Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: un patto tra le nazioni per

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Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: un patto tra le nazioni per
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SINTESI
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: un patto
tra le nazioni per porre fine alla povertà umana
Il nuovo secolo si è aperto con una dichiarazione di solidarietà e una determinazione senza precedenti a liberare il mondo
dalla povertà. Nel 2000 la Dichiarazione
del Millennio delle Nazioni Unite, adottata
nel corso di un vertice che ha visto riunito
il più gran numero mai raggiunto di capi di
stato, ha impegnato i paesi – ricchi e poveri – a fare tutto il possibile per eliminare la
povertà, promuovere la dignità umana e
l’uguaglianza e conseguire la pace, la democrazia e la sostenibilità ambientale. I leader del mondo hanno promesso di collaborare tra loro al raggiungimento di traguardi
concreti mirati al progresso dello sviluppo
e alla riduzione della povertà entro il 2015
o prima di tale anno.
Derivati dalla Dichiarazione del Millennio, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
impegnano i paesi a fare di più per sconfiggere l’inadeguatezza dei redditi, la fame
ampiamente diffusa, la disuguaglianza di
genere, il degrado ambientale e la mancanza di istruzione, assistenza sanitaria e fonti
idriche pulite (riquadro 1). Essi prevedono
inoltre che i paesi ricchi intraprendano
azioni finalizzate a ridurre il debito e aumentare gli aiuti, il commercio e i trasferimenti di tecnologie verso i paesi poveri. Il
Consenso di Monterrey del marzo 2002 –
riconfermato nella Dichiarazione sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, del settembre 2002 e nel Piano di attuazione di
Johannesburg – offre un quadro di riferimento per questa partnership tra paesi ricchi e paesi poveri.
Riesce difficile immaginare un momento più propizio per attivare azioni a sostegno di una simile partnership globale. Nel
2003 il mondo ha visto conflitti ancora più
violenti, accompagnati da un aumento della tensione internazionale e della paura del
terrorismo. Qualcuno potrebbe affermare
che la guerra alla povertà debba essere sospesa fino a quando non sarà vinta quella
contro il terrorismo. Ma sbaglierebbe. L’eSINTESI
sigenza di eliminare la povertà non entra in
competizione con la necessità di rendere il
mondo più sicuro. Al contrario l’eliminazione della povertà contribuirebbe a una
maggiore sicurezza mondiale – secondo la
visione della Dichiarazione del Millennio.
Per risolvere il problema della povertà
occorre comprenderne le cause. Il presente
Rapporto offre un contributo in tale direzione analizzando le motivazioni del mancato sviluppo. Durante gli anni ’90 i dibattiti sullo sviluppo si sono concentrati su tre
filoni tematici. Il primo riguardava la necessità di riforme economiche per dare origine a una stabilità macroeconomica. Il secondo si incentrava sulla necessità di istituzioni e sistemi di governo forti – per rafforzare lo stato di diritto e controllare la corruzione. Il terzo concerneva la necessità di
giustizia sociale e di coinvolgimento degli
individui nelle decisioni che li riguardano,
che riguardano le loro comunità e i loro
paesi – un tema di cui questo Rapporto
continua a sostenere l’importanza.
Tutti questi temi rivestono un ruolo
fondamentale per lo sviluppo umano sostenibile e continuano a meritare un’attenzione prioritaria nelle decisioni politiche. Tuttavia, essi trascurano un quarto fattore, esaminato in quest’occasione: i limiti di ordine
strutturale che ostacolano la crescita economica e lo sviluppo umano. Il Patto di
Sviluppo del Millennio presentato in questo Rapporto propone, per il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, un approccio politico che prende l’avvio dalla considerazione di tali limiti.
La gestione nazionale – da parte dei governi
e delle comunità – è fondamentale al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio. Gli Obiettivi, oltretutto, possono
alimentare il dibattito democratico e, se c’è
pressione da parte di popolazioni impegnate, è più probabile che i leader nazionali in-
RIQUADRO 1
Gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio e i traguardi
Obiettivo 1: Eliminare la
povertà estrema
e la fame
Traguardo 1 : dimezzare,
tra il 1990 e il 2015, la
percentuale di persone
il cui reddito è inferiore a 1
dollaro USA al giorno
Traguardo 2 : Dimezzare,
tra il 1990 e il 2015,
la percentuale di persone
che soffrono la fame.
Obiettivo 2: Raggiungere
l’istruzione
primaria universale
Traguardo 3: Assicurare che,
entro il 2015, in ogni luogo i
bambini, e i ragazzi
e le ragazze, siano in grado di
completare l’intero corso
scolastico di istruzione
primaria.
Obiettivo 3: Promuovere
l’uguaglianza di
genere e
l’empowerment
delle donne
Traguardo 4: Eliminare la
disuguaglianza di genere
nell’istruzione primaria e
secondaria, preferibilmente
entro il 2005 e ad ogni
livello di istruzione
non oltre il 2015.
Obiettivo 4: Ridurre la
mortalità infantile
Traguardo 5: Ridurre di
due terzi, tra il 1990 e il
2015, il tasso di mortalità
infantile al di sotto dei
cinque anni d’età.
(segue)
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RIQUADRO 1 (continua)
Gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio e i traguardi
Obiettivo 5: Migliorare la
salute materna
Traguardo 6: Ridurre di tre
quarti, tra il 1990 e il 2015, il
tasso di mortalità materna.
Obiettivo 6: Combattere
l’HIV/AIDS,
la malaria e
altre malattie
Traguardo 7: Aver arrestato
entro il 2015 la diffusione
dell’HIV/AIDS e aver
iniziato la fase di inversione
del fenomeno.
Traguardo 8: Aver arrestato
entro il 2015 e iniziato la
fase di inversione
dell’incidenza della malaria
e di altre importanti
malattie.
Obiettivo 7: Assicurare la
sostenibilità
ambientale
Traguardo 9: Integrare i
principi di sviluppo
sostenibile nelle politiche dei
paesi e nei programmi e
arrestare la perdita di risorse
ambientali.
Traguardo 10: Dimezzare
entro il 2015 la percentuale
di persone prive di accesso
sostenibile all’acqua
potabile.
Traguardo 11: Aver
raggiunto entro il 2020 un
significativo miglioramento
nelle vite di almeno 100
milioni di abitanti dei
quartieri poveri.
Obiettivo 8: Sviluppare una
partnership
globale per lo
sviluppo
Traguardo 12: Sviluppare un
sistema finanziario e commerciale aperto, disciplinato
e non discriminante (compreso un impegno a un buon sistema di governo, sviluppo e
riduzione della povertà – sia
a livello nazionale che internazionale)
(segue)
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traprendano le azioni necessarie al raggiungimento degli Obiettivi stessi.
Gli Obiettivi verranno raggiunti soltanto se acquisteranno significato per i miliardi
di individui per i quali sono stati concepiti.
Essi devono diventare una realtà nazionale,
abbracciata dai suoi attori principali – le
persone e i governi. Gli Obiettivi costituiscono un sistema metrico utile a valutare i
progressi – e rendere le persone povere in
grado di richiamare costantemente i leader
politici alle proprie responsabilità. Essi aiutano gli individui a lottare per politiche e
azioni che permetteranno di creare lavori
dignitosi, migliorare l’accesso alle scuole ed
estirpare la corruzione. Gli obiettivi si configurano, inoltre, come impegni assunti dai
leader delle nazioni, i quali devono rispondere di fronte al proprio elettorato della loro realizzazione.
Se adottati dalle comunità, gli Obiettivi
possono stimolare dibattiti democratici sull’operato del governo, soprattutto quando
vengono resi disponibili dati imparziali – affissi all’ingresso di ogni municipio. È altresì
possibile che essi fungano da principi programmatici nelle campagne elettorali dei
politici, come nel caso della campagna Fome Zero (Fame Zero) per l’eliminazione
della fame, promossa dal presidente brasiliano Luis Inacio «Lula» da Silva e compresa nel manifesto per la sua corsa alla presidenza.
I gruppi della società civile – dalle organizzazioni comunitarie alle associazioni
professionali, ai gruppi di donne, fino alle
reti di organizzazioni non governative
(ONG) – svolgono un importante ruolo
nell’aiutare ad attuare e controllare l’avanzamento verso gli Obiettivi. Questi ultimi,
tuttavia, necessitano anche di stati efficienti
in grado di mantenere gli impegni di sviluppo assunti. Essi necessitano anche di una
mobilitazione popolare che sostenga la volontà politica di raggiungerli. Per questa
mobilitazione popolare occorrono culture
politiche di partecipazione e apertura.
Le riforme politiche, quali il decentramento dei bilanci e delle responsabilità per
la fornitura dei servizi di base, avvicinano i
processi decisionali alla gente e rafforzano
le pressioni popolari per l’attuazione degli
Obiettivi. Là dove la decentralizzazione ha
funzionato – come in alcune parti del Brasile, della Giordania, del Mozambico, degli
stati indiani del Kerala, Madya Pradesh e
del Bengala Occidentale, – essa ha apportato notevoli miglioramenti. La decentralizzazione può generare un’azione di governo
che risponde più rapidamente ai bisogni
delle persone, denuncia la corruzione e riduce l’assenteismo.
Il decentramento, tuttavia, è difficile.
Perché esso riesca, è indispensabile la presenza di un’abile autorità centrale, di autorità locali impegnate e dotate di adeguato
potere finanziario e di cittadini partecipi inseriti in una società civile bene organizzata.
In Mozambico alcune autorità locali impegnate, dotate di autorità finanziaria, hanno
incrementato dell’80% la diffusione delle
vaccinazioni e dei consulti prenatali, superando i limiti di capacità tramite contratti
con ONG e fornitori privati a livello municipale.
Esperienze recenti hanno anche dimostrato come i movimenti sociali possano generare politiche decisionali più partecipative, come nel caso del controllo pubblico dei
bilanci locali. A Porto Alegre, Brasile, il controllo pubblico sui bilanci locali ha generato
enormi miglioramenti nei servizi. Nel 1989
soltanto meno della metà dei residenti in
città aveva accesso all’acqua pulita. Sette anni più tardi, ce l’avevano quasi tutti. In quel
periodo sono raddoppiate anche le iscrizioni
alla scuola primaria e la rete dei trasporti si è
estesa alle aree periferiche.
Tale azione collettiva migliora i servizi di
base e contribuisce a stimolare e sostenere la
volontà politica. Semplici cittadini hanno fatto pressione sui loro leader affinché questi si
attenessero ai propri impegni politici. E gli
Obiettivi offrono loro uno strumento per responsabilizzare i propri governi.
Dato che gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio non si realizzeranno se li si tratterà
come questioni di routine, occorre accelerare drasticamente la velocità del progresso.
Negli ultimi trent’anni si è assistito a
enormi miglioramenti nel mondo in via di
sviluppo. La speranza di vita è aumentata di
8 anni. L’analfabetismo è stato praticamente dimezzato, al 25%. E in Asia Orientale il
numero di persone che sopravvive con meno di 1 dollaro USA al giorno si è anch’esso
quasi dimezzato solo negli anni ‘90.
Ciononostante, lo sviluppo umano procede troppo lentamente. Per molti paesi gli
anni ’90 sono stati un decennio di disperazione. Circa 54 paesi sono più poveri oggi di
quanto non fossero nel 1990. In 21 la fame si
sta diffondendo tra una percentuale crescente di persone. In 14, è aumentato il numero dei bambini che muoiono prima di
raggiungere i cinque anni di età. In 12, le
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iscrizioni alla scuola primaria si sono ridotte.
In 34 si è assistito a un calo della speranza di
vita. Raramente prima d’ora si erano verificate simili involuzioni nella sopravvivenza.
Un altro indicatore di una crisi di sviluppo è la diminuzione in 21 paesi dell’indice di sviluppo umano (ISU, una misura
sommaria delle tre dimensioni dello sviluppo umano – una vita lunga e sana, l’istruzione e uno standard di vita dignitoso). Anche
questa tendenza era rara prima della fine
degli anni ’80, poiché le capacità raggiunte
nell’ISU non vengono perse con facilità.
Nel caso in cui il progresso globale prosegua alla stesso ritmo degli anni ’90, esiste
la possibilità realistica di raggiungere due
Obiettivi di Sviluppo del Millennio ovvero il
dimezzamento della povertà di reddito e il
dimezzamento della percentuale di persone
prive di accesso all’acqua pulita, grazie soprattutto alla Cina e all’India. A livello regionale, se resta invariato il ritmo attuale,
l’Africa Sub-sahariana raggiungerebbe gli
Obiettivi relativi alla povertà non prima del
2147 e non prima del 2165 quelli relativi alla mortalità infantile. Per quanto riguarda
poi l’HIV/AIDS e la fame, le tendenze nella
regione sono in rialzo – non in diminuzione.
Il fatto che molti paesi in tutto il mondo
nei 12 anni che ci separano dal 2015 non
riusciranno neppure ad avvicinarsi agli
Obiettivi di Sviluppo del Millennio evidenzia l’urgente bisogno di mutare corso. I successi ottenuti in passato nello sviluppo, tuttavia, dimostrano quali risultati sia possibile
raggiungere persino in paesi molto poveri.
Lo Sri Lanka è riuscito ad aumentare la speranza di vita di 12 anni tra il 1945 e il 1953.
Il Botswana offre un altro stimolante esempio: le iscrizioni nette alla scuola primaria
sono balzate dal 40% nel 1960 al 91% nel
1980.
Il mondo odierno dispone di una quantità mai avuta prima di risorse e know-how
per vincere le sfide delle malattie infettive,
della bassa produttività, della mancanza di
fonti di energia e di trasporti puliti e di servizi di base come fonti idriche pulite, strutture sanitarie, scuole e assistenza sanitaria.
Il problema è come applicare al meglio queste risorse e questo know-how in modo da
avvantaggiare le persone più povere.
Vi sono due gruppi di paesi che hanno bisogno urgente di cambiare corso. I primi sono
i paesi che abbinano a un basso sviluppo
umano scarse prestazioni nell’avanzamento
verso gli Obiettivi – i paesi a massima e alta
priorità. I secondi sono quei paesi che stanSINTESI
no procedendo bene in direzione degli
Obiettivi, ma in cui esistono ampie sacche
di persone povere che restano indietro.
Vi sono 59 paesi a massima e alta priorità in cui molti degli Obiettivi sono ostacolati dal mancato progresso e da livelli di partenza terribilmente bassi. È su questi paesi
che si devono concentrare l’attenzione e le
risorse mondiali.
Negli anni ’90 questi paesi hanno affrontato diversi tipi di crisi:
• Povertà di reddito: i tassi di povertà, già alti, sono cresciuti in 37 dei 67 paesi di cui si
dispone di dati.
• Fame: in 19 paesi più di una persona su
quattro soffre la fame, e la situazione non
migliora o sta peggiorando. In 21 paesi la
percentuale di persone che soffre la fame è
aumentata.
• Sopravvivenza: in 14 paesi i tassi di mortalità sotto i cinque anni d’età sono aumentati
negli anni ’90 e in 7 paesi quasi un bambino
su quattro non arriverà a compiere il quinto
anno d’età.
• Acqua: in 9 paesi più di una persona su
quattro non ha accesso a fonti idriche pulite e la situazione non migliora o sta peggiorando.
• Strutture sanitarie: in 15 paesi più di una
persona su quattro non ha accesso a strutture sanitarie adeguate e la situazione non migliora o sta peggiorando.
Alla base di tutte queste crisi, ve ne è
una di carattere economico. Non solo questi paesi sono estremamente poveri, ma presentano anche tassi di crescita spaventosamente bassi.
Negli anni ’90 la crescita dei redditi medi pro capite è stata inferiore al 3% in 125
paesi in via di sviluppo e in transizione, e in
54 di essi il reddito pro capite è diminuito.
Dei 54 paesi con redditi in diminuzione, 20
si trovano nell’Africa sub-sahariana, 17 in
Europa Orientale e nella Comunità degli
Stati Indipendenti (CSI), 6 in America Latina e Caraibi, 6 in Asia Orientale e Pacifico e
5 negli Stati Arabi. Tra essi figurano molti
paesi con priorità, ma anche alcuni paesi
con un livello medio di sviluppo umano.
I paesi meno di frequente sotto i riflettori sono quelli che stanno facendo più progressi, escludendo o lasciando indietro,
però, determinati gruppi e aree. Tutti i paesi devono eliminare le disuguaglianze significative esistenti tra gruppi – tra uomini e
donne, tra gruppi etnici, tra razze e tra aree
urbane e rurali. Per farlo è necessario guardare al di là delle medie nazionali.
Molti dei paesi con medie nazionali che
RIQUADRO 1 (continua)
Gli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio e i traguardi
Traguardo 13: Porre
attenzione ai bisogni
particolari dei più piccoli
paesi sviluppati (comprese
esportazioni libere da dazi
doganali e tariffe,
programmi di riduzione del
debito e di cancellazione del
debito ufficiale bilaterale, e
assistenza ufficiale allo
sviluppo più generosa per i
paesi impegnati nella
riduzione della povertà).
Traguardo 14: Porre
attenzione ai bisogni
particolari dei paesi in via
di sviluppo privi di sbocco
sul mare e delle piccole
isole (attraverso il
Programma di Azione per
uno sviluppo sostenibile dei
piccoli stati isolani in via di
sviluppo e la 22a
disposizione dell’Assemblea
Generale).
Traguardo 15: Affrontare il
problema del debito dei
paesi in via di sviluppo
attraverso misure nazionali
e internazionali al fine di
rendere il debito sostenibile
nel lungo periodo.
Traguardo 16: In
cooperazione con i paesi in
via di sviluppo, sviluppare e
attuare strategie per lavori
onesti e produttivi per i
giovani.
Traguardo 17: In
cooperazione con le società
farmaceutiche, fornire
l’accesso a farmaci
essenziali nei paesi in via di
sviluppo.
Traguardo 18: In
cooperazione con il settore
privato, rendere disponibili
i benefici della nuova
tecnologia, specialmente le
tecnologie
dell’informazione e delle
comunicazioni
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L’attenzione delle
politiche globali
deve essere
concentrata sui
paesi che
affrontano le sfide
di sviluppo più
ardue.
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indicano un adeguato progresso verso il
raggiungimento degli Obiettivi entro le date fissate come traguardo presentano sacche
di povertà profondamente radicata. Lo
spettacolare risultato ottenuto dalla Cina,
che è riuscita a togliere 150 milioni di persone dalla povertà di reddito negli anni ’90,
è stato concentrato nelle regioni costiere.
Altrove permangono profonde sacche di
povertà. In alcune regioni dell’entroterra il
progresso è stato molto più lento che nel resto del paese.
In alcuni paesi sarebbe più facile raggiungere gli Obiettivi semplicemente migliorando le condizioni di vita delle persone
che già vivono in circostanze più agiate. I
fatti provano che questo è ciò che si sta verificando nel campo della sanità. Se da un lato, però, un simile approccio può adempiere
gli Obiettivi alla lettera, dall’altro non si allinea allo spirito che ne è alla base. Per le donne, gli abitanti delle aree rurali, le minoranze
etniche e altre persone povere, il progresso
avviene di solito più lentamente rispetto alle
medie nazionali – o è del tutto inesistente –
anche in paesi che nel complesso stanno
procedendo verso gli Obiettivi.
Dei 24 paesi in via di sviluppo che dispongono di dati subnazionali sulla mortalità infantile tra la metà degli anni ’80 e la
metà degli anni ’90, solo 3 hanno ristretto il
divario tra i gruppi più ricchi e i gruppi più
poveri in merito ai tassi di mortalità sotto i
cinque anni di età. È possibile riscontrare
casi analoghi per i tassi di vaccinazione e di
iscrizione e completamento scolastici, laddove i divari tra le aree rurali e urbane o tra
i gruppi etnici paiono persistere o ampliarsi. Inoltre, le donne nelle aree povere tendono a essere escluse dal progresso generale verso gli Obiettivi.
Il Patto di Sviluppo del Millennio è un piano di azione mirato principalmente ai paesi
a massima e ad alta priorità che hanno un
maggiore bisogno di sostegno.
L’attenzione delle politiche globali deve
essere concentrata sui paesi che affrontano
le sfide di sviluppo più ardue. Senza un immediato cambiamento di corso, di certo essi non raggiungeranno gli Obiettivi. Tenendo a mente tale presupposto, il presente
Rapporto offre un piano di azione destinato
principalmente a questi paesi: il Patto di
Sviluppo del Millennio.
Per arrivare a una crescita sostenibile, i
paesi devono giungere ad alcune soglie fondamentali in varie aree chiave: il sistema di
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governo, la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e l’accesso ai mercati. Se un paese non
riesce a raggiungere la soglia in una di queste aree, può cadere nella «trappola della
povertà».
La maggior parte dei paesi a massima e
ad alta priorità sta cercando di giungere a
queste soglie fondamentali. Tuttavia, essi si
trovano ad affrontate ostacoli strutturali
profondamente radicati che non potranno
superare facilmente da soli. Tra questi figurano le barriere all’accesso ai mercati internazionali e gli alti livelli di indebitamento –
ben al di sopra di ciò che essi sono in grado
di servire, data la loro limitata capacità di
esportazione. Un altro ostacolo significativo
è rappresentato dalle dimensioni e dalla posizione di un paese. Tra gli altri limiti strutturali legati alla posizione geografica di un
paese vi sono la scarsa fertilità del suolo, la
vulnerabilità a shock climatici o disastri naturali e le malattie dilaganti come la malaria.
La geografia di un paese, però, non è il suo
destino. Grazie a politiche appropriate queste sfide possono essere vinte. Migliori strade e sistemi di comunicazioni e una più
profonda integrazione con i paesi vicini
possono aumentare l’accesso ai mercati. Le
politiche di prevenzione e di trattamento
possono mitigare in modo notevole l’impatto delle malattie pandemiche.
Le stesse condizioni strutturali che contribuiscono a creare la trappola della povertà per un intero paese possono anche influire su vasti gruppi di popolazione in paesi che godono di una relativa prosperità. Le
regioni più remote dell’entroterra della Cina, ad esempio, distano di più dai porti, dispongono di infrastrutture molto più carenti e vivono in condizioni biofisiche molto
più dure rispetto alle regioni costiere del
paese – che negli ultimi anni hanno goduto
della crescita economica più rapida della
storia. Per ridurre la povertà nelle regioni
più povere servono politiche nazionali che
vi riallochino le risorse a loro favore. Qui la
massima priorità politica consiste nell’aumentare l’equità, non solo la crescita economica.
Le politiche in risposta ai limiti strutturali richiedono interventi simultanei su diversi fronti – unitamente a un maggiore
supporto dall’esterno. Vi sono sei insiemi di
politiche che possono aiutare i paesi a liberarsi dalle trappole della povertà:
• Investire tempestivamente e ambiziosamente nell’istruzione e nella sanità di base,
promuovendo nel contempo l’uguaglianza
di genere. Sono, questi, i prerequisiti di una
crescita economica sostenuta. La crescita a
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sua volta può generare occupazione e far salire i redditi – con ritorni in termini di ulteriori benefici nell’ambito dell’istruzione e
della sanità.
• Aumentare la produttività dei piccoli coltivatori che operano in ambienti sfavorevoli
– cioè la maggioranza delle persone che nel
mondo soffrono la fame. Una stima attendibile indica che il 70% delle persone più povere del mondo vive in aree rurali e dipende
dall’agricoltura.
• Migliorare le infrastrutture di base – come
porti, strade, energia elettrica e comunicazioni – per ridurre i costi necessari a condurre attività commerciali e superare le barriere geografiche.
• Creare una politica di sviluppo industriale
che alimenti l’attività imprenditoriale e contribuisca a diversificare l’economia sottraendola alla dipendenza dalle esportazioni di
materie prime conferendo un ruolo attivo alle piccole e medie imprese.
• Promuovere le forme di governo democratiche e i diritti umani per eliminare la discriminazione, garantire la giustizia sociale e
promuovere il benessere di tutti gli individui.
• Garantire la sostenibilità ambientale e una
gestione urbana solida, in modo che i miglioramenti nello sviluppo siano a lungo termine.
Queste politiche si basano sulla convinzione che per consentire alle economie di
funzionare meglio sia necessario innanzitutto
sistemare altri fattori. È impossibile, ad esempio, ridurre la dipendenza dalle esportazioni
di materie prime, se la forza di lavoro non
può passare alla produzione di manufatti perché manca delle competenze necessarie.
Il lavoro da compiere per i paesi a massima e ad alta priorità è troppo grande perché essi riescano ad affrontarlo da soli – soprattutto i paesi più poveri, che si trovano a
fronteggiare ostacoli di proporzioni inusitate con risorse limitatissime a disposizione.
Su questo punto il Patto di Sviluppo del
Millennio non ammette alternative. Per raggiungere i livelli essenziali di sviluppo umano i paesi più poveri hanno bisogno di significative risorse esterne. Non si tratta, tuttavia, di una richiesta di finanziamento
aperto da parte dei paesi ricchi. Infatti il
Patto è inamovibile anche per quanto riguarda la necessità che i paesi poveri mobilitino le risorse interne, rafforzino le politiche e le istituzioni, combattano la corruzione e migliorino il sistema di governo – passi
essenziali, questi, sulla strada dello sviluppo
sostenibile.
Se i paesi non adotteranno piani molto
più ambiziosi per lo sviluppo, non riusciranno a raggiungere gli Obiettivi. A tal riSINTESI
guardo, il Patto afferma che deve essere applicato un nuovo principio. I governi dei
paesi poveri e di quelli ricchi, così come le
istituzioni internazionali, dovrebbero cominciare con il domandarsi quali siano le risorse necessarie al conseguimento degli
Obiettivi, anziché lasciare che siano le limitate risorse attualmente allocate a stabilire
la velocità dello sviluppo.
Ciascun paese – soprattutto quelli a
massima e alta priorità – deve diagnosticare
in modo sistematico quanto gli occorrerà
per raggiungere gli Obiettivi. Tale diagnosi
deve comprendere le iniziative che i governi
dei paesi poveri possono intraprendere, come la mobilitazione di risorse fiscali interne,
la riallocazione della spesa a favore di servizi di base, il ricorso ai finanziamenti e all’esperienza dei privati e l’introduzione di
riforme della gestione economica. Tutto ciò
lascerà ancora un’ampia lacuna di risorse,
che sarà compito dei governi individuare.
Per colmarla serviranno cooperazione finanziaria e tecnica supplementari da parte
dei governi ricchi, compresi finanziamenti
per i costi ricorrenti, una più consistente riduzione del debito, un migliore accesso ai
mercati e un aumento dei trasferimenti di
tecnologie.
C’è ampio consenso riguardo alla necessità di un unico quadro di riferimento che
coordini gli sforzi per lo sviluppo, sulla base di strategie di sviluppo di proprietà nazionale e di programmi di investimento
pubblici. Per i paesi a basso reddito, tale
quadro di riferimento è rappresentato dai
Documenti strategici per la riduzione della
povertà, in vigore all’incirca in venticinque
paesi e in fase di preparazione in altre due
dozzine di paesi. Per affrontare la sfida degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio in
maniera più sistematica, i Documenti strategici per la riduzione della povertà devono
innanzitutto chiedere quanto occorrerà per
conseguire tali Obiettivi – e valutare la mancanza di risorse e le riforme politiche necessarie di cui occorre occuparsi.
Se i paesi non
adotteranno piani
molto più ambiziosi,
non riusciranno a
raggiungere gli
Obiettivi.
Per dimezzare la percentuale di persone in
condizioni di povertà estrema (Obiettivo 1)
sarà necessaria una crescita economica molto più forte nei paesi a massima e alta priorità in cui la crescita è fallimentare. La crescita da sola non sarà tuttavia sufficiente. Bisognerà anche che le politiche adottate
rafforzino i legami tra crescita più sostenuta
e redditi più elevati all’interno dei nuclei famigliari più poveri.
Oltre 1,2 miliardi di persone – un abi23
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Le tariffe sulle
importazioni
proteggono i
mercati nei paesi
ricchi e riducono gli
incentivi per i
coltivatori dei paesi
poveri a investire in
agricoltura e
contribuire così a
una maggiore
sostenibilità della
sicurezza
alimentare.
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tante su cinque della Terra – sopravvive con
meno di 1 dollaro USA al giorno. Durante
gli anni ’90 la percentuale di persone afflitte
da povertà di reddito estrema è scesa dal
30% al 23%. Dato l’aumento della popolazione mondiale, però, la cifra è diminuita
soltanto di 123 milioni – una piccola porzione del progresso necessario per eliminare la povertà. Ad esclusione della Cina, il
numero di persone in condizioni di povertà
estrema è effettivamente aumentato di 28
milioni.
L’Asia Meridionale e Orientale ospitano i
più vasti gruppi di persone in condizioni di
povertà di reddito, nonostante entrambe le
regioni abbiano compiuto di recente notevoli passi avanti. Come abbiamo già citato, negli anni ’90 la Cina ha tolto 150 milioni di individui – il 12% della popolazione – dalla
povertà, dimezzando l’incidenza di questo
fenomeno. Tuttavia, in America Latina e nei
Caraibi, negli Stati Arabi, nell’Europa Centrale e Orientale e nell’Africa Sub-sahariana
il numero di persone che sopravvivono con
meno di 1 dollaro USA al giorno è aumentato.
Un grosso ostacolo alla diminuzione
della povertà è la mancanza di una crescita
sostenuta che riduca appunto tale fenomeno. Nel corso degli anni ’90 soltanto 30 dei
155 paesi in via di sviluppo e in transizione
di cui si disponeva di dati – circa uno su cinque – hanno raggiunto una crescita annua
del reddito pro capite superiore al 3%. Come già citato, in 54 di questi paesi, in realtà,
i redditi medi sono diminuiti.
La crescita economica da sola, però, non
basta. La crescita può essere spietata oppure può ridurre la povertà – a seconda del
suo modello, degli aspetti strutturali dell’economia e delle politiche pubbliche. La povertà è aumentata persino in paesi caratterizzati da una generale crescita economica e
negli ultimi due decenni la disuguaglianza
di reddito è peggiorata in 33 dei 66 paesi in
via di sviluppo per cui si hanno dati a disposizione. Tutti i paesi – specialmente
quelli che mostrano buoni risultati nella
media ma presentano radicate sacche di povertà – devono mettere in atto politiche mirate a rafforzare i legami tra crescita economica e riduzione della povertà.
È più probabile che la crescita avvantaggi le persone povere se si fonda su una base
ampia, anziché concentrarsi in alcuni settori
o regioni, se è ad alta intensità di manodopera (come l’agricoltura o l’industria delle
confezioni) più che ad alta intensità di capitale (come nel settore petrolifero) e se le entrate del governo vengono investite in svi-
luppo umano (ad esempio nella sanità di base, nell’istruzione, nell’alimentazione e nei
servizi idrici e sanitari). Esistono meno probabilità che la crescita sia vantaggiosa per i
poveri se essa ha una base ristretta, trascura
lo sviluppo umano e agisce in maniera discriminante nella fornitura di servizi pubblici a discapito delle aree rurali, di determinate regioni, di gruppi etnici o delle donne.
Tra le politiche pubbliche in grado di
rafforzare i legami tra la crescita e la riduzione della povertà figurano:
• Aumentare il livello, l’efficienza e l’equità
degli investimenti in sanità pubblica, istruzione e servizi idrici e sanitari.
• Ampliare l’accesso delle persone povere
alla terra, ai crediti, alle capacità professionali e ad altri beni economici.
• Accrescere la produttività e la diversificazione dei piccoli coltivatori.
• Promuovere la crescita industriale ad alta
intensità di manodopera coinvolgendo le
piccole e medie imprese.
Il dimezzamento della percentuale di persone che soffre la fame (Obiettivo 1) pone
due sfide: garantire l’accesso agli alimenti
attualmente abbondanti e aumentare la produttività dei coltivatori che attualmente soffrono la fame – specialmente in Africa.
Il numero di persone che soffre la fame è
diminuito di quasi 20 milioni di unità negli
anni ’90. Se si esclude la Cina, tuttavia, il numero di persone afflitte dalla fame è cresciuto. L’Asia Meridionale e l’Africa Sub-sahariana ospitano le maggiori concentrazioni di
persone che soffrono la fame. Nell’Asia Meridionale la sfida consiste nel migliorare la
distribuzione degli alimenti che sono disponibili in abbondanza. Nell’Africa Sub-sahariana esiste anche una sfida in relazione all’aumento della produttività agricola.
Per ridurre la fame è possibile ricorrere
a molte valide azioni pubbliche. Grazie a
scorte tampone, soprattutto a livello locale,
è possibile immettere alimenti nel mercato
durante le emergenze alimentari – riducendo così la volatilità dei prezzi. Molti paesi,
tra cui Cina e India, dispongono di sistemi
simili. Le riserve alimentari possono essere
particolarmente importanti per i paesi privi
di sbocchi sul mare e soggetti a siccità.
Inoltre, molte persone che soffrono la
fame non possiedono terre o mancano di diritti di proprietà garantiti. Occorre una
riforma agraria che dia alle persone povere
delle aree rurali un accesso sicuro alla terra.
Le donne producono buona parte degli aliSINTESI
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menti in Africa Sub-sahariana e in Asia Meridionale, eppure non godono di un accesso
garantito alla terra.
È inoltre necessario risolvere il problema della bassa produttività agricola, soprattutto nelle regioni ecologiche marginali caratterizzate da suoli poveri ed elevata variabilità climatica. I drastici miglioramenti apportati dalla rivoluzione verde non hanno
nemmeno sfiorato queste aree. Serve una
duplice rivoluzione verde – nel senso che
aumenti la produttività e migliori la sostenibilità ambientale. Occorrono maggiori investimenti per ricercare e sviluppare tecnologie migliori e diffonderle attraverso servizi estensivi. Si tratta qui di investimenti in
infrastrutture, quali strade e sistemi di stoccaggio. Ciononostante, negli ultimi decenni
si è avuto un calo di investimenti pubblici e
di aiuti di donatori destinati all’agricoltura.
Le tariffe sulle importazioni proteggono
i mercati nei paesi ricchi e riducono gli incentivi per i coltivatori dei paesi poveri a investire in agricoltura e contribuire così a
una maggiore sostenibilità della sicurezza
alimentare. Anche gli ingenti sussidi elargiti
nei paesi ricchi riducono gli incentivi a investire nella sicurezza alimentare a lungo termine, nonostante essi possano offrire vantaggi agli importatori netti di alimenti.
Per raggiungere l’istruzione primaria universale ed eliminare le disuguaglianze di genere nell’istruzione primaria e secondaria
(Obiettivi 2–3) è necessario affrontare i problemi correlati di efficienza, equità e livelli
delle risorse.
Nelle regioni in via di sviluppo, più
dell’80% dei bambini è iscritto alla scuola
primaria. Tuttavia, circa 115 milioni di
bambini non la frequentano e vi sono percentuali di iscrizione spaventosamente bassi
nell’Africa Sub-sahariana (57%) e in Asia
Meridionale (84%). In Africa, una volta
iscritto, esiste una misera possibilità su tre
che un bambino completi il ciclo di istruzione primaria. In aggiunta a ciò, un adulto
su sei nel mondo è analfabeta. Restano, poi,
profondi divari dovuti al genere: tre quinti
dei 115 milioni di bambini che non frequentano la scuola sono femmine e due terzi degli 876 milioni di adulti analfabeti sono
donne.
La mancanza di istruzione priva l’individuo della possibilità di vivere un’esistenza
piena. In più, essa priva la società di un fondamento dello sviluppo sostenibile, poiché
l’istruzione riveste un’importanza cruciale
SINTESI
nel contribuire al miglioramento della sanità, dell’alimentazione e della produttività.
L’Obiettivo dell’istruzione è pertanto fondamentale al conseguimento degli altri.
Nella maggior parte dei paesi poveri la
fornitura dell’istruzione di base è altamente
diseguale, con il 20% più povero della popolazione destinatario di molto meno del
20% della spesa pubblica – mentre al 20%
più ricco va assai di più. Inoltre, l’istruzione
primaria riceve finanziamenti per studente
di gran lunga inferiori rispetto all’istruzione
secondaria e superiore. Anche questo fattore risulta discriminante contro le persone
povere, dato che sono queste a trarre molti
più vantaggi dall’istruzione di base.
Anche le spese per l’istruzione a carico
del nucleo famigliare, come le rette scolastiche e le divise, sono un deterrente alle iscrizioni – soprattutto nelle famiglie più povere. Quando in Kenya, Malawi e Uganda sono state abolite le divise e le rette scolastiche, si è registrata un’impennata nelle iscrizioni. Un sistema equo porta anche risultati
migliori: i paesi in cui l’istruzione funziona
bene tendono a spendere di più per i nuclei
famigliari più poveri e per l’istruzione primaria.
I paesi che hanno eliminato le disuguaglianze di genere nell’istruzione dimostrano
come sia possibile incoraggiare i genitori a
mandare a scuola le proprie figlie: collocando le scuole vicino a casa, riducendo al minimo le spese sostenute direttamente dalla
famiglia, programmando orari delle lezioni
che consentano lo svolgimento dei lavori
domestici e assumendo insegnanti donne (il
che dà ai genitori un senso di sicurezza). I
paesi che hanno ottenuto buoni risultati, in
cui cioè le disuguaglianze di genere sono
state eliminate, presentano percentuali di
insegnanti donne molto superiori alle medie
regionali.
Molti sistemi scolastici soffrono di inefficienze di gestione, hanno troppi bambini
ripetenti e che abbandonano la scuola. Nei
paesi in cui si parlano diverse lingue, l’insegnamento della lingua madre durante i primi anni migliora notevolmente l’esperienza
di apprendimento. Anche i programmi di
alimentazione all’interno degli istituti contribuiscono a portare e a tenere i bambini a
scuola; i bambini che soffrono la fame non
sono in grado di studiare. I programmi per
la prima infanzia servono a preparare i bambini all’ingresso a scuola, soprattutto quelli
che appartengono alla prima generazione di
studenti nelle loro famiglie.
Una sfida ardua che i paesi con bassi tassi di iscrizione si trovano a fronteggiare è la
Di solito i paesi sono
in grado di
affrontare spese
maggiori per
l’istruzione quando
le loro economie
sono in crescita.
I paesi più poveri,
però, devono
spendere di più per
l’istruzione
per sottrarsi alle loro
trappole
della povertà.
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I governi dei paesi
poveri devono
attribuire alla spesa
sanitaria
un’importanza
prioritaria rispetto
ad altri tipi di spesa,
ad esempio quella
per la difesa.
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gestione delle spese ricorrenti in modo da
ottenere un migliore equilibrio tra i salari
degli insegnanti – che normalmente assorbono il 90% o più delle spese ricorrenti – e
altri costi, come i libri di testo. L’entità ridotta della spesa colpisce in particolare le
persone povere perché le élite e i gruppi di
potere tendono a catturare percentuali
spropositate dei piccoli bilanci. I bilanci ridotti rendono inoltre difficile l’attuazione
delle riforme. È più facile aumentare l’equità o l’efficienza se le risorse destinate all’istruzione sono in aumento.
Al problema delle risorse si somma il calo degli aiuti all’istruzione da parte dei donatori. Negli anni ’90 questo supporto è calato del 30% in termini reali, raggiungendo
i 4,7 miliardi di dollari USA – con solo 1,5
miliardi di dollari USA destinati all’istruzione di base. Di solito, inoltre, i donatori sovvenzionano i costi delle attrezzature e altre
spese in conto capitale piuttosto che i libri
di testo, i salari degli insegnanti e altri costi
operativi. È proprio lì, però, che si incontrano i veri ostacoli.
Sia per le forniture sia per i finanziamenti, il settore privato deve fare di più ai livelli di istruzione secondario e terziario. È
necessario che i governi incoraggino le
ONG e il settore privato a espandere le forniture, mantenendo allo stesso tempo il
controllo sugli standard e centralizzando i
dati sul numero e sulla qualità delle scuole
private. In un ambiente a risorse limitate,
perché vi siano equità ed efficienza occorre
che i sussidi pubblici per l’istruzione primaria privata non vadano a discapito dell’istruzione di base per le persone povere.
Di solito i paesi sono in grado di affrontare spese maggiori per l’istruzione quando
le loro economie sono in crescita. I paesi
più poveri, però, devono spendere di più
per l’istruzione per sottrarsi alle loro trappole della povertà – e non dispongono di
sufficienti risorse da destinare a tali investimenti basilari.
La promozione dell’uguaglianza di genere e
dell’empowerment delle donne (Obiettivo
3), fini già validi di per se stessi, è anche un
presupposto fondamentale al raggiungimento di tutti gli altri Obiettivi.
Promuovere l’uguaglianza di genere e
l’empowerment delle donne nella sua accezione più ampia costituisce un obiettivo
chiave della Dichiarazione del Millennio,
sebbene l’unico traguardo quantitativo
fissato sia l’eliminazione delle disugua-
26
glianze nell’istruzione primaria e secondaria. L’istruzione contribuisce al miglioramento della situazione sanitaria, e un’istruzione e una sanità migliori fanno aumentare a loro volta la produttività, la
quale porta alla crescita economica. Questa crescita, quindi, genera risorse che finanziano i miglioramenti di sanità e di
istruzione della popolazione. L’uguaglianza di genere ricopre un ruolo centrale in
queste sinergie, in quanto le donne sono
agenti di sviluppo.
In quasi tutte le società, le donne sono le
prime dispensatrici di cure e assistenza. La
loro istruzione, dunque, contribuisce alla
salute e all’istruzione delle generazioni successive più di quella degli uomini – a maggior ragione quando il parere delle donne
ha un forte peso nelle decisioni famigliari.
In età adulta, le ragazze che hanno ricevuto
un’istruzione hanno figli più sani e in numero minore, accelerando così la transizione a tassi di fertilità inferiori. Le donne meglio istruite e più sane contribuiscono inoltre all’aumento della produttività – adottando, ad esempio, innovazioni nel campo dell’agricoltura – e alla conseguente crescita
dei redditi famigliari. Per giunta, queste
donne spesso lavorano fuori casa percependo redditi indipendenti e accrescendo la
propria autonomia. Tali benefici processi
acquistano maggiore forza se le donne hanno voce nelle decisioni interne alla famiglia.
Quando le donne, poi, sono in grado di intraprendere azioni collettive per rivendicare
più diritti – all’istruzione, all’assistenza sanitaria, a pari opportunità di lavoro – vi sono ancora maggiori probabilità che si verifichino queste sinergie positive.
Per ridurre la mortalità infantile, migliorare
la salute materna e combattere l’HIV/
AIDS, la malaria e altre malattie (Obiettivi
4-6) occorre un forte aumento nell’accesso
all’assistenza sanitaria.
Ogni anno più di 10 milioni di bambini
– 30.000 al giorno – muoiono di malattie
che potrebbero essere prevenute. Più di
500.000 donne l’anno muoiono durante la
gravidanza e il parto, e questi decessi sono
100 volte più probabili nell’Africa Subsahariana rispetto ai paesi OCSE ad alto
reddito. Nel mondo 42 milioni di persone
sono affette da HIV/AIDS e, di queste, 39
milioni vivono in paesi in via di sviluppo. La
tubercolosi (insieme all’AIDS) resta il principale agente di infezioni tra gli adulti, causando fino a 2 milioni di morti l’anno. I deSINTESI
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cessi per malaria, attualmente 1 milione
l’anno, potrebbero raddoppiare nel prossimo ventennio.
Se non vi saranno progressi ben più rapidi, in queste aree non sarà possibile raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Obiettivi 4–6). Anche per quanto riguarda l’Obiettivo della mortalità infantile,
in cui si è registrato un progresso costante,
al ritmo attuale l’Africa Sub-sahariana arriverà a ridurre di due terzi la mortalità infantile solamente 150 anni dopo la data fissata
dall’Obiettivo.
Tali statistiche sono vergognose se si
pensa che molti di questi decessi potrebbero essere evitati grazie a una maggiore presenza di ostetriche, a una maggior diffusione dell’uso di zanzariere intorno ai letti, di
antibiotici economicamente accessibili, di
misure igieniche essenziali e dell’approccio
terapeutico per la lotta alla tubercolosi noto
come DOTS (Breve corso terapeutico a osservazione diretta) – soluzioni che non richiedono alta tecnologia, ma che potrebbero, nel complesso, salvare milioni di vite
umane. Per troppi paesi, tuttavia, esse restano irraggiungibili. Perché? Per ragioni di
carattere sistemico di ampia portata. Come
avviene per l’istruzione, mancano risorse
per i sistemi sanitari (soprattutto per la sanità di base), manca equità in ciò che i sistemi offrono e manca efficienza nel modo in
cui i servizi vengono forniti.
Nei paesi poveri i fondi stanziati per i sistemi sanitari sono gravemente insufficienti
al conseguimento degli Obiettivi. Nessuno
dei paesi OCSE a reddito elevato spende
meno del 5% del PIL nei servizi di sanità
pubblica. Nei paesi in via di sviluppo, invece, raramente si supera questa percentuale
– la maggior parte, anzi, spende il 2–3%.
Nel 1997 la spesa pubblica media per la sanità è stata di soli 6 dollari USA pro capite
nei paesi meno sviluppati e di 13 dollari
USA negli altri paesi a basso reddito – mentre nei paesi a reddito medio-alto si sono
spesi 125 dollari USA e 1.356 dollari USA
in quelli a reddito elevato. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato
in 35-40 dollari USA pro capite la spesa minima per i servizi sanitari di base. Nei paesi
poveri è del tutto impossibile pagare farmaci salva-vita al prezzo vigente a livello internazionale – ed è quasi criminale pretendere
che lo facciano le persone povere.
Se i bilanci sono contenuti e inadeguati,
sono le persone povere a rimetterci. In gran
parte dei paesi il 20% più povero delle famiglie beneficia di molto meno del 20%
della spesa sanitaria. Eppure una distribuSINTESI
zione più equa delle spese porta risultati migliori: i paesi in cui si destinano maggiori
fondi alla famiglie più povere presentano
tassi di mortalità inferiori. Le disuguaglianze tra aree rurali e urbane sono un ulteriore
esempio di spesa non equa. Normalmente
le aree rurali percepiscono assai meno. In
Cambogia, nelle zone rurali vive l’85% della popolazione, ma è presente solo il 13%
degli operatori sanitari pubblici. Nelle aree
rurali dell’Angola abita il 65% della popolazione, mentre vi lavora soltanto il 15% dei
professionisti sanitari.
La mancanza di risorse produce un effetto corrosivo sui sistemi sanitari, poiché le
carenze in un ambito ne provocano altre. Se
le cliniche non dispongono di farmaci, i pazienti sono scoraggiati a rivolgervisi per essere curati. Ciò ha come conseguenza un
elevato assenteismo tra il personale, il che
erode ulteriormente l’efficienza del sistema.
Dato che difficilmente la comunità giudicherà utili tali servizi sanitari, essa non terrà
sotto controllo il sistema, con la conseguenza che i servizi risponderanno sempre meno
(anziché di più) alle sue esigenze.
La politica pubblica deve rispondere ai
problemi relativi ai livelli di risorse, di
equità e di efficienza:
• Mobilitando le risorse. I governi dei paesi
poveri devono attribuire alla spesa sanitaria
un’importanza prioritaria rispetto ad altri tipi di spesa, ad esempio quella per la difesa.
Nell’ambito dei bilanci per la sanità, inoltre,
si deve dare la precedenza ai servizi di base.
Tuttavia, nei paesi a basso reddito probabilmente questo non basterà.
• Aumentando le risorse esterne. In questo
caso si intendono gli aiuti, ma sarebbero utili anche la riduzione del debito, le donazioni
di farmaci e gli sconti sui prezzi da parte delle industrie farmaceutiche.
• Conseguendo una maggiore equità. I governi devono correggere gli squilibri concentrandosi sulle aree rurali, sulle comunità povere, sulle donne e sui bambini. Ma non servirà concentrarsi esclusivamente sull’assistenza primaria; gli ospedali pubblici, invasi
dai pazienti malati di AIDS e di malaria, non
sono in grado di accogliere altri pazienti.
• Migliorando il funzionamento dei sistemi
sanitari. I governi in difficoltà finanziarie si
trovano di fronte a un dilemma quando devono stabilire le priorità. La prima priorità è
mantenere un sistema integrato. I programmi verticali mirati a malattie specifiche hanno riscosso consensi, ma non possono essere efficaci o sostenibili se mancano i servizi
sanitari di base. Tali programmi dovrebbero essere integrati nella struttura sanitaria
Dal momento che i
fornitori di
assistenza sanitaria
privata
rappresentano il
primo approdo per
molte persone
povere, i governi
devono cercare di
includerli nel
dominio pubblico
mediante una
migliore
regolamentazione.
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Le politiche che
promuovono la
sostenibilità
ambientale
dovrebbero
sottolineare
l’importanza del
coinvolgimento delle
popolazioni locali
nelle soluzioni,
nonché dei
cambiamenti di
politica nei paesi
ricchi.
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complessiva. Anche l’assistenza sanitaria alla maternità e alla procreazione ha un disperato bisogno di integrazione. Molti paesi si concentrano sulla pianificazione famigliare tralasciando la salute dei bambini e
delle madri. Non basta concentrare l’attenzione sugli interventi essenziali; serve la
stessa attenzione per garantire che ciascun
centro sanitario primario disponga dei farmaci essenziali.
Dal momento che i fornitori di assistenza sanitaria privata rappresentano il primo
approdo per molte persone povere, i governi devono cercare di includerli nel dominio
pubblico mediante una migliore regolamentazione. Possono essere utili, a questo
scopo, diverse misure: una legislazione a
protezione dei consumatori, una certificazione che segnali ai consumatori quali sono
i fornitori registrati, la presenza di medici
che concordino nell’evitare un abuso di farmaci. Tuttavia, laddove i servizi di livello superiore sono stati privatizzati attraverso l’uso di servizi assistenziali gestiti in stile aziendale, come è avvenuto in molti paesi dell’America Latina, l’esperienza è stata tutt’altro
che positiva per le persone povere.
Per dimezzare la percentuale di persone priva di accesso all’acqua potabile e a strutture
sanitarie migliorate (Obiettivo 7) si deve
adottare un approccio integrato. In mancanza di strutture sanitarie e igieniche, l’acqua
pulita giova solo limitatamente alla salute.
Oltre 1,0 miliardo di persone nei paesi in
via di sviluppo – una su cinque – non ha accesso ad acqua pulita. E 2,4 miliardi non
possono accedere a strutture sanitarie migliorate. In entrambi i casi si può trattare di
questioni di vita o di morte. La diarrea è una
delle principali cause di morte dei bambini
piccoli: negli anni ’90 ha ucciso un numero
di bambini superiore a quello di tutte le persone cadute in conflitti armati dalla seconda
guerra mondiale in avanti. Le popolazioni
più colpite sono quelle povere che vivono
nelle zone rurali e nei quartieri degradati.
Come per gli altri Obiettivi sanitari, anche in questo caso si sa bene quali soluzioni
tecniche a basso costo favorirebbero l’accesso comunitario: pozzi scavati protetti,
fontane pubbliche, sorgenti protette, latrine
con risciacquo, semplici latrine su fossa, latrine su fossa ventilata e collegamenti a fosse settiche o a reti fognarie pubbliche coperte. Tuttavia, diversi fattori insidiano l’efficacia di queste soluzioni. Per giunta, esse
non sono del tutto adeguate:
28
Approvvigionamento idrico in assenza di
strutture sanitarie. L’accesso all’acqua pulita perde molta della sua utilità se mancano
le strutture sanitarie migliorate e una maggiore igiene. Le migliori risorse dell’assistenza sanitaria vengono sprecate per curare malattie causate dall’acqua che avrebbero potuto essere prevenute grazie all’uso di
acqua pulita, a strutture sanitarie più efficienti o a una maggiore igiene. Se da un lato, però, la necessità di acqua pulita è lampante, quella per valide misure sanitarie è
molto più legata all’educazione all’igiene.
In generale tocca alle famiglie povere prendere l’iniziativa di installare strutture igienico-sanitarie in casa e spesso si devono fare carico da sole delle relative spese. Se non
sono convinte che un simile investimento
sia necessario, difficilmente lo porteranno a
termine.
Mancanza di risorse per il finanziamento
di infrastrutture ad alto costo. Per fornire
acqua alle aree urbane e periferiche occorre sviluppare le fonti e organizzare una trasmissione massiccia verso la comunità destinataria del servizio nonché una rete di
distribuzione locale. Per la realizzazione di
misure sanitarie è necessario un sistema
pubblico di raccolta e trattamento dei liquami. Tali investimenti comportano notevoli spese, di gran lunga superiori ai mezzi
di cui dispone gran parte delle autorità locali. Persino nei paesi a reddito medio questi elementi devono essere forniti dai governi nazionali. La componente più costosa
delle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico e le strutture sanitarie è il trattamento delle acque reflue per evitare che i
liquami giungano nei fiumi e contaminino
le falde acquifere. Anche per questo servono tecnologie più avanzate. Le autorità municipali, tuttavia, non possiedono le risorse
da investire in servizi sanitari di base.
Costi elevati e manutenzione scadente. È
compito dei governi garantire che l’accesso
della popolazione povera all’acqua e ai servizi igienico-sanitari non sia ostacolato da
una ripartizione squilibrata dei costi a favore di coloro che non sono poveri. Le persone benestanti devono sostenere una parte
maggiore dei costi finanziari necessari alla
manutenzione delle infrastrutture per questi servizi. Finanziare sistemi ad alto costo
destinati alle zone più benestanti delle città
significa lasciare poche risorse per i progetti a basso costo – e, spesso, privare di servizi i quartieri poveri e le aree periferiche.
Inoltre nelle zone rurali e nelle periferie c’è
la tendenza a una scarsa manutenzione dei
sistemi idrici. In aree di questo tipo il coinSINTESI
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volgimento delle comunità si è rivelato fondamentale per migliorare i servizi.
Le esperienze di partecipazioni di multinazionali private nel settore dell’approvvigionamento idrico e delle strutture igienicosanitarie hanno sortito risultati diversi. Si
sono registrati alcuni successi da parte del
settore privato che hanno portato all’aumento dei servizi di fornitura idrica per le
comunità povere in alcune grandi città
(quali Buenos Aires, Argentina, e l’area metropolitana di Manila, Filippine). A controbilanciare questi esiti positivi, tuttavia, si sono avuti talora fenomeni di corruzione su
vasta scala e ritrattazioni degli accordi stipulati con i governi. È necessario promuovere l’imprenditorialità locale nel settore,
con finanziamenti forniti da banche nazionali per lo sviluppo.
Per garantire la sostenibilità ambientale
(Obiettivo 7) sarà necessario gestire gli ecosistemi in modo che essi possano offrire i
servizi a sostegno della sopravvivenza umana. Questo rappresenterà anche un fattore
importante per il conseguimento degli altri
Obiettivi.
Il degrado del suolo è un problema che
colpisce quasi 2 miliardi di ettari di terra,
danneggiando il sostentamento di fino a 1
miliardo di individui che vivono sulla terraferma. Il 70% circa delle riserve ittiche è
sfruttato completamente o ipersfruttato e
1,7 miliardi di individui – un terzo della popolazione del mondo in sviluppo – vivono
in paesi in condizioni di emergenza idrica.
La geografia del consumo, dei danni
ambientali e dell’impatto umano appare disomogenea. I paesi ricchi generano la maggior parte dell’inquinamento ambientale
del pianeta e ne impoveriscono le risorse
naturali. Tra gli esempi principali figurano
l’impoverimento delle riserve ittiche mondiali e le emissioni dei gas serra, causa dei
cambiamenti climatici, entrambi legati a
modelli di consumo insostenibili messi in
atto dagli individui e dai paesi ricchi. In
questi ultimi, le emissioni pro capite di
biossido di carbonio ammontano a 12,4
tonnellate – mentre sono di 3,2 tonnellate
nei paesi a reddito medio e di 1 tonnellata
in quelli a basso reddito. I poveri sono i
soggetti più vulnerabili agli shock e agli
stress ambientali, come gli impatti precoci
del cambiamento climatico globale.
Invertire questi trend negativi è un fine
valido di per sé. Esso, però, contribuirebbe
anche agli altri Obiettivi, in quanto la saluSINTESI
te, i redditi e le opportunità delle persone
povere sono fortemente influenzati dall’impoverimento delle risorse naturali. Il sostentamento di circa 900 milioni di persone
povere residenti in aree rurali dipende in
gran parte da prodotti naturali. Fino a un
quinto del carico di malattie nei paesi poveri può essere ricondotto a fattori di rischio ambientale. I cambiamenti climatici
potrebbero danneggiare la produttività
agricola nei paesi poveri e aumentare i rischi, esponendoli a shock come le inondazioni. Questi sono solo alcuni esempi delle
interazioni tra l’Obiettivo ambientale e gli
altri Obiettivi.
Le politiche che promuovono la sostenibilità ambientale dovrebbero sottolineare l’importanza del coinvolgimento delle
popolazioni locali nelle soluzioni, nonché
dei cambiamenti di politica nei paesi ricchi.
Tra le priorità politiche:
• Migliorare le istituzioni e il sistema di governo. Definire chiaramente i diritti di proprietà e quelli degli utenti, migliorare il
controllo e l’osservanza degli standard ambientali e coinvolgere le comunità nella gestione delle loro risorse ambientali.
• Inserire la protezione e la gestione ambientale nelle politiche di settore di ciascun
paese e in altre strategie di sviluppo.
• Migliorare il funzionamento dei mercati.
Eliminare i sussidi, soprattutto nei paesi
ricchi, che danneggiano l’ambiente (ad
esempio quelli a favore dei combustibili
fossili o delle flotte di pescherecci commerciali su vasta scala) e riflettere i costi ambientali attraverso tasse sull’inquinamento.
• Rafforzare i meccanismi internazionali.
Migliorare la gestione internazionale di
problematiche globali quali la protezione
dei bacini idrografici internazionali e l’inversione del cambiamento climatico, insieme ai meccanismi finalizzati a suddividere
equamente questi oneri.
• Investire in scienza e tecnologia. Investire
di più nelle tecnologie a energia rinnovabile e creare un osservatorio per monitorare il
funzionamento e lo stato dei principali ecosistemi.
• Conservare gli ecosistemi fondamentali.
Creare aree protette coinvolgendo la popolazione locale.
Perché queste politiche attecchiscano e
diano frutto è necessaria una nuova collaborazione tra paesi ricchi e paesi poveri. Per
un’equa divisione delle responsabilità, è indispensabile che i paesi di grandi dimensioni diano un maggiore contributo a mitigare
il degrado ambientale e utilizzino più risorse per fermarlo. In questo Obiettivo, così
È difficile
immaginare che i
paesi più poveri
riescano a
raggiungere gli
Obiettivi 1-7 senza
che nei paesi ricchi
si verifichino i
cambiamenti politici
necessari a
conseguire
l’Obiettivo 8.
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come negli altri, c’è un urgente bisogno di
correggere alcuni evidenti squilibri.
Per raggiungere gli Obiettivi è indispensabile che nei paesi ricchi si realizzino cambiamenti nelle politiche relative agli aiuti, al debito, al commercio e ai trasferimenti di tecnologie (Obiettivo 8).
Le politiche
commerciali dei
paesi ricchi
continuano a essere
altamente
discriminatorie nei
confronti delle
esportazioni dei
paesi in via di
sviluppo.
30
È difficile immaginare che i paesi più
poveri riescano a raggiungere gli Obiettivi 1
– 7 senza che nei paesi ricchi si verifichino i
cambiamenti politici necessari a conseguire
l’Obiettivo 8. I paesi poveri non possono da
soli superare le restrizioni strutturali che li
trattengono nelle trappole della povertà, restrizioni che includono le tariffe doganali e i
sussidi applicati dai paesi ricchi limitanti
l’accesso al mercato delle loro esportazioni,
brevetti che restringono l’accesso alle tecnologie in grado di salvare vite umane e debiti insostenibili verso i governi dei paesi
ricchi e le istituzioni multilaterali.
I paesi più poveri non possiedono le risorse con cui finanziare gli investimenti necessari al raggiungimento di soglie importanti nell’ambito delle infrastrutture, dell’istruzione e della sanità. Non possiedono risorse da investire in agricoltura e nella piccola industria manifatturiera per migliorare
la produttività dei lavoratori. Questi investimenti gettano le basi per uscire dalle trappole della povertà – e non si può aspettare
che la crescita economica generi risorse. I
bambini non possono permettersi di aspettare che la crescita economica generi risorse, quando muoiono per cause che potrebbero essere prevenute.
La struttura di partnership della Dichiarazione del Millennio e del Consenso di
Monterrey afferma che la responsabilità
principale del conseguimento degli Obiettivi
1-7 è nelle mani dei paesi in via di sviluppo.
A tali paesi si richiede di mobilitare le risorse
interne per finanziare programmi ambiziosi,
di attuare riforme politiche per rafforzare la
gestione dell’economia, di far partecipare le
persone povere ai processi decisionali e di
promuovere la democrazia, i diritti umani e
la giustizia sociale. Il consenso, però, è anche
un patto che impegna i paesi ricchi a fare di
più – seppure in base al rendimento più che
a un diritto acquisito. Il Patto di Sviluppo del
Millennio afferma il ruolo cruciale dei paesi
ricchi, come espresso nell’Obiettivo 8.
I paesi ricchi si sono ufficialmente impegnati ad agire su una serie di fronti, non solo in occasione del Summit del Millennio,
ma anche durante la Conferenza internazio-
nale sui finanziamenti allo sviluppo di Monterrey del marzo 2002 e al Vertice mondiale
sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg
del settembre 2002. E a Doha, Qatar, nel
novembre 2001, i ministri del commercio
hanno promesso di porre gli interessi dei
paesi poveri al centro del loro futuro lavoro
sul sistema di commercio multilaterale. È
ora che i paesi ricchi mantengano queste
promesse.
I paesi a priorità massima sono quelli
più bisognosi di azioni da parte dei paesi
ricchi. Essi devono percorrere la maggiore
distanza per il raggiungimento degli Obiettivi: per un decennio o più la crescita economica è rimasta stagnante e ciò ha provocato l’accumularsi di livelli di debito insostenibili. Questi paesi dipendono dalle
esportazioni di materie prime il cui prezzo
ha subito una flessione costante. Anche gli
aiuti sono diminuiti negli anni ’90 – dimezzati, a livello pro capite, nell’Africa Subsahariana – e coprono una piccola parte di
quanto necessario al raggiungimento degli
Obiettivi.
Più aiuti – e aiuti più efficaci. La tendenza al calo degli aiuti è stata invertita dagli
impegni presi alla conferenza di Monterrey,
con cui è stata promessa l’erogazione, entro
il 2006, di oltre 16 miliardi di dollari USA
annui di aiuti supplementari. Con questo
aumento, tuttavia, l’assistenza ufficiale allo
sviluppo complessiva raggiungerebbe solo
lo 0,26% dei redditi nazionali lordi dei 22
membri del Comitato di assistenza allo sviluppo dell’OCSE, una percentuale ben al di
sotto dello 0,7% a cui i paesi ricchi, a Monterrey e Johannesburg, hanno promesso di
puntare con il loro lavoro. Si colloca anche
ben al di sotto del bisogno stimato, che indica un ordine di grandezza cautamente
contenuto di 100 miliardi di dollari USA
l’anno – un raddoppiamento dell’aiuto che
arriverebbe a circa lo 0,5% dei redditi nazionali lordi dei paesi del Comitato di assistenza allo sviluppo.
Ma non basta aumentare gli aiuti: essi
devono anche essere più efficaci. Il Consenso di Monterrey prevede anche un impegno
da parte dei donatori ad aiutare i paesi in
via di sviluppo a condizione che questi
compiano sforzi concertati per migliorare
l’economia e il sistema di governo democratico e mettano in atto politiche mirate a
un’efficace riduzione della povertà. Il Consenso richiede inoltre ai donatori di migliorare le loro azioni, di rispettare, soprattutto,
le priorità di sviluppo dei paesi riceventi, di
svincolare gli aiuti, di armonizzare le proprie
procedure e ridurre i carichi amministrativi
SINTESI
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per i paesi riceventi nonché di decentrare.
Questi importanti impegni sono stati rinnovati durante la Dichiarazione di Roma sull’armonizzazione e adottati dai leader delle
istituzioni multilaterali e bilaterali per lo sviluppo riunitesi a Roma a febbraio 2003.
Nuovi approcci alla riduzione del debito.
Sono ventisei i paesi ad aver beneficiato della riduzione del debito sulla base dell’Iniziativa per i paesi fortemente indebitati
(HIPC); di questi, otto hanno raggiunto il
cosiddetto punto di completamento, hanno
cioè ottenuto una parziale cancellazione del
debito. Tuttavia occorre fare molto di più –
non solo perché possano beneficiarne più
paesi, ma anche per garantire che il peso del
debito dei paesi sia realmente sostenibile.
Di recente l’Uganda, ad esempio, ha subito
il crollo dei prezzi del caffè e la diminuzione
dei guadagni provenienti dalle esportazioni,
pertanto i suoi livelli di debito sono tornati
a essere insostenibili.
Espandere l’accesso al mercato per aiutare i paesi a diversificare e a espandere il
commercio. Le politiche commerciali dei
paesi ricchi continuano a essere altamente
discriminatorie nei confronti delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. La media
delle tariffe OCSE imposte sui prodotti manufatti provenienti dai paesi in via di sviluppo, supera di oltre quattro volte quelle applicate ad articoli finiti in arrivo da altri paesi
OCSE. Inoltre, i sussidi agricoli elargiti nei
paesi ricchi conducono a una concorrenza
sleale. In Benin, Burkina Faso, Ciad, Mali e
Togo i coltivatori di cotone sono riusciti a migliorare la produttività e ottenere costi di
produzione inferiori rispetto ai loro concorrenti dei paesi ricchi. Eppure riescono a malapena a competere con essi. I sussidi per l’agricoltura nei paesi ricchi ammontano a un
totale annuo di 300 miliardi di dollari USA –
cinque volte l’assistenza ufficiale allo sviluppo.
Migliore accesso al progresso tecnologico
globale. Le importanti conquiste tecnologiche dei decenni passati hanno aumentato
considerevolmente il potenziale di miglioramento della vita umana ad opera dell’innovazione tecnologica. I paesi ricchi hanno grandi opportunità di aiuto nella canalizzazione
delle forze del progresso tecnologico affinché esse siano di beneficio alle persone povere. I paesi ricchi possono contribuire a modificare lo stato di trascuratezza a cui sono assoggettati i bisogni delle persone povere in
relazione agli investimenti: solo il 10% della
spesa in ricerca e sviluppo medico è destinato alle malattie del 90% più povero della popolazione mondiale. I paesi ricchi possono
SINTESI
collaborare con i paesi in via di sviluppo affinché l’accordo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sugli Aspetti
commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS) tuteli gli interessi di questi ultimi. Il TRIPS non riconosce adeguatamente
la necessità di proteggere i diritti che le comunità indigene hanno sulle proprie conoscenze tradizionali che in alcuni casi sono
brevettate da altri. Il TRIPS contiene disposizioni per il trasferimento di tecnologia ma
esse sono formulate in modo vago e nessun
mezzo per la loro realizzazione è attualmente in atto. La Conferenza Ministeriale di
Doha, Qatar, dell’OMC del 2001 ha riaffermato che l’accordo TRIPS non dovrebbe
impedire ai paesi poveri di rendere i farmaci essenziali più accessibili alla popolazione.
La Conferenza ha delineato un accordo che
avrebbe dovuto essere ratificato nel dicembre 2002 che indicava come i paesi privi di
adeguate capacità produttive potessero avere accesso ai medicinali. Quella scadenza,
però, è stata superata senza l’ombra di una
risoluzione.
I paesi ricchi hanno formulato molti
propositi di impegno, per la maggior parte
dei quali, però, non sono stati fissati traguardi temporali né qualitativi. Se i paesi in
via di sviluppo devono raggiungere gli
Obiettivi 1–7 entro il 2015, occorre che i
paesi ricchi facciano progressi in alcuni ambiti fondamentali prima di quella data – con
scadenze che rendano costantemente verificabile il progresso. Il presente Rapporto
propone che i paesi ricchi si prefissino dei
traguardi in questi campi:
• Aumento dell’assistenza ufficiale allo sviluppo per colmare le lacune finanziarie (che
si stima ammontino almeno a 50 miliardi di
dollari USA).
• Sviluppo di misure concrete per attuare la
Dichiarazione di Roma sull’armonizzazione.
• Eliminazione delle tariffe e delle quote sui
prodotti agricoli, sui prodotti tessili e dell’abbigliamento esportati dai paesi in via di
sviluppo.
• Eliminazione dei sussidi per le esportazioni agricole dai paesi in via di sviluppo.
• Definizione e finanziamento, per i paesi
fortemente indebitati (HIPC), di un piano
finanziario compensativo per gli shock
esterni, inclusi i cali dei prezzi dei beni di
prima necessità.
• Definizione e finanziamento di un’ulteriore riduzione del debito – per garantire la sostenibilità – a favore dei paesi HIPC che
hanno raggiunto i loro punti di completamento.
• Introduzione nell’accordo TRIPS di mi31
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sure di protezione e remunerative a favore
della conoscenza tradizionale.
• Accordo sulle misure che i paesi privi di
una sufficiente capacità manifatturiera possono adottare per proteggere la sanità pubblica nell’ambito dell’accordo TRIPS.
Così come la gente può controllare le
azioni dei propri governi per assicurarsi che
questi mantengano gli impegni presi, i paesi
ricchi dovrebbero tenere costantemente
sotto controllo i progressi compiuti nell’adempimento dei propri impegni. Dovrebbero preparare relazioni su tali progressi –
contribuendo a una strategia globale di riduzione della povertà – in cui vengano delineate le loro priorità di azione.
***
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
pongono il mondo di fronte a sfide immani.
32
Se non si verificherà un radicale miglioramento, troppi paesi non raggiungeranno i
traguardi – con conseguenze disastrose per
i loro cittadini più poveri e vulnerabili. Eppure oggi il mondo ha un’opportunità senza precedenti di tener fede all’impegno di
eliminare la povertà. Per la prima volta esiste un autentico consenso tra paesi ricchi e
poveri nel considerare la povertà un problema del mondo. Ed è insieme che il mondo
deve combatterlo. Come spiega il presente
Rapporto, molte delle soluzioni alla fame,
alle malattie, alla povertà e alla mancanza di
istruzione sono ben note. Quello che occorre fare è sostenere gli sforzi con risorse adeguate e distribuire i servizi in modo più
equo ed efficiente. Niente di tutto questo
potrà realizzarsi se ciascun paese non assumerà le proprie responsabilità di fronte ai
miliardi di poveri del mondo.
SINTESI