Davide Pigliacelli

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Davide Pigliacelli
CAPITOLO I
Una memoria da dimenticare
L’aria era densa e surriscaldata per gli scontri della battaglia e la terra tremava
incessantemente sotto i colpi delle esplosioni. Una dopo l’altra le squadre d’attacco si
riversavano sul campo, mentre violenti colpi laser lo percorrevano come saette.
Le truppe confederate erano ormai in ritirata. Mentre una nuova squadriglia di caccia si
fiondava sulla nave comando, lanciando una raffica di siluri, la fregata del colonnello Taar
cominciò a perdere inesorabilmente quota. Le cannoniere dell’incrociatore imperiale ne
fecero esplodere la prua ancora prima che la nave si schiantasse al suolo. L’ultima capsula
di salvataggio fece appena in tempo a schizzare via, che la fregata già in fiamme si abbatté
su alcuni dei convogli in fuga.
A parte poche decine di caccia, la nave madre si ritrovò così separata dalla flotta della
Confederazione.
«Ci hanno circondati!» esclamò l’ammiraglio scrutando attraverso la vetrata del ponte di
comando.
«La loro strategia è assurda!» disse un ufficiale sfilandosi l’elmetto rovente. «Non
colpiscono per distruggere. Ci stanno isolando».
«Non ha alcun senso» convenne il superiore.
In quel momento una seconda ondata di caccia imperiali si abbatté su di loro. Seguì una
lunga serie di esplosioni. La sala tremò violentemente e subito risuonò l’allarme.
«Abbiamo perso lo scudo deflettore, Signore!», annunciò allarmato uno dei soldati ai
computer.
«Il prossimo bersaglio saranno i motori», concluse l’ammiraglio a denti stretti. «Voglio
subito una squadriglia a protezione della nave», comandò a un secondo attendente.
Ora l’ombra dell’immenso incrociatore nemico li sovrastava.
«Una manovra di abbordaggio» osservò il tenente Maser.
«Fuoco a volontà!», ordinò l’ammiraglio. «Non c’è più scampo!».
«Batterie! Fuoco!» ripeté un soldato gridando nel microfono.
Seguì una possente raffica di raggi laser. Alcuni caccia imperiali saltarono in aria, mentre
altri perdevano il controllo finendo contro i compagni.
La squadriglia di soccorso arrivò, ma il nemico non pareva affatto interessato ai motori
della nave comando.
L’ammiraglio sganciò sul nemico tutti i missili protonici che restavano. L’incrociatore
imperiale fu percorso da molte scie luminescenti, segno che lo scudo di difesa risentiva dei
colpi ricevuti. Ciò, tuttavia, non bastò a fermarlo.
La battaglia di terra in quel quadrante degli scontri era già perduta. Ciò che rimaneva
della legione confederata si arrese.
«Nave madre nemica in avvicinamento» disse un soldato guardando il radar.
Non ce n’era bisogno. I compagni se ne stavano a fissare attoniti la sagoma
dell’incrociatore che li sovrastava. Era tre volte più grande del loro.
Dall’enorme torpediniera uscirono alcuni veicoli minori. Quando furono vicini alla loro
nave, i caccia di scorta presero a spararle contro. Dovevano impedire che attraccassero.
«Lanciare le truppe!», ordinò l’ammiraglio. «Abbandonare la nave!».
«Non possiamo!» rispose un attendente. «Siamo bloccati da un campo magnetico!».
«Le capsule d’emergenza sarebbero come delle bombe» mormorò il tenente.
A quelle parole la sala comando fu scossa, mentre il caccia precipitato si consumava
nella deflagrazione.
«Dov’è il generale Parker?» domandò l’ammiraglio portandosi una mano alle tempie.
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«A bordo, credo» rispose Maser caricando la pistola. Non sarebbero rimasti soli per
molto.
Gli altri lo imitarono.
Bloccarono ogni accesso nel vano tentativo di ritardare l’assalto.
Gli uomini si dispersero lungo i corridoi dell’incrociatore. Il ponte di comando era ormai
inutile.
Ben presto si udirono pesanti colpi di metallo. I soldati alzarono istintivamente lo
sguardo. Il nemico doveva essersi agganciato.
In quel momento furono presi da un improvviso senso di terrore. Alcuni fra i superiori
provarono vergogna. Nessuna guerra li aveva mai spaventati a tal punto, nemmeno in
momenti simili. Qualcosa di strano si era fatto strada in loro.
Oltre il portellone d’ingresso risuonarono numerosi passi e voci determinate. Dopo altri
colpi sul freddo metallo, seguì un ronzio sommesso e le paratie esplosero con un fracasso
assordante.
Gli occupanti della nave non fecero in tempo a prendere la mira, che dalla nebbia
artificiosa partì una pioggia di raggi energetici.
Fra soldati che stramazzavano a terra e truppe d’assalto che si univano agli altri invasori,
l’aria fu presto rovente per i fuochi dello scontro.
In appena un minuto i confederati indietreggiarono, mentre i colpi laser si facevano
strada per sale e corridoi. Era come lottare con un idra inferocita. A ogni soldato imperiale
abbattuto se ne aggiungevano altri due armati fino ai denti.
«Da questa parte!» gridò il generale Parker a uno dei suoi.
«Hanno colpito l’ammiraglio» lo informò il ragazzo chiudendosi in fretta la porta alle
spalle. «Ci stanno inseguendo» aggiunse con il fiato corto.
Il giovane generale lasciò sulla porta due mine a presa magnetica. Sarebbero esplose
contro gli stipiti non appena lo sportello metallico si fosse ritratto nella parete per lasciare
aperto il passaggio.
«Dov’è mio figlio?» chiese il generale mentre salivano di livello.
«Come, suo figlio?» ripeté l’altro sorpreso.
«Mia moglie è atterrata con un trasporto prima dell’assalto» proseguì l’ufficiale senza
chiarire nulla. Dal piano che avevano lasciato riecheggiò un’esplosione accompagnata dai
lamenti di feriti.
Il soldato si fermò un istante, cercando di penetrare con l’udito le pareti in acciaio:
«Stanno salendo».
«Separiamoci» suggerì il generale Parker.
«Papà!» chiamò improvvisamente una voce molto giovane.
Senza aspettare una risposta il generale prese il corridoio minore alla loro destra.
Il soldato lo osservò sparire giù per il passaggio privo di luci. Notò che alle parole del
giovane le truppe d’assalto parevano aver arrestato l’inseguimento. La paura dei persecutori
lasciò presto il posto ad un inaspettato senso di angoscia. Il soldato riprese la fuga verso la
sala motori, nella speranza di trovare ancora un guscio di salvataggio.
Dietro lunghi corridoi e numerose paratie tornarono ad udirsi i colpi laser. Le lontane
grida soffocate indicavano che le due fazioni dovevano essersi incontrate ancora una volta.
La nave fu percorsa da uno strano fremito, diverso da quelli a cui sarebbe stata sottoposta
normalmente in uno scontro. D’un tratto si sollevò una fredda nebbia.
Il soldato rabbrividì, ma non per la temperatura. Un’uscita d’emergenza lì accanto si
aprì. Il ragazzo se ne restò a fissarla con occhi increduli. Il metallo si stava silenziosamente
fondendo e i rinforzi avevano preso a schizzare via contro le pareti. Oltre lo sportello
risplendeva una luce spettrale.
La mano con la quale il soldato impugnava la pistola già tremava incontrollata, mentre il
sudore gli rigava copioso il volto ora pallido. Per un attimo gli parve di udire il grugnito
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profondo di un predatore selvaggio.
Lo sportello cedette in pochi istanti. Era strano, ma dall’esterno non provenivano alcun
colpo di vento né l’immagine dell’abisso che li separava dal suolo. Si fece invece strada
un’alta figura d’uomo immersa in una luce accecante.
Il soldato cadde in ginocchio, tremando da capo a piedi. L’aria era piena di paura e
fetore. L’essere avanzò in un silenzio mortale.
Per un attimo sembrò prendere respiro, emettendo un rantolo straziato, poi domandò con
la voce di una moltitudine: «Dov’è il ragazzo?».
Il soldato a terra non faceva che contorcersi in spasmi incontrollati. I suoi occhi
sparivano nelle orbite e il cuore gli si sarebbe schiantato di certo.
L’essere tese un braccio verso di lui e nessuno lo vide mai più.
Durante il viaggio di ritorno il burrascoso temporale aveva raggiunto un livello tale che
la polizia invitava i cittadini a lasciare per una volta le automobili. La visibilità si era ridotta
notevolmente.
La pioggia picchiava così forte che l’uomo al volante temette che i finestrini potessero
infrangersi da un momento all’altro.
Daryl Sharefield era un gentiluomo inglese sui quarantacinque anni, dipendente
dell’azienda di videogiochi Ideal Games. Era sposato con una graziosa donna di Glasgow,
bionda, snella e una perfetta padrona di casa, praticamente l’opposto del marito, tarchiato,
dai capelli neri e stempiato. Insieme avevano un figlio di dieci anni, Samuel.
Era un bambino dall’aria molto dolce, con capelli castani a caschetto e due incisivi da
castorino, che a fatica riusciva a nascondere quando sorrideva. Il suo era un carattere vivace,
anche se il vero problema restava il rapporto col padre, non dei migliori.
Il signor Sharefield accese la radio per sentire il notiziario. Voleva rendersi conto di
come fosse il tempo nel resto del Paese. Aveva la strana sensazione che il fenomeno si
Estendesse ben oltre la città.
Poco prima, a cena con i due vecchi colleghi di lavoro, Johnson e Roxan, era tornato a
parlare del grande segreto che la sua famiglia celava. Qualcuno o qualcosa gli aveva spento
il computer in ufficio, ma manualmente. I due amici erano i soli a sapere di quel segreto e
quindi gli unici a dargli retta. Nessuno di loro però sembrava convinto davvero del pericolo.
Il signor Sharefield ne era invece sicuro.
In qualche modo Luxor doveva essere tornato.
La moglie aveva perfino avuto un incubo su loro nipote Danny. Il signor Sharefield
aveva cercato di contattare sua sorella, madre del ragazzo, ma inutilmente. Non gli era
rimasto che sperare in qualche notizia da parte della moglie.
Il piccolo Samuel era il solo a ignorare l’esistenza di quel mondo.
«Il maltempo sembra aver raggiunto dimensioni apocalittiche», stava dicendo il cronista.
«Ci giungono notizie allarmanti da tutte le città costiere della Gran Bretagna, l’acqua invade
le case! Ci troviamo di fronte a un fenomeno di allagamento mai visto prima! Il livello del
mare è aumentato pericolosamente e molti fiumi sono straripati, colpendo strade e terreni. Il
Ministro dell’ambiente ha già dichiarato lo stato di calamità naturale. ‘Siamo stati
letteralmente presi in contropiede – ha affermato il Primo Ministro – Nessuno si sarebbe
mai aspettato una calamità di questo genere. Gli ambientalisti puntano già il dito contro
l’inquinamento, ma al momento attuale non siamo ancora in grado di definirne le cause.
Comunque sono già stati prestati i primi soccorsi e le famiglie colpite sono state trasferite in
dei centri di accoglienza. Saranno sistemate in nuove abitazioni al più presto’. Per il
momento è tutto» concluse il giornalista. «Torneremo nella prossima edizione con nuovi
aggiornamenti».
«Vorrei vedere le loro facce ora» pensò il signor Sharefield riferendosi agli amici.
Per un brevissimo istante i fari antinebbia illuminarono qualcosa di argenteo che
sfrecciava in mezzo alla fitta pioggia e che gli tagliò la strada.
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Cercò di frenare, ma le ruote slittarono ancora per parecchi metri. Una volta fermo, si
voltò per controllare contro cosa aveva rischiato di sbattere, ma non vide altro che pioggia.
Pensò che forse si era trattato di un camion.
«Che diluvio universale…» mormorò.
Sembrava effettivamente che il mondo si fosse rovesciato e che l’oceano cadesse dal
cielo. Pensando che tutta quella oscurità non fosse dovuta solo al maltempo, si rese conto di
quanto dovesse essersi attardato.
Dopo pochi minuti parcheggiò nel cortile di casa. Con sua grande sorpresa vide la moglie
che gli correva incontro con un ombrello che la proteggeva a fatica dalla bufera di pioggia.
Doveva averlo aspettato sulla porta di casa. Gli venne in mente che non aveva avuto più
notizie della sorella da parte sua.
Mentre si accingeva ad aprire lo sportello, diede un’occhiata al cellulare. Forse non
aveva potuto chiamarlo perché la linea era disturbata dal cattivo tempo. Con grande stupore
notò che, nonostante il display fosse acceso, tutte le funzioni sembravano essersi disattivate.
«È accaduta una disgrazia!» gridò la moglie affannata, strattonandolo fuori dal veicolo
con tanta forza da lasciarlo sbalordito, dal momento che era una donna dalla corporatura
esile. «Hanno mandato un messaggio» continuò. «Stavolta dicono che sono riusciti a
prendere solo il ragazzo e che è un miracolo se lo hanno trovato ancora vivo».
«Entriamo prima in casa. Mi racconterai tutto con più calma!» le gridò attraverso la
coltre d’acqua.
Dovette togliersi gli occhiali per distinguere qualcosa. Gli si erano bagnati a tal punto da
non vederci più e con quelli addosso non metteva a fuoco nemmeno la sagoma della moglie.
Fecero una corsa per entrare. Tentarono di ripararsi tutti e due con lo stesso ombrello,
che già dava segni di cedimento. Con loro portarono in salone un lago di pioggia.
La differenza con l’esterno era notevole. La stanza era calda e accogliente. Sul tavolo
erano state messe diverse candele che emanavan
o una luce fioca e tremula.
«La corrente è saltata poco prima che arrivassi tu» gli disse con voce tremante.
Ora che poteva vederla nitidamente notò quanto fosse bianca in viso.
«Nancy…» tentò di dire «Tua sorella… Lei è…».
Ma un nodo alla gola le impediva di parlare chiaramente.
«Ho capito» la interruppe con occhi umidi. «Che ne è del ragazzo?» domandò tesissimo.
la sua pelle era diventata del colore delle candele.
«Hanno detto che lo porteranno a mezzanotte» disse singhiozzando. Poi lo guardò e
aggiunse a voce ancora più bassa: «È tornato».
Il signor Sharefield non batté ciglio.
«Lo so» mormorò. «Dov’è Sam?» le domandò.
«Di sopra. È in camera che dorme. Non sa nulla, almeno per ora».
«Resta con lui» le disse infilandosi un impermeabile.
«Dove intendi andare?» chiese lei preoccupata.
«Vado loro incontro» disse risoluto. «Non posso aspettare qui. Non ce la faccio».
Prese un ombrello più grande e uscì. Vagò per qualche minuto alla ricerca di una
macchina che gli venisse incontro a tutta velocità o di uomini con un ragazzo in barella. La
pioggia divenne improvvisamente grandine, il cui scrosciare gli martellava i timpani.
D’un tratto riuscì a distinguere da lontano tre sagome che si muovevano. Man mano che
si avvicinavano diventavano sempre più nitide. Per un folle momento trovò la situazione
molto comica, tanto più quando notò che le tre figure erano una più alta dell’altra o forse
una più bassa dell’altra. Fatto stava che la più normale sembrava appartenere a un vecchio,
che ora gli faceva cenno di avvicinarsi e ripararsi sotto una cosa non identificata che li
sovrastava.
Quando fu a circa un metro da loro si meravigliò nel notare che pioggia e vento erano
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svaniti, benché riuscisse ancora a vederli. Perfino la temperatura era più gradevole. Era
come se fosse entrato in una campana di vetro. Anche i rumori erano attutiti. Alzò lo
sguardo e vide che la cosa sotto la quale era stato invitato a ripararsi era una specie di
gigantesco ombrello, ma senza manico. Sembrava, infatti, rimanere sospeso in aria da solo.
Il vecchio si schiarì sonoramente la voce e il signor Sharefield abbassò di nuovo lo
sguardo. Ora riusciva a distinguerli bene in viso, almeno due di loro. il terzo, infatti, alto
almeno un paio di metri, si nascondeva sotto un ampio mantello nero e aveva la testa
completamente coperta da un grosso cappuccio.
Il più giovane era un ragazzo sui vent’anni. Indossava una strana divisa. Sembrava
appena uscito da un film di fantascienza e aveva l’aria spaurita. L’uomo anziano pareva
essere più normale dei suoi compagni, era un po’ più alto di lui e indossava una grande
tunica blu notte con sopra un’ampia mantella impermeabile. Aveva capelli lunghi e una
folta barba argentea.
La cosa che però lo incuriosì dapprima e preoccupò poi era il lungo fagotto in braccio
alla figura nera che torreggiava su tutti. Dalla coperta che lo avvolgeva ciondolava la testa
di un candido bambino dalla chioma bionda.
«Danny!» esclamò spaventato. Così dicendo, lo strappò letteralmente dalle mani
dell’altro. Stringendolo a sé notò subito che era particolarmente rigido e freddo come il
ghiaccio. Non poté fare a meno di pensare al peggio. Alzò la testa per sapere quello che lo
aveva tormentato per tutto il giorno, ma il vecchio fu più veloce: «È vivo, stia tranquillo».
A vederlo così pareva morto. A malapena si poteva notare l’impercettibile gonfiarsi del
petto, mentre incamerava aria a ritmo irregolare. Il volto era imperlato di sudore e i capelli
zuppi d’acqua.
«Per l’amor del cielo!», li implorò il signor Sharefield. «Che è accaduto?».
Il vecchio si fece cupo e il suo sguardo si perse nel vuoto, come se vedesse cose al di là
di quelle visibili e la sua mente tornasse a scorrere le cruenti scene di morte e distruzione
dalle quali erano fuggiti.
«Mi addolora dover giungere a voi con notizie tanto disastrose» rispose affaticato. «Il
cielo solo sa quanto ho desiderato che questo giorno non giungesse mai, ma la situazione ci
è sfuggita di mano! Ciò che sto per dirle non le piacerà affatto e le procurerà senz’altro
molti dolori, perciò glielo dirò tutto d’un fiato. i nostri peggiori timori si sono avverati e
Luxor ha fatto la propria mossa. Aveva atteso questo momento per lungo tempo e la sua
determinazione è stata quanto mai manifesta. Gli eserciti del nemico si sono scontrati con i
popoli liberi del nostro mondo e in un primo momento hanno avuto la meglio. Per un
malaugurato caso i Parker si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato e Luxor è
stato in grado di localizzarli. Fortunatamente per noi, qualcosa nei suoi piani è andato storto
e il ragazzo è ancora vivo. I suoi genitori si sono battuti valorosamente, dandoci così il
tempo di portare Danny in salvo».
Nella mente del signor Sharefield sorse come una minaccia una seconda domanda, ma a
stento osò chiedere: «Che ne è dei genitori?».
L’uomo anziano sembrò lottare per trovare le parole giuste. Quello che disse parve
pesargli molto: «Il nemico non ha avuto pietà per loro neppure da morti».
Diede una rapida occhiata al cielo o meglio a quel poco che ormai si vedeva da sotto la
tempEsta.
«Non abbiamo molto tempo» si affrettò ad aggiungere. «Mi duole dover affrontare la
cosa in fretta, ma il fato ci è ancora avverso. Per qualche misterioso motivo l’avversario si è
improvvisamente ritirato, ma i suoi messi non tarderanno a farsi vivi. Il solo modo perché
vostro nipote sia al sicuro è che dimentichi tutta questa brutta storia. Luxor può percepirlo
solo se Danny è cosciente del pericolo».
Il vecchio si chinò sul signor Sharefield sussurrando: «Ora deve ascoltarmi con molta
attenzione e senza porsi domande inutili. Il tempo dei dubbi non è ora. Ciò di cui ha bisogno
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vostro nipote sono certezze. Non è facile da accettare, ma dovete farlo. Per lui il nostro
mondo non è più un luogo sicuro. Dovrà dimenticare ogni cosa e rifarsi una nuova vita,
almeno finché le cose non si saranno appianate. D’ora in avanti dovrete provvedere per
Danny a una solida e saggia educazione. Ho motivo di credere che prima o poi, qualunque
cosa gli verrà raccontata di quanto è avvenuto stanotte, lui ne verrà a conoscenza lo stesso.
Non solo perché la verità non può restare nascosta, ma perché questo è il suo destino, che lo
voglia o no.
Quando ciò accadrà, sarà per lui un vero trauma. Dovrà prendere coscienza di tutto
all’improvviso e in un colpo solo. Per questo avrà bisogno di una famiglia che sia stata con
lui in ogni difficoltà, qualcuno su cui fare affidamento. Sarete per lui il trampolino di lancio
e badate bene che è la parte più importante. Tutto dipende da come la prenderà. Potrà anche
sentirsi tradito, quel giorno, ma non sarà altro che lo scossone che lo aiuterà a risvegliarsi
dal suo triste esilio».
Si guardò attorno preoccupato, poi aggiunse: «Naturalmente, dovete sentirvi in grado di
affrontare tutto questo. Dobbiamo essere assolutamente certi della serietà di coloro ai quali
lo affidiamo. Ho pensato che nessuno meglio dei suoi parenti più stretti avrebbe potuto
comprenderlo e accoglierlo».
«E avete fatto bene a portarlo qui» disse il signor Sharefield. «D’ora in poi il bene di
Danny sarà per noi la sola preoccupazione».
«Non so quali siano i misteriosi disegni che circondano la vita di vostro nipote» proseguì
l’altro soppesando le parole, «ma di una cosa sono ormai certo: egli non è venuto al mondo
per volere del caso. Non conosco il suo cammino, ma so che è già sulla strada da seguire».
Dette queste cose l’uomo tacque, lasciando il povero zio ai suoi pensieri e alla presa di
coscienza della responsabilità che ora gravava sulla sua famiglia. poi, rivolto al ragazzo alla
propria destra disse: «Richiamala pure, Ate. Non siamo più al sicuro qui fuori».
«Sì, signore!» rispose il giovane che finora non aveva aperto bocca e sfilato dalla cintura
un telecomando palmare, cominciò ad azionare dei comandi.
«A proposito», si ricordò improvvisamente il vecchio e fece un cenno all’alta figura nera.
Questa tirò fuori da sotto il mantello un grande sacco appesantito da un carico
particolarmente voluminoso, che porse al signor Sharefield.
«Per sicurezza» disse l’uomo anziano senza chiarire un granché. «Le istruzioni sono già
dentro. Spero siano chiare. Dovrete farne uso solo in caso di estremo pericolo. Suo nipote
non ricorderà nulla del proprio passato nel nostro mondo, ma crederà di essere sempre
vissuto con voi. Domattina si sveglierà molto stanco, come se avesse fatto un lungo
incubo».
«Sarà giusto fargli questo torto e modificargli la memoria?».
«Non c’è altra scelta. La via sulla quale lo poniamo oggi sarà anche difficile e tortuosa,
ma è la più sicura».
«Tutto pronto, signore!» lo informò il ragazzo riponendo il telecomando.
«Molto bene allora».
«Un momento!», implorò improvvisamente la figura ammantata. Aveva una curiosa voce
da papera che suonava decisamente poco normale.
L’anziano lo rimproverò dolcemente con lo sguardo, come se avesse fatto o detto
qualcosa che non avrebbe dovuto.
«Salutalo pure un’ultima volta», acconsentì nella speranza che non commettesse altre
gaffe.
Da sotto il nero mantello sgusciò fuori una goffa mano guantata che sfiorò delicatamente
il viso del ragazzino profondamente assopito.
Al signor Sharefield parve che quel guanto fosse troppo piccolo per la mano che
conteneva. Considerando anche la statura e la voce di quel personaggio misterioso, si chiese
chi o che cosa si nascondesse lì sotto.
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«Andate», lo sollecitò il vecchio, «per stanotte sarete al sicuro solo in casa».
Il signor Sharefield non se lo fece ripetere due volte. Carico del nipote e del pesante
sacco, si diresse quanto più rapidamente poteva verso casa. Notò con stupore che quella
specie di ombrello dal quale stava uscendo si allungava a poco a poco, riparandolo fino
davanti alla porta di casa, per poi ritirarsi, scomparendo nella pioggia di grandine.
Sulla soglia li aspettava la signora Sharefield.
Una volta dentro, il marito le spiegò tutto, cercando di rimanere più calmo che poteva. «
Lei era sconvolta. Non poteva e non voleva crederci. Tomas e Nancy morti, loro figlio
sopravvissuto per poco alla furia omicida di un pazzo. Avrebbero tanto voluto svegliarsi da
quell’incubo, ma era solo l’inizio.
La signora Sharefield asciugò il povero ragazzo come meglio poté, ben attenta a non
svegliarlo, poi lo sistemarono in camera loro.
Quando la porta fu chiusa Danny rimase profondamente addormentato. Immerso in
chissà quali strani sogni, ignorava completamente quanto era appena successo. Non ne
avrebbe avuto memoria alcuna, il che era un bene, almeno per il momento, visto che in una
sola notte aveva perso famiglia e libertà.
I due coniugi ridiscesero cautamente le scale, cercando di confortarsi a vicenda, senza
accorgersi che la porta della stanza di Samuel si era appena chiusa furtivamente.
A qualche decina di metri di distanza i tre personaggi si erano fermati con lo sguardo
verso l’orizzonte in attesa di qualcosa. Poi, con un sibilo impercettibile, una sagoma
argentea a forma di mandorla, grande come un furgone, si fermò a mezzo metro da terra.
Dopo pochi istanti il lato sinistro prese a liquefarsi, solidificandosi quasi subito sotto forma
di passerella.
I tre entrarono, poi il ragazzo premette alcuni pulsanti sulla cintura e il magico ombrello
si smaterializzò.
«Partenza, Ate!» disse la voce da papera da sotto il mantello, «torniamo a casa».
Il giovane annuì e si sedette su una poltrona al posto di guida. Nonostante la sua età,
sapeva molto bene come manovrare la navicella e si dEstreggiava con abilità tra i comandi
del computer di bordo. Premette alcuni tasti e come risultato la parete sinistra del veicolo si
ricompattò silenziosamente e cominciarono a decollare.
«Ahimé!», fu il commento del vecchio. «Questi tempi funEsti spettano a noi!».
Prese posto accanto al pilota e rimase a fissare attraverso il monitor la casa degli
Sharefield, che si faceva sempre più piccola fino a scomparire.
Fece un profondo sospiro: «Ora tutto comincia!».
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CAPITOLO II
Un segreto a portata di mano
Cinque anni erano trascorsi e nulla era cambiato del villino a Beader road da quel giorno
tempEstoso. La notte in cui la tranquilla vita degli Sharefield era stata scossa sembrava
ormai un lontano ricordo ed essi avevano affrontato la cosa con coraggio e molta tenacia. La
famiglia si era così allargata e il nuovo arrivato sembrava aver portato una ventata di
freschezza.
Danny era un ragazzo bravo e intelligente, oltre che di bell’aspetto, e dava sempre molta
soddisfazione agli zii, un po’ più del loro stesso figlio, anche se gli Sharefield comunque si
guardavano bene dal trattare uno meglio dell’altro, onde evitare antipatie e inimicizie.
«Attento! Non avvicinarti troppo!» disse Danny al cugino mentre con gli skateboard
tagliavano l’aria sfrecciando giù per una strada del quartiere.
Indossavano magliette e pantaloncini corti con sopra disegnati dei motivi geometrici dai
colori molto accesi; scarpe da ginnastica e skateboard si intonavano con i vestiti.
«Come dici?» chiese Samuel togliendosi le cuffie.
«Smettila di urlarmi nell’orecchio», si lamentò Danny. «Peraltro è il sinistro, quello dove
ci sento di più».
In effetti, nonostante le apparenze, anche lui aveva un paio di difetti che teneva per sé,
come il fatto di essere allergico ai profumi comuni, cosa che lo metteva in difficoltà quando
si avvicinava a una ragazza. Il più delle volte veniva preso da una forte crisi di starnuti e la
maggior parte degli abbordaggi finiva male. Per questo motivo la zia si premurava sempre
di procurargli dei profumi speciali a base di essense naturali grazie a un’amica erborista.
Anche il cugino però aveva il suo bel da fare a causa degli incisivi da coniglio che si
ritrovava. Nemmeno lui era tanto male d’aspetto, ma la caratteristica che lo rendeva
simpatico alle ragazze era il forte accento scozzese dell’infanzia, prima che il padre si
trasferisse in Inghilterra con la famiglia per ragioni di lavoro.
«Dicevo che devi farla finita di rompermi i timpani, gridando!» ripeté Danny arrestando
la corsa con una sgommata.
«A me piace ascoltare la musica col vento che ti soffia tra i capelli» protestò Samuel.
«Che romantico!» ridacchiò Danny sarcastico, «perché non cerchi piuttosto di non
romperti il collo e di non romperlo agli altri?».
«Ma fammi il piacere!» rispose l’altro con uno spintone.
“Occhio a dove metti le mani!” lo ammonì Danny mentre evitava una sberla. “Quasi mi
becchi il piercing”.
“Ringrazia che mamma te lo fa tenere” ribatté Samuel un po’ invidioso. Ne aveva uno
anche lui, ma la signora Sharefield ancora non glielo perdonava.
“Tu invece ringrazia che non fai più il bagno con la mammina!” lo prese in giro Danny.
“Col cavolo che avrEsti quel tatuaggio!”.
“Beh, io sono furbo” si atteggiò il cugino. «Comunque perché invece di criticare tanto
non mi spieghi come mai non porti mai i calzini?».
«È ancora estate! Tutto qua!» rispose Danny sistemandosi una ginocchiera.
«Non c’entra niente che siamo in Luglio» ribatté Samuel, «tu non li indossi nemmeno
d’inverno. Sei completamente fuori!».
Danny sbuffò: «Vorrei sapere che te ne importa».
A lui la cosa non creava alcun problema. Era un tipo caloroso.
«Allora!» disse cambiando discorso, «di che parlavi al telefono con i tuoi amici ieri
sera?».
Samuel prese a giocherellare con le cuffie.
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«Niente, Niente di speciale», fu la risposta dal tono un po’ troppo evasivo per essere
credibile. «Parlavamo del più...».
«E del meno...», concluse per lui Danny. «Come al solito».
Sapeva che quando il cugino rispondeva in quel modo doveva esserci dell’altro. Sospettò
che c’entrasse qualcosa il suo compleanno. Era il 14 Luglio. Aveva appena compiuto
quindici anni. Gli Sharefield provvedevano sempre a una buona festa.
Decise lo stesso di non indagare oltre. Il cugino, maldEstro com’era, avrebbe finito col
dire qualcosa da sé. Era decisamente negato a mantenere i segreti, almeno quelli non troppo
importanti.
Un fischio dall’alto attirò la loro attenzione e tutti e due guardarono all’insù verso la
casa. Da una finestra del primo piano si era affacciato un giovanotto poco più grande di
loro, che ora li salutava con una mano. Pareva che indossasse ancora il pigiama nonostante
fosse quasi ora di pranzo. La cosa che però attirava di più l’attenzione di un passante erano i
suoi capelli discretamente lunghi, d’un rosso accesissimo. A una prima occhiata la si
sarebbe ritenuta una tinta particolarmente stravagante, ma quello era il suo colore naturale.
I suoi familiari non sapevano da chi lo avesse ereditato e neppure la nonna, ai tempi della
sua lucidità mentale, era riuscita a risolvere il mistero, sebbene consultasse sempre
meticolosamente l’albero genealogico di famiglia.
Comunque quei capelli, sebbene fossero stravaganti e costituissero un vero pugno negli
occhi a un primo sguardo, non tradivano di certo il carattere altrettanto vivace di chi li
portava.
«Che ci fate davanti a casa mia a quEst’ora? Non vorrete farvi invitare a pranzo, spero!».
Tra una curva e una chiacchiera non si erano accorti di essersi fermati di fronte casa
Hamilton, residenza di alcuni loro amici di vecchia data.
«Dai, venite su!» disse il ragazzo sorridendo. «Mi fate pena».
I due contraccambiarono il sorriso e con gli skateboard sotto braccio si diressero al
cancello. Come sempre fecero una rapida corsa per poi infilarsi a rotta di collo nella casa.
L’amico aprì appena in tempo perché non sbattessero contro la porta. Una volta dentro, si
affacciarono dalla vetrata col fiato corto e videro che un grosso alano sbavava e abbaiava
dall’altra parte.
«Ma dobbiamo fare sempre così?» chiese Samuel senza togliere gli occhi dalla
mostruosa creatura.
«Ve l’ho già detto» spiegò l’amico, «Se correte come matti ogni volta che lo vedete
Napoleone vi prenderà sempre per Estranei».
«Estranei, Martyn?» osservò sarcastico Samuel. «Quello è un cane da poliziotti! Ci ha
presi di mira, te lo dico io».
Martynscuoté la testa, sbattendo a destra e a sinistra i lunghi ciuffi rossi. «Così non vi
darà mai confidenza».
«Ma chi la vuole!» disse Danny.
«Siete tutti matti», concluse Samuel, «dal cane alla nonna!».
«Mi hai chiamato, tesoro?» disse una voce alle loro spalle.
Si voltarono e videro la candida vecchietta di casa che arrancava faticosamente verso di
loro con un bastone. Era una donna minuta e curva con corti capelli bianchi. Sul naso
aquilino portava degli enormi occhiali dalle lenti così spesse da ingigantirle gli occhi.
«Mi stavi chiamando, nipotino?» chiese pizzicando il viso di Danny.
«Quello è Danny, nonna. Io sono qui» disse Martyn gesticolando benché distasse appena
mezzo metro. La vecchia signora lo guardò per qualche istante senza riconoscerlo, poi
sembrò tornare in sé. «Certo! Certo!», farfugliò. «Buonasera! Perché non fate tutti quanti
colazione con noi?».
Danny la guardò perplesso e preoccupato, ma il cugino prese a ridere senza sosta. Danny
lo trovò molto scortese, ma pensò anche che Sam andava spesso a trovare gli Hamilton,
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molto più di lui. Ormai doveva esserci abituato e aver preso una certa confidenza. Dopotutto
erano amici più degli zii e del cugino che suoi, sebbene fossero sempre molto gentili.
«Non fateci caso» disse Martyn rassegnato e accompagnò la nonna in camera sua.
Una donna in vestaglia, dai lunghi capelli scuri e munita di spolverino, passò davanti
all’ingresso. Quando li notò le si stampò sul volto un sorriso raggiante.
«Danny! Che piacere vederti, caro».
Samuel tossì sonoramente.
«Buon giorno, Sam. Cosa fate ancora lì? Venite».
Li fece accomodare in salone su due poltrone dall’aria molto antica, dei veri pezzi
d’antiquariato. A Samuel sembrarono molto più semplicemente ridicoli e da buttar via.
«Scusate tanto se non sono venuta ad aprirvi di persona, ma ero di sopra a sbrigare le
faccende. Temo di non aver sentito il campanello. Devo essere diventata davvero sorda. ci
vorrebbe un citofono in ogni camera».
La donna rise di cuore, compiaciuta della battuta.
Samuel rimase impassibile, cercando di cogliere la straordinaria ironia, mentre Danny si
sforzò di fare una risatina, che però suonò non molto sincera.
«Allora!» proseguì la padrona di casa, «gradirEste qualcosa da mangiare? Magari
qualche dolcetto fatto in casa? Li abbiamo appena sfornati».
«Sì, gra...», tentò di dire Samuel, ma Danny lo sovrastò: «No grazie! Tra poco andiamo a
casa per il pranzo. Meglio non farci trovare già pieni. Senza offesa, ma la zia oggi prepara
dei piatti speciali. Temo che i suoi meravigliosi dolci ci occuperebbero la bocca per troppo
tempo».
«Sì, ma la fame vien mangiando e...», tentò di nuovo Samuel.
Danny lo ammutolì pEstandogli un piede.
«Allora ve ne farò portare via un bel sacchetto. Li ha fatti mia madre, sapete».
Mentre diceva così prese dalla cucina un’enorme busta e la riempì di ciambelline che
cadevano sul fondo con dei tonfi un po’ troppo pesanti.
«Guardatevi dal mangiarli!» disse Martyn sbucando alle loro spalle. «Io li offro solo agli
ospiti indesiderati. Quelli sono i terrificanti triscotti di mia nonna, duri come il marmo.
Credo che lei stessa si sia sdentata precocemente per questo motivo. Comunque mia madre
non vuole certo ammollarveli perché vi ritenga degli ospiti indesiderati. Pensa solo di farvi
piacere».
«Ecco fatto!» disse la signora Hamilton venendogli incontro con la busta stracolma. «Poi
mi farete sapere com’erano. Mi raccomando, voglio che mi diciate soprattutto cosa ne pensa
la signora Sharefield. Lei di solito usa una farina diversa e le vengono sempre...».
«Ok, mamma! Se ora non ti dispiace ce ne andiamo in camera mia».
La madre parve un po’ delusa. Mentre i tre salivano di corsa la scala a chiocciola, la
signora Hamilton chiamò il figlio: «Scusa, tesoro, ma la nonna dov’è finita? Non sarà
caduta di nuovo per le scale della cantina, spero».
Martyn alzò gli occhi al cielo: «No, mamma. È in camera sua o nella sala del trono,
come dice lei».
Se la signora Hamilton, abituata alle stranezze della vecchia madre, rimase perplessa,
figurarsi i giovani ospiti.
«Come sarebbe?».
«La sala del trono» replicò Martyn trascinandoselo via. «Prima che la lasciassi ha
cominciato a dire così della sua stanza e a chiamarmi ammiraglio. Crede di essere
l’Imperatrice d’Austria».
«Mai vista un’imperatrice in vestaglia e pantofole!».
«Ammiraglio?» pensò Danny ad alta voce, «Ormai l’Austria nemmeno cel’ha una
flotta!».
Quando entrarono in camera Danny notò subito che era piuttosto grande per una sola
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persona, anche se il soffitto era basso e spiovente. C’era un dolce odore di legno per via del
mobilio, cosa che gli fece molto piacere, mentre le pareti erano disseminate di poster d’ogni
genere con famosi attori, gruppi musicali, celebri sportivi e altri ancora.
Uno dei pregi di Martyn, infatti, era quello di essere un tipo versatile e mentalmente
aperto. Gli Hamilton potevano essere anche considerati della gente strana dagli abitanti del
posto, ma restavano brava gente.
Danny riteneva che per essere veramente normale una persona dovesse avere qualche
piccola stranezza, anche se in quel caso non erano proprio così piccole le stranezze.
Quando aprirono la finestra un’ondata di sole riempì la stanza e Danny ne fu abbagliato.
si coprì di scatto gli occhi e ebbe un leggero mancamento. I due lo afferrarono in tempo
prima che finisse a terra, facendolo sedere sul letto.
«Ti senti bene?» chiese Martyn preoccupato. «Che hai?».
«Niente di grave» rispose con ancora il bagliore negli
occhi. «Passa subito».
«Il fatto è che lui ha gli occhi chiari e non riesce a sopportare i bagliori di luce
improvvisi», spiegò il cugino senza molta convinzione.
Gli Sharefield avevano sempre spiegato così quegli improvvisi malori, ma Danny non ci
aveva mai creduto. Conosceva altre persone con gli occhi chiari, queste però non si
sentivano mai male alla vista improvvisa di una luce, seppur forte.
Samuel decise che non si sarebbero trattenuti più di cinque minuti. Mentre discuteva con
Martyn di cose che Danny non riuscì a capire e alle quali al momento non era molto
interessato, i due lo costrinsero a rimanere sdraiato.
Anche quando, dopo aver scosso la testa più volte, il bagliore se ne fu andato, a Danny
parve di percepirlo ancora, ma non davanti a sé, piuttosto da dentro, come una presenza.
La cosa lo inquietò un po’. Era la prima volta che non finiva con un capogiro.
Il ronzio del computer di Martyn gli fece da sonnifero e cadde improvvisamente in un
sonno breve ma profondo.
L’aria era pesante e c’erano luci turbinanti d’ogni colore e forti rumori misti alle urla di
molte persone terrorizzate. I suoni gli rimbombavano forti nella testa e avrebbe voluto che
finissero subito. Le immagini erano offuscate e una fitta nebbia avanzava verso di lui,
impedendogli di distinguere le sagome nere che si agitavano intorno. Dalla nebbia vide
improvvisamente emergere qualcosa che si muoveva: una figura immersa in una luce
abbagliante che si ingrandiva. Poi una mano scintillante venne verso di lui...
«Danny! Danny!» disse una voce lontana.
Danny si svegliò di soprassalto.
Samuel e Martyn erano lì che lo fissavano preoccupati.
«Cos’è successo?».
Danny si guardò intorno spaurito, come se si aspettasse di vedere qualcosa o qualcuno,
poi si portò una mano al petto e respirò profondamente.
«Niente» disse con un filo di voce, «era solo un sogno».
Il cugino sembrò pensieroso. Per il ritorno a casa Samuel insistette che percorressero la
strada a piedi. temeva che Danny potesse svenire di nuovo e cadere dai pattini.
Il viale, costeggiato da grossi alberi, scendeva dolcemente e il vento delicato li
proteggeva da un insolito solleone.
Samuel fece per prendere una caramella che teneva in tasca, ma gli cadde dalle mani. In
quel momento, fulmineo come una lepre, passò un gatto nero che gliela rubò.
Il ragazzo prese a inseguirlo tra un’imprecazione e l’altra.
«Fermati, vigliacco!» disse cercando di mollargli un calcio, «se ti prendo te la faccio
pagare cara!».
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«Lasciala stare, ragazzaccio!» disse una voce da dietro uno dei robusti tronchi.
I due si voltarono sorpresi. Seduta su una vecchia valigia stava un’anziana donna,
avvolta da lunghe vesti logorate dal tempo e ricoperta di bracciali e catenine.
«È solo una gatta indifesa» sdrammatizò irritata.
«Mica tanto indifesa» specificò Samuel fermandosi a pochi passi dal marciapiede.
«Quando vuole sa combinare guai e dare fastidio alla gente».
Così dicendo, le tirò dietro anche la carta ormai vuota.
«Non è la prima volta che la incontro per strada».
Il felino saltò sulle ginocchia della vecchia signora e col muso fra le zampe prese a
leccarsi il bottino del giorno.
«Non è diversa né da me, né da te» gli rispose accarezzandola, «giovane Samuel».
A quelle parole il ragazzo si fece più serio: «Come sa il mio nome?».
«Anche tu, come la mia gatta, sei un tipo irrequieto e alla costante ricerca di guai»
proseguì eludendo la domanda, «come vedrai un giorno».
«Lei non sa proprio un bel niente di me!» disse più per convincere se stesso. «Io neppure
la conosco!».
«Ma io conosco molte cose di te e tuo cugino».
«Che cosa ridicola!» si lasciò scappare Danny. «Se fossi in lei mi vergognerei a parlare a
vanvera».
La donna scuoté la testa, facendo tintinnare i grossi cerchi che teneva appesi alle
orecchie.
«Povero ragazzo...» borbottò. «Mi dispiace per te».
«A me no!» disse scettico. «Sto bene così come sto».
«Come sei ora» specificò lei, «ma domani potrEsti essere un altro».
«Non c’è bisogno che me lo venga a dire una chiromante. Nella vita si cresce e si cambia
sempre».
«Hai paura di sapere quello che ti accadrà?» tagliò corto la vecchia donna.
«Certo che no!» rispose risoluto. «Non sarà lei a sconvolgermi la vita».
«Infatti» convenne mentre il ragazzo le si avvicinava. «Non sarò io».
Quando Danny le si fermò davanti il gatto addentò la caramella e scese con un salto.
«Dammi la tua mano, figliolo» disse con aria mistica.
Danny le porse il palmo e la chiromante prese a esaminarlo attentamente:
«Come pensavo» mormorò tra sé e sé. «L’ho capito subito quando ti ho guardato negli
occhi. I tuoi segni non sono chiari».
«Forse dovrEsti lavarti di meno le mani» ridacchiò il cugino.
Il cielo si oscurò rapidamente e il vento aumentò.
«Sento che hai avuto un passato molto tormentato».
«Sempre vissuto felicemente con i miei zii» disse Danny senza prenderla sul serio.
«E perché non con i tuoi genitori?».
Il ragazzo avvertì la domanda molto pungente.
«Perché non me lo dice lei?» rispose irritato.
«Colui che governa le acque te li ha portati via» rispose lei alzando lo sguardo.
Seguì un momento di silenzio in cui si udì il solo soffiare del vento fra i rami.
«Se crede di potermi influenzare mettendomi in testa dei dubbi, allora se lo può
scordare» scattò ritirando la mano. «Ho superato la crisi da un pezzo».
«Ok» intervenne Samuel tirando via il cugino per un braccio, «la seduta è finita.
Arrivederci!».
La donna sorrise.
«Che ci trova di divertente?» le chiese Danny.
«Nulla di divertente» rispose in tono pacato la chiromante, «ma il mio occhio interiore
mi dice che un giorno ci rivedremo».
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«Non mi stupirei di rincontrarla» la derise Samuel mentre si allontanavano. «E
comunque le consiglio di chiuderlo quell’occhio interiore, prima che qualcuno glielo
ciechi». Poi assunse un’aria mistica e ad alta voce disse: «Io prevedo che il suo gatto farà
una brutta fine quando prendo la patente».
Danny rise. Samuel ne fu compiaciuto e continuò a fare battute per tutto il tragitto. Non
voleva che il cugino si riempisse la testa di quelle che considerava solo delle stupidaggini.
Non appena rientrati il profumo dei pasti ancora caldi proveniente dalla cucina fece sparire a
Danny gli ultimi sensi di malessere.
«Finalmente!» esclamò la zia uscendo dalla cucina con un vassoio ricco di cibo. «Ne
avete fatte di corse oggi! Andate a cambiarvi e lavatevi bene le mani. Il pranzo è ancora
caldo».
Corsero su per le scale e si cambiarono in fretta e furia, tanto erano affamati. Perfino
Danny, che era solito fare le cose con una certa calma, imitò le abitudini del cugino,
lasciando i cambi sul letto pur di non aspettare. pSi ripromise però a differenza di Samuel di
sistemarli dopo mangiato.
«Sarà il caso che svegli tuo padre: si è addormentato nell’attesa» disse la signora
Sharefield, facendo le porzioni.
«Ok!» rispose il figlio sorseggiando dell’acqua.
Si alzò e si sedette sul divano accanto al padre profondamente assopito, il giornale
ancora sulla pancia. Danny notò il ghigno malefico sul volto di Sam, il quale si bagnò le dita
e schizzò d’acqua il viso del padre.
«Così gli rovini gli occhiali!» protestò Danny.
«E allora?» chiese spavaldo il cugino. «Se li ricompra... Dai, papà!». Lo scuoté finché
non si svegliò lamentandosi delle lenti bagnate. «Falla finita, pa’! È ora di mangiare». E così
dicendo, gli buttò il giornale in faccia.
Il pranzo trascorse gustoso e tranquillo, anche se più di una volta Danny non fece in
tempo ad avvertire gli zii della pericolosità dei triscotti della vecchia signora Hamilton.
Samuel li aveva lasciati in giro apposta, sapendo che la mano di qualche malcapitato ci
sarebbe cascata.
«A proposito, ragazzi!» disse la signora Sharefield mentre preparava le altre porzioni.
«Nel primo pomeriggio dobbiamo uscire per andare a prendere il tè dal signor Bell».
«Sì!» confermò il marito con malavoglia. «Avrei preferito venire a pesca con voi, ma
essendo il mio direttore...».
«Grande!» commentò Samuel con la bocca piena. «Così avremo la casa tutta per noi».
«Perché, dovevamo andare a pesca da qualche parte?» disse Danny guardando il cugino
con aria interrogativa.
Samuel ricambiò lo sguardo altrettanto perplesso: «Vuoi dire che ce ne possiamo andare
a pesca da soli?».
Il padre ridacchiò. «Ti piacerebbe, ma abbiamo già incaricato Murphil di tenervi
d’occhio».
A Samuel andò di traverso il boccone.
«No! Murphil no!», piagnucolò. «È un buono a nulla! Ci farebbe sicuramente morire
affogati!».
«Smettila di fare tante storie» tagliò corto la madre. «Abbiamo deciso così e basta. E poi
a tuo cugino farà bene. Oggi lo trovo un po’ pallido».
A fine pranzo il signor Sharefield e i ragazzi si lasciarono cadere sul divano a pancia
all’aria, le mani sullo stomaco pieno.
«Siete già sazi? Non vorrEste un po’ di questa carne arrosto?» chiese ingenua rivolta ai
tre stomacati.
«Oh, no! Per carità!» disse il marito in un lamento. «Quello che mi ci vorrebbe è un buon
digestivo».
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«È buonissima» insistette lei. «È una ricetta di mia madre».
«Peggio!» commentò il figlio portandosi una mano alla bocca.
La madre sembrò risentita: «Non dire così! Le ricette della nonna sono una tradizione di
famiglia».
«Capirai che tradizione!» sbuffò Samuel.
«Sam!» lo ammonì il padre, che ora aveva uno sguardo da stato comatoso. «Danny, vai a
prendermi il digestivo in camera, per favore» aggiunse rivolto al nipote.
Danny si alzò e risalì faticosamente le scale, massaggiandosi la pancia. Entrando nella
stanza degli zii notò subito una cosa che gli fece dimenticare presto il mal di stomaco. Il
computer dello zio era ancora acceso. La cosa gli parve strana. Lo zio teneva molto alle
proprie cose e le ordinava sempre prima di lasciarle.
Si avvicinò alla scrivania e fu colpito dalle strane immagini che si muovevano sullo
schermo: lo sfondo era argenteo, turbinava come un vortice d’acqua e sembrava trovarsi più
sulla superficie del monitor che dentro. Dal centro del turbinio si diramavano delle scie
luminescenti che formavano disegni geometrici, anch’essi vorticanti.
Danny allungò una mano, come se volesse toccarli. Più le sue dita si accostavano alla
superficie, più le immagini ruotavano.
«Danny!» chiamò una voce da sotto. Danny trasalì, come svegliandosi da un sogno. «Se
non lo trovi lascia stare. Berrò una tisana».
«Sì, va bene!» rispose in un bisbiglio che difficilmente avrebbero udito, lo sguardo che
indugiava sullo schermo.
Semincantato e pensoso si mise a cercare il medicinale. prendeva le cose senza nemmeno
guardarle. Una volta trovato, diede un ultimo sguardo al computer e lo spense, concludendo
che sicuramente ci aveva messo le mani Sam.
‘Però’ pensò, ‘bel salva schermo!’.
Tornando giù rischiò di cadere per le scale. Il cugino aveva lasciato da quelle parti uno
dei suoi pattini che per poco non gli fece rompere la testa.
«Eccolo» disse rientrando in salone e porgendo il medicinale allo zio. Poi rivolto a
Samuel: «Possibile che devi sempre lasciare in giro le tue cose? Ho rischiato di
ammazzarmi su uno dei tuoi maledetti pattini».
«Sei ancora tutto intero, mi pare» sdrammatizò il cugino, «perciò non lamentarti».
Per un po’ nessuno si accorse della sua aria assente, finché la zia non gli rivolse la
parola.
«Qualcosa ti preoccupa?» gli chiese con fare materno.
«Come?» disse Danny distrattamente.
«Per me è stordito dalla puzza nauseante di quel cadavere di pollo della nonna»
commentò Samuel giocherellando col cellulare. «Va a finire che diventa allergico pure a
quello».
«Ieri sono stata dalla signora Trevethyn» disse la madre senza badargli. «Ti ho comprato
un nuovo campione di profumo naturale. Mi ha fatto un buon prezzo».
Danny non diede segni di vita. Continuò a fissare il vuoto davanti a sé con aria assorta.
«Allora!» intervenne lo zio cercando di rianimarlo. «L’altro giorno ho parlato con la
direttrice di scuola. Dice che al corso siete i migliori».
“Ma quella non ci va in vacanza?” mormorò Samuel, gli occhi incollati al cellulare.
“Beh, ci andrebbe se certi studenti non fossero al corso di recupero” rispose la madre in
tono allusivo.
«A matematica nessuno è tanto bravo, non con quell’avvoltoio» rispose Danny
sollevando appena il capo in direzione dello zio. «Non ci credi mica?».
«La verità» spiegò il cugino «è che quella vecchia mummia vuole comprarsi gli studenti,
soprattutto i genitori dei nuovi. Non ha una bella reputazione».
«Una volta tanto sono d’accordo con Sam!» disse il padre sdraiandosi sul divano.
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«Quella donna è una serpe. Ho deciso; se le cose non cambiano, terrò un colloquio con gli
altri genitori perché se ne vada».
«Perché la chiamano signorina poi! Solo perché è nubile?» concluse il figlio. «Ha quasi
mille anni! È un pezzo da museo».
“Parlando della Camden” esordì la madre, “per una volta mi trovo d’accordo con lei”.
Il marito la guardò sorpreso, ma Samuel alzò gli occhi al cielo per il vero motivo.
“Non mi va a genio l’orecchino che porti da un po’. Non intendo solo a scuola”.
“In classe me lo levo, mamma!” sospirò seccato. “Sta sicura che me lo fa togliere, se no
passo ore in biblioteca”.
“Lo mal sopporto, a dirla tutta” insistette lei.
“E Danny allora?” protestò Samuel.
“Il suo è meno vistoso e poi in chiesa non si sogna di portarlo”.
“Certo che se lo sogna” borbottò tornando al videogioco del telefono. “Poi chi ci vuole
venire in chiesa!”.
Danny stette ben attento a tenersi fuori dalla faccenda.
L’ora successiva trascorse tra un preparativo e l’altro, finché gli Sharefield uscirono per
primi.
«Adesso sì che mi sento a casa mia» disse Samuel piroettando per il salone.
«Ehi, sfaticato!» disse la voce del cugino dal piano di sopra. «Vieni a darmi una mano,
invece di fare il ballerino!».
«Va bene! Va bene!» rispose prendendo a calci le pantofole, poi lo raggiunse, anche se
più per cambiarsi che per rendersi utile.
«Lo zio..., voglio dire tuo padre, ha detto che Murphil sarà qui tra mezz’ora» gli disse,
cercando di far entrare a forza le ultime cose nel bagaglio.
«Mentre aspettiamo possiamo sgranocchiare qualcosa di quello che mamma ci ha
preparato per cena» propose l’altro.
«Ma come?!» fece Danny. «Dopo tutto quello che abbiamo mangiato?».
«E allora?».
«No!» disapprovò Danny scuotendo la testa. «Quella poi è quasi tutta roba fritta. Sono
sicuro che la vomiterEsti nel lago».
Il cugino, infatti, era paragonabile a un pozzo senza fondo e a differenza di Danny poteva
mangiare a volontà, senza temere di ingrassare di un solo grammo.
Samuel aprì la bocca per controbattere, quando suonarono il campanello di casa. Scese
per vedere chi fosse.
Arrivato alla porta sentì chiamare qualcuno dall’altra parte: «C’è nessuno? Signor
Sharefield, sono Murphil».
Andò avanti così per un paio di minuti, poi, dato che ancora suonavano e bussavano,
anche Danny si decise a scendere.
«Che stai facendo dietro la porta?» gli chiese.
«Voglio vedere quanto resiste» rispose Samuel guardando attraverso l’occhiello.
«Piantala, Sam!» disse spingendolo via, poi si affrettò ad aprire.
Ad aspettare sulla soglia in tenuta da pescatore c’era un giovanotto sui venticinque anni,
alto, con capelli scuri e orecchie a sventola.
«Finalmente!» disse spazientito. «Cominciavo a credere di essermi sbagliato di grosso!».
«No, Murphil» lo rassicurò Danny, «hai capito bene, solo che sei arrivato in anticipo».
«Mi pareva strano che fosse in orario più che perfetto!» commentò Samuel sbucando da
dietro la porta.
«Proporrei di prendere lo stesso i bagagli. Arrivare un po’ prima non è una cattiva idea,
almeno siamo sicuri di trovare parcheggio» disse Murphil, cercando di ignorarlo.
In verità era più che abituato a sentirsi canzonare dal figlio degli Sharefield, ma da un
po’ di tempo aveva cominciato a rispondergli, finendo sempre con qualche discussione,
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perciò il fatto che ora mantenesse la calma era una vera prova di coraggio da parte sua.
«Lo proporrei anch’io» gli fece eco Samuel.
Danny gli mise un braccio intorno al collo e se lo trascinò dietro: «Andiamo a prendere
le borse».
«Vi do una mano, così facciamo prima!» disse Murphil seguendoli.
Presero le loro cose e le caricarono nella macchina dell’amico parcheggiata davanti al
vialetto, poi montarono e partirono alla volta del lago.
Il cielo era grigiastro e il sole velato, benché il tempo fosse sereno. La corsa, perché solo
così la si sarebbe potuta definire, andò tutto sommato bene, senza contare le volte in cui
rischiarono di tamponare un’auto e investire cinque persone, due cani e in fine una
vecchietta, che, non essendo pronta di riflessi, si lasciò trascinare via busta della spesa e
bastone da passeggio.
Danny pensò che l’idea di lasciarli nelle mani di Murphil non fosse stata una trovata
molto brillante. si trattava di un maggiorenne patentato, ma anche abbastanza distratto e
decisamente poco autoritario.
«Peccato!» disse ironicamente Samuel guardando attraverso il finestrino posteriore, «Le
vecchie con la borsa valgono dieci punti».
Danny rise: «Non è mica un tiro al bersaglio questo!».
«Ti vuoi sedere??» abbaiò Murphil. «Non fare lo spericolato e tieniti la cintura di
sicurezza!».
«Hai ragione» rispose mettendosi composto, «Con te il rischio è alto!».
L’ultima parte del tragitto passò rapidamente tra qualche canzone e i commenti
sull’abbigliamento dei passanti.
«Guarda quel tipo là!» disse Samuel indicando un coetaneo con occhiali da sole e
paraorecchie. «Nemmeno fossimo in inverno!».
Di gente strana se ne vedeva, ma quella persona era più speciale di quanto credessero e
non li avrebbe persi di vista facilmente.
Presto arrivarono in un ampio posteggio sterrato dove Murphil molto maldestramente
parcheggiò o meglio schiantò la macchina.
«Almeno il palo era in legno e non in cemento!» disse Danny cercando di
sdrammatizzare, visto che Murphil aveva preso a imprecare per un fanalino posteriore e
parte del paraurti ora ammaccati notevolmente.
Scesero dall’auto e dopo poco si ritrovarono con la schiena piena di sacchi e zainetti.
«Non capisco perché ti sei comprato una famigliare, quando abiti da solo e sei ancora
single» pensò Samuel a voce alta, buttando un’ultima occhiata alla macchina.
«La giornata sembra essere favorevole!» li informò Murphil dando uno sguardo al cielo
che si era schiarito e cercando di ignorare le scortesi osservazioni del ragazzo.
Non appena a riva misero in terra le loro cose e cominciarono a svuotare gli zaini di
canne e ami.
«Ho come la sensazione di essermi dimenticato qualcosa!» pensò Murphil ad alta voce
sedendosi su una seggiola da campeggio.
«Forse dovremmo segnalare la nostra presenza e pagare!» suggerì Danny.
«Non possiamo pagare più tardi?» chiese il cugino alle prese con degli ami incastrati fra
loro.
«Solitamente pago prima di andarmene» rifletté Murphil.
«Mai visto uno che paghi dopo essersene andato!» lo provocò Samuel.
«Insomma!», sbottò Murphil, «Volevo dire che pago sempre a fine giornata!».
Danny si offrì per andare a pagare il guardiano e presi i soldi lasciò i due al loro
battibecco, dirigendosi a rapidi passi dall’altra parte del lago. L’aria era leggera e gli
carezzava dolcemente il viso, facendogli sventolare la chioma bionda. Arrivando dalla parte
opposta vide una piccola baracca in legno e vi si diresse lentamente. Passando per un
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gruppetto di alberi notò che erano tristemente spogli. Solo il cinguettio di qualche passero
rendeva il posto meno malinconico. Per non disturbare inutilmente il padrone girò intorno
alla guardiola alla ricerca di una finestra. Voleva vedere se ci fosse qualcuno e se avesse
tempo da perdere in quel momento. Ci andava cauto perché aveva sentito parlare del
vecchio guardiano, il signor Rimble e sapeva che era un tipo poco trattabile. Le voci che
circolavano sul vecchio erano tanto sinistre quanto strambe. Si diceva che il suo lago fosse
maledetto e che diverse persone ne fossero rimaste vittime, come quella coppia che soli tre
anni prima non aveva fatto più ritorno dalla gita in barca.
‘Che stupidaggini!’ pensò Danny. ‘Sciocche leggende e nient’altro’.
Non credeva affatto a storie del genere. Pur rispettando le idee degli altri, riteneva che la
superstizione fosse segno di debolezza mentale. Comunque si chiedeva se il signor Rimble
credesse a ciò che si diceva di lui, anche se probabilmente l’uomo non faceva altro che
sfruttare storie simili a proprio vantaggio.
Danny si convinse che il povero vecchio non desiderava altro che tenersi in disparte e
vivere in pace la privacy della propria vecchiaia.
Tornato al punto di partenza si rese conto che quella che aveva scambiato per una parte
singolarmente sporca di parete non era altro che una finestrella incrostata di polvere e
ruggine. Tentò ugualmente di guardarci attraverso. Era impossibile. Non riusciva nemmeno
a vedere il proprio riflesso sul vetro. Allora si avvicinò alla porta con cautela e fece per
bussare, quando notò che era già aperta.
«Signor Rimble!» chiamò. «Le devo del denaro!».
Spalancò lentamente la porta. Qualcosa saltò fuori, passandogli vicino all’orecchio.
Danny trasalì. Un corvo dal piumaggio nerissimo prese a volteggiargli intorno e Danny lo
scacciò, agitando freneticamente le braccia.
«Uccellaccio della malora!» borbottò riprendendosi dalla sorpresa.
Entrò nella baracca vuota e lasciò le banconote sul tavolo, assicurandole sotto un libro lì
accanto. Ciò che gli fece arricciare il naso fu la vista di una sudicia bottiglia di vino
semivuota. Puzzava di vecchio.
Il volume, tuttavia, attirò la sua attenzione. Aveva l’aspetto logoro, ma anche un’aria
misteriosa: era rilegato in una scura copertina in pelle con il disegno in rilievo di un serpente
alato. Lo sfiorò delicatamente con le dita. Sembrava di rame. Al suo tocco gli occhi del
serpente si illuminarono di una fievole luce rossa. Il libro non presentava segni di
meccanismi elettronici e la cosa lo spaventò. Diede un’occhiata distratta alla porta e aprì il
libro. Sfogliandolo vide che le pagine erano ingiallite e rimanevano attaccate per pura
fortuna.
Danny non riuscì a capire in che lingua fosse scritto il testo e si limitò a osservarne le
curiose illustrazioni. Rappresentazioni di cavalieri ornati con armature d’ogni genere e
mostruose creature mitologiche facevano da cornice alle pagine che di tanto in tanto
venivano interrotte da quelli che parevano veri e propri dipinti su carta di eserciti in
battaglia. Danny era sempre stato affascinato dalle storie medioevali e continuò a sfogliare il
grosso libro con avidità. Più non comprendeva le scritte, più la sua voglia di conoscerne i
segreti cresceva. Era particolarmente curioso di sapere a chi si riferisse il libro quando
riportava nomi come Luxor o cosa rappresentasse la mutilazione delle ali di un gigantesco
cobra, gigantesco almeno se proporzionato alle figure dei cavalieri.
Il tempo trascorse rapido e Danny dimenticò il motivo per cui si trovava lì, finché dei
rumori provenienti dall’esterno non lo fecero tornare alla realtà. Seccato per l’interruzione
uscì a vedere cosa fosse, dimenticando di richiudere il magico libro.
Sulla porta si fermò di colpo. Timoroso per essere stato colto sul fatto si pigiò contro la
parete più distante.
«Qualche nuovo ficcanaso?» disse la voce roca del vecchio guardiano, il quale entrò a
passi strascicati.
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Era curvo e dall’aria decrepita. Lunghi capelli grigi gli circondavano la testa e una folta
barba disordinata faceva da cornice a una bocca storta. L’uomo si reggeva su di un bastone
di legno ed era avvolto da una grande mantella scura.
«Salve! Facciamo visite senza invito?», ringhiò fissandolo con l’occhio buono.
Danny né rispose, né si mosse. Si limitò a osservare con ribrezzo la profonda cicatrice
sulla palpebra sinistra.
Un corvo dal piumaggio nerissimo entrò, sbattendo rumorosamente le ali e si posò sulla
spalla dell’uomo.
«Le... le ho portato i soldi!» disse infine facendosi coraggio.
«Vedo! vedo!» rispose il vecchio chiudendo delicatamente il libro. «E così tentate la
fortuna con un giro intorno a quel lago. Audace da parte vostra. Tuttavia, se sapEste cosa
potrebbe accadere, vi guardereste bene dallo sfidarlo!».
«Stavo solo dando uno sguardo!» disse Danny cercando di cambiare argomento. La cosa
stava prendendo una brutta piega. «Mi scusi per il disturbo».
«Immagino tu abbia capito molto di quello che hai letto!» ridacchiò il vecchio. Danny
scuoté il capo. «Dubito» proseguì il guardiano «che tu sappia leggere la lingua degli hynur o
interpretare quegli antichi disegni, a meno che tu ne abbia studiato la cultura nella loro
grande città e onEstamente dubito anche di questo».
«Non so di cosa stia parlando!» ammise Danny cercando di vincere la curiosità. «Non so
nulla né di lei, né di quel libro. Ero solo curioso di sapere perché la copertina fosse così
strana».
«Io però so molto di te, Danny! Ne so più di quanto tu sappia di te stesso».
Il corvo gracchiò un paio di volte, facendo sobbalzare il ragazzo.
«Non sei quello che dicono. Sei molto di più, e presto te ne accorgerai!».
Danny si meravigliò nel sentirsi chiamare per nome e la cosa lo urtò. Voleva andarsene e
basta. Per quanto lo riguardava la conversazione con quel tipo era durata anche troppo. Se
qualcuno lo avesse visto lì a parlare col vecchio si sarebbe sparsa la voce e la gente avrebbe
cominciato sicuramente a evitarlo.
«Che il cielo mi fulmini!» disse improvvisamente l’uomo, guardando il libro che aveva
chiuso. «Gli occhi del serpente antico si sono illuminati di nuovo! L’antico spirito si è
risvegliato!».
Guardò Danny con profonda soddisfazione: «È tempo, dunque! Caro ragazzo, grandi
giorni si preparano per te ora!».
Danny avrebbe voluto veramente che il cielo lo fulminasse. Ne aveva abbastanza di
quella recita.
«Concedimi l’onore di guardarti più da vicino!» disse il vecchio con aria esaltata.
«Lasciami stare!» scattò Danny e con uno spintone corse via.
A metà strada si voltò e prima che sparisse intravide nascosto dietro un albero lo strano
ragazzo che aveva notato dalla macchina.
«Chi va là» chiese a gran voce. «Mi stai seguendo? Sei dei Ferrati?».
Come previsto nessuno rispose. Quel posto cominciava a non piacergli più. Era stufo di
tipi strani e cose impreviste. Pensò che dopo tutto non li meritava.
Quello, tuttavia, era solo l’inizio di un’infinità di eventi che non avrebbe mai immaginato
e che lo avrebbero segnato per sempre.
Tornando vide che avevano già caricato tutto il necessario su una piccola barca dall’aria
trascurata.
«Perché ci hai messo tanto?» gli chiesero in coro.
Non poteva certo raccontargli cose come il fatto del serpente del libro o che il vecchio
affermasse di conoscerlo. Sarebbe stato sconveniente e il cugino lo avrebbe preso in giro per
tutto il tempo, aggiungendoci magari qualche balla delle sue per gonfiare la cosa.
«Ho dovuto aspettare il guardiano per consegnare il denaro” rispose Danny con una
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mezza verità.
Era la prima volta che raccontava una frottola. non era nel suo carattere e il fatto gli
diede molto da pensare. Qualcosa in lui aveva già cominciato a cambiare. Decise di
menzionare solo il tipo strano con i paraorecchie.
«Forse ci preparano un agguato all’uscita» disse Samuel.
«No!» disse Murphil risoluto. «Non credo che tipi come quelli si scomoderebbero
arrivando fin qua. Piuttosto aspetterebbero nei pressi di casa vostra».
Vagarono un po’ per il lago, prendendo qualche piccolo pesce e finché i remi toccarono a
lui, Danny si mantenne sempre a una certa distanza dalla sponda opposta.
«Ogni volta che vengo con te prendo solo pesci piccoli» si lamentò Samuel lanciando
l’amo per l’ennesima volta.
«Taci o ti affogo» lo minacciò Murphil mettendogli una mano sulla schiena.
Il sole, che intanto era sbucato da dietro le nuvole grigie, fece calare su di loro una gran
voglia di addormentarsi. Dopo il suo terzo turno di pesca, Danny propose di fare una pausa
e la cosa fu accolta con piacere. Affamati si avventarono sui panini che la signora Sharefield
aveva preparato per loro, poi decisero di sperimentare un piacevole pisolino pomeridiano
sulla barca.
Danny si addormentò per ultimo e fece sogni molto agitati: c’erano persone che
correvano in tutte le direzioni, grida ovunque e lampi colorati seguiti da forti rombi che gli
rintronavano le orecchie. Si sentiva come portato in braccio da qualcuno preso da una corsa
frenetica. Riusciva a sentirne il respiro affannato.
Era una sensazione strana. Tutto sembrava così reale, come un film più che un sogno.
D’un tratto la corsa si arrestò e caddero, poi una luce abbagliante li investì accecandoli. Dei
pesanti passi avanzarono in una fitta nebbia e poi una mano scintillante si protese verso di
lui e...
Danny si svegliò di colpo con il fiato corto. Gli era venuto un forte mal di testa e avrebbe
voluto riaddormentarsi per non sentirne il dolore martellante, ma temeva di poter continuare
quell’incubo.
Si sedette a gambe incrociate e vide che erano fermi al centro del lago. I due compagni
erano ancora profondamente assopiti. Quel posto aveva cominciato ad annoiarlo e rifletté su
cosa avrebbe potuto fare una volta tornato a casa. Fantasticò su una possibile festa di
compleanno a sorpresa.
Mentre se ne stava assorto nei propri pensieri sentì un rumore sulla destra. Si sporse,
fissando l’acqua scura del lago e prima che sparisse di nuovo, vide quella che gli sembrò
una zampa palmata. Trasalì e si chiese se non ci fosse un coccodrillo. Preoccupato decise di
svegliare gli altri.
«Che c’è adesso?» chiese Samuel stropicciandosi gli occhi addormentati.
«Ho visto qualcosa» lo informò il cugino.
«Vediamo tutti qualcosa» rispose Samuel sbadigliando sonoramente.
«Credo che ci sia un coccodrillo nel lago o qualcosa del genere».
«Cosa?». Samuel si alzò rapidamente e afferrata la canna da pesca, si mise a cercare la
grossa preda. «Pensa che bel trofeo da portarci a casa...».
«Sei matto?» disse Danny strappandogli la canna dalle mani. «Non vorrai giocare con un
animale così pericoloso! Quello è capace di farci ribaltare con un colpo».
«Che succede qui?» chiese Murphil sgranchendosi un po’.
«Danny ha visto un coccodrillo» disse Samuel eccitato.
A differenza del ragazzo Murphil parve spaventato: «Un coccodrillo? Forza allora! Mani
ai remi e andiamocene alla svelta».
«Non l’ho proprio visto» precisò. «E’ra una zampa palmata, ma così grossa da poter
appartenere solo a un coccodrillo o a un alligatore».
«Se era davvero un animale del genere, allora il vecchio Rimble mi sentirà» borbottò
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Murphil più tardi, mentre caricavano il portabagagli con le loro cose.
Il viaggio di ritorno fu insolitamente tranquillo e per la prima volta Samuel riuscì a
intavolare una conversazione con Murphil senza discussioni.
Danny rimase in silenzio per tutto il tempo, cercando di non peggiorare il dolore alla
testa. Si limitò a guardare il verde paesaggio che scorreva dietro il finestrino.
Dopo un po’ gli parve di scorgere tra la ricca vegetazione un grosso cavallo nero con le
corna. Si strofinò gli occhi per vedere meglio, ma qualunque cosa fosse ormai era sparita
dietro di loro.
Era stanco e dolorante. Gli occhi gli avevano sicuramente giocato un brutto tiro. Doveva
trattarsi semplicemente del toro un po’ troppo cresciuto di qualche fattore di quelle parti.
Non ricordava però che in zona ci fosse mai stata una fattoria o un allevamento di bovini.
Si strinse nelle spalle e decise di stendersi un po’ sui sedili finché non fossero arrivati.
«Sentite!» disse Murphil poco dopo, «Vi dispiace se faccio una sosta per fare il pieno
prima di riportarvi a casa?».
«Per noi va bene. No, Sam?».
«Sì, se non facciamo troppo tardi» precisò il cugino guardando l’orologio.
Danny si chiese che motivo ci fosse di affrettarsi. Gli zii non sarebbero tornati prima
delle undici, almeno secondo le loro abitudini.
La cosa lo incuriosì. Non era da Samuel.
«Dovrebbe esserci un benzinaio a pochi isolati da qui» constatò Danny con un’occhiata
alla zona.
Murphil annuì e arrestò la macchina un centinaio di metri più giù.
«Faccio in un lampo» disse sbattendosi lo sportello alle spalle.
«Io esco a prendere una boccata d’aria» disse Danny. «Il dolore alla testa se n’è andato,
ma mi sento un po’ stordito».
«Allora vengo con te» rispose Samuel imitandolo.
Murphil intanto, diversi metri più in là, stava discutendo animatamente con il benzinaio.
Danny si sedette sul cofano posteriore e così il cugino. Per qualche minuto restarono a
fissare in silenzio le colline lontane che si incontravano armoniosamente con l’orizzonte.
Poi Samuel, preso da una delle sue rare manifestazioni d’affetto, lo abbracciò, stringendolo
a sé.
«Allora, ti senti meglio?» chiese poggiandogli il mento sulla spalla.
«Abbastanza» rispose Danny con un sorriso.
Samuel, nonostante si comportasse da bulletto e talvolta da viziato, nascondeva in realtà
un carattere tenero e fragile. Era molto affezionato a Danny. Da quando era entrato nella
loro vita il suo rapporto col padre aveva cominciato a prendere il giusto verso. A Danny
doveva anche i tanti bei momenti che passavano insieme, momenti che in caso contrario
avrebbe quasi sicuramente vissuto in solitudine. Tra i parenti degli Sharefield, infatti,
Samuel era l’unico della sua età e da piccolo si annoiava spesso tra le mura domestiche.
Erano così uniti che sin dall’inizio i genitori di Samuel si accertarono che frequentassero la
stessa scuola e la stessa classe.
«Guarda guarda!» disse una voce spavalda alle loro spalle. «Non sapevo che stavate
insieme. Quando vi siete innamorati?».
Si fecero avanti due ragazzi dall’aria poco perbene. Il più basso, a giudicare dal modo in
cui si atteggiava, doveva essere il capo. Indossavano un abbigliamento del genere “tutto io e
niente gli altri”. Avevano giubbotti di pelle scura e ai piedi portavano degli anfibi neri
disseminati di bulloni. Ai pantaloni avevano agganciate delle catenelle che partivano dalle
giubbe lucide.
«Che cosa vuoi?».
Danny aveva imparato a conoscere Norton e la sua banda, i Ferrati, come si facevano
chiamare. Passò subito all’unica difesa plausibile con quei tipi, l’attacco.
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«Non ti scaldare, biondino» disse Norton passandosi una mano sui capelli ingelatinati.
«Perché non partecipi a un concorso di bellezza!» lo provocò Samuel preparandosi a
qualunque reazione. «Magari se sei fortunato ti nominano reginetta del cavolo!».
«Tieni a freno la lingua, coniglio! Ho già dei conticini in sospeso da regolare con te!
Così non fai che peggiorare la tua posizione!».
I due si tolsero gli occhiali da sole e presero a girare intorno, guardandoli in cagnesco.
Danny sapeva bene a cosa pensavano. Di certo meditavano sul come spassarsela a loro
spese.
«Siete fortunati a incontrarci solo in due oggi!» disse Norton con aria tronfia. «Appena
riunisco il gruppo vi preparo una sorpresina niente male!».
«Già!» gli fece eco stupidamente lo scagnozzo.
Norton proseguì come se nessuno avesse aggiunto nulla. Era solito non ascoltare i suoi
ottusi seguaci, a meno che ponesse prima loro una domanda.
«Stavo pensando che forse possiamo pareggiare quella volta che...».
«Perché hai messo il muso fuori dalla tana?» chiese Danny con finta curiosità. «Credevo
che almeno oggi restassi insieme alla mammina ».
«Perché, ha una madre?» disse Samuel. «Ho sempre creduto che fosse un bastardo».
«Non sopporto di essere interrotto, tanto meno da te!» ringhiò Norton, fissando Danny
con occhi di ghiaccio. Poi rivolto a Sam: «Crescendo sei diventato più stupido di quanto mi
aspettassi, anche se non è sparito il senso del tuo altrettanto stupido umorismo».
Così dicendo, i due fecero scattare le lame dei loro coltellini automatici.
«Che paura!» disse Danny cercando di restare impassibile. Il guaio era che cominciava
ad averne sul serio. «Sei troppo vigliacco per batterti alla pari, vero?» proseguì cominciando
ad arretrare lentamente.
«Non lo farebbe mai a mani nude» intervenne il cugino. «lascerebbe il compito ai suoi
scagnozzi».
A un certo punto Danny si accorse che erano rimasti chiusi in una morsa. Dietro di loro
c’era la macchina parcheggiata, da un lato la strada con le auto che sfrecciavano a tutta
velocità, mentre dall’altra parte si innalzava una grossa parete colma di manifesti. Ora
potevano solo sperare che l’amico tornasse in tempo. Detto, fatto. I due bulli furono
improvvisamente inondati da un getto di benzina. In un primo momento la preoccupazione
di Norton fu rivolta ai suoi bei capelli e ai vestiti nuovi che ora gocciolavano puzzolenti.
Quando però si voltò concluse che la pelle gli era molto più cara. Adesso era Murphil a
stringerli in una morsa e in mano teneva un bell’accendino, la cui fiamma a Norton parte più
pericolosa che mai.
«Se non sparite vi faccio evaporare!» abbaiò il ragazzo preso da un ridicolo, ma efficace
senso di onnipotenza.
I due se la diedero a gambe senza farselo ripetere due volte. Non avendo altra scelta,
dovettero fare un vero e proprio slalom per attraversare la strada tra le proteste degli
automobilisti.
«Grande!» disse Samuel ammirato.
In quel momento vide Murphil sotto una luce diversa e cominciò a portargli rispetto…
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