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Antonio Gasbarrini
DOPO-SISMA A L’AQUILA: IO ACCUSO E NON MI MANCANO LE PROVE
Parla il giornalista e critico d’arte abruzzese, autore del libro “J’accuse!! Il terremoto
aquilano, la città fantasma e l’inverecondo imbroglio mediatico del sig. b.”. Una dura e
importante requisitoria su come è stata gestita l’emergenza dopo il disastro del 6 aprile
2009, con il circuito propagandistico e affaristico messo in piedi dal governo Berlusconi
che, dopo quasi due anni, non ha fatto fare nessun passo significativo nella direzione di
una concreta ricostruzione del capoluogo dell’Abruzzo, il cui centro storico, transennato
ed etichettato come la cosiddetta ‘zona rossa’, è in realtà una zona morta. Ma le
popolazioni locali non si arrendono, la memoria di una lunga storia di distruzioni e
rinascite aiuta a tenere in vita la speranza.
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di Ilenia Appicciafuoco
(…) Corria li annis Domini anni mille trecento
e più quaranta nove, credete ca no mento,
quanno fo el terramuto e quisto desertamento;
e quilli che moreroci, Dio li abbia a salvamento.
(…)
Quanno le case càdero fo tanta polverina,
no vidia l’uno l’altro omo quella matina;
multi ne abe a ucidere senza male de ruina:
ben se lli dé a conuscere, la potenza divina! (…).
A “parlare” è Buccio Di Ranallo nella sua Cronica rimata, opera che narra la storia del più bel
capoluogo abruzzese dalla fondazione, nel 1254, fino al 1362, anno antecedente la morte dell’autore.
Cronista ante litteram, Buccio nacque a L’Aquila nel 1294 circa, da genitori provenienti da Poppetlum,
l’attuale Coppito, frazione che dista 5 chilometri dalla città federiciana, ora area principale
dell’insediamento e della realizzazione del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili
Ecocompatibili), portato avanti dal Governo e dalla Protezione Civile.
Il “terramuto” descritto da Buccio nelle sue cronache è quello che, nel 1349, distrusse la città causando
ben 800 morti. L’autore aquilano descrive le vicissitudini dei suoi contemporanei e di come seppero
reagire in seguito al disastro:
(…) No iacemmo in case ma le logie facemmo;
più de nove semane pur da fore jacemmo;
più frido assai che caldo in quillo tempo avemmo
e de nostri peccati pure ne penetemmo!
(…).
Gli aquilani del 1300 decisero, quindi, di abitare in delle baracche (logie)[i] e di occuparsi
personalmente, a poco a poco, della ricostruzione della città pur di non abbandonarla. La “storia”
raccontata da Buccio è pressoché identica a quella vissuta dal cronachista Francesco d’Angeluccio di
Bazzano, durante il terremoto del 1400 ed anche a quella raccontata dallo storico Antinori, all’inizio
del 1700, dopo la terza catastrofe che tuttavia non riuscì a mettere definitivamente in ginocchio
L’Aquila.
Nel 2009-2010 un Buccio di Ranallo dei giorni nostri, il professor Antonio Gasbarrini, ci racconta una
storia ben diversa, nel suo J’accuse!! Il terremoto aquilano, la città fantasma e l’inverecondo
imbroglio mediatico del sig. b. (Angelus Novus Edizioni, 2010, pp. 239, € 20,00). Gasbarrini è
pubblicista, critico d’arte ed a tutt’oggi, art director del Centro Documentazione Artepoesia
Contemporanea “Angelus Novus”, con sede a L’Aquila, nonché direttore editoriale della casa editrice
omonima. Oltre ad aver collaborato per anni con “Il Messaggero - Abruzzo” e numerosissime riviste
specializzate, Gasbarrini è anche un esperto studioso di Ignazio Silone ed ha tra l’altro ideato, curato e
realizzato La prima Biennale virtuale europea su rete Internet.
Il suo J’accuse, oltre a fornire diretta testimonianza del prima, durante e dopo la strage messa in atto da
Mister T, soprannome quasi “fiabesco” con il quale Gasbarrini appella il terremoto, e poi dalle
menzogne del miracolo aquilano diffuse dal Governo e da molti organi d’informazione, presenta una
serie di immagini scattate dall’autore stesso nella zona rossa e nella ormai città fantasma ed una galleria
di ritratti dei protagonisti della catastrofe realizzati dal giornalista e fotografo Pino Bertelli che ha
curato anche la prefazione:
(…) Il grido di rivolta (J’accuse) di Gasbarrini si accorda all’autobiografia che l’accompagna. Si
scaglia contro la costruzione violenta e autoritaria dell’ordine delle macerie… attraversa i resti dei
monumenti, l’esodo aquilano, la caduta delle antiche mura, le miserie mascherate della zona rossa…
si affranca al popolo delle carriole insorto contro l’assassinio dell’Aquila, la calata dei nuovi
lanzichenecchi, la menzogna mediatica che avvolge terremoto e terremotati nel confortorio
dell’intelligenza ferita a morte (…) il suo J’accuse è quello di un eresiarca della poesia, dell’arte,
dell’esilio forzato e lo contamina con testimonianze, brani di vita, suoni, immagini provenienti
dall’inferno della sua terra… si batte contro tutte le violenze fatte alla verità e alla bellezza… racconta
di una comunità elettiva e infligge al comune sentire strappi di profondo dissidio… denuncia il
fallimento della politica e afferma che il male governa e il popolo è detenuto nella genuflessione… sa
che bevendo alla fonte delle istituzioni non si può che trovare acque infette. Il giusto e l’ingiusto sono
scritti sulle tavole delle convenzioni e servono a ridurre gli uomini in schiavitù. (…)[ii]
J’accuse è un testo nato sulla Rete, risultato dell’assemblaggio di articoli pubblicati sul web e su vari
blog, quotidiani e periodici online. Gasbarrini, alla fine del libro, sceglie di riportare i commenti, di
sostegno e approvazione o più critici e scettici, postati dai vari bloggers in risposta ai suoi scritti
proprio per accentuare la natura “cibernetica” dell’opera, caratteristica che, per contrasto, appare
lontana anni luce dall’impostazione che Bertelli sceglie per la sua infuocata e voluminosa prefazione,
divisa in capitoli e paragrafi introdotti da titoli suggestivi e dal sapore classico: Sull’elogio del buon
vivere, Sull’uomo in rivolta, Sull’insurrezione dell’intelligenza, Sulla democrazia diretta,
Sull’insurrezione delle carriole…
La scelta di inserire la decina di fotoracconti detournati dalla zona rossa[iii] nell’Intermezzo, posto fra
la prima e la seconda parte dell’opera, rappresenta la reazione ‘iconografica’ dell’autore allo spettacolo
dato in pasto all’opinione pubblica dai mass media. Gasbarrini procede sulla scia della lezione di Guy
Debord, scrittore, regista e filosofo francese scomparso nel 1994. Debord,a sua volta, sviluppò le sue
riflessioni partendo da concetti che furono centrali nel pensiero di Karl Marx, quali l’alienazione e la
reificazione che, nell’età contemporanea, non sarebbero state causa dell’oppressione delle classi
dominanti, del capitalismo e dal feticismo delle merci ma dello spettacolo e dall’azione del potere
mediatico sulla mente dell’uomo. Se secondo Debord lo spettacolo (da lui inteso nel senso deteriore del
termine), portava l’essere umano a diventare spettatore passivo di ciò che accadeva nell’ambiente
circostante, vittima della mediazione “criminale” e distorcente degli avvenimenti portata avanti dai
mezzi di comunicazione di massa, Gasbarrini trasferisce questo pensiero concretamente su quanto
accaduto nel disastro aquilano, o meglio, immediatamente dopo il sisma.
“Il libro – afferma Antonio Gasbarrini, intervistato da Le Reti di Dedalus – ha vari registri espressivi:
uno è quello di Internet, con tutto quel che ne deriva, poi c’è il registro saggistico, sempre mediato
attraverso le logiche della Rete. Ho utilizzato anche quello giornalistico ed infine uno che potrei
definire “fabulatorio”, quello che uso quando entra in scena Mister T. Un’altra modalità
sperimentale è stata anche quella di inserire i commenti dei bloggers. Credo che senza Internet –
precisa l’autore – il terremoto avrebbe avuto tutta un’altra storia, in negativo, perché grazie alla Rete
le persone hanno potuto ritrovarsi. Non c’è stata solo una controinformazione che si è imposta per
portare alla luce verità e menzogna: Internet è stato anche e soprattutto uno strumento di
riaggregazione fra le persone, cosa che, purtroppo, non si è verificata ad Haiti”.
Un elemento caratterizzante il testo, frutto della memoria individuale e del passato dell’autore è proprio
il rapporto con Mister T, il Signor Terremoto, un “uomo nero” conosciuto da Gasbarrini da bambino e
che, prima delle 3.32 del 6 aprile 2009, era stato accettato dal ragazzino e poi dall’uomo, come un
ospite solo un po’ antipatico con il quale dover fare i conti in qualche occasione:
(…) La decina di volte che era venuto a trovarci a L’Aquila – scrive il critico – a Porta Napoli, e poi in
via XX Settembre o in via Pescara, o, ancora a Pianola, dove avevo abitato e tuttora risiedo, non mi
aveva mai spaventato più di tanto. Lo avevo trattato sempre alla stregua di un compagno di scuola
antipatico quanto si voglia, ma con cui, in un modo o nell’altro, bisognava convivere (…)[iv].
Sarà la disperata esclamazione della figlia dell’autore (Pà, L’Aquila non c’è più!), accorsa nella sua
casa nel cuore della notte, dopo una scossa più forte di tutte le altre, a trasformare l’“antipatico
compagno di scuola” in un incubo che dura ancora oggi.
“Le famose ‘zone rosse’ di Roma, che meno di un mese fa hanno occupato le prime pagine dei
quotidiani sono state ‘esportate’ da L’Aquila, dopo l’arrivo di Mister T”, prosegue il giornalista.
“Anche noi aquilani abbiamo organizzato manifestazioni come l’occupazione dell’autostrada e la
nostra personale ‘marcia su Roma’, dimostrazioni eclatanti dello stato di sofferenza e abbandono in
cui versiamo e del nulla che è rimasto di ciò che ci era stato promesso. È bastata la prima gelata –
incalza – a mettere in difficoltà le casette, costate circa tremila euro al metro quadrato. Per ricostruire
un edificio al centro storico sarebbero state sufficienti mille euro circa al metro quadrato,
dimostrazione lampante che chi ci governa non vuole riportare in vita la parte più antica e bella della
città. Vorrei, inoltre, sottolineare che ad oggi, dal 6 aprile 2009, 30 o 40mila aquilani non hanno
ancora avuto la possibilità di rivedere la loro città perché non possono accedervi, a meno che non
abbiano permessi speciali. Questo fu il primo grande errore commesso dall’amministrazione civica...
Molti aquilani non sanno davvero cosa sia successo”.
Antonio Gasbarrini ha, inoltre, sottolineato le caratteristiche di quella che ha definito la “diaspora
aquilana”.
“Gli aquilani che vivevano nel centro storico, (persone anziane e studenti universitari per lo più) le
cui abitazioni sono risultate le più pericolanti o da abbattere, sono state letteralmente deportate nei 19
anonimi agglomerati disseminati in un raggio di 20 chilometri di distanza dalla loro città. Sono queste
le persone che più stanno patendo una sofferenza quotidiana perché destinati a vivere per 5 o 6 anni
senza un negozio di alimentari o ad esempio un barbiere nelle vicinanze… per ogni necessità – spiega
Gasbarrini – anche per comprare un pacco di sale, dovranno mettersi in macchina e percorrere
almeno 10 o 15 chilometri” . Per non parlare di chi, come l’autore di J’accuse, vive da anni ancora
sulla costa. “Sono a Pineto da due anni – evidenzia ancora il giornalista e critico – e ho conosciuto
tanti che, a causa della sofferenza per la diaspora che ha fatto seguito alla tragedia, sono ora vittime
di problemi di salute e di problemi mentali”.
Straziante e profetica la polverina menzionata da Buccio di Ranallo nella sua Cronica… e fu proprio
la polvere, secoli dopo il 1300, a levarsi nell’aria abruzzese, dopo lo sgretolamento di edifici, strutture e
interi quartieri costruiti in zone “proibite”, su faglie attive o con materiali scadenti… la stessa che
avvolse il capoluogo, i paesi e i centri vicini di Onna, Paganica, Fossa e Coppito, nella notte del 6
aprile e che soffocò per sempre il respiro di più di trecento persone.
La “deformazione professionale” di Gasbarrini, critico d’arte ed esperto della storia dei monumenti
della sua terra e l’amore dello scrittore per ogni singola pietra abruzzese, è riscontrabile in quasi tutte le
pagine di questo libro. L’autore evidenzia le ricchezze di uno dei più bei centri storici europei, in cui
regnano ora solo silenzio e desolazione. Ma che ruolo ha, secondo l’autore e giornalista, nel contesto
politico e sociale attuale, l’affaire aquilano?
In questo senso Gasbarrini non ha dubbi: “L’Aquila è diventata l’epicentro della crisi che attanaglia il
Paese. La nostra terra è il fulcro del disastro italiano. La disoccupazione e la cassa integrazione sono
presenti in misura doppia rispetto alle altre regioni.”.
E l’amara e disincantata analisi dell’autore di J’accuse non risparmia neppure alcuni fra i personaggi
che ruotano attorno allo scenario politico attuale e che sono agenti attivi dello spettacolo mediatico che
ormai rende tutto “debordianamente” dimentico dei problemi del Paese. “Mentre Roma bruciava e
veniva messa a ferro e fuoco un po’ di tempo fa, durante gli scontri in Piazza del Popolo, il nostro
conterraneo Bruno Vespa è andato a presentare il suo ultimo libro”.
Inoltre, in un articolo postato l’11 gennaio 2011 da Gasbarrini stesso sul sito www.criricART.it, il
giornalista scrive che il 14 dicembre 2010, “Mentre Roma bruciava come ai tempi di Nerone per le
contestazioni studentesche, ‘il cavaliere’, appena incassata la fiducia al Senato e alla Camera, si
precipitava accanto al Nostro (Bruno Vespa n.d.r.) per pubblicizzare la presentazione del suo ultimo
polpettone letterario. Il panettone-librone è niente più, niente meno che un collaudato pre/testo per
attivare il gracchiante megafono propagandistico della ‘Voce del padrone’. Nulla ha da spartire con
la cultura e l’arte: i reciproci sorrisi e la loro stretta di mano in uno dei momenti più drammatici
dell’Italia Repubblicana – continua Gasbarrini – fanno ancora accapponare la pelle (su Internet, se si
ha un buono stomaco, possono essere consultati filmati, immagini e testi)”.
Il critico d’arte spiega, che, insieme all’assemblea dei cittadini aquilani, ha contribuito all’elaborazione
di una proposta di legge che necessiterebbe, per essere presentata in Parlamento, di 50.000 firme. Nella
proposta vi è la richiesta di un trattamento equo rispetto a quello messo in atto per le vittime di altre
catastrofi ed una legge per il terremoto che possa eliminare le logiche del Commissariamento e delle
ordinanze in deroga alle leggi correnti, in modo tale che il decreto venga adeguatamente finanziato
anche attraverso una tassa di scopo. La legge, scritta dai cittadini, è un esempio della volontà di questi
ultimi di richiedere trasparenza e partecipazione in una vera ricostruzione, non solo materiale ma anche
economica e sociale.[v]
“La raccolta delle fatidiche 50.000 firme tuttora in corso – spiega, tuttavia, l’autore di J’accuse nel suo
articolo su criticART – ha registrato il netto diniego di due autentici sub-cavalli di Troia mediatici
berlusconiani: Bruno Vespa e Vittorio Sgarbi. Le motivazioni? A loro dire non erano a conoscenza
della proposta di legge, quasi che l’invocato ‘autografo’ presupponesse la lettura (articolo per
articolo, comma su comma, codicillo su codicillo) di norme che tendono a far uscire gli aquilani e gli
altri italiani colpiti da analoghe sventure, dall’incubo delle ordinanze emanate ad usum Delphini (‘la
frase nasce in Francia dove veniva stampigliata sulla copertina di testi classici destinati all’istruzione
del figlio del Re Luigi XIV ed erede al trono, detto Delfino. Tali testi venivano epurati dei passaggi
ritenuti più scabrosi…’, da wikipedia).”
Ma non tutte le speranze di ricostruire un tessuto sociale fortemente danneggiato sono vane… il primo
segnale di unione, di ri-congiunzione e di affratellamento, arriva, come spesso accade, dall’arte.
Mercoledì 1 dicembre 2010, infatti, Benedetto XVI ha benedetto due maxitele realizzate a L’Aquila da
artisti abruzzesi sotto la tenda messa a disposizione della Croce Rossa Italiana nel campo di CentiColella, subito dopo il sisma. L’artista Anna Seccia ha inoltre donato al Papa, per ringraziarlo, una
copia delle due maxitele e una sua opera pittorica realizzata per l’occasione. Le due tele sono nate a
cavallo tra giugno-luglio 2009, grazie al progetto Aquilabruzzo Tendatelier ideato e promosso proprio
da Anna Seccia, sostenuto dell’Associazione Kaleidos e da Sfera design di Pescara, insieme ad Antonio
Gasbarrini ed all’associazione Angelus Novus. Sono stati 18[vi] gli artisti di tutte e quattro le province
abruzzesi, a cimentarsi nella grande opera collettiva dal titolo “Soqquadri” delle dimensioni di m. 10 x
2,20. Una seconda opera, dal titolo ”Globalaquilart”, delle medesime dimensioni, è stata realizzata con
l’happening in progress della Seccia che ha visto coinvolti 332 residenti di tutte le età del Campo
Centi-Colella, attraverso un lavoro di arte relazionale partecipativa de “La Stanza del colore”.
Gasbarrini, nel J’accuse spiega che le caselle lasciate bianche, sulle tele, sarebbero dovute essere
occupate dalle firme dei Capi di Stato, presenti all’Aquila per il G8 e che quelle stesse caselle sono,
tutt’ora, vuote.
Tuttavia, per la testimonianza storica e simbolica delle quali le opere sono portatrici, l’Associazione
Kaleidos, insieme ad Angelus Novus, farà in modo di promuoverle attraverso mostre itineranti in tutta
la penisola e in Europa. I lavori saranno, inoltre, messi all’asta per procurare fondi per il sogno della
rinascita culturale aquilana… E così continua la storia di questa catastrofe, nelle parole e negli sguardi
di chi ricorda e di chi vuol dimenticare. La storia, una delle tante, dei figli di questo “peso morto” che
da troppo tempo vive con il cuore ferito e che, nonostante tutto, non si arrende.
[i] Antonio Gasbarrini, in J’accuse!!! Il terremoto aquilano, la città fantasma & l’inverecondo imbroglio mediatico del
sig.b., pag.72.
[ii] Pino Bertelli, ivi, pag. 27.
[iii][iii]Gasbarrini, ivi, pag 54
[iv] Ivi, pag 57
[v] Per maggiori approfondimenti leggi l’articolo di Giusy Pitari “Il dramma dell’Aquila a 21 mesi dal sisma”, su
www.informarexresistere.fr
[vi] S. Arduini, D. Colantoni, M. Costantini, G. Costanzo, G. Cotellessa, S. Cutuli, F. Di Lizio, B. Di Pietro, S. Ianni, M.
Meralangelo, S. Meralangelo, G. Minedi, A. Paolinelli, A. Pelliccione, M. Pesce, A. Seccia, A. Spinogatti, C. Volpicella.