Micro-infiltrazione controllata di cristalli fotonici in due
Transcript
Micro-infiltrazione controllata di cristalli fotonici in due
Micro-infiltrazione controllata di cristalli fotonici in due dimensioni: circuiti ottici riscrivibili Università degli studi di Firenze Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica anno accademico 2003/2004 Silvia Vignolini 26 Aprile 2005 Relatore : Dr. Diederik S. Wiersma Correlatore : Prof. Roberto Livi Indice Introduzione 3 1 Cristalli fotonici 7 1.1 Introduzione ai cristalli fotonici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.1 7 Risoluzione del problema in modo formale: Master Equation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.1.2 Elettromagnetismo come un problema agli autovalori . . . . . 13 1.1.3 Conseguenze della condizione di periodicità della costante dielettrica: origine del Band Gap Fotonico . . . . . . . . . . . . . 14 1.2 Cristalli fotonici in due dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1.2.1 Cristalli a cella quadrata composti da colonne di dielettrico . . 20 1.2.2 Cristalli a cella quadrata composti da barre di dielettrico . . . 21 1.2.3 Cristalli a cella triangolare composti da cilindri a basso indice in un mezzo a indice maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 1.3 Conseguenze della presenza di un difetto all’interno della struttura periodica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 1.4 Infiltrazione globale di cristalli fotonici . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2 Introduzione alla Microscopia e Apparato utilizzato nell’esperimento 31 2.1 Microscopia confocale e Microscopio a campo vicino . . . . . . . . . . 31 2.1.1 Limite di diffrazione nella teoria di campo lontano . . . . . . . 31 i 2.1.2 Microscopia Confocale e Microscopio Confocale a Scansione Laser 2.1.3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Come superare il limite imposto dalla diffrazione: teoria del campo vicino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2.1.4 2.2 Microscopio a scansione a campo vicino (SNOM) . . . . . . . 40 Apparato utilizzato nell’esperimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Vario 2.2.1 Microscopio ottico Axiotec . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2.2.2 Microscopio Confocale a scansione laser (CLSM) . . . . . . . . 44 2.2.3 Omicron TwinSNOM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 2.2.4 Le punte SNOM 2.2.5 Apparato per misure ottiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 2.2.6 Apparato sperimentale completo . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 3 Realizzazione di un apparato per la micro-infiltrazione controllata di cristalli fotonici 3.1 57 Strumentazione necessaria per la realizzazione di un apparato di microinfiltrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 3.2 Passaggi necessari per la realizzazione dell’infiltrazione . . . . . . . . 62 4 Risultati sperimentali 67 4.1 Presentazione dei campioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.2 Misure preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 4.3 Caratterizzazione dei campioni e calibrazione del CLSM . . . . . . . . 74 4.4 Infiltrazione dei campioni: realizzazione di una guida ottica riscrivibile 78 4.5 Misure ottiche col microscopio a campo vicino . . . . . . . . . . . . . 87 5 Calcoli teorici 93 5.1 Risoluzione numerica delle equazioni di Maxwell in un mezzo periodico 93 5.2 Simulazione delle strutture di interesse . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5.3 Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 ii Conclusioni 111 Bibliografia 113 Ringraziamenti 119 1 2 Introduzione Negli ultimi cinquant’anni la tecnologia dei semiconduttori ha giocato un ruolo fondamentale anche nella vita di tutti i giorni. La spinta verso la miniaturizzazione e verso la realizzazione di dispositivi sempre più veloci ha però messo in evidenza i limiti di cui sono inevitabilmente affetti tali materiali: utilizzando dispositivi di dimensioni sempre più ridotte aumenta la dissipazione di potenza, e segnali veloci risentono dei problemi dovuti alla sincronizzazione stessa dei segnali. Sebbene si compiano grandi sforzi per migliorare tali dispositivi, un approccio alternativo a questo problema é quello di impiegare per il trasporto dell’informazione luce anziché elettroni. Il lavoro svolto durante questa tesi si colloca in questo ambito: realizzare un dispositivo ottico riscrivibile utilizzando cristalli fotonici in due dimensioni. I cristalli fotonici sono materiali caratterizzati da una modulazione periodica dell’indice di rifrazione su scala confrontabile con la lunghezza d’onda utilizzata per investigarli. Alla fine degli anni ottanta E. Yablonovitch in [1] e S. John in [2] hanno dimostrato teoricamente che strutture in cui è presente tale variazione periodica della costante dielettrica possono modificare drasticamente la natura dei modi fotonici al loro interno. In un cristallo fotonico si riproducono per i fotoni condizioni analoghe a quelle degli elettroni nei cristalli ordinari: il potenziale atomico periodico a cui sono sottoposti gli elettroni del cristallo semiconduttore é costituito, nel caso dei cristalli fotonici, da un reticolo di dielettrici macroscopici con differente indice di rifrazione. In modo del tutto analogo alla formazione del band gap all’interno di un cristallo semiconduttore, in un cristallo fotonico la modulazione periodica di 3 mezzi, con indice di rifrazione sufficientemente differente, permette la formazione di un band gap fotonico, ovvero un intervallo di frequenze per il quale la luce non può propagarsi all’interno del cristallo. Mentre nei semiconduttori l’arrangiamento periodico degli atomi del reticolo cristallino avviene naturalmente, all’interno dei cristalli fotonici questa disposizione si ottiene in maniera artificiale. Di conseguenza é possibile costruire strutture che presentano un band gap alla frequenza di interesse. Ciò chiarisce il grande interesse suscitato da questi materiali nell’ambito delle telecomunicazioni: realizzando cristalli fotonici con passo reticolare di circa 500 − 700 nm é possibile ottenere un band gap fotonico nel vicino infrarosso attorno a 1.5µm che rappresenta la lunghezza d’onda tipica utilizzata nell’optoelettronica. Naturalmente l’interesse suscitato dai cristalli fotonici e più in generale da sistemi complessi di dielettrici non ha scopi solo applicativi: l’analogia fotone elettrone in strutture di questo tipo permette di verificare, con setup sperimentali relativamente semplici, effetti di grande interesse per la fisica fondamentale. Un possibile esempio, in cui l’approccio elettronico risulta più difficilmente interpretabile e osservabile sperimentalmente rispetto a quanto non lo sia quando si ha a che fare con i fotoni, é la Localizzazione di Anderson [3]. Questo fenomeno elettronico, dovuto all’introduzione di difetti in un materiale conduttore, provoca l’interruzione del moto diffusivo delle cariche elettriche, fino a rendere il materiale da conduttore a isolante e può essere osservato dal punto di vista dei fotoni in sistemi disordinati costituti da differenti dielettrici. Anche le oscillazioni di Bloch, [4] in cui un elettrone di un cristallo, sottoposto a un campo elettrico esterno, accelera in modo tale che la sua velocità aumenti fino a che non raggiunge il bordo della prima zona di Brillouin e poi diminuisca fino a cambiare il suo segno, possono essere più facilmente studiate in termini di fotoni in quanto questi, a differenza degli elettroni, mantengono la loro coerenza per tempi maggiori rispetto al periodo di oscillazione di Bloch. Infine i fotoni, non essendo sottoposti come gli elettroni a forze di interazione, permettono più facilmente di studiare effetti come lo Zener tunneling [5], dove in presenza di campi 4 elettrici molto elevati un elettrone del cristallo passa, per effetto tunnel, da una banda elettronica ad una superiore senza che gli venga fornita altra energia. Inoltre, la modulazione periodica della costante dielettrica permette di inibire il processo di emissione spontanea di un atomo eccitato con frequenza di emissione all’interno del band gap del cristallo fotonico stesso. Questa proprietà di modificare la densità degli stati permette quindi di rendere infinita la vita media di un’atomo all’interno di tali strutture. Considerando l’analogia tra dielettrici complessi ordinati e semiconduttori é importante notare che anche nei cristalli fotonici é possibile inserire, drogando opportunamente il materiale, degli stati permessi all’interno del gap. Mentre nei semiconduttori il drogaggio si ottiene introducendo nei siti cristallini atomi appartenenti a gruppi differenti rispetto a quelli della struttura pura, nei cristalli fotonici, in modo analogo, perturbando l’arrangiamento periodico di dielettrici é possibile introdurre dei modi permessi all’interno del band gap fotonico le cui caratteristiche dipendono soltanto dalle caratteristiche del difetto introdotto. Ad esempio un difetto di punto può dare luogo alla formazione di una micro-cavità [6, 7], mentre un difetto di linea ad una vera e propria guida d’onda [8]. Guide d’onda realizzate utilizzando cristalli fotonici in due dimensioni permettono inoltre di ridurre al minimo le perdite per trasmissione anche nel caso di curvature molto strette [9]. Fino ad oggi la realizzazione di tali difetti é stata eseguita solo in fase di fabbricazione, con questo lavoro di tesi si mira, invece, alla realizzazione di dispositivi fotonici riscrivibili inserendo il difetto tramite l’infiltrazione controllata di materiale all’interno del cristallo fotonico. I campioni utilizzati sono costituiti da un blocco di Silicio in cui sono stati praticati in maniera periodica dei pori al fine di ottenere un cristallo fotonico in due dimensioni. La tecnica di infiltrazione messa a punto permette di depositare liquidi o sospensioni in maniera controllata al livello di singolo poro all’interno della struttura, permettendo di scrivere sul cristallo fotonico guide e cavità di qualunque forma. Durante questo lavoro di tesi é stato dimostrato 5 che con l’apparato messo a punto é possible infiltrare cristalli fotonici con pori di diametro al di sotto di 1µm. Il controllo dell’infiltrazione e dell’effettiva presenza del liquido all’interno dei pori é reso possibile dall’utilizzo di un sistema combinato di tre microscopi: un microscopio ottico tradizionale, un microscopio confocale a scansione laser e un microscopio a campo vicino. Il primo permette di osservare in tempo reale il processo di infiltrazione, il secondo permette di analizzare l’eventuale presenza di liquido all’interno dei pori del cristallo fotonico e infine il microscopio a campo vicino può essere impiegato sia per ottenere informazioni riguardo alla struttura a bande, sia per sondare la distribuzione del campo elettrico nel campione e nelle guide realizzate come suggerito da Fan et al. in [10]. La tesi si sviluppa principalmente in cinque parti: la prima in cui si introducono alcuni dei concetti fondamentali riguardo ai cristalli fotonici. La seconda che descrive sia i concetti necessari a comprendere i principi di funzionamento del microscopio confocale e del microscopio a campo vicino, che l’apparato utilizzato durante il lavoro di tesi. La terza parte descrive in maniera dettagliata il processo di infiltrazione, mentre negli ultimi due capitoli vengono presentati i risultati ottenuti dalle infiltrazioni e le simulazioni teoriche che dimostrano la possibilità di creare con tale metodo delle guide d’onda o cavità. 6 Capitolo 1 Cristalli fotonici In questo capitolo si spiega cos’é un cristallo fotonico e si ricavano le equazioni che descrivono il comportamento della luce in tali mezzi. Una volta familiarizzato con la fisica dei cristalli fotonici attraverso l’analogia con il caso unidimensionale, concentreremo la nostra attenzione sui cristalli fotonici in due dimensioni, fornendo alcuni esempi significativi per la comprensione dell’argomento. Inoltre si discuterà delle conseguenze della presenza di un difetto all’interno della struttura periodica e di come tali conseguenze possano essere sfruttare per ottenere dei dispositivi ottici. L’ultimo paragrafo, infine, é un breve sommario a ció che é stato realizzato in questi anni riguardo l’infiltrazione globale di cristalli fotonici e l’importanza di tale procedura. 1.1 Introduzione ai cristalli fotonici Come é giá stato accennato nell’introduzione i cristalli fotonici sono materiali caratterizzati da una modulazione periodica dell’indice di rifrazione su scala confrontabile con la lunghezza d’onda utilizzata per investigarli (figura 1.1). Strutture di questo tipo comportano una variazione dei modi fotonici al loro interno. Per comprendere meglio la natura di tale fenomeno consideriamo l’analogia tra cristallo semiconduttore e cristallo fotonico. In un cristallo semiconduttore il reticolo atomico fornisce 7 Figura 1.1: La figura mostra tre semplici esempi di cristallo fotonico in una, due e tre dimensioni. I due differenti colori rappresentano materiali con costante dielettrica differente. La definizione di cristallo fotonico consiste nella periodicità del materiale dielettrico in una, due tre dimensioni. un potenziale periodico per un elettrone che si propaga attraverso di esso. La simmetria del reticolo cristallino e la natura periodica del potenziale elettrico fanno sı̀ che si formi una regione energetica preclusa al moto degli elettroni (band gap). In un cristallo fotonico si riproducono per i fotoni le condizioni degli elettroni nei cristalli ordinari; l’analogo del potenziale atomico periodico é, in questo caso, generato da un reticolo di materiali dielettrici macroscopici con differente indice di rifrazione. Se le costanti dielettriche dei materiali sono sufficientemente differenti, lo scattering di Bragg alle interfacce dei dielettrici puó riprodurre per i fotoni molti dei fenomeni dovuti ai potenziali atomici di cui risentono gli elettroni; in particolare si possono realizzare band gap fotonici (PBG), ovvero si puó impedire alla luce di propagarsi nella struttura secondo determinate direzioni e frequenze specifiche. Nel caso in cui la luce non si propaghi in nessuna direzione per un determinato intervallo di frequenze si parla di PBG completo. In questi materiali é la struttura stessa che determina il comportamento della luce. Come sarà spiegato più dettagliatamente in seguito anche un solo difetto all’interno della struttura può dar luogo alla formazione di stato localizzato all’interno del PBG la cui forma e le cui proprietà dipendono unicamente dalla natura del difetto. Inoltre, in tali mezzi, é possibile controllare l’emissione spontanea, ossia la natu8 rale tendenza di un atomo in uno stato eccitato a decadere verso lo stato fondamentale, rilasciando energia sotto forma di radiazione. Per comprendere meglio questo concetto introduciamo la densità degli stati per il fotone. Nel caso più generico, considerando della radiazione elettromagnetica che occupi un volume V nello spazio, la forma per la densità degli stati risulta pari a: D(ω) = ω 2 V dk π 2 c2 dω (1.1) dove ω e k rappresentano rispettivamente la frequenza e il vettore d’onda del fotone considerato, mentre c rappresenta la velocità della luce. Come si osserva nella equazione 1.1 la densità degli stati dipende dalla relazione di dispersione, che, mentre in un mezzo omogeneo é pari a ω = vk, in un cristallo fotonico, non essendo lineare, risulta tale da far assumere a D(ω) un qualunque valore. In particolare in corrispondenza del band gap la densità degli stati assumerà valore nullo, mentre in prossimità del bordo stesso del gap, dove vg = dω dk → 0, tenderà ad infinito. In figura 1.2 é riportato un esempio di diagramma a bande per un cristallo fotonico in tre dimensioni e la corrispondente densità degli stati. In quest’ottica si comprende quindi come i cristalli fotonici possano modificare il processo di emissione spontanea: infatti se un atomo eccitato ha frequenza di emissione pari a ωo e per tale frequenza la densità degli stati é nulla D(ωo ) = 0 l’emissione risulta inibita dal mezzo [12]. Per comprendere più facilmente la propagazione della luce nei cristalli fotonici, consideriamo un dispositivo giá molto diffuso che si avvale di queste proprietà: lo specchio dielettrico. É noto che quando la luce incide su uno specchio di questo tipo, costituito da strati alternati di differenti dielettrici con spessore pari a un quarto della lunghezza d’onda della luce considerata, questa viene completamente riflessa. La luce viene infatti diffusa alle interfacce tra strati differenti e, se la lunghezza d’onda é quella corretta, interferisce in modo distruttivo all’interno del mezzo venendo completamente riflessa. Per la definizione data di cristallo fotonico, quindi, lo specchio dielettrico e dispositivi che si avvalgono dello stesso principio possono 9 Figura 1.2: In (a) é riportato il diagramma a bande per un cristallo fotonico costituito da sfere di aria arrangiate in una struttura cubica a facce centrate immerse in un substrato di Silicio; in (b) é riportata la corrispondente densità degli stati [11]. Il rettangolo colorato rappresenta il band gap, come spiegato nel testo si osserva che in corrispondenza dell’intervallo di frequenze proibito nel diagramma a bande la densità degli stati assume valore nullo. essere considerati cristalli fotonici in una dimensione. Sebbene tali dispositivi risultino molto diffusi non si puó parlare di band gap completo in quanto riflettono luce solo nella direzione normale o quasi normale rispetto alla superficie dello specchio. Per ottenere invece un band gap completo, ovvero un intervallo di frequenze proibito per ogni polarizzazione e ogni angolo di incidenza, é necessaria una configurazione di dielettrici periodica in tre dimensioni. 1.1.1 Risoluzione del problema in modo formale: Master Equation Per studiare il comportamento della luce all’interno di un cristallo fotonico risulta a questo punto indispensabile risolvere in modo formale il problema di un arrangiamento periodico di materiali con differente costante dielettrica. La propagazione di un onda in un dielettrico é descritta dalle equazioni di Maxwell che, scritte nel 10 sistema cgs, assumono la forma: ~ ·B ~ =0 ∇ ~ ×E ~+ ∇ ~ ·D ~ = 4πρ ∇ ~ ×H ~ − ∇ ~ 1 ∂B c ∂t ~ 1 ∂D c ∂t =0 = (1.2) 4π ~ J c ~ eH ~ sono rispettivamente campo elettrico e magnetico, D ~ eB ~ sono i campi dove E di induzione elettrica e magnetica, mentre ρ e J~ sono la densità di carica e di corrente. Consideriamo quindi, come presentato in [13] e [14], un mezzo composto da vari dielettrici di dimensioni macroscopiche con struttura non necessariamente periodica in assenza di cariche libere e correnti, ovvero J~ = ρ = 0. Ipotizziamo inoltre che i campi siano sufficientemente piccoli da poter considerare la suscettività dielettrica al primo ordine χo , che i materiali siano macroscopici e isotropi e che si possa considerare la costante dielettrica reale e dipendente esclusivamente da ~r. Con ~ tali considerazioni la relazione che lega il campo elettrico al vettore di induzione D risulta: ~ r, ω) = ²(~r, ω)E(~ ~ r, ω) D(~ (1.3) con cui si riscrive l’equazione 1.2 come: ~ · H(~ ~ r, t) = 0 ∇ ~ × E(~ ~ r, t) + ∇ ~ · ²(~r)E(~ ~ r, ω) = 0 ∇ ~ × H(~ ~ r, t) − ∇ ~ r,t) 1 ∂ H(~ c ∂t ~ r,t) ²(~ r ) ∂ E(~ c ∂t =0 (1.4) = 0. ~ eH ~ nel tempo, espressa nelle 1.4, si puó fattorizzare la dipenPer la linearità di E denza temporale sviluppando il campo in una serie di armoniche ottenendo dunque 11 ~ eH ~ di questo tipo: un espressione per E ~ r, t) = H(~ ~ r) exp (iωt) H(~ (1.5) ~ r, t) = E(~ ~ r) exp (iωt) E(~ le prime due equazioni che coinvolgono la divergenza nella 1.4 forniscono come condizione che: ~ · H(~ ~ r) = ∇ ~ · D(~ ~ r) = 0 ∇ (1.6) indicando la mancanza di sorgenti o pozzi all’interno del mezzo e imponendo che il campo elettromagnetico sia composto da onde trasversali. Combinando invece le rimanenti equazioni della 1.4 si ottiene: ~ r) = 0 ~ × E(~ ~ r) + iω H(~ ∇ c ~ × H(~ ~ r) − iω ²(~r)E(~ ~ r) = 0. ∇ c (1.7) ~ Disaccoppiando, infine, le 1.7 si ottiene la seguente equazione per H: ~ × ∇ µ ¶ ³ ´ 1 ~ ω 2~ ~ ∇ × H(~r) = H(~r). ²(~r) c (1.8) La 1.8, detta anche Master equation, insieme alla condizione sulla divergenza di ~ fornisce una completa descrizione del campo magnetico. Di conseguenza, una H volta risolta tale equazione, risulta semplice determinare anche la forma del campo elettrico, infatti dalla 1.7 si ricava: ~ = E µ −ic ω²(~r) ¶ ~ ×H ~ ∇ (1.9) e il problema risulta del tutto determinato. In questa trattazione disaccoppiando le 1.7 é stata ricavata l’equazione per il campo magnetico. Se invece fosse stata 12 ricavata quella per il campo elettrico la fisica sarebbe stata la stessa, ma come verrà illustrato nei paragrafi successivi, ció avrebbe comportato una trattazione piú lunga e complicata. 1.1.2 Elettromagnetismo come un problema agli autovalori Nel precedente paragrafo é stato dimostrato che il problema di un’onda elettromagnetica che si propaga all’interno di un dielettrico risulta completamente determinato risolvendo l’equazione 1.8, che può essere riscritta come: ³ ω ´2 ~ ~ H ΘH = c ~ × con Θ = ∇ ³ 1 ~ ∇× ²(~ r) (1.10) ´ . Scritta in questa forma la 1.10 puó essere comparata all’equazione di Schrödinger utilizzata nella meccanica quantistica, dove la funzio~ r), gli autovalori da ( ω )2 , ne d’onda risulta rappresentata dal campo magnetico H(~ c ~ × mentre l’Hamiltoniana é rappresentata all’operatore hermitiano ∇ quest’ottica 1 ²(~ r) 1 ~ ∇×. ²(~ r) In gioca quindi lo stesso ruolo del potenziale presente in meccanica quantistica. Naturalmente il campo magnetico presente nella 1.10 deve continuare a soddisfare la condizione di divergenza nulla, ovvero di trasversalità dell’onda considerata. Tale condizione non influenza questa trattazione in quanto una volta risolto il problema risulta possibile limitarsi a considerare come soluzioni solo quelle che soddisfano l’equazione 1.6. Per il fatto che in tali strutture si considera la propagazione di fotoni e non di elettroni, come per i solidi cristallini, é possibile risolvere il problema e l’equazione 1.8 in modo esatto in quanto in regime lineare i fotoni, a differenza deli elettroni, non sono interagenti. Risulta utile notare che l’equazioni di Maxwell in generale, e in particolare l’equazione 1.8, godono della proprietà di invarianza di scala: ovvero note le frequenze proprie ω per una data ²(~r), il sistema con costante dielettrica ²0 (r~0 ) = ²(~r) con ~r = sr~0 ha frequenze proprie ω 0 = ω . s Questa proprietà permette di studiare le 13 strutture fotoniche ad una determinata scala di lunghezze e frequenze, (ad esempio nelle microonde) e di estrapolare poi i risultati ad ogni altra regione di interesse tramite una trasformazione di scala. Inoltre, moltiplicando la costante dielettrica per una costante s, le bande fotoniche restano inalterate purché le frequenze vengano 1 riscalate del fattore s 2 . Di conseguenza le caratteristiche di una struttura ottenuta combinando opportunamente due tipi di materiali, con costanti dielettriche ²1 e ²2 , dipendono soltanto dal contrasto dielettrico ²1 ²2 e dalla geometria utilizzata. A questo punto, per passare dalla trattazione generale di una composizione di dielettrici macroscopici a un cristallo fotonico, risulta necessario imporre la condizione di periodicità della costante dielettrica. 1.1.3 Conseguenze della condizione di periodicità della costante dielettrica: origine del Band Gap Fotonico Nella fisica dello stato solido il teorema di Bloch [15], assicura che le soluzioni di un problema agli autovalori i cui operatori sono funzioni periodiche della posizione, con periodo R, sono della forma: exp (i~k · ~r) · u~k (~r) (1.11) ~ = uk (~r). Applicando dunque i risultati di questo teorema con u~k (~r) tale che uk (~r +R) all’equazione 1.8 nel caso in cui la costante dielettrica del mezzo risulti periodica, la ~ diventa: forma di H ~ r) = exp i(~k · ~r − ωt)H ~ ~ (~r) H(~ k 14 (1.12) ~ ~ (~r) si é indicata la funzione periodica nella posizione. Sostituendo quindi dove con H k ~ ~ deve soddisfare: l’equazione 1.12 nella Master Equation 1.8, si ottiene che H k ³ ´2 ~~. ~ + i~k) × 1 (∇ ~ + i~k) × H ~~ = ω H (∇ k k ² c (1.13) ~ ~ é possibile limitarsi a studiare il problema Grazie alla periodicità della funzione H k in un dominio ristretto, ovvero la cella che definisce la periodicità. Per comprendere più facilmente quanto detto consideriamo il caso di una struttura unidimensionale ), corrisponcon periodo a, tale che ²(x+a) = ²(x). In tal caso la funzione exp ( i2mπx a dente a k + 2mπ , a con m intero, risulta periodica e per questo può essere inglobata ~ ~ . Di conseguenza, poiché tale espressione risolve il proall’interno della funzione H k blema agli autovalori per il vettore ~k e tale soluzione é unica, si puó concludere che le soluzioni per k + 2mπ sono le stesse che per k. Per quanto detto risulta sufficiente a risolvere il problema in un intervallo finito (− πa . . . πa ) detto Prima zona di Brillouin. Inoltre analogamente a quanto accade nel problema di un elettrone confinato in una scatola, restringere un problema agli autovalori ad un volume finito comporta uno spettro discreto di autovalori; di conseguenza, ci si aspetta di trovare, per ogni valore di ~k, un set infinito di modi con frequenze discrete e spaziate che possono essere etichettate con l’indice n, detto indice di banda. Poiché ~k appare soltanto come parametro all’interno dell’operatore, ci aspettiamo che la frequenza per ciascuna banda vari in maniera continua al variare di ~k. In questo modo si arriva alla descrizione dei modi di un cristallo fotonico e l’informazione contenuta nella forma della frequenza ωn (~k) é detta struttura a bande del cristallo fotonico. In sistemi con dimensione maggiore si ricorre alla stessa descrizione [15]: in tal caso la zona di Brillouin sarà descritta da vettori differenti, ma con significato analogo. Talvolta, per ragioni di simmetria, la definizione di zona di Brillouin può risultare comunque ridondante. Per questo spesso ci si riferisce alla zona di Brillouin irriducibile, ovvero un sottoinsieme di valori del vettore d’onda che sono sufficienti a determinare completamente il problema. Ad esempio se nel caso precedente fosse stata imposta una 15 ulteriore condizione di simmetria del tipo k → −k la Irriducibile zona di Brillouin risulterebbe definita da k = 0 a k = πa . Consideriamo adesso la formazione del Photonic Band Gap (PBG). Per comprendere meglio questo problema analizziamo in dettaglio il caso di un sistema unidimensionale. Consideriamo un mezzo omogeneo con costante dielettrica ²; in tal caso é noto che l’andamento della frequenza é lineare al variare del vettore d’onda: ck ω(k) = √ ² (1.14) infatti, in questo caso la periodicità di ² é banale perché a = 0 e l’equazione 1.14 rappresenta la relazione di dispersione di uno stato non legato. Risulta comunque utile etichettare gli stati in termini di vettori di Bloch per un valore generico di a. In tal caso, per quanto detto precedentemente, le relazioni di dispersione che riguardano i ~k > π a possono essere riportati nella prima zona di Brillouin come mostrato nella figura 1.3(a). Invece, nel caso in cui si abbia un’alternanza di strati di differenti dielettrici, e quindi sia a 6= 0, la relazione di dispersione non risulta più lineare e si ha la formazione di un PBG, in modo del tutto analogo a quanto accade nei cristalli semiconduttori in cui si ha la formazione di bande elettroniche, figura 1.3(b). Inoltre la variazione periodica della costante dielettrica é tale che il modo a energia minore risulti più concentrato nelle zone ad alto indice di rifrazione in quanto [13, 14] per il principio variazionale vale: ω1 (~k)2 = minH~ ~ k R ~ + i~k) × H ~ ~ |2 Á² k(∇ k c2 . R 2 ~ kH~ k (1.15) k Per quanto detto, si può affermare che, in una dimensione, ogni variazione periodica dell’indice di rifrazione origina un band gap, e si può dimostrare che tanto maggiore é il contrasto di indice di rifrazione tanto maggiore risulta il gap. Più in generale, in sistemi con più dimensioni, queste considerazioni possono 16 Figura 1.3: (a) Relazione di dispersione nella schematizzazione di diagramma a bande nel caso di un mezzo omogeneo; introducendo artificialmente a come costante reticolare é possibile applicare il teorema di Bloch e la linea tratteggiata rappresenta il proseguimento della relazione di dispersione riportata nella prima zona di Brillouin. (b) Effetto dell’alternanza periodica di due mezzi con indice di rifrazione differente. Il gap risulta originato dalla rimozione della degenerazione del vettore d’onda nei punti k = ± πa che dà luogo appunto allo splitting energetico dei livelli in modo analogo a quanto accade nel caso di un cristallo semiconduttore. essere analogamente dimostrate utilizzando i principi variazionali. La banda più bassa, detta banda dielettrica, che rappresenta l’analogo ottico della banda di valenza nei cristalli semiconduttori, deve soddisfare l’equazione 1.15. Per calcolare la forma della seconda banda, detta banda d’aria in analogia alla banda di conduzione dei semiconduttori, si impone la condizione di ortogonalità data da: Z ~ ∗(m) · H ~ (n) = 0 H ~k ~k (1.16) che deve valere per ogni autostato del sistema con (m 6= n) e per un dato valore di ~k. Per minimizzare l’espressione 1.15 il campo deve variare lentamente, non contenere forti oscillazioni e deve essere concentrato nella zona con costante dielettrica maggio17 re, da cui il nome di banda dielettrica. Per quanto riguarda la seconda banda, anche questa, come la prima, per soddisfare l’equazione 1.15 dovrebbe variare lentamente ed essere concentrata nella zona con ² maggiore, ma allo stesso tempo, essendo sottoposta alla condizione di ortogonalità, deve necessariamente concentrarsi nella zona con costante dielettrica minore oppure avere delle forti variazioni di segno nella zona con ² elevato tali da rendere l’integrale nell’equazione 1.16 pari a zero. Entrambe le possibilità comportano comunque un aumento di energia e di conseguenza spiegano la presenza del PBG. Al fine di ottenere un gap in sistemi con due o tre dimensioni é necessario superare altri due ostacoli. Infatti benché possano esistere dei band gap per ogni direzione di simmetria del cristallo e per ciascun ~k, non é detto che questi si sovrappongano; affinché lo facciano é necessario che ci sia un contrasto dell’indice di rifrazione sufficientemente elevato. Inoltre si deve tenere conto delle condizioni al contorno vettoriali che devono essere imposte alle componenti dei campi. Si comprende quindi che non é possibile suggerire una ricetta esatta per costruire un cristallo fotonico in più dimensioni, ma é necessario risolvere il problema di volta in volta. 1.2 Cristalli fotonici in due dimensioni Un cristallo fotonico in due dimensioni é costituito da un arrangiamento periodico di mezzi con indice di rifrazione differente lungo due assi e omogeneo lungo il terzo. I parametri che caratterizzano le sue proprietà ottiche sono la geometria del sistema e il contrasto tra gli indici di rifrazione dei materiali che lo compongono. Un tipico esempio di cristallo fotonico consiste in un insieme di colonne di dielettrico i cui centri sono allineati lungo i vertici di un quadrato, si veda figura 1.4. Per alcuni valori della costante a tale cristallo puó presentare un PBG nel piano xy. In questo caso all’interno del gap non sono presenti stati disponibili e, di conseguenza, luce di opportuna lunghezza d’onda viene riflessa completamente e, a 18 Figura 1.4: Esempio di cristallo fotonico bidimensionale. La struttura è costituita da un reticolo quadrato di colonne dielettriche, con raggio r e indice di rifrazione n. Il materiale è omogeneo in direzione z e periodico nel piano xy con costante reticolare a. A sinistra é mostrato il reticolo quadrato, con la cella elementare evidenziata in rosso differenza di quanto accade per un cristallo fotonico unidimensionale, viene riflessa per qualunque direzione di incidenza sul piano. Riprendendo la notazione usata in [13], si utilizzano le simmetrie del cristallo per caratterizzare i modi. L’espressione del campo magnetico diventa quindi: ~ ~ ρ) r) = exp (i~k\\ · ρ~ + ikz z)un,~k\\ ,kz (~ H n,k\\ ,kz (~ (1.17) ~ dove ρ~ rappresenta un vettore generico sul piano xy e u(~ ρ) é tale che u(~ ρ) = u(~ ρ + R) ~ Inoltre, mentre il vettore kz puó assumere per qualunque vettore del reticolo R. qualunque valore, sfruttando il formalismo dato dal teorema di Bloch ~k\\ assume solo i valori nella prima zona di Brillouin. Consideriamo infine che la luce si propaghi solo all’interno del piano del cristallo ovvero con kz = 0. A causa della simmetria del problema risulta possibile classificare i modi del cristallo considerando due distinte polarizzazioni: transversa elettrica (TE) e transversa magnetica (TM). Nel primo caso il vettore del campo magnetico é perpendicolare al piano del cristallo, nel secondo invece lo é il campo elettrico. Introduciamo brevemente tre significativi esempi di cristalli fotonici bidimensionali e descriviamone le caratteristiche al fine 19 di comprendere la natura del band gap. 1.2.1 Cristalli a cella quadrata composti da colonne di dielettrico Consideriamo della luce che si propaghi nel piano xy di un arrangiamento periodico di colonne di dielettrico con ² = 8.9 e con raggio tale che r a = 0.2; la struttura a bande di tale arrangiamento é mostrata in figura 1.5, dove lungo l’asse orizzontale sono riportati i valori del vettore ~k\\ nei punti di simmetria Γ, X e M . Una strut- Figura 1.5: Struttura a bande per un arrangiamento a cella quadrata di colonne dielettriche con raggio r = 0.2a. In blu sono rappresentati i modi TE, mentre in rosso i TM [16]. L’inserto di sinistra mostra la zona di Brillouin e la zona irriducibile, a destra, invece, é riportato l’andamento della costante dielettrica. tura a reticolo quadrato ha una zona di Brillouin a sua volta a reticolo quadrato. Nell’inserto di figura 1.5 é riportata la zona di Brillouin irriducibile rappresentata dall’area colorata. I tre punti di simmetria, Γ, X e M , hanno rispettivamente coordinate k\\ = 0, k\\ = πa x̂ e k\\ = πa x̂ + πa ŷ. I conti teorici mostrano che la struttura presenta un PBG soltanto per i modi TM. Questo si può spiegare considerano che il vettore spostamento di Maxwell risulta parallelo all’asse dei cilindri e di conseguenza può facilmente concentrarsi nella regione a più alto indice di rifrazione (figura 1.6). In modo della banda d’aria é invece prevalentemente concentrato nelle zone vuote tra le colonne comportando un aumento di energia dato dalla 1.15. Per i modi 20 ~ é orientato nel piano e deve necessariamente penetrare nelle regioni TE, invece, D a basso indice (sia nel caso della banda d’aria, sia nel caso della banda dielettrica) per distribuirsi nella struttura con una conseguente scomparsa del gap. Figura 1.6: Vettore spostamento di Maxwell per i modi TM calcolato nel punto X all’interno di un cristallo fotonico costituito da colonne di dielettrico con ² = 8.9 e raggio r = 0.2 immerse in aria. Il colore indica l’ampiezza del campo. Nell’immagine a sinistra é riportata la banda dielettrica e a destra la banda d’aria. 1.2.2 Cristalli a cella quadrata composti da barre di dielettrico Consideriamo adesso una struttura a griglia composta da barrette di dielettrico in aria come mostrato in figura 1.7. In questo caso la struttura presenta un percorso ~ continuo tra le regioni con costante dielettrica maggiore. Per i modi TE il campo D, contenuto nel piano della periodicità, può facilmente concentrarsi nelle regioni ad alto indice di rifrazione nella banda dielettrica (figura 1.8). Per quanto riguarda la banda d’aria, invece, essendo presenti nodi nelle barre ad alto indice di rifrazione, il campo deve necessariamente penetrare nelle regioni con costante dielettrica minore per distribuirsi nella struttura, con un conseguente aumento del gap. Nei modi TM, ~ é concentrato o negli incroci tra le barre ad alto n (banda dielettrica), invece, D oppure nelle barre stesse (banda d’aria). Ne consegue che la configurazione di campo 21 Figura 1.7: Struttura a bande di un cristallo fotonico con reticolo a simmetria quadrata con lato l = 0.84a e ² = 8.9 [16]. In blu sono rappresentati i modi TM in rosso i modi TE. L’inserto di sinistra mostra la zona di Brillouin e la zona irriducibile, a destra, invece, é riportato l’andamento della costante dielettrica. é simile per entrambe le bande e, pertanto, per i modi TM non si apre un band gap. ~ al punto X per i modi TM nel reticolo Figura 1.8: A sinistra é riportato il campo D a simmetria quadrata mostrato in figura 1.7 rispettivamente nella banda dielettrica e nella banda d’aria. Le linee tratteggiate indicano la struttura e i colori l’ampiezza ~ orientato nella direzione verticale. del campo D 22 1.2.3 Cristalli a cella triangolare composti da cilindri a basso indice in un mezzo a indice maggiore Per quanto detto nei paragrafi precedenti si può concludere che i band gap per modi TM sono favoriti in geometrie che presentano zone isolate ad alto indice di rifrazione, mentre i gap dei modi TE sono favoriti quando le zone ad alto indice di rifrazione sono connesse. Da questa considerazione sembra impossibile scegliere una configurazione che ottimizzi entrambe le polarizzazioni. In realtà una struttura che risolve il problema é quella costituita da un arrangiamento di cilindri a basso indice di rifrazione disposti con struttura triangolare in un mezzo con costante dielettrica maggiore, si veda figura 1.9. Figura 1.9: Struttura a bande di un cristallo fotonico con reticolo a simmetria triangolare di fori circolari di raggio r = 0.48 immersi in un dielettrico con ² = 13, [17]. I modi TM sono rappresentati in blu, mentre i TE in rosso. L’inserto di sinistra mostra la zona di Brillouin e la zona irriducibile, a destra é riportato l’andamento della costante dielettrica. In questo caso la scelta di una cella triangolare rappresenta un compromesso, figura 1.10. In questo caso il gap TM risulta favorito a causa della presenza delle regioni di dielettrico al confine con tre cilindri, approssimabili a delle colonne dielettriche isolate; mentre il gap TE é favorito nelle regioni di dielettrico al confine tra due soli cilindri che sono invece approssimabili come a strati di dielettrico interconnesse. Analizzando le bande si osserva infatti che la struttura presenta caratteristiche 23 Figura 1.10: Schema della struttura di un cristallo fotonico a cella triangolare costituito da colonne immerse in un materiale con ² maggiore. Le zone al confine con tre colonne sono approssimabili a colonne con alto indice di rifrazione, mentre le zone tra due colonne come barrette di dielettrico con ² maggiore. intermedie rispetto alle precedenti, per cui, opportunamente dimensionata, offre un PBG completo. In questo caso per ottenere una struttura a bande che offra un PBG completo nel piano xy come mostrato in figura 1.9 é stata utilizzata una cella triangolare di colonne d’aria in un substrato con ² = 13, per un raggio pari a r = 0.48a. 1.3 Conseguenze della presenza di un difetto all’interno della struttura periodica Nel paragrafo precedente é stata analizzata una configurazione di cristallo fotonico che possiede un PBG completo in tutte le direzioni per la propagazione nel piano. Per tale struttura, nell’intervallo di frequenze proibito, la densità degli stati, ovvero il numero di modi per unità di frequenza, é pari a zero. Perturbando però anche un singolo sito è possibile introdurre un modo permesso all’interno del band gap. Consideriamo ad esempio la struttura bidimensionale mostrata in figura 1.4: rimuovendo una singola colonna, cambiandone il raggio oppure sostituendola con una di differente indice di rifrazione, viene rotta la simmetria del cristallo e di conseguenza la struttura a bande risulta modificata. Limitandosi a considerare la propagazione nel piano, kz = 0, i modi TE e TM risultano ancora disaccoppiati. Nel caso parti24 colare in cui si rimuova una colonna, ovvero si crei una vacanza, si introduce uno stato di difetto e se tale stato viene a trovarsi all’interno del gap, il modo introdotto dal difetto deve necessariamente essere evanescente lontano dal sito in cui é stata rimossa la colonna. Di conseguenza il modo introdotto dal difetto risulta localizzato nella zona dove é stato introdotto, mentre decade allontanandosi da questa come si vede in figura 1.11. In quest’ottica il cristallo fotonico si comporta come una cavità Figura 1.11: Ampiezza del vettore spostamento di Maxwell di uno stato localizzato intorno ad un difetto in un reticolo a simmetria quadrata di colonne di alluminio con ² = 8.9 in aria [13]. Il colore indica l’intensità del campo orientato lungo l’asse z. bidimensionale circondata da pareti riflettenti. Inoltre modulando la dimensione del difetto, risulta possibile introdurre un modo alla frequenza desiderata all’interno del gap. Osservando a questo proposito la figura 1.12 si nota che se il difetto coinvolge la riduzione di dielettrico (difetto d’aria) dalla banda dielettrica si evolve un modo all’interno del gap, viceversa se si ha un aumento di dielettrico (difetto dielettrico) il modo scende dalla banda d’aria verso la banda dielettrica. La possibilità di variare la simmetria e quindi le proprietà si localizzazione e frequenza del difetto, rende i cristalli fotonici dei materiali molto interessanti soprattutto per la realizzazione di dispositivi come laser, LED e filtri [19]-[21]. 25 Figura 1.12: Nella figura sono mostrati gli stati localizzati dovuti alla presenza di un difetto ottenuto variando il valore del raggio di una colonna di dielettrico in un cristallo fotonico a cella quadrata con costante reticolare a, [18]. A questo punto, se invece di introdurre un solo difetto si rimuove una intera riga, é possibile ottenere una vera e propria guida d’onda come mostrato in figura 1.13. In questo caso la simmetria del cristallo resta inalterata nella direzione Γ − X e solo in questa direzione continua ad avere senso considerare il diagramma a bande. Come si osserva in figura 1.13(c) la rimozione di una fila di colonne comporta la presenza di un modo all’interno dell’intervallo proibito di frequenze. Di conseguenza luce con frequenza pari a quella del modo associato al difetto lineare non può propagarsi in altre direzioni se non in quella della guida stessa, figura 1.13(d). La perfetta trasmissione di tali guide risulta compromessa soltanto da perdite per riflessione all’indietro. Ciò suggerisce che si possono utilizzare i cristalli fotonici per creare guide con angoli stretti. In figura 1.14 è mostrata una guida con un angolo retto che presenta una trasmissione pari a circa il 90% [9]. Questi difetti aprono quindi un’ampia prospettiva: la possibilità di utilizzare i cristalli fotonici come veri e propri dispositivi con caratteristiche migliori di quelli a semiconduttore riguardo a trasmittività e dimensione. Quest’ultimo aspetto, insieme alla concreta possibilità di realizzare interconnessioni ottiche con forti curvature e basse perdite, permette il raggiungimento di alti livelli di integrazione anche nel campo dell’optoelettronica 26 Figura 1.13: La figura in alto mostra una rappresentazione schematica di un cristallo fotonico a cella quadrata in cui viene rimossa una fila di colonne. La simmetria resta inalterata soltanto in direzione kx . Nella figura in basso sono riportate le bande TM in presenza del difetto dal punto Γ al punto X e l’andamento del campo elettrico lungo la direzione ortogonale al piano per il modo introdotto e spiega il sempre maggiore interesse che i cristalli fotonici hanno suscitato negli ultimi anni. 1.4 Infiltrazione globale di cristalli fotonici La prima proposta di PBG accordabile in frequenza é stata quella di K. Busch e S. John in [22]; dove si propone di utilizzare un cristallo liquido in fase nematica per infiltrare un cristallo fotonico. I cristalli liquidi sono materiali in cui l’ordine tipico 27 Figura 1.14: Rappresentazione schematica del campo elettrico che si propaga in una guida con un angolo di 90◦ all’interno di cristallo fotonico a cella quadrata in cui vengono rimosse delle colonne in modo da creare. I colori mostrano l’andamento dell’ampiezza del campo e i cerchi la posizione delle colonne, [9]. dei sistemi liquidi esiste al massimo in una direzione dello spazio in cui sono presenti alcuni gradi di anisotropia. Un cristallo liquido si trova in fase nematica se l’ordine di posizionamento delle sue molecole é in una direzione. In tali condizioni il cristallo liquido é birifrangente, ovvero possiede due indici di rifrazione che differiscono di ∼ 0.2. Nel caso in cui non ci siano campi esterni applicati si può parlare di un indice di rifrazione medio che vale all’incirca nmedio ' 1.6. In un cristallo fotonico, generalmente, rimpiazzare l’aria con un mezzo di costante dielettrica maggiore, come appunto un cristallo liquido, non risulta conveniente perché si riduce il contrasto tra gli indici di rifrazione, diminuendo l’ampiezza del gap. La presenza del cristallo liquido risulta però vantaggiosa nel caso in cui si applichi un campo elettrico, in quanto le molecole del cristallo liquido, allineandosi secondo la direzione del campo, fanno sı̀ che la luce incidente subisca indici di rifrazione differenti a seconda della sua polarizzazione. Questo implica che, al variare della polarizzazione della luce incidente, si modifica il PBG del cristallo fotonico. Un ulteriore vantaggio nell’utilizzo dei cristalli liquidi in fase nematica é che i loro indici di rifrazione sono sensibili alla temperatura e sebbene il cristallo liquido possa essere considerato in fase nematica solo 28 per un determinato intervallo di temperature, entro tale intervallo é possibile sfruttare questa sua caratteristica per ottenere dei PBG accordabili in frequenza. Negli anni successivi alla proposta di K. Busch et al., sono stati svolti alcuni esperimenti di infiltrazione sia su cristalli fotonici bidimensionali che tridimensionali [23]-[25]. In particolare in [23] viene infiltrato un cristallo liquido in un cristallo fotonico bidimensionale a cella triangolare con passo a = 1.58µm e con PBG completo che va da 3.3µm a 5.7µm, si veda figura 1.15. A seguito dell’infiltrazione il band gap per Figura 1.15: In (a) è riportata un immagine del campione utilizzato per l’infiltrazione. In (b) sono riportate le bande dello stesso campione prima e dopo l’infiltrazione in cui si osserva lo spostamento e in particolare la riduzione del gap dovuta alla diminuzione del contrasto di indice di rifrazione una volta infiltrato, [23]. ~ si sposta nella regione compresa tra 4.4 e 6.0µm, mentre il il campo polarizzato H ~ scompare. Appena il campione viene portato alla gap per il campo polarizzato E temperatura di 59◦ C il cristallo liquido entra nella fase nematica e variando tale temperatura fino a 70◦ C si osserva uno spostamento del limite inferiore del PBG come mostrato in 1.16. Un ulteriore esempio di infiltrazione globale é riportato in [26], dove una fibra ottica a cristallo fotonico infiltrata con un cristallo liquido in fase nematica, permette di variare le sue proprietà di trasporto in presenza di un campo elettrico. Come é stato detto più volte i cristalli fotonici sono materiali di grande interesse 29 Figura 1.16: Spostamento del limite inferiore del PBG del cristallo in funzione della variazione della temperatura. La linea continua rappresenta il fit dei dati sperimentali, mentre quella tratteggiata mostra l’andamento teorico [23]. per la loro abilità di controllare la propagazione della luce al loro interno. Inoltre per il fatto che godono dell’invarianza di scala, scegliendo opportunamente la costante reticolare di tali cristalli, é possibile lavorare con le lunghezze d’onda di interesse. Infine mediante l’introduzione di difetti o con metodi di infiltrazione tali materiali possono variare le loro caratteristiche ottiche. In questa tesi verrà illustrato il metodo di infiltrazione di un cristallo fotonico bidimensionale ad un livello più elevato, ovvero infiltrare il cristallo fotonico in maniera selettiva al fine di introdurre singoli stati permessi nel PBG invece che modificarlo interamente. La possibilità di realizzare quindi un’infiltrazione controllata successivamente alla fase di fabbricazione del cristallo apre la strada a nuovi dispositivi come guide d’onda riscrivibili, micro-cavità e altri dispositivi ottici. 30 Capitolo 2 Introduzione alla Microscopia e Apparato utilizzato nell’esperimento Questo capitolo si sviluppa principalmente in due parti: nella prima si introducono i concetti fondamentali della microscopia confocale e a campo vicino, mentre nella seconda si descrive in maniera approfondita l’apparato utilizzato sia per la caratterizzazione dei i cristalli fotonici, che per il controllo e la verifica dell’avvenuta infiltrazione. 2.1 Microscopia confocale e Microscopio a campo vicino 2.1.1 Limite di diffrazione nella teoria di campo lontano La risoluzione spaziale di un microscopio ottico convenzionale (microscopio a campo lontano) é limitata dalla diffrazione. La diffrazione é il fenomeno per cui quando un fascio di luce incontra un oggetto di dimensioni confrontabili con la lunghezza 31 d’onda del fascio stesso non si propaga piú seguendo le leggi dell’ottica geometrica. Formalizziamo adesso queste considerazioni per dare una definizione quantitativa di risoluzione. Partendo dalle equazioni di Maxwell si puó dimostrare [27] che in un mezzo omogeneo e isotropo ogni componente φ del campo elettromagnetico soddisfa la seguente equazione: ∇2 φ = 1 ∂2φ 1 ,ν = √ 2 2 ν ∂t ²µ (2.1) Dove ² e µ rappresentano rispettivamente la costante dielettrica e la permeabilità magnetica del mezzo. Assumendo che φ sia continua ovunque, tranne che in un numero finito di punti detti sorgenti, e sia nulla all’infinito, vale il teorema di Kirchhoff. Questo teorema permette di calcolare le componenti del campo in una qualunque posizione dello spazio P (x, y, z) ad ogni tempo t se sono noti i valori di φ e le sue derivate prime su una superficie σ che separa P dalle sorgenti a un tempo precedente a t (figura 2.1). Nel caso di una sorgente monocromatica puntiforme S con Figura 2.1: Rappresentazione schematica della superficie che appare nell’equazione 2.2 e che separa il punto sorgente S dal punto in cui viene calcolato il campo P . frequenza ω e nel caso in cui la distanza di S e quella di P dalla superficie σ siano sufficientemente grandi rispetto alla lunghezza d’onda della radiazione, la formula di Kirchhoff puó essere scritta come: i φ(P, t) = λ Z σ cos θ + cos θ0 exp [iωt − ik(r + r0 )]dσ. rr0 32 (2.2) Come si vede in figura 2.1, r e r0 rappresentano rispettivamente la distanza di P e quella di S dalla superficie σ, mentre θ e θ0 rappresentano gli angoli che r0 e r formano con la normale a σ. Consideriamo il caso in cui si sia interessati a calcolare la luce trasmessa attraverso uno schermo opaco di dimensione infinita sul quale é stata praticata un’apertura circolare di raggio a molto maggiore della lunghezza d’onda della luce utilizzata. Inoltre ipotizziamo che sia la sorgente S che il punto P si trovino a distanza infinita dallo schermo. Con tali semplificazioni risolvere il problema si riduce a calcolare l’integrale nella 2.2 su tutta la superficie dell’apertura assumendo che a destra dello schermo l’intensità della luce sia nulla nella regione in cui non é stato praticato il foro, mentre nella zona dove si trova l’apertura la luce non risenta della presenza dello schermo. Queste condizioni sono verificate considerando una situazione in cui S e P si trovano nel fuoco di due lenti come si vede in figura 2.2. Figura 2.2: Rappresentazione schematica dell’apparato utilizzato per calcolare la risoluzione spaziale di un microscopio convenzionale. Schematizzando cosı̀ il nostro problema risulta dunque possibile, utilizzando l’equazione 2.2, calcolare la risoluzione spaziale di un microscopio convenzionale, [28]. Definita f la distanza tra la seconda lente e il piano dove si raccoglie l’immagine, si ottiene che l’intensità luminosa varia come: · 2J1 (ka sin θ) I(θ) = I(0) ka sin θ 33 ¸2 (2.3) dove J1 (ka sin θ) rappresenta la funzione di Bessel al primo ordine. Come si vede Figura 2.3: Distribuzione dell’intensità della luce trasmessa da un foro di apertura circolare sul piano di osservazione. in figura 2.3, l’equazione 2.3 presenta un massimo in corrispondenza della posizione data dall’ottica geometrica dell’immagine della sorgente e diminuisce allontanandosi dal massimo fino a ridursi a zero per una distanza pari a: r = Ro = 0.61 λ NA (2.4) dove N A rappresenta l’apertura numerica del sistema ottico considerato. Successivamente si osservano altri massimi secondari di intensità molto minore e rapidamente decrescenti. Per il sistema ottico in figura 2.4, l’apertura numerica é definita da N A = n sin δ dove δ é metà dell’angolo del massimo cono di luce raccolto dalla lente e n rappresenta l’indice di rifrazione del mezzo tra la lente e l’oggetto osservato. In seguito a tali osservazioni diventa semplice definire in modo quantitativo la risoluzione: se due oggetti sono a distanza minore di Ro non possono essere risolti in quanto nel piano di osservazione le due immagini risulteranno sovrapposte. Per esempio se si é interessati a risolvere strutture fotoniche con passo reticolare di 34 Figura 2.4: Schema del sistema ottico costituito da una lente circolare di raggio a e fuoco f su cui è conveniente definire il concetto di apertura numerica. 700 nm utilizzando lunghezze d’onda nel visibile si dovranno utilizzare obiettivi con N A > 0.45 2.1.2 Microscopia Confocale e Microscopio Confocale a Scansione Laser L’utilizzo di un microscopio confocale [29, 30] comporta molti vantaggi rispetto ad un microscopio ottico tradizionale tra cui: la capacità di controllare la profondità di campo, l’eliminazione, o almeno la diminuzione, del background proveniente dai punti al di fuori del piano focale e la possibilità di raccogliere una serie di sezioni di un campione spesso. Tali vantaggi si ottengono ponendo un filtro spaziale, (pinhole), nel punto coniugato al fuoco del sistema, (per questo il nome confocale); in questo modo si riesce a tagliare la luce proveniente dai punti al di fuori piano focale (vedi figura 2.5) e la risoluzione lungo l’asse z (perpendicolare al campione) migliora notevolmente. La possibilità di raccogliere il segnale ottico solo dalle zone del campione giacenti sul piano focale rende il microscopio confocale particolarmente adatto nell’analisi di campioni spessi e trasparenti permettendo, utilizzando un’opportuno programma di acquisizione, di ricostruire immagini tridimensionali dei campioni analizzati. In generale, sebbene la microscopia confocale provochi solo un marginale miglioramento della risoluzione sul piano, (infatti il valore di Ro nella equazione 2.4 risulta miglio35 Figura 2.5: La figura mostra che la luce proveniente dal punto A sul piano focale del sistema attraversa il pinhole mentre la luce proveniente dal punto B che non è a fuoco viene schermato dal pinhole non raggiunge il rivelatore. rato solo di un fattore √ 2 [31]), permette di eliminare la fluorescenza proveniente dai punti del campione al di fuori del piano focale migliorando notevolmente il rapporto segnale rumore e la risoluzione lungo l’asse ottico del sistema. In generale, un microscopio confocale a scansione dispone di un microscopio ottico, di uno o più rivelatori, di un computer per l’acquisizione e la rielaborazione delle immagini e di un laser assemblato ad un sistema di scansione. L’immagine di un microscopio confocale viene ricostruita acquisendo sequenzialmente il segnale dal campione opportunamente filtrato dal pinhole. Il processo di acquisizione punto per punto richiede quindi un meccanismo di scansione che permetta di selezionare la zona del campione da investigare. Generalmente, il sistema di scansione é composto da due specchi montati su cristalli piezoelettrici controllati dal sistema di acquisizione. Oltre a questo meccanismo la scansione può essere realizzata muovendo direttamente il campione. Il microscopio confocale a scansione, sebbene comporti molti vantaggi rispetto alla microscopia tradizionale, offre comunque una risoluzione soggetta al limite di diffrazione e quindi minore rispetto ad altre tecniche di indagine microscopica. 36 2.1.3 Come superare il limite imposto dalla diffrazione: teoria del campo vicino Per quanto detto precedentemente nel paragrafo 2.1.1 la risoluzione spaziale di un immagine in un microscopio ottico risulta determinata dalla lunghezza d’onda della luce incidente e dall’apertura numerica dei componenti ottici utilizzati. Gli obiettivi disponibili in commercio hanno al massimo un apertura numerica di 0.9 per obiettivi in aria, mentre si arriva a valori di N A = 1.4 nel caso in cui si considerino obiettivi a immersione. Di conseguenza, in condizioni ottimali si ha che Ro ' λ 2 e nel visibile il limite di risoluzione teorico di un immagine ottica convenzionale risulta di circa 300nm. Con la tendenza, sia nella fisica che nella biologia, a studiare strutture sempre piú piccole é nata la necessità di sviluppare tecniche che permettessero di risolverle: utilizzando ad esempio lunghezze d’onda minori o sviluppando metodi non affetti dal limite di diffrazione. Strumenti come il microscopio a forza atomica (AFM) [32], il microscopio a scansione a effetto tunnel (STM) [33], il microscopio elettronico a trasmissione (TEM) [34] e tecniche ad essi correlate permettono di migliorare la risoluzione e in alcuni casi permettono addirittura di visualizzare il singolo atomo. In questo paragrafo si considera in particolare la tecnica dello Scanning Near-Field optical Microscopy (SNOM) [35]-[38] che appartiene alla famiglia dei microscopi a scansione come l’AFM e lo STM. Questo tipo di microscopio permette di ottenere sia una risoluzione spaziale confrontabile con quella dei microscopi AFM, sia una mappa delle proprietà ottiche del campione. Infatti la sonda, che durante la scansione viene mantenuta a distanza costante di pochi nanometri dal campione, é costituita da una fibra ottica opportunamente lavorata. Questa fornisce perciò sia la topografia che le informazioni ottiche con una risoluzione al di sotto del limite di diffrazione. L’interazione della luce con un oggetto puó essere studiata in due regimi: di campo lontano e di campo vicino. In approssimazione di campo lontano la luce si propaga nello spazio secondo le leggi dell’ottica geometrica in maniera indefinita, 37 mentre in regime di campo vicino la luce consiste in un campo elettromagnetico che non si propaga nello spazio ed esiste soltanto in prossimità della superficie dell’oggetto. In tale regime la luce trasporta piú informazioni ad alta frequenza ed ha ampiezza maggiore nella regione prossima alla superficie del campione (in particolare entro poche decine di nanometri) in quanto decade esponenzialmente con la distanza e di conseguenza non viene rivelata nella regione di far-field. In pratica mentre la luce si propaga nella regione di far-field, allontanandosi dalla superficie del campione, l’informazione spaziale ad alta frequenza é rimossa e viene imposto il limite di diffrazione. Quindi, rivelando e utilizzando la luce entro pochi nanometri dal campione in regime di campo vicino, prima che prevalga il fenomeno della diffrazione, la risoluzione dipende soltanto dalle dimensioni della sonda. Per comprendere la teoria del campo vicino risulta utile considerare il campo prodotto da un dipolo di Hertz, come presentato in [39]. Si consideri un sistema di riferimento descritto da coordinate polari nella cui origine sia posta una carica negativa e che ~r descriva la posizione di una carica positiva che si muove di moto armonico unidimensionale con frequenza ω attorno all’origine. La densità di carica e la densità di corrente del sistema possono essere scritte come: ρ(~r, t) = ρ(~r) exp (−iωt) ~ r, t) = J(~ ~ r) exp (−iωt) J(~ (2.5) Risolvendo le equazioni di Maxwell nel gauge di Lorentz, si arriva a una forma del potenziale vettore A(~r, t) data da: 1 A(~r, t) = c Z d~r0 Z ¶ ~ r0 , t) µ |~r − ~r0 | J(~ 0 dt δ t + t . |~r − ~r0 | c (2.6) dove ~r rappresenta la posizione dove si calcola il campo elettromagnetico, e ~r0 rappresenta la posizione del dipolo. Ipotizzando che le dimensioni della distribuzione di 38 carica siano molto minori rispetto a ~r si puó utilizzare la seguente approssimazione: |~r − ~r0 | = r − ~n · ~r0 (2.7) dove ~n rappresenta il versore direzione di ~r. Utilizzando l’equazione di continuità e R definendo il momento di dipolo come p~ = ~rρ(~r)d~r l’espressione 2.7 nell’approssimazione precedente diventa: A(~r, t) = −ik~p dove k = ω c exp (ikr) r (2.8) é il vettore d’onda. Nota l’espressione del potenziale vettore risulta semplice calcolare l’espressione del campo elettrico e del campo magnetico infatti: ~ =∇ ~ ×A ~ B ~ = i∇ ~ ×B ~ E k (2.9) da cui sostituendo la 2.8 nella 2.9 si ottiene: ~ = k 2 (~n × p~) exp (ikr) (1 − 1 ) B r ikr exp (ikr) ~ = k 2 (~n × p~) × ~n + E µ r ¶ 1 ik + [3~n(~n · p~) − p~] 3 − 2 exp (ikr). r r (2.10) Si puó dimostrare, calcolando il vettore di Poynting, che l’energia del campo elettromagnetico é correlata solo ai termini delle 2.10 contenenti il termine 1 r e di con- seguenza in regime di campo lontano l’espressione per il campo elettrico e il campo magnetico é data da: ~ = k 2 (~n × p~) exp (ikr) B r ~ = (B ~ × ~n). E 39 (2.11) In regime di campo vicino, quando kr ¿ 1 le espressioni 2.10 diventano: ~ = ik(~n × p~) 1 B r2 ~ = [3~n(~n · p~) − p~] E µ 1 r3 ¶ dove sono invece predominanti i termini proporzionali a (2.12) 1 r2 e 1 . r3 Dalle 2.12 si osserva inoltre che il campo di induzione magnetica B risulta un fattore kr minore del campo elettrico associato; di conseguenza nel limite di kr ¿ 1 il campo risulta di natura prevalentemente elettrica e decade molto velocemente entro pochi λ. Considerando che ogni sorgente di radiazione puó essere scomposta in una serie di dipoli elettrici, le componenti di campo vicino del campo elettromagnetico forniscono tutte le informazioni necessarie per ricostruire la distribuzione di carica. Si comprende quindi l’idea principale alla base della microscopia a campo vicino: utilizzare un’opportuna sonda in prossimità della superficie del campione in modo tale da raccogliere le informazioni in regime di campo vicino e superare il limite imposto dalla diffrazione. 2.1.4 Microscopio a scansione a campo vicino (SNOM) Come é gia stato accennato nel paragrafo precedente lo SNOM risulta uno strumento di grande versatilità e praticità; questo permette di combinare immagini topografiche ad alta risoluzione ad immagini ottiche, inoltre, utilizzato in combinazione con un microscopio ottico, permette di variare con semplicità la tecnica di imaging da near-field a far-field. Un tipico schema di SNOM consiste in una sonda, generalmente una fibra ottica opportunamente terminata, mantenuta in prossimità della superficie del campione capace di inviare e raccogliere segnale ottico dal campione (figura 2.6). Per garantire l’approssimazione di campo vicino, é necessario un sistema di feedback che controlli con grande precisione la distanza punta-campione e uno scanner X-Y che permetta di controllare la posizione relativa punta-campione. In questo modo é possibile, oltre che realizzare immagini ottiche, ricostruire immagi40 Figura 2.6: Rappresentazione schematica dello SNOM. La punta con apertura a viene mantenuta in prossimità della superficie del campione tramite un sistema feedback elettronico. ni topografiche dalla registrazione delle varie tensioni applicate al piezo nei diversi punti del campione durante la scansione per mantenere la punta a distanza costante dal campione. Un convenzionale microscopio a campo vicino offre una varietà di meccanismi di contrasto, si veda figura 2.7. Consideriamo ad esempio la configurazione di illuminazione. Il segnale di eccitazione viene trasmesso attraverso l’apertura della punta eccitando localmente il campione. In questo caso il limite di risoluzione imposto dalla diffrazione viene superato grazie all’alta localizzazione della sorgente dovuta alle dimensioni dell’apertura della punta al disotto della lunghezza d’onda. Disporre di punte con aperture di dimensioni al disotto della lunghezza d’onda peggiora però notevolmente la trasmissione, che al massimo assume valori dell’ordine di 10−3 . Il campione che contiene variazioni nella topografia di dimensione minore della lunghezza d’onda diffonde la luce inviata dalla punta e durante tale processo di scattering alcune delle onde evanescenti inviate dalla sonda si trasformano in onde propaganti che vengono successivamente rivelate per mezzo di un microscopio ottico tradizionale in configurazione di riflessione, figura 2.7(a), o trasmissione, 41 Figura 2.7: Rappresentazione schematica dei vari meccanismi di contrasto che offre lo SNOM. a) Configurazione di illuminazione in riflessione. b) Configurazione di illuminazione in trasmissione. c) Configurazione di raccolta. d) Configurazione di illuminazione-raccolta. e) Configurazione di dark-field figura 2.7(b). Un altra configurazione possibile é quella di raccolta mostrata in figura 2.7(c). In questo caso il campione viene eccitato in regime di campo lontano mentre viene raccolto il segnale evanescente tramite la punta. Invece nel caso in cui il segnale ottico venga inviato e contemporaneamente raccolto dalla punta come si vede in figura 2.7(d) si parla di configurazione di illuminazione-raccolta. Infine in configurazione di dark-field, figura 2.7(e), si fa in modo che la luce incidente venga totalmente riflessa dal campione. In questo modo il campo locale viene perturbato dalla presenza della punta facendo sı̀ che il campione diffonda il segnale ottico che viene successivamente raccolto dalla punta stessa. Ciascuna di queste geometrie ha il suo particolare ramo di applicazione. La configurazione di illuminazione, ad esempio, é importante quando si intende analizzare le caratteristiche di trasporto dei campioni studiati, mentre la configurazione di illuminazione-raccolta risulta utile per migliorare la risoluzione. 42 L’utilizzo del microscopio a campo vicino permette di investigare la struttura a bande e la distribuzione del campo elettrico all’interno dei cristalli fotonici. Nell’ambito di questo lavoro di tesi lo SNOM risulta uno strumento fondamentale per la verifica del confinamento della luce all’interno delle guide d’onde realizzate con la tecnica della micro-infiltrazione controllata. 2.2 2.2.1 Apparato utilizzato nell’esperimento Microscopio ottico Axiotec Vario L’apparato sperimentale utilizzato nel corso di questa tesi consiste in un microscopio ottico tradizionale [AxiotechVario , Zeiss] combinato con un microscopio confocale a scansione laser, costruito appositamente per la rivelazione dell’infiltrazione, e un microscopio a campo vicino [TwinSNOM, Omicron], si veda figura 2.8. Disporre contemporaneamente di questi tre strumenti risulta particolarmente utile dal punto di vista pratico in quanto permette di selezionare facilmente una zona del campione e di analizzarlo con risoluzioni differenti. Il microscopio AxiotecVario utilizzato in laboratorio è un microscopio ottico Infinity-correct. In tali sistemi l’obiettivo non forma un immagine reale intermedia, ma un fascio collimato focalizzato solo successivamente tramite una lente detta tube lens. Questa tecnica permette di modificare il cammino ottico tra la tube lens e l’obiettivo senza provocare la presenza di aberrazioni o di cambiamenti del fuoco del sistema. In un microscopio Infinity-correct la tube lens influenza anche l’ingrandimento: per questo gli obiettivi utilizzati hanno un valore nominale dell’ingrandimento che si riferisce ad una tube lens con un valore della focale pari a f = 164.5mm. Il valore massimo dell’ingrandimento che si puó ottenere nel nostro apparato è di circa 3300X utilizzando oculari 33X e un obiettivo 100X. Le immagini visualizzate con gli oculari possono anche essere acquisite in formato digitale per mezzo di una camera CCD, Charge-coupled device[P I−M AX, Princeton 43 Figura 2.8: La figura mostra schematicamente l’apparato sperimentale utilizzato nel corso di questa tesi. Un microscopio tradizionale sul cui cammino ottico é stato inserito un microscopio confocale a scansione laser combinato con un microscopio a campo vicino. Instruments]. La posizione della fotocamera é mostrata in figura 2.8. Per ottenere un’immagine digitale basta rimuovere il prisma P1 che devia il fascio verso gli oculari tramite una opportuna leva posta al lato del microscopio. 2.2.2 Microscopio Confocale a scansione laser (CLSM) Il microscopio confocale a scansione laser é stato costruito appositamente per il nostro apparato sperimentale ed è stato montato come implemento sul microscopio Zeiss Axiotech. Il suo sistema di scansione é stato inserito nella struttura del microscopio tradizionale senza interferire con il suo cammino ottico al fine di ottenere la massima versatilità del sistema. In pratica il microscopio confocale consiste in un blocco compatto inserito tra gli oculari e il corpo del microscopio ottico Zeiss e rappresentato dalla parte in blu in figura 2.8; per passare da un microscopio all’altro basta inserire o rimuovere lo specchio S1 tramite un traslatore inserito all’interno del microscopio ottico. 44 Sistema di scansione del CLSM Una delle caratteristiche principali del microscopio confocale a scansione laser consiste nel sistema di scansione che permette di selezionare con ottima riproducibilità la parte di campione da investigare. Lungo il piano xy il segnale viene inviato nella zona desiderata deflettendolo tramite due specchi montati su cristalli piezoelettrici (figura 2.8), mentre la scansione lungo l’asse z si ottiene alzando e abbassando la posizione dell’obiettivo sempre per mezzo di un cristallo piezoelettrico. Combinando il movimento di questi due specchi é possibile rastrellare la zona scelta del campione. La deflessione massima degli specchi comporta una zona di scansione di 18.4 × 18.4 mm che corrisponde, nel caso si utilizzi un obiettivo 50X, a un area di 360 × 360µm. Tutta l’elettronica che controlla il sistema di scansione é regolata dal programma di acquisizione, con cui é possibile regolare in maniera fine, (con passi di 0.1µm), il fuoco del sistema. Tramite il programma é inoltre possibile ricostruire immagini tridimensionali degli oggetti studiati. Il sistema di scansione, combinato al movimento del fuoco del sistema, permette di ricostruire immagini non solo nel piano xy perpendicolare all’asse ottico del sistema, ma anche su piani inclinati di un angolo arbitrario. Configurazione di luminescenza e riflessione Consideriamo adesso il setup del microscopio confocale in configurazione di luminescenza. L’eccitazione consiste nella luce coerente di un laser ad Argon [BeamLok, Spectra-Physics] che, per questioni di praticità, stabilità e sicurezza, viene portata al microscopio tramite una fibra ottica monomodo. Dato che il laser ad Argon emette a differenti lunghezze d’onda (figura 2.9) per selezionare una singola riga é stato utilizzato un sistema composto da un prisma dispersivo e un diaframma. Il prisma disperde le diverse lunghezze d’onda, mentre il diaframma permette di selezionare spazialmente quella desiderata, come si vede in figura 2.10. La figura 2.11 riporta lo schema del microscopio confocale. La luce della lunghez45 Figura 2.9: Posizioni spettrali delle diverse righe di emissione del laser ad Argon. Figura 2.10: Rappresentazione schematica dell’apparato utilizzato in laboratorio per selezionare la lunghezza d’onda desiderata. Lo schizzo non é in scala. Infatti il cammino che compiono i raggi per essere distinti l’uno dall’altro risulta molto piú lungo in quanto le lunghezze d’onda a cui emette il laser ad Argon risultano molto vicine. za d’onda selezionata (488 nm) viene accoppiata in una fibra ottica e raggiunge il microscopio. Il segnale ottico esce dalla fibra con una apertura numerica N A = 0.12 che corrisponde ad una apertura totale di circa 12.6◦ . Utilizzando una lente (L1 ) acromatica, (che permette di avere lo stesso fuoco per le varie lunghezze d’onda), con focale f = 50 mm la luce viene collimata in un fascio di raggi paralleli con diametro pari a 11 mm. Un diaframma con apertura di 5 mm permette di selezionare solo la parte centrale del fascio per ottenere una distribuzione di intensità radiale più omogenea. Lo stadio successivo è lo specchio dicroico (S1 ) che riflette la luce con lunghezza d’onda inferiore a 510 nm, (quindi riflette l’eccitazione) mentre trasmette la luce di lunghezza d’onda superiore e quindi lascia passare la luminescenza verso il detector. Dallo specchio dicroico il fascio di eccitazione viene inviato agli specchi mobili che controllano la scansione cosı̀ da poter scegliere la zona del campione da 46 Figura 2.11: La figura mostra il cammino ottico della radiazione laser e della luminescenza prodotta dal campione. analizzare. Poiché il sistema di scansione deflette il fascio allontanandolo dall’asse ottico, per assicurare che questo arrivi sempre nella pupilla di entrata del obiettivo si utilizza un sistema telescopico che serve a rettificare il fascio. Il telescopio consiste di due lenti L2 e L3 separate da una distanza pari alla somma delle loro distanze focali. Utilizzando due lenti con focale differente é possibile variare sia la dimensione del fascio che l’angolo che questo forma con l’asse ottico. Per le caratteristiche del microscopio e degli obiettivi utilizzati, i valori scelti per le due focali sono: f2 = 100 mm e f3 = 160 mm. In questo modo il diametro del fascio risulta aumentato: infatti da uno spot di diametro di 5 mm in entrata al sistema telescopico si ottiene un diametro di 8 mm. Dopo il sistema telescopico la luce arriva alla pupilla di entrata dell’obiettivo e lo attraversa venendo infine focalizzata sul campione. La luminescenza del campione, eccitata dalla radiazione laser, viene raccolta dall’obiettivo e 47 ripercorre il cammino della luce di eccitazione fino allo specchio dicroico. In questo caso, dal momento che il segnale di luminescenza é caratterizzato da una lunghezza d’onda maggiore di quella di emissione del laser, attraversa lo specchio dicroico e viene focalizzato sul pinhole tramite la lente L4 . Il pinhole agisce come filtro spaziale: il segnale ottico proveniente dai punti al di fuori del piano focale viene rimosso determinando un miglioramento della risoluzione. Attraversato il pinhole, il segnale attraversa un filtro colorato, utilizzato per tagliare eventuali riflessioni del laser, e infine viene rivelato. Nell’apparato utilizzato é possibile variare il diametro del pinhole. In particolare si dispone di quattro differenti pinhole: da 1 mm, 140µm, 80µm e 40µm, dove il primo viene utilizzato solamente per l’allineamento del sistema. Riducendo o aumentando le dimensioni di tale pinhole il sistema risulta più o meno sensibile alla posizione del fuoco, di conseguenza teoricamente, disponendo di un buon segnale, lavorare con il pinhole più piccolo comporta vantaggi anche in termini di risoluzione lungo z. Per come é stato progettato il CLSM risulta estremamente semplice ottenere in maniera sequenziale immagini della stessa zona di campione sia col microscopio ottico che con il microscopio confocale senza cambiare la posizione del campione del fuoco del sistema. Il fatto che il microscopio confocale sia stato inserito all’interno del cammino ottico del microscopio tradizionale permette di passare da una configurazione all’altra inserendo o togliendo lo specchio S1 in figura 2.8. Inoltre proprio per la flessibilità di tale sistema é possibile passare, sempre senza modificare il fuoco del sistema, dalla configurazione di luminescenza descritta precedentemente a una configurazione di riflessione sostituendo lo specchio dicroico (S1 ) con un beam-splitter e rimuovendo il filtro davanti al rivelatore. Come risulterà più chiaro in seguito, la possibilità di alternare in maniera sequenziale e veloce queste tre tecniche di microscopia e poter visualizzare con lo stesso fuoco la stessa porzione di campione risulta di fondamentale importanza per le misure di micro-infiltrazione descritte nel capitolo 4. 48 2.2.3 Omicron TwinSNOM Il microscopio Omicron TwinSNOM é un prototipo commerciale di microscopio a campo vicino montato sul microscopio Zeiss Axiotec opportunamente modificato per ospitare la sonda e il piezo che controlla, durante la scansione, la posizione relativa sonda-campione. Il ruolo del microscopio ottico risulta molteplice: infatti permette sia di posizionare la punta del microscopio a campo vicino sulla parte di campione desiderata, sia di essere usato cosı̀ come é per raccogliere la luce diffusa durante misure di SNOM e inviarla ad un rivelatore. Il sistema é dotato inoltre di una telecamera che permette di controllare il processo di avvicinamento della punta al campione e di osservare la quantità di luce che esce dalla punta durante il processo di accoppiamento del laser con la fibra utilizzata come punta. I campioni vengono fissati ad un supporto, che a sua volta é montato meccanicamente al piano di scansione controllato da cristalli piezoelettrici. In modo particolare il microscopio é equipaggiato di in un traslatore piezoelettrico P-500 Physik Instrumente che permette una scansione x × y × z di 100 × 100 × 10 µm con risoluzione di 1 × 1 × 0.1 nm. Il controllo della distanza relativa punta-campione si ottiene tramite un sistema di feedback dotato di elementi capacitivi utilizzati per correggere i problemi di non linearità e di isteresi legati ai cristalli piezoelettrici. In questo modo il sistema offre una linearità di circa il 0.03% e una ripetibilità di posizionamento di ±5 ± 5 ± 1 nm. Oltre a questo movimento fine controllato dal programma di acquisizione, risulta possibile traslare il campione in maniera più grossolana utilizzando dei motori. Con questo sistema é possibile posizionare il campione manualmente con una precisione e riproducibilità molto inferiori alle precedenti, ma in una regione di 5×5 cm sul piano orizzontale. Anche la posizione della punta dello SNOM é controllata da analoghi movimenti meccanici che permettono di muovere il braccio meccanico a cui questa é fissata tramite una pinza magnetica in tutte e tre le dimensioni in un intervallo di 1 × 1 × 1 cm. Anche in questo caso la precisione e la riproducibilità sono di molto inferiori rispetto a quelle del traslatore piezoelettrico. 49 Controllo della distanza punta-campione e immagini topografiche Come é stato spiegato nel paragrafo 2.1.3 per raggiungere una risoluzione spaziale inferiore alla lunghezza d’onda della radiazione utilizzata é necessario che l’apertura della sonda e la distanza tra la punta e il campione siano minori della lunghezza d’onda stessa. In particolare, per garantire quest’ultima condizione, é necessaria la presenza di un feedback elettronico che controlli tale distanza e che la mantenga costante durante la scansione. Tra i vari meccanismi di feedback esistenti [40]-[44], quello utilizzato nel TwinSNOM, é una versione modificata del metodo proposto in [44]. Questo metodo consiste nell’indurre un’oscillazione forzata alla punta, tramite un cristallo piezoelettrico, alla sua frequenza di oscillazione. Monitorando l’ampiezza di tale oscillazione si osserva che in prossimità della superficie del campione questa diminuisce, sia a causa delle forze di Van der Waals, sia per i depositi di acqua sulla superficie del campione. La punta compie quindi un moto oscillatorio smorzato e lo smorzamento, una volta calibrato, si traduce in una misura diretta della distanza punta campione. In particolare in questo metodo si utilizzano due piastre di cristallo piezoelettrico: una per eccitare la punta alla sua frequenza di risonanza, l’altra per registrare l’oscillazione della punta stessa. In figura 2.12 é rappresentato lo schema del sistema di rivelazione del microscopio TwinSNOM. La punta é incollata ad un lato del piezo di rivelazione che a sua volta é attaccato al supporto e connesso elettricamente a terra. Dall’altra parte del supporto é posto il piezo di eccitazione, la cui oscillazione viene trasmessa sia alla fibra che al piezo di rivelazione. La parte di fibra libera di oscillare é lunga da 1 mm a 3 mm, dando luogo ad una risonanza che va da 40 KHz a 60 KHz. Voltaggi dell’ordine di 3 ÷ 30 mV vengono applicati al piezo di eccitazione dopo un circuito di pre-amplificazione; mentre l’ampiezza del segnale di oscillazione, solitamente nel range di 30 ÷ 300 mV dipende sia dalla qualità della punta sia dall’accoppiamento meccanico tra gli 50 Figura 2.12: Rappresentazione schematica dell’apparato di rivelazione basato sul metodo dello Shear-force non ottico. elementi. Sebbene non sia possibile ottenere dall’apparato presente in laboratorio una misura diretta dell’ampiezza di oscillazione, da considerazioni sulla risoluzione laterale si deduce che questa sia dell’ordine di 10 nm. In figura 2.13 é riportato un tipico esempio dell’andamento dell’ampiezza di oscillazione del piezo di rivelazione e della sua fase rispetto al segnale inviato al piezo di eccitazione. Figura 2.13: Tipico andamento dello spettro dell’oscillazione della punta. Il sistema di rivelazione riproduce l’andamento dell’ampiezza e della fase dell’oscillazione della punta. Il piezo di rivelazione risulta meccanicamente eccitato sia dalla punta che dal 51 piezo di eccitazione. Durante il processo di avvicinamento l’ampiezza di oscillazione della punta diminuisce e lo sfasamento tra il segnale inviato dal piezo di eccitazione e quello di rivelazione tende a diventare nullo e di conseguenza per il sistema di feedback si utilizza proprio questo livello di riferimento. Disponendo di tale sistema di feedback é possibile ricostruire l’immagine topografica dalle registrazioni delle varie tensioni applicate al piezo nei diversi punti del campione durante la scansione. 2.2.4 Le punte SNOM Nello SNOM la risoluzione dipende in maniera cruciale della punta utilizzata. In modo particolare le punte devono essere tali che la loro apertura garantisca una trasmissione relativamente alta, una geometria circolare ben definita e una superficie che non presenti rugosità. In letteratura sono riportati diversi metodi per la fabbricazione delle punte, [45]-[49]; per quelle utilizzate nell’ambito di questa tesi é stato seguito il procedimento sviluppato da Lambelet et al. in [48] e Stöckle et al. in [49], in quanto permette di creare con buona riproducibilità punte con un angolo conico molto grande ottimali nel caso in cui si vogliano fare misure in configurazione di illuminazione e raccolta. Descriviamo dettagliatamente i passaggi utilizzati per la realizzazione delle punte nell’ambito di questa tesi. La fibra ottica completa del suo rivestimento polimerico esterno, (jacket), viene inserita verticalmente in una soluzione di acido fluoridrico (HF ) ricoperta da uno strato superficiale di sostanza organica (isoctano) presente sia per impedire l’evaporazione dell’acido che per proteggere il processo di etching dall’ambiente esterno. La formazione della punta avviene all’interno della cavità cilindrica del jacket che non venendo attaccato dall’acido fluoridrico mantiene la punta isolata dall’ambiente esterno. Il processo di etching avviene in due stadi. Inizialmente le regioni prossime al rivestimento della fibra vengono rimosse con velocità maggiore rispetto alle zone centrali perché al bordo del cilindro di vetro la mancanza di acido fluoridrico viene colmata più facilmente (in quanto l’HF proviene da una 52 zona di volume maggiore rispetto a quella centrale). Questo effetto dá a sua volta inizio al secondo stadio, ossia la formazione della punta e il moto di convezione nel quale l’acido fluoridrico sale, come si vede in figura 2.14, mentre i prodotti precipi- Figura 2.14: Rappresentazione schematica del moto di convenzione durante il processo di etching. La figura (a) mostra lo stadio iniziale ovvero il moto di diffusione, mentre in (b) é rappresentato il processo di convezione. tano per effetto della gravità. Nel nostro caso la fibra resta immersa, per circa 90 minuti, all’interno di una soluzione di HF al 48%. Una volta rimossa dalla soluzione, la fibra viene immersa in etanolo per terminare il processo di etching ed infine in diclorometano per rimuovere definitivamente il jacket precedentemente inciso. Il coefficiente di trasmissione delle punte realizzate con questo metodo é maggiore rispetto a quello che si ottiene nel caso in cui le punte siano realizzate con metodi di pulling e la rugosità della superficie risulta drasticamente ridotta rispetto agli altri metodi chimici citati. Una volta realizzata la punta, questa viene incollata sul piezo. Durante questo processo la fibra viene mantenuta ferma tramite un porta-fibre montato su un movimento meccanico capace di traslare la fibra nelle tre direzioni, mentre il piezo é mantenuto in posizione fissa. La punta viene incollata in tre zone diverse del piezo come si vede dalla figura 2.15, e il processo viene controllato tramite un microscopio ottico. Questa operazione risulta molto delicata in quanto un eccessivo impiego di colla compromette il funzionamento dei cristalli piezoelettrici mentre una quantità troppo esigua non permette di fissare bene la punta al supporto rendendone più 53 Figura 2.15: La figura mostra la struttura del piezo e il montaggio della punta su questo. facile il danneggiamento. Una volta incollata la punta si controlla che il sistema piezo-punta abbia una buona risonanza e in caso positivo questa é pronta per l’uso. 2.2.5 Apparato per misure ottiche Per le misure ottiche di campo vicino effettuate in questa tesi lo SNOM é stato utilizzato in configurazione di illuminazione-raccolta (paragrafo 2.1.4). L’apparato sperimentale é mostrato in figura 2.16. La radiazione proveniente dal laser ad Argon viene accoppiata in fibra e inviata alla punta che, oltre ad eccitare, raccoglie il segnale ottico e lo invia tramite un beam-splitter all’entrata di un monocromatore a singolo reticolo [Spectra Pro 330I, Acton] dopo essere stato opportunamente filtrato al fine di tagliare il segnale proveniente dalla riflessione del laser. Il monocromatore presenta due uscite selezionabili tramite uno specchio mobile montato al suo interno. In particolare il segnale può essere inviato verso il fototubo [H7421−04, Hamamamtsu], collegato a un contatore di fotoni [SR400, Stanford Research System], la cui uscita é inviata al programma di acquisizione dello SNOM, oppure verso alla telecamera CCD [P I − M AX, Princeton Instruments] controllata tramite il programma di acquisizione del monocromatore. Durante la scansione il programma di acquisizione dello SNOM fornice in tempo reale sia l’immagine topografica che l’immagine del segnale ottico. 54 Figura 2.16: Schematizzazione dell’apparato utilizzato in laboratorio. Il segnale ottico proveniente dal laser ad Argon viene accoppiato in fibra e inviato verso la punta. Questa oltre ad eccitare il campione raccoglie anche il segnale ottico che viene inviato verso il monocromatore. Il segnale raccolto dalla fibra prima di entrare all’interno del monocromatore viene fatto passare attraverso un’iride, un polarizzatore ed infine attraverso un filtro colorato al fine di rimuovere ulteriormente il segnale proveniente dal laser. 2.2.6 Apparato sperimentale completo L’apparato utilizzato durante questo lavoro di tesi é riassunto schematicamente in figura 2.17. Disponendo di un solo laser ad Argon la radiazione viene inviata ad un beamsplitter che permette di suddividere il fascio in due parti; una viene inviata verso l’accoppiatore del microscopio a campo vicino e l’altra verso l’accoppiatore del microscopio confocale. 55 Figura 2.17: Schematizzazione dell’apparato utilizzato in questo lavoro di tesi. La radiazione proveniente dal laser ad Argon viene fatta incidere su un prisma che ne separa le componenti spettrali e successivamente su un iride che permette di selezionare spazialmente la componente desiderata. Subito dopo l’iride per mezzo di un beam-splitter (BS1 ) la radiazione vine inviata in parte all’accoppiatore che porta allo SNOM, e in parte all’accoppiatore del microscopio confocale (CLSM). 56 Capitolo 3 Realizzazione di un apparato per la micro-infiltrazione controllata di cristalli fotonici Come é già stato anticipato nei capitoli precedenti infiltrando i pori di un cristallo fotonico in due dimensioni con un qualunque altro materiale si introduce un difetto nella periodicità, di conseguenza é possibile introdurre un modo permesso all’interno del PBG. La capacità di infiltrare in maniera controllata un cristallo fotonico successivamente alla fase di fabbricazione permette di creare delle vere e proprie guide d’onda riscrivibili. Col metodo ideato e sviluppato durante questa tesi é infatti possible scrivere una guida di qualunque forma e dimensione compatibilmente con la struttura del cristallo. Inoltre la flessibilità nel cambiare le caratteristiche del difetto e la possibilità di infiltrare materiali attivi apre nuove frontiere riguardo alla progettazione di nuovi dispositivi emettitori di luce o laser. In particolare nella prima parte di questo capitolo verranno descritte le caratteristiche degli strumenti utilizzati per realizzare l’apparato di micro-infiltrazione e spiegheremo il perché della scelta di tale strumentazione. Nella seconda parte, invece, verranno descritte in maniera dettagliata le operazioni che devono essere compiute per infiltrare in maniera 57 controllata un cristallo fotonico in due dimensioni. 3.1 Strumentazione necessaria per la realizzazione di un apparato di micro-infiltrazione In questa tesi per la prima volta é stato possibile infiltrare in maniera selettiva, tramite una micro-pipetta, un cristallo fotonico in due dimensioni costituito da un arrangiamento di colonne di aria immerse in un materiale a indice di rifrazione maggiore con una soluzione di acqua e colorante organico. La posizione della pipetta è controllata da un traslatore meccanico e l’iniezione del liquido avviene tramite un dispositivo, che applicando un’opportuna pressione ad una estremità della pipetta, permette la fuoriuscita del liquido in maniera controllata. Tutto il processo di posizionamento della pipetta sul campione e la fase vera e propria di infiltrazione è controllata tramite il microscopio ottico. Una schematica rappresentazione dell’apparato di infiltrazione é riporta in figura 3.1. Per posizionare la pipetta in prossimità del foro é preferibile disporre del massimo numero di ingrandimenti e della maggior risoluzione possibile. Inoltre, poiché la micro-pipetta deve essere libera di muoversi al di sopra del campione, si devono utilizzare obiettivi con una distanza di lavoro sufficientemente elevata al fine di non ostacolarne il movimento. Questo risulta un difficile compromesso, in quanto tanto maggiore é la distanza di lavoro dell’obiettivo e tanto minore risulta la risoluzione. Nel nostro caso, quindi, é stato utilizzato un obiettivo 50X [Olimpus] con una distanza di lavoro di 18 mm che, lavorando nel visibile, permette sia di ottenere una risoluzione pari a circa R = 670 nm, sia di posizionare la pipetta sotto l’obiettivo con un angolo di 45◦ rispetto alla superficie del campione. La pipetta é montata su un supporto che, oltre a sostenerla con l’angolo di inclinazione desiderato, permette di traslarla sia verticalmente che parallelamente al piano del campione. Collegato al movimento meccanico del supporto é presente un movimento idraulico lungo i 58 Figura 3.1: Rappresentazione schematica dell’apparato utilizzato per la microinfiltrazione. La pipetta si trova nel campo di vista del microscopio posizionata a 45◦ rispetto alla superficie del campione. Una sua estremità é collegata all’iniettore Femto-Jet che é capace di controllare tramite l’applicazione di opportune pressioni l’iniezione di liquido. tre assi che regola in maniera fine, con una riproducibilità di 0.1 × 0.1 × 0.1 µm, la posizione della pipetta in modo tale da non trasmetterle le vibrazioni indotte dal movimento. La figura 3.2 mostra una foto dell’apparato realizzato. Le pipette utilizzate per l’infiltrazione sono dei microcapillari per la microiniezione altamente riproducibile. In modo particolare sono state utilizzate due tipologie di capillari: Sterile Femtotips e Sterile FemtotipsII prodotti dalla Eppendorf, entrambi con un diametro interno di (0.5 ± 0.1)µm e disponibili in commercio per applicazioni biologiche come l’iniezione di liquido all’interno di cellule. Le due tipologie di capillari differiscono, come si vede in figura 3.3, per la dimensione del diametro esterno che nel primo caso é pari a (1.0 ± 0.2)µm, mentre per le FemtotipsII risulta pari a (0.7 ± 0.1)µm. Per controllare l’iniezione si utilizza un micro-iniettore programmabile per micro-iniezioni riproducibili. In particolare é stato utilizzato il FemtoJet della Eppendorf in quanto questo strumento permette l’iniezione di volumi di sostanza che vanno dai femtolitri sino ai nanolitri e risulta indipendente dall’influenza 59 Figura 3.2: Immagine dell’apparato di micro-infiltrazione realizzato in laboratorio. La punta é fissata al traslatore meccanico i cui movimenti fini sono controllati per mezzo delle manopole in basso a destra. di fonti di pressione esterne grazie ad un compressore integrato. Questo strumento permette di regolare la durata dell’iniezione (ti ) da 0.1 a 9 secondi a passi di 0.1 secondi, la pressione di iniezione (pi ) da 0 − 6000 hPa, regolabile a passi di 1 hPa, ed infine essendo uno strumento ideato per l’infilatrazione di cellule organiche, permette l’applicazione di una pressione di compensazione (pc ) anch’essa da 0 − 6000 hPa, regolabile a passi di 1 hPa. I vincoli sulle caratteristiche chimico-fisiche della soluzione che si infiltra all’interno del cristallo fotonico sono molteplici. Questa deve necessariamente avere un’indice di rifrazione tale da introdurre dei modi permessi all’interno del PBG, deve essere poco viscosa in modo tale che sia facile depositarla sul campione e allo stesso tempo non troppo volatile al fine di rimanere il più tempo possibile all’interno del cristallo fotonico. Inoltre, deve essere possibile verificare se questa è stata realmen60 Figura 3.3: Immagine SEM delle pipette utilizzate per la micro-infiltrazione. A sinistra é riportata l’immagine della Sterile Femtotips che ha diametro interno di 0.5µm e diametro esterno di 0.7µm (±0.1µm). A destra invece é riportata l’immagine della Sterile FemtotipsII che ha diametro interno di 0.5µm e diametro esterno di 1.0µm (±0.2µm). te introdotta all’interno dei fori del cristallo fotonico. Infatti benché il processo di infiltrazione, come sarà spiegato più dettagliatamente in seguito, venga controllato tramite il microscopio ottico, é impossibile disponendo solo di tale strumento verificare con sicurezza se il singolo poro del cristallo fotonico sia stato infiltrato con successo. Proprio per questi motivi é stato scelto di utilizzare una soluzione di acqua e colorante organico. L’acqua perché é meno volatile dei solventi comuni utilizzati con coloranti organici ed ha una costante dielettrica tale da introdurre all’interno del band gap un modo permesso, il colorante organico invece per rivelare l’eventuale presenza della soluzione all’interno del foro. Infatti utilizzando il microscopio confocale in configurazione di luminescenza, come presentato nel paragrafo 2.2.2, si eccitano le molecole di colorante disciolte in acqua e osservando la loro luminescenza é possibile stabilire se il processo di infiltrazione é andato a buon fine. Inoltre, come sarà spiegato meglio in seguito, il fatto che il colorante organico abbia caratteristiche di emissione che dipendono dal solvente, permette di verificare se la soluzione evapora dall’interno dei pori del campione o se invece si secca sulla superficie del campione 61 stesso. Come colorante é stata scelta la Rodamina 6G con peso molecolare di 479 u.m.a. che disciolta in acqua con concentrazione di 0.02g/l e eccitata con λ = 514 nm presenta un picco di emissione a circa 550 nm come si vede in figura 3.4. Figura 3.4: Spettro di emissione della Rodamina 6G disciolta in acqua purificata con concentrazione pari a 0.2g/l e eccitata tramite il laser ad Argon. 3.2 Passaggi necessari per la realizzazione dell’infiltrazione In questo paragrafo vengono spiegati i passaggi necessari per realizzare la microinfiltrazione di un cristallo fotonico in due dimensioni costituito da cilindri d’aria immersi in un mezzo a indice di rifrazione maggiore. Innanzitutto é necessario posizionare correttamente la pipetta, se non all’interno, almeno in prossimità del foro. Il processo di avvicinamento deve essere eseguito con estrema attenzione in quanto le pipette utilizzate sono molto delicate e un brusco appoggio sul campione può facilmente provocarne la rottura. Per prima cosa si posiziona, osservandola 62 ad occhio nudo, la pipetta sopra il campione utilizzando i movimenti meccanici; mentre per avvicinarla al campione senza danneggiarla si controlla la sua posizione col microscopio ottico e si utilizzano i movimenti idraulici. Una volta posizionato il fuoco del microscopio sul campione si abbassa la pipetta finché non appare anch’essa a fuoco nel campo di vista del microscopio. Dopo tali manovre la pipetta é prossima alla superficie del campione, ma pur impostando sul Femto-Jet pressioni di iniezione molto elevate, non é possibile infiltrare il campione in quanto le forze di capillarità, dovute alle ridotte dimensioni del diametro della pipetta, impediscono la fuoriuscita del liquido a meno che non ci si trovi realmente in contatto con il campione. Di conseguenza, per assicurarsi di essere in questa condizione, é conveniente muovere la punta delicatamente lungo il piano del campione: se questa risulta realmente in contatto e in modo particolare se esercita una lieve pressione sulla superficie del campione, muovendo la pipetta questa ne segue la topografia, si abbassa in presenza dei fori e si alza quando ritorna sulla superficie. Questa operazione, fatta per verificare se la pipetta é veramente in contatto col cristallo fotonico, risulta comunque molto delicata; infatti durante questo processo, sebbene non si facciano delle vere e proprie infiltrazioni, é possibile che del liquido venga assorbito dai fori del cristallo fotonico o in condizioni peggiori rompere la punta stessa. Proprio per ovviare a deposizioni incontrollate di materiale, una volta selezionato il foro da infiltrare, si posiziona la pipetta al di sopra di questo, la si abbassa gradualmente e si controlla che la posizione della punta resti invariata pur agendo con i movimenti fini sul piano del campione, evitando di spostarsi fino al poro successivo. Se é verificata questa condizione si può ritenere che la pipetta si trovi all’interno del foro ed è quindi possibile realizzare l’infiltrazione. Questo metodo funziona non solo con campioni che hanno pori di dimensione di molto superiore al diametro esterno della pipetta, ma anche con campioni che hanno fori di dimensione confrontabile o poco minore; questo perché per realizzare l’infiltrazione é sufficiente che l’apertura della pipetta sia in contatto col campione e non necessariamente all’interno di un foro. 63 L’infiltrazione risente comunque moltissimo della posizione della pipetta e dalle sue caratteristiche. Inoltre, mentre i valori di pressione impostati sul Femto-Jet non risultano critici per il processo di infiltrazione, dal tempo di iniezione dipende in modo cruciale la quantità di liquido depositato. Generalmente per infiltrare un singolo foro si utilizza un valore di ti pari a 0.3 secondi mentre per tempi maggiori si ottengono infiltrazioni di zone più estese. Per quanto riguarda invece pc e pi il range di utilizzo é rispettivamente di 0 − 1000 hPa per pc e di 0 − 3000 hPa per pi . Una volta raggiunte le condizioni indicate sopra per la micro-infiltrazione, si verifica con il microscopio confocale la presenza della soluzione all’interno dei pori andando a rivelare la fluorescenza. Infatti nel caso di infiltrazioni a livello di singolo poro tramite gli oculari non é possibile osservare la fuoriuscita di liquido dalla pipetta e per verificare se l’infiltrazione sia andata a buon fine é necessario investigare a posteriori utilizzando il microscopio confocale in configurazione di luminescenza. Prima però di procedere con una infiltrazione controllata é stato riscontrato che la pipetta necessita di un processo di attivazione nel quale non si infiltra un singolo poro, ma un’area estesa del campione come si vede nella figura 3.5 raccolta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza. Durante questo processo, per le maggiori quantità di liquido in gioco, é possibile osservare tramite gli oculari la goccia sulla superficie del campione che una volta formata scompare come risucchiata dai pori del cristallo fotonico. Un ulteriore controllo diretto e in tempo reale della posizione della pipetta si ottiene utilizzando il microscopio confocale. Infatti, sempre in configurazione di luminescenza, é possible osservare la pipetta e posizionarla in prossimità della zona che si desidera infiltrare. Inoltre il programma di acquisizione del confocale permette di fare delle scansioni sia inclinate rispetto all’orizzontale, sia sequenziali per varie quote del fuoco da cui si possono ottenere immagini tridimensionali della pipetta come si vede da figura 3.6(a) o osservare in tempo reale la sua posizione rispetto al campione (figura 3.7). Il fatto di poter realizzare scansioni su piani inclinati rispetto 64 Figura 3.5: Immagine ottenuta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza. Prima di riuscire ad eseguire delle vere e proprie infiltrazioni singole si ottengono delle infiltrazioni di parti estese del campione, la punta deve infatti essere sottoposta ad un primo processo di spurgo. Figura 3.6: Immagini ottenute col microscopio confocale in configurazione di luminescenza: in (a) sono riportate le proiezioni lungo i tre piani di un’immagine sequenziale a vari valori del fuoco della pipetta (Femtotips), in (b) é riportata un’immagine dove la scansione é inclinata a 45◦ a quello del campione, oltre a permettere di ottenere immagini della punta analoghe a quella mostrata in figura 3.6(b), permette di realizzare l’infiltrazione anche in differenti geometrie. In figura 3.8 é mostrata una schematizzazione di un’ulteriore configurazione utilizzata per il processo di infiltrazione. 65 Figura 3.7: Immagine ottenuta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza. A sinistra a si osserva la luminescenza prodotta dalla punta della pipetta, sotto é presente la zona del campione che ha subito una macro infiltrazione presentata anche nella figura 3.5. La punta appare come una macchia fluorescente perché la scansione é parallela al piano del campione e quindi é possibile visualizzare solo l’estremità dell punta. Figura 3.8: Schematizzazione di un ulteriore configurazione utilizzabile per il processo di infiltrazione. La pipetta e il campione sono entrambi inclinati rispetto l’orizzontale. Il programma di acquisizione permette comunque una scansione sia nel piano della pipetta, ottenendo un’immagine analoga a quella presentata in 3.6(b), che nel piano del campione. 66 Capitolo 4 Risultati sperimentali In questo capitolo verranno presentati i risultati delle infiltrazioni su varie tipologie di campione. In particolare nei primi paragrafi si descrivono i campioni utilizzati e le misure preliminari ottenute con il microscopio confocale, mentre negli ultimi due si riportano i risultati dell’avvenuta infiltrazione e le misure ottiche realizzate con il microscopio a campo vicino. 4.1 Presentazione dei campioni Per la maggior parte delle misure effettuate nell’ambito di questa tesi é stato utilizzato un campione di cristallo fotonico in due dimensioni realizzato dal gruppo del professor Pavesi dell’Università di Trento. Come spiegato in [50] il campione é stato realizzato mediante anodizzazione elettrochimica di un substrato di Si drogato p con alta resistività (7 − 15Ωcm). Con questo metodo si possono ottenere campioni di alta qualità che presentano pori di profondità pari a centinaia di volte il diametro. Inoltre sia la superficie esterna del campione, dove vengono praticati i pori, sia la superficie laterale dei pori stessi presentano bassa rugosità. Il processo di fabbricazione si sviluppa essenzialmente in due fasi: prima si definisce la posizione di ogni foro con tecniche di foto-litografia e successivamente si procede con l’etching elettrochimico in una soluzione di HF . Il campione utilizzato é caratterizzato da cinque differen67 ti zone che presentano geometria, passo reticolare e dimensioni dei pori differenti. La figura 4.1 mostra delle immagini SEM delle due regioni del campione con passo reticolare minore. Figura 4.1: Immagine SEM di due differenti zone del campione (a),(b). Osservando la figura 4.1, si può notare che la sezione dei pori del cristallo fotonico non risulta costante in prossimità della superficie esterna del campione. Infatti il processo di etching utilizzato é tale che il diametro dei pori vari entro pochi micron dalla superficie. In modo particolare, nel campione considerato, pur partendo da una maschera con pori a geometria quadrata, nei primi 3µm dalla superficie la sezione dei pori si riduce e cambia geometria fino ad assumere una forma circolare, per poi rimanere costante per tutta la profondità del campione, pari a circa 100µm. In figura 4.2 é riportata un’immagine SEM di un poro del cristallo fotonico affiancato ad una sua schematizzazione. Per quanto detto, nelle simulazioni teoriche presentate in seguito si considereranno pori con diametro costante e geometria circolare. Gli altri campioni utilizzati nell’ambito di questa tesi sono stati forniti dal gruppo del professor Wehrspohn del Max Plank Institute of Microstructure Physics di Halle (Germania). Anche questa tipologia di campione é stata realizzata tramite anodizzazione elettrochimica su un substrato di Si drogato p [51]. Per realizza68 Figura 4.2: In (a) é riportata un’immagine SEM di un poro del cristallo fotonico del gruppo di Trento affiancato da una sua schematizzazione (b). Il diametro del poro dopo pochi micron dalla superficie diminuisce e diventa di geometria circolare. La profondità dei pori risulta di circa 100 µm. re questo tipo di cristalli fotonici prima si definisce la posizione di ogni poro con tecniche di foto-litografia, dopo di che si procede con l’etching elettrochimico. La differenza rispetto al metodo precedentemente mostrato é che in questo caso, durante il processo di etching, il campione viene costantemente retro-illuminato al fine di creare lacune elettroniche nel substrato drogato p. Con questa tecnica si ottengono cristalli fotonici di buona qualità con passi reticolari da 8µm fino a 500 nm, e nel nostro caso si dispone di due differenti campioni uno con passo reticolare di 2 µm, e uno con passo reticolare di 500 nm. 69 4.2 Misure preliminari Le misure preliminari sono volte a trovare un metodo per allineare il microscopio confocale a scansione laser e stimarne qualitativamente la risoluzione. Innanzitutto é stato notato che per ottenere una buona immagine risulta fondamentale che la luce in fibra, inviata al microscopio, sia stata ben accoppiata ed abbia un modo di forma il più possibile circolare. In condizioni di completo disallineamento del sistema é utile cercare il segnale utilizzando il pinhole da 1 mm e variando il fuoco del sistema. La posizione del fuoco per il confocale coincide con quella del microscopio ottico tradizionale: di conseguenza, una volta ottenuta l’immagine sugli oculari del microscopio tradizionale, risulta semplice ottenere un’immagine in configurazione di riflessione anche col microscopio confocale. Una volta ottimizzato il segnale sul pinhole di 1 mm, spostando con una vite micrometrica la posizione del pinhole, si passa a quello successivo con diametro di 140µm, come mostrato in figura 4.3. Per garanti- Figura 4.3: Schema dell’ultima parte del percorso che compie la luce prima di essere rivelata. In fase di ottimizzazione é possibile variare lungo l’asse z e lungo l’asse x la posizione della lente L1 , mentre la posizione del pinhole può essere variata solo lungo la direzione dell’asse z al fine di selezionare quello del diametro scelto. re che la posizione del pinhole e della lente L1 siano allineati correttamente sull’asse ottico del sistema, si effettua una scansione di dimensioni maggiori del diametro del pinhole. In questo modo l’allineamento del microscopio confocale avviene muovendo 70 le viti micrometriche che permettono di spostare la lente L1 , mostrata in figura 4.3, fino a che non si ottiene un’immagine in cui si osserva una zona pressoché circolare da cui proviene il segnale e una zona di contorno buia. A questo punto, massimizzando i conteggi variando sia la posizione della lente, sia quella del pinhole, che il fuoco, é possibile allineare il sistema in maniera univoca. Infatti nelle condizioni sopra descritte, come si vede in figura 4.4, la lente focalizza correttamente il segnale ottico al centro del pinhole e lungo l’asse ottico. Se invece si cerca di allineare il Figura 4.4: Immagine di 350 × 350µm del campione ottenuta col microscopio confocale in configurazione di riflessione. Si osserva una zona centrale da cui proviene il segnale riflesso e una zona di contorno buia oscurata dalla presenza del pinhole. microscopio confocale massimizzando i conteggi di una immagine più piccola, non si riesce ad ottimizzare il segnale e ad ottenere una situazione riproducibile. In questo caso, benché si possano ottenere delle immagini di buona qualità, spesso si ha che la posizione del fuoco a cui corrisponde il massimo dei conteggi non coincide con la posizione nella quale si ha un’immagine con maggiore risoluzione. Inoltre al variare della posizione del fuoco si possono ottenere degli artefatti, ovvero che l’immagine di riflessione, come si osserva in figura 4.5, compaia per vari valori della posizione del fuoco alternandosi ad un’immagine che appare come il suo negativo. Compreso come allineare il microscopio confocale, sono state effettuate immagini della stessa zona di campione per vari valori del pinhole in modo da stabilire quale fosse la condizione ottimale di lavoro per le misure di micro-infiltrazione. Le immagini in configurazione di riflessione riportate in figura 4.6(a) riproducono la 71 Figura 4.5: Immagini 5 × 5 µm del campione ottenute col microscopio confocale in configurazione di riflessione. Le immagini sono state prese per valori decrescenti del fuoco distanti circa 8 µm. Si osserva che l’immagine di riflessione compare per alcuni valori della posizione del fuoco (2), (4), (6), (8) alternata ad un’immagine che appare come il suo negativo (1), (3), (5), (7). Figura 4.6: Immagini 20 × 20 µm di una delle zone del campione di Trento ottenute col microscopio confocale in configurazione di riflessione per vari valori del pinhole (a). In (b) sono invece riportati gli andamenti dell’intensità normalizzata per ciascuna delle immagini presentate in (a): in blu é riportato il profilo corrispondente al pinhole di 1 mm, in nero quello da 140 µm, in rosso quello da 80 µm e in verde quello da 40 µm. Si osserva che il rapporto segnale-rumore resta pressoché invariato indipendentemente dalla scelta del pinhole da 140, 80 e 40 µm. topografia del campione: nelle zone in cui il silicio non é stato attaccato dal processo di etching il segnale viene riflesso e rivelato, viceversa nelle zone in cui sono presenti i pori la struttura non riflette il segnale apparendo come una regione buia. 72 Sebbene le immagini ottenute con i pinhole più piccoli siano maggiormente sensibili alla posizione del fuoco, la qualità dell’immagine, almeno per i nostri scopi, risulta confrontabile: per questo motivo é stato scelto di lavorare con il pinhole di 140µm che, tagliando la minor quantità di segnale, é adatto soprattutto per le misure di fluorescenza dove il segnale da rivelare non é intenso. Gli stessi risultati sono stati ottenuti anche nel caso in cui il campione sia inclinato di 45◦ rispetto l’orizzontale. In questo caso il programma di acquisizione compie la scansione modificando automaticamente il fuoco del sistema. Come si vede in figura 4.7, anche in questo caso la qualità dell’immagine risulta pressoché la stessa utilizzando i tre pinhole più piccoli. Si noti che, in questo, caso la posizione dei pori corrisponde alle zone da Figura 4.7: Immagini 10 × 10 µm del campione di Halle con passo 2 µm ottenute col microscopio confocale in configurazione di riflessione per vari valori del pinhole. La posizione dei fori in questo caso corrisponde alle zone da cui proviene una quantità maggiore di segnale perché il campione risulta inclinato di 45◦ rispetto l’orizzontale. cui proviene una quantità maggiore di segnale. Infatti la superficie del campione, essendo inclinata di 45◦ rispetto all’orizzontale, riflette il laser in direzione perpen73 dicolare all’asse ottico del microscopio e di conseguenza non può essere rivelata; al contrario il segnale proveniente dalla superficie al bordo del poro viene riflesso lungo l’asse ottico e viene correttamente rivelato. Eseguendo tali misure é stato possibile inoltre valutare l’ordine di grandezza della risoluzione che il microscopio confocale offre utilizzando l’obbiettivo 50X realizzato dalla Olympus con N A = 0.45 e distanza di lavoro pari a 18 mm. Dalla figura 4.8 che riporta un’altra zona del campione si osserva che il passo reticolare é pari a 2 µm e che il segnale ottico riflesso dalla struttura proviene da una zona di 340 nm. Tale valore permette quindi di stimare il limite di risoluzione sperimentale del nostro sistema a 340 nm. Figura 4.8: Immagine 12×12 µm di una zona del campione ottenuta col microscopio confocale in configurazione di riflessione (a). In (b) si osserva che il segnale ottico riflesso dalla struttura proviene da una zona di dimensioni pari a circa 340 nm, valore che viene considerato come risoluzione sperimentale del microscopio confocale. 4.3 Caratterizzazione dei campioni e calibrazione del CLSM Le prime misure realizzate con l’apparato sperimentale presentato sono state effettuate per caratterizzare il campione di Trento, individuandone la geometria, il passo reticolare e la dimensione dei pori, e per calibrare il microscopio confocale. 74 Col microscopio ottico si distinguono cinque differenti zone caratterizzate da geometrie e passi reticolari differenti. La figura 4.9 mostra un’immagine ottenuta col microscopio confocale in configurazione di riflessione delle cinque differenti zone del campione. Le stesse zone sono state investigate utilizzando lo SNOM, Figura 4.9: Immagini di 12 × 12 µm ottenute col microscopio confocale in configurazione di riflessione delle cinque differenti zone del campione. sia per ottenere immagini con maggiore risoluzione sia per calibrare la scansione stessa del microscopio confocale. La figura 4.10 mostra le corrispondenti immagini topografiche delle cinque differenti regioni del campione. Confrontando le immagini ottenute con i due microscopi si osserva che, mentre il passo reticolare risulta pressoché lo stesso, le dimensioni dei pori risultano minori nelle immagini topografiche ottenute con lo SNOM. In particolare consideriamo per la calibrazione della scansione del microscopio confocale la zona 1 che presenta il passo reticolare più piccolo e permette una calibrazione più precisa. Le immagini 75 Figura 4.10: Immagini topografiche di 12 × 12 µm effettuate con il microscopio a campo vicino, corrispondenti alle zone mostrate nella figura 4.9. topografiche ottenute col microscopio a campo vicino presentano pori più piccoli perché l’immagine topografica é il risultato della convoluzione della struttura del cristallo fotonico con le dimensioni finite della punta dello SNOM. Inoltre, per la geometria dei pori stessi, utilizzando il microscopio confocale si raccoglie soltanto il segnale proveniente dalla superficie del campione, mentre quello proveniente dal bordo dei pori non viene riflesso lungo l’asse ottico del sistema e, non essendo rivelato, fa apparire i pori più grandi. In figura 4.11 si riporta l’andamento dell’intensità riflessa per l’immagine ottenuta col microscopio confocale e il profilo topografico della stessa zona ottenuto con lo SNOM. Come accennato precedentemente il passo reticolare risulta lo stesso per entrambe le immagini ed é pari a (1.6 ± 0.1)µm. Al contrario, mentre la dimensione dei pori stimata col microscopio confocale risulta pari a (1.0 ± 0.1)µm, quella stimata con lo SNOM risulta molto inferiore e pari a 76 Figura 4.11: Profilo topografico ottenuto nella zona 1 del campione con lo SNOM (a). In (b) é invece riportato il profilo di intensità di un’immagine ottenuta con il CLSM nella stessa zona di campione. (0.4 ± 0.1)µm. Il fatto che le dimensioni dei pori non risultino consistenti entro l’errore sperimentale utilizzando le due differenti tecniche di microscopia conferma quanto detto, invece il fatto che il passo reticolare risulti lo stesso garantisce che il CLSM sia stato ben calibrato. Mentre il passo reticolare delle strutture fin’ora presentate é tale da essere risolto utilizzando l’obiettivo 50X della Olympus con apertura numerica 0.45, la caratterizzazione del campione di Halle, con passo reticolare 500 nm é stata eseguita utilizzando un obiettivo Nikon 50X con N A = 0.70. La figura 4.12 mostra l’imma- Figura 4.12: Immagine 3 × 3µm ottenuta con il microscopio confocale in configurazione di riflessione con un obiettivo con N A = 0.70. gine ottenuta col microscopio confocale in configurazione di riflessione del campione. Utilizzando l’obiettivo con apertura numerica minore non risulta possibile risolve77 re la struttura. Lo stesso campione é stato analizzato con il microscopio a campo vicino. La figura 4.13(a) riporta un’immagine topografica del campione, mentre in (b) é riportato un profilo dal quale si ricava che il passo reticolare é 500 nm, coerentemente con i dati forniti dal costruttore. Il fatto che sia possibile risolvere la Figura 4.13: Immagine topografica 3 × 3µm ottenuta con il microscopio a campo vicino. struttura soltanto utilizzando l’obiettivo Nikon non permette di realizzare l’infiltrazione, in quanto tale obiettivo presenta una distanza di lavoro troppo piccola per poter contemporaneamente posizionare la pipetta sopra il campione e osservare a fuoco il campione stesso. In seguito saranno quindi mostrati i risultati dell’infiltrazione nel campione che presenta passi reticolari tali da essere risolti con l’obiettivo con distanza di lavoro maggiore. 4.4 Infiltrazione dei campioni: realizzazione di una guida ottica riscrivibile Per i primi tentativi di infiltrazione é stata scelta la zona 2 del campione di Trento, mostrata in figura 4.9, che presenta geometria triangolare con costante reticolare a2 = 4 µm. Per infiltrare questa zona é stata utilizzata la pipetta con diametro 78 esterno maggiore in quanto i fori del cristallo fotonico, avendo dimensione pari a circa 2µm, sono sufficientemente grandi per poter posizionare senza difficoltà la pipetta al loro interno. Durante le prime fasi del processo di infiltrazione, i cui dettagli sono stati già ampliamente descritti nel paragrafo 3.2, é stato osservato che prima di ottenere l’infiltrazione di un singolo poro con una quantità sufficientemente elevata di liquido da poter essere rivelata, risulta necessario attivare la pipetta ovvero rilasciare una quantità di liquido tale da bagnare una intera zona del campione. Questo processo non risulta facilmente riproducibile perché i parametri in gioco durante l’infiltrazione sono molteplici e difficilmente controllabili, ma una volta eseguito questo primo passaggio, la situazione diventa molto più stabile. Sebbene ancora non sia stato elaborato un metodo per controllare l’effettiva quantità di materiale depositato all’interno dei pori, é comunque possibile infiltrarli in maniera controllata e verificare che l’infiltrazione sia andata a buon fine. La figura 4.14 mostra l’infiltrazione di un singolo foro nella zona 2. La presenza della soluzione di acqua e colorante organico all’interno del poro viene verificata utilizzando il microscopio confocale in configurazione di luminescenza. In modo particolare, durante queste misure, oltre all’impiego di uno specchio dicroico per tagliare il segnale del laser é stato posto davanti al detector un filtro colorato che, tagliando ulteriormente il laser, trasmette soltanto il segnale di luminescenza. Nella figura 4.14(a) é riportata l’immagine del poro infiltrato ottenuta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza affiancata in (b) da un’immagine della stessa zona del campione ottenuta in configurazione di riflessione. I profili di intensità riportati in 4.14(c) e (d) mostrano che il segnale proviene esattamente da uno dei pori del campione garantendo che l’infiltrazione é andata a buon fine. É noto che le proprietà di emissione di un colorante organico dipendono dal solvente in cui si trova; nel caso di una soluzione di Rodamina e acqua purificata, come già mostrato nella figura 3.4 del precedente capitolo, lo spettro ha un picco attorno a 550 nm. Facendo evaporare l’acqua lo spettro di emissione cambia spo79 Figura 4.14: Immagine dell’infiltrazione di un singolo poro nella zona 2 del cristallo fotonico ottenuta col microscopio confocale. La figura (a) riporta la fluorescenza del colorante organico proveniente dall’interno del poro, in (b) é invece riportata la stessa zona di campione osservata col microscopio confocale in configurazione di riflessione, entrambe le immagini corrispondono a una scansione di dimensioni di 10 × 10 µm. In (c) e in (d) sono riportate rispettivamente una sezione verticale e orizzontale dell’andamento dell’intensità sia per l’immagine in luminescenza che per quella in riflessione per dimostrare che la fluorescenza proviene esattamente da uno dei pori del campione. standosi verso il rosso come si vede in figura 4.15. Questo spostamento nello spettro di emissione della Rodamina permette di verificare se a distanza di tempo l’acqua si trovi sempre presente all’interno dei pori o sia evaporata. Consideriamo a questo proposito l’infiltrazione di una riga di pori effettuata nella zona 2 del campione (figura 4.16). L’immagine riportata in figura 4.16(a) é stata effettuata col microscopio confocale in configurazione di luminescenza ponendo davanti al rivelatore il filtro verde, presentato in figura 4.15, centrato attorno a 540 nm e largo 60 nm. Questo filtro presenta caratteristiche tali da raccogliere gran parte del segnale della 80 Figura 4.15: Spettro di emissione della Rodamina 6G disciolta in acqua purificata con concentrazione di 0.2g/l e secca a confronto con gli spettri di trasmissione dei due filtri utilizzati davanti al detector per tagliare ulteriormente il segnale di riflessione. Rodamina in soluzione. L’immagine in figura 4.16(b), che riporta la stessa zona di campione, é stata ottenuta in configurazione di riflessione e garantisce che il segnale proviene effettivamente dall’interno dei pori del cristallo fotonico. Il giorno seguente é stata ripetuta la misura con lo stesso filtro, figura 4.16(c), osservando che l’acqua, probabilmente per effetto della forza di capillarità dovuta alle piccole dimensioni dei pori, non riesce ad evaporare. Successivamente la misura é stata ripetuta utilizzando davanti al detector il filtro rosso centrato a 590 nm mostrato in figura 4.15 più sensibile al segnale della Rodamina essiccata. Confrontando le immagini riportate nelle figura 4.16(a) e (c) con quella in 4.16(d) si osserva che parte della soluzione é seccata sulla superficie del campione in quanto il segnale in figura 4.16(d) proviene dalle zone in prossimità dei pori infiltrati e risulta probabilmente dovuto alla fuoriuscita involontaria di liquido dalla pipetta durante il processo di infiltrazione. In configurazione di riflessione, figura 4.16(e), in corrispondenza alla posizione in cui si osserva questo segnale si notano della macchie e la loro presenza si giustifica ipotizzando che la Rodamina seccata sulla superficie del campione ne peggiori 81 la riflettività. Sempre dalla figura 4.16(a) e (c) si comprende come la quantità di Figura 4.16: Immagini ottenute col microscopio confocale in varie configurazioni: (a) immagine in configurazione di luminescenza con filtro centrato a 540 nm davanti al detector, in (b) immagine della stessa zona del campione presa in configurazione di riflessione, (mantenendo il dicroico ma togliendo il filtro davanti al detector). In (c), (d) e (e) é riportata la stessa zona del campione dopo 24 ore. In particolare in (c) é riportata l’immagine in luminescenza con il filtro centrato a 540 nm, in (d) col filtro passa-alto centrato a 590 nm e infine in (e) l’immagine in configurazione di riflessione analoga alla (b). liquido iniettata all’interno dei pori non sia perfettamente riproducibile da un’infiltrazione all’altra. Infatti per ciascuno dei pori i parametri di iniezione impostati sul micro-iniettore sono stati gli stessi. Inoltre, osservando il poro sulla sinistra in figura 4.16(a), si nota che il segnale di luminescenza é distribuito in maniera non omogenea sulla superficie del poro, probabilmente perché il liquido sottoposto alla forza di capillarità tende a concentrarsi sulle pareti del poro e non al centro. Un’infiltrazione 82 di questo tipo, ovvero con il liquido concentrato sulle pareti, si ottiene se la pipetta si trova in contatto con la superficie interna del poro. In questa zona infatti il passo reticolare é sufficientemente grande da poter osservare esattamente la posizione della pipetta rispetto alle pareti del poro stesso. Sebbene non sia possibile catalogare le infiltrazioni a seconda della posizione relativa tra poro e pipetta si nota che, nel caso in cui la pipetta sia a contatto con le pareti del poro, si ottiene un’infiltrazione in cui il liquido si distribuisce sul bordo del poro; mentre se da tale posizione si solleva la pipetta di 0.5 µm, una quantità maggiore di liquido penetra nel poro e si dispone in maniera omogenea all’interno di esso come nel caso presentato in figura 4.14. I risultati presentati finora mostrano che é possibile, con l’apparato realizzato, infiltrare a livello di singolo poro e realizzare guide d’onda rettilinee. Con questo metodo di infiltrazione é però possibile scrivere sul campione guide d’onda di qualunque forma. In figura 4.17 é riportato un esempio di guida a forma di 00 S 00 sempre nella zona 2 del campione. Figura 4.17: Immagine di 19 × 17 µm ottenuta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza: sul campione é stato possibile scrivere una guida ad esse. I fori sono infiltrati con quantità di liquido differenti per questo il segnale appare più intenso in alcune zone anziché in altre. Una volta dimostrato che con l’apparato realizzato risulta possibile infiltrare i campioni e osservare se tale infiltrazione é andata a buon fine si é scelto di lavorare in una zona con costante reticolare minore. Infatti, sia per ottenere dispositivi ottici 83 utilizzabili nell’ambito dell’optoelettronica, sia per poter verificare sperimentalmente il confinamento della luce nelle guide realizzate, é necessario infiltrare cristalli fotonici che presentano un passo reticolare più piccolo rispetto a quello della zona 2. É stato quindi deciso di proseguire gradualmente e di tentare l’infiltrazione in una zona con passo intermedio: a questo proposito é stata infiltrata la zona 1 dove a1 = 1.5 µm e le dimensioni dei fori sono di circa 1 µm. In questo caso per iniettare la soluzione é stata utilizzata la pipetta Sterile FemtotipsII con diametro esterno di 0.7 µm. La figura 4.18 dimostra che, anche in questa parte di campione, é stato possibile infiltrare in maniera controllata un singolo poro. Analogamente a quanto fatto precedentemente si riporta l’immagine dell’avvenuta infiltrazione in configurazione di luminescenza in figura 4.18(a) e in (b) l’immagine in riflessione della stessa zona. Anche in questo caso i profili di intensità mostrati in figura 4.18 garantiscono che il segnale di luminescenza della soluzione utilizzata proviene dall’interno del poro del cristallo fotonico. Durante queste misure é stato inoltre osservato il fenomeno del photo-bleaching per il quale le molecole di un colorante organico, sottoposte a lungo ad eccitazione, smettono gradualmente di fluorescere. Questo fenomeno é dovuto al fatto che dopo un certo numero di cicli di eccitamento e rilassamento i legami covalenti della molecola del colorante si deteriorano, bloccando il processo di emissione. Per ovviare a questo problema nelle misure riportate é stata utilizzata la minima intensità possibile del laser. Un’idea qualitativa dell’effetto del photo-bleaching si può osservare in figura 4.19: a parità dell’intensità di eccitazione il segnale di luminescenza diminuisce al passare del tempo fino a scomparire nel giro di qualche minuto. 84 Figura 4.18: Immagine dell’infiltrazione di un singolo poro nella zona 1 del cristallo fotonico ottenuta col microscopio confocale. In (a) si riporta la fluorescenza del colorante organico proveniente dall’interno del poro, in (b) é invece riportata la stessa zona di campione osservata col microscopio confocale in configurazione di riflessione, entrambe le immagini corrispondono a una scansione di dimensioni di 4 × 4 µm. In (c) e in (d) sono riportate rispettivamente una sezione verticale e orizzontale dell’andamento dell’intensità sia per l’immagine in fluorescenza che per quella in riflessione per dimostrare che la fluorescenza proviene esattamente da uno dei fori del campione . 85 Figura 4.19: Effetto del photo-bleaching per il quale le molecole di un colorante organico sottoposte a eccessiva eccitazione smettono gradualmente di fluorescere. Immagini di 15 × 15 µm ottenute col microscopio confocale in configurazione di fluorescenza ad intervalli di tempo regolari di circa 180 secondi nella zona 4 dello stesso campione. Si osserva che l’intensità della fluorescenza proveniente dai pori diminuisce nel tempo nonostante l’intensità dell’eccitazione rimanga costante. 86 4.5 Misure ottiche col microscopio a campo vicino Una volta riusciti a infiltrare il campione e dimostrato di poter scrivere una guida d’onda, é stato messo a punto un apparato per realizzare misure ottiche con il microscopio a campo vicino. Già nel 1999 da Fan et al. in [10] é stato suggerito di utilizzare lo SNOM sia per ottenere informazioni riguardo la struttura a bande, sia per sondare la distribuzione del campo elettrico nel campione. A seguito di questa proposta sono stati realizzati vari esperimenti con cristalli fotonici in una due e tre dimensioni [52]-[56]. In modo particolare, nel caso bidimensionale il microscopio a campo vicino viene utilizzato per sondare la distribuzione del campo all’interno di guide [53, 54] e micro-risonatori [55]. Negli esperimenti eseguiti fino ad oggi, lo SNOM viene utilizzato per investigare la propagazione di un segnale accoppiato all’interno delle guide o delle cavità focalizzando direttamente dall’esterno la radiazione, figura 4.20(a). Esperimenti di questo tipo richiedono dei campioni accessibili dalle superfici ortogonali al piano di osservazione del campione. In questo caso, invece, si intende accoppiare la radiazione focalizzando il segnale tramite il microscopio confocale all’interno della guida. In figura 4.20(a) é riportato un semplice schema di quanto detto: il microscopio confocale agisce da sorgente puntuale di eccitazione, mentre la sonda dello SNOM, in configurazione di raccolta, mappa la distribuzione del segnale all’interno della regione dove é stata creata la guida riscrivibile al fine di verificare che il segnale rimanga ben confinato al suo interno. Per realizzare quindi misure di questo tipo é necessario essere in grado di posizionare in maniera riproducibile la punta dello SNOM sul poro infiltrato. Questa operazione é resa possibile mediante l’impiego del microscopio confocale; infatti, disponendo solo del microscopio ottico, si riesce a posizionare la punta nella zona desiderata in maniera troppo grossolana. Una volta infiltrato il campione, utilizzando il microscopio confocale in configurazione di luminescenza, si osserva la zona in cui é avvenuta l’infiltrazione. A questo punto, per posizionare la sonda dello SNOM esattamente nella stessa zona in cui sono presenti i pori infiltrati, é necessario inviare 87 Figura 4.20: Rappresentazione schematica degli esperimenti presentati in letteratura che utilizzano lo SNOM per mappare la distribuzione del campo in una guida con cavità (a). In (b) é invece riportata la una schematizzazione dell’apparato che si vuole realizzare per verificare il confinamento della luce nella guida riscrivibile. una scansione col microscopio confocale in configurazione di riflessione e, una volta individuata, posizionare la punta nella stessa regione osservando la sua ombra sul campione. Un metodo analogo per posizionare la punta consiste nell’accoppiare il laser nello SNOM ed eseguire una scansione col microscopio confocale in configurazione di riflessione senza inviare a questo il laser: in questo caso, invece di osservare l’ombra della punta sul campione, si osserva il segnale proveniente dalla punta stessa e, analogamente a quanto detto prima, la si posiziona nella zona in cui sono presenti i pori infiltrati. La possibilità di controllare cosı̀ facilmente la posizione dello SNOM con il CLSM permette, ad esempio, di monitorare la scansione in tempo reale. In figura 4.21(a) si riporta una serie di immagini prese sequenzialmente nel tempo con le quali é possibile ricostruire un vero e proprio filmato della scansione SNOM. Per osservare contemporaneamente sia la punta e che i pori infiltrati, la punta é stata immersa all’interno della soluzione utilizzata per l’infiltrazione in modo tale che della Rodamina si seccasse sulla superficie esterna della punta stessa. In questo modo, in configurazione di luminescenza, é possibile rivelare sia il segnale che proviene dai pori infiltrati sia la punta, ed é possibile seguire dal vivo la scansione e osservare il campione che si muove al di sotto della punta che rimane in posizione fissa. Inoltre, analizzando l’immagine di topografia corrispondente alla scansione, figura 4.22, si 88 Figura 4.21: In (a) é riportata una serie di immagini prese sequenzialmente nel tempo con le quali é possibile ricostruire un vero e proprio filmato della scansione SNOM. In (b) si riporta in particolare due fotogrammi in cui si mostra la posizione della punta e dei pori. Le immagini di 20 × 20 µm sono state ottenute in configurazione di luminescenza: la punta resta ferma al centro della scansione mentre il campione si muove al di sotto di questa. 89 comprende che non si sono verificati problemi di feedback e che é quindi possibile sondare con il microscopio a campo vicino anche i pori infiltrati. Figura 4.22: Immagine topografica di 12 × 12 µm ottenuta con lo SNOM nella zona in cui é stata realizzata l’infiltrazione. La presenza della soluzione all’interno del poro non causa problemi al feedback e rende possibile la scansione anche in zone infiltrate. Una volta dimostrato di poter posizionare la punta dello SNOM al di sopra dei pori selezionati é stato realizzato l’apparato mostrato nel paragrafo 2.2.6, al fine di verificare se fosse possibile riprodurre le immagini dell’avvenuta infiltrazione utilizzando lo SNOM anziché il microscopio confocale. La possibilità di verificare con il microscopio a campo vicino la presenza della soluzione all’interno dei pori del cristallo fotonico permette di ottenere immagini con maggior risoluzione rispetto alle tecniche di far-field. Per ottenere quindi immagini di questo tipo, lo SNOM é stato montato in configurazione di illuminazione-raccolta. In tale configurazione la punta serve contemporaneamente ad eccitare il colorante organico presente all’interno dei pori del cristallo fotonico e a raccoglierne la fluorescenza. Nella realizzazione di queste misure ottiche il primo problema é stato quello di tagliare il segnale ottico del laser e selezionare solamente la fluorescenza del colorante organico. Per questo motivo, come si osserva nello schema in figura 2.16 del capitolo 2.2, oltre all’impiego di filtri ottici, spaziali e polarizzatori é stato utilizzato un monocromatore. La scelta dello Spectra Pro 330I a singolo reticolo é dovuta al fatto che in questa misura non si é interessati ad un’alta risoluzione spettrale, in questo caso infatti il monocroma90 tore é utilizzato soltanto per selezionare il segnale di luminescenza proveniente dal campione e tagliare il laser; il fatto che lo Sprecata Pro 330I sia a singolo reticolo permette di disperdere meno il segnale rispetto a un monocromatore a più reticoli. Una volta allineato il sistema presentato nella figura 2.16, sono stati effettuati degli spettri utilizzando la telecamera CCD per rivelare il segnale proveniente dalla fluorescenza ottimizzando la lente presente davanti al monocromatore. Sempre al fine di raccogliere il massimo del segnale, la fenditura di entrata del monocromatore é stata lasciata completamente aperta ed é stato deciso di effettuare la misura in prossimità del picco di emissione della Rodamina. Una volta determinati i parametri ottimali del monocromatore e la posizione della lente in entrata é stato utilizzato il fototubo posto in prossimità della fenditura di uscita per registrare il segnale di fluorescenza. Questo, collegato al contatore di fotoni, permette di ricostruire, tramite il programma di acquisizione dello SNOM, l’immagine ottica. Il risultato ottenuto da questo tipo di misure non é stato quello atteso. Infatti come si osserva in figura 4.23 il segnale ottico non proviene, come ci si aspettava, dalla zona corrispondente ai fori, ma dalla superficie. Questo perché anche il rivestimento polimerico esterno Figura 4.23: (a) Immagine 10 × 10 µm della zona 4 del campione ottenuta con lo SNOM in configurazione di illuminazione-raccolta (a). In (b) é riportata la corrispondente immagine topografica. Il segnale ottico non proviene dalla zona corrispondente ai fori ma dalla superficie. della fibra ottica stessa eccitata con il laser ad Argon fluoresce alla stessa lunghezza d’onda del colorante organico utilizzato. Per tentare di eliminare tale fluorescenza sono state ricoperte con vernice nera le due estremità della fibra che porta il segnale 91 di eccitazione alla punta, ma senza ottenere risultati migliori, in quanto la fibra non compiendo un percorso perfettamente rettilineo accoppia sempre una piccola parte del segnale all’interno del proprio jacket. Proprio a causa di tale segale di fluorescenza, riflesso dalla struttura del cristallo fotonico e di intensità superiore a quello della luminescenza proveniente dai pori del campione infiltrato, non é stato possibile ottenere i risultati cercati. Una possibile soluzione a questo problema é la scelta di un colorante organico differente il cui picco di emissione si sposta su lunghezze d’onda superiori. Inoltre anche l’effetto di photo-bleaching del colorante organico in soluzione contribuisce negativamente in questo tipo di misure in quanto se i tempi della scansione sono troppo lenti il colorante organico cessa gradualmente di emettere come si vede in figura 4.24, mentre il segnale del jacket resta della stessa intensità. Figura 4.24: Immagine di 25 × 25 µm ottenuta col microscopio confocale in configurazione di luminescenza della stessa zona del campione mostrata in figura 4.23 dopo la misura SNOM. La zona sottoposta alla scansione ha subito il fenomeno di photo-bleaching: infatti il segnale della luminescenza risulta completamente sparito in questa zona. 92 Capitolo 5 Calcoli teorici In questo capitolo si presentano i risultati dei calcoli teorici che permettono di risolvere la struttura a bande di cristalli fotonici con strutture analoghe ai campioni utilizzati, sia per comprendere quale struttura si presti maggiormente a realizzare un circuito ottico riscrivibile, sia per dimostrare che l’infiltrazione controllata di una soluzione di acqua e colorante organico all’interno di tale struttura introduca un modo confinato all’interno del PBG. 5.1 Risoluzione numerica delle equazioni di Maxwell in un mezzo periodico Nel capitolo 1 sono state già discusse le equazioni che permettono di risolvere il problema di un arrangiamento periodico di mezzi con costante dielettrica differente. Adesso si presenta un metodo di calcolo che permette di risolvere tali equazioni e di ricavare informazioni sulla struttura a bande e sulla distribuzione del campo elettromagnetico di un cristallo fotonico. Le equazioni che descrivono il comportamento di un’onda elettromagnetica in un cristallo fotonico sono equazioni esatte, ma la forma del campo elettromagnetico non può essere trovata in maniera esplicita; risulta quindi necessario risolvere tali 93 equazioni utilizzando un metodo variazionale. É noto che in assenza di fenomeni non lineari il campo può essere scomposto in una serie infinita di modi ciascuno caratterizzato da una frequenza definita. In tal caso, risulta utile espandere il campo in un set finito di onde piane, selezionando soltanto quelle corrispondenti a frequenze minori rispetto ad un valore massimo fissato arbitrariamente. Quindi, partendo da una forma generica del campo, lo si scompone nella base scelta e, restringendo il problema alla cella che definisce la periodicità, si ottiene la soluzione tramite un metodo iterativo. Consideriamo adesso con maggior dettaglio il metodo utilizzato. Ritornando a quanto detto nel paragrafo 1.1.3, partendo dall’equazione 1.13 é possibile riscrivere, utilizzando la notazione di Dirac, la master equation come: A~k |H~k i = ³ ω ´2 c |H~k i (5.1) dove Ak rappresenta l’operatore Hermitiano definito da: ~ + i~k)× ~ + i~k) × 1 (∇ A~k = (∇ ² (5.2) e Hk é il campo magnetico all’intero della cella unitaria che, studiando il problema nel dominio delle frequenze, può essere riscritto attraverso una combinazione lineare di un opportuno troncamento di una base completa {(bm )} come: |H~k i ∼ = N X m=1 hm |bm i (5.3) dove gli hm rappresentano i coefficienti di espansione. Nel caso in cui N → ∞ nella equazione 5.3 é verificata l’uguaglianza. Utilizzando l’espressione precedente la 5.1 diventa: Ah = ³ ω ´2 c 94 Bh (5.4) dove h é il vettore colonna dei coefficienti della base e A e B sono matrici N × N con elementi: Al,m = hbl |A~k |bm i Bl,m = hbl |bm i. É importante notare che l’equazione 5.4 da sola non descrive completamente il problema in quanto i modi devono soddisfare l’equazione di trasversalità data da: ~ · |Hi = 0. ∇ (5.5) In linea di principio é possibile impiegare algoritmi matriciali standard che permettono di risolvere la 5.4 interamente, ma l’impiego di questi metodi risulta inadeguato dal punto di vista pratico quando si ha a che fare con problemi in cui la cella in cui é definita la periodicità risulta molto grande. Inoltre, in generale, non si é interessati al calcolo di tutte le bande ωn (~k) ma soltanto di un certo numero p ¿ N e per tale tipo di problema un metodo iterativo permette di ottenere ottimi risultati. Come base {(bm )} risulta conveniente scegliere quella delle onde piane, in quanto, essendo sufficientemente compatta, permette di ottenere una buona accuratezza utilizzandone un numero N non troppo grande. Inoltre, sebbene esistano altri metodi di calcolo che permettono di risolvere l’equazione 5.1, utilizzando questa base l’equazione 5.5 risulta sempre verificata. Per risolvere quindi la 5.4 é stato utilizzato il programma per il calcolo del PBG, elaborato da Johnson et. al [57, 58], che permette di calcolare nel modo accennato poco sopra le equazioni che regolano il comportamento della luce in un arrangiamento periodico di dielettrici differenti. In questo caso la base utilizzata ha ~ m · ~x) dove G ~ m rappresenta un vettore del reticolo reciproco, mentre forma: exp (iG il troncamento della base consiste nello scegliere un numero di onde fino a un valore ~ m scelto a priori. Strettamente parlando un tale tipo di troncamento massimo di G 95 ~ m , ma in realtà lo corrisponde a limitare lo spazio a una sfera di raggio pari a G si riconduce ad un parallelepipedo. In questo modo il passaggio tra onde piane e rappresentazione spaziale prende la vantaggiosa forma della Trasformata di Fourier Discreta nel cui caso esistono algoritmi capaci di risolvere il problema velocemente. Una volta scelta la base e sviluppato in questo modo il problema, la soluzione dell’equazione 5.4 si ottiene migliorando in maniera iterativa una funzione di prova finché non si ottiene la convergenza. Il metodo iterativo utilizzato é detto algoritmo di Block. Questo metodo consiste nel calcolare contemporaneamente tutti gli autovalori del sistema. Mentre gli approcci classici utilizzano metodi più strettamente variazionali, ovvero risolvendo prima l’autostato corrispondente a energia minore e trovando successivamente gli altri reiterando il processo e imponendo la condizione di ortogonalità con l’autostato precedente, il metodo utilizzato dal programma risolve tutti gli autovalori contemporaneamente comportando una maggiore velocità di calcolo e la possibilità di utilizzarlo su un qualsiasi calcolatore aggiornato agli standard moderni. 5.2 Simulazione delle strutture di interesse Per prima cosa per verificare se i risultati forniti dal metodo di calcolo impiegato fossero realmente significativi, sono state effettuate simulazioni per riprodurre varie strutture di cristalli fotonici in due dimensioni già presentati in letteratura, [59]-[61]. In [59] sono riportate le bande di un cristallo fotonico composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale ad indice di rifrazione maggiore. Per questo tipo di struttura, come accennato anche nel paragrafo 1.2.1, si ha un band gap fotonico completo, ovvero é presente un intervallo di frequenze proibite sia per i modi TE che per i modi TM. Risolvendo tale struttura, come si osserva in figura 5.1(a), si sono ottenuti gli stessi risultati presentati in letteratura e mostrati in figura 1.9 del primo capitolo. Al fine di individuare la struttura che presentasse il band gap 96 completo più ampio in frequenza per la stessa geometria sono state eseguite altre simulazioni, come presentato anche in [8], per vari valori del rapporto r/a dove r rappresenta il raggio dei pori mentre a rappresenta la costante reticolare. In figura 5.1(b) sono riportati i valori del gap per i modi TE e TM al variare del rapporto r/a: si noti che la struttura che presenta il gap maggiore corrisponde a r/a = 0.48. É Figura 5.1: Calcolo teorico della struttura a bande di un cristallo fotonico bidimensionale composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12. In (a) sono riportate le bande della struttura con r/a = 0.48, mentre in (b) é riportato il valore del gap per i modi TE e TM al variare del rapporto r/a. inoltre possibile calcolare la distribuzione del campo elettromagnetico e dell’energia all’interno del cristallo per qualunque modo e per ogni valore del vettore d’onda. In figura 5.2 si riporta il diagramma a bande per i modi TE della stessa geometria simulata in figura 5.1 in (a), mentre in (b) e in (c) si riportano rispettivamente il valore dell’intensità del campo elettrico al punto M per un modo della banda d’aria e al punto K per un modo della banda dielettrica. Coerentemente con quanto detto nel paragrafo 1.2.1, il campo risulta maggiormente concentrato nei pori per quanto riguarda i modi della banda d’aria, mentre per i modi della banda dielettrica il campo risulta localizzato nel mezzo a più alto indice di rifrazione. Una volta capaci di riprodurre i risultati presenti in letteratura per strutture perfettamente periodiche, sono stati eseguiti dei calcoli per osservare cosa comportasse la presenza di difetti. In particolare, per verificare se la presenza di un difetto, 97 Figura 5.2: Calcolo teorico della struttura a bande per i modi TE di un cristallo fotonico bidimensionale composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12 (a); in (b) e in (c) si riportano rispettivamente il valore dell’intensità del campo elettrico al punto M per un modo della banda d’aria e al punto K per un modo della banda dielettrica. costituito da una riga di pori del cristallo infiltrati con acqua, potesse dar luogo all’introduzione di un modo all’interno del band gap. In modo analogo a quanto fatto per strutture semplici, prima sono state risolte strutture analoghe a quelle presentate in letteratura. Riportiamo ad esempio in figura 5.3 il calcolo teorico del diagramma a bande per i modi TE della struttura presentata in [61], dove il difetto lineare é rappresentato da una riga di pori con diametro maggiore. Una volta dimostrato di essere in grado di riprodurre correttamente i risultati 98 Figura 5.3: Calcolo teorico della struttura a bande per i modi TE di un cristallo fotonico bidimensionale composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12 in cui é stato introdotto un difetto che consiste in una fila di pori di dimensioni maggiori. presentati in letteratura, sia per strutture semplici che per strutture con difetti, sono state simulate le strutture di interesse. Precedentemente é già stato osservato che la struttura di cristallo fotonico in due dimensioni che permette di disporre di un band gap completo consiste in un arrangiamento periodico a simmetria triangolare di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica maggiore. Inoltre per tale struttura (figura 5.1(b)) si osserva che tanto più il rapporto r/a si avvicina a 0.48 tanto più ampio in frequenza risulta il band gap. Per questioni pratiche di crescita, campioni che presentano r/a prossimo a 0.5 sono difficili da realizzare. Il valore massimo del rapporto r/a che si riesce ad ottenere sperimentalmente é pari a r/a ' 0.45. In figura 5.4 é riportato il diagramma a bande per tale struttura. A questo punto, per verificare se la presenza di un difetto costituito da una riga di pori infiltrati dia effettivamente origine a un modo all’interno del band gap é stato calcolato il diagramma a bande e la distribuzione del campo elettromagnetico per varie tipologie di guida. Come si osserva in figura 5.5, il difetto dà luogo alla forma99 Figura 5.4: Calcolo teorico della struttura a bande di un cristallo fotonico bidimensionale composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12 e con r/a = 0.45. Si osserva che il valore del band gap completo va da circa 0.38 a 0.42, mentre il band gap per i modi TE risulta molto più ampio. zione di un modo permesso all’interno del band gap per i modi TE. Anche in questo caso é possibile calcolare la distribuzione del campo elettromagnetico e dell’energia all’interno del cristallo per qualunque modo e per ogni valore del vettore d’onda. In ~ e dell’intensità del campo elettrico figura 5.6 si riporta l’andamento del campo H per il modo TE introdotto dal difetto indicando che questo risulta completamente localizzato nella guida d’onda ottenuta per infiltrazione controllata. Con questi calcoli si dimostra quindi che luce opportunamente polarizzata si propaga soltanto all’interno della guida e che risulta possibile creare una guida d’onda riscrivibile infiltrando in maniera controllata il cristallo fotonico. Anche per configurazioni differenti del difetto é possible introdurre all’interno del band gap fotonico uno o più modi. Consideriamo ad esempio una guida a forma di 00 S 00 simile a quella realizzata sperimentalmente e mostrata nella figura 4.17 del capitolo precedente. La figura 5.7 mostra le bande di cristallo fotonico composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante 100 Figura 5.5: Calcolo teorico della struttura a bande per i modi TE di un cristallo fotonico bidimensionale infiltrato con dell’acqua. Il cristallo fotonico é composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12. Per la costante dielettrica dell’acqua si considera il valore ² = 1.7689. Figura 5.6: In (a) é riportata una rappresentazione schematica del cristallo fotonico infiltrato; rispettivamente in (b) e in (c) sono riportate il calcolo teorico dell’anda~ e dell’intensità del campo elettrico per il modo TE introdotto mento del campo H dal difetto calcolati al punto K. dielettrica pari a ² = 12 e infiltrato localmente con acqua. In questo caso i modi introdotti dal difetto formano una mini-banda di frequenze permesse all’interno del band gap per i modi TE. Infatti come spiegato anche in [60] il fatto di perturbare la struttura su più righe anche se nella stessa direzione comporta la comparsa di un 101 numero maggiore di modi localizzati. Se di nuovo si riporta l’andamento del campo Figura 5.7: Calcolo teorico della struttura a bande per i modi TE di un cristallo fotonico bidimensionale infiltrato con dell’acqua. Il cristallo fotonico é composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12. Per la costante dielettrica dell’acqua si considera il valore ² = 1.7689. La presenza del difetto porta all’introduzione di una mini-banda di modi permessi all’interno del band gap. ~ e l’intensità del campo elettrico per uno dei modi introdotti si può osservare che H questo risulta ancora localizzato: quindi si possono realizzare guide che trasportano luce in percorsi non rettilinei. In modo del tutto analogo, anche con una guida a 00 zig − zag 00 vengono introdotti dei modi permessi all’interno del gap, e il campo elettromagnetico per tali modi continua a rimanere localizzato. In figura 5.9 si riportano le bande e l’intensità del campo elettrico per tale tipo di struttura che mostrano la possibilità di scrivere guide con angoli molto stretti senza che il segnale subisca perdite rilevanti. 102 Figura 5.8: In (a) é riportata una rappresentazione schematica del cristallo fotonico infiltrato; in (b) e in (c) sono riportati rispettivamente l’andamento teorico del ~ e dell’intensità del campo elettrico per uno dei modi TE introdotti dal campo H difetto, calcolato al punto K. 103 Figura 5.9: In (a) é riportata la struttura a bande per i modi TE di un cristallo fotonico in cui é presente una guida a forma di 00 zig − zag 00 . In (b) e in (c) sono riportati ~ e dell’intensità del rispettivamente il calcolo teorico dell’andamento del campo H campo elettrico per uno dei modi TE introdotti dal difetto, calcolato al punto K. 104 Oltre alla possibilità di simulare guide d’onda di vario tipo, é stato calcolato l’andamento del campo elettromagnetico in presenza di un difetto di punto. Anche in questo caso, si veda figura 5.10, caso sono stati preliminarmente svolti calcoli su simulazioni di difetti di punto già presentate in letteratura [62]. Successivamente Figura 5.10: Calcolo teorico della presenza di un difetto di punto in un cristallo fotonico composto da un arrangiamento periodico di colonne di dielettrico in aria, in figura la posizione delle colonne di dielettrico e la loro forma é indicata dalle posizioni delle circonferenze. In (a) e in (b) sono riportati rispettivamente l’andamento teorico del campo elettrico e la sua intensità (per i modi TM) attorno al difetto per il modo localizzato. si é passati allo studio della struttura di interesse, costituita da un poro infiltrato all’interno di un arrangiamento a geometria triangolare di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a 12 e r/a = 0.45. Anche in questo caso si ottiene uno stato localizzato attorno al difetto e in figura 5.11 sono riportati il campo magnetico e l’intensità del campo elettrico per due modi localizzati. In questo caso il difetto introduce due modi degeneri in energia, ma con differente distribuzione del campo elettromagnetico. I calcoli teorici fino ad adesso presentati mostrano che la presenza anche di un singolo poro infiltrato é tale da indurre all’interno della struttura un modo localizzato. Questo difetto di punto, come anticipato, può essere utilizzato come una 105 Figura 5.11: Calcolo teorico della presenza di un difetto di punto in un cristallo fotonico composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12. Per la costante dielettrica dell’acqua si considera il valore ² = 1.7689. In (a) e (c) é riportato rispettivamente l’andamento teorico del campo magnetico e dell’intensità del campo elettrico attorno al difetto per il modo localizzato. In (b) e (d) analogamente sono riportati rispettivamente gli andamenti teorici del campo magnetico e dell’intensità del campo elettrico per i modi TE attorno al difetto per l’altro modo localizzato con la stessa energia del primo. micro-cavità e, introducendone all’interno del materiale attivo come del colorante organico o dei Quantum Dots con frequenza di emissione pari a quella dello stato localizzato, é possibile ottenere dispositivi emettitori di luce o laser. Di conseguenza può risultare interessante analizzare un’altra possibile tipologia di cavità. La figura 5.12(a) mostra una cavità costituita da un anello di pori infiltrati. Anche in questo caso l’introduzione del difetto comporta la formazione di alcuni stati all’interno 106 Figura 5.12: (a) Calcolo teorico della presenza di un difetto a forma di anello in un cristallo fotonico composto da un arrangiamento periodico di colonne d’aria immerse in un materiale con costante dielettrica pari a ² = 12. Per la costante dielettrica dell’acqua si considera il valore ² = 1.7689. In (b) e (c) é riportato rispettivamente l’andamento teorico del campo magnetico e dell’intensità del campo elettrico attorno al difetto per uno dei modi localizzati. In (b) e (d) analogamente sono riportati rispettivamente gli andamenti teorici del campo magnetico e dell’intensità del campo elettrico per i modi TE attorno al difetto per l’altro modo localizzato ad energia maggiore del primo. 107 del band gap per cui il campo risulta localizzato, In questo caso oltre che ottenere modi con differente distribuzione del campo elettromagnetico si ottengono modi corrispondenti a energie differenti sempre all’interno del band gap. Una cavità di questo tipo rispetto a quella di punto permette di lavorare su modi differenti e di disporre una maggiore quantità di mezzo attivo. 108 5.3 Considerazioni finali Con i calcoli teorici riportati in quest’ultimo capitolo é stato dimostrato che la presenza di un difetto realizzato mediante l’infiltrazione controllata di liquido dá luogo alla formazione di uno o più stati localizzati. In questo modo oltre alla possibilità di realizzare guide d’onda rettilinee é possibile realizzare guide con angoli di curvatura molto stretti. Inoltre é stato notato che, anche per variazioni di qualche unità dell’indice di rifrazione del materiale infiltrato, risulta possibile ottenere degli stati localizzati all’interno del band gap. Di conseguenza infiltrando materiali, come cristalli liquidi, le cui proprietà dipendono dalla temperatura o dalla presenza di campi elettrici é possibile ottenere guide d’onda accordabili in frequenza oppure degli interruttori ottici. Infine la possibilità di creare cavità di varie geometrie e indice di rifrazione permette la realizzazione di dispositivi emettitori di luce o laser infiltrando del materiale attivo all’interno del cristallo fotonico. 109 110 Conclusioni Durante questo lavoro di tesi é stato messo a punto un apparato che permette di infiltrare in maniera controllata cristalli fotonici in due dimensioni allo scopo di scrivere strutture fotoniche come guide d’onda o cavità, dimostrando che é possibile infiltrare selettivamente a livello di singolo poro. L’apparato realizzato offre la capacità di osservare con estrema facilità l’eventuale presenza della soluzione all’interno dei pori del cristallo fotonico disponendo di un sistema di tre differenti microscopi facilmente intercambiabili tra loro. Inoltre sono stati eseguiti dei calcoli teorici con cui si dimostra che, infiltrando in maniera selettiva un cristallo fotonico in due dimensioni é possibile creare guide d’onda all’interno del cristallo per una o più frequenze all’interno del suo band gap. Con questo lavoro di tesi si dimostra quindi la capacità di manipolare le proprietà intrinseche del cristallo fotonico non in fase di fabbricazione, ma a posteriori. Inoltre dimostrando che la presenza di liquido nella struttura fotonica introduce un modo permesso all’interno del band-gap, si apre una nuova prospettiva: la possibilità di creare dei dispositivi fotonici riscrivibili. Dai risultati teorici emerge che l’indice di rifrazione non risulta un parametro cruciale per ottenere un modo localizzato all’interno del band gap, infatti anche variando l’indice di rifrazione del materiale infiltrato di qualche unità risulta possibile ottenere modi localizzati, in questo modo si apre quindi la possibilità di infiltrare, oltre che mezzi attivi per la realizzazione di cavità, dei cristalli liquidi per ottenere guide d’onda accordabili in frequenza o interruttori ottici. 111 112 Bibliografia [1] E. Yablonovitch, Phys. Rev. Lett., 58, 2058 (1987). [2] S. Jhon, Phys. Rev. Lett., 58, 2486 (1987). [3] D. S. Wiersma, P. Bartolini, A. Lagendijk, R. Righini, Nature, 390, 673 (1997). [4] R. Sapienza, P. Costantino, D. S. Wiersma, M. Ghulinyan, C. J. Oton, L. Pavesi, Phys. Rev. Lett., 91, 263902 (2003). [5] M. Ghulinyan, C.J. Oton, Z. Gaburro, L. Pavesi, C. Toninelli, and D.S. Wiersma, Phys. Review Lett. 69, 43817 (2004). [6] E. Yablonovitch, T. J. Gmitter, Phys. Rev. Lett., 67, 3380 (1991). [7] S. L. McCall, P. M. Platzman, R. Dalichaouch, David Smith, S. Schultz Phys. Rev. Lett., 67, 2017 (1991). [8] J. Shilling, R. B. Wehrspohn, A. Birner, F. Müller, R. Hillebrand, U. Gösele, S. W. Leonard, J. P. Mondia, F. Genereux, H. M. van Driel, P. Kramper, V. Sandoghdar, K. Busch, J. Opt. A, 3, S121 (2001). [9] A. Mekis, J. C. Chen, I. Kurland, S. Fan, P. R. Villeneuve, J. D. Joannopoulos, Phys. Rev. Lett. 77, 3787 (1996). [10] S. Fan, I. Appelbaum, J. D. Joannopoulos, Appl. Phys. Lett., 75, 3461 (1999). [11] K. Busch, S. John, Phys. Rev. E.,58, 3896 (1998). 113 [12] J. D. Joannopoulos, P. R. Villeneuve, S. Fan, Nature, 386, 143 (1997). [13] J. D. Joannopoulos, R.D. Meade, J. N. Winn, Photonic Crystals: Molding the Flow of Light Princeton University Press (1995). [14] S. G. Johnson, J. D. Joannopoulos, Photonic Crystals: the road from teory to pratice The Massachusetts Institute of Technology (2002). [15] N. W. Ashcroft, N. D. Mermin, Solid State Physics, Holt Saunders, Philadelphia (1976). [16] R. D. Meade, A. M. Rappe, K. D. Brommer, J. D. Joannopoulos, J. Opt. Soc. Am. B, 10, 328 (1993). [17] R. D. Meade, K. D. Brommer, A. M. Rappe, J. D. Joannopoulos, Appl. Phys. Lett., 61, 27 (1992). [18] R. D. Meade, K. D. Brommer, A. M. Rappe, J. D. Joannopoulos, Phys. Rev. B, 44, 13772 (1991). [19] S. Fan, P.R. Villeneuve, J.D. Joannopoulos, H.A. Haus, Phys. Rev. Lett., 80, 960 (1998). [20] J. Moosburger, M. Kamp, A. Forchel, U. Oesterle, R. Houdré Journal of Appl. Phys., 80, 960 (1998). [21] O. Painter, R. K. Lee, A. Scherer, A. Yariv, J. D. O’Brien, P. D. Dapkus, I. Kim, Science, 284, 1819 (1999). [22] K. Busch, S. John, Phys. Rev. Lett.,83, 967 (1999). [23] S. W. Leonard, J. P. Mondia, H.M van Driel, O. Toader, S. John, K. Busch, A. Birner, U. Gösele, V. Lehmann, Phys. Review B, 61, R2389 (2000). [24] D. Kang, J. E. Maclennan, N. A. Clark, A. A. Zakhidov, R. H. Baughman, Phys. Review Lett.,86, 4052 (2001). 114 [25] D. Morineau, Y. Xia, C Alba-Simionesco, Journal of Chemical Phys.,117, 8966 (2002). [26] F. Du, Y. Lu, S. Wu, Appl. Phys. Lett.,85, 2181 (2004). [27] E. Amaldi, R. Bizzarri, G. Pizzella, Fisica Generale Elettromagnetismo e Relativitá ottica, Zanichelli Editore, Bologna (1986). [28] E. Hecht Optics, Second Edition, Addison-Wesley Publishing Company (1987). [29] M. Minsky Microscopy apparatus, USA patent 3013467 (1961). [30] M. Minsky Scanning, 10, 128 (1988). [31] C.J.R. Sheppard, D.M. Shotton Confocal Laser Scanning Microscopy, Bios Scientific Publishers (1997). [32] G. Binning, C. F. Quate, Ch. Gerber, Phys. Review Lett.,56, 930 (1986). [33] G. Binning, H. Rohrer, Ch. Gerber, E. Weibel Phys. Review Lett.,49, 57 (1982). [34] L. Reimer Transmission Electron Microscopy: Physics of Image Formation and Microanalysis, quarta edizione Springer (1997). [35] E. H. Synge, Lond. Dubl. Edien. Phil., 6, 356 (1928). [36] H. A. Bethe, Phys. Rewiew, 66, 163 (1944). [37] E. A. Ash, G. Nicholla Nature, 273, 510 (1972). [38] H. A. Bethe, J. K. Trautman, T. D. Harris, J. S. Weiner, R. L. Kostelak, Science, 251, 1468 (1991). [39] J. D. Jackson, Elettrodinamica calassica, II ediz. italiana condotta sulla III ediz. americana, Zanichelli (2001). 115 [40] E. Betzig, J. K. Trautman, T. D. Harris, J. S. Weiner, Appl. Phys. Lett., 60, 2484 (1992). [41] R. Toledo-Crow, P. C. Yang, Y. Chen, M. Vaez-Iravani, Appl. Phys. Lett., 60, 2975 (1992). [42] R. D. Grober, T. D. Harris, J. K. Trautman, E. Betzig, Rev. Sci. Instrum., 65, 626 (1994). [43] K. Karray, R. D. Grober, Appl. Phys. Lett., 66, 1842 (1995). [44] J. Barentz, A. Bietsch, O. Hollricher, O. Marti Rev. Sci. Instrum., 68, 1769 (1997). [45] E. Betzig, J. K. Trautman, T. D. Harris, J. S. Weiner, R. L. Kostelak Science, 251, 1468 (1991). [46] G. A. Valaskovic, M. Holton, G. H. Morrison, Appl. Opt., 34, 1215 (1995). [47] P. Hoffmann, B. Dutoit, R.P. Salathé, Ultramicroscopy, 61, 165 (1995). [48] P. Lambelet, A. Sayah, M. Pfeffer, C. Psilipona, Marquis-Weible, Appl. Opt., 37, 7289 (1998). [49] R. Stöckle, C. Fokas, V. Deckert, R. Zenobi, B. Hecht, U. P. Wild, Appl. Phys. Lett., 75, 160 (1999). [50] P. Bettotti, L. Dal Negro, Z. Gaburro, L. Pavesi, Journal of Appl. Phys., 92, 6966 (2002). [51] A. Birner, R. B. Wehrspohn, U. Gösele, K. Busch, Adv. Mater., 13, 377, (2001). [52] E. Fülck, M. Hammer, W. L. Vos, N. F. van Hulst, L. Kuipers Photonics and Nanostructures, 2, 127 (2004). 116 [53] P. Kramper, M. Agio, C. M. Soukoulis, A. Birner, F. Müller, R. B. Wehrspohn, U. Gösele, V. Sandoghdar, Phys. Review Lett., 92, 113903 (2004). [54] H. Gersen, T. J. Karle, R. J. P. Engelen, W. Bogaerts, J. P. Korterik, N. F. van Hulst, T. F. Krauss, L. Kuipers Phys. Review Lett., 94, 73903 (2005). [55] P. Kramper, A. Birner, M. Agio, C. M. Soukoulis, F. Müller, U. Gösele, J. Mlynek, V. Sandoghdar, Phys. Rewiew B, 64, 233102 (2001). [56] E. Fülck, N. F. van Hulst, W. L. Vos, L. Kuipers Phys. Rewiew E, 68, 15601 (2003). [57] S. G. Johnson, J. D. Joannopoulos, The MIT Photonic-Band Package home page, http://ab-initio.mit.edu/mpb/ [58] S. G. Johnson, J. D. Joannopoulos, Optics Express, 8, 173 (2001). [59] P. R. Villeneuve, M. Piché, Phys. Rewiew B, 46, 4969 (1992). [60] A. Mekis, S. Fan, J. D. Joannopoulos, Phys. Rewiew B, 58, 4809 (1998). [61] M. L. Povinelli, S. G. Johnson, S. Fan, J. D. Joannopoulos, Phys. Rewiew B, 64, 75313 (2001). [62] P. Villeneuve, S. Fan, J. D. Joannopoulus, Phys. Rewiew B, 54, 7837 (1996). 117 118 Ringraziamenti Il primo ringraziamento va a Francesca, che mi ha sopportato nei mie momenti di pessimismo in laboratorio. Le sue correzioni a questa tesi sono state sempre accompagnate da parole di incoraggiamento. Inoltre il lavorone fatto sull’ultima stesura le fa conquistare un numero indefinito di pause thè complete di millefoglie...nonchè una riga in più nei ringraziamenti. Naturalmente ringrazio tutti i membri del gruppo di sistemi complessi Stefano, Riccardo, Costanza, Iacopo e soprattutto Mirtillino-matte! In particolare ringrazio Diederik che mi ha dato la possibilità di lavorare in un ambiente cosı̀ piacevole incoraggiandomi sempre. Ringrazio i miei genitori per aver fatto mia sorella Giulia che si é dovuta subire tutti i miei sbalzi di umore pre-esame e che mi ha risentito tutti gli esami da FisicaI in poi! A tutti i miei compagni di studi che mi hanno prestato gli appunti e con cui abbiamo passato momenti di tristezza e di gioia soprattutto Chiara. Ringrazio Fede che ha sopportato pazientemente i miei momenti lunatici. Passiamo a coloro che con la fisica non c’entrano nulla o quasi ma che mi sono stati sempre vicini dal punto di vista morale. Il primo che ringrazio é Daniele Guarducci che mi ha incoraggiato ad iscrivermi a fisica e che dopo il primo esame mi ha regalato una bottiglia di spumante. Il subus-Ars, Annamaria e Rachele che mi sono sempre state vicino dai tempi del liceo ad oggi, Francesco il mio migliore amico e Lorenzo. Non posso non citare Rosalino che mi é stato vicino negli anni peggiori di questo corso di laurea. Ringrazio la mia amica Silvia che pur avendo, me inclusa, 3 figli da guardare più un cane ha sempre 119 avuto tempo per me. Ringrazio inoltre Elisa Pacini dalla Stirpe Miglianina delle Case di Sotto e Pifi che hanno letto la tesi infondendomi un po’ di tranquillità in questi giorni tremendi. E infine anche se questa lista sembrerà infinita sono sicura che mi dimenticherò di qualcuno ringrazio: Marta, Serena, Luca Taiti, Dario Calamai, Daniele, e tutti gli altri amici Vaianesi e dell’Ostanzone che dai monti mi sono rimasti fedeli anche se durante questi anni ho alternato la mia presenza a momenti di clausura. Infine ringrazio il marchio Mashed Potatoes che mi ha permesso di ascoltare sempre buona musica. 120