JOHN FORD - Circolo del cinema Bellinzona

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JOHN FORD - Circolo del cinema Bellinzona
JOHN FORD
Commediante e poeta
settembre 2004 – giugno 2005
«Amo l’aria aperta, i grandi spazi, le montagne, i deserti... Il sesso, l’oscenità, la
degenerazione sono cose che non mi interessano. Mi piace assaporare il profumo onesto
dell’aria aperta. È un bisogno per me.»
«Io sono uno del proletariato... Vengo da una famiglia di contadini. Sono venuti qui e hanno
ricevuto un’istruzione. Hanno bene meritato di questo paese. Io amo l’America. Sono
apolitico.»
«Adoro fare film, ma non mi va di parlarne... Voglio dire, è tutta la mia vita. Ma mi chiedono
sempre qual è il mio film preferito. Io rispondo sempre: il prossimo... Vedete, faccio un film e
passo al successivo... Adoro Hollywood. Non intendo i capi ma quelli che stanno in fondo: i
macchinisti, i tecnici.»
«Il cinema migliore è quello in cui l’azione è lunga e i dialoghi brevi. Quando un film racconta
la sua storia e ci descrive i suoi personaggi con una successione di piani semplici, belli e
‘attivi’, allora sì che è cinema.»
«Le nuove tecniche sono un bluff. Una sceneggiatura è buona se la puoi realizzare in bianco e
nero su piccolo schermo.»
(Dichiarazioni rilasciate da John Ford nel corso degli anni ’60, riportate in John Ford, a cura di
Franco Ferrini, Milano, L’Unità / Il Castoro, 1995)
Circolo del cinema Locarno
Cinema Morettina / Sala dei congressi Muralto**
Ore 20.30
lun 13.9**
The Grapes of Wrath Furore 1940
ven 15.10
Stagecoach Ombre rosse 1939
in collaborazione con il GGL (Gruppo Genitori Locarnese)
ven 29.10
How Green Was My Valley Com’era verde la mia valle 1941
in collaborazione con il GGL (Gruppo genitori Locarnese)
lun 6.12**
My Darling Clementine Sfida infernale 1946
lun 24.1
Wagon Master La carovana dei Mormoni 1950
lun 14.2**
The Quiet Man Un uomo tranquillo 1952
lun 7.3
The Searchers Sentieri selvaggi 1956
lun 4.4
The Last Hurrah L’ultimo urrà 1958
lun 25.4
Sergeant Rutledge I dannati e gli eroi 1960
lun 9.5
The Man Who Shot Liberty Valance L’uomo che uccise Liberty Valance 1962
lun 23.5
Seven Women Missione in Manciuria 1966
Circolo del cinema Bellinzona
Cinema Ideal Giubiasco / Cinema Forum
Ore 18.00
Le proiezioni inizieranno al Cinema Ideal e proseguiranno al Cinema Forum appena la
nuova sala sarà inaugurata.
sab 18.9
Stagecoach Ombre rosse 1939
sab 16.10
The Grapes of Wrath Furore 1940
sab 27.11
How Green Was My Valley Com’era verde la mia valle 1941
sab 18.12
My Darling Clementine Sfida infernale 1946
sab 15.1
Wagon Master La carovana dei Mormoni 1950
sab 29.1
Rio Grande Rio Bravo 1950
sab 19.2
The Quiet Man Un uomo tranquillo 1952
sab 12.3
The Searchers Sentieri selvaggi 1956
sab 9.4
The Last Hurrah L’ultimo urrà 1958
sab 30.4
Sergeant Rutledge I dannati e gli eroi 1960
sab 14.5
The Man Who Shot Liberty Valance L’uomo che uccise Liberty Valance 1962
sab 28.5
Seven Women Missione in Manciuria 1966
LuganoCinema 93
Cinema Iride
Ore 10.30
dom 19.9
Stagecoach Ombre rosse 1939
dom 17.10
The Grapes of Wrath Furore 1940
dom 21.11
How Green Was My Valley Com’era verde la mia valle 1941
dom 12.12
My Darling Clementine Sfida infernale 1946
dom 16.1
Wagon Master La carovana dei Mormoni 1950
dom 30.1
Rio Grande Rio Bravo 1950
dom 20.2
The Quiet Man Un uomo tranquillo 1952
dom 13.3
The Searchers Sentieri selvaggi 1956
dom 10.4
The Last Hurrah L’ultimo urrà 1958
dom 1.5
Sergeant Rutledge I dannati e gli eroi 1960
dom 22.5
The Man Who Shot Liberty Valance L’uomo che uccise Liberty Valance 1962
dom 5.6
Seven Women Missione in Manciuria 1966
Cineclub del Mendrisiotto
in collaborazione con l’Ufficio Cultura del Comune di Chiasso
Cinema Teatro Chiasso
Ore 20.30
mar…
The Grapes of Wrath Furore 1940
mar…
My Darling Clementine Sfida infernale 1946
mar…
The Quiet Man Un uomo tranquillo 1952
mar…
The Searchers Sentieri selvaggi 1956
Entrata : fr. 10.-/8.-/6.-
Tessera per tutta la rassegna : fr. 80.-/60.-/40.-
www.cicibi.ch
Alla domanda su quali fossero i registi americani che più lo interessavano, Orson
Welles in un'intervista del 1967 a Playboy, rispose: "....i vecchi maestri. Con ciò mi
riferisco a John Ford, John Ford e John Ford...".
Ultimo di 13 figli, John Martin Feeney nacque il 1 febbraio 1895 nel Maine, da genitori
emigrati dall'Irlanda. Dopo aver frequentato la High School, andò, "per fame", a
Hollywood dove suo fratello maggiore Francis lavorava come attore e regista. Qui fece
di tutto, l'attrezzista, lo stuntman (era uno dei cavalieri del Klu Klux Klan in Nascita di
una nazione di Griffith), l'operatore e infine il regista con il nome di John Ford. Incontro
decisivo fu quello con Harvey Carey, star del western, con il quale girò 25 film fra il
1917 e il 1921, in gran parte andati persi. "Fu Carey che, nei primi anni, mi insegnò
tutto. In un certo senso mi ha educato lui. L'unica cosa che avevo era l'occhio per la
composizione - non so dove l'ho preso - ed era tutto ciò che possedevo. Da ragazzo
pensavo che sarei diventato un artista: disegnavo e dipingevo continuamente...".
Tra il 1939 e il 1941 lavorò a contratto per la 20th Century Fox, raggiungendo il culmine
della carriera con gli Oscar ottenuti per Il traditore (1935), Furore (1940) e Com'era
verde la mia valle (1941).
Durante la seconda guerra mondiale Ford fu responsabile del Servizio cinematografico
dell'OSS (intelligence militare), concepito e creato da lui stesso. Realizzò diversi
documentari di propaganda, in particolare La battaglia delle Midway, per il quale ebbe
un Oscar e una decorazione per le ferite riportate durante l'attacco.
Prolifico, più di 130 film diretti, ed eclettico, toccò tutti i generi, dopo la guerra Ford fu
identificato come regista di western, con tutti i pregiudizi e i preconcetti di
antintellettualismo che questo comportava. Non ebbe mai un Oscar per un western:
"Quei film mandavano avanti l'industria", ma il regista sapeva che l'industria li
disprezzava. Lui stesso, noto per essere un uomo di poche parole che non amava
teorizzare e spiegare, aveva alimentato la leggenda pronunciando la famosa frase: "Mi
chiamo John Ford. Faccio western". Le irreali formazioni rocciose della Monument
Valley, riserva della tribù Navajo, costituirono la scenografia naturale di molti film, e
per i nativi John Ford era Natani Nez, il Grande Soldato, una specie di santo che
portava lavoro, soldi e cibo. "Nei miei film ho ucciso più indiani del generale
Custer...Diciamolo, li abbiamo trattati molto male, é una macchia nel nostro passato;
abbiamo saccheggiato, ingannato, massacrato...ma se loro uccidevano un solo
bianco, Dio, allora arrivavano i soldati...".
Nel 1950, in pieno maccartismo, Ford si oppose a Cecil B. De Mille che voleva
epurare il sindacato registi ed in particolare il suo presidente Joseph Mankiewicz,
ritenuto troppo di sinistra. Malgrado questa coraggiosa presa di posizione e
nonostante fosse noto per essere un irascibile irish-american, sostenitore dell'IRA,
cattolico non dogmatico, avverso a ogni tipo di potere e autorità, fu considerato dalla
critica dell'epoca un cantore dei valori conservatori. Fu tra i pochi a difendere
l'intervento americano in Vietnam.
Nel 1973 Nixon gli conferì la Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile, e pochi
mesi dopo, il 31 agosto, moriva nella sua casa di Palm Desert.
Citando ancora Orson Welles («Cahiers du cinéma», 165): "...Ford é un commediante.
Un poeta".
Essere un commediante significa saper coniugare con abilità comicità e pathos e
saper tessere trame epiche popolate di personaggi di valore, non importa quanto umili
siano le loro origini. Spesso le sue simpatie sono andate agli outsider, agli emarginati,
siano essi i viaggiatori della diligenza di Ombre rosse, gli indiani de Il grande sentiero,
il popolo di Furore o la famiglia di Com'era verde la mia valle.
Peter Bogdanovich aveva individuato in Ford un tema ricorrente, la "gloria nella
sconfitta". "Disprezzo quei finali ottimistici - con bacio conclusivo - non ne ho mai
fatti...". I suoi eroi combattevano per la loro causa anche se spesso le circostanze
erano più potenti della loro volontà di vittoria. Un'immagine senza fronzoli dell'eroismo.
Se l'opera di Ford é diventata l'esempio della ricchezza emozionale della tradizione
hollywoodiana, il merito non é da ricercare solo nelle trame e nei personaggi, ma
soprattutto in un linguaggio cinematografico davvero unico, i cui elementi sono
l'immagine e la sua inquadratura, i chiaroscuri, i controluce, la profondità, il ritmo del
montaggio, la colonna sonora. E' questo linguaggio che fa di John Ford un poeta.
Ford scrive con la sua cinepresa. "Beh a dire il vero non esiste in assoluto un buon
copione. I copioni sono dialoghi e io non amo tutte quelle chiacchiere. Ho sempre
cercato di far capire le cose visivamente... ".
Dopo Hitchcock, Buñuel e Bresson, quest'anno rendiamo omaggio al regista che più
ha contribuito a creare il mito di Hollywood, il cantore della storia di una nazione.
La rassegna presenta 12 film, scelti fra i pochi ancora in distribuzione, con l'intento di
andare oltre il cliché che ci porta ad associare l'opera di Ford alle inquadrature in
campo lungo di soldati a cavallo, alle ombre di indiani sulla sabbia rossa della
Monument Valley, alle canzoni popolari che fanno da colonna sonora... esercito, patria
e famiglia.
"John Ford sa di cosa é fatto il mondo", disse ancora di lui Orson Welles.
Il giornalista di L'uomo che uccise Liberty Valance pronuncia la famosa frase:
"Se la leggenda diventa realtà, stampa la leggenda".
John Ford racconta la leggenda, la svela e ci mostra la realtà.
Anna Ganzinelli Neuenschwander
LuganoCinema 93
- Stage Coach Ombre rosse 1939
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sceneggiatura: Dudley Nichols, dal racconto di Ernest Haycox, Stage to Lordsburg
fotografia: Bert Glennon. Esterni girati nella Monument Valley (Arizona)
musica: Richard Hageman, W. Franke Harling, John Leipold, Leo Shuken, Louis Gruenberg
montaggio: Otho Lovering, Dorothy Spencer, Walter Reynolds
interpreti: John Wayne (Ringo Kid), Claire Trevor (Dallas), John Carradine (Hatfield),
Thomas Mitchell (dottor Josiah Boone
produzione: Walter Wranger/United Artist
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 97’
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Un gruppo di emarginati - una prostituta, un medico ubriacone, la moglie
incinta di un ufficiale, un banchiere disonesto, un rappresentante di whisky e
uno sceriffo - attraversa in diligenza il pericoloso territorio indiano. Si unisce
a loro il fuorilegge Ringo. Durante l'ultimo giorno di viaggio, vengono
attaccati dagli indiani e salvati dalla cavalleria.
Primo film girato da Ford nella Monument Valley ispirato dalla novella Palla di sego
di Guy de Maupassant, è la quintessenza del genere western, autentico
capolavoro, in "perfetto equilibrio tra teatralità e avventura, spazio chiuso e
immensità cosmica, aneddoto e sintesi, epicità e messaggio", e atto d'accusa
contro l'ipocrisia sociale e l'emarginazione in pieno New Deal roosveltiano. I
protagonisti non sono soldati, ma fieri individualsiti, a volte fuorilegge, e al
momento del bisogno i pregiudizi contro di loro si sciolgono come neve al sole.
Orson Welles, nel libro-intervista di Peter Bogdanovich, confessa: "Mentre giravo
Quarto potere ho fatto proiettare Ombre rosse molte volte, volevo imparare a girare
un film e quello è così classicamente perfetto.... Ogni sera dopo cena, per circa un
mese ho passato Ombre rosse, spesso insieme a qualche tecnico, e facevo
domande: Come l'hanno fatto questo? Perché hanno fatto così? Ed era come
andare a scuola....".
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The Grapes of Wrath Furore 1940
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sceneggiatura: Nunnally Johnson, dal romanzo di John Steinbeck
fotografia: Gregg Toland
musica: Alfred Newman
montaggio: Robert Simpson
interpreti: Henry Fonda (Tom Joad), JaneDarwell (Ma’Joad), John Carradine (Casey)
th
produzione: Darryl F. Zanuck per 20 Century Fox
dvd, bianco e nero, v.o. st. it., 129’
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Durante la Grande Depressione i piccoli proprietari erano costretti ad
abbandonare le loro terre per andare a cercare lavoro in California. Tom Joad
esce di prigione e si mette in viaggio con la famiglia, accompagnato da
Casey, un predicatore che ha perso la vocazione. Riescono a trovare lavoro
soltanto come crumiri, e quando Tom scopre che Casey, ucciso dai padroni,
era il capo degli scioperanti, prende coscienza della lotta di classe e lascia la
famiglia per svolgere attività sindacale.
Tratto dal romanzo omonimo di John Steinbeck, il regista ne attenua la violenza
contestatrice pur sottolineando con passione il dramma del popolo che tenta di
opporsi all'establishment finanziario. Sradicati e disorientati, i protagonisti
attraversano un'America che non riconoscono. L' andamento narrativo ritrova le
strutture del western, con il camioncino al posto della diligenza. Ma il racconto è
anche assimilabile all'Esodo, tema caro a Ford, dove i possidenti e le loro milizie si
oppongono al popolo come gli egiziani agli ebrei che cercano la Terra promessa.
Finale indimenticabile in cui la madre riassume a Tom la sua filosofia, e quella di
Ford, sulla vita: "Siamo vivi, siamo il popolo, la gente che sopravvive a tutto.
Nessuno può distruggerci. Nessuno può fermarci. Noi andiamo sempre avanti".
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How Green Was My Valley Com'era verde la mia valle 1941
sceneggiatura: Philip Dunne, dal romanzo di Richard Llewellyn
fotografia: Arthur C. Miller
musica: Alfred Newman
montaggio: James B. Clark
interpreti: Walter Pidgeon (Gruffydd), Maureen O’Hara (Angharad Morgan), Donald Crisp (Gwilyn
Morgan), Sara Allgood (Signora Morgan)
th
produzione: Darryl F. Zanuck /20 Century Fox
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 118’
Lasciando la città mineraria gallese in cui è vissuto, Huw Morgan rievoca, in
un lungo flashback, i tempi in cui la valle era verde e popolosa, e i mutamenti
sociali che la miniera ha innescato nella sua famiglia e in tutto il villaggio: la
conflittualità operaia, la nascita del sindacato, la fine di una concezione
paternalistica dei rapporti interpersonali, la crisi della comunità familiare,
l'emigrazione come risposta alla povertà.
Dramma fordiano per eccellenza: la dispersione della famiglia e la fine di un'epoca
che si conclude con la morte del vecchio Morgan nel crollo del pozzo minerario.
Una fine dolorosa, che Ford rievoca con partecipazione ma senza nascondere
l'inadeguatezza di quel mondo (e di quei valori) di fronte ai mutamenti sociali. Ai
suoi eroi non resta che sopportare in silenzio la propria sconfitta, come, ad
esempio, il reverendo Gruffyd che non ha il coraggio di accettare il proprio amore
per Angharad, sorella di Huw, spingendola così tra le braccia del nemico di classe,
votandola all'esilio interiore di una gabbia dorata, e fallendo come uomo e come
pastore
My Darling Clementine Sfida infernale 1946
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sceneggiatura: Engel e Winston Miller, dal soggetto di Sam Hellman, ispirato al libro di
Stuart N. Lake, Wyatt Earp, Frontier Marshal
fotografia: Joseph P. McDonald. Esterni girati nella Monument Valley
musica: Cyril J. Mockridge
montaggio: Dorothy Spencer, Darryl F. Zanuck
interpreti: Henry Fonda (Wyatt Earp), Linda Darnell (Chihuahua), Victor Mature (Doc John
Holliday), Cathy Downs (Clementine)
th
produzione: Samuel G. Engel per 20 Century Fox
35mm, bianco e nero, v.it., 97’
Wyatt Earp e i suoi fratelli, in viaggio con la mandria, fanno tappa a
Tombstone e qui James, il più giovane, viene ucciso e la mandria rubata.
Wyatt accetta la carica di sceriffo per poter scoprire i colpevoli e si allea con
Doc Holliday, ex medico alcolizzato temuto in città. Scoperti gli assassini, i
Clanton, Wyatt insieme a Doc e al fratello Virgil li affronta nella famosa sfida
all'OK Corral.
Ford si ispira ad una delle più famose leggende del West per mettere in scena il
tema a lui caro della lotta degli onesti per la pace ed il progresso. Tutt'altro che un
western classico, sbilanciato com'è verso il melodramma, nel quale due donne, la
maestra Clementine e la meticcia Chihuahua, si contendono l'amore di un uomo.
Lo stile è elaborato e barocco e proprio per questo, alla prova del tempo, è uno dei
film di Ford più interessanti.
Wagon Master La Carovana dei Mormoni 1950
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sceneggiatura: Frank S. Nugent, Patrick Ford
fotografia: Bert Glennon, Archie Stout. Esterni girati nella Monument Valley e nella
Professor Valley (Utah)
musica: Richard Hageman
montaggio: Jack Murray
interpreti: Ben Johnson (Travis Blue), Harry Carey Jr. (Sandy Owens), Joanne Dru (Denver), Ward
Bond (Elder Wiggs)
produzione: Ford e Merian Cooper per Argosy
16mm, bianco e nero, v.it., 86’
Una carovana di Mormoni in viaggio verso lo Utah accoglie due mercanti di
cavalli che si offrono di fare da guida. A loro si uniranno varie persone tra cui
una troupe di attori girovaghi. Instaurato un rapporto amichevole con le tribù
Navajos, l'unico pericolo verrà da una banda di fuorilegge.
Una parabola sulla tolleranza come risposta al clima persecutorio dell'America
degli anni '50. Ford torna nella Monument Valley e gira il suo film più "omerico",
appassionata variazione su uno dei suoi temi preferiti: la conquista della terra
promessa. Al centro c'è l'analisi della natura umana, descritta in tutte le sue facce
più contraddittorie e raccontata in quello che ha di più vitale, cioé "la ricerca
individuale e collettiva della pace, che assume le forme di lunga erranza, di viaggio
costellato di danze, feste e sofferenze, episodi sanguinari o familiari". Animato da
tanti piccoli episodi, il film non ne privilegia nessuno, lasciando al centro del
racconto lo sforzo fisico necessario per conquistare la felicità: la sete, la polvere
del deserto, la fatica, il sudore.
Rio Grande Rio Bravo 1950
sceneggiatura: James Kevin McGuinness, dal racconto di James Warner Bellah, Mission
with No Record
fotografia: Bert Glennon, Archie Stout. Esterni girati nella Monument Valley
musica: Victor Young
montaggio: Jack Murray
interpreti: John Wayne (tenente colonnello Kirby Yorke), Maureen O’Hara (signora Yorke), Ben
Johnson (soldato Tyree), Claude Jarman Jr. (soldato Jeff Yorke)
produzione: Ford e Merian Cooper per Argosy
dvd, bianco e nero, v.o. st. it., 105’
Il colonnello Yorke ritrova, fra le reclute giunte al Forte, il figlio Jeff arruolatosi
come volontario. Arriva anche la moglie Kathleen, che non incontra da 15 anni,
per riscattare l'arruolamento del ragazzo, il quale rifiuta. Poiché si teme una
rivolta indiana, le donne e i bambini vengono scortati in un altro forte, ma la
colonna viene attaccata. Jeff si comporta con coraggio e il ritorno al forte segna
il ricomporsi della famiglia.
Capitolo conclusivo della cosiddetta Trilogia della Cavalleria, dopo Massacro a Fort
Apache e I cavalieri del Nord Ovest. E' probabilmente la parte più popolare dell'opera
di Ford che non ha timore di rendere omaggio, con una buona dose di retorica, ai
"...rudi cavalieri, professionisti pagati 50 centesimi al giorno che pattugliano le frontiere
della nazione. Da Fort Reno a Fort Apache, da Sheridan a Stark, erano tutti uguali:
vestiti di blu sporco e soltanto una fredda pagina dei libri di storia a segnalare il loro
passaggio. Ma ovunque sono passati, e per qualunque motivo si siano battuti, questo
scopo è diventato gli Stati Uniti" (voce fuori campo ne I cavalieri del Nord Ovest)
- The Quiet Man Un uomo tranquillo 1952
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sceneggiatura: Frank S. Nugent, dall’adattamento di Richard Llewellyn del racconto di
Maurice Walsh
-
fotografia: Winton C. Hoch, Archie Stout. Esterni girati in Irlanda
musica:Victor Young
montaggio: Jack Murray
interpreti: John Wayne (Sean Thornton), Maureen O’Hara (Mary Kate Danaher), Barry
Fitzgerald (Michaeleen Og Flynn), Victor McLagen (Red Will Danaher)
produzione: Ford, Merian Cooper e Michael Killanin per Argosy
dvd, colore, v.o. st. it., 129’
Sean Thornton, dopo aver ucciso un uomo sul ring, lascia l'America e torna
in Irlanda per rifarsi una vita e trovare moglie. Subito si scontra con Red Will
Danaher e i litigi continuano quando si innamora di sua sorella Mary Kate,
che per sposarsi ha bisogno del suo benestare. Il sacerdote cattolico e il
pastore protestante riescono a convincere Red Will, che però si rifiuta di
sborsare la dote.
È il film che segna il ritorno di Ford nella natia Irlanda di cui descrive con passione,
e un pizzico di ironia, le tradizioni, i costumi e le convenzioni sociali, vincoli
obbligatori per legare l'individuo al gruppo, ma più ancora il presente al passato
della propria storia e della terra. Attraversato da una sotterranea vena di
malinconia, il film ha il suo clou nella famosa scazzottata che Sean-Wayne deve
affrontare per conquistare la moglie e il rispetto degli altri.
-
The Searchers Sentieri selvaggi 1956
sceneggiatura: Frank S. Nugent, dal romanzo di Alan LeMay
fotografia: Winton C. Hoch, Alfred Gilks. Esterni girati in Colorado e nalla Monument Valley
musica: Max Steiner
montaggio: Jack Murray
interpreti: John Wayne (Ethan Edwards), Jeffrey Hunter (Martin Pawley), Vera Miles
(Laurie Jorgensen), Natalie Wood (Debbie Edwards)
produzione: Merian C. Cooper e C.V. Whitney/Warner
35mm, colore, v.o. st. f/t, 119’
Dopo che gli indiani hanno massacrato suo fratello Aaron e la moglie, Ethan
Edwards, reduce sudista, insieme a Martin, mezzosangue adottato da Aaron, va
alla ricerca delle due figlie rapite. Dopo 5 anni trovano Debbie, la più piccola. Ma
é diventata la moglie del capo Comanche Scar e Ethan medita di ucciderla non
ritenendola più una bianca.
Ethan e Martin sono i "searchers" (cercatori) del titolo originale e la loro caccia si
svolge nei meandri di uno spazio nel quale si incrociano culture antagoniste. Tra
indiani e bianchi non vi è alcuna possibilità di intesa, sembra suggerire Ford. Ethan è
un personaggio tormentato e ossessivo che odia gli indiani al punto di voler uccidere
la nipote contaminata dai selvaggi. Ma quando finalmente la trova, la solleva tra le
braccia per riportarla alla fattoria di amici che avranno cura di lei. J. L. Godard disse
che l'amore che si prova per Wayne mentre solleva Debbie nella scena finale
"racchiude tutto il mistero e il fascino del cinema americano". La sequenza iniziale, da
brivido, con la stanza buia che si apre sul paesaggio, viene ripresa nel finale, con la
sagoma di Wayne che rimpicciolisce, condannato ad un destino di solitudine. Un
western mistico; secondo molti registi, da Scorsese a Wim Wenders, uno dei più
grandi film di tutti i tempi.
The Last Hurrah L'ultimo urrà 1958
sceneggiatura: Frank Nugent, dal romanzo di Edwin O' Connor
fotografia: Charles Lawton jr.
montaggio: Jack Murray
interpreti: Spencer Tracy (Frank Skeffington), Heffrey Hunter (Adam Caulfield), Dianne Foster
(Maeve Caulfield) Pat O' Brien (John Gorman)
produzione: John Ford per Columbia Pictures
16mm, bianco e nero, v.it., 121’
Frank Skeffington, irlandese e cattolico, dopo essere stato sindaco per molti
anni decide di candidarsi per un altro mandato. Le sue riforme in favore dei
poveri gli hanno creato molti nemici. Il nipote giornalista segue la sua ultima
campagna, il suo ultimo urrà. Anche se l'avversario è un fantoccio dei
potenti, Frank viene sconfitto.
Ispirato dal bestseller di O'Connor dedicato alla vita del sindaco di Boston, James
M. Curley, è un film cupo e commovente con cui Ford tributa il suo omaggio alla
vecchiaia e, insieme, alla fine degli uomini veri, legati ai valori di un passato più
simbolico e nostalgico che reale. Cast zeppo di vecchie glorie hollywoodiane.
- Sergent Rutledge I dannati e gli eroi 1960
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sceneggiatura: Willis Goldbeck, James Warner Bellah
fotografia: Bert Glennon. Esterni girati nella Monument Valley
musica: Howard Jackson
montaggio: Jack Murray
interpreti: Jeffrey Hunter (tenente Tom Cantrell), Constance Towers (Mary Beecher),
Woody Strode (sergente Braxton Rutledge)
produzione: Patrick Ford e Willis Goldbeck per Ford Productions
35mm, colore, v.o. st. f/t, 111’
-
Verso il 1880, il giovane tenente Cantrell assume la difesa di Rutledge,
sergente del 9º reggimento di cavalleria composto solo da soldati neri,
accusato ingiustamente di violenza carnale e omicidio.
Un western che si trasforma in un'analisi del razzismo che permea la società
americana, evidente nei pregiudizi della corte ma non meno "presente" nel
pubblico femminile che partecipa al processo, o negli atteggiamenti inconsci di chi
si dichiara dalla parte dell'accusato. Se gli ambienti interni li sottomettono alla
schiavitù dei pregiudizi razzisti, è negli esterni della Monument Valley che si
afferma la libertà dei cavalieri neri che, come afferma Rutledge, "non combattono
per i bianchi ma per la loro stessa dignità". L'attore Woody Strode dichiarò: " Prima
d'allora non si era mai visto un nero uscire da una montagna, come John Wayne.
Attraversai il Pecos a cavallo. Fu la più gloriosa cavalcata con toni di alleluja che
alcun nero avesse mai realizzato per lo schermo. E ho fatto tutto da solo. Ho fatto
attraversare quel fiume a tutta la razza nera nel suo insieme".
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The Man Who Shot Liberty Valance L'uomo che uccise Liberty
Valance 1962
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sceneggiatura: Willis Goldbeck e James Warner Bellah, da un racconto di Dorothy M. Johnson
fotografia: William H. Clothier
musica: Cyril J. Mockridge
montaggio: Otho Lovering
interpreti: James Stewart (Ransom Stoddard), John Wayne (Tom Doniphon), Vera Miles
(Hallie Stoddard), Lee Marvin (Liberty Valance)
produzione: Willis Goldbeck per Ford Productions/Paramount
35mm, bianco e nero, v.o. st. f/t, 122’
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Il senatore Stoddard torna con la moglie Hallie a Shimbone per i funerali del
cowboy Tom Doniphon. Intervistato da un giornalista, rievoca le prime
esperienze di giovane avvocato diventato senatore grazie alla riconoscenza
della popolazione per l'uccisione del bandito Liberty Valance. Ma Stoddard
sa benissimo che non é stato lui il vero autore dell'impresa, bensì Doniphon,
che ha rinunciato a rendere noto il suo gesto.
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Penultimo western di Ford, amaro e malinconico, é raccontato al giornalista in un
lungo flashback che permette allo spettatore di conoscere la realtà dei fatti e la loro
lettura mitica, e dà l'occasione al giornalista di pronunciare la celeberrima frase:
"Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda".
Ampiamente riconosciuto come l'elegia fordiana del mito della frontiera, ha la
semplicità di una favola: gli (anti)eroi, ormai vecchi, ricordano il loro passato e il
lato eroico del West muore con le nuove regole portate dall'Est. Da non
dimenticare che un western complesso e avvincente come questo si svolge quasi
tutto tra le pareti di una cucina e di un ristorante, dimostrando così ancora una
volta la genialità del suo regista.
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Seven Women Missione in Manciuria 1966
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sceneggiatura: Janet Green, John McCormick, dal racconto di Norah Lofts Chinese Finale
fotografia: Joseph LaShelle
musica: Elmer Bernstein
montaggio: Otho S. Lovering
interpreti: Anne Bancroft (dottor D. R. Cartwright), Margaret Leighton (Agatha Andrews)
Flora Robson (signorina Binns), Sue Lyon (Emma Clark)
produzione: Bernard Smith per Ford-Smith Productions/MGM
35mm, colore, v.o. st. f/t, 87’
In Cina, nel 1935, un missione cristiana subisce le minacce del bandito Tunga
Khan. L'arrivo di una dottoressa dall'atteggiamento spregiudicato, porta lo
scompiglio nell'ambiente morigerato, ma la donna saprà farsi apprezzare per
la sua abnegazione spinta fino all'estremo sacrificio.
Il film fu girato quasi completamente in studio. L'aspetto che più stimolava
l'immaginazione anarchica ma moralmente impegnata di Ford, era il conflitto fra lo
sterile e inumano atteggiamento della religione organizzata e l'umanitarismo
generoso e senza ipocrisie della dottoressa agnostica. Ma, né la sua abilità di
regista né la misurata composizione delle immagini, riescono a nascondere
l'artificiosità della concezione e la banalità dei personaggi. In uno dei brani più
rivelatori e tristi del suo libro, Dan Ford descrive il padre in ritiro sul suo yacht dopo
la lavorazione del film: "Si lamentava continuamente, diceva che era stato un errore
girare Missione in Manciuria e che probabilmente il film avrebbe segnato la sua fine.
Non l'avevo mai visto così depresso." Aveva ragione: non riuscì più a realizzare un
altro progetto.
Per le schede sui film si è fatto ricorso ai seguenti testi :
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Peter Bogdanovich, Il cinema secondo John Ford, Parma, Pratiche, 1990;
Jean-Loup Bourget, John Ford , Genova, Le Mani, 1994;
Orson Welles-Peter Bogdanovich, Io Orson Welles, Milano, Baldini&Castoldi, 1996
Martin Scorsese, Un viaggio personale attraverso il cinema americano, Milano, Archinto, 1998;
Il Mereghetti. Dizionario dei film 2004, Milano, Baldini&Castoldi, 2003;
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I passaggi fra virgolette, quando non indicato altrimenti, sono citazioni del regista.