. (vedi quartieri Genova e Vittoria).
Quando invece verso il cortile prospettano
locali di abitazione, i cortili medesimi sono
tenuti molto ampi, di modo che aria e sole non
facciano difetto. In ogni caso sono assolutamente
Iacp, quartiere Lombradia, Milano, 1911.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Iacp, quartiere Genova, Milano, 1919.
eliminati gli alloggi che abbiano luce e prospetto
solamente verso cortili chiusi, siano essi grandi
o piccoli. Nel quartiere Melloni i cortili sono
quattro volte più grandi di quelli prescritti dal
regolamento d’igiene e nel mezzo di ciascuno
di essi è stato collocato il campo da gioco, dove
i bambini possono fare la ricreazione sotto la
vigilanza dei genitori e del custode”64. Da queste
parole emerge un atteggiamento ambiguo: da
un lato permane una diffidenza verso l’affaccio
sulla corte, considerato secondario e sfavorito,
retaggio dei cortili di servizio e delle loro
scarse condizioni igieniche, e vengono accolte
le nuove istanze di aria e luce in abbondanza
per gli appartamenti, attraverso l’introduzione
del doppio affaccio; dall’altro si intuisce che
lo spazio della corte tende a diventare sempre
più grande e ad accogliere nuove funzioni,
confermando il proprio ruolo di cuore collettivo
e protetto dell’isolato residenziale. La vicinanza
115
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
116
tra appartamenti e corte è consentita dalla
posizione interna delle scale di distribuzione e dal
loro rapporto diretto con la corte, caratteristica
costante di tutte le realizzazioni dell’Istituto; la
corte diventa così un prolungamento all’aperto
delle case, un passaggio obbligato per l’accesso
agli alloggi ma intermedio tra casa e strada, e
quindi luogo collettivo di incontri nell’intimità di
uno spazio racchiuso.
La scelta della posizione delle scale ha una
serie di conseguenze sull’organizzazione della
forma architettonica e presenta alcune costanti
che risultano strutturanti rispetto a questo tipo
urbano: dalla strada alla corte vi è un solo ingresso,
rappresentato da un androne segnalato con una
eccezione nel ritmo di facciata, e controllato da
un locale annesso destinato a portineria; questo
ingresso, solitamente aperto, è uno stretto
filtro tra interno ed esterno e riveste un ruolo
simbolico come porta collettiva; diversamente
dagli esempi olandesi che abbiamo analizzato,
la facciata su strada risulta libera dagli ingressi
delle scale, per cui frequentemente compaiono
locali commerciali. Inoltre il primo piano utile è
rialzato di mezza rampa: questa soluzione evita
l’introspezione diretta dalla strada, favorendo
una maggiore privacy, e garantisce una notevole
altezza ai negozi.
A fronte di una serie di regole ricorrenti
nella distribuzione generale del blocco a corte,
riscontriamo invece una ricca sperimentazione
tipologica sull’alloggio: un grande numero
di variazioni, anche minime, che cercano la
collocazione ottimale dei locali di servizio. I
piccoli bagni e le cucine sono oggetto di continui
spostamenti e sembrano vagare nella pianta come
un corpo estraneo, fino ad assestarsi contro il
muro esterno; in alcuni quartieri, come il Regina
Elena del 1923, viene sperimentata infatti la
soluzione innovativa della facciata doppia,
con una fascia destinata a servizi o a ripostigli.
Generalmente, però, i locali di servizio sono di
Iacp, quartiere Vittoria, Milano, 1919.
Iacp, quartiere Botticelli, Milano, 1923.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Iacp, quartiere Villapizzone, Milano, 1926.
Iacp, quartiere Tonoli, Milano, 1928.
piccole dimensioni e si scontrano con la logica
costruttiva con muri portanti longitudinali, dove
il passo strutturale coincide con i locali; in pianta
si legge in modo preciso e costante il corpo
doppio e la continuità del muro di spina centrale,
anche se tutti gli appartamenti hanno il doppio
affaccio.
La disposizione a corte è quindi costante, ma
le dimensioni variano notevolmente: la prima
realizzazione, il quartiere Mac Mahon del 1909,
racchiude una corte di 26 x 22 metri, per una
superficie di 572 m2; il quartiere Genova del 1919,
117
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
118
20 x 40 metri, e 800 m2; il quartiere Villapizzone
del 1926, 34 x 38 metri, e 1.292 m2; il quartiere
Melloni del 1929, 31 x 65 metri, e 2.015 m2. Se
possiamo riscontrare una crescita “cronologica”
della dimensione della corte, vi sono anche
alcune riproposte inspiegabili, come il cortile
cavedio nel quartiere Vittoria del 1919, con i lati
di soli 4 x 10 metri, e una superficie di 40 m2. In
generale la corte tende ad avere una dimensione
riconoscibile, una specie di unità massima di
grandezza che non viene mai superata, oltre la
quale funziona solo la ripetizione. Infatti anche
nei quartieri di notevoli dimensioni, dov’era
possibile ampliare ancora la grandezza della
corte, viene preferita la ripetizione del blocco,
la sua combinazione e declinazione a formare
insiemi urbani sempre leggermente diversi.
E proprio in questi ensemble di corti che
occupano un grande isolato viene definita una
nuova spazialità. I blocchi accostati non generano
sempre strade carrabili; spesso lo spazio tra una
corte e l’altra non è pubblico e attraversabile,
ma destinato a giardino privato delle abitazioni
al piano rialzato, che vi accedono attraverso
una rampa con pochi gradini. In questo modo lo
spazio verde privato e la corte comune non sono
attigui, come negli isolati Tusschendijken di Oud,
ma separati dall’edificio stesso: una variante
importante, perché permette di dare alla corte
un carattere più rappresentativo, e di collocare
Iacp, quartiere XXVIII ottobre, Milano, 1927.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
più opportunamente lo spazio aperto privato,
spesso destinato a orto, e quindi con un carattere
più spontaneo e variegato. Inoltre questa sorta di
strada verde e inaccessibile definita tra gli edifici,
e visibile dalla strada carrabile, interrompe
ritmicamente i prospetti, che risultano sempre di
lunghezza contenuta.
In alcuni casi, come nel quartiere Melloni
del 1929, la strategia di disegno dell’ensemble
è simile a quella adottata nel quartiere
Spaarndammerbuurt da de Bazel; i blocchi
a corte vengono disposti a loro volta a corte a
definire uno spazio più interno, protetto dalle
grandi vie di traffico della città. In questo caso
però il cuore del quartiere non è occupato da uno
spazio aperto pubblico, ma da un’altro blocco,
evidentemente il più grande e il più regolare.
Iacp, quartiere Melloni, Milano, 1929.
La caratteristica distributiva tipica e costante
dei blocchi a corte realizzati dall’Istituto case
popolari di Milano, che riconosce la corte
come elemento intermedio tra le scale interne
e la strada, e quindi tra pubblico e privato,
viene proposta anche nelle realizzazioni della
119
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
120
municipalità di Vienna nel periodo dal 1919 al
1933. Il modello di hof che ha costruito interi
quartieri nel periodo della Vienna socialista,
impostato sulla costruzione perimetrale del lotto
attorno ad una corte collettiva centrale, ha però
una caratteristica dimostrativa della politica
sociale dell’amministrazione, che sfocia in una
certa monumentalizzazione della residenza;
l’enfatizzazione di alcuni elementi simbolici
della composizione, o la comparsa dei nomi dei
quartieri incisi sulle facciate si possono ascrivere
a questa finalità, anche se il tema della scritta ha
contribuito notevolmente a definire l’identità
dei complessi residenziali, e talvolta è utilizzato
anche oggi senza fini propagandistici. Le corti
residenziali assumono in questo modo il carattere
difensivo di castelli costruiti a protezione di un
modo sicuro di abitare, di un rifugio opposto allo
spazio di vita della città, con cui difficilmente
si integrano. “Cosa essi presuppongono per
l’avventura esperita dagli abitanti del Castello,
C. Holzmeister, Blathof, Vienna, 1924.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
K. Ehn, Lindenhof, Vienna, 1924.
una volta usciti dal tutto-chiuso che li protegge,
ma che contemporaneamente – per il solo fatto
di essere Castello – li espelle quotidianamente?
Una cosa è sicura: lo Hof lascia solo chi in esso
ha dimora, una volta immesso nel mondo dei
fatti, degli accadimenti. Eppure, in quel mondo
di accadimenti, lo Hof galleggia. Esso non abita
la città, anche se promette un riposo, un catartico
abitare. [...] A chi esce dai portali enfatizzati
degli Höfe, a chi decide di forzare quelle soglie
che avvertono – con le loro cancellate in ferro
battuto e con la loro struttura sovradimensionata
– del pericolo che è lì pronto ad assalirlo, il regno
del simbolico non ha più nulla da dire”65.
Costruzioni dimostrative di una volontà di
risolvere con grandi ensemble il problema degli
alloggi popolari, spesso gli höfe hanno programmi
complessi, che accolgono al loro interno oltre alla
residenza anche funzioni collettive, comprese
dentro l’edificio stesso, oppure come volumi
autonomi all’interno delle corti. Per questo
motivo le corti a volte raggiungono dimensioni
notevoli: Blathof (di Clemens Holzmeister,
1924) ha una corte allungata di circa 5.000 m2,
suddivisa in tre parti a quote diverse e con un
asilo infantile al centro; Lindenhof (di Karl Ehn,
1924) ha una forma simile con una corte di 4.800
m2 anch’essa divisa in tre parti da edifici destinati
a servizi collettivi, un asilo e un’aula circolare
per spettacoli; Bebelhof (di Karl Ehn, 1925) ha
121
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
122
una forma irregolare ma più accentrata, con una
corte di 4.600 m2 completamente libera, destinata
a giardino. Questi interni sono realtà protette
e collegate allo spazio esterno solo da pochi
passaggi; le porte di ingresso sono enfatizzate
e curate con dettagli architettonici ricercati; la
corte viene attrezzata con giardini e percorsi
pavimentati con ruolo di promenade, di graduale
passaggio dal pubblico al privato. Sul lato esterno
verso la strada trovano posto negozi e laboratori,
spesso in posizione angolare, come in Blathof, o
lungo un intero lato, come in Bebelhof. In genere
la soluzione d’angolo è sempre occasione di
eccezionalità plastica, o di aumento dell’altezza
con soluzioni a torre; i portali di ingresso invece
corrispondono alla mezzeria di uno dei lati.
Le corti possono essere anche di dimensioni
più ridotte, simili a quelle realizzate dallo Iacp
a Milano: Quarinhof (di Siegfried Theiss e Hans
Jaksch, 1924) ha una corte giardino di 1.600 m2;
Klosehof (di Josef Hoffmann, 1924) racchiude in
una corte quadrata di 1.700 m2 un edificio isolato
a torre, che ospita una palestra al piano terra
e che occupa visivamente quasi tutto lo spazio
libero; Reumanhof (di Hubert Gessner, 1924) si
sviluppa con una corte aperta su strada, ulteriore
filtro con lo spazio pubblico, che distribuisce
K. Ehn, Bebelhof, Vienna, 1925.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
S. Theiss, H. Jaksch, Quarinhof, Vienna, 1924.
gli ingressi alle due corti chiuse laterali, di soli
1.250 m2. Effettivamente queste corti risultano
abbastanza piccole e strette: la considerevole
altezza degli edifici, di 6 o 7 piani, contribuisce a
togliere aria e luce all’affaccio interno, e quindi a
peggiorare le condizioni igieniche degli alloggi.
Ad un livello di innovazione nell’uso collettivo
degli spazi interni delle corti, non corrisponde
un’altrettanta qualità negli spazi degli alloggi; la
mancata sperimentazione tipologica, insieme ad
un utilizzo di tecniche di costruzione tradizionali
e a basso costo, rendono gli appartamenti della
Vienna socialista non paragonabili a tutte le
realizzazioni coeve in Europa. Le gravi carenze
dipendono in primo luogo dalla mancanza del
doppio affaccio, a causa della continuità del
muro di spina centrale; le stanze sono poste in
sequenza, senza il corridoio di distribuzione, i
servizi sono minimi, con bassi livelli di igiene e
comfort; in generale c’è una certa indifferenza
per l’affaccio, interno o esterno, e le superfici
123
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
124
H. Gessner, Reumanhof, Vienna, 1924.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
K. Ehn, piante tipo del Karl Marx-hof, Vienna, 1927.
Pianta tipo delle höfe viennesi.
sono sempre molto ridotte, come si può vedere
anche nelle piante tipo del Karl Marx-Hof del
1927.
In generale, quindi, l’esperienza degli
höfe viennesi non è all’avanguardia per la
sperimentazione sugli spazi degli alloggi; essa
appare come un esempio incompleto, mancando
di quel nesso necessario tra progetto dello spazio
privato della casa e organizzazione degli spazi
collettivi. Tuttavia è interessante per le soluzioni
urbane dei blocchi a corte, che talvolta presentano
grossi elementi di novità. Nel Winarskyhof (di
Josef Hoffmann e Peter Behrens, 1924), per
esempio, viene proposta una corte formata da
due cortine concentriche a cavallo di due isolati
che la rendono pubblica e attraversabile: una
strada carrabile penetra al suo interno ma non
spezza la continuità del corpo di fabbrica, aperto
solo con una successione di portali. Lo spazio
interno rimane separato dallo spazio urbano
pubblico dalla continuità dell’edificio ai piani
superiori.
Anche nel Karl Seitz-hof (di Hubert Gessner,
1926) possiamo leggere un tentativo di trovare
una commistione tra spazio racchiuso privato
e spazio pubblico: la cortina perimetrale
dell’isolato a corte viene piegata verso l’interno
a definire, con la forma di emiciclo, una grande
piazza pubblica, sulla quale si aprono gli ingressi
alla corte interna. In questo modo l’esterno
pubblico e attraversabile rimane nettamente
diviso dall’interno privato, anche se entrambi
sono definiti dallo stesso atto progettuale.
125
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
126
L’interesse di questa esperienza sta nella
conferma della nuova qualità dello spazio interno
collettivo della corte, come abbiamo visto, e
nelle strategie urbane che tentano di modificare
il rapporto tra blocco a corte e isolato urbano,
introducendo sempre variazioni all’interno di
un modo condiviso di costruire la città. Questi
grandi complessi che declinano la corte in modi
continuamente diversi, non definiscono però
una tecnica precisa di disegno urbano basata sul
blocco chiuso, come avviene a Rotterdam per
esempio, ma risolvono punto per punto i problemi
progettuali posti dalla città esistente attraverso la
disposizione a corte. “Il modello dello Hof non
implica infatti ipotesi di nuova organizzazione
urbana. Al contrario, esso si inserisce nelle
maglie della città esistente accettandone tutti i
J. Hoffmann, P. Behrens, Winarskyhof, Vienna, 1924.
H. Gessner, Karl Seitz-hof, Vienna, 1926.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
vincoli”66. Il carattere eccezionale e dimostrativo,
quindi, impedisce il formarsi di un’esperienza
condivisa, di una proposta teorica di città
attraverso degli elementi riconoscibili; gli höfe
si pongono come alternativa alla città, non come
elemento strutturante del disegno urbano. Per
questa loro condizione eccezionale, e per la
monumentalizzazione della residenza Manfredo
Tafuri li ha definiti come “luoghi collettivi per
dimorare in tragica provvisorietà”67.
Isolati residenziali di Amburgo, inizi 1900.
Un caso in cui il blocco a corte è utilizzato
sistematicamente
come
elemento
base
dell’espansione urbanistica è quello di Amburgo
negli anni dal 1919 al 1930. L’attività di
pianificazione dei nuovi quartieri di espansione
è dovuta principalmente a Fritz Schumacher
che, in qualità di sovrintendente all’edilizia
della città di Amburgo, sperimenta nei progetti
le potenzialità della disposizione a corte degli
edifici residenziali.
Il suo lavoro parte da una osservazione delle
condizioni della città esistente, della quale
ripropone i valori spaziali legati alla parte pubblica
della strada; rileva invece, ancora una volta, una
insufficienza di progetto nella parte interna
dell’isolato, usato come affaccio di servizio e
occupato intensivamente da prolungamenti delle
case. L’abilità di Schumacher nella manipolazione
dello spazio urbano si mostra chiaramente
nella proposta di riforma di un isolato tipico di
Amburgo, dalla forma allungata e frazionato in
piccoli lotti sfruttati intensivamente; il progetto,
che prevede di interrompere la continuità del
lotto, è una contaminazione tra una corte aperta e
una strada a fondo cieco, ma in realtà percorribile
attraverso un sottopassaggio pedonale. La nuova
qualità di questo spazio urbano racchiuso è
ottenuta con un progetto che interessa l’isolato
edificabile nel suo insieme, e non il singolo
lotto; questa nuova scala del progetto urbano
viene utilizzata per le proposte dei quartieri di
127
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
128
Dulsberg (1919-1931) e di Jarrestadt (1927-1930),
impostati sull’elemento base del blocco a corte
e realizzati con la collaborazione di numerosi
architetti che hanno diversamente interpretato
questo tipo urbano.
Il primo esempio interessante è rappresentato
da una serie di blocchi realizzati dallo stesso
Schumacher nel 1919 a Dulsberg: un gruppo di
cinque edifici residenziali con la corte interna
passante, aperta sul lato corto, che richiamano la
forma degli isolati di Spangen progettati da Oud
negli stessi anni. Anche se l’attraversabilità è
solo pedonale, le aperture sono vere interruzioni
del volume, che quindi si compone con due
C contrapposte; la corte interna si configura
come giardino semi-pubblico, protetto, e con la
presenza degli ingressi alle scale di distribuzione.
Inoltre verso l’interno affacciano direttamente
le zone giorno e indirettamente i servizi: viene
introdotto lo spazio di mediazione della loggia,
per evitare in facciata le piccole finestre dei
bagni. La forma del blocco non corrisponde
all’isolato stradale: come in molti progetti dello
Iacp di Milano, quest’ultimo è molto più grande,
F. Schumacher, riforma di un isolato tipico di Amburgo,
1918.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
F. Schumacher, quartiere di Dulsberg, Amburgo, 19191931.
F. Schumacher, blocchi residenziali a Dulsberg,
Amburgo, 1919.
129
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
130
per cui tra un blocco e l’altro non c’è una strada
carrabile, ma viene definito uno spazio aperto
destinato a orto o giardino privato. In questo
caso, diversamente da Milano, tale spazio non è
visibile dalla strada, ma è chiuso con un edificio ad
un solo piano destinato ad attività commerciali.
Questa serie di edifici quindi, attraverso la
disposizione a corte, racchiude in sequenza spazi
con diversi livelli di privacy: i piccoli giardini
privati, dove affacciano le camere, e le corti
giardino, di dimensioni maggiori (circa 2.500
m2), che esprimono l’immagine collettiva della
residenza, e che rappresentano la mediazione tra
la strada e gli ingressi alle scale.
Il blocco “Freie Stadt V” (di Klophaus e
Schoch), nello stesso quartiere, propone invece
il tema della doppia cortina su un isolato molto
grande, che racchiude al centro una corte
pubblica e attraversabile, mentre tra il primo
e il secondo anello nasconde i giardini privati.
Simile in planimetria al complesso Zaanhof di
Walenkamp, nel quartiere Spaarndammerbuurt
ad Amsterdam, differisce da questo per l’altezza
dei corpi costruiti, che rimane costante per
l’anello esterno e quello interno, invece di
diminuire verso il centro.
Klophaus e Schoch, blocco residenziale Freie Stadt V,
Amburgo, 1920.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Quartiere Barmbeck-nord, Amburgo, 1920.
K. Schneider, blocco residenziale in Habichtstrasse,
Amburgo, 1927.
131
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
132
In generale, per quanto riguarda la posizione
degli ingressi alle scale, non c’è una regola
applicata in modo uniforme nei vari quartieri
realizzati; se nei progetti di Schumacher sono
per lo più interni alla corte, in altri casi sono
posizionati all’esterno, come in molti edifici nel
quartiere di Barmbeck-nord. In questi casi però
troviamo la presenza costante di una fascia di
verde che distanzia l’ingresso dal marciapiede, e
quindi le finestre del piano rialzato dalla strada,
a differenza della tradizione olandese che mette
a stretto contatto l’edificio con la strada.
In altri casi ancora, come per il blocco in
Habichtstrasse di Karl Schneider del 1927,
la posizione delle scale, e di conseguenza
degli ingressi, non segue una logica dettata
dalla presenza della corte, ma dal migliore
orientamento rispetto all’irraggiamento solare.
Infatti le scale sono posizionate il più possibile
verso l’affaccio sfavorito a nord, segno della
preminenza delle istanze igieniche legate all’asse
eliotermico rispetto a quelle spaziali della
tipologia urbana.
Anche nel progetto per il blocco centrale
del quartiere di Jarrestadt, Schneider alterna
nell’affaccio interno le zone giorno e le camere,
ma la posizione delle scale rimane sempre
Quartiere Jarrestadt, Amburgo, 1927-1930.
K. Schneider, blocco centrale di Jarrestadt, Amburgo,
1927.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
K. Schneider, blocco centrale di Jarrestadt, Amburgo,
1927.
esterna. Questo perché viene introdotto un
nuovo elemento architettonico, il balcone
continuo verso la corte, che abbiamo già trovato
nel progetto per Tusschendijken di Oud, che
rappresenta un vero prolungamento degli alloggi
verso lo spazio aperto. Diversamente dagli isolati
di Rotterdam, dove abbiamo evidenziato un
eccesso di intimità per l’estrema vicinanza degli
affacci interni, l’isolato a corte di Jarrestadt si
sviluppa su dimensioni eccezionali, con i lati di
circa 100 metri per una superficie di 10.000 m2.
La corte, trattata a giardino e divisa in quattro
quadranti, ha così le caratteristiche per diventare
un elemento autonomo, in rapporto con l’edificio
che la racchiude ma non direttamente dipendente
133
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
da questo; la presenza dei lunghi e continui
balconi confermano un rapporto esclusivamente
visivo tra gli appartamenti e lo spazio aperto,
e gli ingressi posizionati all’esterno rendono la
corte libera dalla funzione distributiva. Infatti la
corte è pubblica e attraversabile, e rappresenta il
centro del quartiere, nonché lo sfondo prospettico
dell’asse principale di penetrazione.
Nell’esperienza
di
Amburgo,
quindi,
l’impostazione dei quartieri ad opera di
Fritz Schumacher fondata sull’elemento del
blocco a corte, visto come naturale sviluppo
e razionalizzazione della città ottocentesca,
ha prodotto una successiva sperimentazione
su questo tipo urbano attorno ad un modo
condiviso di costruire la città. La variazione e le
innovazioni apportate dai progetti di numerosi
architetti hanno mostrato la ricchezza di questo
nuovo spazio interno, in alcuni casi strettamente
domestico, in altri pubblico e rappresentativo
dell’identità del quartiere stesso.
134
Un caso abbastanza isolato, ma che vale la pena
di prendere in considerazione, è rappresentato
dall’esperienza di Secundino Zuazo a Madrid.
Nonostante i numerosi progetti residenziali
realizzati a partire dal 1919 su singoli lotti
edificabili all’interno della città consolidata, solo
nel 1930 Zuazo ha la possibilità di intervenire
su un intero isolato: con il progetto della casa
de Las Flores egli cerca di dare una nuova
configurazione all’isolato urbano storico di
Madrid, caratterizzato da un’alta densità e da
una divisione in parcelle, occupate da case molto
profonde e con cavedi di aerazione al centro.
Questo progetto rappresenta un’alternativa alla
tipologia intensiva della città dell’ottocento,
ottenuta senza scardinare i rapporti urbani con
la strada e la continuità delle facciate. Nello
stesso tempo però egli ripropone una densità
molto alta, insieme ad un nuovo tipo di cortile
di servizio.
S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928.
Il dato innovativo della casa de Las Flores,
per la città di Madrid, è la presenza della corte
interna collettiva, curata e disegnata come cuore
del blocco; l’isolato, di 115 x 80 metri, è costruito
perimetralmente da un doppio corpo aperto
sui lati corti che racchiude un campo de juegos
di 70 x 25 metri, per una superficie di 1.750 m2;
lo spazio interno risulta quindi passante, ma è
privato e separato dalla strada da una cancellata,
una leggera variazione di quota, e uno spazio
intermedio, pavimentato e pubblico. Il giardino
interno quindi è una specie di oasi protetta di quiete
e tranquillità, anche perché gli ingressi alle scale
sono posizionati sull’esterno, in diretto rapporto
con il marciapiede che circonda l’isolato; allo
stesso tempo risulta visibile dalla strada pubblica
come un fronte interno inaccessibile. Tuttavia
questa corte rimane oppressa dalla eccessiva
altezza dei corpi di fabbrica che la racchiudono,
altezza che aumenta dall’anello esterno di 4 piani
a quello interno di 8 piani. La soluzione soffre
quindi di un alto sfruttamento del suolo, dato
135
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
136
necessario per dimostrare la possibilità di un
nuovo tipo di costruzione all’interno dell’isolato
urbano storico, mantenendo gli stessi livelli di
densità, ma raggiungendo una nuova qualità
dello spazio aperto interno.
Per fare ciò, Zuazo è costretto a proporre i
cortili di servizio, avvicinando il corpo su strada
e quello sulla corte fino alla misura minima di
10 metri; in questo spazio affacciano i bagni, le
cucine, gli atri, talvolta le camere, e vi trovano
posto anche le scale di distribuzione. Espulse
così dal corpo di fabbrica, le scale costituiscono
un volume di collegamento tra edificio su strada
e edificio interno, servendo 4 appartamenti per
piano. Le camere e i locali di soggiorno affacciano
“fuori” da questi cortili, cioè sulla strada o sulla
corte giardino; per questo motivo ci sembra che
per la casa de Las Flores si possa parlare non di
isolato a corte, ma di disposizione a corte di due
blocchi a corte.
Il
progetto
di
Zuazo,
volutamente
S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
S. Zuazo, Casa de las Flores, Madrid, 1928.
esemplificativo di una transizione tra città storica
e nuovi quartieri residenziali, è stato applicato
anche come modello nella seconda proposta
di prolungamento del paseo de la Castellana
di Madrid, del 1930, in sostituzione del blocco
isolato funzionalista proposto l’anno precedente
dallo stesso Zuazo insieme a Hermann Jansen.
In questo progetto si notano le potenzialità del
blocco semi-chiuso di definire un fronte continuo
sul grande asse stradale, e insieme di racchiudere
spazi interni più protetti e domestici.
In altri progetti urbani, anche se non realizzati,
Zuazo sviluppa il tema dello spazio racchiuso
attraverso una disposizione planimetrica a corte,
nel tentativo ripetuto di definire un interno
urbano dal carattere residenziale, talvolta
complesso e di grandi dimensioni, contrapposto
allo spazio pubblico e caotico della grande città.
Nel progetto di sistemazione della Plaza de Toros,
del 1933, il grande isolato viene perimetrato da
un edificio continuo, e suddiviso in altre due
corti residenziali; l’accesso ai giardini interni
è preceduto da una piazza pubblica destinata
al mercato, con un alto edificio lamellare che
sembra custodire l’ingresso alla strada interna.
Strategie simili si possono riscontrare nei
progetti per Saragoza del 1928 e per la Diagonal
di Barcellona del 1931. Tuttavia la casa de Las
Flores rimane come caso esemplare, per i rimandi
alle altre esperienze europee degli anni ’20 e per
l’immediatezza del fatto costruito.
137
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
S. Zuazo, progetto per la Plaza de Toros, Madrid,
1933.
S. Zuazo, H. Jansen, prolungamento del paseo de la
Castellana, Madrid, 1929.
138
S. Zuazo, prolungamento del paseo de la Castellana,
Madrid, 1930.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
Eberstadt, Möhring, Petersen, concorso per la grande
Berlino, 1910.
Il caso di Berlino è molto complesso e variegato,
e qui selezioniamo solo alcune esperienze
significative per la ricerca. Data la presenza
massiccia delle mietkasernen per l’abitazione
popolare, negli anni antecedenti la prima
guerra mondiale vi sono dei tentativi, da parte
della municipalità, di modificare le condizioni
abitative di questo tipo di costruzione a cortili
chiusi in successione, ma con risultati assai
discutibili. Tuttavia ci sembrano interessanti gli
esiti del concorso per la grande Berlino del 1910,
e in particolare il progetto di Möhring, Eberstadt
e Petersen che presenta un’alternativa al modo
di concepire la città densa: il principio del blocco
chiuso viene riproposto, ma con dimensioni
dilatate a tal punto che è possibile ricostruire
all’interno un altro pezzo di città, caratterizzata
da basse costruzioni a schiera. L’anello esterno
continuo, che definisce il grande isolato a corte
e presenta solo poche aperture, racchiude una
superficie di 94.000 m2: si viene così a definire
una realtà autonoma e protetta, con strade
secondarie, un parco, una piazza alberata e una
chiesa; una sorta di unità minima della nuova
città, che garantisce una densità controllata
e mantiene una realtà separata dallo spazio
pubblico della metropoli.
Solo con la presenza di Martin Wagner,
direttore dell’ufficio per l’attività edilizia nella
circoscrizione di Berlino-Schönberg nel periodo
fra le due guerre, avviene il passaggio reale a una
serie di importanti realizzazioni che interessano
la città, soprattutto nel campo dell’edilizia
residenziale. Affiancano la municipalità di
Berlino nella sua opera varie cooperative edilizie
di pubblica utilità per le costruzioni economiche,
tra cui la Gehag, costituita nel 1924. Tra i fondatori
c’è lo stesso Wagner, a cui si deve l’assunzione di
Bruno Taut alla direzione della società. Fino al
1925 gli interventi delle varie cooperative edilizie
hanno un carattere disperso ed eterogeneo, e
139
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
140
sono ispirati ad un modello che accoglie la bassa
densità e gli elementi naturali del verde come
alternativa alla densità speculativa delle caserme
d’affitto; i risultati sono siedlungen che rimandano
più ad insediamenti rurali che a quartieri urbani
di una grande città come Berlino.
Dal 1925 invece ha inizio la costruzione di
grandi complessi residenziali che fanno uso
del tipo edilizio a tre piani con scala a servizio
di due appartamenti per piano, grazie da una
parte alle maggiori possibilità finanziarie del
comune e dall’altra alle idee di Wagner sulla
razionalizzazione del ciclo edilizio. In questo
contesto, la prima grossiedlung realizzata e la
più significativa è Berlino Britz, progettata
da Bruno Taut in collaborazione con Martin
Wagner nel 1925. La parte centrale, a forma
di ferro di cavallo, è una perfetta sintesi tra
B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925.
costruzione in linea aperta e costruzione a
blocco chiuso: il modulo costituito da scala e due
alloggi viene ripetuto in serie, senza variazioni,
ma la leggera inclinazione dei muri trasversali
produce una curvatura costante al corpo edilizio,
che si richiude attorno ad uno spazio centrale
comune. In questo modo la disposizione a
corte è ottenuta con un accostamento in serie,
evitando le problematiche soluzioni degli angoli,
che richiedono sempre un maggiore sforzo
progettuale, e comunque una variazione troppo
onerosa in una costruzione basata su principi di
razionalizzazione del cantiere. È a tutti gli effetti
un tipo in linea, piegato e curvato, che definisce
però un tipo urbano a corte, anche se aperto su
un lato verso la strada.
La corte centrale è trattata con diverse fasce
concentriche: orti privati direttamente a contatto
con l’edificio, un percorso pedonale e un prato in
discesa verso uno specchio d’acqua centrale, per
un totale di 16.000 m2. La grande estensione di
questo spazio, più di una volta e mezza rispetto
al blocco centrale di Jarrestadt ad Amburgo, e
la sua articolazione fanno del ferro di cavallo
di Britz una corte aperta sul paesaggio, che da
questo si differenzia per il grado di artificialità
e di disegno dello spazio aperto. Lo spazio
non ha il carattere pubblico di una piazza, non
è direttamente attraversabile; ha un valore
contemplativo, e allo stesso tempo è uno spazio
domestico, un prolungamento delle logge. Tutti
gli elementi funzionali infatti sono portati al
di fuori: la strada curva che segue la sagoma
dell’edificio, per esempio, e gli ingressi alle scale.
Come a Rotterdam, questa corte giardino non è
direttamente accessibile dagli appartamenti, ma
non c’è nemmeno quella commistione tra verde
pubblico e privato che causa nei progetti di Oud
una eccessiva intimità domestica.
Il grande parco nel blocco centrale della
siedlung, intimo cuore del quartiere, è allo stesso
tempo anche collettivo e rappresentativo; infatti
141
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
142
è il luogo dove si svolge la annuale festa del
lavoro, manifestazione che esalta i valori morali,
spirituali e fisici di chi vi abita. La disposizione
a corte di Berlino Britz quindi contiene una
doppia valenza, perfettamente in equilibrio tra
la sfera dell’intimità domestica e quella della
rappresentatività collettiva: “Le stesse case,
qui, smettono per la prima volta di esserlo
in senso individuale, non sono più nemmeno
singoli blocchi, ma l’architettura piuttosto è
qui l’espressione di un lavoro collettivo per la
soluzione del problema della casa. Ciò che un
tempo si chiamava facciata di una casa, si estende
qui per più di 300 metri, ed il concetto stesso di
facciata si è trasformato in una forma che tiene
insieme il tutto, e che mostra il meglio della
tecnica abitativa, e il più sano, con semplicità”68.
La siedlung di Britz viene anche esaltata dalla
Gehag come esempio di razionalizzazione
della costruzione, che permette di contenere
notevolmente i costi. In realtà non c’è ancora
un’introduzione consistente di macchine nel
processo costruttivo, né l’introduzione di
B. Taut, M. Wagner, siedlung Britz, Berlino, 1925.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
tecniche nuove basate sulla prefabbricazione; c’è
una tipizzazione degli alloggi, l’utilizzazione di
carrelli su rotaia per trasportare i materiali, ma
la costruzione è in mattoni, con tecniche quasi
tradizionali. La distribuzione degli alloggi invece
è notevolmente razionalizzata, con disimpegno
che distribuisce tutti i locali, doppio affaccio e
dimensioni generose per servizi e cucine.
Le successive siedlungen berlinesi seguiranno
la strada, oltre che della razionalizzazione
costruttiva, anche della serialità urbana,
abbandonando definitivamente le forme chiuse
per seguire una logica ripetitiva del blocco in
linea. Ma anche Britz non definisce una regola
di disegno urbano fondato sulla costruzione
perimetrale; la disposizione a corte del blocco
centrale è un fatto eccezionale, ed intorno ad
esso si organizza il resto del quartiere in forma
più aperta. Per questo possiamo parlare di Britz
come di una siedlung di transizione tra due modi
di concepire lo spazio urbano, che nel progetto
di Taut convivono in equilibrio dinamico.
Un caso, invece, in cui a Berlino viene proposta
la forma chiusa come regola per il disegno
urbano, è la serie di progetti per i terreni a sud di
Schönberg, una grande area a soli 3 chilometri da
Potsdamer Platz che rimane inedificata per tutti
gli anni Venti. Su questa area si succedono diverse
proposte, legate alle vicende urbanistiche, tra cui
il progetto di Bruno Möhring del 1911, basato
sulla suddivisione in isolati e sulla costruzione
perimetrale, che non definisce però un tipo
urbano preciso e ripetuto, e il progetto redatto
da Otto Bartning nel 1927 su richiesta dello
stesso Wagner, che sembra più interessante per
la chiarezza nell’espressione del tipo a corte.
L’urbanizzazione
dell’area
prevista
da
Bartning, infatti, si fonda su un tipo di isolato
di grandi dimensioni, racchiuso da un edificio
di 4 piani e attraversato longitudinalmente da
una strada secondaria rispetto alla viabilità
principale. In pratica la corte è definita da due
143
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
144
corpi a C contrapposti, divisi da una strada
alberata che da alcuni disegni sembrerebbe un
percorso pedonale, mentre le linee di traffico,
automobilistico e tranviario, sono collocate tra un
isolato e l’altro, e in alcuni casi raggiungono i 40
metri di ampiezza. La corte, destinata a giardino,
ha dimensioni che vanno da 14.000 a 18.000
m2, e quindi paragonabili alla corte centrale di
Britz: anche qui la disposizione a corte permette
di racchiudere pezzi di paesaggio naturale; in
questo caso però risulta attraversabile con una
sorta di tracciato secondario sovrapposto a
quello stradale, con un carattere pedonale, lento
e naturalistico, forse poco domestico.
Nel progetto di Bartning viene quindi
proposto il blocco chiuso come regola generale
di urbanizzazione, ma la forma è irregolare. Il
tracciato basato sulla maglia rettangolare viene
distorto, per seguire le irregolarità dell’area e
mantenere la continuità degli assi principali, per
cui l’edificato si adatta rigidamente alle linee
delle strade, definendo corti dalla forma sempre
diversa. Il principio di costruzione rimane sempre
lo stesso, però, generalizzando la soluzione della
O. Bartning, quartiere di Schöneberg, Berlino, 1927.
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
corte semi-chiusa di grandi dimensioni introdotta
a Britz da Taut ed introducendo il dato innovativo
dell’attraversabilità, non funzionale agli ingressi,
ma rispondente ad una logica di percorsi urbani
nel verde.
O. Bartning, quartiere di Schöneberg, Berlino, 1927.
In questa rassegna di progetti e realizzazioni
abbiamo evidenziato come, nel periodo degli anni
’10 e ’20 del novecento, in molte città europee
venga messo a punto un tipo urbano basato sulla
disposizione a corte per la residenza di massa;
ereditando il classico modo di urbanizzazione
fatta da isolati e costruzione perimetrale,
vengono introdotte nuove qualità legate, oltre
che alla razionalizzazione dell’alloggio, anche
all’invenzione di un nuovo tipo di spazio interno
collettivo. Nei vari esempi, analizzati cercando
di cogliere le logiche progettuali, si è visto che
vi sono grandi differenze nel modo di trattare
questo spazio; dalla corte privata e inaccessibile,
145
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
146
al giardino-parco attraversabile. Spesso questa
caratteristica ha delle conseguenze sia sulla
disposizione dell’alloggio e degli ingressi, sia
sullo spazio urbano. Ciò che rimane costante è
la concezione di fondo della forma della città
e dei suoi elementi, che non vengono messi in
discussione radicalmente, ma pazientemente
innovati.
Possiamo trovare delle analogie tra la
costruzione di questo tipo urbano e quella che
Gravagnuolo definisce la linea di pensiero
che vede la tradizione come principio di
progresso, parallela alle esperienze “ufficiali”
di progettazione urbana del novecento: “[...] filo
mentale contraddistinto dalla scelta di fondo di
operare nel senso di una continuità con i processi
di costruzione storica delle città; filo che lega
insieme le esperienze teoriche e progettuali
di architetti di varie generazioni e di diverso
orientamento ideologico”69. In questo ambito
prevale il tema della tradizione sulla mitologia
del nuovo, cara alle avanguardie antipassatiste.
“La predisposizione mentale a ritessere i fili della
memoria, rivitalizzandoli con nuove pulsioni
progettuali, trova riscontro in un metodo di
progettazione urbana consapevolmente fondato
su un procedimento autoanalitico; un metodo
che tende a ritrovare all’interno dell’evoluzione
storica dell’architettura delle città non solo gli
strumenti e le tecniche, ma la stessa ragion d’essere
della costruzione dello spazio collettivo”70. In
questo senso l’avanzamento disciplinare si attua
a partire da un dato risultato, che in architettura
è il fatto costruito con tutta la sua evidenza, in
positivo e in negativo. “Il ricorso alla memoria
diventa così una sorta di ideale staffetta storica, di
work in progress che muove dalla predisposizione
a valutare criticamente il già-costruito. In
fin dei conti è solo un ragionevole criterio di
economia mentale, che si oppone allo spreco di
ricominciare sempre da capo, alla presunzione
di inventare velleitarie soluzioni ex novo a
IV - La definizione di un tipo urbano: 1900-1929
problemi che hanno alle spalle una lunga catena
di pensiero”71. Aggiungiamo che questo discorso
vale in particolare per l’abitare, in cui il dato di
permanenza ha una netta superiorità sul dato
di variazione: proprio per questo l’innovazione
introdotta dal tipo urbano a corte, a prima vista
minima, è una variazione sostanziale nei modi di
costruire la residenza collettiva, e rappresenta
un’esperienza riconoscibile, come abbiamo
cercato di dimostrare.
147
J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931.
V.
Abbandono e riaffioramenti della forma
chiusa
La definizione di un nuovo linguaggio urbano
La sperimentazione attuata sulla disposizione
a corte nei progetti di residenza collettiva,
attraverso le numerose realizzazioni che abbiamo
analizzato, subisce un improvviso arresto a
partire dal 1929; da questo anno di svolta la forma
chiusa non solo scompare quasi completamente
da tutti i nuovi quartieri, ma viene anche criticata
fortemente, e da varie parti, nel dibattito teorico
europeo e internazionale.
Non sembra esserci una spiegazione logica
a questo cambiamento, e nemmeno un motivo
unico, quanto piuttosto una convergenza di
motivazioni diverse, favorite anche da una serie
di coincidenze storiche. La crisi economica
mondiale del 1929, per esempio, iniziata
con il crollo della borsa di New York ma con
ripercussioni poi in tutta l’Europa, ha interrotto un
periodo di ottimismo e fiducia nell’avanzamento
lineare del progresso, e di conseguenza nella
crescita illimitata delle città, nel progressivo
miglioramento delle condizioni di vita urbana.
Negli ambienti di ricerca architettonica nasce
l’esigenza di trovare un approccio più scientifico
alla costruzione di case, una soluzione che
avvicini il problema della costruzione della città
ai metodi di produzione industriali, basati sulla
tipizzazione degli elementi, sulla serialità e sulla
ripetizione; metodi che consentono di contenere
al massimo i costi di costruzione in un periodo
dominato dall’incertezza economica.
Estendendo il procedimento di ripetizione di un
elemento tipo considerato ottimale dall’alloggio
all’aggregazione degli alloggi, che prende forma
nel blocco edilizio in linea, viene impostata una
modalità di progetto che si distanzia radicalmente
149
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
150
dall’esperienza storica di costruzione della città:
la ripetizione del blocco in linea, orientato in
modo ottimale rispetto all’irraggiamento solare,
presuppone un rifiuto dei concetti spaziali
tradizionali di strada e isolato, di spazio interno
ed esterno in favore di una libera e isotropa
disposizione dei volumi sul suolo urbano.
Numerosi studiosi, come Carlos Martí,
stanno cercando di confutare la tesi della
tabula rasa, della rottura con la storia imputata
genericamente agli architetti moderni: “Nel
corso degli ultimi anni hanno proliferato gli
attacchi contro l’architettura moderna basati,
precisamente, sul rifiuto dei modelli urbani che
quella, presumibilmente, avrebbe generato. In
questo contesto, le proposte dell’architettura
moderna sono viste come pura negazione o
semplice rifiuto delle forme storiche della
costruzione della città. [...] l’idea di città che in
quelle proposte è implicita non ha origine da una
tabula rasa concettuale rispetto alla tradizione
urbana, ma, al contrario, definisce una fitta rete
di rimandi, a volte sottili, spesso forti e palesi, che
la vincolano con la cultura storica della città. Tale
questione è importante poiché con frequenza si
utilizza l’argomento della rottura con la storia
come prova per incolpare l’architettura moderna
di tutte le miserie della città contemporanea. [...]
Quello con cui rompe l’architettura moderna è
l’eredità della città ottocentesca e questa rottura
è, a sua volta, un intento di ricomporre i legami
con la tradizione positiva della costruzione della
città”72.
Tuttavia non possiamo non evidenziare che
negli anni ’30 e ’40 le proposte e le realizzazioni
della cultura architettonica ufficiale sono
caratterizzate da un desiderio di rinnovamento
radicale delle modalità del progetto urbano, alla
ricerca di una spazialità nuova e più consona
alla città moderna; questa innovazione, a
volte giustificata con motivazioni ideologiche,
presuppone il rifiuto categorico dello spazio
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
P. Mondrian, Composizione in rosso, nero, blu, giallo,
grigio, 1920.
chiuso della corte per la residenza urbana. Per
questo possiamo parlare di abbandono di un
tipo urbano, e di una presa di distanza anche da
tutte le realizzazioni del ventennio precedente
impostate sullo spazio della corte collettiva come
luogo rappresentativo della residenza.
Il nuovo approccio scientifico predilige una
forma lineare, che risponde ad una regola
di accrescimento per parti minime, senza
il raggiungimento di una configurazione di
ordine superiore; esso si oppone così alla forma
chiusa, non solo per la definizione di uno spazio
delimitato da una disposizione a corte, ma anche
in quanto forma conclusa, finita. Si configura
una contrapposizione di metodo, ma anche di
pensiero tra forma ripetitiva, seriale, in-finita, e
forma chiusa, conclusa e finita.
Inoltre la regola della disposizione a
corte presuppone che vi sia un centro nella
composizione urbana attorno al quale si dispone
il volume costruito; la costruzione di un centro dal
quale dipende l’intorno rimanda ad un sistema
gerarchico, simbolo della cultura tradizionale,
in cui il valore dello spazio varia rispetto alla
posizione. Il vero superamento di questa linea
di pensiero avviene attraverso la disposizione
lineare, che tende a simbolizzare la forza
dinamica e l’aspirazione egualitaria della società
moderna. “La forma lineare presuppone l’assenza
di gerarchia e favorisce l’equivalenza delle
condizioni per tutti gli elementi che configurano
una struttura. Proprio per questo diventa uno
dei fondamenti dell’architettura residenziale del
Movimento Moderno. Lo schema lineare è il più
congruente con il principio di ripetizione di un
elemento e con la ricerca di una serie basata su
una legge costante”73.
La ripetizione degli elementi base secondo una
regola costante passa attraverso un processo di
scomposizione della forma e delle funzioni; per
riproporre un nuovo ordine urbano è necessaria
un’opera di smontaggio dell’ordine esistente,
151
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
152
di separazione e isolamento delle unità minime
di significato. Questa operazione, nell’atto per
esempio di separare gli isolati residenziali dalla
rete stradale, di distinguere la rete dei traffici
veicolari da quella dei percorsi pedonali, le zone
dei negozi dalle abitazioni, per ripresentarli
con una nuova organizzazione più razionale e
geometrica, ha evidenti analogie con il processo
di costruzione di un nuovo linguaggio urbano, o
meglio una nuova sintassi, peraltro già anticipata
nel campo delle arti figurative da artisti come
Mondrian o Klee. Non si può negare che in tutto
ciò vi sia un desiderio eversivo di innovazione
radicale, di ricominciare “da capo” facendo tabula
rasa delle forme urbane ereditate dal passato
e disponendo sulla nuova griglia razionale ed
egualitaria i pezzi scomposti della città, unico
lascito della storia, ma utilizzati solo dopo
un’attenta opera di isolamento e depurazione.
Questo atteggiamento mentale, diventato
presto ideologico, è sfociato in prese di posizione
sbrigative contro la città storica e i suoi spazi, come
la strada corridoio, la piazza, gli isolati densi senza
aria e luce; ma nella generalizzazione sono state
incluse anche tutte le esperienze del ventennio
precedente, basate sulla grande corte collettiva,
che avevano razionalizzato la forma storica, e per
questo più vicine alla modernità che al passato.
Il tipo urbano a corte, quindi, viene rifiutato a
priori; viene abbandonata tutta l’esperienza
dei quartieri costruiti seguendo la logica
dell’isolato, dello spazio racchiuso dall’edificato
che definisce un interno e un esterno, metodo
radicato in una concezione classica di spazio
urbano, anche se tutte le istanze riguardanti la
razionalizzazione degli spazi dell’abitare erano
già state abbondantemente accolte.
È possibile individuare questa svolta anche
all’interno del lavoro degli stessi architetti,
portatori all’improvviso di un rinnovamento
radicale. Per esempio, nel progetto di Blijdorp
a Rotterdam, del 1931, Oud propone una serie
J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
J. J. P. Oud, quartiere Blijdorp, Rotterdam, 1931.
di blocchi in linea paralleli, disposti lungo l’asse
est-ovest, distanziati da un’area a giardino e una
strada di servizio. La distanza con i progetti di
Spangen e Tusschendijken è evidente; l’unità
minima del disegno urbano non è più l’isolato
a corte, ma il blocco in linea. Non c’è più uno
spazio domestico racchiuso e separato dalla
strada, anche se il giardino adiacente alla facciata
sud è chiuso sui lati corti da edifici bassi destinati
a residenza per gli anziani. L’edificio però risulta
visibile su tutti i lati, è definitivamente un oggetto
isolato nello spazio, non definisce un dentro e un
fuori, semmai un fronte e un retro; e le differenze,
a parte l’affaccio a sud e a nord, e la presenza o
meno dei balconi, non sono molte: l’accesso alle
scale avviene da tutti e due i fronti, ed entrambi i
lati affacciano su un giardino, il proprio verso sud,
quello del blocco adiacente verso nord. In questo
senso la strada, come elemento separatore di
ambiti distinti, scompare, così come scompaiono
i locali commerciali al piano terra.
In generale tutta la situazione dell’architettura
153
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
154
olandese vive una svolta repentina e segnata
dalla rottura con il passato; Francesco Dal
Co evidenzia la concomitanza di diversi fatti:
“Il 1929-1930 è uno di quegli anni durante
i quali l’accumulazione storica subisce una
brusca accelerazione. Nel caso dell’architettura
olandese, essa coincide con una svolta accentuata.
Si chiude, alla fine degli anni Venti, una stagione
irripetibile, tra le più felici vissute dalla cultura
e dall’architettura d’avanguardia. [...] Alcuni
protagonisti rimangono ancora sulla scena,
ma la loro presenza non è affatto garanzia di
tranquillizzanti continuità. [...] Come tradizione
ne discuterà la cultura architettonica degli anni
Trenta, i quali sono introdotti da un groviglio
di avvenimenti singolarmente significativo e,
per alcuni aspetti, premonitore”74. Nel 1929
infatti viene terminata la fabbrica Van Nelle
a Rotterdam, ad opera di Brinkman e Van
der Vlugt, esito dimostrativo della ricerca
razionalista europea; viene completata la
costruzione del quartiere di Kiefhoek, manifesto
avanguardistico e tappa di svolta nella carriera
di Oud. Ma soprattutto nel 1929 Cornelis van
Eesteren riveste la carica di architetto-capo della
Divisione urbanistica del comune di Amsterdam,
diventando il maggior protagonista della scena
olandese e giungendo alla stesura del piano
urbanistico di Amsterdam, approvato nel 1935.
Tale piano sancisce il definitivo abbandono del
modello chiuso a favore del sistema aperto per
la costruzione dei nuovi complessi residenziali;
i quartieri di dimensioni omogenee, per uno
sviluppo complessivo di 250.000 abitanti, sono
organizzati con un’edificazione in linea, suddivisa
in vari settori lineari diversificati per tipi edilizi,
disposti con rigida continuità e regolarità su vaste
aree.
Un altro caso significativo è il concorso
bandito nel 1933 dal comune di Amsterdam per
la progettazione di nuove tipologie residenziali,
il Goedkoope arbeiderswoningen (GAW)75.
Van Tijen, urbanizzazione
Amserdam, 1930.
di
Indischebuurt,
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
Van Tijen, progetto per il concorso GAW, Amsterdam,
1933.
Su un’area regolare, dalle proporzioni quasi
quadrate, 300 x 240 metri, si confrontano le
soluzioni degli architetti più attivi nel campo
residenziale; il risultato è una gamma molto
ampia di progetti che conferma la dicotomia
esistente tra blocco a corte e blocco isolato,
anche se solo quattro progetti tra i selezionati
presentano la soluzione a corte chiusa, mentre la
maggior parte, tra cui quelli premiati, sviluppano
le nuove potenzialità organizzative del quartiere
“aperto”.
In particolare il progetto di Van Tijen,
vincitore del primo premio, suddivide l’isolato
con una serie di blocchi con poche variazioni
solo ai margini del lotto, del tutto contingenti; gli
edifici però, anche se perfettamente equidistanti,
sono raggruppati simmetricamente due a due
ai lati di un grande giardino su cui affacciano
le zone giorno, soluzione che Van Tijen aveva
già sperimentato nel 1930 per l’urbanizzazione
di Indischebuurt. I “retri” invece affacciano su
una strada senza uscita, di servizio agli ingressi
delle scale. Inoltre i blocchi sono uniti, solo su
155
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
156
un lato, da un corpo basso che chiude il giardino;
in questo modo si configura ancora una specie
di corte chiusa su tre lati, e quindi protetta e
nascosta dalla strada. In questa chiave di lettura
i blocchi, accorpati due a due, sono i lati lunghi
di un classico isolato, che all’interno racchiude
un giardino dal carattere domestico, mentre
all’esterno definisce lo spazio della strada. Anche
se l’immagine che domina il quartiere è quella del
blocco residenziale funzionalista, permangono
ancora logiche di organizzazione dello spazio
legate alla disposizione a corte.
Non si può dire la stessa cosa del progetto di
Bodon, Groenewegen, Karsten e Merkelbach,
vincitore del secondo premio: qui il blocco
mantiene costantemente lo stesso orientamento,
Bodon, Groenewegen, Karsten e Merkelbach, progetto
per il concorso GAW, Amsterdam, 1933.
Van Den Broek, progetto per il concorso GAW,
Amsterdam, 1933.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
Progetti per il concorso GAW: Stuyt, Bakker, Kray,
Hamerpagt, Amsterdam, 1933.
e lo spazio definito tra un edificio e l’altro è
organizzato in modo simile al progetto di Blijdorp
di Oud. La sequenza è sempre edificio, giardino
e strada; non vi sono simmetrie che possano far
riconoscere uno spazio chiuso, anche se questo
giardino è sempre delimitato da corpi bassi
posizionati in testata ai blocchi.
Le stesse considerazioni si possono fare per il
progetto quarto classificato, di Van Den Broek,
il quale introduce una variante importante, che
coinvolge la scala del quartiere nel suo insieme:
l’intera area, considerata come un enorme
isolato, viene circondata su tre lati da un tipo di
edificazione che rimanda alla scala della città,
con un respiro più metropolitano. Sul lato nord
quattro alti edifici lamellari disposti a pettine
rispetto alla strada, per esempio, e sul lato est un
lungo e continuo fronte di quattro piani, chiudono
il quartiere come a proteggere un interno più
legato alle dinamiche della residenza, dove
possono dispiegarsi liberamente i blocchi isolati,
da un esterno pubblico, caotico ed estraneo.
Possiamo quindi riscontrare che il modo della
disposizione a corte in questo progetto ha fatto
un salto di scala; tuttavia le tipologie urbane
utilizzate segnano indiscutibilmente una rottura
con gli spazi definiti da una classica tipologia
urbana a corte, come invece ancora propongono
i progetti di Hamerpagt, di Stuyt, di Kray e di
Bakker, non premiati perché evidentemente
157
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
158
considerati superati.
Anche in ambito tedesco si avverte lo stesso
clima di svolta verso una spazialità più aperta,
libera dai condizionamenti dell’isolato stradale.
Le siedlungen berlinesi, dopo la costruzione di
Britz, vanno in questa direzione: Siemenstadt, per
esempio, del 1929, nonostante il lungo edificio
curvo che definisce lo spazio della strada, è
dominata dal blocco isolato, elemento regolatore
dell’impianto; il blocco lineare domina anche il
disegno di Haselhorst, di Hinsch e Deimling del
1929. Ma pure Dammerstock a Karlsruhe, nella
versione realizzata del 1929, vede scomparire
qualsiasi modalità di disposizione a corte. In
generale, come abbiamo già notato, alcuni studiosi
mettono in guardia da facili schematizzazioni sul
tema tanto variegato delle siedlungen tedesche:
“Come altri prodotti del moderno, queste sono
state lette in modo anche molto differenziato:
risultato per sommatoria degli studi analitici
e delle innovazioni tipologiche per la cellula
di abitazione; variazioni sul tema della città
giardino; esito schematico della edificazione a
blocco aperto e della regola dell’asse eliotermico.
Le siedlungen vengono spesso considerate tra
i capostipiti dei quartieri di edilizia pubblica
costruiti nelle città europee anche nel secondo
dopoguerra e, in una certa misura, come matrici
della estraneità dell’urbano propria della
maggior parte di questi interventi. Tali letture, in
realtà ben più articolate e complesse di quanto
siano qui schematizzate, sono tuttavia in genere
riferite a sistemazioni storiografiche, a quadri
tendenzialmente conclusi”76. Ci sembra tuttavia
lecito parlare di una tendenza generalizzata,
supportata da motivazioni comuni, a trovare
una disposizione alternativa a quella a corte per
i quartieri residenziali, sperimentando soluzioni
radicalmente nuove.
Talvolta questa volontà è anche molto esplicita,
come nel caso di Ernst May: nella sua famosa
tavola egli illustra il processo di trasformazione
H. Scharoun, W. Gropius, siedlung Siemensstadt,
Berlino, 1929.
Hinsch e Deimling, siedlung Haselhorst, Berlino,
1929.
W. Gropius, siedlung Dammerstock, Karlsruhe, 1929.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
E. May, fasi di evoluzione dell’isolato urbano di
Berlino, 1929.
E. May, siedlung Bornheimer Hang, Francoforte,
1926.
dell’isolato urbano (in quel caso di Berlino)
come un’evoluzione naturale verso il sistema di
edificazione in linea, fine ultimo di un’architettura
egualitaria, che posiziona tutti gli edifici con
lo stesso ottimale orientamento. In questo
schema non compare la tappa fondamentale
che abbiamo illustrato nel capitolo precedente,
quella dell’isolato con la corte collettiva, che ha
costruito interi quartieri negli anni ’10 e ’20. E in
realtà May, nell’esperienza di Francoforte, giunge
alla configurazione più astratta e razionale solo
con la siedlung Westhausen, del 1929.
159
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
160
Ritorna ancora questo anno di svolta; infatti
nei quartieri costruiti precedentemente come
Bornheimer Hang o Bruchfeldstrasse, entrambi
del 1926, compaiono ancora come regola di
disegno urbano non solo la disposizione a corte,
ma anche configurazioni decisamente chiuse.
Nel primo, un grande isolato racchiude una
corte di 32.000 m2; all’interno una strada, su
cui sono attestati bassi edifici disposti a pettine,
attraversa la corte longitudinalmente. Questo
modo di definire un interno protetto destinato
alla residenza a bassa densità ricorda il progetto
di concorso per la grande Berlino di Möhring,
Eberstadt e Petersen del 1910. In Bruchfeldstrasse
invece viene completato un isolato esistente,
chiudendo su tre lati una corte giardino collettiva
di 6.800 m2.
In altri progetti, come nella siedlung Praunheim
del 1926 e Römerstadt del 1927, anche se
scompare la corte collettiva per la bassa densità
E. May, siedlung Bruchfeldstrasse, Francoforte, 1926.
E. May, siedlung Praunheim, Francoforte, 1926.
E. May, tipologie con affacci a nord, Francoforte,
1926.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
E. May, siedlung Westhausen, Francoforte, 1929.
che le caratterizza, le schiere di case sono
organizzate in modo da definire un interno,
destinato a giardini privati e orti, e una strada,
fronteggiandosi quindi in modo simmetrico
per riproporre la logica dell’isolato. Le strade
così disegnate, inoltre, curvano liberamente,
seguendo la conformazione del terreno, e le case
le seguono cambiando orientamento. Proprio
per questo tra le varie tipologie messe a punto da
May c’è anche quella con esposizione principale
a nord.
Solo con la siedlung Westhausen May cambia
rotta e perviene ad una applicazione precisa, logica
e astratta dei principi razionali illustrati nel suo
schema; qui ogni riferimento ad una disposizione
a corte scompare, e così anche il riferimento
spaziale alla strada, e l’unico elemento della
sintassi urbana rimane il blocco isolato, accostato
e ripetuto per garantire il massimo “scientifico”
di qualità, in termini di esposizione, aria e verde.
La scomposizione di una forma urbana chiusa in
una forma aperta e in-finita è avvenuta; si aprirà
in seguito la questione dell’identità degli spazi,
nella situazione di difficoltà effettiva di fondare
le differenze seguendo un metodo seriale che
tende ad annullarle.
Il 1929 quindi è un anno di svolta, che
sancisce la scomparsa della forma a corte dai
progetti e dalle realizzazioni più innovative;
la coincidenza di motivazioni e forme nuove
tra diversi architetti in diversi luoghi è dovuta
anche alla internazionalizzazione del dibattito
sulla residenza, iniziata con la costruzione della
Weissenhofsiedlung a Stoccarda nel 1927, e
culminata con la fondazione dei CIAM nell’anno
successivo. È proprio nei lavori dei primi congressi
internazionali che si elaborano e si teorizzano i
nuovi principi sulla costruzione della residenza,
e si affermano le idee radicali di personaggi
influenti come Gropius e Le Corbusier.
Se nel II CIAM, tenutosi a Francoforte nel 1929,
gli sforzi si concentrano sull’alloggio, attraverso
161
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
162
l’analisi comparativa dei presunti dati scientifici
della distribuzione e del dimensionamento degli
ambienti della casa, alla ricerca del “livello
minimo di vita”, nel III congresso, a Bruxelles
nel 1930, il metodo analitico-comparativo è
applicato all’organizzazione del quartiere.
Avviene un salto di scala, e la scomposizione
interessa ora gli elementi urbani, che vengono
riproposti come volumi in uno spazio isotropo,
con rapporti proporzionali auspicabili e distanza
ottimale tra i blocchi edilizi. La qualità dello
spazio racchiuso della corte non viene nemmeno
presa in considerazione: la scena è dominata
dalle idee sulla costruzione in linea di Gropius,
con la sua riflessione su “Case basse, medie e
alte”. È evidente che questa era l’occasione per
Gropius di teorizzare le esperienze fatte con la
costruzione di Dammerstock e Siemenstadt,
ma anche con il significativo progetto del 1929
di grosssiedlung: lo spazio della strada è definito
da corpi bassi destinati ad ospitare attività
commerciali, mentre i blocchi residenziali sono
disposti a pettine, tutti rigorosamente con lo
stesso orientamento.
W. Gropius, progetto di grosssiedlung, 1929.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
Le Corbusier, tavola comparativa, III CIAM, Bruxelles,
1930.
L’ulteriore passaggio di scala dal quartiere
alla città avviene con il IV CIAM del 1933;
van Eesteren, presidente dei CIAM dal 1930,
scompone in quattro funzioni l’unità del corpo
urbano costruito (abitare, lavorare, ricrearsi e
circolare), fornendo l’indicazione metodologica
per la nuova urbanistica funzionale; Le Corbusier
chiarisce ulteriormente il metodo, promuovendo
la stesura della “Carta di Atene”, definitiva
formulazione di città funzionale che sottintende
il modello urbano della sua Ville Radieuse. In
quest’ultima scompare qualsiasi riferimento alla
forma chiusa, che lo stesso Le Corbusier aveva
proposto dieci anni prima nel progetto della Ville
Contemporaine de 3 Millions d’habitants; lungo
il suo perimetro, infatti, questa città utopica
era costruita con una serie di Immeuble Villa
disposte regolarmente a definire strade e corti
interne. Prima di affermare “Il faut tuer la rue
corridor!”, prima cioè che la battaglia contro la
strada e la forma chiusa diventasse ideologica,
anche Le Corbusier aveva sperimentato quindi
le possibilità che l’isolato a corte offriva di
163
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
164
racchiudere uno spazio collettivo e di isolarlo
dalle funzioni pubbliche della metropoli.
Nella prima versione del progetto, del 1922, le
dimensioni della corte, di 25 x 120 metri, sono
piccole in rapporto all’altezza di circa 9 piani: le
proporzioni e la superficie della corte, di circa
3.000 m2, sono simili a quelle di Tusschendijken
di Oud, costruita solo due anni prima, che aveva
però un’altezza inferiore alla metà di quella
dell’Immeuble Villa. Forse per questo motivo
le terrazze-giardino a doppia altezza, vero dato
innovativo di questo progetto, sono rivolte verso
l’esterno, mentre verso l’interno della corte sono
collocate le strade ballatoio di distribuzione.
Nella seconda versione del progetto, del 1925,
abbiamo invece un’inversione nella pianta, per
cui le logge sono orientate verso l’interno della
Le Corbusier, Immeuble Villa, 1922.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
Le Corbusier, Immeuble Villa, 1925.
165
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
corte che, grazie alla notevole dilatazione delle
dimensioni, si configura come un grande giardino
verde, di 45.000 m2, con funzioni di servizio e di
svago collettive. Le potenzialità di questa enorme
corte collettiva sono però rimaste sulla carta.
Nonostante lo stesso Le Corbusier abbia
sperimentato negli anni ’20 la disposizione a corte
per la residenza collettiva, dunque, mediante i
lavori dei CIAM di Bruxelles nel 1930 e di Atene
nel 1933 viene fondato un metodo progettuale
che conferma la costruzione a blocco come il
modello più corretto per la città moderna; allo
stesso tempo viene rifiutata esplicitamente la
strada corridoio perché rimanda ad un modo
antico e malsano di progettare le città, e con essa
anche la forma chiusa ottenuta con la disposizione
a corte dei volumi nell’isolato.
Dilatazione della forma chiusa, chiusura della
forma aperta
166
È noto che il modello di città funzionale messo
a punto con la “Carta di Atene” si sia prestato
ottimamente ad una banale semplificazione nel
periodo della ricostruzione post-bellica, e che il
suo utilizzo indifferenziato e diffuso in tutte le
città europee ha accentuato i difetti della forma
aperta, in particolare per quanto riguarda la
difficoltà di dare forma ad uno spazio pubblico
rispondente a modi radicati di vita urbana, e di
definire spazi collettivi in grado di interpretare il
senso di identità dei quartieri.
La cultura architettonica “ufficiale”, espressa
dai congressi internazionali, non è rimasta
indifferente all’evidente fallimento del modo
scientifico e astratto di costruire i quartieri
residenziali basati sul blocco in linea, registrando,
a partire dal VI CIAM di Bridgewater del 1947,
un mutato stato d’animo e una nuova serie
di istanze progettuali. Sono soprattutto gli
architetti delle nuove generazioni ad introdurre
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
temi di discussione inediti, legati non solo ai
bisogni materiali, ma anche alle attese “emotive”
dell’uomo, con tutte le conseguenze sulla
conformazione dello spazio urbano. Riemerge,
dopo essere stato cancellato, il lato estetico,
irrazionale, simbolico della progettazione,
insieme ad un tentativo di considerare la
vita dell’uomo nella sua interezza, nella sua
complessità; questo implica la necessità di
pensare alla residenza insieme alle altre funzioni
della vita, in un quadro più ampio che abbraccia
il senso profondo dell’abitare la città, al di là del
semplice vivere in un quartiere residenziale.
Gli studi riguardanti la scala umana
vengono supportati da una nuova componente
sociologica, che cerca di individuare i principi di
aggregazione delle persone, i modi di fruizione
dello spazio pubblico e privato, i meccanismi di
identificazione in un luogo. Questa tendenza
è favorita anche da un riavvicinamento alle
problematiche e agli spazi dei centri storici delle
città che, dopo le ingenti distruzioni causate dai
bombardamenti bellici, diventano un’occasione
di verifica progettuale particolarmente propizia,
ma inattesa. “Relegati per decenni ad operare
in periferia, gli architetti moderni devono ora
affrontare la questione del centro, con tutto il suo
complesso groviglio di radicati valori simbolici
nei quali la collettività residente si identifica ed
alla cui appartenenza non vuole rinunciare nel
nome dei freddi dettati della pura funzionalità.
Ne deriva una prima crisi delle certezze d’acciaio
dell’anteguerra, che apre divergenze di opinioni
all’interno degli stessi membri dei CIAM”77.
Tutta questa serie di nuove questioni sfocia
nel VIII CIAM, tenutosi a Hoddesdon nel 1951,
che ha come tema “Il cuore della città”; nella
pubblicazione ufficiale, in lingua inglese, oltre al
termine heart è usato spesso il termine core, più
enigmatico, che rimanda ad un senso di centro,
fisico e simbolico allo stesso tempo. In questo
congresso sono numerosi i rimandi alla città
167
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
168
storica e ai suoi luoghi di identificazione della
collettività, al suo ruolo di accentramento delle
funzioni urbane complementari alla residenza;
core della vita associata, la funzione che svolge
la città storica è vista quindi come parte
irrinunciabile della vita dell’uomo, e il tentativo
è quello di trovare nuove configurazioni spaziali
che riproducano dinamiche simili.
È su questi temi che le nuove generazioni
di architetti impostano la critica alla città
funzionalista degli anni ’30: “l’urbanistica
considerata e sviluppata nei termini della Carta
d’Atene tende a produrre città nelle quali le
forme associative dell’uomo sono espresse in
modo inadeguato”78. Sono quindi gli spazi
pubblici la grossa carenza delle proposte
precedenti, ed è interessante notare che Sert,
per esempio, presidente dei CIAM all’epoca del
VIII congresso, cerchi nella formazione delle
antiche città elleniche il principio di costruzione
dello spazio pubblico citando una riflessione
del filosofo Ortega y Gasset: “So, the urbs or the
polis starts by being an empty space, the forum, the
agora, and all the rest are just a means of fixing
that empty space, of limiting its outlines. The polis
is not primarily a collection of habitable dwellings,
but a meeting place for citizens, a space set apart
for public functions. [...] the Greco-Roman decides
to separate himself from the fields, from Nature,
from the geo-botanic cosmos. How is this possible?
[...] he will mark off a portion of this field by means
of walls, which set up an enclosed finite space over
against amorphous, limitless space. Here you have
the public square”79. Parlando del nuovo compito
di recentralisation nel processo di costruzione
delle città, Sert riconosce che “these areas require
a special treatment that previous city planning
studies have never dealt with”80. In ogni caso
questi spazi, sempre esistiti nelle città europee,
necessitano di una riformulazione, in sintonia
con i nuovi bisogni della società: “we still believe
that the places of public gatherings such as public
S. Steinberg, Galleria Vittorio Emanuele di Milano,
1951.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
J. B. Bakema, quartiere residenziale, Pendrecht, 1951.
squares, promenades, cafés, popular community
clubs, etc, where people can meet freely, shake
hands, and choose the subject of their discussion,
are not things of the past and, properly replanned
for the needs of today, should have a place in our
cities”81.
Il principio di delimitazione di uno spazio
racchiuso è associato allo spazio pubblico per
eccellenza, la piazza, e non è accostato all’idea
domestica di residenza. Tuttavia non si può negare
che da questa riflessione emerga un’associazione
tra l’atto di racchiudere un centro e il senso di
collettività di chi contribuisce a questa azione,
anche in senso fisico. Possiamo riscontrare
quindi una coincidenza della forma a corte con
il processo di identificazione di una comunità,
di individuazione di un luogo, di protezione e
appartenenza.
È proprio in questo senso che vediamo
ricomparire l’aggregazione a corte nei progetti
dei giovani architetti dei CIAM, tra i quali
Jacob Berend Bakema. Partendo da una critica
ai quartieri costituiti da gruppi allineati di case
a schiera e in linea, come nelle estensioni del
nuovo piano di Amsterdam, Bakema propone
le “unità residenziali”, elementi minimi
dell’organizzazione dell’abitare, costruite su
un isolato composto da vari tipi abitativi dotati
di negozi di quartiere e disposti intorno a una
piazza pubblica. Questa struttura si fonda su
un nuovo concetto di urbanistica che prevede
un rinnovamento politico nella gestione dei
quartieri, dove la forma fisica coincide con le
forme di rappresentanza sociale. In altre parole,
l’unità residenziale è anche la base per il consiglio
di quartiere locale.
Tuttavia, nei progetti di Pendrecht II del 1951
e nel quartiere Klein Driene a Hengelo del 1952,
l’innovazione introdotta si legge soprattutto a
livello di organizzazione spaziale e di variazione
tipologica, intesa come composizione equilibrata
di tipi alti e bassi. Queste unità minime, disposte
169
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
170
su un isolato di circa 13.000 m2, sono organizzate
in una composizione centrifuga, e proprio per
questo riconoscono un centro dal quale dipende
l’ordine generale. Possiamo parlare quindi di
ritorno ad una disposizione a corte, ottenuta
attraverso una chiusura della forma aperta;
i blocchi in linea e a schiera, prima disposti in
rigide configurazioni parallele, ora si piegano
verso un nocciolo, un core, e racchiudono
uno spazio collettivo centrale; allo stesso
tempo dipendono da questo cuore nella loro
disposizione. La corte centrale, di circa 1.500 m2,
risulta precisamente definita ma molto aperta; la
sua spazialità coincide con i modi di costruzione
della città funzionale, è libera e attraversabile,
piena di luce e di verde; anche se essa non
instaura un rapporto diretto con i volumi che la
racchiudono, riesce però ad esprimere un senso
collettivo e domestico insieme. Inoltre può dirsi
a tutti gli effetti un interno, protetto e pedonale,
contrapposto all’esterno al di fuori della cortina
sfrangiata dei volumi costruiti, dove le strade
carrabili separano una unità dall’altra.
Il tema della chiusura di schemi di aggregazione
aperti è un motivo portante nel lavoro di Bakema,
J. B. Bakema, quartiere Klein Driene, Hengelo, 1952.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
J. B. Bakema, Alexanderpolder, Rottedam, 1956.
171
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
172
che sviluppa questa interessante forma di cortepiazza, in bilico tra spazio pubblico e privato,
tra domesticità e collettività, tra spazio chiuso
e spazio aperto. Possiamo trovarne diverse
versioni nei progetti per l’Alexanderpolder del
1956: da una sequenza lineare di corti aperte, a
configurazioni più chiuse, dove compaiono anche
edifici a corte chiusi su tre lati. In altri casi le
corti sono il termine di una strada carrabile senza
uscita, con una disposizione che rimanda al close
inglese, come nell’organizzazione a grappolo del
progetto di Leeuwarden nord, del 1959. In ogni
caso viene sempre riconosciuto lo spazio protetto
della corte come luogo irrinunciabile della
domesticità del quartiere, come atto fondativo
dell’abitare, definendolo con gli strumenti
moderni del progetto di residenza.
Un altro tema che emerge in vari modi nei CIAM
del dopoguerra è il nuovo rapporto con la storia
dell’architettura, che vede l’inizio di un confronto
con il passato senza opposizioni ideologiche, ma
anzi considerandolo come strumento utile per
il progetto. La predisposizione all’ascolto del
passato è peraltro una tendenza diffusa nella
cultura architettonica internazionale del periodo,
come dimostra l’interesse suscitato da testi come
Architectural Principles in the Age of Humanism
(1949), di Rudolf Wittkower, o The mathematics
of the ideal villa (1947), di Colin Rowe.
In linea con questo ritrovato interesse,
possiamo leggere il progetto di Alison e Peter
Smithson per Golden Lane, del 1952, come un
tentativo di ricomporre la frammentazione degli
elementi urbani effettuata negli anni ’30 e ’40. In
particolare, il loro interesse per lo spazio della
strada e il rapporto con la facciata li avvicina
alla considerazione della qualità degli spazi in
relazione alla loro definizione come interno ed
esterno, alla loro vicinanza con gli ingressi alle
case, al tipo di affaccio dei prospetti. In realtà i
progettisti non propongono chiare organizzazioni
a corte ma, negli schemi e nei fotomontaggi,
J. B. Bakema, complesso residenziale a Leeuwarden
nord, 1959.
A. e P. Smithson, progetto per Golden Lane, Londra,
1952.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood
Gardens, Londra, 1966.
il volume costituito da una sovrapposizione
verticale di “strade” piega liberamente a definire
degli ambiti spaziali più chiusi, svincolandosi
dalla regola dell’orientamento solare.
Il tema della strada ballatoio trova la sua
combinazione con l’aggregazione a corte nel
progetto per Robin Hood Gardens, realizzato a
Londra nel 1966. Due lunghi edifici definiscono
un’area interna destinata a giardino, mentre i
ballatoi, strade sovrapposte d’accesso alle case,
sono posizionati verso l’esterno. “The theme of
Robin Hood Gardens is protection. To achieve
calm centre, the pressures of external world are held
off by the buildings and outworks. This is effected,
as near to the source of noise as possible, by the first
layer of a boundary wall. Noises that penetrate this
layer to the access decks along the outer facades are
diffused by more domestic noises. The access decks
are separated from the habitable rooms by the
individual entrances and stairs so that this internal
circulation acts as a further insulation to the
bedrooms. These bedrooms have windows on the
inner facade overlooking the quiet of the protected
173
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
174
garden”82. In questo grande isolato quindi viene
attuata un’azione di chiusura, di protezione,
anche se solo su due lati; per questo possiamo
parlare di dilatazione della forma chiusa, con uno
spazio interno di 10.000 m2 separato nettamente
da un esterno pubblico, caotico e rumoroso. In
una sezione schematica i progettisti chiariscono
che i due affacci sono destinati ad ospitare diverse
attività della sfera domestica; all’interno tutto ciò
che concerne la quiete e il riposo, come le camere
da letto, all’esterno tutto ciò che è rumoroso,
come i soggiorni. Questi sono visti come cuore
sociale dell’appartamento, luogo del ricevimento
di amici, del divertimento, dello svago e della
televisione. Per questo motivo la grande corte
interna, definita a ritagliare uno spazio di quiete
nella metropoli, rimanda non tanto a un senso
di collettività, ma a una domesticità condivisa;
i percorsi di accesso ai ballatoi sono mantenuti
all’esterno, per cui il passaggio dalla corte non
è obbligato. Inoltre in questo progetto viene
introdotto in modo rilevante il tema dell’accesso
carraio al complesso residenziale, diventato
preponderante rispetto a quello pedonale, e ai
relativi spazi per le autorimesse. Considerando
inquinante e rumoroso tutto ciò che riguarda
l’automobile, i progettisti collocano le strade di
servizio all’esterno e in trincea, nascondendo
le autorimesse nel piano interrato dell’edificio
e lungo i margini del lotto. Il carattere tecnico
A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood
Gardens, Londra, 1966.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
A. e P. Smithson, complesso residenziale Robin Hood
Gardens, Londra, 1966.
e di servizio dello spazio per l’automobile, che
occupa tutto il piano terra attorno agli edifici,
contrasta con quello pubblico e collettivo delle
strade ballatoio in quota; la sensazione è quella
di aver perso il contatto con il suolo pubblico
esterno, e di conseguenza con la città, e che
tutto il complesso sia un rifugio intimistico in un
giardino artificiale, costruito come pausa dalla
vita urbana.
In generale possiamo affermare che i progetti
di Bakema e degli Smithson sono legati
all’elaborazione concettuale emersa nei congressi
internazionali degli anni ’50, in particolare
Bridgewater, Hoddesdon e Aix-en-Provence;
insieme ad altri architetti, essi sono anche i
protagonisti della crisi dei CIAM, che porterà al
loro definitivo scioglimento nel 1959 a Otterlo.
È interessante però notare che, negli stessi anni,
la disposizione a corte nei progetti di residenza
urbana ritorna, con nuove declinazioni, anche al
di fuori dell’ambito dei congressi internazionali.
Uno dei casi più significativi in questo senso
sembra essere quello di Fernand Pouillon e delle
sue realizzazioni nella periferia parigina.
175
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
176
È difficile collocare a prima vista i progetti
di Pouillon in un periodo storico preciso; essi
sembrano in effetti senza tempo, o meglio
sembrano riferirsi ad un tipo di costruzione
urbana che ha solide radici nel passato, ma allo
stesso tempo alcuni dettagli li riportano con
decisione al presente. Ciò dipende sicuramente
dalla particolare personalità di questo architettocostruttore, legato agli insegnamenti di Perret
e di Beaudouin; ma è anche prova del fatto
che ad una riproposizione della disposizione a
corte per la residenza collettiva si è giunti da un
percorso diverso da quello compiuto nella sede
ufficiale dei congressi internazionali. “Egli vive
con la cultura architettonica del suo tempo un
rapporto decisamente conflittuale. Delle teorie
sulla città funzionale non condivide l’enfasi
posta sull’edificio residenziale che tende a
diventare un sistema complesso autosufficiente
a scapito degli elementi dello spazio urbano
tradizionale (strade, piazze, isolati). L’affannosa
ricerca del nuovo che impegnava negli anni ’50
gli architetti contemporanei non lo interessa e
nei suoi progetti dedica una profonda attenzione
al rapporto generale fra l’insediamento e il suo
contesto all’interno del quale assumono un ruolo
fondamentale la costruzione dello spazio aperto
F. Pouillon, complesso centrale di Bordj-el-Barhj,
Algeria, 1955.
F. Pouillon, quartiere Buffalo a Montrouge, Parigi,
1955.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
F. Pouillon, quartiere Buffalo a Montrouge, Parigi,
1955.
e le sue relazioni con quello edificato”83.
La priorità di Pouillon nella progettazione dei
quartieri residenziali è quindi il disegno dello
spazio urbano attraverso gli elementi che da
sempre lo hanno caratterizzato, senza attuare
quella scomposizione della città necessaria
invece per i moderni; per questo motivo lo
sforzo progettuale non è incentrato sul blocco
residenziale, ma sulla composizione dell’insieme,
e in particolare sul disegno dei vuoti. Lo
spazio vuoto, plasmato e definito dai blocchi
residenziali, assume la forma di strada interna,
di viale alberato, di corte collettiva. “[...] l’œuvre
obéit au souci constant de la composition des
espaces, le plan de masse si cher à notre époque,
177
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
178
n’apparaît plus. Ce sont les espaces vides qui créent
le paysage intérieur et non pas la vue aérienne
des volumes distribués au sol dont l’harmonie ne
peut être perceptible à la vue du promeneur et de
l’habitant”84.
In questo paesaggio interno la forma della
corte è un elemento fondamentale, e nei vari
progetti essa compare con caratteristiche e
dimensioni sempre diverse. Nel quartiere
Buffalo a Montrouge, del 1955, le tre corti
interne sono sempre aperte almeno su un lato, in
una composizione che le unisce attraverso spazi
intermedi, portici, viali; è un paesaggio interno
pubblico e pedonale, estremamente curato, e le
corti variano da 2.000 a 4.500 m2 di superficie.
Nel quartiere Victor Hugo a Pantin, dello stesso
anno, un’unica corte pavimentata di soli 1.000
m2 domina la composizione, vera piazza urbana
aperta da un lato su un viale alberato e dall’altro
F. Pouillon, quartiere Victor Hugo a Pantin, Parigi,
1955.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
F. Pouillon, quartiere Victor Hugo a Pantin, Parigi,
1955.
su un portico di passaggio. Il complesso Le Point
du Jour a Boulogne, del 1958, è invece strutturato
su una successione di tre corti molto ampie, che
raggiungono le dimensioni di 8.000 m2, e sono
trattate come giardini pubblici, con alberature,
prati e fontane.
In questa varietà di soluzioni si possono
riscontrare però alcuni caratteri costanti che
rendono riconoscibili i progetti di Pouillon:
le corti interne non sono in diretto contatto
con gli ingressi alle scale di distribuzione degli
appartamenti, posizionati invece all’esterno,
e raggiungibili attraverso passaggi pedonali di
dimensioni ridotte e dal carattere domestico.
Di conseguenza la corte assume una valenza
più pubblica e collettiva, non avendo un diretto
rapporto con gli alloggi; il piano rialzato
come regola per i piani più bassi contribuisce
all’efficacia della soluzione. Le componenti
strettamente funzionali sono quindi allontanate
dal cuore centrale dei quartieri; allo stesso modo
le automobili sono tenute al di fuori, talvolta
sistemate in bassi volumi posizionati sui margini
179
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
180
più esterni del lotto, a diretto contatto con la
strada, come nel complesso di Montrouge. Questa
sottrazione di funzioni distributive accentua il
valore simbolico e pubblico della corte.
Ad una grande varietà di tipologie di spazi aperti
non corrisponde un altrettanta sperimentazione
nella costruzione del blocco edilizio: costituito
dalla ripetizione di un modulo con scala e due
appartamenti, il volume risulta estremamente
regolare. Anche quando esso piega liberamente
per definire gli angoli delle corti, la soluzione
di pianta è sempre tesa a non fare trapelare
in facciata l’eccezionalità della posizione
d’angolo. I singoli alloggi sono così nascosti
dietro la perentoria regolarità delle facciate,
che presentano dove possibile sempre lo stesso
tipo di apertura; la posizione interna dei servizi
elimina il problema delle finestre irregolari.
L’uniformità dei prospetti è un altro fattore che
sposta l’attenzione sulla qualità dello spazio
racchiuso, vero cuore collettivo dei quartieri di
Pouillon. “Lottando contro la desolazione della
città contemporanea, Pouillon mostra di sapere
che l’architettura urbana richiede strumenti
particolari e che una sorta di stato di esaltazione
dell’architettura è indispensabile per ridare o
salvare la qualità dei luoghi. [...] Molti fattori
concorrono a configurare questo processo e tra
F. Pouillon, complesso Le Point du Jour a Boulogne,
Parigi, 1958.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
questi sicuramente un ruolo privilegiato spetta
all’uso libero ed evocativo delle forme della
storia (urbana in questo caso) e al sapiente
impiego della pietra. Non a caso i quartieri di
Pouillon ricordano di volta in volta acropoli,
fortezze ottomane, mura e piazze storiche,
impianti barocchi o la casbah, anche se dai loro
impianti planimetrici è bandita ogni indulgenza
storicistica”85.
La disposizione a corte nei progetti di Pouillon,
quindi, non si risolve in una forma urbana legata
alla costruzione dell’isolato, ripetibile come
regola di urbanizzazione, ma in una soluzione
eccezionale, legata ogni volta alla situazione
del contesto da un lato, e alla composizione
dell’ensemble dall’altro: la corte è forse, tra
gli elementi dello spazio urbano, quello più
importante e rappresentativo, ma deve interagire
anche con viali, passaggi, portici e scalinate per
mediare il rapporto con la città. Indubbiamente
però, in questo paysage intérieur, si riscontra
la volontà di fondare con regole precise e
ripetute un interno urbano protetto e collettivo,
luogo dell’abitare per eccellenza, attraverso la
declinazione della forma a corte che delimita uno
spazio separato dalla città pubblica al di fuori.
F. Pouillon, complesso Le Point du Jour a Boulogne,
Parigi, 1958.
181
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
La “rinascita” del passato, lo spazio chiuso come
valore
182
Negli anni ’50 e ’60 le nuove organizzazioni
spaziali dei quartieri residenziali, e quindi
delle forme dell’abitare collettivo, hanno
visto il riaffiorare della figura della corte con
modalità e dimensioni anche molto diverse; per
gli spazi della vita associata, invece, c’è stato
il tentativo di riproporre le attività pubbliche
caratterizzanti della città storica organizzate
in nuove configurazioni, come sostiene Sert
“properly replanned for the needs of today”, e cioè
attraverso la scomposizione e la ricomposizione
degli elementi urbani del passato, come la strada
e la piazza.
A partire dagli anni ’70, tuttavia, si iniziano
a registrare i risultati insoddisfacenti di questo
tentativo, e la cultura architettonica internazionale
da più parti muove verso il riconoscimento
delle forme storiche della città come unica
possibilità di garantire qualità urbana, oltre ad
un corretto equilibrio spaziale tra sfera privata
e vita pubblica. In questo processo gioca un
ruolo fondamentale la forma chiusa dell’isolato
a corte tradizionale, che torna ad essere visto
come soluzione ottimale per la costruzione della
residenza in città; lo spazio chiuso dalla corte,
rifacendosi agli illustri precedenti della storia
dell’architettura residenziale, diventa così un
valore a priori, in quanto evocatore del modello
di città di riferimento. Il tipo a corte collettiva,
dopo aver percorso un lungo e tortuoso fiume
carsico, vede di nuovo la luce con innovata
intensità.
A questo processo di “rinascita” del passato non
è estraneo il giudizio negativo sulle periferie delle
grandi città, costruite a partire dal dopoguerra
con il modello di città aperta e dominate da una
dispersione incontrollabile dello spazio urbano
a causa dell’utilizzo indiscriminato del blocco
isolato in linea.
L. Martin, diagramma di Fresnel, 1972.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
L. Martin, studi sulla forma chiusa, 1972.
A questa “tendenza” si accompagna una
sensibilità ancora più intensa verso le forme
del passato, come confermano il successo e la
diffusione internazionale di studi sui fatti urbani
come L’architettura della città di Aldo Rossi, del
1966, o Collage City di Colin Rowe, del 1978, che
riportano l’interesse degli architetti sulle forme
costruite della città consolidata. Ma rivestono
una certa importanza anche gli studi “scientifici”
di Leslie Martin e le derive nostalgiche di Rob
Krier.
Nel 1972 Leslie Martin pubblica il libro Urban
space and structures, nel quale cerca di dimostrare
che la grande corte è, anche da un punto di vista
tecnico, la migliore forma di urbanizzazione
di una città; rispetto all’edificio alto isolato
al centro del lotto essa consente, a parità di
densità, di occupare una minore porzione di
suolo, di concentrare lo spazio libero al centro
da destinare a verde e di mantenere una minore
altezza degli edifici. Oltre a numerosi schemi
e all’utilizzo del diagramma di Fresnel, che
mostra una successione di quadrati concentrici
che delimitano aree con uguale superficie,
per rendere esplicito il ragionamento Martin
183
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
184
L. Martin, studi sulla forma chiusa, 1972.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
R. Krier, complesso presso il Tower Bridge, Londra,
1974.
conduce un esperimento sulla città di New York,
paragonando la attuale griglia occupata da
edifici alti alla nuova struttura urbana che, con
l’applicazione del principio della corte, potrebbe
svelare così una nuova spazialità fatta da vuoti
interni di grandi dimensioni e da strade corridoio
delimitate da facciate continue: “Exactly the
same amount of floor space that was contained in
the towers can be arranged in another form. If this
floor space is placed in buildings around the edges
of our enlarged grid then the same quantity of floor
space that was contained in the 21-storey towers
now needs only 7-storey buildings. And large open
spaces are left at the centre”86.
Senza tentare dimostrazioni scientifiche, ma
solo affidandosi all’evidenza degli esempi storici,
Rob Krier invece abbandona definitivamente
tutte le forme urbane prodotte dall’architettura
modernista per esaltare la qualità senza tempo
degli spazi urbani della città storica e dei suoi
elementi, la strada, la piazza e l’isolato a corte;
con il libro Lo spazio della città del 1975, dal
carattere decisamente nostalgico, egli condanna
la distruzione dello spazio urbano avvenuta
nel corso del XX secolo e la frammentazione
ottenuta con l’ampio utilizzo del blocco edilizio
isolato su lotto, affermando che “non sarà mai
possibile costruire una città accontentandosi di
sommare questo tipo di case”87. L’enfasi è posta
non tanto sull’edificio a corte per la residenza,
considerato elemento indispensabile del tessuto
urbano, ma sullo spazio pubblico della piazza
che, nelle sperimentazioni progettuali di Krier,
viene costruito e delimitato da corti pubbliche
che si combinano indissolubilmente con quelle
residenziali, in un processo di progettazione “in
negativo”: i volumi sono ottenuti per sottrazione
di materia, non per aggiunta; lo spazio aperto
viene plasmato come strada, cortile, giardino,
piazza, e acquista valore solo in quanto chiuso
e delimitato. Si può parlare quindi di una decisa
inversione di rotta rispetto ai dettami moderni;
185
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
186
lo stesso Krier conferma che il libro, con le sue
proposte, vuole essere una “revisione della Carta
d’Atene e delle sue conseguenze”88.
Questa tendenza, che ottiene consensi in tutti
gli ambienti di ricerca architettonica europei,
trova una delle occasioni più importanti per
dimostrare concretamente i suoi principi
nell’esposizione internazionale di Berlino, l’I.B.A.
’84: in questa esperienza, iniziata nel 1979 con
la costituzione dell’agenzia pubblica incaricata
di preparare l’Internationale Bauausstellung,
l’isolato residenziale a corte ritorna ad essere
Planimetria dell’intervento I.B.A., Berlino, 1984.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
l’elemento base per la costruzione della città,
anche se le interpretazioni della sua forma sono
molto varie.
Il principale ispiratore della filosofia generale
è Josef Paul Kleihues, direttore del settore che
si occupa delle nuove edificazioni; il tema della
ristrutturazione urbana, nell’ampia zona situata
tra il Tiergarten e Kreuzberg, lo costringe a
confrontarsi con la maglia stradale esistente, di
cui ripropone forme e allineamenti, a differenza
di quanto si è fatto nel quartiere attiguo, in
occasione dell’Interbau del 1957. In molte
occasioni Kleihues chiarisce che il rapporto con
la storia si fonda su una ricostruzione critica, che
indaga gli elementi della città per riproporne i
principi: “[...] la riscoperta del fatto che la città
storica si conformasse a regola è stata tanto
immediata quanto irrinunciabile. Ma l’idea
della ricostruzione degenera sensibilmente in
senso nostalgico. Mi riferisco, per prevenire
malintesi, alla necessità di una ricostruzione
critica della città che può riuscire solo sulla
base di un razionale confronto con i suoi
elementi costitutivi. [...] Ma il moderno, che
prese posizione frontale contro lo storicismo,
ha inizialmente messo in moto la dialettica solo
con una semplice negazione. Non è un caso, al
contrario proprio una conseguenza meccanicocausale di questo atteggiamento semplicemente
negativo che il moderno ha assunto nei confronti
della tradizione, il fatto che esso abbia cercato
le proprie categorie prevalentemente in dati
sperimentali oggettivabili”89.
Una dimostrazione di questo atteggiamento
è il progetto di Kleihues per l’isolato 270 della
Vinetaplatz, del 1972: in una serie di schemi
che mostrano la trasformazione del tessuto
storico emergono i due isolati di progetto
che ripropongono le dimensioni di quelli
preesistenti, ma con lo spazio centrale liberato
dalle costruzioni e destinato a giardino comune.
Il dato innovativo è il trattamento degli angoli,
187
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
188
dove la smussatura diagonale viene accentuata,
come nell’isolato dell’ensanche di Barcellona,
e il volume viene svuotato: gli angoli diventano
così gli ingressi principali al giardino interno,
mentre l’accesso alle scale di distribuzione degli
appartamenti avviene sempre dal marciapiede
esterno, generando due reti di percorsi distinte.
Come nei progetti degli anni ’20 ad Amburgo,
anche qui l’edificio prende sempre le distanze
dalla strada, proteggendo gli ingressi con
un’ampia fascia di verde che allontana le finestre
del piano rialzato dal marciapiede pubblico.
Inoltre Kleihues pone molta attenzione alle
dimensioni degli isolati, giudicando sfavorevoli
quelle eccessive che non consentono una
agevole circolazione pedonale; nel progetto di
Vinetaplatz le misure preesistenti non vengono
modificate perché considerate ottimali: l’isolato
di 60 x 110 metri racchiude una corte di 3.400 m2 di
superficie. Parlando dell’ampliamento di Berlino
come città residenziale, tra Dorotheenstadt e
Friedrichstadt, Kleihues ritorna sull’argomento
delle dimensioni: “Il dato di fascino di
quell’ampliamento è la suddivisione in piccoli
elementi. Gli isolati hanno una grandezza di 60-65
metri di profondità, da 70 a 200 metri di lunghezza;
si tratta di grandezze che sono confrontabili,
ad esempio, con quelle di New York. Isolati di
questa grandezza non costituiscono un ostacolo,
possono essere facilmente aggirati e consentono
una comunicazione intensa, presentando un
cuore verde e edificazioni ai margini. Questa è
la parte di città meglio progettata che Berlino
può mostrare; non c’è niente di meglio. [...] In
J. P. Kleihues, isolato 270 della Vinetaplatz, Berlino,
1972.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
certo senso ha costituito parziale eccezione
Charlottenburg. A Charlottenburg le case hanno
all’incirca un’altezza di 21 metri alla grondaia,
ma anche lì i cortili sono completamente coperti
di costruzioni; soprattutto lo svantaggio è che vi
sono isolati giganteschi, avendo il lato maggiore
di 200-250 metri e perfino 300 metri di lunghezza.
Quando un isolato ha questa grandezza, è
automatico che la vita al suo interno è avulsa da
tutto il resto: è proprio questo il tipo di isolato,
questo il tipo di sovrastruttura che ha condotto
alla critica della Berlino di pietra da parte di
Werner Hegemann”90.
In altri progetti elaborati per l’I.B.A. viene
sviluppato il tema dell’unità nella varietà:
cercando di simulare il processo di costruzione
della città storica, si ritiene che un corretto
grado di variazione controllata nell’immagine
della città si possa ottenere conservando gli
allineamenti e le altezze dei fronti fabbricabili,
e cambiando i partiti architettonici. Per questo
scopo la fase preliminare, che comprende uno
o più isolati, è coordinata da un solo architetto,
mentre successivamente si procede ad una
parcellizzazione dei lotti e le progettazioni sono
affidate ad architetti diversi. La conseguenza
è che viene perduta l’unità architettonica
d’insieme, soprattutto all’interno degli isolati,
in modo simile all’ampliamento di Amsterdam
di Berlage: l’immagine unitaria e collettiva della
corte viene meno, poiché si tenta con un unico
atto progettuale di riprodurre i processi storici
spontanei di accumulazione di gesti individuali.
Lo spazio interno rimane a tutti gli effetti un
giardino comune, ma l’importanza simbolica
e architettonica è affidata ai fronti esterni e
pubblici sulla strada.
Un caso significativo in questo senso è il
complesso Ritterstrasse di Rob Krier: anche se il
piano generale è stato redatto prima della nascita
dell’I.B.A., la sua costruzione poi ha seguito le
regole comuni di frammentazione dei singoli
189
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
190
interventi, con conseguente perdita dell’unità
architettonica d’insieme. Tuttavia il progetto è
interessante perché presenta una combinazione
di 4 isolati a corte che individuano una serie
di spazi chiusi dal carattere diverso: i giardini
interni collettivi ma domestici; le corti aperte su
un lato e pavimentate, simili a strade pedonali a
fondo cieco; il cuore centrale rappresentativo e
pubblico, che insegue il concetto di piazza.
Un altro esempio di frammentazione
dell’isolato a corte è il complesso residenziale
Victoria, coordinato da Hans Kollhoff; il sito,
difficile per le diverse preesistenze conservate,
è diviso in due ambiti distinti, nord e sud. A
nord il completamento del grande isolato con
una costruzione perimetrale è realizzato solo
parzialmente da Kollhoff, per cui la grande
corte, destinata a giardino comune con una
superficie di 6.600 m2, non rappresenta il cuore
R. Krier, complesso Ritterstrasse, Berlino, 1980.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
H. Kollhoff, complesso residenziale Victoria, Berlino,
1980.
collettivo dell’isolato, ma solo un prolungamento
all’aperto dello spazio domestico che aumenta
le qualità dell’abitare, mentre il fattore di
rappresentatività pubblica è affidato alla facciata
su strada, dove sono collocati anche gli ingressi
alle scale. “In contrapposizione a un credo del
moderno, l’edificio di progetto ha un fronte e un
retro chiaramente riconoscibili. A nostro avviso,
questa è la conseguenza necessaria, a livello
urbano, di isolati costruiti solo lungo il perimetro.
L’orientamento principale è forzatamente quello
pubblico, verso la strada. La parte a nord è invece
il retro, la zona più privata, consegnata a elementi
casuali e al bisogno di espressione individuale.
Poiché all’interno dell’isolato c’è un cortile e non
un giardino pubblico o un parco, l’immagine qui
doveva essere segnata ancora con più forza dagli
interessi privati di chi vi abita. Verso la strada,
invece, il carattere pubblico è prioritario e il
bisogno di espressione privata trova qui il suo
limite”91.
Viene confermata anche la volontà di
nascondere tutto ciò che riguarda l’automobile,
e cioè autorimesse e percorsi di servizio:
l’interramento con accesso tramite una rampa
dalla strada pubblica è la soluzione che diventerà
standard nelle nuove costruzioni in città, e che
permette di separare nettamente la quiete
dei giardini interni, ad uso esclusivamente
pedonale, dalle strutture di servizio e di mobilità
privata, rumorose e inquinanti, fermate così
nell’anello più esterno dell’isolato residenziale.
L’unico inconveniente di questa soluzione è
che il percorso di accesso agli appartamenti,
soprattutto quando l’automobile diventa il
principale mezzo di trasporto in città, è troppo
diretto, secondo la formula box-ascensore-porta
di casa, escludendo gli abitanti dall’esperienza
di quegli spazi di mediazione tra vita pubblica e
casa privata che l’isolato a corte configura con
precisione. Ma la questione è ancora oggi molto
aperta, data la difficoltà di conciliare una forma
191
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
192
urbana legata ad una fruizione sostanzialmente
pedonale e l’urgenza di trovare una sistemazione
per il numero sempre crescente di automobili
private, che evidentemente occupano troppo
suolo pubblico per essere semplicemente lasciate
lungo le strade.
Nella parte sud del complesso Victoria un
isolato stretto e lungo è racchiuso non da un
volume continuo, ma da una serie di padiglioni
a pianta quadrata, o ville urbane, disposti lungo
il perimetro a distanza regolare. In questo modo
il giardino interno, di circa 3.000 m2, risulta
collettivo e attraversabile perché, a differenza
dell’isolato a nord, è passaggio obbligato per
gli ingressi dei padiglioni. La disposizione a
corte di padiglioni isolati è proposta anche da
Rob Krier in Rauchstrasse; in questo caso la
volontà di operare in continuità con la storia lo
spinge a riproporre il tipo a “villa urbana” che
aveva caratterizzato l’area tra il Tiergarten e il
Landwehrkanal a partire dai primi insediamenti
H. Kollhoff, complesso residenziale Victoria, Berlino,
1980.
R. Krier, ville urbane in Rauchstrasse, Berlino, 1982.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
O.M. Ungers, blocco d’abitazione su Lützowplatz,
1982.
della seconda metà dell’ottocento. Anche qui la
sistemazione è imperniata sul giardino centrale
di fruizione collettiva, e quindi la corte viene
riproposta con una forma appartenente al
passato ma con un nuovo valore per la residenza
urbana.
Una soluzione intermedia sembra essere
invece quella di Oswald Mathias Ungers per
Lützowplatz: per racchiudere uno spazio interno
collettivo trattato a giardino utilizza su un lato
un volume continuo, configurato come un blocco
in linea, dall’altro una serie di padiglioni isolati.
Anche in questo caso, come nel complesso
Victoria, la volontà di costruire perimetralmente
l’isolato è incrinata dalla difficoltà di risvoltare
l’angolo con una variazione nel corpo in linea,
per cui si preferisce lasciare un vuoto, staccare
gli edifici, o risvoltare con un fianco quasi cieco,
193
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
194
come nel complesso di Ungers. L’ambiguità
di questo progetto è confermata anche dalla
imprecisata funzione della corte allungata, troppo
stretta per essere un giardino, e al contempo
priva dei percorsi di accesso alle scale, collocati
tutti invariabilmente all’esterno.
Il progetto dello stesso Ungers in
Kothenerstrasse, invece, sembra essere più
significativo per il valore attribuito allo spazio
chiuso in sé e alla forma precisa della corte come
elemento del progetto urbano. L’unità dello
spazio è assicurata da impianto perfettamente
quadrato che racchiude una piccola corte di 20
x 20 metri con un albero al centro. La ridotta
superficie di soli 400 m2 in realtà si prolunga
verso la strada, attraverso portali di tre piani
di altezza che rendono lo spazio interno
percepibile dal marciapiede pubblico. L’accesso
alla distribuzione verticale avviene sotto questi
“androni”, e le scale sono posizionate nei
quattro angoli interni, i punti più sfavorevoli
per l’illuminazione naturale. In questo impianto
rigido non sembra esserci una regola precisa
per la posizione degli ambienti in pianta: locali
di servizio, camere e soggiorni sono collocati
indifferentemente all’interno e all’esterno, ma
l’uniformità dei prospetti è garantita da un unico
O.M. Ungers, blocco d’abitazione in Kothenerstrasse,
1987.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
Martorell, Bohigas, Mackay, complesso residenziale
La Maquinista, Barcellona, 1979.
tipo di apertura ripetuta sia nella corte che su
strada. Per questo motivo l’isolato quadrato
di Ungers è la rappresentazione astratta di un
atteggiamento che riconosce la disposizione
a corte come la sintesi del progetto urbano di
residenza.
L’esperienza dell’I.B.A. di Berlino, di cui
abbiamo riportato alcuni esempi, è sicuramente
il momento più importante di verifica
dell’atteggiamento critico e progettuale nei
confronti della città e della storia emerso tra gli
anni ’70 e gli anni ’80. Per questo motivo essa
ha avuto una grande risonanza in tutta Europa,
oltre che una certa influenza su esperienze meno
note che riguardano le periferie di alcune grandi
città.
A tal proposito, e per dimostrare come la
tendenza a riproporre la forma chiusa della corte
fosse alquanto generalizzata in quel periodo,
sembra interessante riportare l’esperienza di
Martorell, Bohigas e Mackay nell’area urbana di
Barcellona e quella di Manuel e Ignacio De Las
Casas a Madrid.
Lo studio MBM è impegnato in una ricerca
costante per trovare una sintesi tra le istanze
e le conquiste del moderno nel campo della
residenza e una forma che assicuri continuità
con la città esistente, senza eliminare gli spazi
strutturanti della strada e della piazza. “The aim
has been to establish the theoretical principles and
design methods of an architecture which restores
to the city a form and an image rooted in tradition
– the street, the square, and even the formal matrix
of the closed city block – yet without abandoning
the unquestionable achievements of the Modern
Movement, especially in the field of residential
typologies. That is, to accept the criticism –
hygienic, economic, social, ect. – of the nineteenth
century city while at the same time acknowledging
that the more significative forms of that tradition
could absorb new types of dwelling in the making
of hygienic, economic, and social housing which
195
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
196
would require neither redents, nor deurbanization,
nor zoning”92.
Tra i numerosi progetti a corte realizzati, due
in particolare sembrano introdurre importanti
elementi di novità che dimostrano come la
sperimentazione sul blocco chiuso possa portare
ad una ricchezza spaziale che va oltre la semplice
costruzione perimetrale: nel complesso La
Maquinista a Barcellona, del 1979, il lavoro
sullo spazio aperto ha portato ad una fusione tra
dentro e fuori, tra interno ed esterno, con una
corte residenziale attraversata da una strada al
centro; nel blocco di Mollet, del 1983, un lato
della corte quadrata diventa doppio, definendo
così lo spazio di una strada pedonale che funge
da filtro tra il cuore interno dell’isolato e la strada
pubblica.
Nella capitale spagnola, invece, Ignacio De
Las Casas critica la mancanza di un principio
guida che informi i progetti urbani dei nuovi
nuclei residenziali cresciuti a dismisura nella
Comunidad de Madrid negli anni ’80, senza
direttive precise che controllino lo spazio
pubblico e le tipologie delle case, e suggerisce un
modello di città che erediti dal passato le regole
di costruzione urbana, come l’allineamento degli
edifici sui margini stradali, o l’utilizzo dei blocchi
a corte, e allo stesso tempo accolga le conquiste
del Movimento Moderno per la residenza.
“Viene abbandonato non solo il controllo del
modello urbano, ma anche il rigore nel disegno
dell’abitazione. [...] Sembra che si confidi nel
rispetto della normativa sperando che risulti
una buona architettura. Invece, com’è logico,
anche ipotizzando una normativa ottima, questa
è astratta e la sua applicazione automatica non
può risolvere i problemi se manca un’adeguata
interpretazione spaziale”93. Parlando della città
del passato invece afferma: “Questa immagine
oggi rimpianta di città in espansione, egualitaria
e continua, considerata miglior soluzione per la
città, non smette di essere un modello astratto
Martorell, Bohigas, Mackay, complesso residenziale a
corte, Mollet, 1983.
V - Abbandono e riaffioramenti della forma chiusa
M. e I. De Las Casas, quartiere Fontinas a Santiago de
Compostela, Madrid, 1982.
di riferimento. Era un modello inventato per
risolvere una città di un milione, un milione e
mezzo di abitanti, ma non è oggi né soddisfacente,
né adeguato per una città di quattro o cinque
milioni. Bisognerà continuare nella ricerca di
nuove impostazioni, che facciano proprie sia le
conquiste dei Movimenti Moderni che i vantaggi
di altri modelli di città storica”94.
Questa concezione di controllo dello spazio
urbano si attua ancora una volta attraverso un
utilizzo sistematico dell’isolato a corte, declinato
con diverse funzioni e dimensioni, nel progetto
del quartiere Fontinas a Santiago de Compostela,
Madrid, 1982-1988. Questo progetto è fondato
su un isolato urbano base di forma quadrata e
costruito con la corte centrale aperta su un lato;
l’asse di simmetria, sul quale si organizzano i
blocchi, attraversa al centro una corte gigante,
ottenuta dal raggruppamento di 4 isolati, di circa
100 x 100 metri; il centro del quartiere, racchiuso
da questa corte eccezionale, risulta così pubblico
e attraversabile, a differenza degli altri isolati,
che hanno un interno protetto, domestico e
destinato a giardino.
197
KCAP, Müllerpier Masterplan, Rotterdam, 1998.
VI.
Rarefazione di una tipologia: il panorama
contemporaneo
Com’è noto, è molto difficile individuare
nel panorama architettonico contemporaneo
una tendenza comune e condivisa per quanto
riguarda l’approccio al progetto urbano; lo è
ancora di più mettere a fuoco il rapporto tra le
realizzazioni di nuovi quartieri e il tipo urbano
a corte, inteso come principio di aggregazione
della residenza attorno ad uno spazio interno
collettivo, ma anche come principio ordinatore
del disegno urbano.
Si riscontra in generale un processo di
globalizzazione della cultura architettonica,
favorito dalla diffusione dei mezzi di
comunicazione informatici, che porta alla
condivisione in tempo reale delle esperienze
progettuali, e alla conoscenza di fenomeni di
trasformazione simili in territori urbani anche
molto lontani. A fronte di una somiglianza nella
modalità di crescita delle città europee, di un
appiattimento dei bisogni e delle aspettative degli
abitanti, non abbiamo una risposta progettuale
univoca, ma al contrario un sostanziale localismo,
e cioè l’esplosione di una grande varietà di metodi
di previsione progettuale che variano caso per
caso, in cui i tipi urbani non sono considerati
risolutori di specifici problemi architettonici;
spesso la corte, la torre, il blocco in linea, la
schiera sono utilizzati indifferentemente come
in un collage casuale, in una sorta di eccesso
di variazione per rispondere a tutte le presunte
richieste dei futuri abitanti.
Forse il tentativo di trovare linee di pensiero
e di progetto dominanti, ammettendo che fosse
possibile, sarebbe anche poco interessante ai
fini di questa ricerca; sembra più utile invece
rintracciare alcuni nodi problematici ancora
aperti, o considerare esempi particolarmente
199
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
significativi che introducono temi ed elementi
innovativi, ma sempre all’interno della matrice
spaziale della corte collettiva.
200
Un tema ancora aperto, poiché coincide
con un bisogno sempre crescente nella vita
contemporanea, è il rapporto tra la disposizione
a corte e l’elemento naturale, inteso di volta in
volta come giardino costruito e disegnato, come
paesaggio naturale oppure agricolo.
Il verde nella vita urbana rappresenta il
momento di quiete, il luogo di svago, di silenzio,
di relax, oltre che una preziosa riserva di aria
pulita: nella città compatta esso è generalmente
un elemento eccezionale, anche in termini
quantitativi, rispetto al suolo pavimentato o
costruito. In questo caso il tipo urbano a corte
ha sempre contribuito a definire il luogo adatto
per il verde: l’atto di racchiudere uno spazio
separato dalla città al di fuori è accompagnato
quasi sempre dalla volontà di caratterizzarlo in
contrapposizione con lo spazio urbano pubblico
della strada, e quindi attraverso elementi naturali
come prato, alberi, arbusti, siepi. Allo stesso
tempo questo interno prezioso per la vita urbana
è protetto, simbolicamente e fisicamente, dalla
continuità del volume costruito che lo circonda.
Quando la dimensione della corte è ridotta,
il giardino presenta un carattere domestico,
che può variare a seconda di molti fattori: la
vicinanza dei corpi di fabbrica perimetrali, la
presenza o meno di orti, di elementi come i giochi
per i bambini, degli affacci delle zone giorno
o di eventuali prolungamenti all’aperto come
le logge, la posizione degli ingressi alle scale e
dei relativi percorsi. Negli esempi analizzati
nei capitoli precedenti abbiamo trovato molte
combinazioni diverse di questi elementi, ed è
chiaro come ogni piccola variazione contribuisca
a cambiare il risultato finale. A volte la corte
può essere invece molto grande, perdendo il
carattere domestico e diventando un parco di
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
Kempe e Thill, “Living in-between”, progetto di
concorso Europan 5, Rotterdam, 1999.
respiro pubblico: il volume costruito diventa
uno sfondo che ne delimita i confini, ma non
influisce più in modo decisivo sulla qualità
dello spazio, che dipende invece dal disegno e
dall’organizzazione del “vuoto”. Generalmente
la corte di grandi dimensioni diventa pubblica
e attraversabile, rispecchiando il sentire di una
collettività allargata: per questo la città guadagna
un parco interno, mentre gli appartamenti che vi
si affacciano perdono il luogo dove prolungare
all’aperto le attività domestiche, ma stabiliscono
con esso un rapporto di tipo contemplativo.
Recentemente però l’esigenza di vivere più
a contatto con la natura ha portato a soluzioni
che utilizzano la corte per appropriarsi di intere
parti molto dense di verde, simili ad un bosco
trasportato all’interno e mantenuto gelosamente
separato dall’esterno della città, come una risorsa
da proteggere; è il caso del progetto vincitore
del concorso Europan 5 a Rotterdam, “Living
in-between”, di Kempe e Thill. In questo caso
201
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
202
la forma chiusa della corte, con una superficie
che va dai 2.000 ai 2.500 m2, è utilizzata come
soluzione dei problemi di isolamento dalla vita
pubblica e caotica della città, nascondendo un
interno di giardini rigogliosi; con la diminuzione
della profondità del corpo di fabbrica, qui
proposto di soli 5 metri, si ottiene una maggiore
superficie di affaccio sia verso l’interno che verso
l’esterno: “Many people believe that they can get
closer to nature if they take up residence in terraced
housing in the suburbs. An urban alternative has
been developed for them: a building type which
replaces the urban sprawl with a inner-urban
sprawl. Residents live in a mere five-metre-deep
zone which separates the urban external space from
a large winter garden”95. Le stanze in questo modo
possono godere di una doppia esposizione, che è
anche una doppia natura, pubblica o intima; allo
stesso tempo il volume, poco profondo e molto
vetrato, lascia trasparire all’esterno il cuore
Kempe e Thill, “Living in-between”, progetto di
concorso Europan 5, Rotterdam, 1999.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
H. Kollhoff, progetto per Tegel sud, Berlino, 1989.
verde della corte: chiusura per nascondere un
giardino segreto, e trasparenza per estendere
alla città la qualità del verde. Inoltre questa
soluzione possiede una importante valenza
ambientale, oggi molto attuale per i climi nordici:
il giardino d’inverno si può chiudere con una
copertura trasparente, diventando una grande
serra utilizzata anche per il risparmio energetico
dell’edificio stesso.
Se il progetto di Kempe e Thill racchiude un vero
bosco artificiale, portato all’interno a generare
una nuova qualità separata dalla vita urbana
pubblica attraverso la forma chiusa della corte,
altri approcci invece, sempre in ambiti urbani,
ricercano modi più liberi di inglobare l’elemento
naturale con la forma della corte, accogliendo il
verde senza distinguere precisamente un dentro
e un fuori. Il progetto di Kollhoff per Tegel sud
del 1989, per esempio, sembra contenere al suo
interno i principi razionalisti del blocco isolato nel
verde e le regole urbane dell’edilizia compatta:
il lungo edificio continuo che si sviluppa nel
verde tuttavia definisce degli ambiti ben precisi
attraverso la disposizione a corte aperta, in
equilibrio tra carattere pubblico e domestico,
rifacendosi alla qualità rappresentativa della
siedlung Britz di Taut. “[...] oltre a una coerente
edificazione dell’isolato sul perimetro, con il
suo limitato potenziale nel soddisfare differenti
aspettative abitative e oltre alla cosiddetta villa
urbana, che contraddice sotto tutti i punti di vista
le intenzioni di un’edilizia abitativa sociale, non
è stato intrapreso ancora niente che, da un lato,
sollevi la problematica dell’edilizia residenziale
di massa e, dall’altro, giunga alla significanza
costruttiva e spaziale del ferro di cavallo di Bruno
Taut. [...] intenzione specifica di riallacciarsi a
questa tradizione berlinese di un’edificazione
aperta, che crei degli spazi e sia figurativa [...]
ricerca di un effetto di apertura paesaggistica,
nonostante la densità edilizia”96.
Se da un lato vi sono i tentativi di includere
203
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
204
l’elemento naturale negli ambiti urbani densi
della città compatta, dall’altro si aprono tutte
le problematiche relative alle nuove espansioni
urbane nel territorio, caratterizzate da una
bassa densità e dalla presenza già importante
del paesaggio naturale e agricolo, in quanto
preesistenza che struttura il territorio. Come
sostiene Martí Arís, in questi contesti di periferia,
o comunque esterni alla città consolidata, non si
può pensare di estendere all’infinito il disegno
urbano del tessuto storico senza accogliere i
nuovi elementi nella strategia urbana: “Bien al
contrario, estamos asistiendo a la emergencia de
los valores específicos de la periferia como lugar
abierto, distendido, bien comunicado con los
grandes equipamientos e infraestructuras, lugar de
contacto con los grandes vacíos y con los espacios
naturales, ámbito de fácil acomodo para las nuevas
formas de instalación residencial”97.
In questo senso si possono leggere i progetti
del Movimento Moderno che mettevano in
questione la strada corridoio: la volontà di aprire
l’isolato chiuso era un tentativo di diminuire
la densità dei nuovi quartieri rispetto alla città
storica, incorporando i grandi vuoti del paesaggio
naturale, e cercando una organizzazione
che permettesse un contatto con il verde più
H. Kollhoff, progetto per Tegel sud, Berlino, 1989.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
Nijenhuis e Vos, progetto di concorso Europan 5,
Almere, 1999.
Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia.
immediato e intenso. Tuttavia il blocco in linea
isolato nel verde non è il solo modo per mettere in
pratica questo rapporto: la disposizione a corte,
a prescindere dalla riduttiva identificazione con
l’edilizia compatta e da limiti dimensionali fissati
a priori, può benissimo accogliere gli elementi del
paesaggio naturale, trasformarli in dati portanti
del progetto e istituire con loro un nuovo e
intenso contatto.
Risulta difficile tuttavia verificare tale
possibilità
nell’architettura
residenziale
costruita, poiché nella grande maggioranza dei
casi le realizzazioni nei contesti di bassa densità
delle città europee hanno preso la strada della
casa unifamiliare su lotto, che, con grande spreco
di territorio, tende a cancellare le preesistenti
tracce naturali. Un esempio significativo, anche
se non ancora costruito, può essere il progetto
vincitore del concorso di Europan 5 ad Almere,
di Nijenhuis e Vos: una corte bassa, dilatata fino
a una lunghezza di 400 metri e sopraelevata dal
suolo si adagia nel paesaggio agricolo del polder,
esaltandone l’orizzontalità e assicurando anche
una continuità del suolo naturale. Il progetto
estremizza le dimensioni della corte che, con
una superficie di 21.000 m2, delimita una intera
porzione di campagna; dal verde racchiuso
all’interno, su cui affacciano le case a due piani
legate fra di loro da un ballatoio continuo, nascono
205
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
206
bassi volumi che ospitano funzioni legate al tempo
libero e al relax. Nella relazione i progettisti
insistono sulla possibilità di mantenere intatta
la bellezza del paesaggio agricolo, evitandone la
frammentazione e la privatizzazione che avviene
con la diffusione della casa unifamiliare: “In
suburban residential areas such as Almere Buiten
the beauty of the open polder landscape is divided
into fragmented private gardens and small parks”98.
Sorge quindi il bisogno e la ricerca di una nuova
dimensione, più estesa e dilatata in cui la forma
a corte riveste un ruolo risolutivo: consona al
paesaggio orizzontale della campagna, essa
garantisce anche un rapporto diretto con il dato
naturale originale, radicato nel territorio, e non
modificato dall’azione particolare di ogni singolo
abitante. Tuttavia è chiaro che questa visione
sfiora i confini dell’utopia se confrontata con
la diffusa tendenza verso una frammentazione
e una privatizzazione del suolo che dilaga nei
territori a bassa densità.
È interessante fare un parallelo, anche se
a grande distanza di spazio e di tempo, tra
questa soluzione e un insediamento agricolo
del XVII secolo nella pianura lombarda, la
corte residenziale di Monticelli d’Oglio. Fatte
le dovute distinzioni tra un progetto di concorso
e un complesso antico che ha subito aggiunte
e modifiche nel tempo, e tra il carattere della
campagna olandese e quella italiana, si possono
trovare alcune analogie nel modo in cui la forma
generale a corte riesce a stabilire un rapporto
con il territorio naturale e con lo spazio aperto:
le case hanno un affaccio diretto sull’estesa
Nijenhuis e Vos, progetto di concorso Europan 5,
Almere, 1999.
Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia.
207
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
campagna all’esterno, mentre all’interno si
aprono sulla corte collettiva dove l’elemento
naturale viene “urbanizzato”; con una superficie
di circa 6.000 m2, la corte diventa così una piazza
interna dedicata alle attività comuni e di svago, e
quindi in diretto contatto con le case attraverso
gli ingressi collocati sotto il porticato continuo.
All’esterno, invece, il territorio agricolo rimanda
a una natura estranea e selvaggia, legata alle
attività del lavoro; il rapporto è qui soltanto
contemplativo, e la facciata continua accentua il
senso di difesa. Con una certa coerenza generale,
anche gli elementi dell’architettura sono collocati
seguendo questa logica: all’interno, di carattere
collettivo, troviamo il porticato e gli ingressi
alle case; all’esterno, più legato ad un rapporto
individuale con la natura, vi sono finestre rialzate
dal suolo, piccoli terrazzi e orti privati. Il borgo di
Monticelli, recentemente recuperato con un certo
successo in termini di nuovi abitanti, è un caso
in cui la forma a corte, di origine antica e in un
contesto naturale, sembra aderire perfettamente
alle esigenze dell’abitare contemporaneo, in
equilibrio tra collettività e intimità, e stabilendo
uno stretto rapporto con la natura.
L’organizzazione a corte della residenza,
quindi, nel complesso rapporto che può stabilire
con la natura si dimostra come una forma
risolutrice, sia nei contesti urbani che nei territori
estesi della periferia: il procedimento-chiave, il
principio progettuale su cui si basa questo tipo
urbano è rappresentato dall’atto fondativo di
racchiudere una porzione di spazio aperto e
trasformarlo, dandogli un nuovo significato in
contrapposizione con lo spazio esterno. Se in
città la corte tende a isolare porzioni di natura
in contrasto con il suolo artificiale dello spazio
pubblico esterno, in campagna invece al contesto
paesaggistico esterno si oppone una corte
pavimentata, “urbanizzata”, oppure destinata ad
ospitare attrezzature comuni.
208
Corte residenziale di Monticelli d’Oglio, Brescia.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
H. Kollhoff, complesso residenziale Malchower Weg,
Berlino, 1992.
Abbiamo già detto che nel panorama
contemporaneo la disposizione a corte nella
residenza collettiva non presenta costanti
formali, nel senso che non è possibile rintracciare
nei progetti recenti la ripetizione di una forma
ritenuta ottimale e applicata in contesti simili;
è evidente tuttavia la diffusione di una certa
attitudine ad utilizzare il principio aggregativo
della corte e a identificarlo a priori con la
funzione residenziale: l’atto di radunarsi intorno
ad un grande vuoto è un’azione semplice e antica
che indica la collettività dell’abitare, oltre che un
modo sicuro di costruire un’immagine conclusa
dell’insieme residenziale e garantire l’identità.
Spesso si può riscontrare come il tipo urbano che
abbiamo fin qui descritto attraverso gli esempi
venga scomposto e ricomposto secondo un nuovo
ordine; vengono applicate distorsioni alla forma
e dilatazioni alle dimensioni; oppure talvolta,
nell’operazione di smontaggio e ricomposizione,
il tipo viene proposto solo con pochi ma
inequivocabili elementi progettuali costitutivi
che rimandano alla disposizione a corte.
Si riscontrano alcuni casi in cui la continuità
della costruzione perimetrale è spezzata, e
l’organizzazione della residenza attorno ad uno
spazio comune libero avviene per mezzo di volumi
residenziali isolati. Il complesso residenziale
Malchower Weg di Kollhoff, del 1992, rifacendosi
alla tipologia della villa urbana, dispone i blocchi
isolati intorno ad un piccolo giardino comune. A
prima vista l’ensemble può sembrare un semplice
gruppo di edifici con corpo scale centrale
disposti in serie; tuttavia vi sono degli elementi
che rimandano inequivocabilmente alla forma
insediativa della corte. Il basamento rialzato di
1,4 metri su cui poggiano le case rappresenta
un primo recinto, che definisce precisamente
un dentro e un fuori; i gruppi di 8 case sono
disposti chiaramente a corte poiché risvoltano
gli angoli con una rotazione di 90 gradi e sono
alquanto ravvicinati fra loro, così da generare un
209
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
210
secondo recinto più interno; i locali di soggiorno
e i giardini d’inverno sono tutti affacciati verso
l’interno, dove il giardino comune è disegnato
con gruppi di betulle e panchine, in un’atmosfera
di intimità condivisa.
Un esempio che invece propone la corte ad una
scala molto più grande è il quartiere Kitagata a
Gifu, del 1994; anche se il Giappone esula dai
confini geografici di questa ricerca, sembra
lecito inserirlo in questo elenco di casi proprio
per la condizione globale in cui si trova la cultura
architettonica contemporanea. Il complesso
residenziale, coordinato nella fase preliminare
da Arata Isozaki, organizza 4 blocchi in linea di
10 piani piegati intorno ad una grande corte, che
raggiunge la superficie di 25.000 m2; all’interno
trovano posto servizi collettivi, attività di
svago e un giardino tematico. La dimensione è
adeguata al carattere pubblico dello spazio, che è
attraversabile e diventa in questo modo il centro
simbolico e sociale del quartiere. Nel blocco
progettato da Kazujo Sejima, coerentemente
con la qualità della grande corte, verso l’interno
sono collocate le scale esterne di accesso e i
ballatoi; al contrario, nel complesso Malchower
Weg a Berlino gli ingressi erano mantenuti
rigorosamente verso la strada esterna, per
H. Kollhoff, complesso residenziale Malchower Weg,
Berlino, 1992.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
A. Isozaki, quartiere Kitagata, Gifu, 1994.
preservare l’intimità del giardino centrale.
La qualità e il tipo di spazio racchiuso,
che rispecchiano la condizione comunitaria
dell’abitare collettivo, dipendono quindi da
molti fattori legati a precise scelte progettuali:
la “fondazione” della differenza con lo spazio
esterno, la continuità della cortina edilizia
perimetrale, il grado di isolamento del cuore
centrale (anche con più recinti concentrici), i tipi
di affaccio interno ed esterno, la posizione degli
ingressi alle case e i relativi percorsi. Per ognuno
di questi aspetti sarebbe possibile un ulteriore
approfondimento basato anche sul confronto
incrociato dei casi: per esempio, la dimensione
della corte in rapporto all’altezza dei volumi, alla
quantità di appartamenti che vi si affacciano e
alla posizione di scale e ingressi, è un fattore che
ne determina inequivocabilmente il carattere.
La domesticità, l’accoglienza e l’intimità di uno
spazio che si presenta come prolungamento
all’aperto delle case tendono a caratterizzare le
corti di piccole dimensioni, fino a circa 2.500 m2;
al contrario, nelle corti che superano i 10.000
m2 si perde il contatto diretto tra le case e lo
spazio aperto e diminuisce la possibilità di uno
sguardo diretto negli appartamenti, favorendo
così un uso pubblico della corte, o l’inclusione
211
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
212
di intere porzioni di paesaggio naturale. Una
situazione problematica si presenta per le corti
di dimensioni intermedie, spesso troppo grandi
per una domesticità controllata e troppo piccole
per una fruizione pubblica; talvolta vi è il rischio
di richiamare un’immagine di eccessiva densità,
o di volontà speculativa, come negli höfe viennesi
degli anni ’20 oppure nel complesso residenziale
di de Architekten Cie. nel quartiere Kop van
Zuid a Rotterdam, del 1991. In altri casi la
dimensione ridotta non è sufficiente a garantire
la domesticità dello spazio aperto racchiuso: nel
progetto di Kollhoff per la KNSM-Eiland ad
Amsterdam, del 1991, una delle corti ottenute
De Architekten Cie, complesso residenziale Kop van
Zuid, Rotterdam, 1991.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
dalla distorsione del volume costruito esprime il
suo valore pubblico, nonostante i soli 1.200 m2
di superficie, grazie all’apertura di un lato con
un alto colonnato che lascia entrare la città al di
fuori.
H. Kollhoff, complesso residenziale in KNSM-Eiland,
Amstedam, 1991.
Un altro tema ancora aperto è la possibilità
del tipo a corte di rappresentare un principio
generale di disegno urbano, una regola di
urbanizzazione dei nuovi quartieri residenziali: a
questo proposito vi sono esempi molto diversi,
che tendono a proporre modelli selezionando
dal grande bacino della storia gli esempi più
adatti allo scopo. La maggior parte delle nuove
realizzazioni a cui ci riferiamo ha sede in Olanda,
che continua ad avere, a differenza degli altri
paesi europei, una grande produzione di edilizia
residenziale.
Mettendo a confronto i due nuovi insediamenti
di Ij-burg e Borneo-Sporenburg ad Amsterdam,
appare subito evidente una caratteristica che li
accomuna: la distanza dai modelli rappresentati
dai quartieri razionalisti, in quanto entrambi
eliminano il tipo in linea a blocco isolato e la
disposizione seriale dal proprio vocabolario
urbano. Tutti e due, inoltre, fondano l’impianto
generale su una griglia che definisce una maglia
regolare di strade e isolati, per poi operare una
paziente ricerca di variazione della regola; la
differenza sostanziale invece sta nella modalità
di costruzione degli isolati, e nel tipo urbano di
riferimento.
Nel quartiere di Ij-burg viene adottato come
punto di partenza il principio della costruzione
perimetrale degli isolati che, con una dimensione
213
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
214
De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter,
quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
De Architekten Cie, Claus en Kaan, Schaap en Stigter,
quartiere Ij-burg, Amsterdam, 2001.
media di 90 x 170 metri, possono mantenere
così le corti centrali di notevoli dimensioni.
Successivamente però, come mostrano gli schemi
di progetto, la forma chiusa subisce distorsioni e
interruzioni nella continuità del perimetro, per
poi giungere ad una estrema frammentazione e
ad una suddivisione per parti distinte, assegnate a
diversi progettisti. Si ottiene in questo modo una
completa perdita di unità nel progetto d’insieme,
nei fronti stradali e nella corte, dove edifici
distinti si confrontano senza rispettare regole
planimetriche comuni o costanti progettuali,
ma riproducendo una voluta casualità di
accostamento e una estrema schizofrenia nella
variazione tipologica. La mancanza di una regola
nel tipo che costruisce l’isolato vanifica, in alcuni
casi, gli sforzi per ottenere una corte interna che
215
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
sia una coerente espressione di un modo di vita
urbano, nonché un’immagine unitaria dell’abitare
collettivo caratteristico dell’isolato a corte.
Nella penisola di Borneo-Sporenburg, invece,
gli isolati non prevedono uno spazio libero
interno e collettivo: non sono isolati “cavi”,
ma isolati “pieni”, suddivisi con lotti edificabili
stretti e profondi e occupati da case costruite sul
modello dell’edilizia gotico mercantile, anche
se con l’introduzione di patii privati. In questo
quartiere il tipo urbano a corte collettiva non
struttura il normale tessuto edilizio, ma compare
solo come eccezionalità, invertendo la tradizione
storica: grandi “monumenti” residenziali a corte
chiusa sono utilizzati come strumenti di rottura
della regola, luoghi di una spazialità più aperta
che dialoga con il paesaggio.
216
Concludiamo questa ricerca con il caso
dei recenti progetti residenziali costruiti a
Barcellona, città che presenta un carattere
eccezionale nel panorama delle grandi città
europee proprio grazie alla continua azione
regolatrice del piano di Cerdà. Anche a distanza
di un secolo e mezzo, il progetto di ensanche (che
abbiamo analizzato nel capitolo III) continua
ad avere una grande influenza sul territorio
A. Geuze, quartiere Borneo-Sporenburg, Amsterdam,
1997.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
Trasformazioni recenti, Villa Olimpica e Poble Nou,
Barcellona.
della città catalana in espansione; le ragioni
sono molteplici, e tra queste il fatto che il piano
di Cerdà prevedesse già allora l’estensione
della maglia regolatrice fondata sull’isolato
quadrato in tutto il territorio circostante, dal
Montjuic al fiume Besós. Di conseguenza
le nuove operazioni di trasformazione della
città, concentrate soprattutto nel settore nord
orientale caratterizzato dalla presenza di grandi
sacche industriali che impedivano l’accesso al
mare, hanno avuto inevitabilmente un costante
termine di confronto; proprio in questi casi è
emersa la potenzialità del piano, che indica
un principio di urbanizzazione aperto a molte
combinazioni e variazioni e non una regola fissa
e rigida di costruzione dell’isolato.
La realizzazione della Villa Olimpica nel
1992 mette in moto il processo di rinnovamento
di tutto il settore; il progetto, coordinato da
Martorell, Bohigas e Mackay, propone la
prosecuzione della maglia del piano Cerdà,
modificata soltanto dalle irregolarità dei tracciati
ferroviari preesistenti. La libera interpretazione
nella costruzione degli isolati, tuttavia, attuata
con l’accorpamento di più blocchi e con una
notevole frammentazione dovuta alle numerose
soluzioni particolari, ha suscitato alcune critiche
sul risultato finale: “Si è voluto presentare la
Villa Olimpica come un prolungamento verso
il mare della trama di Cerdà, però in realtà è
completamente estranea alla condizione generica
e ripetitiva dell’ensanche, visto che scaturisce
dall’accumulazione di soluzioni particolari che
esaltano la singolarità di ogni caso. Dagli schizzi
iniziali alla sua costruzione si è mantenuto come
criterio la rinuncia alla componente strutturale
del progetto favorendo un atteggiamento
fenomenologico ed eclettico. Il risultato è un
pezzo di città eterogeneo e pittoresco, nel quale
si moltiplicano gli effetti visuali e la varietà di
situazioni fino al punto in cui la norma urbana si
sfuma diventando irriconoscibile”99.
217
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
218
Sembra interessante comunque il tentativo di
lavorare su una dimensione che superi la scala
del singolo isolato, come d’altra parte suggeriva
lo stesso Cerdà negli schemi combinatori allegati
al piano; è il caso dell’isolato Nova Icària di
Martorell, Bohigas e Mackay, che individua
un ambito interno protetto dalla continuità
della cortina perimetrale dove organizzare
un’edificazione più bassa, impensabile in un
normale contesto urbano denso, ma rinunciando
così allo spazio aperto collettivo. Questo progetto
si propone quindi la fondazione di un luogo
domestico e a scala umana all’interno del corpo
della grande città. A questo proposito, i progettisti
parlano del complesso come di un punto di
arrivo nella loro ricerca sull’isolato urbano, che
sintetizza i valori spaziali della città consolidata e
le conquiste moderne sulla residenza: “Up to this
point we had always worked with city blocks which
Martorell, Bohigas, Mackay, piano per la Villa
Olimpica, Barcellona, 1990.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
Martorell, Bohigas, Mackay, complesso Nova Icària,
Barcellona, 1990.
had an area of about 1 hectare. The scale and
dimension of this project allows the organisation of
superblocks of 4 or 5 hectares, in which the central
space has the potential to be more than an empty
space which complements the band of construction:
it can be an area of new residential typologies,
difficult to include within the compactness of this
band. The penetration of vehicular traffic can
also be systemised, continuing the layout of all
the streets of the Cerdà grid, by way of gateway
buildings which mark out the meeting point and
the articulation of the two urban scales. To some
extent, out of an experimental process directed at
the recuperation of the city block and the street, a
solution has been arrived at which is very similar to
the Viennese Höfe. What was at the time virtually
an intermediary step between the nineteenth century
city block – in the style of Cerdà or Haussmann
– and the Siedlungen or the Ville Radieuse, is now
the final step in a re-examination whose objective is
not exactly an acritical return”100.
Il progetto di Carlos Ferrater, nel quartiere
Poble Nou, sembra invece rispettare non solo
la dimensione originale del singolo isolato,
219
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
220
ma anche l’unità dell’intervento; i tre isolati
residenziali, con un trattamento uniforme
dei fronti, nascondono un interno destinato a
giardino che mantiene un carattere domestico
nonostante le dimensioni della corte, di circa
5.000 m2: le logge delle camere affacciano
verso il silenzioso spazio progettato con filari di
alberi, vasche d’acqua, percorsi e panchine. Allo
stesso tempo le corti diventano un nuovo spazio
pubblico per la città, poiché sono attraversabili
con un viale pedonale che le unisce, spezzando la
continuità del volume perimetrale e introducendo
così un nuovo tracciato alternativo all’interno
della rigida maglia viaria. Questo intervento,
rispetto ai superisolati affacciati sul mare a sud,
rientra più coerentemente nella logica ripetitiva
dell’ensanche, in quanto mette a punto una regola
di costruzione dell’isolato e la declina con poche
variazioni, riservando per la residenza la funzione
di tessuto di base della città, senza elementi di
eccezionalità o di singolarità. Al contrario, gli
isolati come Nova Icària, grazie alle notevoli
dimensioni della corte, possono accogliere
un programma funzionale più complesso, che
comprende oltre alla residenza anche funzioni
diverse legate al commercio, allo svago e allo
sport; essi non possono tuttavia diventare regola
generale di costruzione della città.
Un ultimo caso interessante è la costruzione
dei cinque isolati del fronte marittimo del Poble
C. Ferrater, isolati residenziali al Poble Nou,
Barcellona, 1992.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
E. Bru, progetto per il fronte marittimo del Poble Nou,
Barcellona, 1995.
Nou: il rinnovamento dell’area, successivo ai
lavori per le Olimpiadi, è stato oggetto di una
consultazione ad inviti nel 1995. Si torna a
lavorare in questo caso sulla dimensione del
singolo isolato come elemento minimo del
disegno urbano, ma la possibilità di controllarne
una lunga sequenza disposta in prima linea sulla
fascia costiera introduce il tema della doppia
scala: la scala della città con il suo lungo fronte
marittimo e la scala locale e domestica delle
corti residenziali. Proprio su questo rapporto
lavora il progetto di Eduard Bru: gli schemi
sperimentano le potenzialità di variazione della
regola combinando edifici bassi che costruiscono
il perimetro dell’isolato e torri che disegnano
il ritmo del lungo fronte. Rispondendo
coerentemente a due logiche diverse, questo
progetto riesce a trovare una sintesi efficace, in
equilibrio fra regola ed eccezione.
Il progetto realizzato, redatto da un gruppo
guidato da Ferrater, propone invece una modalità
molto più schematica nell’espressione di questo
doppio registro, ripetendo sui cinque isolati
la stessa combinazione tra edificio alto a sud e
chiusura del perimetro sugli altri lati. Nonostante
le corti destinate a giardini abbiano le stesse
221
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
dimensioni e proporzioni di quelle costruite
dallo stesso Ferrater a poca distanza, il carattere
di questi due interni urbani è completamente
diverso: negli isolati del fronte marittimo lo
spazio della corte è sospeso tra un’immagine che
non riesce ad essere né pubblica né domestica,
non è sufficientemente grande per essere un
parco ma non è nemmeno in stretto rapporto
con gli appartamenti, nascosti dietro ad un
parapetto pieno e continuo; nel secondo caso
invece i giardini sembrano essere un naturale
prolungamento all’aperto degli alloggi, e allo
stesso tempo rimandano al carattere pubblico di
una piazza alberata.
222
Questo confronto introduce una riflessione
finale: il tipo urbano a corte, come tutte le
generalizzazioni della forma, nel momento della
sua trascrizione in un dato reale e costruito,
passa attraverso una importante serie di scelte
progettuali specifiche, dalle quali dipende
il risultato, la coerenza con gli intenti e in
ultima analisi la qualità dell’abitare, ma anche
il modo di abitare lo spazio urbano. Queste
scelte coinvolgono gli elementi del progetto
C. Ferrater, isolati residenziali, fronte marittimo del
Poble Nou, Barcellona, 1998.
VI - Rarefazione di una tipologia: il panorama contemporaneo
architettonico, l’organizzazione della pianta,
ma anche il trattamento dello spazio aperto e il
rapporto con il contesto urbano in cui si collocano.
Il tentativo di questa ricerca è stato quello di
mettere in luce la complessità delle questioni
in gioco nella definizione dei progetti e il ruolo
del tipo urbano a corte nella costruzione di uno
spazio urbano intermedio tra pubblico e privato;
lo si è fatto seguendo l’evoluzione dei progetti
urbani, evidenziando lo sviluppo della forma
nel corso del novecento, che ha visto periodi di
scelte condivise sul tipo a corte, di abbandoni
e di riaffioramenti, fino alla rarefazione nel
panorama contemporaneo.
Di tutti i progetti selezionati sono state
analizzate
le
caratteristiche
tecniche,
dimensionali, architettoniche e i modi della
distribuzione: questi dati, se da un punto di vista
assoluto sono importanti per quanto riguarda
la dinamica tutta interna dell’alloggio, solo nel
rapporto con lo spazio della corte determinano
un modo di intendere e di costruire la città
abitabile. Il vuoto centrale, come atto fondativo,
resta termine ultimo di definizione di qualità
dell’abitare diverse e complementari e istanza di
continuità dei valori trasmessi dalla città storica;
ma esso si riconosce anche in un atteggiamento di
comprensione della contemporaneità attraverso
il progetto.
223
Ringraziamenti
Ringrazio il mio relatore, prof. Massimo Fortis, che
ha sempre creduto in questa ricerca; il prof. Carlos
Martí Arís, che ha gentilmente reso possibile il mio
soggiorno di studio a Barcellona e ha contribuito
all’avanzamento della tesi offrendo importanti spunti
di riflessione; la prof.ssa Maria Grazia Folli per
l’attenzione che ha dedicato al mio lavoro. Ringrazio
inoltre: Eleonora Salsa per il continuo scambio di
idee, la pazienza e il prezioso aiuto nella stesura del
testo; Simona Pierini; Bruno Melotto; Ingrid Jonsson
e tutte le persone che hanno contribuito anche
indirettamente alla elaborazione di questa tesi.
225
Note
B. Gravagnuolo, La progettazione urbana in Europa. 1750-1960,
1
pp.XII/XIII.
2
C. Martí Arís, L’arte e la scienza: due modi di parlare con il mondo,
testo conferenza del maggio 1998, p. 3.
3
C. Martí Arís, Le variazioni dell’identità, p. 24 e sgg.
4
Ibid., p. 24.
5
C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 4.
6
C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 27.
7
Ibid., p. 5.
8
G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura.
9
C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 1.
10
E. Morin, in C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 1.
11
C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 2.
12
Ibid., p. 2.
13
M. Biraghi, in R. Koolhaas, Delirious New York, p. 295.
14
Ibid., p. 6.
15
C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 28.
16
Ibid., p. 19.
17
R. Borchardt, Città italiane, pp. 57-58.
18
L. Quaroni, Il progetto per la città – Dieci Lezioni, p. 38.
19
H. Focillon, Vita delle forme, p. 9.
20
F. Tavora, in C. Martí Arís, L’arte e la scienza cit., p. 7.
21
G. Grassi, La costruzione cit., p. 76.
22
R. Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, p. 131 e sgg.
23
C. Martí Arís, Le variazioni cit., p. 20.
24
C. Rowe, La matematica della villa ideale e altri scritti.
25
T. S. Eliot, “Tradizione e talento individuale”, Opere 1904-1939,
p. 394.
26
Ibid., p. 396.
27
S. Settis, Futuro del classico.
28
Ibid., p. 8.
29
G. Grassi, La costruzione cit., p. 44.
30
C. Martí Arís, Las formas de la residencia en la ciudad moderna,
p. 13 (T.d.A.).
31
B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. IV.
32
C. Martí Arís, La manzana en la ciudad contemporánea, testo
conferenza del novembre 1996, COAM Urbanismo (T.d.A.).
33
Gruppo 2 C, “La Barcellona di Cerdà – Elementi dell’Ensanche
e costruzione dell’isolato”, Lotus, 23 (1979), p. 77.
34
J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione dell’urbanistica –
Germania 1871-1914, p. 297.
227
Fabio Zorza - La disposizione a corte nel progetto della residenza
35
P. Panerai, J. Castex, J. Depaule, Isolato urbano e città
contemporanea, p. 23 e sgg.
36
J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 263.
37
Ibid., p. 263.
38
Ibid., p. 269.
39
R. Eberstadt, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 434.
40
J. Stübben, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 271-272.
41
R. Eberstadt, in G. Piccinato, La costruzione cit., p. 433.
42
Ibid., p. 433.
43
I. Cerdà, in Gruppo 2 C, “La Barcellona...” cit., p. 84.
44
P. Panerai, Isolato urbano cit., p. 25.
45
Ibid., p. 26.
46
M. Eleb, L’Invention de l’habitation moderne – Paris 1880-1914,
p. 7 (T.d.A.).
47
C. Garnier, A. Amman, in M. Eleb, L’Invention cit., pp. 44-45.
48
M. Eleb, L’Invention cit., pp. 304-305 (T.d.A.).
49
Ibid., p. 307 (T.d.A.).
50
Ibid., p. 505 (T.d.A.).
51
G. Teyssot, Le origini della questione delle abitazioni in Francia
(1850-1894), pp. L-LI.
52
M. Casciato, Olanda 1870-1940 – Città, Casa, Architettura, p. 25.
53
Ibid., p. 23.
54
Ibid., p. 24.
55
J. de Heer, in S. Polano, Hendrick Petrus Berlage - Opera completa,
p. 81.
56
H. P. Berlage, “Normalizzazione nell’edilizia residenziale”, in M.
Casciato, Olanda cit., p. 58 e sgg.
57
Ibid., p. 61.
58
P. Panerai, Isolato urbano cit., p. 91.
59
Ibid., p. 86.
60
J. Gratama, in M. Casciato, La Scuola di Amsterdam, p. 202.
61
J. J. P. Oud, in J.J.P. Oud - The complete works, p. 169 (T.d.A.).
62
J. J. P. Oud, in J.J.P. Oud cit., p. 186 (T.d.A.).
63
G. Broglio, L’Istituto per le Case Popolari di Milano e la sua Opera
Tecnica dal 1909 al 1929, p. XIII.
64
Ibid., p. XLV.
65
M. Tafuri, Vienna Rossa – La politica residenziale nella Vienna
socialista, 1919-1933, p. 119.
228
66
Ibid., p. 28.
67
Ibid., p. 134.
68
L. Scarpa, Martin Wagner e Berlino, p. 41.
69
B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. 169.
70
Ibid., p. 169.
71
Ibid., p. 170.
72
C. Martí Arís, Las formas cit., p. 13 (T.d.A.).
73
Ibid., p. 33 (T.d.A.).
74
F. Dal Co, in M. Casciato, Olanda cit., p. 155.
75
M. Bote Delgado, El concurso del 33 de Amsterdam; una clave de
lectura de la residencia de masas europea del XX, Tesis Doctoral, Las
Palmas de Gran Canaria, 2004
76
M. Baffa, in G. D. Salotti, Bruno Taut – la figura e l’opera, p. 61.
77
B. Gravagnuolo, La progettazione urbana cit., p. 328.
78
P. Smithson, in J. Bosman, “I CIAM del dopoguerra: un bilancio
del Movimento Moderno”, Rassegna, 52 (1992), p. 6.
79
J. Ortega y Gasset, in J. L. Sert, The Heart of the City: towards the
humanisation of urban life, p. 3.
80
J. L. Sert, in The Heart cit., p. 4.
81
Ibid., p. 6.
82
P. Smithson, in The Charged Void: Architecture - Alison and Peter
Smithson, p. 352.
G. Radicchio, “Fernand Pouillon. I quartieri residenziali della
83
cintura parigina”, Casabella, 639 (1996), p. 26.
84
F. Pouillon, in J. Lucan, Fernand Pouillon architecte, p. 26.
85
A. Ferlenga, “Fernand Pouillon”, Casabella, 639 (1996), p. 29.
86
L. Martin, Urban space and structures, p. 21.
87
R. Krier, Lo spazio della città, p. 104.
88
Ibid., p. 133.
89
J. P. Kleihues, Berlino (-ovest) e l’I.B.A. ‘84, p. 26.
90
Ibid., p. 32.
91
H. Kollhoff, in J. Cepl, Hans Kollhoff – Kollhoff & Timmermann
architetti, pp. 46-47.
92
Martorell/Bohigas/Mackay, Der Baublock, p. 14.
I. De Las Casas, “Edilizia residenziale pubblica spagnola
93
– L’evoluzione dalla fine degli anni settanta ad oggi”, Phalaris, 12
(1991), p. 39.
94
Ibid., p. 41.
95
A. Kempe, O. Thill, in Europan 5, p. 59.
96
H. Kollhoff, Hans Kollhoff – Kollhoff e Timmermann architetti,
p. 134.
97
C. Martí Arís, La manzana cit., p. 42.
98
S. Nijenhuis, A. Vos, in Europan cit., p. 26.
99
C. Martí Arís, Barcellona: due o tre cose che so di lei, testo della
conferenza tenuta a Mendrisio il 24/10/2003
100
Martorell/Bohigas/Mackay, Der Baublock, p. 20.
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