LE COMPLICANZE IN ORTOGNATODONZIA
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LE COMPLICANZE IN ORTOGNATODONZIA
LE COMPLICANZE IN ORTOGNATODONZIA: PREVENZIONE E GESTIONE CLINICA Società di pertinenza: SIDO (Società Italiana di Ortodonzia) Umberto Garagiola 1 Indice: INTRODUZIONE………………………………………………………………………………….3 1. Il contesto della comparsa di complicanze durante il trattamento ortodontico…..……..5 1.1 Il contesto terapeutico generale……………………………………………………………5 1.2 Il contesto terapeutico specifico……………………………………………………………8 2. Le complicanze in ortognatodonzia…………………………………………………………...11 2.1 Complicanze dentali associate alla terapia ortodontica…………………………………..11 2.1.1 Lesioni dello smalto durante l'incollaggio e debonding dei dispositivi ortodontici………11 2.1.2 Complicanze cariose………………………………………………………………………13 2.1.3 Alterazioni del colore……………………………………………………………………..15 2.1.4 Usura dentale……………………………………………………………………………...16 2.1.5 Il Riassorbimento apico-radicolare……………………………………………………….17 2.2 Complicanze parodontali………………………………………………………………….20 2.3 Alterazioni dei tessuti molli………………………………………………………………..22 2.4 Disordini dell’articolazione temporomandibolare………………………………………….23 2.5 Complicanze dovute all’utilizzo di minimpianti come ancoraggio scheletrico……………23 2.6 Complicanze estetiche……………………………………………………………………...25 2.7 Complicanze in chirurgia ortognatica……………………………………………………...25 2.8 Complicanze neurologiche…………………………………………………………………26 2.9 Reazioni allergiche e complicanze gastrointestinali………………………………………..27 2.10 Complicanze cardiache e psicologiche……………………………………………………..28 3. Recidiva………………………………………………………………………………………….30 4. Gestione del rischio in ortodonzia……………………………………………………………...32 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………..34 BIBLIOGRAFIE…………………………………………………………………………………..35 2 INTRODUZIONE Il trattamento ortodontico delle malocclusioni e delle anomalie craniofacciali, garantisce il corretto allineamento dei denti, e un armonioso rapporto occlusale e intermascellare, inoltre può migliorare le multifunzioni dell’apparato stomatognatico la fonazione, l’estetica facciale, con effetti benefici sulla salute orale, oltre a rinforzare l’autostima, avendo un ruolo positivo nel miglioramento della qualità della vita dell'individuo. Pertanto, gli obiettivi del trattamento ortognatodontico sono coerenti con gli obiettivi degli interventi medici, vale a dire garantire la salute, lo "stato di completo benessere fisico, mentale e benessere sociale”, come percepito dall'organizzazione mondiale della sanità (OMS, 1946). Come qualsiasi altro intervento medico, il trattamento ortodontico ha, in aggiunta ai suoi benefici, anche rischi e complicanze. In ortodonzia, il rischio di "fare male" è notevolmente inferiore rispetto ad altri interventi medici, ad esempio, quelli chirurgici. Tuttavia, durante l'atto medico, attraverso l'utilizzo delle varie procedure, dispositivi e materiali, si potrebbero verificare effetti collaterali indesiderati, sia locali (discromie del dente, decalcificazione, riassorbimento radicolare, complicanze parodontali) che sistemici (reazioni allergiche, sindrome da stanchezza cronica) (Preoteasa, 2012). Un aumentato rischio di complicanze può controindicare la terapia ortodontica o influenzare i suoi obiettivi, le sue fasi e il suo svolgimento, aspetti direttamente connessi con la qualità dell’esito finale della prognosi. Generalmente i vantaggi di un qualsiasi intervento medico devono superare qualsiasi potenziale danno. La legislazione che regola la condotta medica prevede la figura del paziente come attore nel processo decisionale, il quale deve essere adeguatamente informato sul trattamento, circa i benefici e i possibili rischi che potrebbero verificarsi. Si consiglia di fare per ogni paziente una rigorosa analisi del profilo di rischio, seguita da un consenso informato firmato. 3 In caso di possibili complicanze aver evitato di informare i pazienti sulle possibili complicazioni connesse all'atto medico può portare a denunce di malpractice o ad azioni legali. In questo lavoro si propone di evidenziare le principali cause di rischio e complicanze in ortodonzia. Si inizia con un'analisi del contesto in cui si verificano, seguita da un presentazione delle principali complicanze collegate all'intervento ortodontico per concludere con un approccio generale all’argomento dal punto di vista dei principi di gestione dei rischi. Le seguenti informazioni rappresentano una revisione della letteratura, nell’ ambito dello stato attuale della conoscenza, le esperienze cliniche e ricerche personali dell’Autore. 4 1. IL CONTESTO DELLA COMPARSA DI COMPLICANZE DURANTE IL TRATTAMENTO ORTODONTICO Gli effetti collaterali associati con il trattamento ortodontico si verificano all'interno dell'interazione tra fattori relativi al paziente, equipe medica e tecnica ortodontica. Questi possono essere percepiti come elementi appartenenti al contesto terapeutico generale presente quando le apparecchiature ortodontiche vengono consegnate, applicate e gli aspetti legati a un contesto terapeutico specifico, vale a dire legato alla terapia ortodontica. Possono verificarsi effetti collaterali locali e sistemici ai pazienti, ma anche ai membri del team ortognatodontico (quelli che gestiscono il trattamento e la manipolazione di vari materiali e strumenti) (Tab.I) 1.1 Il contesto terapeutico generale Durante la terapia ortodontica le complicazioni possono essere legate al contesto generale, presente quando vengono consegnate le apparecchiature ortodontiche, possono presentarsi in relazione alle caratteristiche specifiche del paziente, collegate alla equipe medica responsabile della realizzazione del piano di trattamento o associato ad un carente rapporto medico-paziente. Ci sono molte variabili legate al paziente che possono influenzare il verificarsi del rischio durante la terapia ortodontica. Tra queste vi sono caratteristiche individuali legate all'età, sesso, stato fisiopatologico, la predisposizione genetica, l’ambiente, tipo psicologico, come pure malocclusioni (tipo, eziologia, gravità) e le caratteristiche cranio-facciali. Al fine di ridurre la frequenza e la gravità delle complicanze associate a questo tipo di trattamento, è necessario conoscere in dettaglio le caratteristiche di ogni caso, che devono essere integrate all'interno del piano di trattamento e durante la terapia ortodontica. Per esempio, all'interno di vari gruppi di età ci sono aspetti specifici degli stati fisiopatologici, sviluppo e cooperazione, compliance, che possono influenzare il timing della terapia ortodontica e gli obiettivi del trattamento, la scelta delle apparecchiature, la durata del trattamento e la stabilità della terapia. All’interno 5 di pazienti di giovane età ritenuti idonei a ricevere un trattamento ortodontico precoce, ci sono soprattutto quelli con alterazioni funzionali, cross-bite anteriori o posteriori, e quelli con arcata superiore contratta. Ma ci sono procedure, come l’espansione dell’arcata inferiore per risolvere affollamento dentale, attuate in dentizione mista, che risultano talvolta instabili nel tempo. Pertanto il trattamento ortodontico è spesso iniziato in tarda dentizione mista poco prima della permuta del secondo molare mandibolare deciduo con il vantaggio di avere una migliore collaborazione del paziente, la possibilità di utilizzare il freeway space e influenzando la crescita ossea dei mascellari, con accorciamento della durata del trattamento attivo (DiBiase, 2002). Il trattamento del paziente adulto spesso richiede una personalizzazione dell'intervento ortodontico dovuto ai cambiamenti delle strutture orali e a cambiamenti dello stato fisiopatologico. Sono presenti più frequentemente le alterazioni parodontali (riduzione del sostegno dell'osso alveolare con la variazione del centro di rotazione del dente, favorendo un veloce movimento dentale; una densità aumentata dell'osso associata ad un movimento dentale più lento); una maggiore intensità e durata del dolore oltre che ad un aumento della percentuale di denti devitalizzati con un comportamento incerto durante il movimento dentale (Shah & Sandler, 2006). Uno stato di salute alterato può aumentare il rischio di comparsa di certe complicanze o interferire con la gestione del trattamento ortodontico. Ad esempio, in caso di utilizzo di bifosfonati, tra gli effetti collaterali, l'ortodontista dovrebbe preoccuparsi della difficoltà di raggiungere gli spostamenti dentali desiderati (fenomeno che persiste per lungo tempo dopo la sospensione del farmaco) oltre che avere una più lenta guarigione ossea con possibile comparsa di osteonecrosi (soprattutto in caso di estrazioni dentali, posizionamento di impianti o fasi di chirurgia ortognatica (IglesiasLinares et al., 2010). Un buon svolgimento del trattamento ortodontico è legato anche alla compliance e alla comprensione del paziente per quanto riguarda le indicazioni riferite dall’ortodontista, che propone principalmente il mantenimento di una buona igiene 6 orale, la manutenzione del dispositivo e il rigoroso rispetto degli appuntamenti periodici di controllo. La non osservanza di queste condizioni può causare danni ai componenti dell' apparecchiatura ortodontica, danno alle strutture orali (fattore di rischio per demineralizzazione, carie, discromie, danni parodontali, alito cattivo), aumenta la durata del trattamento e il rischio di non raggiungere il risultato previsto. L'ortodontista ha un ruolo importante nel prevenire le complicanze connesse con questo tipo di trattamento, essendo colui che gestisce e il responsabile dell'attuazione del piano di trattamento. La sfida per l’ortodontista nel XXI secolo è quello di integrare le migliori evidenze scientifiche nella pratica clinica quotidiana, ciò rappresenta il "gold standard “ della qualità delle cure ortognatodontiche, (Ackerman, 2004). Inoltre, al fine di conseguire un elevato standard di qualità del trattamento, con minime complicanze, è necessario che l’ortodontista disponga di tutti i mezzi necessari per attuare un trattamento ottimale. Ad esempio, per includere nel trattamento una fase chirurgica ortognatica è necessario per l'ortodontista avere una collaborazione professionale con il chirurgo maxillo-facciale, preferibilmente nella stessa struttura per una migliore gestione del paziente. Generalmente possiamo dire che le complicanze dovute ad errori di diagnosi, pianificazione del trattamento o gestione del trattamento legate all'intervento dell’ ortodontista possono essere evitate attraverso una formazione adeguata, buone conoscenze teoriche e abilità clinica del professionista e anche il possesso di tutti gli elementi necessari per l’attuazione del piano di trattamento considerato ottimale (Farronato & Garagiola 2010). Il rapporto medico-paziente è un altro importante fattore chiave nel garantire un'elevata qualità dell’atto medico, avendo impatto positivo o negativo sulla condotta del trattamento. Quando inizia un trattamento ortodontico, l’ortodontista, il paziente, il genitore o il responsabile legale del minore che sia, diventano tutti una squadra con un obiettivo comune: gestire e garantire lo stato di salute dell’apparato stomatognatico. La comunicazione è un elemento chiave nel raggiungimento di risultati di qualità, ma le difficoltà possono insorgere per vari motivi, come in un 7 paziente bambino, una persona con disabilità o mancanza di interesse verso gli aspetti medici. In generale, le difficoltà più comuni riguardano la comprensione degli aspetti medici da parte del paziente e dalla capacità del medico nel farsi comprendere. A questo proposito, si raccomanda la chiara presentazione delle informazioni mediche, odontoiatriche e ortognatodontiche al paziente, in un linguaggio chiaro, evitando l’utilizzo di terminologia specializzata. In modo da garantire un andamento ottimale del trattamento, si consiglia di valutare il paziente e l’atteggiamento della famiglia verso l'intervento prima di iniziare il trattamento ortodontico. Quando si tratta di un paziente negativo, reticente, a volte è saggio rinviare il trattamento, perché possono insorgere difficoltà nella progressione del trattamento e potrebbero manifestarsi effetti negativi sulla salute, oltre che avere conseguenze psicologiche (Daniels el al.; 2009). 1.2 Il contesto terapeutico specifico Parte delle complicanze osservate durante o dopo il trattamento ortodontico possono essere collegate ad alcune caratteristiche specifiche di questo tipo di trattamento medico. Queste sono principalmente legate al posizionamento degli apparecchi ortodontici, al loro meccanismo di azione, alla relazione tra le strutture orali e il dispositivo ortodontico oltre che essere legate alla proprietà del materiale di costruzione e alle particolarità degli apparecchi ortodontici. I dispositivi ortodontici possono essere fissi, costituiti da elementi incollati per tutto il periodo di trattamento attivo (attacchi, bande) o rimovibili, con diverse indicazioni cliniche, vantaggi e svantaggi per quanto riguarda la pulizia, il carico microbico, lacompliance del paziente ecc. Alcuni componenti sono attivi, altri passivi, e possono staccarsi rompersi, provocando complicanze locali o generali. Gli apparecchi ortodontici, fissi o rimovibili, sono collocati nell'ambiente orale, in relazione con le strutture anatomiche, interferendo con le funzioni stomatognatiche, essendo solitamente utilizzate per un lungo periodo di tempo. C'è una vasta gamma di materiali utilizzati per la fabbricazione di dispositivi ortodontici (per esempio, 8 metallo - nichel e titanio, componenti acrilici, cementi, resine composite, e ceramiche, lattice), che presentano diverse caratteristiche biomeccaniche e strutturali rispetto a quelle orali. I componenti dei dispositivi ortodontici vengono in contatto con i tessuti e i fluidi orali, e presentano alcune condizioni complesse: immersione nella saliva e liquidi ingeriti, sbalzi di temperatura, carico meccanico durante la masticazione e l'attivazione dei dispositivi, interazioni di natura fisica o chimica. Pertanto gli apparecchi ortodontici non devono contenere componenti che possono causare una risposta tossica, causare reazioni allergiche o essere potenziali cancerogeni, devono essere resistenti alla corrosione elettrochimica, non dovrebbero promuovere l'aderenza microbica e il suo sviluppo, in generale dovrebbero presentare una biocompatibilità ottimale (Atai & Atai, 2007; Bentahar et al., 2005). In questo contesto, è consigliabile utilizzare dispositivi ortodontici con basso contenuto di nichel, con una buona resistenza alla corrosione e, per evitare la corrosione dei componenti costruiti con il titanio, limitare l'uso di prodotti a base di fluoro ad alta concentrazione (Chaturvedi & Upadhayay, 2010). Per l’andamento ottimale del trattamento i materiali utilizzati devono essere resistenti alle forze che vengono applicate durante il loro periodo di utilizzo, non dovrebbero fratturarsi e dovrebbero essere adatti ad essere forgiati secondo le indicazioni del clinico. In ortodonzia il risultato del trattamento è raggiunto principalmente attraverso l’azione delle forze ortodontiche applicate ai denti, alle ossa e ai muscoli avendo come risultato lo spostamento dentale, oltre che la modifica della morfologia e della crescita ossea. Secondo la particolarità del paziente devono essere impostati trattamenti individualizzati, per esempio le forze ortodontiche dovrebbero essere dosate in relazione ad aspetti come età, stato di salute, delle strutture orali del paziente (ad esempio forze di maggior entità possono essere un fattore di rischio per il riassorbimento radicolare, anchilosi, danno pulpare e parodontale, dolore). Gli apparecchi ortodontici, a seconda del loro tipo, avranno un contatto diretto con le varie strutture del cavo orale come denti, aree ossee e mucose del palato e dell'osso alveolare, della lingua, delle guance, delle gengive ecc. A volte un effetto indiretto 9 del loro posizionamento è rappresentato ad esempio, dalla disfunzione dell’ articolazione temporomandibolare oltre che da patologie dei muscoli (spasmo). L’applicazione di dispositivi ortodontici fissi è spesso associata a possibili cambiamenti irreversibili dello smalto, a difficoltà nel mantenimento di una adeguata igiene orale dovuta alla complessità morfologica delle apparecchiature, che rappresentano aree privilegiate per la ritenzione di placca, oltre che la presenza di riassorbimento radicolare, disagio e dolore. Durante la gestione del trattamento ortodontico due aspetti devono essere attentamente considerati, vale a dire 1) i rischi presenti e 2) le possibili complicanze. Tra queste due c'è una forte connessione, riconoscendo loro essere una delle chiavi per fornire una terapia ortodontica sicura (Graber et al., 2004) (Tab.II). 10 2. LE COMPLICANZE IN ORTOGNATODONZIA 2.1. Complicanze dentali associate alla terapia ortodontica Legati alla terapia ortodontica, vengono descritti numerosi effetti collaterali riferiti alla superficie del dente. Tra le prime ipotesi eziologiche vi è quella secondo cui l’apparecchiatura ortodontica fissa possa indurre cambiamenti dello smalto sia quantitativamente (perdita di smalto durante l'incollaggio e procedure di debonding) che qualitativamente (discromie). A livello radicolare l’effetto collaterale più grave e temibile è rappresentato dal riassorbimento, processo associato ad una riduzione della lunghezza radicolare, con conseguente perdita di capacità da parte dell’elemento dentale di supportare forze che intercorrono durante la funzione masticatoria, sino a casi estremi di perdita precoce dei denti coinvolti. Per quanto riguarda le reazioni pulpari, durante l'azione di forze ortodontiche può manifestarsi un’ipoplasia del tessuto pulpare, variabile in funzione della direzione, della entità e della durata d’azione della forza. Di solito le reazioni infiammatorie sono transitorie, reversibili, ma, a volte si manifesta la necrosi pulpare. Maggiore rischio di reazione pulpare è presente nei denti con una storia di gravi lesioni parodontali in particolar modo durante determinate procedure ortodontiche, come ad esempio l'intrusione e l'estrusione (Bauss et al., 2008). 2.1.1 Lesioni dello smalto durante l'incollaggio e debonding dei dispositivi ortodontici Il danno dello smalto che appare come un effetto collaterale della terapia ortodontica è in gran parte correlato alle tecniche d’incollaggio e di rimozione degli attacchi. Una delle preoccupazioni principali dell'attuale ortodonzia è identificare un metodo per non avere alterazioni della superficie dello smalto alla fine del trattamento (Tab.III). Prima di applicare gli attacchi, tubi e bande, si consiglia di preparare la superficie dello smalto mediante lucidatura con pasta pomice per aumentare la forza di legame, procedura di grande importanza soprattutto quando vengono utilizzati 11 adesivi self-etched (automordenzanti) come bonding (Lill et al., 2008). Pulizia e lucidatura sono accompagnate da perdita di smalto e fessurazioni della superficie, ma queste alterazioni hanno livelli di gravità trascurabili rispetto a quelli che si possono riscontrare dopo il debonding (Øgaard & Fjeld, 2010; Hosein et al., 2004). In base alle attuali conoscenze, l’incollaggio di apparecchi ortodontici può indurre cambiamenti irreversibili della superficie dello smalto. Le modifiche più gravi appaiono quando resine (soprattutto quelle convenzionali, con la fase di mordenzatura separata) sono utilizzate come materiali di bonding. Il forte legame di questi materiali è direttamente correlato alla porzione di resina applicata, che non può essere rimosso alla fine del trattamento ortodontico. L'estensione della profondità di mordenzatura dipende da numerosi fattori, tra i quali: il tipo di acido e la concentrazione, il tempo di applicazione, caratteristiche della superficie dello smalto (per esempio, nei premolari e molari mandibolari è solitamente presente uno smalto aprismatico più resistente alla mordenzatura, aspetto che potrebbe contribuire nell’osservare un più alto tasso di distacco di brackets e tubi). A volte, dopo l’applicazione di brackets e tubi rimangono superfici smaltee mordenzate non rivestite da resina, ma di solito si remineralizzano senza dare conseguenze: infatti questa situazione non rappresenta un fattore di rischio per la comparsa di carie. Una tecnica d’incollaggio più recente, con resina adesiva self-etching produce meno danni allo smalto, ma ha lo svantaggio di dare una forza di adesione inferiore. I cementi vetroionomerici sono preferiti come materiali grazie ad un ridotto coinvolgimento dello smalto, al rilascio di fluoro, con proprietà di adesione e forza di legame simile alle resine. Durante la rimozione del materiale residuo e di debonding c'è un rischio di danno del dente (perdita smalto e crepe), complicanza irreversibile, difficilmente evitabile. L'ortodontista ha una grande responsabilità nel prevenire questo danno irreversibile dello smalto utilizzando un'appropriata tecnica di debonding. Una tecnica sicura di debonding mira a rompere il legame tra l’attacco e l’adesivo. Questo deve essere preferito soprattutto quando a contatto con la base del bracket c'è un morbido smalto demineralizzato. Il materiale resinoso residuo è meglio 12 rimuoverlo con frese al tungsteno a bassa velocità, seguita da lucidatura con pomice o una pasta lucidante, al fine di diminuire la rugosità e prevenire l'accumulo di placca (Graber et al., 2004). Crepe orizzontali dello smalto che si presentano dopo debonding sono associate direttamente alla tecnica ortodontica, mentre quelle verticali, sono presenti con un'alta frequenza anche nella popolazione che non ha ricevuto precedenti trattamenti ortodontici (Øgaard & Fjeld, 2010). 2.1.2 Complicanze cariose Uno tra gli effetti collaterali più frequenti associati alla terapia ortodontica si è visto essere la lesione cariosa. Questo tipo di lesione presenta delle specifiche particolarità, essa appare con maggior frequenza sulla superficie dentale attorno all’attacco. Queste lesioni di solito sono poco rilevanti, hanno bassa gravità, (la maggior parte delle volte vengono rilevate delle white spots macchie bianche più frequentemente con localizzazione gengivale e distale alla base del bracket, più raramente mesiale o occlusale ad esso). L'evidenza mostra che la prevalenza di questo effetto secondario indesiderato è circa del 70% per lesioni white spots, e meno del 5% per cavità (Al Maaitah et al., 2011). Secondo alcuni studi, più del 30% degli incisivi superiori, denti con la massima valenza estetica, presentano decalcificazioni dopo trattamento ortodontico (Chapman et al., 2010). Le demineralizzazioni attorno ai bracket si verificano soprattutto a causa di una non corretta igiene orale in presenza di apparecchio ortodontico, l’autodetersione diminuisce notevolmente e ciò si accompagna ad un aumento del numero di aree di ritenzione di placca. Nei pazienti ortodontici la presenza di placca è 2-3 volte superiore ai livelli presenti in adulti non in trattamento (Klukowska et al., 2011). Si è anche osservato una diminuzione del pH salivare e aumento dei livelli di Streptococcus Mutans e Lactobacillus, elementi che favoriscono la cariorecettività (Vizitiu & Ionescu, 2010). Quindi il mantenimento di una buona igiene orale è obbligatorio. Inoltre, un apprendimento di nuove tecniche su come eseguire 13 correttamente l'igiene orale può essere utile con l'utilizzo di strumenti aggiuntivi come lo spazzolino interdentale. Di conseguenza, ci sono maggiori costi impliciti, non solo economici (sostituzione più frequente dello spazzolino, dello spazzolino interdentale, dell’idropulsore ecc..) ma anche in termini di tempo (più tempo speso per garantire una buona igiene orale). Nella prevenzione della carie, anche se il ruolo del paziente resta quello principale mantenendo una buona igiene orale, il ruolo dell’ortodontista non è trascurabile. Prima di iniziare la terapia ortodontica è consigliato valutare attentamente la cariorecettività e il livello di igiene orale, a volte questa analisi ci porta a rinviare il trattamento ortodontico con l’apparecchio fisso. Possono essere applicati dei metodi di prevenzione primaria (per esempio, la raccomandazione di come mantenere una buona igiene orale e trasmettere abitudini alimentari corrette; utilizzo di fluoro nei materiali adesivi adottati per la cementazione di brackets e bande). Quando è necessario, si devono adottare prontamente metodi di prevenzione secondaria (ad es., aumentando la compliance del paziente attraverso un intervento attivo dell'operatore, in presenza di white spots). Un metodo per diminuire la cariorecettività, spesso utilizzato dagli ortodontisti e dentisti, è l’applicazione topica del fluoro. Una revisione sistematica, effettuata nel 2004 conclude riferendo che c'è una certa prova che sostiene che l’utilizzo di collutori contenenti fluoro, l’utilizzo di cementi addizionati al fluoro, porta a una riduzione dell’incidenza cariosa durante terapia con apparecchiatura fissa (Benson et al., 2004). Nel 2010 Shungin et al., con un follow-up di 12 anni, dopo la fine del trattamento attivo, hanno dimostrato che alla fine del trattamento ortodontico fisso, si è evidenziato un notevole aumento della frequenza di lesioni a macchia bianca, (whitespot), seguito da una importante e progressiva diminuzione. Inoltre, le modificazioni sono state significativamente meno gravi quando è stato usato il cemento vetroionomerico come materiale adesivo rispetto all’acrilico (Shungin et al., 2010). Diversi trattamenti possono essere adottati quando sono presenti le white spots a fine trattamento, tra questi vi sono: attendere rimineralizzazione spontanea, utilizzare 14 fluoro o di prodotti con fosfopeptide di caseina, raccomandazione di masticare gomme senza zucchero. Sugli elementi frontali quando sono presenti inestetismi lievi si possono adottare tecniche di microabrasione per risolvere il problema. Quando si sceglie tra materiali con lo stesso uso clinico cioè incollaggio dei brackets ortodontici, al fine di prevenire l’insorgenza di carie in pazienti ad alto rischio, il professionista può preferire la resina composita self-etching, che è più idrofoba e teoricamente permette un minore accumulo di placca. Per quanto riguarda cementi vetroionomerici, che sono frequentemente utilizzati per cementazione di bande, nel tempo, a causa del loro carattere idrofilo e per la loro solubilità può verificarsi la formazione di uno spazio che rappresenta una zona di ritenzione per la placca dentale, diventando un agente eziologico per carie e parodontite. 2.1.3 Alterazioni del colore Le discromie presenti dopo la rimozione di brackets possono avere un impatto negativo sull'estetica e quindi sulla soddisfazione del risultato finale del paziente. Karamouzos et al. in uno studio su ventisei pazienti ortodontici ha riportato la variazione di colore dei denti, dopo il trattamento ortodontico; l'80% dei pazienti ha riportato almeno un dente con una discromia, valutate come inaccettabili dagli autori. Il tempo ha avuto un effetto negativo su tutti i parametri di colore, valutati secondo il sistema Commission Internationale dell’Eclairage system, sono stati osservati molti casi con severe discromie quando vengono utilizzate resine adesive autopolimerizzanti, rispetto alle fotopolimerizzanti (Karamouzos et al. 2010). Le alterazioni di colore dopo trattamenti ortodontici presentano un eziologia multifattoriale, alcune variabili sono da ricollegarsi alle tecniche utilizzate. La frequenza di queste alterazioni è considerevolmente più alta quando viene utilizzata un’apparecchiatura fissa se paragonata ad una removibile. Quando vengono utilizzate, le resine per l’adesione dei bracket, i cambiamenti dello smalto sono inevitabili. I residui di resina non possono essere rimossi mediante le procedure di pulizia senza alterare notevolmente la superficie dello smalto. Si possono avere delle 15 alterazioni sulla morfologia della superficie dello smalto irreversibili, che si riflettono negativamente sulle proprietà di riflessione, luminosità e percezione ottica. Alcuni studi dimostrano che gli adesivi resinosi utilizzati per l’adesione dei bracket non presentano una buona stabilità di colore nel tempo. Coloranti alimentari, luce ultravioletta e prodotti di corrosione dovuti all'apparecchio ortodontico inducono alterazioni di colore, con una tendenza a modificare verso i toni gialli (Faltermeier et al., 2008). In presenza di forze ortodontiche che inducono variazione nella vascolarizzazione della polpa, è possibile che possa manifestarsi una discromia endogena, con un invecchiamento precoce del dente. Inoltre, se sono presenti le white spots, anche se è avvenuta la remineralizzazione, molto probabilmente l’aspetto finale della struttura del dente sarà differente alla struttura iniziale dello smalto. I prismi dello smalto non saranno disposti in modo identico allo smalto d’origine, con possibili influenze sulle proprietà di colore. Dopo la rimozione dei brackets i pazienti desiderano migliorare l’aspetto dei denti mediante sbiancamento. Questa procedura deve essere attentamente valutata quando sono utilizzate delle resine come materiale adesivo per la presenza di residui resinosi. Il materiale sbiancante si comporta in modo differente sui residui resinosi rispetto allo smalto adiacente con rischio di avere dei risultati sgradevoli. 2.1.4 Usura dentale Un'altra alterazione dentale presente nel paziente ortodontico è l’abrasione secondaria per il contatto diretto tra denti e brackets o tubi. Una maggior abrasione è stata notata con l’utilizzo di brackets in ceramica. Viazis segnala una severità da nove a trentotto volte superiore rispetto al bracket in metallo (Lau et al., 2006; Viazis et al., 1990). È consigliabile, specialmente durante certe fasi del trattamento ortodontico, evitare l’utilizzo di bracket in ceramica al fine di ridurre al minimo l'abrasione dentale. Ad esempio, quando è presente il deep bite, i brackets in ceramica, sulle superfici vestibolari dei denti anteriori inferiori non dovrebbero essere utilizzati fino a che non si ricavi un sufficiente overjet in modo da evitare l’usura degli incisivi superiori, e 16 quindi avere un inestetismo dimensionale come effetto collaterale. Devono essere prese precauzioni anche quando gli attacchi in ceramica sono montati su canini in rapporto di II classe e anche durante le fasi di retrazione degli incisivi superiori (Graber et al., 2004). 2.1.5 Il riassorbimento apico-radicolare Secondo le conoscenze attuali il riassorbimento apicale radicolare, è un'inevitabile complicanza del trattamento ortodontico, studi microscopici mostrano una prevalenza del 100% dopo la fine del trattamento. Segal et al., in una revisione sistematica riportata nel 2004, mediante meta-analisi, ha trovato un valore medio di accorciamento (riduzione lunghezza radicolare) della radice dopo trattamento ortodontico di 1.421 + /- 0,448 mm (Segal et al., 2004). Solitamente il grado di severità del riassorbimento è di lieve entità, entro i 2 mm viene riscontrato nel 5-18% dei casi e oltre i 4mm o 1/3 della lunghezza del dente nel 1-5% dei casi (Lopatiene & Dumbravaite, 2008). Segni e sintomi di riassorbimento radicolare sono di solito assenti, persino la mobilità è raramente superiore ad un grado della scala di Miller. Se alla fine del trattamento il riassorbimento della radice è di grado lieve o moderato la prognosi del dente non diminuisce notevolmente. Kalkwarf ha dimostrato che un riassorbimento radicolare di 4 mm corrisponde ad una perdita di attacco pari al 20% e 3 mm di riassorbimento corrispondono ad una perdita di 1 mm di attacco parodontontale (Kalkwarf et al., 1986). Le forme più gravi di riassorbimento radicolare, conseguenti a terapia ortodontica, con notevole influenza sulla prognosi del dente, sono una delle complicanze più discusse essendo percepite come una conseguenza imprevedibile, con insufficiente conoscenza sulla loro evoluzione e sulle alternative terapeutiche. Al fine di minimizzare la gravità di riassorbimento della radice una buona conoscenza del meccanismo eziopatogenetico è obbligatorio. Sebbene questo aspetto presenta una serie di ambiguità, sono incriminate principalmente due categorie di fattori nella comparsa di riassorbimento radicolare, vale a dire: una legata alla caratteristiche del paziente ed una legata alla 17 tecnica ortodontica. Entrambi gli aspetti sono importanti in una valutazione ortodontica: il primo, permette di identificare i pazienti ad alto rischio; il secondo deve assicurare e programmare un intervento ortodontico che minimizzi questo effetto collaterale indesiderato. In base alle conoscenze scientifiche attuali sulla suscettibilità individuale, che ha un ruolo principale nella genesi del riassorbimento radicolare, è un aspetto difficile da stimare correttamente. Indicatori di pazienti ad alto rischio possono essere i segni di riassorbimento della radice prima della terapia ortodontica, indipendentemente dalle presunte cause, oltre che la presenza di riassorbimento radicolare nei parenti di primo grado. I fattori genetici giocano un ruolo importante in presenza di riassorbimento radicolare; sono state dimostrate alcune associazioni, come quella con il polimorfismo del gene IL-1beta (Bastos Lages et al., 2009). Alcuni risultati dello studio suggeriscono che questo effetto collaterale indesiderabile è diverso tra i gruppi etnici. Tra gli asiatici c'è una ridotta frequenza di riassorbimento della radice rispetto ai caucasici o ispanici (Lopatiene & Dumbravaite, 2008). Lo stato di salute generale modificato è stato collegato ad un processo di riassorbimento della radice più grave e tra le patologie più frequentemente associate vi sono le allergie, asma, diabete, artrite e disturbi endocrini (Graber et al., 2004). Un aumento della frequenza di riassorbimento della radice è stato associato al percorso di eruzione anormale, il meccanismo è dovuto alla pressione del dente incluso sulle radici dei denti adiacenti. Si è osservato riassorbimento principalmente nei secondi molari (prodotta dalla pressione del denti del giudizio) e nell'incisivo laterale o primo premolare (pressione esercitata dal canino). Il morso aperto è attualmente visto come un fattore di rischio per il riassorbimento radicolare, ciò è legato allo sviluppo insufficiente del tessuto parodontale dei denti interessati, incapaci di sopportare le forze ortodontiche e occlusali, presenti durante le funzioni orali. Altre anomalie dentali connesse a questa complicazione particolare sono: ipodonzia, seconde e terze classi di Angle, morso profondo e overjet aumentato (Lopatiene & Dumbravaite, 2008; Preoteasa et al., 2009). 18 Uno degli aspetti confermato da molti studi è che c'è un rapporto diretto tra morfologia della radice e processo di riassorbimento radicolare. Un maggiore rischio di riassorbimento, è presente in denti con radice stretta e lunga, con forma radicolare anomala nella porzione apicale, soprattutto erosa, appuntita, deviata o con una forma a bottiglia (Artun et al., 2009; Smale et al., 2005). A seconda della topografia dentale, si possono avere alcune variabili sul riassorbimento radicolare: i denti mascellari sono più inclini a sviluppare il riassorbimento della radice rispetto a quelli mandibolari e i denti frontali (centrali) sono più inclini rispetto ai laterali (Brezniak & Wasserstein, 2002). Generalmente si riscontra che il riassorbimento dei denti, in una sequenza decrescente, è il seguente: incisivi laterali mascellari, incisivi centrali superiori, incisivi inferiori, canini superiori, primi molari, secondi premolari inferiori e secondi premolari superiori (Lopatiene & Dumbravaite, 2008). Anche i denti con storia di trauma presentano un elevato rischio di riassorbimento radicolare (Artun et al., 2009). Tra i fattori di rischio di riassorbimento radicolare legati alla terapia ortodontica i più importanti sembrano essere: durata del trattamento, l’entità dello spostamento apice radicolare, il tipo e entità della forza ortodontica e anche il tipo di apparecchio ortodontico usato (Segal et al., 2004). Uno dei fattori più importanti nella genesi del riassorbimento è la durata del trattamento, la cui lunghezza ottimale al fine di prevenire gravi danni deve essere inferiore all’anno e mezzo (Apajalahti & Peltola, 2007). Una maggiore frequenza di riassorbimento radicolare è legata all'intrusione, specialmente quando è associato un torque positivo (corono-vestibolare). Le forze pesanti e continue sono correlate ad un maggior riassorbimento radicolare. Il tipo di apparecchio ortodontico usato influenza il processo di riassorbimento radicolare, essendo meno grave in un trattamento con dispositivi ortodontici rimovibili e maggiore quando vengono utilizzati apparecchi extraorali e disgiuntori. La letteratura attuale indica che il tipo e la prescrizione dei brackets (ad esempio, standard edgewise o tecnica filo dritto, convenzionale o auto-legante) non influenza la gravità di riassorbimento della radice (Weltman et al., 2010). 19 Considerando l'impatto negativo, del riassorbimento radicolare grave è consigliabile che l’ortodontista prenda tutte le misure necessarie al fine di evitare che accada. Durante la valutazione iniziale, devono essere identificati tutti i pazienti aventi un alto rischio di sviluppare riassorbimento della radice considerando i precedenti segni di riassorbimento radicolare e fattori di rischio sistemico e locale. Se viene identificato un paziente con un alto rischio di riassorbimento radicolare, si consiglia di rivalutare il trattamento (quando possibile è meglio evitare estrazioni dentali, forze pesanti e continue, disgiunzione, lunga durata del trattamento). In tutti i casi è consigliabile, a circa sei mesi dall’inizio del trattamento, valutare mediante radiografie se vi sono segni di riassorbimento apicale, almeno per i denti frontali. Se, in quel momento, non ci sono segni di riassorbimento radicolare, il rischio di presentare grave riassorbimento alla fine del trattamento è solitamente minimo. Se, in quel momento, segni di riassorbimento sono presenti, molto probabilmente durante il resto del trattamento potrebbero apparire modificazioni progressive della radice. Studi mostrano che due-tre mesi di pausa nel trattamento ortodontico, con fili passivi diminuiscono la quantità totale di riassorbimento radicolare (Weltman et al., 2010). Se sono presenti gravi segni di riassorbimento radicolare il piano di trattamento deve essere rivalutato. Alternative al trattamento ortodontico in casi di chiusura di spazi edentuli, sono rappresentate da riabilitazioni protesiche, lo stripping al posto di estrazioni, a volte anche l’interruzione della terapia. Se il riassorbimento è presente dopo che la fase attiva del trattamento è conclusa, è raccomandato un monitoraggio radiografico sino a che il processo si stabilizza. Se si nota una progressione dell’evoluzione del riassorbimento, probabilmente sono associati fattori, quali trauma occlusale o apparecchi di contenzione, che continuano a sviluppare forze ortodontiche, è quindi necessario intervenire su questi fattori. 2.2 Complicanze parodontali Complicanze parodontali sono uno dei più frequenti effetti collaterali legati all'ortodonzia, non di rado rappresenta motivo di contenzioso medico-legale. Si può 20 manifestare in varie forme, da gengivite a parodontite, deiscenza, fenestrazione, recessione o crescita eccessiva gengivale, triangoli neri. Le manifestazioni più gravi possono interferire notevolmente con la prognosi dei denti. L’eziopatogenesi è complessa, coinvolge fattori correlati al paziente (per esempio, presenza di precedenti lesioni, aumentata suscettibilità, scarsa igiene orale) e alla tecnica ortodontica. La gengivite si verifica di solito a causa della cattiva igiene orale, in presenza dell'apparecchio ortodontico, che sembra favorire l'accumulo di placca. La loro frequenza è aumentata in alcune particolari situazioni, come in presenza di bande ortodontiche che solitamente vengono inserite subgengivali, favorendo in tal modo un’ipetrofia gengivale da trauma meccanico e formando uno spazio ritentivo per l’accumulo di placca. Per questo motivo al fine di garantire un trattamento sicuro, i tubi incollati sono più indicati rispetto alle bande. Anche la ricerca ha dimostrato che durante la terapia ortodontica si verifica ipertrofia gengivale (aumento di volume gengivale), ma circa tre mesi dopo la rimozione dell'apparecchio, nella maggior parte dei casi, la gengiva presenta un aspetto simile a quello prima del trattamento (Kouraki et al., 2005). E’ consigliata un'attenta gestione del trattamento ortodontico quando alterazioni parodontali sono state identificate precedentemente. Un intervento ortodontico può aggravare una condizione precedente, che può portare ad una forma grave della malattia, a volte difficile da controllare. In questi casi è meglio rimandare il trattamento fino a quando è presente una buona igiene orale e la malattia parodontale è sotto controllo. Durante la valutazione iniziale, devono essere identificati i pazienti che presentano fattori di rischio che peggiorano la condizione (malattia) parodontale (ad es., presenza di diabete o epilessia, trattata con farmaci che inducono ipertrofia gengivale). Durante la terapia ortodontica si raccomanda di insistere sull'importanza di mantenere una buona igiene orale, e di monitorare lo stato parodontale (almeno ogni tre mesi fare un esame clinico e una pulizia dentale) per poter adottare le misure necessarie al fine di controllare i fattori di rischio. Anche la terapia ortodontica dovrebbe essere personalizzata, scegliendo un trattamento alternativo, che favorisca 21 un minor accumulo di placca il più semplice possibile, e che sviluppi forze ortodontiche leggere. A questo proposito si raccomanda di evitare quanto più possibile ganci, legature e catene elastiche, le bande essendo preferibili i tubi e le legature metalliche preferibili a quelle elastomeriche. Durante alcuni interventi ortodontici particolari, è stato notato un incremento di complicanze parodontali. Ad esempio, nell'ambito del trattamento di chiusura dello spazio, sono state osservate dopo estrazioni una maggiore frequenza di lesioni parodontali interdentali, associate a pieghe gengivali ed ipertrofia gengivale. Anche dopo lo spostamento di denti in direzione vestibolare, come per l'espansione o la disgiunzione palatale, il rischio di fenestrazioni e deiscenze è superiore. In questo contesto si raccomanda di scegliere un trattamento alternativo che espone il meno possibile a questi danni. 2.3 Alterazioni dei tessuti molli Durante il trattamento ortodontico intra - ed extraorale (viso e collo), possono manifestarsi alterazioni dei tessuti molli. Per le lesioni orali, il meccanismo eziologico è rappresentato dal contatto diretto della gengiva o mucosa con le bande, brackets, tubi e archi oltre che essere associata ad una errata manipolazione degli strumenti ortodontici. Il risultato consiste di solito in erosioni e ulcerazioni della mucosa buccale, labiale, linguale o gengivale. Sono associati solitamente dolore e disagio ma utilizzando la cera ortodontica si può migliorare in qualche misura la sintomatologia. L’igiene non corretta degli apparecchi ortodontici rimovibili è a volte associata a stomatite, che a volte può dare luogo a sovrainfezione da candida albicans (Shah & Sandler, 2006). L’utilizzo del caschetto (es. nelle trazioni extraorali - TEO) può essere collegato a traumatismi al viso ed intraorali, che possono manifestarsi accidentalmente durante il gioco, il sonno o per uso improprio (Blum-Hareuveni et al., 2006). 22 2.4 Disordini dell’articolazione temporomandibolare Stando alle attuali conoscenze scientifiche, non è stata completamente chiarita la relazione tra i disordini temporomandibolari e la terapia ortodontica, di solito vi sono in letteratura opinioni contrastanti. Alcuni sostengono che dallo stato di equilibrio morfo funzionale che si ha dopo terapia ortodontica, si creano condizioni ottimali per la prevenzione di effetti secondari. Altri credono che, a causa della presenza di precontatti che si creano con la terapia, vi è un maggior rischio di comparsa di disordini articolari. (Bourzgui et al., 2010; Gebeile-Chauty et al., 2010). Prima di iniziare il trattamento ortodontico, ogni paziente deve essere valutato al fine di rilevare disordini temporomandibolari in atto e quindi identificare i pazienti ad alto rischio. Devono essere tenute in considerazione le malattie infiammatorie delle ossa, muscoli e articolazioni come nell’Artrite Reumatoide, traumi della testa e del collo, livelli di stress elevati o mal di testa cronico (Farronato & Garagiola et al., 2010) Se sono presenti segni e sintomi di disordini temporomandibolari, una diagnosi è obbligatoria, ed è necessario stabilire il suo grado di gravità. Non è consigliabile iniziare una terapia ortodontica, se il paziente presenta dolore acuto e segni di grave disfunzione dell’articolazione temporomandibolare (Farronato & Garagiola et al. 2010). Se si osservano durante il trattamento gravi modificazioni, a seconda della particolarità del caso, potrebbe essere decisa la correzione dei contatti occlusali anomali, il rinvio a un chirurgo o anche l’interruzione del trattamento. Per pazienti che hanno presentato segni di disordini temporo-mandibolari dopo la fase di trattamento ortodontico attivo, è consigliabile prendere le necessarie misure al fine di prevenire la recidiva, il mantenimento di un buon equilibrio morfo-funzionale è essenziale. In alcuni casi, il bite, come apparecchio di contenzione, può aiutare a ridurre i sintomi e facilitare la guarigione (Graber et al., 2004). 2.5 Complicanze dovute all’utilizzo di minimpianti come ancoraggio scheletrico In letteratura sono stati osservati i rischi e le complicanze in seguito all’utilizzo di minimpianti come ancoraggio scheletrico. Nei trattamenti ortodontici la valutazione e 23 la programmazione dell’ancoraggio (in base a numerosi fattori quali età, malocclusione, tipo di movimenti dentari, stato della dentatura, eliminazione delle forze parassite) rappresentano spesso la fase cruciale, in grado di condizionare il risultato terapeutico. Fortunatamente, questi effetti collaterali sono reversibili nella maggior parte dei casi, ma è importantissimo tenerli in considerazione allo scopo di massimizzare il successo della terapia globale e di provvedere un adeguato consenso informato. L’inserimento di tali miniviti non deve interferire con la crescita ossea e le viti devono rispettare, diverse e importanti strutture anatomiche come vasi e nervi contenuti nelle compagini delle ossa mascellari. La peculiarità tipica degli impianti ortodontici rispetto agli impianti protesici è rappresentata dal fatto che i primi, stante la scarsa entità del carico e la ridotta permanenza nel cavo orale, non devono osteointegrarsi, ma semplicemente garantire adeguata stabilità primaria al momento del loro inserimento. Le lesioni che si possono verificare con l’utilizzo di miniviti ortodontiche sono rappresentate da infezioni (perimplantiti), danneggiamenti dei tessuti molli e parodontali, perdita o frattura del minimpianto, fino ad arrivare, come già detto, a problematiche più gravi quali lesioni ai nervi, ai denti erotti, (danni radicolari), ai germi dei permanenti, al parodonto, alla mucosa orale, al seno mascellare e alle cavità nasali; malgrado la loro varietà, esse sono comunque piuttosto rare e infrequenti. Tutto ciò premesso, è bene quindi evidenziare che dal punto di vista medico-legale – a parte le lesioni a carico di strutture anatomiche vascolo-nervose da rispettare, lesioni che configurano senz’ombra di dubbio profili di responsabilità professionale a carico dell’operatore – il fallimento della procedura mini-implantologica con perdita della “fixture”, non trattandosi di viti per osteointegrazione, non implica necessariamente colpa professionale dell’operatore, potendo essere considerata una semplice complicanza indesiderata di tale peculiare tipo di trattamento (le percentuali di fallimento sono superiori a quelle dell’implantologia, in quanto la ritenzione e la stabilità primaria della vite non sono sempre valide per la presenza spesso di osso qualitativamente e quantitativamente 24 inadeguato). Pertanto particolare importanza da parte del sanitario dovrà essere posta nel consenso informato ortodontico. 2.6 Complicanze estetiche Il verificarsi di un danno estetico assume grande rilevanza in ortodonzia, in quanto la motivazione che spinge il paziente ad effettuare un trattamento ortodontico è primariamente una motivazione estetica. Spesso è proprio il dentista che crea aspettative esagerate nel paziente con l’utilizzo di programmi di simulazione fotografica digitale dei risultati ottenibili con il trattamento ortodontico. Inoltre tali danni sono recuperabili solo a fronte di complessi trattamenti combinati, ortodontici e chirurgici. I danni estetici più frequenti sono l’appiattimento del profilo, il mento sfuggente, l’apertura dell’angolo nasolabiale e la prominenza del naso a seguito di estrazioni immotivate. 2.7 Complicanze in chirurgia ortognatica L’intervento chirurgico che allinea le basi ossee o riposiziona segmenti dentoalveolari rappresenta l’unica possibilità di trattamento per i pazienti con problemi ortodontici così importanti da non poter essere corretti e risolti né con la modifica della direzione di crescita né con il “camouflage” (compenso dentale ortodontico). In questi casi la chirurgia non sostituisce l’ortodonzia, ma è complementare a essa. La prima deve infatti essere coordinata con la seconda per ottenere buoni risultati. In altri termini, l’indicazione alla chirurgia ortognatica si presenta quando ci si trova ad affrontare una malocclusione troppo grave di origine non solo dentale, ma anche scheletrica, e quindi non risolvibile con il solo trattamento ortodontico (è oggi possibile definire i limiti del trattamento ortodontico entro i quali è possibile ottenere un’adeguata occlusione dentale tra le arcate antagoniste, limiti che dipendono da numerosi fattori, tra cui il tipo di movimenti dentari da effettuare e l’età del paziente). Soprattutto in questa branca dell’odontoiatria è fondamentale coinvolgere il paziente nelle scelte terapeutiche e, se possibile, illustrarle allo stesso anche mediante 25 simulazioni informatiche, ottenendo in tal modo il suo consenso informato specifico a tali terapie chirurgiche e ortodontiche che, si ricorda, sono finalizzate al raggiungimento non solo di un risultato funzionale, ma anche estetico (esigenza che motiva il paziente al trattamento). L’obiettivo finale della terapia ortodonticochirurgica delle disgnazie è il trattamento di tutte le componenti dell’apparato stomatognatico, dentale, scheletrico e neuromuscolare. Il trattamento ortodontico pre e post-chirurgico deve comportare l’allineamento degli elementi dentari sulle arcate in un rapporto di armonia con la futura posizione spaziale che le basi ossee mascellari acquisiranno chirurgicamente. L’approccio chirurgico su entrambi i mascellari deve essere finalizzato alla correzione tridimensionale della disgnazia, con particolare riguardo alla correzione della dimensione verticale scheletrica. Gli spostamenti chirurgici nelle tre dimensioni dello spazio, programmati sulla base dei dati cefalometrici e dei modelli, devono essere effettuati in armonia con la componente neuro-muscolare per ottenere un ottimo risultato finale dal punto di vista funzionale (Farronato, 2013). Per raggiungere tali obiettivi alcuni Autori si avvalgono dell’elettromiografia e della kinesiografia, le quali permettono di analizzare la funzione neuromuscolare, completando una diagnosi tridimensionale corretta, e di procedere nella terapia idonea (Farronato & Garagiola, 2011). Tali mezzi confermano l’efficacia del trattamento correttivo effettuato e l’ottimizzazione del risultato finale, eliminando così le premesse per la ricomparsa della recidiva e l’instaurarsi di una patologia iatrogena, in particolare a livello dell’articolazione temporo-mandibolare con ripercussioni anche organismiche. 2.8 Complicanze neurologiche Nella pratica clinica quotidiana della terapia ortodontica la complicanza neurologica è un’evenienza fortunatamente rara, ma non è mai da escludere nel caso esistano particolari condizioni anatomiche predisponenti o nel caso di un approccio combinato ortodontico-chirurgico con eventuali osteotomie dei mascellari. Queste rendono le strutture nervose più vulnerabili e le complicanze inevitabili nel corso di un 26 trattamento ortodontico di tipo fisso. La prevenzione delle complicazioni neurologiche si può ottenere esclusivamente con un’accurata ed una approfondita diagnosi, supportata dagli esami radiologici tridimensionali oltre che ad una corretta conoscenza delle particolari anatomie. Inoltre è obbligatorio acquisire il consenso informato del paziente, il quale deve essere esaurientemente e preventivamente informato anche sulle complicanze neurologiche possibili. Raramente in letteratura viene riportata la parestesia al labbro inferiore in seguito a trattamento ortodontico con distalizzazione dei molari inferiori (Farronato & Garagiola, 2008). Per esempio nel caso di movimenti ortodontici di grosse e lunghe radici dei secondi molari inferiori è sicuramente importante una diagnosi tridimensionale delle strutture anatomiche, una informazione esaustiva al paziente, una acquisizione del consenso informato e una documentazione clinica dettagliata e completa. 2.9 Reazioni allergiche e complicanze gastrointestinali Una possibile complicanza legata al trattamento ortodontico è quella allergica. Reazioni d’ipersensibilità sono associate ad allergeni noti come nichel, cobalto, cromo, polimeri e lattice. La forma più frequente è la dermatite da contatto del viso e collo, le lesioni possono comparire anche sulla mucosa orale e la gengiva, ma raramente possono verificarsi reazioni sistemiche. Le allergie al nichel sono quelle più frequenti nei paesi industrializzati, e si manifesta di solito come una reazione da ipersensibilità di tipo IV. I dispositivi ortodontici contengono circa l’8% di nichel e la lega di nichel-titanio intorno al 70% di nichel (Leite & Bell, 2004). I segni dell’allergia possono variare da piccole chiazze sulla pelle o sulle mucosa, a dermatite generalizzata. Nei casi di gravi manifestazioni si può arrivare all’interruzione del trattamento ortodontico. Un altro allergene comunemente presente quando viene eseguito il trattamento ortodontico è il lattice (da guanti medicali, legature elastomeriche, catena elastica, diga di gomma ecc.). La prevalenza di allergie correlate al lattice viene segnalata come inferiore all’ 1% nella 27 popolazione generale, ma superiore al 5% tra i professionisti del settore dentale (Leite, 2004). Associate a questa, possono presentarsi reazioni da ipersensibilità di tipo I e IV; quella più grave, di tipo I, esponendo il paziente al pericolo di vita. Al fine di garantire un trattamento ortognatodontico sicuro, è importante identificare i pazienti allergici prima dell’inizio della terapia. Un elevato rischio lo presentano persone con una storia d’interventi chirurgici complessi ripetuti (contatto prolungato con drenaggi di gomma e tubi), quelli con la spina bifida e naturalmente quelli che hanno segnalato la presenza di prurito e arrossamento da contatto a oggetti di gomma, avendo allergie o dermatiti da contatto. Una diagnosi definitiva la possiamo avere combinando i dati anamnestici con i dati clinici e test da ipersensibilità. Quando è accertata la reazione allergica al lattice, dovrebbero essere adottati dispositivi alternativi privi di lattice, si raccomanda inoltre di evitare componenti a base di nichel (Kolokitha, 2008). Raramente può avvenire una accidentale ingestione di piccole parti del dispositivo ortodontico (tubi, attacchi, bande) 2.10 Complicanze cardiache e psicologiche L'endocardite infettiva raramente è associata agli interventi ortodontici, ma se ciò succede, possono verificarsi gravi complicanze che possono mettere a repentaglio la vita del paziente. The American Heart Association consiglia di adottare metodi di profilassi per prevenire l'endocardite infettiva, in particolar modo se il paziente presenta prolasso della valvola cardiaca, precedente endocardite infettiva, malattia cardiaca congenita, e trapianto cardiaco con valvulopatia. La profilassi è indicata principalmente nelle procedure dentali che appartengono alla chirurgia orale e maxillo-facciale, endodonzia e parodontologia, di solito in ortodonzia non è necessario adottarla. La profilassi può essere indicata in qualche particolare fase ortodontica in cui si verifica sanguinamento durante gli interventi (estrazione di denti, posizionamento mini-impianto utilizzato per il controllo di 28 ancoraggio, interventi di chirurgia ortognatica e talvolta durante il posizionamento e rimozione di bande ortodontiche) (Wilson et al., 2007). A volte si notano irritazione, cambiamenti del comportamento dei pazienti e genitori; disagio associato alla presenza di dolore e dell’aspetto estetico, durante l'uso di apparecchio ortodontico quando il risultato finale morfo-funzionale è inadeguato (estetica e funzione). 29 3. RECIDIVA Con questo termine s’intende il ripresentarsi della malocclusione un trattamento ortodontico finito con il raggiungimento degli obiettivi previsti. Questa evenienza che può essere considerata una complicanza potenzialmente presente al termine di ogni trattamento ortodontico, è frequentemente secondaria, invece, a un errore nella corretta gestione del termine del trattamento stesso, gestione che deve essere pianificata all’inizio del trattamento stesso; infatti molti contenziosi scaturiscono per la richiesta di ulteriori compensi e per l’allungamento dei tempi di terapia, oltre a quelli inizialmente preventivati, per le riprese dei trattamenti o per gli apparecchi di contenzione non preventivati all’inizio del trattamento. La recidiva può avvenire per due motivi principali: proseguimento di un modello di crescita sfavorevole: la maggior parte dei trattamenti ortodontici viene iniziata in dentatura permanente e termina dopo un tempo massimo di 30 mesi, quindi in un’età in cui la crescita non è ancora terminata e proseguirà secondo il modello alterato che è stato alla base della malocclusione che ci si è proposti di correggere; per questo motivo è necessario prevedere fin dall’inizio una contenzione che duri almeno fino al termine della crescita anche nei casi più favorevoli; effetto dei tessuti molli sulla dentatura: i tessuti molli, parodontali e gengivali, specie le fibre elastiche sopracrestali, sono in grado di riportare i denti verso la posizione iniziale da cui sono stati spostati (specie per le rotazioni), finché non si è verificata una riorganizzazione delle fibre stesse dopo un adeguato periodo di contenzione (anche 1 anno); ciò avviene anche in presenza di una posizione della dentatura stabile, ma è specialmente di fronte a una occlusione instabile che si possono verificare recidive anche a distanza di tempo maggiore; in questi secondi casi deve essere prevista una contenzione permanente. Il sanitario per dimostrare che la comparsa della recidiva non è a lui imputabile, deve aver preso i provvedimenti di seguito elencati. È evidente che la collaborazione del paziente è fondamentale al fine di evitare la recidiva, pertanto il sanitario deve poter dimostrare che, fin dall’inizio della cura, ha fornito un’adeguata informazione, meglio attraverso un modulo scritto, relativamente alla necessità e alle modalità di 30 utilizzo degli apparecchi di fine cura, nonché alla necessità di frequenti visite di controllo. Alla fine del trattamento la posizione degli elementi dentari deve essere ipercorretta (ma solo di un modesto grado non superiore ai 2 mm) rispetto a quella ideale. Esempi ne sono le correzioni dei “cross-bite”, le rotazioni, i disallineamenti, le correzioni di II e III classe, che hanno tendenza alla recidiva. Per evitare che la memoria delle fibre elastiche sopracrestali, che richiedono un lungo periodo per la loro riorganizzazione dopo i movimenti dentali, annulli le correzioni ottenute, specie dopo le rotazioni, è possibile sezionarle chirurgicamente eseguendo una fibrotomia circonferenziale o intra-papillare (Radice, 2012). 31 4. GESTIONE DEL RISCHIO IN ORTODONZIA Il trattamento ortodontico è un intervento medico complesso che si articola, su un lungo periodo di tempo durante il quale i rischi (visti come eventi non pianificati) possono concretizzarsi come complicazioni. Al fine di garantire un elevato livello qualitativo delle cure, nella fase di pianificazione del trattamento i rischi devono essere attentamente valutati, e comunicati al paziente. Questa condotta favorisce uno svolgimento del trattamento ottimale con minor rischio di incorrere in incomprensioni col paziente che possono portare a contenziosi medico legali. L’utilizzo di un piano di gestione del rischio, non garantisce un intervento sanitario senza effetti collaterali, ma il controllo dei rischi può diminuire notevolmente le complicanze associate, garantendo una prognosi migliore. In un primo luogo è necessario identificare i rischi che sono associati all’intervento medico che sta per essere adottato. Le attuali conoscenze mediche ci indicano un gran numero di complicanze che ipoteticamente sono legate al trattamento ortodontico. Il loro verificarsi dipende da numerosi fattori, dalla tecnica ortodontica (per esempio, tipo di apparecchio) alle variabili correlate al paziente (per esempio, le abitudini di igiene orale). Questi fattori devono essere considerati anche all'inizio perché potrebbero influenzare gli obiettivi del trattamento e le sue fasi e talvolta portare alla sospensione della terapia. Dopo aver identificato i rischi, il passo successivo è la loro valutazione. I rischi individuati sono analizzati tramite la probabilità di comparsa e l’impatto sulla qualità dell'intervento sanitario. Se prima di iniziare il trattamento ortodontico, si rilevano segni di riassorbimento radicolare idiopatico, le probabilità di accadimento aumentano, trasformando questo rischio in “possibile” che deve essere considerato con attenzione al momento dello sviluppo del piano di trattamento. Ad esempio in un caso con elevato rischio di riassorbimento radicolare grave, se possibile, gli obiettivi del trattamento devono essere ridotti al minimo indispensabile cosicché la durata del trattamento sia la più breve possibile, e tali procedure non favoriscono la comparsa di effetti collaterali. 32 La riduzione del rischio si riferisce ad azioni intraprese al fine di ridurre la probabilità o impatto dell'evento di rischio. In ortodonzia vengono proposte varie procedure per la riduzione della demineralizzazione dello smalto associate a cattive abitudini di igiene orale, dalla motivazione del paziente e genitori a indicare dispositivi accessori (spazzolini a singolo-ciuffo, idropulsori orali) e prodotti a base di fluoro. I pazienti sono informati circa i possibili rischi e le complicanze del trattamento dal medico, firmando il consenso informato, che certifica la comprensione degli aspetti citati e presuppone la possibilità di insorgenza di effetti collaterali. A fine cura è necessario che sia eseguita una documentazione (fotografie, radiografie e modelli) adeguata alla dimostrazione dei risultati raggiunti. Basti pensare ai contenziosi che sorgono a distanza di tempo dal termine del trattamento per recidive o spostamenti dentali indesiderati secondari al mancato uso della contenzione da parte dei pazienti dopo il termine del trattamento; in tali casi i sanitari inizieranno a dimostrare la correttezza del loro trattamento proprio attraverso la documentazione clinica di fine cura, primo passo senza il quale è ben difficile evitare l’addebito di responsabilità alla comparsa di una contestazione tardiva. Analogamente è necessario documentare e registrare accuratamente nel diario clinico le risultanze delle visite di controllo dei follow-up con l’annotazione delle complicanze e dei relativi provvedimenti adottati o consigliati. Tale raccomandazione assume grande rilevanza dopo il termine dei trattamenti intercettivi, che trovano proprio nei controlli posttrattamento l’essenza della terapia stessa eseguita, per ridurre le anomalie in attesa degli sviluppi della crescita che devono essere attentamente controllati per poter intervenire nel momento più opportuno con una seconda fase ortodontica. 33 Tab. I Incidenza di rischio durante il trattamento ortodontico Contesto terapeutico generale - caratteristiche del paziente - fattori legati all’ortodontista - relazione medico-paziente Tab. II Contesto terapeutico specifico - relativo al posizionamento dei dispositivi ortodontici - relativo al meccanismo di azione degli apparecchi ortodontici - relativo alla relazione dell'apparecchio ortodontico con le strutture orali - relativo alla proprietà del materiale e particolarità tecniche degli apparecchi ortodontici La classificazione dei rischi e le complicanze del trattamento ortodontico secondo Graber 1. In base alla localizzazione della complicanza a. b. effetti locali, con la manifestazione sulle strutture dentali e parodontali (demineralizzazione e discromie dello smalto, riassorbimento radicolare, gengivite); effetti sistemici (reazioni allergiche al nichel o al lattice). 2. In base alla gravità della complicanza a. b. c. d. lieve, reversibile (gengivite); moderata, reversibile (frattura di una corona in ceramica); moderata, irreversibile (frattura dello smalto durante il debonding); grave, irreversibile (carie e decalcificazioni multiple, grave riassorbimento di radice). 3. In base al ruolo dell’ortodontista nell'insorgenza di effetti collaterali a. complicazioni inerenti standard, essendo effetti collaterali inclusi in cui il ruolo dell’ ortodontista è irrilevante (cambiamenti dello smalto dovuti a mordenzatura acida quando le resine composite vengono utilizzate come materiale di bandaggio); complicazioni legate alle peculiarità del paziente (suscettibilità individuale o malattia) non rilevate durante la valutazione anamnestica, possibilmente sconosciuto anche al paziente (reazione allergica; grave riassorbimento radicolare e demineralizzazione presente in associazione ad una malattia metabolica non identificata nella valutazione iniziale); condizioni che si verificano a seguito di un intervento passivo dell'ortodontista, connesso alla mancanza di un adeguato monitoraggio della terapia da parte dello stesso (mancanza di metodi di monitoraggio e corretta prevenzione in casi con riassorbimento radicolare grave o decalcificazioni); errori medici da gestione illecita o carente del trattamento da parte dell’operatore (danni allo smalto dovuti ad una errata tecnica di debonding; movimento dentale all’interno di una zona con difetto osseo alveolare, con grave perdita di attacco epiteliale). b. c. d. 34 Tab.III Effetti collaterali e complicanze correlati all’ortodonzia 1. Effetti locali Dentale • corona: decalcificazioni, carie, usura dentale, crepe e fratture dello smalto; discolorazioni, deterioramento della corona protesica (come frattura della ceramica durante debonding); • radice: riassorbimento radicolare, chiusura precoce dell'apice della radice, anchilosi; • polpa: ischemia, pulpite, necrosi; 2. Effetti Sistemici Psicologico • irritazione, cambiamenti del comportamento dei pazienti e genitori; disagio associato alla presenza di dolore e dell’aspetto estetico, durante l'uso di apparecchio ortodontico; Gastro-intestinale • accidentale ingestione di piccole parti del dispositivo ortodontico (tubi, attacchi, bande); • allergie al nickel o al lattice; Parodontale • gengivite, parodontite, recessione gengivale o ipertrofia, perdita di osso alveolare, deiscenze, fenestrazioni, piega interdentale, triangoli scuri; Cardiaco • endocardite infettiva; • sindrome da stanchezza cronica; Articolazione temporo-mandibolare • riassorbimento condilare, disfunzione temporo-mandibolare; Infezioni crociate • dal medico al paziente, paziente al medico, paziente a paziente. Tessuti molli della regione orale e maxillo-facciale • traumi (per esempio, archi a filo lunghi e correlati alla trazione extraorale), ulcerazioni della mucosa o iperplasia, lesioni chimiche (ad es. mordenzatura correlate), lesioni termiche (per esempio, surriscaldamento da frese), stomatite, manipolazione impropria di strumenti dentali e ortodontici; Risultato del trattamento insoddisfacente • risultato finale morfo-funzionale inadeguato (estetica e funzione), la recidiva, il mancato completamento del trattamento dovuto all’interruzione dello stesso. CONCLUSIONE In conclusione, i rischi connessi con il trattamento ortodontico sono una realtà, essendo le complicanze il risultato di un processo multifattoriale, comprendendo aspetti relativi al paziente, all’ortodontista, alle caratteristiche tecniche degli apparecchi ortodontici e alle procedure. Queste possono essere prevenute o limitate attraverso l'identificazione e l'adozione della migliore alternativa terapeutica per ogni singolo caso. La compliance del paziente è un fattore importante che può contribuire al raggiungimento di un elevato di standard, del risultato, con effetti collaterali minimi. 35 BIBLIOGRAFIE Ackerman, M. (2004). Evidence-based orthodontics for the 21st century. Journal of the American Dental Association, Vol.135, No.2, pp. 162-167, ISSN 00028177. Al Maaitah, E.F., Adeyemi, A.A., Higham, S.M., Pender, N. & Harrison, J.E. (2011). Factors affecting demineralization during orthodontic treatment: a post-hoc analysis of RCT recruits. American Journal of Orthodontics and Dentofacial Orthopedics, Vol.139, No.2, pp. 181-191, ISSN 0889-5406. Apajalahti, S., & Peltola, J.S. (2007). Apical root resorption after orthodontic treatment – a retrospective study. European Journal of Orthodontics, Vol.29, No.4, pp.408-412, ISSN 0141-5387. 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