La bellezza - Biblioteca Universitaria di Napoli
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La bellezza - Biblioteca Universitaria di Napoli
La bellezza “La bellezza salverà il mondo”: è la frase attribuita al principe Miskin ne L’idiota di Dostoevskij. Raramente poche parole come queste hanno avuto un’eco così grande da travalicare l’ambito letterario. Parole divenute d’uso comune, ripetute infinite volte, nei più diversi contesti fino a farne scordare il suo originario. Eppure, dietro quest’enorme successo, o forse causa di questo, nascondono una ambiguità irrisolvibile: rappresentano un vero e proprio rompicapo che ha messo a dura prova l’abilità esegetica dei commentatori del grande scrittore russo. Che cosa intendeva dire il principe idiota? Di quale bellezza si sta parlando? E in che senso “salverà” il mondo? Ora, non è nostro compito ed interesse affrontare la questione delle diverse interpretazioni date a quella frase dalla critica letteraria. Se l’abbiamo citata ad inizio di questo lavoro e con essa il percorso tormentato delle successive analisi ermeneutiche, è soltanto perché testimonia bene la complessità del tema scelto: la bellezza. Scrive il sociologo Giovanni Gasparini, “In realtà, quello della bellezza è un tema debordante quant’altri mai: un tema-problema-oggetto che nella sua ricchezza traboccante tende ad eccedere la misura, a sfuggire non solo alle classificazioni e alle definizioni , che devono ricorrere ad una molteplicità e ad un insieme mai esaustivo o soddisfacente di sfaccettature, ma anche ai filtri che vorrebbero ingabbiarlo ordinatamente” (1). Proprio per questa ricchezza e varietà di forme assunte, il modo più semplice per trattare il tema della bellezza sarebbe quello di adottare il metodo della ricostruzione storica del concetto. Seguire le diverse concezioni del bello che si sono succedute nei secoli, magari partendo da quella famosa di Platone. Ma si tratta di una scelta sin troppo seguita (tra i tanti saggi che l’hanno adottata quello recente, molto bello, di Umberto Eco, Storia della bellezza) (2) e che, forse, presenta il limite di non affrontare direttamente gli aspetti nodali delle questioni. Oppure si poteva affrontare direttamente la questione semantica e provare a rispondere alla domanda su cosa sia la bellezza. Ma questa seconda strada ha il difetto di essere troppo teoretica ed astratta, con il rischio, come ci ricorda Gasparini, di arrivare ad esiti incerti. Si è, allora, deciso di scegliere una terza via: quella di affrontare l’argomento suddividendolo in diversi, singoli, aspetti e, nel trattarli, recuperare le questioni relative sia alle diverse posizioni succedutesi nel tempo, sia alle problematiche d’ordine semantico. Iniziamo col porci una domanda: la bellezza rimanda ad un concetto assoluto o relativo? In altre parole ciò che viene individuato come bello risponde sempre agli stessi canoni e, quindi, ha un valore universale oppure i criteri che lo determinano variano nel tempo, nello spazio e tra individuo e individuo? L’opinione largamente prevalente nella nostra cultura è che la bellezza sia un concetto relativo: cambia con le diverse epoche storiche, nelle diverse civiltà, e varia da soggetto a soggetto. E sembra una verità difficilmente confutabile. Eco ne è un convinto sostenitore e per avvalorarla fa alcuni esempi molto simpatici. (3) Primo. Quando noi oggi vediamo le donne opulente raffigurate nei quadri di Rubens, a differenza dei contemporanei del grande pittore fiammingo, non le troviamo affatto belle; perché, oggi, tendiamo a privilegiare una bellezza femminile che tende all’anoressia. In visita ad un museo etnografico nel Mali, lo scrittore nota che alcuni vestiti tradizionali sono indossati sia da donne magre che grasse. Chiestone il motivo ad una guida locale, si vede rispondere che le modelle magre le scelgono per andare incontro ai gusti occidentali, perché loro preferiscono quelle grasse. Sempre sul tema grasso-magro, bello-brutto, Eco riporta un ricordo di Carlo Levi in esilio ad Eboli. Spesso veniva avvicinato dalle donne del paese che lo toccavano e gli dicevano, in segno di apprezzamento: “come sei bello grasso”. Perché, in un paese povero, come Eboli degli anni ’30 ed il Mali ancora oggi, dove si soffre la fame, la grassezza è bella. Ma la natura relativa del bello pervade tutta l’opera citata di Eco. Il bello è da sempre temporale e soggettivo, apollineo o dionisiaco, o entrambe le cose; all’interno del contesto storico in cui è maturato, si associa alle mostruosità del Medioevo o all’armonia delle sfere celesti nel Rinascimento. Ha assunto forme anomale nel Romanticismo, fino a pensare che sia bello un amore che si consuma fino alla morte, creando il topos letterario amore-morte, perché bello è tutto ciò che sconvolge i sensi e l’anima. Il bello è diventato artificio e diversivo nel decadente Novecento (si pensi a tutta la corrente dell’Estetismo) o anche argomento scherzoso o dissacrazione come con Guido Gozzano. Ma quando sembra assodata la natura relativa e soggettiva del concetto di bello, alcune riflessioni ci mettono in guardia dall’avere troppe certezze. Alcune di queste osservazioni, a noi sembra, vengono dallo stesso Eco. In una intervista rilasciata alla Concordia University di Montreal (4) il noto semiologo sostiene che la ricerca del bello risponde ad un istinto fondamentale. Fin qui niente che necessariamente contraddica la sua visione apertamente relativistica. Ma appena dopo fa degli esempi presi dal mondo animale: i piumaggi colorati che il maschio mette in bella mostra per attirare le femmine. E, passando agli esseri umani: “Probabilmente la bellezza del corpo è legata alla propagazione della specie. Se tutti gli uomini e tutte le donne fossero ripugnanti probabilmente la specie (…) si sarebbe propagata un po’ meno”. (5) Ma questo non significa che animali ed esseri umani, ognuno secondo la loro struttura biologica, provano un sentire comune rispetto a ciò che è bello ed attrae? Comunque la si pensi, concepire il bello in termini assoluti o che, in qualche modo, faccia sua l’idea che risponda a dei criteri oggettivi, è un’idea antica e molto più tenace di quanto si possa credere. Spesso si accompagna e sembra coincidere con il concetto di armonia. Pitagora vede nel numero il principio primo della realtà, ciò che crea l’ordine e l’armonia del cosmo. Il bello dunque consiste nell’ordine matematico in grado di esprimere la simmetria visiva del cosmo nell’armonica unità composta da elementi contrari. La musica ben rappresenta la più generale armonia dell’Universo e la sua bellezza risiede nel rapporto proporzionale tra l’altezza delle note e la lunghezza della corda dello strumento che la produce. Gli intervalli tra le frequenze sonore sono espressione di rapporti numerici. Platone farà coincidere l’idea del bello con quella del bene e del vero, espressione di un mondo perfetto e immutabile oltre il mondo sensibile. Scrive nel Simposio “Innanzitutto, qualcosa che è sempre, che né nasce e né perisce, né cresce e né decresce, e inoltre che non è in parte bello e in parte brutto, né a volte bello e a volte no, né bello rispetto a qualcosa e brutto rispetto ad un’altra, né bello in un certo luogo e brutto in un altro, in quanto bello per alcuni e brutto per altri (…), né come qualcosa che è in qualcos’altro, ad esempio in un essere vivente, o in terra, oppure in cielo, o in qualcos’altro, ma in se stesso , per se stesso, con se stesso, semplice, eterno”. Ma questa idea di una oggettività del bello trova sostenitori in ogni epoca e ancora oggi. Scrive la psicologa Grazia Attili nel suo saggio, Attaccamento e amore (6), a proposito della bellezza umana, che il suo riconoscimento è univoco e non opinabile in quanto si basa su una particolare conformazione cranica e su altre caratteristiche somatiche e del corpo. In particolare la studiosa fa riferimento, quando si ha a che fare con qualcosa di bello, alla presenza della “sezione aurea”, un concetto che si estende ben oltre l’aspetto fisico umano. Di cosa si tratta? Definita anche la “divina proporzione”, è una proporzione geometrica basata su di un rapporto numerico preciso. Senza entrare in altri dettagli, secondo l’Attili come per altri studiosi di diverse discipline, ogni volta che ritroviamo questa proporzione, in un viso, in un corpo, in una pittura, in un’opera architettonica, in un paesaggio naturale, l’essere umano riconosce la presenza del bello. E allora torniamo al punto di partenza apparentemente più confusi di prima: la bellezza è un concetto assoluto o relativo? Senza avere la pretesa di dare una risposta conclusiva o migliore di quelle esposte sin ora, anche perché in ognuna sembra esserci del vero, proviamo una sorta di sintesi sincretica. La bellezza è sia un concetto assoluto che relativo. E’ assoluto perché di fronte ad un viso dalle fattezze perfette o ad un tramonto sul mare o alla visione di Santa Maria del Fiore a Firenze o della Cappella Sistina a Roma il giudizio non può che essere univoco e unanime: sono cose belle. E non vale né il giudizio provocatoriamente eccentrico di che non le riconosce come tali né quello di chi, pur riconoscendole come belle, afferma che a lui non piacciono. Nel primo caso è amore di provocazione, nel secondo è il riconoscimento che non sempre, ciò che si riconosce come bello in se, piace. Ma è altrettanto vero che, per altri aspetti, questa unanimità di giudizio scompare. Cambia da individuo a individuo, nello stesso individuo cambia nel corso della sua vita; si differenzia nel confronto tra società e civiltà diverse, si modifica nel sentire collettivo da un’epoca storica ad un’altra. Veniamo ad un altro aspetto problematico del concetto di bellezza: qual è il suo rapporto con i valori etici, in particolare il bene? Abbiamo già esposto l’idea platonica che considera il bello, nella sua forma ideale, indissolubilmente legato ai valori morali del buono e del vero. Questa tesi si ritrova in quasi tutte le filosofie della trascendenza sia che il fondamento della realtà si chiami Essere, Mondo delle idee, Primo motore immobile, Uno. Ed è propria di tutte le religioni, almeno di quelle che non pongono il male (la Gnosi) quale principio originario in lotta perenne con il bene. Il perché è evidente. Se il principio primo è la fonte di tutti gli attributi positivi della realtà, in esso questi attributi sono intrinsecamente uniti. In particolare assume importanza il connubio bello-buono che riconosce la stessa radice all’estetica e all’etica. Ed è proprio in questa prospettiva che si pone una delle più note interpretazioni della celebre frase del principe Miskin, dalla quale siamo partiti. La bellezza che salverà il mondo è la bellezza spirituale, è la bellezza che sposa l’infinità bontà. Ma, nel pensiero moderno, tende a prevalere l’idea che etica ed estetica sono due ambiti separati e che non sempre siano conciliabili, così come la morale e la politica. Questa divaricazione assume un valore “ontologico” in Immanuel Kant. E’ vero che nella Critica del giudizio Kant conclude la sua riflessione sul giudizio estetico attribuendogli la funzione di ponte tra il dominio conoscitivo e dominio morale , affermando la tesi secondo cui “la bellezza è simbolo della moralità”. Ma avendo, nella stessa opera, definito il bello come ciò che è oggetto di un piacere disinteressato, piacere che scaturisce libero senza interferenze della ragione e della moralità, di fatto lo separa in radice “a priori” dal buono, dal bene, che è fondato sui concetti della ragione che stabiliscono imperativamente un dover essere. Per la sensibilità dell’uomo moderno bello e buono si possono incontrare ma si possono anche opporre, spesso in un rapporto drammatico. Bella senz’anima, canta Riccardo Cocciante, Bella stronza, canta Marco Masini; titoli di canzoni che bene esprimono, a livello di cultura popolare, il contrasto doloroso tra i due aspetti. Contrasto doloroso che raggiunge la più cruda drammaticità quando nello stesso animo umano si manifestano apertamente la sensibilità più alta verso il gusto del bello e, nello stesso tempo, la più totale aridità e malvagità morale. E’ ciò che plasticamente si presenta in una delle scene più terribili del film di Steven Spielberg, Schindler’s List: mentre è in atto il massacro di uomini, donne, bambini, a seguito dell’irruzione dei nazisti nel ghetto di Cracovia, un ufficiale suona al piano, rapito dalla musica di Bach. L’altro aspetto della bellezza che riteniamo interessante affrontare può essere espresso con un interrogativo: il bello è soltanto il bello artistico o si estende a tanti altri ambiti diversi? La nostra è chiaramente una domanda retorica perché già nel corso della trattazione si è continuamente fatto riferimento, parlando del bello, a contesti diversi da quello artistico. Ma rispondere a questa domanda ci consente di esplorare quelle nuove dimensioni del bello introdotte dalla società contemporanea. L’idea che la bellezza non sia una qualità esclusiva dell’arte, intesa, in particolare, come arte visiva, pittura e scultura, è un’idea antica. Anzi, originariamente il bello era soprattutto identificato come bellezza della natura (una luna splendente, un bel frutto, un bel colore). Successivamente è stata attribuita agli oggetti, ai corpi umani, alla divinità. Presso i romani con la parola “ars” non ci si riferiva soltanto all’abilità dell’artista, ma anche a quella di un costruttore di barche, di un bravo artigiano, di un barbiere. Solo molto più tardi, scrive Eco (7), si è coniato il termine di “belle arti”, per intendere qualcosa di simile alla definizione che diamo oggi alla parola “arte”. Un discorso molto particolare merita l’attribuzione della bellezza alle cose mostruose o ritenute brutte secondo canoni tradizionali. E’ evidente che può essere “bella” una perfetta e coinvolgente riproduzione del brutto o della natura in tempesta. Altra cosa sono certe tendenze dell’arte contemporanea, in particolare delle avanguardie di inizio Novecento, che cercavano di proporre provocatoriamente una idea diversa della bellezza. Più in generale questa fascinazione del brutto trova origine nella riformulazione della categoria estetica del sublime. Per Kant l’emozione del sublime nasce dall’esperienza di una sproporzione tra le facoltà conoscitive del soggetto e l’infinita grandezza o l’infinita potenza dello spettacolo al quale assiste. Se il bello provoca una pacificazione dei sensi e uno stato di serenità, il sublime genera nell’animo un contrasto di emozioni: si sente attratto e respinto, preda di un “piacere negativo”, accompagnato non da gioia ma da meraviglia. E’ quello che si prova, ad esempio, assistendo ad un’eruzione vulcanica o ad un mare in tempesta. Sempre a proposito del bello in natura, è interessante notare come, oggi, la sua percezione sia cambiata rispetto al passato. Prima era legata soprattutto ad esperienze di vita bucoliche o alla contemplazione di paesaggi naturali abbelliti dall’opera civilizzatrice dell’uomo. Si pensi all’ordine e all’armonia della campagna senese dipinta dal famoso pittore trecentesco Ambrogio Lorenzetti, o ai paesaggi rinascimentali di Piero della Francesca, o ancora alla rappresentazione della natura in età romantica. Oggi, scrive Giovanni Gasparini, “in un pianeta sovrappopolato che si è sviluppato demograficamente in termini esponenziali nel corso dell’ultimo secolo, si rivela la riduzione degli spazi naturali in senso stretto, a vantaggio dell’estensione delle città-metropoli e dei loro sobborghi, e si nota la presenza di paesaggi dove l’azione umana è o è stata fortemente incidente, talvolta con effetti devastanti sull’ambiente naturale.” (8) In questa situazione la ricerca del bello in natura si dirige sempre più verso contesti naturali incontaminati dove sono meno presenti gli effetti della antropizzazione. La natura selvaggia o wilderness, sempre più rara, viene difesa con la creazione di parchi e aree naturali ed è meta ambita di un turismo sempre meno d’elite. Un cenno a parte merita il tema della bellezza del corpo umano, sia femminile che maschile, che occupa un posto di primo piano a partire dall’arte del mondo classico greco e romano e che dal Rinascimento in poi riguarda eminentemente il corpo della donna e “l’arte di abbellirsi”. A tal proposito occorre evidenziare il cinico e opportunistico fenomeno della mercificazione del corpo della donna. Nel migliore dei casi usato per veicolare messaggi pubblicitari dei prodotti più diversi; nel peggiore per rispondere alle richieste crescenti del mercato cibernetico del sesso. Per ultimo consideriamo un aspetto della bellezza che il sociologo Gasparini definisce della bellezza nel sociale, con particolare attenzione per la realtà della città e del fenomeno urbano. Ovviamente l’importanza del fattore estetico nella vita cittadina non è di oggi, ma nel mondo contemporaneo assume grande importanza sia per le dimensioni sempre più vaste delle aree metropolitane sia perché al suo interno si forma quell’intreccio di attività e di relazioni – economiche, culturali, interpersonali – che caratterizzano gran parte della nostra vita. In Italia, più che in altre nazioni, la civiltà cittadina ha formato il gusto, la cultura e la storia del Paese. Si pensi all’importanza che ebbe, tra Medioevo e Rinascimento, la costruzione della piazza, come luogo funzionale alla partecipazione pubblica – politica e religiosa – e alla relazionalità privata; oltre che come espressione di bellezza ed armonia estetica. Per inciso, una delle ragioni del degrado di un quartiere come Scampia, è stata individuata nella mancanza di piazze. Una ricerca in una università americana, negli anni Ottanta, portò ad una teoria che ebbe molta risonanza: quella delle finestre rotte. Affermava che un quartiere brutto, disordinato, con “le finestre rotte”, fa aumentare sensibilmente gli atti di vandalismo e i reati contro le persone e il patrimonio. La speculazione edilizia, che ha interessato tante città e piccoli centri d’Italia negli anni ’50 e ’60, non solo ha compromesso la bellezza di tanti siti ma ha peggiorato sensibilmente la qualità della vita delle persone. Pertanto diventa sempre più importante per urbanisti, architetti, amministratori e politici, semplici cittadini, porre particolare cura agli aspetti estetico-funzionali delle nostre città. Rispondere positivamente alla domanda di bellezza del contesto urbano, così come di quello paesaggistico più in generale, non soddisferebbe soltanto le esigenze, estetiche e non, delle persone che ci vivono, ma rappresenterebbe un importante volano per la nostra economia asfittica. Infatti la capacità di attrazione turistica di una città, di un luogo, di un’area o di una regione diventa sempre più motivo di competizione economica internazionale e ciò che può fare da discriminante e decretare il successo di un posto piuttosto che di un altro è proprio l’elemento estetico, reso accessibile attraverso strumenti efficaci di fruizione. Alla fine di questo breve percorso intorno alla bellezza vogliamo concludere riportando il pensiero dello scrittore, poeta, franco-cinese Francois Cheng. (9) L’enigma della bellezza è il fatto stupefacente che l’universo non è obbligato ad essere bello. Che la bellezza è onnipresente ma da l’impressione di essere superflua. L’universo potrebbe essere semplicemente dotato del carattere della verità, ma in tal caso esso sarebbe formato da elementi funzionali, uniformi, indifferenziati e intercambiabili. La vita invece ci parla dell’unicità e insostituibilità di ciascuno di noi nello spazio e nel tempo, ed è questo ciò che provoca incessantemente stupore, ponendosi all’origine della bellezza. “L’unicità trasforma ogni essere in una presenza che, come un fiore e un albero, continua a tendere nel tempo verso la pienezza del suo sviluppo, che è la definizione stessa di bellezza”. (10) Note 1) Giovanni Gasparini, La Bellezza. Società, bellezza e valori nel mondo contemporaneo in http://blog.centrodietica.it/ 2) Umberto Eco, Storia della bellezza, Bompiani, 2004 3) Bruttezza e bellezza secondo Umberto Eco. Intervista allo scrittore da parte del prof. Filippo Salvatore della Concordia University di Montreal e di Erika Papagni dell’Università di Toronto 4) Bruttezza e bellezza…op. cit. 5) Bruttezza e bellezza…op. cit. 6) Grazia Attili, Attaccamento e amore, Il Mulino, 2004 7) Umberto Eco, discorso tenuto nel 2005 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico all’Università Mediterranea di Reggio Calabria 8) Gasparini, op. cit. 9) Francois Cheng, Cinque meditazioni sulla bellezza, Bollati-Boringhieri, 2007 10) Francois Cheng, op. cit. Bibliografia (Non sono indicate le opere presenti in nota o all’interno del testo) Simona Chiodo, Il Futuro della bellezza, in www.studidiestetica.it Umberto Eco, Storia della bruttezza, Bompiani, 2007 Giovanni Casoli, Novecento letterario italiano ed europeo: autori e testi scelti, Città nuova, 2002 Roger Scruton, La bellezza. Ragione ed esperienza estetica, Vita e pensiero, 2011 Andrea Oppo, Dostoevskij: la bellezza, il male, la libertà. Un percorso filosofico in tre tappe in XAOS. Giornale di confine, anno II, n. 1 marzo-giugno 2003 Enrico Maria Radaelli, La famosa bellezza di Dostoevskij, salverà o non salverà il mondo? In enricomariaradaelli.it Giacoma Maria Pagano, La teoria del giudizio in Kant, La nuova cultura editrice, 1976