Tesi Diritto d`Agenzia - Aici - Albo delle Imprese di Comunicazione

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Tesi Diritto d`Agenzia - Aici - Albo delle Imprese di Comunicazione
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
Facoltà di lettere e filosofia
Corso di laurea specialistica in
Comunicazione Multimediale e di Massa
Tesi di laurea
Diritto di agenzia
Relatore
Candidata
Prof. Salvo Dell’Arte
Maria Carmela Maggio
Anno Accademico 2009/2010
INDICE
Introduzione
pag. 3
Capitolo I: Rapporto tra agenzia pubblicitaria e cliente
I.1 La comunicazione pubblicitaria
pag. 9
I.2 Nozione di pubblicità
pag. 13
I.3 Prospettiva costituzionale della pubblicità
pag. 20
I.4 Figure professionali
pag. 26
I.4.1 Le imprese utenti
pag. 27
I.4.2 I mezzi di diffusione
pag. 29
I.4.3 Professionisti del settore
pag. 32
I.5 Struttura dell’agenzia pubblicitaria
pag. 34
I.6 Creatività e diritto d’autore
pag. 35
Bibliografia e sitografia capitolo
pag. 41
Capitolo II: I Contratti della pubblicità
II.1 Cenni introduttivi
pag. 43
II.2 Contratto di diffusione pubblicitaria
pag. 48
II.3 Contratto di concessione pubblicitaria
pag. 56
II.4 Contratto d’agenzia pubblicitaria
pag. 61
II.4.1 Premessa
II.5 Contratto di agenzia pubblicitaria
pag. 61
pag. 63
1
II.6 Le fasi del contratto di agenzia pubblicitaria
pag. 71
II.7 I modelli contrattuali UPA e AssoComunicazione
pag. 75
Bibliografia e sitografia capitolo
pag. 80
Capitolo III: Commissione di agenzia
III.1 Le formule di compenso dell’agenzia pubblicitaria
pag. 83
III.2 Il ruolo della commissione di agenzia
quale forma di remunerazione
pag. 90
III.3 La commissione: prassi contrattuale o reale diritto?
pag. 99
III.4 La commissione di agenzia in ambito europeo
pag. 112
Bibliografia e sitografia capitolo
Conclusioni
pag. 116
pag. 118
Appendice
Provvedimento Agcm (n° 4002/1995)
pag. 122
Sentenza 15684/05
pag. 129
Loi Sapin n°122/93
pag. 140
Bibliografia e sitografia
pag. 145
2
INTRODUZIONE
Il “mondo” della pubblicità ha sempre suscitato in me una certa curiosità, una
meraviglia, un fascino inspiegabile, un’attrazione verso il metodo di agire degli
operatori del settore. Ho cercato di capire, durante il percorso di studi, le tecniche di
comunicazione della pubblicità e soprattutto come si può innescare il processo
creativo che porta alla realizzazione della campagna pubblicitaria. Gli aspetti tecnici
del lavoro dell’agenzia pubblicitaria non sono sufficienti per comprendere
pienamente tale professione bisogna considerarne anche la parte giuridica.
Esaminare, però, il complesso e vasto fenomeno pubblicitario in ambito giuridico
non è stato semplice a causa della “leggerezza” con la quale è affrontato
l’argomento. Pochi sono gli autori che hanno approfondito il tema in questione
soffermandosi sulla tutela costituzionale della pubblicità, sulla nozione “legale” dello
stesso termine, sui limiti imposti agli operatori del settore nell’esercizio della loro
attività e soprattutto sull’importanza che assumono i contratti nella regolamentazione
della materia.
L’importanza che il fenomeno della pubblicità riveste nella comunicazione d’impresa
non può non riflettersi nell’ambito del diritto. La materia risulta interessante e
stimolante perché richiede un’attività intellettuale di alto livello creativo
coinvolgendo conoscenze che vanno oltre l’ambito giuridico. La pubblicità, infatti, è
uno strumento di progresso, di comunicazione, funzionale alle esigenze umane che
offre grandi possibilità di miglioramento della qualità della vita. Nella società
contemporanea essa è perfettamente integrata con l’esperienza quotidiana degli
individui, tanto da influenzare le categorie estetiche, i linguaggi, lo stile di vita, i
criteri di giudizio e i valori. La forza e il valore del messaggio pubblicitario
dipendono quindi dal destinatario che ne fruisce tramite: i giornali, la radio, la
televisione e il cinema; lo scenario nel quale la pubblicità è da sempre inserita si
rivela complesso e articolato.
Spesso la comunicazione pubblicitaria ha fatto parlare di sé, ha cercato di
rispecchiare i valori della società, anche se, in alcuni casi, li ha stravolti con un tocco
di ironia; seppur criticata, giudicata e sottovalutata ha sempre meravigliato il
pubblico (sia in positivo che in negativo) tanto da fargli canticchiare il jingle o
raccontare le scene dello spot.
3
Fin dagli inizi, parlare di comunicazione pubblicitaria ha sempre riguardato numerosi
campi dell’agire umano quali l’economia, la sociologia, il diritto, l’arte, la
linguistica, persino la tecnologia, grazie ai nuovi sviluppi che l’arte pubblicitaria ha
raggiunto con l’utilizzo dei personal computer, di internet e dei new media in
generale. La pubblicità è senz’altro una delle modalità con le quali la società
contemporanea si esprime. È un tipo di linguaggio, utilizzato soprattutto dalle
imprese poiché presupposto essenziale per l’efficacia e l’incisività dell’attività
imprenditoriale.
Complesso appare anche il mestiere di chi opera nel settore. Nel corso del tempo le
agenzie pubblicitarie sono enormemente cresciute di numero, con equivalente
aumento di concorrenti per chi operava in questo settore. La crescita del fenomeno
pubblicitario ha portato così alla “creazione” di tutta una serie di regole, norme e
leggi ad hoc al fine di regolarne la disciplina.
Il presente lavoro mira allo studio della materia pubblicitaria da una prospettiva
costituzionale e pubblicistica in generale, con riferimenti alle questioni che hanno
dato luogo a dibattiti di aspro rilievo in ambito giuridico.
Nel capitolo I “rapporto tra agenzia pubblicitaria e cliente” ho cercato di
analizzare l’inquadramento costituzionale del fenomeno pubblicitario considerando
le discussioni, da sempre accese, tra la tutela dell’art. 21 Cost. (manifestazione di
pensiero) e la tutela dell’art. 41 Cost. (iniziativa economica privata). Parte della
dottrina e alcune sentenze della Corte di Cassazione fanno rientrare la pubblicità
commerciale nella tutela dell’art. 41 Cost. poiché essa è sia strumento dell’attività
economica privata sia elemento volto a raggiungere finalità finanziarie. Il messaggio
pubblicitario quindi, in quanto attività dell’iniziativa economica privata è sottoposto
ai limiti relativi per siffatta attività; in alcuni casi è previsto il divieto di
pubblicizzare talune merci (sigarette, armi) la cui produzione e vendita sono tuttavia
consentite. Appare chiaro come ci sia un paradosso nell’ordinamento in quanto,
piuttosto che limitare o vietare la produzione di merci pericolose per la salute del
cittadino ne vieta la pubblicizzazione. Inoltre, la pubblicità non è essa stessa attività
economica ma solo un mezzo che l’impresa utilizza per raggiungere le proprie
finalità quindi perché non far rientrare il messaggio pubblicitario nell’ambito della
tutela dell’art. 21 Cost.?
Sarà poi analizzata la nozione del termine “pubblicità” nell’ordinamento italiano,
(considerando difficile racchiudere entro un quadro ben definito gli innumerevoli tipi
4
pubblicitari esistenti poiché sono carenti le norme che la definiscono in termini di
normativa positiva del fenomeno) ed esaminate le questioni riguardanti la pubblicità
strettamente commerciale, in quanto essa si pone su un diverso piano, date le sue
relazioni di autonomia, rispetto alla pubblicità istituzionale, sociale ed elettorale e
riguardo all’ordinamento giuridico il quale pone dei limiti e dei divieti alla
comunicazione strettamente commerciale per tutelare il consumatore.
Saranno quindi spiegate le funzioni e le limitazioni che incidono sullo svolgimento
dell’attività commerciale, considerando che, il suo ambito di operatività è tuttavia
limitato da aspetti giuridici e legislativi: il messaggio pubblicitario ha lo scopo di
influenzare gli stimoli sociali cercando di convincere il destinatario ad attuare un
comportamento riguardante l’acquisto di prodotti o servizi.
Un particolare accenno sarà rivolto alla tutela del diritto d’autore (L. 22 aprile 1941,
n. 633) e all’originalità dell’idea creativa della comunicazione pubblicitaria. In una
situazione di mercato ad alta concorrenza, in cui vi è la presenza di una miriade di
prodotti simili gli uni agli altri, l’obiettivo aziendale è offrire al consumatore
qualcosa che vada oltre l’aspetto funzionale del prodotto e fare in modo che tale
prodotto possa differenziarsi da quello della concorrenza. È compito della pubblicità
e dei suoi ideatori, caricare una marca di elementi emozionali tali da rendere il
prodotto diverso e più attraente agli occhi dei consumatori. Una sentenza della Corte
di Cassazione1 ha affermato che l'opera (anche quella pubblicitaria) è originale
quando il suo risultato è un’elaborazione intellettuale che rivela la personalità
dell’autore. Questa decisione però si scontra con la realtà pratica: i giudici hanno
riconosciuto come suscettibile di protezione anche le opere il cui contenuto
intellettuale è assai modesto.
Non verranno, dall’altro canto, tralasciati i soggetti coinvolti nella realizzazione della
pubblicità (con particolare riferimento all’agenzia pubblicitaria che occuperà il cuore
della trattazione) in quanto costituiscono un elemento fondamentale per comprendere
i meccanismi contrattuali tipici del settore. Grazie al rapporto che intercorre tra
utente, agenzia e mezzi di comunicazione sono nati i cosiddetti “contratti della
pubblicità”. I contratti sono stipulati quando un’impresa avverte la necessità di
pubblicizzare i propri prodotti o servizi e poiché le imprese non dispongono né di
1
Cassazione, 23 gennaio 1969, n. 175
5
conoscenze né di strutture specializzate nella realizzazione di una pubblicità efficace,
contattano organizzazioni qualificate (le agenzie di pubblicità).
Nel capitolo II “i contratti della pubblicità” si esamineranno alcuni dei contratti che
generalmente sono stipulati nell’esercizio dell’attività pubblicitaria e che, a mio
avviso, sono coerenti con l’argomento della tesi: contratto di diffusione pubblicitaria,
contratto di concessione e contratto di agenzia pubblicitaria. Questi rientrano nella
categoria dei “contratti della pubblicità” termine con il quale si intendono tutti quei
negozi giuridici che riguardano sia l’attività degli operatori del settore sia l’ambito in
cui sono stipulati (si tratta solo di un riferimento al campo di applicazione anche se
non risulta corretta la denominazione adottata). Tali figure contrattuali non hanno
ricevuto una efficace considerazione giuridica, anche se esistono testi che hanno
approfondito la materia, comunque pochi in proporzione all’ampiezza e rilevanza che
il fenomeno pubblicitario ha assunto nel nostro Paese.
Attenzione specifica verrà rivolta al contratto di agenzia, alla sua natura giuridica che
costituisce, come tutti gli altri “contratti di pubblicità”, un ambito di dibattito
tutt’oggi acceso e saranno poi valutate le due “fasi” relative alla realizzazione della
campagna pubblicitaria poiché ogni “fase” presuppone delle prestazioni specifiche
che l’agenzia è obbligata a rispettare fino alla cessazione del rapporto contrattuale
con l’utente. Saranno considerate tutte le clausole tipiche del contratto d’agenzia
ponendo a confronto i modelli contrattuali delle due associazioni più importanti del
settore: Upa (Utenti Pubblicità Associati, che svolge il ruolo di unico interlocutore,
attivo e propositivo, a tutela della pubblicità nei confronti degli utenti-clienti
pubblicitari) e AssoComunicazione (fino al 1999 era denominata AssAp,
Associazione di Pubblicità a Servizio Completo, il cui scopo è la soluzione dei
problemi comuni delle agenzie pubblicitarie associate, nonché la tutela degli interessi
del comparto della comunicazione, dei suoi singoli settori e, più in generale, dello
sviluppo della comunicazione in ogni suo aspetto).
I “contratti della pubblicità” non sono disciplinati dal codice civile e per un lungo
periodo si è fatto riferimento ai modelli contrattuali anglosassoni non essendoci, in
Italia, una specifica normativa in materia. I contratti-tipo delle associazioni hanno
cercato di compensare la carenza legislativa attraverso la creazione di schemi
contenenti clausole per la risoluzione di controversie tra gli operatori pubblicitari. La
stipulazione dei contratti, che abitualmente avviene attraverso uno scambio di lettere
o verbalmente, dovrebbe verificarsi sempre in forma scritta per evitare complicazioni
6
future e per assicurare ai contraenti l’attuazione delle obbligazioni reciproche e la
tutela dei diritti che derivano dal rapporto. Un contributo notevole è stato apportato
anche dagli usi negoziali delle Camere di Commercio -in modo particolare quella di
Milano, città in cui si è sviluppata la comunicazione pubblicitaria- che hanno
accertato e poi inserito in una raccolta le regole esistenti tra agenzia, utenti e mezzi di
comunicazione di massa.
Il lavoro si conclude con il capitolo III “commissione di agenzia”, attraverso
l’analisi della “commissione di agenzia” (denominata da molti operatori pubblicitari
“diritto di agenzia”), ossia quella formula di compenso che abitualmente spetta
all’agenzia per l’attività di pianificazione media ed è pagata dai mezzi di
comunicazione all’agenzia stessa.
Questa forma di remunerazione costituisce tema complesso a causa dei cambiamenti
del mercato e dell’evoluzione dei rapporti contrattuali. Indubbiamente si sono
verificati, negli ultimi anni, importanti mutamenti tecnologici, sociali, individuali che
hanno causato una trasformazione del ruolo della pubblicità classica e dei media in
generale. Ciò che ha inciso maggiormente sull’agenzia di pubblicità, ed è reale
oggetto di discussione, sono le variazioni nei metodi e nelle regole di remunerazione
della “commissione di agenzia” -il noto 15 per cento detratto dal budget lordo
pubblicitario investito sui media-
che ha travolto le agenzie e la cosiddetta
advertising classica. La pubblicità moderna si manifestò grazie agli annunci
realizzati direttamente dai mezzi che li diffondevano, con il passare del tempo però,
gli editori cominciarono ad affidare la realizzazione dei messaggi a dei professionisti
esterni ed è così che nacque la “commissione di agenzia”. Essa è una percentuale che
le strutture esterne (agenzie) ricevevano sull’importo totale dell’investimento che
l’azienda inserzionista (utente) metteva a disposizione per la diffusione del
messaggio pubblicitario. Nel frattempo, la “commissione” ha assunto un valore
valido in tutto il mondo: il noto 15 per cento della spesa dell’inserzionista. Il
meccanismo del pagamento delle agenzie tramite i mezzi prevalse fino a quando i
professionisti pubblicitari cominciarono a proporre ai clienti-utenti di anticipare le
commissioni che dovevano ricevere, in tempi molto lunghi, dalla concessionaria.
Nel 1994, a seguito di un accordo tra le varie associazioni rappresentative degli
utenti, delle agenzie e delle concessionarie di pubblicità, la commissione,
riconosciuta dal mezzo, divenne il cosiddetto “ristorno d’agenzia”, che quest’ultima
si impegnava a “ristornare” al cliente (dopo aver ricevuto la commissione dalla
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concessionaria/editore). Già da qualche tempo le agenzie, soprattutto quelle di
piccole dimensioni che operano a livello territoriale, hanno difficoltà a farsi
riconoscere la “commissione/diritto di agenzia”; tale situazione sta portando a
dimenticare una regola economica fondamentale nel rapporto agenzie – clienti concessionarie e nella concorrenza fra le stesse agenzie. Vedremo come, i pochi
tribunali italiani che hanno affrontato il controverso tema del “diritto di agenzia”,
hanno evidenziato come esso sia un uso contrattuale vigente e come tale spetta
all’agenzia quale suo diritto esclusivo. Inoltre, il sondaggio sul rapporto economico
tra agenzie e editori/concessionarie ci aiuterà a comprendere l’attuale e il reale
utilizzo di questa specifica forma di remunerazione.
Il compenso della commissione d’agenzia sarà inquadrato in una prospettiva
giuridica italiana comparandola poi a livello europeo per conoscerne la tutelabilità, le
prospettive storiche e i mutamenti che hanno indotto o “forzato” alcune agenzie,
soprattutto di grandi dimensioni, a non utilizzare più questo tipo di retribuzione. In
conclusione si noterà che la pubblicità comprende aspetti rilevanti della vita a livello
civilistico e commercialistico poiché ogni impresa, per raggiungere i suoi scopi deve
costantemente confrontarsi con il mondo esterno e le sue regole e divenire un
soggetto di comunicazione. Tali regole implicano, sempre più, un profilo
internazionale, comunitario, amministrativo e costituzionale. La pubblicità, in quanto
attività da sempre riconosciuta come comunicazione d’impresa è stata spesso
interpretata nei suoi aspetti fantasmagorici, effimeri e di trovata che non in termini di
riflessione giuridica. È importante che gli operatori del settore siano a conoscenza
delle problematiche giuridiche legate al mondo della comunicazione per offrire un
servizio qualitativamente migliore e per riuscire a tutelare e rivendicare tutti quei
“diritti” formatisi nella prassi del settore.
8
CAPITOLO I
RAPPORTO TRA AGENZIA PUBBLICITARIA E CLIENTE
I.1 La comunicazione pubblicitaria
La parola “comunicazione” è due volte coinvolgente: la prima volta per il suo
significato semantico (dal latino “communis” fare, rendere comune, dare qualcosa
d’interiore senza perderlo), la seconda perché descrive un comportamento che
interessa ogni essere umano. Comunicare, da cui deriva comunicazione, è il verbo
che meglio descrive l’influenza che si ha sull’atteggiamento degli altri, di modificare
o rafforzare il comportamento del pubblico o del singolo individuo.
La comunicazione (azione che implica l’esistenza di un emittente, un oggetto
comunicato e un destinatario-ricevente) è un elemento importante della vita sociale
di un individuo, anche se finora nessuno è mai stato in grado di far comprendere agli
altri esseri umani i meccanismi più intimi dell’atto comunicativo; apparentemente
sembra un processo facile da descrivere, ma in realtà nasconde un procedimento
articolato nel quale interagiscono diversi fattori2.
È necessario, quindi, partire dal funzionamento della comunicazione per
comprendere pienamente in che modo la “notizia” pubblicitaria funzioni.
Presupposto essenziale è che non si vive senza comunicare in quanto, qualsiasi
comportamento (inattività compresa) ha in sé valore di interazione in presenza di un
interlocutore; è infatti uno scambio di segnali tra almeno due organismi: l’emittente
che invia il messaggio, ed il destinatario, che percepisce l’informazione e reagisce ad
essa.
Il concetto di “informazione” non è sovrapponibile a quello di “comunicazione”
poiché si tratta di due fenomeni diversi: nel primo caso ci si riferisce unicamente alla
notizia, cioè alla trasmissione di dati da una sorgente ad un destinatario e il cui
2
Ogni tipo di comunicazione prevede: uno scambio di segnali (tra un emittente e un ricevente); un
contenuto (messaggio), il ricorso ad un sistema di codifica e decodifica (linguaggio) che permette di
esprimere ed interpretare il messaggio. Oltre a ciò, nell’atto di comunicazione esistono anche segnali
non verbali che spesso sfuggono al controllo di chi li invia, al contrario di chi li riceve.
9
compito si esaurisce all’atto dell’incanalamento della notizia stessa; nel secondo caso
non si intende solo l' informazione trasmessa, ma anche e soprattutto la modalità con
cui questa informazione viene diffusa3 e al fatto che la comunicazione si “preoccupa”
di controllare che la notizia giunga a destinazione essendo importante il recepimento
del messaggio dal quale può scaturire la reazione del ricevente. Comunicare significa
quindi partecipare ad un sistema di relazioni attraverso norme e regole messe in atto
in maniera consapevole o inconsapevole dagli attori che vi partecipano i quali si
scambiano informazioni, sensazioni, immagini mentali e stati d'animo, attivando
canali e codici verbali, paraverbali, non verbali e simbolici, utilizzabili ed utilizzati in
un determinato contesto culturale.
Una delle forme di comunicazione più diffusa è commerciale che si concretizza
essenzialmente nella comunicazione pubblicitaria: nonostante l’ampia letteratura
prodotta e alcune indicative elaborazioni teoriche su di essa, la conoscenza del
fenomeno pubblicitario, il suo funzionamento, gli effetti che produce nel breve e nel
lungo periodo e soprattutto la sua efficacia sono segnati e qualificati da ampie zone
di incertezza. La comunicazione pubblicitaria è anche impiegata per diffondere
informazioni e promuovere il consenso su obiettivi considerati di pubblica utilità,
come la tutela della salute pubblica e il rispetto del patrimonio ambientale e artistico.
Esistono diverse forme di pubblicità che vanno da quella commerciale (materia che
sarà approfondita nel presente capitolo), politica, istituzionale a quella sociale.
La pubblicità politica4 si occupa della trasmissione dei messaggi del governo
all’elettorato e attiva la circolazione dei contenuti politici, in particolar modo durante
le campagne elettorali ed è qui che i mezzi di comunicazione di massa giocano un
ruolo decisivo nella formazione dell’opinione pubblica. Per pubblicità istituzionale
si intende quel tipo di comunicazione che, pur assumendo in genere la forma della
pubblicità classica non ha per oggetto la promozione di prodotti o servizi, né tende ad
incrementare direttamente la domanda di mercato ma si pone invece come unico fine
la creazione di una certa immagine dell’impresa: l’efficacia e l’incisività dell’attività
imprenditoriale5 risulta essere uno dei presupposti essenziali per l’incremento e lo
3
Annamaria Testa, La pubblicità, il mulino, Bologna, 2004, pag. 16.
Approfondimenti sul tema della pubblicità politica, Enciclopedia giuridica Treccani, voce di
riferimento: comunicazione politica, pag. 2.
5
La comunicazione occupa una posizione rilevante nei processi strategici di numerose aziende.
L’obiettivo primario dell’impresa è quello di riuscire a trasmettere al consumatore il valore della
propria offerta. La comunicazione, attraverso le sue varie forme, diventa allora la leva ideale per la
costruzione di una forte identità di brand. Per perseguire un’efficace politica di comunicazione
4
10
sviluppo economico di un’attività commerciale. La pubblicità sociale6 rientra invece
nella sfera delle iniziative private dei pubblicitari italiani e in virtù della sua utilità
collettiva è spesso commissionata da enti pubblici (tra gli altri dal Ministero della
sanità, da quello degli affari sociali, dalla pubblica amministrazione e da altre
associazioni).
Tuttavia è opportuno evidenziare la funzione informativa della pubblicità, che
risponde all’esigenza sia dei consumatori di avere indicazione verso nuovi prodotti
presenti sul mercato per soddisfare i propri bisogni nella maniera più esauriente, sia
dell’impresa che si attiva per promuovere e proporre il proprio prodotto sul mercato
di riferimento. Con il passare del tempo la pubblicità ha raggiunto un livello di
diffusione e di perfezionamento inimmaginabili: sempre più le imprese tendono a
proporsi sul mercato non come “produttrici di beni”, ma grazie allo strumento
pubblicitario, creano una solida immagine aziendale legata a determinati valori in cui
il consumatore possa riconoscersi. La scelta d’acquisto ricadrà sul prodotto non in
base alla sua qualità o alla presenza di oggettivi vantaggi, ma esclusivamente su ciò
che l’impresa rappresenta, sui valori che trasmette e su quello che, a livello
suggestivo ed emozionale offre al consumatore. L’importanza di un buon
posizionamento sul mercato è fondamentale oggi per l’impresa, in un mercato
occorre individuare una strategia coerente con gli obiettivi e con la missione dell’impresa, utilizzando
al massimo le forze e le risorse che essa ha a disposizione, quelle finanziarie, ma anche quelle non
meno preziose di creatività e di conoscenza. Molteplici sono gli strumenti che un’impresa ha a
disposizione per comunicare con il proprio mercato di riferimento. Per conseguire i migliori risultati è
necessario, quindi, integrare tutti gli strumenti adibiti alla comunicazione (tra i quali la pubblicità)
attribuendo ad ognuno di essi il compito che gli è specifico. L’integrazione prende il nome di
marketing mix o communication mix (comunicazione tradizionale attraverso i media, promozione delle
vendite, fiere, sponsorizzazioni e comunicazione sul web).
6
Nicoletta Cavazza, Comunicazione e persuasione, Il mulino, Bologna, 1997, pag. 55. La pubblicità
sociale è la comunicazione di pubblica utilità emessa da gruppi che perseguono interessi sociali,
politici, culturali, o da Enti pubblici. La pubblicità sociale ha come destinatario una persona inserita in
una società, con tutti i suoi diritti e doveri, cioè un cittadino. E’ dagli anni settanta che, sempre più
frequentemente, la pubblicità è utilizzata in situazioni diverse da quelli della promozione
commerciale. Le tecniche pubblicitarie sono impiegate in misura sempre più crescente per realizzare
campagne che hanno come tema la tutela dell’ambiente, la prevenzione di malattie infettive, la
sicurezza stradale, la tutela del patrimonio artistico, il rispetto delle norme di cortesia nella
convivenza, e così via: insomma campagne di pubblicità sociale che hanno il compito di propagandare
dei comportamenti giudicati socialmente utili, o di scoraggiare degli altri ritenuti dannosi. Questi
messaggi pubblicitari si riferiscono, sicuramente, ad un mondo di valori solidaristici, umanitari e civili
infatti la pubblicità di pubblica utilità non ha scopi di lucro, non ragiona in termini di mercato, ma
culturali, etici, morali e sociali. La campagna sociale sfrutta le tecniche della pubblicità commerciale
adattandole a temi di utilità sociale per i quali è necessaria, sia la divulgazione di informazioni corrette
che l’esortazione a un certo genere di comportamento. Anche la pubblicità commerciale può, in alcuni
casi, sensibilizzare il pubblico verso problematiche sociali, come ad esempio il commercio equosolidale, la multi etnicità, o il rispetto per l’ambiente, magari presentando questi temi come un plus del
prodotto. Un esempio sono le diverse campagne della Benetton degli anni novanta che hanno
affrontato tematiche di interesse pubblico, anche se con finalità di tipo commerciale.
11
sempre più affollato e ricco di possibilità di scelta tra prodotti che in linea di
massima tendono a collocarsi sullo stesso livello qualitativo.
Dall’altro canto il consumatore deve essere posto in condizione di difendersi da quel
tipo di messaggio pubblicitario che potrebbe arrecargli danno (come per esempio
omissioni, dati falsi, tendenziosi o erroneamente riportati), ecco perché è necessario
regolamentare giuridicamente la comunicazione pubblicitaria.
Tornando alle notizie che sono diffuse attraverso la comunicazione pubblicitaria,
esse hanno così lo scopo di convincere il consumatore ad adottare o meno un certo
comportamento, sfruttando le tecniche della persuasione7.
I messaggi pubblicitari sono di varia composizione:
•
ci sono messaggi che si affidano solo ai simboli senza svolgere alcuna azione
di convincimento, ma in realtà celano una carica persuasiva o meglio un
invito a formulare un’offerta;
•
altri che si limitano ad illustrare la pura informazione fornendo al destinatario
solo la conoscenza degli elementi concreti di un certo prodotto
(informazione);
•
ulteriori messaggi che influenzano la libera formazione delle idee da parte del
consumatore (persuasione);
•
ce ne sono altri ancora che puntano al convincimento del destinatario facendo
leva sui suoi desideri, sulle sue tendenze e sui suoi gusti a livello inconscio
(suggestione).
Appare chiaro quanto sia difficile racchiudere entro un quadro ben definito gli
innumerevoli tipi di pubblicità esistenti, ma senza dubbio la sua funzione primaria
resta comunque quella di stimolare un atto economico da parte dei suoi destinatari.
7
Le tecniche della comunicazione persuasiva sono antiche, una di esse è la retorica. Il ragionamento
sul come e il perché chi sviluppa un’argomentazione persuasiva può generare convincimenti che
portano all’azione è spesso ripreso dai filosofi. Nel Novecento gli psicologi si sono occupati di
persuasione per capire in che cosa consistesse un cambiamento di atteggiamento. Il messaggio
pubblicitario, anche se di solito dura solo pochi secondi o occupa un piccolo spazio su una pagina di
giornale, richiede un lungo lavoro di elaborazione e di riflessione su quelle che sono le strategie
retoriche da mettere in atto affinché il messaggio stesso colpisca il target prefissato. Per rendere un
messaggio persuasivo si può puntare sull'attivazione di paure, sull'autorevolezza e l’affidabilità di chi
veicola il messaggio, sui possibili vantaggi per chi usa un determinato prodotto, ecc. I colori, i suoni, i
gesti dei protagonisti del messaggio, i contrasti, l'ordine di esposizione degli argomenti, sono tutti
elementi che fanno parte della costruzione del messaggio pubblicitario rendendolo persuasivo.
12
I.2 Nozione di pubblicità
Stabilire la data di nascita della pubblicità8, almeno nella sua essenza di
comunicazione commerciale a carattere persuasivo, risulta difficile poiché è stata
sempre presente nelle attività mercantili. Dall’enfatizzazione verbale del prodotto,
praticata nei primi mercati, alla rèclame diffusasi tra il seicento e il settecento
attraverso i primi giornali informativi (gazzette) che presentavano messaggi sotto
forma di testo scritto fino ai testimonial, utilizzati come soggetti della pubblicità
esterna tramite manifesti da metà ottocento. È solo all’inizio del ventesimo secolo
che nascono le prime organizzazioni di professionisti del settore: le agenzie di
pubblicità.
Le agenzie pubblicitarie, oltre a occuparsi dell’inserzione pubblicitaria e dei
manifesti, con l’avvento di radio e televisione, hanno iniziato ad occuparsi anche
della trasmissione di messaggi pubblicitari attraverso l’etere.
La pubblicità è quindi un atto di comunicazione che comprende il complesso di
attività attraverso cui un soggetto rivolge dichiarazioni ad altri utilizzando un mezzo
di diffusione di massa. Solitamente si rivolge in modo impersonale alla collettività
attraverso veicoli idonei (mass media) capaci di sollecitare un certo comportamento
economico consistente, il più delle volte, nella domanda di prodotti o servizi. La
pubblicità persegue uno scopo promozionale ed è possibile considerarla “un’attività
d’impresa” finalizzata alla stipulazione di contratti di vendita o di fornitura con
ciascuno dei potenziali clienti. È possibile individuare quindi nei suoi messaggi una
proposta di contratto rivolta a tutti (offerta al pubblico), un impegno assunto verso
chiunque si trovi in una certa situazione (promessa al pubblico) oppure
un’affermazione per sollecitare una proposta d’acquisto da parte del destinatario
(invito a proporre). Ciò non vuol dire che la comunicazione pubblicitaria si esaurisca
8
Il termine “pubblicità” deriva dal latino “publicare”, il quale originariamente significava confiscare,
rendere di uso pubblico. Indicava, in altre parole, un complesso di atti compiuti dallo Stato a favore
della comunità o per formulare una sanzione inflitta ai trasgressori della legge, o per soddisfare
esigenze di governo dei pubblici interessi. In seguito, tale termine ha assunto un significato giuridico
che diede origine alla cosiddetta ”pubblicità legale” che consiste nel portare a conoscenza del pubblico
notizie di carattere giuridico. Solo nel XIX secolo il vocabolo venne inteso nell’accezione di dare
notorietà ad un prodotto o ad un servizio. In inglese si utilizza il vocabolo “advertising” che deriva dal
latino “advertere” cioè volgere verso, dirigere, far cambiare direzione.
13
nella semplice somma delle comunicazioni private ma, al contrario, è un fenomeno
che coinvolge l’intera collettività e tende ad essere un evento di notevole portata
sociale. Da ciò nasce la necessità di una regolamentazione giuridica della pubblicità
commerciale
che
possa
stabilire
regole
e
limitazioni
all’esercizio
della
comunicazione pubblicitaria, al fine di garantire la tutela dei soggetti coinvolti: i
consumatori, la collettività in generale e le imprese concorrenti sul mercato di
riferimento con i relativi profili che ne sono implicati (la salute, la sicurezza della
collettività, la privacy dei singoli individui, il nome e altro ancora il cui ruolo non
verrà approfondito nel presente lavoro).
Buona parte delle disposizioni che direttamente o indirettamente disciplinano la
pubblicità (D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 541 sulla pubblicità dei medicinali; D. Lgs.
31 luglio 2005 n. 177 sull’esercizio delle attività televisive; direttiva 2005/29/CE
relativa alle pratiche commerciali sleali, ecc.) è costituita da leggi e atti aventi valore
di legge, vale a dire da norme emanate dagli organi aventi potestà legislativa9.
Accanto alle varie leggi operano altre disposizioni emanate da organi non legislativi,
i cui vincoli limitano gli operatori pubblicitari che vi aderiscono in modo volontario.
La forma più nota di autoregolamentazione è quella che fa capo all’Istituto di
Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e che si concentra in un corpo di regole chiamato
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria10 (CAP), costituito da propri organismi di
controllo (Comitato di controllo) e di un organo giudicante (Giurì).
Un primo aspetto da chiarire riguarda la legalità del termine “pubblicità” poiché non
appare univoco nella lingua italiana, né tantomeno fra gli operatori del settore. La
maggiore difficoltà nel trovare una definizione univoca del termine in esame deriva
9
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit., Milano, 2006, pag. 25.
http://www.iap.it/it/codice.htm Il CAP ha lo scopo di assicurare che la comunicazione commerciale
sia realizzata come servizio per il pubblico, con particolare riguardo all’influenza che potrebbe avere
sul consumatore. L’autodisciplina nasce per colmare la carenza o meglio l’assenza di una legge
generale in grado di disciplinare la pubblicità commerciale. È vincolante per le aziende che investono
in comunicazione: agenzie di pubblicità, consulenti, mezzi di diffusione, le concessionarie di spazi
pubblicitari e per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione,
ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di pubblicità. L’autodisciplina pubblicitaria è un
“ordinamento derivato” e trae la sua origine dall’autonomia contrattuale che l’ordinamento primario
riconosce alle persone fisiche e giuridiche. È espressione della volontà degli operatori pubblicitari che
conformano la pubblicità a determinate regole, non necessariamente coincidenti con quelle attraverso
cui lo Stato disciplina il fenomeno: una pubblicità che risulta lecita secondo le leggi dello Stato può
essere contraria alle norme del codice di autodisciplina (l’insieme di queste regole risulta più rigida
rispetto a quelle fissate dall’ordinamento statale). La giurisprudenza ha riconosciuto che le regole del
CAP, in quanto espressione dell’etica professionale e commerciale, sono dei criteri di valutazione
della correttezza professionale riconducibili all’art. 2598 n. 3 cod. civ. “concorrenza sleale”. Le norme
del codice di autodisciplina sono accettate come usi e consuetudini commerciali da numerose Camere
di Commercio.
10
14
dal fatto che la materia pubblicitaria può essere inquadrata da punti di vista anche
molto differenti tra loro: è, infatti, possibile descrivere il fenomeno pubblicitario da
un punto di vista sociologico, o magari semiotico, oppure ancora economico ed
imprenditoriale.
Trattando questo lavoro l’aspetto giuridico della comunicazione commerciale, si
tenderanno a privilegiare le definizioni prodotte in questo ambito. Il ruolo del diritto
è quello di porre dei limiti e fornire delle norme di comportamento di portata
generale, che debbono imporsi in ogni ambito e aspetto della vita sociale degli
individui.
Nel lessico italiano la parola “pubblicità” (dal francese publicitè a sua volta derivato
dal latino publicus) ha un duplice significato: quello dell’ ”essere pubblico” e quello
del “rendere pubblico”.
La prima accezione si riferisce a qualcosa di accessibile a chiunque (ad esempio si
parla di “pubblicità dei dibattimenti” quando il pubblico può assistere ai processi
penali); la seconda si impiega quando si vuole rendere pubblico un determinato
evento e far apprendere fatti ed elementi che potrebbero essere ignoti (ad esempio, le
pubblicazioni matrimoniali e l’annotazione dei trasferimenti di immobili e
autoveicoli su pubblici registri).
La pubblicità, in base alla terminologia utilizzata nel settore imprenditoriale, è
sinonimo di “pubblicità commerciale” (di comunicazione rivolta al pubblico per
stimolarlo al compimento di un certo atto economico) diverso dal concetto di
“propaganda” (il quale si propone di stimolare abitudini o comportamenti
generalmente non economici ma ideologici, religiosi, politici e sociali).
Per i professionisti del settore il termine “pubblicità” è il più delle volte circoscritto
ad un solo tipo di comunicazione e cioè quella d’impresa che si esprime con
messaggi ben definiti e diffusa a pagamento attraverso i mezzi di comunicazione
classici (radio, televisione, cinema, stampa, affissioni ed altri mezzi di pubblicità
esterna).
Diversamente, per il pubblico, la pubblicità è qualsiasi tipo di messaggio che serve
per convincere i destinatari ad acquistare un prodotto oppure ad avere un determinato
atteggiamento verso qualcosa. Per la collettività il messaggio pubblicitario risulta
essere una comunicazione che ha il solo scopo di indurre a fare o non fare qualcosa;
il messaggio pubblicitario non rimanda mai, nell’immaginario collettivo, ad una
15
comunicazione che ha carattere informativo, di utilità sociale, di formazione dei
valori.
Nel lessico giuridico il sostantivo è spesso utilizzato per riferirsi a quel particolare
tipo di comunicazione rivolta alla collettività con lo scopo di sollecitarne
comportamenti economici; tuttavia in suddetto ambito il fenomeno pubblicitario ha
vissuto un effettivo disinteresse da parte del legislatore, agli occhi del quale la
materia non richiedeva interventi specifici. Per un lungo periodo, infatti, è mancata
nell’ordinamento giuridico italiano una particolare definizione normativa del termine
“pubblicità” (basti pensare che numerose leggi utilizzavano termini impropri come
“propaganda pubblicitaria”, “réclame” oppure “annunciare la vendita” che
alimentavano le perplessità e le incertezze sul significato dell’espressione11).
Anche la dottrina giuridica ha contribuito a questa incertezza terminologica
privilegiando l’obsoleto termine “rèclame” il cui contenuto è alquanto limitativo.
Un primo testo normativo che ha portato all’attuale nozione giuridica di pubblicità in
Italia non proviene da una legge statuale, ma dal codice di autodisciplina
pubblicitaria; come si legge nel punto e) delle “Norme preliminari e generali” dello
stesso codice, il termine pubblicità “comprende ogni comunicazione, anche
istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano i
mezzi utilizzati”; inoltre aggiunge che il termine messaggio “comprende qualsiasi
forma di presentazione al pubblico del prodotto e si intende perciò esteso anche
all’imballaggio, alla confezione e simili”.12
Un’altra definizione, più ampia e articolata, proviene anch’essa da un testo non
legislativo ed è enunciata in diverse raccolte di usi ufficiali a cura di alcune Camere
di Commercio italiane, in particolare quella di Milano, per le quali è pubblicità
“qualsiasi forma di comunicazione che sia diffusa nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la
domanda di beni o servizi”.13
Nel nostro ordinamento una prima nozione legislativa del termine “pubblicità” è stata
fornita dal D. Lgs 25 gennaio 1992, n. 74 che ha dato attuazione in Italia alla
Direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, il cui art. 2, lett. a)
11
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale tecnica, modelli, tipi contrattuali, seconda
edizione, Giappichelli edit., Torino, 2007, pag. 3.
12
E. Germano Cortese, Codice di autodisciplina pubblicitaria, società editrice torinese, Torino, 1990,
pag.19.
13
Maurizio Fusi, La pubblicità: strumenti e pratiche contrattuali. Guida operativa alla comprensione
ed applicazione dei contratti della pubblicità, IPSOA, 2003, pag. 6.
16
ispirandosi alla direttiva, definisce la pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che
sia diffuso in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o
immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la
prestazione di opere o di servizi”14. Tale definizione coincide nella sostanza con
quella in precedenza menzionata dal codice di autodisciplina pubblicitaria. Si nota
che entrambe le definizioni tendono a comprendere tutti i tipi di pubblicità: non solo
quella “classica” divulgata attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ma anche
forme comunicazionali dirette che si svolgono sul punto vendita, tramite la
distribuzione di volantini, porta a porta oppure le operazioni di mailing, o ancora le
televendite, le sponsorizzazioni e le promozioni.
A queste definizioni legali ne fecero seguito altre una in particolare, circoscritta alla
sola pubblicità dei medicinali, fu fornita dal D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 541, in
base al quale “s’intende per pubblicità dei medicinali qualsiasi azione di
informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la
prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali”15.
Un’altra enunciazione più recente, ripresa dal D. Lgs. 31 luglio 2005 n. 177,
concernente l’esercizio delle attività televisive, descrive la pubblicità radiotelevisiva
come “ogni forma di messaggio trasmesso dietro pagamento o altro compenso
nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigianale, o di una libera
professione allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o
servizi”16. Requisito necessario secondo suddetta definizione, è che i messaggi siano
diffusi dietro una forma di compenso.
La direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e
consumatori, la quale, all’art. 2, “Disposizioni generali”, lettera d) sancisce che le
pratiche commerciali sono “qualsiasi azione, omissione, condotta, o dichiarazione,
comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e il marketing, posta in
essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o
fornitura di un prodotto ai consumatori”.
14
Salvo Dell’Arte, Diritto dell’immagine nella comunicazione d’impresa e nell’informazione, Experta
edit., Forlì, 2005, pag. 326.
15
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit. Milano, 2006, pag. 36.
16
Salvo Dell’Arte, dispense corso di diritto dell’immagine e della comunicazione, Università degli
studi di Torino, anno accademico 2009/2010
17
Le definizioni del termine “pubblicità” offerte dalle leggi o dalle normative
promananti dagli operatori del settore sono numerose, ma concordano tutte su una
nozione ampia ed estesa della pubblicità a qualsiasi forma di comunicazione
d’impresa: essa coincide con quella propria del pubblico ed evidenzia la natura
imprenditoriale della pubblicità in quanto elemento costitutivo.
Nel linguaggio comune la parola è caratterizzata da un’accezione molto ampia e
comprende qualsiasi messaggio diffuso al pubblico in qualsiasi modo e destinato a
incrementare la domanda di beni o servizi che un’impresa offre sul mercato.17
Sono i professionisti del settore ad attribuire al termine un significato più ristretto,
sottolineando come essa sia una forma di comunicazione che si esprime attraverso
messaggi predeterminati e diffusi a pagamento dai mass-media.
Dalle varie definizioni sopra menzionate emerge che gli elementi costitutivi della
pubblicità commerciale sono essenzialmente quattro:
•
la comunicazione;
•
l’impresa;
•
la finalità promozionale;
•
la diffusione.
Come si deduce dalle nozioni riportate in precedenza, non tutta la comunicazione
d’impresa è considerata pubblicità, ma solo quella indirizzata al pubblico. Tra l’altro
non sembra avere molta importanza né la forma della comunicazione pubblicitaria
(“qualsiasi forma di messaggio”) né lo strumento utilizzato per diffonderla (“diffusa
in qualsiasi modo”).
Comunicazione e diffusione non sono gli unici elementi che caratterizzano la
pubblicità poiché occorre che la comunicazione promani da un operatore economico
con lo scopo di sostenere la sua attività: l’imprenditorialità della comunicazione può
essere estesa a qualsiasi esercente di un’attività economica e quindi, oltre alle
imprese industriali, commerciali e del terziario, anche agli artigiani e i professionisti
(che non sono propriamente imprese).
17
Paolo Cedon, (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale in Pubblicità e
promozione (XVIII), UTET, Torino, 2003, pag. 6.
18
Non rientrano nella nozione di pubblicità le comunicazioni delle amministrazioni
dello Stato e degli enti pubblici non economici18, delle Regioni, Province e Comuni,
dei candidati politici, delle autorità e dei movimenti religiosi.
La finalità promozionale si occupa della modalità in cui si pubblicizzano i prodotti,
maniera mediata o indiretta; la stessa pubblicità istituzionale, che non ha per oggetto
prodotti o servizi da consigliare direttamente al consumatore, si prefigge lo scopo di
creare una certa immagine dell’impresa fra la collettività.
Indirettamente la comunicazione istituzionale è considerata pubblicità perché
attraverso il messaggio l’impresa propone un’immagine di sé molto persuasiva: la
specializzazione, la simpatia, l’affidabilità, la sensibilità alle esigenze del
consumatore sono tutte caratteristiche che contribuiscono a creare condizioni
favorevoli per l’accettazione del prodotto e di conseguenza a incrementare la
domanda di beni e servizi.
A questo punto è bene precisare il significato di due espressioni utilizzate nel gergo
pubblicitario, per indicare le diverse forme di comunicazione; la prima è “below the
line” (sotto la linea): essa indica tutte quelle forme di comunicazione che non
utilizzano i media classici (stampa, televisione, radio, cinema e affissioni), ma
comprendono forme di comunicazione pubblicitaria indiretta, nelle quali si
trasmettono valori più ampi come l’immagine stessa dell’impresa e ne fanno parte,
tra l’altro, la sponsorizzazione, il mecenatismo, le manifestazioni a premio e il sito
web istituzionale.
L’espressione “above the line” (sopra la linea) indica invece quella forma di
pubblicità intesa in senso stretto, rappresentata da tutte le forme di advertising
diretto.
La comunicazione pubblicitaria è quindi uno degli strumenti essenziali per lo
sviluppo economico di un’attività commerciale o d’impresa.
18
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit. Milano, 2006, pag. 40. L’esistenza
o l’assenza del fine di lucro nel soggetto da cui la pubblicità è promanata, non è l’elemento decisivo
per poter affermare o escludere la finalità della comunicazione pubblicitaria. Possono esistere
messaggi diffusi da imprenditori che non sono propriamente pubblicità così come esistono
comunicazioni promananti da operatori non economici che sono considerate pubblicità, come le varie
iniziative comunicazionali che, pur facendo capo ad enti che non sono imprenditori, hanno lo scopo di
promuovere attività e prodotti di soggetti economici. Le iniziative delle amministrazioni dello Stato
che hanno lo scopo di promuovere il consumo di un certo genere di alimenti, oppure campagne di enti
finalizzate a pubblicizzare attività manifatturiere o il turismo in certe aree geografiche. Tali iniziative
rientrano nella nozione di “pubblicità” poiché realizzate nell’interesse dell’impresa.
19
I.3 Prospettiva costituzionale della pubblicità
Con l’aumento delle strutture delle agenzie di pubblicità c’è stata la necessità, da
parte degli stessi operatori del settore, di creare una serie di “suggerimenti” per la
regolamentazione del mercato. Nel contempo lo Stato ha cercato di porre delle
restrizioni al contenuto della comunicazione pubblicitaria per tutelare i consumatori,
i concorrenti e i minori. Il “diritto della pubblicità”19 non comprende solo le leggi che
regolano la comunicazione d’impresa, ma anche le disposizioni che non riguardano
direttamente la materia analizzata, regolandola indirettamente. Si va dalla repressione
di certi comportamenti sul piano penale (ad esempio le norme che vietano le offese
alla morale), alla protezione civilistica di taluni soggetti (materie come diritto
d’autore, concorrenza sleale, diritti della personalità). Larga parte della
regolamentazione è affidata a disposizioni che non giungono dallo Stato e non hanno
valore di legge, come i regolamenti autodisciplinari (uno di questi è il CAP)
implicanti norme, strutture e organismi giudicanti propri. Le leggi, le normative e le
regole che disciplinano la comunicazione pubblicitaria presentano contenuti diversi a
causa delle differenti situazioni che regolano. Questa eterogeneità è emersa dal fatto
che sono stati numerosi i legislatori che, nell’arco di circa un secolo, hanno cercato
di regolamentare la materia pubblicitaria. Ad esempio, durante il regime fascista si
ricorreva spesso alla censura di varie forme di comunicazione, mentre negli ultimi
decenni la produzione legislativa ha subito una forte influenza europea.
In che modo la comunicazione pubblicitaria rientra nell’ambito della tutela
costituzionale? L’evoluzione del fenomeno pubblicitario ha fatto sì che esso possa
essere individuato come strumento di diffusione e acquisizione di informazioni e
idee?
Le norme di riferimento sono due: l’art. 21 Cost.20, riguardante la libera
manifestazione del pensiero e l’art. 41 Cost. che garantisce la libertà dell’iniziativa
19
Giuseppe Corasaniti, Laura Vasselli, Diritto della comunicazione pubblicitaria, Giappichelli edit.,
Torino, 1999, pag. 2. Il fenomeno pubblicitario è spesso definito dai giuristi come fenomeno collegato
direttamente alle attività commerciali e veicolo di messaggi particolari per cui, ogni limitazione o
restrizione è giustificata dal presupposto che sia la pubblicità a determinare mode e costumi, ad
affermare modelli di vita o di pensiero, a sollecitare emulazione o immedesimazione. Ma la pubblicità
ha natura “informativa” essenziale al libero consumo per cui la caratteristica suggestiva (di una
determinata offerta d’acquisto) ne costituisce un elemento importante.
20
Adolfo Di Majo, Codice Civile, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag. 7. L’art. 21 Cost., al comma 1,
stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
20
economica privata, considerando che la pubblicità è comunicazione rivolta al
pubblico e rientra nel quadro delle proposte economiche. Le riflessioni che
riguardano l’evoluzione della pubblicità “commerciale” hanno suscitato discussioni
vivaci con le quali si è cercato di definire le peculiarità e la natura giuridica del
fenomeno pubblicitario. Il carattere della pubblicità non può essere definito con
semplicità poiché può presentarsi come strumento informativo, come messaggio
creativo e anche come mezzo dalle finalità prettamente commerciali: se la pubblicità
è espressione di pensiero e di informazione potrà rientrare nella tutela dell’art.21
Cost., se, al contrario, è strumento d’impresa che persegue finalità economiche godrà
della tutela dell’art. 41 Cost..
L’argomento in questione risulta complesso; pur non negando alla pubblicità un
carattere informativo e creativo, la dottrina e la giurisprudenza21 la riconducono
all’attività d’impresa economica. Ciò porta a sottrarre alla pubblicità commerciale sia
la natura di manifestazione del pensiero sia le garanzie destinate alle forme
d’informazione come quella sociale, politica e culturale. La Corte Costituzionale22
(nella sentenza 23 giugno 1965 n. 68 e nella sentenza 17 ottobre 1985 n. 131), ha
stabilito che la pubblicità, pur se considerata una forma di comunicazione e
manifestazione del pensiero, è da ricondurre nell’ambito di operatività dell’art. 41
Cost., con assoggettamento ai limiti contenuti nel secondo e terzo comma23 dello
stesso articolo. Le due caratterizzazioni compresenti nel messaggio pubblicitario,
creativa e produttiva, sono direttamente funzionali alla diffusione del prodotto o del
servizio pubblicizzato e come tali soggette a vincoli in quanto manifestazioni di
attività economiche.
Diversamente, quando la comunicazione pubblicitaria (in realtà stampa di cultura, di
opinione, d’informazione) rientra nella sfera della libera espressione del pensiero,
scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”; al comma 2 sancisce che “la stampa non può essere
soggetta ad autorizzazioni e censure […]”.
21
Monica Bonini, Controllare le idee: profili costituzionali della pubblicità commerciale. Giuffrè
edit., Milano, 2007, pag.14. L’autrice affronta il tema costituzionale della pubblicità commerciale
riportandone i dibattiti, le sentenze e le riflessioni.
22
Salvo Dell’Arte, Diritto dell’immagine nella comunicazione d’impresa e nell’informazione, Experta
Edit., Forlì, 2005, pag. 328.
23
http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm. La pubblicità è soggetta ai limiti
posti dal secondo comma dell’art. 41 Cost., che afferma che “l’iniziativa privata non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità
umana”; il terzo comma, sancisce che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché
l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Devono
quindi considerarsi legittimi i provvedimenti intesi a restringere o ad assoggettare a limitazioni la
pubblicità, dove risulti socialmente utile.
21
sancita dall’art 21 Cost., è esclusa la possibilità di qualsiasi autorizzazione o censura;
si nota infatti una netta differenziazione tra le attività di manifestazione del pensiero,
che in qualche modo sono privilegiate e che godono della più ampia garanzia
costituzionale riservata all’informazione, ed altre, come la pubblicità commerciale,
che sono sottoposte ad appositi limiti previsti dall’art. 41 Cost. (riguardanti l’utilità
sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana). Nella tutela dell’art. 41 Cost.
rientra tutta la comunicazione pubblicitaria con finalità commerciali, mentre le altre
forme di pubblicità, (quella sociale, quella istituzionale e quella d’informazione)
rientrano nella tutela dell’art. 21 Cost. (rapporti civili).
A prova di quanto detto, un’altra decisione della Corte di Cassazione (24 ottobre
1973, in Mass. Cass. pen. 1974, 82) afferma che “la pubblicità non può considerarsi
manifestazione di pensiero intesa come espressione di idee e di opinioni bensì è un
mezzo di allettamento all’acquisto di prodotti industriali ed ha perciò fini di natura
commerciale.”24.
D’accordo a far rientrare la pubblicità commerciale nell’ambito dell’art. 41 Cost. è
anche il Giurì (21/91), secondo il quale “ si può ammettere che la pubblicità è
manifestazione del pensiero alla pari di altre manifestazioni, ma ciò non toglie che
essa deve essere sottoposta a limiti più severi di altre forme di comunicazione perché
è strumentale ai fini economici dell’impresa”.25
Il dibattito sulla tutelabilità della comunicazione pubblicitaria intesa come
manifestazione del pensiero, è vivo anche in altri Paesi dove si è giunti alla nostra
stessa conclusione; in Olanda la stessa Costituzione esclude la pubblicità dalla
garanzia riservata alla libertà di espressione; negli Stati Uniti l’orientamento è invece
quello di accordare all’advertising la tutela del First Amendament26 della
Costituzione americana (che garantisce la libertà di parola, di culto e di stampa),
mentre in Germania si tutela la comunicazione d’impresa in quanto forma di
manifestazione di opinione.
Il carattere informativo dei messaggi pubblicitari è richiamato anche nell’art. 10,
comma 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in cui alla voce “Libertà
di espressione” sostiene che “ogni persona ha il diritto alla libertà d’espressione.
24
Vincenzo Zeno-Zencovich, Francesca Assumma, Pubblicità e sponsorizzazioni, Cedam, Padova,
1995, pag. 12.
25
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit., Milano, 2006, pag. 22.
26
Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto
al culto e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e stampa, il diritto di riunirsi
pacificamente, il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti.
22
Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare
informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza
considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di
sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinema o di
televisione”, mentre al comma 2, afferma che “l’esercizio di queste libertà, poiché
comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni,
restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge […] per la sicurezza delle
nazioni, l’integrità territoriale […] per impedire la divulgazione di informazioni
riservate o garantite”27.
La pubblicità ha finalità di promozione, diretta o indiretta, di offerte commerciali di
una data impresa; può contribuire a creare condizioni favorevoli all’accettazione di
proposte commerciali attraverso l’illustrazione e l’esaltazione, tanto dei suoi prodotti
o servizi, quanto della stessa immagine aziendale. Esistono pubblicità istituzionali
che, oltre a promuovere il marchio, comunicano un tema di grande impatto sociale al
fine di sensibilizzare la collettività riguardo una determinata questione che l’azienda
reputa importante nella filosofia del brand.
Esempi di questo tipo di comunicazione possono essere le pubblicità realizzate da
Oliviero Toscani per Benetton28 nelle quali il messaggio sociale, realizzato in modo
scioccante, fa perdere di vista la finalità della comunicazione istituzionale e
commerciale. Sono messaggi pubblicitari che mostrano ragazzi e ragazze di ogni
colore che esprimono integrazione, dinamismo, gioia di vivere; evocano un universo
astratto dove domina la facilità delle relazioni e dei sentimenti. La pubblicità di
Oliviero Toscani per la Benetton gioca sullo slogan “United Colors of Benetton”
(Colori Uniti di Benetton) e realizza immagini che, al di là di precisi obiettivi di
mercato, affrontano problematiche sociali mai presentate dal mondo della pubblicità
commerciale. Le sue affiche ricorrono ai temi del razzismo, dell’ecologia, del sesso,
dell’Aids. Attraverso lo scandalo, Oliviero Toscani ha voluto colpire con dura forza i
pregiudizi, l’ipocrisia, il perbenismo, l’ideologia e le convenzioni comportamentali
nei quali è saldamente barricata gran parte dell’opinione pubblica.
27
http://www.studiperlapace.it/documentazione/europconv.html
Beba Marsano, Manifesti, Electa, Milano, 2003, pag. 104-105. La pubblicità realizzata da Oliviero
Toscani per la Benetton non si limita a fornire una semplice rappresentazione oggettiva del mondo ma
si impegna ad assicurare la coabitazione di identità opposte, vuole abbattere le barriere e assicurare il
dialogo. Il suo progetto diventa l’integrazione degli opposti. Benetton cerca l’unificazione delle
differenze sotto un’unica bandiera.
28
23
Il consumo vero e proprio è riposizionato in un contesto di vita. Entrando
nell’universo dei valori, la marca libera il prodotto dall’universo della merce e della
fabbrica, ne fa un essere sociale a sé stante che si rivolge a un individuo, invece che a
un cliente. Nel caso di Benetton ciò che colpisce non è l’immagine in sé ma il fatto
che le immagini siano diffuse da un’azienda a fini pubblicitari. Ciò che si rimprovera
all’azienda Benetton e che abbia confuso il mondo “possibile” con il mondo “reale”,
credendo di poter avere la stessa legittimità di parlare di un qualcosa che non ha
generato.
L’azienda interessata a porre il consumatore davanti alla possibilità di scelta e di
acquisto di un prodotto o di un servizio, richiede spesso l’aiuto e la collaborazione di
esperti nel settore. Il frutto di tale collaborazione richiede, sul piano formale, la
massima accuratezza evitando le imperfezioni che possono compromettere
l’accettazione del messaggio.
La pubblicità ha così un forte potere persuasivo, dovuto alla naturale propensione
dell’imprenditore a fornire informazioni positive sul prodotto suggestionando il
pubblico attraverso l’impiego dei mezzi di comunicazione di massa: creare ed offrire
un buon prodotto o un buon servizio può essere un perfetto punto di partenza, pur
non essendo l’unico elemento di successo per l’impresa.
Sia i testi legislativi che regolano la materia pubblicitaria, sia quello autodisciplinare,
contengono in apertura una dichiarazione identica; infatti il codice del consumo
sostiene all’art. 19 che “la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta”, così
come il codice di autodisciplina, alla voce “Lealtà pubblicitaria”, dispone all’art. 1
che “la pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta” e che “deve evitare tutto
ciò che possa screditarla”.29 Entrambe le fonti indicano come precisi obblighi
giuridici i doveri di onestà, trasparenza, verità e correttezza, tanto da riscattare la
visione della comunicazione pubblicitaria come strumento di astuzia e ricondurlo al
ruolo di “servizio per il pubblico”.
In sostanza, i principi stabiliscono che in ambito pubblicitario non è consentito “fare
i furbi” e bisogna evitare tutto ciò che può screditare il messaggio pubblicitario agli
occhi del pubblico; perciò è vietata la divulgazione di messaggi provocatori rispetto
al comune modo di sentire tanto da suscitare nel pubblico reazioni di ostilità e
disgusto. Esempi di questo tipo di pubblicità possono essere quelle che utilizzano
29
http://www.iap.it/it/codice.htm
24
temi di particolare serietà come la morte o la tossicodipendenza (la pubblicità della
Benetton incentrata sulla raffigurazione degli ultimi istanti di vita di un ammalato di
Aids); quelle contenenti raffigurazioni volgari o incentrate su doppi sensi (la
pubblicità per i profilattici Durex il cui protagonista affermava “Io ce l’ho
sempre......Durex)30; quelle eccessivamente aggressive per la concorrenza (come
l’annuncio a favore di un’agenzia di pubblicità che dissuadeva gli utenti dal
rivolgersi ad altre agenzie, rappresentando il rischio di “cadere nel vuoto” o di essere
trascinati in un abisso).
La regolamentazione della pubblicità si è sviluppata su base nazionale ed è stata
caratterizzata dalla diversità fra le singole legislazioni nazionali. La necessità di
disciplinare il fenomeno pubblicitario non è sentita solo in Italia, ma in quasi tutti i
Paesi del mondo e la situazione è progressivamente cambiata solo quando all’interno
dell’Unione Europea sono stati dettati i principi comuni in materia di pubblicità
ingannevole e pubblicità comparativa (rispettivamente contenuti nella direttiva
84/450/CEE e nella direttiva 97/55/CEE).
Il processo di unificazione delle legislazioni nazionali all’interno dell’Unione
Europea non è ancora interamente compiuto, ma rappresenta una questione di portata
generale, poiché l’enorme evoluzione delle tecnologie della comunicazione fa sì che
il mondo sia ormai senza frontiere e perciò una pubblicità realizzata in un certo Paese
può essere diffusa in quasi tutti gli altri.
A mio avviso, tenendo presente che la pubblicità non è essa stessa attività
commerciale, ma soprattutto uno strumento di genio e creatività utilizzato per
commercializzare un prodotto, dovrebbe rientrare nella valutazione costituzionale
dell’art. 21 Cost. considerando che essa è assoggettata ai limiti e alle restrizioni
presenti già in apposite norme.
30
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit. Milano, 2006, pag. 53.
25
I.4 Figure professionali
Per comprendere pienamente il “diritto pubblicitario” occorre precisare quali siano i
soggetti che operano nel settore pubblicitario. I soggetti si dividono in tre grandi
gruppi:
•
Le imprese utenti;
•
I mezzi di diffusione;
•
Professionisti del settore.
Questa tripartizione non è solo un tentativo di classificazione ma mira a circoscrivere
i protagonisti coinvolti nella comunicazione pubblicitaria.
Il D. Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, ha dato vita nel nostro ordinamento ad una figura
precedentemente sconosciuta, quella dell’operatore pubblicitario.
La materia è ora disciplinata dal D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, codice del
consumo, che all’art. 20 lett. d) riconosce attraverso la figura dell’operatore
pubblicitario tre entità “il committente del messaggio pubblicitario”, “il suo
autore”, “il proprietario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario è diffuso”31. Il
committente del messaggio si riferisce a tutte quelle aziende che investono in
“azioni” pubblicitarie per ottenere un ritorno economico; l’autore è l’agenzia di
pubblicità che realizza, per conto dei terzi le “azioni” pubblicitarie e infine il
proprietario del mezzo si riferisce a tutte quelle imprese che possiedono o gestiscono
un mezzo di comunicazione di massa.
Il legislatore si occupa marginalmente di questi soggetti, infatti le istituzioni e gli
aspetti professionali del mondo pubblicitario sono fra i settori economici che meno
risentono dell’intervento statale.
In base agli usi pubblicitari della provincia di Milano sono soggetti della pubblicità “i
committenti della pubblicità (utenti), le agenzie di pubblicità e / o comunicazione, i
professionisti pubblicitari e i centri media, le concessionarie di pubblicità, gli
31
http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/testi/05206/dl.htm La definizione riportata nel paragrafo
non ha lo scopo di definire le categorie professionali sul piano giuridico ma individua quelli che sono i
principali operatori del settore.
26
editori, i fornitori (case di produzione, fotografi, stampatori ecc.”32. I soggetti che
concorrono alla realizzazione del messaggio pubblicitario sono numerosi.
Analizzeremo, nello specifico, in cosa consistono le imprese utenti, i mezzi di
diffusione e i professionisti del settore in quanto il filo conduttore del lavoro riguarda
le agenzie pubblicitarie. Grazie ai rapporti che intercorrono tra questi tre soggetti
sono nate le figure contrattuali (quali contratto d’agenzia pubblicitaria, contratto di
diffusione pubblicitaria e contratto di concessione pubblicitaria) nel settore
pubblicitario.
I.4.1 Le imprese utenti
Le imprese utenti sono tutte quelle aziende che intraprendono iniziative di
comunicazione per scopi commerciali, al fine di incrementare la domanda dei propri
beni o servizi o semplicemente per promuovere la propria immagine sul mercato.
Il termine “utenti” può essere fuorviante e creare confusione con la figura del
consumatore o dell’utente finale, tuttavia esso è ormai consolidato nella pratica del
settore e non può essere sostituito con altri (come ad esempio l’inglese advertiser o il
francese annonceur che meglio rendono l’idea) per via del fatto che le imprese
utilizzano la pubblicità per proprie finalità promozionali.
Nei rapporti negoziali si adopera invece il termine “clienti” mentre nell’ambito delle
relazioni con i mezzi il termine “inserzionisti”.
Gli utenti sono organizzazioni private o pubbliche che utilizzano i mass media per
raggiungere un obiettivo. A distinguere gli utenti di pubblicità da quanti non lo sono
32
http://www.ubertazzi.it/it/codicepub/doc35.pdf
27
è la decisione di investire risorse nell’acquisto di tempi o spazi sui mass media. Le
spese sostenute dall’utente forniscono la base per la stima delle dimensioni
dell’industria pubblicitaria in generale.
Un’azienda può incaricare un’agenzia di progettare una campagna pubblicitaria, una
società di promozioni di studiare una campagna promozionale, una società di direct
marketing di organizzare la vendita dei prodotti, una società di pubbliche relazioni di
organizzare eventi oppure incaricare una società di sponsorizzazioni di trovare e
finanziare iniziative.33
Alcune imprese multinazionali centralizzano la produzione e la gestione della leva
pubblicitaria scegliendo un’agenzia che ha sedi nei diversi mercati per progettare una
campagna valida a livello mondiale, tradurla nelle diverse lingue e adattarla alle
diverse culture (un esempio è fornito dalle campagne di cosmetici, profumi,
superalcolici e moda). Altre imprese scelgono di agire localmente, commissionando
una campagna adatta al mercato in cui opera. La scelta di realizzare un messaggio
pubblicitario a livello internazionale o meno non è solo un fatto di stile dell’azienda,
ma dipende dalla percezione che il pubblico ha del prodotto pubblicizzato, spesso
presente in diversi mercati.
Nel paragrafo I.2, riferito alla nozione di pubblicità, è stato evidenziato come gli
utenti non sono necessariamente solo le imprese industriali o commerciali ma
rientrano in tale nozione anche gli artigiani, i professionisti e tutti coloro che
esercitano attività economiche.
È bene precisare che non tutti gli operatori economici hanno la possibilità di ricorrere
alla pubblicità per promuovere la propria attività, infatti, per diverse categorie
professionali e per alcuni tipi d’impresa, il diritto di pubblicizzare la propria attività è
limitato o addirittura vietato. Le proibizioni e le limitazioni provengono in alcuni casi
dagli ordinamenti professionali, come avviene per le professioni di avvocato, di
notaio o di architetto, il cui tassativo divieto di qualsiasi forma di pubblicità ha un
fondamento deontologico.
Per le altre professioni il divieto è posto dalla particolarità del lavoro stesso come
succede per le professioni sanitarie, dove vige l’esigenza di tutelare il pubblico su
temi delicati come la salute; in particolare riguardo alla tutela della salute pubblica, il
33
Annamaria Testa, La pubblicità, Il mulino, Bologna, 2004, pag. 64.
28
Testo Unico della radiotelevisione34 (D. Lgs. 31 luglio 2005, n. 177) non consente
alle imprese, la cui attività consiste nella fabbricazione e vendita di sigarette, di
tabacco, di medicinali o cure mediche disponibili solo su ricetta, di effettuare
pubblicità radiotelevisiva. Forti restrizioni sono imposte anche alle imprese la cui
attività principale consiste nella produzione e vendita di superalcolici.
I.4.2 I mezzi di diffusione
L’utente che pubblicizza i propri prodotti o servizi, stanziando gli investimenti
necessari, di regola non dispone di conoscenze e strumenti idonei a tal fine e per
questo ricorre ad altri soggetti qualificati e dotati di strutture adatte a diffondere il
messaggio pubblicitario al pubblico. L’emissione del messaggio avviene attraverso i
mezzi di comunicazione comunemente detti “media” o semplicemente “mezzi”
nell’accezione oggettiva. Il soggetto che si occupa della divulgazione della pubblicità
è un’impresa di comunicazione (non necessariamente) che dispone di un mezzo di
diffusione e viene anch’essa definita “mezzo” nella sua accezione soggettiva.
È difficile offrire una definizione unitaria ed una classificazione dei mezzi coinvolti,
sia perché lo sviluppo tecnologico negli ultimi anni ha aperto nuove strade di
34
Il Testo Unico all’art. 37 (Interruzioni pubblicitarie) n. 9 pone il divieto, per la pubblicità
radiofonica e televisiva, dei medicinali e delle cure mediche disponibili unicamente con ricetta
medica. Al n. 10 dello stesso articolo, impone limiti alla pubblicità televisiva di pubblicizzare bevande
alcoliche infatti: la pubblicità televisiva non deve rivolgersi espressamente ai minori (lettera a)); non
deve collegare il consumo di alcolici con prestazioni fisiche (lettera b)); non deve creare l’impressione
che il consumo di alcolici contribuisca al successo sociale e sessuale (lettera c)) ecc. Al n. 11, sempre
art. 37, è vietata la pubblicità televisiva delle sigarette e di ogni altro prodotto a base di tabacco.
Anche la pubblicità indiretta (attraverso simboli, marchi e nomi) di prodotti del tabacco o di aziende
specializzate nella produzione o vendita di tali prodotti è vietata.
29
comunicazione, attraverso le quali si possono diffondere i messaggi pubblicitari
(come ad esempio internet e i new media in generale, oppure la telefonia fissa e
mobile), sia perché gli operatori del settore cercano nuovi percorsi per favorire la
trasmissione della comunicazione pubblicitaria.
Tradizionalmente si individuano cinque mezzi classici utili alla diffusione della
pubblicità: la radio, la televisione, il cinema, la stampa e la pubblicità esterna; altri
mezzi attraverso i quali si realizza la pubblicità diretta sono le azioni di mailing, la
pubblicità sul punto vendita, sui veicoli di pubblico trasporto, nei locali della
pubblica amministrazione, negli stadi, nelle fiere e nelle esposizioni così come la
pubblicità ambulante e quella aerea.
Il mezzo attraverso il quale è veicolata la comunicazione pubblicitaria non è
un’impresa di pubblicità quindi, la diffusione del messaggio pubblicitario
rappresenta solo lo sfruttamento di certe attitudini del mezzo stesso (si pensi ai
veicoli di pubblico trasporto la cui funzione principale è quella di trasportare
persone, ai cinema la cui funzione primaria è ospitare spettacoli oppure alla stampa e
alla televisione il cui fine è l’informazione35). Ciò spiega perché il mezzo, affida la
gestione commerciale di questa sua attività accessoria ad aziende specializzate del
settore, chiamate “Concessionarie di pubblicità”.
Le concessionarie di pubblicità svolgono il compito di negoziare con terzi contratti
per la vendita di spazi pubblicitari (come il caso della stampa e dei tempi del
palinsesto per quanto concerne la radio e la televisione) in base ad un contratto di
mandato ricevuto dal proprietario del mezzo.
Le concessionarie che operano per i mezzi, sono anch’esse impropriamente chiamate
“mezzi”: il sostantivo, più che indicare il veicolo di diffusione e il suo proprietario,
denota anche chi ne gestisce l’attività pubblicitaria.
Anche per quanto riguarda le imprese dei mezzi esistono regole e restrizioni
riguardanti la loro attività di diffusione. Per i mezzi stampa non esistono speciali
norme restrittive e solo nel caso in cui il contenuto pubblicitario oltrepassi il 70 per
cento dello spazio totale, sono soggetti a tariffa di spedizione postale più elevate (art.
28 L. 5 agosto 1981, n 416). Per quanto riguarda i mezzi radiofonici e televisivi i
limiti riguardano le telesponsorizzazioni e le televendite riguardo ai tempi di
programmazione (art. 8 L. n. 223/1990), mentre un altro tassativo divieto riguarda le
35
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale, tecnica, modelli, tipi contrattuali seconda
edizione (volume XV), Giuffrè edit., Torino, 2007.
30
emittenti nazionali sul tema della diffusione della pubblicità locale riservata solo alle
emittenti in ambito locale (art. 8, comma 10, L. n. 223/1990).
Il mezzo, inoltre, è tenuto a considerare i limiti imposti dal legislatore riguardo ai
tempi destinati alla diffusione di messaggi pubblicitari durante le trasmissioni. Per la
concessionaria televisiva pubblica è stabilito che la trasmissione dei messaggi
pubblicitari non può eccedere il quattro per cento dell’orario settimanale di
programmazione ed il dodici per cento di ogni ora (art. 8, comma 6, L. n. 223/1990)
mentre per le concessionarie private in ambito nazionale la diffusione dei messaggi
pubblicitari non può eccedere il quindici per cento dell’orario giornaliero di
programmazione e il diciotto per cento di ogni ora (art. 8, comma 7, L. 223/1990).
Per il settore stampa e radiotelevisivo esistono disposizioni che limitano il fenomeno
delle “concentrazioni”, volte ad evitare posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di
comunicazione di massa. Infine per ciò che concerne la pubblicità esterna, che si
esegue per le strade pubbliche, il D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, impone alla
maggior parte dei Comuni la gestione del servizio delle pubbliche affissioni
direttamente o per mezzo di privati concessionari.
31
I.4.3 Professionisti del settore
La pubblicità raggiunge efficacemente i suoi obiettivi quando è ben “definita” sia
nella forma sia nei contenuti e divulgata nei tempi, nei modi e con i mezzi
appropriati. La realizzazione dei messaggi pubblicitari è affidata a figure
professionali, gli esperti del settore sono comunemente denominati “professionisti
della pubblicità”, la cui funzione consente all’utente di raggiungere al meglio gli
scopi.
Fra i professionisti il ruolo più importante è quello dell’agenzia il cui lavoro consiste
nell’ideazione, progettazione e realizzazione di una campagna pubblicitaria.
All’interno dell’agenzia la figura qualificata per lo svolgimento dell’attività è il
tecnico pubblicitario, espressione che designa la persona provvista delle necessarie
competenze tecniche in materia (può essere o un collaboratore d’impresa oppure un
libero professionista). Questa figura si rifà alla categoria dei professionisti
intellettuali poiché, per progettare una campagna, è importante compiere l’analisi sul
prodotto, fare previsioni economiche, studiare il mercato di riferimento: tutte fasi
preparatorie a quella di progettazione e pianificazione del lavoro da svolgere.
In Italia, a differenza di quanto accade per altre professioni, tale figura non risulta
regolata legalmente e a questa carenza compensano le iniziative degli operatori
interessati su base associativa, di albi, di regolamenti auto normativi strutturati come
le professioni legalmente riconosciute.36
36
L’associazionismo si è diffuso molto in ambito pubblicitario, infatti, esistono molte associazioni
rappresentative del settore come la TP (Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti) opera sul
modello di un vero e proprio ordine professionale gestito su un sistema di qualificazione a due livelli:
il primo livello riguarda l’accesso al titolo di tecnico pubblicitario; il secondo è per l’iscrizione
nell’apposito albo della stessa associazione per la specializzazione di tecnico pubblicitario
professionista. Altri enti associativi, che operano nel settore pubblicitario, sono ACPI (Associazione
Consulenti Professionisti Italiani della comunicazione di mercato) qualificati da documentata
formazione e carriera, attivi individualmente o nell’ambito di strutture specifiche, svincolati da
conflitti di interesse. Operano con specializzazione anche diversa nei segmenti di ricerca e consulenza
di marketing, costruzione di immagini per aziende e prodotti, comunicazione pubblicitaria nel suo
ampio raggio di copertura, promozioni, pubbliche relazioni. È un’associazione senza scopo di lucro
che si propone prioritariamente la tutela dei principi etici, la tutela degli interessi e la qualificazione
professionale degli associati a livello nazionale e comunitario. L’obiettivo primario è di perseguire il
riconoscimento della professione. Attiva dal 1967, associa i consulenti professionisti di
comunicazione pubblicitaria che operano con ampie responsabilità professionali nell’impresa sia
pubblica che privata. L’ADCI (Art Directors Club Italiano) fondata nel 1985, ha come obiettivo
primario il miglioramento e la promozione degli standard della creatività nel campo della
comunicazione operando inoltre, per la valorizzazione e lo sviluppo dell’attività professionale.
L’AIAP (Associazione Italiana Progettazione per la comunicazione visiva), promuove e qualifica
l’evoluzione e l’eccellenza del linguaggio grafico in ambito professionale e didattico, infatti, i soci
32
Nella pratica del settore, oltre ai tecnici pubblicitari sono riconosciute, altre figure
che intervengono nel progetto di realizzazione della pubblicità. Notevole importanza
assumono i “creativi”, distinti in copywriters o copy (autori di testi) e artisti
pubblicitari o art (specializzati in comunicazione visiva). Numerosi altri soggetti
intervengono nella realizzazione della pubblicità quali i consulenti di marketing,
esperti di public relation, specialisti di promozioni, produttori di film e altri supporti
audiovisivi per la pubblicità (la loro attività infatti si pone a metà strada fra
professione intellettuale ed impresa).
Risulta restrittivo citare, tra le figure professionali, solo quelle del copywriter e
dell’art in quanto l’agenzia, soprattutto di grandi o medie dimensioni, ne comprende
molte altre (come ad esempio il media planner, l’account executive ecc.) che però
non sono riportate nell’analisi.
sono continuamente attenti a ciò che il progetto grafico produce sul mondo e sulle persone e
condividono inoltre, modelli di comportamento per rendere sempre più evidente e necessaria la figura
del designer della comunicazione visiva. L’UPA (Utenti Pubblicità Associati) organismo associativo,
soprattutto per grandi utenti (come Lavazza, Barilla ecc), che riunisce le più importanti e notevoli
aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità. Essa è promossa e guidata
dalle stesse imprese che la costituiscono per affrontare e risolvere i problemi comuni in materia di
pubblicità, per rappresentare gli interessi delle aziende presso il legislatore. Fornisce anche una serie
di dati e di informazioni che agevolano il compito del manager durante le sue scelte, inoltre offre
consulenza gratuita per tutte le problematiche inerenti la pubblicità e la comunicazione d’azienda.
L’UPA aderisce all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Un’altra associazione è AssoComunicazione alla quale aderiscono tutte le grandi agenzie e i centri media che operano nel campo
della consulenza di comunicazione. Un’altra associazione è UNICOM (Unione Nazionale Imprese di
Comunicazione), riunisce il maggior numero di agenzie italiane, molte di medie dimensioni, che
operano in mercati locali. È l’unica associazione rappresentativa che possiede strutture molto
professionali diffuse sull’intero territorio nazionale. Un’altra associazione è AlboAICI (Albo
Associazione Italiana Comunicatori Indipendenti) che riunisce le agenzie di piccole e medie
dimensioni, è una associazione di libere imprese nata su iniziativa del Comitato per la Tutela del
Ruolo delle Imprese di Comunicazione. Non ha fini di lucro e rappresenta indistintamente tutte le
imprese di comunicazione. Tra i suoi scopi statutari c’è quello di ottenere, con l’Albo, il
riconoscimento di impresa di comunicazione. Riprende inoltre, la “battaglia”, oggi dimostratasi
vincente, per l’adozione generalizzata del “diritto d’agenzia” del quindici per cento (la commissione
d’agenzia o il “ristorno d’agenzia”). Opera per la ricerca di formule alternative per i diversi settori ed
esigenze nonché per l’adozione di una normativa nuova, in linea con le tendenze europee, con la
libertà di mercato e la trasparenza tra i rapporti fra agenzie, clienti e mezzi. Tutte le associazioni
rappresentative del settore operano in diversi rami della comunicazione (advertising, promozioni,
direct marketing, pubbliche relazioni, eventi, sponsorizzazioni, web, brand image, packaging).
Approfondimenti sulle associazioni consultare i siti: http://www.associazione-tp.it; http://www.acpi.it;
http://www.adci.it;
http://www.aiap.it;
http://www.upa.it;
http://www.assocomunicazione.it;
http://www.unicomitalia.org; http://alboaici.it.
33
I.5 Struttura dell’agenzia pubblicitaria
L’agenzia di pubblicità offre una collaborazione ad ampio raggio per la realizzazione
del messaggio pubblicitario. Inizialmente si limitava alla vendita di spazi pubblicitari
(broker o concessionaria), successivamente, con l’arrivo della radio, del cinema ed in
seguito della televisione, la pubblicità contribuì alla creazione di una cultura di
massa. Maggiori prodotti sul mercato significano un maggior bisogno di
riconoscibilità dei prodotti, per questo motivo l’agenzia di pubblicità si è sviluppata
offrendo maggiori servizi.
Oggigiorno l’agenzia di pubblicità è un’organizzazione complessa che riassume in sé
varie funzioni: offre consulenza a livello progettuale, aiuta gli utenti nelle decisioni
finanziarie, consiglia il target di riferimento, coordina attività inerenti la vendita,
progetta e realizza azioni di pubblicità per conto o nell’interesse dei clienti.
È considerata un’impresa di servizi, infatti è inquadrata nel settore del “terziario” per
quanto concerne i rapporti di lavoro, anche in quelle di piccole dimensioni la
tendenza è quella di ricollegarle alla figura dell’impresa artigiana o del lavoratore
autonomo.
La struttura e l’organizzazione presentano elementi di estrema diversità: alcune
agenzie lavorano essenzialmente per grandi clienti, spesso multinazionali, altre
hanno un’unica sede locale e lavorano per piccoli utenti, altre ancora sono
transnazionali e operano in numerosi Paesi attraverso proprie filiali o società
partecipate.
Tuttavia, nello stretto ambito delle agenzie, esiste una segmentazione che le distingue
in: agenzie “a servizio completo” (che assicurano all’utenza tutti i servizi connessi
all’investimento pubblicitario quali i servizi di creatività, di progettazione, di
pianificazione dei media e di strategia di comunicazione); agenzie che possono
fornire solo alcune prestazioni fondamentali (quali i servizi creativi e la
progettazione), e infine agenzie cosiddette “specializzate” (sono specializzate in
determinati ambiti della comunicazione quali: pubbliche relazioni con i media,
declinazione del messaggio pubblicitario su un media specifico ecc.).
In base alla presente definizione negli usi in materia di pubblicità, della provincia di
Milano, l’agenzia pubblicitaria è “ l’impresa (art. 2082 cod. civ.) che offre sul
34
mercato la consulenza, la ideazione, la realizzazione creativa, strategica e/o tecnica,
la gestione di iniziative di comunicazione”37
L’agenzia pubblicitaria, in alcuni rapporti con l’utente, agisce in modo del tutto
autonomo nella propria area di competenza; in altri l’utente è coinvolto nelle
decisioni creative rispetto ai media via via che la campagna procede.
Nessuna qualificazione è richiesta dalla legge per lo svolgimento dell’attività di
tecnico pubblicitario e non esistono disposizioni d’ordine legale per l’apertura e
l’esercizio di un’agenzia; alcuni requisiti sono stabiliti dagli statuti associativi ma
non per la costituzione o l’esercizio dell’agenzia pubblicitaria.
I.6 Creatività e diritto d’autore
Numerose sono le campagne pubblicitarie entrate nel costume e nella cultura
popolare, qualsiasi luogo geografico o periodo storico venga preso in considerazione.
La pubblicità la si odia o la si ama. A volte il suo carattere intrinsecamente invasivo
può infastidire, ma capita anche che l’interruzione pubblicitaria sia più interessante,
emozionante ed esteticamente rilevante delle trasmissioni entro le quali viene
inserita. Questo accade perché la pubblicità fa uso di tecniche che un tempo erano
patrimonio esclusivo del mondo artistico. Nel passato come nel presente sono state
ideate pubblicità, in forma di spot o su carta stampata, che sono entrate a far parte
della sfera artistica al punto che alcune di esse sono esposte in musei. Questo denota
la chiara derivazione di questa disciplina dall’arte nonostante la sua primaria finalità
sia vendere ciò che propone. Parlare però di diretta derivazione dalla disciplina
37
http://www.ubertazzi.it/it/codicepub/doc35.pdf
35
artistica è forse inadatto, ma è un dato di fatto che le aziende si affidano sempre più
all’idea creativa, alla capacità artistica, all’intuizione e al genio dei pubblicitari per
donare ai prodotti e ai marchi un valori, un’identità, un significato e un’immagine.
In un contesto di mercato ad alta concorrenza, in cui vi è la presenza di una miriade
di prodotti simili gli uni agli altri, l’obiettivo aziendale è offrire al consumatore
qualcosa che vada oltre l’aspetto funzionale del prodotto e fare in modo che tale
prodotto possa differenziarsi da quello della concorrenza. È compito della pubblicità
e dei suoi ideatori, quindi, caricare una marca di elementi emozionali e affettivi tali
da diversificare il prodotto e renderlo più attraente agli occhi dei consumatori.
La pubblicità nel processo creativo si limita a “catturare” i significati già esistenti
nell’immaginario collettivo oppure “fotografa” i valori condivisi dalla società per
accostarli a prodotti già collocati sul mercato. È in questo contesto che entra in gioco
la creatività dei pubblicitari per l’ideazione dei messaggi. Alle agenzie pubblicitarie
viene richiesta la realizzazione di messaggi sempre più creativi, innovativi, originali
e sorprendenti.
Nel significato generale e indefinito, la creatività è quel complesso di ideazioni ed
elaborazioni che fanno da supporto alla presentazione del prodotto e, solitamente,
l’annuncio “creativo” presuppone un elevato grado di innovazione per meglio attirare
l’attenzione del pubblico, altrimenti la comunicazione risulterebbe del tutto priva di
ingegno e quindi inefficace. I caratteri creativi non si individuano esclusivamente
nella semplice idea pubblicitaria, ma nella forma espressiva del messaggio ovvero in
quel complesso processo mentale attraverso il quale si formulano nuovi pensieri.
Alla base della creatività deve esserci una buona dose di curiosità, senza la quale non
esisterebbe uno stimolo verso la conoscenza38.
Gli elementi creativi di un messaggio pubblicitario sono generalmente distinti a
seconda che si tratti della parte letteraria dell’annuncio (copy) o di quella figurativa
(art)39.
38
Geppi De Lisio, Creatività e pubblicità. Manuale di metodologie e tecniche creative, Franco
Angeli, Milano, 2003, pag. 17.
39
Maurizio Fusi, Paolina Testa, Diritto e pubblicità, Lupetti edit., Milano, 2006, pag. 235. La parte
letteraria del messaggio pubblicitario include i testi che formano il corpo del messaggio, mentre la
parte figurativa riguarda il trattamento formale delle immagini e degli elementi figurativi. Entrambi gli
elementi, creativi ed espressivi, sono comunemente denominati anche “ideazioni pubblicitarie”. La
distinzione fra art e copy non dissolve la nozione di creatività che, nella pratica operativa del settore, è
ritenuta comprensiva non soltanto della forma espressiva in cui si manifesta la pubblicità ma è
presente anche nella strategia comunicazionale che un’agenzia pubblicitaria mette in atto durante il
suo lavoro.
36
Per costituire oggetto del diritto d’autore, è funzionale anche l’appartenenza ad uno
dei campi dell’arte e della cultura infatti, il messaggio pubblicitario ha da sempre
avuto una manifestazione collegata a quella artistica, tanto da influenzarsi
reciprocamente e da permettere l’inserimento nei team operativi di figure
professionali formatesi nel campo delle belle arti40.
Quando è possibile attribuire alle opere create per la pubblicità la qualità di opere
dell’ingegno?
L’opera pubblicitaria, non essendo menzionata tra le opere protette dal diritto
d’autore (art. 2 L. 22 aprile 1941, n. 633) gode della sua protezione in quanto
presenta svariati elementi (letterari, figurativi, fotografici ecc.) e quando propone i
requisiti di creatività, originalità e concretezza espressiva.
È necessario quindi che l’opera presenti un minimo di creatività senza e sotto la
quale non può sussistere sia la protezione del diritto di autore (L. 22 aprile 1941 n.
633) sia la necessaria originalità dell’opera. Per cui il carattere creativo dell’opera e
la sua originalità devono essere valutati in base ad un criterio oggettivo e
rintracciabili nella forma espressiva41 (il modo in cui vengono rappresentati
all’esterno) e non nel contenuto dell’opera. La forma espressiva, del messaggio
pubblicitario, comprende sia una parte figurativa che una letteraria; quest’ultima
infatti non è ritenuta proteggibile in quanto risulta priva di concretezza espressiva.
Il risultato dell’attività creativa pubblicitaria, secondo quanto affermato dalla Corte
di Cassazione (in un caso riguardante l’ideazione di un sistema pubblicitario per
mezzo di etichette), è protetta dalla L. 22 aprile 1941 n. 633 quando presenta le più
alte espressioni dell’intelletto. Tale orientamento risulta contrastante con le stesse
disposizioni di legge (legge 22 aprile 1941, n. 633) che garantiscono tutela alle opere
40
Beba Marsano, Manifesti (xx secolo), Electa, Milano, 2003. Nella storia del manifesto la pubblicità
commerciale assume un ruolo decisivo al punto che numerose aziende si affidano alla fantasia e alla
professionalità di un disegnatore, un cartellonista o un graphic designer per il lancio dei nuovi
prodotti. Alcuni artisti come Cappiello all’inizio del secolo, Savignac negli anni Quaranta hanno
inventato veri e propri personaggi pubblicitari mentre altri autori hanno coniato slogan diventati
famosi nel linguaggio quotidiano (un esempio è la pubblicità dei Pavesini del 1963 che aveva e
continua ad avere come slogan famosissimo: è sempre l’ora dei Pavesini! Il “linguaggio artistico” ha
saputo interpretare con perspicacia le esigenze comunicative delle varie aziende infatti, nel 1999 a
Parigi è stato inaugurato il Museo della pubblicità.
41
È necessario che l’attività creativa si concretizzi in una forma percepibile, che non rimanga a livello
di mero pensiero. Non occorre che l’opera sia fissata su un supporto materiale poiché è sufficiente, per
esempio, la comunicazione orale per le opere letterarie. Tuttavia, il fatto che l'opera non sia stata
ancora fissata materialmente determina alcune conseguenze riguardo alla percettibilità o meno della
sua comunicazione e pone inoltre un serio problema riguardo alla prova della sua esistenza. Per
esempio, nel caso di opera comunicata solo attraverso onde sonore (linguaggio, musica), si ritiene che
la protezione si possa ottenere quando, almeno una volta, vi è stata percezione da parte di un soggetto
diverso dall’autore.
37
pubblicitarie quando possiedono il requisito della creatività42. In questo caso la
realizzazione dell’opera appartiene a titolo originario all’autore, poiché espressione
del suo lavoro intellettuale.
Si è giunti alla conclusione che non sono suscettibili di protezione né le semplici
idee, né le forme espressive elementari non idonee a rappresentare fatti o sentimenti;
inoltre il minimum di creatività si riferisce essenzialmente non al contenuto o
all’argomento, ma al modo in cui sono rappresentate le opere. L’ideazione
pubblicitaria affinché sia definita un’opera creativa deve avere vari elementi:
appartenenza al campo dell’arte, minimo di creatività e originalità, una concretezza
espressiva.
L’interrogativo si pone quando occorre stabilire se su un’ideazione pubblicitaria si
configura un diritto esclusivo e il soggetto a cui esso mira. La difficoltà nasce in
diversi casi:
•
quando nella comunicazione pubblicitaria si utilizza un’opera o un elemento
creativo realizzato da altri che non ha scopo pubblicitario (ad esempio la
riproduzione di un brano musicale, di una poesia o di un quadro già esistenti);
•
nel momento in cui il messaggio pubblicitario è stato realizzato senza che tra
l’agenzia e l’utente sia stata pattuita la modalità del suo utilizzo (spesso
accade quando il rapporto fra agenzia e cliente è cessato);
•
quando l’aspetto creativo di una campagna è imitato da un’altra pubblicità per
prodotti concorrenti.
Nel nostro ordinamento la materia del diritto d’autore è regolata sia da due articoli
del codice civile (art. 2575 riferito al diritto d’autore sulle opere dell’ingegno
letterarie e artistiche; e l’art. 2583 “leggi speciali”) sia da una normativa speciale,
costituita dalla L. 22 aprile 1941, n. 633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri
diritti connessi al suo esercizio. La legge afferma all’art. 2 che sono comprese nella
protezione: 1) “le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose,
tanto se in forma scritta quanto se orale” e 2) “ le opere e le composizioni musicali,
42
Approfondimenti sul tema si rimanda a Maurizio Fabiani, Diritto D’autore e diritti degli artisti
interpreti o esecutori, Giuffrè edit., Milano, 2004, pag. 41. (Cass, 23 gennaio 1969, n. 175), in
riferimento al caso citato, l’affermazione della sentenza va rettificata poiché per la protezione di
un’opera dell’ingegno è sufficiente il requisito della creatività in misura minima e non in misura
rilevante.
38
con o senza parole, le opere drammatico–musicali, e le variazioni musicali
costituenti di per sé opere originali”; inoltre al 10) fa riferimento alle “ opere del
disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”.43
Nel corso degli anni si è verificata la modifica e l’integrazione della normativa
suddetta, introducendo fra le opere protette anche i programmi per elaboratore, le
banche dati e le creazioni del disegno industriale; quest’ultima estensione apre la
possibilità anche alle creazioni pubblicitarie di essere tutelate dal diritto d’autore
come creazioni del disegno industriale44.
Alla titolarità del diritto d’autore si ricollegano un requisito patrimoniale e uno non
patrimoniale: il primo si concretizza nella facoltà, da parte dell’ideatore dell’opera, di
trarre qualsiasi utilità economica da essa; l’autore, infatti, ha il diritto esclusivo di
pubblicare l’opera, di riprodurla, di eseguirla, rappresentarla o recitarla in pubblico,
di diffonderla attraverso qualsiasi mezzo mettendola a disposizione del pubblico, di
tradurla, di elaborarla e modificarla. Tali diritti, definiti abitualmente di utilizzazione
economica, attribuiscono al titolare la facoltà di agire in giudizio e possono altresì
essere trasmissibili in ogni modo previsto dal nostro ordinamento ed hanno una
durata limitata nel tempo. Alla scadenza di tale termine l’opera diventa di pubblico
dominio e può essere utilizzata da chiunque e per qualunque scopo (anche a scopo
pubblicitario).
Nel secondo requisito, cosiddetto “morale”, rientrano una serie di diritti che la legge
prevede “a difesa della personalità dell’autore” quali, quello di vedersi rivendicare la
paternità dell’opera, di opporsi a qualsiasi deformazione, modifica e più in generale a
qualsiasi atto a danno dell’opera. Il diritto morale, a differenza di quello
patrimoniale, è inalienabile e può essere fatto valere dall’autore anche dopo la
cessione dei diritti di utilizzazione economica. Dopo la morte dell’autore, il diritto
morale, diversamente da quello patrimoniale (che si protrae per settanta anni dopo la
morte dell’autore) può essere fatto valere senza limiti di tempo dal coniuge e dai figli
o in loro mancanza dai genitori e dagli altri discendenti diretti.
43
Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, Giuffrè edit. Milano, 2002, pag. 805.
La pubblicità non rientra nell’elencazione della L. 22 aprile 1941 n. 633 per questo è ricondotta alle
creazioni del disegno industriale. Nel campo della pubblicità l’opera dell’ingegno di carattere creativo
è compresa nella protezione del diritto d’autore quando il suo valore artistico (disegno, fotografia ecc.)
è scindibile dall’applicazione pubblicitaria alla quale è associata. In sostanza la scindibilità dell’opera
creativa dalla stessa comunicazione pubblicitaria, che l’opera trasmette, si ha nel caso in cui una
fotografia riporta all’esterno il testo che la rende messaggio pubblicitario.
44
39
Concludendo, nel momento in cui il carattere di originalità e creatività dell’opera
pubblicitaria viene riconosciuto in capo all’agenzia per l’opera commissionata, essa
diviene titolare di tutti i diritti menzionati.
40
Bibliografia capitolo I
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http://www.itwikipedia.org
42
CAPITOLO II
I CONTRATTI DELLA PUBBLICITA’
II.1 Cenni introduttivi
I “contratti di pubblicità” o “contratti della pubblicità”45 regolano i rapporti che
intercorrono tra gli attori pubblicitari e sorgono nel momento in cui l’utente ha la
necessità di pubblicizzare un prodotto, un servizio, un’idea o un evento inerente la
propria attività economica.
L’iter che conduce allo sviluppo di una campagna pubblicitaria comporta
l’adempimento di numerose attività economiche, creative (le analisi del mercato,
l’individuazione dei target group, le strategie di comunicazione, l’ideazione della
campagna pubblicitaria e la promozione) e operative (realizzazione della campagna,
gestione e controllo del badget, test sull’andamento della campagna stessa) da parte
degli attori pubblicitari, i quali devono accordarsi fra loro per disciplinare i reciproci
rapporti. Numerosi sono quindi i soggetti che agiscono nell’attuazione e, di
conseguenza, nella stipulazione dei contratti del settore pubblicitario: di
fondamentale importanza sono da un lato gli utenti e dall’altro i mezzi di diffusione.
La realizzazione, lo studio, la pianificazione e la relativa diffusione del messaggio
pubblicitario comportano l’intervento di altri soggetti tra i quali l’agenzia di
pubblicità (a “servizio completo” o “specializzate”), gli art, i fotografi, i creativi e i
designer, i copywriter, gli speaker, i registi tutti provvisti di capacità tecniche e
creative. La pubblicità per esistere ha bisogno di una distribuzione, ciò concerne il
lavoro dei media accanto ai quali operano altri soggetti importanti: editori,
concessionarie di pubblicità, centri media, tipografi, stampatori, e consulenti di
marketing e comunicazione. I rapporti tra tutti questi soggetti finora menzionati
danno vita alle figure contrattuali più importanti o più conosciute del settore.
45
Cesare Vaccà, La pubblicità, figure contrattuali, tutela del consumatore, salvaguardia della
concorrenza. Egea, Milano, 1992, pag.3.
43
I “contratti della pubblicità” non fanno parte di una categoria unitaria e quindi risulta
inopportuno accomunarli sotto un’unica denominazione. Tuttavia, pur trattandosi di
figure negoziali che hanno natura giuridica differente (alcuni riconducibili allo
schema dei contratti atipici, altri tipici e altri ancora misti) conseguono, anzitutto, un
medesimo scopo nel campo della pubblicità: promuovere la vendita46; inoltre sono
influenzati dal tecnicismo del settore che regolano e quindi presentano nozioni,
definizioni, situazioni e aspetti comuni.
Ulteriore motivo, per considerare utile una loro spiegazione unitaria, è di considerarli
complementari fra loro: i meccanismi di una figura negoziale non sono facilmente
comprensibili quando non si conoscono le particolarità dei negozi che l’hanno
preceduta.
Riguardo al momento nel quale il negozio giuridico è disposto, si distingue47:
•
contratti di agenzia pubblicitaria, con i quali gli utenti che intendono
promuovere la domanda dei propri prodotti o servizi, incaricano le agenzie di
pubblicità e comunicazione d’impresa di studiare, ideare, progettare e
realizzare campagne pubblicitarie idonee allo scopo;
•
contratti di commissione di opere per la pubblicità, stipulati solo quando
nell’azione pubblicitaria si utilizzano elementi comunicazionali di imprese di
comunicazione specializzate in un dato settore (produzioni cine-televisive,
opere pittoriche, eventi, fotografie ecc.);
•
contratti per l’uso pubblicitario di attributi della personalità o per
interpretazioni pubblicitarie, attraverso le quali gli utenti o le agenzie
acquisiscono da fotomodelli o attori, il diritto di usarne l’immagine e il nome
nei messaggi assicurandosi così le prestazioni per l’esecuzione di spot
pubblicitari o altre iniziative promozionali;
46
Maurizio Fusi, La pubblicità: strumenti e pratiche contrattuali. Guida operativa alla comprensione
ed applicazione dei contratti della pubblicità. Ipsoa, 2003 pag. 10. L’espressione è presente nel D.
Lgs. 74/1992 in riferimento alla definizione di pubblicità. Promuovere la vendita non significa solo
sollecitare il consumatore all’acquisto ma anche cercare di creare le condizioni favorevoli
all’accettazione del prodotto o servizio pubblicizzato. Nel linguaggio del marketing e della
comunicazione d’impresa, la promozione è l’incentivo o lo stimolo che tende a far conoscere e
apprezzare un servizio, un prodotto o un’idea. La promozione è uno degli strumenti del marketing mix
fondamentale per l’impresa che intende influenzare il target di riferimento.
47
Vincenzo Buonocore, Manuale di diritto commerciale, quinta ediz., Giappichelli, Torino, 2004,
pag. 941. L’elenco dei vari “contratti della pubblicità” è presente nel libro.
44
•
contratti di diffusione (o “contratto di inserzione”), con i quali i soggetti
titolari di un mezzo di diffusione si impegnano a divulgare il messaggio
pubblicitario dietro compenso;
•
contratti di concessione pubblicitaria, attraverso i quali i gestori di mezzi di
diffusione affidano a imprese specializzate (concessionarie di pubblicità48), la
gestione del servizio di acquisizione e raccolta della pubblicità per i mezzi
stessi.
Di tali figure negoziali, ai fini dell’argomento oggetto della presente tesi, solo i
contratti di diffusione pubblicitaria, i contratti di concessione e quelli di agenzia
saranno trattati in questo capitolo, evidenziandone gli aspetti essenziali.
Altro motivo che porta ad esaminare in modo unitario tali contratti è il cambiamento
avvenuto nel mercato: le prime strutture pubblicitarie non sono sorte in Italia bensì in
altri Paesi poiché vivevano una situazione economica più evoluta che ha favorito
l’emergere di pratiche contrattuali che solo in un momento successivo sono giunte
nella nostra realtà economica. Infine, i “contratti della pubblicità”, regolano un
settore, quello pubblicitario, che riveste un ruolo importante sul piano degli
investimenti sia da parte delle imprese-utenti e sia da parte dei mezzi di
comunicazione di massa.
Il settore della comunicazione pubblicitaria è regolamentato maggiormente da
disposizioni che impongono divieti e limitazioni, e risulta quindi strano che nessuno
dei negozi tipici della pubblicità sia regolato dalla legge (il legislatore infatti non ne
ha mai fatto oggetto di disciplina specifica, né nella parte del codice civile riservata
ai cosiddetti “contratti tipici”, né in altro testo normativo). L’unica fonte cui si può
far ricorso sono le disposizioni degli art. 1469 e art. 132149 del codice civile che
regolano i contratti in generale. Da qui nasce l’esigenza di individuare la natura
giuridica di tali contratti poiché essi possono essere considerati atipici, misti o
riconducibili a figure negoziali tipiche quali la commissione, l’appalto o il mandato.
48
Per il proprietario o il gestore di un mezzo di comunicazione di massa, l’attività di diffusione della
pubblicità può rappresentare solo una forma di sfruttamento accessoria del mezzo. Non
necessariamente la raccolta e la diffusione della pubblicità sono affidate in concessione ad aziende
specializzate infatti, in alcuni casi il proprietario del mezzo gestisce direttamente tali attività.
49
Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, Giuffrè edit., Milano, 2002 pag. 429. Al capitolo VII,
titolo II dei contratti in generale, l’art. 1321 sancisce che “il contratto è l’accordo di due o più parti
per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
45
Per alcuni dei “contratti della pubblicità” un’importante fonte normativa è costituita
dalla consuetudine: per decenni, infatti, gli operatori del settore hanno utilizzato
determinate regole nella pratica dei loro rapporti, molte delle quali sono diventate
veri e propri usi negoziali50. Seppur gli usi negoziali hanno una importanza
secondaria (la loro efficacia è limitata in quanto operano in ambito provinciale e sono
suscettibili di prova contraria), possono acquistare efficacia normativa in mancanza
di specifiche disposizioni legislative e nei casi previsti dalla legge. Tale aspetto è
rilevante, come vedremo, nella qualificazione giuridica della “commissione” o dello
“sconto di agenzia” che trovano la loro fonte principale nelle raccolte degli usi nel
settore di riferimento.
Nella formazione dei “contratti della pubblicità” hanno avuto un ruolo di notevole
importanza anche i contratti-tipo divulgati dalle associazioni professionali del settore
(AssoComunicazione, Upa); i contratti-tipo sono modelli contrattuali istituiti dalle
associazioni professionali della pubblicità e costituiscono un ulteriore punto di
riferimento a cui attingere per individuare il complesso di regole applicabili ai
contratti del settore pubblicitario.
L’associazionismo inoltre, ha contribuito a colmare molti vuoti normativi creando,
oltre ad elenchi, albi privati e disciplinari più o meno rigidi circa l’esercizio delle
varie professioni, anche regole che influiscono sulla materia contrattuale. Così, le
varie associazioni sono diventate un nucleo di fondamentale importanza per i
soggetti che operano nel mercato pubblicitario acquistando sempre più un ruolo di
primaria importanza per la risoluzione dei problemi a livello contrattuale.
Riferimento particolare merita il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria -la più
importante fra le varie iniziative interassociative del settore, composto di un corpo di
regole comportamentali- che si rivolge a tutti gli operatori pubblicitari impegnatisi
nella sua osservanza: dai professionisti della pubblicità alle imprese dei mezzi, fino
agli utenti che sono obbligati ad inserire una speciale clausola di accettazione51
50
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale tecnica, modelli, tipi contrattuali. Seconda
edizione, Giappichelli edit., Torino, 2007 pag. 16. Un primo tentativo di raccolta degli usi in materia
di pubblicità è stato fornito dalla FIP (Federazione italiana della pubblicità) nel 1953 attraverso la
pubblicazione di un codice di pratiche negoziali consuetudinarie, noto come “codice FIP”. Nel 1988 la
Camera di commercio di Milano ha eseguito l’accertamento di una serie di usi negoziali del settore
riguardante la provincia di Milano. In seguito anche le Camere di commercio di Torino, Bari e
Vicenza hanno attuato una verifica concernente gli usi pubblicitari delle rispettive province.
51
E. Germano Cortese, Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, società edit. Torinese 1990. Nelle
“Norme preliminari e generali” del codice di autodisciplina la relativa “clausola di accettazione”, alla
lett. d) espone “per meglio assicurare l’osservanza dell’organo giudicante, gli organismi aderenti si
impegnano a far si che ciascun soggetto ad essi associato inserisca nei propri contratti una speciale
46
prevista dal suddetto codice con l’effetto di vincolare anche chi non vi aderisce
direttamente.
Il compito di far rispettare le regole è affidato a due speciali organismi: il primo è il
Giurì che ha l’incarico di decidere, dopo accurata esamina, quando vi sia stata
violazione del CAP; il secondo è il Comitato di controllo che svolge attività
inquirente con particolare riguardo alle norme del codice a tutela del consumatore.
Le norme del CAP regolano soprattutto la forma e il contenuto della comunicazione
pubblicitaria non i rapporti fra gli operatori del settore, tuttavia qualche disposizione
del codice (come ad esempio quelle dell’art. 43 “Progetti pubblicitari” relativo alla
tutela delle creazioni pubblicitarie52), influenza anche i rapporti negoziali.
Il Codice ha ottenuto una notevole importanza ed autorità, anche al di fuori dello
stretto
ambito
associativo,
tanto
da
essere
considerato
il
modello
di
autoregolamentazione più significativo in Italia. Il giudizio espresso dall’Istituto di
Autodisciplina Pubblicitaria sulle campagne considerate più controverse è diventato
in diversi casi “giurisprudenza”; ci si affida all’istituto per risolvere i disaccordi tra
gli operatori del settore.
clausola di accettazione del Codice e delle decisioni assunte, anche in ordine alla loro
pubblicazione”.
52
E. Germano Cortese, Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, società edit. Torinese 1990, pag. 109.
“Qualora […] un utente richieda ad una agenzia o a un professionista, nell’ambito di una gara, di
una consultazione plurima o individuale, la presentazione di uno o più progetti creativi, deve
astenersi dall’utilizzare o dall’imitare gli aspetti ideativi e creativi del o dei progetti non accettati o
prescelti per un periodo di tre anni dalla data del deposito del relativo materiale da parte
dell’agenzia o del professionista interessati […]”. L’articolo chiarisce anche indirettamente il
problema della proprietà delle ideazioni pubblicitarie tanto in occasione delle “gare” quanto in
concomitanza con l’arrivo della protezione di future campagne.
47
II.2 Contratto di diffusione pubblicitaria
I contratti di diffusione pubblicitaria sono stipulati nel momento in cui un’impresa è
interessata a promuovere la domanda dei propri prodotti o servizi; l’utente che non
ha i veicoli di diffusione, si accorda con il gestore dei mezzi per la divulgazione al
pubblico dei propri messaggi.
Tali contratti sono considerati fra i più importanti del settore per differenti motivi,
uno dei quali si riferisce alla caratteristica principale della comunicazione
pubblicitaria vale a dire alla sua divulgazione alla collettività in forma impersonale,
infatti, senza diffusione non esisterebbe la pubblicità. Sotto il profilo economico essi
hanno sempre procurato ingenti investimenti tanto da essere considerati una delle
maggiori risorse finanziarie del settore. Pur trattandosi di un contratto che si colloca
al termine di una serie di negozi giuridici -che fanno parte della comunicazione
d’impresa-, ha un’importanza essenziale perché da esso sono nate le altre figure
negoziali del settore.
Gli usi in materia di pubblicità della Camera di Commercio di Milano definiscono il
contratto di diffusione “l’editore o il gestore o la concessionaria di pubblicità si
impegna, verso corrispettivo, a diffondere gli avvisi pubblicitari del committente sul
mezzo giusto (quotidiani, periodici, radio, televisione, cinema, sito web, affissioni
ecc.)”53
Il contratto di diffusione pubblicitaria è un contratto piuttosto complesso, infatti,
nella pratica del settore ne esistono vari tipi, differenti gli uni dagli altri. La prima
distinzione da fare riguarda il tipo di pubblicità divulgata; come già affermato nel
capitolo precedente (par. I.2 nozione di pubblicità) la pubblicità si distingue in
“above the line”, definita tabellare o classica, e “below the line”, cosiddetta atipica54.
La prima espressione fa riferimento a tutti i messaggi pubblicitari diffusi sui mass
media classici (stampa, radio, cinema, televisione, affissioni esterne), mentre con la
53
http://www.ubertazzi.it/it/codicepub/doc35.pdf
La pubblicità classica o tabellare, pur essendo il genere di pubblicità più utilizzato, non è l’unico ad
essere conosciuto dal settore della comunicazione d’impresa. La pratica pubblicitaria ricorre spesso a
numerose altre iniziative che possono essere sia legate alla pubblicità classica e sia autonome. La
categoria della pubblicità atipica ricomprende tutte quelle iniziative diverse da quelle tradizionali per
le differenti modalità con cui vengono attuate o diffuse: fra queste la pubblicità attuata con
l’esposizione di prodotti o sul punto vendita, la pubblicità diretta e quella sulle reti telematiche.
Tuttavia queste iniziative sono accomunate da un aspetto fondamentale: l’esigenza di diffondere i
messaggi fra il pubblico.
54
48
seconda si intendono tutti quei messaggi considerati atipici per la loro natura (ad
esempio le telepromozioni e le telesponsorizzazioni oppure le promozioni e le
vendite a premio che sono delle tecniche di incentivazione piuttosto che di
comunicazione in senso stretto), o a seconda dei modi attraverso cui sono realizzati
(ad esempio, fiere, iniziative sul punto vendita o product placement55); ognuna di
queste forma di comunicazione d’impresa genera dei contratti con caratteristiche e
con normative proprie (contratto di telesponsorizzazione, di telepromozione, contratti
di esposizione e di sponsorizzazione).
La pubblicità tabellare comprende “qualsiasi forma di messaggio diffuso in modo
specifico occupando uno “spazio”, regolato da tariffe, su mezzi (media) di
comunicazione pubblica (stampa, radio, televisione, cinema, pubblicità esterna)56”,
questa nozione è fornita dalle raccolte degli usi della Camera di Commercio di Bari.
Altra distinzione da specificare riguarda i mezzi di diffusione: ogni mezzo possiede
determinate caratteristiche tecniche ed è soggetto a specifiche normative ed esigenze
che si ripercuotono sulla materia contrattuale differenziando, di conseguenza, i
contratti di diffusione pubblicitaria.
Con riferimento ai mass media classici adoperati, i contratti possono distinguersi in:
•
contratto di diffusione pubblicitaria a mezzo stampa (o d’inserzione),
attraverso il quale l’editore s’impegna a pubblicare o inserire gli annunci del
committente (che può essere l’agenzia pubblicitaria, il centro media o l’utente
stesso) su uno o più numeri del quotidiano, settimanale o periodico
permettendo all’utente di prediligere una testata specialistica che veicoli il
messaggio pubblicitario verso un determinato target;
•
contratto di diffusione pubblicitaria radiofonica o televisiva, con il quale il
gestore dell’emittente trasmette lo spot (telecomunicato in campo televisivo e
“radiocomunicato” in radio) del committente nell’ambito delle proprie
55
Salvo Dell’Arte, Diritto dell’immagine nella comunicazione d’impresa e nell’informazione, experta
edit., Forlì, 2005, pag 434. Il contratto di product placament è uno degli strumenti di comunicazione
dell’impresa tramite il quale un marchio o un prodotto sono utilizzati direttamente o in direttamente in
un’opera dell’ingegno, dietro il pagamento di un corrispettivo. Tale contratto rientra nell’ampia
accezione di pubblicità definita “below the line”, e consiste in un semplice accordo fra l’impresa
produttrice di un certo bene e una delle tante persone impegnate nella lavorazione di un film affinché,
come l’espressione suggerisce, piazzino il prodotto nelle mani del protagonista o lo collochino su un
mobile di scena per darvi risalto nell’effettuazione delle riprese.
56
Paolo Cedon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale in Promozione e
pubblicità (XVIII), Utet, Torino, 2003, pag. 153.
49
trasmissioni garantendo la possibilità di raggiungere un elevato numero di
ascoltatori e di differenziare l’annuncio su base nazionale o locale;
•
contratto di pubblicità cinematografica, grazie al quale il gestore di un
“circuito”57 cinematografico s’impegna a proiettare il materiale pubblicitario
del committente nelle sale mediante la proiezione di cortometraggi
pubblicitari o diapositive che hanno una durata superiore rispetto a quella
trasmessa dal mezzo televisivo;
•
contratto di pubblicità esterna, consente al proprietario di “ubicazioni”
pubblicitarie in luoghi pubblici o aperti al pubblico di installare e mantenere
esposti sugli appositi impianti per il tempo concordato i materiali pubblicitari
del committente (con il vantaggio di poter realizzare messaggi flessibili e a
bassi costi di realizzazione). Si spazia dal campo delle affissioni a quelli della
cartellonistica, dalla pubblicità ambulante a quella semovente.
Oltre a questi contratti, ne sono inclusi altri tra i quali i contratti per la pubblicità
negli stadi, velodromi, teatri e altri luoghi aperti al pubblico; sui mezzi di pubblico
trasporto; per la pubblicità aerea, ambulante, questo perché la pubblicità utilizza
supporti sempre nuovi che spesso non hanno nulla a che fare con la comunicazione
tradizionale.
Le parti contraenti del contratto di diffusione solitamente non sono solo l’utente e il
proprietario del mezzo poiché queste ultime tendono a concedere la raccolta e la
gestione della pubblicità ad imprese specializzate (concessionarie di pubblicità o
semplicemente concessionarie) che hanno il compito di raccogliere la comunicazione
pubblicitaria fornita dalle agenzie, dai centri media e dagli utenti per poi consegnarla
ai relativi mezzi.
Nel mercato pubblicitario italiano operano diverse tipologie di concessionarie che
possono essere collegate direttamente alle imprese di mezzi oppure operare
autonomamente; nel primo caso, le concessionarie sono controllate dai principali
gruppi editoriali nazionali, dalle reti televisive pubbliche e dai network privati e
svolgono la loro attività in modo esclusivo con essi. Nel secondo caso le
57
Accade che, per i mezzi di modesta importanza come il cinema, i contratti di diffusione abbiano
come oggetto una pluralità di veicoli appartenenti a soggetti diversi per permettere una diffusione
pubblicitaria capillare ed efficace. Questa pratica si riscontra soprattutto nel campo della pubblicità
cinematografica poiché il vasto numero di sale e la loro dislocazione geografica fanno si che siano
creati dei “circuiti” comprendenti più cinematografi. Sono proprio i “circuiti” ad essere offerti
all’utente (committente) come unico strumento di diffusione del messaggio pubblicitario.
50
concessionarie operano senza alcun collegamento diretto con i mezzi. Il meccanismo
negoziale appare quindi complesso e incide sul profilo soggettivo dei contratti di
diffusione: quando essi sono stipulati direttamente tra l’utente e il proprietario del
veicolo, il rapporto è lineare e non suscita problemi sull’individuazione del soggetto
obbligato alla prestazione, al contrario, quando il rapporto negoziale si estende anche
alle concessionarie di pubblicità allora il meccanismo, si suddivide su due contratti.
Questi ultimi sono stipulati:
•
fra il proprietario del veicolo e il concessionario (contratto di concessione
pubblicitaria di cui si parlerà nel prossimo paragrafo) con il quale il
proprietario-concedente esegue tutti gli ordini di inserzione che il
concessionario gli passerà;
•
fra l’inserzionista–utente e il concessionario (contratto di diffusione) che
assicura al primo la pubblicazione e la diffusione dei suoi messaggi.
Nel contratto di diffusione i soggetti coinvolti sono da un lato l’impresa utente o
inserzionista e dall’altro l’impresa che ha in concessione il mezzo di diffusione, cui
si affianca il proprietario del mezzo. I rapporti negoziali che si instaurano si
riferiscono ai mezzi di comunicazione di massa e non ai concessionari anche se il
termine “mezzi” è utilizzato per indicare sia il veicolo che divulga i messaggi sia il
soggetto che ne gestisce la pubblicità (in alcuni casi il concessionario
pubblicitario58).
Quale potrebbe essere la natura giuridica del contratto di diffusione?
La sua natura giuridica -in particolare quando si tratta di pubblicità classica o
tabellare- ha suscitato molte incertezze, sia da parte della dottrina che spesso lo
riconduce alla locazione sia dagli operatori del settore, che di frequente utilizzano
l’espressione “acquisto di spazi” inducendo a pensare ad un contatto di
compravendita. Le incertezze derivano dal fatto che, prima della diffusione vera e
propria, il messaggio pubblicitario deve trovare una collocazione mediante un
supporto materiale sia in termini spaziali (lo spazio giornalistico o dell’affissione)
che in termini temporali (i tempi televisivi, radiofonici ecc.), ciò induce a pensare
che la proprietà degli spazi o dei tempi sia trasferita dal mezzo all’utente.
58
Maurizio Fusi, I contratti della pubblicità, Utet, Torino, 1999, pag. 148.
51
Concretamente non avviene l’ipotesi di un contratto ad effetti reali59 poiché sui
diversi supporti che veicolano i messaggi, l’utente non acquisisce alcun diritto di
proprietà (effetto tipico della compravendita) ma semplicemente chi possiede la
titolarità del veicolo si impegna a collocare o trasmettere il messaggio dell’utente a
fronte di un pagamento.
Un’altra possibilità che potrebbe sembrare idonea, è quella che riconduce il contratto
di diffusione alla figura tipica del negozio di locazione60 poiché il primo dei due
contratti prevede il trasferimento del godimento del bene (ad esempio lo spazio per
l’inserimento dell’inserzione pubblicitaria) presupponendo l’uso esclusivo dello
stesso da parte dell’utente. Tuttavia, il proprietario del mezzo non cede il possesso
del bene, ma si assume solo l’impegno di esporvi una certa pubblicità, manca quindi
l’elemento fondamentale del contratto di locazione, ossia la consegna della cosa al
conduttore (per l’utente, infatti, non si configura il pieno dominio dello spazio
pubblicitario soprattutto quando si tratta di pubblicità sui mezzi stampa, o su quelli
radiofonici o televisivi, nei quali gli spazi giornalistici o i tempi delle emissioni
giornalistiche non possono essere più restituiti dopo il loro utilizzo, si tratta infatti di
beni che si consumano attraverso il loro utilizzo). La locazione si realizza solo
quando un mezzo o la sua concessionaria trasferisce all’utente la disponibilità di un
bene per finalità pubblicitarie, lasciando a quest’ultimo ogni prestazione riguardante
la disposizione del materiale pubblicitario e la relativa manutenzione. Una decisione
della Corte di Cassazione (Cass. III sez. 3 dicembre 2000, n. 17156 riguardante
l’insegna pubblicitaria su muro) afferma che “caratteri essenziali del contratto di
locazione, secondo l’articolo 1571 cod. civ., sono la concessione temporanea del
godimento di una cosa determinata, da cui sia possibile trarre una utilità, ed il
corrispondente obbligo di pagare il prezzo per il vantaggio che se ne ricava per
l’uso convenuto”61; in base a tale affermazione non è necessario trasmettere al
conduttore il godimento di tutte le utilità che la cosa può produrre poiché chi dispone
59
Maurizio Fusi, La pubblicità, strumenti e pratiche contrattuali. Guida operativa alla comprensione
ed applicazione dei contratti della pubblicità, Ipsoa, 2003, pag. 40. Il contratto ad effetti reali
trasferisce la proprietà dal compratore al venditore, un effetto che si produce al momento stesso della
conclusione del contratto.
60
In diritto si definisce locazione il contratto con il quale una parte (locatore) si obbliga a far utilizzare
ad un altro soggetto (conduttore o locatario/a) una cosa per un dato tempo, in cambio di un
determinato corrispettivo (Art. 1571 cod. civ.).
61
Rivista trimestrale di dottrina e giurisprudenza. Rassegna delle locazioni e del condominio, Cedam,
gennaio – marzo 2005, pag. 319. La decisione riportata riguarda la locazione della facciata relativa ad
un edificio appartenente ad un solo proprietario.
52
di un bene si limita a concedere ad altri il godimento di una utilità del bene stesso,
senza il trasferimento al conduttore dell’esclusiva sua detenzione (art.1571 cod. civ.).
Lo stesso principio è stato espresso in un’altra sentenza della Corte di Cassazione (28
settembre 2000, n. 12870) nella quale si sostiene che il godimento del conduttore non
deve necessariamente essere esclusivo, si ha locazione anche quando l’uso della cosa
locata sia parziale o limitato.
L’analisi propende verso un’altra possibilità, quella di trovare delle similarità tra il
contratto di diffusione e l’appalto62 poiché una parte (impresa di mezzi o la
concessionaria), si assume una serie di obbligazioni tecniche quali la riproduzione,
l’apposizione e la conservazione del materiale pubblicitario tutte riguardanti la causa
stessa del contratto. L’attività svolta dal mezzo o dalla concessionaria è però
funzionale alla diffusione della pubblicità inoltre, la consegna del materiale
pubblicitario è a carico del committente e non dell’appaltatore. Questo porta a far
rientrare il contratto di diffusione nell’appalto di servizi (art. 1658 cod. civ.) piuttosto
che in quello d’opera. Il contratto d’appalto ha inoltre una caratteristica: la
prestazione periodica o continuativa dei servizi; una certa continuità si riscontra nei
contratti che comportano l’esposizione periodica degli annunci come quelli di
affissione, di pubblicità esterna o sui mezzi di pubblico trasporto, la pubblicità
radiotelevisiva, su giornali o periodici e cinematografica.
Quali sono le prestazioni che le parti contraenti sono obbligate a rispettare nei
contratti di diffusione pubblicitaria?
Il committente, oltre al pagamento del corrispettivo, è obbligato alla consegna del
materiale pubblicitario63, alla concessionaria o al mezzo, che deve avvenire nei tempi
previsti dalle parti (art. 26 usi della Camera di Commercio di Milano).
62
Approfondimenti sul contratto d’appalto Francesco Galgano, Diritto privato undicesima ediz.,
Cedam, Padova, 2001, pag. 565. In alcuni settori dell’attività produttiva l’imprenditore anziché
produrre in serie per il mercato, opera su commissione del cliente. È il caso degli appaltatori di opere
(ad esempio la costruzione di un edificio, di un’autostrada ecc.) o degli appaltatori di servizi (come ad
esempio l’attività di pulizia negli uffici o la manutenzione degli impianti ecc.). L’articolo 1655 cod.
civ. sostiene che “l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un
corrispettivo in danaro”. L’appaltatore si obbliga verso il committente a compiere un’opera o un
servizio con propria organizzazione dei mezzi e con gestione a proprio rischio utilizzando propri
materiali e assumendosi il rischio dell’affare.
63
Il materiale pubblicitario deve essere realizzato in conformità alle disposizioni normative vigenti in
ambito pubblicitario quindi deve essere: veritiera, onesta e corretta (art. 1 CAP e anche art. 1, comma
2, d.lg. 25.1.1992, n. 74); inoltre deve essere sempre riconoscibile come tale (art.7 CAP e anche art. 4,
comma 1, d. lg. 25.1.1992, n. 74) infatti, se il messaggio è diffuso a mezzo stampa, deve essere
distinto attraverso una grafica rilevante, mentre il messaggio radiofonico o televisivo si deve
differenziare attraverso mezzi ottici o acustici percepibili dal pubblico.
53
Il mezzo è obbligato a collocare o inserire la pubblicità dell’utente sul veicolo di
comunicazione: l’inserimento prevede l’esatta riproduzione del materiale fornito
dall’inserzionista che deve essere perfettamente coerente con l’originale, per meglio
conseguire il risultato pubblicitario desiderato. L’inserimento può avvenire o
direttamente da parte del committente che è attento nel produrre il materiale con le
caratteristiche tecniche richieste dal mezzo (per gli annunci radiofonici o televisivi il
materiale è spesso consegnato già su un supporto magnetico così come per
l’affissione tabellare sono già realizzati i manifesti mentre per gli annunci stampa è
fornita una prova che simula il risultato qualitativo richiesto), oppure tramite
l’agenzia pubblicitaria incaricata, sempre dal committente, di ideare, progettare e
realizzare la comunicazione pubblicitaria da diffondere sul mezzo idoneo.
Capita che il mezzo non possa diffondere il materiale poiché valutato lesivo della sua
immagine, dei suoi interessi o non idoneo al suo pubblico perché considerato
immorale o addirittura in contrasto con le leggi o con il Codice di Autodisciplina
Pubblicitaria. A tale riguardo sussiste il cosiddetto “diritto di rifiuto”: la facoltà del
mezzo di non accettare i messaggi e non diffonderli, nonostante si sia impegnato a
farlo. Tale diritto è menzionato sia negli usi64 della Camera di Commercio di Milano
(art. 26, lettera b) ) sia dal CAP che all’art. 16, terzo comma prevede che “la
conformità di una comunicazione commerciale alle norme del Codice non esclude la
possibilità, per i mezzi, di rifiutare, in base alla loro autonomia contrattuale, una
comunicazione che sia difforme da più rigorosi criteri da loro eventualmente
stabiliti”65.
Il posizionamento del messaggio (ossia la collocazione dell’annuncio nel palinsesto
della trasmissione o nell’impaginazione del giornale) deve avvenire secondo le
modalità prescelte dal committente in quanto da esso dipende la visibilità che il
messaggio stesso può avere presso il pubblico, infatti, nel caso degli spazi
pubblicitari televisivi i cosiddetti “prime time” sono importantissimi poiché i
messaggi sono diffusi nella fascia oraria serale considerata quella maggiormente
seguita dai telespettatori così come le pagine centrali di un quotidiano e le “controcopertine” di un periodico attirano maggiormente l’attenzione dei lettori. Di
conseguenza, gli utenti che hanno la necessità di diffondere il messaggio attraverso
64
Riccardo Rossotto, Claudio Elastici, I contratti di pubblicità. Il contratto di agenzia, il contratto di
sponsorizzazione, Giuffrè edit, Milano, 1994, pag.165.
65
E. Germano Cortese, Il codice di autodisciplina pubblicitaria, Soc. edit. Torinese, Torino 1990,
pag. 64.
54
specifici spazi o tempi, devono espressamente pattuirlo nel contratto altrimenti il
mezzo provvede alla diffusione negli spazi che ritiene più opportuni. In riferimento
al posizionamento, un problema ricorrente è quello di accertare se il mezzo è
obbligato ad evitare che il messaggio pubblicitario sia posizionato accanto a quelli
della concorrenza, tanto da comprometterne l’efficacia. In realtà non si tratta di un
obbligo ma di un dovere: una diffusione qualificata che favorisca e non danneggi le
finalità promozionali della pubblicità, deve essere predisposta dal mezzo con il
dovere di collocarla in posizioni non compromettenti66. Una responsabilità che ricade
sul mezzo si ha quando il messaggio pubblicitario è diffuso con una qualità non
conforme al materiale consegnato dal committente; nel caso della stampa, ad
esempio, ci possono essere errori o difetti di stampa nell’annuncio, nel caso di uno
spot può accadere che la trasmissione sia disturbata o non ha ricezione del segnale
televisivo. In questi casi l’unica forma risarcitoria è la ripetizione del messaggio
(Camera di Commercio di Torino, art. 7 relativo ai rapporti utenti-mezzi).
Molti contratti stipulati dai mezzi, contengono la clausola di accettazione del CAP e
le eventuali decisioni del Giurì; tale clausola è presente nelle norme preliminari del
CAP che alla lettera d) stabilisce che ogni soggetto aderente “inserisca nei propri
contratti una speciale clausola di accettazione del codice e delle decisioni assunte
dal Giurì […]67”. Nel rapporto fra i due contraenti, tale clausola comporta il diritto
del mezzo di sospendere la diffusione della campagna in corso nel momento in cui
gli organismi autodisciplinari accertano che ci sia un contrasto con le norme del
codice.
Lo scopo ultimo del contratto è la diffusione dei messaggi commissionati dall’utente:
la riproduzione e il piazzamento del materiale pubblicitario sono, infatti, finalizzate
al suo corretto inserimento sul veicolo, in vista della sua divulgazione e senza la
quale non si realizzerebbe mai l’obbligazione contrattuale e di conseguenza la
diffusione della pubblicità
66
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale, tecnica, modelli, tipi contrattuali, seconda
edizione, Giappichelli edit. Torino, 2007, pag.36.
67
E. Germano Cortese, Il codice di autodisciplina pubblicitaria, Soc. edit. Torinese, Torino 1990,
pag. 17. Anche gli usi della Camera di Commercio di Milano prevedono, all’articolo 26 lettere d)
l’accettazione delle regole del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria e delle decisioni del Giurì.
55
II.3 Contratto di concessione pubblicitaria
Le concessionarie pubblicitarie derivano dalle “regie”, sviluppatesi in Italia,
sull’esempio francese, nella seconda metà del diciannovesimo secolo inizialmente
nel settore della stampa quotidiana e periodica, e in un secondo tempo fra altri media
quali i mezzi di trasporto e le affissioni68. Il ruolo principale delle “regie” riguardava
attività concernenti la vendita di spazi in concessione e quando possibile svolgevano
anche servizi attinenti all’ideazione, pianificazione e realizzazione di messaggi
pubblicitari. In seguito, con lo sviluppo delle agenzie di pubblicità, la loro attività si è
concentrata esclusivamente sull’intermediazione degli spazi o dei tempi pubblicitari
acquisendo il nome di concessionarie. Generalmente, si definisce concessionario un
intermediario commerciale che vende beni e servizi in virtù di un contratto di
concessione. Nel caso specifico, il bene distribuito grazie alla concessione è uno
spazio/tempo prodotto da una o più imprese operanti nei settori della radio, della
televisione, della stampa, delle affissioni e del cinema, dei new media e il mercato,
cui si rivolgono, è l’insieme di imprese che investono in advertising.
Nella pratica del settore si definisce di “concessione pubblicitaria” il contratto con il
quale un’impresa di mezzi (concedente) affida in concessione ad una impresa
specializzata (concessionario69), l’acquisizione e la gestione della pubblicità da
68
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale, tecnica, modelli, tipi contrattuali, seconda
edizione, Giappichelli edit. Torino, 2007, pag. 107. L’origine storica delle società concessionarie
coincide con la nascita della pubblicità moderna; già nel 1845 a Parigi operavano la Havas, che
assolveva alla duplice funzione di concessionaria e di agenzia per la produzione di messaggi, la Panis,
la La Fitte, e la Société Générale des annone. In Italia, la figura del venditore di spazi pubblicitari fu
introdotta nel 1863 dal farmacista bresciano Attilio Manzoni. Le prime società di intermediazione
furono denominate “regie” di stampa e offrivano i propri servizi al canale della stampa. Tali società
liberavano gli editori dall’attività di commercializzazione e amministrazione degli spazi pubblicitari e
offrivano all’editoria, ancora prevalentemente locale, la possibilità di contattare utenti in tutta la
penisola. Gli editori preferivano lasciare ad altri l’onere e il rischio di organizzare una struttura in
grado di affrontare la raccolta pubblicitaria, rinunciando così ai guadagni ottenibili dalla pubblicità. Le
regie italiane, con il tempo, andarono specializzandosi nell’intermediazione commerciale, lasciando
alle agenzie di pubblicità la funzione creativa.
69
http://www.fcponline.it/pagine/pagina.aspx?&L=IT . Il fenomeno delle concessionarie di pubblicità
ha avuto uno sviluppo parallelo all’affermazione della televisione commerciale nel nostro Paese, in
particolar modo verso la fine degli anni ’70. Nel settembre del 1979 nasce, infatti, Publitalia’80
società del Gruppo Fininvest (Mediaset), la quale si inseriva in un mercato dalle grandi potenzialità.
La FCP (Federazione Concessionarie di Pubblicità) raggruppa le aziende che operano nella vendita di
spazi pubblicitari su: quotidiani, periodici, televisione, radio, internet e cinema. Altre concessionarie
di pubblicità sono la Manzoni advertising (concessionaria di pubblicità esclusiva dei mezzi del gruppo
l’Espresso e di un qualificato gruppo di Editori Terzi); 24 ore system (è concessionaria di pubblicità
dei mezzi classici del gruppo e dal 1996 specializzata anche nella vendita degli spazi dei siti web
aderenti al proprio network); Pubbliweb (concessionaria di prodotti sul web); Progress media
56
diffondere attraverso il veicolo del concedente. In termini giuridici si ha un facere
perché accanto ad un’attività materiale, volta a contattare la clientela attraverso
un’adeguata organizzazione, si ha un’attività negoziale, con la quale il
concessionario conclude i contratti di diffusione nell’interesse della controparte.
Le imprese di mezzi dispongono raramente di strutture adibite alla raccolta e
all’amministrazione di ordini pubblicitari, per questo motivo richiedono la
collaborazione di organizzazioni specializzate (concessionarie) nella gestione e
raccolta di materiale pubblicitario. Molte imprese di mezzi che operano in Italia, si
servono di concessionarie di pubblicità le quali possono sia non essere collegate ai
mezzi (come accade per la maggioranza delle imprese editoriali e radiotelevisive,
nonché degli enti pubblici in particolare per la pubblicità esterna), sia essere
controllate direttamente dai mezzi, come avviene per alcuni grandi editori, per la
concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico e per il principale gruppo
televisivo privato.
Il lavoro svolto dal concessionario di pubblicità, potrebbe generare il fenomeno
denominato “concentrazione”, poiché le grandi imprese concessionarie che operano
per più mezzi, possono essere in grado di condizionare il mercato e creare delle
posizioni “privilegiate” sia sull’andamento degli investimenti pubblicitari sia
sull’accesso ai mezzi di comunicazione. Per evitare simili conseguenze sono state
emanate normative che hanno fissato alcune limitazioni alle concessionarie del
settore editoriale e radiotelevisivo. La legge n. 223/1990 (definita legge Mammì70),
pone divieti di posizioni dominanti nell’ambito dei mezzi di comunicazione di massa
e degli obblighi che i concessionari devono seguire. Per le concessionarie di
pubblicità radiotelevisiva alcune disposizioni sono contenute all’art. 12 che
assoggetta queste imprese all’obbligo d’iscrizione nel registro nazionale delle
imprese radiotelevisive (comma 1); mentre l’art. 15 disciplina le concentrazioni nel
settore radiotelevisivo fissando un limite massimo per le risorse del mercato delle
(concessionaria nel settore della pubblicità radio televisiva). Le strategie di comunicazione cambiano
e con esse anche le varie forme della pubblicità, infatti, una gran parte della pubblicità dell’utente è
fornita sul web perché è una comunicazione d’impatto per l’immagine dell’agenzia. Il web fornisce
molti contenuti importanti per la comunicazione pubblicitaria e così ogni editore cerca di attirare più
spazi ove collocare la pubblicità creando blog allo scopo di ricadere l’attenzione sul proprio mezzo di
diffusione. Le forme di comunicazione cambiano e con esse anche il mercato di riferimento che
sempre più occupa spazi non propri.
70
Corasaniti Giuseppe, Diritto dell’informazione. Linee generali della legislazione e della
giurisprudenza costituzionale per l’impresa di informazione e per la professione giornalistica. Terza
edizione CEDAM, Padova, 1999, pag. 80.
57
comunicazioni di massa che possono essere cumulate da un unico soggetto
economico. Lo stesso art. 15, individua precisi criteri per il rilascio delle concessioni
radiotelevisive per evitare posizioni dominanti soprattutto riguardo alla gestione della
pubblicità limitando a tre il numero delle reti nazionali per le quali la pubblicità può
essere raccolta ove la concessionaria sia collegata o controllata da un’impresa
esercente la radiodiffusione; ovvero a due reti nazionali e tre locali, o ancora a una
rete nazionale e sei locali, con la sola eccezione della concessionaria dell’emittente
pubblica, alla quale è consentito raccogliere la pubblicità, oltre che per le tre reti
televisive, anche per le tre reti radiofoniche pubbliche (comma 7).
Il contratto di concessione pubblicitaria, non è menzionato né dalla legge né dalle
raccolte degli usi delle Camere di Commercio ma il suo impiego è ormai consolidato
da una prassi conosciuta e utilizzata dagli operatori del settore. La prassi si basa su
un conferimento di concessione da parte dell’impresa di mezzi al concessionario che
si impegna, in nome proprio e a proprie spese, alla ricerca e alla raccolta degli ordini
per la pubblicità, promozione ed acquisizione di materiale pubblicitario da inserire
sul mezzo di comunicazione. Il contratto, infatti, non è disciplinato legalmente, e
spesso accade di ricondurlo ad una delle figure negoziali tipiche: quella cioè del
contratto di agenzia commerciale71 disciplinato dall'art. 1742 ss. cod. civ. Nel
71
Floriana Di Ruzza, Brevi note in tema di contratto di concessione pubblicitaria in Giurisprudenza
italiana, 1984, pag. 549. Il tribunale di Milano (4 giugno 1981) nega una relazione fra il contratto di
concessione pubblicitaria e lo schema legale dell’agenzia. L’impresa concessionaria si obbliga, verso
corrispettivo, alla promozione e alla conseguente stipulazione dei contratti di diffusione pubblicitaria
con gli utenti e a una ulteriore attività di fatturazione e di incasso dei corrispettivi, producendo effetti
nella sfera giuridica della controparte. In termini giuridici si ha un facere: accanto ad un‘attività
materiale si pone un’attività negoziale con la quale il concessionario conclude i contratti di diffusione.
Nel contratto d’agenzia l’agente ha l’obbligo di una prestazione a carattere continuo consistente nel
promuovere contratti, dietro corrispettivo, in una zona determinata ma non ha mai un concreto potere
di gestione degli affari del proponente poiché non è legittimato a riscuotere i suoi crediti. Anche
l’impresa concessionaria agisce per conto e nell’interesse dell’impresa in virtù del potere che le viene
conferito ma, all’attività promozionale, se ne accompagna sempre un’altra, rivolta alla determinazione
del contenuto dei contratti di diffusione pubblicitaria con i terzi, stipulati in nome proprio. È respinta
quindi la tesi di una coincidenza tra il contratto di concessione e quello di agenzia. Di frequente la
“struttura” del contratto di concessione è ricondotta a quella del mandato che, come noto, secondo
l’art. 1703 cod. civ. è il contratto con il quale una parte (il mandatario) si obbliga a compiere atti
giuridici per conto dell’altra (il mandante). Anche se vi possono essere caratteristiche analoghe tra
l’attività svolta dal concessionario e quella del mandatario, è evidente che quest’ultimo ha il solo ruolo
di stipulare contratti mentre il concessionario ne svolge molte altre. Un altro tipo di configurazione
conduce il contratto di concessione a quello d’appalto. Nel contratto d’appalto una parte si obbliga,
verso corrispettivo, a compiere un’opera o un servizio a proprio rischio e con propria organizzazione
dei mezzi (art. 1655 cod. civ.). Lo schema dell’appalto è caratterizzato, però, dalla presenza di
un’impresa di grande o media dimensione, nella quale l’appaltatore non è mai una persona neutra
piuttosto è un imprenditore commerciale, la cui attività è meramente esecutiva. Al contrario, l’attività
del concessionario è deliberativa, destinata a produrre gli effetti nella sfera giuridica della controparte.
Inoltre nel contratto di concessione l’appaltatore non è il concessionario ma l’impresa di mezzi,
impegnato a svolgere il servizio di diffusione degli annunci dei clienti del concessionario.
58
contratto d’agenzia l’obbligazione dell’agente di commercio è di compiere un’attività
che sia diretta alla conclusione di affari per conto del preponente al contrario, il
concessionario conclude contratti in nome proprio con l’obbligo di gestirli e di
trasferire al concedente gli effetti attivi e passivi in un momento successivo.
Altro riscontro riporta il contratto di concessione alla categoria dei contratti gestori:
il motivo di una posizione giuridica non definita è che risentono dell’influenza del
mezzo di diffusione. Nel caso in cui il veicolo, lo spazio sul quale mettere on air la
pubblicità, appartenga al patrimonio indisponibile di un ente pubblico, quest’ultimo
affida in gestione la pubblicità a imprese private attraverso un atto di concessione
amministrativa in forza del quale il concessionario esercita alcuni poteri di carattere
pubblico assumendosi le obbligazioni riguardanti il servizio gestito in concessione.
Quando contrariamente il veicolo appartiene a un ente privato, la struttura della
figura negoziale sembra riportarlo nella categoria di quelli gestori o del mandato con
rappresentanza (1703 cod. civ.72).
È difficile inquadrare la natura giuridica di questo contratto ecco perché è spesso
considerato un contratto misto73.
Il contratto di concessione ha comunemente una durata pluriennale, in genere da un
minimo di tre ad un massimo di cinque anni e la sua stipulazione spesso avviene in
forma scritta. Il motivo di una durata pluriennale è insito nella natura del rapporto
negoziale che prevede un periodo di introduzione poiché raggiunge pieni effetti
economici solo dopo qualche tempo.
Il concessionario, nel periodo in cui si dedica alla ricerca e acquisizione della
pubblicità, è obbligato a non adottare una politica commerciale che possa svalutare
l’immagine o la valenza pubblicitaria del veicolo in concessione. Tale obbligo non è
espresso nei contratti ma viene fatto derivare dai doveri di correttezza (art. 1175 cod.
civ.), di diligenza (art 1176 cod. civ.) e di buona fede (art. 1375 cod. civ.).
Una volta acquisiti gli ordini e perfezionati i relativi contratti di diffusione (dei quali
garantirà in proprio all’inserzionista l’esecuzione) il concessionario è tenuto ad una
serie di attività che garantiscono l’inserimento della pubblicità sul veicolo quali:
72
Il mandato è il contratto con il quale una parte (mandatario) si obbliga a compiere uno o più atti
giuridici per conto dell’altra (mandante).
73
A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, XVII ed., Giuffrè editore, Milano, 2004.
pag. 460. Il contratto misto si caratterizza per la presenza di clausole riferibili ad un determinato tipo
contrattuale e di clausole riferibili ad un altro. Si ha la combinazione di più contratti dotati di
autonoma causa ma finalizzati al perseguimento di un interesse unitario.
59
l’invio al mezzo delle copie dei contratti conclusi, la consegna degli esecutivi degli
annunci o dei materiali forniti dall’inserzionista, la trasmissione dei calendari delle
uscite della comunicazione pubblicitaria e l’indicazione delle posizioni in cui inserire
gli annunci. Il concessionario, in seguito, procede alla riscossione delle fatture degli
inserzionisti presentandole al concedente al termine di ogni periodo contrattuale; le
attività svolte dal concessionario sono tipicamente commerciali e quindi paragonabili
a quelle degli intermediari tradizionali del commercio.
Il concedente ha l’obbligo di eseguire gli ordini di pubblicità raccolti dal
concessionario, il quale, come già accennato, contratta con gli inserzionisti
promettendo il fatto del terzo (art. 1411 “contratto a favore di terzi”). L’accordo fra il
concedente (in posizione di promittente) e il concessionario (quale stipulante)
obbliga il primo al compimento di una serie di prestazioni (l’inserimento della
pubblicità sul veicolo e la sua diffusione) a beneficio di un soggetto terzo
(l’inserzionista) estraneo alla conclusione del contratto. Gli inserzionisti, nel caso in
cui la diffusione è eseguita in modo difettoso e quindi non conforme secondo quanto
pattuito, possono agire direttamente nei confronti del mezzo al quale però è sempre
concesso il “diritto di rifiuto”. Altro obbligo a carico del concedente è di mantenere il
mezzo ai livelli qualitativi e quantitativi esistenti al momento della conclusione del
contratto: per tutto il periodo della concessione, il veicolo non deve deteriorarsi per
contenuti, qualità dei servizi o ampiezza della diffusione e non deve subire notevoli
flessioni di audience. Gli elementi elencati sono importanti sia per il “valore
pubblicitario” di un mezzo sia per le scelte che gli inserzionisti fanno in base al
“valore pubblicitario” che il mezzo possiede.
Il contratto di concessione non prevede l’esclusiva in favore del concedente; il
concessionario è quindi libero di assumere in concessione anche la pubblicità di altri
mezzi, non solo di tipologia diversa ma anche dello stesso genere del concedente e in
concorrenza con esso. È praticata l’esclusiva in favore del concessionario da parte
del concedente che si impegna a non affidarsi, per la raccolta della pubblicità, ad
altre organizzazioni e a non raccoglierla in proprio. L’esclusiva comporta il
manifestarsi di clausole che obbligano il proprietario del mezzo ad indirizzare al
concessionario gli utenti che intendono diffondere inserzioni pubblicitarie oppure
clausole che limitano l’esclusiva solo alla pubblicità nazionale o a quella locale
(riguardante le inserzioni per le pagine o i programmi regionali).
60
II.4 Contratto d’agenzia pubblicitaria
II.4.1 Premessa
Il contratto di agenzia pubblicitaria nasce grazie ai continui cambiamenti avvenuti
nel mercato pubblicitario internazionale, infatti, gli operatori pubblicitari italiani, si
sono ispirati ai modelli contrattuali esistenti soprattutto negli Stati Uniti, Inghilterra e
Francia. Tali modelli sono stati così, adattati e modificati in base alle peculiari
esigenze degli operatori del settore pubblicitario italiano74.
Il cambiamento è avvenuto negli anni ottanta quando il sistema pubblicitario
mondiale ha iniziato a subire un fenomeno di concentrazione e accorpamento delle
strutture operanti in questo settore attraverso operazioni di fusione ed acquisizione
fatte dalle agenzie statunitensi ed inglesi. Questo mutamento ha condotto all’attuale
equilibrio: la presenza sul mercato di agenzie pubblicitarie transnazionali che
lavorano in numerosi Paesi attraverso proprie filiali o società partecipate. In Italia, la
maggior parte delle agenzie pubblicitarie75 sono state acquisite dalle multinazionali
americane, inglesi e francesi e ciò ha portato a numerosi cambiamenti in tutti gli
ambiti del settore. Inizialmente, le agenzie italiane erano piccoli studi tecnici o
grafici, con strutture organizzative ridotte, un numero ristretto di cooperatori e con
disponibilità finanziarie limitate. A causa del nuovo equilibrio mondiale del
fenomeno pubblicitario e della mancanza di un chiaro riferimento contrattuale fra
agenzie e utenti, cominciarono ad essere utilizzati gli schemi contrattuali importati
dall’estero. Tali contratti furono inizialmente tradotti, solo in seguito sono stati
adattati alle esigenze del mercato italiano e, soprattutto, ai principi dell’ordinamento
74
Marina Arietti, Il contratto di agenzia pubblicitaria negli Stati Uniti e in Germania in
giurisprudenza italiana, Utet, quarta dispensa, aprile 1995, pag. 8. Le prime agenzie pubblicitarie
sono nate negli Stati Uniti durante la seconda metà del XIX secolo e solo in seguito si sono sviluppate
in Europa grazie all’apertura di filiali delle stesse agenzie statunitensi. Questa diffusione, in Europa, è
legata ad un dato di natura economica: la presenza sul mercato europeo di agenzie nordamericane che
utilizzavano i modelli contrattuali affermatesi fra gli operatori del settore. Il principio accolto sia
dall’ordinamento tedesco che da quello americano è la libertà della forma per la stipulazione dei
contratti, quindi non è necessario che il contratto di agenzia sia redatto per iscritto. Va ricordato che in
Germania non esiste una disciplina ad hoc per il contratto in esame che risulta tipizzato socialmente;
la giurisprudenza e la dottrina riconducono il tipo sociale entro un tipo legale.
75
Il termine “agenzia” deriva dall’inglese “agency” poiché le organizzazioni del settore pubblicitario
si sono sviluppate soprattutto negli Stati Uniti dove, infatti, sono denominate “advertising agenzie”. Si
nota che, molti termini utilizzati nel settore pubblicitario derivano dall’inglese.
61
nazionale. Tutt’oggi i rapporti contrattuali fra agenzia e mezzi sono diversi fra l’Italia
e gli altri Paesi. Negli altri Paesi l’impresa che vuole pubblicizzare un prodotto si
rivolge all’agenzia di pubblicità affidandole l’intero incarico (studio, realizzazione e
diffusione della pubblicità). A sua volta l’agenzia provvede all’esecuzione del
progetto (ideazione e progettazione) e una volta approvato dal cliente, realizza la
campagna pianificando la diffusione attraverso gli spazi o i tempi dei mezzi,
assumendosi tutte le obbligazioni contrattuali (l’utente resta estraneo a tutta la fase
operativa, salvo il diritto all’approvazione delle varie fasi realizzative del
messaggio). Questi modelli contrattuali stranieri non erano conformi alle esigenze
degli operatori pubblicitari italiani così il rapporto tra agenzie e mezzi si è evoluto in
modo differente. In Italia il rapporto si è strutturato diversamente, infatti, l’utente
commissiona il lavoro all’agenzia che, dopo aver realizzato il messaggio
pubblicitario, si appresta ad analizzare i mezzi più idonei per la diffusione dei
messaggi e a stipulare i relativi contratti in nome e per conto del cliente sul quale
ricadono gli effetti giuridici. Altro metodo operativo, adottato dalle grandi imprese,
prevede che l’utente acquisti direttamente gli spazi o i tempi senza richiedere
l’assistenza dell’agenzia.
L’emergere di strutture specializzate (denominate centri media o centrali media)
nell’acquisto di tempi e spazi pubblicitari direttamente dai mezzi ha ulteriormente
modificato il mercato pubblicitario italiano. Si tratta di strutture che possono essere
controllate direttamente dalle agenzie poiché decidono di scorporare un settore (il
comparto media) che originariamente era gestito al proprio interno. I centri media
sono diventati un interlocutore importante per l’utente il quale affida a queste
strutture il compito di ricercare e acquistare gli spazi idonei dai mezzi di diffusione. I
punti di forza del centro media si possono riassumere nell’elevato livello di
specializzazione raggiunto (tecnologie e tecniche avanzate, sviluppo e ricerca sul
target group e new media), e nel maggior potere contrattuale d’acquisto di spazi e
tempi pubblicitari per conto dei singoli utenti.
Il centro media è un intermediario tra azienda inserzionista e concessionaria di
pubblicità (che a sua volta generalmente ha un mandato dagli editori) e si occupa di
ottimizzare la pianificazione sui vari media del messaggio pubblicitario. Per fare ciò
esso utilizza ricerche e software molto costosi che cercano di capire i possibili
comportamenti del consumatore e i diversi atteggiamenti degli stessi nei confronti
dei mezzi di comunicazione. Il centro media può (ma non necessariamente) comprare
62
e ottimizzare l’acquisto degli spazi in nome e per conto dell’azienda stessa oppure
può suggerire e consigliare all’azienda (che in questo caso si occupa direttamente
dell’acquisto) la migliore trattativa nei confronti degli editori/concessionarie di
pubblicità. Ovviamente si occupa anche di tutta la fase di post-campagna e di ritorno
degli investimenti pubblicitari sul consumo dei prodotti .
L’analisi del mercato pubblicitario, la sua evoluzione e i cambiamenti riguardanti i
rapporti fra gli operatori del settore sono la base per capire e conoscere il quadro
giuridico entro il quale si è definito il contratto di agenzia pubblicitaria.
II.5 Contratto di agenzia pubblicitaria
Il contratto d’agenzia è uno degli elementi cardine nell’ambito pubblicitario, infatti,
la sua stipulazione fa sorgere rapporti di collaborazione non solo tra utenti e agenzie
di pubblicità ma tra tutti coloro che in qualche modo contribuiscono alla
realizzazione della campagna pubblicitaria (per citarne alcuni fotografi, stampatori,
editori ecc.). Il rapporto che si crea si basa soprattutto sulla stima e sulla fiducia
reciproche anche se, in alcuni casi, non sono sufficienti per portare a termine una
relazione di lavoro. Da un lato l’agenzia ha la necessità di tutelare i suoi diritti
sull’opera commissionata e dall’altro il cliente deve avere la certezza che tutte le
obbligazioni che l’agenzia si assume siano rispettate. Per questi motivi è stato
doveroso regolare sia i reciproci rapporti contrattuali sia il lavoro svolto dall’agenzia,
così, non avendo in Italia alcun riferimento legislativo o di contrattualistica, gli
operatori del settore hanno cominciato a far riferimento ai modelli contrattuali
63
anglosassoni. Per tutelare le parti contraenti, la conclusione del contratto, che
abitualmente avviene attraverso uno scambio di lettere, dovrebbe verificarsi sempre
in forma scritta per evitare controversie future e per assicurare a entrambi
l’attuazione delle obbligazioni reciproche. L’utente, prima di conferire l’incarico
richiede all’agenzia una lunga fase precontrattuale durante la quale si realizza il
progetto di massima che non obbliga il cliente-utente ad una proposta contrattuale
nei confronti dell’agenzia. Il progetto di massima76 è considerato un “preventivo” e
ha il solo scopo di far orientare l’utente verso un possibile rapporto contrattuale con
l’agenzia. Altra attività svolta nella fase precontrattuale sono le “gare” (definite
anche “campagne speculative”) ove diverse agenzie sono “chiamate” a partecipare a
fronte di un invito da parte dell’utente, che in seguito sceglierà il progetto di
comunicazione più adatto alle sue esigenze. Le “gare” però sono considerate dagli
operatori pubblicitari un dispendio di energia e risorse finanziare poiché si tratta di
una consistente progettazione pubblicitaria, infatti, le varie associazioni del settore
hanno posto dei modelli di comportamento e dei limiti alle agenzie che partecipano
alle “gare”, in particolare: non dovrebbero partecipare quando il nome delle altre
concorrenti non è reso noto; se il numero delle agenzie in gara è superiore a tre;
quando non è prevista una remunerazione minima per le agenzie che vi partecipano.
La materia dei contratti non è regolata da una disciplina legislativa ma esiste
un’eccezione limitata a specifici ambiti negoziali, si tratta del d.lgs. 15/11/1993, n.
50777 che regola le imposte comunali riguardanti le affissioni di manifesti e cartelloni
pubblicitari. Il Codice Civile non include alcun riferimento in materia di contratti
d’agenzia pubblicitaria per questi motivi le associazioni di categoria (UPA,
76
Il progetto di massima si basa sul brief che l’utente fornisce all’agenzia di riferimento e si tratta di
un documento per la preparazione della pubblicità. Molte informazioni sono fornite dal cliente sul
prodotto o servizio da pubblicizzare. È un prospetto degli obiettivi di marketing e su questo l’agenzia
elabora una strategia di comunicazione; il brief cambia in base alla complessità della campagna
pubblicitaria che si intende realizzare e all’entità dello stanziamento previsto. Il progetto di massima
può basarsi sul lancio di in nuovo prodotto da immettere sul mercato di riferimento oppure su un
prodotto già collocato sul mercato che però ha bisogno di una “rivitalizzazione” e quindi di una nuova
strategia di comunicazione.
77
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale tecnica, modelli e tipi contrattuali,
seconda edizione, Giappichelli editore, Torino, 2007, pag. 57. Il campo della pubblicità su affissioni o
cartelloni riguarda luoghi pubblici che fanno capo a diverse amministrazioni o enti e ciò si ripercuote
sui contratti del settore pubblicitario. In particolare il d.lgs. 15/11/1993, n. 507 rende obbligatoria la
gestione comunale, nei comuni con più di tremila abitanti, di tutta la pubblicità su affissioni quindi,
chiunque intende avvalersi di tale servizio è obbligato a pagare un corrispettivo. L’articolo 22 del
d.lgs. n. 507/1993, disciplina il rapporto tra utente e comuni per l’affissione di manifesti, delineando
gli obblighi e i diritti delle parti; mentre l’art. 19 fissa i corrispettivi del servizio chiamati “diritto sulle
pubbliche affissioni”. Il servizio delle affissioni può essere affidato dai comuni a privati concessionari
(art. 25) i quali si assumono tutti gli obblighi e i diritti del servizio.
64
AssoComunicazione e in seguito anche la TP, Associazione Italiana Pubblicitari
Professionisti), hanno cercato di porre rimedi alla mancanza legislativa attraverso la
proposta ai propri associati di contratti-tipo contenenti clausole per la risoluzione di
problemi contrattuali. Regole fondamentali sono state per di più fornite dalle Camere
di Commercio che hanno amministrato la raccolta degli usi in materia di pubblicità.
Il contratto di agenzia pubblicitaria può essere descritto come l’accordo in base al
quale l’utente conferisce all’agenzia, a fronte di un corrispettivo, l’incarico di ideare,
progettare, pianificare e realizzare una campagna pubblicitaria78. Tale figura
negoziale presuppone numerose prestazioni, diverse le une dalle altre: si spazia da
attività di analisi e studio del mercato di riferimento, alla scelta dei mezzi cui
diffondere la comunicazione pubblicitaria, fino alla stipulazione dei contratti con
terzi (fotografi, stampatori, editori, concessionarie, allestitori ecc) e alla verifica
dell’attività da loro svolta.
La fattispecie contrattuale è tuttora caratterizzata da alcuni elementi di incertezza
tanto che si opta fra diverse soluzioni quali: contratto d’agenzia, contratto atipico,
contratto misto. Il contratto d’agenzia, disciplinato dall’art. 174279 cod. civ. non ha
alcun elemento in comune con il contratto d’agenzia pubblicitaria in quanto l’agente
pubblicitario riceve singoli incarichi dagli utenti e non è legato ad essi da un
contratto di durata, non ha neanche l’obbligo di svolgere un’attività di promozione
contratti a differenza dell’agente di commercio. Certo è che si tratta di un contratto
sinallagmatico80, ossia basato su prestazioni reciproche: l’agenzia si impegna ad
78
La Camera di Commercio di Milano all’art. 4 definisce il contratto d’agenzia come quel “contratto
con il quale l’agenzia pubblicitaria assume l’incarico di progettare, pianificare e realizzare la
pubblicità per uno e/o più prodotti e servizi dell’utente, a fronte di un corrispettivo”. La Camera di
Commercio di Torino all’art. 1 sostiene che il contratto d’agenzia è il contratto con il quale “l’utente
affida all’agenzia l’incarico di studiare, ideare, progettare, realizzare e controllare, per conto
dell’utente stesso, le campagne pubblicitarie per determinati prodotti/servizi/imprese e per il periodo
di tempo stabilito”. In campo pubblicitario, le raccolte più importanti di usi in materia di pubblicità
sono quelle realizzate rispettivamente dalla Camera di Commercio di Milano e di Torino, dove
storicamente si è sviluppato e diffuso il mercato della pubblicità italiano. In seguito sono stare
realizzate le raccolte degli usi pubblicitari delle Camere di Commercio di Bari e Vicenza.
79
Adolfo Di Majo(a cura di), Codice Civile, sedicesima edizione, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag.
489. “Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto
dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”.
80
Fiammetta Malagoli, Maurizio Sala, Federico Unnia, Negoziare la comunicazione. Risposte ai
principali quesiti nei rapporti di pubblicità, sales promotions, sponsorizzazioni, PR e internet
communication, Ediz. Franco Angeli, Milano, 2001, pag. 21. Il sinallagma (anche detto nesso di
reciprocità) è un elemento costitutivo del contratto a obbligazioni corrispettive, quello cioè nel quale
ogni parte assume l’obbligazione di eseguire una prestazione (di dare o di fare) in favore delle altre
parti contraenti le quali, a loro volta, assumono l’obbligazione di eseguire una prestazione in suo
favore.
65
eseguire l’incarico affidatole mentre il cliente è obbligato a pagare il corrispettivo
pattuito.
Individuare correttamente la natura giuridica del contratto d’agenzia non è semplice e
ciò è causato dal presupposto che l’agenzia svolga un ruolo di intermediazione tra
utente e mezzi di comunicazione di massa quando in realtà non esiste alcuna
intermediazione. L’agenzia svolge il lavoro commissionato dall’utente e in seguito si
impegna a collocare il messaggio pubblicitario sul mezzo più idoneo alla sua
diffusione, quindi più che un ruolo di intermediazione l’agenzia svolge un lavoro
nell’interesse del proprio cliente-utente. Analizzando, infatti, tutte le prestazioni
dell’agenzia si nota come molte di esse hanno natura intellettuale, come ad esempio
l’analisi preliminare del prodotto con riferimento soprattutto all’immagine che esso
ha presso il consumatore; l’analisi e lo studio del mercato di riferimento con le
dovute previsioni economiche, l’esame della concorrenza e le strategie di
comunicazione relative alla campagna pubblicitaria.
Anche l’attività ideativa e di progettazione di un messaggio pubblicitario comporta
un lavoro tipicamente intellettuale e creativo come lo sono d’altronde sia la scelta del
mezzo di diffusione in riferimento all’audience e al target di riferimento sia le
trattative con i mezzi e con i fornitori (lavoro questo considerato di assistenza o
consulenza in altre professioni81). Le attività elencate sono svolte dall’agenzia in
modo meticoloso per permettere all’utente di ottenere il risultato desiderato:
promuovere la vendita dei prodotti per conseguire un risultato economico. Il
contratto d’agenzia pubblicitaria può collocarsi così fra quelli di prestazione d’opera
intellettuale82 (art. 2230 cod. civ.). Sulla qualificazione giuridica del rapporto fra
cliente e agenzia incidono altresì l’organizzazione e la struttura di quest’ultima;
infatti, quando ci si riferisce ad un piccolo studio professionale si ha una prestazione
d’opera intellettuale, per l’agenzia che ha dimensioni paragonabili ad un’impresa la
81
Maurizio Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale tecnica, modelli e tipi contrattuali,
seconda edizione, Giappichelli editore, Torino, 2007, pag. 168. Esistono delle analogie tra le attività
svolte dall’agenzia di pubblicità e alcune professioni a contenuto progettuale come quella
dell’architetto. Come all’architetto, durante le negoziazioni con i terzi esecutori o la direzione dei
lavori, è riconosciuto un lavoro intellettuale allo stesso modo, le prestazioni dell’agenzia devono
essere considerate intellettuali.
82
Francesco Galgano, Diritto privato, undicesima edizione, CEDAM, Milano, 2001. Il contratto
d’opera ha la stessa struttura dell’appalto: il prestatore d’opera, come l’appaltatore, si obbliga verso il
committente a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio; dall’appaltatore si differenzia per
il fatto che esegue il servizio o l’opera con il lavoro proprio. Se l’appalto è il contratto del grande o
medio imprenditore, il contratto d’opera è il contratto del piccolo imprenditore o dell’artigiano; inoltre
esso può avere ad oggetto una prestazione d’opera intellettuale come avviene nel caso delle
prestazioni dell’agenzia di pubblicità.
66
prestazione sarà riconducibile ad una prestazione di servizi con riferimento al
negozio d’appalto83 perché si considera che l’oggetto del contratto d’agenzia
pubblicitaria sia un’obbligazione di mezzi piuttosto che di risultato: l’obiettivo non
riguarda l’aumento delle vendite bensì il messaggio pubblicitario realizzato84.
Il contratto d’agenzia pubblicitaria è stato considerato, dalla dottrina85, un contratto
misto perché include elementi propri del contratto d’opera ed elementi tipici del
mandato; tale considerazione si base su una distinzione: le prestazioni che l’agenzia
offre all’utente si dividono in due fasi (che saranno spiegate nel paragrafo II.6 le fasi
del contratto d’agenzia pubblicitaria), la prima fase relativa all’ideazione e
progettazione della comunicazione pubblicitaria e la seconda relativa alla
realizzazione e diffusione della stessa. Ogni fasi prevede un contratto, di natura
giuridica differente: nella prima fase un contratto d’opera e nella seconda un
mandato con rappresentanza. Considerare e valutare distintamente le prestazioni
svolte dall’agenzia è poco equo perché entrambe le fasi conducono ad un medesimo
scopo: l’attuazione della campagna pubblicitaria.
La diffusione della pubblicità, come si è appreso, si compie attraverso i mezzi di
comunicazione e durante questa fase l’agenzia può affiancare il cliente il quale,
abitualmente, affida l’incarico all’agenzia di trattare con i terzi per l’acquisto di beni
(spazi e tempi pubblicitari) o per l’acquisto di servizi (prestazioni dei fornitori).
L’agenzia opera così, in nome e per conto del cliente, con un mandato di
rappresentanza86 (art. 1704 cod. civ.) il quale prevede che tutte le obbligazioni
83
Il foro Italiano. Raccolta generale di giurisprudenza, fascicolo v, 1997, pag. 1640. Il Tribunale di
Perugia, con sentenza 16 luglio 1996 stabilisce che il contratto d’agenzia pubblicitaria è assimilato al
contratto d’appalto di servizi poiché l’agente pubblicitario esegue una prestazione che costituisce
un’obbligazione di risultato costituito dal ritorno pubblicitario. Può l’agenzia di comunicazione
risarcire l’utente per il mancato ritorno pubblicitario subito dalla campagna? L’agenzia non è
responsabile dell’impatto e del gradimento che il prodotto pubblicizzato può avere sul consumatore al
contrario, può solo esaltare le caratteristiche del prodotto pubblicizzato senza avere alcuna
responsabilità sul mancato risultato economico dell’utente.
84
Giorgio Florida, La datio in solutum come compenso di servizi pubblicitari in Il diritto industriale,
bimestrale di dottrina e giurisprudenza sulle creazioni intellettuali e sulla concorrenza, fascicolo III,
IPSOA, Milano, gennaio-febbraio 2005, pag. 322. Commento di Massimo Tavella alla sentenza del 26
gennaio 2004, n. 1327.
85
Maurizio Fusi, I contratti della pubblicità, UTET, Torino, 1999, pag. 24. La considerazione del
contratto d’agenzia come contratto misto non ha avuto, in concreto, alcun seguito ed è apparsa in
dottrina in modo fugace. Anche Fusi sostiene che “non sarebbe corretto configurare il negozio come
misto, ravvisando nella prima fase un contratto d’opera e nella seconda un mandato […]”.
86
Il mandato ha come oggetto una prestazione di fare, il compimento quindi di un servizio. Il
mandatario si obbliga a svolgere atti giuridici per conto di altri (conclusione di contratti, che
trasferiscono diritti o producono obbligazioni) non nel proprio interesse, ma nell’interesse di un altro
soggetto, quello del mandante. Il mandato può essere con rappresentanza oppure senza
67
derivanti dai rapporti con i terzi ricadano sull’utente. La soluzione meno praticata è il
mandato senza rappresentanza con il quale l’agenzia agisce in nome proprio, grazie
all’incarico conferitole dall’utente, e si obbliga a compiere gli impegni concordati.
L’analisi giurisprudenziale sulla natura giuridica del contratto d’agenzia propende
verso il contratto atipico (nato grazie al principio di autonomia contrattuale art.
132287 cod. civ.), infatti, la Cassazione Civile (sentenza 5 febbraio 2000, n. 1288)
sostiene che “il contratto di pubblicità è un contratto atipico del genere do ut facias,
che non si esaurisce nello schema del mandato, poiché il committente affida
all’agente pubblicitario l’esecuzione di numerose prestazioni, relative alla
ideazione, organizzazione ed attuazione della campagna promozionale, lasciandogli
la necessaria libertà nella scelta dei mezzi […]”.88 La Cassazione accosta la
qualificazione del contratto d’agenzia pubblicitaria allo schema tipico dell’appalto di
servizi.
È riduttivo ricondurre il contratto in esame a una sola fattispecie contrattuale tipica
perché l’agenzia offre numerose e differenti attività all’utente che non sono previste
in un solo contratto tipizzato, inoltre, l’agenzia è obbligata ad attuare numerosi
rapporti giuridici con soggetti terzi indispensabili per la realizzazione della
campagna pubblicitaria.
L’obbligo principale a carico dell’agenzia è la realizzazione della campagna
pubblicitaria secondo quanto commissionato dall’utente; tutti gli aspetti del prodotto
o servizio pubblicizzato, sono identificati con chiarezza nel contratto. Il cliente non
può imporre le proprie scelte all’agenzia, ma può dare indicazioni sulla costruzione e
le linee guida della campagna pubblicitaria e alla fine approvarla. L’agenzia, non può
assumere incarichi per prodotti o servizi concorrenti della medesima merceologia,
durante il periodo di realizzazione; l’esclusività del lavoro dell’agenzia, a favore del
cliente, deriva dall’obbligo di fedeltà cui l’agenzia è tenuta e da un’etica che, se non
rispettata, porterebbe ad un “cattivo” servizio di sviluppo della comunicazione
pubblicitaria per uno dei committenti a favore dell’altro. Le prestazioni devono
essere svolte con diligenza (art. 1176 cod. civ.) a partire dalla fase progettuale;
rappresentanza: nel primo caso il mandatario riceve una procura che lo abilita ad agire in nome e per
conto del mandante nei confronti del quale ricadono tutti gli atti giuridici.
87
Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, sedicesima edizione, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag
429. L’art. 1322, comma 1, stabilisce che “le parti possono liberamente determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge”.
88
Giovanni Iudica, Ugo Carnevali, Sulla natura giuridica del contratto di agenzia pubblicitaria e
l’obbligazione dell’agente pubblicitario in Responsabilità civile e previdenza, rivista bimestrale di
dottrina, giurisprudenza e legislazione, fascicolo III, Giuffrè edit., Milano, 2001, pag. 662.
68
l’agenzia è inoltre obbligata ad osservare le norme di legge e del CAP sia per quanto
riguarda il contenuto del messaggio sia in base al settore merceologico cui
appartengono i servizi e i prodotti. L’agenzia deve presentare soluzioni creative
originali evitando di imitare o di riprodurre elementi di messaggi pubblicitari già
diffusi poiché porterebbe a una censura, nei casi più gravi, o di limitazioni di
diffusione, a seconda della valutazione da parte del Giurì. Nei rapporti con i terzi
deve eseguire l’incarico con la diligenza “del buon padre di famiglia” per evitare che
il cliente subisca una perdita89 in termini economici e d’immagine; l’agenzia deve
impegnarsi per ottenere dai media e dai fornitori le condizioni migliori (tariffe
favorevoli, sconti) per il cliente. Questi ultimi vantaggi sono reciproci poiché, poter
fornire dei buoni servizi a prezzi vantaggiosi da parte di un’agenzia in favore di un
cliente, rappresenta la base per instaurare rapporti commerciali duraturi: aver cura di
non far subire nessuna perdita al cliente è necessario affinché un'agenzia
pubblicitaria possa costruirsi una nota immagine. Altro obbligo, imposto dal cliente
all’agenzia, è la riservatezza delle informazioni riguardanti l’azienda e il prodotto da
pubblicizzare.
L’agenzia pubblicitaria può essere responsabile del mancato incremento di vendite
del prodotto dell’utente?
La risposta è negativa: l’agenzia è responsabile solo quando la campagna
pubblicitaria è realizzata senza diligenza tanto da recare danno al marchio
rappresentato e di conseguenza all’accettazione del prodotto. L’obbligazione
dell’agenzia si esaurisce con la realizzazione della pubblicità quindi non può essere
ritenuta responsabile (soprattutto quando le prestazioni sono eseguite diligentemente)
del mancato successo economico del prodotto. Il risultato è la campagna, non
l’incremento delle vendite: l’obbligazione dell’agenzia è di mezzi e non di risultato.
L’incremento della domanda è qualcosa meramente sperato e non dipende dalla
comunicazione pubblicitaria, ma da molteplici fattori (gli andamenti del mercato, le
iniziative dei concorrenti, la qualità dei prodotti e i gusti dei consumatori).
Quando un prodotto non è innovativo, non troverà successo di vendita neanche con
un’eccellente campagna pubblicitaria.
89
Vincenzo Zeno-Zencovich, Francesca Assumma, Pubblicità e sponsorizzazioni, CEDAM, Padova,
1991, pag. 99. L’agenzia deve sempre operare secondo la diligenza “del buon padre di famiglia” per
evitare che la campagna pubblicitaria risulti illecita e, di conseguenza, si passi alla sua cessazione.
Una campagna pubblicitaria per un profumo è stata considerata lesiva della dignità della persona
umana, per questo motivo il Giurì ne ha ordinato la cessazione. Il cliente riteneva responsabile
l’agenzia per la sospensione della campagna pubblicitaria.
69
L’utente, invece, è tenuto a fornire tutte le indicazioni riguardanti il prodotto da
pubblicizzare indicando tanto i benefici che se ne possono trarre quanto gli svantaggi
che ne possono derivare, per non incorrere in campagne pubblicitarie ingannevoli. È
obbligato a specificare, anche se nella maggior parte dei casi fa difetto, sia l’entità
dello stanziamento economico sia l’impegno a finanziare il lavoro della campagna.
La remunerazione di soggetti terzi, con i quali l’agenzia ha stipulato i contratti
(media e fornitori), è a carico dell’utente. Il divieto di concorrenza ricade anche
sull’utente che non può avvalersi di altre agenzie quando ne ha già incaricata una per
la pubblicità dei suoi prodotti (o servizi).
Al termine del rapporto contrattuale fra utente e agenzia spesso si manifesta un
conflitto riguardante la “proprietà della creatività90” pubblicitaria. Da una parte il
cliente intende utilizzare gli elementi creativi perché ritiene siano diventati parte
integrante della sua immagine d’impresa, dall’altra l’agenzia sostiene di avere ancora
un diritto su di essi ed esige così un compenso per il loro utilizzo futuro. Nella
maggior parte dei casi la “proprietà” è attribuita al cliente ma non in modo totale
prevedendo una serie di utilizzi a carico dell’agenzia (per le campagne all’estero o
sulle confezioni dei prodotti). Il problema riguardante la “proprietà” della creatività
permane in quasi tutti i rapporti contrattuali. Infatti, è consigliabile specificare nei
contratti che, all’inizio del rapporto l’agenzia cede tutti i diritti di utilizzazione della
creatività conservando però il diritto nel caso siano riutilizzati a fine rapporto
contrattuale. A causa dell’estrema varietà degli elementi creativi non si può
prevedere quali restano di proprietà dell’agenzia, certo è che una campagna
pubblicitaria non pubblicizza solo il prodotto o l’immagine dell’azienda stessa ma
dietro l’opera realizzata vi è anche il nome dell’agenzia pubblicitaria che deve essere
tutelata nel caso in cui l’utente, alla cessazione del rapporto contrattuale, intenda
utilizzare anche solo un elemento creativo (testo, immagine ecc.). Illecita è
l’utilizzazione da parte dell’utente della campagna pubblicitaria, o parte di essa, dopo
la cessazione del contratto, salvo contrario patto scritto.
90
Fra le prestazioni dell’agenzia vi è l’ideazione e la progettazione della comunicazione pubblicitaria
nonché dei relativi elementi espressivi (testo, immagini ecc.) che si identificano nella creatività. Una
campagna pubblicitaria che utilizza una creatività originale ha maggior possibilità di successo e di
conseguenza sarà maggiormente apprezzata dalla collettività. Per questi motivi la creatività è
remunerata insieme alle altre attività.
70
II.6 Le fasi del contratto di agenzia pubblicitaria
La campagna pubblicitaria è composta di una serie di messaggi pubblicitari veicolati
su diversi media, come radio, tv, stampa, cartellonistica, che mirano a raggiungere un
determinato obiettivo fissato in precedenza. Una campagna pubblicitaria coordinata e
integrata raggiunge sicuramente risultati migliori rispetto a singoli messaggi
differenti tra loro, poiché crea una successione comunicativa su tutti i mezzi utilizzati
perseguitando un fine comune. Essendo basata sulla stessa idea e sugli stessi
obiettivi, genera un ricordo nel pubblico che la coglie nelle varie sfaccettature in cui
è stata creata. Per ottenere questo ricordo però, bisogna che la campagna
pubblicitaria abbia degli elementi di somiglianza e continuità su tutti i media
utilizzati per diffonderla. Ogni campagna pubblicitaria si differenzia poi in base al
prodotto o servizio che si offre ma anche, soprattutto, in base al target che si vuole
raggiungere, quindi potrà essere formale o informale, moderna o dinamica, di
prodotto o istituzionale, classica o new-media; si può ad esempio puntare a uno stile
sobrio a livello visivo, e d’impatto a livello uditivo, o viceversa. Tutto questo
dipende sempre dal pubblico con il quale si intende comunicare. Una buona
campagna pubblicitaria si costruisce sin dall’inizio91, infatti, è indispensabile
conoscere il prodotto e il mercato di riferimento, l’immagine dell’azienda, i suoi
obiettivi commerciali, le sue esigenze produttive, i canali di distribuzione, la
valutazione dei mezzi, il posizionamento del prezzo, la scelta del periodo e lo studio
delle argomentazioni pubblicitarie. L’immedesimazione da parte dell’agenzia
pubblicitaria nel cliente e nel prodotto (servizio) aiuta a capire come poter soddisfare
al meglio le sue esigenze attraverso la creazione di una buona comunicazione. Una
delle considerazioni che le agenzie fanno nei confronti dei loro utenti è che di
frequente essi hanno paura di rischiare investendo su campagne incentrate
maggiormente sulla creatività e l’innovazione. In Italia i clienti prediligono la
realizzazione di campagne meno rischiose e più stereotipate, più rassicuranti, a
91
Annamaria Testa, La pubblicità, il mulino, Bologna, 2004, pag. 93. Spiegare com’è realizzata una
campagna pubblicitaria, non è semplice perché è un sistema di intuizioni e ragionamenti che si
delineano in un processo di scambio comunicativo all’interno di una serie di riunioni. Si crea una serie
di domande a cui poter rispondere, vengono abbozzate le idee più innovative e creative fino a quando
tutte le informazioni sembrano al completo; successivamente le idee più creative sono proposte al
cliente-utente che, dopo l’accettazione del progetto, autorizza l’agenzia incaricata di passare alla fase
realizzativa.
71
scapito della creatività e dell’impatto emotivo. Per contro, alcuni utenti, accusano le
agenzie di essere poco propositive e di realizzare campagne con l’unico scopo di
dimostrare la loro capacità creativa. È pur vero che alcune campagne d’impatto, che
soddisfano particolarmente i gusti del pubblico, si dimostrano poco efficaci poi a
livello di vendita. In questi casi il consumatore ricorda solo alcuni particolari della
pubblicità: canticchia il jingle, racconta la scenetta dello spot, memorizza l’enfasi del
testimonial, ma non riesce ad accostare il prodotto alla pubblicità che tanto lo ha
meravigliato. L’idea creativa quindi, deve essere sempre strettamente legata al
prodotto e fortemente ancorata al valore dell’azienda.
In ultima analisi la scelta della forma comunicativa della campagna spetta al cliente
che predilige il suo stile, la sua “filosofia di comunicazione”, e il livello di rischio
che è in grado di assumere di volta in volta, tenendo sempre conto della situazione
del mercato di riferimento cui si rivolge la campagna. L’agenzia non ha nessuna
difficoltà ad appoggiare il cliente nei suoi gusti e nel suo stile l’importante è che si
rispettino i criteri utili per il successo della campagna (aderenza al target e un ottimo
livello qualitativo del messaggio).
Le prestazioni che l’agenzia è tenuta a compiere sono generalmente individuate
attraverso due “fasi” distinte. La distinzione è stata realizzata per inquadrare
adeguatamente e individuare in modo specifico tutte le prestazioni che l’agenzia
svolge durante il rapporto contrattuale con l’utente. Le due “fasi” del rapporto sono:
quella dello studio, ideazione ed elaborazione del materiale pubblicitario e quella
della realizzazione e diffusione della campagna pubblicitaria. Ogni fase prevede sia
delle attività specifiche sia rapporti di collaborazione con soggetti terzi indispensabili
per ottenere un’eccellente campagna pubblicitaria che possa raggiungere facilmente
il consumatore.
Alla prima fase si attribuiscono le seguenti attività:
•
analisi del mercato e del prodotto, si tratta di ricerche di mercato che si
occupano principalmente dello studio e dell’analisi dei comportamenti
espressi e dei processi decisionali (motivazione all’acquisto) dei consumatori;
•
si definisce copy strategy (le strategie di comunicazione) l’individuazione
delle strategie di comunicazione, sono definiti gli obiettivi che la
comunicazione si prefigge di raggiungere attraverso i contenuti del messaggio
ed effettuate le ricerche che individuano il mercato di riferimento;
72
•
l’ideazione e la progettazione dei messaggi, sono realizzati i testi e le
immagini o gli audio-visivi, interessanti per la comunicazione pubblicitaria;
•
la pianificazione dell’investimento pubblicitario sui vari mezzi di diffusione,
sono valutati i mezzi di comunicazione sui quali veicolare i messaggi e sono
stabiliti gli investimenti necessari per la diffusione della pubblicità in base
allo stanziamento finanziario messo a disposizione dal cliente.
La progettazione della comunicazione è così definita sia nei contenuti (messaggi) sia
per quanto riguarda i veicoli da utilizzare (diffusine); l’agenzia procede alla
“presentazione” del progetto al cliente che dovrà approvarlo. Dopo l’approvazione si
procede al compimento della seconda “fase”, quella realizzativa che prevede
l’esecuzione di servizi quali:
•
le trattative con i mezzi per l’acquisto di tempi/spazi pubblicitari, durante
questa fase l’agenzia contratta il prezzo degli spazi/tempi più appagante per
il cliente cercando, inoltre, di ricevere gli adeguati sconti;
•
la gestione dei rapporti con i terzi per la realizzazione della diffusione,
l’agenzia provvede a contattare i fornitori (fotografi, modelli, stampatori
ecc.) e i proprietari dei mezzi;
•
il controllo qualitativo della pubblicità diffusa, è necessario sempre
controllare che il materiale pubblicitario inserito sul veicolo sia fedele
all’originale e che non ci siano errori tali da compromettere l’esito della
pubblicità (controllare la corretta collocazione del messaggio nel programma
televisivo o nella pagina concordata);
•
il controllo delle fatturazioni di mezzi e fornitori, l’agenzia controlla la
documentazione e il materiale richiesto all’utente per la realizzazione della
campagna pubblicitaria.
Queste sono le prestazioni che l’agenzia, soprattutto quelle a “servizio completo”,
offrono al cliente, ma esistono casi in cui le prestazioni sono unicamente quelle di
ideazione e progettazione oppure solo quelle di pianificazione e trattative con i mezzi
poiché alcune agenzie non possiedono gli strumenti e le competenze adatte per
svolgere tutte le attività o perché alcune sono specializzate in settori specifici (ad
73
esempio l’acquisto di spazi sui media e le trattative con soggetti terzi quali i
fornitori). Le attività svolte si caratterizzano per la loro diversa natura, ma fra di esse
sono coordinate per il raggiungimento di un unico risultato.
Complesso è il rapporto che l’agenzia instaura con tutto il mondo dei media, infatti,
può accadere che l’agenzia acquisti in proprio gli spazi dai mezzi e i materiali dai
fornitori ma i costi sono poi rimborsati dall’utente quando acquista la campagna (si
tratta della cosiddetta formula del “tutto compreso”92). Diversa la procedura che vede
l’agenzia limitata solo alle trattative negoziali con i soggetti terzi riservando al
cliente sia la conclusione dei relativi contratti sia il pagamento delle fatture.
Abbastanza praticata, è la prassi con la quale il cliente, in forza di un mandato con
rappresentanza, attribuisce all’agenzia il potere di contrattare con i mezzi e i fornitori
ma in nome e per conto dell’inserzionista stesso (il cliente).
Un fenomeno che sta apportando dei cambiamenti nell’equilibrio fra gli operatori è il
cosiddetto media buying consistente nell’acquisto di spazi e tempi pubblicitari da
parte dei centri media, (attività che tradizionalmente veniva svolta dall’agenzia). Essi
acquistano direttamente dai mezzi gli spazi pubblicitari per poi programmare la
diffusione di campagne pubblicitarie già progettate. Questo nuovo assetto economico
ha portato, ingiustamente, a considerare che il rapporto contrattuale tra agenzia e
utente sia un incarico di pura consulenza: l’utente affida all’agenzia l’incarico di
progettare e realizzare la campagna pubblicitaria escludendola dalle trattative con i
media. È da osservare che, anche quando l’agenzia è esclusa nell’esecuzione di
determinate attività, essa agisce sempre nell’interesse dell’utente.
Il contratto con il quale l’utente incarica i centri media di acquistare, a suo nome e
per suo conto, gli spazi pubblicitari è fondamentalmente un mandato che può essere
con rappresentanza (art. 1704 cod. civ.) o senza rappresentanza (art. 1705 cod. civ.).
Il rapporto contrattuale tra l’utente e i centri media manca, però, dell’elemento
fiduciario (non è previsto alcun obbligo di non concorrenza) ed è caratterizzato da un
forte valore economico dei centri media stessi sia perché amministrano ingenti
quantità di budgets sia perché hanno assunto dimensioni di grande rilievo. Il rapporto
contrattuale che l’utente instaura con soggetti terzi (media e fornitori) non è
paragonabile con quello che stabilisce con l’agenzia di pubblicità basato sulla fiducia
reciproca, sulla collaborazione costruttiva, dove l’agenzia è intesa come un partner
92
Paolo Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale in Promozione e
pubblicità (XVII), Utet, Torino, 2003. pag. 45.
74
da consultare e con cui collaborare attivamente. La cooperazione e il dialogo sono
indispensabili per la maggior parte degli “attori” pubblicitari, solo con esse e con la
professionalità si riescono ad ottenere le “azioni” vincenti per raggiungere gli
obiettivi fissati.
II.7 I modelli contrattuali UPA e AssoComunicazione
Regolare giuridicamente i rapporti tra gli operatori del settore pubblicitario è
fondamentale per risolvere eventuali controversie future e per chiarire quali sono le
obbligazioni che devono essere rispettate da ogni “attore”. Ogni campo dell’agire
umano (economico, sociale, amministrativo ecc.) è disciplinato dalla legge che può
vietare, limitare o liberalizzare l’azione dell’uomo. Il diritto ha sempre cercato di
disciplinare i rapporti umani con lo scopo di chiarire situazioni che potrebbero
generare divergenze. Le associazioni93 del settore pubblicitario, in mancanza di
chiare disposizioni normative sui contratti del settore pubblicitario, hanno contribuito
notevolmente a fissare alcuni dei principi negoziali utilizzati nella pratica del settore
93
Francesco Galgano, Diritto privato, undicesima edizione, CEDAM, Padova, 2001, pag. 634.
Nell’ordinamento giuridico italiano, l’associazione è una delle forme di aggregazione riconosciute
dalla legge, che ne tutela la libertà costitutiva e le forme di attività. Le associazioni sono gruppi di
persone liberamente costituiti, che svolgono la loro attività prevalentemente attraverso prestazioni
personali o patrimoniali, volontarie o meno, degli aderenti (soci). L’associazione è quindi il risultato
di un contratto tra due o più soggetti con cui le parti si obbligano, attraverso una organizzazione
stabile, a perseguire uno scopo comune diverso da quello per cui la legge stabilisce una forma
particolare (come ad esempio avviene per le società che perseguono lo scopo lucrativo e le
cooperative che perseguono uno scopo mutualistico).
75
pubblicitario cercando di chiarire i punti fondamentali del rapporto fra i contraenti.
Sono nati così dei modelli contrattuali che hanno il compito di facilitare la
stipulazione dei contratti da parte sia dell’utente sia dell’agenzia di pubblicità.
Le due associazioni di categoria più importanti sono UPA (Utenti Pubblicità
Associati) che riunisce gli utenti della pubblicità e AssoComunicazione
(Associazione delle Imprese di Comunicazione) di cui fanno parte le grandi agenzie
e i centri media che hanno formulato, per i rispettivi aderenti, dei modelli contrattuali
(denominati contratti-tipo) che possono essere, o no presi in considerazione dagli
associati. I modelli sono inoltre pubblicati in apposite “guide” distribuite agli
associati; ogni associazione tende però a tutelare maggiormente gli interessi dei
propri membri così alcune clausole negoziali risultano differenti a seconda che si
tratti del modello predisposto dall’UPA o da AssoComunicazione. I contraenti
devono individuare un punto di riferimento comune tra le varie clausole presenti nei
contratti-tipo e accordarsi in modo equo in base ai diversi ruoli delle parti coinvolte. I
modelli contrattuali sono inoltre aggiornati per sostenere le esigenze degli operatori
della pubblicità e per evidenziare i mutamenti del mercato in cui esercitano gli
operatori stessi.
Oltre ai modelli citati ve ne sono altri pubblicati dalle associazioni TP94
(Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti) e ACPI (Associazione Consulenti
Pubblicitari Italiani) che offrono modelli per la compilazione dei contratti di
consulenza per i rispettivi associati.
I modelli contrattuali sono diventati uno strumento indicativo per valutare
adeguatamente sia il lavoro svolto dall’agenzia sia il corretto rapporto contrattuale tra
quest’ultima e il cliente-utente attraverso le clausole che si ritengono ormai divenute
una consuetudine negoziale del settore.
Altro aspetto importante del rapporto fra agenzia e cliente è la forma del contratto
che può essere stipulato verbalmente o per iscritto anche tramite uno scambio di
lettere che l’utente spedisce all’agenzia per il conferimento dell’incarico e che
dovranno essere controfirmate e spedite dall’agenzia al cliente. Gli operatori del
settore preferiscono la forma scritta del contratto perché è fondamentale per risolvere
94
ACPI e TP, Guida remunerazioni e tariffe per professionisti, guida registrata presso Agenzia delle
Entrate di Monza, 2009/2010. Nella guida sono presenti dei modelli che aiutano, e quindi facilitano, la
compilazione dei contratti. Sono presenti le clausole più importanti quali: il segreto professionale, i
diritti di utilizzo dell’opera commissionata dall’agenzia, la tipologia dell’incarico e le prestazioni
del’agenzia.
76
situazioni problematiche riguardanti soprattutto la remunerazione, il recesso
unilaterale, l’individuazione delle obbligazioni reciproche e per trovare un giusto
compromesso sulla “proprietà della creatività” dell’opera pubblicitaria.
Le modalità con cui l’utente assegna l’incarico all’agenzia sono differenti nei due
modelli, infatti, in quello realizzato da AssoComunicazione si distingue nettamente
tra la fase creativa e quella esecutiva dell’agenzia (art. 3.195), mentre nel modello
UPA si evidenziano solo le prestazioni che l’agenzia offre al cliente (art. 1.196). Al
conferimento dell’incarico seguono delle limitazioni che riguardano la diffusione del
messaggio pubblicitario, infatti, il modello UPA ne limita la diffusione al solo
mercato italiano (art. 2.3), mentre quello di AssoComunicazione fa riferimento al
territorio in cui il messaggio deve essere trasmesso (art. 3.1); non sono presenti
quindi le clausole per l’incarico di progettazione pubblicitaria all’estero, salvo casi in
cui sia pattuito diversamente. Una distinzione che sembra irrilevante, ma nel caso di
un messaggio pubblicitario è essenziale, poiché è facile che una campagna
pubblicitaria possa uscire dai confini nazionali considerato che con l’apertura dei
mercati è molto probabile che i prodotti possano essere esportati o avere una
provenienza straniera, ed è altrettanto facile che si utilizzi un messaggio pubblicitario
realizzato all’estero.
Le limitazioni riguardano anche l’oggetto del contratto, ma tale clausola è prevista
solo nel modello dell’UPA che esclude le azioni promozionali, sul punto vendita, la
pubblicità diretta, le sponsorizzazioni dall’incarico dell’agenzia (art. 2.2).
Il conferimento dell’incarico da parte dell’utente prevede la formula del mandato con
rappresentanza che vede l’agenzia agire in nome e per conto del rappresentato e sul
quale ricadono tutti gli obblighi contrattuali con i terzi e i fornitori. Sono stati così
introdotti degli “strumenti” di tutela a favore dell’utente il quale può controllare e
deve autorizzare l’operato economico dell’agenzia (UPA art. 5.297), la quale al
contrario, deve accertarsi che tutte le fatture dei fornitori siano intestate all’utente
95
AssoComunicazione, 2002. L’articolo di tale modello contrattuale sostiene “la nostra società affida
alla vostra Agenzia […] l’incarico di studiare, ideare, realizzare, pianificare, coordinare e
controllare le attività di comunicazione pubblicitaria […]”.
96
Modello UPA fornito da Deltadoc s.r.l. agenzia di marketing e pubblicità sede di Torino. Il modello
UPA sostiene “la nostra società affida alla Vostra Agenzia, [… l’incarico di studiare, ideare,
programmare, realizzare e controllare la pubblicità […]”.
97
Modello UPA, tale articolo sostiene che “ottenuta l’approvazione da massima di una campagna,
sarà cura della Vostra Agenzia sottoporci, per ulteriore approvazione specifica, tutti gli aspetti
creativi (quali testi, bozzetti, sceneggiature, illustrazioni, fotografie), i piani mezzi e i preventivi
dettagliati di costo delle varie voci della campagna pubblicitaria”.
77
(AssoComunicazione art. 4.2, versione A98). Il rapporto contrattuale presuppone un
continuo confronto (chiamato meeting reports) fra i due contraenti per definire con
precisione i vari passaggi che portano alla realizzazione del messaggio pubblicitario.
Può accadere che l’utente intenda variare, in corso d’opera, dei contenuti alla
comunicazione pubblicitaria già realizzata, anche se ciò comporta delle conseguenze
economiche per l’utente, per questo i modelli contrattuali delle due associazioni si
sono uniformati, al riguardo, attraverso una clausola comune ad entrambe che esplica
“sarà in facoltà della nostra Società variare, sospendere, ridurre o aumentare i piani
o programmi pubblicitari, anche se già in corso di esecuzione […]”99. I meeting
reports sono una forma di “memoria storica” del rapporto utente-agenzia, procurano,
in caso di contestazione, la prova delle decisioni assunte da entrambe le parti.
La parte più critica del contratto d’agenzia pubblicitaria riguarda le questioni
collegate alla “proprietà della creatività” sul materiale ideato dall’agenzia per conto
del cliente e a tale riguardo, le associazioni hanno formulato delle clausole per
limitarne il problema. L’approccio è differente, infatti, il modello contrattuale
dell’UPA (art. 16.1)100 stabilisce che la proprietà dell’opera spetti esclusivamente al
cliente-utente (comprende la cessione di tutti di diritti d’autore, anche dei terzi) al
contrario AssoComunicazione afferma che il proprietario è l’agenzia (art. 12.1)101
aggiungendo però delle clausole che prevedono diritti di utilizzazione da parte
dell’utente anche dopo la cessazione del rapporto contrattuale con il pagamento però
di un compenso pattuito. È una soluzione che sembra aver risolto la disputa in merito
al diritto della “proprietà della creatività”.
Il business pubblicitario diventa sempre più internazionale e si ritiene utile che le
parti uniformino il contratto ad un’unica legge nazionale soprattutto quando i
98
Modello AssoComunicazione, l’articolo prevede che “tutte le fatture ed i documenti contabili ed
amministrativi dei mezzi e dei fornitori dovranno pertanto essere a noi intestati e tempestivamente
trasmessi alla nostra società che provvederà ai pagamenti relativi, previo vostro visto di controllo”.
99
La clausola è presente sia nel modello contrattuale UPA (art. 13.1) sia in quello redatto da
AssoComunicazione (art. 7.3).
100
Il modello dell’UPA all’articolo 16.1 stabilisce che “ogni ideazione o elaborazione creativa […]
da Voi ideata e da noi prescelta e utilizzata per le nostre campagne o azioni pubblicitarie, […]
resterà di nostra esclusiva proprietà, dovendosi intendere che con il presente contratto ci sono stati
da Voi ceduti senza limitazione alcuna […]”.
101
Il modello AssoComunicazione all’articolo 12.1 afferma che “tutte le ideazioni o elaborazioni
creative […] da Voi ideate e da noi prescelte all’interno del presente contratto, diverranno di nostra
proprietà, una volta pagati dalla nostra società tutti i compensi […]”. Mentre all’articolo 12.2
apporta una innovazione stabilendo che “dopo la cessazione del presente contrattola nostra società
sarà libero di utilizzare o di far utilizzare ad altre agenzie di pubblicità le predette ideazioni o
elaborazioni creative, sia in Italia sia all’estero. Resta inteso che in tale ipotesi la vostra Agenzia
avrà diritto, per un periodo di tre anni, ad un compenso […]”.
78
soggetti non sono di nazionalità italiana, al fine di evitare possibili controversie ed
avere maggiore trasparenza come stabilisce l’art. 25 del modello contrattuale
dell’AssoComunicazione mentre l’UPA, a tale riguardo, non fissa nulla.
Un contratto-tipo unico da consultare sia da parte del cliente sia dall’agenzia non
solo faciliterebbe i rapporti commerciali per gli attori del settore, ma
semplificherebbe e potrebbe agevolare il legislatore a formulare una normativa
nazionale per disciplinare il settore. L’esigenza di una norma chiara e specifica per la
pubblicità e per il contratto pubblicitario, oltre a facilitare i rapporti tra le agenzie, gli
utenti e i gestori, semplificherebbe anche le diatribe che si potrebbero venir a creare
in fasi successive alla creazione e diffusione di un messaggio pubblicitario.
79
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81
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http://www.ubertazzi.it
http://www.fcponline.it
82
CAPITOLO III
COMMISSIONE DI AGENZIA
III.1 Le formule di compenso dell’agenzia pubblicitaria
La “commissione di agenzia pubblicitaria” (o “diritto di agenzia”) è l’argomento
principale della tesi. Prima di capire i meccanismi di questa formula di compenso
bisogna costatare, in modo generale, il sistema che l’ordinamento giuridico adotta
per tutelare sia l’attività lavorativa e sia i compensi che spettano per le prestazioni
svolte.
La retribuzione è il corrispettivo che riceve il lavoratore o il prestatore d’opera per
l’attività realizzata ed è la principale obbligazione che il datore di lavoro o il
committente deve rispettare. Nell’ordinamento italiano della retribuzione se ne
occupa la Costituzione che all’art. 36, comma 1, stabilisce che il lavoratore deve
essere retribuito proporzionalmente alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito per
permettergli di avere una “esistenza libera e dignitosa” 102. La retribuzione non è solo
un compenso per l’adempimento dell’attività ma riguarda l’impegno riposto
personalmente nell’attività stessa, infatti, il lavoratore è pagato anche quando non
svolge le obbligazioni (in caso di ferie o permessi); la disciplina legale o contrattuale
impone al datore di lavoro di retribuire comunque il lavoratore, anche se questo non
esegue la controprestazione, contrariamente a quanto generalmente avviene nei
contratti sinallagmatici (ad esempio il contratto d’agenzia pubblicitaria considerato
sinallagmatico, ovvero a prestazioni reciproche). I principi costituzionali espressi
dall’art. 36 della Costituzione sono la proporzionalità e la sufficienza; sufficienza: al
lavoratore deve essere garantita una retribuzione tale da soddisfare sia le sue
esigenze sia quelle della propria famiglia. Proporzionalità: la quantità dell’importo
102 http://www.governoitaliano.it/Governo/Costituzione/1_titolo3.html; la Costituzione all’art. 36,
comma 1, sancisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa”; il comma 3, dello stesso articolo stabilisce che “il lavoratore ha diritto al riposo
settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
83
della retribuzione non è collegata soltanto al tempo del lavoro svolto, ma anche alla
qualità della prestazione con riferimento alla difficoltà, all’importanza, alla
complessità, e alla responsabilità dell’attività svolta. Nell’ordinamento italiano,
inoltre, la ricompensa minima è assicurata dal contratto collettivo di lavoro che
determina, con l’aggiornamento del negozio giuridico, l’importo della retribuzione.
Quando questa forma di tutela diventa carente in determinati ambiti, il lavoratore è
comunque tutelato in caso di retribuzione inadeguata.
Il Codice Civile, invece, all’art. 2099, comma 1, stabilisce che la retribuzione deve
essere eseguita “con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene
eseguito”103, se possibile quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (di
solito mensilmente).
A differenza del lavoratore subordinato, il professionista pubblicitario è un lavoratore
autonomo (art. 2222 Cod. civ.) che svolge un’attività prevalentemente intellettuale,
avvalendosi delle proprie doti naturali e delle proprie conoscenze ed esperienze di
studio. Non ha, dunque, vincoli di subordinazione nei confronti del committente, il
quale non ha i poteri direttivi, di controllo e disciplinari tipici del datore di lavoro
subordinato. I professionisti della pubblicità forniscono servizi prevalentemente alle
imprese allo scopo di facilitare la diffusione dei loro prodotti; il compenso, quindi,
deve essere sia concordato dalle parti sia adeguato all’importanza dell’opera e al
decoro della professione, infatti, il Codice Civile, all’art. 2233, “professioni
intellettuali”, comma 1, sostiene che “il compenso, se non è convenuto dalle parti e
non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal
giudice”104.
103
Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, sedicesima edizione, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag.
544. Le modalità con cui sono percepite le remunerazioni, inoltre, rendono possibile identificare
quattro tipi di retribuzione: a tempo, a cottimo, a premio e con partecipazione agli utili. La
retribuzione a tempo prevede che l’ammontare del pagamento sia proporzionato alla durata
dell’attività lavorativa. La retribuzione a cottimo invece è determinata in base al risultato conseguito
da un singolo lavoratore (cottimo individuale) o da un gruppo di lavoratori (cottimo collettivo) in
termini di prodotto realizzato; il compenso unitario che spetta al lavoratore può essere riferito al
numero di unità prodotte (cottimo puro) o alla quantità di lavoro realizzato e al tempo impiegato
(cottimo a tempo). Il cottimo è vietato durante il tirocinio, poiché l’apprendista non ha solitamente le
capacità necessarie allo svolgimento di un’attività; è obbligatorio invece in quegli ambiti lavorativi,
dove va mantenuto un certo ritmo di produzione. La retribuzione a premio è valutata sui risultati
raggiunti (ad esempio il volume di vendite raggiunto), può essere rappresentato dalle provvigioni. La
partecipazione agli utili è stabilita sulla base del risultato economico raggiunto dall’azienda, ed è una
forma di retribuzione aggiuntiva poiché è legata al rischio che un’impresa può sostenere.
104
Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, sedicesima edizione, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag.
569.
84
Le agenzie di pubblicità forniscono servizi fondamentali per lo sviluppo delle
aziende nel tempo: quando ci si affida a professionisti del settore, che sappiano
ottimizzare gli investimenti. Non bisogna percepire la pubblicità come un lusso che
solo le grandi imprese possono permettersi, tutte le aziende hanno bisogno dei servizi
specialistici delle imprese pubblicitarie e di comunicazione capaci di conseguire gli
obiettivi aziendali. La dimensione economica raggiunta dall’attività pubblicitaria, la
sua rilevanza comunicativa e strategica sono rilevanti per la vita dell’impresa e ciò fa
si che l’attenzione si concentri maggiormente sulle modalità con le quali è
remunerata l’attività dell’agenzia pubblicitaria. Attualmente non esiste una sola
forma di remunerazione dell’azione pubblicitaria e ciò è causato dal fatto che, tale
settore vive ancora una situazione di incertezza relativa al suo ruolo professionale
all’interno del mercato in cui opera. Occorre considerare che grazie alla
comunicazione pubblicitaria l’azienda-utente trae:
•
benefici di marca/prodotto nel tempo, anche al di là del periodo temporale
della campagna pubblicitaria (un messaggio pubblicitario persuasivo ed
efficace sarà ricordato maggiormente dal consumatore);
•
visibilità presso il mercato di riferimento, attraverso l’azione di distribuzione
della pubblicità sui mezzi si tende ad attirare l’attenzione non solo dei target
di riferimento, ma anche della totalità dei consumatori (il messaggio,
realizzato per attirare l’attenzione di uno o più target fra i consumatori, sui
mass media raggiunge una rilevante percentuale di audience coinvolgendo
anche chi non è interessato all’acquisto del prodotto);
•
aumento del valore della marca/prodotto, un’efficace pubblicità persuade
maggiormente il consumatore e ciò si ripercuote sulle attività di marketing
dell’azienda (la pubblicità riesce ad evidenziare il valore di un prodotto o di
una marca).
La comunicazione con il consumatore non è più un’opzione, ma diventa un compito
da realizzare con efficacia e determinazione ecco perché le strategie di
comunicazione pubblicitaria risultano sempre più fondamentali per il successo
economico di un’azienda. Ogni utente sceglie l’organizzazione specializzata secondo
parametri soggettivi. Alcuni utenti scelgono le agenzie di pubblicità secondo criteri
strettamente personali: offrono il loro stanziamento pubblicitario a un’agenzia,
85
perché ne hanno sentito parlare bene dal collega a una convention oppure si sceglie
l’agenzia perché specializzata nella comunicazione di un determinato settore. Sono
questi due criteri molto soggettivi, quindi, non molto razionali. Ci sono poi altri
parametri, più rilevanti, utilizzati sempre di più, uno è costituito dalle cosiddette
“campagne speculative”.
Le “campagne speculative” sono “gare”105 pubblicitarie -remunerate o meno- che
sono richieste normalmente a un numero ristretto di agenzie (solitamente ne
partecipano 20-30), per avere una base su cui scegliere a chi commissionare il lavoro,
anche se, in queste “gare”, emerge più l’abilità concorrenziale delle agenzie di
pubblicità che la capacità di fare un buon lavoro a lungo termine. Il primo obiettivo
di chi gareggia è, infatti, quello di vincere e di ottenere il budget; così può capitare
che emerga non l’agenzia più adatta, ma quella più capace di impressionare e
suggestionare l’utente-cliente.
Un altro criterio adottato è quello della “presentazione d’agenzia”, in questo caso non
si chiede all’agenzia di fare qualcosa di specifico, ma di presentarsi, cercando di
mostrare chi è, quello che sa fare e i risultati che ha ottenuto nel tempo, con il suo
lavoro.
L’agenzia, dopo aver realizzato tutte le prestazioni riguardanti l’ideazione e
realizzazione della campagna pubblicitaria ha diritto alla remunerazione che spesso è
concordata dalle parti (utente e agenzia). Nella prassi del settore pubblicitario le
modalità di retribuzione sono cambiate nel tempo, alcune hanno perso il loro valore
105
http://www.assocomunicazione.it/ITA/notizia/assocomunicazione-presenta-il-progetto-di-legge
sulla-comunicazione-pubblica-il-dibattito-e-aperto.aspx . Per approfondimenti sul tema delle “gare”
della pubblica amministrazione (PA), e sulle proposte di AssoComunicazione, consultare il sito
dell’associazione. In data 28 aprile 2010, AssoComunicazione ha presentato una proposta di modifica
alla Legge 150 del 7 giugno 2000, (che disciplina le attività di informazione e comunicazione delle
pubbliche amministrazioni), in quanto la stessa legge considera le agenzie semplici fornitori di servizi
e non partner strategici in grado di affiancare la PA con un ruolo di consulenza prolungato nel tempo.
Perciò AssoComunicazione ha cercato di far considerare le specificità del lavoro delle agenzie, per
qualificare una professione che non è paragonabile alla semplice fornitura di beni materiali. I motivi
che hanno spinto AssoComunicazione ad agire per cercare di cambiare la situazione sono numerosi,
primo fra tutti è stato il crescente interesse che gli associati hanno mostrato verso lavori provenienti
dalla pubblica amministrazione, favorito dallo stanziamento dei budget nel settore privato. Il tema
centrale della proposta di modifica alla legge 150/2000 è quello riguardante gli appalti pubblici nel
settore della comunicazione. Inoltre si cerca di proporre una definizione dettagliata delle strutture che
partecipano alla “gara” con la relativa composizione delle commissioni giudicanti. Dal dibattito tra
mondo politico e quello della comunicazione è emerso che il settore pubblico investe poco in
comunicazione in maniera sporadica e spesso disordinata. Prima di tutto perché sembra mancare
un’adeguata cultura della comunicazione, ma anche perché la PA individua le strutture cui affidare il
proprio dialogo con i cittadini attraverso un sistema di “gare” regolato da una legge non adeguata alla
materia che deve disciplinare.
86
mentre altre riemergono dalla pratica contrattuale. Gli usi della Camera di
Commercio di Milano, all’art. 8, sostengono che il compenso che l’utente è tenuto a
corrispondere all’agenzia può essere: a corrispettivo fisso (il cosiddetto “fee”)
corrisposto sia in soluzione unica sia a rate oppure a percentuale in base all’importo
fatturato da mezzi e fornitori all’utente stesso. Oltre a queste due forme di
remunerazione ve ne sono altre quali: la remunerazione mista, “a tempo”, la
commissione - mezzi e il minimo garantito. Analizzate singolarmente vi sono:
•
Remunerazione a corrispettivo fisso, è un compenso concordato sin
dall’inizio, dalle parti, nel contratto d’agenzia pubblicitaria ed è spesso
utilizzata quando all’agenzia è conferito solo l’incarico di studiare il piano
creativo escludendo quindi la fase di realizzazione e diffusione della
comunicazione pubblicitaria;
•
Remunerazione a percentuale, prevede che il corrispettivo dell’agenzia sia
calcolato in base ad una percentuale (generalmente pari al 15 per cento)
sull’intero importo delle spese sostenute dall’utente per la realizzazione della
campagna pubblicitaria;
•
Remunerazione mista106, il compenso è stabilito sia da una parte fissa definita
dalle parti sia da un’interessante percentuale stabilita in base ai risultati che la
campagna pubblicitaria potrà “promettere” all’utente (si valutano i risultati di
vendita del prodotto pubblicizzato, la maggiore introduzione sul mercato del
prodotto oppure la crescita di visibilità del marchio presso il target di
riferimento);
•
Remunerazione “a tempo”107, il compenso è fissato in base al tempo che
l’agenzia impiega per la realizzazione della campagna pubblicitaria ed è
calcolato nel momento in cui l’utente affida l’incarico all’agenzia;
•
Minimo garantito, si tratta di una formula di compenso particolare che tutela
l’agenzia nel caso in cui l’utente stabilisce di recedere dal contratto prima
della
realizzazione
della
campagna
pubblicitaria
(garantisce
quindi
106
E’ una modalità di remunerazione utilizzata soprattutto nei paesi anglosassoni e che, solo in anni
più recenti è stata adottata nel mercato italiano.
107
Paolo Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale in Pubblicità e
promozione (XVIII), UTET, Torino, 2003, pag. 77. La formula di compenso “a tempo” non è molto
praticata dai professionisti del settore pubblicitario poiché non è semplice calcolare l’importo di tutte
le risorse utilizzate dall’agenzia per realizzare la comunicazione pubblicitaria; inoltre l’utente non è in
grado di eseguire un controllo sul lavoro e sulle risorse che l’agenzia impiega durante l’incarico.
87
all’agenzia un determinato importo che ammortizza i costi già sostenuti nella
fase di progettazione e ideazione del progetto pubblicitario);
•
Commissione – mezzi, è un compenso che i mezzi di diffusione di massa
riconoscono all’agenzia (cosiddetta commissione/diritto di agenzia) ed è
calcolato sull’importo totale fatturato dagli stessi mezzi al cliente. Di solito la
percentuale si aggira sul 15 per cento ma può anche essere più alta e in alcuni
casi inferiore a tale percentuale.
L’utente e l’agenzia, in base al rapporto contrattuale che instaurano, scelgono la
forma di retribuzione che soddisfa maggiormente le loro esigenze. Tali
remunerazioni non coprono però tutti i servizi che l’agenzia svolge, solo quelli
riguardanti la realizzazione della campagna pubblicitaria, infatti, le prestazioni
diverse da quelle tipiche (come le attività di traduzione, cliché, esecutivi ecc.), quelle
specialistiche (ricerche di mercato, test sul prodotto ecc.), e quelle che non si
riferiscono
alla
pubblicità
tabellare
sui
mass
media
(come
promozioni,
sponsorizzazioni, pubblicità sul punto di vendita, azioni di public relation,
progettazione di confezioni) sono remunerate a parte.
Altra forma di compenso che sta emergendo, in questi ultimi anni, nella prassi
contrattuale è quella che fa riferimento ai tariffari delle agenzie (molte agenzie hanno
curato una guida in cui sono presenti i costi di ogni singola prestazione in modo tale
da far orientare il cliente-utente sull’investimento che dovrà affrontare). La guida
“remunerazioni
e
tariffari”108
redatta
dall’ACPI (Associazione
Consulenti
Pubblicitari Italiani) e TP (Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti) è un
sostegno per valutare correttamente i preventivi e classificare le varie forme di
remunerazione, come segue:
•
Ad ore, che solitamente è utilizzata per remunerare servizi accessori (quali la
ricerca e la documentazione, il coordinamento del lavoro, le supervisioni
tecniche dell’esecuzione della campagna, ecc.);
108
ACPI e TP, guida remunerazioni e tariffe, giuda registrata presso Agenzia delle Entrate di Monza
2009/2010. La guida rappresenta un contributo che le associazioni propongono ai propri associati e
non ha lo scopo di definire e imporre tariffari, è solo un riferimento affinché agenzia e utente trovino
il giusto compenso da stabilire. La guida inoltre propone alcuni schemi di modelli contrattuali che sia
gli utenti sia le agenzie possono seguire. I modelli contrattuali sono sempre aggiornati in base ai
mutamenti e alle esigenze del mercato di riferimento.
88
•
A percentuale, non esiste una sola percentuale valida in modo universale (la
percentuale varia dal 15 per cento al 17,5 per cento, ma in alcuni casi può
essere anche del 7 per cento) che deve essere calcolata sull’investimento
totale dell’utente;
•
A periodo, ogni mese è corrisposta all’agenzia una quota basata sulla quantità
di ore mensili impiegate per lo svolgimento dell’incarico;
•
A progetto, è un compenso considerato equo e si riferisce a specifiche
prestazioni dell’agenzia dividendole tra art (creazione grafica) e copy
(elaborazione dei testi) anche se le quote sono considerate nel contesto
dell’intero progetto. Nel calcolo di tale remunerazione si considerano sempre
alcune variabili fondamentali quali: l’importanza del cliente in base alla
dimensione dell’impresa e della posizione che occupa nel mercato, la
divulgazione degli elaborati e dei progetti creativi, utilizzo nel tempo della
campagna pubblicitaria, impegno richiesto per la realizzazione del progetto,
immagine e notorietà dell’agenzia incaricata.
Senza dubbio un approccio orientato alla valutazione di un compenso adeguato
garantisce un rapporto professionale corretto tra utente e agenzia. I professionisti del
settore hanno bisogno di una tutela riguardante soprattutto i rapporti economici che
intraprendono con i propri clienti.
Certo è che, la commissione d’agenzia pubblicitaria e le altre forme di
remunerazione, come un po’ tutta la materia fin qui trattata, non differiscono nella
poca chiarezza giuridica. Anche qui diritti, scarsa regolamentazione in termini di
norme lascia molte incertezze sopratutto sulla possibile gestione economica per chi
intende avviare l’attività di un’agenzia di comunicazione pubblicitaria oppure per chi
si trova nel mercato da tempo, ma vorrebbe ampliarsi. Una debolezza, questa, che si
ripercuote sullo stesso andamento dell’agenzia che è molto più altalenante e subisce i
“capricci” del mercato.
89
III.2 Il ruolo della commissione di agenzia quale forma di remunerazione
Il tema della “commissione di agenzia” è una questione che interessa le agenzie di
comunicazione in generale e quelle del settore pubblicitario in modo specifico. E’
definita dai professionisti della pubblicità “diritto di agenzia” anche se non esiste
alcun diritto, alcuna norma che tuteli tale forma di remunerazione. La denominazione
deriva così dalla rivendicazione di un “diritto” acquisito nella prassi commerciale del
settore da quando è nata la pubblicità moderna e soprattutto da tutti i diritti d’autore
(compresi i diritti dei modelli, degli speaker, dei creativi interni ed esterni
all’impresa di comunicazione, che contribuiscono alla realizzazione della campagna
pubblicitaria) che l’agenzia si “assume” nei confronti sia dell’utente che dei
media109.
La pubblicità all’inizio era costituita solo dagli annunci realizzati direttamente dai
mezzi che li diffondevano; solo in seguito gli editori cominciarono ad affidare la
produzione dei messaggi a dei professionisti esterni (le agenzie). È da questa
evoluzione del mercato e dal rapporto tra editore e agenzia che si manifestò la
“commissione di agenzia” come una percentuale che le strutture esterne ricevevano
sull’investimento dell’azienda inserzionista (utente). Le agenzie però, con il passare
del tempo, cominciarono a instaurare rapporti direttamente con gli utenti pubblicitari,
anche se la commissione continuò a essere pagata dai mezzi e non dai clienti
lasciando così inalterato il meccanismo di tale forma di remunerazione. La situazione
cambiò quando le agenzie cominciarono a chiedere ai clienti-utenti di anticipare la
commissione che avrebbero ricevuto, in tempi spesso molto lunghi, dalla
concessionaria. Prima di approfondire l’evoluzione storica e i continui mutamenti di
questa specifica forma di retribuzione è necessario capire quali sono le sue
caratteristiche e in che modo è quantificata: il meccanismo economico che ne
costituisce il fondamento, è piuttosto articolato.
La commissione è il compenso che i mezzi riconoscono all’agenzia per l’attività
svolta a loro favore, infatti, l’agenzia stipula contratti con l’utente nell’interesse del
mezzo e fornisce allo stesso l’intera realizzazione della campagna che implica una
serie di attività e di cessioni di diritti da parte di terzi (modelli, speaker, ecc.). La
109
Gianfranco Strangis, titolare dell’agenzia di pubblicità Deltadoc s.r.l. agenzia di marketing e
pubblicità, sede di Torino.
90
commissione rispecchia, così, il rapporto tra agenzia - utente – mezzi: l’agenzia è il
trait d’union tra il mezzo e l’utente110 svolgendo la sua attività sia a favore dell’uno
che dell’altro. Ne fanno menzione sia le raccolte degli usi della Camera di
Commercio di Milano all’art. 8111 che i contratti-tipo redatti dall’UPA e da
AssoComunicazione rispettivamente art. 12.1, che sostiene “ a titolo di compenso
per i servizi prestati […] Vi corrisponderemo una commissione calcolata in
percentuale sulla spesa da noi sostenuta per le campagne pubblicitarie da Voi
effettivamente realizzate […]”112, mentre il contratto-tipo dell’AssoComunicazione
all’art. 9.1 prevede che “a titolo di corrispettivo per tutte le attività di comunicazione
[…], vi corrisponderemo un compenso denominato “compenso d’agenzia”, pari al
……% da calcolarsi su tutti gli importi delle fatture che riceverete per la
realizzazione del materiale pubblicitario e per la diffusione della campagna […113]”.
Tale forma di remunerazione è quindi una percentuale calcolata sul budget effettivo,
cioè sull’importo che l’utente stanzia per la diffusione della comunicazione
pubblicitaria commissionata all’agenzia. Il calcolo, è eseguito sull’importo delle
fatture emesse sia dai fornitori sia dai mezzi al netto di IVA114. Tale compenso copre
normalmente le attività che l’agenzia svolge durante le fasi di ideazione del
messaggio pubblicitario escludendo le attività di esecuzione e realizzazione
(esecutivi, prove di stampa, cliché, traduttori, attività tecniche sul materiale
pubblicitario, composizioni-impaginazioni, riproduzioni ecc.), e quelle che non
riguardano la pubblicità sui mezzi classici (promozioni, pubblicità sul punto vendita,
progettazione di confezioni, public relation, ecc.) che sono
separatamente
115
remunerate
.
110
Fiammetta Malagoli, Maurizio Sala, Federico Unnia, Negoziare la comunicazione. Rispose ai
principali questi nei rapporti di pubblicità, sales promotions, sponsorizzazioni, PR e internet
communication, Franco Angeli, 2001, Milano, pag. 27.
111
La raccolta delle clausole della prassi contrattuale in materia pubblicitaria della Camera di
Commercio di Milano, all’art. 8, riguardante il compenso d’agenzia, sostiene che esso è generalmente
una percentuale “pari al 15%” che l’agenzia fattura al cliente “via via che pervengono le relative
fatture dei mezzi e dei fornitori”.
112
Contratto–tipo UPA, 2005.
113
Contratto–tipo AssoComunicazione, 2005.
114
Maurizio Fusi, La pubblicità: strumenti e pratiche contrattuali, IPSOA, 2003, pag. 123.
115
Gli usi della Camera di Commercio di Milano all’art. 9 prevede che “i compensi di cui all’art. 8
non comprendono le prestazioni tecniche strettamente inerenti l’apporto dei materiali (composizioni,
riproduzioni, fotolito, esecutivi o adattamenti, traduzioni e simili) o specialistiche (ricerche specifiche
di mercato[…], tests sul prodotto o sulla distribuzione, attività promozionali e di pubbliche relazioni,
sponsorizzazioni, progettazione della confezione dei prodotti, punto vendita e simili) che l’utente
remunera a parte. Sono altresì rimborsate a parte le spese vive di viaggio autorizzate.
91
La commissione è pagata dai mezzi per riconoscere all’agenzia il suo ruolo di
“dirottatore”, “selezionatore” e “consigliere”, degli investimenti pubblicitari
dell’utente su un determinato veicolo piuttosto che un altro (ad esempio l’agenzia
sceglie lo spazio di una specifica testata giornalistica, il tempo televisivo di una
emittente piuttosto che un’altra ecc.) agendo quindi nell’interesse del mezzo.
Quest’ultimo trae profitto sulla diffusione della campagna che l’agenzia realizza,
organizza, predispone ed esegue e dalla quale i mezzi ne traggono benefici, infatti,
per essi, gli introiti pubblicitari costituiscono la maggiore fonte di finanziamento. Lo
schema può chiarire meglio il rapporto e il “giro” della remunerazione.
A.
“Schema fatturazione”
Utente
Editore / Concessionaria
Paga 100€
all’editore/concessionaria
Fattura all’utente un
importo di 100€
Agenzia
Fattura al concessionario un
importo di 15€ (di commissione
d’agenzia) sull’importo totale
che l’utente paga per la
diffusione
Nello schema A. il meccanismo economico avviene in questo modo: l’utente paga
per la diffusione un importo di 100€ (al netto degli sconti di posizione, di periodo, di
spazio/formato/tempo
del
messaggio,
e
di
quantità
già
previsti
dall’editore/concessionaria), la concessionaria ricava dalla diffusione 85€ poiché 15€
92
andrà all’agenzia sotto forma di “commissione di agenzia”. Il rapporto descritto è
quello che si è instaurato quando gli editori cominciarono ad affidare la realizzazione
della pubblicità alle agenzie.
In questi ultimi decenni, diverse agenzie hanno trovato più “comodo”, con
motivazioni di tipo amministrativo e di liquidità, fatturare la commissione
direttamente al cliente, chiedendo alla concessionaria di detrarla in fattura al cliente
stesso. Il mezzo, quindi, riconosce la commissione del 15 per cento alle agenzie, ma
non la paga direttamente. Lo schema B. evidenzia l’evoluzione e il mutamento del
rapporto.
B.
“Schema fatturazione”
Utente
Editore / Concessionaria
Paga 100€, di questi 85€
andranno
all’editore/concessionaria e
15€ all’agenzia
Fattura all’utente un
importo di 85€ (100€ meno
15€ di commissione)
Agenzia
Fattura all’utente un
importo di 15€
(commissione di agenzia)
Nello schema B. il meccanismo procede in questo modo: l’editore/concessionaria
fattura all’utente un importo pari a 100€ detraendo il 15% della “commissione di
agenzia” quindi riceverà una somma di 85€, a sua volta l’agenzia fattura 15€
all’utente il quale pagherà rispettivamente il mezzo per la diffusione e l’agenzia per
la creatività e pianificazione dei media. La commissione sussiste solo quando
93
l’utente si affida all’agenzia, altrimenti il mezzo non è legittimato a riconoscere il 15
per cento della commissione al cliente.
L’evoluzione e i cambiamenti più rilevanti sono avvenuti in modo incisivo nel 1994,
a seguito di un accordo tra le varie associazioni rappresentative degli utenti, delle
agenzie e delle concessionarie di pubblicità quali: UPA (Utenti Pubblicità Associati),
ASP (Associazione Italiana Agenzie di Promozione), ASSOREL (Associazione
Agenzie di Relazioni Pubbliche a Servizio Completo), ASSAP (l’attuale
AssoComunicazione), AIPAS (Associazione Italiana Imprese di Comunicazione),
OTEP116 (Associazione Imprese di Pubblicità e Comunicazione), ACP (Associazione
Concessionarie di Pubblicità) e ASSODIRECT (Associazione Italiana delle Agenzie
di Direct Marketing). Tali associazioni hanno firmato l’accordo che sostituisce la
“commissione” con lo “sconto d’agenzia” che il mezzo deve detrarre (dal prezzo
inerente l’acquisto di spazi/tempi pubblicitari) nella fattura emessa all’utente. Il
calcolo, che si basa su una percentuale del 15 per cento sul valore della diffusione,
avviene dopo che il mezzo ha sottratto gli altri sconti previsti e deve indicarlo in
fattura come “sconto d’agenzia”. L’accordo è stato ritenuto lecito dall’Autorità
garante della concorrenza e del mercato (Agcm) che, con provvedimento 19 giugno
1996 (n° 4002), ha ritenuto che l’intesa “non appare produrre comportamenti
discriminatori da parte dei mezzi nei confronti delle agenzie di pubblicità tali da
distorcere o falsare il gioco concorrenziale tra queste e gli altri operatori del
settore” 117. Inoltre il provvedimento sostiene che, la base essenziale per applicare lo
sconto è che l’utente utilizzi “un’impresa e/o struttura professionalmente idonea,
operante
nel
settore
della
comunicazione”118
per
la
realizzazione
della
comunicazione pubblicitaria.
Cosa è cambiato, nella forma di remunerazione, dopo l’accordo interassociativo?
Il procedimento di fatturazione, la procedura del calcolo e l’entità della percentuale
applicata rimangono invariate. Risulta invece sostituita la denominazione: da
“commissione di agenzia” a “sconto di agenzia”. L’agenzia però è estraniata dal
rapporto tra utente e mezzo quando invece è indispensabile per l’esistenza stessa
dello “sconto d’agenzia”; in più il mezzo stabilisce un contatto diretto con l’utente e
116
L’associazione AIPAS e quella OTEP si sono fuse diventando l’attuale UNICOM.
117http://www.agcm.it/agcm_ita/DSAP/DSAP_287.NSF/0/fc07f2760e059c6dc1256362005293fd?Op
enDocument In appendice del presente lavoro è presente il provvedimento dell’Agcm n. 4002 del 19
giugno 1996.
118
Tale requisito è presente nel provvedimento n. 4002 dell’Agcm.
94
si priva di ogni legame economico con l’agenzia. Sembra esserci, nell’accordo citato,
una contraddizione: l’agenzia è indispensabile per calcolare e per far sussistere lo
“sconto di agenzia” ma d’altra parte essa non stabilisce rapporti patrimoniali con il
mezzo il quale utilizza la campagna per la diffusione e su di essa trae un profitto
economico. Questo rapporto trilaterale che si è venuto a creare, manca dell’elemento
fiduciario e delle collaborazioni reciproche: sia il mezzo che l’agenzia dovrebbero
cooperare per il successo della campagna pubblicitaria dell’utente ed agire nel suo
interesse.
Nuovamente, il meccanismo della remunerazione del compenso cambia e lo schema
può essere rappresentato come segue:
C.
“Schema fatturazione”
Utente
Editore / Concessionaria
Paga 100€, di questi 85€
andranno
all’editore/concessionaria e
15€ all’agenzia
Fattura all’utente un
importo di 85€ (100€ meno
15€ di sconto di agenzia)
Agenzia
Fattura all’utente un
importo di 15€
Nello schema C. muta solo la denominazione della commissione, i passaggi di
fatturazione restano invariati, infatti, l’editore/concessionaria fattura all’utente un
importo di 100€, riguardante la diffusione della comunicazione detraendo da tale
importo il 15% dello “sconto di agenzia”. L’utente, una volta ricevuta la fattura
95
pagherà al mezzo la cifra di 85€ (il totale decurtato del 15%) e in seguito all’agenzia
un importo di 15€. L’agenzia emetterà la fattura nei confronti dell’utente.
Tuttavia si rileva come diverse agenzie, che non hanno accettato l’accordo
interassociativo del 1994, ancora oggi continuino a richiedere ai mezzi l’applicazione
della “commissione/diritto di agenzia”, anziché lo sconto, riservandosi di scegliere le
modalità di pagamento riportate nello schema A. oppure nello schema B.
I continui e repentini cambiamenti del mercato e delle nuove tecnologie informatiche
hanno portato a ulteriori mutamenti nella già difficile prassi contrattuale tra utente –
agenzia – mezzo, determinando una situazione economica poco trasparente: la
comparsa sul mercato di un nuovo operatore, i centri media.
I centri media (citati nel capitolo II, paragrafo II.4.1) acquistano spazi pubblicitari
per conto dell’utente, dell’agenzia o in proprio, svolgendo anche l’attività di
programmazione e pianificazione della campagna; nel corso di tali attività tendono a
gestire anche l’acquisto degli spazi pubblicitari tra i vari mezzi. Il loro potere di
mercato (sia per il loro numero sia per l’entità dei budget che amministrano) influisce
sulla struttura dell’intero settore, infatti, la capacità contrattuale di un centro media e
la sua forza di attrazione nei confronti dell’azienda inserzionista sono maggiori
rispetto a quelli della singola concessionaria. Sono remunerati sia dal cliente
attraverso un canone annuale fisso (ovvero in percentuale sugli investimenti
pubblicitari intermediati) sia dalla concessionaria attraverso i cosiddetti “diritti di
negoziazione” (le overcommission119 che sono premi corrisposti in percentuale, su
quanto riescono ad intermediare in totale nell’anno). Le overcommission sono
compensi che i centri media ricevono in aggiunta a quelli già riconosciuti dai mezzi
119
http://www.agcm.it/agcm_ita/DSAP/DSAP_IC.NSF/8c140a0d4d64cba941256262003d5c11/c481b
ad225c6a24ac1256f58003be066/$FILE/IC23.pdf Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,
indagine conoscitiva del settore televisivo: la raccolta pubblicitaria (IC 23). La presenza nel settore
pubblicitario delle overcommission, quale metodo di remunerazione dei centri media, ha fatto nascere
l’esigenza di disciplinare tali pratiche perché considerate delle transazioni commerciali poco
trasparenti. In alcuni paesi europei il legislatore ha cercato di stabilire alcuni criteri volti a contenere e
regolare il fenomeno; in particolare, in Francia la legge “Sapin” del 1993, ha vietato le
overcommission pur di riuscire a contenere il potere economico dei centri media. In Germania non
sono ufficialmente consentite perché i centri media sono unicamente retribuiti dagli inserzionisti. In
Spagna i “diritti di negoziazione” sono ammessi ed assumono un peso rilevante poiché raggiungono
circa il 2 per cento del budget amministrato. Nel Regno Unito, il modello organizzativo è
completamente diverso da quello degli altri Paesi poiché, tutti i centri media stabiliscono degli accordi
pluriennali in cui viene stabilito lo sconto che la concessionaria applicherà in relazione all’ammontare
degli investimenti degli inserzionisti. In Italia le overcommission hanno raggiunto un valore elevato,
infatti, uno studio dell’Agcm ha evidenziato come i “diritti di negoziazione” siano di circa il 2 per
cento degli investimenti pubblicitari gestiti, rappresentando così una parte crescente della
remunerazione dei centri media, corrisposti dalla concessionaria.
96
all’utente (sconto di agenzia 15%) e dovrebbero essere accreditate all’utente stesso;
generalmente questo compenso viene trattenuto dai centri media senza apportare
alcun beneficio per l’utente.
I centri media svolgono tutte quelle prestazioni che un tempo erano gestite
dall’agenzia, la quale si vede intaccare il campo di sua pertinenza.
Lo schema D. mostra le relazioni economiche fra gli operatori del settore
aggiungendo al rapporto trilaterale un quarto soggetto. I rapporti possono essere così
rappresentati:
D.
“schema fatturazione”
Utente
Editore / Concessionaria
Paga 85€ (100€ meno 15€ di
sconto di agenzia),
all’editore/concessionaria e 7€
all’agenzia
Fattura all’utente un
importo di 85€ (100€ meno
15€ di sconto di agenzia)
Centri o Centrali media
Agenzia
Fattura all’utente non
più un importo di 15€
ma di 7€/10€ massimo
Riceve dall’utente un compenso
percentuale sul budget
amministrato (1,5/4% come 1,5/4€)
riceve inoltre dalla concessionaria
una overcommission (1/2%) sul
totale amministrato di tutti gli
utenti assistiti
Nello schema D. il rapporto economico si complica poiché vi è la presenza di un
altro operatore che, in questo caso, opera per conto sia del cliente sia
97
dell’editore/concessionaria.
Il
rapporto
inizia
a
procedere
sempre
dall’editore/concessionaria che fattura all’utente un importo di 100€ (meno lo sconto
di agenzia di 15€). L’agenzia non fattura più 15€ ma 7/10€ a causa dei cambiamenti
concorrenziali del mercato che determinano una riduzione del compenso percentuale.
La presenza del centro media, al quale spetta sia un importo da parte dell’utente, per
il servizio di pianificazione e gestione media, sia un compenso (overcommission,
ulteriore sconto che i mezzi concedono ai centri media) da parte del mezzo poiché è
riuscito a fargli vendere una rilevante quantità di spazi/tempi pubblicitari, ha causato
la diminuzione della percentuale del compenso dell’agenzia. Il meccanismo
contrattuale è molto complesso, ogni operatore rivendica dei diritti per il lavoro
svolto e di conseguenza dei compensi: l’agenzia esige il “diritto di agenzia” da parte
dei mezzi mentre i centri media esigono una percentuale sempre da parte dei mezzi.
Può inoltre accadere che il centro media agisca esclusivamente nel suo interesse
acquistando direttamente gli spazi pubblicitari dall’editore/concessionaria per poi
rivenderli all’utente. Raccoglie così gli ordini pubblicitari dai suoi utenti e comincia
a contrattare con le concessionarie; tale contrattazione generalmente procura un
ulteriore e rilevante sconto (1-3% sul prezzo degli spazi/tempi pubblicitari) rispetto
alle normali trattative che i singoli clienti possono avere dall’editore/concessionaria.
Nel corso dell’anno può accadere che il centro media intuisca di aver acquistato
troppi spazi e di non poterli “smerciare” direttamente ai suoi utenti, così può
succedere che venda gli spazi in eccedenza ad altre agenzie di pubblicità, che trovano
conveniente l’acquisto rispetto alla trattativa diretta con la editore/concessionaria.
Questo rapporto di transazione diretto tra centro media e concessionaria non
comporta ulteriori benefici per l’utente il quale continua a pagare lo stesso prezzo
degli spazi pubblicitari sostituendo solo la figura del fornitore.
Naturalmente, tale tipo di transazione riguarda, in minima parte, anche le agenzie di
pubblicità, che a volte acquistano direttamente dalle concessionarie, come vedremo
in seguito con i risultati del sondaggio sul rapporto economico tra agenzia di
pubblicità e editore/concessionaria.
98
III.3 La commissione: prassi contrattuale o reale diritto?
Lo scenario economico e sociale nel quale operano i tre “attori” principali del mondo
della comunicazione, gli utenti, le agenzie, e i mezzi, è ulteriormente e
profondamente mutato nel corso degli anni e continuerà a modificarsi.
Nei “contratti della pubblicità”, in particolare nel contratto di agenzia pubblicitaria,
l’utente è a conoscenza del “diritto” dell’agenzia di farsi riconoscere dai mezzi la
specifica remunerazione (commissione) connessa ai servizi che andrà a fornire ai
mezzi stessi. In passato sono sorti numerosi contrasti fra le agenzie, da una parte, e
gli utenti e i mezzi, dall’altra, in merito al diritto delle prime a rivendicare e farsi
riconoscere, anche a livello giurisprudenziale, la commissione dai mezzi. Allo stato
attuale, tali dissidi sono risolti tra le parti per questo motivo sono pochissimi i
tribunali italiani che si sono occupati della problematica riguardante la “commissione
di agenzia” e che hanno evidenziato la sua caratteristica di uso contrattuale esistente
piuttosto che di semplice prassi negoziale.
È rilevante il caso, deciso dal Pretore di Torino (5 aprile 1990), di un mezzo che
contestava all’agenzia il proprio diritto di rivendicare la commissione, basandosi sul
presupposto che le parti (agenzia e mezzo), non avessero definito alcun accordo in
proposito. L’organo giudicante si è espresso affermando che “la particolare qualifica
del teste consente di escludere che egli non fosse a conoscenza di alcuna pattuizione
[…]” continuando poi a sostenere il diritto rivendicato dall’agenzia aggiungendo che
“la norma è quella contenuta nell’art. 4 degli “utenti-mezzi”e, sotto questo profilo,
la definizione di “prassi” si rivela erronea (oltre che riduttiva, non godendo la mera
“prassi” della valenza giuridica di un vero e proprio “uso”), […]. A questo punto,
la pretesa avanzata dall’agenzia […] non pare fondata su una “prassi inesistente”
bensì su un titolo costituito dall’accordo intervenuto tra agenzia e mezzo, nel quale è
stato espressamente richiamato un “uso contrattuale esistente”120. Il Giudice
torinese si è così espresso a favore del riconoscimento della “commissione/diritto di
agenzia” rilevando come tale diritto sia un uso contrattuale consolidato che le parti
riconoscono, salvo diversa pattuizione: il mezzo è obbligato a riconoscere la
120
Vincenzo Farina, I contratti di pubblicità: natura e disciplina del rapporto utente-mezzo e agentemezzo in Rassegna di diritto civile, 4/92, commenti alla giurisprudenza, fascicolo 4, 1992. pag. 934.
99
commissione anche quando nel contratto, stipulato con l’agenzia, tale clausola non è
fissata dalle parti.
Gli usi sono, infatti, originati dalla ripetizione generale, uniforme e costante di
comportamenti adottati nella convinzione di rispettare una norma giuridica
obbligatoria. Il richiamo agli usi e alle consuetudini è ammesso per le materie non
regolate dalla legge o nel caso la legge li richiami espressamente, come avviene per i
“contratti della pubblicità” e per la “commissione di agenzia”. Infatti, tra le diverse
fonti del regolamento contrattuale l’art. 1374121 cod. civ. stabilisce una gerarchia: gli
usi valgono in mancanza della volontà delle parti o di disposizioni di legge.
Gli usi contrattuali o clausole d’uso (art. 1340 cod. civ.), si “intendono inserite nel
contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti”122. Gli operatori di un
dato settore sono soliti uniformarsi agli usi vigenti tanto che ciascun contraente si
aspetta la loro osservanza da parte dell’altro contraente. Gli usi contrattuali sono
quindi clausole non scritte del contratto e sono vincolanti per i contraenti anche
quando, al momento della conclusione del negozio giuridico non ne sono a
conoscenza e la loro violazione genera delle responsabilità.
L’agenzia di pubblicità ha sempre percepito la commissione dai mezzi tanto da farla
evolvere in una clausola contrattuale dimostrata e inclusa nei “contratti della
pubblicità”. Tale situazione ha generato un uso contrattuale vigente, spetta solo ai
professionisti della pubblicità pretendere un loro diritto.
A riprova di quanto esposto finora, un’altra sentenza della Corte di Cassazione123 (n°
15684/05)124, vede, da un lato, l’agenzia Demba Cinema (impresa di comunicazione
specializzata nel settore della cinematografia) rivendicare il diritto della
“commissione di agenzia” e, dall’altro, la concessionaria di pubblicità Piemme
(impegnata nella raccolta pubblicitaria sia sui quotidiani che su internet) negarle tale
diritto sostenendo che soltanto l’utente era legittimato a riscuotere e successivamente
ad accreditare la commissione all’agenzia (procedimento nato a seguito dell’accordo
121
Adolfo di Majo (a cura di), Codice Civile, Giuffrè edit., Milano, 2002, pag. 435. L’articolo 1374
del codice civile stabilisce che “Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo
espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo
gli usi e l’equità”.
122
Francesco Galgano, Il contratto, CEDAM, Padova, 2007, pag. 56.
123
La “battaglia” legale tra Demba Cinema e Piemme è passata per ben tre gradi di giudizio quali:
sentenza del Tribunale Civile di Roma (n° 2792/99); sentenza della Corte di Appello di Roma
(2369/02); sentenza della Corte di Cassazione (n° 15684/05). I tre gradi di giudizio sono giunti alla
medesima conclusione.
124
Sentenza n° 15684/05 in appendice del presente lavoro.
100
interassociativo del 1994). Il Giudice di legittimità riconferma la decisione della
Corte D’appello la quale aveva sostenuto che “era provato che la Demba aveva
ricevuto fino a quella data il 15% del fatturato della Piemme relativo ai contratti
stipulati con i propri clienti e che tali pagamenti erano stati effettuati, come risultava
dalle fatture, a titolo di “diritto di agenzia”; che il pagamento delle fatture, […]
dimostrava che tra le parti era intervenuto un accordo secondo il quale l’attività
svolta dalla Demba si configurava come prestazione in favore della Piemme […]”.
Una decisione, questa, che ha modificato profondamente il rapporto tra agenzie,
utenti e mezzi, restituendo dignità al ruolo professionale dell’agenzia: la
commissione spetta solo ad essa quale suo diritto esclusivo e non può essere
destinata ad altri soggetti. La fatturazione eseguita dalla Piemme alla Demba, nella
quale si riportava il “diritto di agenzia”, è stata la prova evidente di un rapporto
patrimoniale tra i due “attori” generando un uso contrattuale che la Piemme non
poteva rifiutarsi di eseguire.
Persino il tentativo di sopprimere la “commissione” con lo “sconto di agenzia”,
compiuto nel 1994 (accordo interassociativo), è stato vanificato grazie alla decisione
riguardante la sentenza della Corte di Cassazione (15684/05) e grazie al costante
impegno dell’associazione AICI e UNICOM. La prassi dello sconto in fattura non
sarebbe quindi efficace poiché si potrebbe configurare anche un illecito fiscale.
L’avvocato Reboa (difensore della Demba Cinema) ha evidenziato come il metodo
dello sconto in fattura “trattandosi di compensi dovuti all’agenzia di comunicazione,
è quest’ultima che deve procedere alla loro fatturazione al mezzo. Ove, viceversa, il
mezzo detragga questi compensi dalla fattura al cliente, il mezzo ridurrà il proprio
giro d’affari del 15% e analogamente farà l’agenzia. Altresì, in caso di ristorno,
anche il cliente ridurrà il proprio giro d’affari. […] l’operazione porta […] a una
probabile elusione di IVA […] ”125. La commissione è quindi una forma di
remunerazione valida e trasparente che non può generare un illecito fiscale.
Sebbene il “diritto di agenzia” sia stato valutato positivamente da ben due sentenze
ed è, inoltre, previsto dagli usi in materia pubblicitaria delle Camere di Commercio,
molte piccole e medie agenzie lamentano la scarsa tutela e l’enorme difficoltà nel
riuscire a percepire la commissione dai mezzi; questa situazione è causata dal fatto
che l’argomento in questione è abbastanza controverso.
125
ItaliaOggi, Media e pubblicità, Martedì 15 Giugno 2004, pag. 25.
101
Le agenzie, tuttavia, non hanno mai abbandonato la “speranza” e la volontà di
ottenere un riconoscimento giuridico stabile e consolidato concernente il “diritto di
agenzia” altresì vi sono molti dubbi che riguardano la sua reale attuazione. Questa
situazione è scaturita dal fatto che i professionisti pubblicitari non hanno mai
ricevuto un adeguato riconoscimento legislativo che identificasse, con esattezza e
trasparenza, i loro ruoli e le loro funzioni nell’ambito della comunicazione
pubblicitaria.
Al contrario vi sono state delle proposte di legge che hanno cercato di limitare il
potere contrattuale e il rapporto economico delle agenzie nei confronti delle
concessionarie/editori.
La prima proposta di legge tentava di disciplinare l’attività di intermediazione sulla
pubblicità a garanzia della trasparenza tra le imprese. È stata presentata nel 2006,
iniziativa del deputato Lusetti, per limitare il potere patrimoniale dei centri media i
quali, dopo la loro fusione con le agenzie di pubblicità multinazionali, hanno
cominciato a detenere forti concentrazioni finanziarie e un vasto controllo del
mercato pubblicitario. Ciò ha bloccato l’allargamento del mercato stesso alle piccole
e medie imprese per le quali l’accesso ai grandi media, della stampa e della
televisione, presenta notevoli difficoltà soprattutto per quanto riguarda il rapporto
qualità/prezzo/efficacia degli spazi acquistati. Una proposta di legge, quella di
Lusetti, che tuttavia non si riferiva solo ai centri media, ma coinvolgeva l’insieme
delle imprese che svolgono l’attività di intermediazione infatti all’articolo 3, 3°
comma sosteneva che “gli esercenti attività di intermediazione sulla pubblicità non
possono ricevere alcuna remunerazione o vantaggio di qualsiasi tipo da parte di
soggetti diversi dagli inserzionisti” mentre al 4° comma suggeriva che “le imprese
editrici, i soggetti esercenti l’attività di radiodiffusione o le imprese concessionarie
di pubblicità […], rilasciano esclusivamente all’inserzionista la fattura relativa agli
spazi pubblicitari acquistati. […]”.126 Tale articolo avrebbe portato ad abolire di
126
http://www.alboaici.it/documenti/legge%20lusetti.pdf La proposta di legge Lusetti all’articolo 2, 1°
comma, suggeriva che “l’esercizio professionale della attività di intermediazione può essere svolto
esclusivamente da imprese iscritte al registro degli operatori di comunicazione”. Se l’attività di
intermediazione poteva essere esercitata soltanto dalle imprese iscritte al registro degli operatori di
comunicazione, le agenzie di pubblicità sarebbero state escluse poiché esse non hanno alcun obbligo
di iscrizione all’albo. Hanno l’obbligo di iscrizione le imprese concessionarie di pubblicità che
trasmettono mediante impianti radiofonici o televisivi, le imprese editrici di quotidiani, di periodici o
riviste, le agenzie di stampa di carattere nazionale, le imprese fornitrici di servizi telematici e di
telecomunicazioni ecc. Si poteva arrivare, quindi, al paradosso di un editore di giornali/riviste ecc. che
diventava intermediario tra se stesso e l’utente di pubblicità
102
fatto la “commissione/diritto di agenzia” che, come appreso finora, è un diritto
esclusivo che spetta solo all’agenzia per le attività di pianificazione dei mezzi e dei
tempi di diffusione e per l’acquisto degli spazi pubblicitari.
Quando si cerca di regolare un settore, tramite leggi, chi propone dovrebbe
conoscerlo e capirne in modo approfondito gli sviluppi e i meccanismi interni del
settore, altrimenti la regolamentazione porterebbe solo ulteriori problematiche:
regolare il mercato pubblicitario non significa solo porre dei limiti ai rapporti
economici tra gli “attori”.
Altro disegno di legge è quello presentato dal deputato Levi (il DdL Levi o DdL Levi
-Prodi), è una proposta per la riforma dell’editoria italiana risalente al 3 agosto 2007,
il sopraggiunto cambio di governo e le molte critiche, interromperanno l’iter fino alla
nuova ripresentazione in parlamento il 9 giugno 2008 da parte dello stesso deputato
Levi, con piccole modifiche rispetto al testo precedente. Tale proposta di legge, in
particolare all’articolo 12, tentava di disciplinare l’attività di intermediazione sulla
pubblicità destinata ai prodotti editoriali, focalizzandosi sull’esigenza di trasparenza
del relativo mercato. Il comma 2 (art. 12) sanciva che “i soggetti che esercitano
l'attività di intermediazione sulla pubblicità possono acquistare spazi pubblicitari sui
mezzi di informazione e di comunicazione, comprese le reti elettroniche,
esclusivamente per conto di un committente […]”. Il comma 4 (art. 12), sosteneva
che “gli esercenti attività di intermediazione sulla pubblicità non possono ricevere
alcuna remunerazione o vantaggio da parte di soggetti diversi dai committenti”127.
Tale articolo, come quello della precedente proposta di legge Lusetti, avrebbe
intaccato il settore economico delle agenzie e in particolar modo la “commissione”.
Il settore pubblicitario ha indubbiamente bisogno di regole pertinenti che siano in
grado di riconoscere il ruolo specifico di ogni singolo “attore” ciò nonostante non ci
si deve basare su norme che regolino l’attività di intermediazione in modo generale
poiché ogni singolo “attore” svolge una specifica attività. L’agenzia è una struttura
specializzata nella progettazione, realizzazione e pianificazione mezzi della
campagna pubblicitaria; il centro media si occupa di ottimizzare la pianificazione del
messaggio pubblicitario sui vari media; la concessionaria svolge attività di vendita di
spazi pubblicitari, non occorre “amalgamare” l’attività di un “attore” con quella di un
altro “attore”.
127
http://download.repubblica.it/pdf/2007/legge_editoria.pdf
103
Il “diritto di agenzia” è il riconoscimento che l’editore/concessionaria deve attribuire
all’agenzia per le prestazioni eseguite (es. fornitura del materiale adatto alla
pubblicazione del messaggio pubblicitario nei tempi e con le caratteristiche tecniche
adeguate al mezzo, la pianificazione e la calendarizzazione della campagna sui
relativi mezzi) che questa gli offre quando predilige uno dei suoi mezzi. I
professionisti pubblicitari hanno necessità di una legge128 che consideri tale forma di
compenso un diritto esclusivo dell’agenzia per le molteplici attività che svolge, sia
nei confronti dell’utente che del mezzo.
Attraverso l’analisi del sondaggio sul rapporto tra agenzia e editore/concessionaria
capiremo con maggiore chiarezza il reale e attuale utilizzo della “commissione di
agenzia”. Il questionario realizzato per le agenzie di pubblicità è composto dalle
seguenti domande:
1. Quali sono i sistemi di remunerazione utilizzati della sua agenzia? (%
fatt./annuo)
a) Corrispettivo fisso annuale (fee mensile)
b) Remunerazione a progetto (listino, costi/orari, ecc.)
c) Percentuale del budget (commissione/diritto di agenzia)
d) Sistema misto
2. La pianificazione, gestione e controllo media sono attualmente un servizio
interno offerto ai suoi clienti-utenti?
Si
No
Se “Sì” come avviene il rapporto di transazione economica tra utente,
agenzia e concessionaria/editore? (% annua budget amministrato)
a) L’editore/concessionaria fattura direttamente al cliente lo spazio
pubblicitario
128
http://vota.no.ddl.levi.alboaici.org/download/SYSTEM_ATTACH/Lettera%20VII%20Commission
e%20Camera.pdf AlboAICI (qualora la proposta di legge Levi dovesse proseguire nell’iter
parlamentare), propone: a) il riconoscimento dell’uso contrattuale del “diritto di agenzia” che da
sempre regola i rapporti tra agenzia di pubblicità e concessionaria; B) trasparenza del mercato,
garantita dall’obbligo di rendere pubblici i listini degli editori e delle concessionarie; C) l’inserimento
nel ROC (Registro Operatori di Comunicazione) di un elenco che indichi i ruoli distinti per gli editori,
le concessionarie, i centri media e le agenzie Questi sono alcuni suggerimenti che l’associazione Aici
propone per poter modificare l’art. 12 del DdL Levi.
104
b) L’agenzia acquista direttamente lo spazio dalla concessionaria/editore
e fattura al cliente
3. Se la concessionaria/editore fattura direttamente all’utente lo spazio
pubblicitario (% annua budget amministrato):
a) L’agenzia fattura la commissione/diritto all’editore/concessionaria
b) L’agenzia fattura la commissione/diritto all’utente
c) L’agenzia
non
percepisce
nessuna
commissione
dall’editore/concessionaria e neppure dall’utente perché utilizza altre
forme di remunerazione
4. Se l’agenzia non percepisce la commissione dall’editore/concessionaria e
neppure dall’utente, l’editore/concessionaria riconosce comunque all’utente,
in fattura, lo sconto d’agenzia?
Si
No
5. La sua agenzia ha utilizzato negli ultimi tre anni i centri media per la
pianificazione e l’acquisto di spazi pubblicitari?
Si
6. Come
valuta
in
generale
il
rapporto
No
della
sua
agenzia
con
editori/concessionarie?
Positivo
Negativo
7. Considera la commissione/diritto d’agenzia un sistema di remunerazione
valido e trasparente?
Si
No
Hanno partecipato ben 28 agenzie129 di comunicazione, le uniche che hanno
acconsentito a compilare il breve questionario, distribuite su tutto il territorio
nazionale. Le interviste sono state compilate via mail dagli intervistati stessi.
129
Hanno partecipato al sondaggio le seguenti agenzie: Copyright Milano; Flash Snc Lecco; Sinergia
Srl Torino; Exe Media Srl Trapani; Melt Adv Roma; Tema/Brigaglia Cagliari; Brunazzi Torino;
Gandini Alessandria; Tutti Frutti Ravenna; Priolisi Comunicazione Palermo; Studio Rein Srl Roma;
105
Il sondaggio è composto da sette domande alle quali gli intervistati potevano
rispondere a più opzioni esprimendo una percentuale di utilizzazione (soprattutto per
le prime tre domande).
La prima domanda (figura 1) chiedeva quali sistemi di remunerazione utilizza
l'agenzia nei confronti dei propri utenti: per ognuna delle opzioni di risposta è stata
valutata una media delle percentuali. Si nota come ben il 15,54% degli intervistati
utilizza il corrispettivo fisso annuale; il 48,39% la remunerazione a progetto; il
21,79% la commissione/diritto di agenzia e infine il 14,29% un sistema misto di
remunerazione. La commissione d’agenzia è un sistema di remunerazione ancora
utilizzato dalle agenzie come risulta dalla sua percentuale di utilizzazione (non è
insufficiente se si pensa al vissuto storico della commissione legata all’evolversi
degli usi e consuetudini nella pubblicità di questi ultimi anni).
Figura 1
Alta Firenze; Deltadoc Srl Torino; Formula Advertising Torino; Studi Franco Turcati Snc
Torino;Abimage Terni; Abra sas Vicenza; C.P.S. Srl Milano; Creative Srl Affi Venezia; Paolo
Valentini Lecce; De Rosa Team Milano; Gandini & Rendina Milano; Lista Milano; Megafono Srl
Roma; Melt Adv Roma; Punto di Riferimento Srl Torino; Studio Sartorello Rovigo; Sintac Srl
Mapello Bergamo.
106
La seconda domanda (figura 2 A) chiedeva se il servizio di pianificazione, gestione e
controllo media fosse ancora una prestazione gestita all’interno dell’agenzia oppure
esternamente ad essa. L’89% (25 partecipanti) degli intervistati sostiene di gestire
ancora tale servizio e di avere quindi un reparto media mentre l’11% delle agenzie (3
partecipanti) fa gestire tale servizio da strutture esterne. Le piccole e medie agenzie
continuano a gestire internamente il reparto media per conto dei loro utenti (89%):
questa percentuale dimostra che tra utente e agenzia vi è ancora un rapporto di
fiducia, e sottolinea la capacità dell’agenzia di proporre un servizio media
soddisfacente.
Coloro che gestiscono il servizio media al proprio interno (25 partecipanti) dovevano
spiegare, attraverso le opzioni relative alla seconda domanda (figura 2 B), in che
modo
avviene
il
rapporto
di
transazione
economica con
gli
utenti
e
l’editore/concessionaria. Ben il 77,56% del loro badget amministrato è fatturato
dall’editore/concessionaria al cliente mentre il 18,84% è acquistato dall’agenzia e
rivenduto all’utente.
Figura 2 A
107
Figura 2 B
Alla terza domanda (figura 3 A), conseguente alla seconda, rispondono solo 26 dei
28 intervistati. Questa domanda chiarisce come viene gestita la commissione di
agenzia quando l’editore/concessionaria fattura direttamente al cliente lo spazio
pubblicitario (figura 3 B). Mediamente, il 36,62% delle agenzie fattura la
commissione di agenzia all’editore/concessionaria; il 38,85% fattura all’utente e il
26,54% non percepisce nessuna commissione dall’editore/concessionaria e neppure
dal cliente perché utilizza altre forme di remunerazione.
Figura 3 A
108
Figura 3 B
Con la quarta domanda (figura 4) si cerca di capire se l’editore/concessionaria
riconosce comunque all’utente in fattura il cosiddetto “sconto di agenzia” anche
quando l’agenzia non percepisce nessuna “commissione”. Il 75% ha fornito una
risposta positiva; il 21% ha risposto negativamente mentre il 4% non si esprime al
riguardo (solo un intervistato non risponde). Anche se esistono diverse forme di
remunerazione, le concessionarie continuano comunque a riconoscere all’utente, in
fattura, lo sconto d’agenzia.
Figura 4
109
La quinta domanda (figura 5), chiedeva se le agenzie hanno utilizzato negli ultimi 3
anni i centri media, in alternativa alle concessionarie, per l’acquisto degli spazi
pubblicitari. Il 36% ha risposto sì ed il 64% ha risposto no. Sorprende verificare il
fatto che queste piccole agenzie dichiarano (36%) di acquistare gli spazi per i loro
utenti direttamente dalle concessionarie. Si comportano come i centri media e si
presume ne traggano un utile maggiore rispetto al normale 15% rappresentato dalla
commissione.
Figura 5
Alla sesta domanda (figura 6), il fronte delle agenzie si è diviso praticamente in due
metà quasi uguali. Notiamo che, mediamente, il 50% degli intervistati considera il
rapporto con l’editore/concessionaria negativo; il 46% lo considera positivo e il 4%
(un solo intervistato) preferisce non rispondere.
La metà delle agenzie intervistate è insoddisfatta del rapporto contrattuale con i
media. Evidentemente i rapporti poco trasparenti sui prezzi, accentuati dalla crisi e
competitività del momento, non aiutano a creare un rapporto costruttivo e fiduciario
per entrambi.
110
Figura 6
L’ultima domanda chiedeva agli intervistati di esprimere una valutazione sulla
commissione/diritto d’agenzia quale sistema di remunerazione tutt’oggi valido e
trasparente. Il 60,71% si esprime a favore della “commissione” poiché la considera
una forma di retribuzione trasparente; il 35,71% valuta la “commissione in modo
negativo e il 3,57% non esprime alcun giudizio.
È rassicurante constatate che il 60,71% delle agenzie intervistate ritenga la
commissione/diritto d’agenzia un sistema di remunerazione valido e trasparente
nonostante i continui cambiamenti economici del mercato pubblicitario.
Figura 7
111
Questi risultati sono sufficientemente significativi per inquadrare il rapporto
economico tra le piccole agenzie e i media, tenendo conto che probabilmente i
clienti-utenti delle agenzie intervistate sono altrettante piccole-medie imprese che
operano sul mercato.
I risultati dimostrano che la commissione d’agenzia è tutt’oggi utilizzata nelle
transazioni con i media, i quali continuano a riconoscere all’agenzia il loro ruolo di
“consigliere” importante sia per il cliente-utente sia per i mezzi stessi.
III.4 La commissione di agenzia in ambito europeo
Confrontarsi a livello europeo aiuta gli operatori del settore ad agire con più efficacia
localmente, a capire quali possono essere le linee guida per inquadrare il proprio
mercato di riferimento e ad operare con una prospettiva vincente anche sul lungo
termine. Non stupisce che sul tema della remunerazione, anche in altri Paesi europei,
il materiale giurisprudenziale scarseggi. Questa costatazione preliminare scaturisce
da un motivo ben preciso: la remunerazione è pattuita dalle parti (utente – agenzia mezzi), le quali inseriscono nel contratto la clausola (si pensi ai modelli contrattuali
UPA e AssoComunicazione) riguardante la remunerazione stessa. Le parti hanno la
massima autonomia sia nel determinare il modo in cui l’agenzia verrà compensata
per i servizi offerti, sia nello stabilire quali siano le prestazioni che la remunerazione
copre. Così anche in altri Paesi europei, come in Italia, non vi sono norme che
regolino il complesso tema della “commissione di agenzia”.
Un’eccezione è fornita dalla Francia, dove si è cercato di risolvere il “problema” del
potere contrattuale dei centri media che è stato superato con l’approvazione della
112
legge Sapin n. 122/93 del 29 gennaio 1993130. Un provvedimento questo a tutela
della trasparenza del mercato e volto alla risoluzione di casi di conflitto di interesse.
Gli articoli relativi alla pubblicità, in particolare quelli dall’art. 20 all’art. 29, sono
presenti nel “chapitre II: prestations de publicité” (capitolo II: prestazioni della
pubblicità), e stabiliscono una serie di vincoli per gli operatori del mercato
pubblicitario, che limitano il potere dei centri media ristabilendo un rapporto diretto
tra inserzionista (utente) e mezzo pubblicitario (editore/concessionaria).
I centri media, in Francia, acquistano spazi pubblicitari sulla base di un contratto
obbligatorio di incarico e possono essere remunerati solo ed esclusivamente
dall’inserzionista
poiché
è
vietata
ogni
remunerazione
da
parte
dell’editore/concessionaria. Il “contratto di incarico”, inoltre, deve contenere tutte le
prestazioni rese e il loro singolo costo; la fattura deve essere inviata direttamente
dall’editore/concessionaria all’inserzionista e deve indicare tutti gli sconti e i
vantaggi tariffari accordati dal venditore.
La legge Sapin non contiene disposizioni particolari per le modalità di pagamento,
salvo il caso in cui gli acquisti di spazi non siano corrisposti direttamente
dall’inserzionista all’editore/concessionaria. È concesso all’inserzionista di far
procedere il pagamento attraverso il centro media solo se tale condizione è prevista
nel “contratto di incarico” mantenendo però la formula di fatturazione diretta
dall’editore/concessionaria all’inserzionista.
La presente legge più che stabilire le disposizioni generali per la trasparenza delle
attività economiche pone limiti molto precisi sugli stessi rapporti economici tra
utente e centri media lasciando fuori dal “giro” di transazione economica le agenzie
di pubblicità. Tale situazione porta così, anche se non è chiaramente riportato in
alcun articolo della legge n. 122/93, a dimenticare la formula remunerativa della
“commissione di agenzia” poiché sono previsti rapporti patrimoniali esclusivamente
tra inserzionista-utente e editore/concessionaria. Una legge realizzata per porre dei
limiti al forte potere contrattuale dei centri media che tuttavia penalizza anche le
agenzie di pubblicità alle quali è preclusa la possibilità di avere un rapporto
patrimoniale con l’inserzionista-utente.
130
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=LEGITEXT000006080988&dateTexte=20
100610 Una parte della legge n. 122/93 è presente nell’appendice del presente lavoro.
113
In Germania il settore pubblicitario prevede, come in Italia, dei modelli
contrattuali131 in cui è esplicitamente riportata la remunerazione relativa alla
diffusione
della
pubblicità
che
l’editore/concessionaria
paga
all’agenzia.
Generalmente la commissione è del 15 per cento ma altre percentuali possono essere
applicate all’importo riguardante la diffusione della pubblicità. La dottrina tedesca132
riconduce la “commissione di agenzia” a un uso commerciale che consente quindi
all’agenzia di trattenere la “commissione” dai mezzi. Le ragioni che inducono al
riconoscimento da parte del mezzo della “commissione” e di uno sconto quantità
sono diverse: nel primo caso si tratta di un “premio” per gli introiti finanziari
derivanti dalla pubblicità e garantiti al mezzo proprio dall’attività dell’agenzia
nell’esecuzione della campagna, nel secondo caso si tratta di una pratica utilizzata
nel settore commerciale.
Le agenzie italiane non hanno difficoltà nel vedersi riconosciuta la “commissione”
dai mezzi di comunicazione nel resto d’Europa. Anche in Spagna è prevista la
remunerazione dell’agenzia attraverso i mezzi. Tale remunerazione può variare in
base al mezzo stesso soprattutto per quanto riguarda la stampa specializzata dove
taluni editori, riconoscono solo il 10 per cento della “commissione”. In questi casi
interviene l’utente a compensare la differenza.
Anche le associazioni, compresa quella Europea (European Association of
Communication Agencies), prevedono, nei loro modelli contrattuali quasi le stesse
forme di remunerazione previste dalle associazioni di categoria italiane:
commissione di agenzia sul totale degli investimenti; corrispettivo fisso; costi orari;
sistema misto. Alcune associazioni, soprattutto americane, hanno già inserito nei loro
modelli contrattuali il PBR (Payment By Results)133, un compenso calcolato in base
ai risultati raggiunti dalla campagna pubblicitaria commissionata dalle agenzie.
Già da queste analisi si può costatare come le agenzie italiane che si occupano
prevalentemente dell’advertising classico debbano competere maggiormente rispetto
alle altre agenzie europee per conquistarsi l’incremento degli investitori abituali.
131
Aldo Frignani, Anna Dessi, Massimo Introvigne, Sponsorizzazione Marchandising Pubblicità,
UTET, Torino, 1993, pag. 427. Nell’appendice del libro citato sono riportati i modelli relativi ai
contratti di agenzia pubblicitaria proposti sia dalla Germania sia dalla Francia.
132
Marina Arietti, Il contratto di agenzia pubblicitaria negli Stati Uniti e in Germania in
Giurisprudenza italiana, Utet, quarta dispensa, aprile 1995
133
Gianfraco Strangis, slide commissione d’agenzia per riaffermare usi e consuetudini adottati in
tutto il mondo, anche nell’interesse degli utenti della pubblicità, intervento all’Unione Industriale di
Torino, 2007
114
Una considerazione merita altresì la pratica della “commissione di agenzia” negli
Stati Uniti, dove si sono generati gli schemi contrattuali tipici del settore
pubblicitario. Negli Stati Uniti solo le agenzie pubblicitarie riconosciute (ad agenzie
recognized) dal mezzo hanno titolo per ricevere la “commissione”. La procedura di
riconoscimento (recognition) è diversa a seconda che il mezzo sia un’emittente
radiotelevisiva oppure un giornale o una rivista. Nel primo caso il riconoscimento è
diretto poiché il mezzo valuta la solidità economica e professionale dell’agenzia di
pubblicità in questione. Nel secondo caso, invece, la procedura può essere definita
indiretta. La stampa quotidiana e periodica riconoscono quelle agenzie che, a loro
volta, hanno già ottenuto l’approvazione da parte di organi specializzati di
determinate associazioni di categoria alle quali il mezzo aderisce.
Nello schema contrattuale che le maggiori associazioni di categoria americane
propongono ai propri associati, emerge lo stretto legame che esiste tra questo schema
e quello utilizzato nella prassi commerciale italiana. Il modello contrattuale
americano134 prevede la “commissione di agenzia” quale forma di remunerazione
spettante all’agenzia e remunerata dall’utente.
È importante costatare come in altri Paesi europei la “commissione di agenzia” sia
prevista nei modelli contrattuali che le associazioni di categoria predispongono per i
propri associati. Tuttavia lo scarso interesse della dottrina per la materia trattata, la
mancanza di una regolamentazione legislativa specifica e la necessità di ricorrere alla
pratica contrattuale del settore pubblicitario per ottenere informazioni sufficienti
sulla “commissione” ha portato ad appurare che la giurisprudenza ha trattato
nell’insieme (contratti della pubblicità, nozione giuridica di “pubblicità”,
riconoscimento e tutela dei diritti degli “attori” pubblicitari) il settore pubblicitario
con una limitata attenzione.
134
Paolo Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale in Pubblicità e
promozione (XVIII), UTET, Torino, 2003, pag. 116. Nel modello contrattuale la clausola di
pagamento della “commissione” è la seguente ”You agree to pay at current published rates (or at
lower rates when available) for advertising run in all media, except that in the case of media allowing
no commission (or less than ....% commission) you agree to pay us at current published rates (or at
lower rates when available) plus an amount that (together with the commission, if any, allowed by
media) will yield us (one of following may suit your needs)”
115
Bibliografia capitolo III
• Marina Arietti, Il contratto di agenzia pubblicitaria negli Stati Uniti e in
Germania in Giurisprudenza italiana, Utet, quarta dispensa, aprile 1995
•
Marina Calamo Specchia, La délégation de service public: aspetti
problematici di una nozione in divenire in Diritto pubblico comparato ed
europeo, Giappichelli edit., Torino, 2003
• Paolo Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale
in Pubblicità e promozione (XVIII), UTET, Torino, 2003
• Adolfo Di Majo (a cura di), Codice Civile, Giuffrè edit., Milano, 2002
• Vincenzo Farina, I contratti di pubblicità: natura e disciplina del rapporto
utente-mezzo e agente-mezzo in Rassegna di diritto civile, 4/92, commenti
alla giurisprudenza, fascicolo 4, 1992
• Aldo
Frignani,
Anna
Dessi,
Massimo
Introvigne,
Sponsorizzazione
Marchandising Pubblicità, UTET, Torino, 1993
• Maurizio Fusi, La pubblicità: strumenti e pratiche contrattuali, Ipsoa, 2003
• Francesco Galgano, Il contratto, CEDAM, Padova, 2007
• Fiammetta Malagoli, Maurizio Sala, Federico Unnia, Negoziare la
comunicazione. Rispose ai principali questi nei rapporti di pubblicità, sales
promotions, sponsorizzazioni, PR e internet communication, Franco Angeli,
Milano, 2001
• ACPI e TP, guida remunerazioni e tariffe, giuda registrata presso Agenzia
delle Entrate di Monza 2009/2010
• Contratto –tipo UPA, 2005
• Contratto –tipo AssoComunicazione, 2005
• ItaliaOggi, Media e pubblicità, Martedì 15 Giugno 2004
Sitografia capitolo III
• http://www.governoitaliano.it
• http://www.assocomunicazione.it
• http://www.agcm.it
116
• http://www.alboaici.it
• http://www.legifrance.gouv.fr
• http://www.repubblica.it
117
Conclusioni
Lo studio condotto nel presente lavoro è incentrato, da un punto di vista giuridico,
sulla comunicazione pubblicitaria e sul ruolo dell’agenzia facendo notare la carenza
normativa della materia trattata, non solo, da un punto di vista giurisprudenziale, ma
altresì da parte della dottrina. Il fenomeno pubblicitario è cresciuto enormemente
negli ultimi anni e continuerà a crescere, tuttavia poche sono le norme che regolano il
settore per non menzionare poi la scarsa conoscenza concernente i “contratti della
pubblicità”. Tuttavia, le associazioni degli utenti (UPA) e dei professionisti della
comunicazione (AssoComunicazione, TP), hanno ovviato a tale situazione di vuoto
normativo realizzando dei modelli contrattuali ai quali i professionisti della
pubblicità possono far riferimento.
Una ricerca questa che ha portato alla luce l’inadeguata importanza che il settore
pubblicitario assume nell’ambito giuridico. È pur vero che, se da un lato vi sono
norme che tutelano la categoria del consumatore, dei minori e dei concorrenti,
dall’altro vige un vuoto normativo riguardante il ruolo peculiare di ogni singolo
“attore” della pubblicità. Capita sempre di più che l’attività dell’agenzia di pubblicità
sia “amalgamata” con quella dei centri media e viceversa.
Il ruolo che l’agenzia continua a svolgere è, quindi, quello di artefice del messaggio
pubblicitario e di responsabile dell’efficacia della campagna, e non certo di
intermediario di affari tra l’utente e i mezzi di comunicazione di massa. Questa è una
considerazione che non va sottovalutata poiché restituisce la giusta dignità alle
attività che l’agenzia offre ai propri clienti e di conseguenza ai mezzi di
comunicazione di massa. Questi ultimi traggono vantaggi economici notevoli per la
diffusione di ogni singola campagna pubblicitaria.
L’agenzia svolge nei confronti dei mezzi un’attività di “selezionatore” poiché sceglie
un mezzo piuttosto che un altro in base alle caratteristiche più adeguate alla
divulgazione del messaggio. Tale attività è sempre stata riconosciuta dai mezzi e
dagli stessi remunerata attraverso la “commissione di agenzia”, in modo adeguato.
Non bisogna dimenticare questa regola fondamentale che caratterizza i rapporti
economici tra gli “attori” pubblicitari.
Le controversie che nascono fra utente, agenzia e mezzi riguardano soprattutto
l’ambito della remunerazione e in particolare la “commissione di agenzia” una forma
118
di compenso che i mezzi riconoscono all’agenzia. Anche in materia di
remunerazione non vi sono norme che tutelino le parti contraenti e accade che le
controversie siano risolte tra le parti oppure ci si affida agli usi delle Camere di
Commercio. La prassi commerciale del settore ha dato vita alla “commissione”
generando così un uso contrattuale esistente che i mezzi non hanno mai rifiutato di
pagare. I mutamenti contrattuali e del mercato di riferimento hanno indotto a una
situazione problematica: i mezzi non intendono pagare la commissione alle agenzie
perché sostengono che tale compenso debba essere remunerato solo ed
esclusivamente dall’utente. Una situazione che ha procurato insicurezze e incertezze
fra i professionisti pubblicitari poiché i loro diritti non sono mai stati tutelati
attraverso regolamenti giuridici. Pochi, infatti, sono stati i tribunali italiani che si
sono occupati della problematica riguardante la “commissione di agenzia” e che
hanno evidenziato la sua caratteristica di uso contrattuale esistente piuttosto che di
semplice prassi negoziale. Tale conclusione non ha comportato grandi cambiamenti,
infatti, molte piccole e medie agenzie lamentano la scarsa tutela e l’enorme difficoltà
nel vedersi riconosciuta la commissione dai mezzi.
Perché vi sono così tante complicazioni nel riconoscere ed erogare all’agenzia un
reale diritto? Le difficoltà nascono soprattutto perché molti professionisti
pubblicitari, maggiormente di giovane età che si accingono a svolgere tale attività,
non sono al corrente di tutti quei diritti che si sono affermati con la prassi
contrattuale. Inoltre le agenzie sono dislocate geograficamente sul territorio
nazionale e non riescono a trovare un punto di accordo per rivendicare un diritto che
gli spetta. Perché molti operatori pubblicitari piuttosto che ritenere “spinosa” la
questione della “commissione di agenzia” non si impegnano con le associazioni del
settore (UNICOM e AlboAICI) che da decenni sono propositive e si “battono” per
ristabilire l’originario rapporto tra utente – agenzia – mezzi? Perché sono pochi
coloro che intendono rivendicare la “commissione di agenzia”, inoltre, fra questi
pochi vi è una scarsa conoscenza del riconoscimento giurisprudenziale che è stato
dato al “diritto di agenzia”.
È pur vero che gli usi contrattuali di un determinato settore mutano con l’evolversi
del mercato in cui si opera e che un’adeguata norma di riferimento porterebbe gli
“attori” pubblicitari, soprattutto le agenzie, a svolgere la propria attività con
maggiore professionalità nei confronti sia dell’utente che del mezzo ma in mancanza
di disposizioni legislative occorre fare appello agli usi e consuetudini del settore.
119
È necessario considerare che l’agenzia è il vero e unico detentore del
“diritto/commissione di agenzia” e come tale è l’unica legittimata a ricevere tale
compenso.
Ci sarà, in un prossimo futuro, un riconoscimento normativo della “commissione”?
L’azione compete solo alle agenzie le uniche in grado di poter rivendicare un proprio
diritto. La speranza è di far crescere le piccole e medie agenzie poiché giocano un
ruolo importante per tutti gli utenti che, pur avendo un’impresa di piccole
dimensioni, hanno bisogno di pubblicizzare i propri prodotti e servizi. Nella fase di
sviluppo i piccoli utenti sono sostenuti e consigliati dalle agenzie le quali apportano
un notevole contributo per la visibilità e la crescita imprenditoriale degli utenti stessi.
Accanto alle agenzie dovrebbero “lottare” anche gli utenti che beneficiano dei servizi
e delle attività che l’agenzia svolge per il loro interesse.
Non stupisce che sul tema della remunerazione, anche in altri Paesi europei, il
materiale giurisprudenziale scarseggi. Questa costatazione scaturisce da un motivo
ben preciso: la remunerazione è pattuita dalle parti (utente – agenzia -mezzi), le quali
inseriscono nel contratto la clausola (si pensi ai modelli contrattuali UPA e
AssoComunicazione) riguardante la remunerazione stessa. Le parti hanno la massima
autonomia sia nel determinare il modo in cui l’agenzia verrà compensata per i servizi
offerti, sia nello stabilire quali siano le prestazioni che la remunerazione copre. Così
anche in altri Paesi europei, come in Italia, non vi sono norme che regolino il
complesso tema della “commissione di agenzia”, con la sola eccezione dell’unico
precedente legislativo di rilievo sul tema rappresentato dalla legge Sapin (Loi n° 122
del 29 gennaio 1993) in Francia, relativa alla prevenzione della corruzione e alla
trasparenza della vita economica e delle procedure pubbliche. La presente legge più
che stabilire le disposizioni generali per la trasparenza delle attività economiche pone
limiti molto precisi sugli stessi rapporti economici tra utente e centri media lasciando
fuori dal “giro” di transazione economica le agenzie di pubblicità penalizzandole al
tempo stesso.
Altresì in Italia ci sono state delle proposte di legge, rispettivamente del deputato
Lusetti (2006) e del deputato Levi (del 2008), che sono state concepite tenendo conto
della legislazione francese e si sono focalizzate sull’esigenza di trasparenza del
mercato pubblicitario, ricordando come i centri media siano nelle mani di poche
multinazionali straniere del settore, che controllano di fatto il mercato pubblicitario
nazionale.
120
È errato riferirsi alla legge Sapin che è stata concepita in un mercato che aveva
dinamiche totalmente diverse da quello italiano. Il settore pubblicitario ha
indubbiamente bisogno di regole pertinenti che siano in grado di riconoscere il ruolo
specifico di ogni singolo “attore” ciò nonostante non ci si deve basare su norme che
regolino l’attività di intermediazione in modo generale poiché ogni singolo attore
svolge una determinata attività. Per una maggiore trasparenza del mercato e per non
danneggiare nessun operatore pubblicitario sarebbe sufficiente porre dei limiti
antitrust ai centri media per evitare la concentrazione degli spazi pubblicitari;
un’iscrizione al ROC (Registro Operatori di Comunicazione) di tutti gli “attori” della
comunicazione dove sia specificata la loro peculiare attività (per evitare
comportamenti etici e concorrenziali scorretti). Gli editori e le loro concessionarie
dovrebbero pubblicazione i listini con i relativi sconti da praticare agli utenti per
apportare maggiore trasparenza al mercato. La “commissione” deve essere
riconosciuta unicamente all’agenzia dai mezzi e non quale “sconto di agenzia” da
fatturare all’utente. Queste condizioni porterebbero meno controversie tra gli
operatori del settore e una chiara e precisa situazione di lavoro per ognuno degli
“attori”.
121
Appendice
Provvedimento n. 4002 ( I182 )
ACCORDO CONCESSIONARIE PUBBLICITA'
L'AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO
NELLA SUA ADUNANZA del 19 giugno 1996;
SENTITO il Relatore Professor Luciano Cafagna;
VISTA la legge 10 ottobre 1990, n. 287;
VISTO l’atto, pervenuto il 29 novembre 1995, con il quale l’Associazione
Concessionarie
di
Pubblicità,
l’associazione
Utenti
Pubblicità
Associati,
l’Associazione Italiane Agenzie Pubblicità a servizio completo, l’Associazione
Italiana Imprese di Comunicazione, l’Associazione Imprese di Pubblicità e
comunicazione, l’Associazione Agenzie di Relazioni Pubbliche a Servizio Completo,
l’Associazione Italiana Agenzie di Promozione e l’ASSODIRECT comunicavano, ai
sensi dell'articolo 13 della legge n. 287/90, la conclusione di un accordo sulle
procedure relative al c.d. sconto di agenzia;
VISTE le lettere, inviate il 31 gennaio 1996, con le quali si rendeva noto che le
informazioni trasmesse risultavano non idonee a consentire di valutare il contenuto
dell’accordo e si richiedeva un’integrazione della comunicazione;
VISTI gli atti inviati dalle medesime associazioni e pervenuti nelle date 16 febbraio,
19 febbraio, 20 febbraio, 18 marzo, 15 aprile e 16 aprile 1996, ad integrazione della
precedente documentazione;
VISTO l’atto, pervenuto il 24 maggio 1996, con il quale le associazioni citate
comunicavano modificazioni dell'accordo;
RITENUTA la propria competenza;
CONSIDERATO quanto segue:
I. Le parti
122
1. L’Associazione Concessionarie di Pubblicità (di seguito ACP) riunisce le
principali concessionarie di pubblicità, operatori specializzati nell’offerta di spazi
pubblicitari in rappresentanza di una o più imprese editoriali. Le concessionarie
associate all’ACP nel 1994 hanno complessivamente realizzato un fatturato di 7.350
miliardi di lire, pari al 78,2% dell’intero mercato.
2. Utenti Pubblicità Associati (di seguito UPA) è l’associazione che riunisce le più
importanti aziende industriali, commerciali e di servizi che si avvalgono della
pubblicità. I 500 gruppi aderenti, per un totale di 900 imprese, realizzano il 90%
degli investimenti pubblicitari effettuati in Italia.
3. L’Associazione Italiane Agenzie Pubblicità a servizio completo (di seguito
ASSAP) riunisce 55 imprese che forniscono servizi di consulenza per la
progettazione e amministrazione di campagne pubblicitarie a carattere nazionale per
conto terzi. Le agenzie aderenti all'ASSAP detengono complessivamente una quota
di mercato di circa il 60%.
4. L’Associazione Italiana Imprese di Comunicazione (di seguito AIPAS) riunisce 96
imprese che offrono servizi di consulenza nelle attività di comunicazione delle
imprese industriali, commerciali e di servizi. Le imprese aderenti all'AIPAS
detengono complessivamente una quota di mercato pari a circa il 7%.
5. L’Associazione Imprese di Pubblicità e comunicazione - OTEP (di seguito OTEP)
riunisce 147 imprese che forniscono servizi di consulenza per la progettazione e
amministrazione di campagne pubblicitarie, nonché qualsiasi iniziativa di carattere
pubblicitario, promozionale e di pubbliche relazioni. Le imprese aderenti all’OTEP
detengono complessivamente una quota di mercato pari a circa il 20%.
6. L’Associazione Agenzie di Relazioni Pubbliche a Servizio Completo (di seguito
(ASSOREL) riunisce 22 imprese che forniscono tutta la gamma di servizi di
relazioni pubbliche. Le imprese aderenti all’ASSOREL nel 1995 hanno realizzato
complessivamente un fatturato di circa 60 miliardi di lire, pari al 2,7% degli
investimenti in relazioni pubbliche e allo 0,3% del totale degli investimenti
pubblicitari.
7. L’Associazione Italiana Agenzie di Promozione (di seguito ASP) riunisce imprese
che offrono attività di consulenza per la progettazione e l’amministrazione di
campagne di promozione.
L’ASSODIRECT è un’associazione che riunisce 21 imprese che offrono
prevalentemente attività di direct marketing, termine col quale si indicano tutte le
123
attività di comunicazione d'impresa di tipo diretto, vale a dire rivolte a specifici
soggetti individuati in liste e destinatari individualmente dei messaggi pubblicitari e
promozionali. Nel 1995 le imprese aderenti ad ASSODIRECT hanno realizzato
campagne di direct marketing per un valore di investimenti di circa 7.200 miliardi di
lire, pari a circa il 90% del totale.
II. I fatti
a) Il contratto di pubblicità e la prassi prima dell’accordo
9. Lo svolgimento di attività promozionali e pubblicitarie coinvolge tre categorie di
soggetti: gli utenti, vale a dire le imprese che intendono pubblicizzare i propri
prodotti; le agenzie, cui spetta la creazione e la programmazione della campagna
pubblicitaria; i mezzi, cioè le imprese proprietarie dei media sui quali appaiono le
inserzioni pubblicitarie, che agiscono per il tramite di concessionarie di pubblicità.
Precedentemente all’accordo l’utente affidava all’agenzia un incarico pubblicitario
che poteva essere “con o senza rappresentanza”. Nel primo caso, l’agenzia agiva nei
rapporti con il mezzo in nome e per conto dell’utente e gli effetti giuridici del
contratto concluso tra agenzia e mezzo ricadevano direttamente sull'utente come
previsto dall'articolo 1704 c.c.. Nel secondo caso, l’agenzia agiva in nome proprio e,
ai sensi dell'articolo 1705 c.c., gli effetti giuridici del contratto stipulato con il mezzo
ricadevano sull’agenzia che procedeva successivamente al trasferimento degli stessi
in capo all'utente.
10. I rapporti economici seguivano il seguente schema di pagamenti. L’utente pagava
all’agenzia un “compenso d'agenzia” per i servizi di creazione e programmazione
della campagna pubblicitaria, e al mezzo il prezzo di listino al netto degli sconti
commerciali dello spazio acquistato. Nel caso di mandato con rappresentanza, il
mezzo corrispondeva all'agenzia una “commissione d'agenzia” che, come la
denominazione fa intuire, remunerava l'attività di intermediazione svolta
dall'agenzia. Tale commissione era generalmente pari al 15% del costo dello spazio
pubblicitario. L’agenzia, infine, ristornava in tutto o in parte la “commissione
d'agenzia” in favore del proprio cliente secondo gli accordi conclusi. Nel caso di
mandato senza rappresentanza, l’agenzia acquistava gli spazi dal mezzo per poi
rivenderli all’utente e i pagamenti riflettevano questo doppio scambio. Il mezzo,
inoltre, corrispondeva all'agenzia la commissione d’agenzia.
124
11. Nel caso di mandato con rappresentanza, i pagamenti effettuati dall'utente nei
confronti dell’agenzia (compenso d’agenzia) e del mezzo (costo dello spazio) e dal
mezzo nei confronti dell’agenzia (commissione d’agenzia) costituivano corrispettivi
di una prestazione resa e dunque erano assoggettati ad IVA. Il ristorno della
commissione d’agenzia effettuato dall’agenzia a favore dell’utente era, al contrario,
al di fuori dell'ambito di applicazione dell’IVA. Nel caso di mandato senza
rappresentanza, sia il costo per l’acquisto dello spazio da parte dell’agenzia, che la
commissione d’agenzia erano soggetti ad IVA. L’utente acquistava successivamente
lo spazio dall’agenzia ad un prezzo scontato ulteriormente in misura tale da
consentire un ristorno parziale o totale della commissione d’agenzia a suo favore. La
base imponibile per il calcolo dell’IVA in questa transazione era dunque inferiore a
quella utilizzata per il pagamento dell’IVA sull’acquisto dello spazio da parte
dell’agenzia. Quest’ultima dunque poteva recuperare l’IVA pagata solo in parte.
Naturalmente il soggetto su cui ricadeva effettivamente l’onere economico del
pagamento dell’imposta dipendeva dai rapporti commerciali tra gli operatori.
b) L’accordo
12. L’accordo comunicato prevede che dal 1° gennaio 1995 il mezzo non corrisponda
più la “commissione” all’agenzia, ma che, nel caso di mandato con rappresentanza,
riconosca uno sconto sul prezzo degli spazi pubblicitari, denominato “sconto
d’agenzia”, direttamente a favore dell'utente (oltre ai normali sconti commerciali) in
misura pari alla commissione di agenzia. Nel caso in cui l’utente affidi all’agenzia un
mandato senza rappresentanza, il mezzo pratica lo stesso sconto all’agenzia che potrà
poi stornarlo all’utente.
13. Le conseguenze dell'accordo dunque sono:
1) una riduzione dei costi sostenuti dall’utente, dovuta al decremento dell’ammontare
IVA pagato sul valore degli spazi pubblicitari acquistati;
2) un aumento dei ricavi del mezzo, dovuto al venir meno del pagamento IVA sulla
commissione d’agenzia;
3) una riduzione del gettito IVA di pari misura alle variazioni descritte nei punti 1) e
2).
14. Nel caso in cui l’utente abbia conferito all’agenzia un mandato senza
rappresentanza, si determina la stessa conseguenza in termini fiscali, poiché l’IVA
verrà calcolata utilizzando come imponibile il costo dello spazio acquistato al netto
125
anche dello “sconto d'agenzia”. Le modalità di pagamento risultano invece invariate
rispetto a quelle vigenti prima dell’accordo.
15. L’intesa non pregiudica la possibilità di rapporti contrattuali diversi ove i singoli
operatori lo ritengano opportuno. Infatti, nel Memorandum “Commento alle
procedure relative allo sconto di agenzia”, che costituisce parte essenziale
dell’accordo, come comunicato in data 24 maggio 1996, le parti hanno stabilito che i
servizi resi dall’agenzia sono completamente remunerati dall’utente, salvo nei casi in
cui:
a) l’agenzia e il mezzo abbiano espressamente pattuito un incarico all’agenzia per la
fornitura di prestazioni di servizio al mezzo;
b) comunque tali prestazioni e/o tali pattuizioni siano concretamente ravvisabili nei
fatti e/o nei comportamenti delle parti;
c) si sia perfezionato tra l’agenzia e il mezzo un rapporto di intermediazione.
16. Nella sua formulazione originaria l'accordo prevedeva che lo “sconto d'agenzia”
fosse praticato solo a favore dei clienti che si avvalessero di agenzie di pubblicità
riconosciute, vale a dire quelle aderenti alle associazioni firmatarie. In data 24
maggio 1996, tuttavia, le parti hanno comunicato una modifica dell'accordo. Questo
è stato riformulato in modo da riconoscere lo stesso sconto a tutti gli utenti che
ricorrano ai servizi di una qualunque “impresa professionale idonea (agenzie di
pubblicità o impresa di comunicazione) e che si vincoli al rispetto delle norme del
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria”.
III. Qualificazione giuridica dell’accordo
17. L’accordo concluso dalle parti costituisce un’intesa ai sensi dell'articolo 2 della
legge n. 287/90. Come già affermato dall’Autorità, tale disposizione fa riferimento,
tra l’altro, alle deliberazioni di associazioni di imprese e non richiede, quale ulteriore
elemento di qualificazione della fattispecie, che i soggetti considerati svolgano
direttamente attività economica (provvedimento del 2 luglio 1993, proc. I/43, ANIA;
provvedimento del 14 dicembre 1994, proc. I/101, Tariffe amministratori condomini;
provvedimento del 21 marzo 1996, proc. I/150, Autoscuole). Tale impostazione
consente di qualificare come intesa l’accordo siglato dalle parti in rappresentanza
delle imprese associate, anche se le singole associazioni non svolgono
direttamente un’attività economica.
126
IV. Il mercato rilevante
18. L'intesa comunicata interessa le attività poste in essere per la realizzazione di
campagne pubblicitarie e/o promozionali. I mercati rilevanti dal punto di vista del
prodotto possono dunque essere individuati nei servizi resi dalle agenzie di pubblicità
per la creazione, programmazione ed amministrazione di azioni di pubblicità e
promozione e negli spazi presenti sui mezzi di informazione e destinati ad ospitare
inserzioni pubblicitarie. Ai fini della valutazione dell’intesa comunicata non appare
necessario procedere ad una delimitazione più dettagliata dei mercati rilevanti.
19. L’ampiezza geografica dei mercati interessati dall’accordo è nazionale poiché,
per motivi linguistici, le campagne pubblicitarie vengono organizzate su base
nazionale.
V. Valutazioni
a) Oggetto dell’intesa
20. L’intesa comunicata ha come oggetto la modificazione dei rapporti economici tra
utenti pubblicitari, agenzie di pubblicità e le concessionarie di pubblicità, in modo da
sostituire ad una relazione trilatere, in cui le agenzie assumevano un ruolo, almeno
formale, di intermediazione, due rapporti bilaterali, che, nel caso di mandato con
rappresentanza, si svolgono tra utenti ed agenzie, da un lato, e utenti e
concessionarie, dall’altro, e che nel caso di mandato senza rappresentanza riguarda
utenti e agenzie, da un lato, e agenzie e concessionarie, dall'altro. Per la realizzazione
di tale obiettivo viene eliminato il rapporto commerciale tra mezzo e agenzia, qualora
questa abbia un mandato con rappresentanza, e conseguentemente viene meno il
pagamento della “commissione d'agenzia”. Poiché in precedenza le agenzie
stornavano all’utente, in tutto o in parte, la commissione ricevuta dal mezzo, le
concessionarie di pubblicità hanno riconosciuto agli utenti uno sconto, denominato
“sconto d’agenzia”, sull’acquisto degli spazi qualora realizzino la propria campagna
attraverso un’agenzia. Nel caso in cui l’agenzia agisca per conto proprio, il mezzo le
riconosce uno sconto ulteriore che l’agenzia potrà poi applicare al proprio cliente.
b) Effetti dell'intesa
21. L’intesa comunicata non appare idonea a produrre effetti rilevanti sul piano
concorrenziale. Essa non produce variazioni dei prezzi dei servizi e dei prodotti
scambiati tra gli operatori, ma piuttosto la sottrazione di una transazione
dall’imposizione dell’IVA, a beneficio prevalentemente degli utenti e dei mezzi.
127
22. Il testo dell’accordo comunicato inizialmente, prevedendo che lo “sconto di
agenzia” fosse praticato nei confronti degli utenti che si fossero serviti delle agenzie
aderenti alle associazioni firmatarie, suscitava perplessità sulla possibilità che si
producessero distorsioni della concorrenza a favore delle agenzie così individuate sui
mercati in cui queste operano. Tuttavia, poiché le parti hanno acconsentito a
modificare il testo dell’intesa in modo da riconoscere lo “sconto d'agenzia” a tutti gli
utenti che si servano di una qualunque “impresa professionale idonea (agenzie di
pubblicità o impresa di comunicazione) e che si vincoli al rispetto delle norme del
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria” e non solo delle agenzie aderenti alle
associazioni firmatarie dell’accordo, questo non appare produrre comportamenti
discriminatori da parte dei mezzi nei confronti delle agenzie di pubblicità tali da
distorcere o falsare il gioco concorrenziale tra queste e gli altri
operatori del settore.
23. L’intesa comunicata riguarda le modalità di esecuzione delle transazioni
connesse alla prestazione
dei servizi resi, le parti rimanendo libere di determinare l’ammontare dei corrispettivi
volti a remunerare tali prestazioni. Infine, l’intesa non impedisce la formazione di
rapporti commerciali e la conclusione di contratti diversi da quelli previsti
dall'accordo.
RITENUTO che l’intesa comunicata non ha per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del
mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della
legge n. 287/90;
DELIBERA
di non avviare l’istruttoria di cui all'articolo 14 della legge n. 287/90.
Il presente provvedimento verrà comunicato ai soggetti interessati e pubblicato nel
Bollettino di cui all'articolo 26 della legge n. 287/90.
IL SEGRETARIO GENERALE IL PRESIDENTE
Alberto Pera Giuliano Amato
128
JORF n°25 du 30 janvier 1993 page 1588
LOI n° 93-122 du 29 janvier 1993 relative à la prévention de la corruption et à
la transparence de la vie économique et des procédures publiques (l)
NOR: PRMX9200148L
L’Assemblée nationale et le Sénat ont délibéré, L’Assemblée nationale a adopté, Vu
la décision du Conseil constitutionnel n° 92-316 DC en date du 20 janvier 1993; Le
Président de la République promulgue la loi dont la teneur suit :
Art. 1er.- Le service central de prévention de la corruption, placé auprès du ministre
de la justice, est chargé de centraliser les informations nécessaires à la détection et à
la prévention des faits de corruption active ou passive, de trafic d’influence commis
par des personnes exerçant une fonction publique ou par des particuliers, de
concussion, de prise illégale d’intérêts ou d’atteinte à la liberté et à l’égalité des
candidats dans les marchés public. Il prête son concours sur leur demande aux
autorités judiciaires saisies de faits de cette nature. Il donne sur leur demande aux
autorités administratives des avis sur les mesures susceptibles d’être prises pour
prévenir de tels faits. Ces avis ne sont communiqués qu’aux autorités qui les ont
demandés. Ces autorités ne peuvent les divulguer. Dirigé par un magistrat de l’ordre
judiciaire, il est composé de magistrats et d’agents publics. [Dispositions déclarées
non conformes à la Constitution par décision du Conseil constitutionnel n° 92-316
DC du 20 janvier 1993.] Les membres de ce service et les personnes qualifiées
auxquelles il fait appel sont soumis au secret professionnel.
Art. 2.- Dès que les informations centralisées par le service mettent en évidence des
faits susceptibles de constituer des infractions, il en saisit le procureur de la
République.
Art. 3.- Dès qu’une procédure judiciaire d’enquête ou d’information relative aux faits
mentionnés à l’article 1er est ouverte, le service est dessaisi.
Art. 4.- Le service communique à la demande des parquets et des juridictions
d’instruction saisis de faits mentionnés à l’article les informations qui leur sont
nécessaires. Ces éléments sont soumis à la discussion des parties et ne valent qu’à
titre de simple renseignement.
Art. 5.- [Dispositions déclarées non conformes à la Constitution par décision du
Conseil constitutionnel n° 92-316 DC du 20 janvier 1993]
Art. 6.- Les modalités d’application des articles 1er, à 5 sont fixées par décret en
Conseil d’Etat.
TITRE Ier: FINANCEMENT DES CAMPAGNES ÉLECTORALES ET DES
PARTIS POLITIQUES
Art. 7.- I.- Dans la troisième phrase du quatrième alinéa de l’article L. 52-5 du code
électoral, les mots :«soit à une autre association de financement électorale,» sont
supprimés.
140
II.- Dans la deuxième phrase du cinquième alinéa de l’article L. 52-6 du code
électoral, les mots :«soit à une association de financement électorale,» sont
supprimés.
Art. 8.- Il est inséré, dans la loi n° 90-55 du 15 janvier 1990 relative à la limitation
des dépenses électorales et à la clarification du financement des activités politiques,
un article 26 bis ainsi rédigé :«Art. 26 bis. - La commission nationale des comptes de
campagne et des financements politiques établit chaque année un rapport sur son
activité qui contient des éléments sur l’application des lois et règlements applicables
au financement de la vie politique. Ce rapport est adressé au Gouvernement et aux
bureaux des assemblées parlementaires et est rendu public.»
Art. 9.- I.- Le premier alinéa de l’article L. 52-8 du code électoral est complété par
une phrase ainsi rédigée :«La liste exhaustive des personnes morales, à l’exception
des partis ou groupements politiques, qui ont consenti des dons à un candidat est
jointe au compte de campagne du candidat prévu par l’article L. 52-12, avec
l’indication du montant de chacun de ces dons.
II.- Le dernier alinéa de l’article L. 52-12 du code électoral est complété par une
phrase ainsi rédigée :«Pour chaque candidat, la publication comporte la liste
exhaustive des personnes morales qui lui ont consenti des dons, avec l’indication du
montant de chacun de ces dons.»
Art. 10.- Le troisième alinéa de l’article L. 52-11 du code électoral est ainsi rédigé
:«Le plafond des dépenses pour l’élection des députés est de 250 000 F par candidat.
Il est majoré de 1 F par habitant de la circonscription.»
Art. 11.- Il est inséré dans le titre III de la loi n° 88-227 du 11 mars 1988 relative à la
transparence financière de la vie politique un article 11-9 ainsi rédigé «Art. 11-9.- La
commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques est
auditionnée deux fois par an par une commission, composée d’un représentant par
parti ayant présenté au moins cinquante candidats aux élections législatives, sur
l’examen auquel elle a procédé des comptes de campagne des candidats et des
comptes des associations de financement des partis politiques. «Un décret en Conseil
d’Etat définit les conditions d’application du présent article.»
Art. 12.- Dans le troisième alinéa de l’article L. 167 du code électoral, le mot
:«dixième» est remplacé par le mot: «cinquième».
Art. 13. - I.- Le premier alinéa de l’article 11-4 de la loi n° 88-227 précitée est
complété par deux phrases ainsi rédigées :«Pour un même parti ou groupement
politique, la somme des dons consentis par ces personnes morales ne peut, pour une
même année, excéder la plus grande des valeurs suivantes: 25 p. 100 du total de ses
ressources telles que retracées dans les comptes de son dernier exercice, ou 2,5 p.
100 du montant total des crédits inscrits en loi de finances au titre de l’article 9. La
liste exhaustive des personnes morales qui lui ont consenti des dons est annexée au
compte présenté par un parti ou groupement politique en application de l’article 11-7.
II. - Le deuxième alinéa de l’article 11-7 de la même loi est complété par une phrase
ainsi rédigée :«Pour chaque parti ou groupement politique, la publication comporte la
141
liste exhaustive des personnes morales autres que des associations de financement
électorales qui lui ont consenti des dons conformément aux dispositions des articles
11 et 11-4, avec l’indication du montant de chacun de ces dons.»
Art. 14.- Dans le premier alinéa de l’article 9 de la loi n° 88-227 du 11 mars 1988
précitée, le mot :«soixante-quinze» est remplacé par le mot :«cinquante».
Art. 15.- Dans le troisième alinéa de l’article 9 de la loi n° 88-227 du 11 mars 1988
précitée, après les mots «partis ou groupements politiques», sont insérés les mots :«
bénéficiaires de la première fraction visée ci-dessus».
Art. 16.- Les dispositions du présent titre sont applicables dans la collectivité
territoriale de Mayotte.
Art. 17.- Les articles 10 et 12 de la présente loi ne sont pas applicables à la campagne
en vue des prochaines élections à l’Assemblée nationale.
TITRE II: DISPOSITIONS RELATIVES À LA TRANSPARENCE DES
ACTIVITÉS ÉCONOMIQUES
CHAPITRE Ier : Dispositions générales
Art. 18.- I.- La première phrase du premier alinéa de l’article 33 de l’ordonnance
n° 86-1243 du 1er décembre 1986 relative à la liberté des prix et de la concurrence
est ainsi rédigée :«Tout producteur, prestataire de services, grossiste ou importateur,
est tenu de communiquer à tout acheteur de produit ou demandeur de prestation de
services pour une activité professionnelle, qui en fait la demande, son barème de prix
et ses conditions de vente.»
II.- Après les mots :«un distributeur», la fin du dernier alinéa du même article 33 est
ainsi rédigée :«ou un prestataire de services se fait rémunérer par ses fournisseurs, en
contrepartie de services spécifiques, doivent faire l’objet d’un contrat écrit en double
exemplaire détenu par chacune des deux parties.»
III.- Le même article 33 est complété par quatre alinéas ainsi rédigés :«Les personnes
morales peuvent être déclarées responsables pénalement, dans les conditions prévues
par l’article 121-2 du code pénal. « Les peines encourues par les personnes morales
sont: 1° L’amende, suivant les modalités prévues par l’article 131-38 dudit code; «2°
La peine, mentionnée au 5° de l’article 131-39 dudit code, d’exclusion des marchés
publics pour une durée de cinq ans au plus.»
Art. 19.- Le dernier alinéa de l’article 31 de l’ordonnance n° 86-1243 du
1er décembre 1986 précitée est remplacé par cinq alinéas ainsi rédigés : «Toute
infraction aux dispositions du présent article est punie d’une amende de 500 000 F.
«L’amende peut être portée à 50 p. 100 de la somme facturée ou de celle qui aurait
dû être facturée. «Les personnes morales peuvent être déclarées responsables
conformément à l’article 121-2 du code pénal. Les peines encourues par les
personnes morales sont :«1° L’amende suivant les modalités prévues par l’article
131-38 dudit code; «2° La peine d’exclusion des marchés publics pour une durée de
cinq ans au plus, en application du 5° de l’article 131-39 du code pénal.»
142
CHAPITRE II: Prestations de publicité
Art. 20.- Tout achat d’espace publicitaire ou de prestation ayant pour objet l’édition
ou la distribution d’imprimés publicitaires ne peut être réalisé par un intermédiaire
que pour le compte d’un annonceur et dans le cadre d’un contrat écrit de mandat.
Ce contrat fixe les conditions de la rémunération du mandataire en détaillant, s’il y a
lieu, les diverses prestations qui seront effectuées dans le cadre de ce contrat de
mandat et le montant de leur rémunération respective. Il mentionne également les
autres prestations rendues par l’intermédiaire en dehors du contrat de mandat et le
montant global de leur rémunération. Tout rabais ou avantage tarifaire de quelque
nature que ce soit accordé par le vendeur doit figurer sur la facture délivrée à
l’annonceur et ne peut être conservé en tout ou partie par l’intermédiaire qu’en vertu
d’une stipulation expresse du contrat de mandat. Même si les achats mentionnés au
premier alinéa ne sont pas payés directement par l’annonceur au vendeur, la facture
est communiquée directement par ce dernier à l’annonceur.
Art. 21.- Le mandataire mentionné au premier alinéa de l’article 20 ne peut ni
recevoir d’autre paiement que celui qui lui est versé par son mandant pour la
rémunération de l’exercice de son mandat ni aucune rémunération ou avantage
quelconque de la part du vendeur.
Art. 22.- Le prestataire qui fournit des services de conseil en plan média ou de
préconisation de support d’espace publicitaire ne peut recevoir aucune rémunération
ni avantage quelconque de la part du vendeur d’espace.
Art. 23.- Le vendeur d’espace publicitaire en qualité de support ou de régie rend
compte directement à l’annonceur dans le mois qui suit la diffusion du message
publicitaire des conditions dans lesquelles les prestations ont été effectuées.
En cas de modification devant intervenir dans les conditions de diffusion du message
publicitaire, le vendeur d’espace publicitaire avertit l’annonceur et recueille son
accord sur les changements prévus. Il lui rend compte des modifications intervenues.
Dans le cas où l’achat d’espace publicitaire est effectué par l’intermédiaire d’un
mandataire, les obligations prévues à l’alinéa précédent incombent tant au vendeur à
l’égard du mandataire qu’au mandataire à l’égard de l’annonceur.
Art. 24.- Toute personne qui fournit des services de conseil en plan média ou de
préconisation de support d’espace publicitaire doit indiquer dans ses conditions
générales de vente les liens financiers qu’elle entretient ou que son groupe entretient
avec des vendeurs mentionnés à l’article 20, en précisant le montant de ces
participations.
Art. 25.- 1° Est puni d’une amende de 200 000 F le fait:
a)Pour tout annonceur ou tout intermédiaire de ne pas rédiger de contrat écrit
conforme aux dispositions des deux premiers alinéas de l’article 20;
b)Pour la personne qui fournit des services de conseil en plan média ou de
préconisation de support d’espace publicitaire, de ne pas indiquer dans ses conditions
générales de vente les informations prévues à l’article 24.
2° Est puni des sanctions prévues à l’article 31 de l’ordonnance n° 86-1243 du
1er décembre 1986 relative à la liberté des prix et de la concurrence, le fait pour un
143
vendeur de ne pas communiquer directement la facture à l’annonceur conformément
aux dispositions du troisième alinéa de l’article 20.
3°
Est
puni
d’une
amende
de
2
000
000
F
le
fait:
a)Pour toute personne qui fournit des services de conseil en plan média ou de
préconisation de support d’espace publicitaire, de préconiser ou de réaliser un achat
d’espace publicitaire, pour le compte d’un annonceur, auprès d’un vendeur d’espace
publicitaire avec lequel elle entretient ou avec lequel son groupe entretient des liens
financiers, en donnant sciemment à cet annonceur des informations fausses ou
trompeuses sur les caractéristiques ou sur le prix de vente de l’espace publicitaire du
support
préconisé
ou
des
supports
qui
lui
sont
substituables;
b) Pour tout mandataire mentionné à l’article 20, de recevoir une rémunération ou un
avantage
quelconque
d’autres
personnes
que
son
mandant;
c) Pour tout vendeur mentionné à l’article 20, d’accorder une rémunération ou un
avantage quelconque au mandataire ou au prestataire de l’annonceur;
d) Pour toute personne qui fournit des services de conseil en plan média ou de
préconisation de support d’espace publicitaire, de recevoir une rémunération ou un
avantage quelconque de la part du vendeur d’espace publicitaire. Pour les infractions
prévues aux 1°, 2° et 3° ci-dessus, les personnes morales peuvent être déclarées
responsables, conformément à l’article 121-2 du code pénal. Elles encourent
également la peine d’exclusion des marchés publics, pour une durée de cinq ans au
plus, en application du 5° de l’article 131-39 du code pénal. Les fonctionnaires
désignés par le premier alinéa de l’article 45 de l’ordonnance n° 86-1243 du
1er décembre 1986 précitée peuvent procéder aux enquêtes nécessaires à
l’application du présent chapitre selon les modalités prévues aux articles 46 à 48, 51
et 52 de la même ordonnance.
Art. 26.- Pour l’application des articles 20 à 25 de la présente loi, la régie publicitaire
est considérée comme vendeur d’espace. Le mandataire mentionné à l’article 20
n’est pas considéré comme agent commercial au sens de l’article 1er de la loi n° 91593 du 25 juin 1991 relative aux rapports entre les agents commerciaux et leurs
mandants.
L’expression «achat d’espace publicitaire» n’a pas pour effet de limiter la
responsabilité du directeur de publication établie par la loi du 29 juillet 1881 sur la
liberté de la presse.
Art. 27.- Les dispositions du présent chapitre s’appliquent quel que soit le lieu
d’établissement de l’intermédiaire, dès lors que le message publicitaire est réalisé au
bénéfice d’une entreprise française et qu’il est principalement reçu sur le territoire
français.
Art. 28.- Les dispositions des deux premiers chapitres du présent titre prendront effet
à compter du 31 mars 1993, à l’exception des dispositions du III de l’article 18, des
trois derniers alinéas de l’article 19 et du deuxième alinéa du 3° de l’article 25 qui
prendront effet à compter du 1er septembre 1993.
Art. 29.- A l’issue d’un délai de trois ans après l’entrée en vigueur des dispositions
du présent chapitre, le Gouvernement présentera au Parlement un rapport sur ses
conditions d’application
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http://www.upa.it
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http://www.itwikipedia.org
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Ringraziamenti
Desidero innanzitutto ringraziare il mio relatore, il Prof. Salvo Dell’Arte, per avermi
dato la possibilità di sviluppare il tema del presente lavoro. Inoltre, ringrazio
sentitamente l’Arch. Gianfranco Strangis per la disponibilità a dirimere i miei dubbi
durante la stesura dell’argomento trattato. Intendo ringraziare le associazioni UPA,
AssoComunicazione, AlboAici, TP e le agenzie di pubblicità per avermi fornito dati
indispensabili per la realizzazione della tesi. Vorrei esprimere una sincera gratitudine
ai miei genitori per il sostegno, i consigli e il grande aiuto che mi hanno dato. Ai miei
familiari che mi hanno aiutata a superare i momenti difficili affrontati durante la
stesura della tesi. Inoltre, ringrazio vivamente le mie coinquiline e amiche per aver
tollerato le mie ansie e per avermi sostenuta nei momenti più ardui e in particolare
Renato per essermi stato vicino ogni momento durante questo anno di lavoro.