I corpi idrici.
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I corpi idrici.
Gli ecosistemi acquatici, quali possono essere i corsi d’acqua, sono sistemi fisico-biologici, e come tali scambiano continuamente energia e materia con l’ambiente circostante: sono definiti pertanto dei “sistemi aperti”. L’insieme costituito dall’ambiente (biotopo) e dalle forme di vita che lo abitano (biocenosi) si comporta come un “superorganismo” e come tale è capace di sostenersi e mantenere un equilibrio tra energia e materia in ingresso ed energia e materia in uscita. Come in un qualsiasi sistema meccanico progettato per compiere del lavoro, il bilancio tra entrate ed uscite è costantemente in pareggio. Lo stesso vale per qualsiasi ecosistema, sia esso una foresta pluviale tropicale, una savana, un lago, l’oceano o una foresta delle regioni temperate. Tale flusso di energia, che in definitiva proviene dal sole, è in grado di dirigere i processi vitali quali la nascita degli organismi, l’accrescimento, la moltiplicazione. Nell’intero processo, la materia viene ad essere utilizzata in modo ciclico (riciclo) passando dalla forma inorganica (acqua, anidride carbonica, ossigeno, azoto molecolare, sali minerali) alla forma organica (proteine, carboidrati, grassi, acidi nucleici, i mattoni con cui sono costruiti gli organismi) e viceversa secondo l’alternanza tra nascita e morte che conoscono tutte le forme viventi. Sono proprio le relazioni tra le diverse specie e tra le specie e l’ambiente fisico a garantire quell’equilibrio che rende l’ecosistema stabile. Un siffatto ingegnoso sistema è per sua natura resistente agli eventi perturbatori. Il termine corretto per definire la capacità di mantenere condizioni stabili al variare di qualche fattore ambientale è la resilienza. La resilienza di un ecosistema non è, ovviamente, illimitata: ad un certo punto la capacità di opporsi alle modifiche esterne viene meno e l’ecosistema tende a subire modifiche più o meno pesanti. L’impatto delle attività umane, di norma, porta gli ecosistemi a modifiche che tendono a degradarlo: perdita di specie e peggioramento delle qualità estetico-paesaggistiche. Se però non spinti oltre un cero limite, che potremo definire di “non ritorno”, anche gli impatti umani possono essere assorbiti dagli ecosistemi senza danni permanenti. Un fenomeno di questo tipo è caratteristico dei corsi d’acqua e prende il nome di capacità autodepurativa o autodepurante. La depurazione, come la si intende normalmente quando si tratta, ad esempio, dei reflui urbani, è un processo quindi del tutto naturale. Il problema nasce nel momento in cui gli apporti inquinanti, superano quella che è la normale capacità autodepurativa dell’ecosistema che li riceve. Per comprendere questi equilibri è necessario accennare a quali sono i meccanismi con cui si esplica il processo dell’autodepurazione. Un corso d’acqua, viene costantemente raggiunto da materia organica prodotta altrove che si aggiunge a quella derivante dai vegetali che lo popolano: ad esempio, parte del materiale prodotto dalla vegetazione sia riparia che presente nel bacino scolante (fogliame ma anche rami legnosi), può raggiungere il corso d’acqua veicolato dal vento ma anche dal ruscellamento superficiale in occasione di forti precipitazioni. Proprio la forza eolica e quella dell’acqua di dilavamento trasporta con sé anche materia organica particolata (POM) e sostanze più o meno eutrofizzanti. Infine, l’acqua che penetra nel suolo e che in diversi modi raggiunge il flusso idrico fluviale, può trasportare ingenti quantità di sostanza organica disciolta (DOM). Questi apporti di sostanza organica, nell’esempio solo di origine naturale, costituiscono materiale da demolire e su cui si insedia una miriade di microscopiche forme di vita in larga parte costituite da batteri, funghi, protozoi e piccoli animali pluricellulari, una comunità (la cosidetta “catena del detrito”) che, in maniera organizzata, sfrutta questa disponibilità di sostanza organica per lo svolgimento delle proprie funzioni vitali. Accanto a questa attività delle forme microscopiche si inserisce l’azione demolitrice operata da parte della fauna macrobentonica (La fauna macrobentonica è caratterizzata dalla presenza di organismi che vivono almeno una parte della loro vita in acqua e sono capaci di resistere alla forza della corrente delle acque. Colonizzano, a seconda delle specie, sia ambienti di superficie sia le acque profonde. Le comunità macrobentoniche si formano sulla base dei nutrienti e sull'ossigenazione delle acque. Dal loro studio è possibile risalire alla qualità dell'ambiente in cui vivono attraverso il calcolo dell'Indice Biotico Esteso IBE) nei confronti dei materiali più grossolani. L’azione combinata e sovente sinergica di queste forme viventi comporta, in un tratto del corso d’acqua più o meno lungo, la costante demolizione di un’aliquota dell’apporto organico originato in un certo punto del tracciato fluviale. Il processo termina con la completa mineralizzazione in anidride carbonica, acqua e sali minerali: il resto viene convertito in materia vivente e va a costituire il corpo degli organismi decompositori. In assenza di un apporto di sostanza organica (sia prodotta che importata dall’esterno) ed inorganica (sali minerali), i fiumi sarebbero completamente sterili (deserto biologico). Tutti i processi di demolizione della sostanza organica sono, tuttavia, dipendenti dall’approvvigionamento di ossigeno atto a sostenere la respirazione della comunità dei decompositori. Finché l’apporto di ossigeno riesce a soddisfare la richiesta, un certo equilibrio, sebbene variabile tra stagione e stagione e anche tra giorno e notte, viene mantenuto. All’aumentare dell’apporto di sostanza organica (ad esempio con uno scarico puntiforme di liquami civili), l’equilibrio può essere compromesso e in ogni momento la richiesta di ossigeno supera la disponibilità: in queste condizioni la comunità dei decompositori si modifica sensibilmente ed accanto alla respirazione si devono necessariamente intensificare i processi di degradazione anaerobia. Questo è un meccanismo biochimico che consente a certe forme viventi di utilizzare la sostanza organica disponibile, anche in assenza di ossigeno. In questi casi, prevalgono nella comunità macrobentonica le forme che meglio tollerano le condizioni di scarsità d’ossigeno. Normalmente, in queste condizioni, ciò che si osserva è una generale riduzione di forme viventi. Ecco perché risulta fondamentale trattare gli scarichi inquinanti prima della loro immissioni: si evita di trasformare un corso d’acqua in una maleodorante fogna a cielo aperto. Inoltre si evita di far pervenire al corpo idrico accettore terminale (lago o mare) i residui inorganici dell’azione degradativa: i sali di fosforo ed azoto che, oltre certi limiti, possono innescare improvvise fioriture algali, sintomo evidente del processo di eutrofizzazione. Una complicazione sorge quando gli apporti inquinanti non sono di natura solamente o prettamente organica. Nel caso degli scarichi industriali, di norma, oltre al carico organico si aggiunge un carico inquinante, forse più pericoloso, che dipende dal tipo di processo industriale e che può essere costituito da metalli pesanti e sostanze organiche di sintesi (idrocarburi policiclici aromatici, fenoli ed altre sostanza cosidette “xenobiotici recalcitranti”). Tali inquinanti oltre a venire metabolizzati poco o niente dalla comunità microbica, spesso a causa delle loro tossicità ne riducono l’efficienza e quindi le funzionalità. Sovente la stima della degradabilità di uno scarico, è ottenuta rapportando il quantitativo di ossigeno richiesto per la degradazione microbica (Richiesta Biologica di Ossigeno - BOD) a quello necessario per la degradazione chimica (Richiesta Chimica di Ossigeno - COD) di un certo quantitativo dello scarico stesso. Tanto maggiore è quest’ultimo parametro rispetto al primo e tanto meno risulta naturalmente degradabile lo scarico. L’inibizione è legata alla presenza di sostanze, comunque degradabili mediante un processo chimico molto forte, che per la loro natura si comportano di fatto da inibitori della crescita o dell’attività dei microrganismi decompositori. In queste condizioni il carico organico potrà essere attaccato e demolito solo molto più a valle del punto di sverso, dopo essere stato notevolmente diluito, con evidenti danni al tratto fluviale terminale o al corpo idrico recettore finale. Una situazione del genere si verifica anche quando a seguito del trattamento delle acque reflue di tipo civile, lo scarico depurato viene disinfettato: i disinfettanti possono incidere negativamente sulla popolazione microbica del corso d’acqua a tutto danno della capacità autodepurativa stessa. Il superamento di quella soglia limite oltre la quale le capacità autodepurative di un corso d’acqua vengono superate ha delle gravi conseguenze per l’intera comunità animale, in primis la fauna ittica. Carichi organici eccessivi comportano la perdita di specie ittiche pregiate ma che richiedono condizioni di buona ossigenazione delle acque a vantaggio di altre più resistenti. Oltre a questa perdita qualitativa delle risorse ittiche si osserva, in particolari condizioni, accumulo di sostanze tossiche (ad esempio i metalli cosidetti “pesanti”) negli organi e nei tessuti dei pesci che ne pregiudicano l’uso alimentare. Questi effetti estremi si osservano sovente quando la sinergia tra l’intensificarsi dei fenomeni di degradazione anaerobica e la presenza di sorgenti d’inquinamento da metalli (ad esempio scarichi industriali) conducono ad una certa biodisponibilità di tali elementi tossici e ad un processo di bioconcentrazione lungo la catena alimentare. I processi che stanno alla base della capacità autodepurativa di un fiume, sono in realtà qualcosa di molto complesso, in parte legato all’attività degli organismi viventi ed in parte dovuto alle caratteristiche chimiche e fisiche degli ambienti acquatici. La complessità degli eventi connessi all’autodepurazione è talmente elevata che, a tutto’ora, nonostante gli elevati sforzi dei ricercatori, innumerevoli domande risultano prive di una risposta scientificamente attendibile. Per lo più, sebbene con un certo grado di approssimazione, siamo solo in grado di caratterizzare gli eventi nel loro complesso basandoci su osservazioni d’insieme (black box ecology). Tuttavia, almeno qualitativamente i meccanismi che regolano la capacità autodepurante dei corpi idrici si possono spiegare genericamente in base a: 1) Diluizione degli inquinanti. E’ un fattore determinante in grado di condizionarne altri. In generale si ritiene che la diluizione agevoli i successivi meccanismi di demolizione di molti inquinanti. 2) Sedimentazione degli inquinanti. E’ un processo fisico molto efficiente nelle acque stagnanti o correnti ma con modesto grado di turbolenza. Aumenta con l’aumentare della densità delle particelle inquinanti (flocculati, sabbie, etc.) e sebbene apparentemente riduca l’inquinamento dell’acqua, in realtà va ad aumentare la concentrazione degli inquinanti nei sedimenti. In particolari condizioni questi depositi possono venire rimessi in circolo e costituiscono il cosiddetto “carico interno” di inquinanti di un corpo idrico. 3) Complessazione. E’ un fenomeno fisico ben definito in base al quale alcuni elementi inquinanti (ad esempio alcuni metalli pesanti) possono legarsi in modo temporaneo a sostanze organiche complesse naturali: ad esempio gli acidi umici (da humus) e fulvici provenienti dai suoli presenti nel bacino. 4) Adsorbimento. E’ un processo fisico simile al precedente riguarda però l’interazione tra inquinanti organici (ad esempio erbicidi) o metallici (vedi rame, piombo, cadmio, etc..) e sostanze colloidali presenti nell’acqua come le argille. Tali complessi sono sede di intensa attività batterica fatto che consente una degradazione degli inquinanti organici molto efficiente. 5) Equilibrio acido-base ed “effetto tampone”. E’ un processo chimico che, in virtù delle caratteristiche geologiche del bacino e del letto fluviale, consente al sistema acquatico di opporsi alle modifiche di acidità delle acque spesso provocate dall’inquinamento e che agiscono negativamente sulla fauna acquatica. 6) Ossigenazione. E’ un altro fattore fisico che intensifica l’attività di ossidazione chimica diretta o mediata da organismi biologici nei confronti soprattutto delle sostanza organica ma anche di alcuni inquinanti organici non particolarmente resistenti. La disponibilità di ossigeno è garantita nei corsi d’acqua dalla turbolenza e dalla diluizione. 7) Abrasione. Fattore prettamente fisico, esso comporta la frammentazione meccanica di particelle solide in particelle via via sempre più piccole. Tale frammentazione implica un aumento della superficie d’attacco per i processi di degradazione chimica e biologica. 8) Degradazione biologica. Complesso insieme di attività operate da molte forme viventi (batteri, protozoi, funghi, macroinvertebrati ma anche pesci che si nutrono di frammenti organici) il cui risultato ultimo è l’aumento delle biomassa e la liberazione di anidride carbonica, acqua e sostanze minerali. La degradazione biologica è sovente organizzata secondo le cosiddette “reti trofiche basate sul detrito” dove alcuni microorgnismi in grado di degradare le sostanze organiche e produrre biomassa sono alimento per forme animali di piccole dimensioni, ad esempio i macroinvertebrati bentonici, che a loro volta sono predati da specie animali di taglia maggiore come pesci o anfibi. La comunità microscopica altamente diversificata (batteri, funghi, ciliati, microalghe, amebe, rotiferi, nematodi, gastrotrichi, tardigradi, ecc.) che forma quella sottile pellicola scivolosa al tatto (periphyton) che riveste i ciottoli e le rocce fluviali, rappresenta il primo livello depurante dei corsi d’acqua. Questo depuratore naturale supporta fisicamente e biologicamente un secondo sistema, costituito da macroinvertebrati che funge da acceleratore e regolatore del processo. La ricchezza di specializzazioni dei macroinvertebrati consente l’utilizzazione di tutte le forme di risorsa alimentare disponibili (scarichi urbani compresi) e rende la comunità in grado di rispondere in maniera flessibile alle variazioni stagionali e/o antropiche del carico organico. Un ulteriore livello in cui si articola questo processo è costituito dai vertebrati, compresi quelli terrestri (pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi), che si nutrono dei macroinvertebrati acquatici e che nel loro insieme possono essere considerati il terzo sistema depurante dell’ambiente fluviale. L’efficienza dei tre sistemi è, a sua volta, condizionata dall’integrità dell’ambiente terrestre circostante, in particolare dalle fasce di vegetazione riparia (le cosiddette “fasce filtro”). Questo quarto sistema, oltre a costituire un habitat molto importante per tutti quegli organismi legati alle “zone umide”, svolge una duplice funzione depurante, agendo da filtro meccanico e da filtro biologico. La vegetazione riparia, infatti, intercetta le acque di dilavamento del bacino e ne rallenta la velocità, facilitando la sedimentazione del carico solido e degli inquinanti ad esso legati. A questa azione di chiarificazione delle acque si accompagna un ruolo protettivo nei confronti dell’eutrofizzazione fluviale per la rimozione del fosforo (legato alle particelle argillose sedimentate) e dell’azoto (assorbito dalle piante e denitrificato dai batteri associati all’apparato radicale). In altre parole, l’efficienza di ciascun sistema depurante viene potenziata dall’efficienza dell’altro e, inversamente, il danneggiamento di un sistema depurante si ripercuote negativamente anche sugli altri. 9) Assimilazione vegetale. Fenomeno biologico che sottrae dall’ambiente acquatico i sali minerali (sali di azoto e fosforo) prodotti durante la degradazione della sostanza organica per essere utilizzati nella fabbricazione per fotosintesi della biomassa vegetale. L’effetto depurativo è tuttavia transitorio dovendo essere demolita in un secondo momento la stessa materia vegetale prodotta. L’insieme di tali fenomeni, le cui relazioni sono assai complesse, porta ad una variazione lungo il corso d’acqua dal punto di immissione dello scarico inquinante verso la foce tipicamente nota con il termine di “curva a sacco”. I diversi parametri chimici rispondono in maniera differente a seconda della loro natura, ma l’ossigeno disciolto segue una legge ben rappresentata da una curva che raggiunge un minimo ad una certa distanza dalla zona dello scarico per poi risalire lentamente fino a valori normali man mano che ci si allontana nel senso della corrente. Quest’andamento è così regolare che è stato studiato e caratterizzato da tempo, tanto che dallo studio di casi reali si può risalire con un certo grado di approssimazione al tipo di scarico inquinante in gioco. I sistemi acquatici possiedono, quindi, delle intrinseche difese nei confronti dell’inquinamento. Tuttavia non occorre dimenticare che le potenzialità autodepurative non sono le stesse nei confronti di tutti i possibili tipi di inquinamento. Quello di tipo industriale o da pesticidi utilizzati in agricoltura, è sicuramente più dannoso che non l’inquinamento di origine civile. Inoltre, nella realtà di un bacino antropizzato oltre all’inquinamento di tipo puntiforme (il punto di immissione degli inquinanti è facilmente individuabile) gli ecosistemi acquatici sono esposti anche a forme di inquinamento diffuso, più difficile da localizzare e per questo più difficile da controllare ed eventualmente gestire. L’inquinamento dei fiumi rappresenta oggi un problema di difficile soluzione. La depurazione preventiva degli scarichi inquinanti è sicuramente utile ma, dato l’impatto diffuso di molte attività umane sui bacini idrografici, non può da sola concorrere ad abbattere tutte le forme di inquinamento. E’ pertanto indispensabile consentire ai fiumi di “difendersi da soli” grazie alla intrinseca capacità autodepurante. Per fare ciò, vale la pena ricordarlo, occorre garantire in un fiume portate adeguate a sostenere i processi autodepurativi e mantenere il più possibile inalterata la fascia di vegetazione riparia che, naturalmente, tende a delimitare e proteggere l’ecosistema acquatico dal territorio circostante e dalle attività che in esso si svolgono. L'inquinamento idrico consiste in uno scostamento dello stato di purezza o di normalità di un’acqua, dovuto prevalentemente all'attività antropica, su un corpo idrico naturale, superficiale o sotterraneo: fiume, lago, mare, falda idrica. L'inquinamento può essere dovuto agli scarichi concentrati o puntuali di comunità urbane, di complessi industriali, di singole unità isolate (alberghi e complessi turistici, fabbriche, ecc.), oppure all'inquinamento diffuso legato alla presenza di allevamenti di animali, alla concimazione di terreni agricoli con concimi artificiali, alle precipitazioni meteoriche in atmosfere inquinate e così via. Nel caso delle acque correnti (fiumi, torrenti, ecc.), le forme più evidenti di inquinamento si verificano quando il carico di sostanze organiche che giunge al fiume, determina un elevato consumo di ossigeno disciolto, a seguito delle reazioni biologiche, tale che la naturale riossigenazione dell'acqua, per contatto e scambio con l’aria non è in grado di far fronte alle notevoli richieste. In tal caso, la concentrazione di ossigeno si abbassa a valori tali da indurre la morte dei pesci, da creare condizioni anaerobico-settiche, con sviluppo di cattivi odori, tali da rendere fiume esteticamente inaccettabile. Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un'acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici e/o inorganici. Le acque reflue non possono essere reimmesse nell'ambiente tal quali poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i fiumi ed i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa. Il trattamento di depurazione dei liquami urbani consiste in una successione di più fasi (o processi) durante i quali, dall'acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate, che vengono concentrate sotto forma di fanghi, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la capacità autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare mediante condotta sottomarina o in battigia) prescelto per lo sversamento, senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell'ecosistema ad esso afferente). Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica. I fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono subire anch'essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura tal quale o previo compostaggio. Il processo di trattamento biologico delle acque di scarico consiste nell'azione combinata di comunità microbiche che utilizzano le sostanze e alcuni componenti dello scarico per le proprie necessità metaboliche, dando origine a nuovi microrganismi (biomassa, che costituisce i fanghi di risulta dell'impianto) e prodotti del catabolismo. I principali tipi di processo utilizzati nel campo del trattamento biologico delle acque di scarico avvengono in presenza di ossigeno (aerobiosi) e in sua assenza (anaerobiosi), e ciò comporta notevoli implicazioni di carattere applicativo. I processi aerobici sono caratterizzati da maggiori velocità e produzione di biomassa, nonché dalla formazione di cataboliti ossidati quali acqua, anidride carbonica, nitrati e solfati. I processi anaerobici(processi fermentativi) sono invece caratterizzati da minore velocità e minore produzione di biomassa nonché dalla formazione simultanea di cataboliti ossidati e ridotti quale l'anidride carbonica e il metano. Questi ultimi consentono anche un recupero energetico, in quanto tali prodotti finali possono essere convertiti, tramite combustione, in calore o altre forme di energia. Un terzo tipo di processi, applicati in combinazione con i processi aerobici, utilizza il metabolismo della respirazione anaerobica, nel quale il flusso di potere riducente delle sostanze organiche è diretto su accettori finali diversi dall'ossigeno, quali soprattutto il nitrato, ma anche il nitrito o i solfati o altri componenti inorganici: il primo processo detto di denitrificazione biologica, è ampiamente utilizzato e consente di eliminare dalle acque di scarico un contaminante ad alto effetto eutrofico, quale l’ammoniaca, dopo una fase di ossidazione a nitrato. Mentre una grande varietà di sostanze inquinanti comunemente presenti nelle acque di rifiuto, sia domestiche che industriali, viene degradata per via biologica, una serie di composti inorganici e/o tossici deve essere eliminata tramite trattamenti di tipo chimico-fisico, questi ultimi ad esempio prevedono l'utilizzo di sostanze coagulanti, flocculanti o carboni attivi e vengono generalmente applicati per rimuovere specifiche classi di composti non biodegradabili o per rifinire la qualità dell'effluente finale. I processi di trattamento chimico-fisico comportano costi maggiori di trattamento sia perché richiedono l'impiego di reagenti o supporti adsorbenti sia per la conseguente produzione di contaminanti in fase solida da smaltire opportunamente. # In tabella sono riportati i flussi del carbonio nei vari tipi di processo indicati. I processi descritti sono quelli più utilizzati nel trattamento biologico, sebbene si stiano diffondendo anche processi fototrofi (fitodepurazione) che trovano un'applicazione più ristretta per eliminare nutrienti (azoto e fosforo), per sequestrare metalli e non metalli, oppure per demolire particolari classi di contaminanti. Prendendo come matrice l'acqua, usata o contaminata, è necessario in primo luogo effettuare una caratterizzazione per via chimica e biologica dei suoi componenti al fine di determinare il potenziale carico inquinante, di individuare eventuali sostanze pericolose per la salute umana (metalli pesanti, sostanze cancerogene, ecc.) e per selezionare il trattamento più adeguato. Le tipologie di processi descritte sono efficaci nei confronti di tutte quelle sostanze che possono essere convertite da microrganismi, quali composti organici, forme di azoto e di fosforo: l'eliminazione di queste sostanze rappresenta l'obiettivo degli impianti di trattamento. Per tutta un’altra serie di sostanze previste dalle normative vigenti (quali i metalli e i non metalli) molto spesso il trattamento biologico è inefficace e bisogna ricorrere ad altri tipi di processo (quale il chimico-fisico). Per quanto riguarda gli aspetti microbiologici, l'attenzione è riservata esclusivamente alla presenza e quantità nelle acque trattate del batterio Escherichia Coli in quanto costituisce un ottimo indicatore di contaminazione di origine fecale, e quindi indice dell'efficacia del trattamento anche nei confronti degli svariati microrganismi patogeni che possono essere presenti negli effluenti finali. Mentre esistono specifiche determinazioni analitiche che permettono di quantificare le forme di azoto e di fosforo, esiste un’enorme varietà di composti organici che possono contaminare le acque: per tali composti, non risultando fattibile la determinazione di ogni singolo componente, si ricorre a misure aspecifiche, tese a misurare la quantità di ossigeno necessaria per la loro completa ossidazione. Tale misura consente di prevedere la quantità di ossigeno che verrebbe sottratta a un corpo idrico ricevente, qualora lo scarico vi pervenisse senza trattamento. La misura di tale parametro può essere effettuata per via chimica (richiesta chimica di ossigenoCOD), biochimica (richiesta biochimica di ossigeno – BOD) a volte abbreviato in BOD5 poiché la determinazione prevede un periodo di incubazione di cinque giorni, o strumentale (richiesta totale di ossigeno, TOD); per via strumentale è possibile determinare anche il carbonio organico totale (TOC) a sua volta riconducibile alla quantità di ossigeno necessario per la sua completa ossidazione. ) La legge 319/1976 (nota anche come legge Merli) rappresenta la prima legge in Italia che fissa i limiti massimi consentiti per una serie di parametri e contaminanti ai fini dello scarico finale in acque superficiali o in fognatura. Tale materia è stata più volte rielaborata nel corso del tempo e infine disciplinata nel decreto legislativo 152/2006, il corposo Testo Unico Ambientale (TUA) che rielabora e unifica le normative riguardanti i vari comparti ambientali quali suolo, acqua, aria, risorse idriche, siti contaminati ecc. La tabella uno del D.Lgs. 152/2006 prevede, per reflui urbani, che si ottengano percentuali di abbattimento dei contaminanti del 70-90% nonché limiti massimi per tre parametri che sono BOD (25 mg/l), COD (125 mg/l), e solidi sospesi (35 mg/l). Per reflui urbani recapitanti in aree sensibili si prevedono dei limiti massimi anche per i parametri di azoto e fosforo totali in base alle potenzialità dell'impianto (10 oppure 15 e 1 oppure 2 mg/l rispettivamente). Per reflui industriali, e per reflui urbani contenenti una frazione industriale, il decreto, nella tabella 3 (di cui si riporta un estratto) prevede invece i limiti per 51 parametri (pH, temperatura, colore, solidi sospesi, COD, BOD, metalli ecc.): La tabella riporta i valori massimi consentiti per alcuni dei parametri di maggiore rilevanza per il trattamento biologico nel caso di immissione in aree sensibili, tali limiti sono però più stringenti. Per quanto riguarda i parametri biologici, sono obbligatori i saggi di tossicità che in caso di positività determinano l'obbligo di approfondimento delle analisi, la ricerca delle cause di tossicità e la loro conseguente rimozione. # Negli impianti di depurazione tradizionali, a servizio di uno o più centri urbani (impianti consortili) sono di norma trattate: • le acque reflue urbane o scarichi civili: comprendono le acque di rifiuto domestiche e, se la fogna è di tipo unitario, anche le acque cosiddette di ruscellamento. Le acque di origine domestica sono quelle provenienti dalle attività domestiche e dalla deiezione umana, queste ultime ricche di urea, grassi, proteine, cellulosa ecc. Le acque di ruscellamento sono quelle provenienti dal lavaggio delle strade e le acque pluviali. Contengono, in concentrazione diversa, le stesse sostanze presenti nei reflui domestici ma inoltre possono presentare una serie di microinquinanti quali gli idrocarburi, i pesticidi, i detergenti i detriti di gomma ecc. Una delle principali caratteristiche dei reflui urbani è la biodegradabilità, che ne rende possibile la depurazione attraverso trattamenti biologici. • alcune tipologie di acque di rifiuto industriale: gli scarichi industriali hanno una composizione variabile in base alla loro origine. Negli impianti di depurazioni tradizionali possono essere trattati solo quei reflui industriali che possono ritenersi assimilabili dal punto di vista qualitativo a quelli domestici. Tali scarichi possono essere eventualmente sottoposti a pretrattamenti in ambito aziendale, prima del loro scarico in fogna, per rimuovere le sostanze incompatibili con un processo di depurazione biologica. Infatti alcuni scarichi industriali possono contenere sostanze tossiche o suscettibili di turbare l'evoluzione biologica e pertanto tali da compromettere il trattamento biologico che è alla base del sistema depurativo tradizionale. Gli altri scarichi industriali possono avere una natura tale da essere insensibili ai trattamenti biologici pertanto devono essere trattati in maniera diversa direttamente nel luogo di produzione. * Gli impianti di depurazione sono costituiti da una serie di manufatti, ognuno con specifiche funzioni, nei quali viene attuata la depurazione degli scarichi di origine civile e industriale. Solitamente in un impianto di trattamento delle acque reflue si distinguono due linee specifiche: • la linea acque; • la linea fanghi. Nella linea acque vengono trattati i liquami grezzi provenienti dalle fognature e di regola comprende tre stadi, chiamati: • trattamento primario: un processo di tipo fisico utilizzato per la rimozione di parte delle sostanze organiche sedimentabili contenute nel liquame comprende la grigliatura, la sabbiatura, la sgrassatura, la sedimentazione primaria; • trattamento secondario: un processo di tipo biologico utilizzato per la rimozione delle sostanze organiche sedimentabili e non sedimentabili contenute nel liquame. Comprende l'aerazione e la sedimentazione secondaria: • trattamento terziario: realizzato sull'effluente in uscita dalla sedimentazione secondaria, permette di ottenere un ulteriore affinamento del grado di depurazione. Comprende trattamenti speciali per abbattere il contenuto di quelle sostanze che non vengono eliminate durante i trattamenti primari e secondari. Nella linea fanghi vengono trattati i fanghi prodotti durante le fasi di sedimentazione previste nella linea acque. Lo scopo di tale linea è quello di eliminare l'elevata quantità di acqua contenuta nei fanghi e di ridurne il volume, nonché di stabilizzare (rendere imputrescibile) il materiale organico e di distruggere gli organismi patogeni presenti, in modo tale da rendere lo smaltimento finale meno costoso e meno dannoso per l'ambiente. L'effluente finale trattato viene convogliato in una condotta detta emissario, con recapito finale le acque superficiali (corsi d'acqua, mare, ecc.), incisioni o lo strato superficiale del terreno (es. trincee drenanti). L'effluente finale può anche essere usato per l'irrigazione o nell'industria. Un depuratore deve essere dimensionato in modo da poter trattare adeguatamente gli scarichi provenienti dal bacino da servire (abitato/i) per un periodo di 25-30 anni. In genere è conveniente realizzare gli impianti in lotti funzionali successivi in funzione del concreto sviluppo delle utenze e degli allacciamenti fognari, tenendo anche conto dell'evoluzione della situazione urbanistica e demografica. Per la progettazione non si può prescindere dalla conoscenza dei seguenti parametri: • carico idraulico: ovvero la quantità liquida delle acque da rifiuto in metri cubi emessi per giorno. Per impianti industriali tale carico va calcolato tramite misure dirette considerando l'andamento temporale della portata di scarico; i picchi massimi derivati dalle ore a maggiore attività (dalle 09:00 alle 14:00 e dalle 20:00 alle 22:00), da eventi meteorologici particolarmente intensi, che si possono verificare in determinati periodi dell'anno. Per gli impianti municipali o consortili in genere si ricorre a metodi di determinazione indiretta. • carico organico: è la quantità complessiva di sostanza organica da trattare espressa in BOD5 o COD presente in un metro cubo di refluo. • carico di nutrienti: è principalmente la quantità di azoto ridotto e secondariamente di fosforo presenti nel refluo da trattare. • studi sugli altri eventuali inquinati presenti (ad esempio oli, metalli pesanti o detersivi) • studi basilari su parametri che possono influenzare la forma degli inquinanti e il loro abbattimento (ad esempio pH, O2 disciolto, conducibilità e temperatura). In generale il dimensionamento va fatto sulla base della conoscenza della dotazione idrica, e sugli abitanti equivalenti. Se le sperimentazioni dirette non sono possibili o sono difficili da eseguire, si possono sfruttare tabelle di correlazione fra quantità di acqua prelevata dalla rete idrica e il carico idraulico e organico del refluo. I trattamenti primari consistono in: • grigliatura • dissabbiatura • disoleatura • equalizzazione e omogenizzazione • sedimentazione primaria I primi quattro sono considerati trattamenti preliminari o pretrattamenti meccanici che vanno quasi sempre previsti, quando necessario, a monte dei processi di depurazione veri e propri, e che permettono la rimozione di materiali e sostanze che per loro natura e dimensione rischiano di danneggiare le attrezzature poste a valle e di compromettere l'efficienza dei successivi stadi di trattamento. * La grigliatura costituisce un'operazione di filtrazione meccanica grossolana che ha l'obiettivo di trattenere solidi grossolani non sedimentabili (stracci, plastica, ecc.) e solidi grossolani sedimentabili (ghiaia, ecc.) Questo pretrattamento è sempre necessario, perché l'eliminazione selettiva di tali materiali evita che possano creare accumuli e ostruzioni nelle tubazioni, nelle giranti delle pompe, sugli alberi degli agitatoti (mixer) e simili, oltre a migliorare la qualità dei fanghi prodotti dall'impianto di depurazione specialmente se da utilizzare in agricoltura. La griglia/e viene sempre installata, con una pendenza 1:3, internamente al canale di arrivo all'impianto, alimentato dal collettore terminale della fognatura. Tale canale in corrispondenza della griglia si allarga di una certa aliquota in modo che la velocità dell'acqua a valle, tenuto conto dell'ingombro delle sbarre, si mantenga prossima a quella che si ha nel tratto a monte della griglia. La velocità di attraversamento della griglia non deve essere troppo bassa da favorire la sedimentazione a monte della stessa ma neanche troppo elevata per non incrementare le perdite di carico. Di regola per calcolare lo slargo del canale in prossimità della griglia si impone che la lunghezza del canale, considerando gli interspazi della griglia risulti equivalente alla lunghezza fissata in fase di proporzionamento del canale. A seconda dell'interasse tra le barre, le griglie si suddividono in: • grossolane - interasse di 5÷10 cm; • medie - interasse di 2,5÷5 cm; • sottili - interasse di 1÷2,5 cm. Di regola la prima fase del trattamento preliminare prevede una grigliatura grossolana seguita da un'altra griglia più fine. In base al sistema di pulizia vengono classificate invece in: • manuali: utilizzate principalmente per griglie grosse (poste in testa ai canali di by pass) e per piccoli impianti dove la quantità di solidi grigliabili è da ritenersi trascurabile e/o quando le operazioni di pulizia non risultano troppo onerose; • meccaniche: in tutti gli altri casi. Il materiale grigliato è raccolto in un cassonetto per poi essere avviato allo smaltimento finale. In associazione con la griglia possono essere utilizzati degli sminuzzatori che dopo aver triturato il materiale grigliato lo reintroducono a monte della griglia stessa. La dissabbiatura viene prevista principalmente nel caso di fogne unitarie (nera+pluviale) per l'allontanamento di terricci e degli altri materiali inorganici di diametro d > 0,2 mm presenti in sospensione nelle acque di rifiuto (quali ad esempio pezzetti di vetro e di metallo, sassolini ed in genere tutti i materiali pesanti ed abrasivi) che vengono convogliati in fogna, attraverso le caditoie pluviali, insieme all'acqua meteorica. Sono necessari per evitare inconvenienti quali abrasioni nelle apparecchiature meccaniche mobili (es. pompe), intasamenti di tubazioni e canali, accumuli nei digestori e nelle tramogge delle vasche di sedimentazione, ecc. dovuti alla presenza di sabbie nelle acque reflue. La dissabbiatura avviene in vasche dette dissabbiatori nelle quali si sfrutta la forza di gravità per eliminare tutte quelle particelle solide caratterizzate da un peso specifico maggiore di quello dell'acqua e tali da depositarsi sul fondo della vasca in tempi accettabili. Poiché il materiale da separare è di tipo granuloso - cioè sedimenta senza interferire con le altre particelle e il moto del fluido è laminare - la velocità di sedimentazione delle particelle è regolata in prima approssimazione dalla legge di Stokes. Tale legge presuppone che le particelle siano di forma sferica che il liquido sia in quiete e si trovi a temperatura costante e che il moto della particella verso il basso non venga influenzato nè dalla presenza di altre particelle nè dalle pareti del contenitore. I dissabbiatori sono costituiti da vasche percorse (in senso orizzontale e/o verticale) dal liquame ad una velocità tale da provocare la decantazione dei materiali solidi trascinati in sospensione o per trasporto di fondo. La funzionalità di un dissabbiatore è legata alla capacità di consentire, la sedimentazione dei materiali inerti di diametro superiore a certi valori, che la pratica indica in 0,2-2,5 mm, e limitare l'entità delle sostanze organiche che inevitabilmente assieme a questi decantano. I dissabbiatori tradizionali sono quelli a canale nelle quali il liquame defluisce con flusso orizzontale. Li si trova ancora in qualche vecchio impianto. Vengono sempre realizzati con unità in parallelo a funzionamento alternato in modo che il dissabbiamento non venga mai interrotto. Sul fondo delle vasche è disposta una cunetta nella quale si accumulano i materiali sedimentati che vengono rimossi con unità di pulizia meccanica (per grandi impianti) o manuale (per piccoli impianti) con semplice paleggio o con getti di acqua che spingono i materiali in canaletti trasversali dai quali vengono poi convogliati in pozzetti di raccolta laterali. Le vasche hanno pianta rettangolare con lunghezza da 15-20 volte la profondità della corrente. Hanno sezione trasversale trapezia, rettangolare o più complessa. Queste vasche devono essere proporzionate in modo tale che al suo interno il flusso del fluido, per qualsiasi valore della portata, deve avere una velocità media compresa tra 20–30 cm/s poiché per questi valori della velocità si è costatato che la quantità di materia organica e di materiali inerti che decanta risulta contenuta entro limiti accettabili. Nel caso di portata in ingresso variabile, per mantenere la velocità del flusso costante spesso a valle del dissabbiatore viene realizzata una strozzatura (modellatore a risalto o venturimetro a canale) di opportuna forma che può essere utilizzato anche per misurare la portata oppure viene utilizzata a monte una vasca di equalizzazione che restituisce una portata costante. Il dissabbiatore a canale ha inconveniente di assumere dimensioni spesso troppo ingombranti; pertanto negli impianti moderni si utilizzano dissabbiatori a pianta circolare con fondo a tramoggia, di minore ingombro e configurati in modo tale da creare correnti trasversali secondarie (elicoidali, toroidali) che, sovrapponendosi alla corrente principale, favoriscono la concentrazione e la selezione dei materiali sedimentati. La disoleazione o sgrassatura viene introdotta nel ciclo depurativo, a valle delle griglie e dei dissabbiatori, quando sia accertato che oli e grassi siano presenti nei reflui in quantità tali da influenzare negativamente i trattamenti successivi soprattutto con riferimento ai trattamenti biologici. Infatti le sostanze oleose tendono a rivestire, con un sottile velo, le materie biologiche impedendo così il contatto di queste con l'O2 e pertanto ne limitano l'ossidazione. A volte la disoleazione ha lo scopo di recuperare gli oli e i grassi presenti nei reflui al fine del loro riutilizzo. Negli impianti ordinari le modeste quantità di grassi e oli vengono in massima parte trattenuti dai paraschiume che si dispongono all'entrata delle vasche di sedimentazione primaria, dove vengono poi di tanto in tanto rimosse insieme con altre materie leggere solide, che hanno accidentalmente attraversato i precedenti pretrattamenti, mediante schiumarole. Il trattamento di disoleazione si fonda sul minor peso specifico dei grassi e oli rispetto all'acqua, che ne consente la risalita in superficie. La disoleazione avviene in bacini aperti a sezione rettangolare o trapezia rovescia. Dal fondo delle vasche viene insufflata aria compressa, tramite diffusori porosi. L'aria insufflata forma un specie di emulsione con le sostanze grasse presenti nei liquami favorendo il loro allontanamento in superficie. I grassi emulsionati sospinti verso l'estremità della vasca, vengono eliminati manualmente (piccoli impianti) o con dispositivi meccanici, scaricandoli ad intervalli in apposito pozzetto di raccolta. Con la disoleazione il liquame subisce anche una pre-aerazione. + Qualora in ingresso all'impianto di depurazione si avesse una portata e/o un carico inquinante variabile, il liquame può essere oggetto di un trattamento di: • equalizzazione per livellare le punte di portata; • omogeneizzazione per livellare le punte di inquinamento, al fine di garantire ai successivi trattamenti di depurazione un liquame a portata e carico organico sufficientemente costanti specialmente quando i processi biologici risultano sensibili alla variabilità della concentrazione di BOD5. In questo caso il liquame viene fatto confluire in una vasca, in calcestruzzo armato, di capacità tale da garantire lo smorzamento dei picchi idraulici e di carico organico. Tale vasca viene posta a valle di tutti gli altri pretrattamenti poiché questi non risentono in maniera sensibile della variabilità sia del carico idraulico che di quello organico. La vasca di accumulo è dimensionata per garantire al liquame un idoneo tempo di residenza. Durante lo stazionamento nella vasca il refluo subisce un energico trattamento di agitazione, che garantisce l'omogeneizzazione del liquame, e di aerazione, per impedire l'instaurarsi di condizioni settiche. La vasca di equalizzazione può fungere anche da dissabbiatore, infatti l'insufflazione di una blanda quantità di aria, oltre a generare una miscelazione sufficiente a non far depositare le sostanze organiche sospese nel liquame, è tale però da consentire la sedimentazione delle sabbie. Le vasche di equalizzazione e omogeneizzazione possono essere collocate: • lungo la linea di flusso dei reflui e quindi alimentate con l'intera portata da trattare; • fuori linea in modo da ricevere, solo l'aliquota eccedente la portata massima trattabile dall'impianto. In questo caso lungo la linea di flusso dei liquami viene posto una sfioratore opportunamente dimensionato. Quasi sempre in tutte e due i casi è necessario il sollevamento, mediante pompe, dei liquami accumulati verso le successive fasi di trattamento. La sedimentazione primaria consiste in vasche nelle quali si attua la decantazione per la separazione dei solidi sospesi sedimentabili (SSS) ottenendo una riduzione del BOD5 intorno al 30%, la rimozione del restante 70% è demandato al successivo trattamento biologico. Poiché in questa fase viene trattato un materiale di tipo granuloso, cioè la particella sedimenta senza interferire con le altre particelle, la velocità di sedimentazione del materiale obbedisce con discreta approssimazione alla Legge di Stokes e alla teoria di Hazen. Le vasche di sedimentazione sono di regola poco profonde e comunque non meno di 1,80 m per evitare che il vento possa sollevare i fanghi già depositati. Le vasche non devono essere né troppo corte, per non dar luogo ad un corto circuito tra l'entrata e l'uscita dei liquami (cioè evitare che parte dei liquami possa effettuare un percorso dentro la vasca diverso da quello previsto teoricamente con riduzione del tempo effettivo di permanenza), né troppo larghe per non favorire la formazione di spazi morti presso gli angoli (con innesco dei fenomeni putrefattivi). Le vasche vengono dimensionate per garantire un tempo di permanenza ( o tempo di detenzione T) del liquame compreso fra 1 e 3 ore (in genere si assumono valori attorno alle 2 ore); tali tempi di detenzione non devono essere inferiori a 20 minuti per fogne miste, in caso di pioggia (di regola si considera pari a 50 minuti). Le vasche possono essere a flusso orizzontale e pianta rettangolare o flusso radiale o radiale/verticale e pianta circolare. Nelle vasche a sezione circolare si deve procedere considerando possibilmente un diametro 20 m. Nelle vasche circolari, i liquami bruti entrano al centro della vasca, e dopo aver superato un deflettore, l'effluente chiarificato esce superando uno stramazzo perimetrale e raccogliendosi in una canaletta prosegue verso il trattamento biologico. Le vasche sono munite di dispositivi automatici per la raccolta e l'evacuazione dei fanghi. Nelle vasche rettangolari questi dispositivi possono essere costituiti da un ponte mobile portante lunghi bracci snodati ai quali sono fissati raccoglitori. Questi vengono tenuti a contatto del fondo quando il ponte si muove verso la tramoggia di raccolta del fango posta sul fondo della vasca, e si sollevano verso la superficie quando il ponte si muove in senso opposto. Nel caso di vasche circolari il ponte ruota su un perno centrale e su una guida circolare periferica. I raccoglitori assicurati al ponte spazzano il fondo e convogliano i fanghi verso il pozzetto centrale di raccolta dal quale questi vengono aspirati ed inviati ai digestori. Il trattamento primario può svolgere anche funzioni di equalizzazione e omogeneizzazione. # % E' il trattamento più importante dell'intero ciclo di depurazione e consiste nella biodegradazione da parte di microrganismi, di tutte le sostanze organiche presenti nelle acque da depurare, fino a trasformarle in composti molto semplici ed innocui dal punto di vista ambientale. Nel trattamento biologico a fanghi attivi si realizza nelle vasche un sistema dinamico aerobico controllato, che riproduce in ambiente artificiale gli stessi meccanismi biologici che avvengono in natura (ad esempio lungo il corso di un fiume) per la depurazione delle acque inquinate da sostanze organiche biodegradabili. Infatti, mescolando uno scarico da depurare con dei fanghi attivi in cui è presente un’alta concentrazione microbica aerobica preformata, si ha lo stesso processo di autodepurazione che avviene in natura, ma con una velocità delle reazioni accelerata e uno spazio occupato minore. Il vantaggio del trattamento a fanghi attivi rispetto alla depurazione naturale è che la flora microbica utilizzata per trattare le acque di scarico, anziché rimanere dispersa nell’effluente trattato tende ad agglomerarsi formando dei fiocchi (materia organica e batteri) che, se posti in condizioni di quiete, tendono a sedimentare e possono essere separati con facilità dai liquami chiarificati che rimangono in superficie (surnatante). Il trattamento secondario consente anche l'abbattimento di sostanze azotate, fosfati. Pertanto la materia organica presente nel refluo viene in parte mineralizzata con formazione dei prodotti gassosi del catabolismo batterico nelle vasche di ossidazione biologica, un'altra parte, va a costituire il fango che è fortemente putrescibile e il quale, prima del suo smaltimento deve subire una serie di interventi che vanno a costituire la linea fanghi degli impianti di depurazione. Nella fase di aerazione intervengono contemporaneamente fenomeni di ossigenazione e deossigenazione che dipendono dal carico organico da trattare introdotto in vasca (pari a portata per concentrazione) e dall'efficienza del sistema di aerazione impiegato. Nel metabolismo batterico di un processo biologico aerobico la crescita della biomassa del fango attivo e la formazione di nuove cellule batteriche è conseguenza del consumo di carico organico (substrato) da parte dei microrganismi nelle reazioni di ossidoriduzione col relativo consumo di ossigeno per ossidazione del substrato e per sintesi batterica. Il processo biologico viene descritto da cinque fasi: Fase 1 – stazionaria, microorganismi costanti Fase 2 – avviamento, la velocità di reazione tende alla velocità di regime Fase 3 – crescita logaritmica illimitata Fase 4 – crescita limitata dalla disponibilità del cibo (Carico organico) Fase 5 – fase endogena o morte dei batteri Il refluo proveniente dal trattamento primario è convogliato in grandi vasche, areate o per insufflazione d’aria o per agitazione da parte di turbine, dove si ha prevalentemente l’abbattimento delle sostanze carboniose. Il sistema sfrutta due fenomeni: • La bioflocculazione è la formazione di fiocchi gelatinosi di pochi mm di materiale organico presente in sospensione. L’aggregazione di questi flocculi è probabilmente favorita dalla carica elettrica superficiale delle molecole organiche molte delle quali di natura colloidale e dalla presenza di forme batteriche filamentose (come Spheromixya sp., Micotrix sp.) che costituiscono una vera e propria armatura interna dalla quale dipende la coesione del flocculo. Le forme batteriche presenti sono varie e selezionate di volta in volta a seconda del tipo di refluo e di condizioni globali presenti nella vasca. I flocculi se ben formati sedimentano e vanno a formare il fango attivo che si deposita sul fondo e viene posto in ricircolo consentendo una progressiva degradazione della sostanza organica in esso presente. • La biodegradazione della materia solubilizzata, da parte dei batteri aerobi di popolazioni eterogenee, porta alla formazione di CO2, CH4, NH4+, NO2-, NO3- ed altre molecole di scarto. I batteri sono selezionati dalle condizioni globali, così che in ambienti ad alta concentrazione di proteine avremo generi di Alcaligens, Flavobacterium, Bacillus, in ambienti ricchi di carboidrati troveremo Pseudomonas, e a basse concentrazioni di O2 e sostanze organiche avremo Nitrosomonas e Nitrobacter. Parte della degradazione si verifica nel fango attivo dove si ha una demolizione catalitica operata da esoenzimi su molecole organiche polimeriche a cui segue un loro utilizzo a fini energetici. La necessità di mantenere entrambi i due fenomeni impone un compromesso alla turbolenza interna del refluo che consenta da un lato la formazione dei flocculi dall’altro un'adeguata ossigenazione dell’acqua per favorire il metabolismo aerobio. Alla fine rimangono presenti solo sostanze poco degradabili (detergenti…) o sostanze fini che sfuggono alla seguente sedimentazione detta sedimentazione secondaria. Si hanno notevoli costi operativi per portare l’impianto a livelli d’efficienza superiori al 90% di BOD. Il dimensionamento della vasca va basato su: • carico idraulico entrante • carico organico • efficienza che si vuole ottenere • caratteristiche di biodegradabilità del liquame • caratteristiche del fango attivo; ma risulta difficile poiché complesse e poco conosciute sono le condizioni che governano la flocculazione e l’attività batterica benché si utilizzino appositi modelli. Mediante l'aerazione (o ossidazione biologica), i solidi sospesi non sedimentabili e quelli disciolti biodegradabili vengono convertiti in fanghi sedimentabili e quindi separati mediante decantazione che segue sempre la fase di trattamento biologico vero e proprio. La sedimentazione secondaria ha il compito di eliminare i fanghi sedimentabili prodotti nella fase di aerazione. Nei sistemi a fanghi attivi, una parte dei fanghi sedimentati viene pompata nuovamente nella vasca di ossidazione mentre quelli di supero sono inviati alla cosiddetta "linea fanghi" per essere sottoposti ad ulteriori trattamenti finalizzati al loro smaltimento a norma di legge. Numerose sono le alterazioni che possono presentarsi a carico del fango attivo e che possono condurre a problemi di separazione della fase liquida da quella solida. Il più serio e di più difficile soluzione è decisamente il caso del bulking filamentoso, ma è bene richiamare brevemente gli altri casi di alterazione che sono di natura diversa. Crescita dispersa: i batteri non aderiscono più gli uni agli altri e la bioflocculazione è impedita. Sono in genere più utenti alla presenza nello scarico di sostanze tossiche o di tensioattivi; Bulking viscoso: i batteri producono elevate quantità di materiale extra cellulare e danno origine a fiocchi di aspetto gelatinoso che trattengono notevoli quantità d'acqua, è dovuto in genere alla carenza di nutrienti nello scarico. Fiocchi pin point (a punta di spillo): i fiocchi sono di dimensioni molto ridotte e producono un effluente torbido, i batteri filamentosi sono praticamente assenti. Si presnta in genere in presenza di carichi organici estremamente bassi oppure con particolari scarichi industriali; Rising (risalita dei fanghi): è dovuto alla denitrificazione che avviene sul fondo dei sedimentatori secondari. In pratica se la concentrazione di Ossigeno è troppo bassa, i batteri restano privi di ossigeno sul fondo del sedimentatore e si innescano i meccanismi di respirazione anaerobica con formazione di biogas all’interno del fiocco, i fiocchi cominciano a galleggiare e, quando arrivano in superficie, per la variazione della pressione le bollicine di gas si allargano e spaccano il fiocco con conseguente ricaduta. Dato che dipende dalla quantita di Ossigeno presente nel liquame, e che viene arriva al sedimentatore, si controlla innalzando la concentrazione di Ossigeno (se possibile) nella vasca di ossidazione, oppure diminuendo la quantità di fanghi (soggetti che consumano l’ossigeno). Bulking (rigonfiamento): si presenta con una scarsa separazione del fango dall'effluente trattato nei sedimentatori secondari; è dovuto alla presenza eccessiva di batteri filamentosi all'interno e all'esterno dei fiocchi di fango attivo. Si controlla mediante: • • aggiunta di sostanza chimiche con azione tossica o aggregante la biomassa: processo costoso e, nel caso in cui si usano sostanze tossiche per i batteri filamentosi, si rischia di inibire la crescita di altri batteri. Poco usato modificazioni delle condizioni operative: dato che i batteri filamentosi si presentano quando ci sono delle condizioni di basso ossigeno disciolto, o basso carico organico, o pH e così via… si prova ad intervenire sulle condizioni (previo controllo analitico) • Modificazioni dello schema di impianto con l’introduzione di zone in grado di effettuare una selezioni della crescita batterica: questo è possibile perché i batteri hanno cinetiche e condizioni di crescita diverse tra loro, quindi si favoriscono le condizioni di sviluppo di una specie piuttosto che un’altra. Foaming (schiume biologiche): si presentano di colore marrone scuro sia sulla superficie dei sedimentatori che ne bacini di areazione sono dovute alla crescita di alcuni microrganismi filamentosi (diversi da quelli che creano il bulking). Si combatte sostanzialmente allontanando la schiuma dal sedimentatore per evitare che rientri in circolo nella vasca di ossidazione. Mediante l'aerazione (o ossidazione biologica), i solidi sospesi non sedimentabili e quelli disciolti biodegradabili vengono convertiti in fanghi sedimentabili e quindi separati mediante decantazione che segue sempre la fase di trattamento biologico vero e proprio. La sedimentazione secondaria ha il compito di eliminare i fanghi sedimentabili prodotti nella fase di aerazione. Nei sistemi a fanghi attivi, una parte dei fanghi sedimentati viene pompata nuovamente nella vasca di ossidazione mentre quelli di supero sono inviati alla cosiddetta "linea fanghi" per essere sottoposti ad ulteriori trattamenti finalizzati al loro smaltimento a norma di legge. I fanghi secondari sono costituiti principalmente da biomassa e sono formati da: • la frazione dei solidi sospesi sedimentabili (SSS) che è sfuggita alla sedimentazione primaria (i decantatori primaria non hanno mai un rendimento del 100%); • i solidi prodotti nella vasca di ossidazione sono costituiti da: o i solidi sospesi non sedimentabili (SSNS) e non biodegradabili: cioè quelle sostanze che non vengono attaccate dai batteri ma rimangono comunque incorporate nella biomassa; o i solidi sospesi non sedimentabili (SSNS) biodegradabili: cioè quelle sostanze colloidali che vengono attaccate dai batteri e da questi trasformate in biomassa; o i solidi disciolti(SDV) biodegradabili: cioè quelle sostanze disciolte che vengono attaccate dai batteri e da questi trasformate in biomassa. Allo scopo di lavorare a ciclo continuo (senza mai fermare il processo di ossidazione nella vasca) si evita di effettuare la fase iniziale di crescita di dei batteri che costituiscono i fanghi cercando di mantenere la concentrazione dei fanghi attivi in vasca a valori pressoché costanti. Per questo motivo una parte dei fanghi che hanno subito la sedimentazione, viene riimmessa nella vasca di ossidazione e una parte, fanghi di supero, viene inviata alla linea fanghi per i trattamenti prima dello smaltimento finale. Ulteriori trattamenti. Vengono applicati all'effluente proveniente dall'ossidazione biologica, quando lo scarico finale deve subire un ulteriore abbattimento del carico inquinante, che altrimenti sarebbe incompatibile con il recapito finale prescelto; un esempio è la riduzione dei solidi disciolti o delle sostanze nutrienti (azoto e fosforo) che potrebbero causare l'eutrofizzazione e anossia dei corpi idrici recettori e di tossicità della vita acquatica. Questi consistono, per esempio, nell'eliminazione di azoto (denitrificazione) e fosforo (defosfatazione), che possono provocare fenomeni di eutrofizzazione e anossia di corpi idrici ricettori e tossicità per la vita acquatica, nonché la riduzione dei solidi disciolti per adsorbimento su carbone attivo. Anche questi trattamenti possono essere di tipo biologico. Fanno parte di questa fase: • trattamenti chimico-fisici (chiariflocculazione) • trattamenti meccanici (filtrazione su carboni attivi o su filtri a sabbia) • trattamenti biologico-naturali (fitodepurazione, lagunaggio) • trattamenti biologici (nitrificazione, denitrificazione e defosfatazione) • trattamenti di disinfezione. ' L'azoto nelle acque di scarico può essere presente in diverse forme: • azoto organico; • azoto ammoniacale; • azoto nitroso; • azoto nitrico. L'eliminazione dei composti azotati dai reflui avviene mediante due fasi: la nitrificazione e la denitrificazione. Nei reflui in arrivo nell'impianto, la maggior parte della sostanze organiche a base d'azoto si trova sotto forma di ammoniaca, mentre ai fini della denitrificazione servono soprattutto i nitrati. Pertanto per attuare la rimozione completa delle sostanze azotate è necessario preventivamente effettuare una nitrificazione (che avviene principalmente nella vasca di aerazione) mediante la quale, in condizioni aerobie avviene l'ossidazione biologica dell’azoto sotto forma di ione ammonio e sotto forma di nitrito in nitrato. Successivamente, in una vasca non ossigenata o anossica di denitrificazione, i nitrati vengono convertiti in azoto gassoso N2 dai batteri anaerobi . ) La nitrificazione viene attuata nella stessa vasca di ossidazione o aerazione o vasca dei fanghi attivi. L'ossidazione biologica viene attuata dai batteri autotrofi aerobi capaci di utilizzare, per la sintesi cellulare, carbonio inorganico (CO2) e di trarre l'energia necessaria alla crescita e al metabolismo dall'ossidazione (O2 accettore di elettroni) di NH4+ e poi NO2-. La velocità di nitrificazione dipende dalla concentrazione di ossigeno disciolto, mentre la velocità di crescita dei batteri dipende dal pH dell'acqua il quale, per consentire le condizioni ottimali di crescita ad entrambi i microrganismi, deve rimanere possibilmente tra 7 e 8. La temperatura ottimale della nitrificazione varia tra 25-32 °C. A questo punto, l'acqua in uscita dal reattore aerobico, dove è avvenuta l'ossidazione delle sostanze organiche e la nitrificazione, viene pompata a monte nella vasca anossica di denitrificazione. L'azoto residuo in uscita dall'impianto è relativo a: alla frazione di azoto disciolto o legato a solidi sospesi. Nella denitrificazione si ha la conversione dei nitrati in azoto gassoso. La denitrificazione anossica, cioè in assenza di ossigeno disciolto, è un processo di natura biologica attuato da alcuni batteri eterotrofi anaerobi facoltativi, che infine libera azoto molecolare sotto forma di gas (N2). Questi batteri essendo eterotrofi, richiedono, quindi, anche sostanza organica. I batteri denitrificanti in condizioni anaerobie usano il nitrato come accettore di elettroni e ossidano molecole organiche ad anidride carbonica e acqua. Come prodotti finali, quindi, oltre all'azoto molecolare (N2) si ha anche anidride carbonica CO2 e acqua H2O. La vasca di denitrificazione oltre a ricevere il refluo della vasca anossica di rilascio del fosforo, riceve dalla vasca di aerazione, tramite una pompa, la miscela nitrificata per effettuare la reazione di denitrificazione partendo da nitrati e nitriti. Quando la miscela nitrificata proveniente dalla vasca di aerazione viene immessa nella vasca di denitrificazione perde velocemente l'ossigeno disciolto residuo e quindi non "ossigena" significativamente la vasca anossica. La vasca di denitrificazione può, quindi, essere posta a monte della vasca di aerazione (processo Ludzak-Ettinger). I sistemi di depurazione più avanzati prevedono anche l'abbattimento dei fosfati. Il fosforo può essere presente in più forme: inorganica come ortofosfato (PO43-), oppure organica sotto forma di acido umico, fulvico o fosfolipidi. Rispetto all'azoto, il fosforo ha l'inconveniente di non poter essere ridotto in forma gassosa e liberato nell'atmosfera. La concentrazione di fosfati è funzione anche dell'età del fango trattato infatti a seguito della lisi cellulare rapida si ha rilascio di fosfato. In un impianto convenzionale a fanghi attivi si ha già una rimozione parziale del fosforo (20-30%), (per la riproduzione cellulare), ma con trattamenti specifici tale rimozione è quasi totale (90%). L'eliminazione specifica del fosforo viene realizzata a seconda dei casi mediante un trattamento di tipo chimico-fisico o mediante un trattamento di tipo biologico. Il trattamento chimico-fisico consiste nell'uso di sostanze precipitanti, che coagulano con i fosfati facendoli precipitare. Successivamente si sottopone il refluo trattato ad una filtrazione su sabbia (o su teli o su dischi). Il sistema di defosforazione biologico, sfrutta l'intervento di batteri eterotrofi fosfo-accumulanti che tendono naturalmente ad accumulare fosforo, sotto forma di polifosfati, ma che se sottoposti a stati alternati di stress aerobico-anaerobico accumulano, molto più fosforo del necessario. L'abbattimento biologico dei fosfati organici consiste in due fasi distinte: una aerobica e l'altra anaerobica. Si parla di processo full stream o A/O (da Anaerobic-Oxic) se l'intera portata viene sottoposta al ciclo aerobico/anaerobico in questo caso si ha un sistema di trattamento a doppio stadio biologico: • il primo, in ambiente anaerobico, è condotto in un ABR (Anaerobic Baffled Reactor) costituito da tre comparti attraversati in serie dal liquame in trattamento dove avviene sia la separazione per gravità dei solidi sospesi sedimentabili di natura organica che la degradazione anaerobica di una parte della sostanza organica più facilmente degradabile; • il secondo, alimentato con l'effluente del primo stadio, è composto dall'unità di aerazione e dalla sedimentazione secondaria, utilizzate per sviluppare un processo a fanghi attivi mirato all'ossidazione combinata dell'azoto ammoniacale e del substrato organico. Questo tipo di processo è finalizzato alla sola rimozione del fosforo. Se a questo processo viene aggiunta una fase anossica, (A2/O da Anaerobic-Anoxic-Oxic) destinata alla denitrificazione, si può rimuovere contemporaneamente anche l'azoto. Un processo di rimozione simultanea di azoto e fosforo è quello denominato Phoredox che è un processo di abbattimento di azoto con un reattore anaerobico in testa. Se viene trattata in anaerobiosi soltanto una frazione dei fanghi di ricicolo si parla di processo side stream. Nella fase anaerobica i batteri sfruttano, in mancanza di ossigeno, la polifosfatochinasi come riserva energetica per produrre poli-idrossibutirrato (BHP) ma per fare questo degradano i polifosfati presenti nelle loro cellule rilasciando quindi nell'acqua ortofosfati. In questa fase vi è il rilascio del fosforo nell'acqua e l'accumulo di PHB. Durante la fase aerobica, i batteri, sviluppano un enzima (la polifosfatochinasi) che consente alle cellule di assumere gli ortofosfati presenti nell'acqua e rilasciati nella fase anaerobica in quantità molto superiore a quella necessaria come polifosfati, e allo stesso tempo per ricavare energia i batteri degradano il poli-idrossibutirrato (BHP). In questa fase vi è una riduzione di fosforo nell'acqua e un consumo di PHB. I batteri si accumuleranno poi nel sedimentatore secondario con i fanghi e verranno inviati con i ricircoli alla vasca di rilascio dei fosfati. Gran parte dei fosfati in verità viene rimossa attraverso il fango di supero. I principali vantaggi derivanti dalla rimozione biologica del fosforo sono ridotti costi e minore produzione di fango rispetto alla precipitazione chimica. L'abbattimento del fosforo può avvenire anche per mezzo di un trattamento di fitodepurazione. L’acqua in uscita da un impianto di depurazione ha subito un abbassamento in termini di BOD, ma risulterà avere un’elevata popolazione batterica, tra cui saranno presenti anche i batteri patogeni. La disinfezione serve ad abbattere i batteri (carica batterica) patogeni nell'effluente depurato. Può avvenire tramite: • clorazione • ozonizzazione • attinizzazione (raggi UV) • acido peracetico. La clorazione è il procedimento più utilizzato per la depurazione microbiologica delle acque. Esso reagisce ossidando le sostanze organiche ed inorganiche e inattivando i microrganismi. Il cloro è il disinfettante più usato nei trattamenti di disinfezione. Esso può essere impiegato sotto forma di ipoclorito di sodio, biossido di cloro, cloroammine, cloro liquido o gassoso (Cl2). " L'ozonizzazione è una tecnica di disinfezione delle acque che impiega ozono (O3) un gas prodotto mediante scariche elettriche ad alto voltaggio in una apposita camera nella quale viene fatto passare un flusso d'aria o di O2 per dare origine all’ozono O3, una molecola trivalente molto aggressiva e instabile. L'ozono ha elevata efficacia nei confronti di batteri e virus. L'attinizzazione sfrutta l'azione battericida dei raggi UV-C. I raggi UV sono emessi per mezzo di lampade a vapori di mercurio. Si raggiunge un livello di qualità eccellente ma i costi sono elevati, l'uso di raggi UV consente la degradazione da parte degli stessi del DNA batterico. L'acido peracetico è un potente biocida che basa la sua azione sull'alterazione di strutture cellulari come enzimi e membrane. È particolarmente instabile pertanto viene commercializzato in soluzioni al 5% o 15% pronto per essere solubilizzato nelle giuste quantità nelle acque da depurare # Il fango da depurazione è quella frazione di materia solida contenuta nelle acque reflue urbane ed extraurbane, che viene rimossa, negli impianti di depurazione, durante i vari trattamenti depurativi, meccanico-biologico-chimico, necessari a rendere le acque chiarificate compatibili con la loro reimmissione in natura senza creare alterazioni all'ecosistema del corpo ricettore (mare, fiumi, laghi o in casi particolari anche il terreno superficiale). Come le acque reflue urbane da cui provengono, anche i fanghi di depurazione contengono, in concentrazione superiore, sostanze inorganiche ed organiche, queste ultime preponderanti e in gran parte biodegradabili. Questa elevata biodegradabilità, ne rende possibile il trattamento di natura biologica. Nei fanghi si trovano concentrati anche i microrganismi, che possono comprendere agenti patogeni quali Salmonella e Streptococchi provenienti con le deiezioni da malati e/o portatori, e che possono presentare aspetti di pericolosità per la salute umana. # I fanghi prodotti dalla linea acque degli impianti di depurazione si distinguono in: • fanghi primari; • fanghi secondari o biologici. I fanghi primari rappresentano quella parte di solidi sospesi sedimentabili (SSS) che riesce a separarsi dalle acque reflue grezze nei decantatori primari (se presenti) e che pertanto per sedimentare non necessitano di alcuna trasformazione di natura biologica. I fanghi primari sono praticamente costituiti da una miscela di: • composti organici facilmente degradabili quali cellulosa, zuccheri, lipidi e proteine; • sostanze inorganiche inerti come sabbia, ossidi metallici, carbonati; • sostanze organiche non facilmente biodegradabili come fibre, semi e gomma. I fanghi secondari sono costituiti dalle sostanze sedimentate nei decantatori secondari dopo che il liquame è stato sottoposto al ciclo biologico del processo depurativo. Le sostanze organiche presenti nei reflui costituiscono la fonte di nutrimento per microrganismi (principalmente colonie miste di batteri saprofiti) che crescendo e riproducendosi vanno a formare fanghi sedimentabili. Tali fanghi sono costituiti principalmente da biomassa batterica (colonie batteriche) e in percentuale minoritaria da sostanze inorganiche (sali). I fanghi secondari contengono: • la frazione dei solidi sospesi sedimentabili (SSS) che è sfuggita alla sedimentazione primaria; • i solidi prodotti direttamente nella vasca di ossidazione sono costituiti da: o i solidi sospesi non sedimentabili (SSNS) e non biodegradabili): cioè quelle sostanze che non vengono attaccate dai batteri ma rimangono comunque incorporate nella biomassa; o i solidi sospesi non sedimentabili (SSNS) biodegradabili: cioè quelle sostanze che vengono attaccate dai batteri e da questi trasformate in biomassa sedimentabile; o i solidi disciolti(SDV) biodegradabili: cioè quelle sostanze disciolte che vengono attaccate dai batteri e da questi trasformate in biomassa sedimentabile. # , I fanghi prodotti dalla linea acque degli impianti di depurazione sono delle sospensioni costituite da materiale solido con un tenore variabile, ma molto elevato, di umidità. Le sostanze organiche contenute nei fanghi, primari e biologici, sono putrescibili per cui richiedono una adeguata serie di trattamenti che ne consenta lo smaltimento finale senza inconvenienti per la salute umana e per l'ambiente. Pertanto è necessario sottoporre i fanghi ad un ulteriore serie di trattamenti, che costituiscono la linea fanghi dei depuratori, finalizzati a ridurre il tenore di acqua contenuta, con conseguente riduzione del volume, alla stabilizzazione del materiale organico e alla distruzione degli organismi patogeni presenti. I trattamenti che costituiscono la linea fanghi di un depuratore possono essere così riassunti. • condizionamento; • ispessimento; • digestione; • disidratazione; • disinfezione. I fanghi di depurazione sono a tutti gli effetti dei rifiuti e in quanto tali disciplinati dal Dlgs 152/2006, ma l'art. 127 recita: i fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato; a tal fine per il recupero in agricoltura i fanghi devono essere conformi a quanto stabilito dal D.lgs 99/92. I fanghi pertanto possono essere smaltiti nel seguente modo: • per incenerimento finalizzato al recupero energetico; • in discariche controllate di rifiuti speciali (D. lgs. 36/03 e D.M. 3 agosto 2005); oppure, poiché generalmente presentano buoni contenuti di sostanza organica ed elementi della fertilità vegetale (N, P, K), riutilizzati: • spandimento sul suolo adibito ad uso agricolo (D. lgs. 99/92); • in impianti di compostaggio per il successivo utilizzo in agricoltura; Il riutilizzo in agricoltura è interdetto qualora i fanghi contengano anche metalli pesanti che possono accumularsi nel suolo. In Italia i fanghi vengono smaltiti principalmente in discarica (55%) e in parte riutilizzati in agricoltura (33%). Il trattamento e smaltimento dei fanghi prodotti dalla chiarificazione delle acque reflue contribuisce attualmente fino al 50% dei costi di gestione degli impianti di depurazione. Il condizionamento è un trattamento a cui vengono sottoposti i fanghi, che consente principalmente una maggiore disidratabilità/filtrabilità dei fanghi stessi con conseguente maggiore efficienza durante il successivo trattamento di disidratazione (previsti a valle), quasi sempre necessario per ridurre il volume dei fanghi e quindi il costo delle successive operazioni di trattamento e smaltimento. Tale trattamento è utilizzato nel caso di disidratazione meccanica. I metodi di condizionamento possono essere: • chimico; • fisico (termico). Il metodo più diffuso è quello di natura chimica e si basa sull'utilizzo di sostanze organiche o inorganiche capaci di determinare la neutralizzazione delle cariche superficiali dei colloidi, favorendone l'aggregazione. La scelta del tipo di sostanza chimica da adottare e il relativo dosaggio ottimale va fatta caso per caso, sulla base di prove di laboratorio, tenendo anche presente i successivi processi di trattamento cui deve essere sottoposto il fango e l'impiego previsto per i residui del trattamento. Se il fango deve essere disidratato e successivamente sottoposto ad incenerimento, sarà conveniente utilizzare per il condizionamento delle sostanze organiche, che non determinano un aumento del contenuto di ceneri nei residui secchi del trattamento di incenerimento. Viceversa, se la destinazione finale del fango disidratato è la deposizione sul terreno potrà essere preferibile utilizzare sostanze inorganiche infatti alcune sostanze inorganiche producono una parziale sterilizzazione dei fanghi, fattore questo di estrema importanza quando i fanghi vengono smaltiti per semplice deposizione. Oltre ai metodi chimici, per il condizionamento dei fanghi, possono essere usati metodi di natura fisica. Il metodo più efficace, particolarmente utile per fanghi con elevato contenuto di sostanze colloidali, è il condizionamento termico; che consiste, essenzialmente, in una cottura del fango ad elevata temperatura (200÷205 °C) in appositi recipienti riscaldati con vapore. Per effetto della cottura sotto pressione, le sostanze colloidali coagulano e si agglomerano separandosi dall'acqua mentre buona parte delle sostanze organiche passano in soluzione. Successivamente, il fango viene addensato per sedimentazione e l'acqua ricca di sostanze organiche viene riciclata negli impianti di trattamento delle acque di rifiuto. L'uso dei metodi di condizionamento fisici non è molto diffuso poiché allo stato attuale della tecnologia essi risultano generalmente più costosi dei metodi chimici L'ispessimento o addensamento ha lo scopo di ridurre l'umidità presente nei fanghi stessi. Con l'ispessimento si ha una riduzione dell'umidità modesta infatti dopo il trattamento il fango possiede ancora un contenuto di acqua di circa il 95%. In tali condizioni il fango si comporta come un liquido ed è ancora pompabile con apparecchiature convenzionali. La riduzione di umidità, anche se piccola, comporta una sensibile riduzione del volume di materiale da trattare e pertanto un consistente risparmio nel dimensionamento nelle fasi successive, e pertanto un abbassamento significativo dei costi di investimento e di esercizio degli impianti di trattamento e smaltimento dei fanghi. Questo trattamento sfrutta le differenze di peso specifico dei materiali costituenti i fanghi; questa differenza di peso specifico può essere: • • naturale (ispessimento per gravità): Gli ispessitori a gravità sono in genere costituiti da vasche circolari a fondo tronco conico rovesciato, con schema di flusso simile a quello delle vasche di sedimentazione primaria a pianta circolare. In questo caso però, essendo la concentrazione dei solidi più elevata rispetto a quella dei reflui, la velocità di sedimentazione è notevolmente ridotta e pertanto i tempi di permanenza del fango nelle vasche sono maggiori. Nelle vasche per effetto della gravità i fanghi si addensano, riducendosi quindi di volume fino a tre o quattro volte. indotta (ispessimento per flottazione): avviene all’interno di un determinato tipo di vasche, all'interno delle vasche viene immessa aria compressa (circa 5 bar) che si solubilizza nell'acqua e la satura; quando la pressione viene improvvisamente ridotta a quella atmosferica (1 bar), mediante una valvola riduttrice di pressione, dalla miscela aria-acquasolidi, l'aria si separa sotto forma di piccole bolle che aderiscono velocemente ai fiocchi aumentandone la velocità di galleggiamento (flottazione). Tutte le particelle sospese che hanno tendenza a flottare liberamente (densità inferiore a quella dell’acqua) sia quelle scarsamente sedimentabili, vengono portate sulla superficie dell’acqua e rimosse tramite un raschiatore automatico. Le vasche sono dotate anche di raschiatore di fondo per rimuovere il materiale non flottabile che sedimenta sul fondo della vasca I surnatanti prodotti dall'ispessimento spesso vengono ripompati al trattamento primario, mentre i fanghi ispessiti vengono pompati a monte del sedimentatore primario della linea acque per essere ulteriormente trattati. Un altro procedimento di ispessimento dinamico è la centrifugazione con macchine a bassa velocità di rotazione. Per questo tipo di trattamento è necessario prevedere un preventivo condizionamento dei fanghi. Con questo trattamento la velocità di sedimentazione delle particelle solide è mediamente 50 volte superiore a quella ottenuta per gravità. La digestione o stabilizzazione biologica dei fanghi è un processo biologico che sfrutta l'azione di adatti microrganismi per la mineralizzazione dei fanghi, cioè per la trasformazione, in prodotti più semplici e stabili (non putrescibili), del materiale organico contenuto nei fanghi; materiale costituito, generalmente, da sostanze che si degradano con difficoltà (cellulosa, grassi, ecc.). La digestione può essere: • digestione anaerobica (più usata); • digestione aerobica. Un'ulteriore tipologia di stabilizzazione biologica è il compostaggio. Per digestione anaerobica si intende la degradazione della sostanza organica da parte di microrganismi in condizioni di anaerobiosi. Si tratta di un processo alternativo al compostaggio, che è al contrario strettamente aerobico. Convenzionalmente, in relazione al tipo di batteri utilizzati, esistono due differenti intervalli di temperatura in cui viene condotta la digestione anaerobica: • con batteri mesofili si lavora a temperature comprese tra 20-45 °C, con un intervallo ottimale di 3741 °C; • con batteri termofili le condizioni di esercizio ottimali implicano un intervallo di temperatura compreso tra i 50-52 °C, con temperature che possono anche essere relativamente elevate e superare i 70 °C. Il tempo di residenza in un digestore varia in funzione della quantità di materiale da trattare, del tipo di materiale e dalla temperatura di esercizio. Altro parametro particolarmente importante è il valore di pH. Il processo è regolato dall'attività di due tipi di batteri: • quelli capaci di trasformare le sostanze organiche dei fanghi in acidi grassi (formico, propionico, butirrico, ecc.) • quelli che metabolizzano questi acidi, dando come prodotti finali composti a basso peso molecolare ed in particolare anidride carbonica e metano. A seconda dell'azione dei vari batteri, la digestione anaerobica è suddivisibile in quattro stadi: 1. Idrolisi - batteri idrolitici, dove le molecole organiche subiscono scissione in composti più semplici quali i monosaccaridi, amminoacidi e acidi grassi. 2. Acidogenesi - batteri acidogeni, dove avviene l'ulteriore scissione in molecole ancora più semplici come gli acidi grassi volatili (ad esempio acido acetico, propionico, butirrico, ecc.) con produzione di ammoniaca, anidride carbonica e acido solfidrico quali sottoprodotti. 3. Acetogenesi - batteri acitogeni, dove le molecole semplici prodotte nel precedente stadio sono ulteriormente digerite producendo biossido di carbonio, idrogeno e principalmente acido acetico. 4. Metanogenesi - batteri metanigeni, con produzione di metano, biossido di carbonio e acqua. Al contrario dei batteri acidificanti, quelli metanigeni sono quelli a crescita più lenta (circa 4-5 giorni) e ridotta, per cui costituiscono l'elemento limitante del processo. Inoltre, lavorano in campo di pH compreso tra 7 e 7,5. Se si crea un accumulo di acidi volatili (come avviene all'avvio all'esercizio del digestore), con conseguente abbassamento del pH, l'attività dei batteri metanigeni viene inibita e pertanto non avviene più la conversione degli acidi volatili in metano. Per questo motivo per facilitare l'avviamento del processo di fermentazione alcalina e in tutti quei casi in cui il pH dovesse scendere eccessivamente, al fango viene aggiunta una idonea quantità di idrossido di calcio. Non si deve esagerare nella quantità di calce per evitare di portare il pH oltre il valore 8 altrimenti si paralizza l'attività batterica invece che favorirla. Le trasformazioni che avvengono durante una digestione anaerobica vengono fatte avvenire in recipienti- detti digestori - che nella loro forma più semplificata sono costituiti da una vasca in cui i fanghi permangono sotto una idonea massa di acqua sufficiente ad assicurare le condizioni necessarie all'anaerobiosi. Il digestore può essere chiuso; la copertura dei digestiori è indispensabile nel caso si debba recuperare il gas prodotto dalla digestione. Il digestore può essere riscaldato con parte del biogas prodotto dalla fermentazione, al fine di garantirne la costanza della temperatura. Sulla base del fattore di carico volumetrico dei solidi sospesi i processi si distinguono in: • digestione a basso carico: il digestore non è ne riscaldato ne miscelato, tempi di permanenza dei fanghi molto lunghi, basso rendimento del processo. È un processo poco utilizzato, idoneo solo per piccoli impianti e climi molto caldi; • digestione a medio carico : sono digestori riscaldati e miscelati, ma in un unico stadio. Il tempo di permanenza è di circa 20 giorni; • digestione ad alto carico e due stadi: I digestori a due stadi sono costituiti da due vasche, la prima delle quali più grande della seconda. Nella prima avviene il primo stadio dove l'alimentazione del fango e continua e questo viene riscaldato e miscelato per circa 15 giorni. Nella prima fase avviene la stabilizzazione del fango. Successivamente il fango passa, mediante pompa, nella seconda vasca dove avviene il secondo stadio, non riscaldato ne miscelato, dove subisce la separazione surnatante - fango digerito. Il surnatante proveniente dal trattamento di digestione, essendo ricco di sostanze organiche, viene inviato in testa all'impianto di depurazione per un ulteriore trattamento e il fango digerito viene inviato ai successivi trattamenti della linea fanghi. Il biogas prodotto dalla fermentazione anaerobica è formato essenzialmente da metano (60-75 %) e anidride carbonica; ci sono anche piccole percentuali di azoto ed idrogeno solforato. Questo viene raccolto nella parte superiore del digestore, tra al superficie liquida e la copertura. Il biogas, viene in parte utilizzato per il riscaldamento dei digestori ed in parte resta disponibile per altri usi. La quantità di gas prodotto da un digestore, è influenzata notevolmente della temperatura. La digestione aerobica è meno utilizzata di quella anaerobica (è tipica di impianti di depurazione medio-piccoli), ma rispetto a questa, offre il vantaggio di stabilizzare il fango in tempi relativamente brevi. Il processo si basa sugli stessi principi che regolano l'ossidazione delle sostanze inorganiche negli impianti di trattamento biologico. Nella digestione dei fanghi il processo di ossidazione deve essere spinto fino alla fase di respirazione endogena e cioè fino a quella fase nella quale, risultando assente o scarsa la riserva di materiale organico da demolire, si determina la distruzione del materiale cellulare degli stessi microrganismi. Ciò viene ottenuto, in pratica, sottoponendo il fango ad un'aerazione prolungata in bacini aperti mediante insufflazione di aria compressa; tutti gli aeratori hanno anche la funzione di miscelatori. Tali vasche hanno una profondità 4 m. L'assorbimento dell'ossigeno da parte del fango è particolarmente elevato nei primi giorni di aerazione e cioè in concomitanza con il rapido sviluppo della flora batterica, poi diminuisce gradualmente. Nella pratica però, per avere fanghi ben stabilizzati, l'aerazione viene prolungata per molti giorni. Parametro di particolare importanza per l'efficienza del processo, oltre al carico specifico, è la temperatura. Per la temperatura valgono le stesse considerazioni, per la stabilizzazione anaerobica, in particolare, la pratica dimostra che l'ossidazione con batteri mesofili produce un fango di qualità migliore di quello prodotto per ossidazione ad elevate temperature. I sistemi di stabilizzazione infatti hanno lo scopo di interrompere i processi di fermentazione che sono la causa dei fenomeni di putrescibilità e della conseguente formazione di cattivi odori. I processi di stabilizzazione possono essere di tipo temporaneo o permanente. La digestione, che è una stabilizzazione di tipo biologico, è di tipo definitivo mentre esistono alte tipologie di stabilizzazione dei fanghi di tipo chimico e fisico, che sono però di natura temporanea. La disidratazione è un trattamento che ha lo scopo di ridurne il tenore di acqua e rendere più economiche e più facili le successive operazioni di trattamento e smaltimento - smaltimento diretto (ad esempio in agricoltura) o incenerimento; può essere realizzata sia su un fango ancora grezzo che su uno stabilizzato. Dopo il trattamento il fango si presenta come un materiale di consistenza semisolida. Nel caso in cui è previsto l'incenerimento del fango, un trattamento di disidratazione ha lo scopo anche di aumentare il potere calorifico del fango stesso. I metodi di disidratazione si possono classificare in: • naturali; o • l'essiccamento naturale su letti: I letti di essiccamento sono costituiti da vasche a sezione rettangolare, poco profonde, riempite di materiale drenante, sul quale viene cosparso il fango. L'acqua viene allontanata per percolazione e per evaporazione naturale. artificiali o con apparecchiature meccaniche o la filtrazione: L'operazione consiste nel far passare il fango attraverso un mezzo filtrante il quale trattiene la parte solida e fa passare quella liquida. La filtrazione è, tra le tecniche di disidratazione, quella che permette di ottenere fanghi a più elevato contenuto di solidi. Per questa operazione si utilizzano: filtri sotto vuoto o filtri sotto pressione. o • centrifugazione: Il processo consiste nel far separare l'acqua dal fango mediante l'applicazione di una forza centrifuga. Termici, tra questi abbiamo 2 tipi di trattamento o L’essiccamento: Durante l'essiccamento termico i fanghi sono portati ad una temperatura fino ad un massimo di 180 °C durante il quale si liberano dell'acqua interstiziale e capillare. Negli essiccatori il calore viene trasmesso al fango mediante contatto con un fluido caldo (es. vapore). Con l'essiccamento il fango è trasformato in un prodotto secco e sterile che mantiene praticamente inalterata la sua carica organica. Pertanto se il fango di partenza è di origine urbana o, in ogni caso, con elevato contenuto di sostanze organiche, i residui del processo di essiccamento possono essere riutilizzati in agricoltura. L'essiccamento è spesso presente prima dell'incenerimento per portare il fango di alimento ad un potere calorifico tale da garantire l'autosostentamento della combustione. Rispetto agli altri trattamenti di disidratazione l'essiccamento ha costi notevolmente superiori. o L’incenerimento: I processi di incenerimento, pur essendo dei trattamenti di disidratazione spinta dei fanghi, rappresentano uno dei metodi utilizzati per lo smaltimento dei fanghi. Infatti questo processo fornisce materiali inerti facilmente smaltibili e talvolta riutilizzabili. L'applicabilità dell'incenerimento è legata, a parità di altri fattori, al valore del potere calorifico del fango e cioè al tenore di sostanze organiche contenute nel fango stesso. I processi di incenerimento comprendono essenzialmente uno stadio di essiccazione ed uno stadio di combustione Tra i metodi di disidratazione, i più largamente utilizzati sono la centrifugazione e la filtropressatura mentre in declino, per gli alti costi di gestione, è la filtrazione sotto vuoto. I letti percolatori o filtri percolatori insieme alle vasche a fanghi attivati rappresentano uno dei metodi di trattamento biologico aerobico (ossidazione biologica) degli effluenti urbani, utilizzata nei comuni impianti di depurazione. Un impianto a letto percolatore è costituito da una struttura in calcestruzzo armato generalmente cilindrica, di altezza variabile da un metro ad alcuni metri. Il letto percolatore vero e proprio è formato da una catasta, alta da 1,50 a 3 m, di vari materiali (pietrisco, materiale plastico, ecc.) della grandezza di 4-8 centimetri o con manufatti in materiale plastico che funge da supporto per lo sviluppo della biomassa batterica attiva ed attraverso il quale percola il liquame. La struttura presenta numerosi fori per agevolare l'accesso dell'aria. In particolare, il letto ha le seguenti proprietà: - • Un sistema di distribuzione del liquame (che deve essere stato preventivamente sottoposto ad una sedimentazione primaria) realizzato in modo da distribuire più uniformemente possibile il liquame su tutta la superficie del letto; • Un mezzo di riempimento con caratteristiche di grande superficie, e con una conformazione e struttura tale da eliminare il possibile formarsi di percorsi preferenziali del refluo, che incidono negativamente sul rendimento depurativo del filtro; • Un sistema di ventilazione e di drenaggio di sottofondo; • Un dispositivo di ricircolo del liquame effluente ossidato, che per la tipologia di filtro proposto svolge il compito di garantire un corretto carico idraulico superficiale. ! Il liquame da trattare, effluente dalle vasche di sedimentazione primaria, viene sparso a pioggia sul letto percolatore mediante distributori mobili. Il liquame percola attraverso il letto senza sommergerlo in modo da lasciare libera circolazione all'aria, e si raccoglie sul fondo. Il fondo dei letti percolatori è costituito da una piastra in cemento armato realizzata con conveniente pendenza verso il sistema di drenaggio che convoglia l'effluente fuori dal percolatore. Adesa alla superficie di ciascun elemento costituente il letto filtrante, sopra il quale il liquame percola, si forma una pellicola biologica aerobica in cui sono presenti, oltre che al liquame in ingresso anche i batteri saprofiti capaci di degradare le sostanze organiche presenti. L'accrescimento dei batteri presenti porta alla formazione di una pellicola sempre più spessa con conseguente formazione di zone anaerobiche nello strato più interno e sviluppo di gas tipici delle reazioni metaboliche in condizioni anaerobiche, ad esempio azoto e metano. Tali gas inducono il distacco dal materiale di riempimento della pellicola batterica che segue quindi il refluo fuori dal letto percolatore verso una sedimentazione secondaria, in cui il sistema liquame+pellicola decanta. Il liquido chiarificato viene disinfettato per eliminare i microrganismi patogeni presenti. Al principio del funzionamento dei percolatori, non ha luogo una depurazione biologica dei liquami poiché sul materiale filtrante non si è ancora formata la pellicola biologica che si forma normalmente dopo un periodo di maturazione che può variare da alcune settimane o anche alcuni mesi se l'entrata in funzione dell'impianto avviene nel periodo invernale. Il liquame prima di essere inserito nel letto percolatore deve essere precedentemente pre-trattato con grigliatura, disoleatura e dissabbiatura oltre ad essere sottoposto ad una sedimentazione primaria, indispensabile per rimuovere quelle parti che ostruirebbero alcune zone del letto.