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Kasparhauser Transmoderno. Un nuovo paradigma 4 | 2013 Transmoderno. Un nuovo paradigma Kasparhauser Transmoderno. Un nuovo paradigma 4 | 2013 A cura di Marco Baldino Philosophical culture quarterly. Direzione: Marco Baldino, Francesca Brencio, Giacomo Conserva, Jacopo Valli.. Hanno collaborato: Elena Ardito, Alberta Battisti, Francesco Forini, Francesca Rizzi. Pubblicazione on line protetta dal diritto d’autore. La distribuzione avviene a mezzo rete ed è gratuita. Non è consentita la commercializzazione del materiale qui raccolto. Kasparhauser ISSN 2282-1031 2 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Indice Introduzione 5 Rosa María Rodríguez Magda Transmoderno. Un nuovo paradigma 9 Victoria Sendón de León La ricerca di R. M. Rodriguez Magda 28 Carmen África Vidal Claramonte Della traduzione transmoderna 36 Marc Luyckx Ghisi Verso una trasformazione transmoderna della nostra Società Globale 47 Marco Baldino Transmoderno e post-storia 67 Jacob Taubes Estetizzazione della verità nella post-storia 86 Dutton Kearney Von Balthasar come transmoderno. Scritti recenti di estetica teologica Peter Lamborn Wilson 101 116 Il ritorno del paleolitico Giacomo Conserva Il Truman/Berlusconi Show. [A proposito di un libro di Fulvio Carmagnola e Matteo Bonazzi] 3 121 Transmoderno. Un nuovo paradigma Bibliografia/sitografia 127 Gli autori 131 4 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Introduzione di Marco Baldino È possibile un dialogo ―reale‖ tra le varie forme di civiltà? Questo è ciò che Henry Corbin si domandava nel 1977, a Teheran, in occasione di un Colloquio Internazionale organizzato dal Centro Iraniano per lo Studio delle Civiltà, giusto un attimo prima che scoppiasse la rivoluzione khomeinista. Oggi la rivoluzione khomeinista è solo un residuo di civiltà tradizionale nel processo di occidentalizzazione del mondo. A noi spetta pertanto di attualizzare la domanda nel modo seguente: è possibile un dialogo reale tra paradigmi? Il postmoderno, vale a dire la constatazione dell‘incommensurabilità dei paradigmi, ci ha stancati. Che cosa è accaduto, essenzialmente? Ci siamo saziati dell‘ottimismo con cui il postmoderno predicava il nichilismo? Certo, l‘estetica delle macerie è un po‘ stucchevole per chi si dispone a condurre la propria esistenza razzolando tra le rovine. Ebbene, che cosa è accaduto? In primo luogo l‘avvento di una sorta di scambiabilità illimitata di tutti i discorsi, di tutte le immagini, di tutti i suoni, la comparsa di un equivalente universale astratto del linguaggio esteso: il sistema binario. Il sistema binario, combinato con l‘elettronica, permette di mappare in scala uno-uno tutti i clic, tutti i pixel, tutti i campionamenti presenti in rete e di elaborarli in tempi che chiamiamo 5 Transmoderno. Un nuovo paradigma ―reali‖. La necessità di facilitare la comunicazione tra culture attraverso poderosi lavori di traduzione, sembra superata. Lo stesso concetto di ―civiltà‖, con quel suo richiamo alla forza segreta, invisibile, spiritualmente identitaria che lo abita, non si può più dire che svolga un ruolo determinante. Bastano effettivamente alcuni meccanismi informatici ben programmati perché masse enormi di utenti (ma è solo un altro modo di dire ―persone‖), si scambino, oltre a transazioni economiche, quantità di contenuti culturali. Lo zoccolo profondo delle civiltà, l‘identità irriducibile e intraducibile che costituisce la loro forma spirituale, appare piuttosto come una sorta di ―valore aggiunto‖: niente ci piace di più della spiritualità tibetana, ma essenziale per noi sono la libertà politica ed economica di quel paese, vogliamo poterci andare, poterci fare affari — e non ameremmo affatto che quelle terra martoriata venisse inghiottita da una qualche forma di teocrazia. Ciò che Corbin escludeva come eventualità meramente contraddittoria, la riduzione del dialogo fra civiltà a mero funzionamento tecnologico, si è avverato. Quella forza segreta, invisibile, che sembrava costituire lo zoccolo incomprimibile di una cultura, il suo carattere proprio, irriducibile e intraducibile, si è sciolto nella traducibilità illimitata della tecnica informatica. Il problema del dialogo tra civiltà sarà forse emerso come scontro tra secolarizzazione e sacralizzazione, ma si è risolto nella diffusione planetaria della Information and Communication Technology. Il totalitarismo come sacralizzazione delle istituzioni non sembra essere più all‘ordine del giorno. Le ultime resistenze alla forza espansiva della secolarizzazione le 6 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 vediamo andare in pezzi con l‘apparizione, in Egitto e in Tunisia, del movimento femen. Ecco dunque che cosa è successo: se il postmoderno era la scoperta e la presa d‘atto dell‘incommensurabilità dei paradigmi e dell‘intraducibilità dei regimi di frasi, il Transmoderno è la scoperta e la presa d‘atto della intercambiabilità dei paradigmi e della scambiabilità a morte di tutti gli enunciati, sulla base della loro riducibilità binaria, sulla base della loro universale circolazione weberiana. Si potrebbe dire che il concetto di ―implosione‖ proposto da Baudrillard, ha avuto la meglio sul ―problema della legittimazione‖ elaborato da Lyotard: gli effetti sono in effetti quelli dell‘iperrealismo, dell‘osceno, della reversibilità, dello scambio simbolico, ma in una forma meno drammatica e ironica di come non appaiono sulla pagina baudrillardiana. Lo scambio simbolico, per esempio, assomiglia meno allo scontro a morte del signore e del servo che non alla dinamica del riconoscimento risolta nell‘ambito di un gioco socialmente e pubblicamente regolato e regolabile, dagli effetti mutuamente soddisfacenti. L‘osceno assomiglia meno all‘ipervisibilità che uccide le passioni, l‘eros, il senso e il sociale stesso, che non alla possibilità di modulare l‘impatto del reale sulla nostra vita, attraverso lo schermo del virtuale: il matrimonio tra gay ci appare plausibile perché i loro comportamenti sessuali ci sono noti nei particolari e, in definitiva, non differiscono, nemmeno nell‘esagerazione pornografica (di cui possiamo renderci sempre spettatori), da quelli eterosessuali: l‘arbitrio si trasforma in diritto proprio grazie all‘ipervisibilità del reale, proprio grazie all‘oscenità. E tutto ciò va con il passaggio dal teologico al sociologico, 7 Transmoderno. Un nuovo paradigma che era una catastrofe per Corbin. Il sociale che si sostituisce al theos. Bene, si tratta della catastrofe costitutiva dell‘orizzonte di senso di questa nuova fase del mondo, con buona pace di Corbin. Il problema non è più quello di un dialogo fra civiltà, perché le civiltà sprofondano, le differenze si stemperano in una forma di civiltà, per così dire, globish. Il problema, semmai, è quale pratica del pensiero, quali strategie memoriali e quali forme politiche si accordino con l‘intercambiabilità dei paradigmi e la traducibilità implosiva degli enunciati. Il problema non è più cercare ciò che ci unisce nel mare magnum di ciò che ci divide, ma quello della messa a disposizione di un valore aggiunto, differenziale (anche nel senso matematico del ―piccolo‖), che garantisca la mobilità turistica (nel senso etimologico: tour-istico) delle persone. Meravigliarsi di una piccola differenza è il motore di una residua attività storica in un mondo sfebbrato e convalescente dalla grande piressia del negativo. Il turismo, le piccole differenze nelle forme di autogoverno e nel modo di esprimere dissenso nel locale, le forme di conservazione della memoria, l‘uso delle tradizioni di pensiero, l‘intelligenza con cui, localmente, viene gestita l‘intercambiabilità dei paradigmi, costituiscono il vero residuo differenziale capace, forse, di accordarsi al processo di omogeneizzazione globale e, per questo, forse, di garantirci anche dallo sprofondare nel silenzio. 8 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Transmodernità: un nuovo paradigma di Rosa María Rodríguez Magda Non so se ci si possa ergere a proprietari delle parole, sotto qualsiasi forma; i termini emergono, si coniano e circolano, con maggiore o minor fortuna. In questo caso, dato che ne ho fatto il nucleo delle mie riflessioni per più di vent‘anni, che ho sviluppato una teoria al riguardo e che non mi risulta sia stato utilizzato prima in modo apprezzabile, credo di poter reclamare la maternità di questo concetto. Maternità nell‘accezione aperta che tale processo possiede: concepimento nell‘interiorità di un sé, parto, attenzione, cura e infine liberazione della creatura affinché possa crescere nelle diverse interazioni che il mondo le offre. Come ho detto altrove1, il termine è nato da una conversazione che ebbi con Jean Baudrillard nella sua casa di Parigi, verso il 1987. Riflettendo sulla corrente postmoderna, alla quale egli rifiutava di iscriversi. In quell‘occasione osservai che se si prendevano in considerazione le sue valutazioni sul ―transpolitco‖ e sulla 1 Si veda l‘«Introduzione» al mio volume Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004. 9 Transmoderno. Un nuovo paradigma ―transessualità‖, a proposito delle sue tematizzazioni del dominio della simulazione e dell‘iperrealtà, più che una prospettiva ―post‖, avremmo avuto a che fare con una prospettiva tale da consentirci di nominare la nostra epoca ―Transmodernità‖. Con tale concetto ho preteso di demarcare ciò che, a mio modo di vedere, costituisce un vero e proprio mutamento di paradigma che può chiarire le relazioni gnoseologiche, sociologiche, etiche ed estetiche del nostro presente. Così cominciai a plasmarlo nel mio libro La sonrisa de Saturno. Hacia una teoria transmoderna; altri aspetti ne sviluppai in El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post e infine giunsi ad una teorizzazione compiuta in Transmodernidad. Certamente una denominazione ottenuta attraverso l‘aggiunta di un prefisso a un concetto come quello di ―modernità‖, così centrale nei dibattiti degli ultimi decenni, sorge spontaneamente e in maniera indipendente in diverse discipline e con diverse intonazioni ideologiche (quantunque, ripeto, non abbia notizia che il termine sia stato utilizzato prima che lo coniassi nel 1989, come nuova configurazione teorica, con dei fondamenti strutturati, al di là di un mero uso aleatorio e isolato). Ad ogni modo, se vogliamo fare un una storia delle diverse accezioni del termine, bisognerà citare il mio carissimo amico Enrique Miret Magdalena che, anni fa, mi disse di aver utilizzato il termine in una conferenza (non pubblicata) come un modo per esemplificare una nuova fase sintetica. Ciononostante, non lo riutilizzò fino al 2004, quando 10 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 appare nel capitolo di uno dei suoi libri La vida merece la pena de ser vivida. Anche Juri Talvet, ispanista estone, lo ha occasionalmente utilizzato per nominare ciò che nella poesia contemporanea tenta di sfuggire all‘esausto canone postmoderno. Cito questi due casi tra i tanti che si sono verificati e che, senza dubbio, continueranno a presentarsi. Ciononostante, tre sono gli autori o correnti che, sempre dopo il 1989, hanno tentato di applicare il concetto con specifiche intenzioni teoriche: 1. Il filosofo argentino-messicano Enrique Dussel, che a partire dal suo libro Postomdernidad, Transmodernidad (1999) lo inscrive nel contesto della filosofia della liberazione e nella riflessione sull‘identità latinoamericana, intendendo per teorie transmoderne quelle teorie provenienti dal terzo mondo che reclamano un proprio posto di fronte alla modernità occidentale, incorporando lo sguardo dell‘altro, postcoloniale e subalterno. 2. Con un significato diverso la nozione di ―transmodernità‖ è apparsa sporadicamente nella cornice di incontri che fanno riferimento alla cultura della pace, al dialogo interculturale e alla filosofia del diritto. In particolar modo, Marc Luyckx Ghisi ha ripreso più volte il concetto a partire dal 1998, quando lo utilizzò nel seminario ―Gouvernance et Civilisations‖, che coordinò a Bruxelles, organizzato dalla Forward Studies Unit della Comunità Europea in collaborazione con la World Academy of Arts and Sciences. Nel modo in cui egli lo utilizza, la transmodernità vorrebbe costituire una sintesi tra posizioni premoderne e moderne, dando consistenza 11 Transmoderno. Un nuovo paradigma ad un modello nel quale si accetta la coesistenza di entrambe, con il fine di rendere compatibile la nozione di progresso con il rispetto delle differenze culturali e religiose e cercando con ciò di limitare il rifiuto, principalmente da parte dei paesi islamici, della visione occidentale della modernità. Con questo stesso senso lo hanno utilizzato anche Ziauddin Sardar, Etienne Le Roy o Christoph Eberhard. 3. Un terzo ambito in cui si è venuta sviluppando una certa teorizzazione in questa senso è quello dell‘architettura. Nel 2002 l‘Austrian Cultural Forum di New York allestì la mostra: ―TransModernity. Austrian Architects‖. E Marcos Novak, che ha codiretto, con Paul Virilio, tra il 1998 e il 2000, la Fondation Transarchitectures di Parigi, ha potenziato la nozione di transarchitettura come architettura liquida del nuovo spazio virtuale. Nonostante la vicinanza personale e intellettuale di Virilio e Baudrillard, l‘utilizzo fatto da Novak, per quanto incentrato in un ambito specifico, risulta più affine alla visione del mondo dalla quale parto io e che ho poi sviluppato. Tutti questi casi credo dimostrino, ben al di là delle differenze di accezione, una medesima percezione delle contraddizioni della modernità e la ricerca di un nuovo modello che dia conto dei cambiamenti che si verificano nel nostro presente. Ed è a partire da questa percezione comune che passo ora ad esporre il mio concetto di transmodernità, nella convinzione che non solo dobbiamo stare attenti alle trasformazioni attive nel panorama 12 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 contemporaneo, ma che è anche necessario, al di là di enunciazioni sparse e isolate, elaborare una teoria solida, che definisca quello che, a mio modo di vedere, è un effettivo mutamento di paradigma. Ridurre la transmodernità a un dialogo tra civiltà o a un modello che attenui le insufficienze della modernità occidentale rappresenta una forma di volontarismo, lodevole senza dubbio, ma ancora interno al paradigma moderno. Dobbiamo partire, abbandonando antiche illusioni, dall‘analisi della crisi della modernità, dalle critiche postmoderne, per arrivare alla configurazione di un nuovo paradigma concettuale e sociale. ―Trans‖ non è un prefisso miracoloso, né il desiderio di un multiculturalismo angelico, non è la sintesi di modernità e premodernità, bensì la sintesi di modernità e postmodernità. Rappresenta, in primo luogo, la descrizione di una società globalizzata, rizomatica, tecnologica, sviluppata dal primo termine, messa a confronto con i suoi altri, mentre allo stesso tempo li penetra e li assume e, in secondo luogo, lo sforzo per trascendere questa chiusura avvolgente, iperreale e realtivista. Come ho scritto: «La transmodernità non è una ONG per il terzo mondo ed è bene che questo se ne avveda quanto prima, allo stesso modo che noi dovremmo comprendere chiaramente che non è neppure una nuova utopia tecnologica e felice. È il luogo in cui stiamo, il luogo precisamente in cui non stanno gli esclusi. Qualcosa con cui avremo a che fare tutti» (Transmodernidad, p. 16). Ciononostante dobbiamo sfumare il ―non essere‖ di coloro che sostengono posizioni antimoderne, poiché 13 Transmoderno. Un nuovo paradigma mentre la modernità occidentale escluse determinate culture, popoli, gruppi etnici e religiosi, la modernizzazione disegna la mappa nella quale questi emergono, producendo anche una paradossale sintesi tra premodernità e postmodernità. Così, per esempio, il fenomeno del terrorismo islamico sviluppa le sue armi di spettacolarizzazione e strategia operativa in buona misura grazie alla società mediatica e cibernetica. Senza voler sottovalutare la tragedia reale delle vittime, gli attentati dell‘11 settembre non avrebbero avuto il loro forte impatto senza la trasmissione in diretta della distruzione delle Torri Gemelle, né i comunicati di Al Quaeda la loro inoculazione di pericolo indomabile ai margini della diffusione di messaggi cifrati che l‘agilità della rete permette. La sfida alla società occidentale non si esercita da posizioni pre- e antimoderne come male radicale; l‘Altro, alieno e inassimilabile, mentre tiene in pugno il dominio della realtà con il suo disprezzo della morte, circola trasmodernamente nelle vene della nostra società transmoderna, si struttura fisicamente e specularmente alla stessa forma reticolare, ed è questo che ci causa un‘angoscia diffusa, un terrore inevitabile. La cultura transmoderna che io descrivo parte dalla percezione del presente comune a diversi autori, che l‘hanno denominata in modi diversi offrendo anche risposte variegate, come poterebbero essere ―il tardo capitalismo‖ di Jameson, ―la modernità liquida‖ di Bauman, ―la seconda modernità‖ di Beck, ―l‘ipermoderno‖ di Lipovetsky o ―il deserto del reale‖ di Žižek. E mentre alcuni constatano quanto vi sia di rottura 14 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 con la fase moderna e postmoderna, altri non tralasciano di postulare una continuità che, a mio avviso, appanna la percezione del cambio di paradigma che deve servirci per approntare le armi concettuali con le quali affrontare la nostra contemporaneità. La Modernità pretese di postularsi come un tutto articolato, anche malgrado la sua eterogeneità, come una scommessa di razionalità solida e progresso etico-sociale. La conoscenza ha adottato il modello oggettivo e scientifico, convalidato dall‘esperienza e dal progressivo dominio della natura, e avallato dallo sviluppo della tecnica. Parallelamente, si richiese un orizzonte accessibile di emancipazione degli individui, di libertà e giustizia sociale. In questo senso la Modernità afferma la necessità e la legittimità dei discorsi globali o sistemici. La crisi postmoderna denuncerà invece l‘impossibilità di tali postulati. Come è ben noto, Lyotard, ne La condizione postmoderna, proclamò la fine dei ―grandi racconti‖ e dei paradigmi unitari, mostrando il presente come lo spazio delle micrologie, della eterogeneità, della frammentazione e dell‘ibridizzazione. Al riparo della nascita della Teoria e dei Cultural Studies, grandi propagandisti negli Stati Uniti della moda postmoderna, si diffuse nel mondo accademico e mediatico la convinzione per cui, secondo letture semplificate, il discorso è potere (Foucault), la realtà è testo (Derrida), il soggetto è desiderio (Deleuze) e tutto ciò simulacro (Baudrillard). Mancava solo che a ciò si unisse Fukuyama proclamando la fine della storia. La critica letteraria diffonde, come dogma scolare, a partire 15 Transmoderno. Un nuovo paradigma dagli anni Ottanta e fino ad oggi, quello che la filosofia post-strutturalista elaborò, con infinito più vigore, anni fa.2 Però quando il pensiero si converte in una scolastica, in luogo comune, tradisce lo slancio critico che illuminò il sorgere di concettualizzazioni innovative. Sembra tempo di valorizzare non già la rottura che rappresentò la postmodernità, ma la sua stessa crisi, cioè la crisi della crisi. Possiamo oggi, già iniziato il XXI secolo, continuare a ripetere senza autocritica tutta la retorica post che fu di rottura più di vent‘anni fa? La tesi fondante del pensiero post era l'impossibilità delle Grandi Narrazioni, di una nuova totalità teorica. Il postmodernismo sosteneva la nascita di una molteplicità, frammentata e centrifuga, gioiosamente non ricostruibile. E tuttavia, negli ultimi tempi, questa miriade di particelle sparse sembra essersi raggruppata in un tutto caotico, totalizzante, essendo sorto un Nuovo Grande Racconto, di proporzioni precedentemente insospettate: la Globalizzazione. Un nuovo grande racconto che non sottostà allo sforzo teorico o socialmente emancipatore delle metanarrazioni moderne, ma all‘effetto inaspettato delle tecnologie della comunicazione, della nuova dimensione del mercato e della geopolitica. Globalizzazione economica, politica, informatica, sociale, culturale, ecologica... in cui tutto è interconnesso, configurando un nuovo magma fluttuante, vago, ma inespugnabilmente totalizzante. È chiaro che mi 2 Si veda a questo proposito l‘eccellente libro di François Cusset, French Theory, Foucault, Derrida, Deleuze et Cie et les mutations de la vie intellectuelle aux Etats-Unis, Editions La Decouverte, Paris 2003 (trad. it., French theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co. all‘assalto dell‘America, Il Saggiatore, Milano 2012). 16 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 sto riferendo non a un certo discorso neoliberista, che altri hanno definito pensiero unico, ma a una situazione reale, di fatto, che include e implica tanto le incipienti teorizzazioni in suo favore quanto le mobilitazioni no global: il locus totalizzante nel quale emergono le condizioni reali del nostro presente e i suoi connotati esplicativi. Questa ―politica mondiale policentrica‖, come la definisce Rosenau, e allo stesso tempo globale, si caratterizza, secondo Beck, per l‘emergente presenza dei seguenti elementi: organizzazioni transnazionali (dalla Banca Mondiale alle multinazionali, dalle ONG alla mafia...), problemi transnazionali (crisi monetarie, cambiamento climatico, le droghe, l‘AIDS, i conflitti etnici...), eventi transnazionali (guerre, competizioni sportive, cultura di massa, mobilitazioni di solidarietà...), comunità transnazionali (basate sulla religione, stili di vita generazionali, risposte ecologiche, identità razziali...), strutture transnazionali (lavorative, culturali, finanziarie...). Da tutto ciò sembra che si possa concludere quanto segue: risulta antiquata l‘affermazione postmoderna dell‘impossibilità delle grandi narrazioni, esiste una nuova grande narrazione, o meglio un nuovo grande fatto, che deve avviare nuovi dispositivi teorici: la Globalizzazione, pertanto sarebbe conveniente considerare la configurazione del presente con le sue modificazioni a partire da un nuovo paradigma. Più che ―post‖ sarebbe il prefisso ―trans‖ quello più appropriato per caratterizzare la nuova situazione, dato che connota il modo attuale di trascendere i limiti della modernità, ci parla di un mondo 17 Transmoderno. Un nuovo paradigma in costante trasformazione, basato, come abbiamo suggerito, non solo sui fenomeni transnazionali, ma anche sul primato della trasmissibilità dell‘informazione in tempo reale, attraversato dalla trans-culturalità, nella quale la creazione rimanda a una trans-testualità e l‘innovazione artistica si pensa come transavanguardia. Quindi, se alla società industriale corrispondeva la cultura moderna, e alla società postindustriale la cultura postmoderna, a una società globalizzata corrisponde un tipo di cultura che denomino transmoderna. Per modellare le caratteristiche di questo nuovo paradigma, riprenderò alcune delle valutazioni già esposte nel mio libro La sonrisa de Saturno. Il Transmodernismo prolunga, continua e trascende la modernità, è il ritorno, la copia, la sopravvivenza di una modernità debole, ridotta, light. La zona contemporanea per cui passano tutte le correnti, i ricordi, le possibilità; trascendente e apparente allo stesso tempo, volutamente sincretica nella sua ―multicronia‖. Un ritorno distante, ironico, che accetta la propria utile finzione. Il Transmodernismo è il postmoderno senza il suo essere innocentemente di rottura, è immagine, serie, fuga nel barocco e barocco come fuga e autoreferenza, catastrofe, loop, reiterazione frattale e insensata; entropia dell‘obeso, inflazione livida di dati; estetica dello strapieno e della sua sparizione, entropica, fatale. La sua chiave non è il post-, la rottura, ma la transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi. La Transmodernità non è un desiderio o una meta, semplicemente c‘è, complessa e aleatoria, non sceglibile; non è buona né cattiva, benefica o intollerabile... ed è tutto 18 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 ciò contemporaneamente... È l‘abbandono della rappresentazione, il regno della simulazione, della simulazione che si sa reale. (La sonrisa de Saturno. Hacia una teoría, pp. 141-42). Il primato del virtuale ci situa, dopo la morte dell‘antica metafisica, nella sfida di una nuova ontologia cibernetica, dell‘egemonia della ragione digitale. Ma non si tratta della celebrazione allegra, senza impegno etico e politico, di una supposta morte della realtà, ma della necessaria considerazione di come la realtà materiale sia stata amplificata dalla realtà virtuale. Ciò non può rinchiuderci nel regno dei segni; dopo i contributi della semiotica, che leggeva la realtà come insieme di significanti, deve aprirsi tutto un campo alla ―semiurgia‖ o analisi di come i segni generino realtà, sviluppando parimenti una ―simulocrazia‖, cioè lo studio di come i simulacri producano spazi ed effetti di potere. Il prefisso ―trans-‖ connota non solo gli aspetti di trasformazione che vengo segnalando da tempo, ma anche la necessaria trascendenza della crisi della modernità, riprendendo le sue sfide etiche e politiche irrisolte (uguaglianza, giustizia, libertà...), e però assumendo le critiche postmoderne. Gli enunciati della post-politica o del post-dovere non possono risolversi nel nichilismo, ma nella formulazione di un orizzonte che assuma il vuoto ontologico come sfida razionale, creatrice e impegnata. Per questo non abbiamo il bisogno della base incrollabile del noumenico, la cui inaccessibilità già Kant constatava; il regno dei fondamenti può essere sostituito da una 19 Transmoderno. Un nuovo paradigma fenomenologia dell‘assenza, che tuttavia, fattiziamente, non si impantani nella inazione del relativismo. Può anche essere sostituito da un uso regolativo, formale, dei valori e delle idee, senza ricorrere a un essenzialismo metafisico, dalla deliberazione e scelta delle regole del gioco per le diverse pratiche, da parte di un soggetto strategico situato, dall‘assunzione del compromesso ontologico delle scelte, dalla difesa a oltranza dell‘individuo, da una certa ironia scettica di fronte ai nuovi assalti dei fondamentalismi, ma non a discapito dell‘ideale democratico illuministico come orizzonte richiesto. Ora, questa proposta l‘avevo già sviluppata nel mio libro El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post. La Transmodernità riprende le sfide della Modernità dopo il fallimento del progetto illuministico. Non rinunciare oggi alla Teoria, alla Storia, alla Giustizia Sociale e all‘autonomia del Soggetto, assumendo le critiche postmoderne, significa circoscrivere un possibile orizzonte di riflessione che si sottrae al nichilismo, senza compromettersi con progetti obsoleti, e tuttavia senza dimenticarli. È necessario riprendere i valori, dopo la perdita del loro fondamento metafisico, come ideali regolativi, simulacri operativi concordati nella loro necessità pragmatica, logica e sociale. Questi valori di carattere pubblico non saranno forse universali, ma sono universalizzabili. Parliamo dunque di trasformazione sociale, di trascendenza dalla mera gestione pratica, di compromessi argomentativi, di linee di speculazione che attraversano, trasformandosi e trasformando, l‘indagine razionale (cfr. p. 18). 20 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 La globalizzazione ci introduce nel primato della simultaneità, la territorialità è sostituita dal cyberspazio dove il globale e il locale coesistono, formando il glocale (una azzeccata espressione di R. Robertson) offrendo un panorama né post- né multi-, ma trans-culturale, al di là della deriva reattiva postcoloniale che pare regredire a verso una premodernità identitaria. A sinistra e destra sembrano affilarsi le armi davanti a un pensiero debole che avrebbe relativizzato i criteri. Ma penso che dobbiamo essere cauti; la critica postmoderna ha evidenziato tutta una serie di fallacie e di obiettivi non discussi. La necessità di riprendere criteri solidi non ci può far dimenticare queste precauzioni, riconducendoci al punto di partenza, né i fondamentalismi, né la tradizione, né la teologia, né il giusnaturalismo, né i comunitarismi possono offrire un‘alternativa. Non si tratta di reazione, ma di futuro. La Transmodernità si mostra come formula ibrida, totalizzante, sintesi dialettica della tesi moderna e dell‘antitesi postmoderna. Non c‘è rottura (da qui la necessità di abbandonare il prefisso post-), ma un ritorno fluido di una nuova configurazione delle tappe precedenti. Un confronto delle caratteristiche dei tre momenti come propedeutica approssimativa, anche con il rischio di sembrare semplificativo, può darci una visione più intuitiva del processo e del nostro momento attuale: MODERNITÀ POSTMODERNITÀ TRANSMODERNITÀ Realtà Presenza Omogeneità Simulacro Assenza Eterogeneità Virtualità Telepresenza Diversità 21 Transmoderno. Un nuovo paradigma Centralizzazione Temporalità Ragione Conoscenza Nazionale Globale Imperialismo Dispersione Fine della storia Decostruzione Antifondamentalismo scettico Postnazionale Locale Postcolonialismo Cultura Fine Gerarchia Innovazione Economia industriale Territorio Multicultura Gioco Anarchia Sicurezza Economia postindustriale Extraterritorialità Città Popolo/classe Attività Pubblico Quartieri periferici Individuo Spossatezza Privato Sforzo Edonismo Spirito Atomo Sesso Maschile Cultura alta Corpo Quanto Erotismo Femminile Cultura di massa Avaguardia Oralità Opera Narrativo Cinema Stampa Galassia Gutenberg Postavanguardia Scrittura Testo Visivo Televisione Mass-media Galassia McLuhan 22 Rete Istantaneità Pensiero unico Informazione Transnazionale Glocale Cosmopolitismo transetnico Transculturale Strategia Caos integrato Società del rischio New economy Ubicuo transfrontaliero Megacittà Chat Connettività statica Oscenità dell‘intimità Individualismo solidale Cyborg Bit Cybersex Transessuale Cultura di massa personalizzata Transavanguardia Schermo Ipertesto Multimedia Computer Internet Galassia Microsoft Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Progresso/futuro Revival/passato Final Fantasy (Transmodernidad, p. 34) Osservando le tre colonne, percepiamo nella prima l‘impulso del pensiero forte moderno; nella seconda la rottura eterogenea e nella terza un cambio di registro che unisce entrambe nel compimento di una totalità incongruente, fittizia, ma reale. Non si tratta, ripeto, di una proposta, ma di una descrizione. Si tratta di considerare ciò che la situazione presente ha di proprio, di percepire come questa configuri un paradigma differente. È il passo precedente alla sua comprensione, la sua analisi e la sua successiva trasformazione di quanto in essa ci risulta lesivo. Analizziamo il processo più da vicino. Il pensiero moderno non metteva in discussione la realtà ma la considerava dinamica e suscettibile di essere trasformata dagli attori sociali. L‘espressione linguistica postmoderna potenziò la semiosfera, il segno acquistò predominio sul referente, il mondo sembrava una serie di simulacri consumabili di forma indolore. La transmodernità ci offre una sintesi tra il materiale e la finzione. La realtà virtuale è senza esistere, non si riduce a mera affabulazione, ma si converte nella realtà vera. Il soggetto non si trova più impantanato nel fisico, ma nemmeno rimane relegato alla sua attenuazione passiva di fronte all‘eccesso di dati, è telepresente e in tal modo interattivo. L‘impero dello Stesso con la sua volontà moderna di sistema si rompe nella frammentazione post dell‘eterogeneo, per, infine, riconvertirsi in diversità assimilabili ‒ le identità 23 Transmoderno. Un nuovo paradigma riappaiono come raggruppamenti specifici di consumatori. È il proprio universo cibermediatico che dà loro visibilità, siano essi minoranze etniche, sessuali, movimenti antiglobalizzazione o organizzazioni terroristiche. Di fronte all‘idea di un centro stabilizzante, la critica postmoderna si pretese rizomatica, dispersa, irreconciliabile; il presente transmoderno si articola attorno alla metafora della rete, che istituisce una specie di equilibrio, instabile ma interconnesso. La temporalità moderna era progressiva e lineare. A essa si oppose la ―fine della storia‖. Oggi la celerità diviene quasi statica; l‘istantaneità è un presente permanentemente attualizzato. L‘Illuminismo ci restituito una Ragione autocritica ma forte; il pensiero postmoderno ha operato una minuziosa decostruzione; l‘era postmetafisica in questo momento sembra tentata dall‘equivoca totalizzazione del pensiero unico. L‘ideale di conoscenza moderna sostenuta dalla ragione pretendeva di raggiungere l‘universalità. La critica ―post-‖ crebbe nel relativismo e nel contestualismo. La transmodernità pretende di far rientrare (nel senso di normalizzare) la miriade di informazioni autodenominandosi quale ―società della conoscenza‖. Gli stati moderni sono stati nazionali. La loro rottura generò innanzitutto la postnazionalità, al di là della rottura, il panorama che incontriamo oggi è decisamente transnazionale. L‘economia, la cultura, la comunicazione, il futuro dell‘ambiente naturale oggi sono concepiti come una totalità interdipendente. 24 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Allo Stato moderno corrisponde un immaginario globale semplice, e cioè un anelito universalista per quanto riguarda la sua cultura e una vocazione imperialista per quanto riguarda la sua espansione politica: tenta di consolidare il proprio territorio e proiettarsi oltre esso. Questo immaginario globale semplice fu duramente criticato dal pensiero postmoderno: la momentanea attrazione del locale resta presunta in questo insieme avvolgente che include lo specifico, il Glocale. Il progetto moderno fu contestato dalla creazione di un pensiero postcoloniale che sempre più si arena in un differenzialismo comunitarista, mentre la realtà sociale impone una transetnicità transculturale che ancora deve costruire un proprio cosmopolitismo. Il progetto moderno delimitò le proprie finalità in un ottimismo progressista, il disincanto ―post-‖, cullato nella bambagia dello Stato sociale, esaltò lo yuppismo felice dell‘individualismo edonista. Il presente ci offre un panorama più insicuro e precario, l‘instabilità deve essere gestita strategicamente. L‘innovazione tecnico-scientifica non garantisce più la sicurezza della propria sostenibilità, la contemporaneità transmoderna è una ―società del rischio‖, dalla difficile geopolitica tra Oriente e Occidente alla minaccia del cambiamento climatico. Se l‘era moderna fu contemporanea della rivoluzione industriale, la società postindustriale modificò i concetti di produzione, consumo, classe, attore sociale, ma oggi è la ―new economy‖, basata sulla globalizzazione finanziaria e sulle nuove tecnologie, configura un nuovo stadio. La 25 Transmoderno. Un nuovo paradigma determinazione di un territorio proprio, insediamento degli stati nazionali moderni, ha cessato di essere un fatto palpabile. La città diventa megacittà e il modello spaziale centro/periferia non rappresenta più un‘alternativa né di uno stile di vita agiato, né di un‘analitica del potere. L‘ubiquo transfrontaliero stabilisce una nuova cartografia. La nozione di cittadinanza si sforza di prolungare la formula moderna di azione politica. Ma al di là dell‘individuo postmoderno rinchiuso nella propria bolla edonista, spossato e indifferente, gli annunciati pericoli di autismo sono stati annullati da nuove forme di relazione, dai social network (come possono essere le chat, Facebook, Twitter) da uno stile di connettività statica, attraverso la quale i gruppi comunicano e interagiscono. Un‘altra volta ci imbattiamo in una rischiosa sintesi transmoderna nella quale l‘azione e il soggetto acquistano un volto insospettato, a volte triviale, altre volte solidale o battagliero. La realtà non è formata tanto da circolazione di merci, di oggetti, quanto da pacchetti di informazione (byte). Lo spirito, sostituito postmodernamente dalla retorica del corpo, si converte per mezzo della tecnologia in cyborg e il sesso si trasforma al di là dell‘erotismo in cybersex, completando la conversione della cultura e della controcultura in cybercultura. È un consumo della carta in cui internet compie un salto qualitativo, vera egemonia dello schermo, di un processo che, nato con la fotografia, acquistò una nuova dimensione con il cinema e poi con la televisione. Passa dalla Galassia Gutenberg di una modernità che gira intorno alla stampa alla Galassia McLuhan, simbolo postmoderno dei mass media, 26 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 giungendo infine all‘impero cibertecnologico che oggi potremmo denominare Galassia Microsoft. La globalizzazione come totalità avvolgente da forma, quindi, ad una nuova situazione che richiede un rinnovato paradigma concettuale. Non siamo più nel post- ma nel trans-. È un perverso compimento dialettico che ingloba i propositi che nascono di tirarsi fuori, dai discorsi sull‘antiglobalizzazione al terrorismo integralista. Non c‘è ―fuori‖, dunque, poiché accade tutto in questo mondo, e con le strategie e gli strumenti che ci fornisce il presente. Accettarlo è il primo passo per pensare la sua complessità geostrategica, economica, culturale. Le eruzioni arcaiche, gli appelli postmoderni o antimoderni sono anch‘essi frammenti di questo caos multiforme. La morte, la distruzione, la sfida... sono presenti anche in Internet. Questa è la condanna, ma anche la sfida che la Transmodernità ci riserva, affilare le armi della ragione nostro unico baluardo. (Traduzione di Francesca Rizzi) 27 Transmoderno. Un nuovo paradigma La ricerca di R. M. Rodriguez Magda di Victoria Sendón de León Gli stessi discorsi che servono per disfarci dei miti antichi, si convertono nella stessa maniera in nuovi miti ugualmente dannosi (Rosa M. R. Magda) I bagliori di una nuova epoca, con il loro appello a nuove fondamenta teoriche, erano già presenti nel cammino intrapreso da Rosa M. R. Magda nel 1989, quando pubblicò La sonrisa de Saturno,3 il cui sottotitolo è rivelatore: ―Verso una teoria transmoderna‖. Dunque già lì erano gettate le basi ed era nominato ciò che più tardi sarebbe divenuto il punto d‘approdo della sua ricerca: Transmodernidad,4 un‘opera ricca di contenuto e pensiero sistemico: se la Postmodernità costituisce il pensiero fin de siècle, la Transmodernità mira ad una fenomenologia del nuovo millennio. Un lavoro come il suo, rispetto ad altri pensieri e accadimenti culturali del nostro tempo, può essere solo il risultato di una permanente attenzione portata sul presente. E di ciò abbiamo testimonianza nel suo lavoro di 3 4 R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, Anthropos, Barcelona 1989. R. M. Rodriguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004. 28 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 direzione della rivista Débats,5 le cui presentazioni presuppongono la conoscenza profonda di ogni singolo caso trattato, nel quadro delle varie monografie. Senza dimenticare le opere scritte tra l‘uno e l‘altro numero della rivista6 e senza dimenticare il Seminario de investigación che si svolge nella città di Valencia, da cui appare tutta la curiosità intellettuale di R. Magda e le sue esemplari, per non dire illuminanti, capacità analitiche. Nel primo libro in cui è presente il riferimento al transmoderno, è già anche presente una riflessione critica nei confronti sia della Modernità, sia del pensiero debole della Postmodernità, che si conclude con la provocazione di Baudrillard: ―E se non si cercasse di opporre la verità alla speranza generalizzata come il più vero del vero? E se tutto questo non fosse né appassionante né esasperante ma terribile?‖7 Tuttavia, per R. Magda, questa proposta, davvero nichilista, era del tutto insufficiente. La superficie, l‘apparenza, l‘artificio come ambito della seduzione, senza altri retroscena, come se si trattasse di una successione di sequenze filmiche che finiscono quando si spegne lo schermo, accendono un segnale d‘allarme per la sua ribellione intellettuale: ―Malgrado ciò, il film è reale‖ – cosi dice l‘autrice, ed apre tutto un nuovo spessore di ricerca. All‘improvviso, invece di seguire una traiettoria lineare, mi viene in mente di rilegge il finale della Transmodernidad per cercare d‘intuire, di comprendere, il processo di maturazione vissuto dalla nostra filosofa lungo tutto il suo cammino. Effettivamente, il suo ultimo capitolo, lei lo 5 http://www.alfonselmagnanim.net/revista-debats Si veda: http://rodriguezmagda.blogspot.com.es/search/label/ biobibliografia 7 R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, cit., p. 155. 6 29 Transmoderno. Un nuovo paradigma intitola: «Più niente del niente». In un primo momento mi sorprendo, però ricordo che questo ‗niente‘ aveva un altro senso che in Baudrillard. Mi concentro sulle mie sottolineature, sulle annotazioni stese in un‘altra lettura e scopro quello che lei chiama ―vacuità‖ dietro il ‗niente‘. Sì, certamente si deve superare il nichilismo come forma ingannevole che occulta e trivializza l‘esperienza radicale, però più in là non comincia a lampeggiare, il reale ma il niente stesso. (p. 190) Alla fine del capitolo, R. Magda polemizza con la dualità dell‘Occidente a fronte dell‘unità del pensiero orientale. La dualità parmenidea dell‘origine — l‘Essere è, e il non Essere non è — di fronte al non dualismo del Tao te King di Lao Tse, il quale stabilisce l‘unità fra l‘Essere e il non Essere. Nella tradizione orientale il non Essere non è il Nulla occidentale, ma si riferisce ad un vuoto che eguaglia tutti gli esseri in un‘unità sacra. Non in là ma in qua. Un vuoto originale confermato dalla fisica attuale in ciò che si è chiamato il campo punto zero. In questo capitolo si passano in rassegna mistici cristiani, filosofi come Heidegger, Sartre, Nietzsche, la tradizione zen giapponese o il percorso del buddismo medio, concludendo che ―ci situiamo più vicino a noi stessi nella vacuità che non nell‘autocoscienza‖. Come sintesi transmoderna propone una fenomenologia dell‘assenza, concetto il cui senso negativo si riferisce alla nostalgia di un Fondamento, all‘angoscia esistenziale o ad un nichilismo nietzscheano, che devono essere dimenticati. Nel senso positivo, postula l‘assenza come la vacuità che sostiene l‘apparente consistenza delle cose. Un‘assenza che nella nostra tradizione necessita di un ontologia, una gnoseologia, una etica ed una estetica proprie. 30 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 In definitiva, la sintesi dialettica fra la Modernità e la Postmodernità che, in questa fenomenologia dell‘assenza che propone Rodríguez Magda, darebbe luogo alla Transmodernità, porta più in la sua riflessione e cerca di salvare il divario esistente fra la filosofia occidentale e quella orientale. La sintesi transmoderna Il concetto di Transmodernità che R. Magda immette nel dibattito attuale, viene concepito all‘interno dello scenario globale, che l‘interconnessione converte in translocale. Allo stesso tempo la cultura locale ed il cosmopolitismo si fondono, non nel multiculturale, ma nel transculturale, a mo‘ di sintesi dialettica. Anche la società dell‘informazione si trasforma nella società della conoscenza, non nel senso di scoprire la verità per mezzo dei fenomeni (adaequatio), che ha costituito il fine della Filosofia dell‘Occidente, ma nel senso che la conoscenza si misura dalla trasmissibilità o quantità di conoscenza che si trasmette: ciò che non è trasmissibile non conta. Si vanno delineando sradicamenti epistemologici. La transmodernità potremmo situarla nella sintesi che partendo dalla tesi della Modernità e dall‘antitesi della Postmodernità, supera entrambi i termini in un concetto nuovo che è la Transmodernità. Un concetto che indubbiamente corrisponde ad un tipo di società e di cultura che si inscrivono nelle due tappe precedenti. Se alla società industriale corrispose la Modernità e alla postindustriale la Postmodernità è la transmodernità che corrisponderebbe al nostro mondo globalizzato. Se la Transmodernità ci appare come sintesi dialettica della tesi moderna e l‘antitesi Postmoderna, certamente ciò 31 Transmoderno. Un nuovo paradigma accade in modo light, ibrido e virtuale proprio dei nostri tempi. Ironicamente, a fronte delle pretese hegeliane, non come un dispiegamento dell‘Assoluto, ma costituendo il suo onnipresente svuotamento; non come una vera realtà, ma come virtualità reale; abbandona la struttura piramidale e arborescente del Sistema, per adottare il modello reticolare della appendice replicante. 8 Quanto alla sua formazione accademica l‘autrice è figlia di una tradizione moderna, però la sua avventura intellettuale s‘inscrive generazionalmente nella fioritura del postmodernismo, situandosi in una posizione privilegiata in rapporto ad entrambe le tappe. Andando così ad analizzare lucidamente le basi teoriche sia dell‘una che dell‘altra tradizione, separa ed analizza le insufficienze e le contraddizioni di ambedue le correnti. Da questa prospettiva Magda realizza un percorso critico per concetti come ragione, libertà, uguaglianza, fraternità, i diritti ed i doveri, la politica, la città, la cultura europea, l‘etica e l‘estetica, tramutando così il suo libro Transmodernidad in un caleidoscopio dai riflessi multipli, che mostra i diversi aspetti del nostro mondo attuale: ―Descrivere il nostro presente è l‘inizio di una diversa configurazione epistemologica, di una serie di sradicamenti epistemici generati da un nuovo paradigma‖. Se il nucleo epistemologico della Modernità è stato la Ragione, e quella della Postmodernità lo smantellamento delle grandi narrazioni, il suo lavoro consiste nel risolvere l‘episteme propria della novità che lei stessa chiama transmoderna. La sfida di un nuovo paradigma È chiaro che Rodríguez Magda opera una descrizione 8 Ivi, p. 33 32 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 fenomenologica degli sradicamenti epistemici che ci offre l‘evoluzione dei nostri tempi, tuttavia la sua ricerca non termina lì, ma si tratta di pianificare la ricerca del nuovo paradigma che identificherebbe il contenuto che definirà la transmodernità. Insistiamo nel pensare politicamente ed eticamente con nozioni moderne, ripetiamo sia culturalmente che esteticamente i temi postmoderni, riflettiamo sulla globalizzazione con la perplessità di questo andare e venire tra entrambi i paradigmi finiti. La realtà è diversa, urge un pensiero transmoderno, se vogliamo comprendere ciò che sta succedendo è necessario pensare alla Globalizzazione nel paradigma della Transmodernità. 9 Tuttavia, il traveling impeccabile con il quale la nostra autrice ci mostra la fermentazione di un mondo che cambia al ritmo della globalizzazione e della fibra ottica, ha incontrato un ostacolo imprevedibile nel crash del 2008. A volte questa profonda crisi sembra interrompere il corso di una storia che verosimilmente non procede dialetticamente, ma in modo discontinuo, a causa dell‘irruzione di ‗eventi‘ non previsti, come evidenzia Foucault nella sua Archeologia del sapere.10 O forse nessuna mappa coincide mai con il territorio. Sia quel che sia, il cambio di paradigma, così come lo pianifica l‘autrice, sta nel sentiero dell‘―oltre‖, quindi come afferma in varie occasioni, ―è il momento delle trasformazioni‖. Quello che si verifica è che questa trasformazione risulta essere molto più profonda di ciò che abbiamo immaginato. Un paradigma, come lo definì Thomas Kuhn, è un 9 Ivi, p. 6. M. Foucault, Arqueología del saber, Siglo XXI, Madrid 1979. (Trad. it., L‘Archeologia del sapere, Rizzoli 1969). 10 33 Transmoderno. Un nuovo paradigma modello scientifico che per un determinato periodo ci serve per spiegare il mondo, per comprenderlo e gestirlo. Chiaramente la nozione di paradigma è estendibile al campo sociale, a quello politico, artistico, e culturale in generale, per fortuna che il paradigma dà senso ad una realtà e normalmente serve a varie generazioni. Il paradigma che indica la transmodernità, senza dubbi comporta sia elementi della modernità sia elementi della postmodernità, però non tanto come sintesi, bensì come mutazione, come metamorfosi globalizzata. Ciò significa che nessuno dei presupposti che ci sono serviti per transitare in un‘epoca si possa convertire come dogma di una nuova, dove si trasformerebbe in mito, capace di impedirci di continuare a pensare in modo critico nella nuova fase. Continuare a pensare Qualunque siano le sfide presenti e future o gli effettivi segnali dell‘identità transmoderna, nella crisi e oltre la crisi, ciò che mi è chiaro è che ogni novità costituisce, per la filosofa Rosa M. Rodríguez Magda, una sfida intellettuale. So che non ella non tende ad adagiarsi su idee già elaborate e che il suo concetto di Transmodernità è sufficientemente aperto per pensare l‘‗inversione critica‘ del momento presente. Talvolta questa inversione la porta ad approfondire la sua ontologia dell‘assenza, più prossima alla trasformazione quantica che non alla sintesi dialettica. Questo sarebbe un punto di partenza che, come propone l‘autrice, ci porterebbe a concludere che l‘Essere è, in ogni caso, un punto di arrivo, e che i nostri concetti di realtà mancano di tocco di impermanenza, il che farebbe del transmoderno un modello instabile e insostanziale ―secondo il quale pensiamo la microfisica, la cosmologia, 34 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 lo spazio mediatico, la macroeconomia, la geopolitica, la società della conoscenza, cyberontologia e anche le relazioni personali.‖11 Penso a Rosa M. R. Magda come a una ‗filosofa sentinella‘, una ‗filosofa delle urgenze‘, che continuamente osserva la realtà circostante e l‘analizza secondo parametri sia logici sia intuitivi, alla ricerca di nuovi concetti, perché questa è la vera funzione della Filosofia. E rimarrà sempre questa: I filosofi rinunciano a essere profeti, e ci rallegriamo, i politici abbandonano le ideologie, i cittadini smettono di credere nei politici, e il mercato sembra non abbia bisogno né dei politici né degli Stati né delle grandi teorie. Intanto, noi, una manciata di anacroni, ci riuniamo nelle università, nei parlamenti, nelle pagine dei libri, a pensare che è ancora necessario pensare… 12 (Traduzione di Francesco Forini) 11 12 Ivi, p. 213. Ivi, p. 80. 35 Transmoderno. Un nuovo paradigma Della traduzione transmoderna di Carmen África Vidal Claramonte L‘universo è doppio. Due Santi reiterano la stessa liturgia che s‘ignora come un rito, il quale esiste solo perché riflesso, e nessuno contempla. Rosa María Rodríguez Magda (1997, p. 43). Tradizionalmente, il verbo ―tradurre‖ è stato rilegato in una maniera quasi automatica alla ricerca dell‘equivalenza assoluta e alla trascrizione fedele di ciò che veniva detto da una lingua all‘altra. Già da vari decenni tuttavia, grazie all‘evoluzione costante degli Studi di Traduzione ma soprattutto grazie al fatto che la traduzione è, una disciplina che si mescola e s‘impregna di tutto ciò che la circonda e che s‘immerge nel mondo e nei suoi cambiamenti, tradurre non è più la ricerca della fedeltà assoluta bensì questa si è convertita in un‘attività tanto appassionante quanto complessa, fintanto che si compie una conversione in uno spazio liquido ed extraterritoriale popolato da voci, le quali come i liquidi, trasbordano schizzano e inondano tutto quello che pretende esser solido (Baumann 2000; p. 9ss). Il traduttore vive in una società globale che ha superato ogni barlume di dialettica binaria, nella quale si afferma l‘antipode della dialettica binaria, e al contrario si 36 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 compiace nel mescolare e unire e far collidere maniere differenti di vedere il mondo. Perciò mi sembra che sia davvero appropriato fondere le concezioni teoriche attuali riguardo alla traduzione con le riflessioni di Rodríguez Magda sulla transmodernità, perché le seconde vanno indubbiamente ad arricchire le prime, nella misura in cui ci spingono a costruire il testo tradotto in funzione di un cambio di paradigma che prende in considerazione le risposte dei teorici precedenti per superarle a causa di grande sfida, quella di intendere il nuovo Grande Racconto dei giorni nostri, la globalizzazione, come la diffusione di ―un magma fluttuante, diffuso però al contempo inespugnabilmente totalizzatore‖, usando le parole di Rodríguez Magda. Per il traduttore è un dovere essere e stare al mondo, perché la traduzione è un lavoro inestricabilmente unito a quanto accade nell‘ambiente che ci circonda. Per questo nella percezione di un mondo transmoderno costruito sulla base di spazi cosmopoliti nel senso di Appiah, spazi dove ciò che incontriamo è ―universalità più differenza‖ (2006, p. 151), dove si accetta una verità ―universale‖ che è al contempo relativa, pluralista e, paradossalmente, fallace, ci avviciniamo più a questa realtà quotidiana che crea il linguaggio attraverso le parole che sceglie il traduttore. Ϟ Il punto di partenza della condizione transmoderna è quella del traduttore contemporaneo, dato che questa condizione impone la necessità di corrodere ciò che è omogeneo, di ingoiare l‘universalismo e di rendere possibili gli spazi limitrofi, la riterritorializzazione di una nuova forma di pensiero e di conseguenza della 37 Transmoderno. Un nuovo paradigma traduzione, secondo la quale la presunta comunità razionale che le lingue universali presuppongo sia fuori luogo. Tuttavia, non si tratta nemmeno, una volta assunta la crisi moderna e con essa il progetto è illustrato, che sia questa ―la scorciatoia per la mancanza di riflessioni o di politiche regressive‖ (Rodríguez Magda 1989, p. 133). Sapendo superata la possibilità stessa della riunificazione della ragione nel momento in cui si traduce, non c‘è scusa per sentirsi giudicati, in come traduttori, al caos dell‘irrazionale (ivi. P. 134) fino ad arrivare ad assumere il cambio effettivo di paradigma ―garantendo a sua volta una nuova lettura della dell‘Illuminismo, un non abbandono del progetto di emancipatore‖(ivi, p. 138). Però è un ritorno ―distanziato, ironico, che accetta la sua utile finzione… è la galleria museale della ragione… è proporre i valori come freno o come favola, però senza dimenticare il perché siamo saggi, perché‘ il nostro passato lo è stato (ivi, p. 141). Si tratterebbe di vivere una transmodernità situata ―nell‘oltre‖, per dirlo nella maniera traduttologica di Homi Bhabha, abitando uno spazio che è ―parte di un tempo revisionista, un ritorno al presente per ridescrivere la nostra contemporaneità culturale… In questo senso, allora, quello spazio intervenuto oltre, diventa uno spazio d‘intervento nel qui ed ora… Il lavoro di delimitazione della cultura richiede un incoraggiamento con la ―novità‖ che non è parte del continuum di passato e presente. Ciò crea un senso del nuovo nei termini di un atto nascente di traduzione culturale‖ (Bhabha 1994, p. 7). La nuova configurazione epistemologica sposta, quindi, gli antichi paradigmi gnoseologici e ci spinge a una sintesi dialettica di una tesi moderna e di un‘antitesi postmoderna difronte a pretese hegeliane, ―non come un dispiegamento dell‘Assoluto, al contrario costruendo il suo onnipresente svuotamento; non come una vera realtà, ma come una realtà virtuale; abbandona la struttura piramidale e 38 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 arborescente del Sistema, per adottare un modello reticolare di un‘appendice replicante‖, riacquistando così ―la positività moderna e il vuoto postmoderno, un anelito di unità del primo e la fragilità del secondo... in una totale somma di contingenze, che dimentica il Fondamento e la Definizione, convertendosi in una cristallografia proliferante (Rodriguez Magda 2004, p. 33). Considerati questi presupposti, il traduttore transmoderno compie il suo operato in uno spazio testuale che non e‘ mai lineare, ma che si va formando in un numero infinito di fili sempre intrecciati tra loro. Tutti questi non si diramano mai in un unico senso, bensì, si delineano spazi di molteplici dimensioni in cui si accordano e si contrastano diverse scritture. La transmodernità ci insegna che tutte le lingue si dirigono una verso l‘altra e funzionano con sistemi in costante traduzione, senza intenderla come una restituzione del senso ma come un inevitabile aumento o dimiuzione di esso, fintanto che le lingue sono sistemi aperti, esseri vivi e identità fluttanti (Fabbri 1994). L‘abitudine ci obbliga a convincerci di ciò che è necessario, in questa società transmoderna, superare le opposizioni binarie per difendere un modello che prenda in considerazione tutti e ognuno dei molteplici fattori che convertono l‘arte del tradurre in modo che il lettore diventi produttore del testo insieme al traduttore, per accedere cosi‘ pienamente al fascino del significante e alla voluttuosità della scrittura (Barthes 1980 [1970], p. 2). Il traduttore si nutre della gnoseologia del suo tempo, per questo niente gli sembra estraneo. I testi che gli giungono riflettono i valori di una società liquida nella quale la traduzione opera la maggior parte delle volte in un contesto di relazioni asimetriche tra le culture, e, 39 Transmoderno. Un nuovo paradigma nell‘appropriarsi di beni culturali estranei e transformarli nel discorso della cultura egemonica e incanalarsi in una rete di complicità che portano a negare la differenza culturale dell‘Altro, soprattutto se consideriamo che ciò che esiste attualmente è una globalizzazione disuguale che ha come rasoio livellatore quello che impongono le potenze mondiali, da cui si diffonde la percezione stessa della diversità, mentre aumentano gli abissi e i malintesi interculturali. In questo contesto, i dibattiti sui temi come la dipendenza delle lingue minoritarie rispetto a quelle dominanti, le conseguenze della standardizzazione linguistica o la globalizzazione del linguaggio del Potere per antonomasia, l‘inglese, diventano tanto importanti quanto l‘atto stesso del tradurre, perché sono fattori che il traduttore prende in considerazione affinché il suo operato sia il più etico possibile. Considerato che al giorno d‘oggi la traduzione è inserita più che mai in questa società globale, la ricerca nel nostro campo inizia da una nuova concezione di traduzione che si sta focalizzando ultimamente nell‘analisi della reciproca influenza tra traduttori, globalizzazione e conflitti internazionali nell‘era dell‘ibridizzazione, in cui la cartina non è il territorio, dove le identità sono molteplici e fluide e l‘incrocio delle razze finisce per essere la nostra matrice culturale. In queste circostanze, la vita quotidiana è piena e circondata da testi che sorgono da situazioni conflittuali, che in molte occasioni hanno la sua origine nella differenza, nell‘inevitabilità di doversi confrontare con alcune forme del mondo che ci appaiono molto distanti. Perciò le istituzioni e gli organismi internazionali iniziano a prendere atto che, ogni volta che parliamo, tutti siamo traduttori (Bauman 2002, p. 89). La traduzione è, perciò, una metafora fondamentale per il XXI secolo, un secolo caratterizzato da uno sradicamento su larga scala di persone a causa delle guerre, della repressione dei governi 40 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 o semplicemente della povertà. Sono diverse migliaia quelle che hanno dovuto abbandonare i propri luoghi d‘origine, la propria cultura e la propria lingua in cerca di una vita migliore, e in queste circostanze la traduzione si converte in uno strumento indispensabile. La traduzione quindi non è solo un lavoro intellettuale, teorico o pratico, ma fondalmentalmente, visti i tempi che corrono, un problema etico (Ricoeur 2005, p. 50). In questo contesto, il concetto di significato che sviluppa la transmodernità ci risulta estremamente utile, soprattutto perché ci fa riflettere sul fatto che questo concetto di significato è cambiato radicalmente: cerchiamo ora significati, significati che hanno flussi di possibilità. In una società transmoderna nella quale non c‘è solo un testo ma molteplici, il primo operato del traduttore consisterà nello smascherare la eteroglossia di questa rete che va tessendo le parole che dispensano significati mai neutri. Il discorso, qualsiasi discorso, è sempre il prodotto di determinati interessi, perché il ―footing‖, come lo chiama Potter (1996), à fondamentale per il risultato finale e per la costruzione linguistica dei fatti. Per esempio, utilizzando la tecnica che quest‘autore chiama ―esteriorità‖, si può, mediante risorse grammaticali, arrivare a descrivere i fatti in una forma più ―neutra‖, come se questi fatti fossero indipendenti dall‘agente che li produce: dire ―si scoprì che...‖ invece di ―scoprì che...‖, o usare nominalizzazioni che non mettono in chiaro chi è l‘agente e evitano così che il parlante si pronunci sulla responsabilità di una storia, etc. Da qui una delle principali responsabilità etiche del traduttore in una società trasmoderna sia considerare la natura incerta e ambigua del linguaggio, considerare che il linguaggio è molto di più che sole parole. Il significato del testo d‘origine va aldilà della traduzione, e a sua volta si permane in quella di un‘eteroglossia che si riflette nelle parole che sceglie il traduttore, nella sua selezione e 41 Transmoderno. Un nuovo paradigma nell‘enfasi che questa selezione porta con se‘: c‘è una grande differenza nel significato che arriva al lettore se i morti civili in un atto violento vengono tradotti in ―danni collaterali‖, ―morti‖, ―insorti‖, ―martiri‖ o vittime‖, esaminati tutti quelli che appaiono nei differenti protocolli delle distinte visioni del mondo, da quella degli Stati Uniti fino a quella di Al-Qaeda, tra le altre. È ciò che Rodriguez Magda chiama ―semiurgia‖, la riflessione sui segni che generano realtà (e non viceversa), che non riguarda quello che Julia Kristeva ha chiamato ―etica della linguistica‖ in un saggio del 1974 (ristampato nel 1980 inserito nel suo noto libro Desire in Language: A Semiotic Approach to Literature and Art), nel quale si propendeva a un‘etica e a una liguistica non autoritaria che, al contrario, permettessero il libero gioco della negatività, del desiderio e la jouissance. Lungi dal dover scoprire la coerenza interna delle strutture linguisitche, la linguistica ha il dovere etico di stare attenta alle mutazioni contemporanee del soggetto e della società, evitando così di essere una disciplina anacronistica nella quale il problema della verità resta slegato dalla questione del soggetto che parla. L‘oggetto di studio ha una struttura di limiti mutevoli che intende il linguaggio con l‘articolazione di processi eterogenei, contrapponendosi affinché si limiti il gioco della struttura, che neutralizzino l‘apertura e le aperture dei testi attraverso la presenza di un centro, di una presenza e di un‘origine fissa (Derrida 1989 [1967]). Ciò che è rivelante nel tradurre non è arrivare al significato ma alla comprensione del testo (Appiah 2000 [1993], p. 418), affinché, così, il non verbale appaia nel verbale (Derrida 1990, p. 10). Una volta superati i concetti più ingenui della Modernità, come la cieca fiducia nella teleologia, con la conseguente credenza nel progresso, o la fede habermasiana in una comunità ideale della comunicazione, l‘epoca transmoderna nella quale viviamo 42 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 sorge in un clima in cui fiorisce questa cosiddetta filosofia del sospetto che dalla sua nascita interrò concetti come quelli del Soggetto, universalità, opposizione binaria o equivalenza assoluta, dietro il superamento di qualsiasi barlume di verità del cosiddetto Progetto Illuminista, e con il distacco ironico, in cambio, di qualsiasi Grande Racconto come ambito generale nel quale incorporare il nostro presente. Viviamo in un‘epoca volontariamente sincretica per la sua eteroglossia e apparentemente ibrida ed ecclettica per la sua gnoseologia migratoria, che da‘ luogo a una galleria di sradicati che non ci permettono di dimenticare la realtà si va costruendo in ogni momento. La traduzione non può né deve dimenticare il mondo nel quale s‘inserisce. Per questo i traduttori riprendono le sfide della modernità accettando la crisi postmoderna per iscriversi in questo impulso morale di una nuova era tanto adeguatamente denominata ―transmodernità‖ (Rodrigrez Magda 2003, p. 8). Tradurre nella transmodernità significa essere coscienti che i testi sono in continua trasformazione, che il significato di questi testi è dinamico, reticolare, globale, eterogeneo e dispersivo, mai lineare ne‘ monocromatico, ma pluralistico, eteroglossico e carico di sfumature. Tradurre nella transmodernità significa tener sempre presente che, fortunatamente, non viviamo in un mondo puro ma ibrido, in cui le lingue e le vite si mescolano e si arricchiscono reciprocamente. Ricorriamo così, da questa teoria nomatica e transmoderna della traduzione, fino al monolinguismo dell‘altro: per essere monolingue e parlare allo stesso tempo una lingua che non è la nostra. Non si parla più una sola lingua. Non si parla mai una sola lingua. Per questo Derrida (1997, p 38), insiste che tutte le lingue hanno bisogno dell‘altro (come non esiste la somiglianza senza la differenza, il Se‘ Stesso senza l‘Altro ne‘ la presenza senza l‘assenza), perché, nonostante si parli la 43 Transmoderno. Un nuovo paradigma stessa lingua, gli esseri umani traducono continuamente e utilizza la metafora del viaggio, della strada, dei percorsi, per parlare della lingua materna: abitiamo, quasi senza volerlo, la lingua dell‘altro, che nella realtà è l‘unica che parliamo, molte volte con un accanimento monolingue, sperando che rimanga distante, isolato e inabitabile; una lingua dell‘altro che sentiremo, esploreremo e reinventeremo senza itinerario ne‘ cartina ma transmodernamente. Oltrepassato quel pensiero che finì per convertirsi se non altro in un stanco vagabondare tra gli spettri (Rodríguez Magda 2004, p. 23) ma che nonostante ciò ci aiutò a lasciare dietro le opposizioni binarie e gli universalismi, la transmodernità di Rodriguez Magda è una felice riproposizione/traduzione della dialettica hegeliana (Rodríguez Magda 2004, p. 23ss), spogliata comunque di tutta l‘essenzialità e spostata verso una nuova era liquida che pone fine a qualsiasi paradigma unitari per aprire le porte di volta in volta a molteplici micrologie, discorsi contestualizzati, come sono le traduzioni, che offrono panoramiche eterogenee, multiculturali e dispersive (ivi, p. 27). Perciò, secondo me, la transmodernità e tutta la filosofia che ci offre, è il punto d‘inizio per tradurre al giorno d‘oggi, quando tradurre non è dire lo stesso ma dire la stessa cosa, tenendo ben presente che è il ―ciò‖, questo è, che davanti a un testo non sappiamo ciò che dobbiamo tradurre. E perché, in qualche caso, nutriamo seri dubbi su ciò che vuole dire il dire (Eco 2008 [2003], p.13). Bibliografia Kwame Anthony Appiah, Cosmopolitanism. Ethics in a World of Strangers, Penguin, London 2006. 44 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Kwame Anthony Appiah, “Thick Translation”, apud The Translation Studies Reader, Lawrence Venuti (a cura di) Routledge, London and New York 2000 [1993], pp. 417-429 Juan Pablo Arias, “Adiós a los jabalíes y la cerveza. La versión árabe de Astérix Cleopatra”, in La palabra vertida: investigación en torno de la traducción. Actas de los VI Encuentros Complutenses, Universidad Complutense, Madrid 1997, pp. 371-378. Roland Barthes, S/Z, trad. di Nicolás Rosa, Siglo XXI, Madrid 1980 [1970]. (Trad. it. Einaudi, S/Z 1973). Zygmunt Bauman, La cultura como praxis, trad. di Albert Roca, Paidós, Barcelona 2002. (Trad. it., Cultura come prassi, Il Mulino, 1976). Zygmunt Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Oxford 2000. (Trad. it., Modernità liquida, Laterza, 2006). Homi K. Bhabha, The Location of Culture, Routledge, London and New York 1994. (Trad. it. I luoghi della cultura, Meltemi, 2001). Jacques Derrida, El monolingüismo del otro o la prótesis del origen, trad. di Horacio Pons, Manantial, Buenos Aires 1997. (Trad. it., Il monolinguismo dell’altro o la protesi dell’origine, Cortina, 2004). Jacques Derrida, “Las artes espaciales. Una entrevista con Jacques Derrida”, Acción paralela, 28 de abril de 1990 (Laguna Beach, California). (Trad. it., «Le arti spaziali. Un’intervista con Jacques Derrida», in Adesso l’architettura, Scheiwiller, 2008). Jacques Derrida, «La estructura, el signo y el juego en el discurso de las ciencias humanas», in La escritura y la diferencia, trad. di Patricio Peñalver, Anthropos, Barcelona 1989 [1967]. (Trad. it., La scrittura e la differenza, Einaudi, 1971). Umberto Eco, Decir casi lo mismo. Experiencias de traducción, trad. di Helena Lozano, Lumen, Barcelona 2008 [2003]. (Dire la stessa cosa. Esperienze di traduzione, 45 Transmoderno. Un nuovo paradigma Bompiani, 2003) Paolo Fabbri, «Elogio de Babel», Revista de Occidente, n.154, 1994, pp. 5-14. (Elogio di Babele, Meltemi 2003). Jonathan Potter, Representing Reality. Discourse, Rhetoric and Social Construction, Sage Publications, 1996. Paul Ricoeur, Sobre la traducción, trad. di Patricia Willson, Paidós, Barcelona 2005. (Trad. it., Tradurre l'intraducibile. Sulla traduzione, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2008). Rosa María Rodríguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004. Rosa María Rodríguez Magda, El placer del simulacro. Mujer, razón y erotismo, Icaria, Barcelona 2003. Rosa María Rodríguez Magda, Las palabras perdidas, Huerga & Fierro Editores, Murcia 1997. Rosa María Rodríguez Magda, La sonrisa de Saturno. Hacia una teoría transmoderna, Anthropos, Barcelona 1989. (traduzione di Elena Ardito) 46 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Verso una trasformazione transmoderna della nostra Società Globale. di Marc Luyckx Ghisi Verso una trasformazione transmoderna delle nostre società: un contributo europeo. Da dove sto parlando? Per quasi 10 anni (1990-99) feci parte del ―Forward Studies Unit‖ [Gruppo Studi Avanzati] della Commissione Europea; e mi trovavo nella cabina guida dell'enorme Airbus europeo: quasi senza potere, ma con una eccezionale visione del mondo, con possibilità di viaggiare e incontrare cittadini eccezionali, leaders religiosi, leaders politici e intellettuali, uomini e donne di tutto il mondo. Molti erano ―creativi culturali‖ (Ray, 2000). Questi contatti mi hanno arricchito, e mi hanno insegnato più dei libri: pertanto, in questa terza parte della mia vita, mi sono sentito obbligato a scrivere, per condividere l'informazione e la conoscenza che ho accumulato. Durante quegli anni io lentamente conclusi che siamo entro una trasformazione globale che è molto più ampia, profonda e radicale di quanto gli economisti e politici dominanti chiamano ―globalizzazione‖. Vidi un enorme 47 Transmoderno. Un nuovo paradigma tsunami di mutamento globale che si sviluppava, si accresceva e ribolliva nelle nostre società, pronto ad esplodere. Quella trasformazione esplosiva sta accadendo ora. Questa trasformazione è un mutamento di paradigma, molto molto oltre la postmodernità. 'E il rapido declino della società industriale e patriarcale capitalistica dominata dall'Occidente, e l'inizio di una completamente nuova società transmoderna, post-capitalistica, post-industriale, post-patriarcale. Siamo già a mezza via in questa nuova logica del paradigma transmoderno. Poche persone ne sono consapevoli, pur avvertendolo nel loro subconscio. Questa spiegazione la offro per aiutare in tutto il mondo i cittadini a esprimere esplicitamente quanto già implicitamente conoscono. I quattro livelli di questa trasformazione transmoderna 1. Il livello più basso (subconscio) è il rischio che l‘umanità si suicidi Se l'umanità continua le strategie di crescita e sviluppo industriali, capitalistiche, patriarcali corre il rischio di un suicidio collettivo. Ciò era vero quando solo l'Occidente stava contaminando il globo e esternalizzando in altri luoghi i propri rifiuti. Ora che a questo gruppo si sono uniti altri tre miliardi di cittadini (includendo Cina, India, Brasile e altri...) diventa evidente un collasso ecologico 48 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 collettivo. I cittadini di tutto il mondo ne sono consapevoli. Pochi ne parlano, ma la cosa resta nel nostro subconscio collettivo. È proprio in questo livello subconscio che scopriamo un estremamente potente motore di trasformazione. L'umanità ha già deciso di sopravvivere. Io sono convinto che vi sono nel mondo un miliardo di ―creativi culturali‖ che silenziosamente stanno cambiando valori- pensando intanto di essere soli. Questi nuovi valori sono rispetto per la Madre Natura, cura per le comunità, le relazioni famigliari, la crescita interiore, le altre culture, desiderio di una diversa logica economica, ecc. Le sole statistiche di cui disponiamo (del 1997) indicavano circa un 25% di ―creativi culturali‖ negli Stati Uniti e in Europa.13 Secondo le mie informazioni, vi è probabilmente la stessa proporzione nel mondo musulmano, nell'America Latina, in Cina e in India. Immagino che in tutto il mondo vi siano un miliardo di creativi culturali- di cui il 66% sono donne.14 Ciò vorrebbe dire che 600 milioni di donne stanno guidando il mutamento nel pianeta. 13 14 Il ‗Club di Budapest‘ ha fatto una nuova ricerca sulla presenza di ‗creativi culturali‘ in Europa. I risultati sono stati pubblicati per stato. Non conosco una pubblicazione che dia nuovi risultati per l‘Europa nel suo complesso. Disponiamo di statistiche solo per Stati Uniti e UE. E abbiamo delle interessanti indicazioni e analisi, da parte di specialisti autorizzati ma controversi, per il mondo musulmano e la Cina. Non abbiamo quasi nessuna indicazione per America del Sud e Australia. 49 Transmoderno. Un nuovo paradigma 2. Fine dei valori patriarcali e presenza di un nuovo sacro I valori patriarcali di comando, controllo e conquista sono obsoleti, poiché non rendono possibile un mondo inclusivo e sostenibile in cui l'umanità potrebbe sopravvivere. Quei valori possono avere permesso meravigliosi sviluppi della scienza e della tecnologia, come l'atterraggio sulla luna, ma non sono in grado di proteggere il pianeta Terra. Per questo stiamo ricercando un nuovo insieme di valori favorevoli alla vita- e questi sono post-patriarcali. Nel corso di due generazioni il contenuto stesso della sacralità è mutato più che in 5000 anni. Per mia figlia 'sacro' (riconnessione con l'universo) significa qualcosa di completamente diverso dal concetto di 'sacro' di mia nonna (separazione dal mondo, per raggiungere il divino). Il 'sacro' di mia figlia è probabilmente post-patriarcale. E il sacro è la base di tutti i sistemi di valore di una civiltà. Cosicché, se questa base sta così velocemente mutando, gli altri valori devono trasformarsi anch‘essi. La trasformazione è qui... già in opera nei nostri figli. 3. Il terzo livello è la fine della modernità A. Dalla estrema intolleranza moderna alla radicale tolleranza transmoderna. 50 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Sebbene la modernità ritenga sé stessa tollerante e universalista, la sua epistemologia, la sua stessa definizione di verità sono estremamente intolleranti. La modernità ha ucciso quasi tutte le altre culture e civiltà. Ancora di più, ha convinto tutte le altre culture di essere ‗sottosviluppate‘ e quindi ontologicamente inferiori. Ha in molti casi distrutto completamente storia e ricordo di quelle culture. L‘Unesco ha recentemente pubblicato una storia dell‘Africa in otto volumi. Molti hanno reagito dicendo: ‗Esiste una storia dell'Africa?‘ Poiché la storia dell'Africa è stata completamente cancellata dagli storici occidentali moderni. Sfortunatamente questo è vero per molte altre culture. Gli storici dell'America del Sud stanno riscrivendo la storia del Sudamerica, che era stata creata da zero dagli invasori. La transmodernità è basata e costruita su una epistemologia completamente differente. Non vi sono più piramidi. La verità si trova nel centro del tavolo comune attorno al quale tutte le culture siedono in modo paritario. Pure donne e uomini sono uguali. Il fine urgente della vita è occuparsi insieme della nostra comune sopravvivenza. Ma la principale meta della vita per ciascuno è raggiungere il centro, la ―luce divina‖ o la ―assenza di luce‖. E più ci si avvicina al centro meno si riesce a dare una definizione di che cosa è l'illuminazione. È solo possibile sperimentarla. E nessuno ha la proprietà o il controllo di questa 51 Transmoderno. Un nuovo paradigma verità ―vuota‖. È impossibile. La transmodernità significa così la fine delle religioni dogmatiche. Animali e piante sono rispettati perché sono, come noi, parte dell'universo. La transmodernità ha una epistemologia radicalmente tollerante. È già radicata in alcuni cittadini (almeno il 25%). A ogni modo parecchi (circa il 70%!) si sentono a disagio in questo strano periodo di trasformazione e insieme di ritorno a intolleranze premoderne o moderne. Questo causa tensioni. B. La modernità ha distrutto l'anima; la Transmoderità spinge a un reincanto del mondo. La modernità ha ―cancellato (entzaübert) l'incanto‖ del mondo, come giustamente disse Max Weber. Ha convinto la civiltà occidentale che nulla esiste al di fuori della realtà razionale. Ha alienato tutti noi dai nostri corpi, le nostre anime, le nostre intuizioni, i nostri sentimenti e la nostra creatività. Ci ha pure convinto che non vi è nulla dopo la nostra morte. È la prima civiltà della storia ad aver negato ogni sopravvivenza dopo la morte, e così facendo ha incrementato al massimo l'angoscia occidentale riguardo alla morte. La transmodernità potenzialmente invita gli umani a impegnarsi sulla strada per un reincantamento. Il reincantamento ricollega tutte le scatole separate della nostra esistenza: intelligenza, razionalità, sentimenti, intuizioni, corpi, anime, amore, 52 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 speranza, denaro, lavoro, politica, ecc.. È un modo per risperimentare la completezza in speranza e gioia. Molte persone stanno percorrendo questo viaggio, in silenzio, attraverso tutti i continenti, e anche entro l‘Islàm. La Transmodernità è pure consapevole che non vi è uno ‗scontro di civiltà‘ (Huntington, 1993). I conflitti principali sono fra interpretazioni (premoderne, moderne, transmoderne) all‘interno di ogni gruppo religioso. A Bruxelles nel 1998, in collaborazione con la ‗Accademia Mondiale delle Arti e delle Scienze‘, il ‗Forward Studies Unit‘ della Commissione Europea organizzò un congresso su ‗Sviluppo della civiltà e governance‘.15 Era assolutamente chiaro che entro il blocco musulmano di 1 miliardo di persone potevano esserci altrettanti transmoderni che in Occidente: (200.000.000). Ma i nostri governi sono troppo moderni per vedere questa trasformazione in corso. In verità questo enorme gruppo, con la sua maggioranza femminile, in conflitto con le interpretazioni premoderne dello stesso Corano, è invisibile agli osservatori moderni. C. la Modernità ha dato alla scienza un ruolo divino; 15 Vedere: http://vision2020.canalblog.com/archives/religions_and_conflicts/in dex.html. 53 Transmoderno. Un nuovo paradigma la transmodernità vuole che essa sia responsabile. Dato che il metodo scientifico è razionale, fornisce un accesso diretto alla Verità. La scienza ha così ricevuto uno status quasi-divino (Prigogine, 1984 ultima pagina) che è ora in completa crisi: i cittadini chiedono a scienza e tecnologia di costruire un mondo sostenibile, e la scienza moderna non può riuscire in questo. Gli economisti, altri ‗esperti‘ e ‗tecnocrati‘ hanno funzionato nella modernità come un nuovo clero, che come tutti i cleri è infallibile e al di sopra della critica. Un altro motore intellettuale del mutamento di paradigma è costituito dalle scoperte nella fisica quantistica dopo Einstein, con vincitori di premi Nobel come Bohr (1922), Heisenberg (1932), e Prigogine (1979). Le loro scoperte hanno cambiato la stessa definizione del metodo scientifico, che era basato su esperimenti riproducibili ed obiettivi, e che si diceva star portando alla Verità sulle Leggi della Natura. Qui si è scoperto che la stessa azione di osservare muta le condizioni dell'esperimento. Per il Premio Nobel Ilya Prigogine (& Stengers), la scienza diviene un approccio poetico alla realtà (1984, pagina finale), e il ‗metodo scientifico‘ è utile solo per alcuni casi eccezionali. Questa è la fine dell'approccio ‗moderno‘ alla scienza. Sfortunatamente troppo pochi scienziati accettano 54 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 questo mutamento di paradigma. E gli economisti lo rifiutano del tutto. La Transmodernità mette a disposizione un concetto completamente diverso di scienza e tecnologia. Lo status ‗divino‘ della scienza nella modernità non ha più ragione di esistere. I cittadini non saranno più disposti ad accettare tutto quello che la scienza offre e vende loro. La scienza e la tecnologia, come con tutte le azioni umane, devono riorientarsi verso il desiderio dei cittadini del pianeta di un mondo sostenibile e socialmente inclusivo. Devono rispondervi, e divenire ‗responsabili‘. Devono recuperare il loro ruolo umano e contribuire al bene comune. D. La Modernità è stata l'ultima forma di valori patriarcali assolutamente dominanti. Questi valori di ‗comando controllo e conquista‘ sono essi stessi in profonda crisi, poiché non possono provvedere una credibile risposta alla crisi della sostenibilità, né un futuro per i nostri figli. Essi sono comunque impressi nei nostri corpi, le nostre istituzioni, le nostre società e le nostre famiglie. La Transmodernità, come abbiamo visto, è radicalmente post-patriarcale, poiché donne e uomini siedono con pari dignità alla tavola del mondo. 'E l'unico modo per progredire. 55 Transmoderno. Un nuovo paradigma 4. Il quarto livello è la Economia Transmoderna: fine del capitalismo industriale e postcapitalistica immateriale nascita di una società In 5000 anni vi sono stati quattro mutamenti degli strumenti di produzione. Quello che le persone sentono ma non vedono con chiarezza è che stiamo cambiando i nostri strumenti di produzione. Dalla pastorizia matrilineare alla agricoltura premoderna: 5000 anni fa siamo passati dalla pastorizia alla agricoltura, e la nostra visione della vita è cambiata. I nuovi strumenti di produzione erano la terra, i semi, la tecnologia agricola e il pregare gli Dei per un tempo favorevole. La Dea Madre fu rimpiazzata dal Dio Padre, e invece della sacralizzazione di donne, sessualità, vita e morte abbiamo visto la sacralizzazione della Morte e del sacrificarsi e dei maschi! La proprietà privata fu improvvisamente necessaria per proteggere i campi, e le donne vennero ad essere dominate dagli uomini (come proprietà). Questa transizione fu violenta. Dalla Agricoltura premoderna alla Industria moderna: 4000 anni dopo siamo passati dall'agricoltura all'industria. I nuovi strumenti di produzione erano fabbrica, tecnologia e capitale. Tutto mutò di nuovo nella nostra visione della vita. Entrammo in un mondo secolarizzato, dove 56 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 gli umani erano sottomessi alle macchine e controllati da un tempo meccanicistico. Un nuovo sistema monetario fu creato dalle banche, non più da Re e vescovi. Questa transizione fu molto violenta, anche; comportò crociate, guerre di religione e Inquisizione. Coloro che detengono il potere non amano cederlo ad altri, e quindi creano guerre. Dalla società industriale moderna alla società transmoderna della conoscenza: 2000 anni dopo Cristo stiamo nuovamente cambiando paradigma, mentre entriamo nella società della conoscenza. Stiamo abbandonando la società industriale perchè la sua visione della vita (il suo paradigma) non è in grado di immaginare e realizzare un futuro sostenibile per l'Umanità. Adesso noi creiamo valore applicando conoscenza per creare nuova conoscenza. Invece della General Motors abbiamo Google e IBM. Il settore TED (Technology, Entertainment, Design: tecnologia, intrattenimento, design) è quello in cui saranno creati nuovi posti di lavoro. Il nuovo strumento di lavoro è il cervello umano che collabora in reti. Questo vuol dire che il nuovo management deve rispettare gli umani (―capitale umano‖), e diventare umanistico. – Alternativamente, in uno scenario negativo, il management vorrà manipolare il cervello dei dipendenti. – La macchina deve diventare ‗human friendly‘, amichevole per gli umani. Le macchine divengono sottomesse agli Umani. Questo è un 57 Transmoderno. Un nuovo paradigma enorme mutamento. I Transumanisti sono un esempio di gruppo che non capisce né accetta questo passaggio da una società centrata sulle macchine ad una centrata sugli Umani. Il mutamento appare anche violento, per via delle guerre che è l‘Occidente a condurre. La società della Conoscenza è una società post-capitalistica Tutto sta cambiando in questa nuova economia, ma nessuno ce ne dice niente... 1. Il processo di creazione di valore è immateriale e post-capitalistico: La radice di ogni economia è il processo di creazione di valore. Il nuovo processo di creazione di valore non aggiunge più (come nell'industria) valore ad un oggetto, ma applica conoscenza alla conoscenza per creare nuova conoscenza (Drucker, 1994). E la conoscenza è come l‘Amore. Più se ne condivide, più se ne ha. Questo è esattamente l'opposto della logica capitalistica (non condividere mai il tuo capitale!) 2. Lo strumento di produzione post-capitalistico è il cervello umano associato in reti: ogni sera lo strumento di produzione torna a casa sua. Se il management non è centrato sulle persone, queste (lo strumento di produzione) se ne vanno altrove con la loro conoscenza, e l'impresa fallisce. 3. Management post-capitalistico e post-industriale: il Management deve diventare centrato sulle persone, quindi umanistico. Di qui la crescente importanza dei dipartimenti RI (Relazioni Umane). Nello scenario negativo, il management 58 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 cercherà di manipolare il cervello dei dipendenti. Peter Drucker († 2005) spiega che capitale finanziario e tecnologia stanno diventando meno importanti del ‗capitale umano‘. A suo parere siamo già in una 'società post-capitalistica'. Ma nessuno dice nulla, e continuiamo a gestire il nuovo entro il vecchio sistema industriale. Di qui la crisi. 4. Misurazioni qualitative post-capitalistiche: Come misurare la conoscenza? Sulla Rete ci sono troppa informazione, troppa conoscenza. La gente ricerca conoscenza accoppiata a saggezza. I mercati finanziari attualmente usano in più del 50% dei casi nuovi parametri di misurazione chiamati ‗risorse intangibili‘ (Sveiby, 1994).16 5. Sistema di scambio e moneta post-capitalistica: è impossibile vendere la conoscenza, perchè si tiene presso di sé la conoscenza che si ‗vende‘. Nella nuova società della conoscenza, si può solo ‗condividere‘ la conoscenza. Lo slogan ‗libero commercio‘ è sorpassato in questa nuova economia, e diventa 'libera condivisione della conoscenza' (―Open Source‖). Ciò vuol dire che è possibile passare a un sistema monetario postindustriale e post-capitalistico. È evidente la crisi del sistema industriale-finanziario. 6. Strategia post-capitalistica: da vinci/perdi a 16 L‘anno scorso il vice-presidente della Borsa di New York, in una conferenza pubblica all‘università di Louvain-la-Neuve, in Belgio, disse che il 60% delle misurazioni della Borsa riguardavano le ‗risorse intangibili‘. Stewart Thomas A., in The Wealth of Knowledge (2002), parla del 70%. 59 Transmoderno. Un nuovo paradigma vinci/vinci: Nella nuova economia, i competitori collaborano in ‗comunità di pratica‘ (Verna, 2002). L‘approccio dolce di una strategia vinci/vinci è molto più efficiente. Le donne sono solitamente due volte più efficienti in questo nuovo tipo di management della società della Conoscenza. 7. Politica post-capitalistica sui brevetti: Diventa quasi impossibile brevettare la conoscenza, perché la conoscenza filtra sempre fuori (Cleveland, 1997). I farmaci generici stanno vincendo dappertutto, non ostante la lotta delle grosse imprese farmaceutiche. I programmi Open Source stanno conquistando spazio e importanza maggiori, mentre la Cina ha già scelto Linux e l‘IBM ha scelto politiche ‗Open Source‘. Questo porta a una maggiore trasparenza nelle nostre società. 8. Strutture post-capitalistiche a rete: è impossibile creare conoscenza in una struttura piramidale, dato che informazione e conoscenza non circolano in una piramide. Le imprese devono quindi passare ad una struttura a rete. I sistemi patriarcali di 'comando, controllo e conquista' sono completamente obsoleti, dato che è impossibile controllare una rete. 9. Concetto post-capitalistico di crescita: Questa è una delle novità migliori. Quanto diventa cruciale in questa nuova economia è la qualità della conoscenza, e saggezza nell‘azione. Questi nuovi importanti obiettivi sono qualitativi. Danno una 60 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 indicazione preziosa che stiamo cambiando la pietra angolare del concetto industrialecapitalistico di crescita. Dalla crescita quantitativa stiamo passando a tutta velocità alla crescita qualitativa. Questa nuova crescita potrebbe essere orientata verso una economia mondiale veramente sostenibile, poiché solo una crescita qualitativa è ancora possibile nel nostro mondo finito. Lo scenario negativo è molto attivo Le grandi imprese come IBM, SUN, SAP, SIEMENS stanno più o meno andando nella direzione di un management centrato sulle persone, opzioni Open Source, e rispetto umanistico per dipendenti ed ambiente. Così facendo accumulano nel mercato azionario una quantità di ‗risorse intangibili‘. Alcune sono più avanzate di altre, come l‘IBM. Tutte sono prese da questa nuova vision postcapitalistica e postindustriale, pur senza affermarlo esplicitamente. Sulle stesse posizioni abbiamo anche una parte della Commissione Europea, che sta spingendo verso un approccio (centrato sulle persone e sui cittadini) di ―Tecnologie Convergenti‖.17 Essi rappresentano il gruppo dello scenario positivo. Dall'altro lato sta il gruppo dello scenario negativo. 17 Per ulteriori informazioni su questo argomento vedere il mio libro: http://vision2020.canalblog.com/archives/my_1st_book_in_english_ _the_knowledge_society/index.html. 61 Transmoderno. Un nuovo paradigma Aziende come la Motorola e importanti gruppi di potere come la ―US National Science foundation‖ hanno una vision completamente diversa. Secondo loro non stiamo cambiando paradigmi. Le macchine rimangono più importanti degli umani. La loro strategia è ‗neo-industrale‘ e transumanista. Ecco i loro punti di vista: Costruiamo computer potenti (come il Big Blue), in grado di essere più intelligenti degli umani. Che la macchina controlli e diriga una parte sempre più grande delle nostre aziende e della nostra società. Si potrebbe silenziosamente assumere la governance sui miei computer. Il Brave new World!18 La seconda strategia è di manipolare il cervello umano. La Motorola già lo fa con i suoi dipendenti (nel contratto è prevista la inserzione di un micro-chip sotto la pelle). In questo paradigma neo-moderno, che chiamo lo scenario negativo, le considerazioni etiche non hanno spazio, dato che la scienza, secondo la definizione moderna, raggiunge la Verità tramite il metodo ‗scientifico‘. Quindi che bisogno c‘è di etica? Si aspettano, prima o tardi, una silenziosa assunzione della governance locale e globale da parte di supercomputer. Contemporaneamente ogni cervello umano sarà ‗migliorato‘ grazie alla introduzione nel sangue di milioni di nanocomputer. La più articolata 18 Il nuovo mondo, di Aldous Huxley, famosissimo esempio di antiutopia. [Ndt] 62 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 giustificazione per questo modo di pensare collegato al (neo-industriale) scenario negativo è contenuta nel Manifesto dei Transumanisti.19 Questa visione filosofica chiede completa libertà di modificare il corpo umano con qualunque tecnologia, per migliorarlo indefinitamente, sperando di arrivare alla immortalità. L'Unione Europea ha deciso di impegnarsi per questa ‗società della conoscenza‘. I capi di stato europei hanno deciso nel 2000 di implementare la Strategia di Lisbona (2000-2010) diretta a rendere competitiva la UE in questa società della conoscenza ma con rispetto per l‘ambiente e l‘inclusione sociale. Sono loro ad avere inventato il concetto di ‗società della conoscenza‘. Hanno avuto la capacità previsionale di capire che siamo di fronte a un mutamento degli strumenti di produzione, e quindi a una nuova società. E adesso la UE sta decidendo di continuare la stessa strategia con ‗Europa 2020‘. Sfortunatamente, i governi europei non hanno seguito i visionari che immaginarono questa strategia innovativa, e che sapevano che questo era un nuovo paradigma economico (il Primo Ministro portoghese Gutterrez e il Prof. Maria Joao Rodrigues: Rodrigues, 2003). Ecco perché questa strategia non è stata un successo. È un concetto postindustriale gestito con una strategia industriale. 19 http://en.wikipedia.org/wiki/Transhumanism 63 Transmoderno. Un nuovo paradigma 5. Il Quinto Livello: Poltica Transmoderna: la UE La Politica Transmoderna è attorno a noi, ma noi non la vediamo. Essa va nella direzione di network non-violenti di Stati. Questo è invero un nuovo paradigma politico, dato che in un mondo globale la guerra non pare più una soluzione efficiente. Il peso della prova sta adesso sul Guerriero, come scrisse Mayor, il precedente direttore dell'Unesco.20 I network di pace sono pure la fine delle strutture piramidali.. Stanno introducendo un nuovo livello politico globale di gestione non-violenta fra stati, nel nostro mondo globale. L‘Unione Europea è il primo esperimento riuscito di non-violenza fra stati. Ha funzionato per 60 anni. Ma i nostri governi la presentano come un mercato, o un Superstato. Mentre la UE dovrebbe andare nella direzione di un network di solidarietà e pace i nostri stati la stanno spingendo verso un Superstato, e un Megamercato!!! Il Mercato è il mezzo, non il fine! La Modernità ci ha dato un fondamentale mutamento di paradigma: lo ‗Stato di Diritto‘, che ha lentamente sviluppato la non-violenza fra cittadini entro i confini nazionali. In modo simile, la transmodernità ci porta nonviolenza Fra Gli Stati. In questo senso, la UE è la prima struttura politica transmoderna del mondo. È un‘aquila allevata da galline (i 20 Mayor Federico (1995). The New Page, tradotto da La nouvelle page, Editions du Rocher, Unesco, 1994. 64 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 nostri governi europei). Una conseguenza della politica transmoderna nel rapporto fra religioni e politica: Conflitti fra paradigmi, invece che fra religioni. Le religioni stanno tornando sul palcoscenico della politica. La ‗Forward Studies Unit‘ della Commissione Europea riunì nel maggio 1998 una conferenza ad alto livello sul tema ‗Governance e diverse culture‘.21 Una delle conclusioni principali fu che i conflitti più difficili non sono fra religioni, come il professore di Harvard Huntington aveva sostenuto (1993), ma sono piuttosto all‘interno di ogni religione, fra i premoderni, i moderni ed i transmoderni. Siamo così coinvolti in uno scontro di paradigmi, piuttosto che di civiltà. Un‘altra molto importante conclusione fu quella proposta dal Prof. Ziauddin Sardar, direttore di ―Futures‖ e specialista del mondo Islamico: entro il gruppo musulmano potrebbero esservi più di 20% di transmoderni – che silenziosamente preparano il futuro dell'Islàm nel XXI secolo. Una terza importante conclusione fu che le autorità politiche in tutto il mondo dovranno il prima possibile passare ad una visione transmoderna, e riconoscere apertamente l'esistenza di una dimensione 'spirituale' in ogni essere umano. 21 Civilizations and Governance. congresso organizzato dalla ‗Forward Studies Unit‘ e dalla ‗World Academy of Art and Sciences‘ a Bruxelles nel Maggio 1998. Il testo è disponibile sul mio blog, sotto ‗religioni e conflitti‘. 65 Transmoderno. Un nuovo paradigma Conclusione La transmodernità è un profondo mutamento, e noi ci siamo in mezzo. Questo mutamento ha cinque diversi livelli, e alcune spinte profonde alla sua base. La trasformazione vera e propria ha luogo in profondo silenzio. A guidare la discussione sono in parte gli scienziati, i ‗pensatori della Integralità‘, e in parte Aziende come l‘IBM e altre. Sfortunatamente, la maggior parte delle università non sono di grande aiuto in questa riflessione decisiva. Questa trasformazione è così importante che tutta la mappa mondiale è completamente aperta. Nessuno è dominante in questo nuovo quadro, dato che oggi la sfida non è costruire una nuova ‗Silicon Valle‘, ma raggiungere una visione corretta, e comprendere la natura della trasformazione. Quali governi saranno i primi a capire rispondere? I Cinesi, gli Stati Uniti, gli Europei, i Brasiliani, gli Australiani? Chi proporrà nuove soluzioni che davvero siano post-industriali e post-capitalistiche? Nessuno lo sa. L'esito è veramente aperto. 66 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Bibliografia Verna Alle, The future of knowledge increasing prosperity through Value networks, Butterworth Heineman, New York 2002. Harlan Cleveland, Leadership and the information revolution, World academy of art and science, Minneapolis, MN 1997. Peter Drucker, Post capitalist society, Harper, New York 1994. Samuel P. Huntington, (1993). The clash of civilizations? ―Foreign Affairs‖, 72 (3), pp. 22-49. Ilya Prigogine & Isabelle Stengers, Order out of caos: Man‘s new dialogue with nature, Bantam, New York 1984. Paul H. Ray, & Sherry R. Anderson, The cultural creatives: How 50 million people are changing the world, Three Rivers, New York 2000. Maria João Rodrigues, The new knowledge economy in Europe. A strategy for International competitiveness and social cohesion, Edward Elgar, Cheltenham (UK) 2003. Karl Erik Sveiby, The new organizational wealth: Managing & measuring knowledge-based assets, Better & Koelher, San Francisco (USA) 1997. (Traduzione di Giacomo Conserva) 67 Transmoderno. Un nuovo paradigma Transmoderno e post-storia di Marco Baldino 1. Postmoderno/transmoderno Vi sono almeno due declinazioni del postmoderno, entrambe capaci di suscitare serie crisi di sazietà intellettuale, ma che conducono a diversi esiti: l‘una mette l‘accento sull‘eclettismo storicizzante della cultura moderna ? l‘effetto tipico di questa ―malattia‖ è una produzione intellettuale che, come in un gioco di specchi, persegue un mero ampliamento, per ripetizione variata, dei contenuti e delle forme della tradizione. L‘altra caratterizzata dalla consapevolezza che nuovi rapporti tra pensiero ed effettualità si sono imposti come conseguenza della crisi dissolutiva che ha investito il ―progetto moderno‖: se l‘antichità vedeva nel mondo un cosmo, cioè un ordine ad un tempo da rivelare e da imitare, se la modernità ha visto in esso un caos da ordinare, cui l‘uomo, per mezzo della ragione, poteva cioè conferire un ordine, la postmodernità sembra invece partire dal presupposto che il mondo non solo è un disordine essenziale, ma che non c‘è razionalizzazione o rivoluzione possibile che non sia, allo stesso tempo, un fatale approfondimento di questo medesimo disordine. Ma se con la postmodernità la filosofia perde tanto il suo 68 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 ruolo disvelativo quanto la sua forza razionalizzatrice e formatrice, se la filosofia perde cioè il suo ruolo civilitario, che cosa le resta? Ebbene, se gli uni hanno finito con l‘inventare il gioco sublime delle infinite combinazioni di testo, per gli altri accade che il rapporto tra pensiero e mondo sia diventato fluido: ciò che si può fare è imparare a stare nella corrente, tracciare delle linee di galleggiamento. Il pensiero diviene strumento concreto per il singolo che agisce all‘interno di un caso concreto. Per Jünger si trattava ad esempio di attraversare il fuoco degli eventi senza bruciarsi, di ascoltare il canto magico della tecnica senza farsene incantare, di vivere nelle spire del Leviatano senza lasciarsi catturare; per Deleuze, analogamente, si tratta non tanto di attraversare le frontiere della ragione, ma di attraversare le regioni della «sragione» ritirandosi poi da esse come vincitore. Questa prospettiva è per esempio declinata da Rosa María Rodriguez Magda come ―transmodernità‖. La transmodernità prolunga, continua e trascende la modernità — scrive la Rodriguez Magda — è sì il ritorno di alcune linee e idee del moderno (ci si rivolge per esempio di nuovo al progetto illuminista, come se questo potesse fornirci un quadro generale più libero per determinare il nostro presente) ma la modernità viene in realtà recuperata in modo distanziato, ironico, come semplice finzione adeguata. Di questo i critici della postmodernità, che vorrebbero liberarsi del postmoderno con un gesto sovrano, ma che rispetto al postmoderno mancano della sola distanza ironica, non si rendono conto; non si rendono conto di essere proprio loro, con il loro eccesso 69 Transmoderno. Un nuovo paradigma di saccenteria, i più inconsapevoli e ostinati continuatori e trasmettitori dell‘atteggiamento postmoderno. È davvero possibile tornare a Spinoza nella convinzione che il necessitarismo sia la vera forma del pensiero vero? Quello che dice la Rodriguez Magda è che bisogna partire dalle critiche postmoderne ed eventualmente, da ciò, puntare alla configurazione di un nuovo paradigma. Il transmoderno mantiene il presupposto del mondo come disordine essenziale, simula la messa in scena di ordini presi a prestito dalla galleria della ragione moderna, ma sa che si tratta di modelli transitori e, a volte, anche circoscritti, cioè meramente locali, il cui scopo è quello di salvare le apparenze. 2. Stato universale omogeneo e negativo senza impiego È probabile che Bataille mutui la sua nozione di ‗mondo omogeneo‘, ‗parte omogenea‘, dalla nozione kojeviana di stato universale omogeneo e Kojève, come tutti sanno, fu un geniale interprete — si potrebbe dire interprete forte — di Hegel del XX secolo. La produzione del mondo omogeneo, nel senso di Bataille, è infatti il risultato dell‘azione nel senso di Hegel, cioè la trasformazione del mondo — il quale è ostile al progetto umano — in mondo conforme a tale progetto. Ora, il mondo interamente omogeneizzato è un mondo privo di salti, privo di differenze, di differenze di potenziale, è un mondo dell‘equi-potenza e dell‘equi-valenza. Ogni uomo è riconosciuto tale da ogni altro uomo. Tale riconoscimento non costa nulla, non può costare nulla; se costasse 70 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 qualcosa, allora dovremmo supporre l‘esistenza di una differenza che continua a sussistere. Per conquistarsi il riconoscimento occorrere infatti mettere a rischio qualcosa, mentre in un mondo privo di salti e di differenze, in un mondo perfettamente omogeneo, non è più possibile mettere a rischio nulla, perché è un mondo dove, paradossalmente, c‘è sovrabbondanza di tutto. Gli uomini non sono più inquieti, l‘inquietudine del negativo è scomparsa, gli uomini sono ora quieti, non desiderano nulla e non desiderano nulla perché hanno tutto, compreso se stessi e il riconoscimento (da parte) dell‘altro (uomo): il ritorno degli schemi schiava-padrone sottoforma di patto erotico, l‘osteggiamento anacronistico dei matrimoni gay, l‘insopportabilità delle crisi recessive, sono indici che la soglia della soddisfazione è superata e che i ritorni a stadi precedenti non possono che suscitare moti di ricompattazione dell‘equilibrio. Un mondo perfettamente omogeneo è un mondo dell‘abbondanza in ogni senso e modo e il mondo dell‘abbondanza (c‘è più di quanto si possa desiderare, e se anche un buco nero assorbisse energia senza restituire nulla, il sistema sopperirebbe all‘ammanco creando nuova energia) è il mondo della felicità. Ebbene, un mondo siffatto non contempla più l‘azione e non contemplando più l‘azione è oltre la storia, è un mondo post-storico e un mondo postostorico è, eo ipso, un mondo transmoderno. Non ho un grande argomento da fornire, è per me una sorta di evidenza e ritengo sufficiente ripetere alcune frasi di Rosa María Rodríguez Magda: «La Transmodernità è immagine, serie, fuga nel barocco e 71 Transmoderno. Un nuovo paradigma barocco come via di fuga, è autoreferenzialità, catastrofe, circolo vizioso, ripetizione frattale e inutile; è entropia dell‘obeso e congestionata inflazione dei dati; è estetica del troppo pieno e della sua sparizione, entropica, fatale. La sua cifra non è il post-, la rottura, la discontinuità, ma la transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi. La Transmodernità sono i mondi che si compenetrano e si risolvono in bolle di sapone o come immagini su uno schermo. Non è un desiderio o un fine, semplicemente è una situazione strategica complessa e aleatoria, non scelta, che in-siste; non è né buona né cattiva, compiacente o insopportabile […] è tutto questo insieme […]. È l‘abbandono della rappresentazione, il regno della simulazione e della simulazione che conosce il reale.» 22 Perché si dia storia occorre infatti che vi sia anzitutto scarsità, rarità di questo e di quello, occorrerebbe che qualcuno potesse appropriarsi in modo esclusivo di questo e di quello privandone gli altri. Perché si dia storia è necessario che vi siano luoghi di concentrazione dell‘energia e una grande distribuzione di differenze di potenziale, nonché la possibilità della scarica, del salto; sarebbe necessario che tale salto dissipatorio avesse la forma dello scontro, della lotta. Un mondo storico è un mondo politico, non nel senso di un parlare insieme per imprendere qualcosa in comune, ma come un gioco di forze e di intellezioni, di scarti di coscienza e di tattiche che sono, in buona sostanza, guerra, guerra continuata con altri mezzi. Non posso nascondermi, tuttavia, che il mondo interamente omogeneizzato è forse solo una 22 R. M. Rodriguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcellona 2004, p. 9. [Traduzione mia] 72 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 condizione limite, un po‘ come lo stato di natura di cu parlava Hobbes. Forse esso non è che il limite asintotico dell‘attività umana, negatrice e trasformatrice. Kojève pensava che lo Stato universale omogeneo fosse l‘esito necessario dello sviluppo storico inteso come lotta a morte per il riconoscimento (o per la gloria): l‘idea ellenistica dello Stato universale (Alessandro) e l‘idea cristiana dello stato omogeneo (san Paolo), uniti nella forma secolarizzata dello Stato mondiale proprio di una società senza classi (Marx) o che tende a realizzarsi tale. Le due rivoluzioni omogeneizzatrici (1789 e 1917) hanno posto l‘omogeneità sociale tra i fini propri dell‘azione politica e questi fini, sottratti alla sfera dell‘utopia, figurano, da più di un secolo, fra gli obiettivi politicamente irrinunciabili. Oggi le cose stanno in questo termini: siamo del tutto consapevoli della necessità di adeguare politicamente il fatto della ―globalizzazione‖, cioè il ricoprimento dell‘intero pianeta da parte del modello economico occidentale, della scienza e della tecnica occidentali. L‘esito di un tale sforzo può essere solo — lo si comprende facilmente — lo Stato universale omogeneo, ossia una giurisdizione che non incontri limiti spaziali, nazionali o etnici e che non sia segmentato da differenze sociali tali da impedire la condivisione di interessi comuni fondamentali. In altre parole, lo Stato universale omogeneo non è qualcosa di semplicemente virtuale, la cui realizzazione verificherà, in un futuro lontano, la validità delle scelte storiche compiute dall‘inizio fino ad allora, ma un obbiettivo politico concretamente perseguito come l‘unica soluzione possibile al problema dell‘anarchia mercatizia e comunicazionale estesa all‘intero pianeta. Vi deve cioè essere una soglia 73 Transmoderno. Un nuovo paradigma oltre la quale l‘omogeneo avanza e il negativo rimpicciolisce a tal punto da diventare insignificante o, quantomeno, residuale. Analiticamente, la condizione umana sarebbe sempre descrivibile in termini di negativo, di trasformazione, di umanizzazione, di conquista della coscienza e dell‘autocoscienza, di storia, ecc., ma la percezione media dell‘uomo sarebbe tale da non poter più distinguere il salto, divenuto troppo piccolo. Dunque è vero, il movimento dello spirito è giunto a compimento, siamo nella felicità; tale compimento si è realizzato proprio nello smascheramento dell‘ultima menzogna: la funzione liberatrice dell‘ideologia e della filosofia (postmoderno), che però è anche la rivelazione dell‘ultima realtà: l‘animale transmoderno, libero e felice. Il Progetto moderno, effettivamente cade per soddisfazione, ma la tradizione del pensiero moderno (e ovviamente anche medievale ed antico) è ricolma di tesori che possono essere utilizzati per pensare localmente e transitoriamente certe concrezioni dell‘esperienza. In altre parole: come Kojève coglie nella ripetizione inflessa dell‘immane corpus della tradizione il carattere proprio del post-storico, così Rodriguez Magda, nel libero aggirarsi degli animali transmoderni nelle gallerie della ragione ‗classica‘, alla ricerca di modelli da utilizzare in contesti circoscritti, coglie il carattere proprio del transmoderno. La lettura kojeviana della Fenomenologia dello spirito può essere intesa come un‘interpretazione quasitermodinamica di Hegel. È a partire dal concetto statistico o informazionale di entropia che l‘intero sviluppo dello spirito è interpretato: un sistema isolato, lasciato evolvere 74 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 senza alcuna interferenza, trova la sua condizione di equilibrio in corrispondenza dello stato più probabile, che è anche quello di maggior entropia o, che è lo stesso, di minore informazione, ed è interpretato come il realizzarsi di una catastrofe asimoviana del primo tipo, cioè come il raggiungimento di uno stadio di equilibrio metastabile, come cancellazione o minimizzazione di ogni differenza di potenziale, di ogni salto, e come massimizzazione dell‘equilibrio globale. Qui entra in gioco Bataille, a livello di quel minimo che, matematicamente, non è mai uno zero assoluto. Ora, se esiste qualcosa di residuo, un rimasuglio, per quanto piccolo, di energia, esso non potrà che insistere su se stesso, invorticarsi intorno alla proprio insorgere. Tale residuo è dunque un processo di spegnimento. E tuttavia, per quanto vi sia rilascio, cioè spegnimento, azzeramento, esso è azione, proprio nel senso hegeliano, ma per dirla tutta, ―senza impiego‖, ―inoperoso‖: se rilucere è il senso dell‘esistenza umana, questo rilucere è l‘azione dell‘autoannullamento, dell‘autoannichilimento: «La vita degli uomini — scrive Bataille — è come lo sfavillio delle stelle: essenzialmente non ha altro fine che questo sfavillio, è la sua gloria a costituire il senso ultimo».23 L‘esistenza di un residuo di negatività nel contesto transmoderno, che lo stesso Bataille riscontra più come semplice dato che non come necessità o struttura di sistema, pone il problema del suo abbattimento. 23 G. Bataille, Il limite dell‘utile (frammenti), a cura di F. Ciro Papparo, Adelphi, Milano 2000, p. 49. 75 Transmoderno. Un nuovo paradigma Descrivendo tale negativo come accumulo residuo di energia trasformatrice in un contesto metastabile, è chiaro che esso dovrà in qualche modo scaricarsi, annientarsi. 3. Felicità animale e dominante economica E infatti, transmoderno non vuol dire che non c‘è più scontro, conflitto pulsionale, ma che non c‘è più autentica trasformazione. Lo scontro è risolto in un caleidoscopio di mosse nel gioco governare/non-lasciarsi-governare che è la vera forma delle relazione politica nell‘età transmoderna. Localmente si creano degli squilibri potenziali, ma il sistema è sufficientemente entropico per ricondurre, senza modificazioni generali, le locali differenze, prodottesi a causa del gioco governamentale, alla scarica, e così, di nuovo, alla felicità silenziosa, al brusio pieno di cultura del sistema omogeneo chiuso, finito, finito e illimitato, illimitato per ripetizione variata, per interpretazione interminabile, come nell‘eterna riproposizione delle opere della grande tradizione musicale classica. Nel contesto transmoderno, da un lato il potere prende la forma della gouvenementalité [governmentality] — è chiaro che qui prendo a prestito un elemento dell‘analisi foucaultiana, mi spingo anzi fino a parlare di una pastorale che si fa carico della felicità animale ‗media‘: la gouvenementalité è essenzialmente un‘attività di tipo amministrativo, il potere di somministrare la felicità animale come condizione di massimo equilibrio. Foucault è raccordato con Kojève. Dall‘altro, questo modo di 76 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 intendere il potere dà luogo alla chiusura della rappresentazione teologica del politico e quindi della sovranità nel senso di Schmitt. Si passa cioè dal potere come sovranità (potere giuridico e, quindi, da un politica a rivendicazione essenzialmente giuridica: diritti, ecc.), al potere come amministrazione della felicità animale, biologica: Kojève assorbe Foucault che assorbe Schmitt. La chiusura della rappresentazione teologica del potere — sono Schmitt e Foucault a rilevare tale chiusura — è dovuta essenzialmente all‘imporsi del paradigma (o forma) economico/a. Una tesi di Foucault oggi molto frequentata è che con l‘affermarsi del liberalismo postbellico l‘economia si sarebbe imposta in modo onnipervasivo. C‘è uno stupendo piccolo libro di Robert Louis Stevenson, The Amateur Emigrant, la cui genesi è un viaggio da Glasgow a New York compiuto nell‘anno 1879 dal grande scrittore, che dimostra che l‘imporsi dell‘economia come categoria dominante è molto più antica. I personaggi di questi libro non sono di fantasia, ma reali emigranti spinti a cercare fortuna nel Nuovo mondo. Stevenson li descrive come individui dagli occhi bendati da un materialismo basso, che non vedono altro al mondo che soldi e macchine a vapore, che credono nella produzione («quell‘inutile finzione dell‘economia») come se fosse l‘unica realtà. La produzione è il loro dio, la loro guida… Avevano da ridire persino sul fatto che la letteratura fosse troppo pagata, più pagata del lavoro, degli operai. Avevano un profondo terrore per l‘inesorabile Nemesi dell‘economia, tanto che non riuscivano a vedere altre vie d‘uscita se non quella di un totale e improvviso 77 Transmoderno. Un nuovo paradigma sovvertimento politico. Non volevano sentir parlare, per parte loro, di migliorare, volevano che il mondo fosse rimesso a nuovo d‘incanto, per mezzo di una rivoluzione, per rendere la loro posizione economica — l‘unica ad avere per loro un senso, l‘unica vera — accettabile. Insomma, quanto a introiezione di un modello, qui ce n‘è d‘avanzo. Per non lasciare tutto nelle mani di Stevenson, e prima di concludere con Foucault, voglio citare ancora un paio di autori importanti, che hanno argomentato intorno al passaggio all‘economia come se si trattasse dell‘assurzione al dominio di una data forma; questi autori sono Werner Sombart e Carl Schmitt. Sombart, alle prime righe del suo Deutscher Sozialismus24, non appena inquadrato l‘argomento, ecco che assicura il lettore che la caratteristica fondamentale delle forme di vita nelle quali si sarebbe svolta la nostra esistenza negli ultimi centocinquant‘anni (siamo nel 1934), è racchiusa nell‘espressione «Era economica» e ciò significa: «che in detto periodo l‘economia e i valori economici e materiali […] reclamano e conquistano il predominio su tutti i valori, con la conseguenza che l‘economia imprime il suo stampo su tutti i campi della società e della cultura». Certo, per Sombart l‘orizzonte è ancora quello occidentale, anzi, quello europeo. Karl Löwith, nel suo saggio sul decisionismo occasionale 24 W. Sombart, Il socialismo tedesco [1934], Il Corallo, Padova 1981, p. 13. 78 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 di Schmitt, scrive che una delle tesi centrali di questo importante pensatore del diritto è che lo stato liberale del XIX secolo avrebbe determinato una radicale spoliticizzazione dello spazio pubblico europeo in forza della sua pronunciata opzione in favore dell‘economia e 25 della tecnica. Ho sott‘occhio una serie di passi dal Begriff des Politischen (testo del 1932). Qui Schmitt afferma che se nel passato preromantico tutti riconoscono un‘era teologica, una metafisica e una moral-umanitaria, alla fine ve n‘è senz‘altro una economica26 e che in ciascuna di esse è possibile rinvenire le sfere spirituali in cui ha centro la civiltà: Dio, la libertà, il progresso, le concezioni antropologiche, ciò che è pubblico e razionale, il concetto di natura e di cultura, e soprattutto lo Stato, tutto deriva il suo contenuto storico concreto dalla posizione del centro di riferimento e può essere compreso solo partendo di là, e questo centro è, nell‘Ottocento, l‘economia.27 Analizzando la situazione del dopoguerra in America e in Germania, Foucault mostra come il mercato sia diventato l‘unico vero meccanismo in grado di produrre senso e di 25 K. Löwith, «Il decisionsimo occasionale di Carl Schmitt», in Marx, Weber, Schmitt, trad. di A. M. Pozzan, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 126. Nel Begriff des Politischen, Schmitt, nel tracciare l‘avvicendarsi delle sfere spirituali nelle quali lo spirito europeo trova di volta in volta il centro della propria espressione umana, dice sì, anche, che in stretta unione con l‘economia appare l‘elemento tecnico, ma dice anche che «Il sistema in quanto tale è economico» (C. Schmitt, Le categorie del ‗politico‘, Parte II, § 3, a cura di G. F. Miglio, Il Mulino, Bologna 1972, p. 171). 26 Cfr. C. Schmitt, Le categorie del ‗politico‘, Parte II, §3, cit., pp. 16869. 27 Cfr. Ivi. pp. 168-174. 79 Transmoderno. Un nuovo paradigma garantire la verità (come Schmitt aveva visto nel Romanticismo una parentesi estetica tra moralismo settecentesco ed economismo ottocentesco, qui Schmitt appare come una sorta di piccola imene giuridicodecisionista all‘interno in un più vasto movimento dominato dall‘economia). Lo stesso potere avrebbe luogo solo come estrinsecazione di logiche e direttrici economiche. Il calcolo costi/benefici diventa il criterio di validazione e di veridizione preponderante nella relazione politica; discorso economico e discorso giuridico tendono a legittimarsi l‘un l‘altro: il diritto viene utilizzato per regolamentare il mercato (Stati Uniti) e l‘economico diventa il criterio tout-court di legittimazione del politico e del giuridico (Germania). In questo contesto il soggetto politico tende a coincidere con il soggetto economico, l‘individuo a riconoscersi e a identificarsi con l‘ordine economico, la popolazione a configurarsi come semplice risultato di processi di costituzione organizzati secondo criteri economici e il ―governo degli uomini‖ come esercizio del potere sulla base di presupposti che hanno il proprio criterio di legittimità sempre e solo nell‘economia.28 Personalmente ritengo che sia in atto un processo di ―desintetizzazione‖, di divorzio (divortium) e allontanamento reciproco di quegli elementi la cui collaborazione civilitaria — la cui sintesi — ha determinato, nel tempo, l‘aspetto di quella forma cui diamo il nome di 28 M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979); trad. di M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005. 80 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Civiltà o, semplicemente, di ―Occidente‖.29 Tali elementi sono la Politica intesa come risposta al problema della componibilità sociale dei differenti; la Storia, sia nel senso di ―esistenza storica‖ sia in quello di storiografia, cioè di un uso della scrittura come strumento capace di dare soluzione al problema dell‘impermanenza dell‘esperienza e la Filosofia, ossia la concettualizzazione veritativa e totalitaria delle credenze quale risposta al problema dell‘incertezza delle cose credute. Tale processo di divorzio, certamente indice di una crisi dissolutiva, non implica una scomparsa della Storia, della Filosofia o della Politica in senso stretto. Ciò che invece viene senz‘altro meno è la loro collaborazione, il loro concorso. La desintetizzazione implica cioè lo scioglimento di quell‘intreccio, di quel concorso, di quell‘accordo civilitario detto Occidente, nel senso che nel momento in cui le forme politiche, storiche e concettuali cominciano di fatto a decadere dal loro legame sintetico, questo intreccio prende un altro orientamento. Lo dico un po‘ sbrigativamente: il nuovo orientamento si dà ed è imposto da qualcosa come un ―passaggio all‘economia‖, dall‘avvento di quel predomino dell‘economia in vasti settori della società e della cultura di cui parlano Sombart e Schmitt, Stevenson e Foucault. Di più: tale orientamento è imposto dal fatto che a un certo grado di sviluppo del processo di desintetizzazione, l‘economia prende addirittura il posto della filosofia, portando con ciò un cambiamento radicale nell‘autocomprensione della civiltà stessa. 29 È chiaro che qui ci muoviamo fuori da un approccio etnologico alla questione della o delle civiltà. 81 Transmoderno. Un nuovo paradigma Ora, la sostituzione della filosofia con l‘economia conduce ciascuna delle tre istanze civilitarie (storia, politica, filosofia) ad un‘intima trasformazione, inoltre queste tre istanze si modificano diversamente e se la politica economicizzata si trasforma in una prassi amministrativa e governamentale, e la storia economicizzata si trasforma in uno strumento di lotta micro-politica, la filosofia finisce col frantumarsi contro il muro della propria inefficacia. Una filosofia che si piegasse ai criteri economici dell‘efficienza e dell‘efficacia cesserebbe infatti subito di essere ―filosofia‖ per trasformarsi in marxismo o, ancor meglio, in marxismo-leninismo, ossia in una prassi teorica avente per obiettivo quello di chiudere la storia e la politica stessa, e lo stato, e di instaurare il regime puro e semplice del governo e dell‘amministrazione, ovvero il puro regime economico (la famosa cuoca di Lenin resa celebre da Majakovskij), con il che ci si ritroverebbe esattamente al punto in cui siamo. Quindi la filosofia, che pure ha tentato di risolversi in marxismo-leninismo, ora si sottrae, diciamo così, necessariamente, a tale riduzione, ma, così facendo, anche si confina in un‘area di totale inefficacia civilitaria. 4. Pastorale felicitaria e scaltrezza microfisica Nelle società transmoderne la politica diviene rapporto governamentale: di qua un laccio per catturare, di là uno stratagemma per sottrarsi alla cattura; di qua lo sforzo pastorale di che intende governare assumendosi il compito della felicità animale dei governati, di là lo sforzo 82 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 anarchico dei governati di non lasciarsi governare, non a quel determinato prezzo almeno, non così. Governo e sottrazione sembrano essere la forma della relazione politica nell‘epoca transmoderna. Se nel transmoderno il potere è la capacità di mettere in atto delle necessarie strategie di gouvenementalité, il tentativo di limitarne l‘azione può essere pensato come ―critica‖ (è ancora Foucault a fornircene l‘argomento30. Solo il rapporto tra queste due mosse, nei loro andirivieni, può restituirci un‘immagine plausibile della politica transmoderna: essa è il grado fino a cui, ora qui ora lì, in modo puntuale e transitorio, il governato riesce a sottrarsi alla pastorale felicitaria del governante. Lo stesso scontro microfisico di cui parla Foucault, può essere interpretato come il contraltare della pastorale felicitaria, dove ―micro-― starebbe a significare che non si dà più alcuna trasformazione storica globale, ma sempre e solo un riequilibrio energetico: l‘entropia deve sempre essere massima. Nel contesto transmoderno la politica, che deriva dal confronto tra pastorale felicitaria e critica microfisica, cessa di essere un correlato d‘essenza del soggetto umano (Zōon politikòn) e si trasforma in una serie di mosse (governo, cura pastorale, sottrazione, sparizione) all‘interno di quel gioco che è la gouvernementalité. È più il confronto tra una scaltrezza sottrattiva (lo scaltro genio del governato — bisogna poi tener presente che la critica è anche sempre 30 M. Foucault, Critica e illuminismo, a cura di P. Napoli, Donzelli, Roma 1997. 83 Transmoderno. Un nuovo paradigma un sabotaggio) e una strategia pastorale (l‘insuperabile intelligenza politica del governante) che non un lotta a morte per la signoria. Non è più possibile una politica nel senso di Schmitt, nel senso di quel formare e di quell‘ordinare che riassumono la pluralità naturale (culturale, economica, biologica) sotto un principio unitario formante. Sicché rispetto all‘economico il problema non è quello di governarne i flussi, di dare forma alle forze (naturali, oggettive) dell‘economico, ma di come stare nella corrente, come ―navigare‖. È la metafora internetiana, che io, con un piccolo divertissement lessicale, chiamo ―web-eriana‖, quella che meglio descrive la posizione dell‘uomo nell‘universo economico globale. Oggi assistiamo a sforzi per far rinascere un‘etica, una politica, persino una filosofia della storia che — si dice — non siano la solita litania storicista del tramonto dell‘Occidente, del nichilismo come destino e del dominio della tecnica... Quella roba — si dice — ha una grave responsabilità nella crisi morale contemporanea. Bene, se posso tentare un‘osservazione direi che, il transmoderno sembra piuttosto costituire uno strumento per comprendere proprio ciò che gli si vorrebbe attribuire come iattura: lo stato universale omogeneo, l‘assenza di un orientamento ascendente e progressivo della storia, la presenza di ripetizioni, di alti e bassi… Si vorrebbe superare quella riduzione della verità in pittura che di norma viene attribuita al postmoderno, si vorrebbero riaffermare i diritti dell‘etica, della politica e della filosofia, ma senza impegnarsi troppo nella durezza da esse dispiegata nel 84 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 passato. Vogliamo sì essere storici, ma senza tragedia, etici ma senza roghi e punizioni esemplari, liberi ma non così radicalmente esposti alla responsabilità. La protesta di oggi non è che un tipico effetto transmoderno. Non essendoci più alcuna possibilità di trasformare il dato, o di rivolgere il proprio desiderio su un altro desiderio, gli animali transmoderni finiscono per rivolgere il residuo potenziale negativo che ancora li anima, e che non trova più reale impiego, contro se stessi. La protesta di oggi è infatti priva di progettualità, non c‘è in essa alcun disegno di trasformazione che non sia una mera decostruzione (cosa non si deve a Derrida!), una mera deregolazione (cosa non dobbiamo a Von Mises o Von Heyek!) o una mera decrescita: il disegno di mantenersi nell‘esistenza nell‘epoca dell‘assenza di ogni disegno. Non a caso il movimento globale contro la crisi esprime solo una sorta di indignazione. Se pensavate che la realtà di questo movimento fosse una confutazione del postmoderno e della sua polverizzazione storica, vi sbagliavate, esso è un argomento a favore del transmoderno. L‘indignazione è infatti, anzitutto, un sentimento e non il contenuto di una rivendicazione (ridistribuzione, abrogazione, potere,...). Manifestare un‘indignazione significa anzitutto rendere manifesto un sentimento, un particolare stato emotivo. Gli indignati dicono: ci troviamo in questo stato emotivo a causa della vostra pastorale, la quale non è all‘altezza della presente 85 Transmoderno. Un nuovo paradigma situazione. Voi politici non siete perciò degni di esercitare la funzione amministrativa. E perché non ne sarebbero degni? È facile intuirlo: perché la loro amministrazione non consente un rapido inserimento delle popolazioni nello stato di felicità post-negativo, nello stato in cui nessuna negatività ha più luogo, tranne forse quelle forme residuali che si esprimono nell‘arte, nella mistica, nell‘eccesso, nel crimine e, da ultimo, nell‘autolesionismo. La manifestazione dell‘indignazione è un argomento a favore del transmoderno perché mediante la violenza di piazza e con la dialettica ―violenza-non violenza‖ che viene svolgendo, essa opera un‘auto-distruzione o almeno la trasformazione di se stessa (e da se tessa) in degnazione. Dopo l‘accumulo viene l‘abreazione, che riporta il sistema allo stato di equilibrio. Proprio grazie alla violenza il movimento emotivo dell‘indignazione (che le è pertanto necessaria) dissipa il residuo potenziale negativo trasformandolo in energia a più basso contenuto di informazione: la degnazione felicitaria transmoderna. In più, gli indignati, con il loro moralismo ripescato qui e là dalla galleria dei Padri del pensiero razionale-nazionale, negano infatti se stessi come indignati e si restituiscono alla comunità come guardiani dell‘ortodossia eticosentimentale dello stato transmoderno, felice con sé e per sé. Si coricano Hyde, dopo averne assaporato l‘agitazione, e si risvegliano invariabilmente Jekyll: dopo l‘eccitazione emotiva, dopo la partecipazione a manifestazioni, dopo le performance sul palco, ecco il ripristino dello stato di equilibrio metastabile, gesto automatico — in fondo si tratta solo di professori! 86 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Estetizzazione della verità nella post-storia* di Jacob Taubes Se la filosofia della storia è il luogo in cui giungono a compimento decisioni, divisioni e differenze intorno all‘essenza della verità, ecco che porre oggi la filosofia sotto il segno dell‘«estetizzazione della verità nella poststoria» possiede effettivamente un significato e costituisce una reale chance di determinare il luogo del presente. Il termine ―post-storia‖ si presenta attualmente in diverse accezioni, diversamente accentate e valutate, che non sono solo antitetiche; esso rimanda però sempre a un processo basilare che circoscritto alla storia della filosofia come storia delle manifestazioni della verità si può riassumere nella tesi secondo la quale la filosofia come storia — dagli ionici a Jena — delle riposte (e delle decisioni in esse contenute) alla domanda «che cos‘è la verità?», è conclusa. In suo luogo la riflessione filosofica è dominata da un‘«estetizzazione della verità», circostanza che in un certo senso corrisponde all‘idea di ―post-storia‖. Questo termine, che dalla fine della seconda guerra mondiale è divenuto di uso corrente in tedesco, in francese, e ora anche in americano, è in questo modo l‘indice dello ―spirito dei tempi‖, e si rifà a quella localizzazione del presente che Alexandre Kojève tentò dal 1933 al 1939 come esegesi della Fenomenologia dello 87 Transmoderno. Un nuovo paradigma Spirito. orizzonte della sua audace interpretazione era la convinzione «che può essere che il futuro del mondo e con ciò il senso del presente e il significato del passato alla fine dipenda dall‘attuale interpretazione degli scritti di Hegel» (A. Kojève, Kommentar zur Phänomenologie des Geistes, p. 271)31. Come oggi è risaputo, quasi tutti quelli che hanno seguito più tardi la questione della fine della storia hanno approfittato dell‘esegesi di Hegel operata da Kojève, taluni hanno persino preso personalmente parte ai relativi seminari. La scelta tedesca dei frammenti della esegesi di Kojève, che Raymond Queneau ha operato, soffre tra l‘altro del fatto che le due «note a piè di pagina» di Kojève non sono state inserite nell‘edizione tedesca del suo lavoro. Si tratta del contenuto più proprio del lavoro di Kojève, e precisamente di una nota alla prima edizione, relativa la problema della «fine della storia», a cui nella seconda edizione francese si riallaccia un corollario (come nota alla nota della prima edizione) e che costituisce l‘unico ampliamento al testo della prima edizione. Sorge così l‘impressione (sicuramente intenzionale) che anche l‘interpretazione di Hegel di Kojève sia una di quelle interpretazioni infinitamente sottili, ma ―perbene‖, che determinano il mercato accademico, mentre in verità, Alexandre Kojève espone la più acuta — anche se più avventurosa — determinazione del luogo del presente nella veste di un‘esegesi di Hegel. In ragione della loro 31 A. Kojève, Hegel. Eine Vergegenwartigung seines Denkens. Kommentar zur Phänomenologie des Geistes; mit einem Anhang, Hegel, Marx und das Christentum, Frankfurt am Main, Suhrkamp 1975. Si tratta della traduzione tedesca dell‘Introduction à la lecture de Hegel. Leçons sur la Phénomenologie de L‘Esprit professees de 1933 a 1939 a l‘École des Hautes Études; réunies et publiées par Raimond Queneau, Paris, Gallimard 1947 (Trad. it. Adelphi, Milano 1996). [Ndc] 88 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 importanza riportiamo qui di seguito proprio le due menzionate note. Nota a piè di pagina della prima edizione: La scomparsa dell‘Uomo alla fine della Storia non è dunque una catastrofe cosmica: il mondo naturale resta quello che è da tutta l‘eternità. E non è nemmeno una catastrofe biologica: l‘Uomo resta in vita come animale che è in accordo con la Natura e con l‘Essere-dato. Ciò che scompare è l‘Uomo propriamente detto, cioè l‘Azione negatrice del dato e l‘Errore, o in generale il Soggetto opposto all‘Oggetto. Infatti, la fine del tempo umano o della Storia, cioè l‘annientamento definitivo dell‘Uomo propriamente detto o dell‘individuo ibero e storico, significa molto semplicemente la cessazione dell‘Azione nel senso forte del termine. Il che praticamente vuol dire: la scomparsa delle guerre e delle rivoluzioni cruente. E anche la scomparsa della filosofia; infatti, l‘Uomo, non cambiando più se stesso in maniera essenziale, non ha più ragione di cambiare i principi (veri) che stanno alla base della sua conoscenza del Mondo e di sé. Tutto il resto può mantenersi indefinitamente: l‘arte, l‘amore, il gioco, ecc.; insomma tutto ciò che rende l‘uomo felice. — Ricordiamo che questo tema hegeliano, tra molti altri, è stato ripreso da Marx, «Regno della necessità» (Reich der Notwendigkeit); al di là (jenseits) c‘è il «Regno della libertà» (Reich der Freiheit), in cui gli uomini (riconoscendosi reciprocamente senza riserve), non lottano più e lavorano il meno possibile (dato che la Natura è stata definitivamente domata, cioè armonizzata con l‘Uomo). (cfr. Il Capitale, libro terzo, capitolo XLVIII, fine 32 del secondo capoverso del par. 3). Aggiunta alla seconda edizione: 32 Nell‘edizione italiana la Nota si trova a p. 541. Le due lunghe citazioni da Kojève sono tradotte dal tedesco da Alberta Battisti. [Ndc] 89 Transmoderno. Un nuovo paradigma Il testo di questa Nota è ambiguo, per non dire contraddittorio. Se si ammette «la scomparsa dell‘Uomo alla fine della Storia», se si afferma che «l‘Uomo resta in vita in quanto animale», precisando che «ciò che scompare, è l‘Uomo propriamente detto», non si può dire che tutto il resto può mantenersi indefinitamente: l‘arte, l‘amore, il gioco, ecc.». se l‘Uomo ri-diventa animale, anche le sue arti, i suoi amori e i suoi giochi devono ri-diventare puramente ―naturali‖. Bisognerebbe dunque ammettere che, dopo la fine della Storia, gli uomini costruiranno i loro edifici e le loro opere d‘arte come gli uccelli costruiscono i propri nidi e i ragni tessono le proprie tele, eseguiranno concerti musicali alla maniera delle rane e delle cicale, giocheranno come giocano i giovani animali e si daranno all‘amore come fanno le bestie adulte. Ma allora non si può dire che tutto questo «rende l‘Uomo felice». Bisognerebbe dire che gli animali post-storici della specie Homo sapiens (che vivranno nell‘abbondanza e in piena sicurezza) saranno contenti in funzione del loro comportamento artistico, erotico e ludico, visto che, per definizione, essi se ne accontenteranno. Ma c‘è di più. «L‘annientamento definitivo dell‘Uomo propriamente detto» significa anche la scomparsa del Discorso (Logos) umano in senso proprio. Gli animali della specie Homo sapiens reagirebbero con riflessi condizionati a segnali acustici o mimici e così i loro cosiddetti ―discorsi‖ sarebbero simili al presunto ―linguaggio‖ delle api. Ciò che allora scomparirebbe non sarebbe soltanto la Filosofia e la ricerca della Saggezza discorsiva, ma anche questa stessa Saggezza. Infatti non si avrebbe più, iin questi animali post-storici, ―conoscenza [discorsiva] del Mondo e di sé‖. All‘epoca in cui redassi la Nota precedente (1946), il ritorno dell‘Uomo all‘animalità non mi sembrava impensabile come prospettiva futura (del resto, più o meno prossima). Ma, poco dopo (1948), ho compreso che la fine hegelo-marxista della Storia, lungi dall‘essere ancora di là da venire, era già un presente. Osservando ciò che succedeva intorno a me e riflettendo su quanto successe nel mondo dopo la battaglia di 90 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Jena, ho compreso che Hegel aveva ragione a considerarla la fine della Storia propriamente detta. In e con quella battaglia, l‘avanguardia dell‘umanità ha virtualmente raggiunto il termine e lo scopo, cioè la fine dell‘evoluzione storica dell‘Uomo. Ciò che si è prodotto dopo non è stato che un‘estensione nello spazio della potenza rivoluzionaria universale attualizzata in Francia da Robespierre-Napoleone. Dal punto di vista autenticamente storico, le due guerre mondiali, col loro seguito di piccole e grandi rivoluzioni, hanno avuto solo l‘effetto di allineare, sulle posizioni storiche europee (reali o virtuali) più avanzate, le civiltà arretrate delle province periferiche. Se la sovietizzazione della Russia e la comunistizzazione della Cina sono più e latro che la democratizzazione della Germania imperiale (tramite l‘hitlerismo) o l‘accesso al Togo dell‘indipendenza, o addirittura l‘autodeterminazione dei Papuani, è unicamente perché l‘attualizzazione cino-sovietica del bonapartismo robespierriano costringe l‘Europa post-napoleonica ad accelerare l‘eliminazione dei numerosi postumi, più o meno anacronistici, del suo passato pre-rivoluzionario. Comunque, fin d‘ora, questo processo di eliminazione è più avanzato nei prolungamenti nord-americani dell‘Europa che non nell‘Europa stessa. Si può anzi dire, da un certo punto di vista, che gli Stati Uniti hanno già raggiunto lo stadio finale del ―comunismo‖ marxista, visto che, praticamente, tutti i membri di una «società senza classi» possono appropriarsi fin d‘ora di tutto ciò che desiderano, senza per questo lavorare più di quanto gli piace. Ora, in parecchi viaggi comprativi (tra il 1948 e il 1959) negli Stati Uniti e nell‘U.R.S.S. mi sono formato l‘opinione che, se gli Americani fanno la figura di cino-sovietici arricchiti, è perché i Russi e i Cinesi non sono che degli Americani ancora poveri, anche se in via di rapido arricchimento. Sono stato indotto a concludere che l‘American way of life era il genere di vita proprio del periodo post-storico, dal momento che l‘attuale presenza degli Stati Uniti nel Mondo prefigura il futuro «eterno presente» dell‘umanità intera. Così l ritorno dell‘Uomo all‘animalità appariva non più come una 91 Transmoderno. Un nuovo paradigma possibilità ancora di là da venire, bensì come una certezza del presente. In seguito a un recente viaggio in Giappone (1959) ho cambiato radicalmente opinione su questo punto. Là ho potuto osservare una Società unica nel suo genere, perché è la sola ad aver fatto un‘esperienza di vita lunga quasi tre secoli in epoca di «fine della Storia», cioè in assenza di ogni guerra civile o esterna (in seguito alla liquidazione del ―feudalesimo‖ ad opera del plebeo Hideyoshi e all‘isolamento artificiale del paese concepito e realizzato dal suo nobile successore Yiyeasu). Ora, l‘esistenza dei nobili giapponesi, che smisero di rischiare la vita (anche in duello) senza per questo mettersi a lavorare, fu tutt‘altro che animale. La civiltà giapponese ―post-storica‖ ha imboccato vie diametralmente opposte alla «via americana». Senza dubbio, in Giappone non c‘è più stata Religione, Morale e Politica nel senso ―europeo‖ o ―storico‖ di questi termini. Ma lo snobismo allo stato puro vi creò discipline negatrici del fato ―naturale‖ o ―animale‖ che superarono per efficacia, di gran lunga quelle che, in Giappone o altrove, nascevano dall‘Azione ―storica‖, cioè dalle lotte di guerra e rivoluzione o dal Lavoro forzato. Certo, i vertici (in nessun luogo eguagliati) dello snobismo specificamente giapponese, che sono il Teatro Nô, la cerimonia del tè e l‘arte delle composizioni floreali, furono e restano ancora appannaggio esclusivo delle perone nobili e ricche. Ma, a dispetto delle persistenti ineguaglianze economiche e sociali, tutti i Giapponesi, senza eccezione, sono attualmente in gradi di vivere in funzione di valori totalmente formalizzati, cioè completamente privi di qualsiasi contenuto ―umano‖, nel senso di ―storico‖. Così, al limite, ogni Giapponese è, in linea di principio e per puro snobismo, capace di mettere in atto un suicidio perfettamente ―gratuiti‖ (potendo la classica spada del samurai essere sostituita da un aereo e da un siluro), che non ha niente a che vedere con il rischio della vita in una lotta condotta in funzione dei valori ―storici‖ dal 92 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 contenuto sociale o politico. Ciò sembra autorizzare a credere che l‘interazione recentemente avviata in Giappone e il Mondo occidentale sfocerà, in fin dei conti, non in nuovo imbarbarimento dei Giapponesi, bensì in una ―giapponesizzazione‖ degli Occidentali (Russi compresi). Ora, visto che nessun animale può essere snob, ogni periodo post-storico ―giapponesizzato‖ sarebbe specificamente umano. Non ci sarebbe dunque un «annientamento definitivo dell‘Uomo propriamente detto» fintanto che ci saranno animali della specie Homo sapiens che possono fare da supporto ―naturale‖ a ciò che vi è di umano negli uomini. Ma, come dicevo sopra, nella Nota, un «animale che è in accordo con la Natura o con l‘essere dato» è un essere vivente che non ha niente di umano. Per rimanere umano, l‘Uomo deve rimanere un «Soggetto opposto all‘Oggetto», anche se scomparissero «l‘Azione negatrice del dato e l‘Errore». Ciò significa che, pur parlando ormai in maniera adeguata di tutto quanto gli è dato, l‘Uomo post-storico deve continuare a staccare le ―forme‖ dai loro ―contenuti‖, facendolo non più per tras-formare attivamente questi ultimi, bensì allo scopo di opporre se stesso, come ―forma pura‖, a sé e agli altri, considerati come ―contenuti‖ qualsiasi. (A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel) 33 Il tema della post-storia ha con questo il suo filo conduttore. Che l‘Uomo scompaia alla fine della storia (―l‘Uomo‖ caratterizzato hegelianamente da Azione e Negatività), si mostra nello scemare di guerre e sanguinose rivoluzioni. Non v‘è nemmeno più bisogni di filosofia, non appena l‘uomo cessi di mutare nella sua essenza. Stabile però e infinitamente duraturo rimane ciò che rende ―felice‖ l‘uomo. Arte, amore, gioco, ecc.. la fine della storia, di cui Hegel nell‘interpretazione di Kojève parla come cifra, svela il suo sguardo meduseo nella prospettiva 33 Nell‘edizione italiana questa parte della Nota occupa le pp. 541-544. [Ndc] 93 Transmoderno. Un nuovo paradigma di Nietzsche dell‘«ultimo Uomo», che ha trovato la felicità. Hegel e Nietzsche, sotto questo profilo, appartengono entrambi alla post-storia. Kojève, nella prima edizione (1948), muove dal fatto che è stata raggiunta la fine della storia hegeliano-marxista. La battaglia di Jena conclude — come si ricava dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel — lo sviluppo filosofico e storico. Ciò che era da pensare è stato pensato, ciò che ora viene, accade senza storia: la universalizzazione e stabilizzazione del potenziale rivoluzionario dopo Napoleone. L‘eterno presente dello stile americano è congruente con la fase finale del comunismo: l‘uomo è ritornato con ciò all‘animalità. È solo questione di tempo la completa americanizzazione del mondo, così che il presente stato delle cose diventi ubiquitario. Kojève modifica il suo concetto di post-storia (1955) in seguito a un viaggio di Giappone, che gli mostra un‘altra via alla post-storia: lì la nobiltà rinuncia la rischio della vita e al lavoro, senza tuttavia divenire animalesca. Essa coltiva il suo puro snobismo. Invece di rischiare la vita nella lotta, l‘hanno elevata a cerimoniale, cosicché ciascuno nella propria posizione «è in grado di vivere secondo valori totalmente formalizzati, cioè completamente privi di qualsiasi contenuto umano, cioè ―storico‖». Così si dà per Kojève una possibilità dell‘esistenza nella post-storia esattamente opposta allo stile americano: invece della rianimalizzazione, un‘apoteosi conclusiva dell‘ultima forma storica, senza contenuto, un‘affermazione dell‘apparenza rimasta della storia e della verità senza sensi di colpa, un‘estetizzazione senza riguardi. Per quanto riguarda la potenza dell‘apparire, la catena dello sviluppo europeo non è meno avventurosa. Dal XVIII secolo l‘―estetica‖ ha preso posto nel canone della filosofia. Cosa è accaduto? Odo Marquard ha legato la 94 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Critica del Giudizio di Kant alla svolta on direzione dell‘estetica. La scienza, nel senso delle scienze della natura, dischiude il mondo come regno dei mezzi e lo manca come intero. E anche la ragione morale si mostra nel suo formalismo come impotente, cioè senza potenza di realizzazione. Così Kant — «alla ricerca di una ragione salvatrice e potente» (O. Marquard, Kant und die Wende zur Ästhetik, in ―Zeitschrift für philosophische Forschung‖, n. 16, 1962) — si rivolge all‘estetica. In essa una sensibilità razionale ha lo scopo di rendere accessibile una natura razionale oltre l‘esattezza scientifica. Certo anche nell‘estetica non è questione di una potenza di realizzazione degli scopi della ragione, ma della potenza della simbolizzazione. Del Bello come simbolo della moralità riferisce il § 59 della Critica del Giudizio. Il Giudizio, dice Kant, è una ―facoltà‖ «con cui cogliamo la Natura»: il libero gioco dell‘immaginazione investe la Natura di finalità (§ 58). Così le superiori facoltà conoscitive, libertà (immaginazione) e legalità (intelletto) concordano; il giusto guarda in direzione di un intelligibile. L‘essere buono non viene (esteticamente) realizzato, ma simbolizzato. Così Kant, se ancora non compie la sostituzione romantica della storia e della filosofia attraverso l‘estetica, la rende però possibile. «Il Bello come simbolo della morale è uno stimolante della realizzazione o un sedativo somministrato in conseguenza della sua inutilità» (Marquard, Op. cit., p. 370). La funzione della sintesi estetica elaborata nella Critica del Giudizio è indispensabile per il processo di estetizzazione della verità, che sfocia nella post-storia. La concezione del mondo come immagine [Welt als Bild], analizzata da Heidegger nell‘omonimo saggio, funge da condizione di possibilità della presente congiuntura dell‘estetica. 95 Transmoderno. Un nuovo paradigma Non è qui in questione — come si potrebbe pensare — un‘immagine del mondo (nel senso di un modello ecc.) ma il fatto che il mondo viene presentato come immagine e viene riferito a un soggetto che è sostrato. (Su questo ci diffonderemo in seguito). Il nichilismo è per così dire l‘immagine rovesciata dell‘estetizzazione della verità. È lo scavare e svuotare l‘accadere storico: accade infinitamente molto, ma ciò che accade non accade veramente, o tutto accade solo ancora «come se». La storia ottiene questo carisma del «come se» interamente nella post-storia. La post-storia sta dunque per principio, come mondo dei puri problemi di forma, nel segno dell‘estetica. Con la frase che il mondo sarebbe giustificato solo come fenomeno estetico Nietzsche segna il punto zero della teodicea. Il suo concetto affermativo dell‘apparenza è fondamentale per l‘estetica della post-storia, e noi vorremmo determinare la differenza rispetto a Hegel. Hegel determina il bello artistico come presenza della «spiritualità e libertà»; esso prende parte al vero, cioè all‘altezza dello Spirito. Tuttavia al contrario della gravità degli interessi sostanziali, l‘arte è l‘alleggerimento [Remission] dello Spirito. «Il Bello ha la sua vita nell‘apparenza». Ben distinta dalla serietà della vita la ibera arte bella ha è per così dire un modo di esprimere il divino, e di conseguenza l‘apparenza dell‘arte non è ciò che non deve essere. Contemporaneamente la «vera verità» è oltre l‘empirico che è perciò considerato come «semplice apparenza». L‘arte toglie infatti l‘illusoria apparenza del transitorio dal vero e gli conferisce una «innata verità». L‘arte distrugge l‘inganno dell‘empiria, la sua instabile apparenza (Hegel parla della dura scorza del mondo comune). L‘apparenza dell‘arte è più spirituale: essa stessa si dà come ingannevole, in quanto essa «…attraverso di sé accenna uno spirito». In Nietzsche e 96 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Benn, al contrario, lo Spirito non è che costruzione dell‘apparenza. È noto che per Hegel il fatto dell‘estetica è testimonianza della morte dell‘arte. L‘assoluto della verità cristiana non è più esteticamente rappresentabile: così per la riflessione moderna esiste solo una possibile «vera dimostrazione» dell‘arte: l‘estetica. Essa è estetica spirituale nel semplice senso che gli «interessi spirituali» «stabiliscono determinati punti fermi» per il contenuto dell‘arte (Estetica, Introduzione I): proprio quelli che mancano nell‘artisticità della post-storia, perché nel «mondo dell‘espressione» non ci sono «punti fermi». Ben diversamente stanno le cose in Nietzsche. L‘apparenza, che fonda ogni conoscenza e che il fenomeno dell‘onestà scientifica disvela fino alla nausea, è contemporaneamente il puro medium dell‘estetico ed è con ciò fonte di piacere. La vita è sopportabile solo se poeticizzata; la volontà di apparire fa dell‘esistenza un fenomeno estetico, essa colloca infatti l‘ente in una distanza estetica dall‘esistere. Olimpo dell‘apparenza è l‘artisticità assoluta, la pura e anti ideologica tecnica estetica, l‘arte della parola di un Flaubert. Quest‘arte della post-storia è tattile. Essa percepisce semplici qualità della superficie. La pura apparenza è l‘ultima trascendenza. La sostanza si esaurisce nel cangiare della pura espressione, nello scintillare delle irregolarità. Artisticità significa in Nietzsche che l‘arte ha se stessa per contenuto. Essa scandaglia la profondità della superficie: il raffinato, la sfumatura, il mondo espressivo (di contro a interiorità, morale). Il mondo nascosto del soprasensibile viene superato dalla volontà di apparire, la quale ha più valore che non la verità. Apparenza è il nome delle cose irrobustite dalla forma a cui l‘artista presta le 97 Transmoderno. Un nuovo paradigma forze della propria esaltazione. In altre parole: il valore dell‘apparenza si fonda sulla forma, e i valori formali dell‘apparenza sono più elevati che non quelli dell‘empiria. Olimpo dell‘apparenza è la scena anticristiana dalla quale è stata allontanata la morale e sulla quale compare il Superuomo. Egli ride olimpicamente della sofferenza empirica: Nietzsche parla del «cannibalismo ideale degli dèi» (Aurora, II, § 144). L‘estetizzazione dell‘esistente: trasfigura tutto ciò nell‘immagine di un‘«esistenza trionfante» che, come «mondo artistico di mezzo», si distende sugli orrori dell‘esistenza (La nascita della tragedia, 3, «Rispecchiamento della bellezza»). Così il piacere dell‘apparenza rompe il dolore dell‘Essere. Dove l‘uomo storico parlava di verità e falsità, Nietzsche vede solo ancora «stadi dell‘apparenza», gradazioni di sfumature della superficie della vita. Unità di misura dei «gradi dell‘apparenza» sono i valori che l‘interpretazione vi riconosce (Al di là del bene e del male, § 34; La volontà di potenza, § 588). Il piacere virtuale dell‘apparire — i cui più alti valori sono superficie, pieghe, pelle, forme, suoni, sfumature, parole — liberano dall‘istinto di morte della conoscenza che cerca profondità, accuratezza, perfino sacrificio umano. Il culto artistico della superficie è la figura di una precisa reazione al timore che il pessimismo della post-storia ha ispirato. Il culto di pure forme in cui la vota perde la propria pesantezza significa perseguire una «volontà di inversione della verità» (Al di là del bene e del male, § 59). Che cosa significa ciò per una concezione critica della ―post-storia‖? Ideologema dell‘opposizione neoconservatrice, da Gehelen a Daniel Bell, questo termine si pone in concorrenza con la differenziazione marxista tra preistoria e storia e penetra più profondamente nel presente di 98 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 quanto possa a prima vista sembrare. Mentre ―moderno‖ esprime la coscienza di un‘epoca che si pone in relazione con il passato dell‘antichità, e che da questo si distacca prima in ragione del cristianesimo (con Tertulliano), poi in aestheticis con il XVII secolo (H. R. Jauss ha interpretato in modo esemplare la storia del vocabolo ―moderno‖ in nesso con la Querelle des ancien set des modernes), il concetto di ―post-storia‖ oltrepassa la distinzione anticomoderno, che concepisce invece entro l‘unità dell‘epoca ―storica‖, da cui si scosta. Tuttavia ―post-storia‖ è in un senso eminente concetto postmoderno, presuppone la Modernità. Come la storia viene presupposta, per trarre da essa conclusioni che rafforzano la sua fine, la post-storia ha il suo genuino ―luogo‖ dopo la Modernità. Il saggio di Heidegger L‘epoca dell‘immagine del mondo è a questo proposito istruttivo. La Modernità significa concepire il mondo come ―immagine‖: Col termine ―immagine‖ si intende in primo luogo la riproduzione di qualcosa. Di conseguenza, l‘immagine del mondo sarebbe, per così dire, una pittura dell‘ente nel suo insieme. Ma ―immagine del mondo‖ significa qualcosa di più. Con essa intendiamo il mondo stesso, l‘ente nella sua totalità così come ci impone nei suoi condizionamenti e nelle sue misure. ―Immagine‖ non significa qui qualcosa come imitazione, ma ciò che è implicito nell‘espressione: aver un‘idea [Bild] fissa (fissarsi) di qualcosa. Il che significa: la cosa sta così come noi la vediamo. Aver un‘idea [immagine] fissa di qualcosa significa: porre innanzi a sé l‘ente stesso così come viene a costituirsi per noi e mantenerlo costantemente così come è stato posto. Manca però ancora all‘immagine una determinazione essenziale. «Farsi un‘idea fissa di qualcosa» non significa soltanto rappresentarsi in generale l‘ente ma anche porlo innanzi a noi come sistema, cioè nell‘unità di ciò che è proprio di esso 99 Transmoderno. Un nuovo paradigma e si raccoglie in esso. L‘espressione: «aver un‘idea fissa di qualcosa» significa anche: essere al corrente, esser pronto per, orientarsi nella cosa. Quando il mondo diviene immagine, l‘ente nel suo insieme è assunto come ciò in cui l‘uomo si orienta, e quindi come ciò che egli vuol portare innanzi a sé e avere innanzi a sé; e quindi, in un senso decisivo, come ciò che vuol porre innanzi a sé [vor-stellen], rappresentarsi. Immagine del mondo, in senso essenziale, significa quindi non una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito come immagine. L‘ente nel suo insieme è perciò visto in modo tale che diviene ente soltanto in quanto è posto dall‘uomo che rappresenta e produce [her-stellen]. Il sorgere qualcosa come l‘immagine del mondo fa tutt‘uno con una decisione essenziale intorno all‘ente nel suo insieme. L‘essere dell‘ente è cercato e rintracciato nell‘esserrappresentato dell‘ente. Ma quando l‘ente non è interpretato a questo modo, il mondo non può divenire immagine e non è quindi possibile parlare di un‘immagine del mondo. Che l‘ente sia fatto consistere nel suo esser-rappresentato è cosa che dà un carattere di assoluta novità all‘epoca in cui ciò avviene. Le espressioni «immagine del mondo» e «immagine moderna del mondo» esprimono, in forme diverse, la medesima cosa, e alludono ad alcunché di impensabile nelle epoche precedenti (ad esempio, un‘―immagine del mondo‖ medievale o antica). Non è che l‘immagine del mondo da medievale che era divenga moderna; ma è il costituirsi del mondo a immagine ciò che distingue e caratterizza il Mondo Moderno. Per il Medioevo, invece, l‘ente è ens creatum, il frutto dell‘azione creatrice personale di Dio inteso come causa prima e suprema. Esser-ente significa allora: appartenere a un certo grado dell‘ordine del creato e corrispondere, come causato, alla causa creatrice (analogia entis). Ma in nessun caso l‘essere dell‘ente consiste nel fatto d‘esser posto innanzi all‘uomo come alcunché di oggettivo, di rientrare nel dominio dei suoi decreti e dei suoi 100 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 ordinamenti, sussistendo come tale. 34 Dove ciò viene a cessare, dove cioè la posizione dell‘uomo come soggetto di un mondo si dissolve, si giunge alla preponderanza dell‘apparire come parvenza [Schein]. Estetizzazione è dunque un processo che si avvia con l‘«epoca moderna» e che nella post-storia si compie nel simulacro estetico dei conflitti sociali e delle dispute filosofiche. La storia come storia del mondo e storia della verità diviene un «come se». (Traduzione di Alberta Battisti) (*) Il testo qui presentato, «Ästhetisierung der Warheit im Posthistorie», è tratto da Streitbare Philosophie. Margherita von Brentano zum 65. Geburstag, a cura di G. Althus — I. Staeuble, Metropol, Berlin 1988, pp. 41-51. 34 Per questo testo di Heidegger è stata utilizzata la traduzione di Pietro Chiodi: M. Heidegger, «L‘epoca dell‘immagine del mondo», in Sentieri interrotti, trad. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1985, pp. 68-69. [Ndc]. 101 Transmoderno. Un nuovo paradigma Von Balthasar come transmoderno Scritti recenti di estetica teologica di Dutton Kearney La trilogia interdisciplinare di Hans Urs von Batlthasar — La Gloria del Signore: un‘estetica teologica — è stato un evento spartiacque nel ventesimo secolo per le discipline di teologia, filosofia e estetica. Sicuramente potremmo menzionare altre discipline provenienti da questi studi, ma per il presente compito, queste tre sono sufficienti. I lavori di Von Balthasar si sono ora addentrati nella loro seconda fase di ricezione — la prima è stata la traduzione seguita da riassunti introduttivi — e sempre più studiosi cercano di applicare la sua cornice teoretica al compito attuale di fare teologia, filosofia o estetica. Sebbene per la terza fase — critica e correttiva — ci vorrà ancora qualche decennio prima che venga realizzata interamente si stanno tuttavia sviluppando alcune iniziative anticipatrici a tal proposito. Queste tre fasi possono servire come principi organizzativi per esaminare tre recenti lavori in estetica. In ciascuno, Von Balthasar mette bene in mostra o la componente integrale allo sviluppo di una particolare tesi, o il punto di partenza. Il background teologico dell‘arcivescovo Bruno Forte permette un acuto commento sull‘estetica, e il suo ―La porta della bellezza: per un‘estetica teologica‖ — che è in 102 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 parte introduttiva ed in parte applicativa — fonda un solido ed importante lavoro di base per un‘ulteriore riflessione. I primi sei capitoli si occupano di singoli pensatori (Agostino, l‘Aquinate, Kierkegaard, Dostoevskij, von Balthasar e Evdokimov), invece i restanti tre offrono riflessioni sulla musica, sul cinema e sulla poesia. È una solida introduzione ai differenti approcci alla bellezza da un contesto teologico e in quanto tale non discute dell‘estetica in astratto, ne' tantomeno discute dell‘estetica esclusivamente dalla prospettiva limitata di una particolare disciplina, come la filosofia e la letteratura. Sebbene ogni capitolo consti di circa dodici pagine vi è in esse, una sorprendente profondità che molti scrittori non riescono a raggiungere nemmeno nel doppio delle pagine. Eppure il testo si autolimita ad una serie di introduzioni, che rendono ragione del suo sottotitolo: infatti, si addentra all‘interno di una teologia dei vari tipi di estetica piuttosto che in una presentazione completa di uno di essi. Il proposito dichiarato di Forte è ―esaminare il profondo, sebbene non sempre ovvio, contributo del pensiero teologico alla comprensione ed all‘esperienza della bellezza‖ (tav. VIII). Per lui, la bellezza è come una sineddoche: l‘intero è comunicato attraverso la parte. Per esempio, la totalità dell‘amore di dio è comunicato attraverso la croce; l‘infinito è rivelato attraverso la finitezza. Il suo compendio non intende essere un sondaggio di teologia o di qualche estetica, piuttosto gli acuti capitoli si concentrano su specifici pensatori. Sebbene egli tragga da Von Balthasar un solo capitolo, il suo progetto di rinvigorire la relazione tra la teologia e 103 Transmoderno. Un nuovo paradigma l'estetica anima buona parte del libro di Forte. Nel suo capitolo iniziale, quest‘ultimo guarda a due pensatori che svettano sulla teologia medievale: Agostino e l‘Aquinate. Forte interpreta Agostino come un teologo che passa la sua intera vita andando dietro alla relazione fra Dio e la bellezza e, riportandone un passaggio molto familiare tratto dalle Confessioni — Sero te amavi, pulchritude tam antique et tam nova‖ (Libro. 10, Cap. 27) [―Tardi ti ho amato, Oh bellezza tanto antica e tanto nuova‖] — Forte esplora le implicazioni nel definire Dio come bellezza. Se la bellezza attira l‘amore, e se Dio è amore al pari della bellezza, possiamo dunque facilmente comprendere perché siamo attratti dalla bellezza — la nostra risposta soggettiva al piacere è causata dalla presenza oggettiva della bellezza. Nell‘applicare questo schema di sineddoche, Forte mostra come Agostino descriva le qualità della bellezza in riferimento alla loro origine, Dio. Perciò, un oggetto bello è in armonia con sé, e di conseguenza in armonia con l‘intero. Nel suo capitolo sull‘Aquinate, Forte si appoggia su Jacques Maritain e Umberto Eco, in aggiunta alla descrizione tripartita di integrità, proporzione e radiosità che è molto familiare ai lettori di questa rivista. Forte aggiunge alla discussione dell‘Aquinate sull‘analogia e la verità: quando rispondiamo alla bellezza capiamo fino in fondo l‘oggetto per come è (come opposto a come vorremo che sia) e l‘intero è portato al frammento attraverso l‘atto dell‘ideazione. Forte contrasta il personalismo di Agostino con il razionalismo dell‘Aquinate, arrivando a un terreno comune ai due pensatori. 104 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Ognuno dei primi sei capitoli segue una traiettoria simile. Nelle sue discussioni a proposito di Dostoevkij, Forte identifica le varie minacce alla bellezza, la più dannosa è il nichilismo. Nel focus del romanziere sul Venerdì Santo — le immagini della violenza nelle opera — Dostoevskij mostra che il solo cammino verso Dio è attraverso la croce. Dal momento che la bellezza non può manifestarsi in questo mondo senza una scelta consapevole, i personaggi di Dostoevskij sono dotati della libertà di scelta tra nichilismo e redenzione poiché ―la via della croce rimarrà sempre la via verso la libertà e la bellezza‖ (p. 51). La perdita di Dio nel modernismo si è verificata attraverso una perdita del senso della bellezza. Nel capitolo seguente Kierkegaard è descritto come una figura transitoria che conduce a von Balthasar, il quale, inerendo a questa tradizione di sineddoche, scrive la sua trilogia sull‘idea che il tutto si riveli attraverso la parte. La bellezza, per von Balthassar, è il più importante dei trascendentali perché senza questa, la verità e il bene scompaiono. Il capitolo su Paul Evdokimov esamina il ruolo della cristianità orientale e della bellezza che è rivelata attraverso le icone, che, ancora una volta, sono una forma della sineddoche divina. I tre capitoli conclusivi del libro speculano sulla musica, sul cinema e sulla poesia. Ancora una volta, dal momento che egli scrive per ampie pennellate, conduce i lettori solo alla soglia dell‘applicabilità delle sue tesi piuttosto che alla loro effettiva messa in pratica. Tuttavia, per un libro sottotitolato Per un‘estetica teologica, i lettori non dovrebbero sentirsi delusi dall‘esser condotti sulla soglia e lì abbandonati (ad esempio, il capitolo sulla poesia 105 Transmoderno. Un nuovo paradigma fornisce un poema senza commentarlo) piuttosto, dovrebbero considerare il libro come un‘opportunità per un ulteriore sviluppo. Dal momento che si tratta di una introduzione riflessiva all‘estetica teologica,questa è una buona panoramica. * La seconda fase della ricezione del lavoro di von Balthasar si basa sull‘applicabilità di queste sue tesi, e sarebbe abbastanza difficile trovare un teorico critico migliore di Michael P. Murphy. Il suo Una teologia del criticismo: Balthasar, postmodernismo e l‘immaginazione cattolica rappresenta un vero sviluppo nell‘applicare l‘estetica teologica al criticismo letterario. Ci sono stati recenti studi sulla cosiddetta ―Immaginazione cattolica‖ ma davvero pochi di questi lavori trascendono il loro contesto sociologico al fine di presentare sistematicamente i loro risultati. Il libro di Murphy è una ricca spiegazione interdisciplinare della trilogia, che posiziona il pensiero di von Balthasar non solo nel suo contesto storico e in quello teologico, ma lo esamina anche alla luce del postmodernismo. Murphy possiede pienamente il vocabolario del criticismo letterario postmoderno, e ciò che rende il suo lavoro così incisivo è la sua insistenza sull‘applicabilità della cornice concettuale del postmodernismo a von Balthasar, nel mentre rispettando e sostenendo in generale le proposizioni di von Balthasar. Il dialogo fra una disciplina che attacca la reale esistenza del significato e un teologo che afferma che tutto il significato è mediato attraverso la croce è un dialogo 106 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 interessante. Dopo aver stabilito il contesto storico e quello metodologico del suo studio, Murphy applica in un secondo momento l‘approccio di von Balthasar alla letteratura (―Rivelazione‖ di Flannery O‘Connor e ―La terapia‖ di David Lodge) e al film (―Le onde del destino‖ di Lars von Trier). Il risultato è un notevole tour de force per i teologi, per i critici letterari e allo stesso modo per i postmodernisti. Murphy inizia il suo studio trovando l‘intersezione fra la teologia e la letteratura narrativa. Nel suo capitolo iniziale (una convincente apologia del criticismo religioso) intende definire l‘inciso ―immaginazione cattolica‖. Come uno si aspetterebbe dal titolo, egli ravvisa la definizione più affidabile nel lavoro di von Balthasar, facendo un uso generoso del 15 volumi della sua trilogia al pari di tutti gli altri lavori di von Balthasar. Inoltre, c‘è una scrupolosa bibliografia, e molte fonti secondarie sono annotate nelle note. La conseguente conversazione fra teologi, studiosi di letteratura e filosofi ripropone consapevolmente la stessa interdisciplinarità di von Balthasar (―il pluralismo intellettuale‖), e dal momento che Murphy evita il gergo letterario che offusca più che rivela, il suo lavoro può avere un ampio interesse. Murphy dice che ―il principale proposito di questo studio, poi, è di suggerire creative e credibili opzioni per i critici religiosi‖ (p. 5). Sebbene le definizioni di postmodernismo nell‘introduzione non siano esaurienti, Murphy introduce più termini e metodi postmoderni nel libro mentre spiega i testi. Alcuni lettori potrebbero preferire il fatto che Murphy 107 Transmoderno. Un nuovo paradigma separi i suoi capitoli sulla teologia e sulle analisi letterarie piuttosto che usare la sua tecnica di frequenti sezioni di squarci, ma il vantaggio per il suo metodo è che i lettori possono vedere la conversazione continuativa tra le varie discipline. In base a quel principio per cui la verità non può contraddire la verità, Murphy cerca di trovare un terreno comune fra la proposizione teologica che afferma che la croce sia il centro e il compimento della storia umana e le proposizioni postmoderne per le quali tutta la storia è un costrutto di una struttura di potere che domina sulle altre. Dal momento che il postmodernismo (e qui, Murphy usa Derrida) rifiuta la verità religiosa, Murphy decide di seguire il postmodernismo come una sorta di teologia negativa. La metodologia permette a Murphy il lusso di collocare il tropo del postmodernismo al servizio dell‘estetica teologica di von Balthasar. Il secondo capitolo fornisce informazioni biografiche intorno a von Balthasar nonché una sintesi dei punti principali della sua trilogia. Murphy colloca l‘uso balthasariano dell‘interdisciplinarietà nell‘Illuminismo, che, naturalmente, rimanda all‘uso in parallelo che Murphy fa della teologia e del postmodernismo. Inoltre, egli arriva all‘importante affermazione per la quale la spiritualità ignaziana ricopre un ruolo vitale nel suo approccio al soggetto, non solo perché il gesuita attivamente è impegnato nel modernismo, ma anche perché gli Esercizi spirituali hanno aiutato la visione intellettuale di von Balthasar nella comprensione del significato dell‘estetica per l‘identificazione e la visione 108 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 della croce come il centro della storia umana. Questo capitolo non spiega l‘estetica di von Balthasar (altri studi sono già stati compiuti al primo momento della ricezione), piuttosto presenta tre temi che Murphy ritiene essenziali nell‘opera di von Balthasar; concentricità (rivisitare lo stesso tema attraverso differenti prospettive), musica e pluralismo stilistico. Ciò che spiega la singolarità dell‘approccio di Murphy è il suo (scilicet: di von Balthasar — ndt) insistere simultaneamente sull‘indagine teologica e su quella estetica; l‘errore derivante da questo modo di procedere ha condotto a molti lavori incompleti sull‘immaginazione cattolica. Il capitolo tre (intitolato ―Composizioni sacre‖) contiene una discussione della lettura gerarchica e teologica del piccolo romanzo di Flannery O‘Connor ―Rivelazione‖. Il postmodernismo — sia attraverso il nichilismo oppure attraverso il relativismo — ha fanaticamente fatto collassare tutte le qualità della giustizia naturale (le basi per le gerarchie) in egemonie create dalla volontà di potere. Murphy esamina il trascendentale della bellezza alla luce della Intuizione creativa nell‘arte e nella poesia di Maritain e la divisione tripartita della bellezza in integrità, proporzione e radiosità, tessendo nel contempo le interpretazioni di Pablo Neruda, Walker Percy, William Everson, e Flannery O‘Connor. È riuscito ad integrare sufficientemente le due discipline della teologia e della critica letteraria nella sua metodologia, e i lettori sono invitati a visualizzare il processo come qualcosa tipo un direttore che guida 109 Transmoderno. Un nuovo paradigma un‘orchestra. La sua lettura del breve romanzo di O‘Connor ―Rivelazione‖ è intuitiva, andando e combaciare con la discussione teologica dell‘Aquinate e di von Balthasar. Il capitolo quattro esamina l'estetica teologica nel cinema. Qui Murphy accoglie la struttura del quinto volume di von Balthasar Teo-dramma come una guida sicura per interpretare le arti drammatiche. Permettendo noi stessi di esser condotti da Dio sul palco delle nostre vite, partecipiamo a un dramma dialettico con Dio. Dal momento che la dialettica è fresca e nuova per ogni persona — eppure è lo stesso Dio ad iniziarla — c‘è una intersoggettività con il teodramma, così come un'indeterminatezza perché lo Spirito risponde differentemente ad ogni persona. Murphy identifica giustamente ―intersoggettività‖ e ―indeterminatezza‖ come preoccupazioni del postmodernismo e usa questi termini in uno sforzo di trasformare le categorie del criticismo letterario. In un senso, Murphy colloca i moderni postmodernisti nella ricontestualizzazione dei termini letterari come categorie per fare estetica teologica, e lo fa in modo che riconosce la complessità e il contributo del postmodernismo. Per esempio, i modernisti dicono spesso dell‘inscrizione: Uno è iscritto sopra l‘Altro. Piuttosto che rinforzare l‘iscrizione come un‘espressione di ricerca egemone del potere, Murphy indica teologicamente l‘ovvio: nel teodramma, Dio, avendo inscritto la sua immagine su di noi, ci richiama a sé. Non è una manipolazione di strutture del potere, ma un‘espressione di amore. 110 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Il capitolo si conclude con un‘ingegnosa lettura del lavoro del regista Lars von Trier. Nella sua discussione di von Trier, Murphy scrive circa l‘immaginazione cattolica attraverso il linguaggio del postmodernismo. Le onde del destino non è stato senza controversia quando è uscito. Girato nella Scozia calvinista, il film ritrae una dialettica fra le immaginazioni teologiche dei protestanti e dei cattolici, e l‘analisi di Murphy è davvero penetrante quando esamina il film in questa chiave, specialmente quando segnala i difetti nell‘immaginazione teologica protestante. Il film inoltre consente una discussione ampia della analogia entis, il punto più evidente della differenza fra cattolici e protestanti. Prendendolo per intero, il capitolo è acuto; tuttavia, la strategia retorica del mescolare il background teologico con il criticismo cinematografico non funziona tanto bene quanto accade per la fiction — le interruzioni distolgono i lettori da una comprensione del film. Forse se Murphy avesse dato ai lettori un più dettagliato riassunto del film, l‘organizzazione delle sottosezioni sarebbe stata più liscia, ma è encomiabile per l‘inclusione nel suo lavoro. Il capitolo finale è un‘estesa analisi di La terapia di David Lodge. A questo punto, i lettori si sono abituati alla metodologia di Murphy e si sentono a loro agio. Questo capitolo si occupa del modo con cui le persone decidono delle loro vite. Attraverso René Girard, Judith Butler, Søren Kirkegaard (che Lodge esplicitamente evoca nel romanzo), and Martin Buber, Murphy mostra come il personaggio di Lodge Laurence Passmore si arrenda alla 111 Transmoderno. Un nuovo paradigma cultura consumistica e abbracci — o piuttosto ―svolti‖ verso — il trascendente. Attraverso il capitolo Murphy intreccia teologia, filosofia e critica letteraria, ammirabilmente soddisfacente la sua precedente intenzione per la quale l‘approccio interdisciplinare simultaneo di von Balthasar sembra essere imitato da tutti i critici e i teologi. Questo capitolo è forse il più integrato con i cinque — dopo ogni digressione sul postmodernismo, Murphy applica coscientemente quella critica postmoderna al romanzo, sebbene con il fine di von Balthasar. La sua insistenza nell‘usare una terminologia postmoderna in una cornice cristiana è uno dei principali punti di forza del suo lavoro. Murphy rifiuta di ridurre le argomentazioni e i fondamenti del postmodernismo a un mero foraggio: nella sua apertura alla verità, ammette che il bene e il vero (e dunque anche il bello) lavorino su di lui. Uno può sperare che il processo sia reciproco con in modernisti stessi. * La pienezza del terzo passaggio — il passaggio critico e correttivo — della ricezione di von Balthasar è ancora nel futuro, ma ci sono argomentazioni anticipatrici presenti in L‘estetica teologica dopo von Balthasar, studi sviluppati a partire dalle presentazioni a conferenze internazionali nel 2004 e nel 2006. Pubblicati da Oleg Bychkov e James Fodor, la raccolta suggerisce molte proposte correttive all‘estetica teologica di von Balthasar, le più rimarcabili 112 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 sono quelle che coinvolgono il suo percepito fraintendimento delle tradizioni della teologia protestante e dell‘estetica. Nella sua introduzione, Bychkov usa il linguaggio della filosofia per parlare di estetica piuttosto che di teologia come Forte, o di postmoderno come Murphy. Dal momento che esistono differenti tradizioni estetiche, c‘è un conseguente pluralismo — che i curatori hanno incoraggiato — in questo volume che è assente in Forte e Murphy. Così è nella natura delle conferenze universitarie (sebbene i lettori potrebbero notare che questo volume non è semplicemente il procedere di conferenze, ma revisioni impegnate e presentazioni). Dal momento che il libro è una raccolta di saggi, non c‘è una singola linea narrativa, e mentre ogni singolo saggio offre il suo punto di vista, c‘è una mancanza di interconnettivita' che uno trova in una monografia. In aggiunta, c‘è una sovrapposizione tra i tre libri qui recensiti: l‘Aquinate e von Balthasar sono i soli pensatori che figurano preminentemente in ognuno, e Alejandro Garcia-Rivera ha un saggio su Bychkov; Garcia-Rivera è uno dei più vicini lettori e consulenti di Murphy. Il volume inoltre è ancora più dialogico rispetto agli altri due, e certamente anche più critico di von Balthasar piuttosto che di Forte o di Murphy. Per esempio, dove von Balthasar divide gli orientamenti con l‘estetica teologica protestante (come Murphy fa nella sua discussione su Le onde del destino di von Triers), alcuni saggi in questa raccolta sono alla ricerca di una conciliazione tra le due tradizioni estetiche. Von Balthasar interpreta l‘emozionato ancorarsi del protestantesimo alla 113 Transmoderno. Un nuovo paradigma Parola al di là dell‘analogia entis (l‘analogia dell‘essere), al di là dell‘intelletto, come passività piuttosto che come attività. Inoltre, come uno si aspetterebbe con una dura enfasi sul protestantesimo, l‘immaginazione cattolica è meno di una preoccupazione. La speciale attenzione riservata alla Riforma, Lutero, e alle tradizioni anglicane permette di estendere le discussioni delle figure non solo in Forte o Murphy, ma anche in Barth e Tillich. La maggior parte dei saggi, tuttavia, si può dire che vengano ispirati da von Balthasar. Per esempio c‘è il libro di Ben Quash‘s ―Hans Urs von Balthasar ‗teatro del mondo: l‘estetica della drammaturgia‖ che si concentra sulla spiritualità teologica di Ignazio. Un altro saggio, come quello di Richard Vilande-sau ―La bellezza della Croce‖, combina von Balthasar, Tillich e le illustrazioni come un mezzo per indicare le convergenze fra von Balthasar, i sermoni, e la bellezza. Il libro di James Fodor ‗La bellezza straniera‘. Giudizio parabolico e il testimone della fede esamina le parabole di Gesù alla luce di Stanley Hauerwas, Iris Murdoch, Paul Ricoeur e vari epigoni di von Balthasar. Bernadette Waterman Ward e James Kerr presentano due eccellenti saggi sul trattamento di Hopkins di von Balthasar; il primo si concentra su Scoto in Hopkins, mentre l‘ultimo esamina il posto di Hopkins nel canone dei poeti inglese. Ci sono anche alcuni saggi che non menzionano per niente von Balthasar, dedicandosi all‘estetica dei filosofi come Aristotele, Duns Scoto. Altri contributi, come quello di Lee Barrett ―Von 114 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Balthasar e l‘estetica protestante‖, sono tesi a sottolineare i limiti nella comprensione dell‘estetica protestante da parte di von Balthasar. Il dialogo fra questi saggi è tanto interessante quanto complesso. Il poeta Charles Péguy una volta ha sottolineato che l‘acqua sul fondo del pozzo era più nuova dell‘acqua in cima al pozzo. La tradizione, per Péguy come per von Balthasar, è un‘entità vivente, qualcosa di nuovo che deve esser rivolto ad ogni età. L‘impatto dell‘encicopledica oeuvre di von Balthasar sarà toccata per molti altri anni a venire. L‘applicabilità della sua metodologia alle varie discipline deve ancora esser esperita (ci si richiama al 1980 quando ogni lavoro letterario era sottoposto a una lettura di decostruzione; è da farsi lo stesso augurio attraverso le lenti di von Balthasar), e il compito è entusiasmante per il futuro criticismo religioso. I critici che vogliono ottenere una comprensione della storia della teologia estetica farebbero bene a leggere Forte, e coloro che sono interessati a farlo partendo da un contesto di pluralismo religioso farebbero bene a leggere Bychkov e Fodor. Tuttavia, coloro che vogliano fare il lavoro di critici letterari troveranno sulle loro ginocchia il testo di Murphy come la miglior preparazione. Lì, il lavoro fondamentale del transmodernismo di von Balthasar è stato fondato. 115 Transmoderno. Un nuovo paradigma Bibliografia Oleg V. Bychkov and James Fodor (a cura di), Theological Aesthetics after von Balthasar, Ashgate Studies in Theology, Imagination and the Arts, eds. Trevor Hart et al. Aldershot, England and Burlington VT: Ashgate Pub-lishing Company, 2008. Bruno Forte, The Portal of Beauty: Towards a Theology of Aesthetics, Trans. David Glenday and Paul McPartlan. Grand Rapids MI, William B. Eerd-mans Publishing Company, 2008. Michael P. Murphy, A Theology of Criticism: Balthasar, Postmodernism, and the Catholic Imagination. American Academy of Religion Academy Series, ed. Kimberly Rae Connor. Oxford: Oxford University Press, 2008. (Traduzione di Francesca Brencio) 116 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Il ritorno del paleolitico di Peter Lamborn Wilson (Hakim Bey) Ogni cultura (o comunque ogni cultura urbano-agricola) coltiva due miti apparentemente contrastanti: il mito della decadenza e il mito del progresso. René Guénon e i neotradizionalisti sostengono che nessuna cultura antica ha mai creduto al progresso, ma naturalmente fingono, perché loro stessi lo hanno perseguito. Una versione del mito della decadenza nella cultura Indoeuropea è incentrato sull‘immagine dei metalli: oro, argento, bronzo, ferro. Ma che dire del mito in cui Kronos e i Titani vengono distrutti per far posto a Zeus e agli dèi olimpici? — si tratta di una storia parallela a quella che di Tiamat e Marduk, o a quella di Leviathan e Jah. In questi miti del progresso, un originario pantheon ―femminile‖, ctonio e caotico (terrestre o equoreo) è sostituito (rovesciato) da un successivo, spiritualizzato e ordinato pantheon celeste ―maschile‖. Non è questo un passo in avanti nel tempo? E non hanno Buddhismo, Cristianesimo e Islàm tutti proclamato di essere migliori del paganesimo? In realtà, naturalmente, sia i miti della decadenza sia quelli del progresso, hanno lo scopo di esercitare un controllo, di introdurre una società del controllo. Tutti e due ammettono che prima del presente stato di cose qualcos‘altro esistesse: un differente modo di fare società. In entrambi i casi pare esserci qualcosa come una sorta di 117 Transmoderno. Un nuovo paradigma ―memoria genetica‖ [―race-memory‖ vision] del Paleolitico, del grande, immutabile tempo della preistoria dell‘umano. Nel caso della visione progressiva, quell‘età primordiale è vista come un‘epoca di vasto disordine, brutale e orrenda. Il XVIII secolo non ha scoperto questo punto di vista, ma l‘ha trovato già espresso nella cultura classica e in quella cristiana. Nell‘altro caso, quello della decadenza, il primordiale è visto invece come momento prezioso, innocente, numinoso, felice, più facile di quello attuale, ma anche irrevocabilmente perduto, impossibile da recuperare se non attraverso la morte. Così, mentre per gli entusiasti fedeli adoratori dell‘ordine, questo stesso si presenta come infinitamente più perfetto di ogni caos originario, per i suoi insoddisfatti e potenziali nemici, esso si presenta invece come qualcosa di crudele e di oppressivo (―ferro‖), ma anche di fatalmente inevitabile e sostanzialmente onnipotente. In nessun caso i partigiani del mito dell‘Ordine ammetteranno che ―Caos‖, o ―Età dell‘oro‖, potrebbe esistere nel presente, o che esistono nel presente, qui e ora, fattivamente, benché dissimulati dall‘illusoria totalità della Società dell‘ordine. Noi però crediamo che il ―Paleolitico‖ (che non è né più né meno che un mito, come il ―Caos‖ o l‘―Età dell‘oro‖) esista tuttora, come una sorta di inconscio sociale. Riteniamo inoltre che l‘età industriale stia volgendo al termine con l‘ultimo lasso della neolitica ―rivoluzione agricola‖ e che anche le ultime religioni dell‘Ordine stiano declinando e anche che tutto questo ―materiale rimosso‖ tornerà in superficie. Cos‘altro si potrebbe intendere quando parliamo di ―nomadismo psichico‖35 e di ―scomparsa del sociale‖36? 35 Si tratta di un concetto che ricorre in Peter Lamborn Wilson, ripreso tuttavia da autori come Gilles Deleuze e Félix Guattari (cfr. Id., 118 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 La fine del Moderno non significa un ritorno al Paleolitico, ma un ritorno del Paleolitico. L‘antropologia post-classica (o post-accademica) ci ha preparati per questo ritorno del rimosso: di recente si è diffuso un sentire comune che spinge verso una ricomprensione della società di raccolta e di caccia. Le grotte di Lascaux sono state scoperte proprio quando andavano scoperte — nessun antico romano, nessun cristiano medievale, nessun razionalista del XVIII secolo le avrebbe mai trovate belle o significative. In queste grotte (simbolo di una archeologia della coscienza) noi abbiamo invece trovato gli artisti che li hanno creati, scoprendoli come antenati e, anche, come noi stessi, vivi e presenti. Una volta Paul Goodman37 ha definito l‘anarchismo come Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, trad. di G. Passerone, 36 37 Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987. Segnatamente il cap. XII, «Trattato di nomadologia: la macchina da guerra») e da Jean-François Lyotard (cfr. Driftwork, ed. Roger McKeon, New York 1984. Questo testo riproduce alcuni saggi apparsi in Dérive à partir de Marx et Freud (trad. it. A partire da Marx e Freud, Multhipla, 1979), e in Des Dispositifs Pulsionnels (Union Général d‘Editions, Paris 1973). Si tratta di una pratica di lettura che consiste nel prelevare concetti da un contesto (morale, religioso, politico, etico, ecc.), lasciando a se stessi i sistemi sottoposti a questa pratica di pirateria categoriale. Sulla fine o morte o implosione del sociale si è trattenuto a lungo Jean Baudrillard, in opere apparse tra la fine degli anni Settanta e l‘inizio degli anni Ottanta. Si veda ad esempio, J. Baudrillard, «L‘implosione del senso nei media e l‘implosione del sociale nelle masse», ―aut aut‖, n. 169, 1979. Paul Goodman è uno scrittore e pensatore americano. Fu ispiratore, negli anni ‘50 e ‘60, della sinistra americana negli anni Sessanta. Ricercatore universitario, specialista di storia americana popolare, fu anche poeta, romanziere, drammaturgo, saggista e quel che si dice un educatore anarchico. Appassionato di studi filosofici e sociali, figura tra i fondatori della psicoterapia della Gestalt. 119 Transmoderno. Un nuovo paradigma una sorta di ―conservatorismo neolitico‖. Definizione spiritosa, ma non troppa accurata. L‘anarchismo (o, almeno, l‘anarchismo ontologico) non simpatizza tanto con gli agricoltori bifolchi, quanto piuttosto con le strutture sociali non-autoritarie e con l‘economia pre-capitalistica dei cacciatori e dei raccoglitori. Inoltre non possiamo definire questa ‗simpatia‘ come ‗conservatrice‘. Un aggettivo migliore, dal momento che abbiamo trovato le nostre radici nel paleolitico (una sorta di eterno presente), potrebbe essere ―radicale‖. Non vogliamo tornare alla tecnologia materiale del passato (non abbiamo alcun desiderio di proiettarci all‘indietro, verso l‘età della pietra), piuttosto siamo per il ritorno di una tecnologia psichica che abbiamo dimenticato di aver posseduto. Il fatto che noi troviamo Lascaux bella significa che Babilonia ha finalmente cominciato a disfarsi. L‘anarchismo è probabilmente più un sintomo che una causa di questo sfacimento. A dispetto delle nostre immaginazioni utopiche, noi non sappiamo cosa aspettarci. Ma, da ultimo, siamo almeno preparati per la deriva verso l‘ignoto. Per noi questa è un‘avventura, non la fine del mondo. Noi accogliamo volentieri il ritorno del Caos, perché, con il pericolo che gli si avvolge intorno, arriva, alla fine, una nuova possibilità creativa. (Traduzione e note di Marco Baldino) Nota Il discorso di Hakim Bey (al secolo Peter Lamborn Wilson), controverso personaggio dell‘ambiente anarchico newyorkese, sembra giocare qui le tracce mnestico-collettive dell‘epoca paleolitica, in cui l‘uomo era ancora un cacciatore e un 120 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 raccoglitore, contro le strutture posteriori del neolitico agricolo e scambiatore: ‗libertà paleolitica‘ contro ‗conservatorismo neolitico‘. L‘uomo contemporaneo (in linea con le visioni circolari e spiraliformi del tradizionalismo) sarebbe così testimone di una trasformazione che pone l‘aureo paleolitico all‘orizzonte del declinante sistema capitalistico. La conoscenza del passato sarebbe la sola via di accesso al presente e cercando di comprendere il presente gli uomini sono costretti a rivivificare il passato. L‘aspetto più interessante di questo discorso di Hakim Bey sembra essere una certa convergenza (più suggestiva che reale) con le teorie del post-storia: il ritorno del paleolitico eterno, cioè senza tempo, senza tempo storico per essere precisi, non come una catastrofe e nemmeno come ritorno all‘età della pietra, ma come ritorno di certe strutture psichiche che l‘avvento del capitalismo neolitico prima e dell‘età industriale poi, aveva rimosso. [mb] 121 Transmoderno. Un nuovo paradigma Il Truman/Berlusconi Show [A proposito di un libro di Fulvio Carmagnola e Matteo Bonazzi]* di Giacomo Conserva Da un gruppo di ricerca milanese sull‘immaginario contemporaneo (che ha già prodotto un volume su ―Il fantasma‖) è uscito qualche mese fa, Il fantasma della libertà. Inconscio e politica al tempo di Berlusconi (Mimesis, 2011) — risale a un tempo che sembra ere distanti da quello attuale (così trapassano le fortune del mondo): Berlusconi corrotto e trionfale (e trionfante); sua coalizione salda; alto livello di consensi ai sondaggi; nessuna crisi economico-finanziaria mondiale in corso/alle porte. Anche nessuna nuova guerra: l‘intervento in Libia non era ancora cominciato. Il quadro disegnato è affascinante: giochi/maestro del godimento che l‘immaginario degli italiani, che a sua massivamente su di lui; il suo ghigno, i stile sono segni distintivi identificazione/proiezione. un maestro dei tiene in pugno volta si concentra suoi eccessi, il suo di questa Come nel Truman Show38, si vive in una realtà falsa ma totalmente vera, tecnologicamente manipolata ma 38 Per il Truman Show (Peter Weir, 1998) vedi L‘International Movie Database, in rete, o Wikipedia. 122 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 assolutamente spontanea. Pensare alternative è futile — lo stesso pensiero di ciò è compromesso dalle strutture profonde che sono in atto in ciascuno, anche negli oppositori. Raffinati strumenti concettuali vengono messi in atto dagli autori per analizzare la situazione (una volta scartate come assolutamente banali spiegazioni che facciano risalire l‘incantesimo in atto al puro bombardamento dei media, controllati da uno solo): è uno stile di godimento che è in campo, come già in altri termini Wilhelm Reich e la scuola di Francoforte avevano teorizzato a proposito della Germania nazista: solo che mentre là ai tedeschi veniva proposto dal nazionalsocialismo un modello a venire di società da costruire, di valori da realizzare (l‘Impero millenario) qui tutto è fermato su un eterno presente in cui non esiste storia o conflitto, ma solo superficiali composizioni o ricomposizioni in un reality che continua per sempre, un reality il cui ultimo collante è appunto Lui. — Finiti i tempi dello scambio comunicativo razionale, della ragione illuministica, della politica in quanto difficile elaborazione collettiva di scelte — siamo nel regno del puro arbitrio (di B.), ogni volta eternizzato. L‘unica speranza che viene intravista per spezzare il cerchio incantato è di capire il proprio coinvolgimento in esso (che è inevitabile), vederlo, traversarlo, e attendere un evento che possa (come le insurrezioni in Tunisia ed Egitto, espressamente nominate dagli autori) irrompere imprevisto e assieme (retroattivamente) del tutto inevitabile, e portare a un novum. Questo riassunto, che ha cercato di essere fedele, fa poca giustizia alla ricchezza di intuizioni del testo; in particolare, vorrei ricordare a) l‘uso della ricerca di Agamben sul concetto di sovranità (‗gloria‘); b) di Lacan e Žižek — sul 123 Transmoderno. Un nuovo paradigma supplemento mostruoso e osceno del Potere, sul godimento dei sottoposti, sul riflettersi di parti frammentate del loro inconscio sulla ugualmente frammentata figura del leader; c) il concetto di maestro dei giochi/del godimento, che ha dimensioni iperboliche, dickiane, con un che di perverso ben al di là dell‘iperreale delle simulazioni alla Baudrillard.39 Due o tre osservazioni: 1) c‘è in questo libro l‘ingresso di qualcosa in Italia inedito o quasi, che si situa al di là delle analisi marxiste (o freudomarxiste) tradizionali, o del discorso post-modern, ‗francese‘: è appunto l‘irruzione di Lacan/Žižek (che corrisponde a quanto, a livello internazionale, ha determinato una rinascita lacaniana e una ‗sinistra lacaniana‘) — qualcosa in grado di misurarsi con lo squallore/orrore del dominio totale del capitalismo post1989, e con il sostanziale fallimento contestuale delle politiche ‗liberal‘ e socialiste (progressive Labour, Veltroni, Schroeder, per certi aspetti Clinton ecc.) e pure con la sconfitta o marginalizzazione sostanziale dei vari movimenti emancipatori o liberatori (donne, gay, minoranze etniche ecc.) — in una società comunque postpatriarcale. Sembra che, per capire questo mondo, sia molto utile parlare di reale, immaginario, simbolico — di oggetto a minuscolo — di Kant + Sade — di fantasma del corpo frammentato — di distruttivo ed eccedente godimento dell‘Altro.40 39 I suoi tratti e le sue azioni ricordano piuttosto, in effetti, il ‗genio maligno‘ di Descartes; e si tenga a mente pure come ‗signore delle illusioni‘ fosse un appellativo del demonio — e ‗signora del gioco‘, domina ludi, nome di chi guidava il sabba. 40 Una ottima introduzione a Lacan è il libro di Bruce Fink, The Lacanian Subject, Princeton University Press, 1996. 124 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 2) Manca completamente una analisi socio-economica, e delle strutture di potere. Si dice, certo, che così come in Italia c‘è Berlusconi, in Francia c‘è Sarkozy, in Russia Putin; ciascuno è il nome di qualcosa: ma di cosa esattamente?41 — Sembra che, per gli autori, la risposta stia nel fallimento del progetto habermasiano di illuminismo coerente e democrazia compiuta, ad opera, sembrerebbe, di un immaginario catturato dal Potere. Non vengono nominati altri fallimenti (in primis quello del Socialismo Reale) e altre eclissi (quella del discorso marxista, o puramente della sociologia classica). Non esistono i rapporti di produzione, i centri di potere, lo sviluppo disuguale, le multinazionali, gli apparati segreti ecc. Tutto questo, come spesso dice Žižek appunto, è puramente e semplicemente respinto fuori dal quadro, disavowed, forcluso — corrispondendo del resto a una tendenza assolutamente prevalente del dopo ‘89, con l‘assunzione a parametro di fondo indipendente del ‗mercato‘, con i suoi correlati di FMI, Banca Mondiale, G7, lotta contro il terrorismo e contro il fondamentalismo, e così via — con tutto ciò ridotto a ‗puri fatti della vita‘ che è inutile analizzare più di tanto (ammesso che li si menzioni). — Ma questo comunque non è un problema particolare di questo testo, ma un segno distintivo dello spirito del tempo; il libro resta coinvolgente, aperto, e dà molto da 41 Per esempio il libro di Alain Badiou, Sarkozy: Di cosa è il nome? (Cronopio, Napoli 2008), o un acutissimo articolo di Žižek del 2009 dedicato proprio a Berlusconi, «Berlusconi in Theran», 23 Luglio 2009, ―London Review of Books‖. [Vale poi la pena di rileggere i Commentari alla società dello spettacolo di Guy Debord e La società dei consumi di Baudrillard. Moltissimi testi di Žižek sono disponibili on-line, vedi http://www.lacan.com/bibliographyzi.htm. Per una eccellente sintesi di punti chiave del suo discorso, si può far riferimento a due saggi di Jodi Dean: Žižek on Law, 2004, e Enjoyment as a Category of Political Theory, 2005, o a un libro di Slavoj Žižek come Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Cortina, Milano 2003.] 125 Transmoderno. Un nuovo paradigma pensare (a me ha dato molto da pensare) — non solo nell‘attesa del mutamento improvviso di paradigma, dello jetz-zeit/adesso del tempo messianico, o dell‘evento-verità, ma proprio per attraversare la loro attesa, o la loro costruzione. 3) È un libro, infine, che nasce da una sofferenza e cerca risposte ad essa. Il deserto del reale e del reality che, come dicono gli autori, attraversiamo, è pieno di trappole, miraggi, mostri, allucinanti angosce. Intraprendere questo viaggio senza garanzie di successo (come ho ricordato all‘inizio, il quadro di partenza sembra chiuso, con tutti i giochi fatti, ovvero con le regole dei giochi permutabili all‘infinito senza progresso o mutamento) è un atto di grande coraggio, credo, e di grande speranza: che il deserto della vita associata e intrapsichica possa rifiorire, in qualche modo, prima o poi. Ora (settembre 2011) posso dire che ‗le cose sono in moto‘; allora era molto più difficile; il Benjamin che aleggia per tutto il libro (e soprattutto verso la fine) è quello della speranza assurda, quella speranza appunto che per i senza speranza ci viene donata. Quella che è sempre fondamentale, e fondante. 4) A questa speranza corrisponde l‘accanimento della teoria, che scopre, cerca, discute argomenti, in un movimento del tutto aperto. Questo, come fece notare Hannah Arendt, è una manifestazione essenziale (in actu, non in potentia) della libertà e dignità umana, e come tale va accolta e fino in fondo salutata. (*) da ―ISintellettualistoria2. Antropologia della politica per una teoria dell'immaginario sociale‖, settembre 2011 - scritto su proposta di Attilio Mangano, cui molto sono grato. 126 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Bibliografia/sitografia Bibliografia Santi Barbagallo (a cura di) - La condizione transmoderna, Aracne, Roma 2010. Enrique Dussel - Posmodernidad y transmodernidad. Diálogos con la filosofía de Gianni Vattimo, Universidad Iberoamericana, Plantel Golfo Centro, 1999. Otto Kapfinger, Bart Lootsma - Transmodernity. Austrian Architects, Henke und Schreieck Jabornegg & Palffy Riegler Riewe, Salzburg (2002). Rosa María Rodríguez Magda - Hacia una teoría transmoderna, Anthropos, Barcelona 1989. - Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004. 127 Transmoderno. Un nuovo paradigma Sitografia Blog - Transmodernity, di Rosa María Rodríguez Magda http://transmodern-theory.blogspot.it/ - Filosofía y Transmodernismo, di Ananí Gutiérrez Aguilar http://ananigutierrez.blogspot.it/ Canali Youtube - Transmodernismo http://www.youtube.com/playlist?list=PL4ictEyCmx5JQVidTgndAb6Q8pnu4naO Enciclopedie - Transmodernity, Wikipedia.en http://en.wikipedia.org/wiki/Transmodernity Festival - MAYFAIR Transmodern Festival Baltimore http://transmodernfestival.com/ Riviste on line - Transmodernity: Journal of Peripheral Cultural Production of the Luso-Hispanic World http://www.escholarship.org/uc/ssha_transmodernity - Transmodernity Philosophy. The Rise of Cultural Creatives http://transmodernism.wordpress.com/ 128 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Saggi reperibili in rete Rosa María Rodríguez Magda - Transmodernity, Neotribalism and Postpolitics http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web& cd=2&cad=rja&ved=0CDcQFjAB&url=http%3A%2F%2Fww w.ceeol.com%2Faspx%2Fgetdocument.aspx%3Flogid%3D5% 26id%3Dedd1b4977489494b86a0e436fea98668&ei=bSqaU Y6GFonMOPqAgdAB&usg=AFQjCNHsfqwQm8mg6AK4v wyAYYVpWADFUQ&bvm=bv.46751780,d.bGE Enrique Dussel - Transmodernity and Interculturality, An Interpretation from the Perspective of Philosophy of Liberation http://enriquedussel.com/txt/Transmodernity%20and%20Inte rculturality.pdf Fernando Rodríguez Genovés - Mujer y transmodernidad http://www.nodulo.org/ec/2004/n027p21.htm Mike Cole - Transmodernism, Marxism and Social Change: some implications for teacher education http://oraclearion.files.wordpress.com/2008/02/transmoderni sm_marxism_and_social_change.pdf Anton Adamut - Social Assistance and Transmodernism in Christ‘s Activity 129 Transmoderno. Un nuovo paradigma http://www.ejst.tuiasi.ro/Files/29/9-23Adamut.pdf Felicity Van Rysbergen - Towards Transmodernism: Transcendence, Technospirituality, and Technoculture http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web& cd=20&cad=rja&ved=0CGgQFjAJOAo&url=http%3A%2F%2 Funsworks.unsw.edu.au%2Ffapi%2Fdatastream%2Funsworks %3A10255%2FSOURCE02&ei=-hWaUc7mCYihgeP7YGYBA&usg=AFQjCNFyp8ME1O1LQqyKfhmFYu eze49C_A&bvm=bv.46751780,d.bGE Irena Ateljevic - Transmodern Critical Tourism Studies: a call for hope and transformation http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web& cd=7&cad=rja&ved=0CFkQFjAG&url=http%3A%2F%2Fww w.turismoemanalise.org.br%2Fturismoemanalise%2Farticle% 2Fdownload%2F249%2F136&ei=bSqaUY6GFonMOPqAgd AB&usg=AFQjCNEwzMSjJlTyh1Ds7AlMJrMLAaUOAg&b vm=bv.46751780,d.bGE Ramón Grosfoguel - A Decolonial Approach to Political Economy: Transmodernity, Border Thinking and Global Coloniality http://www.postkolonial.dk/artikler/GROSFOGUEL.pdf 130 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 Gli autori Rosa María Rodríguez Magda Scrittrice e filosofa femminista, titolare della Cattedra di Filosofia presso l‘―Instituciò Alfons el Magnànim‖ (Valencia), di cui dirige anche la rivista ―Débats‖. È stata guest lecturer presso molte Università (Paris VIII e VII, Universidad Autónoma de México, New York University). Tra i suoi libri vanno ricordati: Discurso / Poder (Madrid, 1984), La sonrisa de Saturno. Hacia Una teoría transmoderna (Barcelona, 1989), Femenino fin de siglo. La Seducción de la diferencia (Barcelona, 1994); Foucault y la genealogía de los Sexos (Barcelona, 1999), appena tradotto in francese e Transmodernidad (Barcelona, 2004). Carmen África Vidal Claramonte È titolare della cattedra di Traduzione e interpretazione all‘Università di Salamanca. Ha pubblicato libri e saggi sulla traduzione, studi di genere e critica letteraria. Tra questi vanno ricordati El futuro de la traducción: ultimas teorias, nuevas aplicaciones (Valencia, 1998); Transatin/Power/Subversion (Clavedon, UK, 1996); En los límites de la traducción (Granada, 2005) e Traducir entre culturas: diferencias, poderes, identidades (Frankfurt a. M., 2007). Victoria Sendón de León Importante esponenete del pensiero della differenza sessuale in Spagna, ha insegnato Filosofia presso l‘Istituto per il baccellierato. È stata anche sceneggiatrice e regista nel campo 131 Transmoderno. Un nuovo paradigma della produzione audiosvisiva. Tra i suoi libri: La España herética (Barcelona, 1986) e Marcar las diferencias: discursos feministas ante un nuevo siglo (Barcelona, 2002) Marc Luyckx Ghisi Louvain, 1942. Teologo e ricercatore nel campo delle trasformazioni culturali globali. Autore dei volumi Au-delà de la modernite du patriarcat et du capitalisme. La societe reenchantée?, (L‘Harmattan, 1977) e Surgissement d‘un nouveau monde. Valeurs, vision, économie, politique... tout change (L‘Harmattan, 2012). È stato consulente di Jacques Delors e Jacques Santer presso la Commissione Europea. Attualmente è membro dell‘«Auroville International Advisory Council» e vicepresidente della COTRUGLI Business schools a Zagabria e Belgrado. Marco Baldino 1955. Autore di saggi e articoli sul tema della località filosofica. Nel 1990 ha fondato la rivista italiana di geofilosofia «Tellus». Nel 1996 ha curato il volume di Autori Vari Geofilosofia (Lyasis, Sondrio). È autore del volume Margini e paraggi. La filosofia dell‘ultimo Novecento (Aracne, 2012). Attualmente dirige (con Francesca Brencio, Giacomo Conserva e Jacopo Valli) la rivista online ―Kasparhauser‖, dedicata al problema dell‘accesso al pensiero. Jacob Taubes Vienna 1923 - Berlino 1987. Filosofo e rabbino. Professore in molte Università americane (Harvard, Princeton, Columbia Unversity). Nel il 1951 Gershom Scholem lo volle all‘Università ebraica di Gerusalemme. Dal 1965 tenne la cattedra di Cultura e religione ebraica presso la Freie Universität di Berlino. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo: Escatologia 132 Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly Anno 2, Numero 4 occidentale (Garzanti, 1997) e La teologia politica di San Paolo (Adelphi, 1997). Dutton Kearney È Assistant Professor of English all‘Hillsdale College (Michigan). Ha scritto una Guida allo studio di Gulliever‘s Travels, di Jonathan Swift (Ignatius Press, 2010) e, sempre per Ignatius Press, ha curato, della stessa opera, l‘edizione critica. Peter Lamborn Wilson New York, 1945. Filosofo, anarchico, saggista, poeta e scrittore statunitense. Autore di un‘opera variegata. Noto anche come Hakim Bey. In Italiano si possono leggere, pubblicate sotto lo pseudonimo di Hakim Bey, le seguenti opere: Millennium. La Jihad contro la politica (ShaKe edizioni, 1997); T.A.Z. Zone temporaneamente autonome (ShaKe edizioni, 1993-2007); Il giardino dei cannibali. I viaggi filosofici di un sufi beat (ShaKe edizioni, 2010). Come P. Lamborn Wilson, le edizioni ShaKe hanno tradotto e pubblicato Le repubbliche dei pirati. Corsari mori e rinnegati europei nel Mediterraneo (2010). Giacomo Conserva Parma, 1948. Psichiatra psicoterapeuta e analista. È stato direttore del Centro di salute mentale dell‘Area Montana e Responsabile dell‘SPDC presso l‘Ausl di Parma. Ha coordinato il gruppo di lavoro DSM di Parma su migranti/globalizzazione. Svolge attività letteraria e culturale. Ha collaborato a diverse riviste tra cui ―L‘erba voglio‖, ―A/traverso‖, ―Ordine sparso‖, ―Mito‖, ―Poliscritture‖. Nel 1976, per Newton Compton, ha curato la traduzione delle Poesie di William Blake. Coordina il Blog ―OLTRE LA SOCIETÀ' PSICHIATRICA AVANZATA‖ (gconse.blogspot.com). 133