Google Drive e la didattica - Istituto Comprensivo Statale di Rombiolo
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Google Drive e la didattica - Istituto Comprensivo Statale di Rombiolo
LA COLLANA Questo testo è la prima uscita di Coll@borare, collana di eBook che intende introdurre gli insegnanti della scuola ad un uso didatticamente efficace e pedagogicamente consapevole di alcune delle principali strumentazioni di Internet e del mondo digitale. Ne è autore Andrea Patassini. La collana è promossa da Laura Biancato, Roberto Maragliano e Elisabetta Nanni e fa riferimento alle attività dei Caffè Digitali del C.T.S.S. Bassano - Asiago Ogni titolo della collana prevede una prima stesura da parte di un autore e poi la messa in rete del testo in Google Drive. I tre promotori e l’estensore della prima versione del testo hanno libertà di leggerlo, commentarlo e integrarlo e di invitare altri a farlo (tramite la funzione Condividi) per un periodo di uno/due mesi. Alla fine di tale periodo l’estensore cura la versione finale del testo, includendovi le integrazioni e tenendo conto dei suggerimenti nonché delle correzioni. La versione finale del testo, alla cui preparazione editoriale provvede il Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, viene pubblicata a cura dell’estensore in Narcissus.me e riporta, se accettato dagli interessati, il nome di tutti coloro che hanno preso parte all’attività di correzione, commento, integrazione. L’obiettivo è di approdare a degli eBook collettivi che diano conto dello stato dell’arte, sul piano tecnico e su quello teorico, ma nello stesso tempo presentino esperienze e suggeriscano soluzioni. A questo primo titolo seguiranno altri, proposti dai promotori e i loro invitati e, successivamente, dalla comunità che si andrà formando attorno a Coll@borare. Marzo 2015 Laura Biancato, Roberto Maragliano, Elisabetta Nanni PREMESSA La diffusione della rete all’interno e all’esterno dei nostri spazi di vita ci consente di essere sempre (o quasi) connessi. Il web è diventato strumento quotidiano di interazione, produzione e consultazione, lo adottiamo per un numero elevatissimo di operazioni. Affidiamo alla rete e ai suoi strumenti anche la memoria di quello che facciamo. Per metterla sul piano più pratico: si sta sempre più diffondendo l’abitudine a memorizzare documenti e prodotti digitali di tipo personale oltre che su supporti fissi, anche dentro appositi spazi di rete. Probabilmente la parola cloud non ti è nuova. Se stai leggendo questo eBook ancor di più. Nell’ambito informatico il concetto di cloud computing, o nuvola, è l’associazione di più tecnologie che consentono di poter archiviare ed elaborare file in rete. L’archiviazione e l’elaborazione dei file sono pratiche consolidate per chiunque faccia uso di computer fissi o mobili. Se tali pratiche sono proposte in ambienti di rete allora ci troviamo a confronto con due fattori del tutto nuovi: portabilità e interazione. Partiamo dal primo. Le memorie dei nostri computer contengono file di diverse estensioni, documenti di natura differente che produciamo, modifichiamo, cancelliamo o condividiamo. Lo facciamo grazie ad una memoria locale (ovvero localizzata espressamente sui singoli computer) che conserva i nostri dati e ci consente di recuperarli in qualsiasi momento, ovviamente accedendo ad essa. Con il tempo, e grazie alla costante evoluzione tecnologica paralella all’abbassamento dei prezzi dei prodotti tecnologici, la portabilità dei nostri dati si è semplificata. Partendo dai floppy disk, passando per i cd o dvd e facendo tappa per le memorie esterne usb di qualsiasi capienza, tutte queste tecnologie hanno migliorato con il tempo la possibilità di trasportare ed utilizzare su più computer documenti digitali. Ognuna di queste tecnologie ha contributo a rendere più facilmente accessibile, e più portabile, l’insieme dei nostri file digitali. E se provassimo a sostituire l’hardware con internet? In questo caso la portabilità sarebbe garantita non da dispositivi esterni ma direttamente dalla rete. Se consideriamo il flusso e le pratiche di lavoro, una soluzione simile consente di semplificare l’accesso e l’interazione con i nostri documenti senza dover considerare come essenziale l’hardware locale di riferimento. Un vantaggio non indifferente. Non basta. Se pensiamo alle logiche di rete, difficilmente possiamo considerarle relegate al singolo, al contrario si aprono spesso alla condivisione, in un sistema plurale. L’interazione, allora, è il secondo fattore che emerge quando parliamo di cloud. I file archiviati in rete possono essere anche elaborati, e non solamente dall’autore o proprietario, ma anche da altri utenti connessi alla sua rete. Ecco allora che la stessa cloud può essere pensata come uno spazio di archiviazione dove più utenti possono agire e interagire. Tale spazio non è accessibile a chiunque, può essere organizzato in modo da essere raggiungibile e fruibile per un determinato e selezionato numero di persone. Agire collaborativamente su uno specifico documento rivede molte delle nostre abitudini sulle pratiche di lavoro quotidiano. Certo, puoi scrivere grazie ad un comune software di videoscrittura installato sul tuo computer e poi, in un secondo momento, condividere con altri utenti via mail il documento realizzato; è questa, di fatto, una forma di condivisione, ma limitata alla sola diffusione del file. Pensa, ad esempio, di chiedere ai contatti ai quali hai inviato il documento di inserire dei loro commenti al testo. Ognuno dovrà inviare il proprio documento aggiornato e tu, dall’altra parte, riceverai diversi file con lo stesso contenuto distinti solamente per i commenti inseriti. Una pratica fattibile, ci mancherebbe, ma permettimi di considerarla quantomeno seccante e complicata. In un sistema cloud tutto ciò è semplificato, agevole e intuitivo. Basta un solo documento in rete dove più utenti interagiscono inserendo commenti o modificando il testo stesso. Quel documento allora contiene non solo le risorse delle quali è composto (testo, immagini, link e altro ancora), ma anche le interazioni tra gli utenti fatte di modifiche del testo, delle immagini, dei link (tutte visualizzabili e ordinate cronologicamente), di commenti e di confronti sempre tra gli utenti. La soluzione del cloud, se la pensi nella logica di un lavoro collaborativo, dove un gruppo di persone sta agendo assieme per il raggiungimento di un obiettivo comune, migliora notevolmente il flusso di lavoro e la portata dell’azione collettiva. Questo eBook tenterà di offrirti informazioni utili e nozioni tecniche per poter muovere i primi passi con Google Drive in un’ottica didattica. Se sei qui a leggere questo libro digitale è perché probabilmente ti stuzzica l’idea di adottare la logica del cloud nella tua classe; magari provare a programmare nuove pratiche didattiche o, ancora, proporre ai tuoi studenti modalità di costruzione di sapere attraverso la condivisione e soprattutto la collaborazione. Questo eBook è pensato come un piccolo percorso che, capitolo per capitolo, ti permetterà di avere consapevolezza tecnica e metodologica sull’utilizzo del cloud a scuola. Per offrire un bagaglio di esperienze utili al tuo lavoro passeremo in rassegna le funzioni di Google Drive e proveremo a comprendere come adattarle alle necessità didattiche. Inizieremo dai primissimi passi per poi conoscere tutti gli aspetti tecnologici e metodologici che rivestano una qualche utilità per la didattica. A conclusione di questa premessa vorrei dirti che il libro digitale che stai per leggere è stato sviluppato proprio con Google Drive. È nato e cresciuto grazie allo strumento di scrittura offerto da Google. Una prima stesura è frutto del mio impegno con la collaborazione e il suppporto “in presa diretta” di Roberto Maragliano: grazie a Google Drive e alla possibilità che esso offre di condividere con altri utenti ciò che si scrive, mentre sviluppavo il testo potevo avere da lui feedback, consigli e modifiche al testo in differita e pure, talvolta, istantaneamente. Terminata la prima stesura abbiamo proposto a diversi insegnanti che già utilizzano Google Drive e che fanno capo alla rete dei Caffè Digitali curata dalla Rete Territoriale della Scuola Bassano-Asiago di intervenire nel testo contribuendo a migliorarlo ed arricchirlo. Insomma, abbiamo dato vita ad un’originale esperienza di lettura e scrittura condivisa. Il documento di testo, salvato in Google Drive e aperto alla condivisione di tutti quanti avevano manifestato interesse, ha permesso a tutti i partecipanti di inserire commenti e suggerimenti ma anche di produrre contributi aggiuntivi, prendendo tutti parte, in modo attivo, alla realizzazione dell’eBook. Questa nostra è stata un’esperienza importante, non solo al fine di valorizzare le principali prestazioni di Google Drive, quelle che scoprirai procedendo nella lettura del testo, ma anche per mettere a fuoco un modo diverso di sostenere e diffondere buone pratiche in ambito didattico. Ma ugualmente importante è stato l’aver sperimentato un modo diverso di fare rete attorno alle competenze digitali dei docenti, ciascuno mettendo a disposizione di altri la sua personale esperienza. Né va trascurato che così operando abbiamo messo a punto sia un modello di presentazione di contenuti tecnico/operativi nella chiave dell’azione didattica sia uno stile realizzativo basato su condivisione e collaborazione che contiamo di riproporre nei prossimi titoli della collana, partendo anche dalle sollecitazioni che ci verrano da tutti quanti vorranno prendere parte a questa “avventura” ad un tempo professionale, culturale e politica. CAPITOLO 1 - COS’È GOOGLE DRIVE 1.1 Informazioni essenziali Google Drive nasce nel 2012 e, vista l’età, potrebbe apparire un giovincello, ma per la velocità delle tecnologie e dei costanti e inarrestabili miglioramenti dei software, tre anni significano molto. Si tratta di uno dei tanti strumenti provenienti da Mountain View (una cittadina nella Contea di Santa Clara, in California, dove si trova il quartiere generale di Google) messi a disposizione degli utenti di tutto il mondo. Drive è un servizio gratuito, almeno nella sua versione basic che consente di archivare fino a un massimo di 15 gigabyte di file, per poi passare a 100 gigabyte per un abbonamento mensile di 1,99 dollari e ad un 1 terabyte per 9,99 dollari al mese (esistono anche piani con maggiore spazio, ovvero da 10, 20 e 30 terabyte ma le spese mensili, ovviamente, aumentano considerevolmente). Per le scuole Google offre un servizio specifico: Google Apps For Education, ovvero una serie di servizi a disposizione della scuola che ha stipulato un accordo di uso con Google. Qualora ti trovassi a lavorare in una scuola in possesso dei servizi di Google Apps For Education non avrai alcun problema di spazio. Lo spazio di archiviazione in questo caso è illimitato per tutti gli utenti appartenenti alla scuola. Antonio Fini, dirigente scolastico presso l’Istituto Comprensivo di Arcola-Ameglia, descrive in questo contributo per la rivista Bricks l’utilità e i vantaggi di un servizio simile per la scuola (e non solo per un uso prettamente didattico, ma anche amministrativo). Se al momento non disponi di un servizio simile non allarmarti: solitamente la modalità gratuita garantita dal momento in cui attivi un account personale con Google permette di lavorare agevolmente, visti i 15 giga di spazio disponibili, una dimensione capace di contenere un bel po’ di lavoro. Per iniziare va più che bene tale soluzione. Senza alcuna spesa puoi iniziare a comprendere le caratteristiche di Drive e ad utilizzarlo liberamente. Google Drive è un servizio di web storage che consente l’archiviazione e l’editing di file di diversa natura. È fondamentale una connessione Internet per utilizzare Drive e le sue diverse funzioni, infatti tutti i file sono archiviati nella nuvola di Google, ovvero nello spazio di memoria destinato ad ogni utente; per poter accedere, ovunque e con qualsiasi dispositivo, è necessaria una connessione alla rete. Nessun hardware particolare, nessun software prestabilito, tantomeno un dispositivo predefinito. Basta connettersi alla rete e accedere tramite browser se si sta utilizzando un computer fisso o un laptop e grazie all’applicazione Drive dedicata, disponibile sia per sistemi iOS e Android, anche su tablet e smartphone. Se sei alle prime armi è giustificabile e comprensibile un pizzico di perplessità nel pensare a file memorizzati in rete perché, di fatto, si è portati a considerare la rete come un luogo pubblico del tutto differente dallo spazio digitale privato che coincide con la memoria del proprio computer. È vero, Drive consente ad altri di consultare e di agire sui tuoi file (e vedremo come), ma questi altri devono essere autorizzati da te che ne sei il proprietario, ovvero il ruolo riconosciuto a chi crea un file. Inizialmente ogni documento che crei è privato, puoi indicare tu gli utenti da coinvolgere e attribuirgli precisi margini di azione. Insomma, la condivisione e l’interazione con altri è gestita totalmente dagli utenti stessi, senza alcun rischio di accessi non autorizzati o addirittura di download non consentiti. Utilizzare uno spazio di memoria in rete rispetto ad uno spazio di memoria locale, cioè un hardware che aumenta la capacità di immagazzinamento del proprio computer, cambia notevolmente il modo di agire e lo stesso approccio al lavoro. Vedremo nel corso dei capitoli perché, ma intanto non è poi così banale sviluppare una brevissima riflessione attorno questa logica di cambiamento da memoria locale a memoria di rete. Lo spazio di memoria locale, quella relativa ai singoli computer con i quali operi, avrebbe un ruolo secondario, al limite potrebbe non averne più se con il tempo tutte le attività di archiviazione digitale che compi localmente sui tuoi computer si spostassero nella nuvola, cioè in Internet. Ciò si aggiungerebbe alla già massiccia presenza in rete delle strumentazioni con cui produci e lavori i tuoi file. Sì, perché già oggi produci contenuti in rete utilizzando strumenti di rete. Pensaci: quando scrivi in una chat o in un forum, o anche in ambiente web di posta utilizzi non un programma di scrittura residente nel tuo computer, ma un programma presente in rete, incluso nell’ambiente entro cui operi. Drive rientra in questa categoria di strumenti produttivi di rete, è più sofisticato e articolato, ricco di funzioni, ma è pur sempre uno strumento in qualche modo già integrato nelle tue abitudini del web. Quindi di fronte non hai una tecnologia aliena, misteriosa e complicata, ma il risultato attuale di un progressivo miglioramento dei mezzi a tua disposizione per sviluppare contenuti digitali in rete. Ipotizzo che, tra le fila di chi muove i primi passi con la modalità del cloud, ma pure di utenti abbastanza pratici di tecnologie digitali, possa nascere qualche riserva sulle logiche che stanno alla base del cloud: memorizzare e catalogare in rete file “nostri” e farlo tramite servizi gestiti da grosse società potrebbe far sospettare uno squilibrio nella “bilancia del potere”, ovviamente tutto a favore di queste grosse società. Per dirla meglio, potresti suppone (e temere) che i soggetti che offrono soluzioni simili, per la produzione e per l’archiviazione dei tuoi documenti, rischino di diventare almeno in parte “padroni” dei tuoi dati e che un domani i servizi che oggi ti vengono offerti (in cambio dei dati della tua identificazione, i quali hanno comunque un valore) possano essere messi a pagamento; per non dire della paura, che potresti maturare, che in un futuro una eventuale crisi dei garanti di tali servizi ne pregiudichi la continuazione e con essa la permanenza dell’intero patrimonio accumulato. Ciò non può non farti sollevare problemi strategici e politici di portata generale sulle sorti di internet e della tua presenza al suo interno. Ma è bene che tu tenga presente che quanto più sono diffusi questi servizi tanto più la presenza di un’utenza massiccia funge da garanzia per la prevenzione di detti rischi o per il risarcimento e la compensazione dei danni provocati da eventuali crisi. Se hai voglia di approfondire il tema, puoi dare un’occhiata ai data center di Google partecipando a questa visita guidata virtuale. Prima di conoscere più da vicino le caratteristiche tecniche e le modalità di uso di uno strumento come Google Drive, accetta un’ultima e brevissima specifica: l’archiviazione dei file non è destinata a tutti i documenti che tieni nei tuoi computer, ma ha senso se la limiti ad una specifica porzione di tali file, ossia un insieme di documenti che scegli di condividere. Tecnicamente sarebbe possibile decidere di spedire in cloud tutta la tua memoria digitale (sempre tenendo conto della possibilità più che probabile di dover pagare un servizio che superi i 15 gigabyte di memoria gratuiti o di avere a disposizione spazio illimitato grazie al servizio già citato come Google Apps For Education), ma nella maggior parte dei casi Drive appare davvero utile se ricorri ai suoi servizi per consultare file di uso frequente o per condividere con altri il lavoro sui documenti, almeno finchè tale lavoro dura. CAPITOLO 2 - UNA PRIMA PANORAMICA 2.1 Iscriversi o accedere a Google Drive Partiamo da un dato fondamentale: possedere un account Google consente di utilizzare Google Drive. Se già sei in possesso di un account Google puoi saltare le poche righe che seguono. Se non possiedi un account simile, allora questa potrebbe essere l’occasione giusta per attivarlo; l’account ti consente l’impiego non solo di Drive, ma anche di tutti i restanti servizi offerti da Google (Gmail, YouTube, Chrome, Google+ e molto altro ancora). Insomma, con un unico account puoi usufruire di tutti questi strumenti, compreso ovviamente Drive. Per attivare un account Google è sufficiente che ti colleghi a questa pagina e segui le abituali operazioni di registrazione. Se hai saltato le righe qui sopra è perché sei già in possesso di un account Google o Gmail, non ti resta allora che accedere al tuo spazio Drive. Ogni utente Google può accedere ad un suo spazio Drive con un’impostazione standard di 15 giga disponibili, ripartiti tra il servizio di posta e il servizio, appunto, di archiviazione e produzione di documenti. Puoi accedere a quest’ultimo direttamente dalla pagina principale della tua casella di posta elettronica Gmail. Nel riquadro alto, a sinistra dell’interfaccia di posta, trovi infatti diverse icone, clicca su quella che raggruppa più quadratini (evidenziata nell’immagine) e così accedi a tutti gli strumenti Google: tra questi c’è anche Drive. Basta un click ed eccoti nel tuo spazio di archiviazione. Ricapitolando: è essenziale che attivi un account Google; se lo hai già, trovi a tua disposizione il Drive pronto per l’utilizzo. 2.2 Installare Google drive sul proprio computer Google Drive è un servizio di web storage, di conseguenza una connessione alla rete è fondamentale per il suo completo utilizzo. Una delle caratteristiche interessanti di Drive però consiste nella possibilità di attivare una cartella residente nel tuo computer che può essere sincronizzata con lo spazio di rete dove archiviare e utilizzare i file online. Proviamo a spiegarla meglio. A breve ti darò qualche informazione su come installare la cartella di Drive. Prima però vorrei farti riflettere su un aspetto: se ci pensi quella di installare una cartella sul tuo computer non è proprio un’attività consueta. E qui emerge una delle differenze sostanziali tra una normale cartella e quella di Google Drive. Quest’ultima ogni qualvolta ci si collega ad internet si aggiorna. In cosa si aggiorna? Dei file che eventualmente hai aggiunto, eliminato o modificato mentre agivi nella versione online di Google Drive. Il vantaggio di una cartella installata sul tuo computer (il tuo portatile o la tua macchina domestica, non un computer condiviso della scuola) è di avere sott’occhio, anche in assenza di connettività, i tuoi file archiviati in Drive. La sincronizzazione non riguarda solamente il percorso che dalla rete va alla cartella locale, ma procede anche nell’altra direzione. Mettiamo che tu, stando scollegato, modifichi i documenti della cartella: al momento in cui attiverai il collegamento ad Internet troverai la cartella online aggiornata per via dell’avvenuta sincronizzazione. Capirai bene il vantaggio di avere installata la cartella di Drive nella tua macchina nei momenti in cui ti troverai a fronteggiare l’assenza di connessione. Accetta questo consiglio, dunque: installa la cartella di Drive sempre e comunque su un tuo computer e mai su un computer condiviso della scuola. In questo modo avrai un pieno e costante controllo dei tuoi documenti. Se un eventuale limite di Google Drive poteva essere la sua dipendenza dalla rete, con la cartella installata questo viene a cadere a favore di una sostanziale praticità d’uso. Passiamo dunque a illustrare i semplici passaggi utili ad installare la cartella di Google Drive sul tuo computer. Nella pagina principale di Drive, sulla colonna di destra (come indica l’immagine qui sopra), trovi il comando per l’installazione sul tuo computer della cartella che andrà a sincronizzarsi con la memoria di rete. Basta che tu segua le normali procedure di installazione e il gioco è fatto. Dal momento in cui la cartella Drive è installata puoi gestire tutti i file presenti in Drive anche in assenza di rete. Dopo aver installato la cartella sul tuo computer accedi, tramite browser, a Google Drive: lì ti illustro brevemente dove trovare e gestire l’opzione offline che ti garantisce il pieno utilizzo dei tuoi file anche in assenza di rete. La pagina principale di Google Drive mostra un’icona, in alto a destra, con una rotellina: si tratta dell’icona dedicata alle impostazioni. Dovresti trovare nella lista dei comandi a disposizione Disattiva offline. Cosa significa? In Google Drive l’accesso offline ai documenti è attivato automaticamente, se vuoi puoi disattivarlo e quindi accedere e modificare i file archiviati solamente in presenza di una connessione, ti basta selezionare il comando indicato. Come avvengono le modifiche in assenza di rete, ti chiederai. Dal momento in cui è attivo l’accesso offline, dalla cartella installata selezioni il file che ti interessa, fai doppio click e si avvia il browser Chrome con lo spazio di lavoro poter mettere mano al tuo documento offline. Sarà quindi Chrome il software per continuare a lavorare sui tuoi documenti anche se il computer non è connesso a nessuna rete. Puoi modificare i documenti in modalità offline utilizzando anche le app di Google Drive (che trattiamo nel paragrafo seguente). Dalla cartella installata localmente sul tuo computer puoi ovviamente accedere ai file archiviati in Drive; per loro eventuali modifiche basta cliccare sul file desiderato e deve essere attivato il browser di navigazione a Internet che consente di utilizzare a pieno tutti gli strumenti del sistema. La modifica in assenza di rete dei documenti è possibile solamente se prima è stato impostato l’accesso offline: in questo caso Google Drive applica automaticamente tale impostazione ad ogni documento presente nella cloud. 2.3 Google Drive su tablet e smartphone Uno dei punti di forza di Google Drive sta nella possibilità di usarlo in mobilità, non solo tramite computer ma anche con dispositivi come tablet e smartphone. La logica di utilizzo da applicazione (o, come generalmente si dice, da app) è molto simile a quella per computer: opzioni e comandi non si differenziano se non nella loro disposizione, considerato lo schermo ridotto dei dispositivi mobili. L’installazione dell’applicazione Drive e di tutte le altre app dedicate alle diverse tipologie di file può risultare molto utile perché consente di accedere e agire in qualsiasi momento sui propri documenti. Ovviamente la presenza di una connessione di rete applicata al tablet o allo smartphone consente l’aggiornamento istantaneo delle modifiche apportate. Ti consiglio di scaricare per il tuo dispositivo mobile non solo l’applicazione gratuita di Google Drive, che trovi sia per device Apple che per device Android ma, come accennato, tutte le app altrettanto gratuite dedicate alle diverse funzioni di Google Drive. Ricorda che per modificare da dispositivo mobile hai bisogno di queste app. Ti elenco quali sono e ti segnalo i link per scaricare le applicazioni: Documenti Google, per scrivere e modificare documenti di scrittura Apple Android Fogli Google, per scrivere e modificare fogli di lavoro Apple Android Presentazioni Google, per produrre e modificare slide Apple Android 2.4 Uno sguardo all’interfaccia Dopo queste necessarie premesse possiamo iniziare a dare uno sguardo complessivo all’interfaccia di Google Drive, così da iniziare a familiarizzare con lo strumento e a conoscerne le principali funzioni. Nei capitoli seguenti di questo eBook verranno trattate e approfondite tutte le caratteristiche di Drive una volta che lo si adotti, soprattutto, per attività didattiche legate alla scrittura. Per ora limitiamoci ad analizzare la struttura della sua interfaccia, a partire dalla schermata principale. L’area centrale presenta l’elenco dei nostri file e cartelle, e cambia ogni qualvolta che accedi ad una specifica cartella. È possibile ordinare la visualizzazione dei documenti per differenti modalità. Poco sopra l’elenco di file e cartelle presenti, appare un comando evidenziato in rosso che ti segnala con quale modalità stai ordinando i tuoi documenti. Solitamente nelle impostazioni di default tale comando dovrebbe essere Ultimi modificati da me, ma ovviamente puoi cambiare tale impostazione. Basta modificare l’attuale visualizzazione cliccando sulla piccola freccia posta accanto all’opzione al momento attivata. L’immagine ti segnala l’esatta collocazione del comando. Nel riquadro attivato è possibile scegliere l’opzione che fa al caso tuo: - Ultimi modificati da me (ordina cronologicamente i file modificati) - Modificati per ultimi (ordina cronologicamente i file modificati da altri collaboratori) - Ultimi aperti da me (ordina cronologicamente i file consultati) - Titolo (il classico ordinamento alfabetico) - Quota utilizzata (utile per comprendere quali file occupano più spazio di memoria) È possibile visualizzare ogni opzione di ordinamento dei file nella modalità a griglia o ad elenco: entrambe le funzioni sono collocate in alto a destra. Nella colonna di destra della schermata principale sono riportate in ordine temporale tutte le attività svolte in Drive, dalla creazione passando per la modifica o caricamento di documenti fino all’eliminazione di questi nello spazio Cestino. Cliccando su una qualsiasi attività il riquadro centrale mostra automaticamente il file di riferimento. Tale funzione risulta particolarmente utile quando si gestiscono molti documenti organizzati in radici di cartelle profonde e articolate. Senza dubbio un altro strumento utilissimo a ricerca e individuazione dei file presenti in Drive è la classica barra di ricerca. È posizionata in alto e al centro dell’interfaccia e si presenta nella comune veste grafica di qualsiasi campo di ricerca: uno spazio centrale per digitare le parole chiavi o il titolo del documento e il bottone rappresentato con una lente di ingrandimento che avvia la ricerca. Uno strumento offerto da Google non può che offrire funzioni di ricerca accurate, e così vale anche per Drive: è dunque possibile affinare le proprie ricerche tra i documenti archiviati e condivisi in Drive. Il motore di ricerca che hai a disposizione può essere davvero utile e potente, capace com’è di indicizzare non solo i metadati, ovvero le informazioni che descrivono dati (un esempio è quello della scheda del catalogo di una biblioteca che offre informazioni sul contenuto di un libro), ma il contenuto stesso dei testi archiviati in Drive. L’accuratezza di tale strumento di ricerca ti consente di trovare documenti con grande facilità, compresi file di testo caricati come file .doc o pdf. Il campo dove inserire testo presenta sulla destra, poco prima dell’icona di ricerca, una freccia che, se attivata, apre una finestra con elencate tutte le modalità di affinamento della ricerca. Sono tre macro categorie di riferimento: Tipo (seleziona nei risultati di ricerca solamente file di una determinata natura: testi, immagini, file pdf e così via); Visibilità (seleziona nei risultati di ricerca esclusivamente file privati o condivisi o pubblici); Proprietà (seleziona nei risultati di ricerca file dei quali sei proprietario o file di altri proprietari che hanno scelto di condividerli con te). La colonna di sinistra riassume graficamente l’ordine e la gerarchia del tuo archivio in Drive. Con molta probabilità la modalità presentata di ordine delle cartelle e dei file ti risulterà familiare. Verticalmente sono disposte tutte le cartelle e i rispettivi documenti archiviati in Drive, e ciò consente di navigare con estrema facilità tra le risorse fino a giungere al file desiderato. La colonna di sinistra presenta un’altra piccola ma utilissima funzione. Posizionando il cursore sul titolo delle cartelle compare una piccola freccia, cliccandoci ecco presentarsi un vasto elenco di comandi riservati alla gestione di quella cartella. In questa prima fase non è necessario elencarli e descriverli tutti nel dettaglio, ti invito comunque a consultare il comando dopo aver letto e applicato le prime indicazioni, quelle più generali, contenute in questo eBook: sarà bello scoprire la comodità di una funzione come quella. Basti dire, qui, che grazie a questa scorciatoia è possibile attivare molteplici comandi di lavoro sui documenti (per condividere, gestire e organizzare). Scorciatoie e opzioni utili a migliorare il flusso di lavoro non mancano in Google Drive. Acquisendo dimestichezza potrai comprendere diversi facilitatori utili al tuo lavoro, strumenti e funzioni appositamente realizzate per rendere ancor più comodo operare con i documenti. Prima di concludere questa inziale perlustrazione delle funzioni principali dell’interfaccia di Drive, dedico qualche riga al comando più importante e che, probabilmente, utilizzerai più frequentemente: si trova all’apice della colonna sinistra appena descritta ed è il bottone Crea. Attivando il bottone si può, appunto, creare un nuovo file in Google Drive. Quale file? Un documento di testo, una presentazione, un foglio di lavoro, un modulo e un disegno. Infine è possibile generare nuove cartelle dove contenere e organizzare documenti. Accanto al bottone Crea eccoi un altro utilissimo comando, quello che ti consente di caricare nello spazio di memoria online dei file che siano presenti nell’hard disk del tuo computer. A riguardo è bene sottolineare che nello spazio riservato su Google Drive è possibile caricare file di qualsiasi natura. Ovviamente gli strumenti di produttività offerti non possono intervenire e modificare qualsiasi tipologia di file. Ad esempio puoi senza alcun problema archiviare un file video, con buona probabilità potresti visualizzarlo, ma di certo non potrai modificarlo: non dimenticarlo, Drive è prima di tutto un servizio cloud per archiviare materiale digitale, e solo in un secondo momento può essere inteso come ambiente dentro il quale apportare modifiche ai materiali archiviati. ma di certo non potremo tramite Drive modificarlo. Fin qui abbiamo trattato le caratteristiche principali dell’interfaccia di Drive. Siamo ancora all’inizio del nostro tragitto, ma a breve entreremo nel vivo andando a conoscere e ad utilizzare lo strumento Documenti presente nella cassetta degli attrezzi di Drive. Prima che tu ti addentri in questa nuova sezione dell’eBook mi resta da fornirti un piccolo suggerimento. Se sei impaziente di metterti all’opera con Drive salta pure le porche righe che seguono, puoi eventualmente tornarci in un secondo momento. 2.5 Riguardo il browser: un piccolo consiglio Le funzioni di Google Drive possono essere impiegate su qualsiasi browser per la navigazione web. Senza dubbio il browser Chrome, sviluppato e offerto da Google, può risultare più comodo sia per stabilità e velocità di interazione, sia perché integra tutti gli strumenti del fitto corollario di Google. Tra questi strumenti c’è ovviamente Drive. Così, a login effettuato, con Chrome puoi accedere con un click al tuo Drive. Si tratta di un consiglio, non di una regola, quindi se sei abituato a lavorare e consultare il web con un altro browser continua a farlo. CAPITOLO 3 - LO STRUMENTO DOCUMENTI 3.1 Primi passi Dal momento in cui clicchi sul bottone Crea puoi generare diverse tipologie di file, e tra queste trovi il classico strumento di scrittura. Il file creato andrà ad aggiungersi agli altri presenti nel tuo spazio di memoria online. Sono quindi file generati e salvati in rete che potrai consultare e modificare tramite l’interfaccia Drive (dal browser, dalle applicazioni o dalla cartella installata nel tuo computer). Puoi scaricare copie (in formati .docx, .odt, .rtf, .txt, .pdf e .html) nel tuo hardware, ma ogni modifica apportata localmente con qualsiasi editor di scrittura (MS Word, Open Office Writer, etc) non comporta automaticamente una sincronizzazione con il corrispettivo file presente nella cloud. I vantaggi del cloud che Drive offre necessitano di una connessione ad Internet. Sono vantaggi che, come abbiamo accennato, non si riferiscono solamente alla comodità di reperire ovunque sei e in qualsiasi momento file archiviati in rete, ma che hanno a che fare anche con le possibilità di collaborare e interagire con altri. E proprio su quest’ultimo aspetto avremo modo di soffermarci. Ma andiamo con ordine. Proviamo dunque a muovere i primi passi con lo strumento, per la parte dedicata alla scrittura di testi. Fruire e produrre testi digitali sono attività ormai totalmente integrate nelle nostre abitudini comunicative. Il testo digitale rappresenta se non la principale, una delle principali fonti per informarci, per lavorare, per imparare. Per questi motivi con molta probabilità l’area della scrittura può essere considerata quella più adatta a far conoscere Drive nelle sue caratteristiche generali. Pienamente consapevoli come siamo che la principale potenzialità dello strumento sta nel produrre e condividere testo digitale, vediamo come utilizzare l’interfaccia che abbiamo a disposizione. Iniziamo dunque a conoscerla. 3.2 L’interfaccia di scrittura Per utilizzare Drive non serve nessun software installato sul proprio computer, basta avviare un qualsiasi browser. L’unica installazione prevista, e non obbligatoria, è quella della cartella sul tuo computer, necessaria perché tu mantenga tutti i tuoi documenti archiviati anche in assenza di connettività. Tale procedimento non pregiudica o influisce sull’utilizzo di Drive e sulla produttività dei file. Ciò vale anche per la scrittura di testi digitali, e proprio da questi iniziamo a conoscere da vicino gli aspetti produttivi di Google Drive. Dal momento in cui accedi con le tue credenziali a Google e, successivamente, al servizio Drive, non occorre che tu faccia altro che cliccare sul bottone Crea e scegliere l’opzione Documento. In pochi istanti ti trovi nell’interfaccia di scrittura che, come noterai subito, non si differenzia da tanti editor di scrittura digitale. In alto trovi la toolbar con tutti gli strumenti di scrittura. Ci sono le classiche opzioni di formattazione (grassetto, corsivo, sottolineato, dimensione e colorazione del testo), nonché le funzioni per inserire link o commenti nel testo (quest’ultimo caso verrà approfondito più avanti); trovi poi gli strumenti di impaginazione e le opzioni di elenco. Infine lo strumento per pulire il testo da eventuali formattazioni non desiderate che, per effetto del classico copia e incolla (per esempio il comando da tastiera CTRL+SHIFT+V) possono venir fuori nella pagina di scrittura (dimensione del testo differente, font diverso, interlinea discorde e così via). Insomma, fin qui nulla di nuovo. Ma andiamo avanti e scopriamo le altre caratteristiche. Lo strumento di scrittura in Drive può essere adottato in tre modalità. La prima è quella di elaborare localmente del testo, ad esempio su un classico software di editing installato nel tuo computer, e poi con il copia e incolla riportare nell’area di scrittura di Drive il testo prodotto. Francamente tale procedura, seppur legittima, può risultare macchinosa e poco utile in vista di un miglioramento del tuo flusso di lavoro. La seconda invece è senza dubbio più spontanea e intuitiva e consiste nel produrre direttamente del testo attraverso lo strumento di scrittura di Drive; come già detto, lì sono presenti tutte le funzioni utili a comporre in tutte le sue caratteristiche un contenuto testuale articolato. Qualcosa potrebbe mancare a chi è abituato ad utilizzare un software di scrittura come Word o Open Office, per esempio il correttore di bozze. O meglio, lo strumento è presente anche in Documenti ma le sue prestazioni di riconoscimento degli errori sono meno precise di quelle dei wordprocessor più diffusi. Questo comunque non deve scoraggiarti riguardo le possibilità di scrittura che Drive propone. Le volte che si presentasse la segnalazione di un errore che, in realtà, errore non è, ti sarà possibile aggiungere la parola al tuo dizionario personale e dunque migliorare le prestazioni del correttore. La terza modalità potrebbe risultare molto utile in determinate occasioni, e bastano poche righe per descriverla. Ormai lo hai ben compreso, Google Drive è uno strumento di web storage, in quanto consente di caricare diverse tipologie di file. Non tutti i file però possono essere eseguiti da Drive, ma alcuni di questi certamente sì e tra questi ci sono anche quelli in formato .doc o .docx (se stai utilizzando un software di scrittura come Word, presente nel pacchetto Office) o .odt (se invece stai utilizzando un software di scrittura open source e gratuito come, ad esempio, quello presente nel pacchetto Open Office). Dunque i file di scrittura appartenenti a queste due tipologie possono essere caricati, eseguiti e modificati con Drive. Fare queste operazioni è molto semplice: basta cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona del file caricato e scegliere tra le diverse opzioni Apri con e, infine, scegliere il comando Documenti Google. Drive convertirà il file di scrittura caricato in uno in formato compatibile e quindi modificabile. Da quel momento sarà possibile mettere mano al documento attraverso lo strumento di scrittura di Drive e archiviarlo direttamente in cloud. Ricapitolando, sono tre le modalità per utilizzare lo strumento di scrittura: - elaborare un testo localmente, caricarlo e trasportarlo nel foglio di scrittura di Drive con il classico copia e incolla; - produrre direttamente in Drive un nuovo documento di scrittura; - caricare un documento di scrittura prodotto localmente e grazie alla conversione continuare la scrittura dello stesso testo in Drive. C’è poi una funzione avanzata che potrebbe far felici molti. Se carichi su Google Drive un testo scansionato (ad esempio un classico pdf frutto di una scansione) il sistema converte quella scansione in un testo digitale grazie al riconoscimento ottico dei caratteri. Tale procedimento è conosciuto come OCR (optical character recognition). Se qualcuno ha avuto occasione di conoscerlo e utilizzarlo, sa che tale processo è spesso affidato a software esterni, ma con Google Drive tutto risulta più semplice. Se hai voglia di approfondire le capacità tecniche della conversione da scansione e i limiti massimi consentiti, questo link fa al caso tuo. Queste modalità ti consentono di iniziare a scrivere un documento con Drive. Non presentano difficoltà nella loro attivazione. Attenzione, però, così facendo rapidamente ti troverai a contatto con una serie di funzioni, e dunque di possibili pratiche, totalmente diverse da quelle che comunemente adotti ricorrendo ai più diffusi software di composizione testuale. Iniziamo qui a cogliere e comprendere la portata innovativa di uno strumento come Drive. 3.3 Scrittura nella cloud Ce lo siamo già detti: Google Drive vive nella nuvola, tutti i suoi file sono archiviati in rete e possono essere non solo consultati, ma anche modificati. Non solo, come abbiamo visto è possibile generare file direttamente nella nuvola, ovvero immediatamente all’interno di Drive. Sarebbe più che legittima la domanda: “ma come si salva un documento nella cloud?”. È abitudine che ben conosciamo, quella di salvare con una certa costanza il file che stiamo elaborando quando siamo lì davanti al nostro computer ed utilizziamo un classico software di scrittura. Salvare frequentemente, ma anche duplicare il file stesso, ogni tanto, su altre memorie: quella di disporre di una copia di riserva è una garanzia cui tanti si affidano nel caso che (facendo tutti gli scongiuri del caso) l’hardware del computer giochi qualche brutto scherzo. Di certo il rischio di qualcosa che non va lo si corre inequivocabilmente con tutte le memorie fisiche come hardisk, memorie esterne e memorie USB. Ma è un rischio che scompare, se si fa affidamento alla nuvola: non c’è alcun bisogno di salvare ogni tanto il file al quale stiamo lavorando perché il salvataggio avviene automaticamente, ogni singola modifica che effettuiamo viene costantemente registrata. Ottimo, no? Ma se è lo stesso programma a provvedere al salvataggio, cosa capita se vogliamo tornare indietro e ad esempio visualizzare una parte di testo che abbiamo cancellato (e che il sistema ha salvato)? Nel paragrafo che segue cercheremo brevemente di scoprire la semplice e comodissima procedura a riguardo. 3.4 La cronologia delle revisioni Lo strumento Documenti offre una funzione dedicata che elenca tutte le modifiche effettuate ad un testo: in sostanza ogni salvataggio automatico effettuato è visualizzabile e, ancor di più, utilizzabile. Ogni salvataggio infatti consiste in una versione specifica del documento elaborato, basta un click per poter adottare la versione desiderata, anche se questa appartiene al passato. Accedere alla cronologia delle revisioni è molto semplice. Nella barra superiore dove sono presenti tutti gli strumenti di scrittura puoi individuare il comando che ti comunica se in quel momento è in corso un salvataggio o se tutte le modifiche da te apportate sono state correttamente salvate. Nell’immagine qui sopra viene indicata l’area dove è collocato tale comando. Perché nello strumento di scrittura di Drive è importante la cronologia dei salvataggi? Per due ragioni. O meglio, per via di due possibili utilizzi dello stesso strumento. Nel caso tu sia impegnato nella stesura di un testo con Drive e in modalità cloud, poter scorrere tutte le versioni del testo salvate ti risulterà molto utile: ti si consente infatti di rivedere il tuo lavoro ed eventualmente riadottare versioni precedenti del documento su cui si stai lavorando. La cronologia dei salvataggi assume una funzione ancora più importante se la stesura di un testo è condivisa e se prevedi dunque la partecipazione di più utenti contemporaneamente. In questo caso ogni intervento è salvato ed è associato all’utente partecipante. Anche la sola aggiunta di una virgola o la cancellazione di una battitura di troppo è registrata e collegata all’utente che in quel dato momento prende parte alla scrittura del documento di testo, fermo restando che il testo pur mutando costantemente sarà in ogni momento leggibile in forma “pulita”, come se fosse definitivo. In un ambito di scrittura collaborativa, disporre di un diario in cui sono registrati tutti i passaggi della produzione di testo è ottima cosa. Ti consente di scorrere e dunque rivedere tutti i passaggi di quella produzione a più mani, di scegliere se andare avanti o riprendere una versione precedente, e comunque garantisce che nulla vada perso, di quel che via via stai facendo. Ne risulta una sorta di stratificazione degli interventi sul testo: qualora volessi non solo visualizzarne ma anche utilizzarne nuovamente una determinata versione ti basterà cliccare sullo “strato” che ti interessa e riprendere da quel momento la scrittura. Tutto ciò avviene grazie alla logica stessa della cloud: ogni azione sul testo è salvata e memorizzata. Insomma, un documento di testo in Google Drive è composto non solo dai contenuti (testuali e multimediali) coincidenti con l’ultima versione disponibile, ma anche da tutte le versioni precedenti e da tutti quei dati che si collegano alla registrazione di azioni sul testo (chi è responsabile di quella specifica azione, quando è stata fatta, ecc.). Dal momento in cui decidi di selezionare e utilizzare uno “strato” della cronologia riporti il documento ad un preciso stadio di lavorazione del testo e tutti i contributi degli autori, compresi quelli successivi a tale stadio, saranno annullati. La scrittura collaborativa comporta l’individuazione di regole condivise, in tal caso per evitare l’eventuale rischio di perdere la cronologia degli interventi esistono differenti strategie da mettere in pratica. Una è quella dell’adozione dello strumento Sug gerimento. Ti illustro brevemente come funziona e la sua importanza. Più autori possono modificare il testo di un documento al quale stanno collaborando anche attraverso questa modalità. In alto a destra trovi la modalità Modifica: puoi optare per questa oppure scegliere la modalità Sug gerimento. Se opti per questa, le modifiche che apporterai saranno visualizzate in un altro colore e verranno segnalate da un piccolo a box a destra del foglio. Così potrai intervenire senza alcun limite e allo stesso tempo garantirti che nessuna modifica intacchi il testo. Ogni box che segnala i suggerimenti nel testo presenta due bottoni, uno per l’approvazione e l’integrazione della modifica suggerita (rappresentato da una spunta) e uno per il rifiuto del suggerimento con la conseguente cancellazione del suggerimento (rappresentato da una X). La modalità Sug gerimento può avere differenti usi nella didattica. Ad esempio può risultare davvero utile per correggere gli elaborati realizzati dagli studenti lasciando sia il contenuto scritto originariamente, sia la correzione proposta dal docente. In questo modo lo studente avrà la possibilità di confrontare con facilità le due versioni. Questi aspetti, che possono sembrare tecnici, danno invece una grande ricchezza pedagogica e didattica a Drive. Un insegnante che sia interessato a sviluppare un’attività di scrittura collaborativa al fine di documentare e comunicare l’attività svolta in classe può trovare nella cronologia, o nella modalità Suggerimento, dei validi supporti per la messa in evidenza e dunque l’analisi delle dinamiche collaborative degli studenti coinvolti. Individuare e capire come ciascuno si sia comportato lì, quale contributo abbia dato alla costruzione concordata del testo, se si sia imposto col suo stile, sovrapponendosi a quello condiviso o ne sia stato invece rispettoso di questo: sono tutti elementi che contribuiscono all’arricchimento dei profili valutativi individuali e di gruppo, permettendo sia di affrontare con cognizione di causa il problema di fornire una significativa valutazione delle attività di gruppo, sia di coinvolgere su tutti e due fronti di impegno gli stessi allievi. I quali, certamente, usciranno da una simile esperienza con una maggiore consapevolezza di cosa significhi scrivere tenendo conto di quel che è già scritto, leggere capendo quel che è scritto, fare ipotesi su come può procedere una scrittura, intervenire su un testo per modificarlo senza tradirlo. Tutte novità, e tutte ugualmente interessanti sul piano didattico, che solo uno strumento digitale del tipo di Drive permette di mettere in campo. Ma vale la pena di soffermarsi ancora sul tema. Cartelle e quaderni fatti e rifatti di bit Un’esperienza di Barbara Grassi Quando ero maestra alla primaria, molti anni fa, spesso ricevevo per Natale dalla mia famiglia una nuova cartella, poiché la mia era puntualmente sfondata. Invidiavo le colleghe che si munivano di shopping bag con rotelle o avevano il coraggio di far acquistare ingombranti quadernoni ad anelli ai bambini, per non dover portare a casa il pacco di quelli con la copertina blu o rossa o verde... Arrivata alle superiori, con mia grande meraviglia, lo scenario era diverso: pensare di portare a casa o solo di raccogliere i quaderni dei ragazzi era fantascienza. Non si usava! Si assegnavano certamente i compiti per casa, ma se la correzione non era svolta collettivamente in classe, allora pazienza: il farli o no e come eseguirli era una loro responsabilità. Lo era a tal punto che effettuare il controllo dei quaderni, leggerli e dar loro una valutazione pare ancora oggi come allora a qualche collega una terribile minaccia ed un’inutile fatica. Eppure era utile. Altroché se lo era e lo è tutt’oggi. Ma oltre al problema del trasporto dei quaderni, ve n’erano altri. L’alunno strategicamente assente o il quaderno che non si trovava, ad esempio, non consentivano alcuna correzione. Se, invece, il quaderno c’era, spesso era illeggibile e disordinato. Quando, infine, la consegna prevedeva un lavoro di gruppo, era pressoché impossibile ricostruire chi aveva prodotto che cosa. Con l’inserimento dell’uso dei Drive nella didattica di classe, azione che è bene sia condivisa da tutto il Consiglio (e qui i ragazzi sono meravigliosi coi loro “prof. le faccio vedere io come si fa!”), il problema del peso o dello smarrimento dei quaderni è presto risolto e la leggibilità del documento anche. La possibilità, infine, di poter aprire il file per ricostruire la cronologia degli interventi consente anche di trovare Così come il singolo docente può controllare la qualità dell’esecuzione dei compiti assegnati in qualsiasi momento e da un qualsiasi dispositivo connesso, allo stesso modo gli allievi hanno l’opportunità di fruire di dispense e di altri materiali selezionati online. Inoltre, senza rendersene conto, possono imparare ad usare cellulari, tablet e quant’altro come strumenti di lavoro, per creare e condividere documenti nei più disparati formati, acquisendo competenze informatiche importanti e sempre più richieste (l’esame della Nuova Ecdl on line collaboration certifica tra le altre la capacità di comprendere i concetti fondamentali relativi alla collaborazione online e al cloud computing e di saper usare ambienti di apprendimento on line). Tralasciamo il fatto che per le generazioni dei nativi digitali (noi docenti per lo più siamo adottivi), un approccio didattico siffatto è molto più stimolante. Le molteplici applicazioni che sono collegabili ai canonici file Drive, infine, consentono ad ogni docente di scatenare la propria creatività, spaziando dalla creazione di Mappe concettuali (cfr. Mind map) al dinamico GeoGebra e molte altre. Con i Drive non ci sono più fogli, chiavette Usb e memorie esterne, ma non servono neanche più computer con software installati da aggiornare continuamente. Non è neanche più necessario trovarsi fisicamente, perché la scrittura collaborativa consente al gruppo di lavorare allo stesso documento da postazioni e con tempi diversi. Se poi ci si deve dire qualcosa, è sufficiente usare la funzione dei commenti. Bastano una connessione internet, l’installazione di Google Chrome e, possibilmente, un dominio Google Education che offre l’attivazione gratuita di account di posta per ogni docente, ma anche per ogni allievo. Altro vantaggio da segnalare è l’uso dei Drive nei percorsi individualizzati . Il docente può prevedere un percorso personalizzato per ciascuno dei suoi studenti e condividere solo con lui la cartella contenente i materiali di studio, video, tutoriali e gli esercizi da svolgere. Le occasioni a scuola non mancano: ci sono i recuperi in itinere, quelli estivi, ma anche il consolidamento o il potenziamento delle eccellenze, quindi la divisione per livelli della classe e l’assegnazione di esercizi diversificati anche rispetto allo stesso argomento. Quel che è sicuro è che questa tecnologia facilita la costruzione mirata di percorsi validi per il successo scolastico. 3.5 Condividere un testo, partecipare ad un testo Pensare ad una scrittura in rete non può che far nascere l’idea di poter condividerla e renderla aperta, partecipata con altri utenti. La rete è di fatto una fitta tessitura che collega contenuti con altri, crea nodi, concentra interazioni, sviluppa costante scambio tra oggetti e utenti. Gli ambienti di social networking esprimono perfettamente le dinamiche di interazione tra utenti attraverso le comunicazioni sincrone e asincrone e grazie alla condivisione di contenuti. Oggi comunicare e interagire attraverso una piattaforma come Facebook rappresenta una pratica decisamente diffusa in Italia, e dunque nelle abitudini comunicative di molti di noi c’è anche quella del social networking; questa è una buona base per comprendere e soprattutto adottare forme di partecipazione pensate per sviluppare contenuti digitali assieme ad altri. Certo, utilizzare Facebook non ti porta automaticamente ad essere esperto di scrittura collaborativa o a possedere rapidamente le competenze tecniche utili per la creazione e lo sviluppo di documenti di testo partecipati. Ma come vedrai a breve, i due mondi, quello dei social network e quello della scrittura collaborativa, hanno diversi ponti di comunicazione. Partiamo da alcune brevi specifiche tecniche. Il documento di scrittura in Googe Drive prevede il comando Condividi. Lo individui facilmente nella barra superiore dell’interfaccia, nell’angolo a destra: come indicato nell’immagine qui sotto, è contrassegnato dal colore blu. Attraverso questo comando puoi condividere e rendere il documento visualizzabile ad altri e, eventualmente, consentire loro di partecipare attivamente alla scrittura. Ti ricordo che di default ogni nuovo documento generato è privato e quindi risulta accessibile e visualizzabile esclusivamente da chi lo ha creato. Cliccando sul comando, ecco che ti si apre una piccola finestra denominata Condividi con altri utenti con diversi elementi utili da comprendere. Il primo è il campo Persone, dove puoi inserire l’indirizzo mail o il nome degli utenti che si intendi coinvolgere. Se sono utenti con i quali tu abbia già una relazione di rete, ad esempio uno scambio di mail o un legame su Google+, basterà che tu digiti il nome e automaticamente Drive individuerà l’utente da aggiungere. Accanto allo spazio per l’inserimento della persona che vuoi coinvolgere nel documento trovi il bottone Può modificare: ciò significa che l’utente che intendi aggiungere avrà facoltà di modifica. Se fai click sul bottone ti appaiono altre due opzioni: Può commentare, Può visualizzare. La prima attribuisce alla persona con la quale condividi il documento la possibilità di commentare ma non di modificare, la seconda invece consente la sola visualizzazione del documento. In alto a destra trovi il comando Ottieni link condivisibile: se clicchi il sistema avvia un CTRL+C, in sostanza automatizza l’azione di copiatura del link che normalmente compi andando a selezionare la URL di una pagina web. Puoi far circolare il link impostando fin da subito le funzioni degli utenti che ne sono in possesso. Come vedi appare il comando Chiunque abbia il link può vedere. Anche in questo caso l’opzione può essere modificata, ti basterà cliccare sul comando e scegliere tra le altre due opzioni disponibili: Chiunque abbia il link può commentare, Chiunque abbia il link può modificare. C’è dell’altro e lo trovi cliccando sul comando Avanzate: ecco che ti si apre una nuova finestra denominata Impostazioni di condivisione. All’interno di questa finestra puoi gestire più in profondità la condivisione del documento. Troverai nella finestra nuovamente la URL estesa del documento che stai condividendo, e più in basso la lista Chi ha accesso con tutti gli utenti presenti nel documento. Il primo comando che trovi ti consente di definire, anche da questa finestra, quali funzioni attribuire a chiunque abbia il link e, come vedi, l’impostazione di base consente la sola visualizzazione. Ma cliccando su Modifica puoi scegliere quali azioni consentire a tutti gli utenti in possesso del link. Le opzioni sono tre: Pubblico sul Web; Attivo; Non attivo. La prima opzione, Pubblico sul web, consente a chiunque abbia accesso ad internet di poter trovare il documento e intervenire in base alle funzioni indicate. L’opzione Attivo consente a tutti gli utenti in possesso del link di accedere al documento. Infine l’opzione Non attivo impedisce di accedere al documento tramite link, limitandone l’accesso alle sole persone indicate dal proprietario del documento. Il comando Avanzate offre un’altra funzione molto utile per la gestione degli utenti impegnati nella collaborazione. Se il documento è condiviso con altre persone, nella lista Chi ha accesso trovi i nomi degli utenti e accanto la funzione attribuita. Se sei proprietario del documento puoi decidere quali funzioni attribuire ad ogni singolo utente. Ecco le funzioni disponibili: - È il proprietario: puoi attribuire ad altri utenti le tue stesse facoltà di proprietario; - Può modificare: l’utente può intervenire nel documeto modificando e commentando; - Può commentare: l’utente può commentare il documeto ma non modificarlo; - Può visualizzare: l’utente possiede la sola facoltà di accedere e visualizzare il documento Infine puoi condividere il tuo documento anche attraverso social network come Google+, Twitter e Facebook: in questo caso la condivisione devi pensarla in rapporto all’impostazione di accesso che hai attivato. Questo passaggio dedicato alle modalità di condivisione è essenziale per introdurre le pratiche vere e proprie di collaborazione che avvengono all’interno di un documento di scrittura. Tutto ciò apre questioni non solo tecniche, ma anche e soprattutto metodologiche, se si fa riferimento a documenti di scrittura inseriti dentro attività didattiche. Dal tasto Condividi si diramano tre diverse opzioni di collaborazione sui contenuti: modifica, commento e visualizzazione. In un’ottica didattica queste tre modalità di condivisione e partecipazione ad un contenuto testuale rispondono, ovviamente, ad esigenze differenti. Non è detto che tutti i documenti di scrittura presenti in una cartella di gruppo (per esempio una classe) di Google Drive debbano necessariamente risultare accessibili e aperti ad interventi dei componenti del gruppo. A seconda della situazione, possono cambiare le modalità della condivisione. Così, se vuoi far studiare un determinato testo ai tuoi studenti, puoi attribuire loro la possibilità di redire commenti, generali o locali; se invece vuoi provvedere alla costruzione di un contenuto didattico collaborativo, per esempio il racconto di un’esperienza che avete fatto assieme, non prevederai nessuna restrizione, né nell’accesso né negli interventi di revisione e arricchimento del testo. Poco prima abbiamo visto da vicino la funzione Cronologia. Torniamoci. In un processo di scrittura collaborativa, con più utenti che intervengono aggiungendo e modificando contenuti testuali, la possibilità di visualizzare le azioni di ciascuno e i loro effetti sul testo complessivo ti risulterà utilissima perché non solo ti garantisce una timeline ordinata del flusso collaborativo sul testo e attorno ad esso, ma ti permetterà anche di individuare i diversi passaggi e di decidere di ripartire da uno di quelli, annullando quel che è venuto dopo. In altri termini, questo tipo di scrittura è reversibile, si può tornare indietro nel tempo, e chiunque tra gli utenti coinvolti può decidere di farlo. Quando più soggetti collaborano alla stesura di un testo Google Drive attribuisce a ciascuno un colore identificativo. Attivando la cronologia puoi dunque individuare la parte di testo prodotta da ogni singolo utente in quanto, appunto, è contrassegnata dal colore a lui associato. La presenza online di altri utenti su un documento di scrittura è segnalata dall’icona di profilo posizionata vicino al tasto Condividi, in alto a destra. Inoltre, se un documento ospita diversi utenti contemporaneamente, questi possono interagire attraverso la chat dedicata. Cliccando sul tasto a forma di balloon posizionato accanto all’icona di profilo dell’utente partecipante si attiva infatti la messaggistica sincrona, soluzione che può risultarti molto utile, nel caso nascesse l’esigenza di comunicarsi idee su come andare avanti, pareri su quanto si sta facendo, giudizi su quanto si è fatto. Inserire i commenti in un testo creato con Google Drive è, poi, un’operazione davvero semplice. Con il cursore del mouse basta che tu selezioni una parola, una frase o qualsiasi altro elemento presente nel documento e che clicchi con il tasto destro. Ti si apre un menù a comparsa. Tra i diversi comandi presenti trovi Commenta anticipato da una piccolo balloon. Cliccandoci alla destra del documento ti si apre la finestra dove puoi aggiungere e condividere i commenti che, visivamente, vanno a disporsi sempre sulla destra del documento stesso. Ogni commento è rappresentato da una finestra autonoma che può essere utilizzata da un altro utente per rispondere al commento stesso e dar vita, eventualmente, ad una vera e propria interazione. Se il commento contiene l’indirizzo di posta preceduto dal simbolo +, sarà inviata in automatico una mail al destinatario contenente il commento. Lo stesso destinatario potrà replicare direttamente dalla posta elettronica, e il suo commento apparirà anche nel documento. Insomma, non si collabora solo a scrivere, si collabora anche a commentare un testo. E questa seconda possibilità, in certi casi, diventa ancora più importante della prima, offrendo l’occasione per confrontare giudizi, opinioni, progetti: da docente a studente, da studente a studente, da studente a docente. Nella logica della scrittura collaborativa uno strumento come quello dei commenti risulta dunque essenziale: consente di coordinare con altri il lavoro di produzione e di adattamento di un testo, e offre una cornice collettiva dalla quale e con la quale guardare al testo. I commenti prodotti in questo modo assumono il ruolo di metacontenuti, ovvero di preziose informazioni aggiuntive, associate a punti particolari, a passaggi che si considerano cruciali del testo in scrittura. Tesine condivise Un’esperienza di Damiano Carlesso Nella scuola dove lavoro (Licei e Tecnici) a tutti i ragazzi del 5° anno viene condiviso individualmente un modello di tesina sul quale sviluppare l’approfondimento per l’esame di stato. La cartella in Drive che contiene tutte le tesine viene poi condivisa a tutti i docenti della scuola. Risultato: ogni studente lavora solo sul proprio documento ma i docenti hanno accesso a tutti i documenti. Lo studente può quindi chiedere una consulenza a qualunque docente esperto anche se non è un suo insegnante. L’insegnante può comodamente controllare lo stato di avanzamento delle tesine dei suoi allievi in qualsiasi momento. CAPITOLO 4 - PRATICHE DIDATTICHE DI SCRITTURA COLLABORATIVA 4.1 Alcuni punti fondamentali Come abbiamo visto, la possibilità di interagire per rendere partecipata la costruzione di un testo o, più in generale, la realizzazione di un contenuto digitale, consente di pensare ad attività didattiche incentrate su alcuni punti fondamentali. Quali? Proviamo a vederli insieme. Il primo punto da analizzare è quello della collaborazione, o, meglio ancora, della collaborazione orientata al raggiungimento di un obiettivo comune: nel nostro caso, la produzione di un testo collettivo. Non c’è soluzione migliore allo stato attuale che usare Google Drive. Ma attenzione: proporre una didattica di tipo collaborativo - e proprio su un’attività, quella dello scrivere, tradizionalmente intesa come individuale - comporta una ben precisa organizzazione di obiettivi, tempi, regole e ruoli. Una soluzione possibile è che tu consideri lo spazio di scrittura collaborativa come un ambiente per la raccolta e la catalogazione di risorse recuperate in rete. Pensa ad esempio a studenti impegnati nella ricerca introduttiva o di approfondimento di uno specifico tema: lo strumento di scrittura, in questo caso, può divenire lo spazio per condividere e organizzare indirizzi web dedicati al tema; non solo, in questo modo ti sarà possibile comunicare feedback per dare, prima ancora che un giudizio sull’operato, riscontri e consigli su come migliorare e proseguire con l’attività. I feedback in tal caso saranno destinati al gruppo nella sua totalità: disponibili alla lettura da parte di tutti gli studenti attivi sul documento condiviso, possono assumere un valore di orientamento generale (non dimenticare che in uno spazio di condivisione l’ottica prevalente deve essere appunto quella del gruppo, e che ogni individuo partecipante deve essere in primo luogo valutato per come prende parte alle dinamiche di gruppo, rinforzandole o attenuandole, e dunque per gli effetti che il suo fare o non fare produce dentro il gruppo stesso). Muovendo da un’attività simile potrai mettere a fuoco ed eventualmente porre in atto un progetto di scrittura collaborativa: si tratterebbe, per intenderci, di impegnare il gruppo stesso a costruire un testo condiviso che sia in grado, per esempio, di descrivere e organizzare come percorso ragionato le risorse via via individuate e condivise. Saper modulare le dinamiche di collaborazione, qui, risulta un fattore essenziale: non si tratta soltanto di far raccogliere materiali, ognuno facendo la sua parte e tutti contribuendo a inserire tali materiali secondo una logica puramente sommatoria; ci sarà anche da creare le condizioni perché venga prodotto un testo collettivo, scrivendo il quale ognuno dovrà in un qualche modo tener conto di quel che fa e scrive e di che cosa scrive l’altro. La dimensione progettuale di un’attività come questa e l’impegno che richiede li devi ovviamente mettere in relazione al numero di studenti che coinvolgi e all’obiettivo che ti proponi. Un’intera classe impegnata in un progetto di scrittura collaborativa comporta regole e approcci da parte di te docente ben diversi da quelli necessari per governare un piccolo gruppo. E non è detto che orientare e monitorare il piccolo gruppo sia operazione più facile di quanto non è farlo con un gruppo grande, tipo classe: può infatti capitare che nel gruppo piccolo si senta come troppo centrale la tua presenza di docente, e che dunque il gruppo stesso non decolli come realtà autonoma, quando invece in un gruppo ampio le dinamiche interne di scambio e collaborazione, sia pure con un po’ di confusione, potrebbero svilupparsi in maggiore autonomia. Ovviamente il numero dei soggetti da impegnare in un progetto di scrittura collaborativa non è il solo fattore che dovrai considerare: non si tratta solo di individuare il carico cognitivo dello studente corrisposto al numero dei partecipanti, devi impegnarti a disegnare un’attività che sia in grado di garantire una elevata qualità esperienziale al gruppo nel suo complesso. A monte, allora, ci dovrebbe essere un lavoro progettuale da parte tua che ti consenta di ipotizzare, almeno in linea di principio, ruoli, tempi, dinamiche e risultati attesi per questa attività: nessuna gabbia inviolabile, ovviamente, ma una traccia progettuale flessibile che sia capace di adattarsi alle esigenze del gruppo man mano che queste si manifestano. Ad esempio, se gli obiettivi risultano chiari, un ampio gruppo può lavorare senza alcun problema procedendo positivamente verso i risultati attesi. Ma nulla vieta che tu possa prevedere di dar vita a uno o più gruppi ristretti di studenti utilizzando questa soluzione come un buon punto di inizio per testare e sperimentare la pratica della scrittura collaborativa. Allo stesso tempo l’obiettivo che ti dai (e che proponi loro) deve essere rapportato all’esperienza pregressa dei tuoi studenti e alla loro confidenza non tanto con l’interfaccia tecnologica, quanto con l’idea di prendere parte ad un’esperienza di condivisione, dove è prioritario non ciò che ciascuno sa fare per se stesso ma ciò che ciascuno sa fare per la crescita del gruppo stesso. Google Drive e in particolare lo strumento Documenti può essere un’ottima occasione per introdurre o incentivare la scrittura collaborativa nelle classi. Costruire assieme un testo comporta flessibilità e coordinamento, ma anche pianificazione, tutti elementi che tu insegnante devi saper tenere sotto conrollo, sì che ogni partecipante si senta allo stesso tempo libero di intervenire e vincolato dalla natura del progetto. Come si è detto poco sopra potrai stabilire dei ruoli, e questa soluzione certamente ti aiuterà, ma fa’ attenzione però a non rendere troppo rigidi e specifici questi ruoli e soprattutto a non vincolare ad una sequenza precedentemente e astrattamente definita le fasi di sviluppo nel testo: al contrario, dovrai lasciare il margine utile a far emergere impegno, creatività e soprattutto collaborazione da parte dei singoli membri del gruppo. L’impegno a introdurre la scrittura collaborativa di rete può trovare un buon alleato nella scelta di misurarsi con la narrazione. Sai bene che gli studenti incontrano meno difficoltà ad utilizzare la chiave narrativa rispetto a quelle che hanno quando si misurano con la produzione di testi descrittivi o argomentativi: e questo avviene, di solito, perché dispongono di più modelli di riferimento ed anche perché, raccontando, si sentono solitamente più liberi di inventare. Tutto bene, allora? Sì se soprattutto cominci tu stesso a fare esperienza e a documentarti sulle esperienze di altri. A questo proposito potrebbe interessarti un progetto tutto italiano, non inserito nella scuola, centrato sulle dinamiche della scrittura collaborativa. Si chiama SIC, Scrittura Industriale Collettiva, ed è stato ideato e messo a punto per produrre storie collettive, scritte a più mani. Esiste un metodo testato che consente a tutti i partecipanti di prendere parte attivamente alla costruzione narrativa; i promotori della SIC lo mettono a disposizione di tutti. La SIC ha dalla sua il completamento di una serie nutrita di storie, e tra queste trovi il libro In territorio nemico, edito da Minimum Fax e frutto, appunto, dell’azione collaborativa dei tanti utenti che vi hanno preso parte. Certo, il metodo proposto non deve essere preso alla lettera per un’attività didattica, ma provarlo su te stesso può darti una buona base per arrivare a formulare un progetto di classe. Potresti anche vedere cosa fanno altri. C’è a questo proposito l’universo dello storytelling, dove le strategie narrative e, oggi in particolare, le risorse della multimedialità digitale sono usate per introdurre temi, problemi, concetti. Gli esempi non mancano. Vedi l’esperienza di Caterina Moscetti, insegnante della Scuola Primaria “Mons. Bartoletti”, Istituto Comprensivo Sigillo, in provincia di Perugia, che usa le pratiche di storytelling per illustrare e far affrontare il tema del riciclo dei rifiuti. O anche quanto fa l’Oak Hill School, negli Stati Uniti, come documenta questo video. Tanta creatività in ballo, e soprattutto un intenso lavoro di squadra. C’è dell’altro. Emanuela Zibordi, insegnante di Scienze Motorie presso l’IIS “G.Luosi” di Mirandola, racconta nel suo blog l’attività di scrittura collaborativa che propone ai suoi studenti: l’obiettivo è di consentire ad ognuno di raccontare con testo e foto l’esperienza di una gita scolastica. Ti starai chiedendo: se sono alla prime armi, da dove posso iniziare? Il consiglio che posso darti è lo stesso che trovi nelle righe precedenti. Parti da te stesso, partecipando attivamente (e con il necessario spirito ludico: giocare e mettersi in gioco) a qualche iniziativa di narrazione collaborativa. In rete non mancano le occasioni. Ad esempio c’è il progetto 20lines, ossia scrittura a più mani di brevi storie che non superino le 240 righe (3400 parola circa). Puoi prender parte a storie già in corso di scrittura o proporne tu una nuova: la regola è che ogni storia deve essere scritta da più utenti. D-Still ti offre un’altra opportunità. Questa volta non hai a che fare con testi, ma con video. La logica comunque non cambia: dar vita a storie in forma collaborativa. Un utente iscritto dopo aver installato la app sul suo smartphone registra un breve video e invita gli altri a continuare e a sviluppare una possibile storia. In occasione della manifestazione Bookcity a Milano (13-16 novembre 2014), alcuni utenti hanno adottato D-Still per realizzare una lettura social dei loro libri preferiti. Torniamo dunque al nostro tema della scrittura collaborativa in Drive. Per ogni attività didattica dedicata a questa pratica tu insegnante puoi ovviamente visionare più documenti di scrittura e seguire gli andamenti della collaborazione degli studenti, intervenendo non solo nei contenuti ma anche, grazie allo strumento dei commenti, nelle eventuali interazioni tra e con gli studenti. Come ho già specificato lo strumento dei commenti consente la replica e, di fatto, l’attivazione di una comunicazione tra più soggetti: così ogni singolo commento diventa un potenziale spazio di confronto. Devi considerare, infine, che gli studenti stessi, interagendo attivamente su un documento di scrittura, si troveranno naturalmente ad utilizzare lo strumento dei commenti, e questo non farà che rinforzare la dimensione collaborativa, quanto cioè rappresenta la più grossa novità che digitale e rete portano dentro la pedagogia dello scrivere. Tutto ciò, lo sai bene, fa sollevare importanti questioni non solo a proposito della progettazione di un’attività didattica orientata alla composizione testuale, ma anche relativamente al senso che assumono, in chiave pedagogica, le interazione e il confronto in rete docenti/studenti. La novità consiste nel fatto che tu insegnante ti trovi a conoscere, organizzare, alimentare e condurre i flussi molecolari di intercomunicazione tra gli scriventi. Senza dubbio la capacità di modulare la comunicazione collettiva e connettiva attorno ad un documento di scrittura diviene una dote importante, se non fondamentale per te che vuoi misurarti con questo tipo di esperienze, e dunque con pratiche e abitudini per le quali, diciamocelo chiaro, non esistono tradizioni, almeno in ambito scolastico, e tantomeno si può ricorre a regole e grammatiche. Sei (siamo tutti) agli esordi di questa esperienza di scrittura collaborativa: la possibilità di lavorare tutti assieme dentro lo stesso spazio di composizione/correzione/revisione/commento si presenta come terreno vergine per la didattica (anche se fuori dell’ambito scolastico non mancano esempi di questo tipo di attività). Queste della scrittura collaborativa, realtà su cui ti invito a riflettere seriamente, sono pratiche che trovano una forte coerenza con quelle del social networking basate proprio sull’interazione e sull’abolizione di regole fisse e di ruoli fissi. Del resto, per chi ha un poco di esperienza di social web, è impossibile pensare ad una collaborazione testuale che escluda la possibilità per i partecipanti di scambiarsi commenti o anche di intervenire direttamente sul contenuto scritto. Avere esperienza di social network aiuta, ma non averne o averne molto limitata non deve essere vissuto come come un ostacolo ad impegnarsi o, peggio ancora, da giustificazione per rinunciare all’esperienza. Al contrario, potrebbe/dovrebbe fungere da stimolo per entrare negli ambienti di social network con meno pregiudizi e più curiosità. Un Collegio Docenti virtuale Un’esperienza di Laura Biancato Google Drive può ottimizzare la condivisione di tutti quei documenti che costituiscono la progettazione di un Istituto. Niente più passaggi di allegati, di file rivisti a più mani o salvati e risalvati in Dropbox. Prendiamo come esempio il normalissimo compito di stesura del Piano dell’Offerta Formativa secondo la procedura più diffusa: la revisione del documento dell’anno precedente, la modifica del testo base e, spesso, la produzione di diversi allegati. Si inizia a giugno, in presenza, con la predisposizione delle linee guida del progetto della scuola, ma il lavoro può non interrompersi e proseguire durante l’estate, senza la necessità di riunire il Collegio o le commissioni di lavoro. In Google Drive si inserisce una cartella con i documenti provvisori, in scrittura condivisa. Un’altra cartella può prevedere l’inserimento dei documenti definitivi, una volta approvati. E per rendere continuativo lo scambio di opinioni e di suggerimenti, è possibile utilizzare, oltre all’app di scrittura, i moduli di Google Drive, che consentono a chi coordina il lavoro di monitorare lo stato dell’arte e fornire un feedback immediato a tutti i docenti. In questo modo si può lavorare anche per la programmazione dei consigli di classe o delle equipe pedagogiche, senza ovviamente svilire gli incontri in presenza, ma facilitando la preparazione delle riunioni con materiali condivisi e ottimizzando i tempi. Un Consiglio di Classe virtuale Un’esperienza di Barbara Grassi Al giorno d’oggi nelle scuole gli insegnanti sono oberati di impegni e di riunioni. Non è insolito incontrare nei Consigli di Classe, per fare un esempio, il collega che deve andare via presto, che è stanco perché sottoposto anche a quattro riunioni consecutive quel pomeriggio dopo sei ore di scuola e si lamenta. Ma ha ragione a dirsi esacerbato, perché in quell’ora e mezza gli vien chiesto come ad un efficiente burocrate di compilare una marea di carte, di letterine, di verbali, di concludere tutto e di far presto, senza avere il tempo di scambiare davvero delle riflessioni su quel ragazzo o quell’altro o di conoscere il professore nuovo con cui dovrà condividere un progetto per il resto dell’anno. Sono incontri spesso aridi che hanno il sapore del tempo perso. Ecco, allora, che la strumentazione di Drive può venire in aiuto. E per due ragioni: la prima è basata su di una questione meramente temporale. È fortemente improbabile che nel tempo destinato ad una riunione di un paio d’ore, otto, dieci o più persone riescano ad accordarsi su un’Unità di Apprendimento (UdA) interdisciplinare, che dovrà coinvolgere più della metà delle materie, che nello stesso tempo stabiliscano anche le strategie didattiche migliori per un gruppo di studenti indisciplinati e che, ancora nella stessa riunione, abbiano il tempo di confrontarsi e di riflettere su comuni problematiche e quant’altro. Inevitabilmente, si ritorna al punto di partenza: il Coordinatore di classe o il docente più motivato di turno si accollerà tutto il lavoro sommerso, che ovviamente sarà solo suo e che pochi seguiranno. La seconda ragione riguarda l’endemica incomunicabilità tra molti colleghi: a seconda della tipologia di corso di studi, un numero vario di docenti che può arrivare anche a dodici-tredici unità si rapporta spesso in modo del tutto disomogeneo con lo stesso allievo, dando per scontato che questi debba adattarsi ai suoi metodi ed alle sue proposte didattiche. Insomma, ognuno, in nome della libertà dell’insegnamento, va per la propria strada con le più svariate e validissime motivazioni. La strumentazione Drive, che consente la condivisione di documenti on line e la loro creazione in modalità collaborativa, dà invece la possibilità di creare tutto il lavoro preparatorio ai momenti in cui un gruppo docente può formalizzare e licenziare degli strumenti comuni di azione didattica. Non è più, così, necessario delegare, fare finta o, nel migliore dei casi, incontrarsi più volte o rimbalzarsi all’infinito un documento salvato con diciture del tipo def, defdef, defdefultimo, defdefultimobis ecc. E non è più utile attendere o rimandare alle date ufficiali il momento per decidere qualcosa. Il lavoro inizia a settembre con le lezioni e segue i ragazzi durante tutto l’anno. Questo è il contenuto di una mia cartella Drive di Coordinatore di una terza classe nello scorso anno scolastico: Progetti, file pregressi o di altre scuole e tutto ciò che non riusciva ad avere una catalogazione è finito in un Bidone, perché utile (non si sa mai). Cartella del Piano educativo, contenente il Piano elaborato ad inizio anno, quello alla fine del primo trimestre e a fine anno. Piano Educativo Didattico… Mi ricordo che la prima volta che ho ricevuto l’incarico di Coordinatrice di Classe ho chiesto ad un collega fidato chi ne avesse uno meraviglioso da copiare, perché non avevo esperienza. Da lì ho creato il mio capolavoro: un modello adattabile a tutte le classi, dove ogni anno bastava ritoccare il numero degli allievi e poco altro. Per inciso, era già l’epoca dei pc, quindi avevo tutti i miei dischetti con i PED per varie classi pronti per l’uso. In Istituto c’era un vero commercio di floppy- PED. Poi è arrivata l’epoca della Qualità. E con la qualità l’ordine. Guai a chi non usava il modello MPDRev00. E poi arrivarono le revisioni al modello e chi sbagliava era chiaro che aveva riciclato il file dell’anno prima per cui faceva una figuraccia. Il responsabile era sempre il Coordinatore che si presentava al consiglio con la bozza stampata, poi tutto il Consiglio o l’approvava in tronco con più o meno indifferenza, la criticava, integrava… gli appunti e le chiose dovevano esser presi rapidamente, presto presto si stampava, si incollava al verbalone, poi si archiviava con buona pace di tutti et amen. Con Drive non accade più. Il coordinatore scrive la bozza per tempo, la condivide ai colleghi del Consiglio, invitandoli a descrivere la situazione della classe nelle loro discipline, a compilare le parti dei progetti, delle UdA interdisciplinari, ad intervenire direttamente sulle riflessioni inerenti la classe e quando arriva il giorno in cui ci si riunisce, tutti sanno di cosa si sta parlando. Si sanno i problemi e si può finalmente avviare un dialogo. La cosa bella è che quando io scrivo la mia parte di Ped, posso scegliere un momento del giorno o della sera in cui sono tranquilla, concentrata e, soprattutto, ho tempo e voglia di farlo. I risultato è sinceramente di qualità superiore e la condivisione è garantita. La consultazione può avvenire in ogni momento: basta avere un qualsiasi dispositivo connesso ad internet ed il file è accessibile. Stesso dicasi per i verbali del Consiglio. Il segretario scrive e consente la modifica ai docenti che possono integrare eventuali dimenticanze o inserire precisazioni al testo. Naturalmente i verbali sono dei drive predisposti da un responsabile della documentazione d’istituto che condivide i form con i vari segretari di classe, in modo che vi possa essere una certa uniformità d’intenti. Come si può notare dall’immagine, i file condivisi dei verbali, risultano consultabili agevolemente da ogni docente del Consiglio di Classe, in ogni momento e costituire uno storico accessibile anche nel tempo. Mi ripeterei dilungandomi sulla costruzione dell’UdA interdisciplinare e degli altri lavori di Gruppo del Consiglio di classe, perché credo che le modalità siano chiare, così come gli esiti conseguiti e conseguibili. CAPITOLO 5 - IMPLEMENTARE GOOGLE DRIVE 5.1 Trasformare un documento in un eBook Mettiamo che tu abbia terminato l’esperienza di scrittura. Il tuo testo digitale è lì, custodito in Google Drive (ma anche pronto ad essere modificato). Che te ne fai ora? La tua esperienza didattica è finita qui? Ha senso che tu abbia un testo che nessuno legge, al di fuori di chi l’ha scritto? No, non ce l’ha. Potresti dunque diffondere il prodotto. Certo, ma come puoi farlo? E, ancora prima, perché dovresti farlo? Quello della diffusione del prodotto non è un esito automatico in un progetto didattico centrato sulla scrittura, ma considerato che ti stai addentrando nelle logiche e nelle dinamiche di una didattica digitale sarà bene che tu prenda in considerazione l’intreccio tra pubblico e privato che è proprio di quel mondo (del resto, come puoi evitare di considerare che il copia/incolla lì è una procedura del tutto agevole almeno sul piano operativo?). La divulgazione di un contenuto didattico prodotto da una classe grazie all’iniziativa di te insegnante può trovare una ragione e un motivo in più di esistere se è pensata nell’ottica della condivisione. Partiamo da un dato essenziale: si tratta, come abbiamo detto fin qui, di contenuti digitali che quindi incarnano nella loro stessa identità costitutiva le possibilità di condivisione e di circolazione proprie dell’ambiente tecnologico da cui sono scaturiti; inoltre non devi dimenticare che il loro spazio di identificazione e crescita è stato la rete, fin dall’inizio, e che dunque senza collaborazione non esisterebbero, non potrebbero esistere. Adottare le pratiche di condivisione nel processo produttivo di un testo digitale significa senza dubbio orientare verso i margini positivi della direzione del “social” anche la fase seguente, quella della diffusione. Insomma, cosa ti impedisce di pensare all’attività didattica che hai messo a punto e conseguentemente hai svolto come ad un percorso che conduce in seconda battuta a far condividere in rete, da parte delle comunità che abbiano interesse per tutto ciò, il prodotto del tuo impegno con i ragazzi? Cosa ti impedisce di auspicare che prendendo in considerazione il frutto di questo tuo lavoro altri vogliano a loro volta commentarlo, arricchirlo, ricondividerlo? È questo uno scenario che potrebbe profilarsi a breve, secondo quanto è richiamato nella nota n. 2581 del 9 aprile 2014 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che tratta il tema della liberalizzazione nell’adozione dei libri scolastici e quello parallelo della produzione da parte di scuole e insegnanti di contenuti digitali parimenti adottabili. Quest’ultimo punto trova attinenza con ciò che stiamo trattando nel presente paragrafo. Dunque merita che ci soffermiamo su di esso. Dopo anni che non se ne è parlato, il tema degli strumenti didattici da usare per la didattica sta sollevando un certo interesse e non mancano discussioni anche accese non solo tra gli addetti ai lavori ma pure tra gli utenti diretti e indiretti di tali risorse. Indubbiamente questo recupero di interesse è da vedere in stretto collegamento con la diffusione delle pratiche digitali, all’interno delle quali le procedure di produzione e diffusione dei documenti testuali (e non solo) sono alla portata di tutti gli utenti, al punto che cominciano a non essere pochi, anche in Italia, gli insegnanti che producono in proprio o anche coinvolgendo i loro studenti, per le attività didattiche in classe, dei materiali da affiancare a quelli a stampa o da usare al loro posto. Allo stesso tempo, non va ignorato che il fenomeno apre questioni per nulla banali nel rapporto tra scuola, insegnanti, studenti ed editoria scolastica. Vediamo di mettere a fuoco alcuni punti della nota. Come puoi leggere il riferimento è alla legge n.128/2013 che tratta questioni relative alle tecnologie digitali e alla produzione di contenuti didattici. In particolare l’articolo 6 dispone che a partire dall’anno scolastico 2014/2015 “gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento”. Il materiale didattico digitale può quindi assumere valore sostitutivo, a patto che ne siano garantite la diffusione e la condivisione gratuita. Per questo, al termine dell’anno scolastico gli istituti che hanno prodotto materiale didattico devono trasmetterlo al MIUR e renderlo disponibile a tutte le scuole su piattaforme digitali preesistenti. Altro punto da sottolineare riguarda l’accenno alle procedure che dovranno essere attivate per garantire attendibilità scientifica e qualità didattica ai contenuti prodotti. L’elaborazione del prodotto, come recita la già citata legge n.128/2013, “è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico”. Maggiori informazioni e dettagli sulle procedure sono rinviate alle linee guida che dovranno essere pubblicate e diffuse dal MIUR. Qualora fossi interessato ad avere una sintesi completa della nota, probabilmente questa infografica fa al caso tuo. Di certo le indicazioni presenti nella nota possono tradursi in una opportunità anche sotto il profilo metodologico e tecnologico. Le possibilità di azione intraviste con Google Drive in merito alla capacità di produrre contenuti digitali in ambito didattico fanno emergere diversi punti di contatto con gli scenari descritti dal MIUR. E allora come puoi mettere a disposizione di altri i contenuti della tua azione didattica? È evidente che devi dar leggibilità e fruibilità alla documentazione di cui disponi. Mettiamo che il tutto consista in un testo, eventualmente arricchito di immagini, video e link alla rete, sufficientemente corposo da poter figurare come un libro, ovviamente digitale. La soluzione più immediata è di salvarlo in formato pdf, predisponendolo così alla diffusione. Probabilmente già lo sai, è una soluzione piuttosto rigida, sia perché chi riceve il tuo libretto in formato pdf non può modificarlo o integrarlo, a meno che non disponga di un software specifico, decisamente caro, e soprattutto perché questo tuo prodotto non si adatta ai diversi dispositivi con cui può essere fruito (computer, tablet, smartphone): leggerlo e usarlo non sono operazioni comode, soprattutto se chi se ne serve dedica particolare attenzione all’apparato multimediale. Non c’è che adottare un’altra soluzione, quella del formato ePub, pensato appositamente per gli eBook. Il formato ePub garantisce piena fruibilità non solo su computer, grazie a diversi software disponibili in forma gratuita, ma anche e soprattutto su tecnologie mobili come tablet, eReader e smartphone. Insomma, è uno strumento decisamente flessibile e adattabile alle diverse necessità. Particolarmente prezioso oggi, che si sta sviluppando la pratica del BYOD (Bring Your Own Device) cioè la possibilità per ogni studente di portare e usare in classe lo strumento (smartphone, tablet, Netbook, Notebook) di cui è personalmente dotato. Inoltre un eBook in formato ePub consente un numero considerevole di operazioni che un pdf non può fare. Quali? Qui trovi una buona presentazione delle differenze sostanziali tra i due formati. Torniamo al tema. Puoi rendere in forma di ePub dei contenuti che tu abbia sviluppato con Google Drive. Per far tutto puoi fare affidamento ad uno strumento esterno a Google Drive ma che dialoga perfettamente con le funzioni di quest’ultimo e che rende possibile, in pochi click, la conversione di documenti di scrittura in eBook: si tratta di Liberio. Fino a poco tempo fa si presentatava ancora in versione beta (cioè non definitiva) ed era in prova per un numero limitato di utenti, ma ora è aperto a tutti e rappresenta un ottimo strumento per chi abbia intenzione di realizzare in pochi istanti file ePub funzionanti, pur non avendo nessuna preparazione specifica nel campo degli eBook. Il software è web based, ossia funziona senza che tu debba effettuare download o installazioni sul tuo computer, semplicemente attraverso la connessione internet. Approfitto dell’occasione per aprire una piccola parentesi. Come avrai capito, Google Drive si contorna di altre applicazioni sviluppate per essere pienamente integrate con le sue funzioni. Questo è un ottimo spunto per comprendere come il classico computer che conosci, carico di dispositivi installati, stia facendo il suo tempo, e vada trasformandosi in un dispositivo assai più semplice ed usabile col quale accedere al web, luogo dove oggi risiede un’enorme quantità di funzioni e applicazioni web based. Ciò comporta diversi vantaggi, molti dei quali si è già detto qui, non fosse altro perché Google Drive è pur esso web based. Questo significa, tra l’altro, che quando accedi a Google Drive sul web ti servi sempre e comunque dell’ultima versione, quella più aggiornata, e che ciò che vedi e fai con il tuo computer puoi farlo pure con un un tablet o uno smartphone. Se ci pensi è un vantaggio non da poco. Non dovendoti preoccupare di questi aspetti tecnici (oltre che economici), puoi concentrare la tua attenzione e il tuo impegno sui contenuti dell’azione didattica (e di quella comunicativa, di cui stiamo trattando qui). Torniamo ora a Liberio. Prima di tutto ti segnalo una breve descrizione e recensione d’uso di Liberio pubblicata nel blog del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive, così puoi farti una prima idea dello strumento. Ovviamente un servizio gratuito come questo non può sostituire a pieno la professionalità di chi opera nel campo della progettazione e realizzazione editoriali di eBook. Realizzare un eBook con software professionali rende un libro digitale tecnicamente più completo e universalmente utilizzabile rispetto ad una sua versione realizzata con Liberio. Ma non è detto che un contenuto “artigianale” in formato ePub debba essere per forza di cose un prodotto che corrisponde agli standard editoriali professionali; è sufficiente che possa essere letto e usato agevolmente con le strumentazioni più diffuse. Prova ad iscriverti a Liberio con le credenziali che già utilizzi per Google Drive e prova fin da subito a convertire tuoi documenti in eBook. Unico passaggio necessario, devi consentire a Liberio di accedere alle cartelle che hai creato nella tua memoria cloud di Google Drive. Fatto questo la via è aperta. L’interfaccia di Liberio è davvero semplice. Nell’area centrale della schermata trovi il comando che ti consente di aggiungere nuovi documenti di scrittura da convertire in formato ePub, basta che clicchi sul tasto + e Liberio accede ai file della tua cloud. Non ti resta che selezionare quello che intendi inserire per il tuo libro digitale e cliccare il tasto Select. La nuova schermata prevede il riempimento di alcuni campi: titolo dell’eBook, sottotitolo, autore del testo e breve descrizione del contenuto; quest’ultima parte la puoi trascurare o no, a seconda del lavoro complessivo che intendi realizzare e del ruolo che il documento che hai selezionato pensi possa avere nel libro che intendi generare. Quelli che ti ho indicato sono i parametri di base, riempiti questi potresti già procedere alla conversione di un tuo documento in eBook. Ti invito comunque a cliccare sul comando More options: appariranno ulteriori parametri da impostare. Il primo è un molto semplice, si tratta del nome del file ePub che verrà realizzato: puoi modificare il titolo impostato automaticamente dal software. Ricorda: il nome del file ePub è differente dal titolo dell’eBook. Potresti dunque nominare un file prova.epub e dare come titolo al libro digitale Attività didattica di geografia nel campo Title. Il file che produrrai si chiamerà prova.epub, ma il dispositivo o il lettore predisposto agli eBook che lo leggerà indicherà come titolo Attività didattica di geografia. Il secondo campo consente di adottare la Table of Content (meglio conosciuta come TOC) all’interno del file ePub che stai predisponendo. La TOC altro non è che un indice attivo dei contenuti del libro digitale che stai realizzando: cliccando sul titolo di un capitolo o paragrafo ci si arriva automaticamente. La dimensione dei titoli (Heading 1, Heading 2, Heading 3) consente di decidere della gerarchia dei titoli. Cosa significa? Che secondo la logica gerarchica il titolo impostato nel documento Google Drive con il formato Intestazione 1 assume un ruolo gerarchico superiore a quello impostato con il formato Intestazione 2 e, di conseguenza, sarà superiore gerarchicamente a un titolo con il formato Intestazione 3. Quindi, Intestazione 1 sarà il capitolo, Intestazione 2 il paragrafo e Intestazione 3 il sottoparagrafo. Il tutto avviene, ripeto, in modo automatico. Come attivare le diverse intestazioni? In Google Drive basta cliccare sul menu a tendina Stili nella tool degli strumenti ed ecco apparire le differenti intestazioni utilizzabili: tra questi ci sono anche le tre già citate. Nel momento in cui procederai alla conversione del documento di scrittura in un eBook (a breve ci arriveremo), Liberio terrà conto della formattazione adottata in Google Drive, così da impostare la TOC in base alla gerarchia delle intestazioni che hai indicato. Una brevissima considerazione: in un file ePub non è obbligatorio fare uso di un indice attivo. Se ad esempio hai in mente di convertire uno scritto breve la TOC non ha, evidentemente, molto senso. Se invece sei di fronte ad un documento articolato, formato da più parti e ricco di contenuti, un indice che faciliti la consultazione è fondamentale. In quest’ultimo caso allora prendi in considerazione la procedura delle intestazioni che ti ho appena descritto. Detto questo, prendiamo in considerazione altre caratteristiche di Liberio. Content sections consente di attivare o disattivare le diverse sezioni dell’eBook che stai realizzando. La lista prevede le seguenti articolazioni: Table of Content (la già citata TOC); Title Page (il titolo della pagina); Copyright (le note legali dell’eBook); About the Author (le informazioni sull’autore); infine il nome del documento Google Drive che stai convertendo in eBook. Queste sezioni, se attivate, saranno parte integrante dell’eBook. Per attivarle o disattivarle ti basta spuntare l’icona a forma di occhio che trovi per ogni sezione. Un’ultima informazione: puoi aggiungere se vuoi ulteriori sezioni al libro, è sufficiente che clicchi sul comando Add Content e selezionare i contenuti che desideri inserire; per cancellare la sezione ti basterà, anche qui, cliccare sulla X. L’opzione Page Breaks ti permette di impostare la fine di una pagina e l’inizio della seguente secondo determinati criteri. Immaginiamo un libro tradizionale: terminato un capitolo la pagina seguente conterrà l’inizio del capitolo successivo. Grazie a questa opzione è possibile ottenere la stessa impostazione anche nell’eBook che si sta generando. Il Page Breaks può essere impostato cliccando sul menu a tendina sottostante alla voce, e l’elenco prevede che il termine della pagina possa precedere un titolo impostato con Heading 1, o con 2 o con 3 (ricordi? Sono le intestazioni che hai visto poco sopra). Infine puoi scegliere l’opzione None (impostata di default) che non genera nessun Page Breaks e, di fatto, rende il testo un unico e ininterrotto flusso. Alla voce General Setting è possibile decidere se inserire o no i commenti presenti nel testo realizzato con Drive. Questa opzione potrebbe assumere un ruolo centrale se si ritenesse importante presentare all’interno dell’eBook anche la produzione di commenti realizzata attorno il testo. Come abbiamo avuto modo di osservare, i commenti rappresentano una porzione integrativa del testo e possono essere interpretati per molteplici funzioni. Possono, ad esempio, essere considerati come tracce dell’interazione avvenuta attorno un testo collaborativo o feedback e reazioni ai contenuti presenti nel testo o, ancora, come gli esiti di un esercizio didattico svolto dagli studenti in risposta ad eventuali input proposti dall’insegnante. I motivi per i quali far sì che i commenti possano divenire contenuto integrante del libro digitale che si intende elaborare sono diversi: per invitare i futuri lettori ad assumere un atteggiamento più produttivo di quello consueto, per renderli consapevoli del laboratorio di confronto e di discussione da cui s’è generato il testo, per creare spazi nuovi di condivisione di rete. Comunque sono tutte cose che è possibile ottenere solo in ambito digitale: la carta, qui, mostra tutti i suoi limiti. L’opzione che segue, ePub Standard, determina lo standard dell’eBook che intendi realizzare. Esistono due standard per i libri digitali in formato ePub: il 2.0 e il 3.0. La differenza sostanziale sta nella varietà degli arricchimenti multimediali, più ampia nella versione 3.0. Così, se desideri inserire nel tuo documento di scrittura contenuti audio e video l’ePub 3.0 consente di far fruire tali contenuti tramite dispositivi mobili come tablet e smartphone, ma anche, ovviamente, con le versioni più aggiornate dei software di lettura di libri digitali installabili su computer. Lo standard 2.0 invece si limita a garantire il testo digitale (e la formattazione che si intende applicare) e le relative immagini, se ce ne sono. Subjects è la sezione utile ad indicare a quale categoria appartiene l’eBook che vuoi realizzare. Come vedrai ce ne sono tante, in inglese, e dopo aver selezionato la categoria che più ti interessa potrai definire anche la sottocategoria. Questo elemento assume un ruolo molto importante se hai in programma di diffondere il libro tramite le librerie online. Se inserisci tali informazioni (e se lo fai con proprietà e generosità) scovare il tuo libro tra i tanti diventerà operazione più facile per il futuro lettore. La sezione Keywords ti consente di attribuire parole chiave al tuo libro; anche in questo caso, incrementando le informazioni rendi più agevole il reperimento del tuo titolo nelle librerie online. L’opzione dedicata alla lingua, Language, dovrebbe essere già impostata con l’italiano come lingua standard, ma è possibile modificarla scegliendo le altre lingue disponibili (non sempre ci si può fidare delle traduzioni…). Tramite la sezione License and Rights puoi decidere di attribuire la licenza Creative Commons al tuo eBook. Un elemento, questo, per nulla banale che garantisce la tutela dei contenuti del testo e la possibilità di interagirvi. È nell’interesse tuo e del tuo libro che imposti correttamente questa licenza. Le opzioni del menu a tendina sono rese con sigle: ognuna di queste rappresenta una determinata licenza, associata a specifiche funzioni. Per avere un quadro di quale licenza adottare, è meglio che consulti la pagina riassuntiva di tutte le sigle accedendo al sito di Creative Commons, dando così seguito alle indicazioni ministeriali che invitano ad adottare, appunto, le licenze Creative Commons come strumento di tutela e allo stesso tempo di condivisione dei materiali didattici realizzati. L’ultima sezione che voglio segnalarti è Downloadable Formats. In questo caso puoi definire in quali formati far scaricare il tuo eBook dagli utenti. Il formato ePub è leggibile sulla maggior parte dei dispositivi mobili, mentre il formato mobi è destinato ai soli dispositivi Kindle prodotti da Amazon. Infine puoi indicare il formato di compressione zip che ti permetterà di ridurre il volume del file senza perdere informazioni. Puoi spuntare le opzioni che desideri e deselezionare quelle che reputi meno utili per il tuo eBook. Non manca qualcosa? Sì, manca la copertina. Nella schermata che stiamo analizzando, sulla sinistra, trovi il riquadro per caricare l’immagine che fungerà da copertina. Liberio consiglia di caricare un’immagine che abbia queste dimensioni: 1500pixel x 2000pixel. Non resta che cliccare sul tasto verde Go create! per dar via alla conversione del file di scrittura in un eBook. Terminato il processo Liberio mosterà nella pagina principale dell’utente l’eBook appena realizzato. I nuovi eBook realizzati sono contrassegnati da una piccola fascetta rossa. Cliccando sulla copertina dei libri digitali puoi tornare alla schermata di editing dei diversi campi che hai precedentemente compilato, considerato che per ognuno puoi apportare modifiche. Esistono dei comandi aggiuntivi assegnati da Liberio dal momento in cui il processo di conversione in formato ePub è correttamente completato e riguardano la trasferibilità dell’eBook. Puoi pubblicare il tuo libro digitale sulla piattaforma di Liberio e renderlo disponibile alla lettura a tutti gli altri utenti. Per adesso tale ipotesi resta la meno vantaggiosa anche se è potenzialmente interessante, nella prospettiva che la comunità di utenti di Liberio sia destinata ad aumentare. Il comando Share consente di rendere fruibile l’eBook tramite la condivisione su social network come Facebook, Twitter e Google+; inoltre è disponibile il link diretto all’eBook cliccando sul comando Share eBook link. Tramite il comando Send by Email puoi anche inviare l’eBook, in formato ePub, come allegato ad una tua mail destinata ad uno specifico indirizzo: ovviamente chi la riceve può scaricare il libro elettronico allegato. Download è il comando che permette di scaricare il file ePub. Oltre ai comandi già elencanti c’è la possibilità di inviare l’eBook tramite Kindle (per i dispositivi di lettura Amazon) o con Play Books, la app Google per la lettura di libri digitali. Infine, con Delete si può eliminare il file prodotto. Torniamo ora su Google Drive e analizziamo più da vicino gli ultimi particolari del nostro progetto, giunto ormai alla sua fase conclusiva. Dare voce a Google Drive Un’esperienza di Elisabetta Nanni È possibile implementare Google Drive con alcuni componenti aggiuntivi con cui sviluppare in classe attività didattiche davvero interessanti. Prima fra tutti segnalo Kaizena che permette di inserire commenti vocali ai nostri documenti in Drive. Per utilizzare questo componente è necessario effettuare il login su kaizena.com con il proprio indirizzo Gmail. In alternativa si possono aggiungere sia l’applicazione che l’estensione nel browser di Chrome direttamente da Google Play. Cliccando sul + andiamo a creare il nostro Box, in cui inseriremo i nostri documenti. Dopo aver creato e rinominato il nostro box, possiamo aggiungere il Documento prelevandolo direttamente dal Drive. Selezionando il Documento, procediamo ad inserire i nostri feedback. È necessario selezionare la frase o il paragrafo che voglio andare a commentare. Apparirà una piccola finestra in cui scriverò un tag come, ad esempio, la competenza che ho intenzione di monitorare o di valutare. È possibile, a questo punto, inserire un commento audio, scritto o un link cliccando su uno dei tre strumenti nella colonna di sinistra. Effettuata la registrazione, il documento potrà essere di nuovo aperto direttamente dal Drive scegliendo l’opzione Apri con Kaizena. Condividendo con i propri studenti il documento, tutti potranno riascoltare il commento audio e, sempre loggandosi con il proprio account Gmail, potranno loro stessi aggiungere altri commenti. Le modalità di utilizzo in classe del componente aggiuntivo illustrato sono molteplici. Può essere considerato un ottimo strumento compensativo per studenti con DSA, favorendone così l’inclusione in tutte le attività didattiche. Può, inoltre, facilitare e implementare una scrittura audio/testuale partendo da un contenuto comune per arrivare ad un elaborato aumentato frutto di condivisione e collaborazione tra studenti. 5.2 Condividere Mettiamo che tu disponga dell’eBook di cui s’è detto, frutto di una specifica attività didattica. Potrà essere una tua ricostruzione di esperienze fatte in classe, o una sitografia ragionata prodotta dai tuoi allievi, o ancora una raccolta di testi che tu e i tuoi allievi avete individuato in rete e usato come risorse didattiche. Diversamente da un libro di carta un libro fatto di bit si presta perfettamente ad essere messo in circolo. Ma, affrontando il tema della condivisione, ti invito a fare delle opportune distinzioni. Se ti riferisci alla nota del MIUR di cui abbiamo ragionato, la condivisione coinvolge un ampio raggio di individui. Ma è condivisione anche quando riguarda un numero ristretto di individui, come è per esempio se restringi l’area della messa a disposizione dell’eBook alla tua classe. Nel primo caso c’è (ci saranno) le misure che l’amministrazione deciderà di adottare per far sì che gli insegnanti possano accedere vicendevolmente ai loro prodotti. Nel secondo caso c’è la cloud, la nuvola. Nella pratica della didattica quotidiana l’adozione della logica cloud ti permette di affrontare e risolvere un gran numero di questioni. Perché semplifica enormemente il possesso comune di materiali di studio e ricerca, e questo è più che ovvio (tanto per dire: non ci saranno più problemi di pennette che si perdono); ma anche e soprattutto perché consente a te e ai tuoi studenti di organizzare con grande semplicità e grande efficacia quei materiali. In questo caso tu tenderai ad assumere, almeno in fase iniziale, il ruolo di organizzatore della cloud, ma nulla vieta che, strada facendo, i tuoi allievi propongano e mettano in atto altre modalità di organizzazione, più rispondenti ai loro bisogni. Se pensiamo ad uno uso della cloud all’interno di una classe, l’insegnante assumerà il ruolo di organizzatore dell’architettura della cloud. I servizi offerti da Google Apps for Education rendono il ruolo di amministratore della cloud più semplice ed efficace grazie al pieno controllo di tutti gli account e a diverse funzioni facilitate; in questo caso non approfondiremo tali caratteristiche ma è possibile prevedere in futuro un nuovo testo di questa collana dedicato alle proprietà di Google Apps for Education. Nel corso di questo libro lo avrai più volte riscontrato: tra le differenti funzionalità di Drive, c’è senza dubbio quella di essere un ottimo strumento web di archiviazione di dati. Il fatto che siano in rete crea i presupposti per rendere facile e accessibile la diffusione di tali dati. Google Drive ti permette di strutturare i tuoi contenuti in cartelle e sottocartelle e di governarne l’accesso. La soluzione più semplice, se ti muovi a livello di classe, è che tu ne estenda l’accesso a tutti gli studenti, ma, a seconda delle esigenze e della natura particolare del progetto didattico che hai in atto, potrai adottare scelte diverse, provvedendo a costituire gruppi di accesso più ridotti o più ampi del tuo gruppo classe. Aprire una nuova cartella significa adottare la stessa procedura dell’inserimento di nuovi contenuti. Clicchi sul tasto Crea, nell’interfaccia principale di Google Drive, e selezioni Cartella tra le opzioni disponibili. Dopo averla nominata puoi condividere la cartella con altri. Basta che clicchi sul tasto Condividi evidenziato nell’immagine qui sotto e rappresentato dall’icona di un utente associata al simbolo +. Valgono le stesse modalità di condivisione che hai visto prima, a proposito dei documenti di scrittura in Google Drive: questo vuol dire che gli utenti che indichi potranno visualizzare o anche modificare. Ovviamente il sistema di cartelle cui dai vita dovrà essere di facile uso, vale a dire che le risorse che custodisce dovranno essere facilmente individuabili. Non è agevole dare indicazioni sicure in proposito, molto dipende infatti dal tipo di progetto e di attività cui fai riferimento, ma qualcosa, comunque, possiamo dircelo. Per prima cosa devi provvedere alla raccolta degli account: è un passaggio importante, che non devi prendere sotto gamba. Per organizzare al meglio la lista degli indirizzi Gmail degli studenti potresti aprire in uno spazio privato di Google Drive un Foglio di lavoro dove associare al nominativo dello studente il relativo indirizzo di posta. Se poi hai a disposizione Google Apps For Education il processo ti risulterà ancora più semplice: in quanto amministratore potrai raccogliere gli account in gruppi che poi sono i gruppi di distribuzione che userai per la posta e le condivisione dei documenti e delle risorse. Se pensi ad una didattica più articolata di quella che coinvolge omogeneamente e indifferentemente l’intero gruppo classe, ti sarà necessario aprire più di una sottocartella. In tal caso non è detto che tutti gli studenti debbano avere le stesse possibilità di azione. Relativamente ai contenuti di una determinata sottocartella alcuni potrebbero solo visualizzare, e altri anche scrivere: soluzione questa che risulta utile quando, per esempio, tu voglia affidare ad un gruppo di revisione il compito di intervenire su un testo predisposto da un altro gruppo; o successivamente a questa esperienza, tu intenda chiedere al gruppo di prima stesura di intervenire sui risultati dell’azione del gruppo di controllo. Collocare nelle nuvole parte dei contenuti della tua attività didattica comporta una rimodulazione dell’impianto della didattica stessa, ma potrebbe anche dare un fattivo contributo al miglioramento generale del tuo lavoro del docente e delle esperienze di apprendimento dei tuoi studenti. L’abbiamo già visto: le risorse, i materiali e gli strumenti a supporto dello studio sono sempre tracciabili e accessibili e questo non è solo un vantaggio logistico, ma anche la garanzia che disponi sempre di una cronologia delle attività che si sono svolte con e su di essi. Se apri una qualsiasi cartella vedi subito che sulla colonna di destra sono elencate tutte le azioni generali compiute giorno per giorno al suo interno: queste indicazioni sono utili non solo e non tanto per un controllo formale di quanto fanno gli studenti, quanto per una verifica di tipo qualitativo di come operano i singoli e il gruppo. Analoghe considerazioni valgono, ovviamente, per lo storico dei singoli documenti di scrittura. Google Apps For Education offre ancora di più: tra le funzioni a disposizione dell’amministratore c’è anche quella che consente di verificare l’ultimo accesso di ogni singolo account. Dinamiche simili solitamente accendono le critiche dei detrattori del digitale a scuola, imputando a tali strumenti eccessi di controllo sugli studenti. In realtà caratteristiche simili sono offerte anche dalle più diffuse piattaforme di e-learning, una fra tutte Moodle. La possibilità di avere un quadro preciso degli accessi e delle azioni compiute molecolarmente dai tuoi studenti su una determinata risorsa didattica rappresenta, per te docente, un dato importante, col quale entri nella dinamica interna dell’apprendimento, sia individuale sia collettivo, ricavandone indicazioni importanti per la messa a punto e l’attivazione di interventi correttivi, compensativi, valutativi, senza che tu debba aspettare, come è consuetudine, che tali interventi arrivino a conclusione di un determinato ciclo di apprendimento, quando le dimensioni della correzione e della compensazione sono sopraffatte da quelle della valutazione. Il cloud ti semplifica molti processi, come ci siamo più volte detti, e dunque facilita il tuo lavoro, ma ti comporta un impegno specifico sia nella fase della progettazione didattica sia in quella realizzativa. Se non sei a digiuno di digitale sai che la semplificazione di procedure che un tempo, quando non c’era questa risorsa, risultavano fisicamente molto onerose non rendono meno impegnativo il complesso del tuo lavoro; al contrario non ti sarà difficile riconoscere che quanto risparmi sul piano materiale si traduce nel maggiore impegno che ti è richiesto sul piano della progettazione razionale e dell’attuazione altrettanto razionale delle attività. 5.3 Privacy e requisiti di età Esistono dei limiti di età da rispettare per utilizzare determinati servizi web. Ce ne sono dunque anche per gli account Gmail, quelli che consentono di accedere a Google Drive e farne uso. Sono indicati al momento dell’iscrizione: nel caso di Gmail il limite è dei 13 anni. Se sul piano dei comportamenti privati è frequente la trasgressione di questa norma, così non può essere per la scuola. Devi tenere presente, infatti, che in rete non ci si può mai sentire totalmente protetti dall’anonimato o dalla mascheratura: capita con una certa frequenza, e soprattutto in presenza di determinati comportamenti che mettono il sistema nelle condizioni di ipotizzare un’effrazione, che venga richiesta all’utente un’adeguata documentazione che ne comprovi l’età. Per questo è opportuno che tu pensi ad attività con Google Drive solo a partire dal terzo anno della Scuola Secondaria di Primo Grado, fermo restando che un servizio cloud come questo di Google Drive può rappresentare un validissimo supporto al lavoro personale di te docente, anche se sei impegnato con studenti di età inferiore. Riguardo la privacy, poi, esiste una specifica tutela che Google fornisce ed applica a tutti gli account attivati. Considerando che un indirizzo di posta Gmail oltre a consentire l’automatico accesso e utilizzo di Google Drive comporta la possibilità di fare uso dei diversi strumenti e servizi presenti nell’offerta Google (YouTube, Calendar, Google+, Maps e così via), è utile sapere che Google applica la medesima normativa per tutti i suoi servizi, dunque anche per Google Drive. Nei termini generali di servizio Google viene indicata l’appartenenza dei contenuti prodotti dal singolo utente: ogni qualvolta un utente carica o produce una determinata risorsa concede a Google la licenza globale di farne uso. In che senso? Non allarmarti, non siamo in presenza del Grande Fratello, anche se c’è chi sostiene questa tesi e anche se ogni buon utente della rete sa che questo è un rischio reale. La procedura (sulla carta!?) permette a Google di migliorare i servizi gratuiti offerti e di affinare l’indicizzazione delle risorse prodotte o caricate dagli utenti. I quali utenti restano comunque proprietari dei contenuti messi in cloud. Le stesse condizioni sono riscontrabili anche negli altri servizi gratuiti di cloud computing, talvolta anche in quelli a pagamento. Comunque l’insieme dei termini di servizio di Google risulta molto chiaro, a differenza di quello che avviene con termini e servizi simili, e specifica accuratamente tutte le azioni che Google può compiere sui contenuti grazie all’applicazione della licenza globale poco prima descritta. Se tali condizioni possono far alzare il sopracciglio, c’è da tener presente che molti altri servizi non solo di cloud, ma anche di social networking, maling ed altro ancora si strutturano secondo norme simili. Il motivo, come accennato, risiede nel valore delle informazioni prodotte e condivise che può essere impiegato a scopi di promozione e di miglioramento dei servizi offerti, ma può anche essere oggetto di compravendita con terzi. Sta tutto nella logica dei gratuità del servizi web: è gratuito l’utilizzo di strumenti e spazi digitali ma nel momento in cui si fruisce di tale gratuità si forniscono comunque informazioni utili a migliorare i servizi e, parallelamente, a rendere più accurate possibile le offerte pubblicitarie che vengono dal sistema. Google è impegnato a sviluppare e mettere in circolazione servizi sempre più rispondenti ai bisogni degli utenti ma anche a trarne ricavi sempre maggiori: per questo in sede di ricerca Google è proiettato, come sistema, al duplice obbiettivo di aumentare la mole di informazioni raccolte e, soprattutto, renderla il più specifica ed accurata possibile. Certo, la lettura di tali condizioni non può non mettere in alcuni “la pulce nell’orecchio” (come si suole dire) e indirizzare altri a denigrare aprioristicamente la cultura digitale. Ma è difficile credere che anche il più acceso critico nei confronti delle tecnologie digitali oggi rinunci del tutto alle “comodità” di questi servizi e ambienti; se non riesce a sottrarvisi, per quanto poco li usi, contribuisce ad aumentare la mole di ciò che lui per primo considera come manifestazione della negatività della rete. Essere a conoscenza degli equilibri e pure degli squilibri che si producono dal momento in cui si adottano determinati supporti o servizi digitali è importante, se non fondamentale. Fare a meno delle opportunità offerte, in ragione di uno scambio che non si accetta, o al contrario adottarle e adattarle alle proprie attività professionali o personali sono scelte ugualmente legittime che devono, comunque, essere adeguatamente sostenute e calibrate in rapporto al progetto didattico cui si intende dar corpo. I vantaggi ma anche i rischi di un servizio come Google Drive li devi mettere ugualmente e correttamente sul piatto della bilancia e li devi correttamente e serenamente valutare proprio in base alle tue scelte in fatto di pedagogia e di didattica. CONCLUSIONI Non ti preoccupare, queste ultime righe non verteranno sul leitmotiv della scuola e del digitale che dalle nostri parti ancora trovano difficoltà non solo di associazione, ma di concreta applicazione. Lo sappiamo bene e lo sanno prima di tutto gli studenti, gli insegnanti e i dirigenti. I gravi ritardi della scuola italiana non fermano comunque chi è interessato a migliorarla e a far sì che, nonostante le evidenti difficoltà, si possa innovarla e soprattutto cambiarla. Su questo è bene spendere le ultime parole di questo eBook. Il digitale comporta un cambiamento sostanziale, per non dire radicale, del modo di agire nella scuola. Internet ha forzato prima e messo a rischio di crollo dopo l’impianto storico che caratterizza la nostra scuola, come del resto è per buona parte delle scuole europee, cioè il riferimento ad un modello di sapere che, sia in sede di produzione sia in sede di riproduzione e trasmissione, deve molto alla cultura della stampa, e non solo a quella tecnologia. Un modello che fino a poco tempo fa è stato egemone e non trovava concorrenza in altri ma che oggi sembra avere meno assonanze con la realtà dell’esperire, del conoscere e del fare dell’uomo: molta parte delle attività che facciamo allo stato attuale per sapere, far sapere, comunicare passano tramite il digitale e la rete, che rappresentano sempre più l’infrastruttura di base della società odierna. Il libro portava con sé una logica fortemente gerarchica ed esclusiva del sapere, la rete propone un modello collaborativo, orizzontale e un approccio inclusivo del sapere. Se nel libro stampato la selezione avviene a monte della produzione e vale una volta per tutte, nel digitale questa “scelta” è condotta prevalentemente a valle, in chiave collaborativa e in una dimensione di continuità ed apertura che segna un’importante novità per l’apprendimento e l’insegnamento. Lo abbiamo visto osservando le pratiche di scrittura collaborativa tramite lo strumento di Google Drive dove la partecipazione, l’interazione e lo scambio diventano parte integrante del documento, informazioni che si aggiungono alla risorsa che si intende sviluppare. È difficile, e secondo i più pessimisti è addirittura impossibile far dialogare una scuola ancora centrata e concentrata sulla cultura della stampa con ciò che il mondo oggi offre e che si basa sempre più su architetture dell’informazione pienamente integrate con il digitale e con le logiche reticolari. Progettare le attività didattiche introducendo sapientemente strumenti digitali certamente crea le condizioni perché un simile impianto venga posto in discussione. Ma naturalmente lo strumento digitale di per sé non può attribuirsi nessuna capacità di migliorare la scuola se non c’è chi è pronto ad utilizzarlo e valorizzarlo sapientemente. Mettere gli studenti nelle condizioni di conoscere e operare, dunque apprendere grazie alle tecnologie oggi a disposizione è fondamentale e tale affermazione non può essere intesa come un tributo scontato alla retorica sulla “nuove tecnologie”: indica, invece, una necessità vitale, quella di calibrare (o ricalibrare) la formazione istituzionale in rapporto all’obiettivo di far maturare competenza e consapevolezza in chi è destinato a entrare in un mondo del lavoro sempre più complesso, aperto, dinamico. Non è solo un problema di modalità di trasmissione, in gioco c’è una questione più profonda, che chiama all’appello la logica stessa della trasmissione. Al punto che, forse, la stessa parola “trasmissione” rischia di perdere di senso e mordente. Le competenze digitali devono entrare nel quadro dell’offerta formativa della scuola. E ancor prima devono essere un punto di forza degli stessi insegnanti. Non si tratta di essere costantemente aggiornati sull’ultimo dispositivo di grido o avere totale conoscenza dei software adottabili, si tratta prima di tutto di essere consapevoli di ciò che le tecnologie digitali possono offrire alla didattica, sul piano della produzione e non solo della riproduzione del sapere. Come hai visto, scrivere, correggere, riscrivere, modificare, salvare sono azioni che non procedono in forma lineare, una volta che le riambienti nello spazio digitale e di rete. Come hai visto, mettere nella nuvola dei documenti non significa porli fuori gioco ma al contrario renderli disponibili. Come hai visto, comporre un testo non è una pratica che può coinvolgere un solo individuo per volta, al contrario se la attui in rete scopri che più soggetti possono collaborare contemporaneamente alla stessa composizione. Infine, come hai visto la scrittura e la correzione non sono azioni necessariamente distinte ed affidate ad individui distinti. Insomma, se usi Google Drive prima di tutto per te, per i tuoi bisogni e interessi e dopo anche per la tua azione didattica, sai che agire nel digitale significa operare in un mondo (e in un modo) che poco ha a che fare con il mondo (e il modo) tradizionale della scuola; sai che la cloud apre e non, invece, chiude possibilità per la didattica; sai che mettere a punto progetti che investano sulla tecnologia, non temendola ma al contrario accettandola come alleato, equivale a dare fiducia a te stesso e ai tuoi studenti. Certo, c’è bisogno di un reale e concreto intervento sulle competenze digitali degli insegnanti. Al di là delle belle parole e dei tanti proclami appare evidente e urgente che si mettano gli insegnanti (e gli studenti) nelle condizioni di agire, attuando percorsi formativi mirati e orientati alla pratica vera e propria: quella che agisce “in situazione”, “sul campo”, imponendo che ci si sporchino le mani e che dunque si attuino i principi classici della pedagogia del learning by doing. A leggere certe inchieste giornalistiche sulla cosiddetta “scuola 2.0” e a riflettere sul tono prevalente appare chiaro che il passato, recente o meno, del rapporto fra digitale e didattica ha totalizzato una serie di buchi nell’acqua. Certo, esistono realtà virtuose, gruppi e singoli insegnanti e dirigenti che facendo leva sul digitale puntano ad un serio e concreto processo di innovazione della scuola, delle sue attività e dunque anche del suo clima. Di conseguenza la realtà positiva che si manifesta è a macchia di leopardo mancando un intervento sistematico di innovazione capace di muovere e coinvolgere il sistema nel suo complesso, e in particolare la sua parte più arretrata e restia a mettersi in movimento. Con questo non si intende giustificare l’idea di imporre un modello unico di approccio e uso delle tecnologie digitali nei diversi spazi didattici, ma far maturare l’esigenza di mettere tutti, insegnanti e studenti, nelle condizioni di fruire di una connessione veloce, di utilizzare concretamente anche nel lavoro quotidiano di classe i dispositivi digitali, di progettare e gestire la didattica includendovi questa tecnologia. Si tratta di creare i presupposti perché si faccia rete, ossia ci si senta inviati e sollecitati a mettere in circolo le singole esperienze maturate, i progetti realizzati, gli errori commessi, i risultati raggiunti così da creare esperienza condivisa, cioè una miniera di informazioni preziose per tutti gli attori in gioco. Tra i vantaggi della rete c’è proprio la possibilità di imparare assieme gli altri, attraverso gli altri. Non sono parole ad effetto, ma realtà di fatto. Basta scorgere come agiscono tutti quegli insegnanti che in rete condividono e pubblicano le loro esperienze, il loro lavoro e le attività che svolgono. Sono i casi di Anna Rita Vizzari insegnante di Lettere nella scuola secondaria di primo grado a Sestu, che nel blog del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive descrive l’uso didattico di Prezi; della ricca esperienza professionale di Emanuela Zibordi, già citata qui, in particolare attorno ai testi digitali adottati e sviluppati a scuola; dell’intenso lavoro dedicato alla scrittura digitale da Antonietta Casano, insegnante di Lettere al Comprensivo 1 di Frosinone; di Agnese Addone, maestra presso l’Istituto Comprensivo Lante della Rovere di Roma, che racconta l’esperienza didattica con i bambini attraverso l’uso di Twitter; dell’attività didattica di Rosalinda Ieardi, anche lei maestra della scuola primaria Giovanni Falcone – Istituto Comprensivo Argelato, Bologna, ed anche lei impegnata a far convivere digitale ed analogico in modo del tutto naturale, creando percorsi di apprendimento nuovi. L’elenco potrebbe continuare: e proprio perché è destinato a non esaurirsi ogni docente vi potrebbe essere incluso, se soltanto accettarsi di mettersi in gioco accettando il gioco del digitale. L’attuale fase di crisi economica certamente non favorisce un’intervento organico di rinnovamento didattico tramite il digitale e la rete. Né va ignorato che la sola presenza di tecnologia non garantisce automaticamente un pieno e positivo tilizzo delle sue potenzialità né va trascurato che l’idea, così difficile da smantellare, di ricorrere ad un laboratorio di informatica per fare le cose che abbiamo detto qui stride fortemente con la realtà attuale di un digitale che pervade tutte o quasi le manifestazioni del sapere, del comunicare, dell’intrattenere, dell’agire (e che entra in classe anche se tu non vuoi!). Difficile allora pensare ad uno spazio recintato, vissuto per un tempo limitato dell’orario scolastico complessivo e dedicato ipoteticamente alla promozione di una competenza intesa come settoriale e specialistica, quando invece essa stessa andrebbe approfondita e applicata su tutto o quasi il territorio di sapere sondato e attuato dalla scuola. Le risorse economiche, certo, hanno un loro peso in tutta questa faccenda ma è vero anche che la loro carenza non costituisce la ragione determinante della mancata virata verso il digitale da parte delle scuole. Prima di tutto manca una la consapevolezza della reale importanza delle competenze digitali degli insegnanti e degli studenti. E poi, talvolta, manca la necessaria lungimiranza negli impegni di spesa. Due sono le condizioni che debbono essere assicurate per un’adeguata promozione della scuola digitale: l’infrastruttura di rete e la disponibilità di attrezzature tecnologiche aggiornate per tutti. Dopo c’è, non può non esserci l’impegno personale di te docente, e, assieme ad esso, il desiderio di migliorare le condizioni del tuo lavoro nonché quello di far star meglio i tuoi allievi. Siamo così arrivati alla fine del discorso, che mi auguro corrisponda anche all’inizio di un altro discorso, quello del condividere idee ed esperienze attorno a Google Drive e alle sue prestazioni. Sarò contento, come primo autore dell’eBook che qui si chiude, ma lo saranno anche quanti hanno partecipato a questa “scrittura collettiva”, di essere un termine di riferimento per questa condivisione. Qui trovi la pagina Facebook della collana. Il mio profilo Twitter è @patassa e il mio indirizzo di posta elettronica è [email protected].