Belotti - Villa Lorenzi

Transcript

Belotti - Villa Lorenzi
Seminario di riflessione – Famiglia, scuola, sport: la rete dà ancora segnali
12 novembre 2011
Valerio Belotti - Ma siamo davvero in emergenza educativa?
(Relazione non rivista dall’autore)
Ringraziamenti e saluti
Partirei riprendendo il titolo di questo incontro cioè Famiglia, scuola, sport: la rete dà ancora
segnali.
Vorrei dire al proposito che ho pochi dubbi al riguardo nel senso che queste tre importanti
istituzioni sociali ne danno tanti di segnali; molti di questi sono incoraggianti, positivi, molteplici,
toccano varie dimensioni della vita quotidiana e vanno in profondità, vanno a toccare l’intimità dei
nostri rapporti, delle nostre relazioni, sono profondi.
Allo stesso tempo vorrei dire che questi segnali a volte sono eccessivi, cioè sono troppi.
Sono così tanti che a volte appaiono una gabbia in cui abbiamo costretto i nostri ragazzi a
stare in tutta comodità.
Con l’effetto di rimandare sempre più in avanti molte delle decisioni della crescita che competono a
loro e non ai loro genitori.
Lo dirò subito: la situazione generale dei ragazzi e delle ragazze italiane appare abbastanza diversa
da quella che contraddistingue altri paesi europei, soprattutto quelli dell’area centrale del nord.
Solo alcune considerazioni:
Ai nostri ragazzi piace stare in famiglia, hanno un rapporto perlopiù positivo verso i propri genitori,
la famiglia è vista come un porto sicuro in cui scambiare affetti e sicurezze.
I ragazzi italiani sono quelli che commettono meno reati in Europa.
Sono quelli che commettono violenze verso se stessi in misura nettamente minore degli altri
europei..
Il numero di ragazzi seguiti dai servizi sociali sono nettamente inferiori a quanto accade in altri
paesi.
Il numero di ragazze madri è nettamente inferiore a quelle inglesi, anche perché da noi i ragazzi
fanno sesso più tardi dei coetanei europei.
Insomma, viviamo in una situazione che alcuni tra noi definiscono “pacificata” nelle famiglie.
Ma questo ha un prezzo.
Elevato. Nel senso che da noi i ragazzi diventano autonomi più in là nell’età.
Pensate. Se una ragazza inglese a vent’anni è ancora in famiglia, i vicini tendono a chiedersi: che
problemi ha questa ragazza che ancora vive con i suoi genitori.
Se invece è una ragazza italiana, sempre di venti anni, che esce di casa, cosa tendono a chiedersi i
vicini: non che problemi ha questa ragazza, bensì che problemi ha questa famiglia che non è riuscita
a tenersi in casa la figlia.
E in un certo senso la domanda è corretta, perché tende sempre di più ad emergere una sorta di
complicità tra genitori e figli nel sostegno al processo di crescita di questi ultimi. Una sorta di
protezione dei rischi sociali che si allunga nel tempo.
C’è un investimento affettivo tale nei nostri figli che spesso non li sproniamo ad assumere decisioni
coraggiose. La sua parte lo fa ovviamente lo Stato, il welfare che non sostiene i percorsi di
1
autonomia, che non aiuta i nostri ragazzi a crescere perché i figli sono un problema della famiglia e
non delle istituzioni come dice spesso il nostro ministro della famiglia.
Quindi la famiglia sta dando molto segnali, così anche la scuola, così anche il welfare. Ma sono
segnali di protezione, non di spinta alla ricerca dei percorsi di autonomia dei propri ragazzi.
Certo ci sono anche segnali non proprio incoraggianti che provengono da questi mondi. Soprattutto
nei rapporti tra famiglia e scuola in cui molti processi democratici e partecipativi si sono via via
svuotati nel tempo, impoverendosi.
Ma questo è un po’ l’ambivalenza che caratterizza il nostro vivere e il coraggio che
quotidianamente la vita ci chiede di esprimere.
A forti tensioni verso la disgregazione sociale si contrappongono altrettanto forti tensioni verso la
coesione sociale.
Certo le notizie della disgregazione sociale sono molto più potenti ed appetibili nelle
comunicazione dei media perché le belle e buone notizie non fanno, appunto notizia da vendere.
Ma accanto a centinaia e più episodi di devianza o di marginalità dei giovani enfatizzati dalla
stampa concorrono altre decine di migliaia di ragazzi che affrontano con coraggio e determinazione
le quotidiane difficoltà e della vita quotidiana, che vivono con spensieratezza e socievolezza i loro
momenti più piacevoli della loro crescita, che esprimono con altrettanta determinazione diversi e
variegate forme di solidarietà individuale e associazionistica con i pari e con gli adulti.
Quindi, il mio contributo di stamani è rivolto in parte anche a comprendere come mai ci
interroghiamo continuamente sulla questione educativa nel nostro paese, come se fossimo sempre in
emergenza.
Come mai puntiamo sempre la nostra attenzione sulle difficoltà educative partendo poi spesso
dall’individuare nei comportamenti dei ragazzi e delle ragazze dei segnali che non ci convincono, in
cui non ci riconosciamo, che appaiono destabilizzare i valori su cui si fondano le nostre
organizzazioni sociali.
Lo sguardo che adotterò non è quello del medico di famiglia che, se interrogato da un marziano,
sulla qualità della vita dei suoi cittadini, non può che rispondere che li vede sempre ammalati e con
diversi problemi di salute.
Adotterò uno sguardo che guarda alla normalità della vita quotidiana, alla moltitudine, non allo
specifico malessere. Questo perché lo specifico malessere non può essere che inteso e affrontabile
guardando anche all’ambiente sociale in cui questo è emerso.
La prima cosa che voglio dirvi è che il malessere che noi portiamo sempre alla ribalta nei confronti
dei nostri ragazzi è una forma strutturale, permanente del nostro vivere.
Permettetemi di leggere queste due affermazioni:
La prima:
«Oggi i ragazzi amano troppo i propri comodi. Mancano di educazione, disprezzano l’autorità, i
figli sono diventati tiranni anziché essere servizievoli. Contraddicono i genitori, schiamazzano, si
comportano da maleducati con i loro maestri».
La seconda:
«In questi ultimi tempi, il mondo si è degenerato al di là di ogni immaginazione. La corruzione e la
confusione sono diventate cose comuni. I figli non obbediscono più ai genitori e ormai non può che
essere imminente la fine del mondo».
2
La prima affermazione, quello relativa ai figli tiranni, ai figli reucci in famiglia è di Platone, 400
a.c.
E’ incredibile, sembra estratta dall’ultimo rapporto fatto da Telefono azzurro sui bambini italiani in
famiglia …..
La seconda è scritta su una tavoletta assira del 2.800 a.c. e potrebbe benissimo essere scritta in un
giornale quotidiano dei giorni nostri oppure detta da innumerevoli genitori e insegnanti.
Cosa voglio dire con questo? Che esiste da sempre un atteggiamento pregiudizievole nel senso
comune degli adulti verso la generalità dei ragazzi e delle ragazze.
Un atteggiamento preventivo di condanna, di incomprensione, di rinuncia, di sfiducia verso la
generalità dei giovani.
Dico la generalità non a caso perché invece rispetto ai nostri specifici figli spesso le cose cambiano.
Tendiamo ad assolverli, a giustificarli di fronte agli altri come se fossimo complici.
Quante volte assistiamo o leggiamo l’intervista a un madre o a un padre di un giovane che ha
commesso atti gravi di violenza affermare che il loro è un bravo ragazzo, che nulla faceva pensare a
quanto ha fatto, che va capito, ecc. ecc.
Quasi a volte, non certo sempre, ci fosse un doppio registro: di condanna verso la categoria generale
dei ragazzi, di complicità verso i propri figli.
Non voglio affatto sostenere che i ragazzi sono tutti educati, responsabili e obbedienti.
Assolutamente no, ma che da sempre gli adulti vedono nelle nuove generazioni un pericolo che
avanza e che mette in grandi difficoltà le basi su cui la nostra società adulta si regge.
Un po’ è vero, ma aggiungerei anche per fortuna, perché altrimenti non ci sarebbe il cambiamento,
non ci sarebbe lo sviluppo sociale.
Ma dall’altro è che noi adulti abbiamo la memoria corta. Non ci ricordiamo che facevamo le stesse
cosacce che rimproveriamo ai ragazzi di oggi e che soprattutto anche verso di noi piovevano a suo
tempo i rimproveri dei nostri padri e delle nostre madri.
Quante volte ci ritroviamo a dire ai nostri figli adolescenti: “ma questo non è un albergo”
riferendoci all’uso disinvolto che fanno delle risorse disponibili in casa? Quante volte la stessa frase
è stata a suo tempo detta dai nostri genitori rivolti a noi?
Come uscire da questa che sembra un eterno destino di incomprensione dei rapporti tra adulti e
ragazzi?
Come sapete non ci sono ricette generali.
Ci sono però alcune prospettive che possono aiutare più di altre a comprendere meglio le relazioni
con i nostri ragazzi.
La prima prospettiva da assumere o meglio da riconoscere è che tra le generazioni esistono
delle relazioni asimmetriche cioè delle relazioni di potere.
Sappiamo tutti da che parte stanno le risorse di potere tra genitori e figli.
Sono relazioni asimmetriche che nascono dal fatto che siamo chiamati ad assumere delle
responsabilità genitoriali e adulte verso i nostri piccoli per aiutarli a crescere: dall’assicurare loro
l’alimentazione, una casa in cui vivere, un’istruzione, ma soprattutto dall’assicurare dei legami
familiari, delle relazioni significative con cui questi possono riconoscersi e in cui possano
riconoscersi.
3
Altrimenti non potrebbero crescere già da subito, dai primi giorni di vita.
La natura, le forme di questo necessario esercizio di responsabilità da parte degli adulti non può
rimanere immutato nel tempo della crescita dei figli.
Anzi, l’abilità e il senso di questo esercizio è nella continua ricerca dell’equilibrio tra protezione e
cura che richiede la crescita dei piccoli e la loro crescente esigenza di autonomia, di sperimentare
senza le reti protettive dei genitori, di mettersi alla prova.
La ricerca di questo equilibrio, in fin dei conti di saper fare un passo indietro da parte dei genitori
nei confronti dei loro figli diventa meno facile nell’età della preadolescenza e dell’adolescenza.
In questa fase, spesso è l’ansia protettiva che prevale sulla possibilità di lasciar spazio ai figli, sulle
loro possibilità di movimento, sullo sviluppo delle loro capacità e competenze a costruirsi le proprie
esperienze in autonomia.
Si cominciano quindi ad affollare le domande:
quando possono stare da soli o essere accompagnati a scuola;
quando possono ricevere del denaro da potersi gestire in modo autonomo o possono avere le chiavi
di casa per potervi ritornare senza controlli;
quanto devono studiare o partecipare ai lavori domestici;
quando possono prendere la parola o contraddire gli adulti;
quando scegliere e utilizzare in modo autonomo i media e gli spazi disponibili in casa.
Se la prima prospettiva è riconoscere apertamente che i rapporti tra genitori e figli sono inseriti in
una cornice di potere, seppur agita responsabilmente, la seconda è riconoscere che soprattutto i
ragazzi e le ragazze hanno la capacità di negoziare e di limitare quotidianamente questo
esercizio di potere.
Cioè riconoscere che i ragazzi hanno delle idee sulla loro vita, sulla loro quotidianità, danno un
senso alle azioni che agiscono.
Qui non è importante capire se queste idee sono meglio delle nostre, se sono strampalate o meno.
La cosa centrale in questa mia riflessione è che per loro non sono affatto strampalate e hanno un
senso.
In più sono quasi sempre diverse dalle nostre, di genitori, di educatori, di adulti.
Anche per i ragazzi c’è un’emergenza educativa così come per noi. Solo che per loro è rovesciata.
Sono gli adulti sempre meno caapci di negoziare il proprio potere ed esercitare la propria
responsabilità
Da ciò discende un’altra prospettiva, la terza, cioè che va fatto uno sforzo maggiore di quanto si
faccia oggi, di capire il punto di vista di questi ragazzi, di comprendere il loro mondo, di come
vivono il nostro mondo, di come affrontano la negoziazione quotidiana con noi.
Sembra una banalità, ma questo punto è sempre il più difficile da attuare.
L’ascolto è lo strumento migliore per attuare questa prospettiva.
Ma come dicevo non è facile. Sia in famiglia che fuori dalla famiglia.
Quante volte ad esempio, quando abbiamo un bambino e un ragazzo preso in carico dai servizi
sociali, si ascolta direttamente la sua opinione, lo si coinvolge insieme ai suoi genitori sulle
principali decisioni di cura lo riguardano, magari sull’allontanamento dalla sua famiglia di origine?
4
Poche volte, vi assicuro. Pensate che in Inghilterra ad esempio, il ragazzo partecipa direttamente
alla riunione decisiva tra operatori dei servizi in cui si discute e si decide il percorso di presa in
carico.
Cambiando campo, quante volte gli allenatori di una squadra promuovono momenti di confronto
comune sulle cose che vanno e che non vanno, sull’efficacia di certe scelte di gioco, di
impostazione degli allenamenti tra gioco e fatica del gioco?
Ma non basta ascoltarli, occorre anche prendere sul serio quello che dicono e tenerne conto
nell’esercizio della responsabilità di adulti che abbiamo nei loro confronti.
Pensate che siamo così invece interni alla prospettiva adulto centrica che anche quando vogliamo
sapere la vita dei nostri ragazzi lo chiediamo ai genitori, agli insegnanti, cioè agli adulti. Non così le
società di marketing che sanno bene quanto siano anche i bambini a partecipare alle scelte di
consumo della famiglia.
Ma veniamo ai dati della ricerca che abbiamo svolto in Italia su 23000 ragazzi e ragazze.
Dire dell’Età, della dispersione territoriale, dei quesiti.
Come d’accordo con il tema di questo incontro, parlerò di famiglia, sport e scuola o meglio di cosa
pensano i ragazzi intervistati della loro quotidianità in questi spazi.
Veniamo alle principali domande che ci siamo posti.
Chi decide delle questioni che riguardano la loro quotidianità in famiglia, tra gli amici, a scuola,
nell’associazione sportiva, …?
Quanto i ragazzi e le ragazze negoziano nella vita quotidiana?
Partiamo con la famiglia.
Cosa dicono le ricerche su questo aspetto?
Come dicevo in apertura, di solito si evidenzia che oggi le famiglie appaiono “pacificate”.
Esistono scambi affettivi, di senso ed economici tra i diversi membri che permettono ormai da anni
di evitare fratture esplicite tra le generazioni all’interno delle famiglie.
Infatti anche i nostri ragazzi intervistati dichiarano in larghissima parte di sentire una forte
appartenenza familiare, di sentirsi al sicuro all’interno della famiglia, anche al crescere dell’età.
Anche al crescere della rilevanza del gruppo amicale.
Si ritiene spesso che le forme di attaccamento e di appartenenza agli amici e ai familiari siano in
conflitto.
Sembra invece che l’espansione dello spazio di autonomia dei figli in famiglia avvenga oggi senza
generare grandi fratture.
In effetti, anche nella nostra ricerca emergono delle famiglie in cui gli spazi di autonomia dei figli
sono sensibili. Dipende ovviamente dagli aspetti che si prendono in considerazione.
Consideriamo quindi le decisioni quotidiane che riguardano i ragazzi sul vestire, sull’usare i media,
sul tempo libero, ….
Avevamo fatto diverse domande sull’argomento e gli intervistati potevano dire se erano loro a
prendere le decisioni, se prendevano decisioni insieme alle famiglie, ecc. ecc.
LUCIDO
5
Cosa dicono i dati raccolti?
Come I RAGAZZI si rappresentano la loro autonomia all’interno della famiglia? Badate, si tratta di
rappresentazioni. Sarebbe stato veramente interessante raccogliere le dichiarazioni dei genitori sugli
stessi temi.
Solitamente le une divergono dalle altre.
La prima osservazione è che il livello di autonomia decisionale che gli intervistati dichiarano di
avere in famiglia rispetto a buona parte delle questioni proposte è rilevante.
In particolare, rispetto alla cerchia delle relazioni amicali e sentimentali, alla gestione dei libri di
interesse e del proprio tempo libero e rispetto alla cura di sé, le percentuali che indicano il prevalere
delle decisioni degli intervistati sono nettamente maggioritarie e oscillano intorno al 90%.
Ci saremmo stupiti del contrario, ma è pur vero che ci saremmo aspettati anche su questi aspetti una
maggiore attività di negoziazione con i propri genitori e quindi un maggiore addensamento delle
risposte sull’opzione indicante le pratiche consensuali tra le generazioni presenti in famiglia.
A questo primo gruppo di questioni ne segue un secondo che, seppur presenti ancora ampi spazi di
autonomia decisionale da parte degli intervistati, si accompagna a un discreto lievitare delle
decisioni condivise con i genitori.
Gli aspetti su cui queste intervengono riguardano l’uso dei media, dei video- giochi, dei soldi, il
tempo e, per chi crede, i modi della preghiera.
A metà strada tra condivisione e autonomia si posiziona la scelta del percorso scolastico.
Scelta in cui l’autonomia cresce in modo vertiginoso passando dagli 11enni ai 15enni.
Divengono invece del tutto di competenza dei genitori e delle attività di negoziazione con i figli le
regole da rispettare in famiglia e cosa mangiare a pranzo e a cena.
In definitiva, a un primo esame d’insieme, lo spazio delle decisioni familiari in ordine alle questioni
individuate si gioca essenzialmente oggi tra la piena o quasi piena autonomia dei ragazzi e delle
ragazze e la decisione concordata tra genitori e figli.
Infatti, secondo gli intervistati, poco rilevante è lo spazio decisionale a esclusiva competenza
dei genitori e All’aumentare dell’età aumentano ancor più gli spazi di autonomia.
Abbiamo visto però le due eccezioni: le regole generali di convivenza familiare e la natura dei pasti
giornalieri.
In queste due eccezioni, l’età conta poco nonostante i termini usati per dare significato alla
domanda riguardassero cose ben precise, come uscire di casa, partecipare al lavoro domestico,
dormire, tempi di studio. Su questi aspetti i genitori sembrano voler mantenere nel tempo una forte
prerogativa di controllo sia nei confronti dei figli più piccoli che di quelli ormai grandi, i
quindicenni.
E quanto conta il genere nella distribuzione di questa autonomia?
Eravamo partiti pensando che contasse molto. Lo pensavamo rispetto alla nostra esperienza
quotidiana, ai risultati delle ricerche svolte tra i giovani maggiorenni.
6
Nel senso che sia nel complesso dei dati che all’interno delle diverse coorti scolastiche, le
differenze nei livelli di autonomia di ragazze e ragazzi sulle questioni prese in considerazione sono
quasi irrilevanti sotto il profilo statistico.
Anche nei riguardi di quella che pensavamo fosse una questione sensibile alle differenze di genere,
cioè la formulazione delle regole di casa da rispettare, riguardanti come detto, soprattutto il lavoro
domestico e l’uscire di casa.
Insomma, ragazzi e ragazze non sembrano controllate in modo diverso: sugli aspetti che per la
morale dei genitori hanno una certa importanza (LE REGOLE), il controllo non è ancora
differenziato per genere perché ancora saldamente nelle mani dei genitori.
Sport
Il secondo abito su cui ci siamo rivolti è l’ambito sportivo.
Non solo perché coinvolge ben l’87% dei ragazzi e delle ragazze e il 53% nelle forme agonistiche
organizzate.
Non è la prima volta che lavoriamo con i ragazzi che fanno sport.
C’è un consenso generale tra gli adulti che lo sport fa bene. educa alle regole e alla disciplina,
favorisce la concentrazione sugli obiettivi da raggiungere, innesta un sano spirito competitivo.
In effetti sfugge sempre un aspetto che invece i ragazzi tendono a far emergere nei loro racconti
cioè che quello sportivo
è un ambito diverso da tutti gli altri. In cui si possono fare cose che in altri ambiti di vita non
si possono fare.
Infatti, urlare fino a sgolarsi non è proprio raccomandabile farlo in classe oppure farlo a tavola
mentre si mangia, mentre è normale farlo in un campo di gioco, organizzato o meno non importa.
Sfogare in forme plateali la propria rabbia e la propria tensione, manifestare forti emozioni in
pubblico anche in modi non proprio decorosi (come spesso si fa per un gol o per un risultato) non
può essere fatto in un luogo pubblico, in casa, a scuola, per strada. Si rischia molto. Di essere
considerati degli svitati oppure di essere considerati pericolosi, aggressivi e devianti.
Comportamenti invece che sono possibili e accettati se li si fanno con i compagni di squadra o in
competizione con gli avversari.
Correre fino allo sfinimento, toccare i limiti della propria resistenza fisica senza preoccuparsi di
quello che può dire la gente intorno, sono cose che si possono sperimentare quasi solo nello sport.
Non che le forti emozioni o avvicinare la sensazione del “perdersi” e dell’eccesso siano esclusive
delle pratiche sportive, ma in queste si coniugano aspetti che in altri casi si danno in forma meno
ricorrente.
Si sperimentano le proprie capacità fisiche e corporee fino a raggiungerne il limite;
si arriva ad una maggiore consapevolezza di sé attraverso un uso estremo dei propri sensi;
si mettono in gioco e si provano nuove competenze, si sviluppano capacità cognitive; si apprendono
nuove conoscenze;
si pratica la gestione di errori o di esiti negativi, quali sconfitte e delusioni, ma anche l’esercizio e la
ricerca del piacere, dell’esserci riusciti.
Al contempo si sperimentano esperienze relazionali e sociali.
7
Gran parte delle pratiche sportive, soprattutto organizzate, sono una occasione di forti interazioni e
relazioni con altri, con compagne e compagni del proprio gruppo e con quello degli avversari, con
adulti diversi dai familiari e dagli insegnanti.
Nelle relazioni con questi nuovi adulti valgono regole e rituali differenti da quelli già sperimentati e
conosciuti in famiglia oppure a scuola.
Ma quanto si partecipa alla costruzione di questo spazio? Quanto si viene coinvolti nella sua
gestione?
Se stiamo su un livello di valutazione generale, il coinvolgimento appare simile a quello che si
registra in famiglia.
Ma se si approfondiscono le questioni in cui ci si confronta all’interno della pratica sportiva, il
quadro si fa meno partecipativo.
LUCIDO
Abbiamo chiesto agli intervistati quanto partecipano alle modalità di organizzazione degli
allenamenti (fasi di gioco, di preparazione fisica, ..), delle regole di comportamento (parlare,
puntualità, ordine, pulizia) , alle strategie di gioco, alla riflessione sui possibili conflitti interni o sui
malintesi, alla discussione delle prestazioni in gara.
Come potete vedere dalla prima canna d’organo, esiste una tendenza a considerare un’esclusività
adulta l’organizzazione degli allenamenti, il bilanciamento tra tempi per la tecnica e il gioco, le
pause e le accelerazioni,. Ciò in modo indipendente dall’età dei ragazzi e delle ragazze e anche dal
genere.
A metà strada si posizionano invece le discussioni sulle regole di comportamento (in particolare la
puntualità, l’ordine, parlare, …) così come il confronto su come preparare le partite o le gare
agonistiche, le strategie da adottare.
Infine, oggetti di maggiori discussione e confronto appaiono la qualità delle relazioni e le riflessioni
sulle esperienze di gioco, siano essi i problemi di clima relazionale che i motivi di soddisfazione e
insoddisfazione legati ai risultati sportivi raggiunti.
Vedremo successivamente di comparare diversi livelli di coinvolgimento o meno che i ragazzi
hanno nei vari ambiti presi in esame.
Passiamo ora alla scuola.
La Scuola
Si sa, a scuola è ormai un obbligo planetario. Se esiste un disegno della modernità verso i bambini e
i ragazzi questo non può che essere visto nell’obbligo sempre più stringente della scolarizzazione e
nel divieto, sempre più assoluto, di non fare esperienze lavorative, di non lavorare.
Diverse ricerche svolte in Italia hanno dimostrato come la scuola italiana sia caratterizzata da un
ambiente fortemente strutturato e da una specifica “cultura educativa”.
Stupisce quindi fino a un certo punto che un ambiente così strutturato non attiri più di tanto le
simpatie degli studenti, sia in Italia che in altri Paesi. In particolare nel nostro Paese.
8
Ricordo che secondo l’indagine periodica svolta dall’Oms, le quote degli undicenni, tredicenni e
quindicenni italiani a cui “piace molto andare a scuola” è nettamente inferiore a quella di altri paesi.
In questa particolare graduatoria internazionale, che interessa circa una quarantina di paesi, le
ragazze e i ragazzi italiani, indipendentemente dall’età e dal genere si posizionano negli ultimissimi
posti.
In particolare, le quote di soddisfazione diminuiscono in modo drastico all’aumentare
dell’esperienza scolastica. Più si prosegue nella carriera, meno si è contenti.
Di fronte a questi dati non credo che ci si debba solo interrogare sulla presunta “svogliatezza” dei
nostri studenti che, in effetti, ce la mettono proprio tutta a risultare, nell’indagine comparativa
internazionale Pisa (Oecd 2007), tra i meno preparati scolasticamente.
Piuttosto o contemporaneamente ci si potrebbe interrogare in modo più approfondito sulle culture
educative prevalenti nel nostro Paese, che contribuiscono a rendere appetibile o meno ai giovani la
loro avventura formativa.
Ma vediamo cosa dicono i nostri intervistati sugli spazi di negoziazione che sono aperti nelle scuole
che frequentano.
LUCIDO
Abbiamo chiesto un giudizio su quanto sono concordate in classe: le regole da rispettare, la quantità
dei compiti, le uscite da fare, le modalità e la frequenza delle interrogazioni e delle verifiche, le
attività in classe, le cose che vanno e che non vanno.
Le rappresentazioni al riguardo offerte dagli intervistati risultano abbastanza variegate per tipologia
di riferimento degli aspetti sotto valutazione.
Ma l’aspetto più evidente che potete notare è che la maggioranza degli intervistati afferma di non
discutere regolarmente con gli insegnanti di ciascuno questi aspetti.
Un risultato che sembra dare spazio a chi considera rigido il nostro sistema scolastico, che lo
considera molto centrato sull’apprendimento formale e poco attento a valorizzare la dimensione
relazionale e critica delle interazioni e degli scambi comunicativi.
Complessivamente si tende di più al confronto in occasione di particolari situazioni e eventi che
rischiano di mettere in pericolo il clima in classe, mentre gli insegnanti stentano a mettere in
discussione la quantità dei compiti assegnati per casa e le uscite fuori scuola e questo,
indipendentemente dall’appartenenza alla coorte scolastica.
A confronto
Ora, se consideriamo in forma comparativa questi risultati emerge una gerarchia di ambiti in cui gli
intervistati si sentono contare di più e di meno.
LUCIDO
La comparazione avviene solo per l’opzione “molto” , cioè la scelta più alta che gli intervistati
potevano scegliere.
9
Come si può vedere, i diversi ambiti tendono a mostrare la stessa quota di autonomia fuorché
nell’ambito scolastico.
Nei gruppi amicali, nell’associazionismo, in famiglia e nei gruppi sportivi, la linea d’ombra che
disegna il confine di poteri tra e generazioni dei ragazzi e degli adulti sembra scorrere in uno spazio
tra il 40% e il 50% degli intervistati.
In altre parole CIRCA la metà dei ragazzi e delle ragazze intervistate si dichiarano molto soddisfatte
del loro essere prese sul serio.
Nell’ambito scolastico, questa fetta di riconoscimento precipita al 14%.
La cosa interessante è che questa gerarchia tende a essere stabile tra le diverse componenti sociali.
Cioè, è simile tra i ragazzi che tra le ragazze. E’ vero, le ragazze risultano numericamente sempre
più ascoltate dei ragazzi in tutti gli ambiti, ma le differenze tra i due gruppi sono comunque ristrette.
E’ simile anche tra le diverse coorti d’età sociali. E’ vero, al crescere dell’età, si conta di più o si è
più ascoltati tra gli amici oppure, interessante, più cresce l’età e meno la scuola sembra interessarsi
ai suoi studenti (non parliamo dell’università in cui gli studenti sembrano a volte essere un
impedimento che una risorsa; parlo per la mia esperienza, ovviamente).
E quest’ultima è una della evidenze che questa ricerca ha indicato, cioè la necessità del rilancio di
una riflessione generale sul ruolo formativo della nostra scuola, sulle reali esperienze partecipative e
democratiche che questa è oggi in grado di far sperimentare ai ragazzi e alle ragazze che la
popolano.
A meno che non si pensi che la scuola sia un luogo “forzato”, in cui i diritti di ascolto e di
coinvolgimento sono momentaneamente sospesi in attesa dell’età adulta.
(Ma in questa versione dell’investimento formativo non voglio credere. …..)
…..
Sempre in riferimento agli ambiti della vita quotidiana, abbiamo chiesto quali tra alcuni aspetti
descrivono meglio lo stare in famiglia, tra gli amici, a scuola, nello sport.
Abbiamo scelto gli aspetti ritenuti più rilevanti tra intervistati. Quelli che hanno raccolto più del
50% con al sola opzione “molto”.
LUCIDO
Come leggerli?
I due aspetti che toccano in modo trasversale tutti gli ambiti sono “il senso di appartenenza” e il
“divertirsi”.
In particolare l’aspetto dell’appartenenza raggiunge la quota massima in famiglia.
L’aspetto del divertimento raggiunge il massimo nella pratica sportiva e nel gruppo amicale.
La cosa che vorrei far notare è quanto siano tra loro stretti i legami di senso tra la famiglia e il
gruppo amicale.
In entrambi gli ambiti si sottolinea il senso di appartenenza, il sentirsi al sicuro, il poter parlare
liberamente. I più piccoli, gli 11enni, dichiarano anche di divertirsi molto pure in famiglia e non
solo con gli amici.
10
Due ambiti quindi, come hanno dimostrato altre ricerche e senza sorpresa, che nella testa dei
ragazzi tendono a funzionare non in forme tra loro alternative e conflittuali, ma in forme
complementari.
Certo non in forme sovrapposte. Spesso lo spazio relazionale amicale dei figli preadolescenti e
adolescenti è per i genitori uno spazio “oscuro e cieco”, uno spazio che i figli tendono a riservarsi,
tenendolo lontano dal controllo e dal confronto con i genitori.
E ciò rappresenta sempre una grande forma di ansia da rischio dei genitori.
Ma non per questo lo sviluppo dell’uno sembra andare a generale discapito dell’altro.
Certo nel processo di crescita, le funzioni svolte dalla famiglia e quelle svolte dal gruppo amicale
possono diversificarsi, ma all’interno di un cornice di senso che i ragazzi e le ragazze (solitamente
molto meno i genitori) sentono unitaria.
In ultimo, rimane da segnalare come l’aspetto del dimostrare le proprie capacità sia rilevante per gli
intervistati solo nella pratica sportiva, anche se il quesito non specificava affatto che per capacità si
volevano intendere solo quelle fisiche e della corporeità.
Lo sport si individua quindi con un proprio specifico per i giovani e forse è l’ambito che è stato
meno investito dalla corrente innovativa dei diritti dei bambini e in cui meno si è fatto in tal senso.
Infine la scuola che rappresenta anche su questo versante l’ambito più in posizione critica. In cui ci
si riconosce fino a un certo punto e comunque meno che in altri ambiti.
In cui in parte ci si diverte, ma in cui non ci si sente necessariamente al sicuro, in cui si parla meno
liberamente che in altri ambiti, in cui è più difficile dimostrare le proprie capacità.
Per chiudere.
Ecco, rispondere alle questioni della ventilata emergenza educativa, significa prendere in
considerazione anche quello che dicono direttamente i ragazzi stessi.
Non solo gli adulti, non solo i genitori.
L’agire dei ragazzi ha sempre per loro un senso, è frutto di intenzionalità, non è irrazionale.
Un senso del vivere che per loro è unitario, è coerente anche se spesso non lo è altrettanto per gli
adulti che li accompagnano.
Occorre evitare la scorciatoia di pensare che perché adulti e perché anche siamo stati una volta
bambini, noi si sappia a priori del loro mondo, delle loro aspettative ed esigenze di crescita.
La consapevolezza delle ragazze e dei ragazzi nello stare nel loro mondo e nel nostro mondo, merita
di essere conosciuta, valorizzata e presa in considerazione quando si prendono decisioni che li
riguardano.
La questione dell’emergenza educativa sta, secondo me, in questo spazio. Cioè si risolve tanto
quanto ci si rende conto che è un problema di rapporto tra le generazioni e non solo un problema
delle nuove generazioni.
Vorrei finire citando alcune raccomandazioni ai genitori riprese in parte da alcuni colleghi (Rosina,
Ruspini 2009) al riguardo:
1. Cerchiamo di essere disponibili quando i nostri figli ci cercano, ma aiutiamoli solo quando
non possono farcela senza di noi
11
2. Prendiamo sempre sul serio il loro punto di vista modificando con loro le regole della
nostra quotidianità
3. Non pretendiamo da un figlio maschio meno di quanto pretendiamo da una figlia femmina
4. Favoriamo le relazioni dei nostri figli piccoli con altri bambini
5. Cerchiamo di non essere complici con i nostri figli quando tengono comportamenti che
disapproveremmo se fatti da altri
6. Avviciniamo i nostri figli ai libri e al piacere della conoscenza e della scoperta
7. Alleniamo i nostri figli a un rapporto responsabile con il denaro
8. Costruiamo quotidianamente legami fiduciari con la scuola coinvolgendo e facendoci
coinvolgere dai nostri figli e dai loro insegnanti
9. Lo sport è importante per crescere, ma saper perdere è la prima cosa da imparare
10. Non idealizziamo il destino dei nostri figli e crediamo invece nel loro presente e nel loro
futuro
12