CAPiTOLO 9 I servizi pubblici

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CAPiTOLO 9 I servizi pubblici
Capitolo 9
I servizi pubblici
Sezione I
Natura e disciplina generale dei pubblici servizi
Sommario: § 1. Premessa: il Welfare State. – § 2. L’evoluzione storico-normativa dei servizi pubblici. – § 3. La nozione di pubblico servizio. – § 3.1. La teoria del servizio pubblico in senso
soggettivo. – § 3.2. Il superamento della teoria soggettiva a favore della impostazione oggettivo-funzionale. – § 3.3. Il superamento della teoria oggettiva. L’impostazione eclettica. – § 4.
La normativa europea in materia di servizi pubblici. – § 5. La disciplina interna: in particolare,
la riforma del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010). – § 5.1. La riforma degli enti locali e del Titolo V della Parte II della Costituzione. – § 5.2. Servizi pubblici locali di rilevanza
economica e privi di rilevanza economica. – § 6. Lo statuto dei servizi di rilievo economico.
Il regime delle reti. – § 7. La regolazione del settore dei pubblici servizi… – § 8. La posizione
dell’utente nei confronti dei soggetti erogatori di servizi di natura imprenditoriale… – § 8.1.
…e dei servizi sociali.
1. Premessa: il Welfare State
L’art. 3 della Carta Costituzionale, al comma 2, dispone che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Detta disposizione rappresenta il fondamento costituzionale dell’intervento
statale nella vita dei consociati, sia in veste di autorità che ne regola lo svolgimento, sia come prestatore di servizi a favore dei cittadini.
L’impostazione accolta nella Costituzione del 1947 ha così avallato e dato
nuova linfa al modello di Stato sociale o Welfare State, che supera la forma di
Stato di diritto, attraverso il perseguimento di politiche di solidarietà sociale.
L’intervento sociale dello Stato si attua mediante la prestazione di servizi
diretti alla collettività finalizzati a perseguire un interesse generale. Essi possono inerire, in via diretta, a diritti fondamentali del cittadino costituzionalmente garantiti, quali la salute, l’istruzione, la sicurezza, come nel caso dei servizi
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I servizi pubblici
pubblici cc.dd. essenziali; in altri casi presentano un legame meno intenso con
la tutela degli interessi primari della persona, ma non per questo sono privi di
rilievo rispetto ai bisogni della collettività.
A fianco dello svolgimento delle funzioni pubbliche dello Stato, espressione
del potere autoritativo e tipiche dello Stato di diritto, si collocano dunque le attività connesse alla prestazione a favore dei cittadini dei pubblici servizi.
Questi ultimi rispondono alle più disparate esigenze dei cittadini e si differenziano a seconda della priorità dei bisogni che mirano a soddisfare, della gestione
statale o locale dei singoli servizi e delle modalità di gestione che la Costituzione, in primis, e la legislazione ordinaria individuano.
La materia dei servizi pubblici, e la relativa disciplina che li presidia, hanno
registrato nel corso del secolo scorso una profonda evoluzione, che ha accompagnato i mutamenti economico sociali dello Stato ed è stata fortemente segnata
dal coevo sviluppo dell’ordinamento comunitario, prima, ed europeo oggi.
Nelle pagine che seguono si darà atto delle principali tappe di siffatto percorso evolutivo, la cui complessità ha ingenerato non poche incertezze sulla nozione stessa di “pubblico servizio”, oggetto di un dibattito decennale in dottrina e
in giurisprudenza.
Ricostruite le coordinate storiche e normative della materia nella prima Sezione del presente Capitolo, si darà atto, nella seconda e terza Sezione, dell’attuale
disciplina dei pubblici servizi, con particolare attenzione alle forme di affidamento e gestione degli stessi, alla luce della normativa europea che fa da cornice
ai numerosi interventi normativi e giurisprudenziali nazionali sull’argomento.
2. L’evoluzione storico-normativa dei servizi pubblici
La materia dei servizi pubblici, come anticipato, ha subito importanti modifiche,
tanto in relazione al suo oggetto, quanto alle modalità di gestione dei servizi,
succedute sin dalla fine del XIX secolo e che tutt’oggi sono in evoluzione.
Agli inizi del secolo scorso la materia dei servizi pubblici era disciplinata dalla L.29 marzo 1903, n. 103, in seguito confluita nel Testo Unico approvato con
R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, il cui art. 1 individuava un elenco di diciannove
attività1 qualificabili come “servizi pubblici”, ai fini di disciplinarne le modalità
Tra le attività qualificate come servizi pubblici rientravano: 1) costruzione di acquedotti e fontane e distribuzione di acqua potabile; 2) impianto ed esercizio dell’illuminazione pubblica e
privata; 3) costruzione di fognature ed utilizzazione delle materie fertilizzanti; 4) costruzione ed
esercizio di tramvie a trazione animale o meccanica; 5) costruzione ed esercizio di reti telefoniche
nel territorio comunale; 6) impianto ed esercizio di farmacie; 7) nettezza pubblica e sgombro di
immondizie dalle case; 8) trasporti funebri, anche con diritto di privativa, eccettuati i trasporti dei
soci di congregazioni, confraternite ed altre associazioni costituite a tal fine e riconosciute come
enti morali; 9) costruzione ed esercizio di molini e di forni normali; 10) costruzione ed esercizio
di stabilimenti per la macellazione, anche con diritto di privativa; 11) costruzione ed esercizio di
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di assunzione dei dipendenti. La medesima normativa, che individuava nominalmente i servizi pubblici, ne disciplinava altresì le forme di gestione, consentendo
agli enti pubblici di gestire in economia i servizi, attraverso i propri uffici interni,
ovvero di ricorrere a concessione a terzi della gestione dei servizi o, infine, di
istituire aziende speciali all’uopo.
Tanto la materia dei servizi pubblici quanto la disciplina delle forme di gestione degli stessi hanno subito profonde trasformazioni nel tempo, parallelamente
allo sviluppo economico-sociale della collettività, in un quadro istituzionale che
si è progressivamente arricchito, specie in ragione dell’espansione dell’ordinamento europeo.
Rinviando al successivo paragrafo l’analisi della nozione di servizio pubblico e dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in materia, occorre in questa
sede ricostruire brevemente le principali modalità di gestione predisposte nel
tempo dal legislatore.
Un primo modello di gestione era – ed è – costituito dalle cc.dd. aziende
autonome2, caratterizzate da una organizzazione separata rispetto ai ministeri
di riferimento e tuttavia dall’assenza di personalità giuridica, con rappresentanza da parte del ministro reggente, che affianca il consiglio di amministrazione
dell’azienda. A tali strutture era affidata la produzione di beni e servizi a favore
della pubblica amministrazione e dei consociati3.
Il carattere economico dell’attività svolta e l’esigenza di assicurare una gestione più efficiente delle attività svolte consigliarono ben presto il superamento
di siffatto modello gestorio e la conseguente soppressione o trasformazione delle
aziende autonome in enti pubblici economici4.
In assenza di una definizione normativa di ente pubblico economico, è possibile individuarne le caratteristiche fondamentali attraverso l’analisi delle norme
che ne disciplinano singoli profili: così l’art. 2201 c.c., nel prevedere l’obbligo
dell’iscrizione nel registro delle imprese, si riferisce ad enti pubblici che hanno
mercati pubblici, anche con diritto di privativa; 12) costruzione ed esercizio di bagni e lavatoi
pubblici; 13) fabbrica e vendita del ghiaccio; 14) costruzione ed esercizio di asili notturni; 15)
impianto ed esercizio di omnibus, automobili e di ogni altro simile mezzo, diretto a provvedere
alle pubbliche comunicazioni; 16) produzione distribuzione di forza motrice idraulica ed elettrica
e costruzione degli impianti relativi; 17) pubbliche affissioni, anche con diritto di privativa, eccettuandone sempre i manifesti elettorali e gli atti della pubblica autorità; 18) essiccatoi di granturco
e relativi depositi; 19) stabilimento e relativa vendita di semenzai e vivai di viti ed altre piante
arboree e fruttifere.
2
In argomento Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 224 ss.
3
Tra le più importanti aziende autonome possono ricordarsi l’Azienda di Stato per i servizi telefonici, istituita con d.l. n. 884 del 1925, conv. in l. 562 del 1926 e successivamente soppressa con
l. 58 del 1992; ovvero l’Amministrazione autonoma delle poste e telecomunicazioni, istituita con
l. 520 del 1925 e trasformata in ente pubblico economico con d.l. 487 del 1993, conv. in l. 71 del
1994; o, infine, l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, istituita nel 1905, con l. n. 137 e
trasformata in ente pubblico economico con l. 210 del 1985.
4
In argomento Casetta, ibidem, 85 ss.
Le aziende
autonome
Enti pubblici
economici
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Il processo di
privatizzazione
I servizi pubblici
per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale, per tale intendendosi, in forza del combinato disposto con l’art. 2195 c.c., ogni attività di produzione di beni o di servizi o a queste strumentale; nel contempo l’art. 2221 c.c
esclude gli enti pubblici economici dall’applicazione delle norme sul fallimento
e sul concordato preventivo, al pari di quanto previsto dal R.D. 16 marzo 1942,
n. 267, art. 1, comma primo.
Il principale tratto caratterizzante degli enti pubblici può essere dunque individuato nell’esercizio di attività di impresa attraverso strumenti di diritto privato. La dottrina5 definisce pertanto gli enti pubblici economici quali “tappa intermedia in vista della privatizzazione delle aziende autonome”, stante l’operatività
di moduli privatistici pur nella cornice pubblicistica legata alla natura dell’ente.
La terza tappa del percorso evolutivo in esame è rappresentata dalla privatizzazione degli enti pubblici economici6, attraverso la trasformazione degli stessi
in società di capitali.
Occorre preliminarmente distinguere due forme di privatizzazione: l’una, formale, caratterizzata dalla mera assunzione di veste privatistica da parte dell’ente pubblico, che
continua ad essere gestito e controllato da enti pubblici; l’altra, sostanziale, che incide
sulla natura stessa dell’ente, attuando la dismissione del capitale in mano pubblica e, nel
contempo, dei poteri gestori sulla società.
La scelta delle forme privatistiche delle società di capitali per lo svolgimento
di attività economica da parte degli enti pubblici è stata dettata dalla maggiore
efficienza del modello, sul piano operativo, e dall’esigenza di equiparare la posizione sul mercato dei soggetti pubblici erogatori di servizi rispetto alle aziende
private, secondo i canoni di concorrenza e libertà economica propri dell’ordinamento europeo.
La dottrina è solita individuare due fasi nel processo di privatizzazione, di cui
il d.l. 332 del 1994, conv. in l. 474 del medesimo anno rappresenta il principale
referente normativo, qualificandole, la prima, come privatizzazione formale, o
“fase fredda”7, in cui il l’ente pubblico economico assume forma societaria ma il
capitale sociale resta totalmente in mano pubblica; la seconda, eventuale, come
privatizzazione sostanziale, o “fase calda” della privatizzazione, in cui il capitale pubblico è dismesso in tutto o in parte, con previsione, generalmente, della
riserva di poteri speciali a favore del socio pubblico.
Casetta, ibidem, 233.
La privatizzazione dell’ente non rappresenta tuttavia epilogo esclusivo del processo di trasformazione delle aziende autonome, essendo possibile registrare la presenza tutt’oggi di enti pubblici
economici non trasformati in società per azioni, come nel caso dell’ENAC (Ente nazionale per
l’aviazione civile) o dei Consorzi di sviluppo industriale, qualificati come tali dalla giurisprudenza
(Cass. S.U., ord. 10793/05).
7
In tal senso Casetta, ibidem, 115; sull’argomento altresì Graziani, Minervini, Belviso, Manuale
di diritto commerciale, Padova, 2011, 14 ss.
5
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La veste privata assunta dagli enti pubblici economici, specie nelle ipotesi di
privatizzazione meramente formale o nei casi in cui il socio pubblico sia titolare
di diritti speciali, attraverso la tecnica c.d. della golden share, pone il problema
della qualificazione di siffatti soggetti giuridici ai fini dell’individuazione della
disciplina ad essi applicabile. Rinviando a quanto già affermato a riguardo nel
Cap. II, Parte II, in merito al carattere elastico della nozione di “ente pubblico”,
ci si limita in questa sede a dare atto dell’approccio casistico della giurisprudenza e della dottrina che, rinunciando ad una soluzione di carattere assoluto, assegnano prevalenza all’anima privatistica o pubblicistica delle società in questione
a seconda dei profili disciplinatori che vengono in rilievo nel caso concreto8.
3. La nozione di pubblico servizio
Alla normativa di carattere disorganico e frastagliato in materia di privatizzazione, di cui si è detto nelle pagine precedenti, è seguita l’introduzione, in attuazione altresì degli obblighi europei, di una disciplina generale in materia di affidamento e gestione dei pubblici servizi, di cui si dirà nel dettaglio nelle Sezioni II
e III del presente Capitolo.
Occorre, invece, analizzare in questa sede la parallela evoluzione del concetto
stesso di pubblici servizi9, influenzata dalla forte evoluzione sociale e tecnologica, che ne ha mutato costantemente l’oggetto, e dai vincoli europei in materia di
mercato e concorrenza, che hanno inciso fortemente sulla disciplina nazionale.
3.1. La teoria del servizio pubblico in senso soggettivo
Di particolare rilievo nell’elaborazione di una definizione di “servizio pubblico”10
è la scelta legislativa, avallata dalla Carta Costituzionale, di riservare, in via originaria o derivata, determinate attività di interesse generale alla gestione pubblica11.
Ferma la prevalenza assegnata alla forma privatistica in merito alla disciplina del rapporto di
lavoro dei dipendenti delle società pubbliche, si segnala, a titolo esemplificativo, l’applicazione
alle stesse delle norme in materia di accesso, di cui all’art. 23 della L. 241/1990, che prevede la
trasparenza anche degli atti di soggetti privati deputati alla gestione dei servizi pubblici.
9
All’origine dell’incertezza circa la nozione di servizio pubblico devono individuarsi l’assenza
di una definizione normativa e le oscillazioni derivatene nella giurisprudenza che non è pertanto
pervenuta ad una soluzione unitaria, a differenza dell’ordinamento francese, in cui i servizi pubblici sono individuati nelle attività soggette ad una disciplina speciale rispetto al diritto comune e
pertanto sottoposti alla giurisdizione amministrativa.
10
In argomento Merusi, Servizio pubblico, in Novissimo Digesto italiano, XVII, Torino, 1970.
11
L’art. 43 Cost. dispone infatti che “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a
comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano
a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere
di preminente interesse generale”; inoltre il terzo comma dell’art. 41 Cost. “La legge determina
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Il s.p. in senso
soggettivo
I servizi pubblici
La riserva nella mano pubblica delle attività dirette alla produzione di servizi
pubblici attraverso il meccanismo della riserva-gestione e della riserva-concessione è strettamente connessa alla teoria del servizio pubblico in senso soggettivo, secondo la quale è pubblico il servizio imputabile allo Stato o ad altro ente
pubblico e da questo gestito direttamente o indirettamente. Il servizio pubblico
consisterebbe dunque nella prestazione di utilità di carattere tecnico e materiale
a favore dei cittadini, offerta, secondo parte della dottrina, ai cittadini uti singuli
ovvero, secondo altra tesi, ai cittadini in quanto collettività indifferenziata12.
Tale impostazione trova fondamento nella ritenuta sovrapposizione tra Stato e giuridicità: solo lo Stato può conferire al cittadino il diritto ad ottenere una prestazione qualificabile in termini di servizio pubblico, perché l’assegnazione della qualifica “pubblica”
a un servizio non può avvenire attraverso meccanismi sociali che evidenzino esigenze
della collettività, ma solo grazie a un processo di giuridicizzazione riservato alla potestà
normativa statale.
Il s.p. in senso
oggettivofunzionale
3.2. Il superamento della teoria soggettiva a favore della impostazione oggettivo-funzionale
La teoria soggettiva dei servizi pubblici, dominante sino agli anni ’60, è stata
posta in dubbio da quella dottrina13 che, valorizzando il dettato costituzionale,
considera il servizio pubblico non più come un’attività necessariamente nella disponibilità di un soggetto pubblico. Si evidenziano infatti, alla luce del disposto
dell’art. 2 Cost., il primato della società, quale generatrice di diritti, e l’affermazione del pluralismo delle istituzioni sociali (ribadito oggi con la consacrazione
nell’art. 118, ult. co., Cost. del principio di sussidiarietà orizzontale).
Altra parte della dottrina sottolinea inoltre come la teoria soggettiva consenta
di qualificare un’attività come servizio pubblico soltanto ex post, in ragione della
natura del soggetto cui è affidata la gestione, senza tuttavia individuare ex ante
le caratteristiche proprie dell’istituto, con conseguente incertezza in merito alla
disciplina applicabile14.
È stata pertanto preferita una prospettiva funzionale per l’attuazione dell’uguaglianza sostanziale di cui al già citato art. 3, comma 2, Cost.
Così, il servizio pubblico viene inteso come attività pubblica o privata destinata a soddisfare fini sociali e soggetta a programmi e controlli ai sensi dell’art.
41, comma 3, Cost., secondo cu: “la legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizi programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali”, assegnando ai pubblici poteri un ruolo fondamentale nelle
dinamiche del mercato.
12
Così, ex pluribus, Cons. Stato, ad. plen., 30 gennaio 2014 n. 7.
13
Pototshing, I pubblici servizi, Padova, 1964.
14
Scoca, Diritto Amministrativo, Torino, 2011, 510.
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zata e coordinata a fini sociali”. Approccio, quest’ultimo, favorito dal riscontro della presenza di attività simili a quelle esercitate dall’Amministrazione e
caratterizzate da una peculiare disciplina pubblicistica, pur in mancanza di un
provvedimento traslativo della gestione del servizio al privato.
Ne deriva dunque una nozione di servizio pubblico incentrata sull’elemento
teleologico del soddisfacimento di interessi dei consociati, che prescinde dalla
natura pubblica o privata del soggetto che eroga in concreto il servizio.
La descritta impostazione oggettiva è stata recepita dalla giurisprudenza del Consiglio di La posizione
Stato che, nella recente sentenza della sezione V, 14 febbraio 2013, n. 911, ha affermato della
giurisprudenza
che “per identificare giuridicamente un servizio pubblico, non è indispensabile, a livello
soggettivo, la natura pubblica del gestore, mentre è necessaria la vigenza di una previsione legislativa che, alternativamente, ne preveda l’istituzione e la relativa disciplina,
oppure che ne rimetta l’istituzione e l’organizzazione all’Amministrazione. Oltre alla
natura pubblica delle regole che presiedono allo svolgimento delle attività di servizio
pubblico e alla doverosità del loro svolgimento, è ancora necessario, nella prospettiva
di un’accezione oggettiva della nozione, che tali attività presentino carattere economico
e produttivo (e solo eventualmente costituiscano anche esercizio di funzioni amministrative), e che le utilità da esse derivanti siano dirette a vantaggio di una collettività, più
o meno ampia, di utenti (in caso di servizi divisibili) o comunque di terzi beneficiari (in
caso di servizi indivisibili)”15.
3.3. Il superamento della teoria oggettiva. L’impostazione eclettica
Anche la teoria oggettiva, tuttavia, non è andata esente da critiche, essendosi
evidenziato che, nella sua configurazione classica, essa conduce a una perimetrazione della nozione di “servizio pubblico” talmente ampia da risultare di dubbia utilità. Infatti, vengono ricomprese nella medesima categoria sia le attività
economiche svolte da soggetti pubblici, sia quelle poste in essere da soggetti
privati e indirizzate alla collettività, sol che ricadano sotto qualche forma di piano o programma pubblico.
Queste difficoltà hanno indotto parte della dottrina a rivalorizzare l’elemento soggettivo nella definizione del servizio pubblico, chiarendo che, pur se la
gestione del servizio può indifferentemente essere affidata a soggetti pubblici o
privati, la relativa titolarità deve essere comunque riservata all’amministrazione
pubblica che lo ha assunto.
In questa versione composita della nozione di servizio pubblico, il criterio
oggettivo vale a chiarire che l’attività deve essere rivolta al pubblico (e mai
all’Amministrazione), e che il servizio deve essere posto a disposizione degli
utenti secondo canoni strutturali e funzionali di imprenditorialità, almeno tendenziale o anche solo potenziale. Il criterio soggettivo, invece, consente di di15
Cfr. anche TAR Lazio, Roma, Sez. II, 1 settembre 2014, n. 9264.
Il s.p. secondo
la teoria mista
soggettivooggettiva…
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…e in base alla
teoria eclettica
I servizi pubblici
stinguere tali attività dalle altre a carattere economico che possono essere svolte
dall’Amministrazione, ma che non sono precedute dall’assunzione dell’attività
in termini di doverosità.
Non mancano infine ulteriori impostazioni di carattere eclettico, volte a valorizzare entrambe le prospettive di qualificazione dei servizi pubblici, soggettiva
e oggettiva, assegnando altresì rilevanza alle modalità organizzative del servizio,
tali dal garantirne la fruizione da parte dei consociati, attraverso una gestione che
risponda appieno alle esigenze della collettività16.
4. La normativa europea in materia di servizi pubblici
L’art. 106
TFUE
I servizi di
interesse
economico
generale
Il servizio
universale
Come si è avuto modo di anticipare, la disciplina della materia e, di conseguenza, la nozione stessa di servizi pubblici è stata incisa dalla normativa di origine
comunitaria, che tuttavia non offre argomenti a favore della tesi soggettiva o di
quella oggettiva.
Dall’art. 106 TFUE (già 86 TCE), che contiene un riferimento alle imprese
incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale, sembra piuttosto trovare conferma la teoria mista sopra descritta.
La dottrina è unanime nel ritenere che il diritto comunitario non prenda in
considerazione l’intera gamma dei servizi pubblici presente negli ordinamenti
nazionali, ma unicamente quel particolare segmento rappresentato dai “servizi
di interesse economico generale”, ossia quei servizi, gestiti in forma imprenditoriale, che assumono la denominazione di servizi economici, industriali o commerciali.
L’art. 106 cit. esprime preferenza per un modello concorrenziale di gestione
del servizio, nel quale l’Amministrazione Pubblica interviene nella gestione solo
ove il mercato non sia in grado di soddisfare le esigenze dei cittadini; ma ciò
presuppone una scelta pubblica, contingente e storicamente determinata, sulla
rilevanza dell’interesse economico generale e sull’insufficienza del mercato ad
assicurarne il perseguimento.
Si ha, quindi, un capovolgimento di prospettiva rispetto agli schemi propri
dell’ordinamento nazionale. Al regime della riserva a favore del soggetto pubblico si sostituisce quello della gestione pubblica solo in presenza di ragioni idonee
a giustificare una simile deroga all’ordinario regime di concorrenza privata.
A risultati analoghi si giunge analizzando un’altra categoria utilizzata dal diritto comunitario, quella di “servizio universale”, che comprende quelle attività,
assimilabili ai servizi pubblici soltanto sotto il profilo della finalità e dei contenuti, per le quali è prevista una disciplina conformativa pubblicistica che contamina con un elemento soggettivo la natura eminentemente oggettiva del serviIn tal senso Caia, I servizi pubblici, in Mazzarolli-Pericu-Romano-Roversi Monaco (a cura
di), Diritto Amministrativo, Bologna, 2005.
16
Parte II – Capitolo 9
1033
zio. Secondo la definizione offerta dalla direttiva 2002/22, e ripresa dall’art. 1,
co. 1, lett. l, D.Lgs. n. 259 del 2003, il servizio universale è “un insieme minimo
di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere
dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti ad un prezzo accessibile”.
Le due nozioni – “servizio di interesse economico generale” e “servizio universale” – rappresentano rispettivamente l’area esterna e l’area interna di un’ampia nozione di servizio pubblico, entrambe connotate dalla presenza di una più
o meno rilevante ingerenza pubblica che, se raramente a livello comunitario si
riscontra in termini di gestione del servizio, più comunemente si risolve nell’attribuzione in capo alle amministrazioni pubbliche di strumenti di verifica e controllo delle attività in questione.
5. La disciplina interna: in particolare, la riforma del processo amministrativo (D.lgs. n. 104/2010)
Con riferimento alle norme del nostro ordinamento che disciplinano la materia,
particolare rilevanza assume l’art. 33, D.lgs. 80 del 1998, nella versione introdotta dall’art. 7, L. n. 205 del 2000, ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia
di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle
assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla L. 14 novembre 1995, n. 481”.
Si tratta di una previsione di ampio respiro, che assegnava al G.A. una notevole
fetta di contenzioso utilizzando il riferimento alla nozione dei “pubblici servizi”.
La locuzione utilizzata dal Legislatore è stata oggetto di un acceso contrasto tra
l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato17 e le Sezioni unite della Cassazione18.
Le posizioni espresse dai supremi organi giurisdizionali partivano dal presupposto del
carattere oggettivo della nozione di servizio pubblico. La Corte di Cassazione riteneva
che servizio pubblico fosse quello destinato alla collettività anche se posto in essere da
un imprenditore privato e che non vi rientrasse invece l’attività destinata a soddisfare i
bisogni della stessa Amministrazione.
Al contrario, il Consiglio di Stato sosteneva la tesi della tendenziale residualità del
criterio di riparto fondato sulla causa petendi e dell’attrazione nella giurisdizione esclusiva del G.A. di tutte le controversie, anche quelle di carattere patrimoniale, tra il concessionario del servizio e l’Amministrazione, sulla scorta di una nozione di servizio
pubblico intesa nel suo significato giuridico potenzialmente più vasto, quale attività (di
qualsiasi natura) connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da soggetti
pubblici o privati (dunque all’infuori della logica di scambio o di lucro).
17
18
Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 30 marzo 2000, n. 1.
Cass., S.U., 30 marzo 2000, n. 71; Id., 30 marzo 2000, n. 72.
La nozione
di “servizio
pubblico nella
giurisprudenza
1034
Corte Cost.
n. 204/2004
La disciplina
del Codice
del processo
amministrativo
I servizi pubblici
La norma – come è noto – è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con
sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale, in cui si afferma che “la
materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del
G.A. se in essa la P.A. agisce esercitando il suo potere autoritativo, ovvero, attesa la facoltà riconosciutale dalla legge (art. 11, L. 7 agosto 1990, n. 241) di
adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo comunque
presupposto, se si vale di tale facoltà; pertanto, sono incostituzionali, per violazione degli art. 22, 102 e 103 Cost., i commi 1 e 2 e dell’art. 33, D.Lgs. 31
marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall’art. 7 co. 1 lett. a, L. 21 luglio 2000, n.
205, nella parte in cui prevedono che sono devolute alla giurisdizione esclusiva
del G.A. ‘tutte le controversie sui pubblici servizi, ivi compresi quelli…’, anziché
le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici
servizi escluse quelle su indennità, canoni ed altri corrispettivi (giusta quanto
già previsto dall’art. 5, L. 6 dicembre 1971, n. 1034), ovvero relative a provvedimenti adottati dalla P.A. o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla citata L. n. 241 del 1990 ovvero ancora
relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei
confronti del gestore (come previsto dall’originario testo dell’art. 33, co. 2, lett.
c, e d, D.Lgs. n. 80)”. Del tutto cancellata risulta l’elencazione esemplificativa
del comma 2 dell’art. 33.
L’effetto prodotto è stato duplice perché, da un lato, permaneva un criterio di
attribuzione generale alla giurisdizione esclusiva del G.A. secondo le indicazioni fornite dalla Consulta; dall’altro, rimaneva in vigore l’ultima parte del comma
1 dell’art. 33, con attribuzione secca delle controversie negli specifici servizi
pubblici indicati.
La Consulta, a riprova della presenza di una pluralità di nozioni di “servizio
pubblico”, ha fatto proprio dunque un orientamento che limitala possibile deroga
al riparto di giurisdizione fondato sull’ordinario criterio della causa petendi solo
in presenza di una contaminazione tra servizio pubblico e profilo autoritativo
dell’attività amministrativa.
Quanto al confronto tra la concezione estensiva e quella restrittiva di servizio
pubblico, rispettivamente rappresentate dalle citate sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2000 e delle Sezioni unite della Cassazione
nn. 71 e 72 del 2000, la sentenza del giudice delle leggi si schiera per la seconda,
tanto che nella norma risultante dal giudicato della Consulta il riferimento resta
relativo a servizi, quali trasporto e telecomunicazioni, offerti alla collettività.
Quanto fin qui posto in evidenza risulta confermato dal testo dell’art. 133, co.
1, lett. c, c.p.a., il quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di
pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla Pubblica Amministrazione o
dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero
Parte II – Capitolo 9
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ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore”.
La disposizione in questione è tendenzialmente riproduttiva del testo dell’art.
33 D.Lgs. n. 80 del 1998, oggi confluito nel menzionato articolo codicistico, così
come risultante dalla riscrittura successiva alla sentenza n. 204 del 2004 della
Consulta.
Ne deriva che il Legislatore, conscio del dibattito insorto in materia e del
quale si è dato sommariamente atto in questa sede, ha previsto la giurisdizione
esclusiva del G.A. allorquando risulti una spendita di potere da parte della P.A.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla Parte I, Sez. III, Cap. II.
5.1. La riforma degli enti locali e del Titolo V della Parte II della Costituzione
Ulteriore disposizione di particolare importanza nella ricostruzione della nozione di pubblici servizi è l’art. 112 TUEL (D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), ai sensi
del quale “gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono
alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed
attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e
civile delle comunità locali”.
Si tratta di una norma che definisce chiaramente i “servizi locali”, quali prestazioni di fare o dare; essa, tuttavia, non chiarisce il preciso significato da attribuire al carattere “pubblico” del servizio.
In diverse occasioni si è negata la qualificazione di servizio pubblico ad attività economiche non finalizzate al soddisfacimento di bisogni della collettività,
ma di esigenze dello stesso ente locale19.
Le problematiche che sono state scandagliate in dottrina e giurisprudenza
attengono essenzialmente alla legittimazione degli enti locali a istituire servizi
pubblici locali in rapporto al diritto di iniziativa economica privata nonché alle
forme di gestione del servizio e, in particolare, all’utilizzo delle società miste.
Quanto alla prima questione, la previsione dell’art. 112 TUEL sembra legittimare gli enti locali ad assumere come servizi pubblici locali quelle attività
che incidono in via diretta sulla comunità locale, perché rispondenti ad esigenze
essenziali o diffuse di una determinata collettività locale.
Così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022; Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo
2003, n. 1289: “per servizi pubblici locali devono intendersi quelli che abbiano per oggetto la
produzione di beni ed attività, rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, non essendo sufficiente la semplice riconducibilità del servizio
ad un ente pubblico. Infatti, ai fini della configurabilità di un servizio pubblico locale, occorre
che il medesimo abbia una sua soggettiva ed oggettiva qualificazione, la quale deve garantire la
realizzazione di prevalenti fini sociali, oltre che la promozione dello sviluppo economico e civile
delle relative comunità”. Si tratta di una posizione analoga a quella fatta propria dalla Corte di
Cassazione circa l’interpretazione dell’art. 33, D.Lgs. n. 80 del 1998, prima dell’intervento della
sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, analizzato nel paragrafo precedente.
19
L’art. 112 TUEL
La
legittimazione
degli enti locali
ad istituire
propri servizi
pubblici