Testo e note nelle pubblicazioni della ricerca scientifica

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Testo e note nelle pubblicazioni della ricerca scientifica
Istituto FDE – Formazione D’Eccellenza. Anno accademico 2010-2011
Metodologia della ricerca scientifica
Corrado Benatti
Testo e note nelle pubblicazioni della ricerca scientifica. Per un prospetto di criteri
di redazione.
Avvertenze. Quelli che seguono sono suggerimenti di base per la redazione di testi e note
bibliografiche ispirati a criteri formali di composizione usualmente condivisi, nelle loro linee
generali, dalla comunità scientifica italiana. Tali suggerimenti traggono alimento dalle più diffuse
‘regole’ convenzionali osservate in ambito universitario, specie presso le Facoltà di Giurisprudenza,
con particolare riguardo alle sedi di Bologna e Milano e agli insegnamenti di Storia del diritto. Per
la maggior parte, si tratta di principi accolti fra i propri criteri redazionali anche da molte riviste
scientifiche e case editrici.
È bene avvertire, peraltro, che non esistono – in merito – norme rigidamente codificate e
valide in assoluto, nei diversi settori disciplinari, per tutte le riviste e per tutti gli editori: così, le une
e gli altri (e, per le tesi di laurea e di dottorato di ricerca, i relatori) imporranno le proprie. Ad esse,
con rigore, ci si dovrà attenere nella stesura del proprio elaborato.
Per un profittevole riscontro, si rinvia a A. PADOVANI, Preparare e scrivere la tesi in
Giurisprudenza, Milano 2000. Andrea Padovani è professore ordinario di Storia del diritto
medievale e moderno all’Università degli Studi di Bologna, dove insegna anche Metodologia e
storia del pensiero giuridico moderno. La sua è un’agile ma esaustiva guida di 124 pagine
pubblicata da Sansoni (Guide per l’Università). Codice ISBN 88-383-1850-6. Una copia è
disponibile per consultazione e fotocopie presso la biblioteca di FDE.
Ottime indicazioni – anche se in qualche caso non del tutto collimanti con i suggerimenti
offerti dal volume appena richiamato e dagli appunti che seguono – possono venire pure, come si
diceva, dalle norme redazionali generali imposte dalle summenzionate riviste scientifiche agli
studiosi che intendano pubblicare un articolo o un saggio sulle loro pagine.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------PARTE PRIMA. Criteri generali per la redazione di testo e note.
● Caratteri nel testo e nelle note
Per segnare l’inizio rientrante di un capoverso, conviene usare il tabulatore – il tasto con la
doppia freccetta in alto a sinistra sulla tastiera – e non la barra spaziatrice. In termini generali, il
testo del componimento è riprodotto con il carattere tondo. Non si esprimono, qui, preferenze per la
tipologia Times new roman, per l’Arial o per altre; in linea di massima, la dimensione del carattere
può attestarsi sul 12 nel testo, sul 10 in nota a piè di pagina. L’interlinea nel testo dovrebbe essere
preferibilmente «1,5 righe» (nella barra di Word premere Formato, poi Paragrafo e selezionare
l’opzione prescelta nel campo Interlinea); l’interlinea nelle note è automaticamente «singola»
all’apertura della nota.
Salvo che si concordi diversamente con il proprio relatore/editore, nel testo e nelle note non
si dovrebbe far mai ricorso alla sottolineatura, al grassetto, al TUTTO MAIUSCOLO. In un
componimento di una certa estensione e di struttura articolata, il grassetto può essere utilizzato, al
limite, per i titoli dei capitoli e dei paragrafi. Eventualmente si ponga in carattere corsivo o tra apici
alti ‘…’ la parola o l’espressione cui si voglia conferire particolare risalto (espedienti da usarsi,
tuttavia, con moderazione). Esempio: «la verità era che lui voleva uccidere»; «l’inquisito non
poteva essere considerato, a rigor di termini, ‘eretico’».
1
● Parole in latino e in lingua straniera
Se occorre scrivere una o più parole in latino – o espressioni straniere non entrate nell’uso
comune italiano (si consulti, al riguardo, un dizionario aggiornato) – occorrerà differenziarla/le,
rispetto al testo che si sta scrivendo in carattere tondo, rendendola/le con il corsivo (principio di
inversione dello stile). Esempio: «Nel volume recentemente edito, il ricco patrimonio librario della
Bibliotheca Senatus Mediolanensis ha offerto più spunti di riflessione…». Altri esempi:
«Lavoravano in équipe e con un budget ridotto»; «Del resto, precisava il giurista, occorreva valutare
i pro e i contra di quell’insolita opinio dottrinale».
NB: si anticipa subito che nei rinvii bibliografici espressi in nota o elencati (in ordine
alfabetico per autore) nella bibliografia finale, il corsivo va usato per tutti i titoli: libri, articoli,
saggi, opere pittoriche, testi musicali, ecc. Se, tuttavia, il titolo presenta una o più parole o perifrasi
in latino o – se l’opera è in italiano – in lingua straniera, tali parole o perifrasi vanno rese in
carattere tondo in ossequio, ancora una volta, al principio dell’inversione dello stile. Si consideri, ad
esempio, il titolo di un saggio di Manlio Bellomo: «M. BELLOMO, Legere, repetere, disputare.
Introduzione ad una ricerca sulle “quaestiones” civilistiche», dove le prime tre parole in latino
sono volte in tondo, in ottemperanza all’inversione rispetto al titolo in corsivo. Si noterà invece, in
apparente contraddizione, come la parola latina quaestiones sia riprodotta in corsivo: essa, però, è
stata posta da Bellomo tra virgolette alte, il che comunque la differenzia rispetto alla restante parte
del titolo in italiano. Se – viceversa – tutto il titolo si compone di parole o di espressioni in latino, si
usi il corsivo, come nel caso di una ricerca di Fransen e Kuttner, due celebri studiosi di diritto
canonico degli anni sessanta: Summa ‘Elegantius in iure divino’ seu Colonensis.
Si raccomanda di comporre le parole straniere secondo la grafia della lingua originale, sia
per quanto concerne l’uso di particolari segni grafici («ä, ü, ö, ñ, ç» ecc. reperibili cliccando
Inserisci nella barra alta di Word, poi Simbolo, selezionando la casella che interessa e confermando
con Inserisci o un doppio clic sul simbolo scelto), sia riguardo le vocali accentate («Ancien
Régime»).
● Citazioni del pensiero altrui
Per le citazioni dirette del pensiero altrui, sia nel testo che in nota, si ricorra alle virgolette
basse caporali «…» (come sopra, nella barra alta di Word, secondo la sequenza Inserisci, Simbolo,
Inserisci; non si usino i caratteri della tastiera <<…>>). Entro le virgolette basse caporali la
citazione si scrive in carattere tondo indipendentemente dalla lingua – italiano, latino, inglese,
tedesco, ecc. – usata dall’autore e senza necessariamente iniziare e chiudere la citazione con puntini
di sospensione.
La citazione va riportata nel rispetto del documento originale, senza cioè alterare parole o
frasi da citare quanto all’uso di maiuscole e punteggiatura: così, se il brano citato contiene una
parola in corsivo, essa sarà mantenuta nello stesso carattere. Se nel testo altrui, poi, sarà dato
addirittura di rinvenire una parola errata – non di rado infatti, specie nei testi latini delle fonti
manoscritte o a stampa, le imprecisioni grammaticali o sintattiche sono dovute all’ignoranza o a
sviste degli amanuensi o a refusi editoriali – non la si correggerà ma si segnalerà al lettore con un
punto esclamativo tra parentesi tonde (!) che il vocabolo interessato è stato scritto proprio così nella
fonte da cui si trae spunto.
Se però, per stringenti ragioni di sintassi e in casi eccezionali, si dovesse essere costretti a
modificare la forma della citazione, la parte modificata andrà in corsivo, proprio per segnalare al
lettore che si è intervenuti sul brano riportato. Si cerchi, tuttavia, di ricorrere il meno possibile a
questo espediente; si adatti piuttosto il tenore sintattico-grammaticale del testo che si sta
componendo affinché si armonizzi con il brano da citare, soprattutto nel rispetto delle concordanze
del latino (esempio: affermava il filosofo che «omnis res huius mundi» altro non è che «exemplum
universalis armoniae»). Se si intende omettere una parola o una locuzione (o intere frasi) per
semplificare una citazione che risulterebbe troppo estesa, si pongano tre punti tra parentesi tonde
(…) là dove si omette. Esempio: in un saggio di qualche anno fa, Umberto Santarelli osservava che
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«l'usura era moralmente riprovevole e giuridicamente perseguibile (...) in quanto realizzava un
indebito sfruttamento della miseria del mutuatario». Nella frase originale di Santarelli i due verbi
sono al presente indicativo: le lettere in corsivo avvertono della licenza presa da chi sta scrivendo.
In realtà, avrei potuto lasciare il tempo presente e non avrei comunque corso il rischio di creare un
problema di concordanze sintattiche, ma ho volontariamente effettuato la modifica per offrire, qui,
un esempio più articolato e completo.
Nel caso vi siano già, nel brano da riportare, parole o espressioni virgolettate perché a loro
volta frutto di una citazione, entro le caporali si usino le virgolette alte “…”. Esempio: come annota
Gigliola Di Renzo Villata, «un personaggio chiave, emblematico del passaggio senza traumi della
cultura d’ancien régime ad una scienza giuridica ad impronta codicistica è di certo “le plus savant
des professeurs de la Faculté” Ambrogio Laberio». Qui tutto il periodo ricompreso tra «…» è tratto
da un saggio della Di Renzo Villata, nel quale troviamo – da lei citato tra “…” – un brano di altro
studioso, Riccardo Ferrante.
Allorché si intende inserire una nota a piè di pagina, la quale offra ragione della citazione
con adeguato rinvio bilbiografico, il numero di nota (preferibilmente ad esponente e in carattere
ridotto) verrà collocato subito dopo le virgolette basse e prima dell’eventuale segno di
interpunzione. Esempio: … tema che, come ricorda Ennio Cortese, aveva suscitato «un ampio
dibattito tra gli studiosi» e aveva sollevato «seri problemi di datazione del manoscritto»9. In tal
caso, la nota viene opportunamente aperta solo in corrispondenza della chiusura dell’ultima delle
due frasi estrapolate dal pensiero diretto dell’autore. A piè di pagina si darà conto in quest’unica
annotazione dell’opera di Cortese da cui si è tratto il duplice spunto, indicando naturalmente la
pagina (o le pagine) in cui si rinviene il testo citato.
In nota meglio evitare il pur diffuso «cfr.» (sigla che significa «confronta/confrontare»); è
preferibile ricorrere ad espressioni sciolte come «si veda», «si rinvia», «si consideri» ecc. e perifrasi
comunque idonee ad introdurre una segnalazione bibliografica, del tipo «per un puntuale riscontro
storiografico, si abbia presente/si tenga conto di…», «si segnalano, qui, essenziali rimandi
bibliografici: tra gli altri, …», ecc.
Le citazioni lunghe – oltre le 5 righe – vanno preferibilmente rientrate e riprodotte in corpo
minore (se il testo è in carattere 12, la citazione rientrata andrà resa magari in carattere 10). Non si
aggiungano, in tale frangente, le virgolette basse caporali. Ecco, di seguito, un esempio: per indicare
la fonte da cui è stato tratto il brano, si apporrà la nota (3) all’ultima parola della citazione
(«Collegio») e prima del punto fermo finale:
ricercato dal magnifico Fiscale in nome di Vostra Signoria molto Illustre, ho a lui dato due copie di bolle,
che mi trovo sopra il giudicar le cause eccetionali da Dottori di Mantoa, l’una è l’ordinatione di Clemente
7° sopra la qual hoggi è fondata tutta l’authorità di chi giudica, che però puoco comprehende, et causa
nullità infinite, l’altra è copia d’una che io feci trovandomi a Trento col signor Cardinale Hercole di
felice memoria per proveder, che mai più si levassero cause di Mantoa né si riducessero altrove, con
l’occasione d’un monitorio, che havea ottenuto il Bertoldo contro Sua Signoria Illustrissima, et ove era
anco nominata Sua Altezza non volendosi dar essecutione a certe sententie, che lui haveva fatto dar in
Roma, instando et procurando io presso Sua Signoria Illustrissima, puoi che nostro Signore lo gratia(v)a
ordinariamente, che a ciò provedess(e) per beneficio et utilità publica di questa Città, et Dominio, et anco
per honor del Collegio3.
Nella nota 3 a piè di pagina preciserò, appunto, gli estremi della fonte – in questo caso,
archivistica (si vedano oltre gli esempi di cui al n. 16) – da cui ho estrapolato l’intero brano,
fornendo magari, in sobrio tono descrittivo, informazioni circa la natura del documento manoscritto
desumibili dall’esame dello stesso:
3
ASMn, Archivio Gonzaga, b. 2615, fasc. XXXVIII, 28.7.1581, lettera autografa di Francesco Borsati ad Aurelio
Zibramonti.
In una diversa prospettiva, se nel testo in italiano occorre intercalare con grande frequenza
parole in latino (tratte direttamente dall’opera di un giurista cinquecentesco, per fare un esempio) al
fine di rendere con fresca immediatezza il pensiero dell’autore, si potrà agire come segue:
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alternando cioè, per un ragionevole criterio di economia, italiano (in tondo) e latino (in corsivo)
senza aprire e chiudere di continuo le virgolette basse caporali «…», facendo però sempre
attenzione alle concordanze e assicurando una perfetta integrazione tra le due parti testuali. Ecco un
significativo esempio: «Il consiliator apre il testo vero e proprio del consulto riaffermando il
principio cardine ne bis in idem, ai sensi del quale reus semel diffinitive absolutus, amplius inquiri
de eodem delicto nequit, anche qualora siano venuti alla luce nuovi indizi. Le deposizioni rese dai
due testimoni prodotti contro il reo minime probant (...) nec Hilario nocent: uno, infatti, avendo
prima affermato e poi negato sotto giuramento, va considerato uno spergiuro, al quale sia ai sensi
dello statuto di Mantova sia de iure communi non può essere attribuita alcuna fede, nemmeno ad
formandam inquisitionem. Il secondo teste è qualificato, a sua volta, come periurus, infamis, varius,
contrarius, ac in effectu omni vitio, et inhabilitate notatus, sicché a lui nulla prorsus fides
adhibeatur». E via dicendo.
● Segni d’interpunzione e spazi
Dopo un segno di interpunzione va posto lo spazio. Specificamente, lo spazio va tra iniziale
(puntata) del nome di battesimo e cognome nelle citazioni bibliografiche. Esempio: «C. BENATTI».
Eccezioni: le iniziali puntate dei doppi nomi (G.P. MASSETTO); espressioni convenzionali come
«a.a.» (anno accademico), «a.C.» (avanti Cristo), «d.C.» (dopo Cristo), «s.d.» (senza data di stampa,
quando un libro non offra in alcuna sua parte una qualsiasi indicazione della data di edizione o di
stampa), «s.l.» (senza luogo di stampa, quando un libro non offra in alcuna sua parte una qualsiasi
indicazione del luogo di edizione o di stampa), «n.n.» (non numerato/a/i/e), «n.s.» (nuova serie) e
poche altre.
Si inserisca lo spazio prima e dopo il trattino lungo didascalico, utilizzato in alternativa alle
virgole per le frasi incidentali. Esempio: «L’espressione in esame – vale la pena ribadirlo –
suggerisce diverse interpretazioni» (fare attenzione a non porre l’incidentale fra trattini di diversa
dimensione, uno lungo e uno corto!). Lo spazio non va dopo il trattino lungo didascalico nel caso in
cui l’incidentale chiuda anche il periodo. Esempio: «il teorema si ritiene, così, dimostrato – né resta
spazio per altre considerazioni –. D’altro canto…». Con il trattino breve, invece, per lo più non si
spazia. Esempio: «C.M. BELFANTI-M.A. ROMANI» (trattino breve di separazione tra due coautori di
un contributo), «1915-1918», «nord-est», «politico-istituzionali», ecc.
Quando si vuole inserire una nota a piè di pagina con la procedura di Word (Inserisci, poi
Nota a piè di pagina, selezionare Numerazione automatica, dare l’ok), il numero ad esponente
generato automaticamente dal computer dovrà trovarsi addossato immediatamente alla parola alla
quale si vuole allacciare la nota e prima del segno di interpunzione, ma dopo la chiusura delle
virgolette basse caporali e della parentesi. In altre parole, con il mouse si porterà il cursore subito a
ridosso della parola (o del simbolo grafico) a cui si intende apporre la nota. Esempio: L’evoluzione
del senato di Mantova è stata tratteggiata in un noto saggio di Cesare Mozzarelli1. Altro esempio:
Cesare Mozzarelli ha parlato, al riguardo, di «irrisolto problema storiografico»2. Poiché ogni nota a
piè di pagina si apre automaticamente come «allineata a sinistra», si abbia cura, fin dall’inizio, di
impostarla come «giustificata» (in alto, nella barra di Word).
● Procedura di controllo/correzione delle spaziature
Ogni segno di interpunzione segue immediatamente la parola che lo precede. Alla fine della
sessione di lavoro, verificare con cura che non siano rimaste, nel testo e nelle note che si sta
scrivendo, una o più battute prima di un punto, di una virgola o di qualsiasi altro segno di
interpunzione. Ecco un semplice espediente per effettuare il controllo e la correzione: in Word si
prema Modifica, poi Trova (simbolo del binocolo), in Trova si batta uno spazio seguito da una
virgola e in Sostituisci si batta solo la virgola, cliccando infine Sostituisci tutto per azionare il
controllo e la correzione su tutto lo sviluppo del file.
Si ripeta il controllo/correzione anche con il punto e gli altri segni di interpunzione, oltre che
con l’apostrofo (trovare «apostrofo spazio» e sostituire con «apostrofo»: è infatti sbagliato scrivere
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«l’ accesso», «un’ occasione», ecc.). Per individuare ed eliminare eventuali doppie o triple battute
di spazio (dovute per lo più ad un uso errato della barra spaziatrice) si proceda in modo analogo: in
Trova si battano due spazi e uno solo in Sostituisci. Meglio ripetere il controllo due volte, così da
scongiurare i tripli e quadrupli spazi.
● Parole accentate
Fare particolare attenzione alle parole accentate: le vocali «a, i, o, u» in fine di parola hanno
l’accento grave («à, ì, ò, ù», in lemmi come «città, altresì, ciò, più»). La vocale «e», finale, porta
quasi sempre l’accento acuto (é): «perché, poiché, benché, giacché, affinché, né…né, testé», ecc.;
eccezioni con l’accento grave: «è, cioè, caffè, tè, Mosè, Giosuè, ahimè, piè», ecc., oltre alle voci
derivate dal francese («gilè, lacchè»). «Sé», particella pronominale, è accentata quando non
accompagnata dalla parola «stesso/a»: «parlava per sé»; «pensava solo a se stesso». La voce del
verbo essere «è» iniziale di frase va resa sempre con la maiuscola «È» (selezionata dalla barra di
Word con Inserisci, Simbolo, ecc.; non si scriva «E», né altra vocale maiuscola, con l’apostrofo!).
Rispettare gli accenti nelle parole straniere, secondo la lingua originale («équipe»).
● Date
Le date, nel testo e in nota, vanno scritte in forma estesa: «25 aprile 1945»; «1915-1918» o,
al limite, «1915-18» (non «’15-’18» o «1915-‘18»). Per ragioni di economicità sono ammesse le
date rese in cifre allorché, soprattutto in nota, se ne debbano citare molte, specie in sequenza e in
riferimento a numerosi documenti di fonti seriali. Esempio: «24.6.1245» (cifre puntate senza spazi
intermedi).
Per i secoli ci si regoli come segue: «Trecento» con iniziale maiuscola, oppure «secolo
XIV» o «XIV secolo». Le forme precedenti sono preferibili a «’300», che pure si trova spesso
utilizzata (non «trecento», «milletrecento»). Altro esempio: «Passiamo ora alla scienza giuridica nel
Tre e nel Quattrocento». Le date di rilievo storico si scrivono con la maiuscola: il «Primo maggio»,
(non «I° maggio»), il «Sessantotto», la guerra del «Quindici-Diciotto». Ancora: «gli anni venti e
trenta del Novecento» (non «anni ’20 e ‘30», né «anni Venti»; in tali ultimi casi specifici, peraltro,
va detto che non si registra uniformità).
● Maiuscole/minuscole
Suggerimento generale è quello di contenere al massimo l’uso delle lettere maiuscole. Vi si
ricorre nei seguenti casi:
- nomi propri, cognomi, soprannomi, pseudonimi di persone («Giovanni dalle Bande Nere»;
ma anche appellativi di personaggi storici, come «lo Stagirita» per Aristotele);
- nomi propri di istituzioni, enti (di solito – ma non sempre – solo nella parola iniziale:
«Comitato di liberazione nazionale», «Camera dei Deputati», «lo Stato», «il Parlamento»,
«Università degli Studi di Milano»);
- nomi che indicano epoche e fenomeni storici di rilievo («Risorgimento», «Rivoluzione
francese», «Seconda guerra mondiale») e nomi di località geografiche comprensivi di
un’indicazione cardinale («Irlanda del Nord», «Sud-est asiatico», «Estremo Oriente», «i paesi
dell’Occidente»; ma «nord, sud, est, ovest», «dirigersi verso occidente», ecc.);
- nomi di documenti ufficiali («la Costituzione repubblicana», «lo Statuto dei lavoratori»);
- le espressioni con cui si designano le persone della Trinità e la Madonna (di solito – ma
non sempre – solo un termine per ogni soggetto divino): «il Padre», «il Figlio», «lo Spirito Santo»,
«la Vergine», «l’Onnipotente», «il Creatore», «il Verbo», «il Signore»; «Dio padre onnipotente»,
«la vergine Maria», «Gesù Cristo», «nostro signore Gesù Cristo figlio di Dio», ecc.); nomi delle
festività («Pentecoste», «Pasqua», «Natale», «l’Avvento», «l’Annunciazione»; ma [vedi oltre] «la
festa di s. Lucia»);
- «Chiesa» e «Impero» (intesi come enti universali, senza aggettivi; ma richiedono la
minuscola «chiesa cattolica», «impero romano-cristiano»; si considerino inoltre «papa/pontefice» e
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«imperatore» e i titoli nobiliari «marchese», «duca», «conte»). L’abbreviazione «s.» per «santo/a»,
«san», va maiuscola se ci si riferisce all’edificio/istituto religioso («la chiesa di S. Andrea a
Mantova», «il monastero di S. Benedetto di Polirone», «il piccolo convento di S. Lucia»),
minuscola se si indica la persona del santo o il giorno della sua ricorrenza/festa («la profonda
spiritualità di san Francesco», «a Mantova si attende la festa di s. Lucia», «la ricorrenza dei ss. Tito
e Timoteo»).
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------PARTE SECONDA. Esemplificazioni di citazioni delle fonti consultate.
NB: quando si cita un contributo bibliografico mentre si compone una nota a piè di pagina,
l’iniziale puntata del nome (abbreviato) precede il cognome scritto per steso («Ricca la bibliografia
in merito. Si rinvia a G. SANDRI, …»). Quando invece, alla fine dell’articolo/saggio/libro, si redige
l’elenco bibliografico completo delle opere consultate e utilizzate in nota – in ordine alfabetico per
cognome degli autori – il cognome in forma estesa precede l’iniziale puntata del nome («SANDRI G.,
…»).
1) G.P. MASSETTO, Saggi di storia del diritto penale lombardo (Secc. XVI-XVIII), Milano 1994.
Si tratta della citazione generica di un libro, senza rinviare a una o più pagine del medesimo. Si avverte fin d’ora che i
dati identificativi di un’opera vanno desunti dall’attenta lettura del frontespizio interno, cioè dalla prima pagina a
stampa, da consultare con scrupolo; non fidarsi della sola copertina, che può essere difforme! Il nome di battesimo
dell’autore (Gian Paolo) è abbreviato alle lettere iniziali: maiuscole, puntate e senza spazio intermedio. Una spaziatura
corre invece tra il nome abbreviato e il cognome. Il cognome è scritto in maiuscoletto, un carattere che presenta
l’iniziale maiuscola e le lettere successive della parola in formato leggermente minore (dopo aver scritto normalmente
la parola ‘Massetto’ e averla selezionata, nella barra alta di Word cliccare Formato, Carattere, scegliere Maiuscoletto e
dare l’ok. Procedere così, preferibilmente, dopo che si siano già scritti tutti gli estremi dell’opera, selezionando solo il
nome o i nomi da rendere in maiuscoletto). Subito dopo l’autore viene apposta una virgola in carattere tondo, seguita da
uno spazio. Il titolo del libro, comprensivo di eventuale sottotitolo (che, magari assente in copertina, può comparire nel
frontespizio interno), va scritto integralmente in carattere corsivo: in questo caso il titolo ricomprende anche una
parentesi tonda con l’indicazione dei secoli di riferimento. Si torna al carattere tondo per la virgola, seguita da uno
spazio. Luogo e data di edizione, anch’essi in carattere tondo, sono separati da una spaziatura. Al termine, punto fermo
finale. Si tralascia – salvo contraria espressa pretesa dell’editore – la menzione della casa editrice (se richiesta, meglio
inserirla tra il luogo e l’anno, tra virgole; si è soliti aggiungere i dati relativi all’officina del tipografo/stampatore per le
opere del Cinque-Sei-Settecento, specie laddove si stia redigendo uno specifico catalogo bibliografico).
Attenzione. Spesso alcuni editori optano per rendere il nome dell’autore in carattere tondo e non in maiuscoletto: «G.P.
Massetto, Saggi di storia del diritto…».
2) R. CANOSA, I. COLONNELLO, Gli ultimi roghi. La fine della caccia alle streghe in Italia, s.l. 1983
(Sapere 2000. Critica del diritto, quaderno 1).
Oltre agli accorgimenti descritti nell’esempio precedente, qui abbiamo due autori (separati di solito da una virgola: ma
spesso anche dal trattino breve senza spazi intermedi). Dopo il titolo, la sigla «s.l.» – puntata e senza spazi – sta per
«senza luogo» (il luogo di edizione non è rintracciabile, infatti, in nessuna parte del volume). Se mancasse, anche in
fondo al libro, una qualsiasi indicazione della data di pubblicazione, si scriverebbe analogamente la sigla «s.d.» Dopo
l’anno segue spaziatura e una duplice parentesi tonda in carattere tondo, entro la quale sono segnati, in carattere corsivo,
gli estremi della collana editoriale in cui il testo è inserito. Si faccia attenzione: gli estremi della collana in non pochi
casi sono indicati proprio in cima al frontespizio interno del volume, ma per lo più i dati ad essa relativi si ricaveranno
solo compulsando attentamente la pagina successiva al frontespizio stesso (talora, all’opposto, quella precedente).
3) M. BELLOMO, Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di Iacopo Belvisi, Taddeo
Pepoli, Riccardo Malombra e Giovanni Calderini, già in Per Francesco Calasso. Studi degli
allievi, Roma 1978, pp. 9-57, ora in M. BELLOMO, Medioevo edito e inedito. III, Profili di giuristi,
Roma 1998 (I libri di Erice, 20), pp. 129-177.
Il saggio di Manlio Bellomo è stato originariamente edito nel 1978 in un’opera collettanea dedicata dagli allievi al loro
Maestro, Francesco Calasso, ma è stato riproposto a distanza di vent’anni in un successivo lavoro in tre volumi dello
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stesso Bellomo, che avuto larga diffusione e che – nel caso specifico – è stata la fonte bibliografica effettivamente
visionata. Va da sé che, se si leggerà quest’ultima pubblicazione, non si sarà tenuti a cercare e a leggere anche quella
precedente, i cui estremi sono comunque segnalati da Bellomo nel nuovo lavoro del 1998.
Mi soffermo in ogni caso su come è stato citato il libro del 1978. Nel frontespizio interno non si reperisce indicazione di
uno o più curatori (che, se presenti, sarei tenuto a menzionare), mentre l’espressione «Studi degli allievi», la quale è
parte integrante del titolo, suggerisce che gli allievi di Calasso sono gli autori dei diversi saggi confluiti nel volume. Ci
si limiterà, allora, a riportare il titolo – come al solito – in corsivo: Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, seguito –
oltre che dal luogo e dalla data di edizione – anche dall’indicazione delle pagine («pp.», non «pagg.») entro le quali il
saggio è ricompreso. Meglio evitare le espressioni, pur talora ricorrenti, «p. 9 sgg» o «p. 9 ss.»; una più corretta
informazione bibliografica richiede che si riportino gli estremi completi dell’estensione del contributo, ossia le pagine
dalla prima all’ultima, comprese quelle dove l’autore, in coda allo scritto vero e proprio, abbia eventualmente aggiunto
un’appendice documentaria.
Le parole «già in» (in carattere tondo) che precedono l’opera collettanea mettono sull’avviso che il saggio, dopo essere
stato edito la prima volta nel volume celebrativo, è stato poi ripubblicato («ora in») almeno in un’altra occasione: nello
specifico, come si diceva, in uno studio dello stesso Bellomo dal titolo Medioevo edito e inedito articolato in tre volumi.
Più precisamente, il saggio in questione è stato inserito nel terzo, dal titolo Profili di giuristi (non si scriva «III vol.» o
«volume III», ma solo «III» in carattere tondo). Conclude, tra parentesi tonde, l’indicazione – in corsivo – della collana
nella quale lo studio trova collocazione e del relativo numero; da ultimo, e in tondo, vanno segnalate le pagine di
estensione del saggio all’interno del terzo tomo. È appena il caso di notare che dopo «ora in» – allorché si è richiamato
il volume «Medioevo edito e inedito» del 1998 nel quale Bellomo ha ripubblicato il proprio contributo di vent’anni
prima – si è giustamente riproposto il nome «M. BELLOMO» anziché scrivere «ID.» (sempre in maiuscoletto, per
«IDEM», che significa «il medesimo»: si veda oltre nella parte terza dedicata alla composizione delle note a piè di
pagina). È vero infatti che, l’autore di «Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca…» è lo stesso studioso che ha scritto
i tre volumi di «Medioevo edito e inedito», ma la citazione intermedia («Per Francesco Calasso. Studi degli allievi»)
inerisce ad una opera diversa (e di autori diversi, seppur non indicati nel frontespizio) e obbliga appunto, nella sequenza
di rinvii bibliografici, a ripetere per esteso «M. BELLOMO».
Poiché il saggio di Bellomo è stato pubblicato in due distinte occasioni, si abbia l’accortezza di segnalare da quale delle
due pubblicazioni si è tratto effettivamente spunto per mutuare un’espressione o una frase di Bellomo o per riferire il
suo pensiero con parole proprie di chi scrive, se da quella del 1978 o da quella successiva del 1998: dopo l’indicazione
delle pagine del saggio in concreto compulsato, si aggiungerà (tra virgole, tra parentesi o fra trattini lunghi) una breve
frase del tipo «da cui si cita, in particolare p. …» o «citazione tratta da p. …» se si tratta di citazione diretta di parole o
frasi di Bellomo. Se non si tratta di citazione diretta del suo pensiero, ma di semplice commento/esposizione con parole
nostre di alcune sue tesi specifiche, oppure di rinvio ad una parte del saggio che denota un peculiare interesse per
l’argomento che si sta affrontando, basterà scrivere una locuzione del tipo «in particolare, alle pp. …» o «con
particolare riguardo alle pp. …», ecc.
Esempio: se si riporta nel testo (o in nota) un periodo estrapolato dal testo di Bellomo di pagina 132 del terzo volume di
Medioevo edito e inedito del 1998, nella prima occasione in cui si menziona in nota l’opera si potrà scrivere come
segue: M. BELLOMO, Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di Iacopo Belvisi, Taddeo Pepoli, Riccardo
Malombra e Giovanni Calderini, già in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, Roma 1978, pp. 9-57, ora in M.
BELLOMO, Medioevo edito e inedito. III, Profili di giuristi, Roma 1998 (I libri di Erice, 20), pp. 129-177, citazione
tratta da p. 132. Se invece si desidera semplicemente precisare che un certo tema è stato trattato o approfondito da
Bellomo alle pp. 160-165 del medesimo saggio, sempre in sede di primo richiamo dell’opera si scriverà: M. BELLOMO,
Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di Iacopo Belvisi, Taddeo Pepoli, Riccardo Malombra e Giovanni
Calderini, già in Per Francesco Calasso. Studi degli allievi, Roma 1978, pp. 9-57, ora in M. BELLOMO, Medioevo edito
e inedito. III, Profili di giuristi, Roma 1998 (I libri di Erice, 20), pp. 129-177, in particolare alle pp. 160-165.
A proposito della citazione nelle note successive di opera già richiamata in precedenza, si veda nella parte terza.
4) Bibliotheca Senatus Mediolanensis. I libri giuridici di un Grande Tribunale d’ancien régime, a
cura di G. BUCCELLATI e A. MARCHI. Direzione scientifica A. PADOA SCHIOPPA, G. DI RENZO
VILLATA. Testi di C. DANUSSO, G. DI RENZO VILLATA, L. GARLATI GIUGNI, G.P. MASSETTO, G.
MONTECCHI, A. MONTI, A. PADOA SCHIOPPA, A. SANTANGELO CORDANI, C. VALSECCHI, G.
VISMARA, Milano 2002.
Il volume raccoglie scritti di più studiosi sul patrimonio librario della Biblioteca del Senato di Milano. Di norma,
all’interno di un testo in lingua italiana redatto in carattere tondo, le parole in latino o in idioma straniero vanno rese,
per distinguerle, con il carattere corsivo (principio di inversione dello stile). Nel caso in esame però, come sopra
anticipato (si veda la parte prima), poiché il titolo del volume va trascritto in corsivo e le prime tre parole del titolo
medesimo sono in lingua latina, per il principio dell’inversione dello stile vanno rese in carattere tondo. Il resto del
titolo sarà, normalmente, in corsivo. Segue, in tondo, l’espressione «a cura di» con i nomi dei curatori del volume resi in
maiuscoletto (attenzione a non scrivere in maiuscoletto anche la congiunzione «e»!). Allo stesso modo (maiuscoletto) si
procede con i nomi dei titolari della direzione scientifica. Analogamente, le parole «Testi di» (anch’esse in tondo)
introducono l’elenco abbastanza nutrito degli autori dei saggi raccolti (di nuovo in maiuscoletto). NB: i nomi degli
7
autori presenti nel frontespizio interno (ma anche quelli dei curatori e – se indicati nello stesso frontespizio – dei
traduttori, di coloro che hanno scritto un’introduzione o una prefazione, ecc.) vanno trascritti con pazienza tutti. Va
assolutamente evitata la sigla di comodo «AA.VV.» per «Autori Vari», ammissibile soltanto allorché si ricorra, nella
redazione delle note, al metodo 2 più sotto descritto.
Se del volume sopra menzionato si intendesse poi citare, in particolare, il contributo di Chiara Valsecchi dal titolo La
letteratura consiliare, il quale occupa le pagine dalla 153 alla 164 del volume, si scriverà così: C. VALSECCHI, La
letteratura consiliare, in Bibliotheca Senatus Mediolanensis. I libri giuridici di un Grande Tribunale d’ancien régime, a
cura di G. BUCCELLATI e A. MARCHI. Direzione scientifica A. PADOA SCHIOPPA, G. DI RENZO VILLATA. Testi di C.
DANUSSO, G. DI RENZO VILLATA, L. GARLATI GIUGNI, G.P. MASSETTO, G. MONTECCHI, A. MONTI, A. PADOA
SCHIOPPA, A. SANTANGELO CORDANI, C. VALSECCHI, G. VISMARA, Milano 2002, pp. 153-164.
5) M. BELLOMO, Saggio sui ‘consilia’ di Giovanni Calderini, in Rivista di storia del diritto italiano,
50 (1977), pp. 119-126.
Fermo restando, per i termini in latino, il principio dell’inversione dello stile, in questo caso particolare l’autore ha
comunque voluto distinguere la parola latina consilia rispetto al resto del titolo in italiano: lo ha fatto ponendola tra
apici alti (’…’), per cui essa finisce col mantenere il carattere corsivo del resto del titolo. Lo stesso avverrebbe se una o
più parole del titolo fossero riportate originariamente, dall’autore, tra virgolette alte (“…”) o tra virgolette basse
caporali («…»). Il saggio di Bellomo è pubblicato in una rivista scientifica, di cui occorre indicare i dati identificativi
principali: titolo, anch’esso in corsivo (preceduto dalla preposizione «in» in tondo), numero di serie o di annata («50»,
in numeri arabi salvo diversa indicazione) che precede la data, posta tra parentesi tonde, oltre la segnalazione precisa
delle pagine della rivista occupate dal saggio. Per la punteggiatura e le spaziature ci si regola come negli esempi
precedenti. L’eventuale numero di fascicolo – se, ad esempio, un dato numero della rivista si articolasse in più fascicoli
rilegati insieme, ciascuno a numerazione di pagine indipendente – va indicato dopo la data, tra virgole.
Per un riconosciuto principio di economia applicato alle riviste/periodici, è convenzione assodata che debbano essere
omessi i nomi del direttore, del o dei curatori e dell’istituto che promuove la pubblicazione della rivista/periodico: dati
che pure, di solito, si ritrovano tutti nel frontespizio interno.
Se la summenzionata Rivista di Storia del Diritto Italiano dovesse ricorrere parecchie volte nelle note del lavoro che si
sta scrivendo, in occasione della sua prima citazione si potrà segnalare, tra parentesi quadre e in carattere tondo, che –
da quel momento in poi – per comodità si adopererà la sua sigla in lettere maiuscole corsive al posto della
denominazione in corsivo e per esteso. Le parentesi quadre […] si ottengono con Ctrl+Alt+simbolo sulla tastiera. Così:
M. BELLOMO, Saggio sui ‘consilia’ di Giovanni Calderini, in Rivista di storia del diritto italiano [d’ora in poi: RSDI],
50 (1977), pp. 119-126. Perciò, rinviando successivamente ad un saggio di Marco Cavina pubblicato nella medesima
rivista già citata la prima volta mentre si rinviava allo studio di Bellomo, si potrà scrivere: M. CAVINA, Indagini intorno
al “mos respondendi” di Andrea Alciato, in RSDI, 57 (1984), pp. 207-251.
Segnalo qui un’altra modalità, assai diffusa, di citare la rivista o il periodico: essa pone il titolo della rivista/periodico
tra virgolette basse caporali e in carattere tondo: M. BELLOMO, Saggio sui ‘consilia’ di Giovanni Calderini, in «Rivista
di storia del diritto italiano», 50 (1977), pp. 119-126. L’importante comunque è che, una volta fatta la scelta su come
citare, si mantenga sino alla fine lo stesso criterio.
6) E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale. I. L'alto medioevo. II. Il basso medioevo, Roma
1995.
Trattasi di citazione unitaria e generica di opera del medesimo autore in due volumi indipendenti, pubblicati entrambi
nello stesso anno. L’opera reca il titolo comune Il diritto nella storia medievale; i titoli specifici del primo e del secondo
volume, in corsivo, sono preceduti, rispettivamente, dall’indicazione «I» e «II», preferibilmente in tondo. Se in nota
occorrerà rinviare a uno soltanto dei due volumi – ad esempio, il primo – perché quello soltanto si è dovuto consultare,
la citazione non presenta sorprese: E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale. I. L'alto medioevo, Roma 1995, seguita
dalla segnalazione della pagina («p.») o delle pagine («pp.») compulsate.
Nel caso che tra la pubblicazione del primo e del secondo volume di un’opera sia intercorso un certo periodo, nella
citazione generica si accorperanno in sequenza, come sopra, i titoli specifici dei due tomi e gli estremi cronologici
dell’opera completa: P. TORELLI, Un comune cittadino in territorio ad economia agricola. I. Distribuzione della
proprietà. Sviluppo agricolo. Contratti agrari. II. Uomini e classi al potere, Mantova 1930-1952 (R. Accademia
Virgiliana di Mantova. Serie Miscellanea, VII-XII). Se servirà rinviare solo al primo dei due volumi, si scriveranno gli
estremi identificativi ad esso relativi anche per quanto concerne l’eventuale trascrizione della collana: P. TORELLI, Un
comune cittadino in territorio ad economia agricola. I. Distribuzione della proprietà. Sviluppo agricolo. Contratti
agrari, Mantova 1930 (R. Accademia Virgiliana di Mantova. Serie Miscellanea, VII). Si noti appunto che,
nell’indicazione della collana in parentesi, si è dato il solo numero «VII» corrispondente al volume primo, pubblicato
nel 1930 (ove invece «XII» identifica, nella medesima collana, il volume secondo).
7) M. BOARI, v. Usura (diritto intermedio), in Enciclopedia del diritto, XLV, Milano 1992, pp.
1135-1142.
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Citazione di una voce contenuta in un’opera enciclopedica. È uno dei pochi casi in cui si ricorre ad una sigla puntata
(«v.») per abbreviare la relativa parola («voce»). La voce vera e propria – comprensiva, nel caso presente, del periodo
storico preso in esame dal curatore Boari – va in corsivo, come tutti i titoli. La preposizione «in» segnala che la predetta
voce sta nell’Enciclopedia del diritto, titolo da scrivere anch’esso in corsivo. Seguono, in tondo, il numero romano
corrispondente al numero del volume, il luogo dell’edizione e la data (l’indicazione del luogo è generalmente richiesta
per le enciclopedie), le pagine entro cui la voce è ricompresa.
Anche in questa circostanza, qualora nelle note si dovesse ricorrere spesso a voci desunte dall’Enciclopedia del diritto
in questione, la prima volta che si citerà l’Enciclopedia se ne offriranno al lettore gli estremi completi come sopra
indicati, seguiti da parentesi quadre contenenti la sigla abbreviata in lettere maiuscole corsive, preceduta
dall’espressione «d’ora in poi»: …, in Enciclopedia del diritto [d’ora in poi: ED], XLV, …ecc. Così, in un successivo
richiamo in nota di un’altra voce contenuta nella medesima Enciclopedia del diritto, si potrà scrivere: P. FIORELLI, v.
Accusa e sistema accusatorio (diritto romano e intermedio), in ED, I, Milano 1958, pp. 330-334.
8) M. BOURNE, v. Gonzaga, Cesare, in Dizionario Biografico degli Italiani, 57, Roma 2001, pp.
700-702.
Un’altra citazione di voce – questa volta relativa a personaggio storico – contenuta in una nota enciclopedia biografica,
il Dizionario Biografico degli Italiani (semplificabile, dopo il primo richiamo in nota, con la sigla «DBI»).
Analogamente, in un successivo rinvio in nota a una nuova voce pubblicata nel medesimo Dizionario Biografico degli
Italiani, si potrà scrivere: A. MAZZACANE, v. Claro, Giulio, in DBI, 26, Roma 1982, pp. 141-146.
9) A. BELLONI, L'insegnamento giuridico in Italia e in Francia nei primi decenni del Cinquecento e
l'emigrazione di Andrea Alciato, in Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo
ai nostri giorni: strutture, organizzazione, funzionamento. Atti del Convegno Internazionale di
Studi. Milano, 28 settembre-2 ottobre 1993, a cura di A. ROMANO, Soveria Mannelli 1995
(Materiali per una storia delle istituzioni giuridiche e politiche medievali moderne e
contemporanee. Atti, 2), pp. 137-158.
Siamo alle prese con una relazione letta in occasione di un convegno internazionale: la si cita come un articolo o un
saggio contenuto in un’opera collettanea. Infatti essa è ospitata, in veste di saggio, nel volume che racchiude gli atti di
quel convegno, intitolato Università in Europa. Le istituzioni universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni: strutture,
organizzazione, funzionamento e tenutosi a Milano nel 1993. Tutti i dati sono desunti, al solito, dall’attenta lettura del
frontespizio interno ed eventualmente dalle prime pagine a stampa dopo la copertina, dove magari si possono reperire
informazioni relative alla collana editoriale.
Il titolo del convegno, divenuto titolo del volume degli atti, va in corsivo. Le parole successive – che, appunto,
ricordano trattarsi degli atti di un convegno – sono trascritte in carattere tondo, nel rispetto delle lettere maiuscole che si
rinvengono nel frontespizio. Seguono – in tondo – il luogo e la data in cui il convegno si è tenuto (per la data si noti il
trattino breve posto senza spazi fra gli estremi cronologici), l’indicazione del curatore (in maiuscoletto), luogo e data di
pubblicazione (in tondo), la collana (in corsivo, tra parentesi tonde scritte in carattere tondo), le pagine di sviluppo
complessivo del saggio in questione (in tondo).
10) M. CARAVALE, Lo Stato pontificio da Martino V a Gregorio XIII, in M. CARAVALE-A.
CARACCIOLO, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978 (Storia d’Italia diretta da
Giuseppe Galasso, XIV), pp. 1-371.
È questo il corretto modo di rinviare ad un corposo saggio edito in uno dei grossi tomi della celebre Storia d’Italia
diretta da Giuseppe Galasso, della casa editrice UTET, presente in tutte le biblioteche. La solita preposizione «in» in
tondo precede gli estremi completi del volume di riferimento, a partire dagli autori del medesimo (in maiuscoletto). Il
titolo del volume XIV va in corsivo, luogo e data di pubblicazione in tondo. La collana si esprime, come di consueto, in
corsivo entro le parentesi tonde scritte in carattere tondo. Può capitare che l’editore richieda che il nome del direttore
dell’opera, in questo caso «Giuseppe Galasso», sia reso in maiuscoletto non corsivo, con il nome abbreviato: si avrebbe
perciò (Storia d’Italia diretta da G. GALASSO, XIV).
11) V. CORSINI, Il patrimonio fondiario del Monastero di San Benedetto in Polirone nel Medioevo
(sec. XV-XVI). Tesi di Laurea, rell.: V. FUMAGALLI, B. ANDREOLLI, Università degli Studi di
Bologna. Facoltà di Lettere e Filosofia. Corso di Laurea in Lettere Moderne, a.a. 1993-94.
Potrà capitare di consultare una tesi di laurea o di dottorato di ricerca, la quale non sia destinata a conoscere – o non
abbia conosciuto ancora – uno sbocco editoriale. In ogni caso, anche un lavoro di tal genere può meritare di essere
richiamato in nota, specie se di un certo pregio scientifico, non foss’altro che per offrire una maggior completezza
d’informazione sull’argomento che si sta sviscerando: pertanto si dovrà procedere dando tutte le informazioni
9
necessarie al lettore per reperire l’elaborato. Si seguono gli accorgimenti già evidenziati per l’autore e il titolo. Le
successive diciture sono tese a identificare con precisione la tesi di laurea, indicando il o i relatori (valgono, qui, le
abbreviazioni «rel.» o «rell.»), l’istituzione universitaria, la facoltà e – magari – il corso di laurea specifico (in genere
abbondano, per tutte queste denominazioni, le lettere maiuscole), infine l’anno accademico («a.a.») in cui la tesi è stata
discussa.
12) H. GEHRK, Konsilien, Konsiliensammlungen, in Handwörterbuch zur deutschen
Rechtsgeschichte. Herausgegeben von A. ERLER und E. KAUFMANN unter philologischer Mitarbeit
von R. SCHMIED-WIEGAND. Mitbegründet von W. STAMMLER. Redaktion: D. WERKMÜLLER. II.
Band, Berlin 1978, coll. 1102-1105.
Ecco la citazione di una voce («Konsilien, Konsiliensammlungen», ovvero «pareri, raccolte di pareri») tratta da una nota
opera a carattere enciclopedico in lingua tedesca. La sigla «v.» per «voce» scompare, trattandosi di volume in lingua
diversa dall’italiano; resta invece la preposizione «in», che introduce il titolo – in corsivo – dell’opera richiamata. Le
altre locuzioni (in tondo) corrispondono, rispettivamente, all’italiano «pubblicato/edito da», «con il contributo filologico
di», «cofondato da» e «redazione», le quali sono perciò seguite da nomi da volgere, al solito, in maiuscoletto, alla stessa
stregua di quanto più sopra visto per le citazioni di contributi italiani. Si faccia sempre attenzione – del resto – al
frontespizio interno. Si noti come l’opera non presenti la consueta ripartizione in pagine, ma in colonne (in ogni facciata
il testo è suddiviso in due colonne).
13) Dell’istoria ecclesiastica di Mantova del r. p. f. IPPOLITO DONESMONDI Minore Osservante
Parte seconda. Nella quale in altri cinque libri seguenti alla Prima parte, si descrive ciò che è
occorso in quella, appartenente massime al culto christiano, dal Concilio da Pio II. celebratovi,
fino a’ presenti tempi. Al sereniss. Sig. D. Ferdinando Gonzaga Cardinale, duca di Mantova, et di
Monferrato, etc., Mantova 1616, ristampa Bologna 1977.
Anche allorché ci si trova a dover citare opere antiche – a partire dalle edizioni incunabole (apparse prima dell’anno
1500) per passare ai libri a stampa del Cinque, del Sei e del Settecento – caratterizzate da frontespizi straordinariamente
prolissi, ricchi di termini, locuzioni, indicazioni di vario genere, occorre sempre rispettare la regola consueta: si
mantenga la massima fedeltà alle iscrizioni accolte nel frontespizio stesso, anche per quanto concerne punteggiatura e
uso delle maiuscole (anche se sovrabbondanti, l’una e le altre, rispetto alle convenzioni dell’italiano corrente). Si
mantengano anche le abbreviazioni presenti nell’originale (come nel caso del nostro esempio: «r. p. f.», per «reverendo
padre francescano»). Tutto quanto si trova nel frontespizio di tali opere può essere considerato alla stregua di un lungo
titolo: tutto, perciò – compresa la parola abbreviata finale «etc.» – va trascritto con pazienza in corsivo, ad eccezione del
nome dell’autore o degli autori (da rendere in maiuscoletto non corsivo) e del luogo e della data di edizione (le località
vanno mantenute in tondo anche quando siano scritte in latino, in caso ablativo o nell’antico caso genitivo locativo: gli
esempi «Venetiis», «Francofurti apud Moenum», «Lugduni», «Papiae», «Mantuae», «Romae» significano infatti «a
Venezia», «a Francoforte sul Meno», «a Lione», «a Pavia», «a Mantova», «a Roma», ecc.). Nell’esempio di cui sopra la
località è espressa invece in italiano corrente e, come si vede, si è fatto presente di aver consultato la ristampa del
volume, pubblicata a Bologna nel 1977.
In sede di prima citazione, dopo aver riportato come sopra tutti gli estremi dell’opera, potrò avvertire – con la consueta
formula tra parentesi quadre [d’ora in poi: …] – che la forma abbreviata nei rinvii successivi sarà: DONESMONDI,
Dell’istoria ecclesiastica di Mantova. Per inciso, tale forma abbreviata mi permetterà di indicizzare ottimamente
l’autore quando redigerò l’elenco bibliografico finale, in ordine alfabetico per cognomi; allora, infatti, tra gli autori
contemporanei e antichi che iniziano con la lettera «D», potrò aggiungere lo schema «forma abbreviata = citazione per
esteso», ovvero: DONESMONDI, Dell’istoria ecclesiastica di Mantova = Dell’istoria ecclesiastica di Mantova del r. p. f.
IPPOLITO DONESMONDI Minore Osservante Parte seconda. Nella quale in altri cinque libri seguenti alla Prima parte, si
descrive ciò che è occorso in quella, appartenente massime al culto christiano, dal Concilio da Pio II. celebratovi, fino
a’ presenti tempi. Al sereniss. Sig. D. Ferdinando Gonzaga Cardinale, duca di Mantova, et di Monferrato, etc.,
Mantova 1616, ristampa Bologna 1977.
In generale, per quanto riguarda la data di edizione dei testi antichi a stampa, i numeri romani siano volti in cifre arabe.
Esempio: l’anno «MDLXXXVIII» sia reso con «1588». Appare di frequente, in siffatti testi, il simbolo «&»: lo si
sciolga pure nella congiunzione latina «et». Per questo genere di opere, alla regola del pieno rispetto del frontespizio si
può convenzionalmente fare eccezione, di solito, in due circostanze: 1) quando si rinvengano espressioni relative ai
privilegi concessi per la pubblicazione, specie se provenienti da alte autorità religiose o laiche, tali espressioni si
ometteranno: saranno sostituite da tre puntini senza parentesi (esempio: la dicitura «Cum privilegio impressionis
Sanctae Sedis»; lo stesso dicasi in presenza dell’espressione «Cum gratia et privilegio Imperiali»). 2) Nella citazione in
nota e nell’elenco bibliografico finale si potranno tacere i riferimenti allo stampatore, sempre presenti nei frontespizi
delle opere a stampa del passato (senza sostituirli con i puntini); saremo tenuti a riprodurre siffatti riferimenti, viceversa,
se ci si troverà a dover compilare uno speciale repertorio/catalogo di edizioni incunabole o cinquecentine, perché allora
i dati relativi all’officina di stampa saranno qualificanti e andranno tutti trascritti. Riassumendo: se ad esempio, alla fine
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del frontespizio, dopo aver fedelmente trascritto tutte le iscrizioni precedenti, troverò le seguenti espressioni: «Cum
privilegiis. Romae, Ex Typographia Stephani Paulini. MDCV. Permissu superiorum», nella citazione in nota e nella mia
normale scheda bibliografica mi limiterò a riportare: «… Romae 1605». Se, invece, sarò alle prese con un repertorio
specifico di edizioni antiche, dovrò scrivere più dettagliatamente: «… Romae, Ex Typographia Stephani Paulini, 1605».
14) Consiliorum sive responsorum D. FRANCISCI BURSATI mantuani iuris pontificii, caesareique
consultissimi, equitis aurati lateranensis, ac Imperialis Aulae Comitis Palatini dignissimi libri I-IV
... Habentur ita sane hisce Responsis pure omnia, dilucide, atque perite tractata et disputata, ut
quilibet (praesertim Praetorum obiens subsellia) facili negotio cursum conficere queat. Adiecta
sunt argumenta unicuique Consilio, ac Summaria, necnon rerum omnium insignium Index
copiosissimus, Venetiis 1572-1586.
Un altro esempio di opera antica: una cinquecentina. Come si vede, il nome dell’autore – in italiano attuale Francesco
Borsati – nell’originale si trova in caso genitivo (traducendo: i libri I-IV… di consigli o responsi… del signor Francesco
Borsati mantovano…): si rispetterà dunque la dizione latina, avendo cura però di volgere il nome e il cognome in
maiuscoletto non corsivo, trattandosi appunto dell’autore. In occasione della prima citazione completa in forma estesa
di questa raccolta di pareri legali di Borsati, se sappiamo che dovremo poi richiamarla altre volte (e magari spesso), sarà
opportuno segnalare tra parentesi quadre che, da quel momento e per convenzione, si userà una più comoda formula
abbreviata: [d’ora in poi: BORSATI, Consiliorum sive responsorum]. Ogni volta successiva, tale rinvio semplificato sarà
integrato dal numero di volume utilizzato di volta in volta («I», «II», ecc.), dal numero di parere all’interno della
raccolta (ad esempio, il responso 147, cioè «CXLVII»), dalla numerazione del foglio («fol.») o dei fogli («foll.») ove si
legge un certo passo del parere che è servito richiamare. Nelle cinquecentine la numerazione non è per pagine ma per
fogli: essa riprendeva infatti la tradizione dei manoscritti, che recano il numero sequenziale solo nella facciata anteriore
del foglio (recto = r) e non in quella posteriore (verso = v). Poiché inoltre il testo, in ogni facciata di tali opere a stampa,
è ripartito su due colonne parallele, avremo in ogni foglio quattro colonne, due nel recto e due nel verso, le quali tutte
hanno un’identità propria: recto a (la colonna a sinistra della facciata anteriore numerata = ra), recto b (la colonna a
destra della facciata anteriore numerata = rb); verso a (la colonna a sinistra della facciata posteriore non numerata = va),
verso b (la colonna a destra della facciata posteriore non numerata = vb). Se nel margine della singola colonna
troveremo segnato un altro numerino – apposto dall’editore cinque-seicentesco in corrispondenza di una questione o di
un punto di particolare rilievo che precede il passo che a noi interessa – indicheremo anche quello.
Esempio riassuntivo: BORSATI, Consiliorum sive responsorum, II, cons. CXLVII, fol. 105 ra, n. 41 (ove il passo che
intendo citare o segnalare si trova sotto il punctum numero 41, al foglio 105 recto colonna di sinistra, parere con numero
d’ordine 147, nel secondo dei quattro volumi della raccolta di consilia di Borsati). Se dovessi segnalare una parte
consistente del testo, poniamo il caso estendentesi dalla colonna di destra del recto alla colonna di sinistra del verso
dello stesso foglio 105 (cioè, da una facciata all’altra), oltre a tutto il resto scriverò: fol. 105 rb-va. Se il testo al quale
voglio fare rinvio copre invece più fogli, ne preciserò con scrupolo gli estremi: foll. 105 rb-107 va (il testo ha inizio
nella colonna di destra del foglio 105 recto, ricomprende tutto il verso, entrambe le facciate del foglio 106, tutto il recto
del 107 e termina nella colonna di sinistra del foglio 107 verso).
Anche in questo caso, quando compilerò l’elenco finale della bibliografia utilizzata, potrò agevolmente indicizzare il
cognome italiano «Borsati», collocandolo al posto giusto nella sequenza alfabetica tra i cognomi di autori
contemporanei e antichi che iniziano con la lettera «B», così scrivendo: BORSATI, Consiliorum sive responsorum =
Consiliorum sive responsorum D. FRANCISCI BURSATI mantuani iuris pontificii, caesareique consultissimi, equitis
aurati lateranensis, ac Imperialis Aulae Comitis Palatini dignissimi libri I-IV ... Habentur ita sane hisce Responsis pure
omnia, dilucide, atque perite tractata et disputata, ut quilibet (praesertim Praetorum obiens subsellia) facili negotio
cursum conficere queat. Adiecta sunt argumenta unicuique Consilio, ac Summaria, necnon rerum omnium insignium
Index copiosissimus, Venetiis 1572-1586. Come prima, indicizzerò secondo lo schema «forma abbreviata = citazione
per esteso».
15) Fasti Gymnasii Patavini JACOBI FACCIOLATI studio atque opera collecti, Patavii 1757, ristampa
Bologna 1978 (Athenaeum. Biblioteca di storia della scuola e delle università a cura di E. Cortese
e D. Maffei, 36).
Di nuovo un’opera a stampa, questa volta del Settecento, che tuttavia è stata consultata non nella versione originale, ma
nella ristampa bolognese del 1978, pubblicata con il numero di serie «36» nella collana Athenaeum curata da Ennio
Cortese e Domenico Maffei. La traduzione del titolo latino è, a un di presso, la seguente: le glorie del ginnasio (ateneo)
di Padova raccolte dalla diligenza e dall’applicazione di Giacomo Facciolati. Anche in tale frangente, accingendosi a
elencare la bibliografia utilizzata, si potrà indicizzare «Facciolati», secondo lo schema «forma abbreviata = citazione
per esteso», tra i cognomi che iniziano con la lettera «F»: FACCIOLATI, Fasti Gymnasii Patavini = Fasti Gymnasii
Patavini JACOBI FACCIOLATI studio atque opera collecti, Patavii 1757, ristampa Bologna 1978 (Athenaeum. Biblioteca
di storia della scuola e delle università a cura di E. Cortese e D. Maffei, 36).
11
16) Indice Biografico Italiano, 4a edizione corretta ed ampliata. Italian Biographical Index, 4th
cumulated and enlarged edition. Italienischer Biographischer Index, 4., kumulierte und erweiterte
Ausgabe. A cura di, Compiled by, Bearbeitet von T. NAPPO. 2, München 2007.
Citando un volume specifico di un’enciclopedia biografica come quella sopra indicata, è corretto trascrivere al completo
le iscrizioni presenti nel frontespizio, comprese le diciture in inglese e in tedesco che si affiancano al titolo in italiano.
Si tratta, nel caso di specie, del volume secondo (indicato dopo il curatore Tommaso Nappo), ossia il volume
corrispondente ai personaggi italiani noti e meno noti – ma menzionati almeno in qualche occasione dalla storiografia
(erudita, letteraria e scientifica) – le cui prime lettere di cognome sono ricomprese tra «Bem» e «Cam».
17) Archivio di Stato di Mantova [d’ora in poi: ASMn], Archivio Gonzaga, b. 2617, cc. 408r-409r,
13.2.1582 (lettera autografa di Francesco Borsati al Padre inquisitore di Mantova).
Ci troviamo di fronte alla citazione dell’originale di una fonte manoscritta, visionata direttamente nell’Archivio di Stato
di Mantova. Si tratta della lettera autografa di un giurista mantovano del Cinquecento, conservata in uno dei fondi più
cospicui (l’Archivio Gonzaga) depositati presso il suddetto Archivio di Stato di Mantova (la lettera in questione è stata
peraltro pubblicata in L’Archivio Gonzaga di Mantova. Vol. I, a cura di P. TORELLI, Ostiglia 1920 (Pubblicazioni della
R. Accademia Virgiliana di Mantova. Serie I. Monumenta. Vol. I), ristampa anastatica Bologna 1988, pp. XXXVIIIXL). L’istituto archivistico presso il quale si trova il documento da citare («Archivio di Stato di Mantova») va in tondo,
a differenza del fondo particolare in esso depositato che sarà reso in corsivo («Archivio Gonzaga»: si tratta di un vasto
complesso documentario, ricomprendente appunto il materiale superstite del vecchio archivio della dinastia Gonzaga,
conservato a Mantova presso il menzionato Archivio di Stato). La busta in cui si trova la lettera va indicata con la sua
sigla abbreviata e puntata e con il numero corrispondente («b. 2617»), in carattere tondo (ma c’è chi, per tale dicitura,
suggerisce il corsivo). Segue, in tondo, la segnalazione delle carte («cc.») sulle cui facciate la lettera è materialmente
vergata («408r-409r», secondo una numerazione archivistica moderna aggiunta il più delle volte da vecchi ordinatori
d’archivio a matita in calce alle carte), oltre all’eventuale precisazione della data di stesura, desumibile – se ciò è
materialmente possibile – dal documento medesimo e riportata in cifre puntate senza spazi (e non scritta per intero –
come sarebbe di solito più corretto – perché facente parte, nel caso specifico, di una nutrita serie di documenti analoghi,
elencati perciò in forma abbreviata per evidenti ragioni di economicità). La punteggiatura è tutta in carattere tondo. Di
seguito e tra parentesi tonde ho voluto aggiungere una breve descrizione della natura del documento citato. Come si
nota, tra parentesi quadre […] si è precisato che, dai rinvii successivi al primo, la menzione dell’istituto di
conservazione sarà in forma abbreviata.
Altri esempi di rimandi a fonti manoscritte conservate in archivi, biblioteche o istituti analoghi:
Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova [d’ora in poi: ANVi], P. PREDELLA, Notizie di illustri mantovani, ms. [sec.
XIX; d’ora in poi PREDELLA, Notizie], bb. 65-66. In tal caso, leggermente diverso dal precedente, dell’opera manoscritta
(«ms.») utilizzata indico in maiuscoletto l’autore, un erudito dell’Ottocento, seguito dal titolo da lui apposto sul
manoscritto stesso e dalla segnalazione delle buste («bb.») del fondo dell’Accademia Nazionale Virgiliana in cui le
schede biografiche del Predella sono complessivamente contenute. Dopo la sigla puntata «ms.» ho voluto aggiungere tra
parentesi quadre […] il secolo di appartenenza dell’opera, desumibile non direttamente dal testo autografo del Predella
ma dalla sua biografia, avvertendo poi il lettore al solito modo che le successive citazioni saranno abbreviate nella
forma indicata.
Archivio di Stato di Bologna [d’ora in poi: ASBo], Archivio dello Studio, 140, Liber secretus dominorum juris civilis,
fol. 40r. Nell’Archivio dello Studio, depositato presso l’Archivio di Stato di Bologna, il titolo (interamente in latino) del
registro con il numero seriale 140 andrà scritto in corsivo. Valgono, per il resto, le regole sopra esposte.
18) Citazioni di siti web: iniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore (carattere
maiuscoletto), titolo del sito (corsivo), URL (fra <…>), data di apertura del sito (tra parentesi
quadre […]).
NB. Inutile illudersi di riuscire a fronteggiare senza tentennamenti tutti i casi in cui saremo chiamati
a misurarci con citazioni di una certa complessità. Non mancheranno situazioni limite in cui lo
studioso si troverà in difficoltà circa l’individuazione della corretta forma di rinvio ad una fonte,
manoscritta, a stampa, digitale che sia. In tali evenienze – come ben ricorda PADOVANI, Preparare e
scrivere, cit., p. 89 – egli dovrà «prendere decisioni di testa propria usando prudenza e amore di
precisione insieme».
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PARTE TERZA. Apparato delle note a piè di pagina
Le note a piè di pagina rappresentano la sede dove giustificare con scrupolo ogni
conclusione sostenuta nel testo. Esse offrono al lettore la possibilità di verificare, attraverso i rinvii
bibliografici indicati, l’esattezza di quanto asserito nel discorso principale, permettendo di
distinguere – al contempo – gli spunti ispirati dalla lettura della letteratura scientifica e le riflessioni
prodotte autonomamente da chi scrive.
Nelle note possono eventualmente trovare spazio, in aggiunta, alcuni sintetici
approfondimenti che, pur significativi, si ritiene non debbano appesantire il testo (perché, ad
esempio, inerenti ad un tema ricollegato all’argomento da trattare, ma non direttamente preso in
esame dall’indagine).
In altre parole, un apparato di note – ampio o essenziale che sia, ma composto con
precisione e serietà – rispecchia la credibilità scientifica dell’elaborato. Tale apparato va costruito
con cura, sia nella sostanza (con un equilibrato sviluppo tra richiami della bibliografia più
importante in materia e i possibili approfondimenti ritenuti opportuni), sia nella forma (mediante
l’adozione di un metodo rigoroso, mantenuto senza variazioni dall’inizio alla fine).
NB: così come si raccomanda – fuori dai casi di citazione – di non copiare mai
spudoratamente i contributi che leggiamo, siano essi articoli, saggi e libri oppure semplici testi
pubblicati in internet (spacciandoli per farina del nostro sacco… ma la disonestà ha le gambe corte),
allo stesso modo si consiglia di non fare citazioni di seconda mano. Con diversi termini, non si
menzionino opere richiamate nella fonte che si sta consultando senza averle effettivamente reperite
e lette di persona. Occorre procedere sempre alla verifica diretta del libro, del saggio, dell’articolo,
della fonte archivistica da inserire in nota: è una questione di onestà intellettuale. Nel caso sia
oggettivamente problematico il reperimento di una data fonte (ad esempio, un articolo scritto
novant’anni fa in una rivista rara conservata in una biblioteca di città lontana, per il quale non si
possa nemmeno ottenere l’invio di fotocopie attraverso il prestito interbibliotecario; oppure un
manoscritto inedito menzionato nel contributo di uno studioso), in via eccezionale si potrà
segnalarne in nota gli estremi (nel caso dell’articolo, autore, titolo, rivista, pagine; nel caso del
manoscritto, i dati ad esso relativi) e, di seguito e in carattere tondo, precisare «citato da» con
l’indicazione esatta della fonte da cui la notizia è desunta (ad esempio, il libro effettivamente
compulsato nelle cui note essa è riportata).
Rinvii in nota ai testi consultati
Due, fondamentalmente, sono i metodi che qui si suggeriscono: una volta fatta la scelta, le
regole del modello adottato dovranno essere seguite con scrupolosa attenzione durante tutto lo
svolgimento del lavoro, senza variazioni.
Metodo 1: alternanza di citazioni complete e abbreviate.
Quando in nota si cita un’opera da cui si è tratto spunto per esporre un concetto, o che si
vuole comunque segnalare al lettore perché rilevante sul tema affrontato, la prima volta si
scriveranno in forma estesa tutti gli estremi bibliografici di quell’opera (libro, articolo o saggio che
sia): autore, titolo, luogo, data, eventuale collana editoriale, ecc. Da quel momento, tutte le
successive citazioni di quella medesima opera, nella stessa nota o in note a seguire, saranno date in
forma abbreviata: cognome, prime parole del titolo con l’aggiunta dell’abbreviazione «cit.» (in
carattere tondo e preceduta da una virgola), la pagina o le pagine cui si fa specifico rinvio.
L’abbreviazione «cit.» consente di alleggerire lo sviluppo dell’apparato bibliografico, avvertendo
nel contempo che il contributo è stato richiamato in precedenza.
Esempio di prima citazione. Immaginiamo che io debba richiamare in nota, per la prima volta
nella mia ricerca, uno studio di Marzia Lucchesi sui consilia in tema di omicidio fra Tre e
Cinquecento. Così mi comporterò per la sua menzione generica (cioè, senza rinvio ad una o più
pagine in particolare):
13
(testo) … mentre un cospicuo numero di fattispecie riguarda casi di omicidio3.
A piè di pagina così compongo la nota, generata automaticamente dal computer dopo aver portato
con il mouse il cursore a ridosso della parola cui intendo far corrispondere la nota ad esponente e
dopo aver cliccato Inserisci nella barra alta di Word e, ancora, Inserisci nota a piè di pagina (e aver
dato l’ok per la nota con numerazione automatica):
3
All’omicidio viene dedicato largo spazio nelle fonti consiliari. Si rinvia, al riguardo, a M. LUCCHESI, L'«animus
occidendi» e l'«animus deliberatus» nei «consilia» di area lombarda (Secoli XIV-XVI), in Studi di storia del diritto, I,
Milano 1996 (Università degli Studi di Milano. Facoltà di Giurisprudenza. Pubblicazioni dell'Istituto di Storia del
diritto italiano, 19), pp. 263-334.
Se di questo stesso lavoro dovessi viceversa specificare, sempre per la prima volta e sempre in nota,
la pagina o le pagine più significative per il discorso che sto affrontando nel mio testo (poniamo il
caso, pagina 270 perché lì si trova la frase dell’autrice che ho voluto riportare tra virgolette caporali
nel mio testo), così citerò:
3
Così M. LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus» nei «consilia» di area lombarda (Secoli XIV-XVI),
in Studi di storia del diritto, I, Milano 1996 (Università degli Studi di Milano. Facoltà di Giurisprudenza. Pubblicazioni
dell'Istituto di Storia del diritto italiano, 19), pp. 263-334, p. 270.
Esempio di seconda citazione (in una nota successiva a quella in cui il saggio è stato richiamato la
prima volta: ipotizziamo nella nota 5):
5
Ritorna sul tema LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus», cit., p. 280.
Come si nota, nella citazione abbreviata è scomparsa l’iniziale puntata del nome di battesimo
dell’autrice; il titolo è stato accorciato alle parole iniziali (e, volendo, poteva essere ridotto
ulteriormente a «L'«animus occidendi», cit.»); è venuta meno anche l’indicazione complessiva del
volume del 1996 nel quale il saggio ha trovato pubblicazione. Segue, in carattere tondo,
l’abbreviazione «cit.» preceduta e seguita da una virgola, con l’indicazione della pagina («p. 280»)
alla quale si intende rinviare. Nella citazione di nota 5 – e in tutti i richiami successivi che
dovessero rendersi necessari nelle note a seguire – resta inteso che il titolo abbreviato dovrà essere
identico tutte le volte, cioè identificato dalle stesse parole.
NB. Se, all’interno della medesima nota in cui ho citato lo studio della Lucchesi e subito dopo di
esso (cioè, senza che io abbia effettuato rinvii intermedi a ricerche di altri studiosi), mi trovassi
nella situazione di dover richiamare anche un diverso contributo della stessa autrice, lo citerò con
queste modalità:
5
Si vedano le riflessioni espresse sul tema da LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus», cit., p. 273.
Sempre in materia di omicidio, nella prospettiva offerta ancora una volta dalle fonti consiliari, si consideri altresì EAD.,
Si quis occidit occidatur. L’omicidio doloso nelle fonti consiliari (secoli XIV-XVI), Padova 1999 (Pubblicazioni della
Università di Pavia. Facoltà di Giurisprudenza. Studi nelle scienze giuridiche e sociali, n.s., volume 91).
Si noti che l’abbreviazione puntata «Ead.», riprodotta in carattere maiuscoletto «EAD.», sta per
«Eadem», la medesima: in altre parole, la stessa autrice che ho appena citato prima. Se si trattasse di
autore maschile, sarebbe «Id.» («Idem», il medesimo) da rendere sempre in maiuscoletto («ID.»).
Se, invece, dovrò citare la stessa opera di Marzia Lucchesi in due distinte note consecutive,
scriverò:
8
9
Così, ancora, LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus», cit., pp. 281-282.
LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus», cit., p. 282; EAD., Si quis occidit occidatur, cit., p. 22.
Trattandosi di due note diverse (8 e 9), se pur consecutive e pur relative alla stessa autrice e allo
stesso contributo, oggi si preferisce ripetere la citazione in entrambe senza ricorrere
all’abbreviazione «EAD.». Entro la stessa nota 9, viceversa, la citazione immediatamente seguente
di seconda opera della stessa autrice richiede, come visto sopra, l’abbreviazione «EAD.».
Metodo 2: Sigla e bibliografia finale.
14
Si tratta di un metodo che riduce notevolmente il volume complessivo delle note a piè di
pagina, perché restringe la citazione ad una sigla composta di estremi minimi: cognome (in
maiuscoletto), data di pubblicazione, indicazione della pagina o delle pagine eventualmente
richiamate al bisogno. L’indice bibliografico finale, al termine del lavoro, dovrà necessariamente
presentare l’elenco di tutte le sigle utilizzate in nota, ordinate in sequenza alfabetica: ogni sigla
verrà esplicitata con l’indicazione per esteso di tutti gli estremi completi dell’opera. Nell’esempio
già utilizzato per il metodo 1, il rinvio in nota sarà:
3
LUCCHESI 1996, p. 270.
ove «p. 270» dopo la virgola segnala la pagina a cui, nel testo che si sta scrivendo, si è fatto
particolare riferimento. Nell’elenco finale della bibliografia, invece, la sigla relativa allo studio di
Marzia Lucchesi del 1996 sarà affiancata dalla citazione generica completa del contributo, senza
rinvii a una o più pagine in particolare, come segue:
LUCCHESI 1996 = M. LUCCHESI, L'«animus occidendi» e l'«animus deliberatus» nei «consilia» di
area lombarda (Secoli XIV-XVI), in Studi di storia del diritto, I, Milano 1996 (Università degli
Studi di Milano. Facoltà di Giurisprudenza. Pubblicazioni dell'Istituto di Storia del diritto italiano,
19), pp. 263-334.
Se nella stessa nota dovessi richiamare, come visto sopra nel metodo 1, due opere diverse della
stessa autrice, scriverò:
5
LUCCHESI 1996, p. 270; EAD. 1999, p. 25.
Nell’indice bibliografico finale, la sigla identificativa della ricerca pubblicata dalla Lucchesi nel
1999 sarà parimenti accostata alla sua esplicitazione per esteso. Così:
LUCCHESI 1999 = M. LUCCHESI, Si quis occidit occidatur. L’omicidio doloso nelle fonti consiliari (secoli XIV-XVI),
Padova 1999 (Pubblicazioni della Università di Pavia. Facoltà di Giurisprudenza. Studi nelle scienze giuridiche e
sociali, n.s., volume 91).
Se in due note consecutive si dovrà richiamare la stessa opera (e, magari, la medesima pagina o
anche pagine diverse di quell’opera), si ripeterà comunque la sigla abbreviata (non si usino le
espressioni «ID.», «EAD.», «cit.»):
5
6
Così come precisato da LUCCHESI 1996, p. 270; si veda inoltre, sullo stesso tema, EAD. 1999, p. 25.
LUCCHESI 1999, p. 26.
Nell’ipotesi che lo stesso studioso sia autore di più opere pubblicate nel medesimo anno, si eleverà
un asterisco a esponente della data:
7
8
FITTING 1894, p. 150.
Si veda FITTING 1894*, p. 225.
Nell’indice bibliografico finale le due sigle appena indicate andranno così precisate:
FITTING 1894 = H. FITTING, Summa codicis des Irnerius, Berlin 1894.
FITTING 1894* = H. FITTING, Quaestionibus de iuris subtilitatibus des Irnerius, Berlin 1894.
Dovendo citare un volume collettaneo nato dai contributi di numerosi studiosi, per evidenti motivi
di economia e semplificazione si potrà eccezionalmente ricorrere alla sigla «AA.VV.» che va
invece evitata nel metodo 1. Traendo spunto dal sopradescritto esempio 4, la prima volta che si
richiamerà in nota il saggio della Valsecchi – ospitato nel volume Bibliotheca Senatus
Mediolanensis. I libri giuridici di un Grande Tribunale d’ancien régime – si avrà:
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Acute riflessioni in VALSECCHI 2002, p. 155.
Nell’indice bibliografico finale si riporterà: VALSECCHI 2002 = C. VALSECCHI, La letteratura
consiliare, in AA.VV. 2002, pp. 153-164. A sua volta, nel rispetto dell’ordine alfabetico, la sigla
AA.VV. 2002 sarà stata precedentemente esplicitata così: AA.VV. 2002 = Bibliotheca Senatus
Mediolanensis. I libri giuridici di un Grande Tribunale d’ancien régime, a cura di G. BUCCELLATI e
A. MARCHI. Direzione scientifica A. PADOA SCHIOPPA, G. DI RENZO VILLATA. Testi di C. DANUSSO,
G. DI RENZO VILLATA, L. GARLATI GIUGNI, G.P. MASSETTO, G. MONTECCHI, A. MONTI, A. PADOA
SCHIOPPA, A. SANTANGELO CORDANI, C. VALSECCHI, G. VISMARA, Milano 2002.
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