Roberto Bigano, creatività e progetti speciali

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Roberto Bigano, creatività e progetti speciali
Professione
Roberto Bigano,
creatività e
progetti speciali
Il biglietto da visita di Roberto Bigano
riporta “Progetti speciali” e questo descrive perfettamente la sua capacità di
affrontare i lavori più diversi e di sperimentare punti di vista e soluzioni di ripresa innovative; in questo modo riesce
a fare quello che i colleghi non fanno, o
a farlo in modo originale. Ultimamente
si è distinto nel campo della fotografia
di beni artistici, con lavori notevoli sia
dal punto di vista estetico, che per valore culturale.
Fotografare un
affresco nascosto da
un muro? Allestire
un set di ripresa per
automobili in un
museo? Fotografare
i dettagli del timpano
del Duomo di Orvieto
che si trova a 33 metri
dal suolo? Per queste
e tante altre sfide
Roberto Bigano riesce
a trovare le soluzioni
adatte.
Come hai trovato la tua strada nella
fotografia?
Nella mia vita cʼè stata lʼuniversità
piantata a metà e un pò di politica, ma la
strada era tracciata fin da quando avevo
speso tutti i miei risparmi in una Canon
AE-1. I miei inizi come fotografo sono
caratterizzati da un lungo periodo di
confusione e scarsi risultati, ma la mia
voglia rimaneva irremovibile. Mi riferisco agli ultimi anni settanta, quando mi
arrabattavo da professionista sgangherato e occasionale, con lavori incerti e
mal pagati. Poi un giorno, quasi allʼimprovviso, ho realizzato di aver fatto quel
salto di qualità, ho capito che facevo fotografie come non ne avevo mai fatte e,
quasi incredulo, mi sono visto assegnare
compiti che qualche tempo prima avrei
ritenuto al di sopra delle mie possibilità.
Ero conteso da clienti così importanti,
prestigiosi e competenti in materia di
fotografia che mai avrei immaginato
scegliessero proprio me. Naturalmente
la mia maturazione era avvenuta per
gradi, ma lʼanno della svolta definitiva
resta il 1992, quello dellʼincarico per
Bugatti. Quel progetto mi ha spalancato le porte di Franco Maria Ricci e
Manfrotto, tanto per citare due nomi
di riferimento nei rispettivi settori. Ne
sono derivati tanti altri lavori prestigiosi
e ben remunerati, che mi hanno dato la
fondamentale libertà di poter scegliere i
progetti più stimolanti e impegnativi nei
settori più svariati.
Quindi non sei per la specializzazione
in fotografia?
Io sfuggo come la peste la specializzazione merceologica e addirittura cerco
di non rimanere confinato in un genere
di ripresa, quindi fotografo dalle automobili allʼarte, dalle donne al classico
still-life di prodotto, cercando di portare
sempre qualcosa di inusuale. Sviluppare
una cultura dellʼimmagine è fondamentale. È importante studiare i maestri della fotografia, della pittura, del cinema e
di tutte le arti figurative.
Partendo da una solida cultura dellʼimmagine, puoi approfondire la tecnica fotografica e digitale. È sempre
indispensabile un approccio rigoroso,
la competenza e la professionalità. A
questo punto puoi affrontare qualunque settore fotografico, travasando con
convinzione metodologie e approcci di
ripresa. Questo ti permette di dire qualcosa di diverso anche in generi considerati molto specialistici, che proprio per
questa ragione tendono ad essere troppo
ripetitivi. Una volta la Mondadori mi ha
scelto per un libro sulle piante proprio
perché affrontavo questo soggetto per la
prima volta e quindi riuscivo a fare cose
più originali rispetto alle classiche ed
anonime riprese in orto botanico.
Una provocazione: fotografare soggetti statici pare semplice, visto che
non scappano e non ci si litiga.
Indubbiamente il fatto che i soggetti siano
tranquilli offre certi vantaggi rispetto ad
esempio al reportage, dove lʼazione non
aspetta certo il fotografo. Lo still-life in
tutte le sue forme è più adatto ad un fotografo che abbia un approccio meditativo,
che voglia costruire gradatamente la luce,
Queste straordinarie armature
sono state realizzate in unʼepoca
in cui non cʼera la possibilità di
saldare e tutti i pezzi erano tenuti
insieme da ferro battuto e rivetti.
Si tratta perlopiù di armature da
cerimonia e molto spesso erano
una specie di esame finale di un
apprendista della bottega del mastro armaiolo. Lavorando anche
per un anno allʼarmatura, che poi
veniva magari regalata al signore
locale, lʼartigiano dimostrava il
proprio valore e da quel momento
entrava sotto la protezione del
nobile. A volte sono istoriate, per
raccontare le gesta del signore,
altre volte servivano ad impressionare il popolo ignorante, facendo
apparire il nobile come una sorta
di essere sovrumano.
Queste foto risalgono ad alcuni
anni fa e sono ancora su pellicola.
È uno dei lavori a cui tuttora sono
più affezionato; lʼho realizzato
al Kunst Historische Museum di
Vienna per Franco Maria Ricci,
in un anno tremendo nel quale mi
ha travolto di progetti.
Lavoro volentieri con spot Arri in
luce continua, ma in questo caso
mi ero portato i flash pensando
alla presenza di luce ambiente nel
museo; invece era tanto grande la
considerazione di FMR, che avevano chiuso unʼala del museo per
una settimana espressamente per
me. Sono soddisfatto dei risultati,
ma nellʼinsieme avrebbero potuto
essere ancora migliori; infatti
lʼultimo giorno ero riuscito a
trovare una luce assolutamente
fenomenale, solo che a quel punto
avevo finito il tempo, la pellicola
e i soldi e dovevo quindi “accontentarmi” di quanto fatto. Questo
lavoro ha avuto un grande successo. Le foto sono state eseguite
con obiettivo 300mm Rodenstock
Macro Sironar su Velvia 50 4x5
pollici.
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Questʼopera di epoca longobarda è datata intorno al 980. Nessuno aveva
più visto veramente lʼaffresco da secoli, dato che 200 anni dopo la sua
realizzazione gli avevano costruito davanti un muro ad appena 35cm di
distanza. Il cliente aveva già rinunciato alla possibilità di fotografarlo di
fronte, sono io che ho insistito per fare questa foto. Per riuscirci è stato
necessario realizzare unʼattrezzatura apposita: dati i vincoli di spazio,
alla fine ho utilizzato una Canon G7 opportunamente adattata. Sono
stati eseguiti diversi scatti, poi montati insieme, e così il cliente ha potuto
vedere lʼaffresco per la prima volta, in dimensioni tre volte più grandi
dellʼoriginale.
studiarsela, fare delle modifiche… Però
questo punto di forza è anche una debolezza, perché indubbiamente una bella ragazza o una situazione dinamica riescono
a coinvolgere emotivamente e a stimolare
il fotografo più di uno still-life. Quindi
potremmo dire che le difficoltà stanno
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proprio nella necessità di riflessione ed
approfondimento; se non riesci a trovare
ogni volta una strada interessante, ne risulta per forza di cose una foto banale.
Prendi il caso degli avori del Museo
Diocesano di Salerno: si tratta di oggetti
di piccole dimensioni (una ventina di
centimetri sul lato lungo) e ben accessibili, quindi si direbbe uno still-life facile. Sono talmente fini di fattura, talmente ricchi di dettagli che ingranditi sono
assolutamente straordinari. Purtroppo
però in questo modo vengono ingranditi
anche i segni del tempo. Con la tecnica
Louvre: Medusa. È un quadro del
Louvre di 7 metri per 5, molto scuro
e rovinato, con zone illeggibili. Avevo
a disposizione una mezza giornata
per fare tutto, comprese le formalità
burocratiche come badge e simili. Ho
usato il flash scattando in tutto 25 foto,
12 delle quali negli ultimi tre minuti
disponibili. Per chi conosce il quadro
è un risultato clamoroso, perché è difficilissimo da fotografare.
più appropriata e un pò di sperimentazione sono riuscito a mantenere in pieno
il contenuto descrittivo dei soggetti
e quindi il valore documentario delle
immagini, producendo al contempo foto
entusiasmanti da guardare.
Spesso la soluzione passa per la realizzazione di un accessorio speciale, magari per ottenere un metodo di illuminazione inconsueto. Anche nella riproduzione
dei quadri possono esserci problemi non
da poco, soprattutto con quelli molto
scuri dove è facile che le lievi differenze
di tonalità sprofondino in un nero assoluto. Invece ci sono tecniche, rese possibili o facilitate dalla tecnologia digitale,
che possono dare risultati davvero di rilievo. In questi aspetti entra in gioco un
software dellʼHasselblad che per queste
cose è davvero stratosferico.
Cosa puoi dirmi del tuo passaggio al
digitale?
Finché non ho ritenuto che il digitale
avesse raggiunto un livello adeguato
alle mie necessità, ho aspettato. Quindi
il passaggio è avvenuto relativamente
tardi, si parla di quattro o cinque anni
fa.
Quando però è arrivato il momento,
sono passato completamente alla nuova
tecnologia. Prima facevo le scansioni da
pellicola e quindi avevo già pratica nel
trattare le immagini in post-produzione;
da quando sono passato al digitale anche
in ripresa, il taglio è stato netto e non ho
più fotografato a pellicola. Le sole foto
analogiche qui presenti sono quelle delle
armature e quelle delle Bugatti, perché
me le hai chieste, ma non sono lavori
recenti.
Per quanto riguarda la tipologia e la
quantità di luci, diffusori, accessori,
ecc., non ci sono stati grandi stravolgimenti, mentre è cambiato completamente lʼapproccio operativo.
Con lʼanalogico, per quanto tu potessi
essere esperto, per quanto tu usassi
Polaroid, lʼesposizione su pellicola era
pur sempre unʼaltra e nella migliore
delle ipotesi la vedevi dopo unʼora o
due. Per il fotografo analogico, lo scatto
era sempre il momento decisivo, direi
quasi drammatico, mentre adesso la
ripresa è molto più facile e controllata.
Un esempio pratico: sono attrezzato con
stativi speciali fino a 15 metri di altezza
e faccio spesso riprese a molti metri dal
suolo. In analogico, con le macchine in
alto e io a terra, cʼerano problemi anche
solo per fare lʼinquadratura. Adesso esaPC PHOTO
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Questo è stato uno dei lavori che mi ha portato più reputazione in assoluto e mi ha aperto molte porte. Avevo già fatto in precedenza
foto al museo di Mulhouse in Alsazia, dove ci sono più di 150 Bugatti e mi ero già fatto unʼidea di come illuminarle adeguatamente. Il
libro si sarebbe chiamato “Divina Bugatti” ed era co-prodotto da Bugatti Automobili (allora in fase di rilancio con la EB110 prodotta
a Campogalliano) e Franco Maria Ricci. Io venni incaricato da Artioli, allora boss di Bugatti, contro la volontà di Franco Maria Ricci
che avrebbe preferito un suo fotografo. Franco Maria Ricci mi accolse con lo stesso entusiasmo del padre che dice bravo al figlio che
gli porta il disegnino dallʼasilo, senza nemmeno guardarlo. Poi invece, dopo aver guardato le diapositive, è rimasto sconvolto: per
un anno mi ha pressato con offerte di lavoro di tutti i generi. Le foto di backstage danno lʼidea della situazione, anche se cambiavo la
posizione delle lampade per non farmi rubare i segreti. Ho utilizzato dei telai Butterfly della Avenger, che possono portare teli neri per
schermare la luce, bianchi per rifletterla, oppure traslucidi per diffonderla. In questo caso ho impiegato dei teli di scena, che sono gli
unici tessuti che si possono trovare con larghezza di dieci metri senza cuciture.
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Questa fotografia, che fa parte del lavoro Divina Bugatti, allʼepoca passò inosservata e non venne utilizzata per il libro; io però
lʼho digitalizzata ugualmente insieme alle altre con un software particolare degli scanner Imacon che consente di ricavare dei
file di tipo simile al Raw anche in scansione. Un giorno mi telefona unʼazienda francese che stava lanciando il profumo Bugatti,
con la confezione disegnata prendendo spunto dalle linee di questa automobile e mi chiede il prezzo per una foto adatta alla pubblicità. Io gli propongo la silhouette. Alla fine questa foto lʼho venduta due volte a loro e una volta a Manfrotto per la copertina
del catalogo Lighting Control, come esempio di controllo delle luci. Nellʼarco di due mesi questa sola foto mi ha fruttato 4700
euro, più dellʼintero libro Divina Bugatti.
mino subito la foto ad alta risoluzione,
se non mi soddisfa correggo qualcosa e
ripeto lo scatto. Cʼè poi la straordinaria
comodità di lavorare con la stessa qualità e senza complicazioni con qualunque
tipo di luce: tungsteno, neon, flash,
come ti pare.
Un errore che ho visto fare da parte di
molti fotografi è quello di sfruttare in
modo improprio lʼampia latitudine di
posa del digitale, sottovalutando il problema dellʼesposizione. Invece lʼesposizione precisa è ancora importante,
perché un file correttamente esposto ti
dà sempre di più. Un altro aspetto da
capire bene è quello della risoluzione.
Io uso risoluzioni molto elevate, 88 megapixel è un caso normale e vado anche
oltre, ma mai come semplice esercizio
di muscoli. Intanto cʼè la comodità per
lʼeditor, che può ritagliare un dettaglio
da unʼimmagine più grande, e poi cʼè
il fatto di documentare veramente una
realtà nel modo più completo possibile.
A me interessa la risoluzione quando ti
dà davvero maggiori informazioni sul
soggetto ripreso; ad esempio sto facendo
per conto mio una serie di foto sullʼoriginalità di certi centri storici, soprattutto nel
meridione, dove ci sono stratificazioni di
epoche e stili. In questi casi la risoluzione
significa ricchezza di informazioni; nelle
mie foto puoi vedere se il pesce sulla bancarella di un mercato è fresco.
Segui pochi progetti importanti oppure ci sono anche tanti piccoli lavori?
Non ho alcuna preclusione per i lavori
piccoli, se mi stimolano. Però è difficile
che succeda, per cui la tendenza generale resta verso i progetti di un certo
rilievo, che ti portano via come minimo
una settimana. Mi possono capitare anche impegni che richiedono un mese di
lavoro, solo che non riesco a stare così a
lungo sullo stesso progetto, un pò per la
mia indole e un pò per le richieste degli
altri clienti.
Ultimamente poi sono molto impegnato nella zona di Salerno, con attività
legate al restauro di opere dʼarte. Ho
anche costituito una partnership con
Massimiliano Sanpaolesi, un apprezzato
restauratore napoletano e una società
denominata Acme21, che fornisce servizi multimediali avanzati per i Beni
Culturali. Nonostante sia attiva da pochi
mesi ha già ottenuto importanti successi.
Ad esempio gli avori salernitani di cui ti
ho parlato sono stati inseriti nel progetto
“Magnifico” (http://www.magnifico.b
eniculturali.it/) per promuovere lʼarte
italiana nel mondo.
Qual è il lavoro più importante di
questi ultimi tempi?
Oltre a quello degli Avori Salernitani,
il Codice Atlantico di Leonardo da
Vinci, di proprietà della Pinacoteca
Ambrosiana. Era stato fotografato
ventʼanni fa dalla Giunti e tutto quello
che si trova in circolazione è riconducibile a quelle foto. Adesso sto curando la
digitalizzazione ad altissima risoluzione
dei disegni, che poi verranno chiusi in
condizioni controllate per proteggerli
da un grave deperimento. Lʼobiettivo è
quello che, se ad esempio uno studioso
della Yale University vuole studiare un
disegno di Leonardo, questi non debba
venire a Milano e non si debba tirare
fuori il Codice Atlantico con tutti i problemi di sicurezza e deperibilità che si
avrebbero.
In questo progetto ho ottenuto risultati
assolutamente sbalorditivi, non soltanto
come ricchezza di dettaglio dal punto
di vista fotografico, ma proprio dal lato
della conoscenza. Attraverso una tecnica di ripresa particolarmente sofisticata
nella normale luce visibile, sono stati
rivelati aspetti sconosciuti della tecnica
di Leonardo.
Si vedono cose che in condizioni normali sono invisibili perfino sullʼoriginale, anche con luci appropriate e lente
dʼingrandimento.
Parlandone
col
direttore
della
Pinacoteca, mi sono reso conto che
attraverso le mie foto avevo notato in
modo inequivocabile cose sconosciute
agli studiosi. Ad esempio, ho scoperto
che Leonardo per rendere i colpi di luce
sui suoi disegni usava qualcosa di simile
allʼattuale correttore “bianchetto”, con
una particolare tecnica tuttʼaltro che
evidente.
È un disegno molto famoso; se lo vedi
su qualsiasi libro percepisci il risultato
finale di questa tecnica di Leonardo, ma
non sospetti come abbia potuto ottenere
lʼeffetto.
Un esempio di lavoro difficile, per il
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Anche queste riprese del Duomo di
Orvieto sono state eseguite in digitale
per Franco Maria Ricci. Si doveva
realizzare un volume di grande formato sulle cattedrali, con dimensioni
di 70x50cm per la doppia pagina. Sul
Duomo di Orvieto era già stato fatto di
tutto e la sua facciata è uno dei soggetti più fotografati al mondo, eppure
dovevo fare qualcosa di particolare.
Mi sono documentato ed ho scoperto
che non esistevano foto della facciata
senza linee cadenti, probabilmente
a causa del poco spazio davanti alla
cattedrale, per cui mi sono proposto
di fare questa foto, compresi dettagli
come il timpano che si trova a 33 metri
dal suolo. La ripresa è avvenuta a 12
metri di altezza, perché non potevo
andare più in alto a causa di ostacoli
vari, quindi non ero in posizione perfettamente ortogonale. Lʼimmagine
della facciata è un mosaico di più scatti
eseguiti col grandangolo più spinto che
avevo. Ho anche dovuto eseguire molti
scatti, per il continuo via-vai di gente
sul sagrato, li ho messi a sandwich e
poi ho cancellato dai vari livelli le parti
dove cʼerano persone.
quale hai dovuto inventare una tecnica?
Lʼaffresco del Pisanello, nella chiesa
di Santa Anastasia a Verona. Si voleva
mettere a disposizione del pubblico un
grande monitor che potesse far vedere
lʼopera da vicino, in dimensioni reali e
ad altissima qualità. Si era valutato uno
schermo al plasma da 50 pollici, ma la
qualità non sarebbe stata paragonabile
allʼoriginale, per cui ci siamo orientati
su un monitor grafico di almeno 30 pollici, con lʼidea di far vedere lʼaffresco
intero oppure dare al pubblico la possibilità di scorrere lʼimmagine in scala 1:
1 ed oltre.
Il Pisanello aveva una tecnica pittorica
che riusciva davvero a dare lʼidea dei
capelli, oppure del broccato negli abiti,
creando un eccezionale effetto di tridi-
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mensionalità rispetto ai particolari dello
sfondo. Lʼilluminazione artificiale si è
subito rivelata del tutto inadeguata a
rendere questi effetti, per cui ho scelto
la luce naturale.
Lʼidea iniziale prevedeva 24 scatti in
multi-shot Hasselblad, ma ho subito incontrato problemi tecnici più pesanti del
previsto. Il dorso digitale prevede una tecnica denominata Micro-step per la quale, a
fronte di sedici scatti, si ottiene unʼimmagine quattro volte più grande. Il problema
è che è richiesta una stabilità assoluta tra
i vari scatti e lʼilluminazione deve essere
assolutamente costante, altrimenti si ottengono artefatti inaccettabili.
Purtroppo la luce ambiente variava
come intensità e qualità anche nellʼambito del minuto o due richiesti per effettuare questa ripresa multipla. Alla fine
ho trovato un metodo per cui, con soli
cinque scatti eseguiti in orari diversi,
sono riuscito a fare il lavoro completo.
Lʼaspetto interessante è che se avessi
fatto la foto fedele allʼoriginale, come
unʼunica istantanea, non sarebbe stata
veramente soddisfacente. Infatti lʼaffresco non è mai illuminato in modo
uniforme e quindi in sostanza non avrei
rappresentato lʼopera nella sua essenza,
bensì la sua percezione in una data ora di
un dato giorno. Invece sono riuscito ad
ottenere una foto omogenea, dove tutte
le zone dellʼaffresco sono illuminate in
modo ideale.
Lʼimmagine totale si avvicina ai 200
milioni di pixel, ma non è una semplice questione di numeri per stupire. Qui
lʼimmagine è veramente bella anche
visualizzata al 100%, a differenza di
A 50 Km da Parigi, si
trovano le rovine di
unʼabbazia (Abbazia di
Chaalis) e una chiesetta
apparentemente modesta,
imbiancata a calce. Sotto
la calce sono stati scoperti
affreschi del Primaticcio.
Lo stativo Manfrotto visibile nella foto di backstage,
è stato da me modificato
più volte per arrivare
ad altezze crescenti, ma
adesso è disponibile anche
a catalogo; è lo strumento
che uso maggiormente.
Nellʼimmagine si vede anche la normale prospettiva
che si ha fotografando ad
altezza dʼuomo. Nella foto
ripresa dallo stativo si nota
invece la prospettiva quasi
aerea e originale, quindi
più interessante perché
nessuno la vede mai.
altre foto da record che mi è capitato di
vedere. I dirigenti di Hasselblad, di cui
sono photo partner per lo sviluppo dei
nuovi prodotti, non credono che lʼabbia
fatta in quel modo, da terra.
Mi par di capire che non devi fare
troppi sforzi di promozione e pubbliche relazioni.
Zero. A suo tempo avevo fatto qualcosa
del genere, ma a parte lʼimbarazzo di
andare a chiedere, i risultati erano stati
praticamente nulli. Così, per non dovermi sempre andare a presentare, avevo
cominciato ad accettare qualunque lavoro mi venisse richiesto. Per fortuna
ho capito presto quanto fosse importante
poter scegliere. Grazie a Dio, nel mio
caso funziona benissimo il passaparola
tra gli addetti ai lavori nei settori che ho
deciso di affrontare e quindi da molti
anni ho lavoro più che a sufficienza,
al punto da poter scegliere cosa mi interessa fare e cosa no. Non parlo solo
dal punto di vista economico, perché a
volte il criterio di scelta si basa più su
quanto è intrigante un certo lavoro che
sul compenso.
Ci sono anche lavori che, tenuto conto
delle spese, come guadagno ti lasciano
poco o niente, ma li prendi perché capisci che ti aprono delle porte e quindi
ti faranno guadagnare bene le volte
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Arantzazu è un moderno santuario francescano nei paesi baschi, direi il secondo più importante al mondo dopo Assisi. È una
struttura interessante, ma con aspetti problematici. Ad esempio, questo ambiente, dove mi sembrava obbligatoria una vista con
questa prospettiva. Intanto cʼè una quasi totale assenza di luce e poi occorre una copertura di quasi 180 gradi senza distorsioni.
Ho fatto sei scatti da 22 megapixel col grandangolo più spinto che avevo (cosa che non ti aiuta assolutamente ad unire le immagini). Per chi ha visto il posto, il risultato è sbalorditivo, sia per lʼeffetto dʼinsieme che per il dettaglio presente nellʼimmagine
alla massima risoluzione.
Un aneddoto divertente: in fondo alla cripta cʼè un armadietto che ad un primo esame non mi piaceva del tutto come resa delle
venature del legno. Poi però mi sono reso conto che su pellicola lʼintero armadietto sarebbe stato un semplice rettangolo di colore ed ho capito che anchʼio stavo cadendo nella trappola del digitale che ti consente ingrandimenti assurdi fino a trovare sempre
qualcosa che non è del tutto soddisfacente. A questo punto lʼangoscia mi è passata.
successive. Lʼesempio migliore è il lavoro per il libro “Divina Bugatti”: mi
ha portato un compenso di sette milioni
e mezzo di lire, mentre di spese mi è
costato sette milioni e trecentocinquantamila lire. Però essere lʼautore di queste
fotografie mi ha aperto tante porte e mi
ha procurato tanti altri lavori ben remunerati e ancora oggi ricevo richieste da
tutto il mondo che fanno riferimento a
quel lavoro.
E poi naturalmente ho i clienti storici,
come ad esempio il Gruppo Manfrotto,
che seguo da molti anni. Anche se a me
piacciono sempre nuove sfide, come
fai a mollare Manfrotto? È unʼazienda
solida, un riferimento nel nostro settore,
sono sempre in corso anche collaborazioni tecniche che hanno portato alla
realizzazione di nuovi prodotti e alla
possibilità di sperimentare in anteprima
le novità…
Quindi cʼè anche questo aspetto di
collaborazione tecnica.
Oltre al solidissimo rapporto con
Hasselblad e Manfrotto, di cui ti ho già
accennato, ho collaborato anche con
Durst, ma la mia attenzione non è rivolta
solo allʼindustria. Da un paio dʼanni
dedico anche un quarto del mio tempo
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alle consulenze e ai corsi di formazione;
mi rivolgo alle aziende che hanno problematiche legate alla fotografia come
le case editrici, oppure direttamente ai
fotografi, sia i giovani che si affacciano in questo settore che altri fotografi
navigati, quindi miei concorrenti diretti.
Le mie consulenze riguardano principalmente lʼapproccio al digitale: ripresa,
Photoshop, FlexColor (il software di
Hasselblad) e tutte le problematiche del
colore. Questo ti arricchisce molto, intanto perché per insegnare sei costretto a
capire bene, poi perché vieni a contatto
con le realtà più disparate e cʼè sempre
qualcosa da imparare, anche dalle situazioni meno qualificate di te.
Quali aspetti tocchi in occasione di
questi corsi?
I miei corsi risolvono i problemi concreti
dei fotografi. Quando li svolgo insieme
ai “professori” di Photoshop, la differenza è che loro ti spiegano per filo e per
segno cosa fanno i vari strumenti, cosʼè
il metamerismo, la teoria del colore, gli
spazi colore e cose del genere, mentre
io racconto cosa farsene di queste cose.
Ad esempio illustro come una certa tecnica può rappresentare opportunità per
nuovo lavoro, come riuscire ad essere
meno maltrattati dai clienti, la tecnica di
ripresa da punti di vista insoliti perché
automaticamente rende più originali le
tue foto, così che risultino meglio accette e meglio pagate.
Nei miei corsi insegno che il digitale
non è solo un altro modo di fare la stessa
foto, perché ti dà delle possibilità nuove
che possono essere determinanti per fare
qualcosa di più interessante per i clienti.
Tanti colleghi hanno problemi a sfruttare le straordinarie possibilità offerte
da questo sistema, hanno difficoltà con
la gestione del colore e la fedeltà della
stampa. È anche comune il caso di fotografi che dicono che col digitale non
riescono più a mettere a fuoco, oppure
gli trema la mano. Naturalmente non
è vero, semplicemente con lʼanalogico non si erano mai accorti di questi
problemi, mentre oggi col digitale li
vedono molto più facilmente. Per via
dellʼassenza di grana e di velo e grazie
alla possibilità di ingrandire lʼimmagine a piacere, il digitale è veramente
spietato. Adesso i fotografi si trovano
costretti a mettere a posto delle cose che
già avrebbero potuto e dovuto sistemare
anche con lʼanalogico, solo che non se
ne rendevano conto.
Spesso ti chiamano perché hanno un
Si tratta di una settantina di piccoli avori di scuola amalfitana del dodicesimo
secolo, che rappresentano temi dellʼantico e del nuovo testamento. Hanno un fascino unico, la lavorazione è di una finezza straordinaria, eppure sono totalmente
sconosciuti al grande pubblico. Per questa ripresa digitale ho usato una risoluzione molto elevata, da 64 a 88 milioni di pixel, per fare in modo che le foto siano
più godibili e diano più informazioni allʼosservatore rispetto agli originali. Da
un lato volevo rendere lʼeffetto della materia, ma lʼingrandimento spinto ad alta
risoluzione metteva troppo in evidenza le crepe e le offese del tempo, fino a trasfigurare il materiale originario. Per questo motivo ho lavorato le immagini con
alcuni filtri particolari molto efficaci che hanno restituito lo splendore originale
senza pregiudicare il contenuto. Le foto sono state presentate con lʼaccompagnamento di un suggestivo sottofondo musicale, e il successo è stato incredibile.
Lʼinstallazione è presso il Museo Diocesano di Salerno e la mostra durerà fino al
30 aprile 2008. www.avorisalerno.it
marasma di problemi e tu devi cominciare a separarli per risolverli uno per
uno. Oppure cʼè il caso di Franco Maria
Ricci, che ha il problema della digitalizzazione dellʼarchivio e del coordinamento dei fotografi, in modo che il passaggio dalla pellicola al digitale avvenga
nel modo più corretto e coordinato.
Come cambia il mercato della fotografia?
A mio giudizio, il mercato nel suo
complesso è diventato enormemente
più selettivo. Intanto perché si tratta di
un mercato molto meno ricco: i lavori
vengono pagati meno e cʼè una fortissima selezione. Si assiste ad un calo
di considerazione e di rispetto nei confronti della categoria; questo è dovuto in
parte ad un imbarbarimento del mercato
ed in parte allʼavvento del digitale, che
ha reso possibili risultati di rilievo per
chiunque abbia un minimo di sensibilità.
Chi fa foto alla portata di molti colleghi
ha dei grossi problemi, perché allora
diventa solo questione di chi pratica il
prezzo più basso.
Dʼaltra parte ci sono anche clienti che
si sono attrezzati e fanno foto più adatte
alle loro esigenze di quanto farebbe un
fotografo. Quando si deve ripetere sempre la stessa foto, perché ci si dovrebbe
servire di un fotografo esterno? Ad
esempio, prendi il caso di un catalogo
di scarpe da aggiornare in continuazio-
ne, qui serve essenzialmente una buona
qualità (ma non stratosferica) e la fedeltà
di riproduzione del colore. In questi casi
basta acquistare una buona reflex, farsi
fare da uno specialista un set tarato per
le proprie esigenze, un profilo colore per
la stampante e via andare. Non ci vuole
estro e sperimentazione, quindi non è
questo il lavoro che devono cercare oggi
i fotografi.
Per fortuna ci sono ancora committenti
molto esigenti, o con bisogni molto
specifici. Riuscendo ad inserirsi in
questi settori si può star bene anche
adesso. Oggi affronto problematiche
molto diverse, in buona parte con clienti
diversi, rispetto a solo cinque anni fa;
questo perché ho sempre spinto sul concetto “servizi speciali”. Io faccio quasi
sempre foto molto particolari, che gli
altri non sono in grado di realizzare o
semplicemente non hanno mai pensato
di fare; ad esempio, nel settore auto, mi
sono attrezzato già parecchi anni fa con
uno studio molto grande e con la possibilità di effettuare riprese dallʼalto. Non
sono in molti a poterlo fare. Oppure, anche parlando di foto da punti di ripresa
normali, puoi trovare abbastanza facilmente un fotografo che sia in grado di
accontentarti se gli porti lʼauto in studio;
io invece mi sono attrezzato per dare la
qualità da studio anche in location. Se
devi allestire un set di ripresa completo
al Musée National de lʼAutomobile di
Mulhouse, è veramente difficile trovare
chi possa fare un lavoro del genere.
Oppure se cʼè un affresco anteriore
allʼanno mille, che di fatto nessuno ha
più visto negli ultimi otto secoli perché
nel 1200 gli hanno costruito davanti un
muro ad appena 35cm di distanza, chi
mai potrebbe fotografarlo di fronte? Io
faccio cose di questo genere.
Riesci a lavorare con tempi adeguati o
anche nel tuo settore la fretta è diventata la regola?
Purtroppo cʼè sempre una grande frenesia, spesso per cattiva organizzazione.
Una volta, senza digitale e senza posta
elettronica, certi tempi erano imposti
a causa di forza maggiore. Adesso che
tutti i passi si sono velocizzati, i tempi
si sono ristretti di conseguenza. Anche
di più: capita che se Manfrotto presenta
sei modelli di treppiede, non ci sia nemmeno il tempo di fare i prototipi, così
ricevo un prototipo (nemmeno definitivo) e i disegni tecnici dei sei modelli.
Da questo materiale devo fare cinque
foto (aperto, chiuso, dallʼalto, ecc.) per
un treppiede che ancora non esiste. In
situazioni del genere, anche chi è bravo
con Photoshop fa fatica; però lo accetti,
anche perché in questo modo diventi
indispensabile per il cliente.
Hai collaboratori?
In teoria lavoro da solo. Però, dato che
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Padula. Paliotto alla base dellʼaltare, realizzato in scagliola,
lapislazzuli e madreperla. Qui la
difficoltà era “rendere la materia”,
dare cioè il senso del materiale per
non farlo sembrare dipinto. Anche
se credo di saper usare bene le luci,
in questo caso ho preferito la luce
naturale. Il risultato, nonostante la
scarsità di luce disponibile, è merito in larga parte della tecnologia
digitale.
i miei lavori sono spesso complessi, in
genere ho almeno un assistente e spesso
più di uno. Si tratta di collaboratori di
fiducia, mai scelti a caso. La scelta può
dipendere dal tipo di progetto e quindi
dalle caratteristiche di questi collaboratori.
Che attrezzature impieghi?
Con rarissime eccezioni dovute a motivi
particolari, lavoro con Hasselblad serie
H e relativi dorsi digitali. Il mio obiettivo preferito è lʼHC 80mm f/2,8, ma uso
anche il grandangolo HC 35mm f/3,5, il
macro HC 120mm f/4 e lo zoom HC 50110 f/3,5-4,5. Ho sempre diffidato degli
zoom, ma questo fa eccezione perché è
veramente straordinario.
Tornando allʼ80mm, è talmente utile che
mi capita spesso di fare più scatti con
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questo e di unirli per ottenere una foto
grandangolare; anche se ho il 50mm, a
volte preferisco unire quattro scatti con
lʼ80mm, per quel tipo di qualità e di prospettiva. Così quando nei miei corsi dico
che le foto supergrandangolari si fanno
coi normali, capita che i miei allievi
rimangano sconvolti. E invece è proprio
così, perché in questo modo si superano
le problematiche della fotografia supergrandangolare.
A queste relativamente poche attrezzature fotografiche abbino una grande varietà di accessori speciali. Certe attrezzature ho dovuto realizzarle appositamente,
come stativi altissimi, butterfly di grandi
dimensioni, telai realizzati col sistema
componibile Manfrotto Multitube.
Realizzando attrezzature particolari
occorre considerare tutti i dettagli, ad
esempio sui diffusori occorre grande
attenzione alle cuciture, che poi si rifletterebbero sulle parti lucide del soggetto.
Come sistemi di supporto, utilizzo tanto
gli stativi Manfrotto, quanto vari treppiedi. Fuori dallo studio utilizzo i Gitzo
Leveling e Traveler.
Cosa preferisci come software?
Uso molto FlexColor, che è il software
di gestione e trattamento delle immagini di Hasselblad ed ha delle possibilità
straordinarie. Vedo come viene usato
dalla maggior parte dei fotografi e mi
rendo conto che io lo sfrutto veramente
molto più a fondo della media.
Poi naturalmente uso Photoshop,
corredato di tutta una serie di plugin prodotti da terze parti. Credo che
nessuno al mondo conosca veramente
Serge Roche. È un altro lavoro praticamente impossibile, commissionato recentemente da FMR. Era già stato fatto
da un fotografo francese con risultati terribili. Sono oggetti alti una trentina di centimetri e le difficoltà della ripresa
sono costituite dai riflessi delle superfici a specchio e dallo sfondo nero, richiesto dal committente. In questi casi non
è possibile scattare su fondo bianco per poi scontornare i soggetti col nero, lʼocchio esperto se ne accorgerebbe.
Roberto Bigano ritratto da Francesco Piras, un suo
allievo durante un corso. Francesco è diventato uno dei
suoi allievi più promettenti. www.francescopiras.eu
tutto Photoshop, per le sterminate potenzialità di cui è
dotato. Guardando come lo usano gli altri, scopri che
per arrivare ad un certo risultato ci sono più strade e
ciascuno usa quella che ha scoperto o che più gli piace
per qualche ragione. Però non è detto che tutti i metodi
portino a risultati davvero simili. Essendo arrivato al
digitale relativamente tardi, ho dovuto imparare tanto
in poco tempo ed ho scoperto che per raggiungere livelli elevati devi conoscere molto bene certi meccanismi.
Quindi direi che devi identificare dieci aspetti che sono
fondamentali per il tuo lavoro e poi li devi approfondire veramente. Ad esempio, allʼinterno di Photoshop,
cʼè Photomerge che serve ad unire le immagini. Molti
fotografi lo considerano troppo limitato e quando faccio loro vedere cosa riesco a fare, non ci credono. In
realtà non è il software ad essere limitato, ma la loro
conoscenza.
Oppure cʼè un plug-in di ottimizzazione dellʼimmagine
che si chiama Key-flow; è a chiavetta ed è molto costoso. Fino a poco tempo fa costava 4900 euro e adesso
è “sceso” a 2900 euro, ma ti garantisco che tra averlo
e non averlo cʼè una bella differenza. Con FlexColor
e Photoshop dotato dei plug-in che mi interessano
ci faccio il 90% del lavoro. Per lʼarchiviazione uso
MediaDex.
Dario Bonazza
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