IL RAPPORTO CATECHESI E CULTURA IN ECCLESIA IN EUROPA
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IL RAPPORTO CATECHESI E CULTURA IN ECCLESIA IN EUROPA
IL RAPPORTO CATECHESI E CULTURA IN ECCLESIA IN EUROPA Cesare BISSOLI* § [Nella riproduzione dell’articolo sono state eliminate le numerose note di documentazione e di approfondimento. L’intero articolo, con le note, si trova in “Itianerarium” 13(2005)30, 21-33] Un documento postsinodale Ecclesia in Europa (Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, 2003) non è un documento catechistico, ma semmai si propone come oggetto di catechesi, ovviamente secondo la sua natura. È quanto intendiamo esplorare, esaminando due aspetti: cosa eventualmente il testo dice in termini espliciti circa la catechesi, intesa nel senso più ampio di comunicazione pastorale; entro quale contesto si pone tale comunicazione, esaminando perciò i fattori e le dinamiche che solcano il continente europeo. Diamo alle due parti del nostro contributo un titolo espressivo: quale Europa di fronte alla catechesi; quale catechesi per questa Europa. 1. Quale Europa di fronte alla catechesi I recenti avvenimenti di allargamento dell’Unione Europea a venticinque Stati ed insieme di consolidamento dell’Unione con la firma dei trattati di Roma nel 2004, anche se di per sé non riguardano la totalità dei paesi europei (ed è di questa che si interessa il Sinodo), ne esprimono la comune sostanza spirituale, con i tanti problemi, risorse, bisogni, attese che vi si manifestano. E di fatto l’ultimo capitolo è dedicato all’Europa che si sta costruendo. Compito del Sinodo, raccolto nel testo pontificio, è stato quello di aiutare gli europei a riconoscere la loro anima («l’Europa dello spirito»: EE, n. 121), mettendo in rilievo “luci ed ombre”, proponendo - come ebbe a dire Giovanni Paolo II - «la profezia di Dio» per il nostro continente, e cioè – secondo il titolo a tema del Sinodo - Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, o, più sinteticamente, il Vangelo della speranza per l’Europa, binomio che esprime l’asse portante del testo e il leitmotiv presente ed unificante i sei capitoli. Ponendosi nell’ottica di un dialogo, che si fa di tanto intanto scoperto ed appassionato appello del Papa all’Europa (cfr. EE, n. 121), il documento mira ad un scopo: “rilanciare l’annuncio di Gesù Cristo”, in quanto è stato fondamento storico dell’Europa dei valori ed ora è esposto ad un allarmante sfinimento. È dunque l’evangelizzazione dell’Europa la prospettiva dominante. Concretamente i responsabili delle Chiese e dei singoli cristiani europei sono confrontati con le questioni maggiori, ma anche con le potenzialità esistenti. Riconoscere le une e le altre permette di cogliere la specificità della riposta-proposta catechistica del testo. Seguendo il classico processo di comunicazione, guardiamo bene prima il destinatario “Europa” nella sua condizione reale, per poi commisurarvi un annuncio che sia efficace. Possiamo radunare così in modo sintetico i nodi maggiori che interpellano l’attento catechista: il nodo speranza; il nodo identità; il nodo servizio. L’intreccio di questi nodi (ed altri ancora) forma il nuovo substrato culturale dell’Europa. E proprio con la cultura l’annuncio del Vangelo in Europa deve fare particolarmente i conti. 1.1. Il nodo “speranza” Se il dono della speranza - come noteremo nel punto seguente costituisce il fine pratico o effettuale della catechesi (quello teorico o causativo è l’annuncio del Cristo Risorto), è perché oggi in Europa, con più concretezza fra la gente che abita il Continente, si assiste ad un grave «offuscamento della speranza» (EE, n. 7). Ne sono segnali: la «paura nell’affrontare il futuro»; la «frammentazione dell’esistenza, per cui «prevale una sensazione di solitudine»; «un crescente affievolirsi della solidarietà interpersonale» (EE, n. 8). Le ragioni sono simmetricamente antitetiche a quelle che reggono la speranza: «Alla radice dello smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalere un’antropologia senza Dio e senza Cristo […] La cultura europea dà l’impressione di una “apostasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse» (EE, n. 9). Dicendo “nodo della speranza” non si vogliono dimenticare i segni di speranza, rivelativi di una «insopprimibile nostalgia della speranza» (EE, n. 10), visti sia sul versante laico (il convergere di tanti Stati e culture così differenti verso «una comunità di popoli» che da spazio «al diritto e alla qualità della vita»: EE, n. 12), e sul versante cristiano (la presenza nell’età contemporanea di martiri e testimoni della fede, la santità di molti, i nuovi movimenti e le nuove comunità ecclesiali, il cammino ecumenico: cfr. EE, nn. 13-17). Può concludere il documento: «Si è resa evidente una forte tensione verso la speranza; l’urgenza forse più grande che attraversa da Est ad Ovest, consiste in un accresciuto bisogno di speranza, così da poter dare senso alla vita e alla storia e camminare insieme» (EE, n. 4). Nell’ambito di questo nodo è rintracciabile una gamma di motivi del tutto congrui al processo di evangelizzazione e catechesi, quali: il futuro ultimo, il senso della vita, la vita sotto progetto, il dono ed impegno di generare e promuovere la vita grazie ad «una nuova cultura della vita» (EE, n. 96). 1.2. Il nodo “identità” A questo cammino senza il futuro della speranza, vi corrisponde, causa ed effetto insieme, una perdita di identità che ha la sua ragione nell’esatto contrario: «lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane» (EE, n.7). I segni sono visti in un degradare della coscienza storica dimentica delle radici cristiane per cui «molti non riescono più a integrare il messaggio evangelico nell’esperienza quotidiana» (EE, n.7). Il n. 47 è il paragrafo dell’evanescenza progressiva delle “grandi certezze”: «Tanti europei contemporanei pensano di sapere cos’è il cristianesimo, ma non lo conoscono realmente». Segue un elenco di tratti che dovranno determinare la proposta catechistica: «varie forme di agnosticismo e ateismo pratico», «umanesimo immanentista», «interpretazione secolaristica della fede», «crisi della coscienza e della pratica morale cristiana». «I grandi valori che hanno ampiamente ispirato la cultura europea sono stati separati dal Vangelo, perdendo così la loro anima più profonda e lasciando spazio a non poche deviazioni». Conclude Giovanni Paolo II con queste parole molto forti: «“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). La troverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? E’ un interrogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una delle sfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare». Nell’ambito di questo nodo si raccolgono motivi riguardanti la fede e la sua comunicazione a tre diversi livelli: • • • come conoscenza e come pratica della fede, e specificamente quanto al rapporto fede e ragione, fede e scienza, fede ed eredità storica e culturale; in relazione al senso religioso e del mistero, tipico della celebrazione liturgica, ma esposto a «fenomeni di fuga nello spiritualismo, di sincretismo religioso ed esoterico, di ricerca di eventi straordinari ad ogni costo» (EE, n. 68); in relazione all’appartenenza ecclesiale, resasi fragile per crisi di credibilità: «É necessario fare tutti insieme un umile e coraggioso esame di coscienza per riconoscere le nostre paure e i nostri errori, per confessare con sincerità le nostre lentezze, omissioni, infedeltà e colpe» (EE, n. 29). Più che legittima è l’affermazione sintetica dell’ultimo capitolo: «Nel processo di trasformazione che sta vivendo, l’Europa è chiamata anzitutto, a ritrovare la sua vera identità» (EE, n. 109). 1.3. Il nodo “servizio” Dopo il nodo della speranza che dà la vitalità e il nodo della fede che garantisce l’identità, è considerato il nodo della carità, che dà il gusto della vita per gli altri, e dunque per sé. Il documento tocca diversi tasti, non ignorando come è di ogni nodo i rimarchevoli aspetti positivi grazie alla linfa del Vangelo: «il riconoscimento del valore della persona e della sua inalienabile dignità, del carattere sacro della vita umana e del ruolo centrale della famiglia, dell’importanza dell’istruzione e della libertà di pensiero, di parola, di religione, come pur alla tutela legale degli individui e dei gruppi, alla promozione della società e del bene comune, al riconoscimento della dignità del lavoro. Tali radici hanno favorito la sottomissione del potere politico alla legge e al rispetto dei diritti della persona e dei popoli» (EE, n. 19). Ma è vero che «la verità del matrimonio e della famiglia» è dentro «una crisi sempre più evidente» (EE, n. 90), si nota un preoccupante «calo delle nascite» e «la diffusione dell’aborto» (EE, n. 95) ed è troppo vicina la memoria di «ideologie totalitarie e di nazionalismi esasperati che […] hanno alimentato conflitti […], lotte etniche» (EE, n. 112). Si apre il vasto ambito di attenzione alla presenza del cristiano nella società (cap. V) nelle sue varie articolazioni, dalla famiglia, alla città, al mondo dei poveri (cui si contrappone l’opulenza dell’Europa ricca), al grande, fin qui inedito ed ora consistente fenomeno delle migrazioni (EE, nn. 100-103), con una evidente sfida derivante dalla differenza etnica e culturale e dal pluralismo religioso, con particolare riguardo all’Islam (EE, n. 57). A voler riassumere quale Europa stia di fronte alla catechesi servono bene le parole del documento nell’ultimo capitolo: «Più che come luogo geografico, l’Europa è qualificabile come un concetto prevalentemente culturale e storico, che caratterizza una realtà nata come Continente grazie anche alla forza unificante del cristianesimo, il quale ha saputo integrare e tra loro popoli e culture diverse ed è intimamente legato all’intera cultura europea» (EE, n. 108). 2. Quale catechesi per questa Europa La condizione europea, cristianamente parlando, non è proprio da buttare, ma in essa le potenzialità positive devono essere tempestivamente sviluppate per bloccare i germi negativi della non speranza, della confusione identitaria, della chiusura egoistica. Come rispondere a questa situazione? È ovviamente l’obiettivo centrale del documento. Qui viene direttamente in causa l’annuncio e la catechesi, con una impostazione di larga prospettiva ma che si può circoscrivere in tre livelli: di stile, di profilo e di istituzione, od anche di atteggiamento, di contenuto, di struttura. 2.1. Uno stile di approccio Tutto può andare, salvo che mettersi a impartire lezioni di “dottrina cristiana” all’europeo di oggi. Vale invece, come non mai, il binomio «evangelizzazione della cultura e inculturazione dl Vangelo» (EE, n. 58), cui l’Europa si presta essere laboratorio singolare e delicato, come di chi è entrato in una fin qui inedita fase postcristiana, processo di inculturazione, si badi, altrettanto necessario che negli altri continenti non ancora cristiani. Di tale compito, evidenziamo due componenti: 2.1.1. Una icona ispirativa unificante. È data dal libro dell’Apocalisse, per quella sintesi di missione, lotta e vittoria che la caratterizza e la rende così trasparente per le Chiese nel contesto europeo (EE, n. 5). È frequente e provvidenziale questa lettura della situazione sotto una categoria biblica che discerne ed unifica nel segno della Parola di Dio la complessità della realtà. Si conosce la validità ed efficacia in altri documenti pontifici di codeste icone onnicomprensive, come il racconto di Emmaus per indicare il cammino di fede o la celebrazione dell’Eucarestia, o l’icona del giovane ricco per delineare il progetto cristiano di vita, o la parabola dei lavoratori nella vigna per sottolineare il compito dei laici, o la parabola del figlio prodigo per evidenziare il perdono e la riconciliazione, il racconto della trasfigurazione per definire la vita consacrata. 2.1.2. Un processo di discernimento e dialogo «con uno sguardo pieno di amore» (EE, n. 3). Nel «contesto dell’attuale pluralismo etico e religioso che va sempre più caratterizzando l’Europa […] missione di ogni chiesa particolare in Europa è di tener conto della sete di verità di ogni persona e del bisogno di valori autentici che animino il popoli del Continente» (nn. EE, 20-21). Più avanti preciseremo questo discernimento e dialogo (cfr. 2.2.2.). Intanto ricordiamo che in nome della speranza da suscitare (cfr. EE, n. 2), l’annuncio non potrà esimersi di riconoscere e rafforzare i “segni di speranza”: «il concentrarsi della Chiesa sulla sua missione spirituale e il suo impegno di vivere il primato dell’evangelizzazione anche nei rapporti con la realtà sociale e politica; l’accresciuta presa di coscienza della missione propria di tutti battezzati, nella varietà e complementarietà dei doni e dei compiti; l’aumentata presenza della donna nelle strutture e negli ambiti della comunità cristiana» (EE, n. 11). Non si dimenticherà che il termine “speranza” dal titolo del documento in generale transita in ciascuno dei 6 capitoli, segnatamente nel terzo che più ci riguarda: Annunciare il Vangelo della speranza. 2.2. Un profilo catecumenale L’ambivalenza della situazioni non permette né una lettura uniforme né frettolosa del testo, tanto meno spinge a decisioni di un rapido proselitismo, ma vuole riconoscimento della situazione e la maturazione dei germi positivi, attraverso un processo di evangelizzazione radicale (la parola “Vangelo” e connessi è il termine più usato nella comunicazione della fede), in una forma tale che si debba parlare di un nuovo catecumenato europeo, come agli inizi del cristianesimo: «Chiesa in Europa, la “nuova evangelizzazione” è il compito che ti attende! Sappi ritrovare l’entusiasmo dell’annuncio», come «agli albori del primo millennio», continuando «nello stesso spirito missionario che, lungo questi venti secoli e incominciando dalla predicazione di Pietro e Paolo ha animato tanti Santi e Sante autentici evangelizzatori del continente europeo. L’annuncio di Gesù, che è il Vangelo della speranza, sia quindi il tuo vanto e la tua ragion d’essere» (EE, n. 45). Il passaggio ad una impostazione catecumenale, sia pur non nominata nel termine, traspare nella struttura stessa del documento, la cui sequenza mette in nitida luce le tappe e contenuti dell’iniziazione cristiana: «annunciare il vangelo della speranza» (cap. III): celebrare il vangelo della speranza (cap. IV); servire il vangelo della speranza (cap. V), annuncio, celebrazione, servizio della carità. Possiamo ulteriormente specificare, in ciò aiutati dall’analogia con le scelte della Chiesa italiana, che dell’iniziazione catecumenale si fissa l’attenzione, sia su quanti non sono battezzati, come gli immigrati o gli stessi figli di famiglie cristiane (EE, n. 46), sia su quanti già cristiani hanno perso progressivamente mentalità e linguaggio della fede (EE, n. 47), i cosiddetti “ricomincianti”, proponendo quindi, ciò che i Vescovi italiani nella terza Nota sull’iniziazione cristiana hanno chiamano “orientamenti per il risveglio della fede”. Entro tale quadro generale e onnicomprensivo della comunicazione della fede si possono distinguere diversi livelli di impegno, tra loro non separabili, perché sempre di annuncio del Vangelo di Cristo si tratta, anche se opportunamente distinti. 2.2.1. Livello teologico (veritativo) Richiamiamo qui alcuni passaggi di contenuto e di metodo. Al centro Gesù Cristo “nostra speranza”. Vi sta all’interno una gamma assai ricca di aspetti in ordine all’annuncio: • • • Ciò che immediatamente colpisce è la continuamente asserita centralità non di una verità astratta, ma della persona di Cristo morto e risorto, il cui mistero si radica nel mistero della SS. Trinità (EE, n. 19). «La predicazione della Chiesa, quindi, in tutte le sue forme, deve essere sempre più incentrata sulla persona di Gesù e deve sempre più orientare a Lui. […] nella sua integralità» (EE, n. 48). Gesù poi non è visto come oggetto di annuncio, ma come soggetto che «si rivolge oggi alle nostre Chiese» (EE, n. 23), anzi «vivente nella Chiesa» (EE, n. 22). Una sorta di equivalenza avviene quando al posto di Gesù si mette Vangelo. Ed è frequente nel documento. Ciò vuol sottolineare che il Vangelo (i quattro Vangeli) è la fonte genuina ed impreteribile del mistero di Cristo, ma anche si vuol dire che la persona di Gesù ha il diritto di essere presentato per quello che è: • bella notizia, Vangelo appunto. «Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio con il Libro del Vangelo! […] Prendiamo nelle nostre mani questo Libro!. Accettiamolo […], Divoriamolo […], Gustiamolo […] Saremo ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino» (EE, n. 65). Fatto questo preciso ricentramento su Gesù come “bella notizia” è facile muoversi verso quella che rimane una meta essenziale della comunicazione della fede in Europa: dare speranza. La virtù della speranza nelle sue implicanze teologiche, antropologiche, culturali diventa la vera scommessa della catechesi europea secondo il documento, il che vuol dire che occorre considerare non tanto concetti astratti in maniera separata, ma tutto il mondo di vita delle persone dal punto di vista della speranza. Le tappe dell’iniziazione appaiono nitide. Avanti tutto sta il primo annuncio: «Anche nel “vecchio” Continente vi sono stese aree sociali e culturali in cui si rende necessaria una vera e propria missio ad gentes» (EE, n. 46); come pure «un rinnovato annuncio anche per chi è già battezzato» (EE, n. 47), ma che «vive come se Cristo non esistesse» (EE, n. 47). Ne è primo frutto la “conversione”, in precedenza ampiamente richiamata (cfr. nn. EE, 23ss.). Non si dimenticherà - segnatamente in una Europa ampiamente secolarizzata, disillusa e sfiduciata, - che essa «reclama evangelizzatori credibili, nella cui vita risplende la bellezza del Vangelo […] La santità è prerequisito essenziale per un’autentica evangelizzazione» (EE, n. 49). Posto come obiettivo il «formare a una fede adulta» (EE, n. 50), qui arriva l’unico paragrafo dedicato alla catechesi in senso stretto (EE, n. 51). Due sono i pensieri espressi: • • «È necessario che le comunità cristiane si attivino per proporre una catechesi adatta ai diversi itinerari spirituali dei fedeli nelle diverse età e condizioni di via, prevedendo anche forme di accompagnamento e di riscoperta del proprio battesimo. Fondamentale punto di riferimento sarà, ovviamente, il Catechismo della Chiesa Cattolica» (EE, n. 51). Con debito processo di adattamento, aggiungiamo noi, alla luce di quanto viene detto altrove nello stesso documento. «Occorre coltivare e, nel caso, rilanciare come priorità pastorale, il ministero della catechesi come educazione e sviluppo della fede in ogni persona […] una catechesi organica e sistematica […] in costante riferimento alla Parola di Dio […] uno strumento essenziale e primario per formare i cristiani a una fede adulta» (EE, n. 51). Sono affermazioni ben note e da accogliere. Ma diventa prioritario l’orizzonte di evangelizzazione detto sopra, anche per capire bene la catechesi da fare. Manca una parola sui catechisti, non solo qui, ma anche dove si fa il discorso esplicito dei responsabili della missione evangelizzatrice (cfr. EE, nn. 33-43). Dispiace, se si pensa al ruolo che essi svolgono nella chiesa in Francia, in Italia, in Spagna… Il “celebrare” e il “servire” il vangelo della speranza aprono, per sé fuori dell’annuncio, altri campi di impegno della Chiesa nel Continente, ma nei quali diventa indispensabile “evangelizzare” la stessa celebrazione e il servizio di carità. 2.2.2. Livello storico-antropologico (culturale) Abbiamo qui sopra accennato che non basterebbe spiegare per filo e per segno il Catechismo della Cattolica, pur raccomandato dal documento sinodale (cfr. EE, n. 51), per evangelizzare l’Europa. Potremmo dire che assieme alla storia della salvezza che il Catechismo rappresenta, va considerata la storia umana che la fede ha percorso lungo venti secoli. Senza riferimento storico mancherebbe in Europa una cultura della fede e il profilo catecumenale cadrebbe nel vuoto. L’uomo europeo è la sua storia. E la sua storia è intrecciata di tantissimi fili cristiani. «L’Europa è qualificabile come un concetto prevalentemente culturale e storico» (n. 108), si diceva poco sopra. Il riferimento va alle famose e discusse “radici ebraico-cristiane” dell’Europa (cfr. EE, nn. 19, 24, 57, 109), non accettate formalmente nella nuova Costituzione, ma è un dato di fatto indiscutibile: «la fede è dono che sta all’origine dell’unità spirituale e culturale dei popoli europei, un contributo essenziale del loro sviluppo e integrazione» (EE, n. 18). È vero pure che la storia europea è stata anche storia di conflitti intracristiani che hanno diviso la Chiesa e vede oggi l’ingresso massiccio di popoli e religioni non cristiane. Tutto ciò, il Vangelo e i suoi effetti nella storia, costituisce il substrato storico-culturale dell’Europa con cui la catechesi deve confrontarsi. Ciò determina una comunicazione della fede connotata in più direzioni come memoria e come dialogo, diacronica e sincronica, e alla fine intensamente culturale. Un catechesi delle radici. «L’Europa è stata ampiamente e profondamente penetrata dal Cristianesimo […] La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell’evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente e Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi» (EE, n. 24). L’uomo europeo, già sui banchi della scuola (cosa che i nuovi programmi di religione contemplano), va aiutato a prendere consapevolezza che l’annuncio del Vangelo che gli perviene agli inizi del XXI secolo, è il medesimo cominciato due mila anni fa nel Continente europeo. Concretamente, si ricorderanno le diverse sfaccettature della tradizione storica che forma la nostra identità culturale: le tante manifestazioni artistiche (letterarie, musicali, figurative, edilizie) che riempiono le nostre città, le fondamentali dimensioni etiche che hanno improntato la vita e i costumi di popoli e di generazioni, le esperienze di spiritualità e di santità che hanno contribuito a forgiare l’umanesimo cristiano. In sintesi si seguirà in maniera organica «l’azione del Vangelo lungo la storia» (EE, n. 24). Le stesse conflittualità, religiosamente marcate, di cui la storia europea è teatro, giovano a ricordare in maniera salutare, le responsabilità negative di cristiani verso il Vangelo, responsabilità non dovute al fatto - come ebbe a dire Giovanni Paolo II - che l’Europa era cristiana, ma perché lo era troppo poco. E il suo gesto di domanda di perdono nel Grande Giubileo, comprensivo anche delle colpe del nostro continente, sta ad indicare il modo evangelico di affrontare questo nostro oscuro passato (cfr. EE, n. 29) Tra le radici da ricuperare che fanno l’Europa, sta al primo posto la memoria della Bibbia: «dalla concezione biblica dell’uomo, l’Europa ha tratto il meglio della sua cultura umanistica, ha attinto ispirazione per le sue creazioni intellettuali ed artistiche, ha elaborato norme di diritto e, non per ultimo, ha promosso la dignità della persona, fonte di diritti inalienabili» (EE, n. 25). Una catechesi “nell’unità e nel dialogo” (EE, n. 53). Soprattutto nel capitolo III dedicato all’annuncio del Vangelo della speranza, ma anche altrove, l’attenzione per l’identità cristiana si accompagna con una necessaria attenzione all’unità cristiana, da ricomporre attraverso il dialogo. Un dialogo in tre direzioni, che qui possiamo solo accennare, ma che dovrà trovare necessaria attenzione nella catechesi europea, plasmandola come annuncio di comunione, catechesi ecumenica, catechesi interreligiosa (EE, n. 55), rispettivamente: • • • tra le chiese particolari europee, tra Ovest e dell’Est (“i due polmoni”) tra Nord e Sud (EE, n. 53); tra le comunità cristiane (EE, n. 54) con le altre religioni, segnatamente con l’ebraismo (EE, n. 56) e con l’Islam (EE, n. 57). Proprio sull’Islam, diventato tema sempre più di attualità, il documento esprime invito ad un dialogo tanto fraterno quanto critico. Una catechesi intensamente culturale. Questo punto si farà più completo tenendo conto del livello successivo (etico-spirituale). Intanto possiamo riassumere il pensiero del documento, che porta a considerare il rapporto fede e cultura per due aspetti: • • cultura come componente onnicomprensiva della realtà, nel senso che il seme del Vangelo fra di noi europei cade sempre in un mondo estremamente ricco di sensibilità culturale, per cui l’annuncio evangelico, per quanto giustamente povero e disadorno per non svuotare lo scandalo della croce, non deve apparire sciatto, retorico, autoritario, aprioristico, senza argomentazione, soprattutto carente di umanità, perché avulso dalle domande e risposte dell’uomo; ma la cultura oggi da evangelizzare, che è quella segnata dalla modernità e diventata nostra contemporanea (EE, n. 58), è una cultura in cui l’autonomia dell’uomo ha già piantato i suoi paletti di confine, paventando nel cristianesimo un pericoloso concorrente e ponendosi in un confronto non di rado sospettoso e conflittuale con esso. Pertanto «occorre un sereno confronto critico con l’attuale situazione culturale dell’Europa, valutando le tendenze emergenti, i fatti e le situazioni di maggior rilievo del nostro tempo alla luce della centralità di Cristo e dell’antropologia cristiana» (EE, n. 58). Questa istanza per ogni forma di annuncio del vangelo in maniera anche culturalmente motivata, è in fondo il significato della scelta della Chiesa italiana che va sotto il nome di “progetto culturale cristianamente ispirato”. In questo modo si realizza lo scopo messo dal Giovanni Paolo II fin dalla prima pagine, scopo specifico di una catechesi valida: rendere i cristiani ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della (loro) speranza» (EE, n. 1). 2.2.3. Livello etico-spirituale (sociale) In Europa la catechesi deve avere una grande innervatura sociale, si potrebbe dire che deve essere un annuncio che attinge ampiamente dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa, per stare ad un eccellente ed autorevole strumento di lavoro recentemente pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Il testo sinodale vi insiste nei capp. III, V e VI. Sono individuabili tre direzioni di marcia che semplicemente richiamiamo. “Evangelizzare la vita sociale”: se ne parla nel capitolo dedicato alla catechesi. Comprende, un affastellato gruppo di tematiche: la cultura (EE, n. 58), la scuola (EE, n. 59), i giovani (sic!) (EE, nn. 61-62), i mass media (EE, n. 63), la missione ad gentes (EE, n. 64). Abbiamo già accennato che il processo catecumenale abbraccia anche la formazione alla diakonia, al servizio, giacchè «la testimonianza della carità possiede in se stessa una intrinseca forza evangelizzante» (EE, n. 84). Tra le molte cose scritte, tre aspetti sembrano particolarmente specificati per l’Europa, in quanto gravidi di sfida per un annuncio evangelico: • • • «annunciare con rinnovato vigore ciò che il Vangelo dice sul matrimonio e la famiglia», globalmente si tratta della cultura della vita (EE, nn. 90-96); a cultura e prassi della solidarietà (EE, nn. 84-89 e soprattutto n. 112); la cultura dell’accoglienza dello straniero (EE, nn. 100-103). “Costruire una città degna dell’uomo” (EE, n. 97) è un modo di esprimere, in consonanza con il bisogno e le risorse dell’Europa, una nuova frontiera dell’annuncio del Vangelo. Il compito è sintetizzato in “vocazione spirituale dell’Europa” e operativamente si realizza in «Europa promotrice dei valori universali» (EE, n. 108). Vuol dire che la catechesi in Europa non può limitarsi a comunicare soltanto le “cose di Dio”, ma anche le “cose dell’uomo”, ciò che egli ha saputo forgiare con la ispirazione di Dio. E queste conquiste dell’uomo vengono nominate più volte, in diversi modi, «riassumibili nell’affermazione della dignità trascendente della persona umana, del valore della ragione, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto della distinzione tra politica e religione» (EE, n. 109). Da questa promozione dei “valori universali” prende il via “la costruzione” della nuova Europa (EE, n. 113). 2.3. Una garanzia istituzionale Questa Europa che tende, sia pur faticosamente, di passare da Europa dei mercati, ad Europa politica, per giungere ad Europa dei valori, trova al suo fianco «la Chiesa per una nuova Europa» (EE, n. 116). E la Chiesa, sensibile come nessun’altra agenzia, all’annuncio del “Vangelo della speranza”, ha già proceduto nel Consiglio delle Conferenze episcopali europee (CCEE) all’istituzione di un’apposita Commissione dedicata alla evangelizzazione e catechesi del Continente, cui presiede Mons. C. Nosiglia, vescovo di Vicenza. Un recente convegno europeo ha trattato della figura del prete catechista in Europa (2003). L’abbiamo voluto dire per aiutare a sperare. Conclusione Quale catechesi in Europa? Mi sembra che sia evocata, più che descritta, ma evocata efficacemente, in queste parole conclusive del compianto, indomito Papa Giovanni Paolo II: • «Europa del terzo millennio “non lasciarti cadere le braccia” (Sof 3,16); non cedere allo scoraggiamento […]. Riprendendo questo invito alla speranza,ancora oggi ripeto a te, Europa che sei all’inizio del terzo millennio: “Ritorna te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici» […] Non temere! Il Vangelo non è contro di te, ma è a tuo favore […] Abbi fiducia! Nel Vangelo, che è Gesù, troverai la speranza solida e duratura a cui aspiri […] Sii certa! Il Vangelo della speranza non delude. […] è invito a tutti, credenti e non, a tracciare vie sempre nuove che sboccano nell’“Europa dello spirito”, per farne una vera “casa comune” dove c’è gioia di vivere» (EE, nn. 120-121). * Professore emerito, già Ordinario di Bibbia e catechesi, Università Pontificia Salesiana, Roma