CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI 1

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CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI 1
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CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI
CRITICI
SOMMARIO: 1. Le norme in tema di contratti internazionali, ossia stipulati tra soggetti
provenienti da Stati diversi sia comunitari che extracomunitari. – 1.1 Problematiche legate all’applicazione delle fonti del diritto internazionale privato dei
contratti. – 2. Esigenza di uniformare il diritto civile in materia contrattuale: le
attuali iniziative globali. – 2.1 La necessità di norme comuni all’interno dell’Unione Europea. – 3. Il Codice Civile europeo dei contratti come strumento
opzionale per gli Stati membri. – 4. Principi, Codice Civile e processo di costituzionalizzazione.
1. Negli ultimi trent’anni, in modo particolare, soprattutto grazie
all’introduzione, nella vita di tutti i giorni, di tecnologie sempre più
avanzate, in grado di mettere istantaneamente in comunicazione più
soggetti in aree geografiche differenti (es. internet), si è assistito ad
una evidente crescita e ad un marcato rafforzamento dei flussi di scambio tra i vari Paesi del Mondo e le provenienze e le destinazioni di
circolazione di merci e persone hanno conseguentemente subito una
forte diversificazione.
Pertanto, oggi più di ieri, è forte l’esigenza di individuare norme
giuridiche sovrannazionali ed universalmente riconosciute che permettano di definire e regolare le molteplici fattispecie contrattuali che interessano ogni giorno migliaia/milioni di soggetti.
Infatti, è risaputo e facilmente dimostrabile come nelle situazioni
in cui ricorrano elementi di fatto o circostanze realizzatisi in ambiti
geografici sottoposti ad ordinamenti giuridici diversi, sorga istintivamente ed inevitabilmente, nella stragrande maggioranza dei casi, incertezza sia sul foro competente che sulla legge sostanziale applicabile. Questo perché la presenza, in concreto, di uno o più elementi di
estraneità (o meglio di “internazionalità”) nel contratto, rende discutibile l’applicazione del diritto privato nazionale, al contrario certa nei
rapporti meramente “interni”, ovvero in quelli in cui tutti gli elementi
convergono verso un solo ordinamento nazionale.
Per lungo tempo si è tentato di trovare adeguata copertura normativa a queste fattispecie tramite, in primo luogo, l’utilizzo delle c.d.
leggi di “diritto internazionale privato”, ossia un complesso di norme
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nazionali destinate ad individuare (tramite precisi criteri di collegamento, quali ad esempio: cittadinanza, domicilio, il luogo in cui i beni
immobili si trovano, la lex destinatae solutionis, la proper law etc.) l’ordinamento regolatore tra tutti quelli cui il caso concreto, con elementi
di estraneità, è collegato (conflitto di leggi) e che si candidano, quindi,
quali leggi disciplinatrici 1.
In pratica, nella maggior parte dei Paesi coinvolti nel commercio
oltre confini, le norme sostanziali sul contratto sono sempre risultate
quasi esclusivamente applicabili indifferentemente ad un rapporto contrattuale nazionale come ad un contratto internazionale, riducendo il
problema di cui si discute non all’interrogativo se ad un certo contratto internazionale siano o meno applicabili le norme “comuni” sul contratto, ma all’esercizio di ricerca delle norme “comuni” medesime,
applicabili ogniqualvolta esso presenti elementi di contatto con molteplici ordinamenti, determinando quello che viene comunemente chiamato “conflitto di leggi” 2.
Tuttavia, come si vedrà meglio in seguito nel dettaglio, i criteri di
collegamento propri del diritto internazionale privato hanno il lampante difetto di operare in modo troppo meccanicistico, nel senso che
la legge cui essi rinviano si applica automaticamente per intero a tutto
il rapporto contrattuale, senza tenere conto che spesso l’applicazione
delle norme nazionali ad un contratto internazionale si caratterizza per
un approccio più “liberale” rispetto all’applicazione della stessa norma ad una fattispecie di carattere puramente interno. Si pensi per esempio alla diversa estensione della nozione di imperatività delle norme
giuridiche, laddove la nozione che funge da limite all’autonomia contrattuale delle parti nel diritto interno, in genere, pare sensibilmente
più rigorosa della medesima nozione applicata nel contesto internazionale 3.
A tale automatismo, inoltre, si affiancano la diversità da uno Stato all’altro delle regole di conflitto e la possibilità (per nulla infrequente)
del doppio rinvio che generano confusione e non soddisfano le esigenze di un ordinato sviluppo del commercio internazionale.
(1) BALLARINO T., MILAN D. “Diritto internazionale privato”, collana diretta da
ALPA G. e IUDICA G., CEDAM Padova 2008, p. 2.
(2) FRIGNANI A., TORSELLO M., “Il contratto internazionale. Diritto comparato e
prassi commerciale”, Trattato di Diritto commerciale e di Diritto pubblico dell’economia, CEDAM Padova 2010, p. 14.
(3) Per approfondimenti v. NYGH, “Autonomy in International Contracts”,
Oxford, 1999.
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Ragion per cui, già a partire dagli anni ’30 del secolo scorso è
andata diffondendosi sempre più intensamente l’esigenza di promuovere, in materia, la creazione di un diritto internazionale uniforme.
I tentativi però non sono stati facili a causa della reticenza dei
singoli Stati ad abbandonare l’idea della superiorità del proprio diritto interno e, pertanto, si è dovuto procedere per gradi e per settori,
utilizzando lo strumento della “convenzione”, che, a seconda del modo
con cui da vita al procedimento di unificazione, prende il nome di
“convenzione sulla legge applicabile” o “convenzione di diritto materiale uniforme”. Mentre la prima, attraverso la regola della “scelta di legge”, unifica tra i Paesi firmatari i criteri di collegamento in una determinata materia; la seconda unifica la disciplina materiale di un istituto
o di un rapporto giuridico. Esempi del primo tipo sono la Convenzione di Roma del 1980 in materia di obbligazioni contrattuali e la Convenzione dell’Aja del 1955 in materia di vendita a carattere internazionale dei beni mobili corporali; mentre tra quelle del secondo tipo spicca
certamente per importanza e numero di adesioni la Convenzione di
Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci.
La disciplina introdotta negli ordinamenti nazionali degli Stati
firmatari con la ratifica di una convenzione di diritto materiale uniforme equivale a quella prevista dai codici civili o dalle leggi complementari per le corrispondenti fattispecie meramente interne.
Importante da sottolineare, nel caso si presenti un contratto da
regolare potenzialmente rientrante nell’ambito di applicazione di tutte e tre le fonti citate (legge di diritto internazionale privato; convenzione sulla legge applicabile e convenzione di diritto materiale uniforme), è la prevalenza delle norme di diritto materiale uniforme su tutte
le altre, in virtù del loro carattere di specialità che permette loro di
risolvere il problema sostanziale direttamente con maggiore pertinenza ed attitudine nei confronti delle fattispecie con elementi di estraneità, in funzione delle quali sono appositamente pensate 4.
Dal punto di vista cronologico ricordiamo (in materia contrattuale):
– la Convenzione di Bruxelles del 25.8.1924 e successivi protocolli (Visby del 1968 e Bruxelles 1979) sul trasporto internazionale
marittimo;
– la Convenzione di Varsavia del 1929, come emendata dal Protocollo dell’Aja del 28.9.1955, sul trasporto internazionale aereo;
(4) Sul punto v. BALLARINO T., MILAN D. op. cit., p. 9; AUDIT, “Vente Internationale des Merchandises, 1990, p.20. In Giurisprudenza: Trib. Padova 25.2.2004, GI
2004, 1402; Trib. Rimini 26.11.2002, n. 3095, Unilex; Trib. Pavia 29.12.1999, n. 468,
RIDPP 2000, 770.
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– la Convenzione di Ginevra del 7.6.1930 sui conflitti di legge in
tema di cambiale e vaglia cambiario;
– la Convenzione di Ginevra del 19.3.1931 sui conflitti di legge
in tema di assegno bancario;
– la Convenzione di Chicago del 7.12.1944 sull’aviazione civile
internazionale;
– la Convenzione dell’Aja del 15.6.1955 sulla legge applicabile
alla vendita internazionale di cose mobili corporali;
– le Convenzioni dell’Aja del 15.04.1958 sulla legge applicabile
in caso di trasferimento di proprietà in caso di vendite internazionali
di oggetti mobili corporali e sulla relativa competenza del foro contrattuale 5;
– la Convenzione di New York del 10.6.1958 sul riconoscimento
e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere;
– la Convenzione dell’Aja del 15.11.1965 sulle notificazioni all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale;
– la Convenzione dell’Aja del 14.3.1978 sulla legge applicabile
all’agenzia 6;
– la Convenzione inter-americana di Montevideo dell’8.5.1979
sulle norme generali di diritto internazionale privato 7;
– la Convenzione di Vienna del 11.4.1980 sulla vendita internazionale delle merci;
– la Convenzione di Berna del 9.5.1980 relativa ai trasporti ferroviari internazionali;
– la Convenzione dell’Aja del 1.7.1985 sui trust e sul loro riconoscimento;
– la Convenzione dell’Aja del 30.10.1985 sulla legge applicabile
alla vendita internazionale di cose mobili corporali 8;
(5) La prima mai entrata in vigore in quanto sottoscritta unicamente da Grecia
ed Italia e ratificata solo da quest’ultima. La seconda mai entrata in vigore in quanto
sottoscritta da Austria, Belgio, Germania e Grecia, ma ratificata da nessuno.
(6) Ratificata inizialmente solo da tre Paesi (Argentina, Francia e Portogallo),
tra i quali è entrata in vigore il 1.5.1992; successivamente ratificata anche dai Paesi
Bassi dove è entrata in vigore il 1.10.1992.
(7) In vigore tra Argentina, Brasile, Colombia, Equador, Guatemala, Messico,
Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela.
(8) Il testo del 1985 è stato predisposto per un necessario adeguamento alle
Convenzioni di Vienna del 1980 e di Roma del 1980, ma non è ancora entrata in
vigore essendo stata ratificata solo dall’Argentina e dalla Moldova (seppure sottoscritta anche da Rep. Ceca, Olanda, Slovacchia ed Italia).
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– la Convenzione di Ottawa del 28.5.1988 sul factoring internazionale e sul leasing;
– la Convenzione inter-americana di Città del Messico del
17.3.1994 sulla legge applicabile ai contratti internazionali 9;
– la Convenzione di Bruxelles del 23.11.1995 relativa alle procedure di insolvenza 10;
– la Convenzione di Montreal del 28.5.1999 sull’unificazione di
alcune regole relative al trasporto aereo internazionale;
– la Convenzione dell’Aja del 30.6.2005 sulla scelta del foro 11.
Per ciò che concerne, invece, l’ambito europeo ricordiamo (sempre in ambito contrattuale – commerciale):
– la Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968 sul riconoscimento e
sull’esecuzione delle sentenze; ora sostituita dal Regolamento CE 44/
2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e
l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale;
– la Convenzione di Roma del 19.6.1980 sulla legge applicabile
alle obbligazioni contrattuali;
– la Convenzione europea di Istanbul del 5.6.1990 su alcuni aspetti
internazionali del fallimento; sostituita prima dal Regolamento CE
1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza e poi dal Regolamento CE 1393/2007;
– Regolamento CE 1206/2001 relativo alla cooperazione fra le
autorità giudiziarie degli stati membri nel settore dell’assunzione delle
prove in materia civile e commerciale;
– Regolamento CE 2027/97 sulla responsabilità del vettore aereo
con riferimento al trasporto aereo dei passeggeri e dei loro bagagli
(modificato dal Regolamento CE 889/02);
– Regolamento CE 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati;
– Regolamento CE 1986/2006 che istituisce un procedimento di
ingiunzione di pagamento;
– Regolamento CE 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità;
– Regolamento CE 1393/2007 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari
in materia civile e commerciale, che ha sostituito, tra i Paesi dell’Unione, la Convenzione dell’Aja del 15.11.1965;
(9) Mai entrata in vigore.
(10) Mai entrata in vigore.
(11) Alla data del 1.1.2010 è risultata sottoscritta soltanto dal Messico.
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– Regolamento CE 864/2007 (Roma II) – in vigore dal 11.1.2009
– sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali;
– Regolamento CE 593/2008 (Roma I) – in vigore dal 17.12.2009
– sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (che sostituisce
la Convenzione di Roma, salvo per quanto riguarda i territori degli
Stati membri che rientrano nel campo di applicazione territoriale di
tale Convenzione ed ai quali il presente regolamento non è applicabile
a norma dell’articolo 299 del trattato) 12.
Da segnalare, inoltre, è l’effetto armonizzante o, se si preferisce,
ravvicinante delle diverse soluzioni giuridiche adottate all’interno di
Stati che hanno realizzato un’unità politica, consentendo però ad unità territoriali minori, al loro interno, potestà legislativa autonoma (è il
caso degli USA, dove con lo Uniform Commercial Code è stata creata
una legge modello adottata da tutti i singoli Stati, sia pure con marginali differenze, più marcate – in materia di vendita – in Louisiana,
stante la tradizione di civil law di tale Stato) o che, senza aver raggiunto ancora un’unità politica, si sono dotati di un organismo sovrannazionale con poteri legislativi (è il caso della UE, con le direttive di cui
all’art. 249.3 del Trattato CE) 13.
Parallelamente a questo processo di unificazione del diritto dei
contratti tramite lo strumento delle convenzioni e dei regolamenti, si
colloca poi un altro (e ben più risalente) fenomeno di unificazione che
prende il nome di lex mercatoria.
Essa consiste in un corpus prevalentemente consuetudinario, creato dagli operatori commerciali, e, pertanto, costituito dall’insieme di usi,
pratiche interpretative, condizioni generali, modelli contrattuali e clausole standard internazionali (c.d. Regole oggettive del commercio internazionale o Law merchant). La ratio della sua elaborazione trarrebbe
giustificazione nei vantaggi indubbiamente derivanti da una disciplina
degli affari uniforme, nonché più funzionale ed idonea, in virtù della
sua naturale destinazione a regolare i rapporti giuridici con elementi di
(12) Nell’elenco non sono state prese in specifica considerazione le convenzioni
(o trattati) che hanno dato vita ad Istituzioni internazionali (come la UE, l’EFTA e il
WTO), in quanto ci si sta occupando prettamente delle norme riguardanti la stipula e
la esecuzione di contratti internazionali, nonché le forme di tutela dei contraenti, ma
è certamente indubbio che anch’esse contengono (o possono contenere) norme di
natura sostanziale che disciplinano aspetti del commercio inter-statuale (es. norme
sulla concorrenza del trattato UE), capaci di influenzare direttamente la validità ed i
contenuti di tali tipi di contratti. Per approfondimenti v. FRIGNANI A., TORSELLO M.,
op.cit., p. 16.
(13) FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 18.
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internazionalità, rispetto ai sistemi di conflitto diretti, al contrario, a sottoporli a norme pensate per fattispecie meramente interne 14.
Più precisamente, si tratta di un corpo di regole ed istituti, concernenti il commercio internazionale, comunemente applicati dai mercatores, nella consapevolezza che ci si trovi di fronte a vere e proprie
regule iuris, o, almeno, che gli altri contraenti si comporteranno osservando le stesse regole 15.
La sua esistenza è stata più volte confermata dalla giurisprudenza internazionale. Per esempio:
• in Italia, la Cassazione ha affermato: “nella misura in cui si constata che (gli) operatori – prescindendo dal vincolo della loro appartenenza ad uno Stato e/o dalla ubicazione della loro attività in uno Stato –
consentono su valori basici inerenti al loro traffico e, quindi, mostrano
di nutrire (anche per una affectio dettata da motivi pratici) l’opinio necessitatis, deve ritenersi che esista una lex mercato ria (regola di condotta con contenuti mutevoli, ma, pro tempore, determinati)” 16;
• in Francia, la Corte d’Appello e la Cassazione, dal canto loro,
hanno più volte riconosciuto la correttezza di sentenze arbitrali che
trovavano il loro fondamento nella lex mercatoria 17;
• lo stesso è avvenuto per la Corte d’Appello di Bruxelles e per la
Corte Suprema d’Austria, per la Corte distrettuale della California 18.
Vi sono obiezioni al riconoscimento dell’esistenza della lex mercatoria come autonomo corpo di regole. Per citarne una in particolare, si dice che essa non possa costituire un ordinamento giuridico, a
causa delle sue poche, sparse e slegate norme ed altresì perché la societas mercatorum non costituirebbe un’istituzione in grado di produrre norme sue proprie 19. Tuttavia, ad osservazioni come questa, è pos(14) BALLARINO T., MILAN D., op.cit., p. 5.
(15) È il c.d. diritto di formazione spontanea, creato dal ceto imprenditoriale
senza l’intermediazione del potere politico. V. FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p.
25 e GOLDMAN, in LEW (a cura di), “Contemporary Problems in International Commercial Arbitration”, 1986, p. 116.
(16) Cass. 8.2.1982 n. 722, in RDIPP, 1982, p. 835.
(17) App. Parigi 21.2.1980, Lybian General National Maritime v. Gotaverken, in
JDI, 1980, p. 660; App. Parigi 13.7.1989, Compania Valenciana, in Yearbook, 1991, p. 142;
Cass. Civ. 22.10.1991, Campania Valenciana v. Primary Coal, in Yearbook, 1993, p. 137.
(18) Riconoscimento ed esecuzione del Lodo CCI 3.11.1977, in Rev. Arb. 1980,
p. 560; coda esecutiva del Lodo Norsolor OGH 18.11.1982, Norsolor v. Pabalk, in
Yearbook, 1984, p. 159; District Court, SD California, Ministry of Defense and Support for the Armed Forces of the Islamic Rep. of Iran v. Cubic Defense Sys, Inc., in 29 F.
Supp. 2d p. 1168, commentate da BONNEL, UNIDROIT Principles: a significant recognition by a United States District Court, in URL, 1999, p. 651.
(19) Tra tutti v. RUSSEL, “On Arbitration”, Londra 2002, p. 230.
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sibile ribattere che l’incompletezza ed un sistema di sanzioni non enforceable in court non ha impedito al diritto internazionale pubblico
ed al diritto canonico di rivendicare la qualità di ordinamento giuridico autonomo 20.
Le fonti della lex mercatoria possono suddividersi in tre categorie:
1) principi generali del diritto (che, in base alla casistica prelevata dai vari lodi arbitrali internazionali, si suddividono a loro volta in:
a) pacta sunt servanda e buona fede; b) principi relativi alla conclusione ed alla validità del contratto – vizi del consenso, affidamento incolpevole nei poteri di rappresentanza di colui che agisce per conto dell’altra parte, accettazione tacita mediante inizio dell’esecuzione, nullità assoluta di un contratto contrario a norme imperative; c) principi
relativi all’interpretazione – secondo buona fede, condotta delle parti,
interpretazione restrittiva dell’eccezione ad una regola; d) principi relativi all’esecuzione – buona fede, dovere di cooperazione; e) principi
relativi alle sanzioni o i rimedi contro l’inadempimento – obbligo di
risarcimento, dovere di mitigazione del danno, ammontare del danno
limitato a quanto previsto o prevedibile, risarcibilità del mancato guadagno, diritto agli interessi, compensazione, prescrizione dei diritti per
mancato esercizio) 21;
2) usi e consuetudini del commercio internazionale (di particolare rilievo in questo ambito sono i Principi UNIDROIT – di cui si avrà
modo di discutere compiutamente nei paragrafi successivi – pubblicati nel 1994 (e costantemente aggiornati) dall’Istituto Internazionale per
l’Unificazione del Diritto Privato (UNIDROIT), istituito a Roma, con
l’intento di procedere ad un riordino del diritto dei contratti internazionali, formulato sulla base dello studio della prassi degli affari e delle principali legislazioni nazionali, arricchite dalle convenzioni di diritto uniforme, e poi divenuti fonti privilegiate di codificazione della
lex mercatoria – anche attraverso la creazione di regole del tutto nuove. Mentre tra gli usi non codificati è possibile ricordare: l’applicazione della legge del venditore nel caso in cui le parti non abbiano stabilito diversamente o, sempre in caso di assenza di differente pattuizio(20) V. GIULIANO, “La comunità internazionale e il diritto”, Padova 1950; FOUGAILLARD, GOLDMAN, “On International Commercial Arbitration”, The Hague,
1999; FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 29.
(21) Si precisa che per poter parlare di principi generali, la giurisprudenza arbitrale richiede che la regola goda di una larga diffusione, senza bisogno che sia universalmente accolta. V. FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 40.
CHARD,
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ne, l’assumere come legge applicabile al rapporto negoziale quella del
luogo in cui è eseguita la prestazione principale caratteristica del contratto);
3) principi emergenti della giurisprudenza arbitrale internazionale (che è sempre più fonte di natura costitutiva, attraverso la regola
del precedente vincolante) 22.
Da tenere, infine, presente è che, in ogni caso, mai la lex mercatoria potrebbe aspirare a sostituirsi agli ordinamenti nazionali, essendo destinata semmai ad integrarli in specifici settori del commercio
internazionale, con la conseguenza che negli ordinamenti che non la
riconoscono, essa si applicherà soltanto se ed in quanto richiamata dai
contraenti nel testo negoziale, con l’unico limite delle norme imperative della lex contractus 23.
1.1. La grande varietà e l’elevato numero di fonti di diritto internazionale privato in materia contrattuale non sempre fornisce una risposta chiara alle richieste del mercato ed alle esigenze degli operatori
del settore, anzi è spesso causa di incomprensioni e problemi interpretativi.
Basti pensare al fatto che, tra le varie norme nazionali e sovrannazionali, non è univoco neppure il concetto di “contratto internazionale”.
Sulla scorta della dottrina francese, infatti, la nozione che più sovente viene fornita di esso comprende tutti i contratti che presentano
dei points de rattachement con più ordinamenti 24.
Tuttavia, questo approccio internazional – privatistico, che tende
a conferire rilevanza unicamente alla distinzione tra contratto interno
e contratto internazionale, al solo fine di individuare, tramite le norme
di conflitto, la legge applicabile allo stesso, non può essere ritenuto
soddisfacente per diversi motivi:
– può condurre a risultati opposti, o in ogni caso, diversi da quelli voluti dalle parti;
(22) Esempio: nel lodo ICSID Arb. N. 96/1 del 17.2.2000 gli arbitri citarono
un precedente del tribunale arbitrale Iran-Us per giustificare la concessione degli interessi composti, in quanto l’interesse semplice non avrebbe compensato sufficientemente il danno subito – Compania del Desarrollo Santa Elena v. Repubblica di Costa
Rica, in Riv. Arb. 2001, p. 111.
(23) BALLARINO T., MILAN D., op.cit., p. 7.
(24) v. JACQUET, DELBECQUE, CORNELOUP, “Droit du commerce international”,
Parigi 2007, p. 191 ss.
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– può non consentire di tener conto di tutti i collegamenti con i
diversi ordinamenti che un determinato contratto internazionale è in
grado di generare; e
– può condurre all’impossibilità della delocalizzazione parziale 25.
Ragion per cui diverse nozioni di “internazionalità” si trovano
disseminate in molte convenzioni internazionali di diritto materiale
uniforme, poiché servono, ad utilizzatori ed interpreti, per delimitarne l’ambito di applicazione, con la conseguenza che, sovente, esse sono
definizioni che valgono solo per ciascuna convenzione.
Si vedano alcuni esempi:
– per la Convenzione di Vienna del 1980 (sulla vendita internazionale dei beni mobili) il carattere internazionale del contratto di compravendita è valutato in funzione della sola circostanza che, al momento della stipulazione, venditore e compratore abbiano il proprio
centro d’affari o stabilimento in due Stati diversi (art. 1); con conseguente esclusione, quindi, di tutti gli elementi oggettivi del contratto
da tale definizione. Il che la rende poco idonea ad essere ricondotta a
principi che tendono ad allargarsi, per la tipicità dei singoli contratti 26;
– per la Convenzione di Ginevra del 1956 (sul contratto di trasporto internazionale di merci su strada) il carattere internazionale del
contratto si ha quando il luogo di presa in carico e quello della consegna sono situati in Stati diversi (art. 1.1);
– per la Convenzione di Ottawa del 1988 (sul factoring internazionale) la internazionalità è “riflessa”, in quanto deriva dalla natura
internazionale del sottostante rapporto di fornitura di merci e servizi;
mentre per la Convenzione di Ottawa del 1988 (sul leasing finanziario
internazionale) l’internazionalità è presente quando concedente e utilizzatore hanno la loro sede di affari in Stati diversi (art. 3) 27.
(25) FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 102. Onde l’invito a porsi in una
prospettiva che tenga maggiormente conto del dato fattuale. In tal modo l’autonomia
delle parti non sarà più compressa dalla scelta tra le leggi dello Stato A o B, ma si
espanderà fino a creare un proprio regolamento contrattuale, con istituti e regole giuridiche magari nuovi o estranei a tutti gli ordinamenti nazionali che ne risulterebbero
coinvolti dalle regole classiche di diritto internazionale privato. Anche se è pur vero
che in proposito si distinguono i contratti nazionali da quelli internazionali. In presenza dei primi non sarebbe concessa alla parte sufficiente autonomia da poterli sottoporre ad altra legge che non sia quella nazionale.
(26) FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 104.
(27) Perde, quindi, rilevanza la sede del produttore o del fornitore. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 105.
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La prassi internazionale, inoltre, sovente, da rilievo – accanto ai
suaccennati elementi soggettivi – anche ad elementi oggettivi, come:
luogo di esecuzione del contratto, luogo della prestazione caratteristica, ovvero dove deve stabilirsi la joint venture) 28.
Non è, dunque, possibile ricavare, dal diritto positivo vigente,
una nozione unitaria di “contratto internazionale”, perché essa varia
in relazione al differente punto di vista di ogni norma di riferimento 29.
Ma non solo, anche in merito alle tecniche di redazione dei contratti internazionali sono evidenziabili problemi applicativi ed interpretativi.
Come è risaputo, storicamente, sono rilevabili due modelli principali di tecniche di redazione contrattuale:
• uno proprio dei Paesi di common law, secondo cui il contratto
è ad “auto – integrazione”, ossia redatto in modo estremamente dettagliato, al fine di riuscire a contenere tutti gli elementi che le parti ritengono rilevanti e tutti i casi che si potrebbero verificare, con l’obiettivo di trovare al suo interno gli strumenti per risolvere qualsiasi ipotesi futura (tanto che spesso anche il sistema sanzionatorio si trova
disciplinato nel contratto medesimo);
• ed uno proprio dei Paesi di civil law, secondo cui il rapporto
contrattuale può definirsi ad etero – integrazione, in quanto è sempre
possibile fare ricorso alle norme di un codice, disciplinanti quel determinato tipo di contratto, tutte le volte in cui le parti non si siano espresse circa un particolare aspetto di esso. Il contratto, cioè, è relativamente breve e composto unicamente dagli elementi essenziali.
La suddetta diversità di modelli, nata per i contratti nazionali, è
stata esportata in quelli internazionali, laddove ciascuna delle parti tende ad utilizzare, e di conseguenza a imporre all’altra, il modulo cui è
avvezza. Anche se, il tentativo di sfuggire alle regole del diritto nazionale dell’uno o dell’altro contraente, ha indotto alla redazione di contratti sempre più dettagliati pure nei Paesi a tradizione codicistica 30.
(28) Cfr. SCHMITTHOFF, Export Trade: The Law and Practice of International Trade, 11° ed. (a cura di MURRAY, HOLLOWAY, TIMSON-HUNT), Londra 2007, p. 74.
(29) Onde è preferibile riferirsi alla realtà del commercio internazionale, che ne
allarga la nozione ad ogni rapporto contrattuale non destinato ad esaurirsi, nei suoi
elementi oggettivi o soggettivi, esclusivamente all’interno di un solo ordinamento statuale. Cfr. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. I, Diritto
dei contratti internazionali, 3° ed., Padova 2009, p. 123 ss.
(30) In ogni caso l’autosufficienza rimane sempre un’aspirazione perché i contratti sono comunque sempre incompleti in quanto le parti non possono prevedere
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Tuttavia, utilizzare la tecnica propria del sistema di common law
per un contratto, in realtà, governato dalle norme di civil law (o viceversa), potrebbe riservare sorprese non facilmente gestibili. Si pensi al
diverso atteggiamento dei giudici di fronte al contratto scritto o alla
diversità dei criteri interpretativi.
Nozioni quali reasonableness, frustration, damages, unconscionability hanno un determinato significato agli occhi di un giurista di common law che non è necessariamente identico per un giurista di civil
law.
La cosa migliore, infatti, sarebbe sempre fare in modo che la scelta
della tecnica di redazione sia collegata alla legge applicabile ed all’elezione del foro competente.
Inoltre, nel commercio internazionale, si riscontrano due tendenze
apparentemente opposte: il contratto costruito su misura (tailor made),
ed il contratto standardizzato (boiler plate). La prima si riscontra nei
contratti c.d. complessi che, per loro natura, sono unici; l’altra si verifica in presenza di contratti ripetitivi. Sennonché le due tecniche in
questione non di rado si mescolano e si incrociano (così, per esempio,
nei contratti tailor made si utilizzano clausole ed istituti standardizzati
tutte le volte in cui si presentano problemi giuridici tipici etc.), ma si
sottovaluta il fatto che una clausola di esclusione dell’indennità di clientela in un contratto di franchising in Italia, sarà probabilmente diversa
dalla stessa clausola in Austria, ovvero che un contratto di licenza di
brevetto con un licenziatario di uno Stato senza norme antitrust dovrà
necessariamente modificare il suo contenuto se il licenziatario sarà invece un Paese UE etc.31
Senza contare che spesso le parti si sono prefissate obiettivi economici che non trovano sbocco nella disciplina tipicizzata dal Legislatore e, pertanto, si vedono costrette a costruire il proprio contratto
inserendovi clausole e patti tipici di altre fattispecie contrattuali. Per
esempio, il “deposito”, previsto dal codice civile italiano, non corrisponde al “bailment” inglese.
In questi casi, molto utile si dimostra essere l’introduzione di premesse all’inizio del testo sottoscritto, sia per rendere più intellegibili le
ragioni obiettive e soggettive che hanno indotto i contraenti alla stipu-
tutti i possibili eventi e non è economico regolare anche l’allocazione di rischi improbabili. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 108; DE NOVA, Il contratto alieno,
Torino 2008, p. 3.
(31) FRIGNANI A., TORSELLO M., op.cit., p. 111.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
13
la, sia per facilitare il compito di chi è chiamato ad interpretare e a
valutare il contenuto dell’accordo.
Infine, una breve trattazione merita la questione legata alla lingua del contratto ed alla scelta della legge regolatrice del medesimo.
Ogni contratto internazionale stipulato tra due soggetti che non
appartengono allo stesso ordinamento presenta, nel 90% dei casi, un
problema di lingua. In genere, le parti sono libere di scegliere la lingua
che preferiscono (la c.d. “lingua franca” per esempio è l’inglese), ma
tale libertà può, tuttavia, subire restrizioni addirittura da alcuni accordi
internazionali (il Codice del Gatt sulle forniture pubbliche, firmato a
Ginevra il 12.4.1979, ed entrato in vigore il 1.1.1981, prevede, all’art.
V.11, l’uso delle sue lingue ufficiali per la presentazione delle offerte,
che ovviamente non sono tutte quelle dei Paesi aderenti). I problemi di
traduzione e di difficile coincidenza tra il segno (ossia la parola usata)
ed il concetto sono all’attenzione della più attenta dottrina degli ultimi
decenni, soprattutto di coloro che stanno lavorando ai progetti di unificazione del diritto internazionale e del diritto europeo che, abituati ad
usare una sola lingua di lavoro (l’inglese appunto) si trovano a dover
fare i conti con il difficile compito di filtrare le numerose sottigliezze
delle nozioni giuridiche di francesi, tedeschi, italiani etc.32
Ecco perché sovente, al fine di limitare le incertezze derivanti
dalla diversità di linguaggio, si usa definire, di comune accordo, all’inizio del contratto molti dei termini che saranno usati nello stesso.
Altro principio generalmente riconosciuto è che le parti stipulanti un contratto internazionale possono scegliere liberamente a quale
legge sottoporre lo stesso. Tuttavia non è così semplice. Le norme di
diritto internazionale privato fanno sempre riferimento ad una legge
nazionale, ma può capitare che il rapporto abbia più punti di collegamento con diversi Stati. A questo punto, la scelta di una legge nazionale piuttosto che l’altra può essere dettata da svariati motivi, anche
di natura “psicologica”, poiché ciascuna delle parti tenderà ad avere il
contratto regolato dalla legge che conosce meglio. In caso di mancato
accordo, nella stragrande maggioranza dei casi, si finisce per scegliere
la legge di un Paese terzo, senza tener conto delle conseguenze, in
quanto difficilmente si potranno conoscere tutte le sfaccettature del
sistema giuridico di quest’ultimo 33. Addirittura la Convenzione di
(32) IORATTI FERRARI (a cura di), La traduzione del diritto comunitario ed europeo: riflessioni metodologiche, Trento, 2007, p. 113.
(33) Vi sono però ordinamenti che non consentono la scelta della legge di un
Paese che non abbia nessun legame con il contratto (es. Stati Uniti). Cfr. FRIGNANI A.,
TORSELLO M., op.cit., p. 122.
14
D. DE RADA
Roma del 1980 ed il Reg. CE 593/2008 arrivano ad affermare che: “le
parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto o a una
parte dello stesso”, cristallizzando, in questo modo, la tecnica del depecage, ossia il frazionamento del contratto, al fine di sottoporre le
singole parti a leggi diverse. Non è difficile intuire che saranno tempi
duri per gli interpreti chiamati a redigere le controversie.
Orbene, l’esigenza di armonizzare il diritto internazionale dei
contratti nasce proprio dal tentativo di dare una soluzione efficace alle
problematiche appena descritte (che, peraltro, rappresentano solo una
piccola parte di quelle esistenti in realtà), con la consapevolezza che
non si compirebbero tutti questi sforzi se si ritenesse che il diritto internazionale privato potrebbe adeguatamente risolverle 34.
2. Come si è visto, spesso le leggi e le convenzioni di diritto internazionale privato non sono in grado di soddisfare quel bisogno di certezza che gli operatori del mercato internazionale necessitano per portare quotidianamente a termine i loro interessi economici.
È stato proprio il desiderio di uniformità e di facile reperibilità
delle fonti che ha fatto guardare alla codificazione della International
trade law come ad un traguardo da raggiungere nel più breve tempo
possibile. Ciò tanto in Europa, quanto nel resto del Mondo.
Per tale ragione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con
la Risoluzione 2205 (XXI) del 17 dicembre 1966, ha istituito la Commissione per il diritto del commercio internazionale (ossia la “United
Nations Commission on International Trade Law” – c.d. UNCITRAL),
con lo scopo di abbattere gli ostacoli giuridici ai flussi degli scambi,
attraverso la formulazione di un diritto moderno ed equo e l’armonizzazione delle norme in materia di transazioni commerciali.
Gli Stati membri costitutivi dell’UNCITRAL sono 60 35 ed hanno sistemi legali differenti, diversi livelli di sviluppo, e provengono da
varie regioni geografiche. Ne fanno parte 14 stati africani, 14 stati asiatici, 8 stati dell’est Europa, 10 stati latino-americani e caraibici e 14
paesi dell’Europa occidentale.
(34) ALPA G.,“Un codice europeo dei contratti: quali vie di uscita?”, Atti del convegno Camerino 3-7 settembre 2007, p. 7.
(35) Erano originariamente 29 nel 1966, poi diventarono 36 nel 1973 ed infine
60 nel 2003.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
Algeria (2016)
Argentina (2016)
Armenia (2013)
Australia (2016)
Austria (2016)
Bahrain (2013)
Bielorussia (2011)
Benin (2013)
Bolivia (Stato
Plurinazionale di) (2013)
Botswana (2016)
Brasile (2016)
Bulgaria (2013)
Camerun (2013)
Canada (2013)
Cile (2013)
Cina (2013)
Colombia (2016)
Repubblica Ceca (2013)
Egitto (2013)
El Salvador (2013)
Fiji (2016)
Francia (2013)
Gabon (2016)
Germania (2013)
Grecia (2013)
Honduras (2013)
India (2016)
Iran (Repubblica Islamica)
(2016)
Israele (2016)
Italia (2016)
Giappone (2013)
Jordan (2016)
Kenya (2016)
Lettonia (2013)
Malaysia (2013)
Malta (2013)
Mauritius (2016)
Messico (2013)
Marocco (2013)
Namibia (2013)
15
Nigeria (2016)
Norvegia (2013)
Pakistan (2016)
Paraguay (2016)
Filippine (2016)
Polonia (2012)
Repubblica di Corea (2013)
Federazione russa (2013)
Senegal (2013)
Singapore (2013)
Sud Africa (2013)
Spagna (2016)
Sri Lanka (2013)
Thailandia (2016)
Turchia (2016)
Uganda (2016)
Ucraina (2014)
Regno Unito di Gran Bretagna
e Irlanda del Nord (2013)
Stati Uniti d’America (2016)
Venezuela (Repubblica
bolivariana di) (2016)
La durata dell’incarico è di 6 anni dal momento dell’ingresso (tra
parentesi sono indicati gli anni di scadenza mandato dei singoli Paesi).
La Commissione svolge il proprio lavoro in sessioni annuali, che
si svolgono, ad anni alterni, nella sede delle Nazioni Unite a New York
e presso il Centro Internazionale di Vienna.
Ogni gruppo di lavoro tiene, in genere, una o due sedute l’anno,
a seconda del soggetto-materia da trattare.
Oltre agli Stati membri, tutti gli Stati che non sono membri della
Commissione, così come le Organizzazioni internazionali interessate,
sono invitate a partecipare alle sessioni della Commissione e dei gruppi di lavoro in qualità di osservatori, a cui viene data la facoltà di intervenire nelle discussioni.
I sei gruppi di lavoro e le materie di loro competenza sono i seguenti:
• Gruppo I – Appalti;
• Gruppo II – arbitrato e la conciliazione;
• Gruppo III – risoluzione delle controversie online;
• Gruppo IV – Commercio elettronico;
• Gruppo V – diritto fallimentare;
• Gruppo VI – gli interessi e la sicurezza.
16
D. DE RADA
Le bozze dei documenti elaborate dai gruppi di lavoro sono sottoposte alla Commissione UNCITRAL in seduta plenaria per la messa
a punto e l’adozione durante la sessione annuale. La sezione delle Nazioni Unite competente per gli Affari Legali del Diritto Commerciale,
provvede alle mansioni di segretariato quali, ad esempio,: conduzione
di ricerche e redazione di memorie.
Il compito primario della Commissione UNCITRAL, si è detto,
è quello di elaborare e promuovere nuovi testi e modelli legislativi in
grado di essere accolti positivamente dal più ampio numero di Stati,
in modo da sviluppare una sorta di comune visione politico-giuridica
atta a creare una solida rete giuridica per la regolazione uniforme degli scambi internazionali.
Un tale ambizioso obiettivo viene raggiunto innanzitutto adottando:
– Convenzioni internazionali (tecnica legislativa caratterizzata dalla
sua portata obbligatoria che assicura un alto grado di uniformità, ma
che non lascia alcun potere agli Stati. Lo Stato che aderisce alla Convenzione, e che deposita la propria ratifica presso l’organo competente, ha poi l’obbligo di adottare una legislazione interna che sia coerente con la Convenzione medesima) 36;
– modello di legge (è un testo legislativo – caratterizzato da un
alto grado di flessibilità – la cui adozione viene raccomandata agli Stati come parte della legislazione interna. Tale strumento legislativo –
adottato soprattutto in campi dove i singoli sistemi nazionali presentano differenze macroscopiche e, quindi, difficilmente uniformabili –
non deve essere formalmente ratificato dallo Stato che rimane libero
di modificarne (anche solo parzialmente) il contenuto);
– normative uniformi (che sono delle vere e proprie clausole modello atte ad essere inserite nei contratti a carattere internazionale, come
ad esempio quelle relative alla risoluzione stragiudiziale delle controversie);
(36) La forma della Convenzione è stata, così, applicata validamente nell’ambito dei titoli di credito, dove la circolazione internazionale del titolo è affidata totalmente ad un regime obbligatorio che necessita della più assoluta uniformità e nel
campo del trasporto internazionale, per l’unificazione e la standardizzazione dei limiti
della responsabilità delle parti coinvolte nel trasporto.
A titolo esemplificativo si possono ricordare la Convenzione di Vienna del 1980
sulla vendita internazionale dei beni, il Modello di Legge per il Commercio Elettronico, il Modello di Legge sull’arbitrato commerciale internazionale, il Modello di Legge
sulla conciliazione, il Modello di Legge per il trasferimento internazionale dei crediti,
le Regole Uniformi per l’arbitrato.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
17
– case law (ossia, raccolta di casi giurisprudenziali ed arbitrali internazionali per cui siano stati applicate Convenzioni e Leggi Modello
dell’UNCITRAL) 37;
ma anche incoraggiando la codificazione, le consuetudini e le pratiche d’uso comune, spesso operando in collaborazione con altre Organizzazioni gravitanti in tale settore 38; nonché promuovendo una
maggiore partecipazione alle convenzioni internazionali esistenti ed una
maggiore condivisione dei modelli giuridici; ovvero raccogliendo e divulgando informazioni sulle normative nazionali e sugli sviluppi più
recenti nel campo del diritto commerciale 39.
La spinta dell’UNCITRAL verso l’unificazione del diritto del commercio internazionale è stata certamente fortissima a partire dalla sua
istituzione ad oggi, tuttavia, sembra che la strada da percorrere verso
il traguardo sia ancora assai lunga. Basti pensare al fatto, che nonostante gli sforzi effettuati, le materie nelle quali si è giunti a Convenzioni internazionali sono state limitate ad alcuni settori specifici (quali: la compravendita, i contratti di finanziamento, la proprietà industriale, i titoli di credito ed i trasporti) ed anche in relazione ad esse,
gli Stati che le hanno ratificate non sono stati per nulla numerosi (ad
eccezione della Convenzione di Vienna, in vigore in 74 Paesi), né, in
linea di massima, sono risultati essere gli stessi per tutte le Convenzioni medesime.
(37) Per esempio: Case 781 MAL 16 – Organo: Cairo Regional Center for International Commercial Arbitration – 12.7.1999 “The claimant, a company based in
an Africa country, entered into a subcontract with another African company, that was
the main contractor chosen by a local authority for building a power plant. The general conditions of the Contract comprised an arbitration clause referring potential disputes to arbitration under the Rules of the Cairo Regional Center for International
Commercial Arbitration (CRCICA). During the arbitral proceedings, the respondent
invoked the nullity of the arbitration agreement alleging that the general conditions
of the contract were disputed between the parties and that, consequently, the reference to such agreement was not clear as per article 10 (3) of the Egyptian Arbitration
Law. This argument was rejected by the Tribunal in the light of article 22 of the Egyptian Arbitration Law, which is consistent with article 21 of the UNCITRAL Arbitration Rules [and equivalent to MAL 16]. The Arbitral Tribunal ruled that it had jurisdiction to settle the dispute”, in www.uncitral.org.
(38) Importante è la collaborazione con l’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development).
(39) Per approfondimenti v. BRUNI A. “Caratteristiche operative dell’UNCITRAL
e rapporto sui lavori della 44° sessione del Working Group II on International Arbitration and Conciliaton, New York 22-27 gennaio 2006”, inserto n. 2 Arbitrato notizie del
28.7.2006.
18
D. DE RADA
Probabilmente, la diffidenza mostrata dagli Stati nell’adesione ai
progetti di unificazione dell’UNCITRAL risiede in primis nell’inevitabile e naturale competizione tra i numerosi ordinamenti giuridici presenti sulla scena internazionale, tra loro diversi e concorrenti. Il che si
riverbera sul rifiuto di accettare una codificazione uniforme che si proponga di sostituirsi integralmente ai diritti nazionali.
Ma, l’idea di un testo universale che sia in grado di sostituirsi al
corrispondente diritto interno non è l’unica attraverso la quale perseguire i propositi di “codificazione”. Rimane, infatti, aperta sia l’opzione della c.d. “uniformazione legislativa”, da attuarsi tramite le convenzioni internazionali che hanno, nella stragrande maggioranza dei
casi, natura dispositiva (cosicché le parti potranno escluderne l’applicazione, optando per regole domestiche concorrenti), sia l’opzione di
strumenti di codificazione di natura “non legislativa”, come l’emanazione di Principi universali 40.
Un esempio significativo di tale ultima soluzione è rappresentato
dai c.d. Principi UNIDROIT.
L’Istituto Internazionale per l’Unificazione del diritto privato (UNIDROIT) è una Organizzazione intergovernativa indipendente, con sede
a Villa Aldobrandini a Roma.
Il suo scopo è quello di studiare le esigenze ed i metodi necessari
per la modernizzazione, armonizzazione e coordinamento del diritto
privato, in particolare del diritto commerciale, tra Stati e gruppi di
Stati, nonché di formulare idonei strumenti di diritto uniforme, principi e regole per raggiungere tali obiettivi.
L’UNIDROIT è stato istituito nel 1926 come un organo ausiliario della Società delle Nazioni.
Attualmente all’Organismo partecipano 63 Stati membri distribuiti nei cinque Continenti che presentano tra loro forti differenze in
campo economico, politico e giuridico.
L’Istituto è finanziato dai contributi annui dei suoi Stati membri
che sono fissati dalla propria Assemblea generale oltre ad un contributo di base annuale stanziato dal Governo italiano. Contributi fuori
bilancio possono essere erogati per finanziare progetti o attività specifiche.
Per quanto riguarda la sua struttura interna, essa si suddivide in
tre livelli: Segretariato, Consiglio direttivo e Assemblea Generale.
• La Segreteria è l’organo esecutivo responsabile dei suoi programma di lavoro giornalieri. È diretta da un Segretario generale no(40) FRIGNANI A., TORSELLO M., op. cit., Padova 2010, p. 58.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
19
minato dal Consiglio direttivo su proposta del Presidente dell’Istituto.
Egli è poi assistito da un team di funzionari internazionali e da collaboratori.
• Il Consiglio direttivo supervisiona tutti gli aspetti politici e cura
che gli obiettivi statutari vengano raggiunti. In particolar modo vigila
sulle modalità con cui il Segretario effettua il programma di lavoro
elaborato dal Consiglio medesimo. È composto dal Presidente dell’Istituto e da 25 membri eletti, per lo più eminenti giudici, medici, docenti universitari e funzionari pubblici.
• L’Assemblea Generale, invece, è l’organo decisionale dell’UNIDROIT: approva annualmente il bilancio ed il programma di lavoro
ogni tre. Elegge il Consiglio direttivo ogni cinque anni. È composta da
un rappresentante per ogni Stato membro. La presidenza dell’Assemblea Generale è tenuta, a rotazione e per un anno, tra gli Stati membri.
Le lingue ufficiali sono inglese, francese, tedesco, italiano e spagnolo, tuttavia, le pubblicazioni vengono fatte solo in inglese e francese.
Lo scopo di questa Organizzazione internazionale indipendente è
quello di realizzare un restatement, sul modello di quello realizzato
dall’American Law Institute (ALI) negli Stati Uniti, avente ad oggetto i
principi generali che disciplinano i contratti commerciali internazionali.
Più precisamente, nell’introduzione della prima edizione dei Principi del 1994 41 si legge: “I tentativi di unificazione internazionale del
diritto hanno fin qui assunto prevalentemente la forma di strumenti vincolanti, come convenzioni internazionali o atti legislativi sopranazionali, o di leggi-modello. Siccome questi strumenti rischiano sovente di restare poco più che lettera morta e tendono ad essere piuttosto frammentari, si moltiplicano le istanze a favore di mezzi non legislativi di unificazione o armonizzazione del diritto. In parte si invoca l’ulteriore sviluppo
di quel che viene chiamata “consuetudine commerciale internazionale”
[…] Altri vanno oltre, propugnando la elaborazione di un re statement
internazionale dei principi generali del diritto dei contratti. L’iniziativa
dell’UNIDROIT per la compilazione di “Principi dei contratti commerciali internazionali” si colloca in tale direzione”.
(41) L’edizione del 1994 si componeva nel modo seguente: Preambolo seguito
da 7 capitoli: disposizioni generali, formazione del contratto, validità del contratto
interpretazione del contratto, contenuto del contratto, adempimento e inadempimento. La seconda edizione, invece, è del 2004 ed in essa sono stati aggiunti i capitoli
dedicati a: rappresentanza, contratto a favore di terzi, compensazione, cessione del
credito, trasferimento delle obbligazioni, cessioni dei contratti e prescrizione. Per approfondimenti v. FRIGNANI A., TORSELLO M., op. cit., Padova 2010, p. 59.
20
D. DE RADA
I Principi UNIDROIT, pertanto, possono essere considerati una
sorta di esperimento di codificazione di un emergente regime giuridico sovrannazionale delle transazioni internazionali. La loro pubblicazione, in sostanza, costituisce un valido strumento per la c.d. “denazionalizzazione” del regime giuridico cui devono essere soggetti gli
scambi transnazionali.
I punti di riferimento più importanti per la stesura dei Principi
in questione sono stati:
– i singoli sistemi nazionali;
– la Convenzione di Vienna del 1980;
– i documenti della Camera di commercio internazionale;
– i documenti UNCITRAL;
– i lavori della Commissione delle Nazioni Unite per il commercio internazionale.
I Principi UNIDROIT si prestano per la loro natura a diversi usi.
In primo luogo possono essere considerati un modello di riferimento,
per il Legislatore nazionale, nella elaborazione della normativa che regola i contratti in generale o taluni tipi di transazioni. Diversi Stati,
infatti, hanno già attinto ispirazione da essi per le riforme della legislazione interna.
Ad esempio il nuovo codice civile della Federazione russa e progetti analoghi di Israele, Estonia, Lituania, Cina e Indonesia. Altrettanto hanno fatto le commissioni riformiste di Germania e Scozia.
Inoltre possono trovare impiego anche come guida alla stesura dei
contratti commerciali internazionali. Infatti spesso le parti di questi
contratti trovano enormi difficoltà di comunicazione dovute al fatto
che ciascuna di esse fa riferimento a una terminologia giuridica che
non trova corrispondenza nei diversi sistemi di appartenenza e, pertanto, l’uso di quella adottata dall’UNIDROIT, permette il dialogo in
una “lingua neutrale” con delle definizioni uniformi 42.
I Principi in oggetto, hanno palesemente raggiunto un risultato
eccellente per il solo fatto della loro esistenza, poiché essi costituiscono la prova inconfutabile dell’esistenza di concetti normativi (in ambito contrattuale) nei quali i vari ordinamenti giuridici nazionali si possono riconoscere 43.
(42) I Principi UNIDROIT sono stati tradotti in molte lingue proprio a questo
scopo. Cfr. MASSARI V., “L’efficacia dei Principi UNIDROIT nei contratti internazionali”, in Diritto e Diritti, marzo 2002.
(43) D’altra parte, il lungo lavoro di elaborazione che sta alla base dei Principi è
stato condotto principalmente con metodologia comparatistica, ponendo l’attenzione
sulla necessità di tenere in considerazione quanti più ordinamenti nazionali possibile,
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
21
Quanto al loro ambito di applicazione, si sostiene che essi:
• si applichino quando le parti abbiano convenuto la loro applicazione al contratto stipulato (si tratta dell’incorporazione per relationem dei Principi nel contenuto normativo dell’accordo tra i contraenti, con la conseguenza che essi saranno applicabili al contratto solo in
quanto non in contrasto con le norme imperative nazionali regolatrici
del rapporto) 44;
• si applichino quando le parti abbiano convenuto che il loro
contratto sia regolato dai “principi generali del diritto”, dalla “lex mercatoria” o simili (a tale riguardo va rilevato, tuttavia, che quanto più si
enfatizza la natura della lex mercatoria quale diritto consuetudinario,
tanto più può essere problematico accogliere la tesi secondo cui i Principi sarebbero una mera “raccolta” di tali usi del commercio internazionale, e ciò per la semplice ragione che gli stessi redattori dei Principi UNIDROIT ne hanno frequentemente sottolineato il carattere “innovativo”, incompatibile con la natura di “usi”. In pratica, i Principi
UNIDROIT possono essere sicuramente considerati come usi del com-
ma cercando al tempo stesso di individuare ed enfatizzare gli elementi di similitudine,
ed operando, ove opportuno, anche scelte innovative. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M.,
op. cit., Padova 2010, p. 62.
(44) Più problematica è l’applicabilità dei Principi per volontà delle parti, ove a
tale volontà si voglia attribuire il ruolo di autonomia International-privatistica, in grado di operare non solo la scelta del regolamento contrattuale, ma altresì della “legge”
applicabile al contratto. Ad illustrazione della complessità e dell’attualità del problema, basti ricordare il fatto che per qualche tempo il progetto di regolamento comunitario Roma I si era arenato proprio sulla questione relativa all’ammissibilità o meno di
una scelta della legge applicabile al contratto che conduca ad un insieme di regole
diverso rispetto ad un diritto di un ordinamento nazionale. Risposta positiva è stata
data da alcuni legislatori nazionali (si veda ad esempio l’art. 27 della legge sull’arbitrato di Panama (El tribunal arbitral apreciarà las estipulaciones del contrato para la aplication del Derecho que gobierna la relation contractual, y tiendrà en cuenta los usos y
pratica mercantiles y los principios de los contratos de comercio internacional de UNIDROIT)), ma tale possibilità non è stata accolta come strumento internazional-privatistico del testo del Reg. (CE) n. 593/2008.
L’atteggiamento dei giudici statali dinnanzi hai Principi UNIDROIT è stato
più problematico, perché essi sentono il dovere di applicare il proprio diritto domestico, che include le norme di diritto internazionale privato, le quali designano sempre un diritto statuale. Di conseguenza l’eventuale scelta delle parti di far disciplinare
il contratto dai Principi UNIDROIT avrebbe effetto nella misura in cui non confligga
con norme imperative del diritto positivo applicabile, quale risulterebbe determinato
dalle norme di diritto internazionale privato. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M., op. cit.,
Padova 2010, p. 63.
22
D. DE RADA
mercio internazionale solo quando essi costituiscono la fotografia del
comportamento attuale dei mercatores) 45;
• si applichino quando le parti non abbiano scelto il diritto applicabile al loro contratto (in merito è necessario operare una distinzione tra l’applicazione dei Principi di fronte ai giudici nazionali e la
loro applicazione di fronte alle corti arbitrali: nel primo caso, in assenza di una scelta delle parti, i giudici non potranno che far ricorso al
tradizionale approccio internazional-privatistico, con conseguente individuazione della legge nazionale applicabile sulla base delle norme
di diritto internazionale privato del foro. Parzialmente diversa la situazione di fronte agli arbitri, i quali non sono vincolanti alla modalità
di soluzione del conflitto di leggi stabilito da questo o quell’ordinamento nazionale e, pertanto, sono sempre più frequenti i casi di utilizzo dei Principi in modo diretto) 46.
L’importanza dei Principi UNIDROIT, quindi, risiede indiscutibilmente nel fatto stesso che essi siano stati individuati, non solo nell’ottica di una eventuale codificazione o di un progressivo sviluppo
del diritto contrattuale internazionale, ma anche perché ad essi è possibile far riferimento in modo chiaro, diretto ed esplicito nella stesura
di un determinato contratto.
Accanto alle iniziative di unificazione illustrate, UNCITRAL e
UNIDROIT, vi sono poi da segnalare altri importanti tentativi operati
in tal senso.
Con l’espressione “acquis communautaire” si suole indicare quel
sistema di regole e principi giuridici comuni agli ordinamenti privatistici dei vari Paesi europei.
L’acquis communautaire (o se si preferisce “diritto privato comunitario”) si divide in: a) diritto privato comunitario primario (nel quale rientrano le norme che possono avere implicazioni sul piano di rilievo privatistico contenute nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione
(45) Un caso interessante in tal senso è stato il lodo CCI n. 9797 del 28 luglio
2000 tra la Andersen Consulting e la Arthur Andersen, la cui clausola arbitrale stabiliva che l’arbitro avrebbe deciso secondo quanto contenuto nell’accordo e che nell’interpretazione del medesimo non sarebbe stato vincolato dalla legge di alcuno Stato,
ma sarebbe stato giudato dalle considerazioni contenute nel preambolo dell’accordo
in questione: “taking into account general principles of equity”. L’arbitro unico colombiano Gamba Posada, non essendo stata stabilita la legge applicabile, ha deciso di
interpretare il contratto sulla base dei Principi UNIDROIT, come espressione dei principi generali dei contratti commerciali internazionali. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M.,
op. cit., Padova 2010, p. 65.
(46) FRIGNANI A., TORSELLO M., op. cit., Padova 2010, p. 67.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
23
Europea) 47 e b) diritto privato comunitario secondario (ossia, le disposizioni contenute in regolamenti, direttive e decisioni). È stato proprio tramite le direttive che si è prevalentemente perseguito l’obiettivo di convergenza degli ordinamenti nazionali.
Sennonché, gli interventi del Legislatore comunitario, di natura
sostanziale, hanno avuto spesso carattere frammentario ed hanno avuto come oggetto la tutela del consumatore o la disciplina di specifici
settori tra cui:
– direttiva sui contratti a distanza;
– direttiva sulla vendita dei beni di consumo;
– regolamenti e direttive in materia societaria (OPA e prospetti);
– regolamenti e direttive in materia di antitrust;
– direttive in materia di forniture di servizi;
– direttive su appalti e pubbliche forniture;
– direttive in ambito bancario, finanziario ed assicurativo;
– direttiva contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e sugli agenti commerciali indipendenti.
Accanto, poi, al diritto comunitario in senso proprio, si posiziona il c.d. “diritto comune europeo”, ovvero l’insieme dei principi e
delle regole elaborati a livello accademico per l’unificazione del diritto
dei contratti.
La prima iniziativa in tal senso, a livello temporale, che merita di
essere citata, è quella intrapresa da una commissione di giuristi (il cui
nome originario è: Commission on European Contract Law), presieduta da Ole Lando, meglio conosciuta come “Commissione Lando”, intenzionata a predisporre una raccolta di norme sui contratti e sulle
obbligazioni in generale (la PECL). La Commissione iniziò i lavori nel
1980 e li suddivise in tre fasi:
– nel 1995 vennero pubblicati i Principi relativi all’adempimento, all’inadempimento ed ai relativi rimedi;
– nel 1999 venne pubblicata la parte sulla formazione, sulla rappresentanza, sulla validità, sull’interpretazione, sull’oggetto e sugli effetti dei contratti;
(47) Esempi: art. 43 TFUE; art. 49 TUEF o 56 TUEF, rispettivamente riconosciuti come diritto privato comunitario primario dalla Corte di Giustizia nelle sentenze: 6.6.2000, causa C-281/98, Roman Angonese contro Cassa di Risparmio di Bolzano,
punti 35-36; 11.12.2007, causa C-438/05, International Transport Workers’ Federation
e Finnish Seamen’s Union contro Viking Line ABP E OU Viking Line Eesti, punto 61;
13.12.1984, causa C-251/83, Eberhard Haug-Adrion contro Frankfurter Versicherungs-Ag., punto 14.
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D. DE RADA
– nel 2003 l’opera fu ultimata con le regole sulle obbligazioni
solidali, sulla cessione dei crediti e del contratto, sulla surrogazione,
sulla compensazione, sulla prescrizione, sull’illegalità del contratto e
sulle condizioni.
Lo scopo vero e proprio del lavoro era quello di dare vita ad un
diritto europeo dei contratti uniforme, che costituisse la base per la
stesura di un effettivo Codice europeo dei contratti.
Come si può intuire, i PECL presentano moltissime affinità con i
Principi UNIDROIT, ma anche qualche differenza. Più precisamente,
i primi, ad esempio, non si limitano a trovare applicazione ai contratti
commerciali, ma dettano regole di diritto contrattuale generale e sono
applicabili ai contratti con i consumatori. Inoltre, sono stati concepiti
per gli Stati europei e, quindi, per Paesi economicamente piuttosto
omogenei, mentre i Principi UNIDROIT hanno valenza internazionale e sono stati elaborati tenendo conto dei divari economici e sociali
esistenti sul panorama mondiale.
Completa affinità si ha, invece, per ciò che concerne l’ambito di
applicazione. Tuttavia, l’impiego dei PECL nella giurisprudenza arbitrale è ancora abbastanza sporadico 48.
Nello stesso senso, altra iniziativa privata interessante è quella
portata avanti dall’Accademia dei Giusprivatisti Europei, fondata a Pavia nel 1992 da illustri accademici tra cui, come elemento di spicco,
Giuseppe Gandolfi. Ad essa si deve la stesura di una prima bozza di
Codice europeo dei contratti. I lavori sono iniziati nel 1995 ed hanno
dapprima condotto all’ultimazione della parte concernente i contratti
in generale (pubblicata nel 2001 – riedita nel 2002 e nel 2004) ed ora
stanno proseguendo con la stesura della parte dedicata ai singoli contratti.
Così come, di particolare nota, è l’iniziativa assunta dallo Study
Group on a European Civil Code, diretto da Christian von Bar. Il Gruppo si può tranquillamente considerare il successore della Commissione Lando e, sin dal 1999, si è impegnato nella comparazione giuridica
dei vari sistemi privatistici degli Stati membri, al fine di predisporre
un sistema di principi comuni europei in materia patrimoniale, destinato ad essere impiegato, come ausilio, dalle Corti europee. Esso si è
occupato di:
– contratti di distribuzione (franchising, agenzia);
– contratti di compravendita;
(48) Salvo il fatto che moltissime regole trovano un loro equivalente nei Principi UNIDROIT. Cfr. FRIGNANI A., TORSELLO M., op. cit., Padova 2010, p. 77.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
25
– contratti di prestazioni di servizi;
– leasing e assicurazione;
– garanzie personali e mobiliari;
– donazione, trust;
– trasferimento di proprietà mobiliare;
– illeciti;
– indebito arricchimento;
– negotiorum gestio.
Dal 2005 lo Study Group partecipa all’elaborazione del Common
Frame of Reference.
Quest’ultimo è un progetto che, ispirandosi all’acquis communautaire ed alle migliori soluzioni reperite negli ordinamenti giuridici
degli Stati membri (best solutions), ha il compito di stabilire principi
comuni ed una medesima terminologia in ambito contrattuale europeo 49.
Il CFR, in base a quanto dichiarato dalla Commissione europea
in una Comunicazione del 2004, intitolata “Diritto contrattuale europeo e revisione dell’Acquis: prospettive per il futuro”, dovrebbe assumere le caratteristiche di un toolbox non vincolante e dovrebbe contenere, in una prima parte, i principi fondamentali comuni di diritto
contrattuale, in una seconda parte, le definizioni di alcuni concetti fondamentali e, in una terza parte, veri e propri modelli di regole di diritto contrattuale europeo 50. Per poter realizzare il progetto in questione, la Commissione ha assegnato al Joint Network on European Private Law – CoPECL, istituito nel 2005, il compito di elaborare dei Common Principles of European Contract Law (CoPECL) che potessero
fungere da base per il futuro CFR. Una prima bozza (redatta dallo
Study Group e dall’Acquis Group) di ciò è stata pubblicata nel dicembre 2007 (DCFR Interim Outline Edition), seguita da una seconda
nel febbraio 2009 (DCFR Outline Edition) ed infine dalla bozza finale,
corredata da commenti ed annotazioni, nell’ottobre 2009 (DCFR Full
Edition).
Il DCFR è costituito da articoli contenenti:
– definizioni;
– principi (intesi come regole non vincolanti o come regole di
portata generale);
(49) Cfr. ALPA G., CONTE, “Riflessioni sul progetto di Common Frame of Reference e sulla revisione dell’Acquis communautaire”, in Riv. dir. Civ., 2008, I, p. 141 ss.
(50) Per approfondimenti sulla COM (2004) 651, cfr. FRIGNANI A., TORSELLO
M., op. cit., Padova 2010, p. 82.
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D. DE RADA
– model rules (individuanti le best solutions che i redattori hanno
raccolto dalla comparazione delle legislazioni nazionali, dall’Ordinamento comunitario e dal diritto uniforme);
– commenti e note alle regole che forniscono informazioni circa
le soluzioni inserite nel testo.
Infine, il lavoro si compone di una parte introduttiva, contenente
definizioni e principi generali, ed in 10 libri che spaziano dal diritto
generale dei contratti e delle obbligazioni, alle singole fattispecie contrattuali, alla negotiorum gestio, agli illeciti, all’arricchimento senza
causa, al passaggio di proprietà, alle garanzie reali ed ai trusts.
2.1. Le problematiche, che poc’anzi si sono analizzate, generate
da un’eccessiva frammentazione del diritto internazionale privato in
materia contrattuale, nonché da una non sempre chiara applicazione
della normativa nazionale e di quella contenuta nelle varie Convenzioni ratificate, si possono tranquillamente traslare, per buona parte, anche all’interno dell’Unione Europea, che racchiude in sé ordinamenti
e tradizioni proprie sia dei Paesi di common law (come il Regno Unito), sia dei Paesi di civil law (come Italia e Francia).
L’Unione europea trova il suo fondamento sulla necessità di individuare uno spazio unitario comune a tutti i cittadini, soggetti, imprese, istituzioni che ne fanno parte e che operano all’interno dei suoi
confini.
Tale spazio unitario si fonda, a sua volta, su di un’idea economica, sociale e di giustizia comune che, insieme, costituiscono i c.d. storici “tre pilastri” su cui poggia l’intera struttura posta in essere dai
padri fondatori e che si è andata via via perfezionando nel corso degli
ultimi cinquanta anni.
Naturalmente il cammino dell’Europa nei tre percorsi sopra indicati, a cominciare da quello economico, che ne costituisce il suo tratto
più evidente e storicamente più consolidato, non sarebbe stato possibile senza l’ausilio di strumenti di armonizzazione del diritto esistente
all’interno dei singoli Stati membri, ovvero senza la produzione di nuovo diritto nelle materie non regolamentate dai singoli ordinamenti interni.
In questo senso si può parlare dello sviluppo, in molti settori dei
rapporti economici e sociali, di un vero e proprio diritto europeo. Diritto che, tuttavia, può definirsi così (vale a dire come corpo giuridico
di norme) in senso molto lato, sia perché il termine racchiude in sé
modelli diversi (common law e civil law), sia a causa della molteplicità
delle fonti cui esso fa riferimento, che si caratterizzano per il loro va-
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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riabile grado di incidenza sul diritto interno degli Stati membri (per
cui si va da un diritto direttamente ed inderogabilmente applicabile,
in settori sensibili in cui è necessario creare, a livello strategico, aree di
regole comuni e uniformi, ad aree in cui il diritto degli Stati membri è
solo ravvicinato intorno a principi comuni minimi, a raccomandazioni
e risoluzioni per le quali, nella ricerca di principi generali, l’uniformità
rappresenta semplicemente un auspicio).
La stratificazione del diritto comunitario, dovuta fondamentalmente ad una produzione di norme di carattere assolutamente settoriale, a seconda delle esigenze di intervento del momento, ha così generato un sistema frutto di una scarsa visione di insieme, da cui è conseguita una palese mancanza di sistematicità e coerenza nelle disposizioni dell’acquis communautaire, connotato spesso da sovrapposizioni,
lacune e contraddizioni, le quali devono ora essere risolte se non si
vuole rischiare di non potere più utilizzare lo strumento normativo ai
fini della completa realizzazione del mercato interno 51.
Senza contare che, sino ad ora, tolta qualche eccezione, tutte queste forme di diritto sopranazionale restano comunque scarsamente
conosciute e comprensibili ai cittadini che considerano ancora il diritto un fattore legato specificamente sovranità nazionale.
Interessante, da questo punto di vista è quanto espresso dal Prof.
Mario Monti, il 9 maggio 2010, nel Rapporto al Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso, secondo cui: “Oggi l’acquis
dell’Unione consta di 1521 direttive e 976 regolamenti connessi ai vari
settori del mercato interno. Un’eventuale azione per approfondire il
mercato interno non dovrebbe pertanto più richiedere l’ondata di nuovi
regolamenti e direttive che aveva suscitato il Libro Bianco del 1985. Per
giunta, l’iniziativa UE “Legiferare meglio” definisce criteri rigorosi per
il processo di formazione dei nuovi atti legislativi. […] La regolamentazione è intelligente quando è caratterizzata da una precisa conoscenza
dei fattori in gioco e da un’acuta consapevolezza del proprio impatto potenziale dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. […] Potrebbe giovare ai fini di una regolamentazione efficace del mercato unico
spostare il baricentro dal singolo intervento strategico alla totalità del
settore. […] Il “mosaico di norme” è una minaccia per la credibilità e la
reputazione del mercato unico”.
(51) TROIANI U., “Verso un diritto contrattuale europeo. Il processo di armonizzazione delle regole e l’individuazione di principi ordinanti nei lavori della Commissione
UE”, Roma 2007, p. 7 ss.
28
D. DE RADA
In pratica, quello che si vuole sottolineare è che le libertà previste
dal Trattato dell’Unione europea in tanto possono dispiegare le loro
potenzialità in quanto il mercato interno sia completamente integrato e
non vi siano barriere residue da cui far conseguire una diversità di trattamento giuridico tra gli operatori economici dei vari Paesi membri.
Per far ciò, il mercato unico, pertanto, esige innanzitutto regole
uniformi.
Prosegue, infatti, il Prof. Monti: “Vale la pena esplorare l’idea di
un 28° regime, di un quadro giuridico uniforme, cioè, di norme UE che
si ponga in alternativa alle norme nazionali senza sostituirle. Il vantaggio del 28° regime è che moltiplica le possibilità per le imprese ed i cittadini nel mercato unico”.
Di “regolamentazione intelligente” parla anche la Comunicazione della Commissione UE al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo ed al Comitato delle Regioni, del
31.3.2010, nella quale si legge: “La garanzia di un quadro normativo di
alto livello per i cittadini e le imprese è responsabilità comune di tutte le
istituzioni dell’UE e degli Stati membri. Le iniziative intraprese a livello
europeo devono dimostrare di avere un chiaro valore aggiunto conferito
dall’UE ed essere proporzionate in termini di natura e portata. La Commissione ha creato diversi strumenti di “regolamentazione intelligente”
per raggiungere questo obiettivo. Ora bisogna fare un ulteriore progresso nell’applicazione pratica di questi strumenti provvedendo a collegarli
e integrarli pienamente in tutto l’arco del ciclo normativo al fine di ottenere risultati strategici validi. […] Per garantire che la legislazione vigente rimanga in linea con i traguardi fissati, da quest’anno la Commissione
avvierà un riesame dell’intero corpus normativo in settori strategici selezionati mediante “check-up” volti a individuare eventuali oneri eccessivi, sovrapposizioni, lacune, incoerenze e/o misure obsolete verificatisi
nel corso degli anni”.
Ma ciò non è sufficiente, se si vuole veramente che le transazioni
transfrontaliere si svolgano, nel mercato interno, senza intralci ed in
modo efficiente occorre muoversi verso l’adozione di misure idonee a
facilitare la conclusione dei contratti internazionali, riducendo i costi
delle transazioni e permettendo a tutti gli operatori economici ed a
tutti i consumatori di profittare appieno dei vantaggi offerti dal mercato interno. Traguardo raggiungibile solo tramite una vera e propria
armonizzazione totale del diritto in materia, ossia tramite quello che le
Istituzioni comunitarie chiamano “Quadro Comune di riferimento”
(QCR), attraverso cui gettare le basi per un vero e proprio Codice
Civile europeo.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
29
Per comprendere meglio quanto sia reale il bisogno di creare un
diritto uniforme dei contratti è sufficiente dare un’occhiata ai dati raccolti e riportati dalla relatrice Diana Wallis nel suo “Progetto di relazione sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti
per i consumatori e le imprese”, presentato al Parlamento il 25.2.2011:
“La Federazione britannica delle Piccole imprese ha calcolato nella sua
posizione sul regolamento Roma I del 2007 che un’impresa dovrebbe
sostenere un costo di 15 000 euro per accedere al mercato e-commerce di
uno Stato membro, costo che comprende le spese legali, le spese di traduzione e le spese di attuazione.
Per il Flash Eurobarometro 224 del 2008 sull’atteggiamento
delle imprese nei confronti delle vendite transfrontaliere e la tutela
dei consumatori, in base alle informazioni fornite, viene intervistato tra il 30 gennaio e il 7 febbraio 2008 un totale di 7 282 manager
dei 27 Stati membri più Norvegia. Tra i risultanti salienti figurano i
seguenti:
• Tre quarti dei rivenditori dell’UE effettuano vendite esclusivamente sul mercato nazionale. Inoltre le imprese che con maggiore probabilità effettuano vendite transfrontaliere sono le imprese medie e mediograndi.
• Il costo percepito dell’osservanza delle varie norme nazionali che
disciplinano le transazioni con i consumatori è visto dal 60% dei rivenditori come un ostacolo che desta preoccupazione.
• È stato altresì riscontrato che il 46% dei rivenditori convenivano
che se le disposizioni di legge che disciplinano le transazioni con i consumatori fossero armonizzate in tutta l’Unione, le loro vendite transfrontaliere aumenterebbero. Il 41% ha affermato che il livello delle vendite
transfrontaliere non aumenterebbe. Inoltre, mentre il 75% attualmente
non vende all’estero, solo il 41% ha affermato che continuerebbe a non
farlo in caso di armonizzazione legislativa.
La relatrice ritiene che questi dati dimostrino come le differenze
a livello di diritto dei contratti scoraggino le imprese, in particolare le
PMI, dall’intraprendere scambi a livello transfrontaliero e impediscano loro di beneficiare delle opportunità e dei profitti offerti dal mercato interno”.
Difatti, negli accordi tra grandi imprese, tenuto conto sia delle
dimensioni dei contraenti che del regime di affari, non è praticamente
possibile ritenere che essi trovino ostacoli o disincentivi nelle diversità
dei regimi privatistici nazionali, poiché utilizzerebbero comunque l’assistenza di grandi studi legali in grado di assumere informazioni ade-
30
D. DE RADA
guate circa i rispettivi diritti nazionali, ovvero di selezionare la legge
ed il foro più convenienti 52.
Con la Comunicazione n. 389/2001, seguita successivamente dalla n. 63/2003 (nota come Action Plan), la Commissione ha finalmente
dato una svolta al dibattito che, ormai da anni, teneva occupate le Istituzioni comunitarie sul tema dell’armonizzazione del diritto privato
europeo e sulla prospettiva di una unificazione in un vero e proprio
“Codice civile europeo”.
In essa sono state indicate le diverse opzioni da realizzare per
garantire un intervento mirato ed efficace dell’Unione sul diritto privato, sulle quali si è richiesto, ai protagonisti istituzionali, giuridici e
sociali, di prendere posizione. Tali opzioni sono:
– la rinuncia ad ogni proposito interventistico in favore delle capacità auto-regolative del mercato;
– la formazione di un “quadro comune di riferimento” (Common
frame of reference), che raccolga i principi comuni in materia contrattuale;
– un semplice miglioramento della qualità tecnica della legislazione comunitaria;
– un “testo complessivo comprendente disposizioni relative ad
aspetti generali di diritto contrattuale ed a contratti specifici”, ossia
un Codice Civile europeo, quanto meno dei contratti.
Tenuto conto del fatto che comunque, anche prima di queste
Comunicazioni ufficiali, il dibattito, che aveva accompagnato la compilazione dei Principles of European Contract Law della Commissione
Lando ed il Codice europeo dei contratti degli Accademici di Pavia, si
era sviluppato tutto attorno all’asse formazione – tradizione, il merito
di esse è stato principalmente quello di rilanciare questo dibattito su
un terreno, per così dire, prioritario 53.
Orbene, interessante è osservare quanto riportato nei vari contributi che hanno positivamente animato la discussione, come scrupolosamente raccolti nel documento ufficiale della Commissione denominato: “Reazione al Piano d’Azione – un diritto contrattuale europeo
più coerente”.
(52) Per approfondimenti cfr. BARCELLONA M., “Sui progetti di codice civile europeo: la buona fede tra giustizia sociale e globalizzazione”, nota per il Gruppo di lavoro “Diritto privato europeo” – versione del 30.5.2005.
(53) Cfr. BARCELLONA M., op. cit., 2005, p. 2.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
31
Per comodità espositiva, essi possono essere così suddivisi:
• ISTITUZIONI COMUNITARIE:
Consiglio: “Riguardo alle misure particolari proposte nel piano
d’azione, il Consiglio accoglie favorevolmente l’intenzione della
Commissione di elaborare un quadro comune di riferimento (QCR).
Il Consiglio conferma che il QCR proposto dalla Commissione potrebbe contribuire al miglioramento della qualità e della coerenza
della normativa comunitaria in questo settore, sia di quella esistente sia di quella futura. […] Poiché e necessaria una riflessione ulteriore sull’esigenza di provvedimenti non settoriali in materia di diritto contrattuale europeo, come per esempio uno strumento opzionale, il Consiglio sottolinea che la Commissione dovrebbe condurre tale riflessione in stretta collaborazione con gli Stati membri e
tenendo conto del principio della libertà contrattuale”;
Parlamento: “Il Parlamento europeo invita la Commissione a promuovere l’elaborazione del QCR come una priorità, a ultimarlo
entro la fine del 2006 ed a introdurlo rapidamente. Esso invita la
Commissione a pubblicare il QCR in tutte le lingue comunitarie
appena possibile. […] Per quanto riguarda lo strumento opzionale,
il Parlamento europeo si rammarica della mancanza di un’azione
precoce diretta a produrre tali strumenti in certi settori, come quello delle transazioni fra imprese e consumatori e delle assicurazioni,
nei quali si potrebbero avere vantaggi sostanziali sia in termini di
funzionamento efficace del mercato interno sia in termini di maggiori transazioni e scambi intracomunitari. Il Parlamento europeo
ritiene che agire in tal senso già in una fase precoce contribuirebbe
a informare e sviluppare l’intero processo del piano d’azione. Pertanto, esso ritiene che sia prioritario istituire uno strumento opzionale in certi settori, in particolare in quello dei contratti fra imprese e consumatori e in quello dei contratti assicurativi, e invita la
Commissione europea a produrre uno strumento opzionale in tali
settori, ferma restando la necessità di garantire un alto livello di
tutela dei consumatori e incorporare le pertinenti norme cogenti”;
La Banca centrale europea: “Quanta all’intenzione della Commissione di elaborare un QCR, la BCE sottolinea che questa misura
rappresenterebbe un passo importante verso il completamento del
mercato interno e potrebbe migliorare l’applicazione uniforme del
diritto comunitario e facilitare le transazioni transfrontaliere. È interessante notare che a tale riguardo la BCE sottolinea che il QCR
sarebbe anche una fonte d’ispirazione per il quadro giuridico dell’Eurosistema. […] Riguardo allo strumento opzionale, la BCE in-
32
D. DE RADA
coraggia la Commissione a portare avanti quest’iniziativa e offre il
suo appoggio”.
• RISPOSTE DEI GOVERNI:
Nel complesso, la grande maggioranza delle reazioni dei governi,
sull’opportunità di adottare uno strumento opzionale nel settore
del diritto contrattuale europeo, sono prudenti.
In particolare, a titolo esemplificativo, “Il governo portoghese vede
lo strumento opzionale come una soluzione innovativa per evitare
conflitti giuridici, ma, data la complessità della materia e visti i
lavori preparatori necessari, considera prematuro creare tale strumento a breve termine. Esso rileva che uno strumento siffatto potrebbe rappresentare un passo avanti verso un livello più elevato di
tutela dei consumatori. Più in generale, lo strumento potrebbe rivelarsi una misura efficace per ridurre la differenza di potere contrattuale. Il governo svedese dubita che tale strumento sia realizzabile e necessario. Il governo federale tedesco ritiene che le riflessioni su uno strumento opzionale siano assai interessati. È del tutto
plausibile pensare che vi sia l’esigenza di un’alternativa “neutra”
che non sia la legge nazionale propria delle parti e che offra soluzioni equilibrate e pratiche. Lo scopo di facilitare le transazioni giuridiche nel mercato interno potrà essere realizzato nella misura in
cui si riuscirà a creare una serie di regole pratiche e accettabili per
le parti contrattuali. Il governo danese sottolinea che qualsiasi misura in tal senso deve rispettare i principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Una reazione chiaramente favorevole proviene dal
governo ungherese. Esso appoggia la preparazione e l’adozione di
uno strumento opzionale, purché si proceda sulla base di lavori di
ricerca, in maniera trasparente e consultando regolarmente i governi. Una risposta negativa, invece, viene dal governo britannico che
non appoggia la precedente opzione IV indicata nella Comunicazione del luglio 2001 in nessuna delle sue forme. Tuttavia, tale governo trasmetterà alla Commissione un documento in cui sarà presentata in modo dettagliato una serie di problemi, preoccupazioni e
questioni che andrebbero discusse. Il governo francese, che esprime
anch’esso riserve sullo strumento opzionale, invita l’UE ad astenersi dal fissare una nuova serie indipendente di regole sulle transazioni transfrontaliere”.
• RISPOSTE DELLE ORGANIZZAZIONI DEI CONSUMATORI:
Gli esponenti delle associazioni dei consumatori esprimono “la
preoccupazione che uno strumento opzionale basato sul principio
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
33
della libertà contrattuale possa non contenere le norme obbligatorie necessarie per tutelare i consumatori contro l’abuso del potere
negoziale da parte delle imprese”.
• RISPOSTE DEGLI OPERATORI DEL DIRITTO:
Le risposte degli operatori del diritto sulla misura in oggetto sono,
come è facile intuire divergenti. Non potendo qui, in modo esaustivo, analizzarle una per una, ci si limiterà a offrirne una visione
d’insieme, così come inserita nel rapporto ufficiale della Commissione 54.
“Alcuni contributi rifiutano con decisione l’ipotesi di uno strumento opzionale perché lo considerano non necessario o addirittura inutile. Altri professionisti appoggiano tale misura perché prevedono
che essa faciliterà le transazioni transfrontaliere. Alcuni sottolineano, poi, che oltre ad uno strumento orizzontale facoltativo dovrebbe esistere un organo giurisdizionale che assicuri un’applicazione
uniforme negli Stati membri. […] Mentre un professionista sottolinea, poi, che lo strumento dovrebbe essere limitato ai problemi esistenti dell’attuale acquis e che occorre prestare particolare attenzione all’adempimento del contratto, un altro, di contro, auspica un
codice che abbia ad oggetto tutto il diritto contrattuale e che riguardi sia le relazioni transfrontaliere sia quelle nazionali. Altri, infine,
sostengono che lo strumento opzionale non dovrebbe prevalere su
nessuna norma cogente di diritto nazionale e dovrebbe essere conforme alle norme di ordine pubblico degli Stati membri”.
Cosa importante da segnalare è che, quasi tutti gli operatori del
diritto, compresi coloro che non sono favorevoli ad una unificazione del diritto contrattuale (tramite la redazione di un codice
opzionale), sono, tuttavia, dell’avviso che “se si deciderà di elaborare uno strumento opzionale, la sua applicazione dovrebbe essere
facoltativa (opt – in). Solo due contributi sostengono l’opportunità
di rendere obbligatoria l’applicazione dello strumento opzionale,
almeno per quanto riguarda i contratti conclusi con i consumatori”.
Quanto alla natura dell’atto giuridico mediante cui adottare lo
strumento, “un partecipante propone di usare un regolamento, un
altro suggerisce di utilizzare una direttiva o un regolamento”.
(54) I singoli contributi possono essere visualizzati nell’allegato alla “Reazione
al Piano d’azione – un diritto contrattuale europeo più coerente”, che è attualmente
pubblicato sul sito http://europa.eu.int/comm/consumers/cons_int/safe_shop/
fair_bus_pract/cont_law/index_en.htm
34
D. DE RADA
Le critiche più forti sono state mosse dai giuristi inglesi che sono
arrivati al punto di contestare persino la competenza dell’Unione in
materia di diritto privato europeo, in quanto non prevista dal Trattato
istitutivo; ma come sottolineato da autorevole dottrina: “Parlamento e
Commissione sono dell’idea che l’armonizzazione del diritto privato sia
necessaria per l’integrazione del mercato unico, e che affidare invece i
rapporti contrattuali tra professionisti e tra professionisti e consumatori
alle regole del diritto internazionale privato sulla scelta della legge applicabile, oppure affidare alle parti questo compito (come richiederebbe
la libertà contrattuale) sia inopportuno, non solo perché molte volte le
parti non sono esperte, ma perché sarebbero esposte alla ignoranza della
legge effettivamente applicata; solo pochi eletti conoscono gli ordinamenti
di tutti o di alcuni dei Paesi membri, e per la circolazione di beni e servizi è invece opportuno che le regole siano uniformi. […] La costruzione
dell’Europa – dell’Europa dei diritti – è difficile, tortuosa, assai faticosa.
Ma stiamo assistendo ad un fenomeno storico del tutto peculiare: normalmente l’introduzione di un nuovo mondo giuridico è frutto di una
rivoluzione. Qui si è costruita prima l’Europa dei diritti che non l’Europa politica. E l’Europa, da mera espressione geografica, da accidente storico, da dominio delle Grandi Potenze, è ora diventata il modello dei
diritti, individuali, incentrati sulla persona. Il collegamento tra diritto
privato europeo e Costituzione europea, con i suoi valori, è stretto e deve
essere approfondito” 55.
Il fine del diritto comunitario è la creazione di un mercato unico
e ciò, naturalmente, implica la rimozione di tutte le barriere esistenti
nell’ambito degli ordinamenti nazionali che si pongono come ostacolo
al raggiungimento di tale scopo primario.
Ragion per cui, le Istituzioni comunitarie, indipendentemente dalle
critiche espresse da alcuni Governi e da alcuni operatori del diritto
(principalmente inglesi, più interessati a salvaguardare i propri istinti
nazionalisti, che a perseguire il bene comune), hanno iniziato a lavorare seriamente per la creazione di un primo vero complesso di regole
uniformi da utilizzare per le transazioni extra confini, opzionale certo,
data la non unanimità di vedute, ma pur sempre azionabile da chiunque se ne voglia saggiamente servire.
Difatti, non solo il 19 maggio 2010 la formazione dello strumento opzionale in questione è stato inserito tra le azioni chiave della Commissione Digital Agenda per l’Europa, ma il 12 aprile 2011 il Parla(55) ALPA G., “Diritto privato europeo. Come costruire l’unità nel rispetto della
diversità”, Messina 28-30 settembre 2005, p. 4-5.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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mento europeo ha votato favorevolmente per l’adozione, tra le varie
soluzioni presentate dalla Commissione nella Comunicazione del 2001
e nel Piano d’azione 2003, di un Codice europeo opzionale dei contratti che si ponga come alternativo alle leggi vigenti nazionali e ne ha
disposto l’inizio dei lavori già con la prossima Presidenza polacca (secondo quanto riferito, subito dopo la votazione, dal Vice-presidente
della Commissione Vivianne Reding).
3. Nei paragrafi precedenti, abbiamo avuto modo di esporre analiticamente le ragioni che hanno portato a ritenere fondamentale, al
fine di raggiungere lo scopo principale dell’Unione Europea (ossia
promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di
un’unione economica e monetaria, nonché mediante l’attuazione delle
politiche e delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso delle attività
economiche ed un’espansione continua ed equilibrata delle stesse,
un’accresciuta stabilità, un miglioramento sempre più rapido del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà tra gli Stati membri ed un’integrazione non solo economica,
ma anche politica e sociale), disciplinare, in maniera uniforme, tutti i
rapporti civili, ponendo particolare attenzione a quelli contrattuali.
Questo perché il diverso trattamento cui sono sottoposti i rapporti giuridici di diritto privato nei singoli ordinamenti nazionali è certamente di ostacolo alla realizzazione del mercato unico, inteso come
libero scambio di merci, servizi, capitali e lavoro all’interno dell’Unione. In un mercato fondato sulla libera concorrenza, infatti, tutti gli
operatori, benché appartenenti ad ordinamenti giuridici diversi, dovrebbero essere posti sullo stesso piano e dovrebbero poter competere, all’interno del mercato medesimo, in condizioni di perfetta parità.
Tanto è vero che, l’esigenza di disciplinare, in funzione della migliore realizzazione del mercato unico, in maniera uniforme i rapporti
civili (ed in particolare quelli contrattuali) è spesso e volentieri adottata come giustificazione dell’intervento degli Organi comunitari nel settore generale del diritto privato e per rendere tale intervento compatibile con il principio di sussidiarietà, posto che gli artt. 100 e 100 A del
Trattato CE attribuiscono al Consiglio la competenza ad emanare direttive volte al ravvicinamento delle “disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano una incidenza
diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune”.
Orbene, trovato il fine occorre ora individuare il mezzo più idoneo ed efficiente a raggiungerlo. Cosa non semplice vista l’importanza
rivestita dalla materia in oggetto in tutti gli ordinamenti nazionali e
36
D. DE RADA
data l’esistenza sul territorio di due sistemi giuridici (Civil law e Common law) con caratteristiche concettuali e di applicazione del diritto
profondamente diverse, si potrebbe dire antitetiche, che spaccano, virtualmente, in due tronconi i Paesi dell’Unione.
Nei primi anni 90, lo strumento privilegiato per avvicinare le legislazioni era, senza dubbio, la direttiva. Essa aveva l’evidente vantaggio di non invadere la sfera di competenza di ciascun Stato membro,
consentendo una scelta individuale del modo e dei tempi per il suo
recepimento. Gran parte delle politiche concernenti la tutela dei consumatori, ad esempio, sono state attuate proprio attraverso detto strumento.
Tale vantaggio, però, si è ampiamente dimostrato essere anche
un forte limite. Troppo spesso, infatti, gli Stati membri hanno procrastinato il recepimento delle direttive comunitarie, negando i diritti e le
necessarie tutele ai propri cittadini e costringendo così la Commissione ad emanare le conseguenti sanzioni.
Senza contare che, in ogni caso, per quanto qui rileva, l’uso di
tale strumento garantirebbe unitarietà nelle regole di base, ma non
nella loro declinazione, contribuendo a generare incertezza nei contratti.
Dagli anni 2000 in avanti la Comunità (oggi Unione) Europea ha
di gran lunga preferito fare ricorso allo strumento del regolamento.
Esso, del resto, garantisce certamente la preminenza del suo contenuto da un punto di vista della gerarchia delle fonti ed è uno strumento di immediata applicazione.
Tuttavia il regolamento esprime al meglio tutto il suo potenziale
di unificazione nei settori ove vi è stata poca normazione nazionale,
come per esempio la politica agricola comunitaria e la politica della
concorrenza.
La sfida del nuovo millennio, invece, è quella di creare una autentica comunità, Unione, di Stati, ove le diversità costituiscano ricchezza e non divisione, anche dal punto di vista normativo.
L’Europa si trova oggi in una situazione in cui ha il dovere di
rilanciare il proprio ruolo all’interno della comunità internazionale,
mostrando coesione e puntando a divenire punto di riferimento anche
nella scelta della regolamentazione e della legislazione applicabile.
L’esistenza di un diritto dei contratti europeo, con norme comuni di riferimento (common frame) potrebbe addirittura elevare tale diritto a tertium genus nella scelta dei principi applicabili.
Non più e non solo, quindi, i Principi Unidroit o la lex mercatoria.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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Del resto, oggi, non si può seguitare a ritenere che le prassi da
sole siano ancora sufficienti ad ottenere obiettivi uniformanti, poiché
esse sono esposte a rapidi cambiamenti e sono strutturalmente volatili. Sono cioè da considerarsi assai distanti sia le proposte di attendere
la naturale convergenza degli ordinamenti (cfr. B. MARKESINIS), sia le
critiche ad ogni armonizzazione in virtù del valore della diversità: culturale, lessicale, logica e tecnica delle esperienze giuridiche europee
(cfr. P. LEGRAND); nonché le critiche alla “codificazione” in sé del diritto privato europeo 56.
Come sostiene autorevole dottrina: “l’armonizzazione, un tempo
incentrata sul minimo comun denominatore dei diversi ordinamenti, ora
ha alzato il suo livello, ed è divenuta molto più stringente. L’armonizzazione più estesa dà luogo a due ulteriori fenomeni: da un lato, l’uniformazione vera e propria, nei settori di intervento comunitario, dall’altro,
la naturale espansione di queste regole ad altri settori che, pur non appartenendo all’area di competenza degli organi comunitari, tuttavia, essendo ad essa attigui, ne risentono l’influenza” 57.
Nel mese di luglio 2001 la Commissione ha emanato una Comunicazione al Consiglio ed al Parlamento, sul diritto europeo dei contratti, con lo scopo di stimolare, per la prima volta in modo significativo, una discussione circa i possibili eventuali mezzi utilizzabili al fine
di eliminare le difficoltà connesse alla diversità delle discipline europee sul contratto. In pratica, la Commissione cercava, in questo modo,
di raccogliere dati per valutare la necessità ed il conseguente grado di
efficienza di un’azione comunitaria più estesa in quest’area. Ciò che ci
si chiedeva era quanto avrebbero incrementato i costi delle transazioni inter-statali le differenze sostanziali dei diritti nazionali. Probabilmente, la risposta più semplice ed immediata sarebbe stata quella basata su dati concreti, idonei a dimostrare l’effettivo aumento o diminuzione dei costi transattivi in una situazione in cui permane la diversità dei diritti nazionali; ma a distanza di anni i dati raccolti sono stati
insufficienti e, in termini di costi, quelli per il monitoraggio, hanno
limitato l’azione della Commissione che si è dovuta accontentare delle
opinioni espresse dai Governi e da gruppi di giuristi, prive di un supporto concreto. Queste opinioni, lungi dall’essere pareri neutri e di(56) Per approfondimenti v. ALPA G. op. cit., Atti del convegno Camerino 3-7
settembre 2007, p. 3; ALPA G. “Il diritto privato nel prisma della comparazione”, Torino 2006.
(57) ALPA G. “Diritto privato europeo. Come costruire l’unità nel rispetto della
diversità”, Atti del convegno Messina 28-30 settembre 2005, p. 3.
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D. DE RADA
sinteressati, hanno quasi certamente celato, quindi, la reale volontà
dei cittadini europei 58.
Successivamente, il 19 maggio 2003, la Commissione ha adottato
una Comunicazione nella quale ha stabilito un piano di azione per la
realizzazione di una coerente disciplina europea del contratto. In particolare, secondo tale piano, avrebbe dovuto essere scritto un “Quadro comune di riferimento” (CFR – Common Frame of Reference) di
termini, nozioni e principi.
Si è dovuto, però, attendere il mese di luglio 2010, con la pubblicazione del “Libro Verde sulle opzioni possibili in vista di un diritto
europeo dei contratti per i consumatori e le imprese” (COM
(2010)0348), perché la Commissione lanciasse nuovamente una consultazione delle parti interessate per individuare soluzioni che consentano di migliorare il diritto dei contratti dell’Unione Europea, consapevole del fatto che le diversità che caratterizzano i sistemi giuridici
degli Stati membri, pur costituendo una ricchezza, inevitabilmente si
pongono come ostacoli al buon funzionamento del mercato interno
europeo. Essa, cioè, si è adoperata (e si sta adoperando) per la realizzazione della c.d. “strategia Europa 2020”, lanciata dal Presidente José
Manuel Barroso il 3 marzo 2010 ( IP/10/225), per eliminare gli ostacoli al mercato unico e incentivare la ripresa economica. Infatti, secondo tale strategia “tre sono i fattori chiave da raggiungere per una
crescita adeguata dell’Unione, da adottare mediante azioni concrete a
livello sia comunitario che nazionale: una crescita intelligente (stimolando la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale);
una crescita sostenibile (rendendo la nostra produzione delle risorse
più efficiente e migliorando la competitività) ed un accrescimento del
mercato del lavoro, dell’acquisizione di competenze e della lotta contro la povertà. Ciò in quanto sia i consumatori che le aziende devono
affrontare notevoli ostacoli per cercare di entrare nel mercato unico
della UE. I costi di transazione e di incertezza del diritto circa i diritti
contrattuali stranieri rendono, ogni giorno, particolarmente difficile
per le piccole e medie imprese (che costituiscono il 99% di tutte le
aziende comunitarie) di espandersi all’interno del mercato unico”.
A questo scopo la Commissione, con il progetto del Libro verde,
si è impegnata sia per trovare soluzioni armonizzate per i contratti dei
consumatori, sia per elaborare clausole contrattuali tipo e segnare, così,
progressi verso un diritto europeo dei contratti 59.
(58) V. IANNELLO S., “Il codice civile europeo e la Modern Law and Economics:
un approccio metodologico”, 2010, in www.altalex.com
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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In esso, dopo aver affermato che “i contratti sono essenziali per
l’esecuzione di attività commerciali e per le vendite ai consumatori”,
si elencano proposte e possibili strumenti di uniformazione della materia:
• “legge raccomandazione: ossia appello agli Stati membri di adottare volontariamente il Codice europeo dei contratti nei loro sistemi
giuridici nazionali;
• diritto contrattuale europeo opzionale (c.d. 28° regime): dove la
disciplina comune si porrebbe come alternativa possibile alle leggi già
esistenti nei singoli Paesi e con la certezza di garantire una regolamentazione uniforme per tutto il ciclo della vita del contratto;
• armonizzazione del diritto contrattuale nazionale tramite una direttiva europea;
• piena armonizzazione delle norme contrattuali nazionali per mezzo
di un regolamento CE;
• creazione di un vero e proprio codice civile europeo: in sostituzione di tutte le norme nazionali in materia”.
Leggendo il progetto di relazione relativo alla proposta di risoluzione del Parlamento Europeo “sulle opzioni possibili in vista di un
diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese (2011/
2013(INI))”, redatto il 25.2.11 dalla Relatrice Diana Wallis, emerge
come, a differenza di quanto era accaduto all’inizio degli anni Novanta, in cui si era manifestato un aperto dissidio tra gli orientamenti del
Parlamento europeo, incline a promuovere un codice civile europeo, e
la Commissione, più favorevole ad una armonizzazione del diritto contrattuale espressa mediante la elaborazione di principi, oggi si pensi
alla redazione di una cornice di principi, circoscritta al diritto contrattuale e alle altre fonti delle obbligazioni, nonché a qualche contratto
speciale 60. In questo senso si era espresso anche il documento COM
(2005) 456 diffuso dalla Commissione, in cui, apprezzando l’indirizzo
del CFR-Net, si indicava questo percorso da seguire nel futuro.
Nella relazione della Wallis si legge: “il relatore ritiene che vada
privilegiata l’opzione di mettere a punto uno strumento opzionale per il
diritto europeo dei contratti mediante un regolamento (opzione 4). Tale
opzione potrebbe essere completata da un pacchetto di strumenti per la
Commissione e il legislatore (opzione 2) da attuarsi mediante un accordo interistituzionale. A giudizio del relatore, un pacchetto di strumenti
ha il vantaggio che potrebbe essere messo a punto in modo relativamen(59) Azione chiave dell’ agenda digitale europea presentata il 19 maggio 2010.
(60) ALPA G. op. cit., Atti del convegno Messina 28-30 settembre 2005, p. 3.
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D. DE RADA
te rapido; potrebbe essere introdotto per tappe e potrebbe essere messo a
disposizione della Commissione, in un primo tempo, al momento di proporre norme legislative relative al diritto contrattuale e successivamente,
in una seconda fase, al Parlamento e al Consiglio, previa conclusione di
un accordo interistituzionale, al momento di legiferare sulla materia. La
velocità con cui si potrebbe elaborare un pacchetto di strumenti garantirebbe una prima prova sul campo dei singoli elementi del quadro comune di riferimento e una prima giurisprudenza, preparando così la base
giuridica su cui si esplicherà lo strumento opzionale. Secondo il relatore
lo strumento opzionale, ad esempio se raffrontato alle norme internazionali vigenti quali la convenzione di Vienna sulla vendita internazionale
di beni e i Principi UNIDROIT dei Contratti Commerciali Internazionali, offre il chiaro vantaggio di offrire certezza giuridica nell’ambito della
giurisdizione della Corte di giustizia e la pluralità linguistica. In particolare, il relatore reputa positivo che uno strumento opzionale amplierà la
scelta delle parti e si dimostrerà vantaggioso se sarà visto come interessante dalle parti e quindi sarà scelto. In caso contrario non vi saranno
svantaggi per nessuno. Il relatore ritiene inoltre che un meccanismo di
controllo e di riesame sarà di importanza cruciale per garantire che lo
strumento opzionale risponda alle esigenze del mercato e agli sviluppi
sul piano giuridico ed economico. […] Il relatore sottolinea soprattutto
che la semplicità e l’utilizzo immediato devono essere obiettivi chiave.
Inoltre uno strumento opzionale dovrà essere visto nell’ottica di condizioni e modalità uniformi e per coloro che vogliono utilizzare lo strumento opzionale, in particolare le PMI, sarà di importanza cruciale che
esistano norme uniformi semplici e comprensibili. L’introduzione di un
sistema di marchio di fiducia garantirebbe una maggiore fiducia da parte
dei consumatori.
Il relatore ritiene inoltre che si dovranno sviluppare sinergie con
la risoluzione alternativa delle controversie nonché con il procedimento
europeo d’ingiunzione di pagamento e il procedimento europeo per le
controversie di modesta entità”.
Il perché della scelta di uno strumento opzionale è presto detto.
L’Europa non è ancora pronta per un diritto privato uniforme
vincolante.
Certamente l’idea di un codice civile europeo dei contratti è suggestiva, nonché radicale. Come è stato per la moneta unica.
Ma l’impatto nella vita economica e sociale dei cittadini sarebbe
eccessivo. Non possiamo nascondere che ancora oggi è presente un
deficit democratico dell’Europa, che, aggravato dalla crisi della politica, rischia di allontanare sempre più il cittadino dalle istituzioni co-
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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munitarie. E ciò, nonostante passi importanti siano stati compiuti sino
all’innovativo trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea. Come affermato da Mario Monti nel Rapporto su come rilanciare il mercato unico “la ricerca del consenso (con il pieno coinvolgimento del Parlamento europeo, degli Stati membri, del Consiglio e delle
parti interessate) dovrà essere pertanto una componente fondamentale
di una nuova strategia per il mercato unico”.
Analizzando i dibattiti sorti in seno alla Commissione e ai Comitati di esperti, si è dovuto, pertanto, aderire all’idea che vede l’introduzione di un codice europeo attraverso il c.d. ‘ventottesimo regime’
o il regime ‘n+1’ – opzionale e alternativo rispetto a quelli esistenti nei
singoli Stati membri. Come del resto già accaduto nel campo della
regolamentazione dei servizi finanziari, in riferimento al “Libro verde
sui servizi finanziari al dettaglio nel mercato unico”, e al “Libro bianco sull’integrazione dei mercati UE del credito ipotecario”, al fine di
ottenere un quadro di riferimento comune 61.
Anche l’UNCITRAL, la Commissione che opera in seno alle Nazioni Unite, si sta occupando delle medesime questioni, come è risultato dal congresso organizzato a Vienna sul Modern Law for Global
Commerce (Vienna, 9-12 luglio 2007). Da alcune relazioni è emerso:
che l’incertezza legislativa crea costi, e l’incertezza è massima quando
le regole non sono uniformi nei Paesi che intrecciano scambi tra loro 62;
che appare auspicabile, anche per l’efficienza del commercio internazionale, approdare ad un «codice opzionale», un codice del diritto
contrattuale non imposto ma scelto dagli operatori economici 63; non
necessariamente confidando sulle regole del diritto internazionale
privato 64. Modello che potrebbe essere anche seguito dai legislatori
nazionali 65.
Ma è chiaro che mentre il modello di codice europeo dovrebbe
risultare opzionale per le parti, come se si trattasse di un ulteriore ordinamento nazionale, le parti non dovrebbero poi poter derogare alle
norme in esso previste; e non è facile, ovviamente raggiungere un equi-
(61) Questa prospettiva è stata più volte richiamata nel già citato Rapporto consegnato da Mario Monti al Presidente della Commissione Barroso.
(62) WAGNER H., Costs of Legal Uncertainty: Is Harmonization of Law a Good
Solution?
(63) SMITS, The Practical Importance of Harmonization of Commercial Contract
Law.
(64) WAGNER G., Transaction Costs, Choice of Law and Uniform Contract Law
(65) BONELL, Towards a Legislative Codification of the UNIDROIT Principles.
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D. DE RADA
librato «mix» tra norme derogabili e norme non derogabili, se si versa
in materia di autonomia contrattuale 66.
Il vantaggio del ventottesimo regime è di raddoppiare le possibilità per cittadini e imprese, i quali potranno optare sia per un quadro
unico di riferimento a livello europeo, sia per le norme nazionali (specie se si muovono all’interno del solo ambito nazionale).
A tale modello, poi, dovrà tendere la convergenza dei sistemi nazionali, i quali in un periodo da determinarsi, sulla base delle variabili
socio-economiche interne, si uniformeranno ad esso.
Lo stesso modello potrebbe ambire, addirittura, a divenire legge
di riferimento negli scambi internazionali, alla pari di altri sistemi di
creazione sovranazionale.
La risposta definitiva sulla scelta dell’Unione dello strumento più
idoneo per il raggiungimento dell’obiettivo di armonizzazione del diritto contrattuale è giunta il 12 aprile 2011 quando, a Bruxelles, il Parlamento Europeo ha approvato la relazione, proposta della Commissione giuridica, circa l’opportunità di elaborare un diritto contrattuale
europeo di tipo opzionale. Diritto che, quindi, diverrà presto disponibile come alternativo alle leggi nazionali vigenti in tema di contratti
(sia transfrontalieri che interni) e che sarà disponibile in tutte le lingue
dell’Unione.
Sottolinea, infatti, il Vice-presidente della Commissione Europea
e Commissario della Giustizia, Diritti fondamentali e Cittadinanza,
Viviane Reding: “è una buona notizia per il mercato unico e l’Europa. Il
diritto europeo dei contratti opzionale faciliterà le operazioni oltre frontiera, in particolare per le piccole e medie imprese ed i consumatori. […]
Abbiamo in programma una prima iniziativa sul diritto contrattuale europeo per la Presidenza polacca”.
4. Nella relazione della Wallis al Parlamento Europeo sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese (2011/2013(INI)) si legge: “Il relatore ritiene che i
contratti tra imprese e tra imprese e consumatori dovrebbero essere disciplinati da uno strumento opzionale ed è convinta che il livello di tutela dei consumatori dovrà essere elevata per garantire gli effetti desiderati
sul mercato interno. Il relatore ritiene inoltre che uno strumento opzionale potrebbe avere un carattere “opt-in” sia nelle situazioni transfrontaliere che nazionali, ma auspica che si analizzi in modo esauriente se e
(66) ALPA G. op. cit., Atti del convegno Camerino 3-7 settembre 2007, p. 7.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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come la disponibilità di uno strumento opzionale per le transazioni nazionali inciderebbe sull’evoluzione del diritto dei contratti nazionale; tale
analisi potrebbe essere svolta nell’ambito della valutazione dell’impatto
che dovrà accompagnare la proposta di qualsiasi strumento in materia di
diritto dei contratti. Il relatore prende atto delle voci che si levano per
limitare un futuro strumento in materia di diritto dei contratti all’e-commerce o alle vendite a distanza e riconosce che tali contratti sarebbero uno
dei principali campi di applicazione di un siffatto strumento, ma non desidera creare una differenziazione artificiale tra transazioni virtuali e a distanza e transazioni dirette e pertanto non è favorevole a limitare il campo
di applicazione di uno strumento opzionale sotto tale profilo. Quanto al
campo di applicazione concreto dello strumento, secondo il relatore esso
dovrebbe concentrarsi sulle questioni essenziali del diritto contrattuale. In
merito alla copertura di specifiche tipologie di contratti, il relatore ritiene
che occorra dare priorità alle disposizioni relative alla vendita di beni, come
pure ai contratti di servizio. Va ricordato che il Parlamento ha già sottolineato nella sua risoluzione del 2 settembre 2003 che uno strumento opt-in
nei settori dei contratti con i consumatori e nei contratti assicurativi dovrebbe essere prioritario e il relatore coglie i vantaggi offerti da uno strumento opzionale relative ai contratti assicurativi di modesta entità. Inoltre
è interessato a esaminare le opportunità che possono essere offerte da uno
strumento opzionale per quanto riguarda i diritti digitali e la proprietà
effettiva, questioni che sono state sollevate nelle discussioni in corso. D’altro canto, il relatore reputa necessario definire chiaramente i limiti per
quanto riguarda le tipologie dei contratti coperti. Ad esempio, dovrebbe
essere chiaro che i contratti complessi di diritto pubblico o taluni contratti
di entità considerevole nel settore degli appalti pubblici non dovrebbero
ricadere nell’ambito di uno strumento opzionale”.
Dal testo appena citato emergono due punti fondamentali:
1) la volontà di concepire l’unificazione del diritto europeo dei
contratti come un insieme di Principi giuridici che, attraverso l’emanazione di apposito regolamento, costituiscano uno strumento opzionale per gli Stati membri;
2) l’incertezza, aimè, evidente sul suo contenuto.
Ciò, come si è detto in precedenza, probabilmente trova la sua
ragion d’essere nel fatto che l’Europa non è ancora pronta per un diritto privato uniforme e vincolante. Il processo di armonizzazione deve
essere necessariamente attuato mediante step graduali ed intermedi.
Lungi dal dover in questa sede entrare nel dettaglio dei singoli
precetti da inserire nel regolamento da emanare, è, tuttavia, possibile
e doveroso chiedersi che caratteristiche avranno questi “Principi”.
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D. DE RADA
Certamente non dovranno essere una semplice razionalizzazione
dell’esistente perché i materiali, sino ad ora raccolti e, quindi, a disposizione per un semplice riordino in un unico testo, hanno avuto origine in un contesto istituzionale prevalentemente, e talora esclusivamente,
dominato dalla sola logica di mercato, dunque da un sistema di valori
non più corrispondente a quello ora delineato dal nuovo Trattato di
Lisbona (entrato in vigore il 1° dicembre 2009) che ha recepito i precetti della Carta europea dei diritti fondamentali 67.
In sostanza, indipendentemente dal fatto che si arrivi o meno ad
una vera e propria codificazione, occorre concepire la nuova legislazione europea di diritto privato in linea con la recente evoluzione che
il nuovo testo del Trattato istitutivo dell’Unione ed il suo allargamento
hanno prodotto. Si rischia, altrimenti, di avere un’Unione Europea a
due velocità: una “costituzionale”, fondata sui diritti fondamentali e,
l’altra, “privatistica”, ancora legata alla logica di mercato 68.
Nel preambolo ufficiale della Carta europea dei diritti fondamentali (pubblicata il 18.2.2000 sulla Gazzetta Ufficiale della UE) si afferma che l’Unione “pone la persona al centro della sua azione” e, nel
testo, si riconoscono pienamente sia i diritti civili, politici e sociali, che
i c.d. “nuovi diritti” (tra cui la protezione dei dati personali e l’ambiente). Il che significa che siamo ormai di fronte all’abbandono, sia
pure tendenziale, della logica individualista e patrimonialista che ha
palesemente caratterizzato la prima fase della costruzione dell’Europa
unita.
Quando pensiamo alla possibile struttura interna di un Codice
Civile europeo dei contratti, non possiamo immaginare di inserire al
suo interno una disciplina analitica, tipica dei tradizionali codici civili
nazionali ai quali siamo abituati, ma dobbiamo focalizzarci sulla precisa struttura che ha delineato la Commissione giuridica nel progetto di
(67) Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, dota l’Unione
europea di istituzioni moderne e di metodi di lavoro ottimizzati per rispondere in
modo efficace ed efficiente alle sfide del mondo di oggi in rapida evoluzione, per
affrontare temi quali la globalizzazione, i cambiamenti climatici, l’evoluzione demografica, la sicurezza e l’energia gli europei guardano all’UE. In particolare, il Trattato
rafforza la partecipazione democratica in Europa e la capacità dell’UE di promuovere
quotidianamente gli interessi dei propri cittadini. L’obiettivo del Trattato, cioè, è quello
di adeguare le istituzioni europee e i loro metodi di lavoro al Mondo che cambia, di
rafforzare la legittimità democratica dell’Unione e di consolidare i valori fondamentali che ne sono alla base.
(68) RODOTÀ S., “Il Codice Civile e il processo costituente europeo”, in Riv. critica
del diritto privato 2005, p. 4.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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relazione al Parlamento europeo citato all’inizio, ossia un “codice di
principi” basato fondamentalmente su clausole generali.
Così facendo si ottiene immediatamente un raccordo tra le clausole contenute nel codice ed i valori espressi nel Trattato costituzionale, in particolare nella Carta dei diritti fondamentali.
Interpretazione e concretizzazione delle clausole generali, infatti,
non possono più prescindere dai valori e dai principi contenuti nel
testo costituzionale medesimo. Una codificazione per principi, e non
per regole analitiche, consente, in pratica, di realizzare una finalità di
coerenza con il quadro costituzionale ed un obiettivo di efficienza,
rendendo la disciplina giuridica adattabile a situazioni variabili.
Un codice di principi così realizzato può divenire lo strumento
per passare da una “armonizzazione analitica”, sulla base delle norme
esistenti, ad una “unificazione flessibile”, capace di adattarsi cioè a
situazioni e culture diverse, individuandone le condizioni di compatibilità e coesistenza.
Interessante, in tal senso, sono le risposte scritte inviate dal Commissario designato per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza – Sig.ra Vivianne Reding – il 7 gennaio 2010 al Parlamento Europeo, nelle quali si legge: “Sul fronte della giustizia civile e commerciale, vorrei dare un fondamento più sicuro e coerente alle relazioni contrattuali nel mercato interno, in particolare quelle tra imprese e consumatori, in modo da agevolare le operazioni transfrontaliere. Intendo pertanto dedicarmi ai primi tre tasselli di un diritto contrattuale europeo
coerente, ossia le condizioni e le clausole contrattuali standard, i diritti
del consumatore e i principi comuni del diritto contrattuale, con l’intento di spianare la strada alla creazione di un codice civile europeo (che
potrebbe configurarsi come strumento volontario inteso a migliorare la
coerenza, oppure come “ventottesimo regime” opzionale o come progetto
più ambizioso). Avvierò poi un dibattito su come regolamentare il diritto commerciale nel mercato interno, definendo per esempio norme comuni sulla legge applicabile alle questioni di diritto societario, ai contratti assicurativi e alla cessione dei crediti 69.
[...]
Mi riprometto di muovere a grandi passi verso un diritto contrattuale europeo che agevoli le operazioni transfrontaliere, specie nelle
relazioni tra imprese e consumatori. Intendo per questo concludere,
(69) Obiettivo raggiunto con il voto favorevole del Parlamento Europeo, alla
redazione di un Codice civile europeo opzionale, del 12 aprile 2011.
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D. DE RADA
entro il 2010 e con il sostegno di esperti accademici di tutta Europa, i
lavori sul quadro comune di riferimento, da inserire successivamente
in un atto giuridico cui sia data massima pubblicità. Intendo poi accelerare i lavori sulle condizioni e le clausole contrattuali standard, che
costituiscono uno strumento essenziale per relazioni più affidabili e
meno onerose tra imprese e consumatori. Vorrei inoltre lavorare a stretto contatto con il Parlamento e il Consiglio per ultimare con successo
la procedura legislativa in corso sulla direttiva relativa ai diritti dei
consumatori, la cui importanza è cruciale sia perché istituisce diritti
saldi per i consumatori, sia perché garantisce condizioni di parità alle
imprese. Sarà mia cura assicurare la compatibilità fra i lavori sulla direttiva e quelli più ampi sul diritto contrattuale europeo, e che l’obiettivo ultimo sia rafforzare complessivamente i diritti dei consumatori e
garantire pertanto a questi ultimi un elevato grado di protezione. Per
tutte le questioni a quelli inerenti, lavorerò gomito a gomito con il
Commissario per la Salute e la politica dei consumatori.
[...]
Creare uno spazio europeo dei diritti fondamentali coeso e coerente implica che i tre sistemi di diritti fondamentali di cui dispone
l’Unione (Carta dei diritti fondamentali, convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e diritti
fondamentali garantiti dalle costituzioni degli Stati membri) operino
insieme con efficacia, si integrino e si corroborino l’un l’altro nell’interesse del singolo. Con riferimento alla Carta UE (intesa anzitutto per
le istituzioni e gli organi dell’Unione), sarà mio compito fondamentale
assicurare la conformità di tutte le proposte legislative dell’UE con i
diritti fondamentali enunciati dalla Carta, primi fra tutti la dignità
umana, la libertà di espressione, il rispetto della vita privata, il diritto
di proprietà, la libertà d’impresa, l’uguaglianza davanti alla legge, la
non discriminazione, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale”.
Assicurare la conformità di tutte le proposte legislative con i precetti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, significa senza
dubbio che tali precetti possono e devono necessariamente “ricostituzionalizzare” anche il diritto privato europeo 70.
Dello stesso avviso anche la Corte europea di giustizia che, in
merito al caso Omega dell’ottobre 2004, ha ritenuto legittimo il divieto di un’attività economica perché in contrasto con il principio di dignità.
(70) Per approfondimenti v. RODOTÀ S., op. cit., 2005, p. 9.
CODICE CIVILE EUROPEO: TRA NECESSITÀ E RILIEVI CRITICI
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L’Unione Europea, pertanto, sarà costretta a prendere coscienza
di ciò, anche se deciderà (come appare) di seguire vie diverse da quelle di una codificazione in senso proprio.
Naturalmente, la previsione dei Principi uniformi costituirà una
sezione molto dettagliata e pragmatica del lavoro, ma non esaustiva,
rendendo comunque doverosa la presenza di una parte più concettuale per interpretarli, completarli ed integrarli.
DIMITRI DE RADA