Google Drive e la didattica - Istituto Comprensivo Statale di Rombiolo

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Google Drive e la didattica - Istituto Comprensivo Statale di Rombiolo
LA COLLANA
Questo testo è la prima uscita di Coll@borare, collana di eBook che intende
introdurre gli insegnanti della scuola ad un uso didatticamente efficace e
pedagogicamente consapevole di alcune delle principali strumentazioni di Internet e del
mondo digitale.
Ne è autore Andrea Patassini.
La collana è promossa da Laura Biancato, Roberto Maragliano e Elisabetta Nanni e fa
riferimento alle attività dei Caffè Digitali del C.T.S.S. Bassano - Asiago
Ogni titolo della collana prevede una prima stesura da parte di un autore e poi la
messa in rete del testo in Google Drive.
I tre promotori e l’estensore della prima versione del testo hanno libertà di leggerlo,
commentarlo e integrarlo e di invitare altri a farlo (tramite la funzione Condividi) per un
periodo di uno/due mesi. Alla fine di tale periodo l’estensore cura la versione finale del
testo, includendovi le integrazioni e tenendo conto dei suggerimenti nonché delle
correzioni.
La versione finale del testo, alla cui preparazione editoriale provvede il Laboratorio di
Tecnologie Audiovisive, viene pubblicata a cura dell’estensore in Narcissus.me e riporta,
se accettato dagli interessati, il nome di tutti coloro che hanno preso parte all’attività di
correzione, commento, integrazione. L’obiettivo è di approdare a degli eBook collettivi
che diano conto dello stato dell’arte, sul piano tecnico e su quello teorico, ma nello stesso
tempo presentino esperienze e suggeriscano soluzioni.
A questo primo titolo seguiranno altri, proposti dai promotori e i loro invitati e,
successivamente, dalla comunità che si andrà formando attorno a Coll@borare.
Marzo 2015
Laura Biancato, Roberto Maragliano, Elisabetta Nanni
PREMESSA
La diffusione della rete all’interno e all’esterno dei nostri spazi di vita ci consente di
essere sempre (o quasi) connessi. Il web è diventato strumento quotidiano di interazione,
produzione e consultazione, lo adottiamo per un numero elevatissimo di operazioni.
Affidiamo alla rete e ai suoi strumenti anche la memoria di quello che facciamo. Per
metterla sul piano più pratico: si sta sempre più diffondendo l’abitudine a memorizzare
documenti e prodotti digitali di tipo personale oltre che su supporti fissi, anche dentro
appositi spazi di rete.
Probabilmente la parola cloud non ti è nuova. Se stai leggendo questo eBook ancor di
più. Nell’ambito informatico il concetto di cloud computing, o nuvola, è l’associazione di
più tecnologie che consentono di poter archiviare ed elaborare file in rete.
L’archiviazione e l’elaborazione dei file sono pratiche consolidate per chiunque faccia uso
di computer fissi o mobili.
Se tali pratiche sono proposte in ambienti di rete allora ci troviamo a confronto con
due fattori del tutto nuovi: portabilità e interazione.
Partiamo dal primo.
Le memorie dei nostri computer contengono file di diverse estensioni, documenti di
natura differente che produciamo, modifichiamo, cancelliamo o condividiamo. Lo
facciamo grazie ad una memoria locale (ovvero localizzata espressamente sui singoli
computer) che conserva i nostri dati e ci consente di recuperarli in qualsiasi momento,
ovviamente accedendo ad essa. Con il tempo, e grazie alla costante evoluzione tecnologica
paralella all’abbassamento dei prezzi dei prodotti tecnologici, la portabilità dei nostri dati
si è semplificata. Partendo dai floppy disk, passando per i cd o dvd e facendo tappa per le
memorie esterne usb di qualsiasi capienza, tutte queste tecnologie hanno migliorato con il
tempo la possibilità di trasportare ed utilizzare su più computer documenti digitali.
Ognuna di queste tecnologie ha contributo a rendere più facilmente accessibile, e più
portabile, l’insieme dei nostri file digitali.
E se provassimo a sostituire l’hardware con internet? In questo caso la portabilità
sarebbe garantita non da dispositivi esterni ma direttamente dalla rete. Se consideriamo il
flusso e le pratiche di lavoro, una soluzione simile consente di semplificare l’accesso e
l’interazione con i nostri documenti senza dover considerare come essenziale l’hardware
locale di riferimento. Un vantaggio non indifferente.
Non basta. Se pensiamo alle logiche di rete, difficilmente possiamo considerarle
relegate al singolo, al contrario si aprono spesso alla condivisione, in un sistema plurale.
L’interazione, allora, è il secondo fattore che emerge quando parliamo di cloud. I file
archiviati in rete possono essere anche elaborati, e non solamente dall’autore o
proprietario, ma anche da altri utenti connessi alla sua rete. Ecco allora che la stessa cloud
può essere pensata come uno spazio di archiviazione dove più utenti possono agire e
interagire. Tale spazio non è accessibile a chiunque, può essere organizzato in modo da
essere raggiungibile e fruibile per un determinato e selezionato numero di persone.
Agire collaborativamente su uno specifico documento rivede molte delle nostre
abitudini sulle pratiche di lavoro quotidiano. Certo, puoi scrivere grazie ad un comune
software di videoscrittura installato sul tuo computer e poi, in un secondo momento,
condividere con altri utenti via mail il documento realizzato; è questa, di fatto, una forma
di condivisione, ma limitata alla sola diffusione del file. Pensa, ad esempio, di chiedere ai
contatti ai quali hai inviato il documento di inserire dei loro commenti al testo. Ognuno
dovrà inviare il proprio documento aggiornato e tu, dall’altra parte, riceverai diversi file
con lo stesso contenuto distinti solamente per i commenti inseriti. Una pratica fattibile, ci
mancherebbe, ma permettimi di considerarla quantomeno seccante e complicata. In un
sistema cloud tutto ciò è semplificato, agevole e intuitivo. Basta un solo documento in rete
dove più utenti interagiscono inserendo commenti o modificando il testo stesso. Quel
documento allora contiene non solo le risorse delle quali è composto (testo, immagini,
link e altro ancora), ma anche le interazioni tra gli utenti fatte di modifiche del testo, delle
immagini, dei link (tutte visualizzabili e ordinate cronologicamente), di commenti e di
confronti sempre tra gli utenti. La soluzione del cloud, se la pensi nella logica di un
lavoro collaborativo, dove un gruppo di persone sta agendo assieme per il raggiungimento
di un obiettivo comune, migliora notevolmente il flusso di lavoro e la portata dell’azione
collettiva.
Questo eBook tenterà di offrirti informazioni utili e nozioni tecniche per poter
muovere i primi passi con Google Drive in un’ottica didattica. Se sei qui a leggere questo
libro digitale è perché probabilmente ti stuzzica l’idea di adottare la logica del cloud nella
tua classe; magari provare a programmare nuove pratiche didattiche o, ancora, proporre ai
tuoi studenti modalità di costruzione di sapere attraverso la condivisione e soprattutto la
collaborazione. Questo eBook è pensato come un piccolo percorso che, capitolo per
capitolo, ti permetterà di avere consapevolezza tecnica e metodologica sull’utilizzo del
cloud a scuola.
Per offrire un bagaglio di esperienze utili al tuo lavoro passeremo in rassegna le
funzioni di Google Drive e proveremo a comprendere come adattarle alle necessità
didattiche. Inizieremo dai primissimi passi per poi conoscere tutti gli aspetti tecnologici e
metodologici che rivestano una qualche utilità per la didattica.
A conclusione di questa premessa vorrei dirti che il libro digitale che stai per leggere
è stato sviluppato proprio con Google Drive. È nato e cresciuto grazie allo strumento di
scrittura offerto da Google. Una prima stesura è frutto del mio impegno con la
collaborazione e il suppporto “in presa diretta” di Roberto Maragliano: grazie a Google
Drive e alla possibilità che esso offre di condividere con altri utenti ciò che si scrive,
mentre sviluppavo il testo potevo avere da lui feedback, consigli e modifiche al testo in
differita e pure, talvolta, istantaneamente. Terminata la prima stesura abbiamo proposto a
diversi insegnanti che già utilizzano Google Drive e che fanno capo alla rete dei Caffè
Digitali curata dalla Rete Territoriale della Scuola Bassano-Asiago di intervenire nel testo
contribuendo a migliorarlo ed arricchirlo. Insomma, abbiamo dato vita ad un’originale
esperienza di lettura e scrittura condivisa. Il documento di testo, salvato in Google Drive e
aperto alla condivisione di tutti quanti avevano manifestato interesse, ha permesso a tutti i
partecipanti di inserire commenti e suggerimenti ma anche di produrre contributi
aggiuntivi, prendendo tutti parte, in modo attivo, alla realizzazione dell’eBook.
Questa nostra è stata un’esperienza importante, non solo al fine di valorizzare le
principali prestazioni di Google Drive, quelle che scoprirai procedendo nella lettura del
testo, ma anche per mettere a fuoco un modo diverso di sostenere e diffondere buone
pratiche in ambito didattico. Ma ugualmente importante è stato l’aver sperimentato un
modo diverso di fare rete attorno alle competenze digitali dei docenti, ciascuno mettendo
a disposizione di altri la sua personale esperienza. Né va trascurato che così operando
abbiamo messo a punto sia un modello di presentazione di contenuti tecnico/operativi
nella chiave dell’azione didattica sia uno stile realizzativo basato su condivisione e
collaborazione che contiamo di riproporre nei prossimi titoli della collana, partendo
anche dalle sollecitazioni che ci verrano da tutti quanti vorranno prendere parte a questa
“avventura” ad un tempo professionale, culturale e politica.
CAPITOLO 1 - COS’È GOOGLE DRIVE
1.1 Informazioni essenziali
Google Drive nasce nel 2012 e, vista l’età, potrebbe apparire un giovincello, ma per la
velocità delle tecnologie e dei costanti e inarrestabili miglioramenti dei software, tre anni
significano molto. Si tratta di uno dei tanti strumenti provenienti da Mountain View (una
cittadina nella Contea di Santa Clara, in California, dove si trova il quartiere generale di
Google) messi a disposizione degli utenti di tutto il mondo. Drive è un servizio gratuito,
almeno nella sua versione basic che consente di archivare fino a un massimo di 15
gigabyte di file, per poi passare a 100 gigabyte per un abbonamento mensile di 1,99 dollari
e ad un 1 terabyte per 9,99 dollari al mese (esistono anche piani con maggiore spazio,
ovvero da 10, 20 e 30 terabyte ma le spese mensili, ovviamente, aumentano
considerevolmente). Per le scuole Google offre un servizio specifico: Google Apps For
Education, ovvero una serie di servizi a disposizione della scuola che ha stipulato un
accordo di uso con Google. Qualora ti trovassi a lavorare in una scuola in possesso dei
servizi di Google Apps For Education non avrai alcun problema di spazio. Lo spazio di
archiviazione in questo caso è illimitato per tutti gli utenti appartenenti alla scuola.
Antonio Fini, dirigente scolastico presso l’Istituto Comprensivo di Arcola-Ameglia,
descrive in questo contributo per la rivista Bricks l’utilità e i vantaggi di un servizio simile
per la scuola (e non solo per un uso prettamente didattico, ma anche amministrativo). Se al
momento non disponi di un servizio simile non allarmarti: solitamente la modalità gratuita
garantita dal momento in cui attivi un account personale con Google permette di lavorare
agevolmente, visti i 15 giga di spazio disponibili, una dimensione capace di contenere un
bel po’ di lavoro. Per iniziare va più che bene tale soluzione. Senza alcuna spesa puoi
iniziare a comprendere le caratteristiche di Drive e ad utilizzarlo liberamente.
Google Drive è un servizio di web storage che consente l’archiviazione e l’editing di
file di diversa natura. È fondamentale una connessione Internet per utilizzare Drive e le
sue diverse funzioni, infatti tutti i file sono archiviati nella nuvola di Google, ovvero nello
spazio di memoria destinato ad ogni utente; per poter accedere, ovunque e con qualsiasi
dispositivo, è necessaria una connessione alla rete. Nessun hardware particolare, nessun
software prestabilito, tantomeno un dispositivo predefinito. Basta connettersi alla rete e
accedere tramite browser se si sta utilizzando un computer fisso o un laptop e grazie
all’applicazione Drive dedicata, disponibile sia per sistemi iOS e Android, anche su tablet
e smartphone.
Se sei alle prime armi è giustificabile e comprensibile un pizzico di perplessità nel
pensare a file memorizzati in rete perché, di fatto, si è portati a considerare la rete come
un luogo pubblico del tutto differente dallo spazio digitale privato che coincide con la
memoria del proprio computer. È vero, Drive consente ad altri di consultare e di agire sui
tuoi file (e vedremo come), ma questi altri devono essere autorizzati da te che ne sei il
proprietario, ovvero il ruolo riconosciuto a chi crea un file. Inizialmente ogni documento
che crei è privato, puoi indicare tu gli utenti da coinvolgere e attribuirgli precisi margini
di azione. Insomma, la condivisione e l’interazione con altri è gestita totalmente dagli
utenti stessi, senza alcun rischio di accessi non autorizzati o addirittura di download non
consentiti.
Utilizzare uno spazio di memoria in rete rispetto ad uno spazio di memoria locale,
cioè un hardware che aumenta la capacità di immagazzinamento del proprio computer,
cambia notevolmente il modo di agire e lo stesso approccio al lavoro. Vedremo nel corso
dei capitoli perché, ma intanto non è poi così banale sviluppare una brevissima riflessione
attorno questa logica di cambiamento da memoria locale a memoria di rete. Lo spazio di
memoria locale, quella relativa ai singoli computer con i quali operi, avrebbe un ruolo
secondario, al limite potrebbe non averne più se con il tempo tutte le attività di
archiviazione digitale che compi localmente sui tuoi computer si spostassero nella nuvola,
cioè in Internet. Ciò si aggiungerebbe alla già massiccia presenza in rete delle
strumentazioni con cui produci e lavori i tuoi file. Sì, perché già oggi produci contenuti
in rete utilizzando strumenti di rete. Pensaci: quando scrivi in una chat o in un forum, o
anche in ambiente web di posta utilizzi non un programma di scrittura residente nel tuo
computer, ma un programma presente in rete, incluso nell’ambiente entro cui operi.
Drive rientra in questa categoria di strumenti produttivi di rete, è più sofisticato e
articolato, ricco di funzioni, ma è pur sempre uno strumento in qualche modo già
integrato nelle tue abitudini del web. Quindi di fronte non hai una tecnologia aliena,
misteriosa e complicata, ma il risultato attuale di un progressivo miglioramento dei mezzi
a tua disposizione per sviluppare contenuti digitali in rete.
Ipotizzo che, tra le fila di chi muove i primi passi con la modalità del cloud, ma pure
di utenti abbastanza pratici di tecnologie digitali, possa nascere qualche riserva sulle
logiche che stanno alla base del cloud: memorizzare e catalogare in rete file “nostri” e
farlo tramite servizi gestiti da grosse società potrebbe far sospettare uno squilibrio nella
“bilancia del potere”, ovviamente tutto a favore di queste grosse società. Per dirla meglio,
potresti suppone (e temere) che i soggetti che offrono soluzioni simili, per la produzione
e per l’archiviazione dei tuoi documenti, rischino di diventare almeno in parte “padroni”
dei tuoi dati e che un domani i servizi che oggi ti vengono offerti (in cambio dei dati
della tua identificazione, i quali hanno comunque un valore) possano essere messi a
pagamento; per non dire della paura, che potresti maturare, che in un futuro una
eventuale crisi dei garanti di tali servizi ne pregiudichi la continuazione e con essa la
permanenza dell’intero patrimonio accumulato. Ciò non può non farti sollevare problemi
strategici e politici di portata generale sulle sorti di internet e della tua presenza al suo
interno. Ma è bene che tu tenga presente che quanto più sono diffusi questi servizi tanto
più la presenza di un’utenza massiccia funge da garanzia per la prevenzione di detti rischi
o per il risarcimento e la compensazione dei danni provocati da eventuali crisi. Se hai
voglia di approfondire il tema, puoi dare un’occhiata ai data center di Google
partecipando a questa visita guidata virtuale.
Prima di conoscere più da vicino le caratteristiche tecniche e le modalità di uso di
uno strumento come Google Drive, accetta un’ultima e brevissima specifica:
l’archiviazione dei file non è destinata a tutti i documenti che tieni nei tuoi computer, ma
ha senso se la limiti ad una specifica porzione di tali file, ossia un insieme di documenti
che scegli di condividere. Tecnicamente sarebbe possibile decidere di spedire in cloud
tutta la tua memoria digitale (sempre tenendo conto della possibilità più che probabile di
dover pagare un servizio che superi i 15 gigabyte di memoria gratuiti o di avere a
disposizione spazio illimitato grazie al servizio già citato come Google Apps For
Education), ma nella maggior parte dei casi Drive appare davvero utile se ricorri ai suoi
servizi per consultare file di uso frequente o per condividere con altri il lavoro sui
documenti, almeno finchè tale lavoro dura.
CAPITOLO 2 - UNA PRIMA
PANORAMICA
2.1 Iscriversi o accedere a Google Drive
Partiamo da un dato fondamentale: possedere un account Google consente di
utilizzare Google Drive. Se già sei in possesso di un account Google puoi saltare le poche
righe che seguono. Se non possiedi un account simile, allora questa potrebbe essere
l’occasione giusta per attivarlo; l’account ti consente l’impiego non solo di Drive, ma
anche di tutti i restanti servizi offerti da Google (Gmail, YouTube, Chrome, Google+ e
molto altro ancora). Insomma, con un unico account puoi usufruire di tutti questi
strumenti, compreso ovviamente Drive. Per attivare un account Google è sufficiente che
ti colleghi a questa pagina e segui le abituali operazioni di registrazione.
Se hai saltato le righe qui sopra è perché sei già in possesso di un account Google o
Gmail, non ti resta allora che accedere al tuo spazio Drive. Ogni utente Google può
accedere ad un suo spazio Drive con un’impostazione standard di 15 giga disponibili,
ripartiti tra il servizio di posta e il servizio, appunto, di archiviazione e produzione di
documenti. Puoi accedere a quest’ultimo direttamente dalla pagina principale della tua
casella di posta elettronica Gmail. Nel riquadro alto, a sinistra dell’interfaccia di posta, trovi
infatti diverse icone, clicca su quella che raggruppa più quadratini (evidenziata
nell’immagine) e così accedi a tutti gli strumenti Google: tra questi c’è anche Drive. Basta
un click ed eccoti nel tuo spazio di archiviazione.
Ricapitolando: è essenziale che attivi un account Google; se lo hai già, trovi a tua
disposizione il Drive pronto per l’utilizzo.
2.2 Installare Google drive sul proprio computer
Google Drive è un servizio di web storage, di conseguenza una connessione alla rete è
fondamentale per il suo completo utilizzo. Una delle caratteristiche interessanti di Drive
però consiste nella possibilità di attivare una cartella residente nel tuo computer che può
essere sincronizzata con lo spazio di rete dove archiviare e utilizzare i file online.
Proviamo a spiegarla meglio. A breve ti darò qualche informazione su come installare la
cartella di Drive. Prima però vorrei farti riflettere su un aspetto: se ci pensi quella di
installare una cartella sul tuo computer non è proprio un’attività consueta. E qui emerge
una delle differenze sostanziali tra una normale cartella e quella di Google Drive.
Quest’ultima ogni qualvolta ci si collega ad internet si aggiorna. In cosa si aggiorna? Dei
file che eventualmente hai aggiunto, eliminato o modificato mentre agivi nella versione
online di Google Drive. Il vantaggio di una cartella installata sul tuo computer (il tuo
portatile o la tua macchina domestica, non un computer condiviso della scuola) è di avere
sott’occhio, anche in assenza di connettività, i tuoi file archiviati in Drive. La
sincronizzazione non riguarda solamente il percorso che dalla rete va alla cartella locale,
ma procede anche nell’altra direzione. Mettiamo che tu, stando scollegato, modifichi i
documenti della cartella: al momento in cui attiverai il collegamento ad Internet troverai la
cartella online aggiornata per via dell’avvenuta sincronizzazione. Capirai bene il vantaggio
di avere installata la cartella di Drive nella tua macchina nei momenti in cui ti troverai a
fronteggiare l’assenza di connessione. Accetta questo consiglio, dunque: installa la cartella
di Drive sempre e comunque su un tuo computer e mai su un computer condiviso della
scuola. In questo modo avrai un pieno e costante controllo dei tuoi documenti. Se un
eventuale limite di Google Drive poteva essere la sua dipendenza dalla rete, con la cartella
installata questo viene a cadere a favore di una sostanziale praticità d’uso.
Passiamo dunque a illustrare i semplici passaggi utili ad installare la cartella di Google
Drive sul tuo computer.
Nella pagina principale di Drive, sulla colonna di destra (come indica l’immagine qui
sopra), trovi il comando per l’installazione sul tuo computer della cartella che andrà a
sincronizzarsi con la memoria di rete. Basta che tu segua le normali procedure di
installazione e il gioco è fatto. Dal momento in cui la cartella Drive è installata puoi gestire
tutti i file presenti in Drive anche in assenza di rete. Dopo aver installato la cartella sul tuo
computer accedi, tramite browser, a Google Drive: lì ti illustro brevemente dove trovare e
gestire l’opzione offline che ti garantisce il pieno utilizzo dei tuoi file anche in assenza di
rete.
La pagina principale di Google Drive mostra un’icona, in alto a destra, con una
rotellina: si tratta dell’icona dedicata alle impostazioni. Dovresti trovare nella lista dei
comandi a disposizione Disattiva offline. Cosa significa? In Google Drive l’accesso offline ai
documenti è attivato automaticamente, se vuoi puoi disattivarlo e quindi accedere e
modificare i file archiviati solamente in presenza di una connessione, ti basta selezionare
il comando indicato.
Come avvengono le modifiche in assenza di rete, ti chiederai. Dal momento in cui è
attivo l’accesso offline, dalla cartella installata selezioni il file che ti interessa, fai doppio
click e si avvia il browser Chrome con lo spazio di lavoro poter mettere mano al tuo
documento offline. Sarà quindi Chrome il software per continuare a lavorare sui tuoi
documenti anche se il computer non è connesso a nessuna rete. Puoi modificare i
documenti in modalità offline utilizzando anche le app di Google Drive (che trattiamo
nel paragrafo seguente). Dalla cartella installata localmente sul tuo computer puoi
ovviamente accedere ai file archiviati in Drive; per loro eventuali modifiche basta cliccare
sul file desiderato e deve essere attivato il browser di navigazione a Internet che consente
di utilizzare a pieno tutti gli strumenti del sistema. La modifica in assenza di rete dei
documenti è possibile solamente se prima è stato impostato l’accesso offline: in questo
caso Google Drive applica automaticamente tale impostazione ad ogni documento
presente nella cloud.
2.3 Google Drive su tablet e smartphone
Uno dei punti di forza di Google Drive sta nella possibilità di usarlo in mobilità, non
solo tramite computer ma anche con dispositivi come tablet e smartphone. La logica di
utilizzo da applicazione (o, come generalmente si dice, da app) è molto simile a quella per
computer: opzioni e comandi non si differenziano se non nella loro disposizione,
considerato lo schermo ridotto dei dispositivi mobili. L’installazione dell’applicazione
Drive e di tutte le altre app dedicate alle diverse tipologie di file può risultare molto utile
perché consente di accedere e agire in qualsiasi momento sui propri documenti.
Ovviamente la presenza di una connessione di rete applicata al tablet o allo smartphone
consente l’aggiornamento istantaneo delle modifiche apportate. Ti consiglio di scaricare
per il tuo dispositivo mobile non solo l’applicazione gratuita di Google Drive, che trovi
sia per device Apple che per device Android ma, come accennato, tutte le app altrettanto
gratuite dedicate alle diverse funzioni di Google Drive. Ricorda che per modificare da
dispositivo mobile hai bisogno di queste app. Ti elenco quali sono e ti segnalo i link per
scaricare le applicazioni:
Documenti Google, per scrivere e modificare documenti di scrittura Apple Android
Fogli Google, per scrivere e modificare fogli di lavoro Apple Android
Presentazioni Google, per produrre e modificare slide Apple Android
2.4 Uno sguardo all’interfaccia
Dopo queste necessarie premesse possiamo iniziare a dare uno sguardo complessivo
all’interfaccia di Google Drive, così da iniziare a familiarizzare con lo strumento e a
conoscerne le principali funzioni. Nei capitoli seguenti di questo eBook verranno trattate
e approfondite tutte le caratteristiche di Drive una volta che lo si adotti, soprattutto, per
attività didattiche legate alla scrittura. Per ora limitiamoci ad analizzare la struttura della sua
interfaccia, a partire dalla schermata principale.
L’area centrale presenta l’elenco dei nostri file e cartelle, e cambia ogni qualvolta che
accedi ad una specifica cartella. È possibile ordinare la visualizzazione dei documenti per
differenti modalità. Poco sopra l’elenco di file e cartelle presenti, appare un comando
evidenziato in rosso che ti segnala con quale modalità stai ordinando i tuoi documenti.
Solitamente nelle impostazioni di default tale comando dovrebbe essere Ultimi modificati da
me, ma ovviamente puoi cambiare tale impostazione. Basta modificare l’attuale
visualizzazione cliccando sulla piccola freccia posta accanto all’opzione al momento
attivata. L’immagine ti segnala l’esatta collocazione del comando. Nel riquadro attivato è
possibile scegliere l’opzione che fa al caso tuo:
- Ultimi modificati da me (ordina cronologicamente i file modificati)
- Modificati per ultimi (ordina cronologicamente i file modificati da altri
collaboratori)
- Ultimi aperti da me (ordina cronologicamente i file consultati)
- Titolo (il classico ordinamento alfabetico)
- Quota utilizzata (utile per comprendere quali file occupano più spazio di memoria)
È possibile visualizzare ogni opzione di ordinamento dei file nella modalità a griglia o
ad elenco: entrambe le funzioni sono collocate in alto a destra.
Nella colonna di destra della schermata principale sono riportate in ordine temporale
tutte le attività svolte in Drive, dalla creazione passando per la modifica o caricamento di
documenti fino all’eliminazione di questi nello spazio Cestino. Cliccando su una qualsiasi
attività il riquadro centrale mostra automaticamente il file di riferimento. Tale funzione
risulta particolarmente utile quando si gestiscono molti documenti organizzati in radici di
cartelle profonde e articolate.
Senza dubbio un altro strumento utilissimo a ricerca e individuazione dei file presenti
in Drive è la classica barra di ricerca. È posizionata in alto e al centro dell’interfaccia e si
presenta nella comune veste grafica di qualsiasi campo di ricerca: uno spazio centrale per
digitare le parole chiavi o il titolo del documento e il bottone rappresentato con una lente
di ingrandimento che avvia la ricerca. Uno strumento offerto da Google non può che
offrire funzioni di ricerca accurate, e così vale anche per Drive: è dunque possibile
affinare le proprie ricerche tra i documenti archiviati e condivisi in Drive. Il motore di
ricerca che hai a disposizione può essere davvero utile e potente, capace com’è di
indicizzare non solo i metadati, ovvero le informazioni che descrivono dati (un esempio
è quello della scheda del catalogo di una biblioteca che offre informazioni sul contenuto
di un libro), ma il contenuto stesso dei testi archiviati in Drive. L’accuratezza di tale
strumento di ricerca ti consente di trovare documenti con grande facilità, compresi file di
testo caricati come file .doc o pdf.
Il campo dove inserire testo presenta sulla destra, poco prima dell’icona di ricerca, una
freccia che, se attivata, apre una finestra con elencate tutte le modalità di affinamento della
ricerca. Sono tre macro categorie di riferimento: Tipo (seleziona nei risultati di ricerca
solamente file di una determinata natura: testi, immagini, file pdf e così via); Visibilità
(seleziona nei risultati di ricerca esclusivamente file privati o condivisi o pubblici);
Proprietà (seleziona nei risultati di ricerca file dei quali sei proprietario o file di altri
proprietari che hanno scelto di condividerli con te).
La colonna di sinistra riassume graficamente l’ordine e la gerarchia del tuo archivio in
Drive. Con molta probabilità la modalità presentata di ordine delle cartelle e dei file ti
risulterà familiare. Verticalmente sono disposte tutte le cartelle e i rispettivi documenti
archiviati in Drive, e ciò consente di navigare con estrema facilità tra le risorse fino a
giungere al file desiderato. La colonna di sinistra presenta un’altra piccola ma utilissima
funzione. Posizionando il cursore sul titolo delle cartelle compare una piccola freccia,
cliccandoci ecco presentarsi un vasto elenco di comandi riservati alla gestione di quella
cartella. In questa prima fase non è necessario elencarli e descriverli tutti nel dettaglio, ti
invito comunque a consultare il comando dopo aver letto e applicato le prime
indicazioni, quelle più generali, contenute in questo eBook: sarà bello scoprire la
comodità di una funzione come quella. Basti dire, qui, che grazie a questa scorciatoia è
possibile attivare molteplici comandi di lavoro sui documenti (per condividere, gestire e
organizzare). Scorciatoie e opzioni utili a migliorare il flusso di lavoro non mancano in
Google Drive. Acquisendo dimestichezza potrai comprendere diversi facilitatori utili al
tuo lavoro, strumenti e funzioni appositamente realizzate per rendere ancor più comodo
operare con i documenti.
Prima di concludere questa inziale perlustrazione delle funzioni principali
dell’interfaccia di Drive, dedico qualche riga al comando più importante e che,
probabilmente, utilizzerai più frequentemente: si trova all’apice della colonna sinistra
appena descritta ed è il bottone Crea. Attivando il bottone si può, appunto, creare un
nuovo file in Google Drive. Quale file? Un documento di testo, una presentazione, un
foglio di lavoro, un modulo e un disegno. Infine è possibile generare nuove cartelle dove
contenere e organizzare documenti.
Accanto al bottone Crea eccoi un altro utilissimo comando, quello che ti consente di
caricare nello spazio di memoria online dei file che siano presenti nell’hard disk del tuo
computer. A riguardo è bene sottolineare che nello spazio riservato su Google Drive è
possibile caricare file di qualsiasi natura. Ovviamente gli strumenti di produttività offerti
non possono intervenire e modificare qualsiasi tipologia di file. Ad esempio puoi senza
alcun problema archiviare un file video, con buona probabilità potresti visualizzarlo, ma
di certo non potrai modificarlo: non dimenticarlo, Drive è prima di tutto un servizio
cloud per archiviare materiale digitale, e solo in un secondo momento può essere inteso
come ambiente dentro il quale apportare modifiche ai materiali archiviati. ma di certo non
potremo tramite Drive modificarlo.
Fin qui abbiamo trattato le caratteristiche principali dell’interfaccia di Drive. Siamo
ancora all’inizio del nostro tragitto, ma a breve entreremo nel vivo andando a conoscere e
ad utilizzare lo strumento Documenti presente nella cassetta degli attrezzi di Drive. Prima
che tu ti addentri in questa nuova sezione dell’eBook mi resta da fornirti un piccolo
suggerimento. Se sei impaziente di metterti all’opera con Drive salta pure le porche righe
che seguono, puoi eventualmente tornarci in un secondo momento.
2.5 Riguardo il browser: un piccolo consiglio
Le funzioni di Google Drive possono essere impiegate su qualsiasi browser per la
navigazione web. Senza dubbio il browser Chrome, sviluppato e offerto da Google, può
risultare più comodo sia per stabilità e velocità di interazione, sia perché integra tutti gli
strumenti del fitto corollario di Google. Tra questi strumenti c’è ovviamente Drive. Così, a
login effettuato, con Chrome puoi accedere con un click al tuo Drive. Si tratta di un
consiglio, non di una regola, quindi se sei abituato a lavorare e consultare il web con un
altro browser continua a farlo.
CAPITOLO 3 - LO STRUMENTO
DOCUMENTI
3.1 Primi passi
Dal momento in cui clicchi sul bottone Crea puoi generare diverse tipologie di file, e
tra queste trovi il classico strumento di scrittura. Il file creato andrà ad aggiungersi agli altri
presenti nel tuo spazio di memoria online. Sono quindi file generati e salvati in rete che
potrai consultare e modificare tramite l’interfaccia Drive (dal browser, dalle applicazioni o
dalla cartella installata nel tuo computer). Puoi scaricare copie (in formati .docx, .odt, .rtf,
.txt, .pdf e .html) nel tuo hardware, ma ogni modifica apportata localmente con qualsiasi
editor di scrittura (MS Word, Open Office Writer, etc) non comporta automaticamente
una sincronizzazione con il corrispettivo file presente nella cloud.
I vantaggi del cloud che Drive offre necessitano di una connessione ad Internet. Sono
vantaggi che, come abbiamo accennato, non si riferiscono solamente alla comodità di
reperire ovunque sei e in qualsiasi momento file archiviati in rete, ma che hanno a che
fare anche con le possibilità di collaborare e interagire con altri. E proprio su quest’ultimo
aspetto avremo modo di soffermarci. Ma andiamo con ordine. Proviamo dunque a
muovere i primi passi con lo strumento, per la parte dedicata alla scrittura di testi.
Fruire e produrre testi digitali sono attività ormai totalmente integrate nelle nostre
abitudini comunicative. Il testo digitale rappresenta se non la principale, una delle
principali fonti per informarci, per lavorare, per imparare. Per questi motivi con molta
probabilità l’area della scrittura può essere considerata quella più adatta a far conoscere
Drive nelle sue caratteristiche generali. Pienamente consapevoli come siamo che la
principale potenzialità dello strumento sta nel produrre e condividere testo digitale,
vediamo come utilizzare l’interfaccia che abbiamo a disposizione. Iniziamo dunque a
conoscerla.
3.2 L’interfaccia di scrittura
Per utilizzare Drive non serve nessun software installato sul proprio computer, basta
avviare un qualsiasi browser. L’unica installazione prevista, e non obbligatoria, è quella
della cartella sul tuo computer, necessaria perché tu mantenga tutti i tuoi documenti
archiviati anche in assenza di connettività. Tale procedimento non pregiudica o influisce
sull’utilizzo di Drive e sulla produttività dei file.
Ciò vale anche per la scrittura di testi digitali, e proprio da questi iniziamo a conoscere
da vicino gli aspetti produttivi di Google Drive. Dal momento in cui accedi con le tue
credenziali a Google e, successivamente, al servizio Drive, non occorre che tu faccia altro
che cliccare sul bottone Crea e scegliere l’opzione Documento. In pochi istanti ti trovi
nell’interfaccia di scrittura che, come noterai subito, non si differenzia da tanti editor di
scrittura digitale.
In alto trovi la toolbar con tutti gli strumenti di scrittura. Ci sono le classiche opzioni
di formattazione (grassetto, corsivo, sottolineato, dimensione e colorazione del testo),
nonché le funzioni per inserire link o commenti nel testo (quest’ultimo caso verrà
approfondito più avanti); trovi poi gli strumenti di impaginazione e le opzioni di elenco.
Infine lo strumento per pulire il testo da eventuali formattazioni non desiderate che, per
effetto del classico copia e incolla (per esempio il comando da tastiera CTRL+SHIFT+V)
possono venir fuori nella pagina di scrittura (dimensione del testo differente, font
diverso, interlinea discorde e così via).
Insomma, fin qui nulla di nuovo. Ma andiamo avanti e scopriamo le altre
caratteristiche.
Lo strumento di scrittura in Drive può essere adottato in tre modalità. La prima è
quella di elaborare localmente del testo, ad esempio su un classico software di editing
installato nel tuo computer, e poi con il copia e incolla riportare nell’area di scrittura di
Drive il testo prodotto. Francamente tale procedura, seppur legittima, può risultare
macchinosa e poco utile in vista di un miglioramento del tuo flusso di lavoro. La seconda
invece è senza dubbio più spontanea e intuitiva e consiste nel produrre direttamente del
testo attraverso lo strumento di scrittura di Drive; come già detto, lì sono presenti tutte le
funzioni utili a comporre in tutte le sue caratteristiche un contenuto testuale articolato.
Qualcosa potrebbe mancare a chi è abituato ad utilizzare un software di scrittura come
Word o Open Office, per esempio il correttore di bozze. O meglio, lo strumento è
presente anche in Documenti ma le sue prestazioni di riconoscimento degli errori sono
meno precise di quelle dei wordprocessor più diffusi. Questo comunque non deve
scoraggiarti riguardo le possibilità di scrittura che Drive propone. Le volte che si
presentasse la segnalazione di un errore che, in realtà, errore non è, ti sarà possibile
aggiungere la parola al tuo dizionario personale e dunque migliorare le prestazioni del
correttore.
La terza modalità potrebbe risultare molto utile in determinate occasioni, e bastano
poche righe per descriverla. Ormai lo hai ben compreso, Google Drive è uno strumento
di web storage, in quanto consente di caricare diverse tipologie di file. Non tutti i file
però possono essere eseguiti da Drive, ma alcuni di questi certamente sì e tra questi ci
sono anche quelli in formato .doc o .docx (se stai utilizzando un software di scrittura
come Word, presente nel pacchetto Office) o .odt (se invece stai utilizzando un software
di scrittura open source e gratuito come, ad esempio, quello presente nel pacchetto Open
Office). Dunque i file di scrittura appartenenti a queste due tipologie possono essere
caricati, eseguiti e modificati con Drive. Fare queste operazioni è molto semplice: basta
cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona del file caricato e scegliere tra le diverse
opzioni Apri con e, infine, scegliere il comando Documenti Google. Drive convertirà il file
di scrittura caricato in uno in formato compatibile e quindi modificabile. Da quel
momento sarà possibile mettere mano al documento attraverso lo strumento di scrittura
di Drive e archiviarlo direttamente in cloud.
Ricapitolando, sono tre le modalità per utilizzare lo strumento di scrittura:
- elaborare un testo localmente, caricarlo e trasportarlo nel foglio di scrittura di Drive
con il classico copia e incolla;
- produrre direttamente in Drive un nuovo documento di scrittura;
- caricare un documento di scrittura prodotto localmente e grazie alla conversione
continuare la scrittura dello stesso testo in Drive.
C’è poi una funzione avanzata che potrebbe far felici molti. Se carichi su Google
Drive un testo scansionato (ad esempio un classico pdf frutto di una scansione) il sistema
converte quella scansione in un testo digitale grazie al riconoscimento ottico dei caratteri.
Tale procedimento è conosciuto come OCR (optical character recognition). Se qualcuno
ha avuto occasione di conoscerlo e utilizzarlo, sa che tale processo è spesso affidato a
software esterni, ma con Google Drive tutto risulta più semplice. Se hai voglia di
approfondire le capacità tecniche della conversione da scansione e i limiti massimi
consentiti, questo link fa al caso tuo.
Queste modalità ti consentono di iniziare a scrivere un documento con Drive. Non
presentano difficoltà nella loro attivazione. Attenzione, però, così facendo rapidamente ti
troverai a contatto con una serie di funzioni, e dunque di possibili pratiche, totalmente
diverse da quelle che comunemente adotti ricorrendo ai più diffusi software di
composizione testuale. Iniziamo qui a cogliere e comprendere la portata innovativa di uno
strumento come Drive.
3.3 Scrittura nella cloud
Ce lo siamo già detti: Google Drive vive nella nuvola, tutti i suoi file sono archiviati in
rete e possono essere non solo consultati, ma anche modificati. Non solo, come abbiamo
visto è possibile generare file direttamente nella nuvola, ovvero immediatamente
all’interno di Drive. Sarebbe più che legittima la domanda: “ma come si salva un
documento nella cloud?”.
È abitudine che ben conosciamo, quella di salvare con una certa costanza il file che
stiamo elaborando quando siamo lì davanti al nostro computer ed utilizziamo un classico
software di scrittura. Salvare frequentemente, ma anche duplicare il file stesso, ogni tanto,
su altre memorie: quella di disporre di una copia di riserva è una garanzia cui tanti si
affidano nel caso che (facendo tutti gli scongiuri del caso) l’hardware del computer giochi
qualche brutto scherzo. Di certo il rischio di qualcosa che non va lo si corre
inequivocabilmente con tutte le memorie fisiche come hardisk, memorie esterne e
memorie USB. Ma è un rischio che scompare, se si fa affidamento alla nuvola: non c’è
alcun bisogno di salvare ogni tanto il file al quale stiamo lavorando perché il salvataggio
avviene automaticamente, ogni singola modifica che effettuiamo viene costantemente
registrata. Ottimo, no? Ma se è lo stesso programma a provvedere al salvataggio, cosa capita
se vogliamo tornare indietro e ad esempio visualizzare una parte di testo che abbiamo
cancellato (e che il sistema ha salvato)? Nel paragrafo che segue cercheremo brevemente
di scoprire la semplice e comodissima procedura a riguardo.
3.4 La cronologia delle revisioni
Lo strumento Documenti offre una funzione dedicata che elenca tutte le modifiche
effettuate ad un testo: in sostanza ogni salvataggio automatico effettuato è visualizzabile e,
ancor di più, utilizzabile. Ogni salvataggio infatti consiste in una versione specifica del
documento elaborato, basta un click per poter adottare la versione desiderata, anche se
questa appartiene al passato.
Accedere alla cronologia delle revisioni è molto semplice. Nella barra superiore dove
sono presenti tutti gli strumenti di scrittura puoi individuare il comando che ti comunica
se in quel momento è in corso un salvataggio o se tutte le modifiche da te apportate sono
state correttamente salvate.
Nell’immagine qui sopra viene indicata l’area dove è collocato tale comando. Perché
nello strumento di scrittura di Drive è importante la cronologia dei salvataggi? Per due
ragioni. O meglio, per via di due possibili utilizzi dello stesso strumento. Nel caso tu sia
impegnato nella stesura di un testo con Drive e in modalità cloud, poter scorrere tutte le
versioni del testo salvate ti risulterà molto utile: ti si consente infatti di rivedere il tuo
lavoro ed eventualmente riadottare versioni precedenti del documento su cui si stai
lavorando. La cronologia dei salvataggi assume una funzione ancora più importante se la
stesura di un testo è condivisa e se prevedi dunque la partecipazione di più utenti
contemporaneamente. In questo caso ogni intervento è salvato ed è associato all’utente
partecipante. Anche la sola aggiunta di una virgola o la cancellazione di una battitura di
troppo è registrata e collegata all’utente che in quel dato momento prende parte alla
scrittura del documento di testo, fermo restando che il testo pur mutando costantemente
sarà in ogni momento leggibile in forma “pulita”, come se fosse definitivo.
In un ambito di scrittura collaborativa, disporre di un diario in cui sono registrati tutti
i passaggi della produzione di testo è ottima cosa. Ti consente di scorrere e dunque
rivedere tutti i passaggi di quella produzione a più mani, di scegliere se andare avanti o
riprendere una versione precedente, e comunque garantisce che nulla vada perso, di quel
che via via stai facendo. Ne risulta una sorta di stratificazione degli interventi sul testo:
qualora volessi non solo visualizzarne ma anche utilizzarne nuovamente una determinata
versione ti basterà cliccare sullo “strato” che ti interessa e riprendere da quel momento la
scrittura. Tutto ciò avviene grazie alla logica stessa della cloud: ogni azione sul testo è
salvata e memorizzata. Insomma, un documento di testo in Google Drive è composto non
solo dai contenuti (testuali e multimediali) coincidenti con l’ultima versione disponibile,
ma anche da tutte le versioni precedenti e da tutti quei dati che si collegano alla
registrazione di azioni sul testo (chi è responsabile di quella specifica azione, quando è
stata fatta, ecc.).
Dal momento in cui decidi di selezionare e utilizzare uno “strato” della cronologia
riporti il documento ad un preciso stadio di lavorazione del testo e tutti i contributi degli
autori, compresi quelli successivi a tale stadio, saranno annullati. La scrittura collaborativa
comporta l’individuazione di regole condivise, in tal caso per evitare l’eventuale rischio di
perdere la cronologia degli interventi esistono differenti strategie da mettere in pratica.
Una è quella dell’adozione dello strumento Sug gerimento. Ti illustro brevemente come
funziona e la sua importanza. Più autori possono modificare il testo di un documento al
quale stanno collaborando anche attraverso questa modalità. In alto a destra trovi la
modalità Modifica: puoi optare per questa oppure scegliere la modalità Sug gerimento. Se opti
per questa, le modifiche che apporterai saranno visualizzate in un altro colore e verranno
segnalate da un piccolo a box a destra del foglio. Così potrai intervenire senza alcun limite
e allo stesso tempo garantirti che nessuna modifica intacchi il testo.
Ogni box che segnala i suggerimenti nel testo presenta due bottoni, uno per
l’approvazione e l’integrazione della modifica suggerita (rappresentato da una spunta) e
uno per il rifiuto del suggerimento con la conseguente cancellazione del suggerimento
(rappresentato da una X). La modalità Sug gerimento può avere differenti usi nella didattica.
Ad esempio può risultare davvero utile per correggere gli elaborati realizzati dagli studenti
lasciando sia il contenuto scritto originariamente, sia la correzione proposta dal docente.
In questo modo lo studente avrà la possibilità di confrontare con facilità le due versioni.
Questi aspetti, che possono sembrare tecnici, danno invece una grande ricchezza
pedagogica e didattica a Drive. Un insegnante che sia interessato a sviluppare un’attività di
scrittura collaborativa al fine di documentare e comunicare l’attività svolta in classe può
trovare nella cronologia, o nella modalità Suggerimento, dei validi supporti per la messa in
evidenza e dunque l’analisi delle dinamiche collaborative degli studenti coinvolti.
Individuare e capire come ciascuno si sia comportato lì, quale contributo abbia dato alla
costruzione concordata del testo, se si sia imposto col suo stile, sovrapponendosi a quello
condiviso o ne sia stato invece rispettoso di questo: sono tutti elementi che
contribuiscono all’arricchimento dei profili valutativi individuali e di gruppo,
permettendo sia di affrontare con cognizione di causa il problema di fornire una
significativa valutazione delle attività di gruppo, sia di coinvolgere su tutti e due fronti di
impegno gli stessi allievi. I quali, certamente, usciranno da una simile esperienza con una
maggiore consapevolezza di cosa significhi scrivere tenendo conto di quel che è già
scritto, leggere capendo quel che è scritto, fare ipotesi su come può procedere una
scrittura, intervenire su un testo per modificarlo senza tradirlo. Tutte novità, e tutte
ugualmente interessanti sul piano didattico, che solo uno strumento digitale del tipo di
Drive permette di mettere in campo.
Ma vale la pena di soffermarsi ancora sul tema.
Cartelle e quaderni fatti e rifatti di bit
Un’esperienza di Barbara Grassi
Quando ero maestra alla primaria, molti anni fa, spesso ricevevo per Natale dalla mia
famiglia una nuova cartella, poiché la mia era puntualmente sfondata. Invidiavo le colleghe
che si munivano di shopping bag con rotelle o avevano il coraggio di far acquistare
ingombranti quadernoni ad anelli ai bambini, per non dover portare a casa il pacco di
quelli con la copertina blu o rossa o verde...
Arrivata alle superiori, con mia grande meraviglia, lo scenario era diverso: pensare di
portare a casa o solo di raccogliere i quaderni dei ragazzi era fantascienza. Non si usava! Si
assegnavano certamente i compiti per casa, ma se la correzione non era svolta
collettivamente in classe, allora pazienza: il farli o no e come eseguirli era una loro
responsabilità. Lo era a tal punto che effettuare il controllo dei quaderni, leggerli e dar
loro una valutazione pare ancora oggi come allora a qualche collega una terribile minaccia
ed un’inutile fatica.
Eppure era utile. Altroché se lo era e lo è tutt’oggi.
Ma oltre al problema del trasporto dei quaderni, ve n’erano altri. L’alunno
strategicamente assente o il quaderno che non si trovava, ad esempio, non consentivano
alcuna correzione.
Se, invece, il quaderno c’era, spesso era illeggibile e disordinato.
Quando, infine, la consegna prevedeva un lavoro di gruppo, era pressoché impossibile
ricostruire chi aveva prodotto che cosa.
Con l’inserimento dell’uso dei Drive nella didattica di classe, azione che è bene sia
condivisa da tutto il Consiglio (e qui i ragazzi sono meravigliosi coi loro “prof. le faccio
vedere io come si fa!”), il problema del peso o dello smarrimento dei quaderni è presto
risolto e la leggibilità del documento anche. La possibilità, infine, di poter aprire il file per
ricostruire la cronologia degli interventi consente anche di trovare
Così come il singolo docente può controllare la qualità dell’esecuzione dei compiti
assegnati in qualsiasi momento e da un qualsiasi dispositivo connesso, allo stesso modo gli
allievi hanno l’opportunità di fruire di dispense e di altri materiali selezionati online.
Inoltre, senza rendersene conto, possono imparare ad usare cellulari, tablet e quant’altro
come strumenti di lavoro, per creare e condividere documenti nei più disparati formati,
acquisendo competenze informatiche importanti e sempre più richieste (l’esame della
Nuova Ecdl on line collaboration certifica tra le altre la capacità di comprendere i concetti
fondamentali relativi alla collaborazione online e al cloud computing e di saper usare
ambienti di apprendimento on line).
Tralasciamo il fatto che per le generazioni dei nativi digitali (noi docenti per lo più
siamo adottivi), un approccio didattico siffatto è molto più stimolante.
Le molteplici applicazioni che sono collegabili ai canonici file Drive, infine,
consentono ad ogni docente di scatenare la propria creatività, spaziando dalla creazione di
Mappe concettuali (cfr. Mind map) al dinamico GeoGebra e molte altre.
Con i Drive non ci sono più fogli, chiavette Usb e memorie esterne, ma non servono
neanche più computer con software installati da aggiornare continuamente. Non è
neanche più necessario trovarsi fisicamente, perché la scrittura collaborativa consente al
gruppo di lavorare allo stesso documento da postazioni e con tempi diversi. Se poi ci si
deve dire qualcosa, è sufficiente usare la funzione dei commenti. Bastano una
connessione internet, l’installazione di Google Chrome e, possibilmente, un dominio
Google Education che offre l’attivazione gratuita di account di posta per ogni docente, ma
anche per ogni allievo.
Altro vantaggio da segnalare è l’uso dei Drive nei percorsi individualizzati .
Il docente può prevedere un percorso personalizzato per ciascuno dei suoi studenti e
condividere solo con lui la cartella contenente i materiali di studio, video, tutoriali e gli
esercizi da svolgere. Le occasioni a scuola non mancano: ci sono i recuperi in itinere,
quelli estivi, ma anche il consolidamento o il potenziamento delle eccellenze, quindi la
divisione per livelli della classe e l’assegnazione di esercizi diversificati anche rispetto allo
stesso argomento.
Quel che è sicuro è che questa tecnologia facilita la costruzione mirata di percorsi
validi per il successo scolastico.
3.5 Condividere un testo, partecipare ad un testo
Pensare ad una scrittura in rete non può che far nascere l’idea di poter condividerla e
renderla aperta, partecipata con altri utenti. La rete è di fatto una fitta tessitura che collega
contenuti con altri, crea nodi, concentra interazioni, sviluppa costante scambio tra oggetti
e utenti. Gli ambienti di social networking esprimono perfettamente le dinamiche di
interazione tra utenti attraverso le comunicazioni sincrone e asincrone e grazie alla
condivisione di contenuti. Oggi comunicare e interagire attraverso una piattaforma come
Facebook rappresenta una pratica decisamente diffusa in Italia, e dunque nelle abitudini
comunicative di molti di noi c’è anche quella del social networking; questa è una buona
base per comprendere e soprattutto adottare forme di partecipazione pensate per
sviluppare contenuti digitali assieme ad altri. Certo, utilizzare Facebook non ti porta
automaticamente ad essere esperto di scrittura collaborativa o a possedere rapidamente le
competenze tecniche utili per la creazione e lo sviluppo di documenti di testo partecipati.
Ma come vedrai a breve, i due mondi, quello dei social network e quello della scrittura
collaborativa, hanno diversi ponti di comunicazione.
Partiamo da alcune brevi specifiche tecniche. Il documento di scrittura in Googe
Drive prevede il comando Condividi. Lo individui facilmente nella barra superiore
dell’interfaccia, nell’angolo a destra: come indicato nell’immagine qui sotto, è
contrassegnato dal colore blu. Attraverso questo comando puoi condividere e rendere il
documento visualizzabile ad altri e, eventualmente, consentire loro di partecipare
attivamente alla scrittura.
Ti ricordo che di default ogni nuovo documento generato è privato e quindi risulta
accessibile e visualizzabile esclusivamente da chi lo ha creato.
Cliccando sul comando, ecco che ti si apre una piccola finestra denominata Condividi
con altri utenti con diversi elementi utili da comprendere. Il primo è il campo Persone, dove
puoi inserire l’indirizzo mail o il nome degli utenti che si intendi coinvolgere. Se sono
utenti con i quali tu abbia già una relazione di rete, ad esempio uno scambio di mail o un
legame su Google+, basterà che tu digiti il nome e automaticamente Drive individuerà
l’utente da aggiungere.
Accanto allo spazio per l’inserimento della persona che vuoi coinvolgere nel
documento trovi il bottone Può modificare: ciò significa che l’utente che intendi aggiungere
avrà facoltà di modifica. Se fai click sul bottone ti appaiono altre due opzioni: Può
commentare, Può visualizzare. La prima attribuisce alla persona con la quale condividi il
documento la possibilità di commentare ma non di modificare, la seconda invece
consente la sola visualizzazione del documento. In alto a destra trovi il comando Ottieni
link condivisibile: se clicchi il sistema avvia un CTRL+C, in sostanza automatizza l’azione di
copiatura del link che normalmente compi andando a selezionare la URL di una pagina
web. Puoi far circolare il link impostando fin da subito le funzioni degli utenti che ne
sono in possesso. Come vedi appare il comando Chiunque abbia il link può vedere.
Anche in questo caso l’opzione può essere modificata, ti basterà cliccare sul comando e
scegliere tra le altre due opzioni disponibili: Chiunque abbia il link può commentare, Chiunque
abbia il link può modificare.
C’è dell’altro e lo trovi cliccando sul comando Avanzate: ecco che ti si apre una nuova
finestra denominata Impostazioni di condivisione. All’interno di questa finestra puoi gestire più
in profondità la condivisione del documento. Troverai nella finestra nuovamente la URL
estesa del documento che stai condividendo, e più in basso la lista Chi ha accesso con tutti
gli utenti presenti nel documento. Il primo comando che trovi ti consente di definire,
anche da questa finestra, quali funzioni attribuire a chiunque abbia il link e, come vedi,
l’impostazione di base consente la sola visualizzazione. Ma cliccando su Modifica puoi
scegliere quali azioni consentire a tutti gli utenti in possesso del link. Le opzioni sono tre:
Pubblico sul Web; Attivo; Non attivo. La prima opzione, Pubblico sul web, consente a chiunque
abbia accesso ad internet di poter trovare il documento e intervenire in base alle funzioni
indicate. L’opzione Attivo consente a tutti gli utenti in possesso del link di accedere al
documento. Infine l’opzione Non attivo impedisce di accedere al documento tramite link,
limitandone l’accesso alle sole persone indicate dal proprietario del documento.
Il comando Avanzate offre un’altra funzione molto utile per la gestione degli utenti
impegnati nella collaborazione. Se il documento è condiviso con altre persone, nella lista
Chi ha accesso trovi i nomi degli utenti e accanto la funzione attribuita. Se sei proprietario
del documento puoi decidere quali funzioni attribuire ad ogni singolo utente. Ecco le
funzioni disponibili:
- È il proprietario: puoi attribuire ad altri utenti le tue stesse facoltà di proprietario;
- Può modificare: l’utente può intervenire nel documeto modificando e commentando;
- Può commentare: l’utente può commentare il documeto ma non modificarlo;
- Può visualizzare: l’utente possiede la sola facoltà di accedere e visualizzare il
documento
Infine puoi condividere il tuo documento anche attraverso social network come
Google+, Twitter e Facebook: in questo caso la condivisione devi pensarla in rapporto
all’impostazione di accesso che hai attivato. Questo passaggio dedicato alle modalità di
condivisione è essenziale per introdurre le pratiche vere e proprie di collaborazione che
avvengono all’interno di un documento di scrittura. Tutto ciò apre questioni non solo
tecniche, ma anche e soprattutto metodologiche, se si fa riferimento a documenti di
scrittura inseriti dentro attività didattiche.
Dal tasto Condividi si diramano tre diverse opzioni di collaborazione sui contenuti:
modifica, commento e visualizzazione.
In un’ottica didattica queste tre modalità di condivisione e partecipazione ad un
contenuto testuale rispondono, ovviamente, ad esigenze differenti. Non è detto che tutti i
documenti di scrittura presenti in una cartella di gruppo (per esempio una classe) di
Google Drive debbano necessariamente risultare accessibili e aperti ad interventi dei
componenti del gruppo. A seconda della situazione, possono cambiare le modalità della
condivisione. Così, se vuoi far studiare un determinato testo ai tuoi studenti, puoi
attribuire loro la possibilità di redire commenti, generali o locali; se invece vuoi
provvedere alla costruzione di un contenuto didattico collaborativo, per esempio il
racconto di un’esperienza che avete fatto assieme, non prevederai nessuna restrizione, né
nell’accesso né negli interventi di revisione e arricchimento del testo.
Poco prima abbiamo visto da vicino la funzione Cronologia. Torniamoci. In un
processo di scrittura collaborativa, con più utenti che intervengono aggiungendo e
modificando contenuti testuali, la possibilità di visualizzare le azioni di ciascuno e i loro
effetti sul testo complessivo ti risulterà utilissima perché non solo ti garantisce una
timeline ordinata del flusso collaborativo sul testo e attorno ad esso, ma ti permetterà
anche di individuare i diversi passaggi e di decidere di ripartire da uno di quelli,
annullando quel che è venuto dopo. In altri termini, questo tipo di scrittura è reversibile,
si può tornare indietro nel tempo, e chiunque tra gli utenti coinvolti può decidere di
farlo.
Quando più soggetti collaborano alla stesura di un testo Google Drive attribuisce a
ciascuno un colore identificativo. Attivando la cronologia puoi dunque individuare la
parte di testo prodotta da ogni singolo utente in quanto, appunto, è contrassegnata dal
colore a lui associato. La presenza online di altri utenti su un documento di scrittura è
segnalata dall’icona di profilo posizionata vicino al tasto Condividi, in alto a destra. Inoltre,
se un documento ospita diversi utenti contemporaneamente, questi possono interagire
attraverso la chat dedicata. Cliccando sul tasto a forma di balloon posizionato accanto
all’icona di profilo dell’utente partecipante si attiva infatti la messaggistica sincrona,
soluzione che può risultarti molto utile, nel caso nascesse l’esigenza di comunicarsi idee
su come andare avanti, pareri su quanto si sta facendo, giudizi su quanto si è fatto.
Inserire i commenti in un testo creato con Google Drive è, poi, un’operazione
davvero semplice. Con il cursore del mouse basta che tu selezioni una parola, una frase o
qualsiasi altro elemento presente nel documento e che clicchi con il tasto destro. Ti si
apre un menù a comparsa. Tra i diversi comandi presenti trovi Commenta anticipato da una
piccolo balloon. Cliccandoci alla destra del documento ti si apre la finestra dove puoi
aggiungere e condividere i commenti che, visivamente, vanno a disporsi sempre sulla
destra del documento stesso. Ogni commento è rappresentato da una finestra autonoma
che può essere utilizzata da un altro utente per rispondere al commento stesso e dar vita,
eventualmente, ad una vera e propria interazione. Se il commento contiene l’indirizzo di
posta preceduto dal simbolo +, sarà inviata in automatico una mail al destinatario
contenente il commento. Lo stesso destinatario potrà replicare direttamente dalla posta
elettronica, e il suo commento apparirà anche nel documento. Insomma, non si collabora
solo a scrivere, si collabora anche a commentare un testo. E questa seconda possibilità, in
certi casi, diventa ancora più importante della prima, offrendo l’occasione per confrontare
giudizi, opinioni, progetti: da docente a studente, da studente a studente, da studente a
docente. Nella logica della scrittura collaborativa uno strumento come quello dei
commenti risulta dunque essenziale: consente di coordinare con altri il lavoro di
produzione e di adattamento di un testo, e offre una cornice collettiva dalla quale e con la
quale guardare al testo. I commenti prodotti in questo modo assumono il ruolo di metacontenuti, ovvero di preziose informazioni aggiuntive, associate a punti particolari, a
passaggi che si considerano cruciali del testo in scrittura.
Tesine condivise
Un’esperienza di Damiano Carlesso
Nella scuola dove lavoro (Licei e Tecnici) a tutti i ragazzi del 5° anno viene condiviso
individualmente un modello di tesina sul quale sviluppare l’approfondimento per l’esame
di stato. La cartella in Drive che contiene tutte le tesine viene poi condivisa a tutti i
docenti della scuola. Risultato: ogni studente lavora solo sul proprio documento ma i
docenti hanno accesso a tutti i documenti.
Lo studente può quindi chiedere una consulenza a qualunque docente esperto anche
se non è un suo insegnante. L’insegnante può comodamente controllare lo stato di
avanzamento delle tesine dei suoi allievi in qualsiasi momento.
CAPITOLO 4 - PRATICHE
DIDATTICHE DI SCRITTURA
COLLABORATIVA
4.1 Alcuni punti fondamentali
Come abbiamo visto, la possibilità di interagire per rendere partecipata la costruzione
di un testo o, più in generale, la realizzazione di un contenuto digitale, consente di
pensare ad attività didattiche incentrate su alcuni punti fondamentali. Quali? Proviamo a
vederli insieme.
Il primo punto da analizzare è quello della collaborazione, o, meglio ancora, della
collaborazione orientata al raggiungimento di un obiettivo comune: nel nostro caso, la
produzione di un testo collettivo. Non c’è soluzione migliore allo stato attuale che usare
Google Drive. Ma attenzione: proporre una didattica di tipo collaborativo - e proprio su
un’attività, quella dello scrivere, tradizionalmente intesa come individuale - comporta una
ben precisa organizzazione di obiettivi, tempi, regole e ruoli.
Una soluzione possibile è che tu consideri lo spazio di scrittura collaborativa come
un ambiente per la raccolta e la catalogazione di risorse recuperate in rete. Pensa ad
esempio a studenti impegnati nella ricerca introduttiva o di approfondimento di uno
specifico tema: lo strumento di scrittura, in questo caso, può divenire lo spazio per
condividere e organizzare indirizzi web dedicati al tema; non solo, in questo modo ti sarà
possibile comunicare feedback per dare, prima ancora che un giudizio sull’operato,
riscontri e consigli su come migliorare e proseguire con l’attività. I feedback in tal caso
saranno destinati al gruppo nella sua totalità: disponibili alla lettura da parte di tutti gli
studenti attivi sul documento condiviso, possono assumere un valore di orientamento
generale (non dimenticare che in uno spazio di condivisione l’ottica prevalente deve
essere appunto quella del gruppo, e che ogni individuo partecipante deve essere in primo
luogo valutato per come prende parte alle dinamiche di gruppo, rinforzandole o
attenuandole, e dunque per gli effetti che il suo fare o non fare produce dentro il gruppo
stesso).
Muovendo da un’attività simile potrai mettere a fuoco ed eventualmente porre in atto
un progetto di scrittura collaborativa: si tratterebbe, per intenderci, di impegnare il gruppo
stesso a costruire un testo condiviso che sia in grado, per esempio, di descrivere e
organizzare come percorso ragionato le risorse via via individuate e condivise. Saper
modulare le dinamiche di collaborazione, qui, risulta un fattore essenziale: non si tratta
soltanto di far raccogliere materiali, ognuno facendo la sua parte e tutti contribuendo a
inserire tali materiali secondo una logica puramente sommatoria; ci sarà anche da creare le
condizioni perché venga prodotto un testo collettivo, scrivendo il quale ognuno dovrà in
un qualche modo tener conto di quel che fa e scrive e di che cosa scrive l’altro.
La dimensione progettuale di un’attività come questa e l’impegno che richiede li devi
ovviamente mettere in relazione al numero di studenti che coinvolgi e all’obiettivo che ti
proponi. Un’intera classe impegnata in un progetto di scrittura collaborativa comporta
regole e approcci da parte di te docente ben diversi da quelli necessari per governare un
piccolo gruppo. E non è detto che orientare e monitorare il piccolo gruppo sia
operazione più facile di quanto non è farlo con un gruppo grande, tipo classe: può infatti
capitare che nel gruppo piccolo si senta come troppo centrale la tua presenza di docente,
e che dunque il gruppo stesso non decolli come realtà autonoma, quando invece in un
gruppo ampio le dinamiche interne di scambio e collaborazione, sia pure con un po’ di
confusione, potrebbero svilupparsi in maggiore autonomia. Ovviamente il numero dei
soggetti da impegnare in un progetto di scrittura collaborativa non è il solo fattore che
dovrai considerare: non si tratta solo di individuare il carico cognitivo dello studente
corrisposto al numero dei partecipanti, devi impegnarti a disegnare un’attività che sia in
grado di garantire una elevata qualità esperienziale al gruppo nel suo complesso. A monte,
allora, ci dovrebbe essere un lavoro progettuale da parte tua che ti consenta di ipotizzare,
almeno in linea di principio, ruoli, tempi, dinamiche e risultati attesi per questa attività:
nessuna gabbia inviolabile, ovviamente, ma una traccia progettuale flessibile che sia capace
di adattarsi alle esigenze del gruppo man mano che queste si manifestano. Ad esempio, se
gli obiettivi risultano chiari, un ampio gruppo può lavorare senza alcun problema
procedendo positivamente verso i risultati attesi. Ma nulla vieta che tu possa prevedere di
dar vita a uno o più gruppi ristretti di studenti utilizzando questa soluzione come un
buon punto di inizio per testare e sperimentare la pratica della scrittura collaborativa. Allo
stesso tempo l’obiettivo che ti dai (e che proponi loro) deve essere rapportato
all’esperienza pregressa dei tuoi studenti e alla loro confidenza non tanto con l’interfaccia
tecnologica, quanto con l’idea di prendere parte ad un’esperienza di condivisione, dove è
prioritario non ciò che ciascuno sa fare per se stesso ma ciò che ciascuno sa fare per la
crescita del gruppo stesso.
Google Drive e in particolare lo strumento Documenti può essere un’ottima occasione
per introdurre o incentivare la scrittura collaborativa nelle classi. Costruire assieme un
testo comporta flessibilità e coordinamento, ma anche pianificazione, tutti elementi che tu
insegnante devi saper tenere sotto conrollo, sì che ogni partecipante si senta allo stesso
tempo libero di intervenire e vincolato dalla natura del progetto. Come si è detto poco
sopra potrai stabilire dei ruoli, e questa soluzione certamente ti aiuterà, ma fa’ attenzione
però a non rendere troppo rigidi e specifici questi ruoli e soprattutto a non vincolare ad
una sequenza precedentemente e astrattamente definita le fasi di sviluppo nel testo: al
contrario, dovrai lasciare il margine utile a far emergere impegno, creatività e soprattutto
collaborazione da parte dei singoli membri del gruppo.
L’impegno a introdurre la scrittura collaborativa di rete può trovare un buon alleato
nella scelta di misurarsi con la narrazione. Sai bene che gli studenti incontrano meno
difficoltà ad utilizzare la chiave narrativa rispetto a quelle che hanno quando si misurano
con la produzione di testi descrittivi o argomentativi: e questo avviene, di solito, perché
dispongono di più modelli di riferimento ed anche perché, raccontando, si sentono
solitamente più liberi di inventare.
Tutto bene, allora? Sì se soprattutto cominci tu stesso a fare esperienza e a
documentarti sulle esperienze di altri.
A questo proposito potrebbe interessarti un progetto tutto italiano, non inserito nella
scuola, centrato sulle dinamiche della scrittura collaborativa. Si chiama SIC, Scrittura
Industriale Collettiva, ed è stato ideato e messo a punto per produrre storie collettive,
scritte a più mani. Esiste un metodo testato che consente a tutti i partecipanti di prendere
parte attivamente alla costruzione narrativa; i promotori della SIC lo mettono a
disposizione di tutti. La SIC ha dalla sua il completamento di una serie nutrita di storie, e
tra queste trovi il libro In territorio nemico, edito da Minimum Fax e frutto, appunto,
dell’azione collaborativa dei tanti utenti che vi hanno preso parte. Certo, il metodo
proposto non deve essere preso alla lettera per un’attività didattica, ma provarlo su te
stesso può darti una buona base per arrivare a formulare un progetto di classe. Potresti
anche vedere cosa fanno altri.
C’è a questo proposito l’universo dello storytelling, dove le strategie narrative e, oggi
in particolare, le risorse della multimedialità digitale sono usate per introdurre temi,
problemi, concetti. Gli esempi non mancano. Vedi l’esperienza di Caterina Moscetti,
insegnante della Scuola Primaria “Mons. Bartoletti”, Istituto Comprensivo Sigillo, in
provincia di Perugia, che usa le pratiche di storytelling per illustrare e far affrontare il
tema del riciclo dei rifiuti. O anche quanto fa l’Oak Hill School, negli Stati Uniti, come
documenta questo video. Tanta creatività in ballo, e soprattutto un intenso lavoro di
squadra.
C’è dell’altro. Emanuela Zibordi, insegnante di Scienze Motorie presso l’IIS “G.Luosi”
di Mirandola, racconta nel suo blog l’attività di scrittura collaborativa che propone ai suoi
studenti: l’obiettivo è di consentire ad ognuno di raccontare con testo e foto l’esperienza
di una gita scolastica.
Ti starai chiedendo: se sono alla prime armi, da dove posso iniziare? Il consiglio che
posso darti è lo stesso che trovi nelle righe precedenti. Parti da te stesso, partecipando
attivamente (e con il necessario spirito ludico: giocare e mettersi in gioco) a qualche
iniziativa di narrazione collaborativa. In rete non mancano le occasioni. Ad esempio c’è il
progetto 20lines, ossia scrittura a più mani di brevi storie che non superino le 240 righe
(3400 parola circa). Puoi prender parte a storie già in corso di scrittura o proporne tu una
nuova: la regola è che ogni storia deve essere scritta da più utenti.
D-Still ti offre un’altra opportunità. Questa volta non hai a che fare con testi, ma con
video. La logica comunque non cambia: dar vita a storie in forma collaborativa. Un utente
iscritto dopo aver installato la app sul suo smartphone registra un breve video e invita gli
altri a continuare e a sviluppare una possibile storia. In occasione della manifestazione
Bookcity a Milano (13-16 novembre 2014), alcuni utenti hanno adottato D-Still per
realizzare una lettura social dei loro libri preferiti.
Torniamo dunque al nostro tema della scrittura collaborativa in Drive.
Per ogni attività didattica dedicata a questa pratica tu insegnante puoi ovviamente
visionare più documenti di scrittura e seguire gli andamenti della collaborazione degli
studenti, intervenendo non solo nei contenuti ma anche, grazie allo strumento dei
commenti, nelle eventuali interazioni tra e con gli studenti. Come ho già specificato lo
strumento dei commenti consente la replica e, di fatto, l’attivazione di una comunicazione
tra più soggetti: così ogni singolo commento diventa un potenziale spazio di confronto.
Devi considerare, infine, che gli studenti stessi, interagendo attivamente su un documento
di scrittura, si troveranno naturalmente ad utilizzare lo strumento dei commenti, e questo
non farà che rinforzare la dimensione collaborativa, quanto cioè rappresenta la più grossa
novità che digitale e rete portano dentro la pedagogia dello scrivere. Tutto ciò, lo sai bene,
fa sollevare importanti questioni non solo a proposito della progettazione di un’attività
didattica orientata alla composizione testuale, ma anche relativamente al senso che
assumono, in chiave pedagogica, le interazione e il confronto in rete docenti/studenti. La
novità consiste nel fatto che tu insegnante ti trovi a conoscere, organizzare, alimentare e
condurre i flussi molecolari di intercomunicazione tra gli scriventi. Senza dubbio la
capacità di modulare la comunicazione collettiva e connettiva attorno ad un documento di
scrittura diviene una dote importante, se non fondamentale per te che vuoi misurarti con
questo tipo di esperienze, e dunque con pratiche e abitudini per le quali, diciamocelo
chiaro, non esistono tradizioni, almeno in ambito scolastico, e tantomeno si può ricorre a
regole e grammatiche. Sei (siamo tutti) agli esordi di questa esperienza di scrittura
collaborativa: la possibilità di lavorare tutti assieme dentro lo stesso spazio di
composizione/correzione/revisione/commento si presenta come terreno vergine per la
didattica (anche se fuori dell’ambito scolastico non mancano esempi di questo tipo di
attività). Queste della scrittura collaborativa, realtà su cui ti invito a riflettere seriamente,
sono pratiche che trovano una forte coerenza con quelle del social networking basate
proprio sull’interazione e sull’abolizione di regole fisse e di ruoli fissi. Del resto, per chi
ha un poco di esperienza di social web, è impossibile pensare ad una collaborazione
testuale che escluda la possibilità per i partecipanti di scambiarsi commenti o anche di
intervenire direttamente sul contenuto scritto. Avere esperienza di social network aiuta, ma
non averne o averne molto limitata non deve essere vissuto come come un ostacolo ad
impegnarsi o, peggio ancora, da giustificazione per rinunciare all’esperienza. Al contrario,
potrebbe/dovrebbe fungere da stimolo per entrare negli ambienti di social network con
meno pregiudizi e più curiosità.
Un Collegio Docenti virtuale
Un’esperienza di Laura Biancato
Google Drive può ottimizzare la condivisione di tutti quei documenti che costituiscono
la progettazione di un Istituto. Niente più passaggi di allegati, di file rivisti a più mani o
salvati e risalvati in Dropbox.
Prendiamo come esempio il normalissimo compito di stesura del Piano dell’Offerta
Formativa secondo la procedura più diffusa: la revisione del documento dell’anno
precedente, la modifica del testo base e, spesso, la produzione di diversi allegati.
Si inizia a giugno, in presenza, con la predisposizione delle linee guida del progetto
della scuola, ma il lavoro può non interrompersi e proseguire durante l’estate, senza la
necessità di riunire il Collegio o le commissioni di lavoro. In Google Drive si inserisce
una cartella con i documenti provvisori, in scrittura condivisa. Un’altra cartella può
prevedere l’inserimento dei documenti definitivi, una volta approvati.
E per rendere continuativo lo scambio di opinioni e di suggerimenti, è possibile
utilizzare, oltre all’app di scrittura, i moduli di Google Drive, che consentono a chi
coordina il lavoro di monitorare lo stato dell’arte e fornire un feedback immediato a tutti i
docenti.
In questo modo si può lavorare anche per la programmazione dei consigli di classe o
delle equipe pedagogiche, senza ovviamente svilire gli incontri in presenza, ma facilitando
la preparazione delle riunioni con materiali condivisi e ottimizzando i tempi.
Un Consiglio di Classe virtuale
Un’esperienza di Barbara Grassi
Al giorno d’oggi nelle scuole gli insegnanti sono oberati di impegni e di riunioni.
Non è insolito incontrare nei Consigli di Classe, per fare un esempio, il collega che deve
andare via presto, che è stanco perché sottoposto anche a quattro riunioni consecutive
quel pomeriggio dopo sei ore di scuola e si lamenta. Ma ha ragione a dirsi esacerbato,
perché in quell’ora e mezza gli vien chiesto come ad un efficiente burocrate di compilare
una marea di carte, di letterine, di verbali, di concludere tutto e di far presto, senza avere il
tempo di scambiare davvero delle riflessioni su quel ragazzo o quell’altro o di conoscere
il professore nuovo con cui dovrà condividere un progetto per il resto dell’anno. Sono
incontri spesso aridi che hanno il sapore del tempo perso.
Ecco, allora, che la strumentazione di Drive può venire in aiuto. E per due ragioni: la
prima è basata su di una questione meramente temporale. È fortemente improbabile che
nel tempo destinato ad una riunione di un paio d’ore, otto, dieci o più persone riescano
ad accordarsi su un’Unità di Apprendimento (UdA) interdisciplinare, che dovrà
coinvolgere più della metà delle materie, che nello stesso tempo stabiliscano anche le
strategie didattiche migliori per un gruppo di studenti indisciplinati e che, ancora nella
stessa riunione, abbiano il tempo di confrontarsi e di riflettere su comuni problematiche
e quant’altro. Inevitabilmente, si ritorna al punto di partenza: il Coordinatore di classe o il
docente più motivato di turno si accollerà tutto il lavoro sommerso, che ovviamente sarà
solo suo e che pochi seguiranno.
La seconda ragione riguarda l’endemica incomunicabilità tra molti colleghi: a seconda
della tipologia di corso di studi, un numero vario di docenti che può arrivare anche a
dodici-tredici unità si rapporta spesso in modo del tutto disomogeneo con lo stesso
allievo, dando per scontato che questi debba adattarsi ai suoi metodi ed alle sue proposte
didattiche. Insomma, ognuno, in nome della libertà dell’insegnamento, va per la propria
strada con le più svariate e validissime motivazioni.
La strumentazione Drive, che consente la condivisione di documenti on line e la loro
creazione in modalità collaborativa, dà invece la possibilità di creare tutto il lavoro
preparatorio ai momenti in cui un gruppo docente può formalizzare e licenziare degli
strumenti comuni di azione didattica. Non è più, così, necessario delegare, fare finta o, nel
migliore dei casi, incontrarsi più volte o rimbalzarsi all’infinito un documento salvato con
diciture del tipo def, defdef, defdefultimo, defdefultimobis ecc. E non è più utile
attendere o rimandare alle date ufficiali il momento per decidere qualcosa. Il lavoro inizia
a settembre con le lezioni e segue i ragazzi durante tutto l’anno.
Questo è il contenuto di una mia cartella Drive di Coordinatore di una terza classe
nello scorso anno scolastico:
Progetti, file pregressi o di altre scuole e tutto ciò che non riusciva ad avere una
catalogazione è finito in un Bidone, perché utile (non si sa mai).
Cartella del Piano educativo, contenente il Piano elaborato ad inizio anno, quello alla
fine del primo trimestre e a fine anno. Piano Educativo Didattico…
Mi ricordo che la prima volta che ho ricevuto l’incarico di Coordinatrice di Classe ho
chiesto ad un collega fidato chi ne avesse uno meraviglioso da copiare, perché non avevo
esperienza. Da lì ho creato il mio capolavoro: un modello adattabile a tutte le classi, dove
ogni anno bastava ritoccare il numero degli allievi e poco altro. Per inciso, era già l’epoca
dei pc, quindi avevo tutti i miei dischetti con i PED per varie classi pronti per l’uso. In
Istituto c’era un vero commercio di floppy- PED. Poi è arrivata l’epoca della Qualità. E
con la qualità l’ordine. Guai a chi non usava il modello MPDRev00. E poi arrivarono le
revisioni al modello e chi sbagliava era chiaro che aveva riciclato il file dell’anno prima
per cui faceva una figuraccia.
Il responsabile era sempre il Coordinatore che si presentava al consiglio con la bozza
stampata, poi tutto il Consiglio o l’approvava in tronco con più o meno indifferenza, la
criticava, integrava… gli appunti e le chiose dovevano esser presi rapidamente, presto
presto si stampava, si incollava al verbalone, poi si archiviava con buona pace di tutti et
amen.
Con Drive non accade più. Il coordinatore scrive la bozza per tempo, la condivide ai
colleghi del Consiglio, invitandoli a descrivere la situazione della classe nelle loro
discipline, a compilare le parti dei progetti, delle UdA interdisciplinari, ad intervenire
direttamente sulle riflessioni inerenti la classe e quando arriva il giorno in cui ci si
riunisce, tutti sanno di cosa si sta parlando. Si sanno i problemi e si può finalmente avviare
un dialogo. La cosa bella è che quando io scrivo la mia parte di Ped, posso scegliere un
momento del giorno o della sera in cui sono tranquilla, concentrata e, soprattutto, ho
tempo e voglia di farlo. I risultato è sinceramente di qualità superiore e la condivisione è
garantita. La consultazione può avvenire in ogni momento: basta avere un qualsiasi
dispositivo connesso ad internet ed il file è accessibile.
Stesso dicasi per i verbali del Consiglio. Il segretario scrive e consente la modifica ai
docenti che possono integrare eventuali dimenticanze o inserire precisazioni al testo.
Naturalmente i verbali sono dei drive predisposti da un responsabile della
documentazione d’istituto che condivide i form con i vari segretari di classe, in modo che
vi possa essere una certa uniformità d’intenti.
Come si può notare dall’immagine, i file condivisi dei verbali, risultano consultabili
agevolemente da ogni docente del Consiglio di Classe, in ogni momento e costituire uno
storico accessibile anche nel tempo.
Mi ripeterei dilungandomi sulla costruzione dell’UdA interdisciplinare e degli altri
lavori di Gruppo del Consiglio di classe, perché credo che le modalità siano chiare, così
come gli esiti conseguiti e conseguibili.
CAPITOLO 5 - IMPLEMENTARE
GOOGLE DRIVE
5.1 Trasformare un documento in un eBook
Mettiamo che tu abbia terminato l’esperienza di scrittura. Il tuo testo digitale è lì,
custodito in Google Drive (ma anche pronto ad essere modificato). Che te ne fai ora? La
tua esperienza didattica è finita qui? Ha senso che tu abbia un testo che nessuno legge, al
di fuori di chi l’ha scritto? No, non ce l’ha. Potresti dunque diffondere il prodotto. Certo,
ma come puoi farlo? E, ancora prima, perché dovresti farlo?
Quello della diffusione del prodotto non è un esito automatico in un progetto
didattico centrato sulla scrittura, ma considerato che ti stai addentrando nelle logiche e
nelle dinamiche di una didattica digitale sarà bene che tu prenda in considerazione
l’intreccio tra pubblico e privato che è proprio di quel mondo (del resto, come puoi
evitare di considerare che il copia/incolla lì è una procedura del tutto agevole almeno sul
piano operativo?). La divulgazione di un contenuto didattico prodotto da una classe grazie
all’iniziativa di te insegnante può trovare una ragione e un motivo in più di esistere se è
pensata nell’ottica della condivisione. Partiamo da un dato essenziale: si tratta, come
abbiamo detto fin qui, di contenuti digitali che quindi incarnano nella loro stessa identità
costitutiva le possibilità di condivisione e di circolazione proprie dell’ambiente
tecnologico da cui sono scaturiti; inoltre non devi dimenticare che il loro spazio di
identificazione e crescita è stato la rete, fin dall’inizio, e che dunque senza collaborazione
non esisterebbero, non potrebbero esistere. Adottare le pratiche di condivisione nel
processo produttivo di un testo digitale significa senza dubbio orientare verso i margini
positivi della direzione del “social” anche la fase seguente, quella della diffusione.
Insomma, cosa ti impedisce di pensare all’attività didattica che hai messo a punto e
conseguentemente hai svolto come ad un percorso che conduce in seconda battuta a far
condividere in rete, da parte delle comunità che abbiano interesse per tutto ciò, il
prodotto del tuo impegno con i ragazzi? Cosa ti impedisce di auspicare che prendendo in
considerazione il frutto di questo tuo lavoro altri vogliano a loro volta commentarlo,
arricchirlo, ricondividerlo? È questo uno scenario che potrebbe profilarsi a breve,
secondo quanto è richiamato nella nota n. 2581 del 9 aprile 2014 del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che tratta il tema della liberalizzazione
nell’adozione dei libri scolastici e quello parallelo della produzione da parte di scuole e
insegnanti di contenuti digitali parimenti adottabili. Quest’ultimo punto trova attinenza
con ciò che stiamo trattando nel presente paragrafo. Dunque merita che ci soffermiamo su
di esso.
Dopo anni che non se ne è parlato, il tema degli strumenti didattici da usare per la
didattica sta sollevando un certo interesse e non mancano discussioni anche accese non
solo tra gli addetti ai lavori ma pure tra gli utenti diretti e indiretti di tali risorse.
Indubbiamente questo recupero di interesse è da vedere in stretto collegamento con la
diffusione delle pratiche digitali, all’interno delle quali le procedure di produzione e
diffusione dei documenti testuali (e non solo) sono alla portata di tutti gli utenti, al punto
che cominciano a non essere pochi, anche in Italia, gli insegnanti che producono in
proprio o anche coinvolgendo i loro studenti, per le attività didattiche in classe, dei
materiali da affiancare a quelli a stampa o da usare al loro posto. Allo stesso tempo, non va
ignorato che il fenomeno apre questioni per nulla banali nel rapporto tra scuola,
insegnanti, studenti ed editoria scolastica. Vediamo di mettere a fuoco alcuni punti della
nota. Come puoi leggere il riferimento è alla legge n.128/2013 che tratta questioni relative
alle tecnologie digitali e alla produzione di contenuti didattici. In particolare l’articolo 6
dispone che a partire dall’anno scolastico 2014/2015 “gli istituti scolastici possono
elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di
testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento”. Il materiale didattico digitale
può quindi assumere valore sostitutivo, a patto che ne siano garantite la diffusione e la
condivisione gratuita. Per questo, al termine dell’anno scolastico gli istituti che hanno
prodotto materiale didattico devono trasmetterlo al MIUR e renderlo disponibile a tutte le
scuole su piattaforme digitali preesistenti.
Altro punto da sottolineare riguarda l’accenno alle procedure che dovranno essere
attivate per garantire attendibilità scientifica e qualità didattica ai contenuti prodotti.
L’elaborazione del prodotto, come recita la già citata legge n.128/2013, “è affidata ad un
docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera
sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie
classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico”. Maggiori informazioni e
dettagli sulle procedure sono rinviate alle linee guida che dovranno essere pubblicate e
diffuse dal MIUR. Qualora fossi interessato ad avere una sintesi completa della nota,
probabilmente questa infografica fa al caso tuo.
Di certo le indicazioni presenti nella nota possono tradursi in una opportunità anche
sotto il profilo metodologico e tecnologico. Le possibilità di azione intraviste con Google
Drive in merito alla capacità di produrre contenuti digitali in ambito didattico fanno
emergere diversi punti di contatto con gli scenari descritti dal MIUR.
E allora come puoi mettere a disposizione di altri i contenuti della tua azione
didattica? È evidente che devi dar leggibilità e fruibilità alla documentazione di cui
disponi. Mettiamo che il tutto consista in un testo, eventualmente arricchito di immagini,
video e link alla rete, sufficientemente corposo da poter figurare come un libro,
ovviamente digitale. La soluzione più immediata è di salvarlo in formato pdf,
predisponendolo così alla diffusione. Probabilmente già lo sai, è una soluzione piuttosto
rigida, sia perché chi riceve il tuo libretto in formato pdf non può modificarlo o
integrarlo, a meno che non disponga di un software specifico, decisamente caro, e
soprattutto perché questo tuo prodotto non si adatta ai diversi dispositivi con cui può
essere fruito (computer, tablet, smartphone): leggerlo e usarlo non sono operazioni
comode, soprattutto se chi se ne serve dedica particolare attenzione all’apparato
multimediale. Non c’è che adottare un’altra soluzione, quella del formato ePub, pensato
appositamente per gli eBook.
Il formato ePub garantisce piena fruibilità non solo su computer, grazie a diversi
software disponibili in forma gratuita, ma anche e soprattutto su tecnologie mobili come
tablet, eReader e smartphone. Insomma, è uno strumento decisamente flessibile e
adattabile alle diverse necessità. Particolarmente prezioso oggi, che si sta sviluppando la
pratica del BYOD (Bring Your Own Device) cioè la possibilità per ogni studente di
portare e usare in classe lo strumento (smartphone, tablet, Netbook, Notebook) di cui è
personalmente dotato. Inoltre un eBook in formato ePub consente un numero
considerevole di operazioni che un pdf non può fare. Quali? Qui trovi una buona
presentazione delle differenze sostanziali tra i due formati.
Torniamo al tema.
Puoi rendere in forma di ePub dei contenuti che tu abbia sviluppato con Google
Drive. Per far tutto puoi fare affidamento ad uno strumento esterno a Google Drive ma
che dialoga perfettamente con le funzioni di quest’ultimo e che rende possibile, in pochi
click, la conversione di documenti di scrittura in eBook: si tratta di Liberio. Fino a poco
tempo fa si presentatava ancora in versione beta (cioè non definitiva) ed era in prova per
un numero limitato di utenti, ma ora è aperto a tutti e rappresenta un ottimo strumento
per chi abbia intenzione di realizzare in pochi istanti file ePub funzionanti, pur non
avendo nessuna preparazione specifica nel campo degli eBook. Il software è web based,
ossia funziona senza che tu debba effettuare download o installazioni sul tuo computer,
semplicemente attraverso la connessione internet.
Approfitto dell’occasione per aprire una piccola parentesi. Come avrai capito, Google
Drive si contorna di altre applicazioni sviluppate per essere pienamente integrate con le
sue funzioni. Questo è un ottimo spunto per comprendere come il classico computer
che conosci, carico di dispositivi installati, stia facendo il suo tempo, e vada
trasformandosi in un dispositivo assai più semplice ed usabile col quale accedere al web,
luogo dove oggi risiede un’enorme quantità di funzioni e applicazioni web based. Ciò
comporta diversi vantaggi, molti dei quali si è già detto qui, non fosse altro perché Google
Drive è pur esso web based. Questo significa, tra l’altro, che quando accedi a Google Drive
sul web ti servi sempre e comunque dell’ultima versione, quella più aggiornata, e che ciò
che vedi e fai con il tuo computer puoi farlo pure con un un tablet o uno smartphone. Se
ci pensi è un vantaggio non da poco. Non dovendoti preoccupare di questi aspetti tecnici
(oltre che economici), puoi concentrare la tua attenzione e il tuo impegno sui contenuti
dell’azione didattica (e di quella comunicativa, di cui stiamo trattando qui).
Torniamo ora a Liberio. Prima di tutto ti segnalo una breve descrizione e recensione
d’uso di Liberio pubblicata nel blog del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, così puoi
farti una prima idea dello strumento. Ovviamente un servizio gratuito come questo non
può sostituire a pieno la professionalità di chi opera nel campo della progettazione e
realizzazione editoriali di eBook. Realizzare un eBook con software professionali rende
un libro digitale tecnicamente più completo e universalmente utilizzabile rispetto ad una
sua versione realizzata con Liberio. Ma non è detto che un contenuto “artigianale” in
formato ePub debba essere per forza di cose un prodotto che corrisponde agli standard
editoriali professionali; è sufficiente che possa essere letto e usato agevolmente con le
strumentazioni più diffuse.
Prova ad iscriverti a Liberio con le credenziali che già utilizzi per Google Drive e
prova fin da subito a convertire tuoi documenti in eBook. Unico passaggio necessario,
devi consentire a Liberio di accedere alle cartelle che hai creato nella tua memoria cloud
di Google Drive. Fatto questo la via è aperta.
L’interfaccia di Liberio è davvero semplice. Nell’area centrale della schermata trovi il
comando che ti consente di aggiungere nuovi documenti di scrittura da convertire in
formato ePub, basta che clicchi sul tasto + e Liberio accede ai file della tua cloud. Non ti
resta che selezionare quello che intendi inserire per il tuo libro digitale e cliccare il tasto
Select. La nuova schermata prevede il riempimento di alcuni campi: titolo dell’eBook,
sottotitolo, autore del testo e breve descrizione del contenuto; quest’ultima parte la puoi
trascurare o no, a seconda del lavoro complessivo che intendi realizzare e del ruolo che il
documento che hai selezionato pensi possa avere nel libro che intendi generare. Quelli
che ti ho indicato sono i parametri di base, riempiti questi potresti già procedere alla
conversione di un tuo documento in eBook. Ti invito comunque a cliccare sul comando
More options: appariranno ulteriori parametri da impostare.
Il primo è un molto semplice, si tratta del nome del file ePub che verrà realizzato:
puoi modificare il titolo impostato automaticamente dal software. Ricorda: il nome del
file ePub è differente dal titolo dell’eBook. Potresti dunque nominare un file prova.epub
e dare come titolo al libro digitale Attività didattica di geografia nel campo Title. Il file che
produrrai si chiamerà prova.epub, ma il dispositivo o il lettore predisposto agli eBook che
lo leggerà indicherà come titolo Attività didattica di geografia.
Il secondo campo consente di adottare la Table of Content (meglio conosciuta come
TOC) all’interno del file ePub che stai predisponendo. La TOC altro non è che un indice
attivo dei contenuti del libro digitale che stai realizzando: cliccando sul titolo di un
capitolo o paragrafo ci si arriva automaticamente. La dimensione dei titoli (Heading 1,
Heading 2, Heading 3) consente di decidere della gerarchia dei titoli. Cosa significa? Che
secondo la logica gerarchica il titolo impostato nel documento Google Drive con il
formato Intestazione 1 assume un ruolo gerarchico superiore a quello impostato con il
formato Intestazione 2 e, di conseguenza, sarà superiore gerarchicamente a un titolo con il
formato Intestazione 3. Quindi, Intestazione 1 sarà il capitolo, Intestazione 2 il paragrafo e
Intestazione 3 il sottoparagrafo. Il tutto avviene, ripeto, in modo automatico.
Come attivare le diverse intestazioni? In Google Drive basta cliccare sul menu a
tendina Stili nella tool degli strumenti ed ecco apparire le differenti intestazioni
utilizzabili: tra questi ci sono anche le tre già citate. Nel momento in cui procederai alla
conversione del documento di scrittura in un eBook (a breve ci arriveremo), Liberio terrà
conto della formattazione adottata in Google Drive, così da impostare la TOC in base alla
gerarchia delle intestazioni che hai indicato. Una brevissima considerazione: in un file
ePub non è obbligatorio fare uso di un indice attivo. Se ad esempio hai in mente di
convertire uno scritto breve la TOC non ha, evidentemente, molto senso. Se invece sei di
fronte ad un documento articolato, formato da più parti e ricco di contenuti, un indice
che faciliti la consultazione è fondamentale. In quest’ultimo caso allora prendi in
considerazione la procedura delle intestazioni che ti ho appena descritto.
Detto questo, prendiamo in considerazione altre caratteristiche di Liberio.
Content sections consente di attivare o disattivare le diverse sezioni dell’eBook che
stai realizzando. La lista prevede le seguenti articolazioni: Table of Content (la già citata TOC);
Title Page (il titolo della pagina); Copyright (le note legali dell’eBook); About the Author (le
informazioni sull’autore); infine il nome del documento Google Drive che stai
convertendo in eBook. Queste sezioni, se attivate, saranno parte integrante dell’eBook. Per
attivarle o disattivarle ti basta spuntare l’icona a forma di occhio che trovi per ogni
sezione. Un’ultima informazione: puoi aggiungere se vuoi ulteriori sezioni al libro, è
sufficiente che clicchi sul comando Add Content e selezionare i contenuti che desideri
inserire; per cancellare la sezione ti basterà, anche qui, cliccare sulla X.
L’opzione Page Breaks ti permette di impostare la fine di una pagina e l’inizio della
seguente secondo determinati criteri. Immaginiamo un libro tradizionale: terminato un
capitolo la pagina seguente conterrà l’inizio del capitolo successivo. Grazie a questa
opzione è possibile ottenere la stessa impostazione anche nell’eBook che si sta generando.
Il Page Breaks può essere impostato cliccando sul menu a tendina sottostante alla voce, e
l’elenco prevede che il termine della pagina possa precedere un titolo impostato con
Heading 1, o con 2 o con 3 (ricordi? Sono le intestazioni che hai visto poco sopra). Infine
puoi scegliere l’opzione None (impostata di default) che non genera nessun Page Breaks e,
di fatto, rende il testo un unico e ininterrotto flusso.
Alla voce General Setting è possibile decidere se inserire o no i commenti presenti nel
testo realizzato con Drive. Questa opzione potrebbe assumere un ruolo centrale se si
ritenesse importante presentare all’interno dell’eBook anche la produzione di commenti
realizzata attorno il testo. Come abbiamo avuto modo di osservare, i commenti
rappresentano una porzione integrativa del testo e possono essere interpretati per
molteplici funzioni. Possono, ad esempio, essere considerati come tracce dell’interazione
avvenuta attorno un testo collaborativo o feedback e reazioni ai contenuti presenti nel
testo o, ancora, come gli esiti di un esercizio didattico svolto dagli studenti in risposta ad
eventuali input proposti dall’insegnante. I motivi per i quali far sì che i commenti possano
divenire contenuto integrante del libro digitale che si intende elaborare sono diversi: per
invitare i futuri lettori ad assumere un atteggiamento più produttivo di quello consueto,
per renderli consapevoli del laboratorio di confronto e di discussione da cui s’è generato
il testo, per creare spazi nuovi di condivisione di rete. Comunque sono tutte cose che è
possibile ottenere solo in ambito digitale: la carta, qui, mostra tutti i suoi limiti.
L’opzione che segue, ePub Standard, determina lo standard dell’eBook che intendi
realizzare. Esistono due standard per i libri digitali in formato ePub: il 2.0 e il 3.0. La
differenza sostanziale sta nella varietà degli arricchimenti multimediali, più ampia nella
versione 3.0. Così, se desideri inserire nel tuo documento di scrittura contenuti audio e
video l’ePub 3.0 consente di far fruire tali contenuti tramite dispositivi mobili come tablet
e smartphone, ma anche, ovviamente, con le versioni più aggiornate dei software di lettura
di libri digitali installabili su computer. Lo standard 2.0 invece si limita a garantire il testo
digitale (e la formattazione che si intende applicare) e le relative immagini, se ce ne sono.
Subjects è la sezione utile ad indicare a quale categoria appartiene l’eBook che vuoi
realizzare. Come vedrai ce ne sono tante, in inglese, e dopo aver selezionato la categoria
che più ti interessa potrai definire anche la sottocategoria. Questo elemento assume un
ruolo molto importante se hai in programma di diffondere il libro tramite le librerie
online. Se inserisci tali informazioni (e se lo fai con proprietà e generosità) scovare il tuo
libro tra i tanti diventerà operazione più facile per il futuro lettore.
La sezione Keywords ti consente di attribuire parole chiave al tuo libro; anche in questo
caso, incrementando le informazioni rendi più agevole il reperimento del tuo titolo nelle
librerie online.
L’opzione dedicata alla lingua, Language, dovrebbe essere già impostata con l’italiano
come lingua standard, ma è possibile modificarla scegliendo le altre lingue disponibili
(non sempre ci si può fidare delle traduzioni…).
Tramite la sezione License and Rights puoi decidere di attribuire la licenza Creative
Commons al tuo eBook. Un elemento, questo, per nulla banale che garantisce la tutela dei
contenuti del testo e la possibilità di interagirvi. È nell’interesse tuo e del tuo libro che
imposti correttamente questa licenza. Le opzioni del menu a tendina sono rese con sigle:
ognuna di queste rappresenta una determinata licenza, associata a specifiche funzioni. Per
avere un quadro di quale licenza adottare, è meglio che consulti la pagina riassuntiva di
tutte le sigle accedendo al sito di Creative Commons, dando così seguito alle indicazioni
ministeriali che invitano ad adottare, appunto, le licenze Creative Commons come
strumento di tutela e allo stesso tempo di condivisione dei materiali didattici realizzati.
L’ultima sezione che voglio segnalarti è Downloadable Formats. In questo caso puoi
definire in quali formati far scaricare il tuo eBook dagli utenti. Il formato ePub è leggibile
sulla maggior parte dei dispositivi mobili, mentre il formato mobi è destinato ai soli
dispositivi Kindle prodotti da Amazon. Infine puoi indicare il formato di compressione
zip che ti permetterà di ridurre il volume del file senza perdere informazioni. Puoi
spuntare le opzioni che desideri e deselezionare quelle che reputi meno utili per il tuo
eBook.
Non manca qualcosa? Sì, manca la copertina. Nella schermata che stiamo analizzando,
sulla sinistra, trovi il riquadro per caricare l’immagine che fungerà da copertina. Liberio
consiglia di caricare un’immagine che abbia queste dimensioni: 1500pixel x 2000pixel.
Non resta che cliccare sul tasto verde Go create! per dar via alla conversione del file di
scrittura in un eBook. Terminato il processo Liberio mosterà nella pagina principale
dell’utente l’eBook appena realizzato. I nuovi eBook realizzati sono contrassegnati da una
piccola fascetta rossa. Cliccando sulla copertina dei libri digitali puoi tornare alla
schermata di editing dei diversi campi che hai precedentemente compilato, considerato
che per ognuno puoi apportare modifiche.
Esistono dei comandi aggiuntivi assegnati da Liberio dal momento in cui il processo
di conversione in formato ePub è correttamente completato e riguardano la trasferibilità
dell’eBook. Puoi pubblicare il tuo libro digitale sulla piattaforma di Liberio e renderlo
disponibile alla lettura a tutti gli altri utenti. Per adesso tale ipotesi resta la meno
vantaggiosa anche se è potenzialmente interessante, nella prospettiva che la comunità di
utenti di Liberio sia destinata ad aumentare. Il comando Share consente di rendere fruibile
l’eBook tramite la condivisione su social network come Facebook, Twitter e Google+;
inoltre è disponibile il link diretto all’eBook cliccando sul comando Share eBook link.
Tramite il comando Send by Email puoi anche inviare l’eBook, in formato ePub, come
allegato ad una tua mail destinata ad uno specifico indirizzo: ovviamente chi la riceve può
scaricare il libro elettronico allegato. Download è il comando che permette di scaricare il
file ePub. Oltre ai comandi già elencanti c’è la possibilità di inviare l’eBook tramite Kindle
(per i dispositivi di lettura Amazon) o con Play Books, la app Google per la lettura di libri
digitali. Infine, con Delete si può eliminare il file prodotto.
Torniamo ora su Google Drive e analizziamo più da vicino gli ultimi particolari del
nostro progetto, giunto ormai alla sua fase conclusiva.
Dare voce a Google Drive
Un’esperienza di Elisabetta Nanni
È possibile implementare Google Drive con alcuni componenti aggiuntivi con cui
sviluppare in classe attività didattiche davvero interessanti.
Prima fra tutti segnalo Kaizena che permette di inserire commenti vocali ai nostri
documenti in Drive. Per utilizzare questo componente è necessario effettuare il login su
kaizena.com con il proprio indirizzo Gmail.
In alternativa si possono aggiungere sia l’applicazione che l’estensione nel browser di
Chrome direttamente da Google Play.
Cliccando sul + andiamo a creare il nostro Box, in cui inseriremo i nostri documenti.
Dopo aver creato e rinominato il nostro box, possiamo aggiungere il Documento
prelevandolo direttamente dal Drive.
Selezionando il Documento, procediamo ad inserire i nostri feedback.
È necessario selezionare la frase o il paragrafo che voglio andare a commentare.
Apparirà una piccola finestra in cui scriverò un tag come, ad esempio, la competenza che
ho intenzione di monitorare o di valutare.
È possibile, a questo punto, inserire un commento audio, scritto o un link cliccando
su uno dei tre strumenti nella colonna di sinistra.
Effettuata la registrazione, il documento potrà essere di nuovo aperto direttamente dal
Drive scegliendo l’opzione Apri con Kaizena.
Condividendo con i propri studenti il documento, tutti potranno riascoltare il
commento audio e, sempre loggandosi con il proprio account Gmail, potranno loro stessi
aggiungere altri commenti.
Le modalità di utilizzo in classe del componente aggiuntivo illustrato sono molteplici.
Può essere considerato un ottimo strumento compensativo per studenti con DSA,
favorendone così l’inclusione in tutte le attività didattiche.
Può, inoltre, facilitare e implementare una scrittura audio/testuale partendo da un
contenuto comune per arrivare ad un elaborato aumentato frutto di condivisione e
collaborazione tra studenti.
5.2 Condividere
Mettiamo che tu disponga dell’eBook di cui s’è detto, frutto di una specifica attività
didattica. Potrà essere una tua ricostruzione di esperienze fatte in classe, o una sitografia
ragionata prodotta dai tuoi allievi, o ancora una raccolta di testi che tu e i tuoi allievi avete
individuato in rete e usato come risorse didattiche. Diversamente da un libro di carta un
libro fatto di bit si presta perfettamente ad essere messo in circolo.
Ma, affrontando il tema della condivisione, ti invito a fare delle opportune distinzioni.
Se ti riferisci alla nota del MIUR di cui abbiamo ragionato, la condivisione coinvolge un
ampio raggio di individui. Ma è condivisione anche quando riguarda un numero ristretto
di individui, come è per esempio se restringi l’area della messa a disposizione dell’eBook
alla tua classe. Nel primo caso c’è (ci saranno) le misure che l’amministrazione deciderà di
adottare per far sì che gli insegnanti possano accedere vicendevolmente ai loro prodotti.
Nel secondo caso c’è la cloud, la nuvola.
Nella pratica della didattica quotidiana l’adozione della logica cloud ti permette di
affrontare e risolvere un gran numero di questioni. Perché semplifica enormemente il
possesso comune di materiali di studio e ricerca, e questo è più che ovvio (tanto per dire:
non ci saranno più problemi di pennette che si perdono); ma anche e soprattutto perché
consente a te e ai tuoi studenti di organizzare con grande semplicità e grande efficacia
quei materiali. In questo caso tu tenderai ad assumere, almeno in fase iniziale, il ruolo di
organizzatore della cloud, ma nulla vieta che, strada facendo, i tuoi allievi propongano e
mettano in atto altre modalità di organizzazione, più rispondenti ai loro bisogni.
Se pensiamo ad uno uso della cloud all’interno di una classe, l’insegnante assumerà il
ruolo di organizzatore dell’architettura della cloud. I servizi offerti da Google Apps for
Education rendono il ruolo di amministratore della cloud più semplice ed efficace grazie
al pieno controllo di tutti gli account e a diverse funzioni facilitate; in questo caso non
approfondiremo tali caratteristiche ma è possibile prevedere in futuro un nuovo testo di
questa collana dedicato alle proprietà di Google Apps for Education.
Nel corso di questo libro lo avrai più volte riscontrato: tra le differenti funzionalità di
Drive, c’è senza dubbio quella di essere un ottimo strumento web di archiviazione di dati.
Il fatto che siano in rete crea i presupposti per rendere facile e accessibile la diffusione di
tali dati.
Google Drive ti permette di strutturare i tuoi contenuti in cartelle e sottocartelle e di
governarne l’accesso. La soluzione più semplice, se ti muovi a livello di classe, è che tu ne
estenda l’accesso a tutti gli studenti, ma, a seconda delle esigenze e della natura particolare
del progetto didattico che hai in atto, potrai adottare scelte diverse, provvedendo a
costituire gruppi di accesso più ridotti o più ampi del tuo gruppo classe.
Aprire una nuova cartella significa adottare la stessa procedura dell’inserimento di
nuovi contenuti. Clicchi sul tasto Crea, nell’interfaccia principale di Google Drive, e
selezioni Cartella tra le opzioni disponibili. Dopo averla nominata puoi condividere la
cartella con altri. Basta che clicchi sul tasto Condividi evidenziato nell’immagine qui sotto e
rappresentato dall’icona di un utente associata al simbolo +. Valgono le stesse modalità di
condivisione che hai visto prima, a proposito dei documenti di scrittura in Google Drive:
questo vuol dire che gli utenti che indichi potranno visualizzare o anche modificare.
Ovviamente il sistema di cartelle cui dai vita dovrà essere di facile uso, vale a dire che
le risorse che custodisce dovranno essere facilmente individuabili. Non è agevole dare
indicazioni sicure in proposito, molto dipende infatti dal tipo di progetto e di attività cui
fai riferimento, ma qualcosa, comunque, possiamo dircelo.
Per prima cosa devi provvedere alla raccolta degli account: è un passaggio importante,
che non devi prendere sotto gamba. Per organizzare al meglio la lista degli indirizzi Gmail
degli studenti potresti aprire in uno spazio privato di Google Drive un Foglio di lavoro
dove associare al nominativo dello studente il relativo indirizzo di posta. Se poi hai a
disposizione Google Apps For Education il processo ti risulterà ancora più semplice: in
quanto amministratore potrai raccogliere gli account in gruppi che poi sono i gruppi di
distribuzione che userai per la posta e le condivisione dei documenti e delle risorse. Se
pensi ad una didattica più articolata di quella che coinvolge omogeneamente e
indifferentemente l’intero gruppo classe, ti sarà necessario aprire più di una sottocartella.
In tal caso non è detto che tutti gli studenti debbano avere le stesse possibilità di azione.
Relativamente ai contenuti di una determinata sottocartella alcuni potrebbero solo
visualizzare, e altri anche scrivere: soluzione questa che risulta utile quando, per esempio,
tu voglia affidare ad un gruppo di revisione il compito di intervenire su un testo
predisposto da un altro gruppo; o successivamente a questa esperienza, tu intenda
chiedere al gruppo di prima stesura di intervenire sui risultati dell’azione del gruppo di
controllo.
Collocare nelle nuvole parte dei contenuti della tua attività didattica comporta una
rimodulazione dell’impianto della didattica stessa, ma potrebbe anche dare un fattivo
contributo al miglioramento generale del tuo lavoro del docente e delle esperienze di
apprendimento dei tuoi studenti. L’abbiamo già visto: le risorse, i materiali e gli strumenti
a supporto dello studio sono sempre tracciabili e accessibili e questo non è solo un
vantaggio logistico, ma anche la garanzia che disponi sempre di una cronologia delle
attività che si sono svolte con e su di essi. Se apri una qualsiasi cartella vedi subito che
sulla colonna di destra sono elencate tutte le azioni generali compiute giorno per giorno
al suo interno: queste indicazioni sono utili non solo e non tanto per un controllo
formale di quanto fanno gli studenti, quanto per una verifica di tipo qualitativo di come
operano i singoli e il gruppo. Analoghe considerazioni valgono, ovviamente, per lo storico
dei singoli documenti di scrittura. Google Apps For Education offre ancora di più: tra le
funzioni a disposizione dell’amministratore c’è anche quella che consente di verificare
l’ultimo accesso di ogni singolo account. Dinamiche simili solitamente accendono le
critiche dei detrattori del digitale a scuola, imputando a tali strumenti eccessi di controllo
sugli studenti. In realtà caratteristiche simili sono offerte anche dalle più diffuse
piattaforme di e-learning, una fra tutte Moodle. La possibilità di avere un quadro preciso
degli accessi e delle azioni compiute molecolarmente dai tuoi studenti su una determinata
risorsa didattica rappresenta, per te docente, un dato importante, col quale entri nella
dinamica interna dell’apprendimento, sia individuale sia collettivo, ricavandone indicazioni
importanti per la messa a punto e l’attivazione di interventi correttivi, compensativi,
valutativi, senza che tu debba aspettare, come è consuetudine, che tali interventi arrivino a
conclusione di un determinato ciclo di apprendimento, quando le dimensioni della
correzione e della compensazione sono sopraffatte da quelle della valutazione.
Il cloud ti semplifica molti processi, come ci siamo più volte detti, e dunque facilita il
tuo lavoro, ma ti comporta un impegno specifico sia nella fase della progettazione
didattica sia in quella realizzativa. Se non sei a digiuno di digitale sai che la semplificazione
di procedure che un tempo, quando non c’era questa risorsa, risultavano fisicamente
molto onerose non rendono meno impegnativo il complesso del tuo lavoro; al contrario
non ti sarà difficile riconoscere che quanto risparmi sul piano materiale si traduce nel
maggiore impegno che ti è richiesto sul piano della progettazione razionale e
dell’attuazione altrettanto razionale delle attività.
5.3 Privacy e requisiti di età
Esistono dei limiti di età da rispettare per utilizzare determinati servizi web. Ce ne
sono dunque anche per gli account Gmail, quelli che consentono di accedere a Google
Drive e farne uso. Sono indicati al momento dell’iscrizione: nel caso di Gmail il limite è
dei 13 anni. Se sul piano dei comportamenti privati è frequente la trasgressione di questa
norma, così non può essere per la scuola. Devi tenere presente, infatti, che in rete non ci
si può mai sentire totalmente protetti dall’anonimato o dalla mascheratura: capita con una
certa frequenza, e soprattutto in presenza di determinati comportamenti che mettono il
sistema nelle condizioni di ipotizzare un’effrazione, che venga richiesta all’utente
un’adeguata documentazione che ne comprovi l’età. Per questo è opportuno che tu pensi
ad attività con Google Drive solo a partire dal terzo anno della Scuola Secondaria di Primo
Grado, fermo restando che un servizio cloud come questo di Google Drive può
rappresentare un validissimo supporto al lavoro personale di te docente, anche se sei
impegnato con studenti di età inferiore.
Riguardo la privacy, poi, esiste una specifica tutela che Google fornisce ed applica a
tutti gli account attivati.
Considerando che un indirizzo di posta Gmail oltre a consentire l’automatico accesso
e utilizzo di Google Drive comporta la possibilità di fare uso dei diversi strumenti e
servizi presenti nell’offerta Google (YouTube, Calendar, Google+, Maps e così via), è utile
sapere che Google applica la medesima normativa per tutti i suoi servizi, dunque anche
per Google Drive. Nei termini generali di servizio Google viene indicata l’appartenenza
dei contenuti prodotti dal singolo utente: ogni qualvolta un utente carica o produce una
determinata risorsa concede a Google la licenza globale di farne uso. In che senso? Non
allarmarti, non siamo in presenza del Grande Fratello, anche se c’è chi sostiene questa tesi
e anche se ogni buon utente della rete sa che questo è un rischio reale. La procedura (sulla
carta!?) permette a Google di migliorare i servizi gratuiti offerti e di affinare
l’indicizzazione delle risorse prodotte o caricate dagli utenti. I quali utenti restano
comunque proprietari dei contenuti messi in cloud. Le stesse condizioni sono
riscontrabili anche negli altri servizi gratuiti di cloud computing, talvolta anche in quelli a
pagamento.
Comunque l’insieme dei termini di servizio di Google risulta molto chiaro, a
differenza di quello che avviene con termini e servizi simili, e specifica accuratamente
tutte le azioni che Google può compiere sui contenuti grazie all’applicazione della licenza
globale poco prima descritta. Se tali condizioni possono far alzare il sopracciglio, c’è da
tener presente che molti altri servizi non solo di cloud, ma anche di social networking,
maling ed altro ancora si strutturano secondo norme simili. Il motivo, come accennato,
risiede nel valore delle informazioni prodotte e condivise che può essere impiegato a
scopi di promozione e di miglioramento dei servizi offerti, ma può anche essere oggetto
di compravendita con terzi. Sta tutto nella logica dei gratuità del servizi web: è gratuito
l’utilizzo di strumenti e spazi digitali ma nel momento in cui si fruisce di tale gratuità si
forniscono comunque informazioni utili a migliorare i servizi e, parallelamente, a rendere
più accurate possibile le offerte pubblicitarie che vengono dal sistema. Google è
impegnato a sviluppare e mettere in circolazione servizi sempre più rispondenti ai
bisogni degli utenti ma anche a trarne ricavi sempre maggiori: per questo in sede di
ricerca Google è proiettato, come sistema, al duplice obbiettivo di aumentare la mole di
informazioni raccolte e, soprattutto, renderla il più specifica ed accurata possibile. Certo, la
lettura di tali condizioni non può non mettere in alcuni “la pulce nell’orecchio” (come si
suole dire) e indirizzare altri a denigrare aprioristicamente la cultura digitale. Ma è difficile
credere che anche il più acceso critico nei confronti delle tecnologie digitali oggi rinunci
del tutto alle “comodità” di questi servizi e ambienti; se non riesce a sottrarvisi, per quanto
poco li usi, contribuisce ad aumentare la mole di ciò che lui per primo considera come
manifestazione della negatività della rete.
Essere a conoscenza degli equilibri e pure degli squilibri che si producono dal
momento in cui si adottano determinati supporti o servizi digitali è importante, se non
fondamentale. Fare a meno delle opportunità offerte, in ragione di uno scambio che non
si accetta, o al contrario adottarle e adattarle alle proprie attività professionali o personali
sono scelte ugualmente legittime che devono, comunque, essere adeguatamente sostenute
e calibrate in rapporto al progetto didattico cui si intende dar corpo.
I vantaggi ma anche i rischi di un servizio come Google Drive li devi mettere
ugualmente e correttamente sul piatto della bilancia e li devi correttamente e serenamente
valutare proprio in base alle tue scelte in fatto di pedagogia e di didattica.
CONCLUSIONI
Non ti preoccupare, queste ultime righe non verteranno sul leitmotiv della scuola e
del digitale che dalle nostri parti ancora trovano difficoltà non solo di associazione, ma di
concreta applicazione. Lo sappiamo bene e lo sanno prima di tutto gli studenti, gli
insegnanti e i dirigenti. I gravi ritardi della scuola italiana non fermano comunque chi è
interessato a migliorarla e a far sì che, nonostante le evidenti difficoltà, si possa innovarla e
soprattutto cambiarla.
Su questo è bene spendere le ultime parole di questo eBook. Il digitale comporta un
cambiamento sostanziale, per non dire radicale, del modo di agire nella scuola. Internet ha
forzato prima e messo a rischio di crollo dopo l’impianto storico che caratterizza la nostra
scuola, come del resto è per buona parte delle scuole europee, cioè il riferimento ad un
modello di sapere che, sia in sede di produzione sia in sede di riproduzione e
trasmissione, deve molto alla cultura della stampa, e non solo a quella tecnologia. Un
modello che fino a poco tempo fa è stato egemone e non trovava concorrenza in altri ma
che oggi sembra avere meno assonanze con la realtà dell’esperire, del conoscere e del fare
dell’uomo: molta parte delle attività che facciamo allo stato attuale per sapere, far sapere,
comunicare passano tramite il digitale e la rete, che rappresentano sempre più
l’infrastruttura di base della società odierna. Il libro portava con sé una logica fortemente
gerarchica ed esclusiva del sapere, la rete propone un modello collaborativo, orizzontale e
un approccio inclusivo del sapere. Se nel libro stampato la selezione avviene a monte
della produzione e vale una volta per tutte, nel digitale questa “scelta” è condotta
prevalentemente a valle, in chiave collaborativa e in una dimensione di continuità ed
apertura che segna un’importante novità per l’apprendimento e l’insegnamento. Lo
abbiamo visto osservando le pratiche di scrittura collaborativa tramite lo strumento di
Google Drive dove la partecipazione, l’interazione e lo scambio diventano parte integrante
del documento, informazioni che si aggiungono alla risorsa che si intende sviluppare. È
difficile, e secondo i più pessimisti è addirittura impossibile far dialogare una scuola
ancora centrata e concentrata sulla cultura della stampa con ciò che il mondo oggi offre e
che si basa sempre più su architetture dell’informazione pienamente integrate con il
digitale e con le logiche reticolari. Progettare le attività didattiche introducendo
sapientemente strumenti digitali certamente crea le condizioni perché un simile impianto
venga posto in discussione. Ma naturalmente lo strumento digitale di per sé non può
attribuirsi nessuna capacità di migliorare la scuola se non c’è chi è pronto ad utilizzarlo e
valorizzarlo sapientemente. Mettere gli studenti nelle condizioni di conoscere e operare,
dunque apprendere grazie alle tecnologie oggi a disposizione è fondamentale e tale
affermazione non può essere intesa come un tributo scontato alla retorica sulla “nuove
tecnologie”: indica, invece, una necessità vitale, quella di calibrare (o ricalibrare) la
formazione istituzionale in rapporto all’obiettivo di far maturare competenza e
consapevolezza in chi è destinato a entrare in un mondo del lavoro sempre più
complesso, aperto, dinamico. Non è solo un problema di modalità di trasmissione, in
gioco c’è una questione più profonda, che chiama all’appello la logica stessa della
trasmissione. Al punto che, forse, la stessa parola “trasmissione” rischia di perdere di
senso e mordente.
Le competenze digitali devono entrare nel quadro dell’offerta formativa della scuola.
E ancor prima devono essere un punto di forza degli stessi insegnanti. Non si tratta di
essere costantemente aggiornati sull’ultimo dispositivo di grido o avere totale conoscenza
dei software adottabili, si tratta prima di tutto di essere consapevoli di ciò che le
tecnologie digitali possono offrire alla didattica, sul piano della produzione e non solo
della riproduzione del sapere.
Come hai visto, scrivere, correggere, riscrivere, modificare, salvare sono azioni che
non procedono in forma lineare, una volta che le riambienti nello spazio digitale e di rete.
Come hai visto, mettere nella nuvola dei documenti non significa porli fuori gioco ma
al contrario renderli disponibili.
Come hai visto, comporre un testo non è una pratica che può coinvolgere un solo
individuo per volta, al contrario se la attui in rete scopri che più soggetti possono
collaborare contemporaneamente alla stessa composizione.
Infine, come hai visto la scrittura e la correzione non sono azioni necessariamente
distinte ed affidate ad individui distinti.
Insomma, se usi Google Drive prima di tutto per te, per i tuoi bisogni e interessi e
dopo anche per la tua azione didattica, sai che agire nel digitale significa operare in un
mondo (e in un modo) che poco ha a che fare con il mondo (e il modo) tradizionale
della scuola; sai che la cloud apre e non, invece, chiude possibilità per la didattica; sai che
mettere a punto progetti che investano sulla tecnologia, non temendola ma al contrario
accettandola come alleato, equivale a dare fiducia a te stesso e ai tuoi studenti.
Certo, c’è bisogno di un reale e concreto intervento sulle competenze digitali degli
insegnanti. Al di là delle belle parole e dei tanti proclami appare evidente e urgente che si
mettano gli insegnanti (e gli studenti) nelle condizioni di agire, attuando percorsi
formativi mirati e orientati alla pratica vera e propria: quella che agisce “in situazione”, “sul
campo”, imponendo che ci si sporchino le mani e che dunque si attuino i principi
classici della pedagogia del learning by doing. A leggere certe inchieste giornalistiche sulla
cosiddetta “scuola 2.0” e a riflettere sul tono prevalente appare chiaro che il passato,
recente o meno, del rapporto fra digitale e didattica ha totalizzato una serie di buchi
nell’acqua. Certo, esistono realtà virtuose, gruppi e singoli insegnanti e dirigenti che
facendo leva sul digitale puntano ad un serio e concreto processo di innovazione della
scuola, delle sue attività e dunque anche del suo clima. Di conseguenza la realtà positiva
che si manifesta è a macchia di leopardo mancando un intervento sistematico di
innovazione capace di muovere e coinvolgere il sistema nel suo complesso, e in
particolare la sua parte più arretrata e restia a mettersi in movimento. Con questo non si
intende giustificare l’idea di imporre un modello unico di approccio e uso delle
tecnologie digitali nei diversi spazi didattici, ma far maturare l’esigenza di mettere tutti,
insegnanti e studenti, nelle condizioni di fruire di una connessione veloce, di utilizzare
concretamente anche nel lavoro quotidiano di classe i dispositivi digitali, di progettare e
gestire la didattica includendovi questa tecnologia. Si tratta di creare i presupposti perché
si faccia rete, ossia ci si senta inviati e sollecitati a mettere in circolo le singole esperienze
maturate, i progetti realizzati, gli errori commessi, i risultati raggiunti così da creare
esperienza condivisa, cioè una miniera di informazioni preziose per tutti gli attori in
gioco. Tra i vantaggi della rete c’è proprio la possibilità di imparare assieme gli altri,
attraverso gli altri.
Non sono parole ad effetto, ma realtà di fatto.
Basta scorgere come agiscono tutti quegli insegnanti che in rete condividono e
pubblicano le loro esperienze, il loro lavoro e le attività che svolgono. Sono i casi di Anna
Rita Vizzari insegnante di Lettere nella scuola secondaria di primo grado a Sestu, che nel
blog del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive descrive l’uso didattico di Prezi; della
ricca esperienza professionale di Emanuela Zibordi, già citata qui, in particolare attorno ai
testi digitali adottati e sviluppati a scuola; dell’intenso lavoro dedicato alla scrittura digitale
da Antonietta Casano, insegnante di Lettere al Comprensivo 1 di Frosinone; di Agnese
Addone, maestra presso l’Istituto Comprensivo Lante della Rovere di Roma, che racconta
l’esperienza didattica con i bambini attraverso l’uso di Twitter; dell’attività didattica di
Rosalinda Ieardi, anche lei maestra della scuola primaria Giovanni Falcone – Istituto
Comprensivo Argelato, Bologna, ed anche lei impegnata a far convivere digitale ed
analogico in modo del tutto naturale, creando percorsi di apprendimento nuovi. L’elenco
potrebbe continuare: e proprio perché è destinato a non esaurirsi ogni docente vi
potrebbe essere incluso, se soltanto accettarsi di mettersi in gioco accettando il gioco del
digitale.
L’attuale fase di crisi economica certamente non favorisce un’intervento organico di
rinnovamento didattico tramite il digitale e la rete. Né va ignorato che la sola presenza di
tecnologia non garantisce automaticamente un pieno e positivo tilizzo delle sue
potenzialità né va trascurato che l’idea, così difficile da smantellare, di ricorrere ad un
laboratorio di informatica per fare le cose che abbiamo detto qui stride fortemente con la
realtà attuale di un digitale che pervade tutte o quasi le manifestazioni del sapere, del
comunicare, dell’intrattenere, dell’agire (e che entra in classe anche se tu non vuoi!).
Difficile allora pensare ad uno spazio recintato, vissuto per un tempo limitato dell’orario
scolastico complessivo e dedicato ipoteticamente alla promozione di una competenza
intesa come settoriale e specialistica, quando invece essa stessa andrebbe approfondita e
applicata su tutto o quasi il territorio di sapere sondato e attuato dalla scuola.
Le risorse economiche, certo, hanno un loro peso in tutta questa faccenda ma è vero
anche che la loro carenza non costituisce la ragione determinante della mancata virata
verso il digitale da parte delle scuole. Prima di tutto manca una la consapevolezza della
reale importanza delle competenze digitali degli insegnanti e degli studenti. E poi, talvolta,
manca la necessaria lungimiranza negli impegni di spesa. Due sono le condizioni che
debbono essere assicurate per un’adeguata promozione della scuola digitale:
l’infrastruttura di rete e la disponibilità di attrezzature tecnologiche aggiornate per tutti.
Dopo c’è, non può non esserci l’impegno personale di te docente, e, assieme ad esso, il
desiderio di migliorare le condizioni del tuo lavoro nonché quello di far star meglio i
tuoi allievi.
Siamo così arrivati alla fine del discorso, che mi auguro corrisponda anche all’inizio di
un altro discorso, quello del condividere idee ed esperienze attorno a Google Drive e alle
sue prestazioni. Sarò contento, come primo autore dell’eBook che qui si chiude, ma lo
saranno anche quanti hanno partecipato a questa “scrittura collettiva”, di essere un termine
di riferimento per questa condivisione. Qui trovi la pagina Facebook della collana. Il mio
profilo Twitter è @patassa e il mio indirizzo di posta elettronica è
[email protected].