le città metropolitane in europa

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LE CITTÀ METROPOLITANE IN EUROPA
Matteo Carrer - Stefano Rossi
SOMMARIO: Le Città metropolitane: una prospettiva comparata. – 1. L’oggetto dell’analisi – 2. Criteri per una
delimitazione del fenomeno metropolitano. – 3. I modelli di governo metropolitano. – Francia: il lungo cammino delle
aree metropolitane. – 1. Il processo di decentralizzazione. – 2. Le strutture di cooperazione intercomunale. – 3. Le aree
metropolitane. – 3.1. Parigi. – 3.2. Lione. – 4. La riforma del 2014. – 4.1. La metropoli di Grand Paris. – Germania:
un modello policentrico. – 1. Alla ricerca delle Città metropolitane nell’ordinamento federale tedesco – 2. Le
Metropolregionen. – Spagna: Città, Comunidades e autonomia. – 1. Le aree metropolitane in Spagna. – 2. La
Comunità autonoma di Madrid. – 3. Il diritto delle Comunità autonome: Catalogna, Galizia e Valencia. – 4. Un modello
perdente? – Portogallo: un Paese in due aree metropolitane. – 1. Appunti sul diritto portoghese degli enti locali. – 2.
Le associazioni tra comuni. – 3. Le aree metropolitane. – 4. La riforma degli enti locali del 2013. – Paesi Bassi: il
modello della Città-Regione. – 1. Gli enti locali olandesi. – 2. Le città metropolitane. – Inghilterra: Londra città
metropolitana. – 1. Enti locali e città in Inghilterra nell’ottica del local government. – 2. Le città dal XIX secolo alla
devolution. – 3. La città di Londra. – 4. Le aree metropolitane dell’Inghilterra. – Italia: work in progress. – 1. Lo
sviluppo legislativo di un’idea: le Città metropolitane. – 2. La riforma Del Rio: finalmente le Città metropolitane ?. –
Conclusioni dialettiche. – 1. Osservazioni metodologiche. – 2. I modelli. – 3. Città e diritto. – Bibliografia.
Matteo Carrer, dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea, già assegnista di
Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo
Stefano Rossi, dottorando di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea presso il
Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo
Il lavoro è frutto della collaborazione tra i due autori, tuttavia l’introduzione e i capitoli relativi a Francia,
Portogallo e par. 1 sull’Italia sono stati redatti da Stefano Rossi, i capitoli relativi a Germania, Inghilterra, Paesi Bassi,
Spagna, par. 2 sull’Italia e le conclusioni sono da attribuirsi a Matteo Carrer.
Il presente lavoro è stato elaborato per conto dell’IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) –
Fondazione Anci. Aggiornato al 30.06.2014.
IFEL – Fondazione Anci. Riproduzione riservata
***
Le Città metropolitane: una prospettiva comparata
1. L’oggetto dell’analisi
L’obiettivo del presente lavoro consiste nell’analisi della struttura, dell’organizzazione e delle
attribuzioni che caratterizzano le Città o Aree metropolitane1 presenti in alcuni Paesi dell’Unione
europea.
Si tratta di un percorso complesso, sviluppato tenendo conto delle notevoli differenze tra le
esperienze storiche, le strutture istituzionali e le condizioni economico-sociali che hanno connotato
nei vari contesti nazionali le varie forme in cui si è “costruita” l’esperienza metropolitana.
L’analisi svolta ha un oggetto delimitato anche sotto il profilo degli strumenti utilizzati per
“decifrare” le realtà considerate, ovvero quelli del diritto ed in particolare del diritto pubblico
comparato, con l’intento di affrontare la questione degli assetti istituzionali necessari al governo dei
problemi che sembrano appartenere per loro stessa natura alla dimensione delle grandi città. Ad un
primo sguardo ne emerge – in modo forse non inatteso – un quadro di possibili soluzioni assai
diversificato, che spazia dall’istituzione di uno specifico livello di governo metropolitano di
competenza generale ad agenzie funzionali per specifici servizi o ambiti di policy ad una serie di
altre soluzioni fondate in maggior o minor misura sulla cooperazione tra amministrazioni pubbliche
e soggetti privati.
In questo senso si è provato ad affrontare i principali problemi della governance
metropolitana, ovvero il tema del ruolo operativo che le nuove istituzioni metropolitane dovrebbero
esercitare e quello, forse ancora più rilevante, del rapporto con la pluralità degli attori che si
candidano a trasformare la città, pur senza rivestire responsabilità di governo locale.
Tuttavia, aver centrato l’interesse sul profilo istituzionale non significa che non si sia tenuto
conto degli studi e riflessioni di carattere economico, sociale e geografico che, dopo aver
evidenziato il gap tra “città reale” e “città amministrativa”, hanno inteso “delimitare i confini”
dell’area metropolitana avvalendosi di specifici criteri (morfologici e/o funzionali), nella misura in
cui la reciproca influenza tra tali aspetti rende necessario un loro studio integrato.
L’obiettivo, forse troppo ambizioso per queste poche pagine, è di offrire un contributo
ragionato – seppur necessariamente sintetico – dei possibili e significativi modelli di organizzazione
1
Sia consentito per ora utilizzare i due termini come sostanziali sinonimi.
e governance delle realtà metropolitane in Europa, da cui si possano trarre idee o soluzioni per
delineare il nostro modello di governo del fenomeno metropolitano.
2. Criteri per una delimitazione del fenomeno metropolitano
L’individuazione e la delimitazione delle “aree metropolitane” sono, infatti, questioni
estremamente complesse. In via generale, i criteri impiegati per tale operazione possono essere
raggruppati in tre grandi categorie: a) criteri di omogeneità, in base ai quali possono essere riuniti
enti o aree che hanno caratteristiche simili secondo vari parametri (dimensione demografica,
densità, caratteristiche economiche e sociologiche e via dicendo); b) criteri di interdipendenza, in
base ai quali possono essere raggruppati enti o aree tra i quali avvengono scambi di persone, beni o
flussi comunicativi (pendolarità, aree di gravitazione commerciale, scambi telefonici o altro); c)
criteri morfologici, quali ad esempio la contiguità spaziale o la appartenenza a medesimi sistemi di
configurazione orografica o geografica in senso lato2. Il ricorso a diversi criteri o a loro
combinazioni dà ovviamente luogo a delimitazioni territoriali altrettanto differenziate.
Negli anni recenti, alcune istituzioni di ricerca internazionali3 hanno realizzato studi volti a
delimitare le aree metropolitane o analoghi aggregati territoriali. In particolare, nella ricerca
promossa dall’European Spatial Planning Observation Network (Espon) vengono individuate, per il
territorio europeo, le Morphological Urban Areas (MUA) – raggruppamenti di municipalità
contigue densamente popolate – e le Functional Urban Areas (FUA) composte da quei comuni in
cui una quota significativa di popolazione residente si sposta per motivi di lavoro nel territorio di
una determinata Morphological Urban Area. Le due unità di analisi (MUA e FUA) rivestono pari
importanza per la classificazione del fenomeno urbano e metropolitano: se le MUA consentono di
evidenziare la presenza di territori densamente popolati contigui che trascendono i confini delle
singole amministrazioni comunali, le FUA permettono invece di rilevare l’ambito di influenza delle
MUA in termini di attrazione della popolazione con capacità lavorativa4.
2
G. MARTINOTTI, Metropoli: la nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna, 1993, 66 ss.; F.
BARTALETTI, Le aree metropolitane in Italia e nel mondo: il quadro teorico e i riflessi territoriali, Bollati Boringhieri,
Torino, 2009, 25 ss.
3
The Functional Urban Areas Databas, Technical Report, Espon 2013 Database, 2011; Redefining “Urban”: A
New Way to Measure Metropolitan Areas, Oecd Publishing, 2012.
4
Sui criteri di classificazione del fenomeno metropolitano si veda W. TORTORELLA, M. ALLULLI, Città
metropolitane. La lunga attesa, Marsilio, Venezia, 2014, 16 ss.
In specie, il sistema urbano europeo è caratterizzato dall’esistenza di una rete urbana densa,
formata da regioni urbane5 che fanno capo a grandi città metropolitane. Tali agglomerati si
collocano a vari livelli della gerarchia urbana: così, al livello più alto troviamo le cd. città “globali”,
caratterizzate dalla concentrazione di strutture di comando e di controllo del sistema economico,
industriale e finanziario a scala mondiale, dalla presenza di complessi infrastrutturali e di centri di
formazione di ricerca a livello superiore. Si tratta, in particolare, di Londra e Parigi, dove tale
concentrazione è nettamente superiore rispetto alle altre città europee, seguite da Milano, Madrid,
Monaco di Baviera, Francoforte, Roma, Bruxelles, Barcellona, Amsterdam.
In termini generali, tuttavia, per poter dare una definizione generale di area metropolitana si
deve tener conto di due caratteristiche:
1) si tratta di aree con concentrazione elevata di popolazione e di attività economiche che si
connotano al loro interno per le forti interrelazioni dovute alle specializzazioni residenziali e
produttive e ai flussi di pendolarismo originato da diversi motivi (lavoro, studio, tempo libero);
2) in tali aree, il governo locale è diviso tra un Comune centrale di grandi dimensioni e
Comuni circostanti di dimensioni minori. Non c’è quindi di norma un governo di dimensioni
sufficiente a governare tali flussi per quello che concerne le interdipendenze alle quali danno
origine (ad es.: mobilità, trasporti, rifiuti, varie forme di esternalità ambientali)6.
Le aree metropolitane, quindi, non sono valutabili solo come semplice fusione tra centri
densamente abitati, socialmente e funzionalmente specializzati a cui sono genericamente annesse
delle periferie. Esse sono meglio interpretabili come sistemi di reti, a geometria variabile, articolati
in nodi, alcuni dei quali caratterizzati da una forte dimensione di centralità, definiti in funzione della
loro accessibilità e grado di coordinamento. La qualità di questi sistemi dipende dalle relazioni che
si instaurano tra i nodi, dalla capacità di integrare la loro popolazione e i loro territori attraverso
adeguate condizioni che ne garantiscano principalmente la mobilità e, in senso lato, l’accessibilità7.
3. I modelli di governo metropolitano
Come è noto, le esperienze di governo metropolitano presentano due modelli principali:
5
Si deve notare come lo sviluppo delle città sia sempre collegato allo sviluppo delle regioni, per cui le più
importanti aree metropolitane sono concentrate nelle regioni europee di maggior sviluppo economico e, in taluni casi, lo
stesso concetto di regione può essere sovrapposto a quelli di area metropolitana o città metropolitana.
6
Tali caratteristiche possono essere integrate con i criteri elencati sopra: omogeneità, interdipendenza e
morfologia. Tale definizione, come ovvio, non è ancora giuridica ma, in verità, non può esserlo del tutto, nella misura in
cui la forma istituzionale della città metropolitana è necessariamente il risultato di una complessiva “domanda di
governo” che deriva dalla realtà socio-economica dell’epoca storica e della posizione geografica che si prendono in
considerazione.
7
V. MAZZUCCATO, Le città metropolitane nella prospettiva europea. Milano e Barcellona due metropoli a
confronto, Tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di scienze politiche, 2007/2008, testo a stampa, 93 ss.
a) il modello della sovracomunalità o strutturale, che fa riferimento ad un governo unico e
formalizzato;
b) il modello dell’intercomunalità o funzionale, che fa riferimento invece all’azione di
cooperazione volontaria tra i Comuni ed è basato sul decentramento e la collaborazione.
La differenza tra i due modelli è data dal ruolo svolto dal governo metropolitano che, nel
primo caso, è sovraordinato ai Comuni e la cui attivazione implica una ridefinizione dei loro poteri
e dei confini territoriali, mentre, nel secondo, è caratterizzato dalla volontarietà, dalla delega di
alcune funzioni a dimensione urbana al governo intercomunale e dall’attribuzione ad esso di risorse
finanziarie e fiscali proprie.
Nello “statuto” della città metropolitana8 rientrano quindi le forme di esercizio associato di
funzioni con i comuni in essa compresi al fine di garantire il coordinamento dell’azione
complessiva di governo all’interno del territorio metropolitano, la coerenza dell’esercizio della
potestà normativa da parte dei due livelli di amministrazione, un efficiente assetto organizzativo e
di utilizzazione delle risorse strumentali, nonché l’economicità di gestione delle entrate e delle
spese attraverso il coordinamento dei rispettivi sistemi finanziari e contabili.
Nel contempo, in alcuni casi, si prevede anche l’opzione funzionale basata sul mantenimento
dei livelli istituzionali esistenti e sul governo dell’area metropolitana affidato a forme di
cooperazione istituzionale. Trattandosi infatti di esercizio associato di funzioni (e relative forme
associative) nelle aree metropolitane e nelle altre aree variamente definite a livello di aggregazione
territoriale (ambiti, bacini, ecc.) è forse necessario considerare la diversificazione tra le forme
associative in ragione del diverso livello d’integrazione funzionale e fiscale esercitato, come – ad
esempio – nell’ipotesi dell’esperienza francese in materia di comunità locali, dove le risorse fiscali
e il livello della dotazione globale di finanziamento assicurato alle communautées d’agglomeration,
alle communautées de comune e alle communautées urbaine dipendono dal grado d’integrazione
funzionale esercitato, utilizzando in particolare la tassa professionale unica come collante
dell’intercomunalità.
Da tali considerazioni si può desumere un principio di necessaria differenziazione tra le
istituzioni locali le quali, pertanto, non possono conformarsi ad un modello uniforme di governo del
territorio metropolitano, dovendosi necessariamente rispettare la diversità territoriale e comunitaria
delle stesse.
8
Le metropoli, quindi, non sono considerabili solo come semplice fusione tra centri densamente abitati,
socialmente e funzionalmente specializzati, a cui sono genericamente annesse delle periferie. Esse sono meglio
interpretabili come sistemi di reti, a geometria variabile, articolati in nodi, alcuni dei quali caratterizzati da una forte
dimensione di centralità, definiti in funzione della loro accessibilità e grado di coordinamento.
Vi è da tener conto infine che, tra le principali funzioni ricoperte dagli enti che governano le
aree metropolitane, alcune sembrano ricorrenti ed, in particolare, tra queste:
 la promozione dello sviluppo economico, dell’innovazione, della ricerca;
 la promozione dello sviluppo sociale e culturale;
 la pianificazione territoriale di area vasta;
 lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi di trasporto.
Si deve rilevare come le funzioni indicate siano caratteristiche del modello base di governo
metropolitano nella misura in cui rispondono alla necessità di dare qualità al sistema, il che dipende
dalle relazioni funzionali che si instaurano tra i nodi (urbanistici, economici e sociali) di carattere
strutturale propri delle metropoli, dalla capacità di integrare la popolazione e i territori degli enti
minori attraverso adeguate condizioni che ne garantiscano principalmente la mobilità e, in senso
lato, l’accessibilità.
Massimo Severo Giannini9 sosteneva che occorre partire sempre dalle funzioni per poter poi
individuare il livello più adeguato preposto alla cura degli interessi pubblici selezionati ed è
partendo da questo profilo che in dottrina10 si sono descritti i diversi modelli di governo
metropolitano, tenendo conto anche dei criteri storici, sociali ed economici che ne hanno connotato
lo sviluppo:
1) l’annessione (la forma hard), in virtù della quale il Comune centrale si espande assorbendo
i Comuni minori. Così è accaduto a New York, Berlino e Roma nella prima metà del Novecento ed
negli ultimi tre decenni questo percorso è stato praticato da Anversa e Toronto;
2) la Città-Stato o la Città-Regione, che vede l’area metropolitana eretta a Stato federato o a
Regione, con tutti i poteri tipici di quel livello di governo (così in Germania le città di Berlino,
Amburgo e Brema; in Austria Vienna; in Belgio Bruxelles; in Spagna Madrid);
3) il governo metropolitano di secondo livello a elezione diretta, a fronte del quale
sopravvivono comunque al suo interno i governi comunali, seppur con poteri ridotti.
Tendenzialmente, l’autorità metropolitana assume lo status di governo di rango superiore
(provinciale o di contea) ma è dotato di poteri più rilevanti di quelli di una provincia o contea.
Esempi di tale formula sono dati da Londra (dal 1965, con rivisitazione nel 1999), da Toronto (dal
1988 al 1998), da Rotterdam (dal 1964 al 1985);
4) il governo metropolitano di secondo livello espresso dai Comuni dell’area metropolitana:
qui nell’area metropolitana si insedia un governo (non necessariamente elettivo) che si struttura
come associazione obbligatoria dei Comuni che ne fanno parte. Dispone di poteri, funzioni e di
9
M.S. GIANNINI, In principio sono le funzioni, in Amministrazione civile, 1959, 2, 23, 11-14 ora in Scritti
Giannini, IV, Giuffrè, Milano, 2004, 719 ss.
10
L. BOBBIO, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Laterza, Bari, 2002, 113 ss.
fiscalità propria (ne sono esempio le Communautées urbaines francesi come Bordeaux, Lille e
Strasburgo; Barcellona dal 1974 al 1987; Copenaghen dal 1974 al 1989);
5) l’associazione volontaria di Comuni viene a caratterizzare una formula soft di governo
metropolitano, fondata sul volontarismo dei Comuni che accettano di farne parte. Essa è dotata di
funzioni e poteri che le vengono delegati. Tale formula è diffusa negli Stati Uniti (New York, Los
Angeles, San Francisco) ed in Germania (Francoforte);
6) le agenzie funzionali di scala metropolitana, che non configurano un vero e proprio
governo metropolitano, ma fungono da agenzie specializzate in alcune politiche che agiscono su
scala metropolitana. Esempi di questo tipo si trovano negli Stati Uniti (gli special districts), in Gran
Bretagna (i joint committees per specifiche politiche nelle ex-contee metropolitane) e in Spagna,
come nel caso di Barcellona.
Anche le finalità perseguite dai diversi modelli sono differenti: a) talora si perseguono
(essenzialmente o principalmente) finalità di governo complessivo e pianificazione dell’area vasta,
volte ad un rafforzamento delle capacità di compiere scelte strategiche e coordinare politiche
metropolitane; b) talora si perseguono (essenzialmente o principalmente) finalità di coesione
sociale e di equiparazione dei diritti dei cittadini (la cui vita è sempre meno ristretta nei confini del
singolo comune), tendendo ad una omogeneità di trattamento in relazione alla regolazione e qualità
di servizi, tariffe ed imposte locali; c) talora si perseguono (essenzialmente o principalmente)
finalità di semplificazione, riducendo i livelli di governo, o comunque razionalizzando le
competenze, accorpando strutture e apparati, fornendo agli operatori regole omogenee.
In termini di tendenza generale, si nota il passaggio da soluzioni più soft di governo
metropolitano, basate sulla cooperazione volontaria degli attori, a soluzioni più hard, che implicano
la nascita di un nuovo ente amministrativo.
Nello specifico, ad esempio, la nascita dell’AMB (Area Metropolitana de Barcelona) ha
comportato
la
progressiva
integrazione
funzionale
di
alcune
agenzie
specializzate
nell’implementazione di politiche che agivano su scala metropolitana (la Mancomunidad de
Municipios de l’Area Metropolitana de Barcelona, con competenze in materia di pianificazione
urbanistica, l’Entidad Metropolitana del Medi Ambient e l’Entidad Metropolitana del
Transporte)11; nel caso di Manchester la nascita della GMCA (Greater Manchester Combined
Authority) costituisce l’esito di un percorso di collaborazione sempre più stretta tra gli enti locali
nell’ambito delle iniziative promosse dalla precedente struttura associativa AGMA (Association of
Greater Manchester Authorities). In entrambi i casi l’istituzione del nuovo ente è, quindi, l’esito di
11
V. il par. 3 della parte dedicata alla Spagna.
un progressivo “avvicinamento” degli enti locali in un clima di crescente fiducia sedimentata
attraverso pluriennali esperienze di cooperazione metropolitana.
La creazione di una nuova istituzione mira anzitutto a rendere più efficiente l’erogazione dei
servizi attraverso l’utilizzo di economie di scala e la pianificazione integrata delle funzioni. Sia a
Barcellona che a Manchester12, tuttavia, agli aspetti più marcatamente funzionali si sono
accompagnati disegni politici di più ampio respiro, volti ad accrescere la capacità competitiva delle
città sul piano nazionale e internazionale, come testimoniano le esperienze di pianificazione
strategica che accompagnano l’istituzione di entrambi gli enti13.
Chiaramente ogni modello presenta vantaggi e svantaggi. Le forme istituzionali morbide
(inter-comunali e non elettive) rischiano di dare troppo spazio alle istanze localistiche, di essere
paralizzate dai veti e di impedire il raggiungimento di una visione d’insieme, se non sono sostenute
da una forte regia. A loro volta le forme istituzionali hard (sovracomunali e elettive) devono far
fronte alla sostenibilità di istituzioni ingombranti per la loro dimensione e per il ruolo politico che
esercitano, dovendo coordinare entità differenziate e dovendosi coordinare con i livelli di governo
superiori.
L’analisi che segue prenderà in considerazione l’esperienza di alcuni significativi Paesi
europei, diversi per tradizione giuridica, caratteristiche geografiche e socio-economiche: Francia,
Germania, Inghilterra, Olanda, Portogallo e Spagna.
A Barcellona, la nascita dell’AMB è stata preceduta dalla redazione di due Piani Strategici (nel 2003 e nel
2010) e del Piano Territoriale Metropolitano (PTMB 2010); a Manchester la nascita della GMCA è stata preceduta da
una fase di diagnosi approfondita, realizzata dalla Manchester Indipendent Economic Review, le cui indicazioni sono
confluite nella Greater Manchester Strategy, documento che tuttora orienta le attività della GMCA.
13
Ciò ha contraddistinto in modo particolare i casi di Barcellona e Lione, ove tali piani strategici hanno avuto
carattere fortemente partecipativo: per quanto riguarda Barcellona, il Piano Territoriale Metropolitano (PTMB) è stato
integrato da più di 2.000 osservazioni avanzate dagli abitanti della città; sono stati inoltre organizzati più di 100 incontri
pubblici e altrettante consultazioni più ristrette con le associazioni e le rappresentanze economiche e sociali prima di
procedere alla stesura definitiva del documento. Nel caso di Lione, per l’elaborazione dello Schéma de Cohérence
Territorial (SCOT) sono stati organizzati più di 50 incontri con gli stakeholders e gruppi di lavoro tecnici.
L’elaborazione definitiva del documento è infine stata sottoposta a enquête publique, come prevede la normativa
francese. Anche nel caso di Parigi sono in corso tentativi di costituire livelli di governo metropolitano; i relativi processi
istitutivi sono ancora in progress e non sono pertanto ancora chiari i caratteri delle future ed eventuali strutture di
governo. Per ulteriori riferimenti le pubblicazioni sul sito www.torinostrategica.it
12
Francia: il lungo cammino delle aree metropolitane
1. Il processo di decentralizzazione
La preponderanza del potere centrale su quello delle collettività locali è un tratto caratteristico
dell’ordinamento francese14. La storia del decentramento amministrativo ha visto infatti come
interprete primario lo Stato, che è più volte intervenuto attraverso leggi generali e di settore per
regolare le collettività territoriali15.
Dopo le «lois de décentralisation» approvate a partire dal 1982 (c.d. decentralizzazione)16 la
tappa più importante di questo processo è stata rappresentata dalla legge costituzionale n. 2003-276
Indipendentemente dalla correttezza della qualificazione “centralista” dello Stato francese, spesso ripetuta
acriticamente e per molti versi ormai da tempo discutibile, è tuttavia ampia la distanza esistente tra la “libera
amministrazione” delle collettività territoriali prevista nella Costituzione della V Repubblica e l’autonomia delle regioni
e degli enti locali in paesi come l’Italia, la Spagna, l’Austria, il Belgio o la Germania, per cui la Francia può a ragione
essere ritenuta uno degli Stati europei nei quali l’autonoma determinazione delle comunità locali dispone di uno spazio
più limitato.
15
Evidenzia il carattere progressivo del processo di riforma delle collettività territoriali nella V Repubblica
francese in AA.VV., La décentralisation en mouvement, Les travaux du centre d’études et de prospective, Ministère de
l’Intérieur et de l’Aménagement du territoire, La documentation Française, Paris, 2006.
16
I maggiori contributi della Riforma possono essere elencati come segue: a) la legittimazione di tre livelli
d’amministrazione territoriale decentralizzata (Comune, Dipartimento e Regione); in tali termini le strutture di governo,
laddove il Prefetto di Dipartimento perde l’incarico di capo dell’esecutivo del Consiglio Generale a favore di un
consigliere eletto localmente detto Presidente del Consiglio Generale. La Regione diviene una Collettività Territoriale
dotata di un consiglio eletto a suffragio universale e di un esecutivo che prende il nome di Presidente del Consiglio
Regionale, anch’esso eletto con le stesse modalità. La tutela amministrativa esercitata dal Prefetto diventa un controllo
della legalità esercitato dalle giurisdizioni amministrative. La tutela finanziaria viene soppressa e sostituita dalle Camere
Regionali dei Conti (che dipendono direttamente dalla Corte dei Conti) il cui compito è di controllare le finanze locali
se non addirittura aiutare le Collettività Territoriali a risolvere i loro problemi finanziari locali; b) l’accentuazione della
democrazia locale; oramai ad ogni livello amministrativo vi sono un consiglio e un esecutivo eletti direttamente e
autonomi da potere dello Stato centrale, ciò ha comportato, come detto, la scomparsa del doppio incarico del Prefetto; c)
la deconcentrazione deve essere accompagnata dalla decentralizzazione. Questo significa che rinforzare le autorità
locali comporta anche dare attuazione ad una redistribuzione dei mezzi d’azione di cui lo Stato dispone sul territorio. A
questo scopo il Prefetto diviene non solo il portavoce del Ministro dell’Interno, ma anche il rappresentante di tutti gli
altri ministeri, cioè del governo nel suo insieme; d) la riorganizzazione delle competenze tra Stato e Collettività Locali;
le diverse collettività (Comuni, Dipartimenti, Regioni ma anche lo Stato) possiedono una competenza generale e quindi
possono occuparsi di tutte le questioni che li riguardano a meno che questi casi non siano per legge di competenza di
un’altra collettività. Le leggi di decentralizzazione hanno confermato alcune competenze già esercitate dalle Collettività
Territoriali e ne hanno attribuite loro delle altre semplicemente trasferendole dallo Stato alle collettività stesse. La
logica di questa ripartizione delle competenze si articola nei tre punti seguenti: 1) il Comune è la collettività incaricata
dei cd. “servizi di prossimità”, quali la costruzione e la manutenzione di scuole materne ed elementari, l’urbanistica, il
coordinamento delle forze di polizia municipale ecc...; 2) il Dipartimento è la collettività che assicura la solidarietà
locale attraverso il sostegno che offre ai comuni e ai cittadini, attraverso le azioni sanitarie e sociali (aiuto alle persone
anziane, ai minori ecc...), la costruzione e la manutenzione di strade dipartimentali, la costruzione e la manutenzione
delle scuole medie ecc..; 3) la Regione è la collettività dei grandi progetti, come per esempio la pianificazione
economica e la gestione del territorio (in particolare dei piani Stato / Regione), la costruzione e la manutenzione delle
scuole superiori e dei licei, la formazione professionale, le strategie di azione economica ecc..
14
del 28 marzo 2003 relativa all’organizzazione decentralizzata della Repubblica17, nonché dalle leggi
organiche18 e ordinarie che hanno dato svolgimento ai principî dalla stessa introdotti nel sistema
costituzionale19.
A livello costituzionale, a seguito della riforma del 2003, il principio del decentramento ha
ottenuto riconoscimento nell’art. 1 Cost., ove l’organizzazione della Repubblica viene definita
“decentralizzata”, pur conservando i caratteri di indivisibilità e di eguaglianza senza
differenziazioni territoriali.
Ai sensi dell’art. 72 Cost., si definiscono collettività territoriali (collectivitès territoriales)
della Repubblica i comuni, i dipartimenti, le regioni, le collettività a statuto particolare e le
collettività d’oltremare20.
Vi sono, in particolare, tre categorie principali di collettività territoriali di diritto comune
(comuni, dipartimenti e regioni), la cui consistenza numerica, come è naturale, dipende dalla
dimensione delle unità che le compongono, anche se il regime giuridico di ciascuna categoria è
omogeneo.
La riforma ha dotato gli enti territoriali di uno “statuto costituzionale minimo”, integrato dalla
legislazione di settore ritagliata sulle specifiche esigenze di ciascun ente. Tale statuto costituzionale
si articola attraverso alcuni principi fondamentali: sussidiarietà, decentramento territoriale,
democrazia diretta a livello locale, autonomia finanziaria e sperimentazione normativa21.
17
Il carattere dirompente della riforma del 2003, la sua volontà di incidere sulla forma di Stato è risultata
evidente fin dalla modifica recata all’art. 1 della Costituzione, laddove si aggiunge agli elementi che definiscono la
“République” un aspetto nuovo: “son organisation est décentralisée”. Tale tendenza è pienamente comprensibile
quando si consideri, da un lato, lo stretto nesso che lega l’autonomia delle comunità locali al principio democratico, nel
senso che la prima appare strumentalmente rivolta alla realizzazione del secondo, mentre la permanenza del secondo
costituisce un requisito indispensabile alla sopravvivenza della prima. Dall’altro lato, tale riforma risponde alla sempre
più chiara difficoltà del principio monistico del potere pubblico a sorreggere l’evoluzione in senso pluralistico della
forma di Stato: è indiscutibile infatti l’emersione, accanto allo Stato apparato, di una molteplicità di istituzioni distinte,
espressive di variegate realtà sottostanti, tra le quali vengono a collocarsi anche le comunità locali. Il pluralismo delle
collettività locali, in altri termini, si configura quale manifestazione, articolata sulla base dell’elemento territoriale, del
pluralismo sociale che connota lo stato democratico contemporaneo.
18
Tra le leggi organiche e le leggi ordinarie approvate in tale contesto si segnalano per il particolare rilievo: la
legge organica n. 2003-704 del 1° agosto 2003 sulla sperimentazione normativa da parte delle collettività territoriali; la
legge organica n. 2003-705 del 1° agosto 2003 recante disposizioni in tema di referendum locale; la legge organica n.
2004-758 del 29 luglio 2004 relativa all’autonomia finanziaria delle collettività territoriali; la legge n. 2004-809 del 13
agosto 2004 relativa alle libertà e responsabilità locali; la legge organica 2007-223 del 21 febbraio 2007 recante
disposizioni statutarie e istituzionali relative all’oltre-mare.
19
Per una trattazione organica e sistematica dell’ordinamento delle collettività territoriali nella V Repubblica
francese cfr. E. AUBIN, C. ROCHE, Droit de la Nouvelle Décentralisation, Gualino éditeur, Paris 2005; J.B. AUBY, La
décentralisation et le droit, L.G.D.J., Paris, 2006.
20
Ha trovato inoltre espressa positivizzazione costituzionale, nell’art. 37-1 Cost., la possibilità per la legge o per
il regolamento di introdurre delle disposizioni a carattere sperimentale in ordine ai rapporti tra i livelli territoriali di
governo.
21
Particolarmente interessante è la previsione dell’art. 72, 4° co., Cost., che conferisce nelle condizioni previste
dalla legge organica di attuazione e nel rispetto delle norme poste a garanzia dell’esercizio di una libertà pubblica o di
un diritto costituzionale garantito, all’ente territoriale il diritto di sperimentare, su delega del Parlamento e del Governo
Tuttavia l’assenza di un criterio di riparto enumerato delle competenze tra centro e periferia
ha iscritto la Francia tra le esperienze di decentramento “debole” o amministrativo, ove
l’applicazione del principio di sussidiarietà e la sperimentazione normativa hanno imposto, in tale
campo, uno percorso di sviluppo di tipo evolutivo e a carattere incrementale22.
Al di là del numero delle competenze esercitate dai livelli locali, la difficoltà principale
emergente dal processo di decentralizzazione, avviato con la legge del 7 gennaio 1983, risiedeva
nella complessità della loro ripartizione entro le collettività stesse e tra lo Stato e queste ultime23.
Per tentare di rispondervi, la dottrina ha definito un criterio di riparto in funzione delle “vocazioni
dominanti” proprie di ciascun livello di collettività territoriale, conformemente al principio dei
blocchi di competenza. In tal modo si è prevista comunque l’attribuzione di una competenza
generale degli enti locali al di fuori dell’ambito di competenze attribuite in via esclusiva, il che ha
precluso la prevalenza di un ente locale rispetto ad un altro, consentendone altresì la reciproca
cooperazione.
Ma tale tecnica non è stata sufficiente, nella misura in cui il legislatore ha proceduto a
trasferimenti solo settoriali senza curarsi della coerenza d’insieme dell’intervento normativo,
complicando in tal modo il paesaggio istituzionale: a dispetto quindi della manifestata volontà di un
chiarimento nella ripartizione delle competenze tramite una specializzazione dei livelli delle
collettività, il blocco di competenze non ha permesso di distinguere la vocazione generale di
ciascun livello locale.
Con la riforma costituzionale del 2003 e la legge 2004-809 del 13 agosto 2004 relativa alle
libertà e responsabilità locali è stato introdotto il principio del “capofila”, per cui «quando
l’esercizio di una competenza necessita del concorso di varie collettività territoriali, la legge può
autorizzare una di esse o un raggruppamento delle stesse ad organizzare le modalità della loro
azione comune» (art. 72, 5° co., Cost.). L’obiettivo di questa previsione è d’introdurre una migliore
a seconda del tipo di fonte interessata, modifiche della normativa nazionale che regola l’esercizio di competenze
decentrate.
22
C. CHABROT, L’organizzazione territoriale, in D. ROUSSEAU (a cura di), L’ordinamento costituzionale della V
Repubblica francese, Giappichelli, Torino, 2000, 364 ss.
23
La legge del 7 gennaio 1983 (c.d. atto primo della decentralizzazione), implementata da numerose leggi più
puntuali (legge del 22 luglio 1983; leggi del 25 gennaio 1985 e del 6 gennaio del 1986), ha inteso conferire alle
collettività territoriali delle competenze enumerate in modo sistematico, attraverso dei veri e propri blocchi di
competenze. L’intento della prima decentralizzazione era quello di realizzare una netta distinzione di competenze tra i
vari livelli territoriali, tuttavia tale intento non è stato realizzato. Ciò è stato determinato dal fatto che numerose materie
sono state assegnate alla competenza complementare delle collettività territoriali, in una logica di collaborazione con gli
altri livelli territoriali di governo, piuttosto che di competizione/separazione. Peraltro le leggi del 1983 hanno stabilito
che il trasferimento di competenze dovesse essere accompagnato dall’attribuzione di adeguate risorse finanziarie:
intento che doveva essere perseguito sia attraverso il trasferimento di entrate fiscali, sia attraverso il versamento da
parte dello Stato di una dotazione generale di decentralizzazione, sia attraverso il trasferimento di servizi dallo Stato alle
collettività territoriali o tramite la messa a disposizione di servizi statali necessari all’esercizio delle competenze
trasferite alle collettività territoriali. Tuttavia tali trasferimenti sono rimasti per lo più sulla carta.
cooperazione tra le collettività territoriali per l’esercizio di una competenza ripartita tra numerosi
livelli.
Da segnalare infine l’approvazione della legge 2010-1563 del 16 dicembre 2010 di riforma
delle collettività territoriali, che ha fissato un nuovo dispositivo normativo per la chiarificazione
della ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di amministrazione locale che entrerà in
vigore a partire dal 1° gennaio 2015. La riforma lascia al solo comune l’applicazione della “clausola
di competenza generale”, grazie alla quale la collettività territoriale può investirsi di competenze
diverse da quelle ad essa strettamente attribuite dalla legge se lo ritenga utile per l’interesse
pubblico locale. Le competenze di dipartimenti e regioni saranno invece determinate secondo la
logica dei “blocchi di competenze” e i consigli generali e regionali saranno chiamati a regolare, con
le loro deliberazioni, gli affari della loro collettività nei settori che la legge attribuirà loro. Ciò non
impedirà d’intervenire, con deliberazioni qualificate, in ogni ambito d’interesse locale
(dipartimentale o regionale) per il quale non esista specifica competenza di altri soggetti pubblici.
La complessità del nuovo edificio della ripartizione delle competenze renderà necessaria
l’adozione di nuove misure di adattamento e la stessa legge del 2010 ha previsto che prima della
fine del 2017, a due anni dall’entrata in vigore della riforma, un comitato composto da
rappresentanti del Parlamento, delle collettività territoriali e dello Stato, proceda alla valutazione del
nuovo dispositivo normativo con la conseguente presentazione, entro sei mesi, di un progetto di
legge di adattamento della disciplina in esame.
L’attuazione complessiva della riforma dovrebbe mettere ordine all’attuale groviglio di
responsabilità locali incrociate alle quali corrispondono altrettanti finanziamenti incrociati tra le
diverse collettività territoriali.
2. Le strutture di cooperazione intercomunale
La legge n. 92-125 del 6 febbraio 1992 sulla amministrazione del territorio24, la legge n. 92115 del 4 febbraio 1995 sulla gestione e sviluppo del territorio e in particolare la legge 99-586 del
12 luglio 1999 (cd. legge Chevènement) hanno introdotto e disciplinato tre tipologie di autorità
sovracomunali (communautés des communes, communautés d’agglomeration e communautés
urbaines) che, dotate di ampie competenze settoriali conferite, operano attraverso lo strumento delle
La legge del 6 febbraio 1992 sull’amministrazione territoriale dello Stato ne rilancia l’utilizzo creando due
nuove strutture cooperative destinate a favorire lo sviluppo economico locale e la pianificazione del territorio: le
communautés de communes e le communautés de villes (sopra i 20.000 abitanti).
24
Ètablissements publics de cooperation inter-communale (Epci) per favorire politiche di
orientamento strategico di cooperazione intercomunale25.
Gli Epci costituiscono un quarto livello di organizzazione territoriale che detiene competenze
in vaste aree urbane e si differenzia dal livello amministrativo comunale da cui ha ricevuto in delega
l’esercizio di determinate funzioni26.
Il ricorso a forme di cooperazione intercomunale ha una particolare rilevanza in Francia, la
cui organizzazione locale è caratterizzata da una notevole parcellizzazione comunale; vi sono
36.783 comuni, più della metà di quelli dell’Unione Europea, e circa l’87% ha meno di 2000
abitanti.
La cooperazione è uno degli strumenti che ha permesso di superare le difficoltà di gestione di
infrastrutture e progetti di sviluppo territoriale legate al gran numero di comuni e alle loro
dimensioni ridotte, aumentandone le capacità di esercizio delle competenze e la stessa
competitività.
In questo particolare contesto istituzionale si è sviluppata una forma di “cooperazione
funzionale volontaria”, regolamentata dalla legislazione nazionale, in cui rileva l’estensione e le
modalità di trasferimento delle competenze comunali. I comuni possono scegliere tra differenti
strumenti e strutture di cooperazione che possono avere natura associativa o federativa a seconda
del “livello di integrazione” della delega di competenza da parte dei comuni, meno intenso nella
cooperazione intercomunale associativa legata alla gestione dei servizi pubblici, più intenso nella
cooperazione intercomunale federativa in cui il progetto è più esteso e complesso27.
Ciò considerato, si può asserire che le comunità urbane (communautés urbaines)
rappresentano le strutture più appropriate per svolgere un ruolo di amministrazione delle aree
metropolitane, dal momento che sono state concepite per governare agglomerati di almeno 500 mila
25
Da sottolineare che, nel contesto della cooperazione intercomunale francese, la forma più diffusa è quella degli
organismi pubblici di cooperazione intercomunale (Établissement public de coopération intercomunale – cd. Epci) che
hanno natura federativa e fiscalità propria. In questa categoria rientrano: la communauté de communes; la communauté
d’agglomeration (sopra i 50.000 abitanti); la communauté urbain (sopra i 500.000 abitanti); le communautés o
syndacats d’agglomération nouvelle (sottoposte ad un regime giuridico specifico). Le altre forme di cooperazione
intercomunale sono di natura associativa e non possiedono autonomia finanziaria, vi rientrano: i syndicats de
communes, i syndicats mixtes; le ententes, conventions e conférences intercommunales; i pays; l’agglomération; i
réseaux de villes.
26
Gli Établissement public de coopération intercomunale, come tutti gli enti pubblici, si reggono sui principi di
specialità e di esclusività. Il principio di specialità comporta che gli Epci possano intervenire solo nel campo delle
competenze che gli sono state espressamente trasferite e delegate secondo le regole fissate dal codice generale degli enti
locali (principio di specialità funzionale) e all’interno del loro perimetro territoriale (principio di specialità territoriale).
In applicazione del principio di esclusività, invece, gli Epci sono i soli a poter agire sulle competenze che gli sono state
trasferite, ma alcune di esse possono a loro volta delegarle mediante convenzione ad altri organismi intercomunali.
Parallelamente la creazione di un Epci comporta l’immediata cessazione delle funzioni dei Comuni sulle competenze
trasferite. Le determinazione delle competenze trasferite varia a seconda dell’Epci a cui possono essere attribuite solo
quelle proprie dei comuni membri.
27
M. GIGLI, Il sistema di cooperazione intercomunale in Francia, Osservatorio sulla Riforma amministrativa
della Regione Piemonte, 2008, 7 ss.
abitanti. Le competenze delle comunità si fondano su tre pilastri: a) un ruolo strategico di
pianificazione e contrattualizzazione, specie in materia territoriale e urbanistica; b) competenze
esclusive garantite dalla legge (trasporto pubblico, industria, servizi, artigianato, turismo…) o da
trasferimenti volontari da parte dei comuni aderenti o dello Stato e competenze condivise con i
comuni aderenti (sport, tempo libero, politiche abitative, cultura…).
Nel 2004 è stato riformato il Code Général des Collectivités Territoriales, il cui titolo IX è
dedicato all’intercomunalità, ribadendo peraltro i principi che ne caratterizzano la struttura e
l’impostazione regolativa, pur a fronte di una semplificazione del regime giuridico e fiscale degli
Epci, volto a favorire l’evoluzione verso strutture maggiormente integrate anche mediante
l’introduzione del meccanismo delle fusioni degli organismi sovracomunali.
Rispetto allo status quo sin’ora analizzato, la riforma del 2010 (legge 2010-1563), ispirata in
parte dai lavori del Comité Balladur, si è proposta alcune priorità per ridurre, semplificare e
razionalizzare la suddivisione amministrativa del territorio francese. In particolare: a) la creazione
di due “poli” amministrativi, regione e dipartimento da un lato, comuni e strutture intercomunali
dall’altro; b) la creazione di una nuova categoria di rappresentanti locali, i consiglieri territoriali,
espressi dalle collettività e che siederanno di volta in volta in Consiglio regionale o in Consiglio
generale (artt. 1-7), favorendo in tal modo il ravvicinamento tra il Dipartimento e la Regione. A sua
volta, la previsione dell’elezione a suffragio universale dei consiglieri comunitari che siedono in
seno ai consigli delle intercomunalità (art. 8-9) ha l’intento di favorire la collaborazione tra Comuni
e Intercomunalità; c) il completamento e la semplificazione della Carta dell’Intercomunalità al fine
di assicurare una regolamentazione uniforme dell’organizzazione intercomunale sull’intero
territorio nazionale entro il 31 dicembre 2013 (artt. 30-72); d) la creazione, attraverso un nuovo
meccanismo che facilita la fusione di comuni e i raggruppamenti di dipartimenti e regioni, di nuove
strutture locali in sostituzione di collettività territoriali preesistenti: in particolare, le metropoli
(sono previste 11 metropoli per le zone urbane con più di 500.000 abitanti), i poli metropolitani, i
nuovi comuni derivanti dalla fusione di comuni appartenenti ad uno stessa struttura intercomunale
(artt. 12-25), il raggruppamento di regioni (che dovrebbero passare da 22 a 15) o di dipartimenti su
base volontaria (artt. 26-29).
3. Le aree metropolitane
Accanto alle comunità urbane, Parigi, Marsiglia e Lione si possono annoverare tra le
collettività territoriali di diritto comune atipiche, in quanto sono rette dalla legge n. 82-1169 del 31
dicembre 1982 (cd. Legge PLM – Parigi, Lione, Marsiglia), come modificata dalla legge n. 2-276
del 27 febbraio 200228, che ha riformato lo statuto e l’organizzazione delle amministrazioni delle tre
città.
È principalmente con riferimento a queste realtà che si può parlare di aree metropolitane,
sebbene siano stati utilizzati diversi criteri per delinearle: da quello esclusivamente demografico29
alla combinazione con criteri funzionali, quali rilievo socio-economico, attrattività e prospettive di
sviluppo.
Sul piano istituzionale e in termini generali si è ritenuto di differenziare parzialmente la
regolamentazione dell’attribuzione di competenza alle metropoli, attraverso: a) il trasferimento di
un numero determinato di competenze esercitate dai comuni membri; criterio completato da b)
delegazione facoltativa alla metropoli di competenze detenute rispettivamente dai comuni membri,
dai dipartimenti e regioni coincidenti con l’area metropolitana.
Sul piano delle attribuzioni, anche in virtù delle altre esperienze europee, sono da considerare
di competenza delle istituzioni metropolitane le materie dello: a) sviluppo e pianificazione
economica, sociale e culturale dello spazio urbano; b) sviluppo urbanistico e delle reti dei trasporti;
c) gestione dei servizi di interesse collettivo; d) tutela dell’ambiente; e) organizzazione dei grandi
eventi30.
La legge n. 2010-1563 del 16 dicembre 2010, oltre a rendere obbligatoria l’appartenenza dei
comuni alle istituzioni intercomunali, ha istituito un nuovo livello di governo, posto al di sopra delle
Comunità Urbane, di Agglomerazione o di Comuni, les Métropoles31.
La riforma si propone l’obiettivo molto ambizioso di una profonda riorganizzazione
territoriale dello Stato (con rischi di “rottura” dei meccanismi tradizionali del sistema locale)
attorno a due poli: a) il polo dipartimento-regioni prevede la ridefinizione delle competenze tra
Dipartimenti e Regioni e l’elezione di un nuovo consigliere territoriale a partire dal 2014, eletto in
circoscrizioni modificate rispetto a quelle tradizionali dei Dipartimenti, sulle quali si è fondato il
sistema politico amministrativo centro/periferia; b) il polo comuni-intercomunalità, che si propone
di semplificare le istituzioni intercomunali esistenti mediante processi di fusioni e l’introduzione
delle Métropoles.
28
È possibile ricondurre i principali apporti della Loi P.M.L. lungo tre dimensioni: riarticolazione della città in
arrondissement (quartieri) dotati di consigli elettivi; delega di diverse competenze ai consigli; introduzione di nuovi
meccanismi di democrazia locale.
29
In questo senso il Comitato Balladur che, sulla base del criterio della popolazione residente, aveva individuato
ben 11 realtà, di cui 8 comunità cittadine (Lione, Lille, Marsiglia, Bordeaux, Tolosa, Nantes, Nizza e Strasburgo) e 3
comunità agglomerate (Rouen, Tolone e Reims).
30
C. LEFÈVRE, Governi metropolitani e governance nei paesi occidentali, in Problemi di Amministrazione
Pubblica, 1999, 3, 319-55.
31
AA.VV., Aggiornamento della ricerca “Gli enti locali nella transizione verso il federalismo”, Eupolis, Milano,
2013, 51 ss.
Si intende in tal modo costituire uno spazio di solidarietà per elaborare e condurre, in
connessione tra i diversi enti, un progetto di pianificazione e di sviluppo economico, ecologico,
educativo e culturale del territorio, al fine di migliorare la competitività e la coesione.
La nuova istituzione, che rientra nella categoria degli Epci, si pone l’obiettivo di raggruppare
una popolazione superiore a 500.000 abitanti (11 delle 16 Comunità Urbane possono ottenere lo
statuto di Métropole) al fine di aumentare la competitività internazionale delle grandi città e la
coesione territoriale nelle agglomerazioni metropolitane.
In questo contesto, vi è una prima innovazione da rilevare: entro il proprio territorio les
Métropoles sostituiscono le istituzioni intercomunali esistenti e potranno esercitare competenze
proprie (essenzialmente sviluppo economico, culturale e sociale del territorio) e delegate non solo
dai comuni, ma anche dai Dipartimenti, dalla Regione e dallo Stato.
La seconda innovazione riguarda il sistema di elezione del consiglio delle Métropoles. A
partire dalle elezioni amministrative del 2014 i consiglieri metropolitani dei comuni con
popolazione superiore a 3.500 abitanti saranno eletti, a suffragio universale diretto, nell’ambito
delle elezioni municipali. I rappresentati dei comuni più piccoli saranno invece eletti dai consigli
municipali com’è finora avvenuto per tutte le istituzioni intercomunali. Questa innovazione ha
inteso superare il problema del deficit di democrazia delle istituzioni intercomunali, che di fatto
deliberavano in materia di tributi locali su delega dei comuni.
Il finanziamento delle nuove Métropoles non presenta innovazioni significative rispetto alle
attuali istituzioni intercomunali a fiscalità propria.
Si può ora considerare la disciplina de iure condito relativa alle realtà di Parigi e Lione.
3.1. Parigi
Parigi, capitale dello Stato francese, è al tempo stesso Comune e Dipartimento e il relativo
territorio è diviso in circondari (arrondissement).
Il Consiglio comunale di Parigi cumula le funzioni di consiglio comunale e di Conseil
Gènéral per la città, presieduto quest’ultimo dal sindaco di Parigi. Le elezioni comunali si svolgono
su base circondariale. Ogni circondario elegge i suoi consiglieri circondariali (conseillers
d’arrondissement)32, di cui una parte diviene successivamente consigliere di Parigi. I consiglieri
circondariali eleggono i propri sindaci (Maire d’arrondissemement) una settimana dopo il voto
generale. Le elezioni amministrative parigine avvengono su due turni con un sistema misto che
32
La legge n. 2002-276 del 27 febbraio 2002 sulla democrazia locale ha rinforzato il ruolo dei consigli di
arrondissement, i quali hanno il compito di creare un nuovo organo di tipo consultivo: i consigli di quartiere.
coniuga proporzionale e maggioritario. Ogni circondario opera separatamente con una legislazione
ispirata a quella dei comuni francesi oltre i 3.500 abitanti.
Al Comune/Dipartimento spettano le funzioni tipicamente comunali, cui si aggiungono
competenze in materia urbanistica, alloggi, istruzione e sanità, edilizia locale, mentre gli
arrondissements hanno poteri consultivi e di proposta su urbanistica, insediamenti e dotazioni
infrastrutturali.
Nel contesto del rafforzamento di un più ampio progetto metropolitano, nel giugno del 2009 è
stata istituita, in forma di Syndicat mixte d’Etude33, su iniziativa volontaria degli enti locali che ad
essa hanno aderito34, Paris Métropole, ente strumentale allo sviluppo delle politiche dell’area
metropolitana. La legge n. 2010-597 si inserisce nell’ambito delle misure di attuazione della
revisione generale delle politiche pubbliche che, ha tra i suoi obiettivi, la modernizzazione delle
collettività territoriali e degli enti pubblici locali. La disciplina definisce la creazione della nuova
collettività territoriale del Grand Paris come un progetto di sviluppo sostenibile d’interesse
nazionale che unisce i grandi territori strategici della regione dell’Ile-de-France, comprensiva di
Parigi e del centro dell’agglomerato parigino, con l’intento di promuovere uno sviluppo economico
sostenibile, solidale e creatore di occupazione nella Regione-capitale. La creazione della nuova
collettività territoriale ha quindi l’obiettivo di ridurre gli squilibri sociali, territoriali e fiscali a
beneficio dell’insieme del territorio nazionale.
Il progetto del Grand Paris si appoggia sulla creazione di una rete di trasporto pubblico di
passeggeri il cui finanziamento è assicurato dallo Stato. La rete di trasporto si articolerà intorno a
“contratti di sviluppo territoriale” definiti e realizzati congiuntamente dallo Stato, dai comuni e dai
loro raggruppamenti; attraverso tali contratti di sviluppo territoriale si perseguirà anche l’obiettivo
di costruire ogni anno 70.000 nuovi alloggi nell’Ile-de-France, geograficamente e socialmente
integrati, contribuendo così alla gestione della espansione urbana sul territorio.
Si prevede inoltre la creazione della Société du Grand Paris con il compito principale di
concepire e di elaborare lo schema complessivo e i progetti infrastrutturali che comporranno la rete
di trasporto pubblico del Grand Paris.
Il progetto prevede l’istituzione, entro il 2016, di Métropole de Paris, che sarà governata da
un Consiglio, composto dal Sindaco di Parigi e dai presidenti delle nascenti strutture di
A cui ha fatto seguito l’istituzione della Nuova collettività territoriale del Grand Paris, costituita dalla legge n.
2010-597 del 3 giugno 2010. La creazione del Grand Paris ha l’obiettivo di ridurre gli squilibri sociali, territoriali e
fiscali a beneficio dell’insieme del territorio nazionale attraverso un progetto di sviluppo urbanistico, sociale ed
economico. Il progetto del Grand Paris ha comportato la designazione di un Segretario di Stato ad hoc, nonché la
definizione di un particolare regime giuridico in deroga ad alcuni principi del diritto urbanistico.
34
Vi hanno aderito 149 Comuni (su un totale di 1281 nella Regione dell’Ile de France), 45 associazioni
intercomunali, 8 dipartimenti, 1 regione. L’estensione/modifica del perimetro è sottoposta all’approvazione del Comitè
syndical, che approva con maggioranza qualificata dei voti espressi in ciascun collegio.
33
cooperazione intercomunale. Accanto a tale organo vi sarà una conferenza metropolitana con
compiti di coordinamento dell’azione pubblica di programmazione ed esecutiva in particolare con il
livello regionale. Attualmente Paris Métropole è diretta, in via transitoria, da un organo triadico,
composto dal Presidente, dal Comitè Syndical e dal Bureau. Tale organismo, pur non avendo
attribuzioni e competenze definite formalmente dalla legge, ha individuato quattro obiettivi
prioritari di lavoro, sia a sfondo strategico che operativo: «développement et solidarité,
déplacements, logement et projets métropolitains», ossia sviluppo, mobilità, casa e progetti di
rilevanza metropolitana35.
Quanto infine alle risorse, esse derivano direttamente dalle quote versate dagli enti aderenti,
secondo un meccanismo di ponderazione basato sulle capacità finanziarie dei membri.
3.2. Lione
Con una popolazione totale al primo gennaio 2012 di 1.302.232 abitanti la Comunità urbana
di Lione36 è la prima delle 15 comunità urbane francesi e comprende 58 comuni. Il comune di Lione
ha una popolazione di 479.803 abitanti e l’area metropolitana di Lione comprende 2.142.732
abitanti.
Lione ha così dato vita ad un’unità sovra-comunale, la Courly (Comunità urbana di Lione),
che comprende, oltre ai predetti 58 comuni, anche altri 16 comuni esterni che sono associati al
progetto agglomerativo partecipando al Sepal (Syndacat Intercommunal d’Etudes et de
Programmation). In tal modo le piccole città hanno trovato così la strada di una cooperazione
allargata, pur non priva di tensioni con il comune capoluogo.
35
Per ulteriori approfondimenti si veda la scheda di lavoro su Parigi, a cura di VALERIA FEDELI, presentata al
Convegno internazionale “Milano: cantiere della Città Metropolitana. Una prospettiva internazionale”, promosso dal
Comune di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, in
data 22.03.2013; B. POUJADE, L’area metropolitana come ulteriore livello di governo nell’esperienza francese, in G.F.
FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le istituzioni metropolitane nei paesi occidentali, Il Mulino,
Bologna, 2010, 101 ss.; C. LEFEVRE, L’Ile de France e il governo delle grandi città Francesi, in C. MARIANO,
Governare la dimensione metropolitana. Democrazia ed efficienza nei processi di governo dell’area vasta, Franco
Angeli, Milano, 2010, 119 ss.
36
Per quanto riguarda l’area metropolitana di Lione, il caso rappresenta la soluzione più hard nel contesto
francese: la Communauté urbaine di Lione è stata istituita con legge nazionale nel 1966, è dotata di competenze
amministrative in diversi settori, di cospicue risorse finanziarie, di un apparato tecnico e amministrativo commisurato ai
compiti che gli sono attribuiti. Nel 2012 è nato il Polo metropolitano, che riunisce quattro agglomerazioni dell’area
lionese (Lione, Saint Etienne, ViennAglo e Porte de l’Isere). La sua creazione è il risultato, da un lato, di politiche
avanzate dal governo centrale (in particolare attraverso la legge 1563/2010, che incentiva la creazione di Poli
Metropolitani nelle zone urbane con più di 500.000 abitanti), dall’altro di una crescente consapevolezza sul valore
aggiunto della cooperazione intercomunale, maturata nelle principali sedi di confronto tra gli attori dell’area
metropolitana (l’Association Région Urbaine de Lyon, l’Agence d’urbanisme de Lyon, il Syndacat Mixte d’Études et de
Programmation de l’Agglomération Lyonnaise) anche grazie ad alcune esperienze di pianificazione strategica (Lyon
2020, lo Schéma de Cohérence Territorial, l’Inter-SCOT promosso dall’Agence d’urbanisme).
Anche l’area di Lione, per caratteristiche sociali, urbanistiche ed economiche, è quindi un
agglomerato (o una conurbazione) che per i vari servizi dipende dalla città che ne è fulcro ed è
caratterizzata dall’integrazione delle funzioni e dall’intensità dei rapporti che si realizzano al suo
interno, relativamente ad attività economiche, servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle
relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.
Prendendo l’esempio di Lione, si può asserire che è difficile individuare un chiaro confine
dell’area metropolitana basandosi esclusivamente sulle interazioni economiche e sulla rete dei
trasporti che collegano tra loro i diversi ambiti urbani, tuttavia, come spesso accade37, proprio
l’esistenza di forti interazioni tra le diverse parti che compongono l’area metropolitana, obbliga le
amministrazioni locali a delegare parte delle proprie competenze ad un istituzione centrale che
supera gli ambiti locali al fine di garantire una corretta gestione dell’area metropolitana in alcuni
settori specifici. Ed è quindi, considerando anche tali reti funzionali, che è possibile descrivere e
delimitare l’area metropolitana.
Si consideri inoltre che le Comunità urbane sono tributarie di 19 funzioni obbligatorie,
definite dalla legislazione nazionale, raggruppate in sei competenze generali, avendo
essenzialmente responsabilità sui servizi a rete, viabilità, trasporti, urbanistica, viabilità, parcheggi,
valorizzazione dei rifiuti, distribuzione e depurazione dell’acqua.
La missione principale che connota anche l’agglomerato di Lione, è di costruire un progetto
unitario di sviluppo e governo del territorio definito in maniera autonoma rispetto ai comuni, ma
congruente con l’interesse comunitario.
La Comunità urbana di Lione gestisce, in tal senso, la politica fondiaria, le politiche
urbanistiche ed i grandi progetti urbani e di valorizzazione ambientale, considerati determinanti per
il futuro dell’agglomerazione.
L’azione della Comunità si concentra in più su quattro settori economici principali (terziario,
commercio, turismo, in particolare d’affari, funzioni logistiche), svolgendo un ruolo di
coordinamento dei siti considerati prioritari per realizzare l’interesse metropolitano, attraverso
interventi nella gestione delle attività industriali e terziarie (fiere ed esposizioni) e delle
infrastrutture di trasporto.
37
Cfr. i casi della Germania, in particolare la Metropolregion Mitteldeutschland e della Spagna, in particolare
l’area metropolitana di Valencia.
4. La riforma del 2014
In data 27 gennaio 2014 è stata approvata dall’Assemblea nazionale la legge n. 2014-58 “de
modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles”, che, nell’apportare
modifiche sostanziali al Code général des collectivités territoriales, rende automatica la
trasformazione in metropoli delle unioni di comuni con più di 400 mila abitanti a due condizioni: a)
se si trovano al centro di un’area urbana di più di 650 mila abitanti; b) se sono dei capoluoghi
regionali.
Queste città metropolitane si andranno a sostituire alle unioni municipali esistenti, disponendo
di ampie competenze in diversi campi (sviluppo economico, trasporti, programmazione urbanistica,
ambiente, servizi idrici…) e venendo dotate di risorse proprie tramite l’attribuzione di autonomo
gettito fiscale.
La legge intende quindi consolidare le dinamiche urbane e propone a questo fine l’adozione di
statuti metropolitani differenziati per i grandi agglomerati francesi, in grado di adattarsi alle
esigenze delle singole realtà. Il livello di integrazione metropolitana non è omogeneo in tutti i
territori interessati, per cui sotto l’etichetta Métropole si celano diversi modelli di governo delle
grandi aree urbane che vanno dall’ente pubblico sino alla creazione di nuove collettività territoriali
a statuto speciale.
La riforma, oltre a prevedere la creazione di metropoli di diritto comune, definisce uno statuto
speciale e distinto per gli agglomerati di Parigi, Lione e Marsiglia.
L’art. 12 della legge completa il Codice delle collettività territoriali con l’istituzione a partire
dal 1° gennaio 2016 della metropoli di Parigi, ente pubblico sottoposto al regime dei sindacati misti,
composto dalla città di Parigi e dalle Epci a fiscalità propria costituenti l’area urbana circostante.
La metropoli di Parigi si vede attribuire vaste funzioni e competenze, dalla pianificazione
urbana alla politica della casa sino a quella ambientale.
Parigi verrebbe amministrata da un consiglio metropolitano, composto dal sindaco di Parigi e
dai presidenti delle Epci, il quale sarebbe assistito da tre organi (una conferenza metropolitana,
un’assemblea dei sindaci e un consiglio di sviluppo), con il compito di facilitare il dialogo con la
regione, il dipartimento dell’Ile de France e con i sindaci del perimetro della metropoli.
La metropoli di Lione, nella legge, si proporrà invece come primo modello della governance
metropolitana, venendo istituita dal 1° aprile 2015 sotto forma di nuova collettività territoriale
creata in applicazione dell’art. 72 Cost.
La strada imboccata nel caso di Lione è intimamente legata al contesto locale, caratterizzato
da un rapporto equilibrato fra città e periferia, da una lunga collaborazione tra i comuni circostanti e
la città capoluogo e da un unanime volontà politica di portare a compimento il progetto.
La metropoli di Lione sarà dunque formata per fusione delle Epci a fiscalità propria esistenti
nel dipartimento, il quale ultimo perderà le sue competenze a favore del governo metropolitano. Si
tratta di un esempio di notevole adattamento delle strutture locali alle caratteristiche del territorio e
al contempo un esercizio efficiente di semplificazione dell’amministrazione locale tramite la
soppressione di uno dei livelli di governo (il dipartimento) a favore di un rapporto diretto tra
metropoli e comuni.
La metropoli avrà come obiettivo d’elaborare e condurre un progetto di pianificazione e di
sviluppo economico, ambientale, culturale e sociale del suo territorio al fine di migliorare la
competitività e la coesione.
Sul piano istituzionale, si prevede che i consiglieri metropolitani verranno eletti a suffragio
universale diretto, nelle condizioni prescritte dalla legge elettorale che dovrà essere appositamente
predisposta.
Il Consiglio metropolitano comprenderà tra 150 e 180 componenti, eletti sulla base di una
divisione del territorio in circoscrizioni delineate su base demografica.
La legge sancisce che, a fianco del Presidente e del Consiglio metropolitano, vengano
obbligatoriamente istituite conferenze territoriali dei sindaci che svolgeranno una funzione
consultiva nell’elaborazione e implementazione delle politiche metropolitane.
Ulteriore strumento di raccordo tra centro e periferia è rappresentato dalla Conferenza
metropolitana che verrà a rappresentare un’istanza di coordinamento tra la metropoli e i comuni
situati entro il suo territorio. Tale Conferenza dovrà proporre un progetto di patto di “coesione
metropolitana” in grado di definire una strategia volta a ripartire le deleghe di competenza tra
metropoli e comuni riguardo le materie attribuite alla competenza metropolitana.
L’area di Marsiglia – Aix en Provence non presenta la stessa uniformità dell’agglomerato
urbano che esiste per Parigi o Lione, né sotto il profilo urbanistico, né in termini sociali. La
comunità metropolitana di Marsiglia si caratterizza per l’incapacità di dare spazio ad uno sviluppo
sociale ed economico dell’agglomerato, stante le dinamiche di de-industrializzazione e faticosa
terziarizzazione, il posizionamento delle infrastrutture portuali e la scarsa valorizzazione delle
risorse locali. A queste problematiche si aggiunge anche la frammentazione e i dissidi tra le diverse
amministrazioni locali, il che ha convinto il governo a prevedere che la metropoli di Marsiglia
assuma la forma di Epci a fiscalità propria entro il 1 gennaio 2016, risultante dalla fusione delle sei
istituzioni intercomunali esistenti. Quanto al suo modello di governance si è ideata una sorta di
possibile decentramento, attribuendo al Consiglio metropolitano, a cui sono attribuite le vecchie
competenze delle comunità territoriali, la facoltà di delegare determinate sue attribuzioni – salvo
quella strategiche – ad una struttura intermedia tra comuni e metropoli: il consiglio di territorio.
Un ultima considerazione va fatta riguardo la disciplina delle metropoli di diritto comune, che
rappresentano nient’altro che la trasformazione d’autorità in tale nuovo ente, a partire dal gennaio
2015, degli Epci a fiscalità propria con una popolazione tra i 400 mila e i 650 mila abitanti.
Saranno così interessate dalla riforma le comunità di Tolosa, Lille, Bordeaux, Nizza, Nantes,
Strasburgo, Grenoble, Rennes e Rouen.
Due altri agglomerati, Montpellier e Brest, potranno egualmente trasformarsi in metropoli,
previo consenso dei 2/3 dei comuni membri dell’attuale Epci, che rappresentino almeno metà della
popolazione, sulla base di due criteri alternativi: a) che si tratti di Epci a fiscalità propria con
popolazione alla data della creazione delle metropoli di almeno 400 mila abitanti nel perimetro nel
quale si trova la città capoluogo (è il caso di Montpellier); b) che si tratti di Epci a fiscalità propria
che si trovano al centro di una zona con più di 400 mila abitanti e che eserciti già le competenze che
dovranno essere trasferite dai comuni alle metropoli.
Sulle piano della ripartizione delle competenze previste dalla riforma, si deve segnalare che le
metropoli verranno ad assorbire gran parte delle funzioni prima svolte dai comuni, salvo possibilità
di successiva delega sussidiaria a favore di questi ultimi.
In particolare le metropoli avranno competenza:
1) In materia di sviluppo e pianificazione economica, sociale e culturale:
-
Creazione, pianificazione e gestione delle zone industriali, commerciali, del terziario e
dell’artigianato, oltre che del settore turistico e della mobilità
-
Azioni di sviluppo economico e partecipazione alla formazione di poli di sviluppo
economico e tecnologico, anche mediante concessione di capitali pubblici
-
Costruzione e pianificazione di equipe culturali, sociali ed educative per affrontare i
problemi metropolitani
-
Promozione del turismo
-
Programmi di sostegno ed aiuto agli istituti di insegnamento superiore e di ricerca e a
programmi di innovazione, tenendo conto delle competenze regionali in materia
2) In materia di pianificazione dello spazio metropolitano:
-
Previsione di un progetto di governo del territorio e di schemi di settore; verifica dei
piani locali di sviluppo urbano al fine del coordinamento con le opere di interesse
metropolitano; azioni volte alla valorizzazione del patrimonio naturale e paesaggistico
-
Organizzazione della mobilità
-
Creazione, pianificazione e manutenzione degli spazi pubblici di decentramento urbano
-
Pianificazione e partecipazione al governo dei nodi di interconnessione dei trasporti
-
Pianificazione e creazione di reti infrastrutturali per le telecomunicazioni
3) In materia di politica locale dell’abitazione:
-
Organizzazione di programmi sociali di edilizia
-
Coordinamento, implementazione e finanziamento di politiche per l’edilizia
-
Definizione di programmi per il risanamento del patrimonio edilizio pubblico
4) In materia di politiche urbane:
-
Previsione di dispositivi contrattati di sviluppo urbano e di sviluppo locale
-
Programmazione di azioni per la prevenzione della criminalità e per la definizione di
politiche della sicurezza
5) In materia di gestione dei servizi di interesse collettivo:
-
Programmazione e gestione del servizio idrico
-
Programmazione e gestione dei servizi cimiteriali
-
Programmazione e regolamentazione dei mercati e delle fiere di rilievo nazionale
-
Programmazione e finanziamento dei servizi di soccorso ed anti-incendio
6) In materia ambientale e di politiche della qualità della vita:
-
Programmazione della gestione dei rifiuti
-
Politiche di prevenzione o riduzione dell’inquinamento dell’aria/acqua
-
Programmazione e incentivo alla transizione energetica
-
Adozione del piano climatico-energetico metropolitano
-
Concessione della distribuzione dei servizi elettrici e del gas
-
Concessione e manutenzione delle infrastrutture urbane e metropolitane
Al di là delle competenze elencate, si deve rammentare che le metropoli potranno usufruire di
una “chiamata in competenza” nei confronti dello Stato, dei Dipartimenti o delle Regioni in
relazione a determinate materie incidenti su questioni metropolitane, in maniera tale da giocare un
ruolo strategico sul suo territorio.
Detto questo, la legge deve essere ancora implementata, e comunque, la prova della
sostenibilità dei suoi ambiziosi obiettivi vi sarà solo al momento della sua concreta attuazione,
anche se essa già offre spunti interessanti per risolvere problemi che interessano anche la riforma
del nostro ordinamento degli enti locali.
4.1. La metropoli di Grand Paris
La metropoli di Grand Paris, come descritta nella riforma, è una istituzione pubblica di
cooperazione intercomunale a fiscalità propria (Epci) a statuto particolare.
Dal 1 gennaio 2016, 124 comuni, fra cui Parigi, saranno di fatto inclusi nel perimetro della
metropoli, mentre altri 43 comuni limitrofi potranno successivamente integrarsi nel nuovo ente.
In totale la metropoli di Grand Paris avrà una popolazione di 6,7 milioni di abitanti, oltre la
metà di quelli della regione dell’Ile de France.
Obiettivo della creazione di questo nuovo soggetto istituzionale è quello di rispondere in
modo più efficace alle disparità territoriali presenti nella regione parigina. La metropoli di Grand
Paris è quindi volta alla definizione e alla messa in opera di azioni metropolitane atte a migliorare il
quadro di vita dei cittadini della fascia urbana, a ridurre le diseguaglianze, in termini di risorse e
servizi, tra i territori che la compongono, a sviluppare un modello urbano, sociale ed economico
duraturo.
Per perseguire tali fini, la metropoli si vede conferire dalla legge delle competenze strategiche
che la stessa eserciterà in luogo e al posto dei comuni membri e che concernono essenzialmente: a)
lo sviluppo e la pianificazione del territorio; b) la politica locale dell’edilizia; c) la politica urbana;
d) lo sviluppo e la pianificazione economica e sociale.
Entro le suddette competenze, la metropoli funzionerà in una logica di concentrazione del
potere e della decisione politica, attraverso il Consiglio metropolitano e il suo Presidente. Tuttavia,
in termini di azione sussidiaria, la legge prevede la creazione di un soggetto giuridico intermedio: il
Consiglio territoriale, con funzioni di amministrazione, su delega della metropoli, di un perimetro
geograficamente contenuto, raggruppante non più di 300 mila abitanti (denominato territorio)
Le competenze esercitate dalle Epci, sino al dicembre 2015, così come le loro risorse umane e
finanziarie, verranno integralmente assorbite alla metropoli. È da notare che le attribuzioni
metropolitane rappresentano comunque una parte minimale delle competenze in precedenza
attribuite agli Epci e comunque la metropoli dovrà calibrare i propri programmi e azioni in
relazione agli orientamenti delle politiche regionali.
È proprio per tale motivo che solo l’attuazione della riforma potrà chiarire a chi spetteranno le
competenze “orfane”, prima affidate agli Epci, le quali, in assenza di una attribuzione esplicita alle
metropoli, torneranno nelle mani dei comuni.
L’aspetto fiscale sarà infine cruciale per definire il successo o il fallimento della riforma, in
un contesto ampio come quello parigino, laddove non è detto che l’assorbimento delle sole risorse
prima introitate dagli Epci sarà sufficiente alla metropoli per la gestione delle competenze e dei
correlati servizi affidati dalla legge.
Germania: un modello policentrico
1. Alla ricerca delle Città metropolitane nell’ordinamento federale tedesco
Nello studio delle città metropolitane nella Repubblica Federale di Germania è necessario
avere bene presente un dato preliminare di fondamentale importanza: non esiste un ente locale nel
diritto tedesco che risponda alla definizione di “città metropolitana”.
A fronte di tale osservazione il giurista non deve «perdersi nella foresta degli enti, ben
sapendo che essi non si adottano come le persone fisiche e non si clonano che le biotecnologie
giuridiche»38 né è tenuto ad individuare somiglianze dove non ve ne sono solo per dovere
d’ufficio39.
Se, dunque, la Città metropolitana non appartiene al diritto positivo tedesco, resta interessante
ricostruire la disciplina delle grandi città ed i relativi strumenti a disposizione del diritto pubblico.
In quanto Paese popoloso e geograficamente esteso, la Germania conta molti agglomerati urbani di
dimensioni importanti, tra cui una delle città più densamente abitate del continente, Berlino, e una
delle città non capitali più popolose, Amburgo. L’assenza di uno specifico ente locale conduce ad
una pluralità di forme di governo delle città che costituisce in sé un modello peculiare.
Il quadro al cui interno si muove la ricostruzione delle Città metropolitane – nel significato
inteso finora nel presente studio, che in Germania è forse più corretto ricondurre alla Regione
metropolitana – è quello di una Repubblica la cui forma di Stato, come noto, è quella federale, in
cui lo Stato centrale (la federazione, Bund) è formato dai 16 Stati federati (Länder).
Il contesto storico vede la compresenza di istituzioni centrali forti e autonomie altrettanto
significative sul piano locale, sia in una dimensione che si potrebbe definire “regionale” e che,
dunque, riguarda la nascita e lo sviluppo di molti Stati sufficientemente estesi, ciascuno
indipendente e sovrano, che saranno i futuri componenti dello Stato federale; sia in una dimensione
più propriamente “municipale”, di autogoverno delle singole città risalente ad una tradizione che
appartiene già al periodo medievale. A questo proposito, si può parlare di un modello di governo
locale nordico-mitteleuropeo che trova applicazione nei Paesi di lingua tedesca, Germania, Austria
38
J. LUTHER, Le regioni metropolitane tedesche, in G.F. FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le
istituzioni metropolitane nei Paesi occidentali, cit., 118.
39
Cfr. par. conclusioni dialettiche.
e Svizzera, così come nei Paesi scandinavi, sia pure con alcune distinzioni che lasciano spazio alla
configurazione di due modelli interconnessi ma differenti40.
Per quanto riguarda specificamente la Germania, l’organizzazione degli enti locali è
strettamente connessa all’impianto federale. Scendendo dal generale al particolare, i livelli di
governo sono così enucleabili: vi è il Bund, poi ciascun Land e, all’interno di questo, vi è una
sostanziale differenziazione tra aree urbane e aree non urbane. Nelle aree rurali vi sono i Distretti
(Kreise) e i Comuni (Gemeinden): i primi, nonostante siano funzionalmente simili alle province
italiane, esistono in quanto associazioni di comuni41, mentre un poco più di un centinaio di centri
urbani costituiscono kreisfreie Städte, ovvero per questi enti il livello del distretto non esiste e tutte
le funzioni sono esercitate da un unico livello di governo, quello cittadino42.
Non deve trarre in inganno l’eventuale dignità di Città (Stadt) acquisita da un qualsiasi
Comune. Su 11.000 Comuni, poco più di 2.000 hanno lo status di Città, ma l’ampio numero lascia
intendere che tra essi si annoverino anche centri poco popolosi o relativamente poco popolosi. In
questo caso, le Città appartengono comunque ai Distretti43.
Questa bipartizione (o tripartizione, se si differenziano i Comuni dalle Città inserite nei
Distretti) è significativa soltanto sotto il profilo amministrativo della distribuzione delle
competenze: posto che ai Comuni spetta la generalità delle funzioni amministrative, l’esercizio in
forma associata – nelle varie tipologie di associazioni, Distretti compresi – cambia l’aspetto
concreto ma non la sostanza delle attribuzioni.
Con riferimento alla disciplina costituzionale, l’art. 28 della Costituzione federale
(Grundgesetz) prevede che «nei Länder nei Distretti e nei Comuni il popolo deve avere una
rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete» (§ 1).
Nel caso in cui i Comuni siano di dimensioni ridotte, la Costituzione prevede che l’organo
elettivo possa essere sostituito dall’Assemblea dei cittadini (Gemeindeversammlung), ipotesi
comunque residuale anche considerata l’opera di concentrazione degli enti locali attuata sin dagli
anni ’70 (e di nuovo con intensità negli anni ’90 relativamente ai Länder dell’ex DDR).
Ai sensi del § 2 dell’art. 28 GG «ai Comuni deve essere garantito il diritto di regolare, sotto la
propria responsabilità, tutti gli affari della comunità locale nell’ambito delle leggi». La Costituzione
40
M. MAZZA, Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra i sistemi di
amministrazione (o governo) locale, in Ist. Fed., 2012, 4, 832 e 846 ss.
41
J. WOELK, La cooperazione inter-municipale in Germania: alla ricerca di un equilibrio fra autonomia ed
efficienza, in Ist. Fed., 2012, 4, 549 ss.
42
Si utilizzerà la traduzione letterale di città senza distretto, anche per coerenza con la traduzione di Kreis come
distretto, invece di equivalenti definizioni quali città extracircondariale.
43
Si distingue dunque tra Comuni inseriti nei Distretti (kreisangehörige Gemeinden), Città inserite nei Distretti
(kreisangehörige Städte) e Città senza Distretto (kreisfreie Städte), anche se la differenza è tra i primi due è solo
formale.
si preoccupa anche di garantire alle forme di associazione tra Comuni (Gemeindeverbände) «il
diritto all’autonomia amministrativa nei limiti delle competenze loro attribuite dalle leggi».
Ai sensi delle citate norme costituzionali, i Comuni costituiscono la base della “piramide”
amministrativa, cui è garantita l’amministrazione autonoma (Selbstverwaltungsgarantie)44. Insieme
ai comuni, la Costituzione stessa cita le associazioni o consorzi di Comuni, di cui i Distretti sono
un’espressione.
Le forme associative tra comuni assumono particolare importanza nel diritto degli enti locali
in Germania e sul punto si tornerà entro breve.
Tornando alla disciplina dettata della legge fondamentale, le norme che si sono elencate
rappresentano le sole previsioni costituzionali relative agli enti locali45. Ogni competenza legislativa
sul punto è rimessa alla competenza legislativa dei singoli Länder. Per tale ragione, non esiste in
Germania un corpus normativo unitario relativo al diritto degli enti locali. Ogni Land ha la propria
legislazione e, nonostante il federalismo cooperativo che caratterizza il Paese faccia in modo che le
diverse normative convergano su determinati modelli, le differenze non solo non si annullano, ma
permangono sufficienti difformità da rendere onerosa la trattazione del diritto degli enti locali in
Germania senza indulgere in semplificazioni eccessive46.
Quanto commentato tralascia un elemento importante relativo alle città. Si sono finora
enucleate due categorie di città: i Comuni aventi tale dignità e le Città senza distretto, con la
specificazione che entrambe le categorie comprendono centri urbani anche relativamente poco
popolosi. Accanto a queste tipologie di ente ne deve essere individuato un terzo, ovvero le CittàStato, ovvero i Länder che comprendono il territorio di una sola grande città.
Secondo la dottrina essa è scomponibile in tre momenti distinti: la garanzia dell’esistenza come tipologia di
ente (tale per cui la legge ordinaria non può sopprimere i Comuni ma soltanto modificarne la disciplina ed,
eventualmente, metterne in discussione l’esistenza come singolo ente, nel caso di fusioni, soppressioni o modifiche
territoriali); la garanzia oggettiva di istituzione giuridica, che riguarda la responsabilità degli affari amministrati
dall’ente locale e infine la garanzia soggettiva di attivare il ricorso in via giurisdizionale avanti il Tribunale
costituzionale federale. V. più ampiamente sul punto, A. DI MARTINO, La cooperazione tra Comuni in Germania, in
www.amministrazioneincammino.it, 13.
45
Con la parziale eccezione della norma secondo la quale i Comuni, dopo aver esaurito i ricorsi a livello
regionale, hanno diritto di ricorrere direttamente e individualmente al Tribunale costituzionale federale (art. 93, § 1, n.
4b GG).
46
Sia consentito rinviare a R. BIFULCO, R. MICCU, Poteri locali e complessità istituzionale nel federalismo
tedesco, in V. ATRIPALDI (a cura di), Il governo delle aree metropolitane, Napoli, Esi, 1993, 163 ss.; J. LUTHER,
L’organizzazione costituzionale e amministrativa, in AA.VV., Il governo locale in Francia, Gran Bretagna, Germania,
Archivio ISLE n. 8, Milano, 1998, 323 ss.; F. PALERMO, Germania ed Austria. Modelli federali e bicamerali a
confronto, Trento, 1997, 63 ss.; F. PALERMO, J. WOELK, Il riordino territoriale dei Comuni in Germania, in
Amministrare, 3, 2001, 423 ss.
44
Dei 16 Länder che costituiscono lo Stato federale, 13 sono Stati aventi estensione territoriale
(Flächenländer) e 3 Città-Stato, ovverosia Berlino (Land Berlin), Amburgo (Freie und Hansestadt
Hamburg) e Brema (Freie Hansestadt Bremen)47.
Le Città-Stato hanno un regime giuridico particolare in quanto i livelli di amministrazione che
si sono descritti si concentrano in un unico ente e, al contrario di tutti gli altri enti che hanno il titolo
di città, la loro rilevanza è resa evidente dal loro stesso status.
Ecco dunque che si rinvengono alcune ben determinate città tedesche aventi un regime
giuridico diverso dalle altre. Quanto al resto del territorio, il modello è autenticamente policentrico
nelle forme che ci si appresta a descrivere.
2. Le Metropolregionen
È il dato socio-economico, non disgiunto da quello storico, a configurare quali siano le grandi
città della Germania e quali, tra queste, presentino quei problemi e quelle caratteristiche cui si
accennava nel paragrafo introduttivo che valgono la qualificazione, di fatto prima ancora che di
diritto, di Città metropolitane.
La specificazione, scontata d’abitudine, serve a precisare che il percorso giuridico del diritto
pubblico tedesco non è volto tanto alla creazione di Città metropolitane quanto alla configurazione
di grandi ambiti territoriali, vere e proprie “regioni” metropolitane (Metropolregionen) che coprono
aree molto vaste e non di rado differenziate al loro interno48.
Dal punto di vista giuridico, alla base della creazione delle Regioni metropolitane vi sono le
risoluzioni delle conferenze dei ministri per la pianificazione territoriale 49: da ultimo, è da segnalare
la risoluzione del 28 aprile 2005.
47
Per quanto riguarda Brema, il Land è costituito da due nuclei urbani che corrispondono a due distinte
municipalità: Brema e Bremerhaven. Le due città non sono confinanti, essendo Bremerhaven a circa 60 km dal
capoluogo, sulla costa del Mare del Nord. Il Land si considera abitualmente come una Città-Stato in quanto
Bremerhaven (lett. Porto di Brema) è una città fondata solo nel 1827 su dei terreni appositamente acquistati dalla città
di Brema per sopperire al progressivo insabbiamento del porto fluviale della città anseatica.
48
U. SCHLIESKY, Stadt-Umland Verbände, in T. MANN, G. PÜTTNER (Hrsg.), Handbuch der kommunalen
Wissenschaft und Praxis. 3. Aufl., Bd. 1. Berlin, 2007, 874 ss.; W. HEINZ, Inter-Municipal Cooperation in Germany:
the Mismatch between Existing Necessities and Suboptimal Solutions, in R. HULST, A. VAN MONTFORT (Hrsg.), InterMunicipal Cooperation in Europe, Dordrecht, 2007, 94 ss.; A. PRIEBS, K.A. SCHWARTZ, Stadtverband-StadtkreisRegionalverband. Zur Reform der Verwaltungsstrukturen in Großraum Saarbrücken, in DÖV, 2008, 61, 45-53; D.
FÜRST, Regional Governance, in A. BENZ, S. LÜTZ, U. SCHIMANK, G. SIMONIS (Hrsg.), Handbuch Governance.
Theoretische Grundlagen und empirische Anwendungsfelder, Wiesbaden, 2007, 353–366; F. WALTER, Metropolitan
Governance in Germany. Comparing the Regions of Stuttgart and Hannover, GRIN, 2003.
49
Beschluss
der
Ministerkonferenz
für
Raumordnung
vom
28.
April
2005,
in
http://www.metropolregionnuernberg.de/fileadmin/metropolregion_nuernberg_2011/07_service/02_downloads/01_grun
dlagenpapiere/Beschluss_MKRO_280405.pdf
Le forme associative tra enti locali che si commenteranno coprono in diversi casi più città tra
loro vicine dove non sempre il rapporto centro-periferia è univoco, ma dove si sovrappongono
conurbazioni policentriche al loro stesso interno, e non solo in rapporto alla nazione nel suo
complesso.
Le Metropolregionen della Germania sono le seguenti: Berlin-Brandenburg, BremenOldenburg, FrankfurtRheinMain, Hamburg, Hannover, Mitteldeutschland, München, Nürnberg,
Rhein-Neckar, Rhein-Ruhr, Stuttgart.
Le Regioni metropolitane costituiscono delle forme associative di diversa tipologia a seconda
se gli enti locali che partecipano appartengano o meno allo stesso Land.
In via generale, si è già detto che le associazioni tra i Comuni godono di copertura
costituzionale e sono sempre state favorite dall’ordinamento nell’assunzione che l’esercizio in
forma associata delle funzioni attribuite ai Comuni ne aumenti l’efficienza. Gli strumenti giuridici
con cui si realizzano le associazioni sono sia di tipo privatistico che pubblicistico50. I Comuni,
abitualmente nell’ambito della legislazione di ciascun Land, possono costituire società per azioni,
oppure associazioni di diritto privato. La cooperazione nelle forme del diritto pubblico, invece, è
dettata da specifiche leggi degli Stati federati51. La stessa flessibilità nella gestione dell’assetto
giuridico è riconosciuto anche alle associazioni tra enti locali che rappresentino grandi città.
Il numero ridotto delle Regioni metropolitane consente una ricognizione più dettagliata per
ciascuna:
1. - Hauptstadtregion Berlin-Brandenburg. All’indomani della riunificazione della Germania
vi fu la creazione di cinque nuovi Länder che entrarono a far parte della Repubblica Federale. Tra
questi, il Land Brandeburgo e il Land della Città capitale di Berlino, che geograficamente è situato
al centro del Brandeburgo. La successiva spinta verso l’aggregazione e la fusione degli enti locali
nell’ex Germania Est portò al progetto di un unico Land. Il progetto venne approvato dai Parlamenti
degli Stati, ma, poiché ai sensi della Costituzione (art. 118a) è necessario lo svolgimento di una
consultazione popolare, il referendum (rectius: i due referendum contestuali) svoltosi il 5 maggio
1996 ha dato risultato contrario alla fusione. Pertanto, la collaborazione tra i due Länder prosegue
con strumenti diversi.
La forma della collaborazione tra più di un Land è quella del trattato, coerentemente con il
carattere federale della Repubblica. Nel caso della Regione metropolitana della capitale, si contano
non meno di 27 diversi trattati di collaborazione52 riguardanti svariati ambiti: la radiodiffusione; i
50
J. WOELK, La cooperazione, cit., 561 ss.
Per una ricognizione della legislazione bavarese, J. WOELK, La cooperazione, cit., 563 ss.;
52
La cui lista è reperibile nel sito ufficiale della Regione metropolitana http://www.berlinbrandenburg.de/politik-verwaltung/dokumente/staatsvertraege/index.html
51
trasporti (compresa la creazione di un’apposita società per la gestione aeroportuale); la creazione di
un’apposita fondazione per la gestione dei castelli e dei parchi; il settore della previdenza sociale;
gestione congiunta di laboratori ed accademie (Akademie der Wissenschaften, Landeslabors BerlinBrandenburg), della pianificazione territoriale o la gestione della struttura penitenziaria di
Heidering.
Si segnala in particolare la collaborazione in materia di esercizio del potere giurisdizionale:
essa è forse il lascito più significativo del tentativo di fusione tra i due Länder e ha comportato la
creazione di quattro corti aventi giurisdizione sull’intero territorio della Regione metropolitana. L’
Oberverwaltungsgericht Berlin funge da tribunale amministrativo d’appello sui ricorsi contro le
sentenze e le decisioni dei tribunali amministrativi oppure da tribunale amministrativo di primo
grado contro determinate tipologie di decisioni pubbliche53. A tale corte si aggiungono il tribunale
regionale del lavoro (Landesarbeitsgericht Berlin-Brandenburg), il tribunale regionale sociale
(Landessozialgericht Berlin-Brandenburg), competente in materia di assicurazioni, pensioni,
indennità, ecc., nonché la Commissione tributaria (Finanzgericht Berlin-Brandenburg),
quest’ultima competente in tema di vertenze tributarie e doganali.
La cooperazione nella regione metropolitana capitale, come si vede, pur essendo molto estesa
e intensa, non si focalizza su singoli centri decisionali, ma sfrutta un’ampia gamma di strumenti
giuridici, che vanno da quelli più propriamente civilistici e di diritto commerciale alla condivisione
di funzioni sovrane.
2. - Metropolregion Bremen-Oldenburg in Nordwesten. La regione metropolitana di BremaOldenburg, ai sensi del diritto tedesco, è una associazione riconosciuta di cui fanno parte soggetti
pubblici e privati. Accanto ad enti locali54 e Stati federati55, vi sono esponenti dell’economia56. Gli
organi sono quelli societari: l’Assemblea dei soci è composta da rappresentanti di tutte le
componenti: 3 rappresentanti per ciascun Land, 32 rappresentanti per gli enti locali e 32 membri
scelti dalle Camere di commercio e dell’industria. L’assemblea elegge il Consiglio
d’amministrazione, che comprende 2 rappresentanti dei Länder e 6 sia per enti locali che per gli
attori economici.
Sono istituite due Commissioni di controllo, una dei membri dei parlamenti degli Stati
federati ed una formata da membri di università, accademie e centri di studio aventi sede nella
53
In questo caso i ricorsi possono riguardare ordinanze ovvero grandi progetti tecnici (centrali elettriche e
nucleari, aeroporti, impianti di smaltimento dei rifiuti).
54
I Distretti di Ammerland, Cloppenburg, Cuxhaven, Diepholz, Friesland, Oldenburg, Osnabrück, Osterholz,
Vechta, Verden, Wesermarsch, le città senza distretto di Delmenhorst, Oldenburg und Wilhelmshaven nonché le città di
Brema e Bremerhaven
55
Il Land di Brema e quello della Bassa Sassonia.
56
Le camere di commercio e industria di Bremerhaven, Oldenburg, Osnabrück - Emsland - Grafschaft
Bentheim, Hannover, e della zona Elbe-Weser.
Regione, con funzione di osservatori sia presso il Consiglio d’amministrazione che presso
l’assemblea.
Gli obiettivi della Regione metropolitana sono lo sviluppo economico e sociale attraverso la
collaborazione tra gli enti che ne fanno parte, con particolare attenzione alla creazione di reti e
l’attuazione di progetti infrastrutturali su larga scala.
3. - Metropolregion Frankfurt/Rhine-Main. La Regione metropolitana di Francoforte
comprende territori in tre diversi Stati federati: Assia, Renania Palatinato, Baviera, ma la
definizione è geografica, in quanto la legge istitutiva è del solo Land Assia57 e dunque comporta
una forma di associazione tra 75 enti locali dello Stato denominata Regionalverband
FrankfurtRheinMain.
Gli
organi
di
governo
dell’associazione
sono
un
Consiglio
dell’associazione
(Verbandskammer) e un Consiglio (Regionalvorstand). Nel Consiglio siedono rappresentanti di tutti
i 75 membri, inviati dai rispettivi organi e non eletti direttamente dal popolo. Il Consiglio è
composto dal Direttore dell’associazione, da un massimo di due Assessori (Beigeordneten) la cui
durata in carica è di sei anni, eletti dal Consiglio così come un massimo di otto assessori onorari,
che restano in carica cinque anni. Membri di diritto del Consiglio sono i sindaci di Francoforte e
Offenbach nonché i 6 presidenti dei Distretti.
Ai sensi della legge istitutiva (art. 1), i compiti dell’associazione concernono la promozione
dello sport, di attività ricreative, la gestione e/o promozione di istituzioni culturali, la promozione
dello sviluppo economico, la gestione e la manutenzione del Parco regionale del Reno e del Meno,
la pianificazione dei trasporti.
Resta attiva la pianificazione territoriale, che costituisce il nucleo originale delle forme
associative della Regione metropolitana.
4. - Metropolregion Hamburg. La Regione metropolitana di Amburgo58 si estende su quattro
Länder: oltre alla Città-Stato di Amburgo, la Bassa Sassonia (con 8 Distretti59), lo SchleswigHolstein (con 7 distretti60) e il Mecklenburg-Vorpommern (con 2 Distretti61). Come per la Regione
57
Gesetz über die Metropolregion Frankfurt/Rhein-Main, del 3 marzo 2011, entrata in vigore il successivo 1
aprile.
58
Che comprende, oltre alla città omonima, i centri di Lubecca, Lüneburg, Neumünster, Norderstedt, Wismar. In
totale, gli enti associati sono 800
59
Cuxhaven, Harburg, Lüchow-Dannenberg, Lüneburg, Rotenburg, Soltau-Fallingbostel, Stade, Uelzen.
60
Dithmarschen, Lauenburg, Ostholstein, Pinneberg, Segeberg, Steinburg, Stormarn.
61
Nordwestmecklenburg e limitatamente alla zona di Ludwigslust nel Distretto di Ludwigslust-Parchim.
metropolitana di Berlino, alla base vi è un trattato tra i Länder coinvolti62, da ultimo modificato nel
201263.
In pari data è stato firmato dalle parti contraenti anche l’Accordo Amministrativo relativo alla
collaborazione nella Regione metropolitana di Amburgo (Verwaltungsabkommen über die
Zusammenarbeit in der Metropolregion Hamburg). Secondo l’art. 2 dell’accordo gli obiettivi e le
priorità della Regione metropolitana sono il rafforzamento del partenariato tra città e campagna, la
promozione di uno spazio economico dinamico, la tutela dell’ambiente e la mobilità. L’accordo
prevede collaborazione in materia di turismo, attività ricreative, trasferimento tecnologico,
promozione di nuove tecnologie.
Gli organi della Regione metropolitana sono un Consiglio (Regionalkonferenz) e un Comitato
direttivo (Lenkungsausschuss). Il primo è «l’organo decisionale supremo per la politica e la
cooperazione», il luogo della definizione degli obiettivi e delle decisioni strategiche. La
composizione del Consiglio è in ragione degli enti che compongono la Regione (art. 3
dell’accordo). Il Comitato direttivo (art. 4) è «responsabile del coordinamento e del controllo delle
Parti contraenti» riguardo a tutte le questioni pertinenti Amburgo. «Il Comitato direttivo decide
anche sulla creazione e realizzazione dei progetti chiave» nonché è competente per la creazione,
modifica e scioglimento dei gruppi di lavoro specializzati che possono essere costituiti (ai sensi
dell’art. 5).
5.– Metropolregion Hannover – Braunschweig – Göttingen – Wolfsburg. La Regione
metropolitana di Hannover è una società per azioni di cui sono soci sia enti pubblici che privati,
raggruppati in tre associazioni distinte: una di enti pubblici, una di soggetti economici e l’ultima di
istituti culturali e università. Alla prima associazione appartengono Città senza distretto, Distretti,
associazioni di enti locali64 e lo Stato della Bassa Sassonia; alla seconda molte imprese private con
sede o filiali ad Hannover e nelle città della Regione metropolitana e, infine, alla terza istituti
culturali, di ricerca e università.
Le finalità della società sono di promozione e valorizzazione delle risorse comuni e, in quanto
ente di diritto commerciale, non esercita poteri pubblici né ha particolari funzioni vincolanti di
programmazione.
62
Staatsvertrag del 1 dicembre 2005.
Trattato del 20 aprile 2012 di modifica del precedente trattato, con l’ingresso del Land MeclemburgoPomerania. Staatsvertrag zwischen der Freien und Hansestadt Hamburg, dem Land Mecklenburg-Vorpommern, dem
Land Niedersachsen und dem Land Schleswig-Holstein zur Änderung des Staatsvertrages zwischen der Freien und
Hansestadt Hamburg, dem Land Niedersachsen und dem Land Schleswig-Holstein über die Finanzierung der
Zusammenarbeit in der Metropolregion Hamburg und die Fortführung der Förderfonds.
64
Tra cui la Region Hannover, associazione tra i Comuni dell’hinterland di Hannover.
63
6. – Metropolregion Mitteldeutschland. La Regione metropolitana della Germania centrale è
un limpido esempio del policentrismo tedesco: le Città che appartengono alla Regione si
distribuiscono su tre Stati: Sassonia (Dresda, Lipsia, Chemnitz e Zwickau), Sassonia-Anhalt
(Dessau-Roßlau, Halle, Magdeburgo) e Turingia (Erfurt, Gera, Jena e Weimar) e, formalmente, solo
le città elencate sono membri della Regione e non altri Comuni e Distretti del circondario, ragion
per cui non viene a crearsi un vero e territorio contiguo. Nata nel 1994, la Regione ha accolto nuovi
membri nel corso del tempo65 e ha anche cambiato modalità di collaborazione e ampliato gli
obiettivi66.
Gli organo della Regione comprendono un Comitato misto (Gemeinsamer Ausschuss) di cui
sono membri di diritto i Sindaci delle Città, vero motore degli obiettivi comuni e dei profili
strategici; un Comitato direttivo (Lenkungsausschuss) che coordina l’attività operativa e consiglia il
Comitato misto e dei gruppi di lavoro che elaborano progetti concreti. I gruppi di lavoro attualmente
istituiti riguardano Affari e scienza, Cultura e turismo, Trasporti e mobilità, Politiche per la
famiglia, Cooperazione internazionale.
7. – Verein Europäische Metropolregion München. La Regione metropolitana europea di
Monaco di Baviera è un’associazione di diritto privato e non un ente pubblico. Per questa ragione,
non ha un vero e proprio territorio, ma ha come membri attori pubblici e privati67.
L’organizzazione è quella di un’associazione riconosciuta di diritto privato, con un’assemblea
che elegge un consiglio d’amministrazione formato da 16 membri, di cui 8 provenienti dagli enti
locali e 8 dagli altri attori. La gestione è nelle mani di un manager (e di un ristretto ufficio
amministrativo) ed esistono specifici gruppi di lavoro dedicati a scienza, economia, ambiente,
mobilità, cultura.
Ai sensi dell’art. 2 dello Statuto, lo scopo dell’associazione è «la cooperazione tra Città, paesi
e comuni, Distretti, Camere di commercio, associazioni, università e altri soggetti pubblici e privati
dello spazio metropolitano sudbavarese, in particolare sui temi dell’economia, dell’ambiente, della
salute, della mobilità, della scienza e della ricerca».
8. – Metropolregion Nürnberg. La Regione metropolitana di Norimberga è, dopo Monaco, la
seconda area interamente ricompresa in Baviera68. Vi appartengono 10 Città senza distretto69 e 23
Con decisione del 6/6/2013 la città di Magdeburgo ha deciso l’uscita dalla Regione metropolitana a partire
dall’anno seguente. http://ratsinfo.magdeburg.de/vo0050.asp?__kvonr=217476
66
Nonché ha cambiato nome: da Regione metropolitana Triangolo della Sassonia a quello attuale (2009).
67
La lista completa è reperibile in http://www.metropolregion-muenchen.eu/der-verein/mitglieder.html. Tra gli
enti locali manca il Land, in quanto l’intera area è in Baviera, tra gli attori privati figurano industrie, università, camere
di commercio. I componenti sono bipartiti: da un lato gli enti locali, dall’altro gli attori economico-sociali. Eventuali
soci onorari e sostenitori, che includono anche persone fisiche, non hanno diritto di voto.
68
Con la precisazione che il distretto di Sonnenberg, confinante, ma in Turingia, ha fatto domanda di ingresso
nella Regione nel 2013.
65
distretti70. Il modello di governance è diverso da quelli finora presentati. Le decisioni strategiche
sono prese dal Consiglio (Rat) di cui fanno parte 55 membri, in cui siedono rappresentanti eletti dai
cittadini, ovvero i sindaci delle città e i presidenti dei Distretti. La cooperazione tra gli enti pubblici
e altri attori economici e sociali si svolge in sette “forum” specialistici, riguardanti Economia e
infrastrutture, Scienza, Trasporti e pianificazione, Cultura, Sport, Turismo e Marketing. Ogni forum
è composto da vari componenti all’interno dei quali è scelto un “team” formato da un direttore, un
portavoce politico e un portavoce tecnico. Nel 2012 è stata costituita da 9 camere di commercio
della Regione metropolitana l’associazione con personalità giuridica Wirtschaft fur die
Metropolregion, creata appositamente per partecipare al circuito decisionale della Regione
metropolitana.
Infatti, al centro della rete disegnata dal Consiglio, dall’associazione e dai forum è collocato
un Comitato direttivo (Steuerungskreis) composto dai tre membri del direttivo di ogni forum,
dall’ufficio di presidenza del Consiglio71 e da tre membri dell’associazione delle camere di
commercio.
Il Comitato si riunione ogni 6 settimane e costituisce il punto di intersezione delle diverse
componenti della città metropolitana.
9. – La Verband Region Rhein-Neckar comprende le città di Heidelberg, Mannheim,
Ludwigshafen, Worms e si estende su tre diversi Länder: Baden-Württemberg, Assia, RenaniaPalatinato. Geograficamente, si colloca a sud di Francoforte e a nord di Stoccarda al confine con la
Francia. La Regione metropolitana è costituita da un trattato tra i Länder72 che ne disciplina
costituzione, organi e funzioni.
Dal punto di vista della struttura amministrativa, è una associazione di diritto pubblico, che
succede alle precedenti forme associative, che riguardavano esclusivamente la pianificazione
territoriale.
Ai sensi dell’art. 6 del trattato gli organi sono il l’Assemblea (Verbandsversammlung), il
Consiglio di gestione (Verwaltungsrat) e il Presidente (Verbandsvorsitzende). L’Assemblea ha 95
membri, 72 dei quali sono eletti con sistema proporzionale dai consigli comunali e distrettuali (art.
7), mentre i restanti 23 sono sindaci e presidenti di Distretto, membri di diritto.
69
Ansbach, Amberg, Bamberg, Bayreuth, Coburg, Erlangen, Fürth, Hof, Nürnberg, Schwabach e Weiden.
Amberg-Sulzbach, Ansbach, Bamberg, Bayreuth, Coburg, Erlangen-Höchstadt, Forchheim, Fürth, Haßberge,
Hof, Kitzingen, Kronach, Kulmbach, Lichtenfels, Neumarkt in der Oberpfalz, Neustadt an der Aisch-Bad Windsheim,
Neustadt an der Waldnaab, Nürnberger Land, Roth, Tirschenreuth, Weißenburg-Gunzenhausen e Wunsiedel im
Fichtelgebirge.
71
Composto da un Sindaco di città, un Sindaco di Comune e un Assessore di Distretto, ha il compito di
rappresentare la Città metropolitana verso i terzi.
72
Staatsvertrag zwischen den Ländern Baden-Württemberg, Hessen und Rheinland-Pfalz über die
Zusammenarbeit bei der Raumordnung und Weiterentwicklung im Rhein-Neckar-Gebiet del 26 luglio 2005.
70
Il Consiglio elegge sia il Consiglio di gestione che il Presidente. Il Consiglio è formato da 27
membri più il Presidente e ha il compito di preparare le riunioni dell’Assemblea e di vigilare
sull’attività dell’apparato amministrativo della Regione. La carica di Presidente, che dura quattro
anni, ed è rinnovabile, è assegnata ad un politico. Il ruolo di amministrazione attiva è di competenza
del Direttore dell’associazione, funzionario eletto dal Consiglio con mandato di durata di otto anni
(art. 12).
Le competenze della Regione metropolitana affiancano la storica funzione di pianificazione
territoriale allo sviluppo economico, alla tutela dei parchi e delle strutture ricreative, promozione di
congressi, fiere, eventi culturali, marketing turistico e funzioni di pianificazione della mobilità e
dell’approvvigionamento energetico.
10. – La Regione metropolitana Rhein-Ruhr (Regionalverband Ruhr) è interamente
ricompresa nel Land Nordrhein-Westfalen73. Nonostante sia la maggiore tra le aree metropolitane
della Germania per estensione, prodotto interno lordo, numero di abitanti, nessuna delle città che vi
appartiene raggiunge il milione di abitanti, e ciò ne accentua il carattere policentrico.
La Regione metropolitana è un ente di diritto pubblico secondo il diritto del Land cui
appartiene (art. 1, § 1, n. 3 Gesetz über den Regionalverband Ruhr, da ultimo modificata dalla l. 23
ottobre 2012). Le competenze sono molto estese e sono ripartite tra competenze obbligatorie e
facoltative. Tra i compiti obbligatori vi è la creazione e l’aggiornamento dei piani generali di
sviluppo regionale, la salvaguardia dell’ambiente, lo sviluppo economico e commerciale, la
promozione turistica. Ulteriori compiti possono riguardare la promozione di attività sportive e
culturali e altri compiti sono considerati da attivare su richiesta qualificata di 2/3 dei membri, come
lo smaltimento dei rifiuti, i piani paesaggistici integrati.
Gli organi della Regione metropolitana (che si denomina Verband, associazione) sono
l’Assemblea (Verbandsversammlung) il Comitato (Verbandsausschuss) e l’Amministratore.
L’assemblea è l’organo centrale, chiamata anche Ruhrparlament, composta da membri di diritto
(sindaci e presidenti di Distretto) e da membri eletti (in secondo grado) dai rispettivi consigli.
L’assemblea elegge a sua volta i membri del Comitato e l’Amministratore, che resta in carica sei
anni.
11. - Europäische Metropolregion Stuttgart. La Regione metropolitana di Stoccarda è un ente
di diritto pubblico del diritto del Land Baden Württemberg. La legge del 7 febbraio 1994 istituisce
l’associazione della Regione di Stoccarda (Verbands Region Stuttgart) che corrisponde all’area
interna della Regione metropolitana.
73
I cui centri più rappresentativi e le città senza distretto sono: Colonia, Düsseldorf, Dortmund, Essen, Duisburg,
Bochum, Wuppertal, Bonn, Gelsenkirchen, Mönchengladbach, Krefeld, Oberhausen, Hagen, Hamm.
I compiti sono assimilabili a quelli già elencati per altre Regioni metropolitane: pianificazione
regionale, predisposizione del piano paesaggistico e del Parco regionale di Stoccarda, pianificazione
dei trasporti, politica dei rifiuti urbani, coordinamento e promozione dello sviluppo economico e del
turismo.
Il Consiglio regionale (Regionalversammlung) ha non meno di 80 membri eletti a suffragio
universale e diretto con un sistema proporzionale e la possibilità di aggiungere ulteriori seggi
affinché sia preservata la proporzione tra la popolazione dei diversi enti che ne costituiscono i
collegi. Per tale ragione, al momento il numero di seggi è di 91. L’amministrazione è devoluta ad un
direttore regionale (Regionaldirektor), eletto per otto anni dall’Assemblea.
La forma giuridica dell’Associazione non corrisponde alla più ampia Regione Metropolitana
Europea di Stoccarda, la quale esiste solo come Comitato di coordinamento formato da 35 membri,
delegati dal Consiglio regionale e da tutti gli enti locali che fanno parte dell’area vasta.
La diversità di soluzioni giuridiche adottate mette in luce che non vi sia, in Germania, un
modello di Città metropolitana, ma soluzioni diverse che dipendono da molti fattori, sui quali
indubbiamente ha un ruolo centrale la competenza degli Stati federati in materia di enti locali.
In questo senso, le Regioni metropolitane non si differenziano in modo sostanziale da tutte le
forme di collaborazione e associazione tra enti locali che popolano il diritto tedesco74 e che qui non
si sono ricostruiti. Non sembra nemmeno possibile sostenere che sia la ricerca dell’efficienza
massima il criterio comune che possa giustificare soluzioni giuridiche anche profondamente diverse
riconducendole ad un unico intento originario.
Piuttosto, è il modello policentrico a prevalere, stavolta non inteso come caratteristica
geografica o economica e sociale, ma come elemento di concezione. Non è raro vedere che le città
metropolitane tedesche, le quali formalmente nel loro complesso coprono gran parte del territorio e
quasi 60 milioni di abitanti sugli 80 totali del Paese, finiscono per smarrire i precisi confini
geografici e recuperano significato solo a livello di coordinamento e di generale appartenenza ad
enti di pianificazione strategica.
Tranne che in rari casi, le Città metropolitane in Germania non sono enti hard75, ma soluzioni
flessibili a problemi ed esigenze locali approntate ad hoc. L’analisi riconduce dunque a quanto si
osservava in principio in merito alla difficoltà di individuazione delle Città metropolitane, anche se
All’interno dei quali la dottrina individua diverse tipologie di associazioni: un modello più vincolante, dotato
di copertura costituzionale ai sensi dell’art. 28, 2 GG quale il consorzio centro-periferia; un modello più elastico, non
territoriale riferibile al cd. consorzio di scopo e infine un terzo modello, cui appartengono i consorzi per la
programmazione istituiti tipicamente a livello legislativo.
75
Per riprendere la classificazione presentata nel paragrafo introduttivo.
74
con una diversa consapevolezza, più vicina alla concezione del governo delle aree fortemente
urbanizzate come un vestito confezionato su misura per tante taglie quante sono le Regioni che si
sono elencate che non alla semplice difficoltà di trovare termini di comparazione.
Spagna: Città, Comunidades e autonomia
1. Le aree metropolitane in Spagna.
L’articolazione del governo locale in Spagna risulta familiare al giurista formato sulle
categorie italiane, in quanto è possibile ricondurre lo Stato iberico al medesimo modello generale,
quello continentale di origine francese.
L’art. 137 della Costituzione spagnola del 1978 prevede che lo Stato è territorialmente
organizzato «in Comuni (Municipios), Province e nelle Comunità autonome». Tali enti hanno
autonomia costituzionalmente garantita «per la gestione dei rispettivi interessi».
Il successivo art. 140 garantisce l’autonomia dei Comuni. «Questi avranno piena personalità
giuridica. Il loro governo e la loro amministrazione compete ai rispettivi Consigli comunali
(Ayuntamientos), formati dal Sindaco (Alcalde) e dai consiglieri (Concejales).» La Costituzione
prevede altresì alcune norme generali riguardanti la disciplina degli organi: «i consiglieri saranno
eletti dagli abitanti del Comune a suffragio universale, libero, uguale, diretto e segreto, nella forma
stabilita dalla legge. I Sindaci saranno eletti dai consiglieri o da gli abitanti.»
L’art. 141 Cost. è dedicato alle Province, delle quali si dice che ciascuna di esse è «un ente
locale con personalità giuridica propria costituito da un raggruppamento di Comuni e rispecchiante
una divisione territoriale per lo svolgimento delle attività dello Stato. Qualunque modifica dei
confini provinciali dovrà essere approvata dalle Cortes mediante legge organica» (art. 141, 1° co.).
«Il governo e l’amministrazione autonoma delle Province saranno affidati a Deputazioni o ad altri
organi di carattere rappresentativo» (art. 141, 2° co.).
Specificamente per quanto qui attiene, il co. 3 del medesimo articolo prevede che «si potranno
creare raggruppamenti di Comuni diversi dalla Provincia».
Seguendo questa costruzione a gradi dello Stato, l’art. 143 Cost. prevede che le «Province
limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni, gli arcipelaghi e le province
d’importanza regionale storica potranno accedere all’autogoverno e costituirsi in Comunità
autonome» nell’esercizio del diritto all’autonomia riconosciuto all’art. 2 della Costituzione
medesima76.
Com’è noto, lo Stato centrale si articola in 17 Comunità autonome (Comunidades
autonomas), enti territoriali autonomi dotati di ampia autonomia, che caratterizzano la forma di
Stato spagnola come regionale.
Il livello della Comunità autonoma è, di regola, molto più ampio delle città spagnole, con la
significativa eccezione di Madrid. La capitale del Regno, infatti, costituisce da sola una comunità
autonoma, non ulteriormente divisa in province ma solo in Comuni.
Dunque, prima ancora di fornire qualche ulteriori dettagli sulla disciplina degli enti locali in
Spagna, si è già individuata una città metropolitana, ai sensi della definizione che si è fornita
nell’introduzione al presente lavoro.
La qualificazione della città ai sensi del diritto nazionale, invece, sarà indagata con specifica
attenzione77. Non vi è dubbio che la capitale, centro non solo geografico e politico dello Stato, sia
una delle più popolose città del continente europeo con i suoi oltre 3 milioni di abitanti.
Tornando alla disciplina costituzionale, l’art. 149, 1° co., n. 18 assegna allo Stato la
competenza esclusiva in materia di: «basi del regime giuridico delle amministrazioni pubbliche e
del regime statutario dei suoi funzionari, che in ogni caso garantiranno agli amministrati un
trattamento comune davanti ad esse; procedura amministrativa comune, ferme restando le
particolarità derivanti dall’organizzazione propria delle Comunità autonome; legislazione in materia
di esproprio forzato; legislazione di base in materia di contratti e concessioni amministrative e circa
il regime della responsabilità, di tutte le amministrazioni pubbliche».
Per utilizzare un linguaggio caro al revisore costituzionale italiano, lo Stato centrale è
competente in tema di “principi fondamentali” della materia «legislazione degli enti locali», ragion
per cui residua alle Comunità autonome una competenza che si può definire concorrente a
completamento della disciplina.
La legge statale di riferimento è la legge 7/1985, del 2 aprile78, significativamente recante
Regolatrice delle basi del regime degli enti locali.
L’articolo 43 in particolare disciplina la creazione delle Aree metropolitane79: «Le comunità
autonome, dopo aver consultato l’amministrazione statale e i Consigli comunali e provinciali
Per il giurista abituato alle categorie italiane, l’utilizzo del tempo futuro nelle norme spagnole può creare un
lieve disorientamento, in quanto tale tempo verbale in Italia indica abitualmente possibilità o facoltà e non
obbligatorietà, ma si è rispettata la traduzione letterale, avvertendo qui il lettore.
77
Cfr. il paragrafo che segue e in particolare la nota 81.
78
Più volte modificata, da ultimo dalla l. 27/2013 del 27 dicembre di razionalizzazione e sostenibilità
dell’amministrazione locale, la quale ha apportato ampie ed importanti modifiche, ma non negli art. 42-44 qui citati.
76
interessati, potranno creare, modificare e sopprimere, con legge, aree metropolitane, in conformità a
quanto disposto nei rispettivi Statuti» (1° co.).
Il comma seguente definisce le Aree metropolitane80 come «enti locali formati dai Comuni di
grandi agglomerazioni urbane tra i cui nuclei abitativi esistono legami economici e sociali che
necessitino di pianificazione congiunta e coordinazione di determinati servizi ed opere.»
Sia pure in nuce e in via ancora generale, la legge statale stabilisce i requisiti fondamentali di
fatto che devono appartenere ad un centro abitato poiché possa ambire allo status di città
metropolitana.
Il terzo comma del medesimo articolo 43 l. cit. aggiunge che «la legislazione della Comunità
autonoma determinerà gli organi di governo e di amministrazione [dell’area metropolitana], nei
quali saranno rappresentati tutti i Comuni appartenenti all’area; il regime economico e di
funzionamento, che garantirà la partecipazione di tutti i Comuni alla formazione delle decisioni e
una equa distribuzione dei doveri tra di essi; così come i servizi e le opere che saranno erogati o
realizzati dall’area metropolitana e il procedimento per la loro esecuzione.»81
Seguendo la sistematica della l. 7/1985, l’area metropolitana non è l’unica tipologia di
associazione di enti locali, ma esistono anche la comarca e le mancomunidades. La comarca (art.
42 l. cit.) è un’associazione di Comuni «le cui caratteristiche determinino interessi comuni» o
richiedano la gestione associata di servizi. È istituita dalle Comunità autonome secondo le
disposizioni dei rispettivi statuti e tipicamente ha estensione inferiore alla provincia. L’associazione
in mancomunidades è riconosciuta, invece, ai Comuni (art. 44) «per la realizzazione in forma
associata di opere o la fornitura di servizi determinati di propria competenza».
79
M.J. ALONSO MAS, Articulo 3 e Articulo 43, in M.J. DOMINGO ZABALLOS (a cura di), Comentarios a la Ley
Basica de Regimen Local (Ley 7/1985, de 2 de abril, Regulador de la Bases del Regimen Local), Cizur Menor, Civitas,
2005.
80
J. ALLENDE LANDA, Áreas metropolitanas: contenido, crisis y nuevos enfoques, in Revista Vasca de
Administración Pública, 1986, 15, 7-26; M. CUCHILLO, F. MORATA, Organizacion y funzionamento de las areas
metropolitanas, Map, Madrid, 1991; J. L. CARRO FERNÁNDEZ-VALMAYOR, Una reflexión general sobre las áreas
metropolitanas, in Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, 2006, 302, 9 ss.; J. I. MORILLOVELARDE PÉREZ, Áreas Metropolitanas, in AA.VV. (a cura di S. Muñoz Machado Santiago), Diccionario de Derecho
Administrativo, I. A-G, Iustel, Madrid, 2005, 238 ss.; E. ORDUÑA PRADA, Las áreas metropolitanas, in AA.VV. (a cura
di J. M. Carbonero Gallardo), La intermunicipalidad en España, Ministerio de Administraciones Públicas, Madrid,
2005, 95 ss.; A. SÁNCHEZ BLANCO, Organización intermunicipal, Iustel, Madrid, 2006, 87 ss.; J.M. FERIA TORIBIO, Los
procesos metropolitanos como expresión relevante de la nueva realidad territorial, in AA.VV. (a cura di J.M. Feria
Toribio), Los procesos metropolitanos: materiales para una aproximación inicial, Centro de Estudios Andaluces,
Sevilla, 2006, 11 ss.
81
In dottrina, cfr. le osservazioni di A. GALÁN GALÁN, La organización intermunicipal en los Estatutos de
Autonomía. Comunidades Autónomas y Gobiernos Locales, in AA.VV. (a cura di M. Zafra Víctor), Relaciones
institucionales entre Comunidades Autónomas y Gobiernos Locales, Instituto Andaluz de Administración Pública,
Sevilla, 2008, 83 ss.
«In tal senso, è stato affermato che, mentre le mancomunidades e le comarcas costituiscono
un’espressione istituzionale e organizzativa del principio di cooperazione, le aree metropolitane
vengono preferibilmente ricomprese fra i requisiti di coordinamento»82.
Il diverso carattere e scopo, nonché i requisiti sostanziali, delle aree metropolitane hanno
portato le Comunità autonome a non istituire tale ente nel proprio territorio, con pochissime
eccezioni, ovvero la Catalogna e la Galizia e l’ulteriore caso della Comunità di Valencia.
Tra le diverse leggi che completano la disciplina di base dettata dalla l. 7/1985 83 solo tre sono
relative a Città (rectius, aree) metropolitane: la Ley 2/2001, de 11 de mayo, de creacion y gestion de
aeras metropolitanas en la Comunidad Valenciana (modificata da ultimo dalla l. 5/2004 del 13
luglio); la Ley 31/2010, de 3 de agosto, del Área Metropolitana de Barcelona (Catalogna); Ley
4/2012, de 12 de abril, del Área Metropolitana de Vigo (Galizia).
In via generale, i Preamboli delle leggi, in particolari le più recenti, consentono di gettare uno
sguardo sulle motivazioni che hanno mosso i legislatori. Il preambolo (Preambulo) della legge
catalana rileva che «intorno a Barcellona si articola uno spazio di relazioni funzionali, coesistenza
urbanistica, uso come delle forniture e dei servizi che, senza dubbio, forma un ambito differenziato,
con proprie particolarità e necessità specifiche. Spetta all’Amministrazione fare in modo che
l’organizzazione territoriale ed amministrativa di un paese divenga uno strumento efficace al
servizio dell’efficienza nella gestione e del benessere dei cittadini».
Simili sono le motivazioni esposte nel Preambolo (exposicion de motivos) della legge
galiziana: «il peso demografico, economico e sociale [del territorio intorno a Vigo], così come la
continuità geografica, formano uno spazio idoneo per la creazione della prima area metropolitana in
Galizia».
Il presupposto per la creazione delle aree metropolitane è, dunque, il dato di fatto della
concretizzazione di un’area cittadina con particolari esigenze che richiede soluzioni giuridiche ad
hoc84.
Nella stessa direzione si muove la legge statale 57/2003 del 16 dicembre, de medidas para la
modernización del gobierno local85, la quale modifica la l. 7/1985 introducendo un nuovo titolo
J. RAMOS PRIETO, Le aree metropolitane come istituzioni funzionali nell’esperienza spagnola, in G.F.
FERRARI, P. GALEONE (a cura di), Città a confronto. Le istituzioni metropolitane nei paesi occidentali, cit., 158.
83
Nelle quali spesso è prevista una disciplina generale per le Aree metropolitane, rimettendo ad una legge
ulteriore l’istituzione dell’ente. In dottrina, R. RIVERO ORTEGA, Problemas administrativos en los nuevos espacios
metropolitanos: la ausencia de una respuesta normativa suficiente en la Comunidad Autónoma de Castilla y León, in
Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, 2006, 300-301, 381 ss.; F. TOSCANO GIL, La
articulación jurídica del fenómeno metropolitano en Andalucía, in Revista de Estudios de la Administracion Local y
Autonomica, 2010, 312, 103 ss.
84
M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di istituzionalizzazione della città metropolitana sulla base
dell’esperienza spagnola, in www.astrid.eu, 1, rileva che «la funzione della norma non è “creare”, ma “riconoscere” una
realtà metropolitana».
82
relativo al “Régimen de organización de los municipios de gran población”, differerenziando, cioè,
tra i Comuni spagnoli i “grandi centri” urbani 86. Il preambolo di tale legge giunge ad ammettere che
l’uniformità di disciplina dettata dalla normativa sugli enti locali, pienamente corrispondente al
modello europeo-continentale francese, non sia adeguata alle esigenze delle grandi città: «di questa
uniformità hanno sofferto particolarmente le maggiori città spagnole, che hanno reclamato un
regime giuridico che permettesse di far fronte alla loro grande complessità come strutture politicoamministrative». In altri termini, la modernizzazione del governo locale passa attraverso la
differenziazione delle grandi città, nella convinzione che i problemi delle città non siano i medesimi
dei comuni minori. Tuttavia, l’ampia flessibilità concessa dal legislatore sulla qualificazione dei
Comuni meritevoli di differenziazione lascia spazio a considerazioni fondate su fattori diversi dalla
mera consistenza numerica dei residenti. Dunque, la flessibilità delle previsioni legislative sommata
alla discrezionalità delle scelte di ogni singola Comunità autonoma sembra delinearsi come vero
tratto caratteristico della disciplina complessiva87.
2. La Comunità autonoma di Madrid
Il comprensorio della città di Madrid appartiene, dal punto di vista del diritto pubblico, al
territorio della Comunità autonoma di Madrid88. Lo Statuto di autonomia si apre dichiarando che
Madrid costituisce una comunità autonoma «in espressione dell’interesse nazionale e delle sue
peculiari caratteristiche sociali, economiche, storiche e amministrative» (art. 1, 1° co.).
Gli organi della Comunità autonoma sono l’Assemblea, il Presidente, il Governo e il
Tribunale superiore, ai sensi dell’art. 152 della Costituzione.
L’Assemblea «rappresenta il popolo di Madrid» (art. 9) ed è il legislativo della Comunità. È
eletta ogni quattro anni direttamente dal popolo. È lo stesso Statuto a prevedere che le elezioni siano
in ragione proporzionale e con una soglia di sbarramento del 5%, (art. 10) mentre la disciplina
85
AA.VV. (a cura di T. Font i Llovet), La ley de modernizacion del gobierno local, Anuario del Gobierno Local
2003, Barcelona, 2004.
86
Specificamente, i Comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti; oppure i Comuni che abbiano una
popolazione di più di 175.000 abitanti e che siano anche capoluoghi di provincia; ovvero ancora comuni più piccoli ma
per i quali un regime diverso sia giustificato da una decisione del legislativo della rispettiva Comunità autonoma in
ragione del ruolo istituzionale della città ovvero, in ultima istanza, Comuni con più di 75.000 abitanti che presentino
caratteristiche economiche, sociali, storiche o culturali che, a giudizio del legislativo della Comunità, possano
giustificare.
87
Così come si legge nel preambolo della legge della comunità valenciana 2/2001: «Area metropolitana, spazio
metropolitano, agglomerazione urbana o grande città (gran urbe) sono alcune delle espressioni con le quali si allude al
medesimo fenomeno: la concentrazioni della popolazione in un ambito territoriale caratterizzato da un constante
movimento di scambio tra i luoghi di abitazione, lavoro e tempo libero della popolazione che li abita».
88
L. I. ORTEGA ÁLVAREZ, Madrid capital metropolitana, in Revista de Estudios de la Administracion Local y
Autonomica, 1991, 252, 795 ss., con riferimenti alla dottrina citata.
elettorale di dettaglio è rimessa alla legge (1/1986 del 16 dicembre). Non è previsto un numero fisso
di seggi, ma la composizione è calcolata in ragione di un rappresentante ogni 50.000 abitanti o
frazione superiore a 25.000, tale per cui la composizione attuale è di 129 membri.
Il Presidente della Comunità autonoma è politicamente responsabile davanti all’Assemblea. Il
procedimento di nomina (art. 18) prevede che il Presidente dell’Assemblea designi un candidato che
possa ottenere la fiducia previa consultazione con i gruppi politici, ciascuno dei quali propone un
proprio nominativo. Se l’Assemblea concede la fiducia al candidato proposto, egli viene nominato
formalmente dal Re, altrimenti la procedura si ripete e, se non si trova nessun accordo entro due
mesi, si procede a nuove elezioni. Ugualmente razionalizzata è l’eventuale mozione di sfiducia (art.
20), che deve essere presentata da almeno il 15% dei membri, tra cui un candidato presidente e non
può essere discussa prima di 5 giorni dalla sua presentazione. Se approvata, funziona come una
sfiducia costruttiva, nel senso che si ritiene che il candidato presidente firmatario si intende abbia la
fiducia dell’Assemblea e viene, di conseguenza, nominato dal Re. Parallelamente il Presidente, su
decisione del Governo ma sotto la sua esclusiva responsabilità (art. 21) può scogliere l’Assemblea e
provocare nuove elezioni.
I membri del Governo sono nominati e revocati dal Presidente (art. 22 statuto e Ley 1/1983,
de 13 de diciembre, de Gobierno y Administración de la Comunidad de Madrid).
Le competenze della Città metropolitana sono quelle di una Comunità autonoma. Tra tutti,
sono particolarmente significativi il potere legislativo ed un potere esecutivo appartenente ad un
livello di governo secondo solo alle autorità centrali dello Stato, elementi che fanno di Madrid la
conurbazione metropolitana più simile ad un’autentica città-stato89 tra quelle qui analizzate.
Tuttavia, è anche possibile sostenere l’esatto contrario, ovvero che Madrid non è una Città
metropolitana ma è soltanto (ovvero, in via esclusiva) una Comunità autonoma.
Un appiglio testuale è fornito dalla stessa normativa della Comunità madrilena. La disciplina
degli enti locali nella Comunità, ripartita dalla Costituzione come si è visto sopra, è contenuta nella
Ley 2/2003, de 11 de marzo, de Administración Local de la Comunidad de Madrid, il cui articolo
76 “Aree ed Enti metropolitani” reca: «Con legge dell’Assemblea di Madrid potranno crearsi Aree
o Enti metropolitani per la gestione concreta delle opere e dei servizi che chiedono una
pianificazione, coordinamento o gestione congiunta nei Comuni della zona urbana secondo le
disposizioni dell’art. 43 della legge 7/1985».
Al momento in cui si scrive, nessuna area metropolitana di questo tipo è stata istituita.
Pertanto, la Comunità autonoma non è un’area metropolitana ai sensi della definizione della legge
Anche rispetto alle Città Stato tedesche per le quali l’area metropolitana trascende i confini del Land. Cfr. la
parte dedicata alla Germania (spec. par. 2) del presente lavoro. In dottrina, C. DEODATO, Le città metropolitane: storia,
ordinamento, prospettive, in www.giustizia-amministrativa.it.
89
spagnola e madrilena90. Anzi, le Aree metropolitane appaiono intrinsecamente pensate dal
legislatore come enti specializzati fornitori di servizi piuttosto come enti di governo politicizzati,
come conferma l’utilizzo del plurale da parte del legislatore madrileno, che riflette la possibilità
dell’istituzione di più città metropolitane in quella che, sotto il profilo oggettivo, è un’unica grande
città.
3. Il diritto delle Comunità autonome: Catalogna, Galizia e Valencia.
Si sono già elencate le leggi istitutive delle aree metropolitane di Barcellona, Valencia e
Vigo91. L’analisi degli esempi tratti dal diritto delle rispettive Comunità hanno anche lo scopo di
chiarire il modello dell’area metropolitana, dopo aver notato che l’esempio di più facile
individuazione, Madrid, può essere definita come Città metropolitana solo sotto un profilo
sostanziale e non giuridico.
La legge catalana 31/2010 crea l’Area metropolitana di Barcellona (AMB) innovando la
disciplina previgente92, già orientata verso forme di collaborazione limitata a settori ben definiti93.
Ai sensi dell’art. 1, 2° co. della legge istitutiva, l’AMB è un «ente locale sovracomunale di carattere
territoriale» i cui confini corrispondono a quelli dei 36 Comuni che ne fanno parte (art. 2, co. 1) 94.
Eventuali ingrandimenti territoriali sono possibili ma non può venire meno la continuità territoriale
tra i Comuni (art. 2, 2° co.).
In quanto ente di diritto pubblico, l’AMB detiene poteri normativi (regolamentari) e d’imperio
tipici (art. 3). Gli organi di governo sono il Consiglio metropolitano (Consejo Metropolitano), il
Presidente, la Giunta (Junta de Gobierno) e la Commissione speciale dei Conti (Comisión Especial
de Cuentas), salva la possibilità che il Consiglio istituisca altri organi complementari.
90
Dal punto di vista dei dati statistici, anche se la Comunità madrilena non è né la Comunità autonoma dalla
minore estensione territoriale né quella dal maggiore numero di abitanti, è proprio nella regione della capitale che si
registra la maggiore concentrazione di abitanti per chilometro quadrato. In altri termini, ciò che autorevole dottrina
chiamava “densità sociale” (A. AQUARONE, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Zanichelli, Bologna, 1961).
91
Sulle quali si veda, altresì, la breve analisi di comparata di M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di
istituzionalizzazione, cit.
92
Ley 7/1987, con la quale erano disciplinate due aree metropolitane, entrambe avente come fulcro Barcellona
ma comprendenti un numero diverso di Comuni, una relativa ai trasporti urbani e l’altra, territorialmente più ampia,
relativa ai servizi idrici e allo smaltimento dei rifiuti (rispettivamente l’Entidad Metropolitana del Medi Ambient e
l’Entidad Metropolitana del Transporte).
93
Oltre alle due aree metropolitane citate alla nota precedente, la mancomunidad e le comarcas della zona di
Barcellona.
94
Badalona, Badia del Vallès, Barberà del Vallès, Barcelona, Begues, Castellbisbal, Castelldefels, Cerdanyola
del Vallès, Cervelló, Corbera de Llobregat, Cornellà de Llobregat, Esplugues de Llobregat, Gavà, L’Hospitalet de
Llobregat, Molins de Rei, Montcada i Reixac, Montgat, Pallejà, La Palma de Cervelló, El Papiol, El Prat de Llobregat,
Ripollet, Sant Adrià de Besòs, Sant Andreu de la Barca, Sant Boi de Llobregat, Sant Climent de Llobregat, Sant Cugat
del Vallès, Sant Feliu de Llobregat, Sant Joan Despí, Sant Just Desvern, Sant Vicenç dels Horts, Santa Coloma de
Cervelló, Santa Coloma de Gramenet, Tiana, Torrelles de Llobregat e Viladecans.
Nel Consiglio sono rappresentati tutti i Comuni membri dell’area, nella proporzione di 25
membri per Barcellona, 4 membri per i Comuni con più di 100.000 abitanti, 3 membri per i Comuni
con meno di 100.000 abitanti ma più di 75.000, 2 membri per i Comuni con meno di 75.000 abitanti
ma più di 20.000 e un membro per i Comuni sotto i 20.000 abitanti (per un totale di 89 membri).
Consiglieri di diritto sono i Sindaci dei Comuni, mentre gli altri membri (fino alla
concorrenza del numero assegnato a ciascun ente) sono scelti dai Consigli comunali in proporzione
ai risultati politici ottenuti nelle elezioni comunali. Il mandato dei Consiglieri dell’AMB coincide
con i rispettivi mandati del Comuni. L’elezione, formalmente di secondo livello, è legata alle
preferenze espresse dai cittadini e comunque pone i Sindaci in posizione di rilievo. Non solo è
disciplinato un Consiglio dei Sindaci con potere di iniziativa nei confronti del Consiglio, ma lo
stesso Consiglio dei Sindaci ha il potere di proporre al Consiglio dell’AMB il nominativo del
Presidente (dell’Area metropolitana intera, dunque del Consiglio come della Giunta) che è eletto dal
Consiglio medesimo ma deve essere necessariamente il Sindaco di uno dei Comuni95.
Le competenze dell’AMB sono l’eredità delle competenze esercitate dalle forme associative
preesistenti e sono elencate dettagliatamente dall’art. 14 della legge istitutiva: urbanistica; trasporto
e mobilità, comprendente il piano strategico e la promozione della mobilità sostenibile ma anche
l’ordinamento del servizio taxi e la gestione del trasporto municipale; acqua, sia pure in
concorrenza con l’Administración hidráulica de Cataluña, comprendente la gestione del servizio
idraulico a domicilio e il sistema di depurazione; i rifiuti; altre competenze in materia di ambiente,
particolarmente la formulazione di un piano strategico per la protezione dell’ambiente, la salute e la
biodiversità, la collaborazione tra comuni per implementare le disposizioni della legislazione di
settore, la promozione ed eventualmente la gestione di installazioni che producono energia
rinnovabile; infrastrutture di interesse metropolitano; sviluppo economico e sociale; coesione
sociale e territoriale («al fine di migliorare le condizioni di vita dei cittadini e l’equilibrio territoriale
dei Comuni» ed elaborare politiche pubbliche in materia di sicurezza).
In definitiva, l’Area Metropolitana di Barcellona ha un carattere orientato alla gestione
concreta dei servizi di cui si assume la responsabilità, congiuntamente ad un’elaborazione strategica
che è espressione del coordinamento dei governi locali piuttosto che di politiche indipendenti.
Un’area orientata verso l’amministrazione ma non priva di una componente autenticamente
metropolitana.
Non si può non leggere nel disegno politico della creazione dell’AMB un’espressione della
volontà autonomistica e indipendentista dell’intera Catalogna: da un lato, la collocazione della
capitale della Comunità come autentica Area metropolitana a livello della legislazione spagnola,
95
Attualmente è il Sindaco di Barcellona.
ma, dall’altro lato – implicitamente – la sua qualificazione come (al momento della creazione) unica
Città metropolitana della Spagna, al fianco di Madrid, la capitale del Paese. Coerentemente, l’art. 89
dello Statuto catalano del 200696, prevede che la capitale della Comunità dispone di un regime
speciale stabilito dalla legge.
La regione Galizia ha creato con legge 4/2012 del 12 aprile l’Area metropolitana di Vigo 97,
che viene definita, come l’AMB, «ente locale sovracomunale di carattere territoriale» (art. 1, co. 2).
La organizzazione del governo e dell’amministrazione dell’area è determinata dalla seguente
struttura: l’Assemblea metropolitana, il Presidente, coadiuvato da due Vicepresidenti, la Giunta di
governo metropolitana, il comitato di cooperazione (Comité de cooperacion) e la commissione
speciale dei conti (Comision especial de cuentas).
L’Assemblea, organo centrale e motore, «organo di massima rappresentazione politica delle
cittadine e dei cittadini nel governo metropolitano, sarà formata dalla persona che occupa la
presidenza e dai rappresentanti provenienti dai Comuni che saranno denominati consigliere o
consiglieri metropolitani» (art. 5, 1° co.).
Ogni Comune ha un numero diverso di rappresentanti a seconda del numero di abitanti: 1
rappresentante per i comuni con meno di 10.000 abitanti, 2 per quelli fino a 15.000 abitanti, 3 per
quelli fino a 20.000 abitanti, 4 per quelli fino a 50.000 abitanti, 5 per quelli fino a 100.000 abitanti e
10 per quelli fino a 200.000 abitanti.
I Sindaci sono membri di diritto dell’assemblea e ciascun consiglio comunale elegge i
rimanenti rappresentanti nel numero di quanti sono assegnati.
Il presidente e i vicepresidenti sono eletti dall’assemblea nella sua prima seduta tra i suoi
membri «con voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti nella prima votazione,
semplice nella seconda. Potranno essere candidati unicamente i rappresentanti dei comuni che siano
sindaci» (art. 10). La giunta, di cui è membro il Presidente, è formata di nuovo dai sindaci (art. 11).
Le competenze dell’area metropolitana, «rivolte, in ogni caso, a conseguire o mantenere la
coesione socioeconomica e lo sviluppo del territorio» (art. 1, 3° co.), riguardano: la promozione
economica, dell’impiego e dei servizi sociali; il turismo e la promozione della cultura; la mobilità e
il trasporto pubblico dei viaggiatori; l’ambiente, l’acqua e la gestione dei rifiuti; la prevenzione e lo
spegnimento degli incendi; la protezione civile e il salvataggio; l’ordinamento territoriale e la
96
In particolare, J. TORNOS MAS, R. GRACIA RETORTILLO, La organización territorial en los nuevos Estatutos de
Autonomía. En especial, el nivel local supramunicipal en Cataluña, in A.A.VV. (a cura di T. Font i Llovet, A. Galán
Galán), Anuario del Gobierno Local 2008.
97
Della quale fanno parte i Comuni di Baiona, Cangas, Fornelos de Montes, Gondomar, Moaña, Mos, Nigrán,
Pazos de Borbén, O Porriño, Redondela, Salceda de Caselas, Salvaterra de Miño, Soutomaior e Vigo per un totale di
circa mezzo milione di abitanti. La città di Vigo è sulla costa atlantica della Spagna e l’area confina direttamente con il
Portogallo (in particolare con la città di Porto, a sua volta area metropolitana di diritto portoghese).
cooperazione
urbanistica;
la
coordinazione
nelle
tecnologie
dell’informazione
e
della
comunicazione (art. 15, 2° co.)98.
L’area metropolitana ha il compito di predisporre piani e progetti strategici nei settori di
competenza, nonché «potrà realizzare attività di carattere materiale, tecnico o di servizi di
competenza di altre amministrazioni pubbliche che saranno affidati per ragioni di efficacia. Il
procedimento per l’affidamento della gestione sarà regolato da apposita normativa» (art. 15, 5° co.).
La Comunitad valenciana ha istituito con la ley 2/2001, dell’11 maggio, due Enti
metropolitani, specificamente per il trattamento dei rifiuti e dei servizi idrici, ma la disciplina è stata
completamente innovata dalla riforma complessiva della normativa sugli enti locali 99, che ha
lasciato in vigore solo le disposizioni addizionali (disposiciones adicionales): dal punto di vista
della tecnica redazionale, la disciplina generale delle aree metropolitane valenciane è dettata dalla l.
8/2010 (artt. 74-86), mentre la l. 2/2001 continua a disciplinare la creazione dei due specifici enti.
Secondo l’art. 74 della l. 8/2010, le aree metropolitane sono «enti locali composti dai Comuni
di grandi agglomerati urbani tra i cui nuclei esistano vincoli urbanistici, economici e sociali che
rendano necessaria la pianificazione congiunta e la gestione coordinata di determinate opere e
servizi». L’istituzione delle aree metropolitane sono di competenza dell’assemblea parlamentare
della Comunità, che approva la legge istitutiva a maggioranza qualificata (art. 74, 2° co.).
Gli organi sono l’Assemblea, il Presidente (rectius, la Presidencia) e la Commissione di
Governo (art. 77). L’Assemblea è formata da una persona in rappresentanza di ogni Comune (art.
78, 2° co.) e ciascun rappresentante ha un numero di voti ponderati che garantisce la partecipazione
dei Comuni in ragione della distribuzione degli impegni assunti.
La presidenza è un organo unipersonale eletto dall’assemblea tra i suoi membri a maggioranza
dei due terzi dei voti ponderati in prima votazione e a maggioranza assoluta in seconda votazione
(art. 80). Sono previsti due vicepresidenti, designati dal presidente tra i membri della Giunta del
Governo locale, ovvero dalla Giunta comunale.
Infine, la Commissione di governo è formata dalla Presidenza e da altri otto membri
dell’Assemblea eletti da quest’ultima in modo che vi sia almeno un rappresentante per i Comuni
sotto i 10.000 abitanti, tra i 10.000 e i 20.000 abitanti, tra i 20.000 e i 100.000 abitanti e più di
100.000. Il Segretario dell’ente metropolitano partecipa alle riunioni senza diritto di voto (art. 81, 2°
co.).
98
I successivi commi 3 e 4 aggiungono che altre competenze possono essere assegnate da altre leggi o possono
essere delegate da altri enti locali o dallo Stato.
99
Ley 8/2010, de 23 de junio, de la Generalitat, de Régimen Local de la Comunitat Valenciana.
Fino a qui la disciplina generale: ai sensi della l. 2/2001, sono istituiti l’Ente metropolitano
dei servizi idraulici e l’Ente metropolitano per il Trattamento dei Rifiuti100.
La legge istitutiva è estremamente sintetica quanto alle competenze e alla struttura dei due
enti: il primo è competente in merito al servizio idrico «fino punto di distribuzione municipale», il
secondo è competente in merito «alla prestazione dei servizi di valorizzazione ed eliminazione dei
rifiuti urbani, in accordo con gli obiettivi decisi dalla Comunità autonoma» nel rispetto della
legislazione del settore. Entrambi gli enti si avvalgono della rispettiva società strumentale per
l’esercizio concreto delle attività previste.
4. Un modello perdente?
Una grande città, la capitale del Paese, e quattro aree metropolitane – delle quali Barcellona è
quella di gran lunga più rappresentativa101 e di cui due sono sovrapposte – costituiscono l’intero
patrimonio delle Città metropolitane spagnole.
A meno di non voler mettere in discussione definitivamente la definizione non solo di Città
metropolitana, che non appartiene al diritto positivo iberico, ma anche la definizione di “area
metropolitana”102, dando così modo di includere diverse esperienze di governo locale in forma
associata103, bisogna riconoscere che la notevole flessibilità teorica offerta dal legislatore non ha
trovato concretizzazione.
I membri i due enti non sono i medesimi: ai Comuni che appartengono all’ente trattamento rifiuti (Alaquàs,
Albal, Albalat dels Sorells, Alboraya, Albuixech, Alcàsser, Aldaia, Alfafar, Alfara del Patriarca, Almàssera, Benetússer,
Beniparrell, Bonrepòs i Mirambell, Burjassot, Catarroja, Emperador, Foios, Godella, Lugar Nuevo de la Corona,
Manises, Massalfassar, Massamagrell, Massanassa, Meliana, Mislata, Moncada, Museros, Paiporta, Paterna, Picanya,
Picassent, la Pobla de Farnals, Puçol, Puig, Quart de Poblet, Rafelbuñol, Rocafort, San Antonio de Benagéber, Sedaví,
Silla, Tavernes Blanques, Torrent, Valencia, Vinalesa e Xirivella) si aggiungono altri Comuni che partecipano
solamente all’ente dei servizi idraulici (Alfarp, Catadau, Llombai, Monserrat, Montroy e Real de Montroi).
101
L’area metropolitana di Vigo conta poco meno di 500.000 abitanti ed è obiettivamente periferica, ben poco
sponsorizzata dagli stessi Comuni che ne fanno parte (è persino priva di un sito ufficiale); i due enti metropolitani di
Valencia hanno ruolo marginale, al punto che la dottrina ne ha messo in discussione l’autentica appartenenza al novero
delle Aree metropolitane: A. SÁNCHEZ BLANCO, Organización intermunicipal, cit., 87 ss. (non giova la lettera delle
norme, dato che, come si è visto, la legge istitutiva li definisce “enti”, mentre la legge quadro fa riferimento solo alle
“aree”).
102
Di carattere ambivalente dell’espressione parla C. BARRERO RODRÍGUEZ, Las áreas metropolitanas, Instituto
García Oviedo, Civitas, Madrid, 1993, 59.
103
Non aiuta nella qualificazione l’osservazione di M. ALMEIDA CERRADA, La cooperacion entre Municipios:
una posible alternativa a la reordenacion de la planta local en Espana, in Ist. Fed., 2012, 3, 611 nota 25, il quale,
trattando delle forme di collaborazione tra Comuni, esplicitamente esclude alla radice le aree metropolitane «perché non
sono una formula di cooperazione tra Enti locali in senso stretto; piuttosto tali enti sono il risultato della decisione della
Comunità autonoma di creare un nuovo livello territoriale di ambito sovracomunale, finalizzato alla miglior gestione di
determinati interessi pubblici».
100
Considerati gli scarsi risultati di una normativa sostanzialmente silente e non attuata fin dagli
anni ’80, la dottrina non esita, in verità, a parlare di fallimento del modello dell’area
metropolitana104.
Il problema ha, secondo alcuni, radici storiche105: le Città metropolitane verrebbero percepite
come una sgradita riproposizione degli enti locali metropolitani dell’epoca franchista106. Ciò
configura un fallimento che non dipende da fattori giuridici.
È verosimile che le Città metropolitane spagnole soffrano del ruolo intermedio che è stato
loro assegnato: sono (o possono essere) enti una certa rilevanza amministrativa e politica, sia pure
con rappresentanza di secondo livello, ma, contemporaneamente non costituiscono una forma di
gestione di problemi concreti che non possa essere affrontata con altri strumenti giuridici.
Compresse tra il livello delle Comunità autonoma e quella dei Comuni, sono al tempo stesso
candidate a entrare in competizione con le prime, anche in quanto naturalmente centrate sulle città
capitali regionali e a mettere in ombra i secondi. Ne consegue che la volontà politica di istituirle
deve essere particolarmente intensa, come dimostra il caso di Barcellona, grande città autonomista
ancor prima che area metropolitana ai sensi del diritto. In caso contrario, le difficoltà strutturali
dell’autonomia (e, per certi versi, della medesima tenuta dello Stato) in Spagna prevalgono ed
escludono a priori la creazione di un ulteriore ente dalla qualificazione non chiara.
In particolare, la formula del cd. café para todos, ovvero la creazione di un regionalismo
uniforme nella struttura costituzionale ma fortemente differenziato al suo interno107 «incluse quelle
zone in cui non era presente una particolare sensibilità autonomistica»108 ha influito indirettamente
sulle Città metropolitane provocandone il “fallimento” ancor prima della sperimentazione concreta.
104
F. TOSCANO GIL, El fenómeno metropolitano y sus soluciones jurídicas, Iustel, Madrid, 2010, 243-248; A.
PÉREZ MORENO, Las áreas metropolitanas entre la esperanza y la aporía, in Revista de Derecho Urbanístico, 1994,
140, 29 ss.
105
F. SOSA WAGNER, Manual de Derecho Local, Cizur Menor, Aranzadi, 2005.
106
G. GUERRA-LIBRERO Y ARROYO, La entidad municipal metropolitana de Barcelona, in Revista Estudio de la
Vida Local, 1974, 184, 633 ss.; F. LLISET BORREL, Naturaleza juridica de la Entidad Municipal Metropolitana de
Barcelona, in RDU, 42/1975; T.R. FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ, Áreas metropolitanas y descentralización, in AA.VV. (S.
Martín-Retortillo Baquer), Descentralización administrativa y organización política. Tomo III. Nuevas fórmulas y
tendencias, Alfaguara, Madrid, 1973.
107
M. ETINGER DE ARAUJO Junior, Las competencias urbanisticas y la planificacion metropolitana en el Estado
autonomico espanol e en el federalismo Brasileno, in Boletino Mexicano de Derecho Comparado, 2013, 138, 879 ss.
passim.
108
A. GALÁN GALÁN, Editoriale, in Ist. fed., 2001, 1, 6.
Portogallo: un Paese in due aree metropolitane
1. Appunti sul diritto portoghese degli enti locali
La Costituzione portoghese del 1976, pur riaffermando la natura unitaria dello Stato,
disciplina in dettaglio la materia relativa agli enti locali sulla base dei principi di sussidiarietà,
autonomia e decentramento amministrativo, espressamente enunciati nel testo costituzionale (art.
6.1)109.
Potere locale che è, quindi, previsto e descritto come autonomo e democratico. In forma più
ampia, la stessa Costituzione, all’art. 235, inserito nel Titolo VIII della Parte III, dedicato al “Potere
locale”, stabilisce, al comma 1°, che «l’organizzazione democratica dello Stato comprende
l’esistenza di autarchie locali». E conclude, da un lato, specificando che «l’organizzazione delle
autarchie locali comprende un’assemblea eletta dotata di poteri deliberativi e un organo esecutivo
collegiale responsabile di fronte ad essa» (art. 239, 1° co.); dall’altro, che «l’assemblea è eletta a
suffragio universale, diretto e segreto da parte dei cittadini censiti nell’area della rispettiva
autarchia, secondo il sistema della rappresentanza proporzionale» (art. 239, 2° co.)110.
Il nucleo del potere locale democratico in Portogallo è, così, costituito dalle autarchie
locali111. Espressione dell’autonomia del potere locale, le autarchie locali sono definite nel testo
stesso della Costituzione portoghese come «persone collettive territoriali dotate di organi
rappresentativi, che mirano a perseguire gli interessi propri delle rispettive popolazioni» (art. 235,
Così l’art. 6.1. Cost. per cui «Lo Stato è unitario e rispetta nella sua organizzazione e funzionamento il regime
autonomistico insulare ed i principi della sussidiarietà, dell’autonomia delle autarchie locali e della decentralizzazione
democratica della pubblica amministrazione».
110
P. CRUZ SILVA, La riforma del potere locale in Portogallo, in Istituzioni del Federalismo, 2012, 3, 639 ss.;
M. ALMEIDA CERREDA, Portugal: el debate sobre la reforma de la Administración Local, in L. COSCULLUELA
MONTANER, L. MEDINA ALCOZ (a cura di), Crisis Económica y Reforma del Regimén Local, Civitas, Madrid, 2012, 426
ss.
111
Lo statuto del potere locale in Portogallo si è compendiato, ancora più che nella stessa Costituzione,
attraverso un vasto corpus legislativo fondamentale: la legge 1° agosto 1996, n. 27 (Legge di tutela amministrativa), la
legge 14 settembre 1999, n. 159 (che stabilisce i principi per il conferimento delle funzioni alle autarchie locali), la
legge 18 settembre 1999, n. 169 (che stabilisce il quadro di competenze, così come il regime giuridico di
funzionamento, degli organi dei municipi e delle freguesias), la Legge organica 24 agosto 2000, n. 4 (che disciplina il
regime giuridico del referendum locale), la Legge organica 14 agosto 2001, n. 1 (Legge elettorale degli organi delle
autarchie locali), la legge 15 gennaio 2007, n. 2 (Legge delle finanze locali) e infine il decreto legge 23 ottobre 2009, n.
305 (che approva il regime giuridico dell’organizzazione dei servizi delle autarchie locali).
109
2° co.). La stessa Costituzione precisa quali sono le autonomie locali, menzionando «le freguesias, i
municipi e le regioni amministrative» (art. 236, 1° co.).
La freguesia rappresenta una delle principali originalità dell’organizzazione amministrativa
territoriale portoghese, non trovandosi figure analoghe in altri ordinamenti europei: essa è
un’autarchia locale di base, con una dimensione storica radicata nel tempo, la quale riceve, dalla
legge ordinaria, un insieme di attribuzioni proprie e specifiche, in ordine al perseguimento dei
propri fini di utilità pubblica, con una particolare inclinazione verso il valore della prossimità che
fornisce ai cittadini.
Nel contesto ordinamentale qui analizzato, un ruolo centrale viene svolto dai municipi. Ciò è
dovuto anche al fatto che Stato portoghese non ha mai implementato il progetto regionalista, pur
descritto e prescritto in Costituzione. In effetti, il Portogallo ha solo due regioni, corrispondenti ai
suoi arcipelaghi nell’oceano Atlantico112, mentre, nella parte continentale del paese, le regioni – pur
previste nella Costituzione sin dal 1976 – non sono mai state istituite113.
Quindi, si potrebbe discorrere del mancato regionalismo portoghese come di un’omissione del
legislatore che ha dato luogo ad un’originale forma di decentramento amministrativo, teso a
valorizzare un livello più basso di potere (il municipio) e non il livello intermedio.
Tale scelta è stata determinata anche della forte tradizione municipale che caratterizza la
storia portoghese114, in cui i comuni hanno sempre svolto un ruolo centrale, in particolare definendo
e dando attuazione alle politiche in materia di servizi e prestazioni sociali.
La funzione svolta dalle autarchie nel contesto portoghese emerge anche da una recente
sentenza del Tribunale costituzionale nella quale si è sottolineato come «la Costituzione è rilevante
per il diritto degli enti locali per lo meno per tre motivi. Il primo motivo è che è all’interno della
Costituzione che vengono definiti i valori ed i principi strutturanti del diritto degli enti locali (…) Il
secondo è che la Costituzione del 1976 ha avuto la chiara intenzione di definire espressamente
l’organizzazione del potere politico a livello locale, elevando in tal modo gli organi del potere
L’art. 225, 1° co., stabilisce che gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera devono disporre di un regime
politico-amministrativo proprio, motivato dalle loro caratteristiche geografiche, economiche, sociali e culturali, e dalle
storiche aspirazioni autonomiste delle popolazioni isolane. Tale autonomia non incide sull’integrità della sovranità dello
Stato e si esercita nell’ambito della Costituzione (art. 225, 3° co.). Le regioni autonome sono persone giuridiche
territoriali, dotate di statuti politico-amministrativi propri e con un’ampia autonomia politica, legislativa e
amministrativa.
113
M.S. D’OLIVEIRA MARTINS, Il regionalismo portoghese, in Atti del Convegno ISSiRFA-Tor Vergata, I
cantieri del federalismo in Europa, Camera dei Deputati, Roma, 2000, 76 ss.; A. D’OLIVEIRA MARTINS, La
descentralización territorial y Ia regionalización administrativa en Portugal, in Documentación Administrativa nº 257258, Madrid, 2000, 105-108; C. BLANCO DE MORAIS, O Défice estratégico da ordenação constitucional das
autonomias regionais, in Revista da Ordem dos Advogados, III, 66, 2006, 1153-1186; A. CANDIDO DE OLIVEIRA, As
regiões administrativas, a Constituição e o referendo, in Estudos Jurídicos e Económicos em Homenagem ao Prof.
Doutor António de Sousa Franco, Faculdade de Direito da Universidade de Lisboa, Coimbra Editora, 2006, 172-185.
114
A.R. MONTALVO, Os Municípios do Antigo regime ao Estado Corporativo, in AA.VV., O Processo de
Mudança e o Novo Modelo da Gestão Pública Municipal, Almedina, Lisboa, 2003, 23 ss.
112
locale al rango di organi costituzionali attribuendo loro un sistema di garanzie costituzionali simili a
quelle applicabili agli organi di sovranità e delle regioni autonome (...) Il terzo motivo è che la
Costituzione ha regolato in modo esaustivo molti altri aspetti dell’amministrazione e del regime
locale, in quello che possiamo qualificare come diritto costituzionale locale (…) Di fatto, la vigenza
di una garanzia costituzionale degli enti locali, prevista dall’art. 235, 1° co., della Costituzione,
assume il significato di garanzia istituzionale, assicurando l’esistenza dell’amministrazione
autonoma degli enti locali. La garanzia dell’autonomia costituisce un limite materiale di revisione
costituzionale (art. 288, lett. n, Cost.) e gode di una protezione ad ampio raggio» (Trib. cost. port.,
28 maggio 2013, n. 296/2013)115.
2. Le associazioni tra comuni
Il decentramento amministrativo richiede il rafforzamento dei poteri di gestione locale, che
può affermarsi solo in due modi: fusione di enti locali o rafforzamento della cooperazione
intercomunale per mezzo di associazioni o di condivisione dei servizi, in particolare di quelli di
interesse inter-municipale.
Le associazioni comunali, indipendentemente dalla qualificazione giuridica formale
modellabile nel tempo, richiedono la creazione da parte di due o più comuni di una nuova entità
giuridica, con personalità giuridica e proprie attività, che lavori per promuovere l’interesse pubblico
comune.
In Portogallo, la Costituzione del 1976, nella sua formulazione originaria, prevedeva il diritto dei
comuni di creare associazioni o federazioni di comuni, facoltà che, con una modifica costituzionale
del 1997, è ora disciplinata espressamente, prevedendosi che, con legge ordinaria, si possano creare
associazioni o federazioni tra comuni, attribuendo alle stesse specifiche competenze.
Una prima disciplina della materia è stata dettata nel decreto-legge n. 266/81 del 15 settembre
1981, nel quale si è definito uno statuto specifico per le associazioni tra comuni, qualificate quali
persone giuridiche di diritto pubblico create per accordo tra due o più comuni limitrofi con il fine di
perseguire specifici interessi comuni. Tale regime giuridico è stato modificato, con abrogazione del
decreto-legge n. 266/81, dal decreto-legge n. 412/89 del 29 novembre 1989, a sua volta innovato
dalla legge n. 172/99 del 21 settembre 1999.
115
G. VAGLI, Portogallo: la
www.forumcostituzionale.it, 12.06.2013.
riforma
degli
enti
locali
viene
dichiarata
incostituzionale,
in
Nel 2003, in una logica di rafforzamento del decentramento, si è tentata una ridefinizione del
regime legale delle associazioni tra i comuni con l’approvazione delle leggi n. 10/2003 e n. 11/2003
del 13 maggio 2003.
Secondo il nuovo regime le entità associative possono essere suddivise in due categorie: a)
Associazioni con finalità generali [Aree metropolitane (AM) e Comunità generali intercomunali
(CIM )]; b) Associazioni con finalità specifiche [Associazioni a finalità specifiche (FMEA)].
La legge n. 10/2003 ha definito il meccanismo di istituzione, le attribuzioni e le competenze,
oltre ai criteri di funzionamento degli organi delle Aree metropolitane, differenziandone il regime a
seconda del livello demografico e territoriale tra: le grandi aree metropolitane (GAM) - con un
minimo di nove municipi con almeno 350.000 abitanti - e le Comunità urbane (ComUrb), con un
minimo di tre comuni con almeno 150.000 abitanti.
Le due leggi (n. 10/2003 e n. 11/2003) operano in combinazione, ovvero se una realtà non
raggiunge i requisiti dimensionali sopra indicati, potrà comunque associarsi per il perseguimento di
finalità generali costituendo un CIM ai sensi della legge n. 11/2003.
Questa legge, che ha abrogato la l. n. 172/99, consente la creazione di due tipi di comunità
intercomunali: a) Comunità intercomunali a finalità generale; b) Associazioni di comuni a finalità
specifiche.
Oltre alla considerazione per cui solo le prime sono persone giuridiche di diritto pubblico, la
distinzione concettuale tra le due forme si deduce dalla circostanza che, mentre i CIM potrebbero
essere costituiti per il perseguimento di scopi generali da parte dei comuni collegati tra loro da un
nesso di associazione territoriale, invece le associazioni create per scopi specifici per lo svolgimento
di interessi comuni possono definire forme di integrazione senza presupporre una contiguità
territoriale.
Anche per tale motivo e al fine di perseguire scopi di semplificazione normativa, le
associazioni comunali per scopi specifici sono state qualificate come persone giuridiche di diritto
privato create per coordinare gli interessi specifici dei comuni che le compongono, in difesa degli
interessi collettivi settoriali, di livello regionale o locale.
3. Le aree metropolitane
Nell’ordinamento costituzionale portoghese, il sistema delle autonomie locali ha carattere
chiuso, non potendovisi introdurre nuove figure amministrative territoriali, ovvero enti locali atipici,
con l’eccezione stabilita dall’art. 236, 3º co., Cost., il quale ammette la creazione mediante legge
ordinaria di nuove forme di organizzazione locale limitatamente alle grandi aree urbane ed alle
isole, secondo le loro condizioni specifiche.
Entro tali limiti le aree metropolitane sono state definite e riconosciute con legge 2 agosto
1991, n. 44 che ha istituito due enti pubblici obbligatori denominati area metropolitana di Lisbona
e di Porto.
Tale disciplina è stata ulteriormente integrata con la legge 13 maggio 2003, n. 10 che ha
riformato lo status delle aree metropolitane, definite quale «persona pubblica collettiva con natura
associativa e di rilievo territoriale che ambisce a conseguire i comuni interessi pubblici delle
municipalità che la integrano (…)».
Finalità dell’area metropolitana è quella di: a) coordinare gli investimenti municipali relativi a
progetti sovra-comunali; b) predisporre politiche, servizi e infrastrutture di base; c) accompagnare
l’elaborazione e l’esecuzione dei piani di sviluppo dell’ordinamento regionale e municipale.
Tale struttura, a livello di governance, si compone di tre organi: la Giunta metropolitana,
organo esecutivo composto dai sindaci delle municipalità coinvolte, che eleggono un Presidente e
due Vice-Presidenti; un’Assemblea metropolitana, organo legislativo, composta dai rappresentanti
scelti dalle Assemblee municipali; ed il Consiglio metropolitano, organo consultivo composto da
rappresentanti dello Stato e dai membri della Giunta metropolitana. Peraltro le deliberazioni degli
organi delle aree metropolitane, adottate nell’ambito delle proprie competenze, sono vincolanti per i
comuni che ne fanno parte.
Con la stessa legge del 2003 (artt. 10-11) si è aperta la possibilità di estendere il suddetto
regime giuridico ad altri centri urbani del Paese116. A questo fine sono state previste due forme di
governo metropolitano, in base all’estensione e alla demografia delle aree considerate: a) Grandes
Areas Metropolitanas, formata da un minimo di 9 municipalità e almeno 350 mila abitanti; b)
Comurb-Comunidad Urbanas, formata da un minimo di 3 municipalità e almeno 150 mila abitanti.
Si tratta, in questi casi solamente di libere associazioni di comuni legate da un nesso di continuità
territoriale, al fine di perseguire una migliore cooperazione in determinati settori (coordinamento
investimenti sovra-comunali; pianificazione e gestione strategica in materie economiche e politiche
sociali; gestione territoriale e ordinamento in materia di sanità, cultura, istruzione, ambiente…)
Con la legge n. 46/2008 del 27 agosto 2008, che, sino al 30 settembre 2013, ha disciplinato le
aree metropolitane, si è ulteriormente rafforzata la natura di associazione obbligatoria del
raggruppamento di comuni che formano l’area metropolitana.
116
In virtù di tale legame, attualmente, sono state costituite le grandi aree metropolitane di Minho, Aveiro,
Viseu, Coimbra e Algarve; le comunità urbane di Valee-Mar, Leiria, Douro, Vale di Sousa, Beiras, Médio Tejo.
Nei termini di legge, le aree metropolitane di Lisbona e Porto sono persone giuridiche di
diritto pubblico e costituiscono una forma specifica di associazione dei comuni costituenti le unità
territoriali definite dalla Grande Lisbona, oltre alla Penisola di Setúbal e la Grande Porto
comprensiva di Entre Douro e Vouga. Si è previsto inoltre che i Comuni delle aree metropolitane di
Lisbona e Porto possano costituire associazioni comunali con finalità specifiche in conformità con il
quadro giuridico proprio del settore di riferimento.
In tal modo sono state in particolare implementate le finalità degli enti qui analizzati, sicché,
in virtù dell’art. 4 della legge 46/2008, le aree di Porto e Lisbona hanno acquisito l’obiettivo di
perseguire le seguenti finalità pubbliche: a) partecipare alla preparazione di piani e programmi di
investimento pubblico concentrati sull’area metropolitana; b) promuovere la pianificazione e la
gestione della strategia di sviluppo economico, territoriale, sociale e ambientale in questione; c)
articolare investimenti comunali a carattere metropolitano; d) partecipare alla gestione dei
programmi di sostegno allo sviluppo regionale, in particolare nel contesto del Quadro di riferimento
strategico nazionale (QSN); e) partecipare in conformità legge, la definizione di apparecchiature di
rete e dei servizi a favore dell’area metropolitana; f) partecipare agli enti pubblici metropolitani, in
particolare nei settori dei trasporti, acqua, energia e trattamento dei rifiuti solidi; g) pianificare
l’azione di carattere pubblico a livello metropolitano. Rientra nelle competenze delle aree
metropolitane di Lisbona e Porto assicurare il coordinamento delle azioni tra i comuni e le
amministrazioni nelle seguenti aree: a) le reti di alimentazione pubbliche, infrastrutture igienicosanitarie, di trattamento delle acque reflue e dei rifiuti; b) rete di servizi sanitari; c) rete di istruzione
e formazione professionale; d) uso del suolo, conservazione dell’ambiente e delle risorse naturali; e)
sicurezza e protezione civile; f) mobilità e trasporti; g) promozione dello sviluppo economico e
sociale; h) rete di attività culturali, sportive e per il tempo libero. Rientra infine nelle attribuzioni
delle aree metropolitane svolgere le funzioni trasferite dal governo centrale e l’esercizio congiunto
di competenze delegata dai Comuni che le compongono.
Le aree metropolitane sono dotate di patrimonio e finanze proprie e non possono procedere a
trasferimenti finanziari a favore dei comuni associati o sostenere finanziamenti di interesse
esclusivamente municipale. Le risorse di cui sono dotati tali organi originano in particolare dai
contributi dei comuni e da un trasferimento annuale dal bilancio statale per il funzionamento
corrente che corrisponde all’1% del fondo di equilibrio finanziario dei comuni dell’area. Inoltre la
legge permette alle autorità metropolitane di introitare entrate tramite le tariffe imposte per l’uso dei
servizi pubblici locali di loro competenza e la concessione di autorizzazioni e licenze.
4. La riforma degli enti locali del 2013
Nel contesto della crisi globale, il Portogallo ha dovuto sottoscrivere, per ottenere assistenza
economica e finanziaria, un memorandum d’intesa – noto come Memorandum d’intesa in materia di
condizionalità di politica economica – che, al punto 3.44, impone quanto segue: «riorganizzare la
struttura dell’amministrazione locale. Esistono attualmente 308 municipi e 4.259 freguesias. Fino al
luglio 2012, il Governo svilupperà un piano di consolidamento per riorganizzare e ridurre
significativamente il numero di queste entità. Il Governo implementerà questi piani sulla base di un
accordo con la CE e il FMI. Queste modificazioni, che dovranno entrare in vigore nel prossimo
turno elettorale locale, rinforzeranno la prestazione del servizio pubblico, aumenteranno l’efficacia
e ridurranno la spesa».
Per delineare i principi-guida delle riforme da attuare, il governo ha adottato il Libro verde
della Riforma dell’Amministrazione Locale – Una riforma di Gestione, una riforma del Territorio e
una riforma Politica, nel quale ha previsto che la riforma del potere locale ruoterà intorno a quattro
aree tematiche centrali: il settore dell’impresa locale, l’organizzazione del territorio, la gestione
municipale e inter-municipale, così come il suo finanziamento, e, per ultimo, la democrazia locale,
investita da un intervento legislativo di ampia portata, che coinvolgerà, tra le altre, la disciplina
della legge elettorale delle autarchie locali, lo statuto degli eletti locali, le competenze degli organi
delle autarchie locali (tanto quelli esecutivi, quanto quelli deliberativi) e le attribuzioni delle
freguesias.
Le leggi di riforma117 approvate si connotano per un obiettivo comune, ovvero una riduzione
o razionalizzazione significativa del numero di autarchie locali, sancendo l’obbligatorietà della
estinzione delle freguesias e incentivando la fusione o aggregazione dei comuni118.
Centrale è la legge n. 22/2012 del 30 maggio 2012 che ha riformato il “Regime Jurídico da Reorganização
Administrativa Territorial Autárquica”; vi sono poi la legge n. 50/2012 del 31 agosto 2012, sul “Regime Jurídico da
Atividade Empresarial Local e das Participações Locais”; legge n. 56/2012 del 8 novembre 2012 sulla “Reorganização
Administrativa de Lisboa” e legge n. 11-A/2013 del 28 gennaio 2013 sulla “Reorganização Administrativa do
Território das Freguesias”.
118
La legge n. 22/2012 ha una vocazione chiaramente procedurale, nel senso che stabilisce un percorso per la
fusione delle autarchie locali, identificando gli organi autarchici coinvolti, nello stesso momento in cui fissa le scadenze
e le tappe del procedimento stesso. Per raggiungere l’obiettivo, il legislatore ha posto dei criteri chiari: per la fusione
delle freguesias si è tenuto conto essenzialmente di valutazioni di carattere demografico. Conseguentemente tutti i
municipi del Paese devono rientrare in una classificazione che prevede tre livelli di popolazione (art. 4): il livello I è
riservato ai municipi con una densità di popolazione superiore a 1.000 abitanti per km 2 e con una popolazione uguale o
superiore a 40.000 abitanti ed il livello III (l’ultimo) è riservato ai municipi con una densità tra i 100 ed i 1.000 abitanti
per km2 e con una popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, così come ai municipi con una densità inferiore a 100
abitanti per km. In dottrina J. MELO ALEXANDRINO, Direito das Autarquias Locais, in Tratado de Direito
Administrativo Especial, IV, Almedina, Coimbra, 2010, 139 ss.; A. CANDIDO OLIVEIRA, É necessária uma reforma
territorial das freguesias ?, in Revista de Direito Regional e Local, 2011, 13, 5 ss.; J. CAUPERS, Divisão administrativa
e órgãos regionais, in Revista de Direito Regional e Local, 2009, 8, 3 ss.; J.L. CARNEIRO, A proposta de reforma da
administração local – O estado do debate, in Revista de Direito Regional e Local, 2012, 17, 30 ss.; P. CRUZ SILVA,
117
Di particolare rilievo appare la recente approvazione della legge n. 75/2013 del 12 settembre
2013, di riforma del regime giuridico degli enti locali, la quale dedica il Titolo III, Capo II (artt. 6679) alla definizione di una disciplina organica ed unitaria delle áreas metropolitanas.
Quella posta nella legge del 2013 è una disciplina volta a razionalizzare i rapporti tra i vari
soggetti ed organi che vengono a comporre lo scenario dell’area metropolitana, senza modificare la
sostanziale struttura dei meccanismi di governo già dettati dalla legge n. 46/2008; l’unico elemento
che si può segnalare è dato dall’attribuzione alle assemblee municipali del potere di votare una
mozione di censura nei confronti dell’esecutivo metropolitano, che è costretto alle dimissioni in
caso di un voto favorevole della maggioranza delle assemblee dei municipi facenti parte dell’area
metropolitana. Ciò rappresenta un evidente contrappeso all’attribuzione di ampi poteri agli organi
metropolitani.
Notas sobre a Proposta de Lei n.º 44/XII do Governo para a reorganização administrativa territorial autárquica, in
Revista de Direito Regional e Local, 2012, 17, 39 ss.
Paesi Bassi: il modello della Città-Regione
1. Gli enti locali olandesi
La Costituzione del 1983 dei Paesi Bassi119 (Grondwet van het Koninkrijk der Nederlanden)
riconosce all’art. 32 lo status di capitale ad Amsterdam, tuttavia la norma non esplicita una
condizione giuridica particolare per questa né per altre città. Oltretutto, come noto, la capitale non
ospita le sedi istituzionali, in quanto il Governo, il Parlamento e il Capo di Stato120 risiedono
all’Aia.
Ragioni storiche giustificano la distribuzione delle sedi istituzionali, così come ragioni
storiche spiegano l’assetto istituzionale con particolare riferimento al governo locale. Gli attuali
Paesi Bassi, infatti, nascono nel 1581 come confederazione di sette province del territorio prima
soggetto alla sovranità dell’Impero asburgico e poi dell’Impero spagnolo.
La tradizione municipale dell’età rinascimentale dell’Europa del Nord si combina con
l’evoluzione successiva di un Paese in crescita dal punto di vista economico-commerciale, coloniale
e persino in relazione all’ingrandimento territoriale, non tanto a scapito di Paesi confinanti 121 quanto
a scapito del mare.
Il rapporto tra estensione del territorio e popolazione fa dei Paesi Bassi uno degli Stati più
densamente popolati al mondo122 e la distribuzione non uniforme della popolazione123 ha creato dei
centri abitati dalle dimensioni significative124 a fronte di aree rurali non altrettanto urbanizzate.
119
La dizione comune è Olanda, ma si tratta di un classico esempio di sineddoche, ovvero di indicare una parte
per il tutto. L’Olanda, infatti, è solo una delle province dei Paesi Bassi. Si utilizzerà pertanto la dizione Paesi Bassi per
indicare l’intero Stato (Nederlanden) e l’aggettivo olandese con la medesima estensione, pur con la seguente
precisazione: il Regno dei Paesi Bassi è composto da quattro Stati, ciascuno avente la propria Costituzione. I Paesi
Bassi (propriamente detti, ovvero il territorio europeo) e le isole caraibiche di Aruba, Curaçao e Sint Maarten. La
dissoluzione, nel 2010, delle Antille Olandesi come ente unitario ha comportato la creazione dello status di municipalità
a statuto speciale per le isole di Bonaire, Sint Eustatius e Saba. Nella presente analisi si tratterà solo del territorio
europeo.
120
Dal 1815 i Paesi Bassi sono una monarchia costituzionale. La Costituzione (art. 25) prevede che il
primogenito del monarca eredita il trono senza riguardo al sesso.
Le sedi ufficiali dei monarchi olandesi sono tre: il palazzo reale (di rappresentanza) ad Amsterdam, e le sedi
operative e residenziali dell’Aia, rispettivamente il palazzo di Noordeinde e Huis ten Bosch.
121
Anzi, da ultimo nel 1830 la creazione del Belgio priva l’allora Regno Unito dei Paesi Bassi (creato solo nel
1815) delle province meridionali.
122
Secondi, nell’Unione Europea, solo a Malta e, nell’Europa geografica, ai seguenti: Principato di Monaco,
Città del Vaticano, Malta e San Marino.
123
http://www.vnginternational.nl/fileadmin/user_upload/downloads/publicationsAndTools/Local_Government_i
n_the_Netherlands.pdf
È su queste città che si concentrerà l’attenzione, non prima di aver rapidamente riassunto
l’assetto del governo locale olandese.
Infatti, con l’eccezione del cenno sopra menzionato alla città di Amsterdam come capitale del
Paese, la Costituzione olandese non include una normativa specifica sul regime giuridico delle città,
piuttosto, al titolo VII, disciplina «le Province, i Comuni, le Agenzie delle Acque (waterschappen) e
altri enti pubblici» (artt. 123-136).
Il testo della Costituzione crea una riserva di legge a favore delle Province e dei Comuni (art.
123) la cui esistenza e i cui confini sono disciplinati dal Parlamento. Secondo l’art. 124 Cost.
l’organo di governo è il Consiglio, rispettivamente provinciale e comunale (Provinciale Staaten e
Gemeenteraad), mentre secondo il successivo art. 125 gli organi esecutivi cambiano definizione a
seconda che si tratti di Province o di Comuni. Per quanto riguarda le Province, la Giunta provinciale
(Gedeputeerde Staten) è presieduta dal Commissario del Re (Commissaris van der Koning), mentre
per i Comuni la Giunta comunale (College van Burgemeester en Wethouders) è presieduta dal
Sindaco (Burgemeester).
Accanto all’elencazione degli organi di governo, la Costituzione specifica che l’elezione dei
Consigli è a suffragio universale e diretto su base territoriale (art. 129, co. 1), che i Commissari del
Re e i Sindaci sono nominati con decreto reale (art. 131) e che, nel caso dei Commissari, l’incarico
è dato con legge del Parlamento «con l’esecuzione di istruzioni ufficiali fornite dal Governo» (art.
126). Ogni altra norma relativa alle funzioni, alla struttura e all’organizzazione degli organi delle
Province e dei Comuni è rimessa alla legge ordinaria attraverso una tecnica di continuo rinvio a
riserva di legge. Persino la durata in carica dei Consigli è di quattro anni (art. 129, 4° co.) salva
diversa disposizione della legge. Le Agenzie delle acque, invece, sono disciplinate da norme di
livello provinciale sulla base dei principi stabiliti con legge statale (art. 133).
I livelli su cui è costruito lo Stato e l’autonomia locale sono essenzialmente tre: lo Stato
centrale, le Province e i Comuni. Le Agenzie delle Acque sono un ente pubblico sui generis con
competenze tanto specifiche quanto connaturate alla natura del territorio olandese.
Scendendo dal generale al particolare, il più grande degli enti locali è la Provincia, eredità
storica di quegli enti che diedero principio allo Stato olandese.
124
La recente inaugurazione del palazzo più grande del Paese (160.000 mq), chiamato De Rotterdam e posto
nella città omonima, conferma l’attenzione per un’edilizia particolarmente attenta al contenimento dell’estensione degli
spazi occupati e volta alla sperimentazione di soluzioni alternative.
Le province olandesi sono dodici125 e rispecchiano le denominazioni e, in una certa misura, i
confini storici, con l’eccezione del Flevoland, provincia creata solo nel 1986 a seguito della bonifica
dello Zuiderzee126.
Il ruolo della Provincia è quello di ente di area vasta, intermedio tra i Comuni e lo Stato
centrale. Gli organi di governo sono il Consiglio e la Giunta provinciale nonché il Commissario del
Re.
Il Consiglio provinciale è eletto a suffragio universale e diretto dai cittadini residenti nel
territorio della Provincia. La composizione è variabile a seconda della popolazione, e spazia dai 55
membri dell’Olanda del Sud ai 39 del Flevoland. I membri della Giunta, l’esecutivo dell’ente, sono
scelti dal Consiglio ed hanno, come i consiglieri, incarico quadriennale. Dal 2002 i membri del
Consiglio (da 4 a 8 in base alla popolazione) non possono cumulare la carica con quella di membri
dell’esecutivo, dunque, se eletti in Giunta, rinunciano alla carica di consiglieri. Si ritiene che tale
previsione abbia rafforzato la divisione delle funzioni tra i due organi. È importante altresì
segnalare che i Consigli di tutte le Province eleggono anche i 75 membri del Senato (Eerste Kamer)
olandese (art. 51 Cost.).
Il Commissario del Re (o Governatore, Gouverneur) è un incarico di nomina regia che
comporta la presidenza del Consiglio e della Giunta provinciale. La durata in carica è di sei anni e il
mandato può essere rinnovato. La scelta della figura da incaricare – che costituisce un ruolo di
rilevanza politica affidato non ad un funzionario di carriera ma ad un esponente dei partiti – è
peculiare in quanto coinvolge il Governo, il Parlamento e il Re, il primo nella indicazione, il
secondo nello scrutinio e nel necessario consenso e il terzo per quanto riguarda l’atto formale
dell’investitura è peculiare e tende a sopperire alla mancanza di un’elezione diretta da parte degli
elettori.
Il ruolo del Governatore è particolarmente delicato poiché è ha, tra gli altri compiti, quello di
suggerire al Governo il nominativo di nuovi sindaci da proporre alla nomina regia nei Comuni posti
nel territorio della Provincia. A questo scopo, però, il Governatore consulta il Consiglio comunale.
Al livello di governo più vicino ai cittadini si collocano i Comuni, la cui popolazione elegge
ogni quattro anni i membri del Consiglio comunale (da 7 a 45). I membri della Giunta comunale
sono eletti e revocati dal Consiglio e, come per le Province, vi è incompatibilità tra le due cariche.
La separazione dei ruoli ha comportato che le Giunte comunali, a lungo espressione di tutte le forze
rappresentate nel Consiglio, divenissero più simili agli organi esecutivi della tradizione
assembleare, ovvero formati da soli esponenti della maggioranza.
125
Così denominate: Drenthe, Flevoland, Fryslân, Gelderland, Groningen, Limburg, Noord-Brabant, NoordHolland, Zuid-Holland, Overijssel, Utrecht, Zeeland.
126
E con la parziale eccezione dell’Olanda, divisa oggi nelle due province dell’Olanda del Nord e del Sud.
Il Sindaco presiede sia il Consiglio che la Giunta ma la sua legittimazione deriva dalla nomina
del Re il quale, tramite il suo Commissario provinciale, acquisisce il parere del Consiglio
medesimo. La carica di Sindaco ha durata di sei anni, mentre consiglieri ed assessori restano in
carica quattro anni. Il ruolo del Sindaco è più vicino ad un manager pubblico che non ad un politico
implicato nel dibattito, tuttavia mantiene molti importanti poteri di organizzazione dell’attività
comunale, cui si aggiungono anche funzioni di pubblica sicurezza e protezione civile, in quanto
responsabile dell’ordine pubblico nel Comune e in quanto capo dei vigili del fuoco comunali.
La legge non disciplina compiutamente le competenze dei comuni, che restano quelle tipiche
di un ente locale, quali urbanistica, sviluppo urbano, servizi sociali, trasporto, ambiente, oltretutto
nel quadro di un livello di governo che a volte comporta l’attuazione di politiche già impostate dallo
Stato o dalle Province.
Le Agenzie delle Acque sono enti pubblici che si occupano della gestione delle acque: in
generale, la loro competenza riguarda il controllo del livello degli specchi d’acqua e la prevenzione
delle inondazioni, la quantità e la qualità dell’acqua e il trattamento delle acque reflue. Per svolgere
tali compiti, appartiene alle Agenzie delle Acque la gestione e la manutenzione delle stazioni di
pompaggio, dei depuratori, dei canali e di tutte le strutture di difesa del territorio nazionale, che in
buona parte resta sotto il livello del mare.
La normativa riguardante le Agenzie è differenziata per ogni Provincia, posto che la
Costituzione attribuisce a queste la competenza normativa al riguardo. In via generale, la struttura è
modellata su quella degli enti locali già commentati. Un Consiglio e un organo esecutivo (College
van Dijkgraaf en Heemraden) il cui Presidente assume la denominazione di Dijkgraaf (lett. Capo
Diga). La composizione del Consiglio è variabile e comprende abitualmente proprietari terrieri, di
immobili e di attività economiche nonché anche dei cittadini residenti.
2. Le città metropolitane
I tre livelli di governo sopra elencati – che non hanno una struttura prettamente gerarchica,
almeno quanto alle Agenzie delle Acque, le cui competenze si affiancano e non si sovrappongono a
quelle degli enti locali – non esauriscono l’ambito del governo locale nei Paesi Bassi. Il carattere
collaborativo degli enti territoriali, storicamente necessitato a causa della costante sfida contro il
mare e favorito dalla non eccessiva estensione del Paese, è parte integrante del carattere del governo
locale.
Forme di collaborazione sono state sempre previste e, da ultimo, la normativa ordinaria
olandese ha creato un ulteriore ente per il governo delle aree cittadine, appunto la città
metropolitana (che la legge chiama plusregio), definito «ente pubblico di ambito regionale con
compiti statutari». Dopo una riflessione iniziata già negli anni ’90, la legge 24 novembre 2005 ha
modificato la normativa previgente127 consentendo la creazione delle città metropolitane, che sono
state attivate nel 2006128.
Le Città metropolitane sono otto e coprono l’hinterland delle maggiori129 città olandesi:
Stadsregio
Amsterdam;
Stadsregio
Rotterdam;
Stadsgewest
Haaglanden
(L’Aia);
Samenswerkingsband Regio Eindhoven; Stadsregio Arnhem Nijmegen; Bestuur Regio Utrecht;
Regio Twente (Enschede e Hengelo); Parkstad Limburg (Heerlen e Kerkrade)130.
Per la costituzione di una città metropolitana è necessario che i comuni interessati ne facciano
richiesta alla provincia, la quale approva la richiesta se la maggioranza dei comuni vuole operare
congiuntamente e se vi è interesse all’esercizio comune di quelle che sono le competenze stabilite
dalla legge per le città metropolitane, ovvero se riguardano pianificazione territoriale ed economica,
urbanistica, traffico e traffico, attività ricreative e verde pubblico.
Gli organi di governo delle città metropolitane sono un Consiglio e un Esecutivo. I Consigli
comunali sono rappresentati nel Consiglio in base proporzionalmente agli abitanti, mentre
l’esecutivo è eletto dal Consiglio della Città metropolitana secondo criteri stabiliti per ogni singolo
ente e che, in ogni caso, consentono la rappresentanza di membri in proporzione alla popolazione
dei Comuni che vi appartengono.
Lo schema è ricalcato sugli organi di governo degli enti locali, ma l’elezione indiretta dei
membri è una differenza sostanziale, pur mitigata dallo stretto collegamento tra i Comuni che
compongono la Città e i relativi organi131.
Le competenze delle Città metropolitane sono essenzialmente di pianificazione strategica e
l’elenco riportato poco sopra è da intendersi in modo ampio. Le infrastrutture e i trasporti
comprendono decisioni strategiche in merito a eventuali porti e aeroporti a servizio della Città,
autostrade, viabilità a livello interzonale e politiche dei trasporti. Così, l’impulso all’economia
comprende politiche sul turismo, sul commercio, servizi finanziari, per l’impiego e il sostegno alle
127
Inserendo un nuovo titolo, numerato XI, nella legge 20 dicembre 1984 recante disciplina delle norme comuni
relative agli enti locali e modificando altre leggi quanto ad ulteriori competenze affidate alle Città metropolitane (es.
legge sull’edilizia pubblica).
Per questioni inerenti alla tecnica normativa, dove una redazione italiana avrebbe inserito un titolo X-bis, la
legge olandese del 2005, in realtà, ha rinumerato come XII il previgente titolo XI (disposizioni finali) e ha rinumerato di
conseguenza l’articolato.
128
Tutte il 1° gennaio tranne Parkstad Limburg, attivata il 23 marzo.
129
Tre città metropolitane sono sopra il milione di abitanti (Amsterdam, Rotterdam, l’Aia), due sopra i 700.000
(Eindhoven e Arnhem Nijmegen), due sopra i 600.000 (Utrecht e Twente) e solo Linburg si ferma a 250.000 abitanti.
130
Tra queste, sono confinanti solo le Città metropolitane di Rotterdam e dell’Aia. Esistono già delle forme di
collaborazione tra le due città, a livello di trasporto, di politiche di edilizia ed economiche, verso ciò che viene già
definita Metropoolregio Rotterdam Den Haag (http://mrdh.nl).
131
Non di rado le stesse persone fisiche ricoprono incarichi nell’una e nell’altra amministrazione.
nuove energie. Anche la gestione degli spazi pubblici e dell’urbanistica comporta una
pianificazione ad ampio spettro sul futuro della città.
Altre competenze possono essere delegate dalle Province nel caso in cui l’esercizio a livello
della Città metropolitana possa configurare una migliore gestione132.
132
È il caso delle politiche giovanili, competenza affidata dalle relative province alle Città di Amsterdam,
Rotterdam e l’Aia.
Inghilterra: Londra città metropolitana
1. Enti locali e città in Inghilterra nell’ottica del local government
L’analisi del sistema degli enti locali nel Regno Unito133 richiede alcune precisazioni
preliminari al fine di non trarre in inganno il giurista abituato alle categorizzazioni e alle
concettualizzazioni italiane e continentali europee in generale.
Nella tradizione anglosassone, il local government è, innanzitutto, self-government134, nozione
che non può essere acriticamente accostata ai concetti di autonomia o decentramento, ma necessita
di ulteriore specificazione135.
Il punto è da cercare nella diversa impostazione ed evoluzione dell’ordinamento giuridico la
quale, contestualmente, è anche l’impostazione della forma di Stato. La dottrina comparatistica
distingue sul punto tra più modelli di organizzazione degli enti locali riferibili ad una grande
divisione di massima: il modello francese, recepito in diversi Stati europei tra cui l’Italia, e il
modello dei paesi dell’Europa settentrionale136. Mentre il modello francese, illuminista e postrivoluzionario, è fondato su una tendenziale uniformità e omogeneità delle strutture decentrate, nei
Paesi dove tale modello non è stato adottato la difformità è sempre un elemento caratterizzante non
solo tra modelli diversi, ma anche all’interno del medesimo contesto istituzionale.
Il Regno Unito, in particolare, presenta una pluralità di esperienze di governo degli enti locali,
debitrice dell’evoluzione storica del Paese. Per non disperdere l’attenzione si farà riferimento d’ora
M. D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato. Trasformazioni dei sistemi amministrativi in Francia,
Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia, Il Mulino, Bologna, 1992.
134
M. COMBA, Self government, in Digesto disc. pubbl., XIV, 1999, 30 ss.
135
A. TORRE, Il territorial government in Gran Bretagna, Cacucci, Bari, 1991; ID., “On devolution”. Evoluzione
e attuali sviluppi delle forme di autogoverno nell’ordinamento costituzionale britannico, in Le Regioni, 2000, 2, 203 ss.;
S. TROILO, Il local government britannico. L’ente locale tra rappresentanza della comunità e amministrazione dei
servizi pubblici, Cedam, Padova, 1997; ID., Il local government britannico tra devolution interna e integrazione
europea, in AA.VV. (a cura di A. Torre, L. Volpi), La Costituzione Britannica - The British Constitution, atti del
Convegno di Bari, 29 e 30 maggio 2003, II, Giappichelli, Torino, 2005, 1471 ss., nonché, più di recente, sempre dello
stesso A., Gli enti locali tra autonomia e integrazione con lo Stato. Il modello del local government britannico, Aracne,
Roma, 2013.
136
Che taluni distinguono ulteriormente in due modelli: quello anglosassone e quello scandinavo. M. MAZZA,
Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra i sistemi di amministrazione (o
governo) locale, cit., 832 ss. (spec. 833).
133
in poi all’Inghilterra, la quale, come noto, è una delle regioni – non solo geografiche – che
compongono il Regno Unito137.
L’evoluzione degli enti locali è fondata storicamente sulle contee inglesi, dall’antica
derivazione sassone. Fin dai tempi della conquista normanna del 1066, l’organizzazione del
territorio si articola su due livelli: il più piccolo hundred e la maggiore contea. Tale impostazione
caratteristica finirà per integrarsi con le parrocchie, enti ecclesiastici che divengono anche unità
amministrative locali dello Stato138 in quanto titolari di ciò che oggi si chiamerebbero funzioni e
servizi pubblici.
La struttura delle contee e degli hundreds non era incentrata sulla sola figura del feudatario,
ma prevedeva la presenza di un’assemblea di notabili locali nonché di funzionari, di nomina tanto
del feudatario quanto regia139.
Su questo intreccio di autonomia, autogoverno, controllo dello Stato centrale e oligarchia
locale si fonda il self-government inglese e, di conseguenza, il modello del local government.
Le città erano considerate parte del territorio amministrato e iniziarono ad assumere
particolare rilevanza nell’impostazione dei livelli di governo quando il loro peso politico, militare o
economico fece nascere l’istanza di considerarle in modo distinto rispetto al territorio circostante e
ciò condusse ad attribuire loro uno status speciale dal punto di vista specificamente giuridico140.
I consigli di notabili cittadini, spesso già presenti come assemblee separate dai consigli degli
hundreds e delle contee cui apparteneva la città, trasmisero istanze di maggiore autonomia al
sovrano. Avvenne così che taluni centri (boroughs) ottennero decreti reali di concessione (royal
charter) divenendo così città “ad autonomia differenziata” (chartered borough). I “privilegi” reali
concessi potevano consistere, ad esempio, nell’esenzione da determinati tributi locali, di essere
soggetti solo al foro della città. «Il privilegio più importante ma anche il più difficile da ottenere era
quello di riferire direttamente al tesoriere reale quanto alla produzione agricola della città, in quanto
le tasse annuali da versare al re erano sempre direttamente collegate al diritto di scegliere il
funzionario cui riferire»141.
La corretta definizione per l’Inghilterra, così come per la Scozia, è di country. Il Galles è un principato e
l’Irlanda del Nord una provincia, cui si devono aggiungere altri territori soggetti alla sovranità britannica.
138
S. TROILO, Gli enti locali, cit., 30.
139
Tra questi, oltre agli sceriffi e ai balivi, funzionari regi di introduzione normanna, si ricordano il Giudice di
Pace e, più di recente, i sovrintendenti dei poveri e gli ispettori delle strade principali.
140
Cfr. S. TROILO, Gli enti locali, cit., 30.
141
D. A. CARPENTER, The Struggle for Mastery. Britain 1066-1284, Oxford University Press, Oxford, 2003, 392.
Per una ricognizione puntuale delle concessioni reali nell’epoca medievale alle città inglesi, v. A. BALLARD, British
borough charters, 1042-1216, The University Press, Cambridge, 1913, il quale, oltre a realizzare un inventario
completo dei chartered borough, elenca le tipologie di privilegio come segue: burgage tenure and law of real property,
tenurial privileges, burgess franchise, jurisdictional privileges, mercantile privileges.
137
2. Le città dal XIX secolo alla devolution
Quando il Parlamento di Londra riformò il sistema del local government alla fine del XIX
secolo la via era tracciata: il Local Government Act del 1888 e successivamente quello del 1894
confermarono la presenza di due livelli di governo per quanto riguardava le aree rurali: essi erano la
contea e il distretto, quest’ultimo a sua volta distinto in distretto rurale o urbano a seconda che
contenesse o meno centri abitati (minori). Quanto alle aree urbane di maggiori dimensioni, il livello
di governo era unico, fu denominato contea urbana (county boroughs) e cumulò le funzioni
assegnate ad entrambi i livelli di governo nelle restanti aree del Paese.
Solo in questa occasione vennero formalmente aboliti i privilegi garantiti dalle carte reali
citate, mentre si procedette ad una riforma del local government anche nel resto del Regno Unito142.
Alla fine del 1800 l’industrializzazione aveva già favorito fenomeni d’inurbamento anche
massiccio: la normativa del 1888 crea ben 61 county boroughs in Inghilterra e Galles, cui si deve
aggiungere la contea di Londra, 4 counties of cities143 in Scozia e ulteriori 2 county boroughs in
Irlanda del Nord.
Da questo momento in poi si succederanno molte revisioni della normativa sul local
government. Ciò è effetto della mancanza di una copertura costituzionale per gli enti locali 144, la cui
disciplina è affidata al Parlamento e, di conseguenza, alla legislazione ordinaria. L’assenza di una
Costituzione scritta nel Regno Unito non fissa i contorni dell’autonomia locale al di fuori di quanto
si è finora esaminato.
Se pure i cardini del self-government sono immutati dall’epoca medievale e, dunque, si
potrebbero ritenere integrati nei principi costituzionali consuetudinari che caratterizzano il sistema
anglosassone, è la sostanza della normativa ad essere lasciata alla competenza del legislatore
ordinario. Le competenze, il finanziamento, gli organi di governo e gli stessi confini degli enti locali
sono un aspetto fondamentale della disciplina, da qualsiasi punto di vista ci si accosti allo studio, e
sono proprio questi i punti rimessi alla valutazione del legislatore. Nemmeno la storica articolazione
su due livelli di governo può dirsi costituzionalizzata.
Ciò è coerente con il carattere mutevole e, altresì, adattabile del local government, quella
stessa caratteristica che ne ha permesso lo sviluppo ininterrotto e sostanzialmente coerente
dall’epoca feudale ai giorni nostri, ma è proprio il mutare della disciplina nell’ambito della forma
142
Coevi sono il County Councils (Scotland) Act del 1889, il Town Councils (Scotland) Act del 1900 e il Local
Government (Ireland) Act del 1898.
143
È questa la definizione corrispondente nella normativa allora vigente per il territorio scozzese citata alla nota
precedente.
144
Come nota M. MAZZA, Federalismo, regionalismo e decentramento nella prospettiva della comparazione tra
i sistemi di amministrazione (o governo) locale, cit., 841-842.
peculiare di autonomia che si è creata nel Regno Unito a costituirne il carattere distintivo, in ciò la
Costituzione non scritta assentendo senza particolari difficoltà a innovazioni legislative anche
profonde.
Il caso della città metropolitana di Londra è particolarmente significativo, ma su di esso si
tornerà.
Con il riordino del local government nella tarda età vittoriana si può considerare iniziato il
percorso moderno degli enti locali e delle città inglesi. Nel corso del XX secolo si succederanno
molteplici leggi di riforma, peraltro non sempre dal carattere organico: ancora una volta, si
tralasceranno per quanto non indispensabili le novità normative riguardanti Galles, Scozia e Irlanda
del Nord145.
Dopo la riforma del 1888 la legislazione cambia nel 1926. Per quell’anno, infatti, i county
borough in Inghilterra e Galles erano passati da 61 a 83, ma nei loro confini abitava circa la metà
della popolazione complessiva e gli squilibri demografici creavano ovvi problemi di rapporto fra
contee rurali e cittadine.
Il Local Government Act del 1926 innalza a 75.000 il numero minimo dei residenti di una
città affinché questa possa chiedere la trasformazione in county borough e rende più gravosa la
procedura di richiesta, coinvolgendo nella decisione di modificare i confini cittadini le contee
limitrofe interessate e assegnando al ministro competente un potere discrezionale sulla
trasformazione della città in contea. Il numero minimo di popolazione residente verrà ulteriormente
innalzato a 100.000 abitanti dal Local Government Act del 1958146. In questo modo, l’assetto del
governo del territorio non cambierà per alcuni decenni: i requisiti più gravosi limitano la creazione
di nuovi county boroughs147.
Nel contempo, però, le città cambiano148. È pur vero che l’Inghilterra è stato il primo Paese a
conoscere il fenomeno dell’industrializzazione già nel XVIII secolo, con ciò che ne consegue in
termini di governo del territorio, ma la situazione cambia ancora con il secondo dopoguerra.
Già per la riforma del 1958 il Governo aveva approntato tre Libri Bianchi che avevano
raccolto proposte ed intenzioni di riforma. La procedura si ripete già negli anni ’60, con l’istituzione
145
I cui atti di riforma, in ogni caso, spesso seguono quelli inglesi (o, spesso, anglo-gallesi) a ravvicinata
distanza temporale.
146
Passando, nel frattempo, attraverso le parziali revisioni del 1929, 1933 e del 1948. Il titolo completo del Local
Government Act 1958, significativamente, è il seguente: «An Act to make further provision, as respects England and
Wales, with respect to grants to local or police authorities, with respect to the rating of industrial and freight-transport
hereditaments and of transport, electricity and gas authorities, with respect to the making of changes in the area, name,
status and functions of local authorities, and with respect to local government finance and elections; to amend the law in
England and Wales and in Northern Ireland as to the making by trustees of loans to local and other authorities; and for
purposes connected with the matters aforesaid».
147
Che diminuiranno a 79 prima della riforma del 1972.
148
K. YOUNG, Gran Bretagna, in AA.VV., Amministrazione e territorio in Europa. Una ricerca sulla geografia
amministrativa in sei Paesi, Il Mulino, Bologna, 1994, 201 ss.
di due commissioni reali149 incaricate di proporre un riordino degli enti locali, che giungeranno a
conclusione dei lavori e a proposte di riforma e semplificazione per l’inizio degli anni ’70.
Il Parlamento procedette dunque all’approvazione del Local Government Act del 1972, con il
quale venne introdotta a far data dal 1 aprile 1974150 una struttura a doppio livello (two-tier system)
su tutto il territorio. L’abituale distinzione in due livelli tra contee e distretti viene applicata alle
città come alle zone non metropolitane, anche se varia la distribuzione dei poteri.
È rimasto comunque il terzo livello, rappresentato dalle parrocchie (quali enti pubblici, non
coincidenti con quelli ecclesiastici), «al fine di conservare, per funzioni di interesse esclusivamente
locale, un rapporto diretto fra cittadini e amministrazioni ed un ambito territoriale in cui i primi
possano agevolmente riconoscersi»151.
È interessante notare che nel 1972 venne rivista la distribuzione territoriale delle contee e dei
distretti ad ampio spettro, come era nelle intenzioni di riforma. Per quanto riguarda specificamente
le città, eccettuata Londra, vennero create sei contee metropolitane, a loro volta suddivise in distretti
metropolitani con riferimento alle più popolose e urbanizzate aree del Paese.
Il riordino, tuttavia, non doveva risultare definitivo. Nel 1985 vennero abolite le contee
metropolitane152 e negli anni ’90 si revisionò nuovamente il sistema a due livelli, nel presupposto
(politico) che in determinati casi la divisione delle competenze tra contee e distretti insistenti sul
medesimo territorio non fosse da ritenersi ottimale.
Per questa ragione, il governo conservatore di John Major lavorò per la creazione dei cd. “enti
unitari” (unitary authorities), entità amministrative che radunano le competenze dei distretti e delle
contee e, pertanto, creano un sistema di governo a livello unico (single-tier system). Il Local
Government Act del 1992153 creò la Local Government Commission for England (section 12) i cui
compiti (section 13) consistevano nella formulazione di proposte di modifica alla struttura o ai
confini degli enti amministrativi esistenti.
La realizzazione degli enti unitari non fu però generalizzata, creandosi di conseguenza un
sistema differenziato: alcune zone del territorio dell’Inghilterra sono ancora oggi amministrate
secondo il sistema degli enti unitari, altri mantengono il sistema di governo su due livelli. Tra questi
ultimi vanno distinte le contee non metropolitane da quelle metropolitane.
Presiedute da Lord Redcliffe-Maud (per l’Inghilterra) e da Lord Wheatley (per la Scozia).
Si noti che la riforma è stata complessiva, in quanto il Local Government Act del 1972 entrava in vigore per
l’Inghilterra e il Galles, mentre nel contempo venivano approvati il Local Government (Scotland) Act del 1973 e il
Local Government (Northern Ireland) Act del 1972.
151
S. TROILO, Gli enti locali, cit., 45-46.
152
Nonché venne modificato l’assetto di Londra, sul quale v. par. seguente.
153
Cui hanno fatto seguito il Local Government (Wales) Act e il Local Government (Scotland) Act, entrambi del
1994.
149
150
Tale configurazione non deve essere confusa con le contee cerimoniali, disciplinate da ultimo
nel 1997154: distinte dagli enti amministrativi, sono retaggio del passato della Gran Bretagna e
disegnano una serie di aree per ciascuna delle quali il sovrano designa un Lord-lieutenant (ad
eccezione di Londra, dov’è istituita una commissione di luogotenenza formata da più persone) con
compiti, per l’appunto, cerimoniali.
Negli anni 2000 il sistema del local government britannico ha proseguito nel cammino di
differenziazione con la possibilità di adottare diversi assetti di governo.
I modelli previsti dalla normativa155 sono i seguenti: l’elezione diretta del sindaco (mayor) il
quale sceglie i membri del cabinet executive ovvero l’elezione di un leader da parte del Consiglio.
In questo secondo caso, i membri del cabinet executive possono essere di nomina del leader ovvero
– fino al 2007 – di elezioni consiliare.
La normativa156 prevedeva in origine anche un terzo modello, poi abrogato nel 2007, che
prevedeva l’elezione diretta del mayor, il quale veniva coadiuvato da un Council manager scelto dal
Consiglio. In ogni caso, la creazione di un organo esecutivo separato dal Consiglio – vero fulcro di
novità nella disciplina inglese – non è obbligatoria per i distretti con meno di 85.000 residenti157.
Ulteriori modifiche normative sono state apportate nel 2003158, 2007159 e 2010160.
3. La città di Londra.
Londra è l’indiscussa capitale dell’Inghilterra e «in nessun altro paese, nemmeno nella
Francia con il suo tradizionale centralismo, la capitale ha avuto un così potente ruolo di centro di
sviluppo politico, economico e sociale»161. Questo dato ha da sempre condizionato il suo rapporto
con le istituzioni statali e con il resto del territorio.
Prescindendo dalla storia remota, si può dividere la disciplina della città in quattro momenti.
Una prima fase va dal 1855 al 1965, la seconda dal 1965 al 1985, la terza dal 1985 al 1999 e infine
l’ultima dal 1999 ai giorni nostri.
154
Lieutenancy Act 1997, in www.legislation.gov.uk/ukpga/1997/23/enacted.
Il Local Government Act del 2000.
156
A commento, G. MORI, Una nuova forma di governo per gli enti locali inglesi, in Ist. Fed., 2001, 807 ss.
157
La section 31 del Local Government Act del 2000 prevede, infatti, la possibilità di “alternative
arrangements”, riservata a distretti sotto gli 85.000 residenti, che consente ai più piccoli enti locali (per gli standard
inglesi, la soglia di popolazione è bassa) di proporre un diverso assetto della forma di governo secondo le indicazioni
generali fornite dalla legge e in accordo con il ministro competente.
158
Local Government Act 2003.
159
Local Government and Public Involvement in Health Act 2007.
160
Local Government Act 2010.
161
G. BALDINI, La devolution in Inghilterra: Londra, i Sindaci, le Regioni, in Ist. Fed., 2005, 651.
155
Il punto di partenza si fa risalire al 1855, anno dell’entrata in vigore del Metropolis Local
Management Act, normativa di riordino delle parrocchie londinesi. Fino a quel momento, l’attuale
territorio dell’intera città era sottoposto all’autorità della City of London, ente locale sui generis,
nonché alle parrocchie e ai distretti delle contee confinanti, sulle quali già si estendevano sobborghi
gravitanti attorno all’area metropolitana in senso stretto.
La legge del 1855 raggruppa in distretti le parrocchie londinesi. Tali distretti, insieme alla
City162 divengono il livello inferiore di un sistema di governo bipartito, dove, al secondo livello, si
colloca un ente denominato Metropolitan Board of Works. Nel 1888 il London County Council,
organo elettivo, sostituisce il Metropolitan Board of Works e, un decennio più tardi, una nuova
legge, il London Government Act riforma gli enti di secondo livello (tranne la City) e crea 28
boroughs163.
Tale configurazione funziona fino al 1965, allorché entra in vigore il London Government Act
1963. Le trasformazioni avvenute nel tessuto urbano e sociale vengono indagate da un’apposita
commissione reale alla fine degli anni ’50164 i cui lavori sono alla base della riforma legislativa.
La legge del 1963 istituisce la Grande Londra (Greater London) con un complessivo riordino
del territorio e degli enti coinvolti. Oltre alla City, vennero istituiti 32 boroughs, ripartiti in 12
interni (inner boroughs) e 20 esterni (outer boroughs). A tale scopo, i 130 km2 della contea di
Middlesex165 e alcune zone appartenenti ad altre contee166 vennero fusi con la preesistente contea di
Londra167.
In coerenza con il coevo sistema di governo in vigore nel resto del Paese, il modello di
governo della Grande Londra era basato su un sistema a doppio livello, con i consigli dei borough,
l’autorità locale della City e un organo di livello superiore denominato Greater London Council168.
Il modello resta in vigore fino al 1986, ovvero al momento dell’entrata in vigore del Local
Government Act del 1985169, che abolisce il Greater London Council, insieme a tutti i county
councils delle contee metropolitane.
La scelta non è estranea a considerazioni prettamente politiche170, poiché la mancanza di
un’autorità strategica per Londra viene sopperita dai governi conservatori, ma con la vittoria
162
Insieme alle parrocchie non riformate, rimaste autonome e ad ulteriori enti quali la Liberty of Westminster.
In questa occasione vengono aboliti gli enti citati nella nota che precede.
164
Presieduta da sir Edwin Herbert, operò dal 1957 al 1960.
165
Su un totale odierno di 1569 km2.
166
In particolare, Kent, Surrey, Essex e Hertfordshire.
167
I confini dei boroughs corrispondono alla contea cerimoniale Greater London, dalla quale, dunque, è esclusa
la City.
168
Su questo modello di governo, ormai abolito, vedi V. ENRICHENS, Il governo delle aree metropolitane. Il caso
di Londra, in Amministrare, 1976, 271 ss.
169
Il cui titolo completo è il seguente: «an Act to abolish the Greater London Council and the metropolitan
county councils; to transfer their functions to the local authorities in their areas and, in some cases, to other bodies;
and to provide for other matters consequential on, or connected with, the abolition of these councils».
163
laburista del 1997 si torna immediatamente a parlare di una forma unitaria per il governo della
Grande Londra, cui erano rimasti solo gli organi degli enti di minore estensione territoriale. Un
referendum tenuto il 7 maggio 1998 rivela che il 72% dei londinesi è favorevole all’istituzione di
una autorità di governo per la metropoli171.
Il Governo, dunque, si impegna per l’approvazione del Greater London Authority Act, legge
approvata dal Parlamento nel 1999 e le elezioni del nuovo sindaco e dell’assemblea vengono tenute
nel 2000. In ultimo, la normativa è stata integrata dal Greater London Authority Act del 2007.
Gli organi, secondo la section 2 della legge del 1999, sono due: il sindaco (mayor of London)
e l’assemblea (London Assembly)172.
Entrambi gli organi sono eletti a suffragio universale e diretto e le elezioni sono contestuali.
Per quanto riguarda il sindaco, l’elezione è a maggioranza assoluta dei voti, a meno che non vi
siano tre o più candidati (section 4), eventualità che apre al sistema del “voto supplementare”. La
scheda dell’elettore contiene l’indicazione di due preferenze, una prima ed una seconda. Nel caso in
cui nessuno dei tre (o più) candidati raggiunga la maggioranza assoluta delle prime preferenze
espresse, rimangono in gara solo i due candidati che hanno ricevuto comunque il maggior numero
di prime preferenze e si sommano ad esse il numero delle seconde preferenze espresse. A questo
punto, risulta eletto il candidato che ha ricevuto il maggior numero di prime preferenze sommate
alle seconde preferenze173.
Per quanto riguarda l’Assemblea, essa è formata da 25 membri, di cui 14 eletti in collegi
uninominali e 11 con formula proporzionale d’Hondt. Non esiste rapporto di fiducia tra il sindaco e
l’assemblea, ragion per cui può risultare che i colori politici dei due organi non siano coerenti, ma
resta il sindaco il soggetto che detiene i maggiori poteri, considerato che talune attribuzioni
dell’Assemblea devono essere esercitati con la maggioranza dei due terzi, come il dissenso sulle
strategie proposte dal sindaco e la non approvazione del bilancio annuale presentato da
quest’ultimo.
Quanto alle competenze, il quadro è complesso. Accanto alla Greater London Authority vi è
l’influente organizzazione che rappresenta i 32 boroughs, la Association of London Government,
170
Ovvero, come da taluno sottolineato, G. BALDINI, La devolution, cit., 653, dallo scontro tra la personalità
politica del laburista (e per un periodo, indipendente) Ken Livingstone, leader del Greater London Council e poi primo
sindaco della Grande Londra dal 2000 al 2008, e gli esponenti del partito conservatore, tra cui il primo ministro in
carica al momento della abolizione del 1985, Margaret Thatcher.
171
Il quesito sottoposto è: «siete voi a favore della proposta del Governo di creare una Greater London
Authority, composta da un sindaco eletto ed una assemblea eletta separatamente?»
172
J. FROSINI, «Local Government» in Inghilterra e Galles: esperienze e prospettive, in Dir. pubbl. comp. eur.,
2000, 2, 433 ss.; B. PIMLOTT, N. RAO, Governing London, Oxford University Press, Oxford, 2002.
173
Schedule 2 della legge del 1999.
mentre il Governo centrale, dal quale pure dipendono la gran parte dei fondi amministrati dalle
autorità cittadine, mantiene un Ufficio Governativo per Londra.
Riemerge qui il carattere composito del local government inglese. Quella sovrapposizione e
stratificazione di competenze che talvolta mette alla prova l’esprit de géométrie del giurista
continentale non appartiene alla tradizione britannica.
Secondo la section 30 del Greater London Authority Act, l’Autorità ha poteri di promozione
nei confronti: dello sviluppo economico e la creazione di benessere, lo sviluppo sociale e la tutela
dell’ambiente nella Grande Londra.
I compiti della Greater London Authority sono riferibili all’elaborazione di strategie come
funzione di indirizzo, cui è preposto il sindaco. I servizi relativi alle strategie elaborate sono erogati
da altri e diversi apparati, i quali, seppur sottoposti all’Autorità, costituiscono enti distinti.
Tra questi compiti strategici, si annoverano: la pianificazione strategica relativa
all’urbanistica, alla raccolta dei rifiuti, all’economia e all’ambiente (cd. London Plan), la politica
del trasporto, che comprende sia il trasporto pubblico locale sia le reti infrastrutturali (servizi
erogati dall’ente funzionale Transport for London), la pianificazione antincendio e di protezione
civile (London Fire and Emergency Planning Authority), la politica di sicurezza e di polizia
(Mayor’s Office for Policing and Crime), lo sviluppo economico (Greater London Authority Land
and Property).
La legge del 1999 disciplina direttamente una serie di enti – disciplina poi emendata e
modificata negli anni successivi – a dimostrazione che la complessa costruzione di controlli
incrociati, poteri di nomina e revoca, rendicontazione, direzione e controllo che si viene a creare
non è un sistema intrinsecamente disordinato, ma una precisa scelta del legislatore, pur con i pro e i
contro del caso.
Lo stesso rapporto tra sindaco e assemblea, come si rilevava, è di controllo reciproco,
nonostante il sindaco possa scegliere i membri del proprio cabinet tra i membri dell’assemblea.
Ne risulta un quadro che deve essere chiarito nei dettagli – tanto normativi quanto applicativi
– per ognuna delle funzioni esercitate dalla autorità centrale e che ha, quale unica caratteristica
comune, la compenetrazione tra diversi organi ed enti competenti in funzione di un autogoverno,
per riprendere il termine self-government, mai lasciato alla decisione di un solo organo o di un solo
livello di governo.
L’introduzione del sindaco eletto a suffragio universale e diretto, poi, ha costituito una novità
per Londra che è stata estesa, come si è visto, a tutti gli enti locali che volessero adottare il modello
del mayor elettivo previsto dal Local Government Act del 2000.
4. Le aree metropolitane dell’Inghilterra
Come si accennava sopra, con il Local Government Act del 1972 vennero create sei aree
metropolitane al di fuori di Londra che assunsero il nome di contee metropolitane. Si tratta delle
aree di: Greater Manchester174, Merseyside175, South Yorkshire176, Tyne and Wear177, West
Midlands178 e West Yorkshire179.
Quattro delle aree sono tra loro contigue: si tratta di Merseyside, Greater Manchester, West
Yorkshire e South Yorkshire180. Più a nord, sulla costa del Mare del Nord si trova Tyne and Wear,
mentre a sud, verso Londra, si colloca West Midlands.
L’assetto dato nel 1972 venne modificato negli anni ’80. La medesima legge che abolì il
Greater London Council, ovvero il Local Government Act 1985, abolì anche i consigli delle contee
metropolitane. Pertanto, non esistono più gli organi del livello superiore. Posto che nella tradizione
degli enti locali inglesi sono gli organi ad avere personalità giuridica181 e non gli enti locali in sé
considerati, la scomparsa dei consigli svuota di fatto il livello delle contee metropolitane e lascia
queste ultime con l’unico significato di regione geografica. Le competenze già esercitate dai
consigli delle contee sono state attribuite ai singoli distretti metropolitani.
Il sistema del local government nelle aree elencate, pertanto, è fondato su un singolo livello,
ma, per non perdere di vista il lato concreto, è necessario aggiungere che ogni distretto rappresenta
una città intera182 e, spesso, il suo intero hinterland, dunque non bisogna intendere la perdita del
livello superiore di governo come un pregiudizio inevitabile all’efficacia dell’azione
amministrativa, che mantiene comunque una dimensione di azione non trascurabile.
In secondo luogo, i distretti hanno creato fin dal momento dell’abolizione dei consigli di
contea delle forme di collaborazione che riconducono determinati servizi a livello di area.
174
Con i distretti metropolitani di Bury, Bolton, Manchester, Oldham, Rochdale, Salford, Stockport, Tameside,
Trafford, Wigan. Si veda per un elenco completo delle contee, dei distretti metropolitani e dei riferimenti alle ulteriori
aree amministrative comprese lo schedule 1 “County and Metropolitan Districts in England” allegato al Local
Government Act 1972 all’indirizzo www.legislation.gov.uk/ukpga/1972/70.
175
Con i distretti metropolitani di Knowsley, Liverpool, St. Helens, Sefton, Wirral.
176
Con i distretti metropolitani di Barnsley, Doncaster, Sheffield, Rotherham.
177
Con i distretti metropolitani di Newcastle upon Tyne, North Tyneside, Gateshead, South Tyneside,
Sunderland.
178
Con i distretti metropolitani di Birmingham, Coventry, Dudley, Sandwell, Solihull, Walsall, Wolverhampton.
179
Con i distretti metropolitani di Bradford, Calderdale, Kirklees, Leeds, Wakefield.
180
Così elencate da ovest verso est iniziando dalla costa sul Mare d’Irlanda.
181
S. TROILO, Gli enti locali, cit., 35.
182
Che può contare decine di migliaia di abitanti (a titolo di esempio, Doncaster 67.000), centinaia di migliaia di
abitanti (Manchester, 500.000 o Leeds, 750.000) o anche un milione (Birmingham).
Gli ambiti sono i medesimi, con le dovute differenze locali183, che si sono riscontrati
nell’analisi della Grande Londra. In particolare, si tratta dei servizi di polizia184, raccolta e
riciclaggio dei rifiuti185, trasporto186, protezione civile e servizio antincendi187.
La possibilità di ricondurre al livello della contea alcuni servizi strategici188 e l’apertura
legislativa verso forme di partenariato189 ha ricondotto alla ormai ben nota flessibilità organizzativa
del local government la pianificazione e l’erogazione dei servizi e delle relative strategie.
Da ultimo, il Local Democracy, Economic Development and Construction Act del 2009 ha
disciplinato le cd. combined authorities, enti che possono essere creati (al di fuori della Grande
Londra) proprio per la gestione comune dei servizi su aree che comprendano territori soggetti a
diversi enti locali.
Le autorità locali della contea metropolitana di Greater Manchester hanno formato già nel
2011 la Greater Manchester Combined Authority, i cui compiti spaziano dai trasporti alla
pianificazione strategica in materia di sviluppo economico.
Sembra dunque che il regime delle contee metropolitane possa avvicinarsi di nuovo a quello
della Grande Londra attraverso la creazione di autorità aventi competenze e responsabilità
sull’intero territorio. Resta comunque profondamente diverso il regime giuridico, poiché la sola
assenza di organi eletti a suffragio universale e diretto a livello di contea rappresenta una difformità
evidente.
183
South Yorkshire Pensions Authority, Tyne and Wear Archives and Museums.
Greater Manchester Police, West Midlands Police, South Yorkshire Police Authority, West Yorkshire Police
Authority. Per quanto riguarda Tyne and Wear, la Northumbria Police copre il servizio di polizia per le contea
metropolitana e per la confinante contea di Northumberland.
185
Merseyside Recycling & Waste Authority.
186
West Midlands Passenger Transport Executive, South Yorkshire Integrated Passenger Transport Executive,
West Yorkshire Passenger Transport Executive, Tyne and Wear Transport Authority.
187
West Midlands Fire Service, South Yorkshire Fire and Rescue Authority.
188
Il South Yorkshire è l’unica contea ad aver creato un Joint Secretariat, ente composto da rappresentanti dei
distretti della contea e da rappresentanti delle autorità comuni con il compito di assistere e coordinare le stesse autorità
della contea sia da un punto di vista amministrativo sia da un punto di vista maggiormente strategico.
189
Sulle quali, in generale, S. TROILO, Gli enti locali, cit., 353 ss. Per quanto riguarda le aree metropolitane, si
ricorda la Association of Greater Manchester Authorities.
184
Italia: lavori in corso
1. Lo sviluppo legislativo di un’idea: le Città metropolitane
A oltre vent’anni dall’approvazione della legge 142/1990, la riforma metropolitana ancora
attende di essere attuata. Tuttavia, dopo un lungo periodo di stasi, le città metropolitane sono tornate
al centro dell’agenda politica nazionale190.
In Italia, com’è noto, i progetti di istituzione delle città metropolitane sono rimasti sulla carta:
dal primo, più datato, previsto dalla legge n. 142 del 1990 (artt.17-21), a quello delineato nel testo
unico degli enti locali n. 267 del 2000 (artt. 22-27), sino a quello più recente della decreto legge n.
95 del 2012 (art. 18).
La concreta attuazione delle città metropolitane è rimasta un dilemma irrisolto per diversi
fattori: per un verso, la difficoltà di applicare il modello di governo unico e non differenziato della
sovra-comunalità, in tutte le concentrazioni urbane qualificate come aree metropolitane,
evidentemente disomogenee fra di loro per dimensioni e caratteristiche senza prevedere un
ragionevole coordinamento con gli altri livelli di governo locale tradizionali (regione, provincia,
comuni); e, per l’altro, si è riscontrata l’esistenza di forti veti istituzionali incrociati, che hanno
paralizzato l’azione delle Regioni e delle autonomie locali.
In definitiva, per più di vent’anni le dieci città metropolitane non sono mai state istituite,
anche se l’ente città metropolitana ha ottenuto, con la riforma del 2001 del Titolo V della
Costituzione, il pieno riconoscimento costituzionale (artt. 114, 117,118 e 119 Cost.).
Come anzidetto, le città metropolitane sono state previste, per la prima volta, dalla legge di
riforma organica dell’ordinamento dei comuni e delle province 8 giugno 1990, n. 142191.
La riforma prendeva atto di un processo di lungo periodo, di carattere sociale e demografico,
che aveva mutato il volto e la struttura degli enti locali in Italia. Si era venuta realizzando, sin dagli
anni ’70 del secolo scorso, una «gerarchizzazione del territorio»192, consistente nella «formazione
costante di centri e di periferie, di aree forti e di aree dipendenti», vale a dire di una conurbazione
centrale, nella quale sarebbero confluite le più importanti funzioni urbane, e di periferie in
190
Sul percorso normativo W. TORTORELLA, M. ALLULLI, Città metropolitane. La lunga attesa, cit., 22 ss.
Sui profili generali si rinvia a F. PIZZETTI, Le mille contraddizioni della vicenda italiana: la discussione sulle
Aree metropolitane, in Arel, 1995, 3, 10 ss.; E. BALBONI, L’area/città metropolitana tra funzioni e finzioni, in Le
Regioni, 1997, 5, 815 ss.
192
A. CROSETTI, Sul governo delle aree metropolitane, in Amministrare, 1989, 149 ss.
191
condizione di pressoché integrale assoggettamento alla prima. Ed è, appunto, nel contesto di questo
sviluppo di integrazione/contrapposizione, che si è delineata l’area metropolitana, quale esperienza
estesa oltre i limiti amministrativamente determinati, risultando da una stretta integrazione fra la
città centrale e gli agglomerati circostanti, vale a dire tra un centro normalmente di grandi
dimensioni e polifunzionale, e quella serie composita di centri minori, che vi sono ancorati da un
rapporto di dipendenza socioeconomica e funzionale.
La legge del 1990 individuava direttamente le nove realtà da costituire in forma di città
metropolitana193 e definiva per questi conglomerati urbani un modello tendenzialmente
indifferenziato di governo da realizzare o in un’“area ristretta” comprendente il comune capoluogo
e i centri urbani collegati, o in un’“area vasta” comprensiva anche delle altre realtà unite al centro
urbano da rapporti di stretta integrazione.
In questi termini il legislatore si era limitato a precisare i parametri (gestione dei servizi,
integrazione delle attività economiche e via di seguito) in presenza dei quali può legittimamente
presumersi l’esistenza di un’area metropolitana e può quindi procedersi alla delimitazione.
Prevedeva, inoltre, che la Regione potesse procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna
area metropolitana, sentiti i comuni e le province interessate, entro un anno dalla data di entrata in
vigore della stessa legge, con facoltà di riordino della circoscrizione provinciale qualora l’area
metropolitana non avesse coinciso con il territorio di una provincia.
Alla Regione spettava inoltre il compito di coordinare il riparto delle funzioni amministrative,
con rilevanza sovra-comunale, fra comuni e città metropolitana, nel campo della pianificazione,
della viabilità, della mobilità, della tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente, della
difesa del suolo, della tutela idrogeologica, della tutela e valorizzazione delle risorse idriche, dello
smaltimento dei rifiuti, della raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche, dei
servizi per lo sviluppo economico e della grande distribuzione commerciale, e dei servizi di area
vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani
di livello metropolitano (art. 19).
Sotto il profilo istituzionale, la legge stabiliva, ancora, che nell’area metropolitana,
l’amministrazione locale si dovesse articolare in due livelli, città metropolitana e comuni, e
individuava nel sindaco, giunta e consiglio del capoluogo gli organi elettivi della nuova istituzione.
L’art. 17 della legge 142/1990 considerava, in particolare, aree metropolitane le zone comprendenti i comuni
di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni aventi una stretta
integrazione con i primi di natura economica, in relazione ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle attività
culturali o alle caratteristiche territoriali.
193
Presupposto indispensabile era quello della delimitazione amministrativa dell’area territoriale di
riferimento, applicando anche al fenomeno metropolitano il principio classico dell’ordinamento
degli enti territoriali: un territorio/un governo, una comunità/un governo.
In termini positivi e propositivi, il disegno della legge del 1990 fondava il governo del
territorio su due principi: l’adozione del metodo della pianificazione urbanistica e territoriale (come
nel resto dell’Europa) e la democraticità del processo di pianificazione, affidandone l’attuazione
alla responsabilità e all’iniziativa pubblica degli enti locali.
Al contempo emergevano due motivi di debolezza del modello delineato194, sotto il profilo
strutturale e funzionale.
Sotto il profilo strutturale o soggettivo la città metropolitana appariva configurata come una
mega-provincia con un territorio di conurbazione che spesso comprendeva il territorio di più
province: in tal modo entrando in rotta di collisione con l’ente provincia così come rivitalizzato – in
termini contraddittori – dalla stessa legge di riforma del 1990.
Sotto il profilo funzionale, il secondo motivo di debolezza consisteva nel fatto che il criterio
di ripartizione delle competenze, indicato dalla legge, si avvicinava di più al modello tradizionale (e
fallimentare) del riparto per materie che non a quello del riparto per funzioni organiche.
A causa delle difficoltà incontrate dalle Giunte regionali per portare a compimento
l’approvazione delle leggi regionali istitutive delle aree metropolitane, il legislatore statale si vide
costretto a rendere facoltativa l’istituzione delle stesse ed a prorogarne i tempi.
Il modello della legge n. 142 del 1990 non è quindi mai stato realizzato per i problemi e i veti
incrociati insorti tra centro e periferia nella fase di attuazione. Occorre riconoscere che la causa
principale dell’insuccesso della legge n. 142/1990 fosse da addebitare, però, alla difficoltà oggettiva
di applicare il modello unico di città metropolitana, istituzionalizzato e strutturato in modo
uniforme, in realtà urbane molto disomogenee fra di loro, dalla città globale di Milano all’ “isola” di
Venezia.
194
P. MANTINI, La riqualificazione delle aree metropolitane: profili giuridici, in La riqualificazione delle aree
metropolitane: quale futuro ? - Atti del XXVI Incontro di Studio, Milano 1996, 23 ss. che rilevava come il conflitto
determinato dalla previsione del nuovo soggetto di governo fosse pluridirezionale: a) con le regioni, poiché era evidente
il timore di queste di essere scavalcate nei rapporti di programmazione e anche di gestione amministrativa dal rapporto
diretto Stato-città metropolitane, in un’ottica ancora più forte rispetto all’asse Stato-comuni che aveva già caratterizzato
l’esperienza degli ultimi quindici anni; b) con le province, in funzione della coincidenza delle competenze istituzionali e
funzionali nonché, in molti casi, del territorio (era evidente che in tal modo la provincia sarebbe stata restituita alla sua
dimensione di ”marca” statale, depotenziandosi il ruolo di ente territoriale intermedio); c) con gli stessi comuni, poiché
se era evidente il timore di una perdita di autonomia e di ruolo a vantaggio del comune capoluogo, centro di attrazione
metropolitana, non meno rilevante dell’analogo timore generato dall’eventuale esercizio, da parte della regione, della
potestà di riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell’area metropolitana (ai sensi dell’art. 20, 1° co., l..
142/1990).
A distanza di nove anni dalla entrata in vigore della legge 142/90 veniva approvata il decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 265 (cd. Tuel - Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento
degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), che apportava sostanziali
variazioni alle norme sulle aree metropolitane195.
Il Tuel prevede un modello di città metropolitana meno rigido e maggiormente diversificato in
relazione alle specificità locali rispetto a quello della legge n. 142 del 1990.
Nella costruzione del Tuel, infatti, la città metropolitana è configurata come ente locale
eventuale e, soprattutto, ad ordinamento differenziato (artt. 22- 26)196.
Il Tuel, in particolare, confermava le stesse aree metropolitane già individuate dalla legge n.
142 del 1990, ossia le zone comprendenti ai comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Roma, Bari, Napoli e agli altri comuni con insediamenti in rapporti di stretta integrazione
territoriale in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, alle relazioni
culturali e alle caratteristiche territoriali (art. 22).
La Regione avrebbe inoltre potuto scegliere fra tre opzioni:
a) procedere alla delimitazione della città metropolitana, senza creare altre strutture (art. 22);
b) definire per determinate materie, ambiti sovra comunali, associativi o di cooperazione, per
l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali (art. 24);
c) istituire la città metropolitana fra il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da
contiguità, con rinvio per la definizione degli elementi fondamentali (territorio, organizzazione,
articolazione interna e funzioni) al statuto della stessa città metropolitana (art. 23)197.
Il Tuel, in sostanza, valorizzava i requisiti caratterizzanti la città metropolitana di “area
ristretta”, prevedendo un ente amministrativo costituito da una grande città (il Comune capoluogo) e
i comuni in contiguità territoriale, ad essa strettamente legati per questioni economiche, sociali e di
servizio, nonché culturali e territoriali (cosiddetta “conurbazione”), senza escludere, però, la
possibilità di una organizzazione territoriale per “area vasta”198.
E, soprattutto, lasciava alla competenza delle autonomie locali la decisione sul futuro dei loro
territori, coinvolgendo nella scelta anche le popolazioni interessate attraverso lo strumento del
195
A. MARZANATI, La questione delle città metropolitane in Italia, in Nuova rass. leg. dott. e giur., 2006, 9,
1121 ss.; ID., Note critiche in tema di città metropolitane, ivi, 2006, 2, 106 ss.
196
L. OLIVIERI, Il progetto di istituzione delle Città metropolitane, in www.leggioggi.it
197
Si prevedeva, inoltre, la possibilità di optare per un modello meno strutturato e più funzionale, attraverso
forme associative e di cooperazione collaborativa per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali in ambiti
sovra comunali (sull’esempio delle agenzie funzionali specializzate per determinati temi).
198
Ciò risulta particolarmente rilevante: se, infatti, la legge 142/1990 legittimava anche una concezione dell’area
metropolitana come area vasta, includendo non solo i centri immediatamente adiacenti al comune capoluogo, ma altresì
quelli solo funzionalmente legati ad esso, con il Tuel la contiguità territoriale diventa elemento imprescindibile.
referendum. Si introduceva, infatti, l’obbligo del referendum sulla proposta di istituzione della città
metropolitana, da svolgersi obbligatoriamente a cura di ciascun comune partecipante.
Pertanto, si assiste con il Testo unico ad un’inversione di tendenza, data dal conferimento di
un ruolo preminente e dalla valorizzazione dell’autonomia, agli enti locali (comuni e province) in
ordine alle scelte organizzative del nuovo livello di governo: se, infatti, l’art. 17 l. n. 142/1990
attribuiva l’iniziativa legislativa alle regioni, prevedendo che i comuni e le province interessate
fossero semplicemente «sentiti», tale rapporto veniva invertito, in modo che la regione fosse tenuta
ad attivarsi soltanto sulla base di una «conforme proposta degli enti locali interessati».
Stabiliva che nelle aree metropolitane il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da
contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione potevano costituirsi in città metropolitane
ad ordinamento differenziato. In tali termini, dopo l’esito favorevole del referendum, la proposta di
costituzione della città metropolitana poteva essere presentata dalla regione ad una delle due
Camere per l’approvazione con legge, con la conseguenza di determinare l’approvazione di tante
leggi quante erano le regioni proponenti.
La città metropolitana avrebbe acquisito le funzioni della provincia; attuato il decentramento
previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali.
In caso di non coincidenza della città metropolitana con il territorio di una provincia, si
sarebbe dovuto procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali o all’istituzione di
nuove province, considerando l`area della città come territorio di una nuova provincia.
Istituita la città metropolitana, la Regione, previa intesa con gli enti locali interessati, avrebbe
potuto procedere alla revisione delle circoscrizioni territoriali dei comuni compresi nell`area
metropolitana.
Anche il Tuel, come è noto, non ha avuto attuazione e, dal 7 luglio 2012, gli artt. 22 e 23 sono
stati abrogati dal comma 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del decreto legge n. 95/2012 sulla spending
review.
La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione è la conclusione del processo di
riorganizzazione della Repubblica in senso autonomista e federale, che, modificando
profondamente i principi che reggono il governo locale nel nostro Paese nei suoi rapporti con le
Regioni e con lo Stato, ha inciso sulla capacità complessiva degli enti locali di amministrare e
governare le esigenze della collettività.
Con la riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, la città metropolitana ha ottenuto il
riconoscimento costituzionale come componente essenziale della Repubblica, unitamente a regioni,
province, comuni e Stato.
A livello costituzionale si arriva a:
a) equiparare la città metropolitana agli altri enti territoriali, senza darne né una definizione né
una “perimetrazione”;
b) non delineare il procedimento per la loro istituzione, lasciando il dubbio sull’applicabilità o
meno a questa fattispecie dell’art. 133 Cost.;
c) attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane»
(art. 117, co. 2°, lett. p)., Cost.).
Le città metropolitane, al pari di comuni, province e Regioni, si configurano quindi come
«enti autonomi con propri statuti, funzioni e poteri secondo i principi fissati dalla Costituzione» (art.
114, co. 2°, Cost.), ed hanno un potere regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e
dello svolgimento delle funzioni ad esse attribuite (art. 117, co. 6°, Cost.).
Ergo, ciascun livello di governo territoriale, nel proprio ambito ed in rapporto con la comunità
rappresentata, diviene titolare di piena e indefettibile autonomia politica, di poteri e funzioni proprie
e peculiari.
Anche le città metropolitane, a livello di dettato costituzionale, sono quindi titolari di funzioni
amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze e possono esercitare quelle funzioni che, di norma, spettano ai comuni ma che, allo
scopo di assicurarne l’esercizio unitario, possono esserle conferite sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art. 118 Cost.).
Esse, insieme con lo Stato, le Regioni, le province e i comuni, devono favorire l’autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla
base del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, co. 3°, Cost.).
Sono enti dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa e devono avere risorse
autonome e la possibilità di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie, in armonia con la
Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e
di disporre di una compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (art. 119).
Le città metropolitane hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali
determinati dalla legge dello Stato (art. 119, co. 6°, Cost.).
L’aver istituzionalizzato le città metropolitane estende dunque anche a quest’ultime l’intero
statuto dettato dalla Costituzione per i poteri locali, vale a dire potestà statutaria, riserva allo Stato
di vari poteri, allocazione delle funzioni, autonomia finanziaria, potere sostitutivo del governo, ed
altro.
Per quanto il riconoscimento costituzionale delle città metropolitane abbia rappresentato un
passaggio fondamentale si deve constatare come, nella temperie dei primi anni del nuovo secolo, i
tempi non fossero ancora maturi affinché si giungesse ad una loro effettiva istituzione, ritardo da
imputarsi alla persistenza di difficoltà politiche e di redistribuzione delle competenze e delle risorse
finanziarie e fiscali tra i governi locali.
La legge 5 giugno 2003, n. 131 (cd. legge “La Loggia”), emanata per adeguare l’ordinamento
della Repubblica alla riforma costituzionale del 2001 tramite delega al governo ad adottare appositi
decreti legislativi, non ha fornito una nozione generale di area metropolitana, né ne ha definito i
caratteri, limitandosi a delegare ogni decisione in merito all’esecutivo, con poche indicazioni
generiche199.
Questa legge superava la previsione del Tuel, che affidava allo statuto della città
metropolitana, elaborato dagli stessi enti costituenti, il compito di disciplinare gli organi e
l’articolazione interna della Città metropolitana e di definirne le funzioni.
Fra le disposizioni riportate dalla legge, quelle che riguardano le città metropolitane sono le
seguenti:
o
l’art. 2, 1° co., che ha delegato il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2005 – su
proposta del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri per gli affari regionali, per le
riforme istituzionali e la devoluzione e dell'economia e delle finanze – uno o più decreti
legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’art. 117, 2° co.,
lettera p), Cost., quali provvedimenti essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e
Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di
riferimento;
o
l’art. 2, 4° co., lett. b) che attribuisce al legislatore delegato il compito di «individuare le
funzioni fondamentali dei comuni, delle province e delle città metropolitane in modo da
prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per
ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche
proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e
per il soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento, tenuto conto, in via
prioritaria, per comuni e province, delle funzioni storicamente svolte»;
o
l’art. 5 che reca disposizioni in merito all’attuazione del nuovo art. 118 Cost., in materia di
esercizio delle funzioni amministrative. Il nuovo assetto amministrativo costituisce il più
immediato e diretto riflesso dell’equiordinazione tra comuni, province, città metropolitane,
regioni e Stato, sancita dall’art. 114 Cost. I comuni sono stati individuati come gli enti più
S. PIAZZA, Note a margine ai profili dell’evoluzione normativa ed istituzionale in tema di aree e città
metropolitane nell’esperienza italiana, in Nuova rass. leg. dott. e giur., 2008, 21-22, 2200 ss. ; ID., Profili problematici
dell’evoluzione normativa ed istituzionale nell’esperienza italiana in materia di aree e città metropolitane anche alla
luce del rapporto tra governo locale e sviluppo locale, in L’Amm. it., 2009, 1, 23 ss.
199
vicini ai cittadini e, in quanto tali, titolari di tutte le funzioni amministrative, salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, si renda necessario conferirne alcune a province, città
metropolitane, regioni o Stato (principio di sussidiarietà verticale);
o
l’art. 5 chiarisce inoltre che l’attribuzione delle funzioni amministrative in capo ai comuni non
è immediata o automatica, ma presuppone l’intervento del legislatore sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Contestualmente, è previsto l’avvio del
procedimento per il trasferimento di beni, risorse finanziarie, strumentali, umane ed
organizzative per l’esercizio delle funzioni trasferite. Per quanto attiene, infine, alla disciplina
transitoria, l’art. 5 stabilisce che fino all’entrata in vigore dei provvedimenti statali e regionali
di riallocazione delle funzioni amministrative, queste vengono esercitate secondo le
disposizioni vigenti;
o
l’art. 6, co. 4° ribadisce invece che resta fermo che i comuni, le province e le città
metropolitane continuano a svolgere attività di mero rilievo internazionale nelle materie loro
attribuite, secondo l’ordinamento vigente, comunicando alle regioni competenti ed alle
amministrazioni di cui al co. 2° ogni iniziativa.
Come è noto, il termine per l’adozione dei decreti delegati di cui alla legge La Loggia era
fissato al 31 dicembre 2005, ma la delega è rimasta del tutto inattuata.
Il tema della città metropolitana è stato rilanciato, senza successo, dalla legge 5 maggio 2009,
n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119
della Costituzione sul federalismo fiscale».
In particolare, l’art. 15 della l. n. 42/2009, inserito nel capo IV riguardante il finanziamento
delle città metropolitane e di Roma capitale, prevedeva l’approvazione di uno specifico decreto
legislativo per assicurare il finanziamento, attraverso forme di autonomia impositiva, delle funzioni
delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, allo scopo di assicurare
ai suddetti enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa, in relazione alla complessità delle
funzioni ad essi attribuite.
L’art. 23 della legge n. 42 del 2009 introduceva «la disciplina per la prima istituzione» delle
Città metropolitane, in via transitoria, mentre rinviava ad un’apposita legge, la disciplina ordinaria
sulle funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale (art. 23, comma 1).
L’ambito di applicazione della disciplina transitoria, di cui all’art 23 della legge n. 42/2009,
non si estendeva a tutti i territori interessati dalla normativa vigente dettata dal Tuel, ma solamente
alle aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. A queste si
aggiungeva Reggio Calabria, non prevista dalla disciplina vigente, mentre ne risultava esclusa
Roma, in quanto oggetto di apposita disciplina ai sensi dell’art. 24.
La disciplina transitoria introduceva un apposito procedimento per l’istituzione della città
metropolitana che presupponeva l’esistenza e, quindi, la precedente delimitazione delle aree
stesse200. Tale delimitazione rimaneva quindi regolata dalla disciplina contenuta nell’art. 22 del
Tuel.
La legge, cui rinviava l’art. 23, 1° co., legge n. 42/2009, avrebbe dovuto: a) disciplinare il
trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie inerenti alle funzioni
trasferite alla città metropolitana (art. 23, 8° co.); b) dare attuazione «alle nuove perimetrazioni
stabilite ai sensi (dell’art. 23)» della legge n. 42/2009; c) disciplinare l’esercizio dell’iniziativa da
parte dei comuni della provincia non inclusi nella perimetrazione dell’area metropolitana, in modo
da assicurare la scelta da parte di ciascuno di tali comuni circa l’inclusione nel territorio della città
metropolitana ovvero in altra provincia già esistente , nel rispetto della continuità territoriale (art.23,
9° co.).
La legge n. 42 del 2009 aveva introdotto, in particolare, la possibilità di “sperimentare”
l’istituzione della città metropolitana prevedendone il relativo iter procedimentale:
1) proposta di istituzione della città metropolitana201 formulata da parte degli enti locali
individuati come a ciò legittimati (provincia o comune o entrambi), da sottoporre al vaglio
preventivo della Regione. A differenza dell’art 23, 2° co., d.lgs. n. 267 del 2000, che prevedeva
un’unica modalità per dare avvio al procedimento di istituzione della città metropolitana, nell’art.
23 della legge delega sul federalismo fiscale si prefiguravano tre modelli di iniziativa per
l’istituzione della città metropolitana: la prima che si fondava sulla parità istituzionale dei due enti
territoriali principalmente interessati, provincia e comune; il secondo ed il terzo che vedevano,
rispettivamente, la preminenza del comune capoluogo e della provincia.
2) indizione di un referendum tra «tutti i cittadini della Provincia» in ordine alla proposta.
Nessun comune o provincia delle aree interessate ha ritenuto di dovere sfruttare la possibilità
di sperimentare nel proprio territorio l’istituzione della città metropolitana. La questione delle città
metropolitane, quindi, è rimasta ancora una volta irrisolta, anche a causa, fra l’altro,
dell’immobilismo dei territori interessati.
Da notare che all’epoca solo Venezia, Genova, Bologna e Firenze avevano proceduto a delimitare il territorio
dell’area metropolitana, mentre Torino, Milano, Napoli, Bari e Reggio Calabria non avevano ancora effettuato la
suddetta delimitazione.
201
Si prescriveva che l’oggetto della proposta di istituzione della città metropolitana dovesse essere composto da
tre elementi: a) la perimetrazione della città metropolitana; b) l’articolazione interna della stessa in comuni; c) una
proposta di statuto provvisorio. Si stabiliva altresì che la perimetrazione della città metropolitana, nel rispetto del
principio di continuità territoriale, doveva comprendere almeno tutti i comuni proponenti e il comune capoluogo, e
coincidere con il territorio di una sola provincia o di una sua parte.
200
L’ottavo comma dell’art. 23 dispose altresì la soppressione delle province nel cui territorio
sono situate le città metropolitane, a partire dall’insediamento dei nuovi organi rappresentativi di
queste ultime, che avrebbero sostituito gli organi provinciali. La legge in parola avrebbe dovuto
altresì disciplinare il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie
inerenti alle stesse, nonchè dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali. Inoltre si
prevedeva che lo statuto definitivo della città metropolitana avrebbe dovuto essere adottato dagli
organi competenti entro sei mesi dalla data del loro insediamento.
Anche questo tentativo è fallito e ciò ha trovato ratifica nell’abrogazione degli artt. 23 e 24,
co. 9° e 10°, della suddetta legge n. 42 del 2009 operata dal co. 1, ultimo periodo, dell’art. 18 del
decreto legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135202.
L’ultimo tassello di questo percorso nel controverso percorso che ha portato all'attuazione
delle città metropolitane è dato dalle disposizioni del d.l. n. 95/2012, che si configura come norma
di sistema, finalizzata a dare attuazione all’ente città metropolitana previsto fin dal 1990 come ente
territoriale da istituire, costituzionalizzato poi nel 2001203.
Con l’art. 17, infatti, si è provveduto a riordinare le province e le loro funzioni; con l’art. 18 a
istituire le città metropolitane e a sopprimere le province insistenti nel relativo territorio; con gli
artt. 19 e 20 a definire le funzioni fondamentali dei comuni e le modalità di esercizio associato di
funzioni e servizi comunali (art. 19), e a dettare disposizioni per favorire la fusione di comuni e la
razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali (art. 20).
Con queste disposizioni, di fatto, il d.l. n. 95/2012 ha disegnato un quadro ampio e coerente di
ridefinizione del sistema degli enti territoriali, ispirato da un lato al principio della diversificazione
e dell’adeguatezza, in omaggio all’art. 118 Cost., e dall’altro all’obiettivo di dare piena e integrale
attuazione all’art. 114 Cost.
Tale disposizione non prevedeva l’istituzione ma “istituiva” direttamente, a partire dal
gennaio 2014, le città metropolitane ivi elencate.
Nella disciplina in questione vi erano alcuni elementi di notevole rilievo che forse hanno
determinato l’ulteriore fallimento normativo. In primo luogo si è irrigidito l’ambito territoriale delle
città metropolitane secondo un modello unico e un criterio unitario che non sempre ha corrisposto a
202
W. TORTORELLA, M. ALLULLI, Le Città metropolitane secondo la legge 135/2012, in Amministrare, 2013, 1,
153 ss.
203
F. PIZZETTI, La città metropolitana: luci ed ombre nella storia e nell'attualità di un ente da decenni atteso, in
www.diritto.regione.veneto.it, 3-4, 2012, 3 ss.; G. TROTTA, La città metropolitana tra proclami normativi e paralisi
istituzionali, ivi, 4 ss.
esigenze razionali, ed anzi spesso si è scontrato con realtà territoriali non adeguatamente
omogenee204.
Inoltre lo stesso art. 18 individuava le funzioni fondamentali della città metropolitana, vuoi
trasferendo ad essa tutte le funzioni fondamentali svolte dalle province soppresse, vuoi attribuendo
ad essa alcune nuove specifiche competenze dettagliatamente indicate.
Un’attenzione specifica hanno meritato gli organi della città metropolitana così come
disegnati nell’art. 18.
Organi che sono, innanzitutto, limitati al sindaco metropolitano e al consiglio, composto di un
numero limitato ma variabile di membri in base alla popolazione, ma senza che sia prevista
l’esistenza di una giunta ed essendo consentito solo al sindaco metropolitano di decidere se
nominare, oppure no, un vicesindaco205.
La legge stessa prevedeva poi un ampio potere statutario in capo alla città metropolitana, da
esercitare in due fasi: la prima, da parte di una Conferenza metropolitana preliminare all’istituzione
della città; la seconda, da adottare dal consiglio della città metropolitana una volta che questa fosse
stata istituita.
In particolare sarebbe spettato alla fonte statutaria dettare anche le regole relative alla
delegabilità di funzioni dalla città metropolitana ai comuni interni all’area e viceversa, nonché le
norme relative ai possibili rapporti tra la città metropolitana e i comuni esterni al suo territorio.
L’art. 18 del d.l. n. 95/2012 aveva molte ombre ed ha un vizio di fondo: quello di prevedere e
disciplinare in modo uniforme la città metropolitana.
Vizio che si connetteva ad un ulteriore elemento di rigidità più difficile da superare, ovvero
l’ambito territoriale, che avrebbe dovuto essere meglio tipizzato, prevedendo anche modalità idonee
per i mutamenti territoriali, andando oltre l’attuale art. 133 Cost.
Queste sommarie note danno conto di un percorso incompiuto che ha trovato completamento
solo con la legge n. 56/2014.
204
Il territorio della città metropolitana era predeterminato per legge e coincideva con quello della provincia, che
di conseguenza veniva soppressa.
205
Questi organi sono stati configurati, come già per le province di cui all’art. 23 del d.l. «Salva Italia», quali
organi di secondo grado, eletti dai consiglieri comunali dei comuni interni alla città sulla base di una legge elettorale
che sarebbe spettato al legislatore statale di determinare.
2. La l. 56/2014: quale modello per le Città metropolitane in Italia?
L’accidentato cammino delle Città metropolitane in Italia si riflette a più livelli nella l. 7
aprile 2014, n. 56 recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e
fusioni di comuni”. Dal punto di vista redazionale, essa è organizzata in un solo articolo diviso in
151 commi, tecnica che deriva dalla strutturazione dei lavori parlamentari e che consente di
trasformare la fase della votazione articolo per articolo in una decisione complessiva sull’intero –
ben più complesso – testo normativo206. Dal punto di vista dei contenuti, non svaniscono le
complessità e le perplessità che si sono riscontrate nell’analisi dei molteplici interventi normativi
che si sono commentati.
Ai sensi dell’art. 1, co. 2°, l. cit., «le città metropolitane sono enti territoriali di area vasta». La
differenza rispetto alle province (co. 3°), le quali, a loro volta, sono definite in generale «enti di area
vasta» si rintraccia nelle «funzioni» e nelle «finalità istituzionali generali».
Le prime sono contenute nei commi da 44 a 46, le seconde, invece, sono elencate dallo stesso
co. 2° e sono le seguenti: «cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e
gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città
metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con
le città e le aree metropolitane europee207».
Quanto alle funzioni, la l. 56/2014 si occupa di esprimerle in modo analitico:
«co. 44. A valere sulle risorse proprie e trasferite, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica e comunque nel rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno, alla città metropolitana
sono attribuite le funzioni fondamentali delle province e quelle attribuite alla città metropolitana
nell’ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi dei commi da 85 a 97 del
presente articolo, nonché, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione,
le seguenti funzioni fondamentali:
a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio
metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei comuni
e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all’esercizio di funzioni
delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro
competenza;
L’originale disegno di legge AC 1542 constava di 23 articoli, che divennero 30 nel passare al Senato come S
1212. Nell’approvazione al Senato il Governo ha posto la questione di fiducia su un maxiemendamento (n. 1900)
interamente modificativo del testo e in tale versione è stato approvato da entrambe Camere.
207
Delle quali si è dato conto nelle parti che precedono di questo lavoro e che permettono di rilevare facilmente
quali siano le città europee (poiché così dice il legislatore, che pare tralasciare l’ordinamento delle città metropolitane di
altri continenti) con cui possono rapportarsi le città metropolitane italiane.
206
b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di
servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche
fissando vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel
territorio metropolitano;
c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei
servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D’intesa con i comuni interessati la
città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione
appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure
selettive;
d) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione
urbanistica comunale nell’ambito metropolitano;
e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando
sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione
della città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);
f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in
ambito metropolitano.
Co. 45. Restano comunque ferme le funzioni spettanti allo Stato e alle regioni nelle materie di
cui all’articolo 117 della Costituzione, nonché l’applicazione di quanto previsto dall’articolo 118
della Costituzione.
Co. 46. Lo Stato e le regioni, ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori
funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza di cui al primo comma dell’articolo 118 della Costituzione.»
Non sono da trascurare le norme di chiusura contenute nei commi 45 e 46. Il legislatore
ricorda espressamente che restano in capo allo Stato e alle Regioni le funzioni che loro spettano in
virtù dell’art. 117 Cost., il quale, come noto, distribuisce le materie di potestà legislativa, non le
funzioni, le quali, piuttosto, sono attribuite dall’art. 118, co. 1, Cost., ai Comuni.
Pare, dunque, che le Città metropolitane non debbano innovare all’ordinamento, poiché il
legislatore si preoccupa di tenere ferme le funzioni dello Stato e delle Regioni e «l’applicazione di
quanto previsto all’articolo 118 della Costituzione», ovvero, innanzitutto, l’attribuzione delle
funzioni ai Comuni, pur senza dimenticare la complessità, teorica e di applicazione, dei principi
contenuti in tale articolo della Carta fondamentale, iniziando dal più noto, il principio di
sussidiarietà. D’altra parte, è la stessa lettera b del comma 43 che permette alle città metropolitane,
«anche», di fissare «vincoli e obiettivi all’attività e all’esercizio delle funzioni dei comuni» del suo
territorio, dimostrando in modo piano che un ente come la città metropolitana non può non innovare
alla distribuzione delle funzioni nell’ordinamento e sul territorio in cui si inserisce.
La norma di cui al co. 45 potrebbe, dunque, essere letta come clausola di salvaguardia delle
funzioni spettanti agli enti territoriali più ampi, lo Stato da una parte e le Regioni dall’altra, in modo
che la creazione delle città metropolitane non incida sugli enti maggiori e che, piuttosto, riordini
l’assetto di quelli minori, nell’ottica di una centralizzazione che si arresti al livello metropolitano
senza intaccare le funzioni ai livelli superiori. Se così fosse, la norma rivelerebbe una visione
ampiamente gerarchica del rapporto tra gli enti che compongono la Repubblica. Il riferimento
generico all’art. 118 Cost., nella stessa ottica, può giustificare l’applicazione del principio di
sussidiarietà verticale anche in senso “ascendente”, ovvero, di nuovo, di attribuzione delle funzioni
ai livelli di governo superiori, dunque non necessariamente una sussidiarietà “verso il basso”.
Quanto alla norma del co. 46, che permette l’attribuzione di ulteriori funzioni, resta alla prova
di ulteriori sviluppi difficili da prevedere. Infatti, nonostante coincida con il co. 3° dell’art. 118
Cost., il quale, come già ricordato, dispone che gli enti locali, città metropolitane comprese, «sono
titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale», allo
stato degli atti è difficile prevedere se e quali funzioni saranno conferite.
Le funzioni fondamentali e le finalità istituzionali generali, in conclusione, appaiono descritte
con contorni che lasciano molto spazio all’interpretazione e, soprattutto, all’applicazione pratica.
Il co. 5° l. cit. assoggetta alla disciplina le città metropolitane «di Torino, Milano, Venezia,
Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria». Quanto alle Regioni a statuto speciale,
«i principi della presente legge valgono come principi di grande riforma economica e sociale per la
disciplina di città e aree metropolitane da adottare» in Sardegna (Cagliari), Sicilia (Palermo,
Messina e Catania) e Friuli-Venezia Giulia (Trieste). A queste città va aggiunta la disciplina
speciale per Roma in quanto capitale della Repubblica (ai sensi dell’art. 114, co. 3 Cost.).
È evidente che il numero delle città metropolitane in Italia non trova paragoni nelle esperienze
comparate cui si è fatto cenno. Pur non essendo il Paese più popoloso d’Europa, l’Italia ha il
maggior numero di città metropolitane e, tra l’altro, esse sono tutti enti hard, per utilizzare la
terminologia già definita a suo tempo208. Emerge, qui, uno dei tratti decisivi del modello adottato
dal legislatore italiano. Quali siano i presupposti per tale modello è compito d’indagine che non
spetta alle discipline giuridiche209, piuttosto, appare l’idea della creazione delle città metropolitane
Cfr. par. “i modelli di governo metropolitano” nel capitolo introduttivo.
Si potrebbe qui, solo accennare al fatto che – contemporaneamente alla creazione delle città metropolitane –
si procede ad una profonda revisione delle province.
208
209
come conferimento di dignità formale alle maggiori città italiane, segnatamente ai capoluoghi di
Regione210.
Ai sensi del co. 6° l. cit., «il territorio della città metropolitana coincide con quello della
provincia omonima». Con tale previsione il legislatore risolve alcuni problemi, tra cui la modifica
delle circoscrizioni, che l’art. 133 Cost. assoggetta all’iniziativa dei Comuni, ma tralascia uno dei
problemi fondamentali della città metropolitana, ovvero i suoi confini. Comprendere nella città
metropolitana comuni che sono lontani dal comune capoluogo o, al contrario, tralasciare comuni
molto più vicini ma appartenenti ad altre province (salvo il meccanismo di entrata volontaria
previsto dal medesimo co. 6°) significa, di nuovo, riordinare solo formalmente le città
metropolitane.
Una soluzione semplice e di applicabilità immediata nasconde, perciò, la difficoltà definitoria.
Se, da un lato, proprio il problema della definizione e della limitazione della città metropolitana è,
al contempo, centrale e di difficile soluzione per il diritto, abituato a ragionare sulla base di
ripartizioni territoriali amministrative necessariamente meno fluide degli scambi economici e dei
movimenti delle persone o di altri fattori che uniscono e dividono città e territori, dall’altro lato
ricalcare le città sulla base delle precedenti province si configura come un metodo fin troppo
tranchant.
Gli organi della città metropolitana sono il sindaco, il consiglio e la conferenza, tutti
dignificati dall’aggettivo “metropolitano” (co. 7).
Il sindaco metropolitano, che «è di diritto il sindaco del comune capoluogo» (co. 19)
«rappresenta l’ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana,
sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti; esercita le altre
funzioni attribuite dallo statuto. Il consiglio metropolitano è l’organo di indirizzo e controllo,
propone alla conferenza lo statuto e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi;
210
Osserva il documento rintracciabile sul sito istituzionale del Governo che «rispetto al testo approvato alla
Camera [nel testo definitivo della l. 56/2014] scompare la possibilità per i territori con oltre un milione di abitanti di
dare vita ad una città metropolitana, così come di un terzo dei Comuni non aderenti alla Città metropolitana di
mantenere
in
vita
la
provincia
(la
cosiddetta
“provincia
ciambella”)»
http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti/province_cittametropolitane.pdf. In altri termini, si è impedita la
creazione di ulteriori città metropolitane diverse dai capoluoghi di Regione (o da città eventualmente individuate ad
hoc). Le città non capoluogo candidate allo status di città metropolitana sarebbero state: Bergamo, Brescia, Salerno e
l’unione di alcune province venete. Resta evidente che vi siano città metropolitane con meno abitanti di città non
metropolitane, indicazione controintuitiva se la città metropolitana fosse un modello peculiare utile per il governo delle
più grandi e popolose città, non illogico se lo status di città metropolitana fosse non dissimile da un titolo onorifico.
Ciononostante, il ricordato documento illustrativo del governo, con evidenti semplificazioni a tutti i livelli,
ritiene che «Questi nuovi “enti territoriali di area vasta”, ispirati alle migliori esperienze amministrative a livello
europeo e internazionale (si vedano i casi di Londra, Amsterdam, Barcellona, Monaco), nascono per rispondere ai
problemi di una realtà territoriale oggettivamente più complessa delle altre intervenendo sullo sviluppo economico, sui
flussi di merci e persone, sulla pianificazione territoriale» (corsivi aggiunti).
approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano; esercita le altre
funzioni attribuite dallo statuto» (co. 8).
«Il consiglio metropolitano è composto dal sindaco metropolitano e da […] ventiquattro
consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti; […]
diciotto consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 800.000 e
inferiore o pari a 3 milioni di abitanti; […] quattordici consiglieri nelle altre città metropolitane.»
(co. 20). Il sistema di elezione è disciplinato dalla stessa legge 56/2014 e prevede un sistema di liste
concorrenti con voto di preferenza e riparto proporzionale con metodo d’Hondt. L’elezione,
nonostante questa tendenza allo schieramento politico e partitico, è indiretta in quanto «il consiglio
metropolitano è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della città metropolitana.
Sono eleggibili a consigliere metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica. La
cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere metropolitano» (co. 25).
Considerato che il sindaco del capoluogo è di diritto il sindaco metropolitano e che non di rado è
esponente di una ben determinata fazione politica, il concreto funzionamento della forma di
governo della città metropolitana resta tutta da valutare, restando ben possibile la creazione di una
maggioranza in consiglio di colore politico non coincidente con quello del sindaco e, in ogni caso,
restando da valutare i concreti rapporti di forza che si svilupperanno e se prevarranno istanze
partitiche o territoriali, di collaborazione o di opposizione tra centro e periferia, ovvero qualsiasi
altra alternativa.
La previsione che «il sindaco metropolitano può nominare un vicesindaco, scelto tra i
consiglieri metropolitani, stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate» (co. 40) e che «può altresì
assegnare deleghe a consiglieri metropolitani, nel rispetto del principio di collegialità» (co. 41),
formando, dunque, un esecutivo più ristretto è un’altra norma da valutare alla luce della prassi.
In particolare, l’approvazione del bilancio – che, come noto, è spesso l’elemento decisivo
delle politiche da adottare – potrà rappresentare un nodo centrale nell’assetto della forma di
governo. La procedura è particolarmente complessa: «su proposta del sindaco metropolitano, il
consiglio adotta gli schemi di bilancio da sottoporre al parere della conferenza metropolitana. A
seguito del parere espresso dalla conferenza metropolitana con i voti che rappresentino almeno un
terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza della popolazione
complessivamente residente, il consiglio approva in via definitiva i bilanci dell’ente» (co. 8).
La conferenza metropolitana «è composta dal sindaco metropolitano, che la convoca e la
presiede, e dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana» (co. 42), ha «poteri
propositivi e consultivi, secondo quanto disposto dallo statuto» (co. 8) nonché il potere «di adottare
e respingere lo statuto e le sue modifiche proposti dal consiglio metropolitano con i voti che
rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella città metropolitana e la maggioranza della
popolazione complessivamente residente» (co. 9)211.
Nel sistema di poteri e contropoteri disegnato dal legislatore, è sempre e comunque presente il
sindaco del comune capoluogo. Le ragioni di tale scelta sono autoevidenti soltanto ad una prima
analisi sommaria, ovvero nell’assunzione che dal centro si possa avere sotto controllo la situazione
in modo complessivo e non di parte. Assunzione comunque non basata su elementi giuridici. Resta
il fatto che il sindaco del capoluogo deriva la sua legittimazione da un’elezione popolare, a
differenza dell’elezione di secondo grado dei consiglieri e del ruolo solo consultivo e propositivo
dei membri della conferenza, pure tali di diritto. Il legislatore assegna, dunque, ai cittadini del
capoluogo il duplice compito di eleggere – nella stessa persona – il proprio sindaco e il sindaco
della città metropolitana, responsabilità che non hanno gli elettori di tutti gli altri comuni. Ciò, in
via teorica, anche se il comune capoluogo non fosse il più popoloso della città metropolitana e
anche se il comune capoluogo non fosse centrale né per posizione né per ruolo. Dunque, un
centralismo metropolitano non scevro da elementi di pregiudizialità, che, tuttavia, non può non
influire sulla forma di governo dell’ente212.
Resta da valutare a parte la previsione di cui al comma 22, secondo il quale «lo statuto della
città metropolitana può prevedere l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano».
L’elezione diretta, infatti, influirebbe in modo sostanziale sulla forma di governo della città
metropolitana, ma è sottoposta ad una serie di adempimenti e discrezionalità che ne rendono fin
d’ora complessa la realizzazione. Innanzitutto, la discrezionalità dello statuto. In secondo luogo, la
discrezionalità del legislatore statale, cui spetta l’onere della redazione di una legge elettorale ad
hoc. «È inoltre condizione necessaria [che] si sia proceduto ad articolare il territorio del comune
capoluogo in più comuni» nel rispetto dell’art. 133 Cost. e con la partecipazione al processo della
Regione, del consiglio comunale del capoluogo e di un referendum cui partecipano tutti i cittadini
della città metropolitana (questi ultimi nell’evidente assunzione che conoscano, dalle loro abitazioni
“in periferia” i problemi della ripartizione amministrativa e territoriale del comune capoluogo)213
È evidente da quanto fin qui esposto che il modello delle città metropolitane italiane si
discosta dalle esperienze di altre nazioni europee per non pochi aspetti. Anticipando la
classificazione che si proporrà nel capitolo che segue214 le città metropolitane italiane sono enti
211
Il che implica che i poteri della conferenza metropolitana sono decisi dallo statuto ma lo statuto è approvato
dalla conferenza medesima, pur su proposta del consiglio.
212
Meriterebbe un’analisi più approfondita il problema della lesione del principio costituzionale di uguaglianza
del voto ai sensi dell’art. 48 Cost. relativamente al voto del sindaco dell’intera città metropolitana da parte dei soli
cittadini del capoluogo.
213
Una procedura alternativa è prevista per le città metropolitana con popolazione superiore a 3 milioni di
abitanti.
214
Cfr. par. 2.
politici (ma di secondo livello) aprioristicamente né strategici né operativi (in quanto l’assetto
concreto è da stabilire e, se pure in astratto è strategico, può anche divenire molto penetrante).
Dunque, rifuggono le maglie già ampie di una classificazione tutt’altro che costretta in limiti
stringenti.
Il lungo e non facile cammino delle città metropolitane in Italia merita miglior conclusione
che non la creazione di peculiari enti consistenti in province capoluogo sotto mentite spoglie. Non si
è affrontata qui la disciplina delle province, pure contenuta nella stessa l. 56/2014, ma non si può
nascondere che esse condividono non pochi aspetti relativi alla forma di governo con le città
metropolitane. Se la prassi dimostrasse che il governo delle città metropolitane si riducesse al
governo di una ex-provincia di città capoluogo di Regione, il lungo percorso della disciplina in
oggetto si ridurrebbe, in ultima analisi, ad uno svilimento del ruolo delle città metropolitane. Il
problema delle città metropolitane non è averne il riconoscimento giuridico o il nome reso
altisonante dall’aggettivo metropolitano, ma essere dotate di un utile ed efficace modello di
organizzazione e governo. Ancor prima dei problemi della disciplina uniforme di agglomerati
urbani oggettivamente molto diversi, ancor prima dell’assetto della forma di governo, il modello
italiano di città metropolitane nasconde ab origine accorgimenti di facciata che il legislatore non
può non avere presente ma che, forse, preferisce non tenere nella giusta considerazione. In sintesi, e
per anticipare le conclusioni generali, in nessun caso la volontà di riforma deve coincidere con un
cieco slancio futurista e le città metropolitane non sono e non devono essere enti imperativi ma una
quanto più saggia possibile forma di amministrazione e organizzazione delle grandi città215.
215
Cfr. par. 3 del capitolo che segue.
Conclusioni dialettiche
1. Osservazioni metodologiche
Giunti al termine della ricostruzione delle esperienze nei diversi Paesi europei che si sono
presi in considerazione, è possibile tracciare, a linee generali, alcune conclusioni sistematiche. La
rassegna effettuata – attraverso l’indagine dell’interno dell’ordinamento giuridico di ciascun Paese
– ha essenzialmente lo scopo di chiarire il quadro di riferimento, la cornice al di fuori della quale la
comparazione vera e propria non avrebbe modo di esplicare le proprie riflessioni.
A questo punto, l’analisi seguirà due prospettive inseparabili dal punto di vista del diritto ma
ben differenziabili al di fuori di questo, ovvero, volendo utilizzare un’espressione celebre che
sottintende una dicotomia, una duplice prospettiva: quella di iure condendo e quella di iure condito.
Infatti, il convitato di pietra di ogni analisi sulle città metropolitane nell’esperienza comparata sono
le Città metropolitane italiane, enti locali territoriali citati dalla Costituzione a partire dalla riforma
del Titolo V del 2001 della cui concreta istituzione si discute sin dal 1990 (art. 17-21 l. 142/1990) e
che sembra essere giunta a compimento con la l. 56/2014216. Il legislatore italiano ha avuto molte
occasioni per dettare norme sulle città metropolitane, ma, non avendole mai state istituite, la
disciplina è rimasta sospesa, in attesa di confrontarsi con la modellistica derivante dagli studi di
diritto comparato. Le osservazioni che seguiranno, dunque, saranno organizzate secondo la
direttrice della sintesi delle esperienze estere e secondo la differente direttrice delle linee di
tendenza applicabili (o non applicabili) al contesto italiano.
Per fare ciò è necessario innanzitutto chiarire quelli che non sono gli obiettivi della
comparazione giuridica: il comparatista, infatti, non deve cercare somiglianze dove non ve ne sono
soltanto per dovere d’ufficio né accostare istituti (ed enti) imparagonabili solo perché ragioni che
non appartengono alla scienza giuridica paiono suggerirne l’opportunità.
Allo stesso modo, il diritto comparato non è una sorta di “pozzo delle meraviglie” da cui è
possibile estrarre – in particolare de iure condendo – ogni soluzione possibile avendo come
giustificazione il precedente dell’esistenza in altri ordinamenti e contesti istituzionali.
216
Cfr. par. che precede.
La scelta dei Paesi da analizzare è stata dettata dalla comune radice europea e dalle differenze
in termini di dimensione geografica e tradizione giuridica che li caratterizza, considerando che la
completezza è proposito difficilmente raggiungibile e, per quanto riguarda la presente ricostruzione,
non è nemmeno un obiettivo in sé stesso.
È risaputo che le città europee, anche le più grandi, sono comunque relativamente piccole se
confrontate ad agglomerati urbani americani ed asiatici le cui dimensioni notevolissime comportano
tutt’altre tipologie di problemi e di relative soluzioni anche in relazione alla distribuzione della
popolazione tra città e zone rurali217. Nell’ottica di contribuire alla problematica delle città
metropolitane italiane, la scelta è dunque caduta su Paesi europei, anche se non vi è dubbio che lo
studio di esperienze più lontane potrebbe ben portare uno sguardo diverso non privo di utilità.
2. I modelli
Non è semplice proporre una sintesi delle esperienze dei diversi Paesi analizzati, poiché le
differenze sembrano prevalere rispetto alle linee di tendenza comuni e nulla sembra possibile
proporre al di là delle già riportate classiche posizioni della dottrina.
Si propone pertanto una classificazione che potrebbe essere rappresentata visivamente da una
griglia multidimensionale in cui la collocazione di ciascuna esperienza occupa una casella.
I modelli di base delle città metropolitane sono tre, così riassumibili:
- il modello (puramente218) aziendale, in cui la Città metropolitana è un ente di diritto privato
o di diritto pubblico con specifiche competenze, concepito per fornire determinati servizi;
- il modello amministrativo, in cui la Città metropolitana è un ente di raccordo o di
coordinamento governata da rappresentanti degli enti locali che vi appartengono, membri di diritto
in quanto (ad es.) Sindaci dei comuni dell’area o rappresentanti eletti dagli organi degli enti locali;
- il modello politico, in cui la Città metropolitana ha degli organi eletti direttamente dalla
cittadini residenti.
Questo primo livello la griglia di questo modello va incrociata con un’altra, riguardante le
funzioni, che possono essere operative oppure strategiche.
È il caso dell’Argentina, dove la città di Buenos Aires conta, da sola, gran parte della popolazione del Paese
(13 ml su 40). In Europa il tessuto urbano europeo è, al contempo, fitto e policentrico: non si registrano casi di Paesi
con una sola città importante sbilanciata sul territorio, a meno che non si tratti di Paesi piccoli la cui città maggiore –
tipicamente la capitale – sia magari più piccola di città minori di Paesi confinanti (è il caso di Bruxelles e Dublino).
218
La specificazione è resa necessaria dal fatto che praticamente in tutte le esperienze di governo locale sono
presenti società a capitale pubblico o misto. Qui si fa riferimento alle Città metropolitane che non abbiano altre forme se
non quella aziendale o consortile.
217
Infine, particolare attenzione dev’essere prestata all’effettività delle decisioni prese, siano esse
operative o strategiche e provengano da uno qualsiasi dei modelli sopra elencati.
Le possibili combinazioni tra le diverse caratteristiche enucleate raccolgono tutte le forme di
Città metropolitane descritte, ma hanno il difetto di polverizzare il concetto in molte variabili, non
riconducibili ad unità.
Si ritiene, tuttavia, che questa sia la conclusione effettiva del lavoro di ricerca: l’ente città
metropolitana non presenta caratteristiche unitarie nemmeno se si considerano Paesi tra loro
confinanti e appartenenti tutti alla medesima area culturale (nonché tutti ad un’organizzazione
internazionale particolarmente attenta allo sviluppo regionale quale l’Unione Europea).
In sintesi, la disciplina giuridica delle Città metropolitane è una variabile dipendente, il cui
valore dipende da una serie di fattori:
- innanzitutto, la storia giuridica del Paese che si studia. I modelli di ente locale e di governo
locale che si sono più volte incontrati nella ricostruzione non sono estranei alla qualificazione delle
Città metropolitane, siano essi veri e propri enti locali oppure no.
- in secondo luogo, dipende dalla sensibilità diffusa e delle istituzioni riguardo all’autonomia
locale. La fiducia che viene riposta o il timore che viene percepito nei confronti dello stesso
concetto di autonomia è determinante soprattutto con riguardo ai poteri e alle funzioni attribuite.
- in terzo luogo, non meno importante è la configurazione geografica del Paese. L’estensione
del territorio in senso assoluto è un elemento qualificante, rapportato alla collocazione geografica e
alla distribuzione delle città e, come ovvio, ai dati demografici, poiché due città con pari numeri di
abitanti possono ben rappresentare un importante centro in un piccolo Paese o una città meno
rilevante in un grande Paese.
La Città metropolitana è, dunque, il frutto di questi dati filtrati dalla volontà politica e, se
queste considerazioni possono apparire estranee alla scienza giuridica, si può opporre che, nel
trattare dei fondamenti, e non della disciplina, di qualsiasi ente si esce dalla scienza giuridica vera e
propria per sconfinare nella politica del diritto. Il filtro della volontà politica, infatti, non solo è
ineliminabile, ma è costitutivo.
3. Città e diritto
Nel corso dell’analisi si è riscontrata quella che sembra una tendenza naturale219 di tutte le
esperienze nazionali: la norma segue e non precede la città metropolitana. Sinteticamente, la
219
Espressa con particolare chiarezza dalla legislazione spagnola, cfr. Spagna par. 2.
formula da utilizzare è la seguente: «la funzione della norma non è “creare”, ma “riconoscere” una
realtà metropolitana»220.
È fin troppo ovvio che il legislatore non può creare una città metropolitana se non esiste già
sul territorio una grande città. Il regime giuridico metropolitano di un’area, di fatto, desertica è un
controsenso logico inoppugnabile. Tuttavia, la regola aurea di buon senso si scontra con talune
esperienze che appartengono alla storia: per fare due esempi celebri, la capitale del Brasile
(Brasilia) e la capitale del Kazakistan (Astana) sono recenti esempi di città pianificate per divenire
grandi centri urbani a partire da decisioni del potere politico piuttosto che viceversa. Seguitare su
questa linea porterebbe lontano, perché è forse la libertà di circolazione e soggiorno, ancor prima di
ogni altro diritto e fondamento giuridico (autonomia e principio di sussidiarietà inclusi) a fare in
modo che la norma di organizzazione segua e non preceda la conurbazione. Con ciò si potrebbe
dimostrare che, intervenendo sul diritto di incolato, ovvero il diritto di porre il proprio domicilio
dove più si preferisce, il controllo del fenomeno urbano tornerebbe (o sarebbe per la prima volta, se
mai è lo stato) nelle mani del decisore politico. Il fatto può sembrare di marginale importanza e, per
certi versi, lo è, dato che nello Stato di diritto europeo ed occidentale non si è mai messo in
discussione il diritto dei cittadini a spostarsi liberamente sul territorio nazionale e dato che una delle
libertà fondanti dell’Unione Europea è proprio quella di circolazione e soggiorno.
L’osservazione vale comunque a chiarire che il rapporto di primazia della città sul diritto che
la regola non è scontato o nella natura delle cose come molti altri fatti di cui l’ordinamento può
solamente prendere atto senza aver in alcun modo il potere di influirvi. Questo è semplicemente il
modo di concepire la normazione degli spazi urbani nei Paesi che si sono analizzati e in generale
nello Stato occidentale della modernità.
La disciplina delle città metropolitane, dunque, è ispirata dai problemi e dalle esigenze che
vengono avvertite ed è volta alla migliore organizzazione delle soluzioni necessarie.
Due corollari discendono da questa sostanziale premessa concettuale che, come si è visto, non
si può efficacemente discutere se non sul piano della pura speculazione teorica.
La prima considerazione è relativa al centrale rilievo che assume la politica del diritto rispetto
al diritto positivo. Il diritto pubblico ed il diritto comparato, in quanto scienze basate sull’analisi
della norma, non possono fornire soluzioni al legislatore, ma è il legislatore che può (e non deve,
come si vedrà) fornire materiale di studio alla scienza giuridica. La quale, a sua volta, può ben
enucleare i punti critici della normativa vigente, può suggerire modifiche fondate sull’analisi dei
testi in base a criteri di buona redazione, di coerenza logica all’interno e all’esterno del sistema, può
elencare le soluzioni provenienti da altre esperienze statali, enumerando altresì le caratteristiche
220
M. GONZALEZ MEDINA, Il processo di istituzionalizzazione, cit., 1.
fondamentali degli ordinamenti esteri e delle esigenze interne che ne hanno giustificato le scelte
normative, al fine di descrivere il modello comparatistico non solo in ragione di una mera
elencazione ma in funzione di una corretta contestualizzazione ma, è questo il punto, non può
sostituirsi al decisore politico.
La rassegna sopra effettuata mette in luce che non c’è un modello “ideale” di città
metropolitana e che, a ben vedere, non c’è nemmeno un modello “medio” standardizzato o
presumibile come tale.
Tra i molti giovamenti che può portare l’analisi comparata alla disciplina delle città
metropolitane in Italia non vi è la proposizione di un unico, inequivocabile e definitivo modello di
riferimento. Tale aspetto sembra essere stato colto dal legislatore italiano, in particolare nel caso
della l. 56/2014, nel modo più libero possibile. Le città metropolitane italiane non prendono a
riferimento nessun modello straniero, anzi introducono un modello nuovo e diverso: la dinamica tra
centralizzazione e localismo che si è rilevata in altri ordinamenti – si pensi al Regno Unito o alla
Spagna – nel contesto italiano ha preso la strada della trasformazione in città metropolitane di tutti i
principali capoluoghi di Regione e del relativo territorio, nel contesto – non casuale – della riforma
complessiva delle province. Dopo una riforma costituzionale a legislazione invariata, quella del
2001, una riforma legislativa a Costituzione invariata che, tra le altre cose, non definisce le città
metropolitane italiane ma si limita ad indicarle una per una, salvo poi non badare alle differenze di
ciascuna e offrire una base legislativa uniforme. Quanto si diceva sopra in relazione alla sensibilità
del legislatore e alla storia giuridica del Paese è osservabile, nel contesto della Costituzione italiana,
alla luce dell’art. 5. Secondo l’ultimo periodo, in particolare, la Repubblica «adegua i principî ed i
metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
Il modello italiano, nonostante la l. 56/2014, è ancora lontano dall’essere compiutamente
delineato. Resta quantomai necessario evitare di rinvenire l’obbligo di risolvere i problemi di una
città metropolitana con l’istituzione di un ente pubblico territoriale denominato come tale, in
particolare se la qualificazione è formale. I problemi e le necessità di una grande città sono
indipendenti dalla qualificazione di “metropolitano” dell’ente che le amministra e, proprio per
questo, gli enti “città metropolitane” non sono imperativi. Proprio la pluralità di soluzioni offerte
dall’esperienza comparata ne è la dimostrazione.
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