La fusione omogenea di enti non profit

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La fusione omogenea di enti non profit
Operazioni
straordinarie
La fusione omogenea
di enti non profit
di Gian Mario Colombo
L’approfondimento
La fusione omogenea tra enti non commerciali,
sebbene ammessa dalla prevalente dottrina, non è
espressamente contemplata dal codice civile.
Ai fini fiscali, il principio di neutralità delle fusioni e delle scissioni implica un sistema di rilevazione dei valori che è tipico della tassazione in
base al bilancio, proprio delle società che svolgono un’attività commerciale. Tuttavia, poiché
per gli enti non commerciali può accadere che
un’attività istituzionale statutariamente diventi
commerciale, si impone un’attenta distinzione tra
le due attività.
Riferimento
Codice civile, art. 2501-2505
Il codice civile, che disciplina la fusione delle società, nulla dispone, in realtà, relativamente alla fusione
omogenea degli enti non lucrativi di cui ai primi articoli del Libro Primo; è, invece, espressamente ammessa la fusione eterogenea (tra società ed ente non
commerciale)1.
La fusione omogenea tra enti non lucrativi, dopo la
riforma del codice civile del 2003, è pacificamente
ammessa dalla dottrina prevalente2.
Da ultimo, si è avuta qualche pronuncia della giurisprudenza (Tar Piemonte, sent. 29 giugno 2012, n.
781; cfr. in Tavola n. 1) che ha negato la possibilità
della trasformazione di associazione in fondazione,
in quanto, non essendo preceduta l’operazione di
trasformazione da un preventivo confronto con i
creditori dell’associazione, espone il patrimonio
della neocostiuita fondazione, in forza del principio
di conformità dei rapporti giuridici, a possibili azioni dei creditori dell’associazione.
Il codice civile prevede per le società due forme di
fusione: la «propria» (o per unione) e la fusione per
incorporazione (o per aggregazione).
Per gli enti non profit è senz’altro attuabile la fusione per unione, ovvero «propria» attraverso la quale
gli enti esistenti generano una nuovo ente3.
È, altresì, ipotizzabile l’aggregazione fra due enti con
la quale uno prosegue l’attività in seno all’altro, che
si riconduce giuridicamente alla fusione per incorporazione, dovendosi opportunamente richiamare,
come testé detto, ad uno schema legislativo tipico4.
Per le associazioni, in particolare, ci si pone il problema se debba esservi un legame tra di esse per poter procedere alla fusione per incorporazione.
Non è necessario che intercorra un rapporto partecipativo; la fusione, in questo caso, si configura come operazione straordinaria modificativa della
struttura dell’ente ed alternativa alla messa in liquidazione dell’ente aggregato con devoluzione del
patrimonio a favore dell’altro.
Procedimento di fusione
Il codice civile non detta indicazioni sul procedimento di fusione solo fra enti non profit.
Gian Mario Colombo - Dottore commercialista
Note:
1 La fusione è presupposta anche dalla disciplina dell’impresa sociale di cui al D.Lgs n. 155/2006, il quale all’art. 13 dispone
che «per le organizzazioni che esercitano un’impresa sociale, la
trasformazione, la fusione e la scissione devono essere realizzate in modo da preservare l’assenza di scopo di lucro di cui all’art. 3 dei soggetti risultanti dagli atti posti in essere».
2 Si veda per tutti A. Fusaro, «Trasformazione e fusione tra enti
non profit», in Quaderni della Rivista di diritto civile, n. 10, pag.
133 ss.
3 Cfr. G.M. Colombo - M. Piscetta, Dalla riforma del codice civile
operazioni straordinarie per gli enti non profit, IPSOA, 2006.
4 Cfr. G.M. Colombo - M. Poletto, Enti non profit in pratica, IPSOA, pag. 324: «Non paiono esistere motivazioni che ostacolano un’operazione tramite la quale, ad esempio, un’associazione ne incorpora un’altra o una fondazione assorbe un’associazione».
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Operazioni
straordinarie
È da ritenere che non sia plausibile l’estensione delle regole sancite5 dagli artt. 2501 ss. alla fusione tra
due associazioni (sia riconosciute, sia non riconosciute), almeno in ragione della non surrogabilità
del Registro delle imprese con quello delle persone
giuridiche6.
Più in generale, si pensa che l’impossibilità di forme
di pubblicità legale non è impeditiva dell’operazione.
Semplicemente, non è stato ritenuto necessario, rispetto agli enti in questione, che la tutela degli interessi dei creditori, dei terzi in genere, richieda la
predisposizione di un sistema di pubblicità basato su
pubblico registro nel quale iscrivere l’operazione.
Ciò nonostante, nulla vieta, soprattutto in casi di
particolare complessità, che venga seguita la procedura prevista per le società (ex art. 2501 ss del c.c.);
in ogni caso, alcuni atti andranno formalizzati:
quantomeno, la volontà da parte dell’organo competente di procedere alla fusione e il formale atto di
fusione.
In particolare, non è necessario, per gli enti non lucrativi, redigere il progetto di fusione, almeno nelle
modalità previste dal codice civile, né la relazione
dell’organo amministrativo che è obbligatoria nelle
società, soprattutto per stabilire i rapporti di cambio
tra i soggetti che si fondano.
A tal proposito, si osserva che, nelle società, il rapporto di cambio è la rappresentazione sintetica del
confronto tra i valori dei patrimoni delle società
partecipanti alla fusione; esso trova applicazione nel
rapporto che esprime il prezzo di scambio delle
azioni o quote detenute dai soci di una delle due
società partecipanti alla fusione, rispetto alle azioni
detenute dai soci dell’altra società.
Con riferimento alle associazioni, pur permanendo,
in alcuni casi, l’esigenza di attribuire un valore economico7 a entrambi i patrimoni degli enti partecipanti alla fusione per pesare ciascuna, sono diverse le
finalità rispetto alla società.
Infatti, nelle associazioni, sussiste autonomia patrimoniale rispetto agli associati, i quali non vantano
alcun diritto di ordine patrimoniale nei confronti
dell’ente.
Non si può, quindi, in questo caso, parlare di rapporto di cambio nel senso tecnico-giuridico, proprio delle società.
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Due casi particolari di fusione
A) Organizzazione di volontariato
Dopo l’entrata in vigore dell’art. 30 del D.L. 29 novembre 2008, n. 1858, si è fatto più insistente il dibattito sulla possibile esistenza di due categorie di
OdV iscritte nei Registri di cui alla legge quadro sul
volontariato: quelle che esercitano attività commerciali e produttive marginali (art. 5 della legge n.
266/1991), e quelle che esercitano attività commerciali tout court, cioè eccedenti i limiti di marginalità.
A prescindere dal fatto che le attività commerciali e
produttive marginali sono puntualmente specificate
nel D.M. 25 maggio 1995, non sembra che in esse
possano farsi rientrare le attività svolte, con un’organizzazione inevitabilmente di carattere imprenditoriale, da un organismo che gestisce servizi sociali,
data la complessità di gestione di tali servizi in una
società moderna. Attività che, sotto il profilo fiscale,
possono considerarsi commerciali.
Se così stanno le cose, le soluzioni ipotizzabili, per
uscire da una situazione che potrebbe portare alla
perdita di qualifica di ONLUS di diritto, sembrano
essere sostanzialmente due:
1) la rinuncia alla qualifica di OdV, assumendo la qualifica di ONLUS qualora le attività esercitate lo
consentano, e la trasformazione dell’associazione
in un altro soggetto, ad esempio, in fondazione;
2) lo scorporo delle attività considerate fiscalmente
«commerciali» e il trasferimento ad altro soggetto
(non profit) che, tuttavia, sia più idoneo a gestire
attività economiche e ad offrire garanzie di stabilità e di conservazione del patrimonio.
In ogni caso, sia che si parli di trasformazione di orNote:
5 Cfr. A. Fusaro, op. cit, loc. cit, pag. 144.
6 Qualora la fusione coinvolga enti non profit dotati di personalità giuridica, quali associazioni riconosciute o fondazioni,
vengono in rilievo le disposizioni di cui all’art. 4, comma 2,
D.P.R. n. 361/2000, il quale prevede che nel Registro delle
persone giuridiche, istituito presso la prefettura, devono essere
iscritte tra l’altro «le modificazioni dell’atto costitutivo e dello
statuto» delle persone giuridiche private.
7 Cfr. G.M. Colombo - M. Setti, Contabilità, bilancio, controllo degli
enti non profit, IPSOA, 2002, pag. 455.
8 Convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.
2. Per la parte che ci interessa, dispone che le OdV che esercitano attività commerciali tout court perdono la qualifica di
ONLUS di diritto.
Operazioni
straordinarie
ganizzazione di volontariato,
In tale contesto, dunque, un
Osservazioni
di cessione a titolo gratuito di
obbligo di devoluzione del
azienda di una OdV o di fupatrimonio non sarebbe sufTrasformazione di OdV
sione con altro soggetto non
fragato da alcuna disposizione
in fondazione
profit (ad esempio, fondaziodi legge né dalla prassi.
Nell’ipotesi di trasformazione di un’organizzazione), il tema che si pone (come
Inoltre, per lo specifico caso
ne di volontariato in fondazione, le Linee guida sui
Registri del volontariato hanno evidenziato la diffianche nel caso di semplice
della trasformazione, le Linee
coltà
di
applicazione
di
un
eventuale
vincolo
cancellazione dal Registro del
guida sui Registri del Volondevolutivo specialmente per quelle ipotesi che
Volontariato per rinuncia da
tariato (emanate dall’Agenzia
attraverso
la
trasformazione
mantengano
il
patriparte del soggetto interessato)
per il Terzo Settore in piena
monio nel circolo virtuoso dell’utilità sociale,
è quello dell’obbligo o meno
condivisione con le Regioni)
come
conseguenza
dell’iscrizione
dell’ente
trasfordella devoluzione del patrievidenziano la difficoltà di
mato in altri Registri di simile valenza.
monio.
applicazione di un eventuale
Con riferimento alla casistica
vincolo devolutivo, specialsopra descritta, ci interessa affrontare i seguenti ar- mente per quelle ipotesi che attraverso la trasformagomenti:
zione mantengano il patrimonio nel circolo virtuo1) la trasformazione di un’organizzazione di volon- so dell’utilità sociale, come conseguenza dell’iscritariato in fondazione;
zione dell’ente trasformato in altri Registri di simi2) la fusione di un’organizzazione di volontariato le valenza10.
con una fondazione
Trasformazione di un’organizzazione
di volontariato in fondazione
La giurisprudenza definisce la trasformazione come
un mutamento del modello organizzativo del gruppo sociale il quale comporta la sola modificazione
dell’atto costitutivo diretta ad eliminare gli elementi
incompatibili con il nuovo tipo di soggetto previsto.
Ciò implica una continuità del soggetto e, in genere, dell’attività svolta9.
Pertanto, in tale ipotesi, non si estinguerebbe né si
costituirebbe alcun ente.
Ciò premesso, in relazione ad una eventuale devoluzione del patrimonio è, dunque, necessario porre
attenzione a quanto prescritto dalle disposizioni di
legge e, nel caso di specie, dall’art. 5, comma 4 della legge n. 266/1991 il quale, in caso di scioglimento, cessazione ovvero estinzione (eventi che determinano dunque il dissolvimento dell’ente), dispone
che «indipendentemente dalla loro forma giuridica,
i beni che residuano dopo l’esaurimento della liquidazione sono devoluti ad altre organizzazioni di volontariato operanti in identico o analogo settore, secondo le indicazioni contenute nello statuto o negli
accordi degli aderenti, o, in mancanza, secondo le
disposizioni del codice civile».
Fusione di un’organizzazione
di volontariato con una fondazione
In tale contesto, sembra esservi un certo margine di
incertezza in ordine all’obbligo di devoluzione del
patrimonio, in ragione del fatto che nel caso di una
fusione si assisterebbe, di fatto, all’incorporazione
(seppur in senso «atecnico») di un ente in un altro.
In tale caso, pur non potendosi parlare di estinzione
Note:
9 Cass. 4 novembre 1998, n. 11077; Cass. 8 aprile 1998, n. 3638;
Cass. 28 giugno 1997, n. 5798.
10 Non va dimenticata la cessione gratuita di azienda da ODV a
Fondazione ONLUS. È un’altra ipotesi ricorrente nel momento in cui si perdono i requisiti per mantenere la qualifica
di organizzazione di volontariato.
Tale ipotesi si configura quale donazione di azienda la quale
darebbe luogo ad uno svuotamento dell’ente donante a favore
di un altro soggetto.
La qualifica di ONLUS del cessionario, tuttavia, non rileva sino al punto da giustificare la legittimità dell’operazione giacché essa potrebbe essere valutata elusiva rispetto alla disposizione inerente alla devoluzione del patrimonio disposta dall’art. 5, comma 4 della legge n. 266/1991, in particolar modo
se dopo la donazione l’OdV venisse ad estinguersi.
Differente valutazione potrebbe esservi, invece, ove la donazione (o la cessione dietro corrispettivo) da un lato rispondesse ad
esigenze concrete (fronteggiare situazioni di crisi o altre valutazioni soggettive legittime) e, dall’altro, non portasse di fatto
ad uno svuotamento integrale delle attività svolte dalla OdV
che invece continuerebbe a svolgere altre attività anche dopo il
compimento di tale operazione.
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Operazioni
straordinarie
dell’ente, diviene evidente che
l’ente incorporato di fatto
cessa di esistere.
È pur vero, tuttavia, che si potrebbe sostenere che lo stesso
continua ad operare in seno
all’altro soggetto sempre con
finalità non lucrativa.
Il personale volontario (e non
volontario) dell’OdV potrebbe continuare a svolgere le attività per il nuovo ente.
Qualora sia l’OdV ad essere incorporata nella Fondazione
perderebbe la sua autonomia
giuridica e fiscale.
È da valutare, pertanto, l’ipotesi di devoluzione del patrimonio ai sensi dell’art. 5, comma
4 della legge n. 266/199111.
manifestarsi un fenomeno di
tipo realizzativo.
In sostanza, si opererebbe una
Fusione di un’OdV
con una fondazione
modifica, pur molto rilevante
In caso di fusione di un’OdV con una fondazione
ed estesa, degli atti costitutivi
sussiste un certo margine di incertezza in ordine
volta ad unire le due entità in
all’obbligo di devoluzione del patrimonio poiché, di
una sola15.
fatto, si assisterebbe all’incorporazione di un ente
Un’operazione di fusione sein un altro (l’ente incorporato cessa di esistere).
condo la linea indicata comPer raggiungere, comunque, l’obiettivo della fusioporta, oltre ad approfondine dei due enti si potrebbe prendere in consideramenti in materia canonica e
zione l’ipotesi della preventiva richiesta di cancivile, la valutazione fiscale
cellazione dell’OdV dal Registro del Volontariato,
delle eventuali imposte cone procedere, successivamente, alla fusione delseguenti.
l’associazione senza procedere allo scioglimento
L’Agenzia delle entrate ha già
dell’ente.
considerato, con la risoluzioIn caso di cancellazione di OdV dal Registro del
volontariato, si dovrebbe ritenere - qualora l’ente
ne n. 152/E del 15 aprile
continui la sua esistenza - non sussistente l’ob2008, un caso di fusione fra
bligo della devoluzione di cui all’art. 5 comma 4
due enti religiosi, evidenziandella legge n. 266/1991 che pone in stretta corredo alcune peculiarità e critilazione la devoluzione del patrimonio con l’estincità fiscali insite nell’operazione
dell’ente.
B ) Fusione di enti
zione16.
ecclesiastici
A questa, pertanto, si fa rinvio
Questa operazione presenta risvolti delicati inerenti per un primo esame (cfr. Tavola n. 2).
sia all’ambito civilistico, sia al diritto canonico.
Con riferimento agli istituti religiosi12, il Canone
581 così recita: «spetta all’autorità competente delNote:
l’istituto, a nome delle costituzioni, dividere l’istitu- 11 Per raggiungere, comunque, l’obiettivo della fusione dei due
enti si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi della preto stesso in parti, con qualunque nome designato,
ventiva richiesta di cancellazione dall’OdV dal Registro del
erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o
Volontariato, e procedere, successivamente, alla fusione dell’ascircoscriverle in modo diverso»13.
sociazione senza procedere allo scioglimento dell’ente.
In caso di cancellazione di OdV dal Registro del volontariato
Per quanto riguarda gli istituti religiosi, si ritiene che
si dovrebbe ritenere, qualora l’ente continui la sua esistenza,
«i Superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto
non debba sussistere l’obbligo della devoluzione di cui all’art. 5
comma 4 della legge n. 266/1991 che pone in stretta correlapontificio siano i soggetti competenti all’erezione
la devoluzione del patrimonio con l’estinzione dell’ente.
delle provincie e delle case religiose del loro istituto». 12 zione
Questi soggetti sono di grande interesse per il nostro argoSotto il profilo procedurale, il primo passo da fare è,
mento in quanto, in genere, gestiscono servizi sociali, e, in
questo momento sono protagonisti di queste operazioni.
ottenere dunque, l’autorizzazione a procedere alla
13 Osserviamo, per inciso, che non è ammessa la fusione di un
fusione (per unione o per incorporazione) da parte
ente ecclesiastico con un ente di diritto civile.
14 In questo senso Enti ecclesiastici e attività notarile, AA.VV a cura
dell’autorità ecclesiastica competente.
V. Tozzi, Napoli, 1989.
Gli orientamenti dottrinali ritengono «perfettamen- 15 di
Sono da valutare le opportunità di utilizzare una fusione per
te consentite tutte le operazioni» straordinarie fra
incorporazione (in cui, ad esempio, la «provincia lombarda» assorbe quella «piemontese» ) oppure «per unione» (in cui si coenti ecclesiastici all’interno dei singoli diritti constituisce ex novo la nuova provincia alla quale sono fatte confessionali14, compresa quella di attuare una fusione.
fluire le identità e patrimoni delle due attualmente esistenti.
Con tale operazione, i diritti e patrimoni dei due 16 L’Agenzia esprime un parere di fattibilità, ove l’operazione risulti attuabile dal punto di vista del sistema giuridico di riferienti esistenti verrebbero trasfusi nel nuovo ente,
mento, ma rileva che sia dovuta l’imposta di registro in misura
senza soluzione di continuità, e senza che si abbia a
proporzionale del 3% sui patrimoni di fusione.
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n. 12/2012
Soluzioni operative
Operazioni
straordinarie
Riconoscimento civile
È importante, in funzione di numerosi profili di esame, che una volta ottenuto il riconoscimento canonico, il nuovo ente, risultante dalla fusione, proceda
per ottenere il riconoscimento anche «civile», qualificandosi come «ente ecclesiastico civilmente riconosciuto».
La fonte normativa di riferimento è rappresentata
dall’art. 7 comma 2 dell’Accordo tra Stato e Chiesa Cattolica del 198417 che prevede: «... ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono sprovvisti alla data di emanazione
del citato provvedimento, la Repubblica italiana, su
domanda dell’autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia,
eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di
culto».
L’ottenimento del riconoscimento civile, per l’ente
ecclesiastico, è condizionato dalla verifica dell’esistenza, in capo all’ente, del requisito essenziale di
perseguimento di finalità di religione o di culto.
Gli «istituti religiosi» sono considerati, tuttavia,
come aventi ex lege «finalità di religione o di culto», disponendo in tale senso l’art. 2 della legge n.
222/1985; l’art. 7 della medesima legge, permette, inoltre, il riconoscimento dell’istituto in quanto tale, delle sue province e delle singole case, ad
alcune condizioni che per le «province» si riassumono nella richiesta che la loro attività sia limitata al territorio dello Stato o ai territori di missione.
Dal punto di vista procedurale, la pratica volta all’ottenimento del riconoscimento civile, quale «ente ecclesiastico civilmente riconosciuto» (per il riconoscimento di una «provincia di diritto pontificio»), è rivolta alla Prefettura competente in funzione della sede legale dell’ente da riconoscere, con
produzione di una corposa serie di documenti18,
così come indicati:
• istanza di riconoscimento;
• assenso della competente Autorità ecclesiastica al
riconoscemento giuridico;
• decreto di erezione canonica o di approvazione;
• attestato della Santa Sede da cui risulti che l’atti-
vità del nuovo soggetto sia limitata al territorio
dello Stato o a territori di missione;
• dichiarazione del legale rappresentante relativa al
possesso della cittadinanza italiana e del domicilio
in Italia.
Si approfondiscono ora gli aspetti fiscali della fusione, peraltro comuni alle fusioni omogenee di tutti
gli enti non commerciali, cui gli enti ecclesiastici
appartengono (art. 149, comma 4 del TUIR).
Aspetti fiscali
della fusione
Sotto il profilo fiscale, per gli enti non commerciali
è necessario preliminariamente distinguere nella loro gestione l’attività istituzionale (cioè l’attività statutaria volta al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente) dalle attività commerciali, eventualmente svolte allo scopo di procacciare mezzi finanziari da mettere a disposizione della sfera istituzionale.
In questo esame, il paradosso che si può verificare è
che un’attività istituzionale statutariamente può diventare commerciale ai fini fiscali (cfr.art. 73 comma 4 e art. 55 comma 2 lett. a del TUIR).
Per quanto riguarda le attività svolte, si impone,
dunque, un’attenta considerazione della distinzione
tra attività istituzionale e attività commerciale19.
Questa distinzione è fondamentale per capire il diverso trattamento fiscale dell’operazione di fusione
ai fini delle imposte dirette.
Per inciso, come vedremo, ai fini dell’imposta di reNote:
17 Si tratta dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, che apporta modificazioni al Concordato dell’11 febbraio
1929, firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo
con la legge 20 marzo 1985, n. 121, entrato in vigore il 3 giugno 1985.
18 Riassunti e sistematizzati nella Circolare n. 111 del 20 aprile
1998 del Ministero dell’Interno-Direzione generale degli affari dei culti.
19 Cfr. G.M. Colombo - M. Setti, Contabilità, bilancio, controllo degli
enti non profit,VI ed., IPSOA, 2012, pag. 63 ss.
Questo discorso vale sia ai fini delle imposte dirette, sia dell’IVA. Oltre a ciò, si tenga presente che, ai fini dei due tributi,
rileva solamente l’attività commerciale.
Ai fini delle imposte dirette, occorre avere presente anche ulteriore classificazone tra attività decommercializzate (cfr., ad
esempio, art. 148, comma 3 del TUIR) o, quindi, istituzionali;
nonché le attività commerciali ma non imponibili (art. 143
comma 3, lett. b).
n. 12/2012
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Operazioni
straordinarie
gistro, nel caso della fusione, rileva, invece, la distinzione tra ente commerciale ed ente non commerciale, nel senso che si ha un diverso trattamento a
seconda della natura (commerciale o non commerciale) dell’ente.
Per quanto riguarda i beni, ai sensi dell’art. 65 comma 1 del TUIR (richiamato per gli enti non commerciali dall’art. 144 comma 3 dello stesso TUIR)
sono relativi all’impresa (cioè all’attività commerciale) «i beni che siano indicati nell’inventario tenuto a
norma dall’art. 2217 del codice civile», a nulla rilevando l’utilizzo nella sfera istituzionale o commerciale degli stessi.
Vediamo ora la disciplina ai fini delle imposte dirette e indirette.
Imposte indirette
I passaggi di beni, a seguito di atti di fusione o di
trasformazione di società e di analoghe operazioni
poste in essere da altri enti, non sono soggetti ad
IVA, ai sensi dell’art. 2 comma 3 lett. f) del D.P.R.
n. 633/1972.
Per il principio dell’alternatività IVA/imposta di registro, i relativi atti devono essere, pertanto, assoggettati all’imposta di registro.
In quest’ottica, è necessario chiarire se l’imposta di
registro debba essere applicata in misura fissa oppure proporzionale (3%).
In base alla risoluzione n. 152/E del 15 aprile 200820,
si osserva che l’applicazione alle operazioni di fusione dell’imposta di registro in misura fissa è subordinata alla condizione che le stesse avvengano tra società od «enti aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola».
In altri termini, l’imposta è applicabile in misura fissa solo per gli enti di cui all’art. 73, comma 1, lett.
b) del D.P.R. n. 917/1986, cioè per gli enti commerciali.
Se la fusione avviene tra due enti non commerciali,
la risoluzione n. 152/E è perentoria: «l’imposta di
registro deve essere applicata nella misura proporzionale del 3%», così come dispone l’art. 9 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986.
Come base imponibile, si ritiene opportuno fare riferimento al valore del patrimonio netto dell’incorporata.
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n. 12/2012
Imposte dirette
Occorre verificare anzitutto la posizione fiscale degli enti che si fondono.
Il trattamento fiscale, ai fini delle imposte sul reddito, trova diversa applicazione a seconda che i beni
siano relativi a un’attività di impresa o all’attività
istituzionale dell’ente.
Sotto questo profilo, un caso interessante ci sembra
essere quello degli enti di tipo associativo.
Nell’ipotesi che si tratti della fusione di due associazioni, oltre alla disciplina degli enti non commerciali, è importante tener presente il regime speciale
degli enti di tipo associativo (art. 148 del TUIR).
Allo scopo distinguere le attività istituzionali da
quelli commerciali, conviene preliminariamente
esaminare l’art 148 del TUIR che prevede, ai comma 1, 2 e 3, quanto segue:
a) non è considerata commerciale l’attività svolta nei
confronti degli associati o partecipanti in conformità alle finalità istituzionali a fronte del versamento della quota associativa (comma1);
b) si considerano, tuttavia, attività commerciali i
contributi e le quote supplementari determinati
in funzione delle maggiori o diverse prestazioni
alle quali i soci hanno diritto (le cd. quote differenziate); le quote differenziate hanno, dunque,
un contenuto commerciale, in quanto sono il
corrispettivo dovuto in base ad un rapporto sinallagmatico instauratosi tra soci ed ente (comma
2);
c) in deroga alla previsione normativa di cui sopra,
nei confronti di alcune associazioni (cd. privilegiate) opera una presunzione di non commerciabilità delle attività compiute in favore dei soci in
conformità delle attività istituzionali, anche dietro le corresponsioni di uno specifico corrispettivo (comma 3). Si ha, quindi, una sorta di «istituzionalizzazione» delle attività commerciali, compiute in favore di soci.
d) il comma 4 chiude l’articolo in esame elencando
una serie di attività che sono considerate, sempre
e comunque, commerciali e, quindi, imponibili,
anche se esercitate dagli enti di cui al comma 3.
Nota:
20 In Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
Operazioni
straordinarie
Tra di esse, alcune interessano in modo del tutto particolare gli enti: la somministrazioni di pasti, le prestazioni alberghiere e di alloggio, organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, gestione di spacci aziendali e
di mense21.
plusvalenze imponibili per
effetto della destinazione dei
beni a finalità estranee alFusione tra enti non commerciali
l’esercizio di impresa.
che non svolgono
• per i beni facenti parte delattività commerciale
l’ambito istituzionale, si avrà
La fusione tra due enti non commerciali che non
un regime di neutralità fiscale
svolgono attività commerciale può avvenire in regime di neutralità fiscale?
nel caso in cui, al termine
Per ciò che riguarda le componenti fiscalmente
dell’operazione, gli stessi faccommerciali degli enti interessati alla fusione,
ciano ugualmente parte delvalgono i principi di neutralità applicabili alle fuFusione tra enti
l’ambito istituzionale dell’ensioni
fra
società,
ove
«le
aziende
fiscali»
confluinon commerciali
te risultante; mentre, nel caso
scano al termine dell’operazione nell’ambito comche non svolgono
in cui rientrino nell’ambito
merciale dell’ente risultante.
attività commerciale
commerciale, al termine della
Laddove le componenti facenti parte dell’ambito
Il problema che ci si pone è
procedura potrebbero emercommerciale di uno degli enti partecipanti alla
se, in applicazione dell’art. 174
gere eventuali componenti
fusione confluiscano nell’ambito istituzionale
(che richiama il 172) del
imponibili ai sensi dell’art.
dell’ente non commerciale risultante o esistente al
TUIR, si possa ritenere che la
171, comma 2, ove sussistano
termine dell’operazione, si renderà applicabile
fusione tra due enti non comtaluni dei presupposti previsti
l’art. 171, comma 1 del TUIR in materia di trasformerciali che non svolgono atdagli artt. 67 e 68 del TUIR.
mazione eterogenea, con emersione di plusvalenze imponibili per effetto della destinazione
tività commerciale possa avL’ipotesi più semplice, è queldei
beni
a
finalità
estranee
all’esercizio
di
imvenire in regime di neutralità
la che potrebbe verificarsi tra
presa.
fiscale.
due enti non commerciali
Per
i
beni
facenti
parte
dell’ambito
istituzionale,
Tenendo presenti le precisache esercitano solo attività
si avrà un regime di neutralità fiscale nel caso in
zioni fornite dall’Agenzia delistituzionali.
cui,
al
termine
dell’operazione,
gli
stessi
facciale entrate (risoluzioni n.
I beni dell’ente che viene inno ugualmente parte dell’ambito istituzionale
152/E del 15 aprile 2008 e n.
corporato che non sono reladell’ente risultante; mentre, nel caso in cui rientri162/E del 18 aprile 2008), il
tivi all’impresa, confluiscono
no nell’ambito commerciale, al termine della
percorso logico da seguire, nei
nell’attività istituzionale delprocedura potrebbero emergere eventuali comcasi di fusione degli enti non
l’incorporante.
ponenti imponibili, ove sussistano taluni dei precommerciali, è così sintetizzaSul punto, la risoluzione n.
supposti previsti dagli artt. 67 e 68 del TUIR.
22
bile :
162/E del 18 aprile 2008 ha
• per ciò che riguarda le
affermato che, se si verificano
componenti fiscalmente commerciali degli enti queste condizioni,«l’operazione sarà fuori dal regiinteressati alla fusione, valgono i principi di neu- me di impresa».
tralità normalmente applicabili alle fusioni fra so- Nella fusione tra associazioni questa ipotesi può facietà, ove «le aziende fiscali» confluiscano al ter- cilmente verificarsi.
mine dell’operazione nell’ambito commerciale
dell’ente risultante.
Note:
• ove le componenti facenti parte dell’ambito 21 I commi successivi pongono delle eccezioni in senso ulteriormente agevolativo in capo ad alcune associazioni privilegiate
commerciale di uno degli enti partecipanti alla
(ad esempio, associazioni di promozione sociali, associazioni
fusione confluiscano nell’ambito istituzionale
religiose, associazioni sindacali e di categoria) di cui occorre
dell’ente non commerciale risultante o esistente
tenere conto.
Alcuni requisiti di carattere formale particolarmente imporal termine dell’operazione, si renderà applicabitanti sono posti dal comma 8 dell’articolo in commento.
le l’art. 171, comma 1 del TUIR in materia di 22 Cfr. G.M. Colombo-M. Poletto, Enti non profit in pratica, II ed.,
IPSOA, 2012, pagg. 326- 327.
trasformazione eterogenea, con emersione di
Il problema e la soluzione
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Operazioni
straordinarie
Tavola n. 1 – TAR Piemonte Torino, Sez. I, sentenza 29 giugno 2012, n. 781
Svolgimento del processo
1. L’ente ricorrente è un organismo di conciliazione, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 5 del 2003.
2. Costituito nel 2001 come “associazione non riconosciuta”, con l’entrata a regime degli organismi di conciliazione ha chiesto e ottenuto l’iscrizione nell’apposito albo nel 2007. Lo stesso anno ha ottenuto dal Ministero della
Giustizia l’accreditamento tra gli enti abilitati a tenere corsi di formazione per i conciliatori.
3. Con delibera dell’assemblea straordinaria del 29.12.2010, l’associazione ha stabilito di trasformarsi in “fondazione” e, con successiva istanza del 19.04.2011, ha chiesto al Prefetto di Torino il riconoscimento della personalità giuridica mediante iscrizione nel relativo registro, ai sensi del D.P.R. n. 1 del 10 febbraio 2000, n. 361.
4. Il Prefetto di Torino, disposto un supplemento istruttorio ed acquisito un parere del Ministero dell’Interno, con
Provv. n. 2011/2609 del 26 ottobre 2011 notificato il 02.11.2011, ha respinto l’istanza.
Nella motivazione del diniego il Prefetto, richiamando il contenuto del parere reso dal Ministero, ha osservato, in
particolare, che “in assenza di specifiche disposizioni normative che contemplino espressamente la fattispecie della trasformazione di una Associazione in Fondazione ed alla luce della recente giurisprudenza (Cons. Stato, parere
Commissione Speciale n. 288 del 20 dicembre 2000; TAR Toscana, sez. IV, sentenza n. 5802/04; TAR Lazio Roma,
sez. I ter, ordinanza n. 460 del 29 gennaio 2009), non si possa procedere al riconoscimento di una Fondazione derivante dalla trasformazione di una Associazione, anche se non riconosciuta”.
5. Con ricorso notificato il 30.12.2011-03.01.2012 e depositato l’11.01.2011, la “Fondazione” Aequitas ha impugnato il predetto diniego dinanzi a questo TAR e ne ha chiesto l’annullamento sulla base di un unico, articolato
motivo con il quale ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili.
In particolare, ha dedotto:
a) la violazione del principio di autonomia contrattuale, in forza del quale tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge deve ritenersi consentito, purché diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico;
b) la violazione dei principi di semplificazione e di economia dei mezzi giuridici, dal momento che il medesimo
risultato osteggiato dall’Amministrazione può comunque essere realizzato attraverso l’estinzione dell’associazione e la costituzione ex novo della fondazione, con inutile dispendio di mezzi e risorse;
c) la violazione delle garanzie partecipative di cui all’art. 10-bis L. n. 241 del 1990, non avendo l’amministrazione
preso in considerazione le articolate osservazioni presentate dall’interessata a seguito della comunicazione del
preavviso di diniego;
d) la violazione dei principi di corretta conduzione dell’istruttoria amministrativa, di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa, avendo l’amministrazione imposto all’interessata un’inutile ed onerosa attività
istruttoria, pur avendo sostanzialmente già deciso di respingere l’istanza;
e) lo sviamento di potere, avendo la Prefettura sindacato un aspetto (quello della trasformabilità di un’associazione
non riconosciuta in fondazione) ultroneo rispetto a quelli demandati per legge al suo controllo ai fini del riconoscimento della personalità giuridica.
La ricorrente ha chiesto altresì la condanna dell’Amministrazione dell’Interno al risarcimento del danno sofferto a
causa dell’illegittima richiesta di supplemento istruttorio, quantificandolo in Euro 4.950,22.
6. Si è costituito il Ministero dell’Interno, depositando documentazione e resistendo al gravame con memoria.
7. All’udienza in camera di consiglio del 26 gennaio 2012, su richiesta del difensore di parte ricorrente, la trattazione dell’istanza cautelare è stata rinviata al merito, con contestuale fissazione dell’udienza di discussione per il
giorno 31 maggio 2012.
8. In prossimità di quest’ultima, la difesa di parte ricorrente ha depositato una memoria conclusiva.
Anche la difesa erariale ha prodotto un nuovo documento e una memoria integrativa, di cui, tuttavia, non si terrà
conto ai fini della decisione perché tardivi.
9. Quindi, all’udienza pubblica del 31 maggio 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
1. È controverso in giudizio se un’associazione non riconosciuta possa trasformarsi in via diretta in fondazione, o
se, invece, per conseguire tale risultato, gli interessati debbano prima estinguere l’associazione per poi costituire
ex novo la fondazione.
La ricorrente sostiene la prima delle due tesi, richiamando principi generali di diritto civile e amministrativo e suffragando la propria tesi con un autorevole contributo dottrinale.
L’Amministrazione sostiene la tesi opposta uniformandosi ad alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa, espressamente richiamate nella motivazione del diniego impugnato (Cons. Stato, parere Commissione Speciale
n. 288 del 20 dicembre 2000; TAR Toscana, sez. IV, sentenza n. 5802/04; TAR Lazio Roma, sez. I ter, ordinanza n.
460 del 29 gennaio 2009).
2. Il collegio condivide la tesi dell’Amministrazione, sulla base delle seguenti considerazioni.
2.1. Il codice civile ed il D.P.R. n. 361 del 2000 regolamentano in maniera compiuta il processo di personificazione delle associazioni e delle fondazioni, le modifiche dei relativi atti fondamentali e la relativa estinzione,
senza che all’interno di tale corpus normativo trovi disciplina la trasformazione dell’associazione (ente a base
personale i cui organi direttivi rimangono sotto l’immanente controllo della base associativa) in fondazione
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Operazioni
straordinarie
(patrimonio destinato ad uno scopo e soggetto, in quanto privo di base associativa, ad attività di controllo e
vigilanza da parte della pubblica Autorità).
Solo attraverso un apposito intervento legislativo di riforma della disciplina societaria (D.Lgs. n. 6 del 2003) è
stata consentita la trasformazione eterogenea da società di capitali in associazioni non riconosciute e in fondazioni (art. 2500 septies c.c.) e la trasformazione eterogenea da associazioni riconosciute o da fondazioni in
società di capitali (art. 2500 octies c.c.).
2.2. Se davvero operasse, in materia, il principio di autonomia contrattuale - come sostiene parte ricorrente - non
si spiegherebbe la ragione per la quale il legislatore abbia ritenuto di disciplinare espressamente i casi di trasformazione eterogenea da società in associazioni e viceversa, che pure non erano espressamente vietati nel
sistema antecedente alla riforma del 2003.
La tesi di parte ricorrente, secondo cui in ambito civilistico il principio di legalità sarebbe recessivo rispetto al
principio di autonomia contrattuale (di modo che i privati sarebbero legittimati a perseguire interessi meritevoli di tutela utilizzando strumenti negoziali anche atipici, purché non espressamente vietati dalla legge) nel
caso di specie non è conferente, appunto perché non spiega per quale motivo il legislatore del 2003 abbia ritenuto di autorizzare espressamente, dettando una specifica disciplina, ipotesi di trasformazione eterogenea
che pure non erano espressamente vietate dall’ordinamento giuridico allora vigente e che, pertanto, alla stregua della tesi sostenuta dalla ricorrente, avrebbero dovuto ritenersi implicitamente consentite, in forza del
principio di libertà negoziale.
2.3. In realtà, proprio tale constatazione induce semmai alla conclusione opposta, e cioè a ritenere che nel vigente ordinamento giuridico la trasformazione eterogenea di enti non è, in linea di principio, consentita, salvo i
casi in cui sia espressamente prevista dalla legge; e non è consentita perché, in tutti i casi di trasformazione
eterogenea, il principio di autonomia contrattuale deve essere necessariamente bilanciato con altri interessi
potenzialmente configgenti, di natura sia pubblica che privata.
2.4. In particolare, nel caso specifico di trasformazione di un’associazione non riconosciuta in fondazione vengono in rilievo, da un lato gli interessi privati dei creditori della costituenda fondazione, dall’altro l’interesse
pubblico al conseguimento dello scopo di pubblica utilità per il quale l’ente è stato costituito e in vista del
quale esso viene “riconosciuto” dalla Pubblica Amministrazione.
Entrambi i predetti interessi sono garantiti dalla solidità e dalla stabilità nel tempo del fondo di dotazione dell’ente, aspetti che il Prefetto è tenuto per legge a valutare ai fini dell’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche (art. 1 comma 3 D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361).
Tale valutazione preventiva viene ad essere impedita nel caso di trasformazione diretta di un’associazione
non riconosciuta in fondazione in quanto, mancando una fase preventiva di confronto con i creditori dell’associazione (diversamente da quanto previsto in materia societaria dall’art. 2500 novies c.c, dove si prevedono
oneri di pubblicità dell’atto pubblico di trasformazione e la facoltà dei creditori dell’ente di provenienza di fare opposizione alla trasformazione entro 60 giorni dall’ultimo adempimento pubblicitario, al fine di ottenere
il pagamento dei propri crediti), nel caso in esame la trasformazione non dà alcuna certezza sull’integrità del
patrimonio della neonata fondazione, dal momento che questo, per il principio di continuità dei rapporti giuridici, resta esposto all’alea di possibili azioni dei creditori dell’associazione, e come tale non consente al
Prefetto di valutarne l’idoneità a sostenere le finalità perseguite dal nuovo soggetto, né tale incertezza è superabile con chiarimenti o documentazione supplementare.
Nemmeno appare applicabile alla fattispecie in esame la disciplina di cui all’art. 2500 novies c.c. - come preteso dalla parte ricorrente - dal momento che, trattandosi di norma di carattere eccezionale inserita nel contesto di una disciplina che deroga al generale divieto di trasformazione eterogenea desumibile dal sistema, essa
non è suscettibile di interpretazione analogica.
Viceversa, attraverso l’estinzione dell’associazione non riconosciuta (previa liquidazione del patrimonio e
soddisfacimento degli eventuali creditori dell’ente) e la costituzione ex novo della fondazione, si dà vita ad
un soggetto giuridico nuovo ed estraneo alle pregresse vicende giuridiche della associazione, delle cui obbligazioni continueranno a rispondere, personalmente e illimitatamente, soltanto i legali rappresentanti che le
hanno contratte, secondo quanto previsto dall’art. 38 del cod. civ.
3. Alla stregua di tali considerazioni, ritiene il collegio che possano essere affermati i seguenti principi di diritto:
– è legittimo il diniego prefettizio di iscrizione nel registro delle persone giuridiche di una fondazione derivante in
via diretta, mediante trasformazione, da un’associazione non riconosciuta, dal momento che la predetta trasformazione (c.d. eterogenea), non essendo preceduta da un meccanismo preventivo di confronto con i creditori
dell’associazione (come invece previsto in ambito societario dall’art. 2500 novies c.c.), espone il patrimonio
della neocostituita fondazione, in forza del principio di continuità dei rapporti giuridici, a possibili azioni dei
creditori dell’associazione, così impendo al Prefetto, all’atto di autorizzare l’iscrizione della fondazione nel registro delle persone giuridiche, di verificare preventivamente l’adeguatezza del patrimonio dell’ente alla realizzazione dello scopo statutario, secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 3 del D.P.R. 10 febbraio 2000, n.
361;
– l’obiettivo di trasformare un’associazione non riconosciuta in fondazione deve necessariamente essere perseguito attraverso la preventiva estinzione dell’associazione (preceduta dalla fase di liquidazione degli eventuali creditori sociali) e la successiva costituzione ex novo della fondazione quale soggetto di diritto nuovo, autonomo e
titolare di un patrimonio svincolato dalle vicende e dai rapporti giuridici facenti capo alla pregressa associazio-
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Operazioni
straordinarie
ne, come tale suscettibile di essere valutato dal Prefetto sotto il profilo della adeguatezza al perseguimento dello
scopo statutario, ai fini dell’iscrizione dell’ente nel registro delle persone giuridiche e del riconoscimento della
personalità giuridica;
– l’art. 2500 novies c.c., nel prevedere, in ambito societario, la facoltà dei creditori dell’ente di provenienza di fare opposizione alla trasformazione eterogenea al fine di ottenere la liquidazione preventiva dei propri crediti,
detta una disciplina derogatoria rispetto ai principi generali desumibili dal sistema normativo e non è pertanto
suscettibile di applicazione analogica alla diversa fattispecie di trasformazione diretta di un’associazione non riconosciuta in fondazione.
4. Alla luce dei principi appena enunciati, ritiene il collegio che nel caso di specie nessuna delle censure proposte
dalla parte ricorrente possa essere condivisa, dal momento che il provvedimento impugnato:
a) non viola il principio di autonomia contrattuale, posto che nella specifica materia tale principio è recessivo rispetto al generale divieto, desumibile dal sistema normativo, di trasformazione eterogenea di enti, salvo i casi
espressamente consentiti;
b) non viola i principi di economia dei mezzi giuridici e di semplificazione, giacché la necessità di provvedere alla preventiva estinzione dell’ente associativo e alla successiva costituzione ex novo della fondazione risponde a
ragionevoli esigenze di tutela della solidità patrimoniale di quest’ultima, a sua volta funzionale alla garanzia dei
creditori dell’ente e al perseguimento dei fini statutari di pubblica utilità dell’ente stesso;
c) contiene una motivazione certamente adeguata del diniego impugnato, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali in essa richiamati, nei quali i predetti principi sono chiaramente enunciati;
d) non viola le garanzie partecipative dell’interessato, dal momento che l’onere di cui all’art. 10 bis, L. n. 241 del
1990 non comporta l’obbligo di puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata,
essendo al contrario sufficiente - ai fini della giustificazione del provvedimento adottato - la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso in rapporto alle risultanze complessivamente acquisite (Cons. Stato, sez. VI, 06 giugno 2011, n. 3354; T.A.R. Roma Lazio sez. II, 05 marzo 2012, n. 2214);
e) si è fondato su un’istruttoria adeguata, ragionevole e non meramente emulativa, finalizzata in modo particolare
a valutare l’idoneità del patrimonio dell’ente a realizzarne i fini statutari, secondo quanto prescritto dalla normativa di settore;
f) non ha valutato aspetti ultronei rispetto a quelli previsti dalla legge ai fini del riconoscimento della personalità
giuridica, dal momento che la verifica della adeguatezza patrimoniale dell’ente richiedente è, al contrario, uno
dei compiti precipui affidati dalla legge al Prefetto territorialmente competente.
5. Infine, nessuna evidenza processuale conforta la supposizione di un atteggiamento preconcetto dell’Amministrazione procedente. Tutte le integrazioni istruttorie sono state richieste dalla Prefettura in data antecedente all’acquisizione del parere (sfavorevole) del Ministero, a seguito del quale l’ufficio ha correttamente interrotto ogni attività istruttoria e comunicato al richiedente la sussistenza di motivi di per sé ostativi all’accoglimento dell’istanza.
6. La correttezza e la doverosità del comportamento serbato dell’Amministrazione intimata escludono la sussistenza di un fatto ingiusto ad essa imputabile, presupposto essenziale della domanda risarcitoria proposta dalla parte
ricorrente, che va quindi anch’essa respinta.
7. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto perché infondato sotto tutti i profili dedotti.
8. Le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi per la singolarità
e la complessità delle questioni esaminate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso
indicato in epigrafe, lo respinge e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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Operazioni
straordinarie
Tavola n. 2 - Risoluzione 15 aprile 2008, n. 152/E
Con istanza presentata in data 4 Dicembre alla competente Direzione Regionale del..... e da questa trasmessa alla
scrivente corredata del relativo parere, la società in oggetto indicata ha chiesto, ai sensi dell’articolo 11 della legge
n. 212 del 2000, la corretta interpretazione delle norme tributarie in materia di imposte dirette, di IVA, nonché
dell’imposta di registro, in relazione ad un’operazione di fusione per incorporazione
Quesito
L’Ente di culto “ALFA”, con sede in. ....., in via........., ha intenzione di portare a termine l’unificazione tra l’Ente
medesimo e l’Ente di culto “BETA”, con sede in. ....., via......; unificazione peraltro già autorizzata dai competenti
organi della Santa Sede.
L’unificazione tra due Enti Religiosi, entrambi dotati di personalità giuridica, avverrà tramite una fusione per incorporazione in cui l’Ente Incorporante è la “ALFA”.
Al riguardo l’istante rileva, sotto il profilo civilistico, che la Corte di Cassazione con sent. n. 1476 del 23 gennaio
2007 ha stabilito che la fusione può avvenire legittimamente anche tra due soggetti che non sono società commerciali.
In relazione a quanto sopra, pertanto, l’istante fa altresì rilevare che la fusione stessa è civilisticamente riconosciuta se avviene tra due enti religiosi senza scopo di lucro, dotati ovviamente di personalità giuridica.
Ai fini anche fiscali, prosegue la società, la fusione tra i due enti non commerciali equivale ad una successione a
titolo universale in quanto l’ente incorporante subentra in tutti i diritti di quello incorporato.
Pertanto, tutti i beni patrimoniali diventano, a seguito della fusione, di proprietà dell’ente incorporante ed il passaggio di detti beni ancorché costituire l’effetto di una operazione cosiddetta realizzativa, sarebbe unicamente un
effetto giuridico derivante dalla medesima operazione di fusione.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La società istante ritiene che alla prospettata operazione di fusione non si rende applicabile il trattamento fiscale
previsto, ai fini dell’imposte sul reddito, dell’IVA e dell’imposta di registro, per le operazioni cosiddette realizzative
consistenti nella cessione o nel conferimento dei beni di cui trattasi.
Del pari non troverebbe applicazione neppure il disposto dell’art. 9, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917, il quale stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per i conferimenti in società.
Analogamente, agli effetti dell’IVA, la fusione in esame, non essendo effettuata in regime d’impresa, è esclusa dal
campo di applicazione di tale tributo e, in ogni caso, l’art. 2, comma 3, lett. f) del D.P.R. n. 633 del 1972 dispone
che «non sono considerate cessioni di beni i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni
di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti».
Infine, la società istante ritiene, in relazione all’applicabilità dell’imposta di registro, che l’operazione di fusione in
questione è soggetta ad imposta di registro in misura fissa pari a 168,00 euro, così come risulta dalla norma di cui
all’articolo 4, comma 1, lettera b) della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 172, comma 1, del Testo Unico delle Imposte Dirette dispone che: «La fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento».
Il successivo articolo 174 stabilisce che «le disposizioni degli articoli 172 e 173 valgono, in quanto applicabili, anche nei casi di fusione e scissione di enti diversi dalle società».
Preliminarmente, si rileva che non rientra nella competenza della scrivente la valutazione circa la liceità civilistiva
di una operazione di fusione tra due Enti di culto; la presente risposta è, quindi, resa nel presupposto - non verificato in questa sede - che non vi siano norme che vietano una siffatta operazione.
Ciò posto, occorre precisare che la disciplina delle operazioni straordinarie contenuta nel Tuir è basata sul presupposto che le società o gli enti interessati dall’operazione producano reddito d’impresa derivante dall’esercizio di
imprese commerciali, disciplinato dal capo VI del titolo I del Tuir per le società personali commerciali e dalle disposizioni del Titolo II per le società e gli enti soggetti ad IRES.
In altre parole, il principio di neutralità delle fusioni e delle scissioni, in base al quale il passaggio dei beni dalle
società o dagli enti preesistenti a quello o quelli risultanti dalle citate operazioni, non dà luogo a fenomeni realizzativi, implica un sistema di rilevazione dei valori che è tipico della tassazione in base al bilancio e che è proprio
delle società che svolgono un’attività commerciale.
Posto che gli enti non commerciali, ai sensi dell’articolo 143 del Tuir, possono svolgere in via non prevalente anche attività commerciale, occorre stabilire se, nella fattispecie rappresentata, i beni in questione siano o meno relativi ad un’attività d’impresa.
In concreto, l’operazione di fusione rappresentata, che coinvolge due enti religiosi, non è da considerare “realizzativa” e può quindi, beneficiare della neutralità fiscale ex articolo 172, comma 1, del Tuir, limitatamente a quei beni
gestiti dall’ente incorporato in regime di impresa (e, pertanto, indicati nell’inventario, ai sensi dell’articolo 144,
comma 3, del Tuir) che, dopo la fusione, confluiscano nell’attività d’impresa dell’ente incorporante.
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Qualora, invece, detti beni non confluiscano in un’attività d’impresa dell’Ente incorporante, gli stessi si considerano realizzati a valore normale - in analogia a quanto disposto dall’articolo 171, comma 1 del Tuir in materia di trasformazione eterogenea - generando plusvalenze imponibili a causa della loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Per i beni relativi all’attività istituzionale e non commerciale dell’ente incorporato occorre distinguere a seconda
che gli stessi confluiscano o meno, in conseguenza dell’operazione di fusione, nell’attività d’impresa esercitata
dall’ente incorporante.
Nel primo caso (cioè beni non relativi ad impresa che confluiscono nell’impresa), si applica in via analogica l’articolo 171, comma 2 del Tuir che, in caso di trasformazione da ente non commerciale in società commerciale, rinvia alle disciplina del conferimento per i beni non ricompresi nell’azienda o nel complesso aziendale dell’ente
stesso.
L’assimilazione del conferimento alla cessione a titolo oneroso, rilevante ai fini delle imposte sui redditi ai sensi
dell’articolo 9 del Tuir, comporta che i beni in ipotesi, qualora confluiscano nella sfera “commerciale” dell’ente incorporante, devono intendersi realizzati in base al valore normale, generando in capo all’ente incorporato, sempre
che ne sussistano i presupposti, una plusvalenza imponibile ai sensi degli articoli 67 e 68 del Tuir.
Nella seconda ipotesi (cioè beni non relativi all’impresa, che confluiscono nell’attività istituzionale dell’incorporante), l’operazione sarà fuori dal regime d’impresa.
Ai fini dell’imposizione indiretta, si ricorda che i passaggi di beni a seguito di atti di fusione o di trasformazione di
società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti non sono soggetti ad IVA, ai sensi dell’articolo 2,
comma 3, lettera f) del D.P.R. n. 633 del 1972. I relativi atti devono essere assoggettati, pertanto, all’imposta di registro.
A tale riguardo, la tesi sostenuta nell’istanza di interpello per cui l’imposta di registro si applicherebbe in misura
fissa, non è condivisibile.
Ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera b) della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, infatti,
l’applicazione alle operazioni di fusione dell’imposta in misura fissa è subordinata alla condizione che le stesse
avvengano tra società od enti “aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale od agricola”.
Nel caso in esame, invero, l’operazione di fusione interviene tra due enti non commerciali, per i quali l’attività
commerciale è da considerare, pertanto, oggetto non esclusivo o principale dell’attività d’impresa.
Ne consegue che, nel caso di specie, l’imposta di registro deve essere applicata nella misura proporzionale del
3%, così come dispone l’articolo 9 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con
uniformità
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