Giappone: le riforme e la sfida globale

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Giappone: le riforme e la sfida globale
N°45 – LUGLIO 2016
Giappone: le riforme e la sfida globale
www.bloglobal.net
OPI Research Paper
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)
© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, luglio 2016
ISSN: 2284-0362
Autore
Paolo Balmas
OPI Research Fellow. Analista geopolitico, specializzato nell’area Asia-Pacifico (con particolare attenzione al
Giappone) e nel campo produzione e approvvigionamento degli armamenti. Ha svolto ricerche sulla geostrategia
nella regione artica; sulla produzione di armamenti nei paesi balcanici; sulla regione del Caucaso (con attenzione
all’Azerbaijan); su vari aspetti del mercato dell’energia e del trasporto marittimo. Ha svolto un corso di Introduzione all’intelligence presso l’Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa (Istrid) patrocinato dal Centro Alti Studi
per la Difesa (Casd). Ha collaborato al progetto Istrid Analysis di cui e stato membro del Consiglio direttivo. Laureato in Lingue e Civilta orientali (curriculum di Laurea in Storia e Cultura giapponese) e diplomato presso
l’Istituto giapponese di cultura (Japan Foundation di Roma); e traduttore per la casa editrice CasadeiLibri. È autore di diversi saggi fra cui “Shinto. Alle radici della tradizione giapponese” e “Kami and hotoke in japanese popular
culture”. Attualmente collabora con Transatlantico.info come analista e consulente.
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P. Balmas, Giappone: le riforme e la sfida globale, Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano, luglio
2016.
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I porti di Chabahar e Gwadar al centro dei “grandi giochi” tra Asia Centrale e Oceano Indiano, Osservatorio di Politica Internazionale (Bloglobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.n
INTRODUZIONE
PERCHÉ IL GIAPPONE? ↴
L’attenzione degli esperti occidentali è rivolta al Giappone per vari motivi. Il più importante, certamente, riguarda la possibilità o meno di trattare il Paese come caso
di studio per elaborare eventuali soluzioni degli stessi problemi economici che presentano altri Stati europei e americani.
Sono innumerevoli infatti i confronti elaborati e spesso il Giappone viene associato
in un’ottica storico-economica all’Italia e alla Germania [1]. In effetti, Giappone e
Italia, condividono alcuni problemi che gli economisti più accreditati, sia del mondo
accademico sia di quello politico, stanno cercando di risolvere ormai da anni. Fra
questi, l’invecchiamento della popolazione, la decrescita demografica, un incremento del PIL molto modesto, un debito pubblico enorme e in costante aumento. Tuttavia, nelle analisi economiche sembra sempre mancare il dato antropologico che, invece, proprio a fronte di un caso come quello giapponese dovrebbe essere tenuto
più in considerazione. Il Giappone incuriosisce anche per un altro fattore, che introduce una questione piuttosto delicata per l’Italia e l’Europa, ovvero l’immigrazione.
A differenza dell’Italia, infatti, Tokyo sta affrontando i problemi dell’assistenza agli
anziani, della produzione agricola, della decrescita demografica, senza avvalersi
delle potenzialità offerte dall’accoglienza di migranti. In altre parole, sebbene negli
ultimi anni si è assistito a una timida apertura, il Giappone è ancora un Paese chiuso in piena era di globalizzazione.
La nuova fase di sviluppo dell’economia mondiale che si intravede all’orizzonte,
quanto la prospettiva delle riforme che ha in mente il governo Abe, rappresentano
per il Giappone l’appuntamento con un’ulteriore trasformazione della società. Le
forze esterne ed interne che operano in favore di un’apertura del Paese del Sol Levante sono molto forti e in caso di successo, il Giappone potrebbe perdere molte
delle tradizioni che custodisce gelosamente. In alternativa, il Paese potrebbe optara. Per quanto improbabile, questa sarebbe la più grande sfida alla modernità.
DALL’ABENOMICS ALLE SFIDE GLOBALI ↴
Negli ultimi anni il Giappone ha intrapreso un processo di trasformazione da potenza regionale a potenza globale e ciò comporta una lunga serie di riflessioni sui reali
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re, come del resto ha già fatto altre volte nella storia, per una nuova fase di chiusu-
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obiettivi economici e politici che il governo di Shinzo Abe, in carica dal dicembre del
2012, vuole raggiungere.
Il programma di Abe, denominato Abenomics o Tre Frecce, ha però mostrato i propri limiti. Le riforme avvertono forti resistenze e le manovre finanziare non ottengono i risultati previsti e sperati. Il Primo Ministro si trova quindi in una posizione delicata, stretto tra pressioni esterne (la presenza e la vicinanza di attori come la Cina,
gli Stati Uniti e la Russia) e interne. In particolare queste ultime come il fronte
energetico-nucleare, quello agroalimentare legato al Trans Pacific Partnership (TPP),
nonché la questione della nuova interpretazione del ruolo del Giappone nell’assetto
della sicurezza e della difesa internazionali, hanno rappresentato un importante
banco di prova per la tenuta del governo.
Con l’auspicio di riuscire a salvaguardare la propria identità e allo stesso tempo di
rispondere alle esigenze del nuovo ordine mondiale, il Giappone e l’esecutivo Abe si
apprestano ad affrontare le prossime sfide con una rinnovata forza politica derivante anche dalla netta affermazione conseguita nelle elezioni nazionali per il rinnovo
della Camera alta della Dieta (il Parlamento locale), lo scorso 10 luglio 2016. Tale
consultazione ha permesso alla coalizione di governo composta dal Partito Liberal
Democratico (PLD), guidato appunto dal Premier Abe, e dall’alleato centrista Komeito di ottenere la maggioranza assoluta del Senato giapponese, rafforzando il trend
politico che dal dicembre 2012 vede i due partiti ai vertici delle istituzioni nazionali.
La campagna elettorale si è concentrata, per la coalizione di governo, sulla necessità di portare a termine le riforme per salvare la società e l’economia giapponesi,
mentre le opposizioni, formate dal Partito Democratico Giapponese e da una lunga
serie di partiti minori, insistono sulla necessità di salvaguardare la Costituzione e
non permettere alla fazione di Abe di cambiarla.
Tuttavia, sullo sfondo si scorgono movimenti che stanno già cambiando la posizione
del Giappone nell’assetto internazionale. Infatti, le relazioni intraprese da Tokyo
sotto la lente della nuova interpretazione della funzione difensiva delle Forze di Autodifesa, unita alla riforma della comunità di intelligence nazionale, sono caratterizzate da un rinnovato interesse ad assumere un ruolo più attivo nel mondo.
L’alleanza con Washington e con la NATO permette al Giappone di entrare in quelle
Quindi, in questi mesi e ancor di più in quelli a venire, si assiste e si assisterà
all’ingresso di Tokyo sulla scena globale, non solo attraverso gli investimenti e
l’internazionalizzazione delle imprese come già accade da anni, ma per mezzo del
comparto della sicurezza e della difesa. Ciò che maggiormente stupisce è che Washington e Tokyo si apprestano, per la prima volta nella storia, ad assumere un
rapporto da pari a pari. Fra i moventi di tale nuovo impianto, almeno nel lungo periodo, vi è chiaramente il fine di saldare un’intesa più profonda in chiave anti-
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dinamiche da cui è stato escluso fino a poco tempo fa.
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cinese. Questo non è soltanto uno dei più importanti caratteri del noto Pivot to Asia,
ma è una delle impostazioni geopolitiche che potranno caratterizzare l’architettura
internazionale del nostro secolo.
Il presente Research Paper racchiude dunque le principali questioni attuali della vita
economica e politica del Giappone e tenta di spiegare quale sia il valore delle elezioni, soprattutto nell’ottica delle eventuali ripercussioni sullo scenario internaziona-
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le.
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PARTE I
LE SFIDE DELL’ABENOMICS
Shinzo Abe ha sempre avuto un atteggiamento politico nazionalista e riformista.
Nella politica reale ciò si traduce in un consolidamento da un punto di vista internazionale e delle relazioni con gli Stati Uniti; nell’attuazione di riforme strutturali da
un punto di vista interno.
Al di là del generale risanamento dell’economia, Abe ha un preciso interesse nel rivedere l’Articolo 9 della Costituzione, ovvero quello che impone il pacifismo della
nazione giapponese. Abe custodisce da sempre il sogno di fare del Giappone “un
Paese normale”, espressione che ha utilizzato spesso e che si riferisce proprio alla
possibilità di vedere istituite delle Forze Armate con funzioni e capacità operative tipiche come in ogni altro Stato. Infatti, la dissoluzione delle istituzioni militari voluta
nel 1945 dal Comando Supremo delle Forze Alleate (SCAP) [2], fu sancita definitivamente dalla Carta costituzionale sotto forma di un principio pacifista assoluto, che
di fatto il Giappone non può condividere con nessuno. L’imposizione statunitense,
ben più problematica da un punto di vista della libertà e dell’autonomia di un Paese
indipendente, è consistita nel divieto di istituire i servizi di informazione. Tale condizione ha fatto sì che i governi giapponesi si rivolgessero sempre alla Central Intelligence Agency (CIA) di Washington, o ai servizi d’informazione militari degli USA,
per qualsiasi evenienza che riguardasse la sicurezza internazionale nipponica. Per
una nazione insulare che fonda la propria economia sull’importazione di materie
prime per la produzione di energia e sull’esportazione di prodotti finiti, tutto ciò determina una grave dipendenza dall’esterno e la pone in una situazione di maggiore
suscettibilità alle pressioni di coloro che detengono le informazioni.
L’intento di Abe è di cambiare radicalmente questa condizione attraverso la creazione delle istituzioni necessarie, pur mantenendo i rapporti privilegiati con gli Stati
Uniti. Il fatto che nel 2015 sono stati fatti i primi passi in tale direzione, vuol dire
che la politica di sicurezza e difesa portata avanti dal governo è quanto meno so-
Essere nazionalisti e riformisti, in questo caso, vuol dire anche essere a favore di
forti liberalizzazioni. In particolare Abe vuole agire sul settore agroalimentare e sulla sanità. Il mondo rurale giapponese è protetto da una serie di atti legislativi che
ne limitano la produzione e lo preservano da importazioni potenzialmente dannose.
Il problema è che il Giappone manca effettivamente di un’industria agricola capace
di generare competitività e pesare sulla bilancia commerciale nazionale. Inoltre,
l’esecutivo è intenzionato – o forse meglio dire obbligato – a rivedere i sistemi di
impiego e pensionistico, per affrontare il dilemma preoccupante della demografia
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stenuta sia dal Pentagono sia dall’amministrazione Obama.
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giapponese, caratterizzata da un tasso di nascita sempre più basso e da un precoce
invecchiamento di parte della popolazione. Rientra in questo ambito la Womenomics, ovvero la politica del governo diretta alla riqualificazione del ruolo delle donne
giapponesi nel mondo del lavoro.
Il programma di Abe è stato riassunto in tre punti fondamentali denominati sanbon
no ya, ovvero le tre frecce:
- politica monetaria;
- politica di bilancio;
- riforme strutturali.
Le prime due, la politica monetaria e quella di bilancio, sono manovre macroeconomiche accompagnate dalle attività della Banca Centrale del Giappone (BCG). La
prima consiste in una espansione del flusso di offerta di moneta da parte della BCG,
mentre la seconda prevede la definizione di una politica di aggiustamento fiscale.
Infine, la terza comprende le riforme che dovrebbero essere attuate per risolvere, o
almeno
smussare,
i
problemi
congeniti
della
società
giapponese,
fra
cui
l’invecchiamento e la conseguente decrescita della popolazione. Questa è la freccia
che ha la potenzialità di cambiare il volto del Giappone sotto molti punti di vista, ma
che non è stata ancora implementata. La prima fase dell’Abenomics è durata tre
anni (dal settembre del 2012 al settembre del 2015) e le promesse fatte dal Premier si sono rivelate di difficile attuazione. L’unica freccia lanciata è stata la prima,
quella del Quantitative and Qualitative Easing (QQE). La seconda, dopo un tentativo
iniziale di aumento delle tasse, è stata e continua a essere rinviata. La terza è rimasta per lo più solo nominale.
ABENOMICS 2.0 ↴
Il 24 settembre 2015, dopo essere stato rieletto alla guida del PLD e aver ottenuto
la vittoria politica della nuova legislazione sulla difesa, Shinzo Abe ha lanciato un
nuovo piano economico del valore di 600 trilioni di yen, circa 4,5 trilioni di euro; è
nata così l’Abenomics 2.0. Oltre il ridimensionamento dell’immenso debito pubblico,
che ha raggiunto ormai il 230% del PIL, l’obiettivo è di rafforzare la sicurezza sociale in generale e il sostegno all’infanzia e agli anziani in particolare. Il Primo Ministro
nell’arco di cinquanta anni la popolazione, che oggi conta circa 126 milioni di abitanti, sarà ridotta a meno di cento milioni di persone.
Tuttavia, non è stata spiegata chiaramente la strategia che si intende assumere per
intraprendere la strada del cambiamento strutturale dell’economia del Paese. Il
Giappone combatte con una crescita troppo modesta del PIL [3] per riuscire a risolvere i propri problemi e fino a oggi il QQE e le restanti componenti delle tre frecce
dell’Abenomics 1.0 non hanno dato segni importanti di cambiamento.
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ha sottolineato il pericolo demografico che il Giappone deve presto affrontare:
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I piani precedenti di Abe sono stati necessariamente rielaborati. Ad esempio,
l’aumento delle tasse sui consumi previsto per lo scorso autunno è stato rinviato in
un primo momento ad aprile 2017 e ora si parla dell’autunno del 2019, quando
dall’8% si passerà al 10%. Infatti, in Giappone tutti concordano sul fatto che
l’aumento delle medesime tasse potrà essere effettuato solo se si verificano altre
condizioni. Tuttavia, in tempi più ridotti ci si aspetta un appoggio alle imprese, affinché possano aumentare gli investimenti e la produttività. Un taglio delle loro tasse è auspicabile per molti.
Rimane il fatto che parlare di aumento di produttività in un Paese che vive una decrescita demografica così veloce lascia dei leciti dubbi sul come possa verificarsi. A
tal riguardo, una questione che in Giappone è trattata con molta cautela è
l’accoglienza
di
migranti.
Secondo
alcuni
è
l’unica
soluzione
ai
problemi
dell’economia giapponese, ma è verosimile che il governo Abe continui con la timida
apertura già operata negli anni appena passati, senza lasciare che il flusso aumenti
repentinamente.
La popolazione continua a risparmiare, i consumi non crescono, gli stipendi sono
aumentati in modo troppo timido. L’Abenomics 2.0, attraverso il suo stimolo, dovrà
raggiungere direttamente la popolazione, ovvero l’economia reale. Dopo anni di
febbrile attività finanziaria anche Haruhiko Kuroda, Presidente della Banca del Giappone, agli inizi del 2016 ha ammesso (contraddicendo ciò che aveva asserito in
passato) che il QQE da solo non riuscirà mai a sostenere e a mantenere stabile la
crescita dell’inflazione al 2%, come vorrebbero alcuni manuali di economia.
Da questo punto di vista il Giappone rappresenta un’incognita per gli analisti sia
keynesiani che neoliberisti. Infatti, l’andamento del PIL contraddice entrambe le fa-
FIGURA 1: IL PIL NOMINALE DEL GIAPPONE NEGLI ULTIMI TRENTACINQUE ANNI –
FONTE: CABINET OFFICE OF JAPAN
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zioni, come si può notare dal grafico seguente:
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Da un lato, secondo i principi keynesiani, il continuo stimolo di bilancio degli ultimi
anni avrebbe dovuto garantire una crescita che di fatto, come registra il grafico,
non c’è stata. Dall’altro, secondo la dottrina neoliberista, le ricadute inflazionistiche
della suddetta politica di bilancio dovrebbero essere visibili, ma non lo sono.
Se il QQE non ha registrato i cambiamenti voluti non è detto che le riforme strutturali del sistema sociale e del lavoro (pensioni, impiego, etc.), riescano a invertire
la tendenza deflazionistica in cui è entrato il Giappone quasi due decadi fa. Secondo
Paul Krugman, impegnarsi sul fronte delle riforme strutturali potrebbe non portare
agli esiti in cui si spera. Secondo l’economista, l’economia giapponese sta soffrendo
di deflazione, o di inflazione troppo bassa, e soprattutto di un continuo calo della
domanda malgrado il tasso d’interesse sia vicino allo zero. Quindi, si chiede se le riforme siano davvero la soluzione a questi problemi o se Abe non debba puntare su
altre operazioni più immediate, volte al superamento definitivo della deflazione [4].
Tuttavia, Krugman come altri osservatori occidentali, non tiene conto delle differenze antropologiche del popolo giapponese e analizza la situazione da un punto di
vista tecnico. Secondo l’economista americano, le riforme strutturali solitamente si
applicano in situazioni di alta disoccupazione e di inflazione galoppante, dove bisogna ammorbidire la rigidità del mercato del lavoro [5]. In Giappone, in effetti,
non si scorgono né una elevata disoccupazione né un’inflazione così veloce, ma la
crisi che sta vivendo la società si nota proprio nella trasformazione del mercato del
lavoro e nella nascita di nuove porzioni di popolazione non inserite nel tradizionale
sistema dell’impiego, che nel Sol Levante è particolarmente e naturalmente rigido.
Il grafico di seguito riportato dimostra come il numero di giovani impiegati in
posizioni a tempo determinato o part-time è in elevata crescita, mentre decresce il
FIGURA 2: RAPPORTO FRA LAVORATORI PART-TIME E FULL-TIME NEGLI ULTIMI DIECI ANNI –
FONTE: MINISTERO DELLA SALUTE, DEL LAVORO E DEL WELFARE, SU ELABORAZIONE GOLDMAN SACHS
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numero di impiegati a tempo indeterminato:
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Agli occhi di un giapponese ciò significa che l’incertezza sociale è in veloce crescita
mentre il sistema tradizionale corporativo fondato sul sistema delle keiretsu [6],
che ha permesso la solidità economica giapponese nel Novecento, si sta sfaldando.
Molti si rendono conto che questo è uno dei prezzi da pagare per aprire realmente il
Paese alla globalizzazione, ma nessuno sa cosa spetterà concretamente al Giappone
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di domain.
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PARTE II
LE SFIDE GLOBALI
La proiezione internazionale del Giappone nel 2012 era volta ad assicurare la stabilità dei rapporti con le nazioni fornitrici di materie prime, in particolare di idrocarburi. Si ricorda che Abe vinse le elezioni quando le ripercussioni del terremoto che
colpì la regione occidentale del Tohoku nel marzo 2011 erano ancora vive; da un
punto di vista meramente politico-economico le conseguenze di quel drammatico
evento si ripercossero sulla strategia degli approvvigionamenti energetici e rivelarono la straordinaria capacità del Giappone di poter fare a meno da un giorno all’altro
della discussa fonte nucleare. Ovviamente, ciò ha avuto e ha ancora un alto prezzo
da pagare.
Se da un lato si sono intensificati gli scambi con i Paesi con cui tradizionalmente
esisteva già un rapporto commerciale di settore, per lo più le monarchie del Golfo,
dall’altro si sono presentate alcune grandi novità. La più importante di queste è di
certo il tentativo di stringere maggiori rapporti con la Federazione Russa di Vladimir
Putin. A tale condizione si è sovrapposto il ritorno di Tokyo sulla scena della sicurezza internazionale, voluto dal governo Abe, che incide sull’assetto geopolitico
dell’Asia-Pacifico; in particolare il Giappone si inserisce fra gli equilibri che regolano
la politica estera della Cina e che determinano la delicata convivenza sulla Penisola
coreana divisa fra Nord e Sud. Inoltre, sono state gettate le basi per cooperazioni
strategiche con i Paesi emergenti dell’ASEAN e quelli che più di altri amplieranno le
proprie mire internazionali nei prossimi anni, che sono l’India e l’Australia.
LA QUESTIONE DELLE CURILI E IL GAS RUSSO ↴
Sin dal 1945, Tokyo e Mosca si confrontano sulla controversia territoriale che riguarda le isole Curili, a nord dell’isola di Hokkaido. L’arcipelago di 60 isole è occupato dall’estate del 1945 da Mosca e da allora sono state annesse alla Russia. Il
mare che le circonda è molto ricco di pesce e importante da un punto di vista so-
La crisi energetica giapponese aveva in un primo momento riaperto un intenso dialogo sulla questione. La possibile conclusione di tale controversia faceva da sfondo
all’avvicinamento del Giappone alla Federazione Russa, nell’interesse reciproco di
un maggiore sfruttamento delle risorse energetiche che dalla Siberia e dall’isola di
Sakhalin sarebbero potute entrare nel Sol Levante. Nel 2012, la Russia già forniva
circa il 10% del fabbisogno nazionale giapponese di gas, sotto forma di gas naturale
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prattutto commerciale.
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liquido (LNG), trasportato dall’impianto di liquefazione presente sull’isola di Sakhalin.
Mosca era, ed è ancora, impegnata nello sviluppo di infrastrutture delle proprie terre orientali allo scopo di portare più gas nei mercati dell’Estremo Oriente, ma anche
al fine di aumentare la propria presenza nell’area del Pacifico. Il progetto con il
Giappone è parte di una strategia più ampia che comprende la conquista del mercato energetico della Penisola coreana e l’espansione fino alle città costiere della Cina
settentrionale.
Il Giappone di Abe si è inserito in questa politica energetica considerata, in linea di
massima, pericolosa da parte delle potenze occidentali. La realizzazione del gasdotto subacqueo, un progetto di ovvio valore per l’economia giapponese, si è inserito
così, in special modo dopo le evoluzioni della crisi in Ucraina, in una sfida con altre
potenze alle quali il Giappone e lo stesso Abe sono strettamente legati, tra cui gli
Stati Uniti e l’Australia. La potenzialità del gasdotto è straordinaria, poiché potrebbe
coprire da solo il 17% del totale del fabbisogno di gas naturale del Giappone.
I rapporti con Mosca si inseriscono anche nel complesso sistema di relazioni internazionali che caratterizzano la politica estera delle grandi economie dell’Estremo
Oriente: Repubblica Popolare Cinese e Corea del Sud, senza tralasciare la Corea del
Nord.
I RAPPORTI CON LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE ↴
La Cina e il Giappone, la seconda e la terza economia del mondo, mantengono uno
scambio intenso di beni e servizi a cavallo del Mar Cinese Orientale. La relazione ha
avuto successo, oltre che per la vicinanza fisica, soprattutto perché ha originato un
ciclo economico complementare. Infatti, è caratterizzata dalla fornitura di alta tecnologia e know-how da parte giapponese, mentre dalla Cina escono migliaia di tonnellate di prodotti finiti, che ogni anno si riversano nelle isole del Sol Levante. Lo
scambio ha generato uno stato di reciproca dipendenza che sembra assicurare una
stabilità duratura.
delle vicendevoli accuse che Pechino e Tokyo si scambiano in relazione alle isole
contese Diaoyu/Senkaku. Sulle testate giornalistiche e nei telegiornali spesso la
tensione fra Cina e Giappone è descritta come prossima a provocare una irrimediabile spaccatura seguita da un conflitto armato. Per quanto sia reale la presenza di
navi da guerra, il volo di aerei militari e lo svolgimento di esercitazioni da parte di
vari Paesi, un conflitto è un’ipotesi poco probabile nel breve-medio periodo. Solo un
incidente irrimediabile potrebbe causare ripercussioni che nei fatti non sono volute
né dal governo giapponese, né da quello cinese. La questione delle isole contese
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Ma questo assunto è in perfetta contraddizione con la periodica ripresa mediatica
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quanto il problema delle visite ufficiali al santuario Yasukuni [7] da parte dei rappresentanti del governo giapponese, sono chiaramente uno strumento politico per
esercitare pressioni sull’opinione pubblica dei rispettivi Paesi, ma anche per influenzare le posizioni internazionali di altri attori, Stati Uniti e Corea del Sud in primo
luogo.
Il rapporto del Giappone con la Cina è determinato anche da altri fattori che per necessità devono essere presi in considerazione nella politica estera e industriale di
entrambe le nazioni, ora e negli anni a venire. Ci si riferisce, ad esempio, al mercato delle terre rare e alla regolamentazione per l’import-export dei prodotti agroalimentari. In particolare, le terre rare si inseriscono all’interno di quel ciclo economico complementare poiché sono elementi fondamentali per la realizzazione di strumentazione ad alta tecnologia in varie applicazioni industriali, quindi essenziali alla
sopravvivenza dell’economia giapponese. Inoltre, il Giappone ha mantenuto un atteggiamento
protezionista
soprattutto
in
alcuni
settori,
come
appunto
l’agroalimentare. Tuttavia le pressioni che subisce dall’esterno non sono solo un
tentativo di cambiare questo atteggiamento. In tal senso si possono interpretare gli
sforzi degli Stati Uniti affinché Tokyo e Seoul superino le divergenze storiche che caratterizzano il loro difficile legame. In poche parole, Washington cerca di fare in
modo che il Giappone continui a essere un cardine insostituibile della fascia di contenimento della potenza cinese; un ruolo che risulterebbe rafforzato da un’intesa
maggiore fra le due nazioni.
Dal canto suo la Cina, ripropone periodicamente il tema dei crimini di guerra compiuti dagli eserciti giapponesi in Estremo Oriente e punta il dito all’omaggio al santuario Yasukuni come simbolo di un mancato rispetto che il Giappone mostra nei
confronti dei propri vicini. Risulta molto facile trovare consensi fra i vari popoli
dell’area, compreso quello giapponese, eternamente diviso sulla questione, ma è
soprattutto quello coreano che più di ogni altro mantiene viva una diffidenza, seppur attenuata, nei confronti del Giappone.
LE DUE COREE ↴
za militare costituisce, come del resto è il Giappone, un avamposto statunitense in
Estremo Oriente. Come già accennato, gli Stati Uniti desiderano vedere una crescente intesa fra i governi di Seoul e di Tokyo. Tuttavia, esistono molti freni affinché
ciò avvenga in tempi ristretti.
La rapida evoluzione del mercato sudcoreano negli ultimi anni ha generato una forte
concorrenza con il vicino giapponese. Molte imprese occidentali si sono rivolte alla
Corea del Sud per la realizzazione dei propri prodotti. Un esempio per tutti è
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La Corea del Sud è un Paese che ha conosciuto un rapido sviluppo e data la presen-
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l’armatore danese Maersk, che in questi anni sta costruendo e varando i nuovi super-cargo capaci di portare container per un peso di circa diciottomila tonnellate,
nei cantieri appartenenti alla Daewoo, nel sud del Paese.
Anche con la Corea del Sud, il Giappone ha in atto una controversia sulle piccole
Dokdo/Takeshima (altresì note come Liancourt), isole che si affacciano a nord dello
stretto del Mar del Giappone che divide i due Paesi.
Nelle preoccupazioni giapponesi è certamente più presente la Corea del Nord. Sebbene sullo sfondo vi sia la stessa narrazione dei crimini di guerra, le relazioni sono
molto più complesse, non solo a causa di ragioni politiche che vedono in opposizione il comunismo alla democrazia. Il governo di Pyongyang ritiene le basi statunitensi su territorio giapponese e sudcoreano una minaccia alla propria sopravvivenza.
Sono interpretate nello stesso modo le esercitazioni militari congiunte che la marina
degli Stati Uniti svolge nell’area con i propri alleati. La Corea del Nord si trova in
una posizione fondamentale per la realizzazione dei progetti russi di sviluppo della
rete per la distribuzione di gas. Infatti, attraversando il Paese, la Russia potrà far
arrivare il gas nel mercato più ricco del Sud. Inoltre, la presenza di bacini di terre
rare ancora non sfruttati pone la Corea del Nord al centro di forti interessi industriali
da parte dei Paesi occidentali e dello stesso Giappone.
L’ASEAN E L’OCEANO INDIANO ↴
L’Association of South-East Asian Nations (ASEAN) [8] è l’insieme duegli Stati del
Sud-Est asiatico che rappresentano il mercato emergente dell’Asia-Pacifico. I Paesi
come il Myanmar, l’Indonesia e le Filippine stanno vivendo uno sviluppo molto veloce e si apprestano a divenire dei nuovi poli industriali. Sebbene non paragonabili alla Cina, questi Paesi sono la meta di imprese che cercano localizzazioni più convenienti in cui produrre i propri prodotti. Ad esempio, la giapponese Tsuneishi Heavy
Industries (THI) attualmente sta costruendo una nuova flotta di cargo in un cantiere navale sull’isola di Cebu, nelle Filippine. Lo sfruttamento dei mercati dell’area è
fra gli interessi di altri Paesi, come la Cina, gli Stati Uniti, la Russia, l’Australia.
marittime da quando, nel 2011, ha stabilito una piccola base militare a Gibuti e ha
offerto la propria collaborazione alle operazioni anti-pirateria al largo del Corno
d’Africa. Più in generale, l’Oceano Indiano vivrà uno sviluppo intenso nei prossimi
anni e per il Giappone sarà naturale e indispensabile rivolgersi alle economie più attive dell’area. Fra queste, l’India, il Bangladesh, lo Sri Lanka e i Paesi orientali
dell’Africa ricoprono un ruolo di primo piano.
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Il Giappone è entrato con decisione nella corsa al controllo dei mari e delle rotte
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IL TPP E IL RAPPORTO CON GLI STATI UNITI ↴
Il fulcro geopolitico del Giappone in Asia-Pacifico coincide con l’alleanza fra Tokyo e
Washington. Come si è accennato il rapporto fra le due potenze sta mutando in
questi mesi. L’assetto strategico militare degli USA è cambiato. Le Forze Armate,
una volta di occupazione e oggi ospiti, si sono dislocate sull’arcipelago secondo
nuove esigenze, proprio in concomitanza con la legislazione sulla difesa impostata
dal governo Abe. Tuttavia, sullo sfondo aumentano gli attriti. Prima di tutto in relazione alla presenza delle Forze Armate USA a Okinawa. Su questa isola la popolazione è in contrasto sia con gli alleati, a causa dei ripetuti e impuniti episodi di stupro da parte delle truppe USA ai danni di donne locali, che con il governo centrale, il
quale viene accusato di non saper gestire il problema. Lo spostamento di una base
dell’aviazione militare americana, da un lato all’altro dell’isola, è stata presa subito
al balzo per chiedere un trasferimento definitivo fuori da Okinawa. La protesta si è
diffusa a livello nazionale. Alle proteste causate dalla discussa legislazione sulla difesa, che supera i limiti costituzionale dell’operatività delle Forze di Autodifesa del
Giappone, e dalla questione di Okinawa, si sovrappongono quelle degli agricoltori
relative alla ratifica del Trans Pacific Partnership.
Il TPP rappresenta una delle questioni più spinose per il governo Abe. Prima di tutto
perché mette in dubbio l’appoggio del segmento elettorale dei collegi rurali che da
sempre sono una roccaforte dei voti del PLD. Se da un lato il patto transpacifico assicura un aumento dei volumi commerciali, dall’altro mette in pericolo la legislazione che protegge i prodotti agroalimentari che occupano la gran parte del mercato
interno dell’arcipelago. Il successo del TPP è associato naturalmente all’alleanza che
Tokyo mantiene con Washington e che il governo sostiene come principale obiettivo
della politica estera.
OLTRE L’ASIA-PACIFICO ↴
In questi anni il Giappone ha cominciato a guardare il mondo sotto una nuova ottica
di espansione economica. Il ritorno sulla scena della sicurezza di cui si è parlato è
complementare, se non strumentale, alla rinnovata strategia nipponica. Il legame
Giappone ha cominciato a sviluppare per ottenere una maggiore presenza sul continente euroasiatico e un rapporto di reciproco supporto con la NATO. Fra gli interessi
principali vi è il finanziamento di infrastrutture, ad esempio per la produzione di
energia nucleare in Iran; ma vi è anche l’acquisto di asset industriali, come è avvenuto in Italia attraverso l’accordo con il gruppo Leonardo-Finmeccanica, che ha ceduto nel 2015 le Ansaldo Breda alla giapponese Hitachi.
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che Tokyo ha stretto nel Caucaso con la Georgia mette a nudo la strategia che il
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Il processo di avvicinamento all’Europa è lento e ancora oggi trova limiti di comprensione reciproca e forse anche di diffidenza sotto alcuni punti di vista. Il Free
Trade Agreement (FTA) che l’Unione Europea dovrebbe stipulare con il Giappone
permetterebbe un certo ampliamento dei rapporti commerciali. Le regole di mercato
locali, però, potrebbero influenzare l’ingresso dei capitali e delle imprese giapponesi
nei singoli Paesi europei. Inoltre, le complesse legislazioni sui prodotti agroalimentari che proteggono il mercato nipponico sono avvertite come un limite per molti
esportatori europei. L’Italia potrebbe decisamente aumentare i traffici in entrata
quanto in uscita, al di là della ratifica di un eventuale FTA, dato il reciproco interes-
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se culturale ed economico che unisce i due Paesi.
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PARTE III
LE ELEZIONI DI LUGLIO 2016
E IL FUTURO DELL’ABENOMICS
Le elezioni del 10 luglio 2016 hanno rappresentato l’ennesima prova del nove per la
politica di Shinzo Abe. Come spesso si è sentito, anche per appuntamenti elettorali
precedenti, si è trattato di un referendum sull’Abenomics. Sebbene le volte passate,
come ad esempio nell’autunno del 2014, la vittoria di Abe e del PLD sembrava piuttosto scontata, questa volta qualche dubbio era emerso.
Le questioni relative alla possibile sconfitta della coalizione di governo erano essenzialmente due: la volontà di cambiare la Costituzione in materia di difesa e sicurezza e la ratifica del TPP. Mentre il primo punto era stato già affrontato in passato, il
secondo ha destato molte più preoccupazioni. Infatti, dopo la sigla del Trattato, si è
in attesa della ratifica e ciò preoccupa l’intero segmento elettorale del settore
agroalimentare, che storicamente è un fedele sostenitore del PLD di Abe. Molti, in
seguito alle proteste diffuse in tutto il Paese, attendevano una possibile diminuzione
dei voti assicurati da sempre nei collegi rurali. Invece, la rivolta degli elettori, che
sta caratterizzando le elezioni negli Stati Uniti e in altri Paesi europei, in Giappone
non si è verificata.
Queste elezioni, inoltre, sono il primo risultato del nuovo sistema elettorale. Le novità sono state due: in primo luogo, il limite di età per votare è stato abbassato dai
20 ai 18 anni, cosa che ha assicurato circa 2,4 milioni di elettori in più; secondariamente, il numero di candidati per collegio elettorale è stato modificato. In relazione a questo secondo punto, non è ancora chiaro se la riorganizzazione collegiale
abbia sentenziato la sconfitta dell’opposizione o se addirittura abbia limitato la vittoria della coalizione di governo.
In qualsiasi caso, si notano alcuni risultati che determinano la potenzialità di una
crisi politica nel prossimo futuro. Nella seguente tabella si possono riscontrare le
Le elezioni erano mirate a rinnovare la metà (121 senatori su 242) della Camera dei
Consiglieri. Come si può notare, il PLD e il Komeito, che costituiscono la coalizione
di governo, hanno conquistato cinque seggi ciascuno. Il Partito Comunista Giapponese (PCG), quarta forza del Senato, ha aggiunto tre seggi, mentre l’Osaka Ishin
(OI) ne ha vinti cinque. La perdita più grave l’ha subita il Partito Democratico Giapponese (PDG), che rappresenta la principale opposizione al governo.
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variazioni che hanno subito le forze interne alla Camera dei Consiglieri.
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TABELLA 1: NUMERO DI SEGGI POSSEDUTI PRIMA E DOPO LE ELEZIONI DEL 10 LUGLIO 2016
Osservati i risultati, si comprende che l’elettorato che ha premiato la coalizione al
potere è sostanzialmente deluso dall’opposizione o privo di un’alternativa valida
all’Abenomics. Il fatto che il PCG abbia aumentato la propria schiera di senatori, così come l’OI, indica una tendenza alla radicalizzazione dell’opposizione. Contro
Shinzo Abe si era formata una coalizione piuttosto singolare che non è riuscita a
sconfiggere il “nemico” liberaldemocratico. Questa era costituita dal PDG, dal PCG e
da altri partiti minori.
Il voto contrario all’Abenomics si è disperso. In futuro potrebbe rappresentare un
problema per il sistema democratico giapponese. La crisi politica si trova proprio
nell’assenza di un’opposizione forte e capace di proporre strategie e programmi alternativi, quindi incapace di alternarsi alla forza attualmente in carica.
Malgrado la vittoria, il PLD, che sta affrontando anche cambiamenti nella squadra di
governo, dovrà affrontare comunque i temi che l’elettorato del Sol Levante contesta
maggiormente, la modifica della Costituzione – in particolare dell’articolo 9 – e la
ratifica del TPP. Shinzo Abe ha già dichiarato di voler intensificare gli sforzi
dell’Abenomics, visto l’appoggio della popolazione. Ma ciò rischia di ridursi ancora
una volta in un pacchetto di stimolo monetario non accompagnato né da
un’adeguata politica di bilancio, né dalle riforme strutturali di cui tanto si parla.
L’attesa per le riforme economiche e sociali, relative al mondo del lavoro,
all’assistenza e all’accoglienza, rimangono ancora in dubbio.
La vittoria di Shinzo Abe conferma la proiezione del Giappone di fronte alle sfide in-
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ternazionali, ma non risolve le questioni interne che si aggravano lentamente.
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PARTE IV
CONCLUSIONI
Sullo sfondo si avvicina il cambio di amministrazione alla Casa Bianca previsto per il
prossimo novembre 2016. Un cambiamento radicale della politica internazionale di
Washington si ripercuoterebbe sul principale alleato in Asia-Pacifico. Il governo Abe
deve prima di tutto essere pronto ai possibili scenari che potranno verificarsi a partire dal prossimo inverno. Fino ad allora si potrà prolungare l’esito della ratifica del
TPP, ma le domande dell’elettorato giapponese sono molte di più. Alla delusione di
un possibile fallimento della politica di Shinzo Abe, in particolare della sua Terza
Freccia che prevede le riforme strutturali socio-economiche, si sommano i rischi
della nuova postura internazionale assunta recentemente da Tokyo.
In primo luogo si riscontra il doppio volto delle relazioni con la Federazione Russa.
Da un lato le istituzioni finanziarie nipponiche si muovono verso uno dei loro naturali territori di espansione (l’estremo oriente della Federazione) e rafforzano un legame strategico, seppur ancora debole, con Mosca; dall’altro Tokyo promuove un
maggiore avvicinamento alla NATO e la penetrazione di mercati come quello della
Georgia, o di settori come quello del nucleare civile nel quale i due sono rivali. La
vittoria a Washington di una linea più dura nei confronti della Russia, come promossa da Hillary Clinton, potrebbe provocare un nuovo irrigidimento fra le parti.
Sebbene quello della Russia sia il più palese tra i fattori di rischio che si potranno
presentare sul fronte internazionale del governo giapponese, si può affermare che
anche le altre relazioni con i grandi vicini asiatici e con gli USA sono sul punto di essere messe alla prova. La stessa ratifica del TPP, in fondo, dipende fortemente dalla
futura amministrazione di Washington.
I prossimi mesi per il Giappone costituiranno un periodo di attesa nel quale il governo Abe potrà affrontare, grazie anche alla forza ricevuta dalle ultime elezioni, alcune spinose questioni interne. La risoluzione di queste, o almeno di una parte,
permetterà allo stesso Abe di consolidare la propria posizione in visione di possibili
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cambiamenti nel rapporto con gli USA, principale alleato di Tokyo.
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NOTE ↴
[1] A. Boltho, Italy, Germany, Japan: From Economic Miracles to Virtual Stagnation, Quaderni di Storia Economica, n. 14/2011, Banca d’Italia Eurosistema, Roma, ottobre 2011.
[2] SCAP è l’acronimo di Supreme Commander of the Allied Powers, che era il titolo dato al
generale statunitense Douglas MacArthur, il quale ebbe in comando le forze di occupazione
nel Giappone del dopoguerra. Con la sigla si indicava anche il quartier generale delle stesse
forze, nonché il sistema decisionale che queste rappresentavano.
[3] La crescita media del PIL giapponese dal 1980 al 2016 è del solo 0,48%.
[4] P. Krugman, Structural Deformity, The New York Times, November 20, 2014.
[5] Ibid.
[6] Le keiretsu sono conglomerati di imprese unite attraverso partecipazioni incrociate che
operano intorno a un sistema produttivo e curano ogni aspetto del sistema economico, relativo ai prodotti dell’industria cui sono legate, dalla produzione alle esportazioni, dal finanziamento alle assicurazioni. Le imprese sono indipendenti ma operano in favore di un obiettivo
comune. Non sono unite da vincoli legali, ma da principi etici.
[7] Il santuario Yasukuni si trova a Tokyo ed è dedicato agli eroi nazionali che hanno difeso
la Patria. Fra questi vi sono ricordati alcuni alti ufficiali riconosciuti come criminali di guerra.
Per questo motivo, ogni volta che i rappresentanti del governo vi si recano in visita ufficiale, i
governi dei Paesi che sono stati occupati dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale e
in particolare la Cina e le due Coree, accusano l’atto come un affronto alla memoria storica
delle proprie vittime. La corrente interna al PLD di Shinzo Abe, di cui faceva parte anche l’ex
Primo Ministro Junichiro Koizumi, è nota per promuovere l’usanza della visita ufficiale presso
lo Yasukuni.
[8] L’ASEAN è costituito da dieci Stati membri: Brunei Darussalam, Cambogia, Filippine, In-
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ènte di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
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donesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam.
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