Impresa e Consumerismo - Università degli Studi di Milano

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Impresa e Consumerismo - Università degli Studi di Milano
Impresa e Consumerismo:
la comunicazione consumeristica
Aldo Spranzi
Working Paper n.20.2001 – dicembre
Dipartimento di Economia Politica e Aziendale
Università degli Studi di Milano
via Conservatorio, 7
20122 Milano
tel. ++39/02/76074534
fax ++39/02/76009695
E Mail: [email protected]
Pubblicazione depositata presso gli Uffici Stampa della Procura della Repubblica e della Prefettura di Milano
IMPRESA E CONSUMERISMO: LA COMUNICAZIONE
CONSUMERISTICA
Aldo Spranzi
Parte prima: il consumerismo e l’impresa
1. Consumerismo e pseudo-consumerismo
2. Il consumerismo aziendale: una contraddizione in termini?
3. Consumerismo è sinonimo di innovazione primaria
4. Il consumerismo aziendale: fattore strategico o tattico?
5. Il consumerismo aziendale non figura nella letteratura sulla strategia d’impresa. Perche?
6. Per un cambiamento della cultura aziendale nei confronti del consumerismo
7. Il consumerismo aziendale esiste, e ha mostrato di essere per chi se ne serve un formidabile
fattore di successo di lungo periodo. Il caso Leclerc e il caso dell’innovazione nel marketing
dell’arte
Parte seconda: la comunicazione di una strategia consumeristica
8. La comunicazione dell’impresa che ha adottato una strategia consumeristica
9. Comunicazione consumeristica e comunicazione trasgressiva: si assomigliano ma non sono
parenti
1
Parte prima: il consumerismo e l’impresa
1. Consumerismo e pseudo-consumerismo
Nella moderna economia l’efficienza dei mercati garantisce generalmente una effettiva sovranità
del consumatore, che ingiustamente si considera intaccata dai diffusi fenomeni di consumismo,
che sono in realtà espressione di libere scelte dei consumatori, quindi proprio della loro
sovranità.
In realtà esistono circostanze strutturali, poco visibili se non invisibili, che da posizioni remote
insidiano in misura sostanziale quella sovranità del consumatore che certamente si può, con le
dovute eccezioni, considerare realizzata se si trascurano i fattori strutturali ora evocati.
Di cosa si tratta? Si tratta di inefficienze, rendite, distonie, di malformazioni strutturali situate a
monte dei mercati sui quali le imprese operano, che possono impunemente operare e produrre i
loro effetti perversi perché da un lato non vengono percepite dai consumatori, dall’altro sono
protette da equilibri che nessuno ha interesse a mettere in discussione. Le protegge anche la
convinzione, confusa ma forte, che si tratti di inevitabili inefficienze strutturali, non eliminabili
perché situate a monte dei mercati, sui quali soltanto può utilmente esercitarsi lo sforzo di
ottimizzazione; distonie inaccessibili all’azione del mercato, quindi solo eccezionalmente
vulnerabili.
Queste distonie occulte, intoccabili, mettono in discussione la sovranità del consumatore in modi
e misure diversi da quanto fa l’inefficienza dei mercati, ivi inclusa la scarsa trasparenza e (ma si
tratta di una circostanza sopravvalutata) la limitata razionalità del consumatore. Un esempio
significativo può essere quello dell’impossibilità della massa dei consumatori di accedere all’arte
a causa delle modalità di fruizione previste dalla cultura artistica ufficiale, di cui diremo più in
dettaglio più avanti; un difetto strutturale riconducibile a un complesso di fattori remoti, e reso
invulnerabile dalla situazione di rendita in cui opera l’industria culturale al riparo dalle insidie
del mercato.
Ciò posto, definiamo consumerismo quelle azioni, soprattutto se organizzate in politiche e
strategie, con le quali si cerca di colpire le distonie situate a monte dei mercati, mirando in tal
modo a modificazioni strutturali del sistema sociale - economico, giuridico, amministrativo,
politico, culturale, eccetera - nel quale quelle distonie sono radicate, per produrre un
miglioramento sostanziale della sovranità del consumatore.
Gli agenti del consumerismo sono numerosi – agenzie governative, forze sociali quali i
movimenti dei consumatori, forze politiche, eccetera. In questa sede interessano le azioni
consumeristiche messe in atto dalle imprese per il perseguimento del profitto.
Parleremo invece di pseudo-consumerismo per indicare quelle azioni volte solo apparentemente
a modificare circostanze estranee ai mercati, in realtà semplici strumenti delle politiche di
immagine attuate dalle imprese nei mercati in cui operano.
Perché “pseudo-consumerismo”, perché questa dizione svalutativa con riferimento agli sforzi di
migliorare la sovranità del consumatore nell’ambito o ai margini del funzionamento del mercato?
Per il semplice motivo che si tratta di espedienti volti a migliorare l’immagine dell’impresa
costruendo un look consumeristico, o fornendo servizi superflui imposti da processi di trading
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up connessi al prevalere della non-price-competition. L’impresa finge di dare al consumatore –
ai propri clienti o alla massa dei consumatori – qualcosa che non sarebbe tenuta a dare, come ad
esempio l’educazione alimentare o le sponsorizzazioni culturali. Che così sia è dimostrato dal
fatto che le imprese eccellenti si sottraggono a questo meccanismo
Lasciamo dunque da parte lo pseudo-consumerismo e concentriamo l’attenzione sul
consumerismo, su quelle azioni cioè che in caso di successo modificano in misura sostanziale la
sovranità del consumatore, agendo su circostanze lontanissime dal mercato sul quale l’impresa
opera.
2. Il consumerismo aziendale: una contraddizione in termini?
Il consumerismo aziendale sembrerebbe essere una contraddizione in termini, dato che, secondo
una percezione diffusa del fenomeno, solo o principalmente dall’azione delle imprese la
sovranità del consumatore viene messa in pericolo. Nelle vesti di paladino della sovranità del
consumatore l’impresa non riesce proprio a entrare. Non per nulla il termine consumerismo è
generalmente associato a una difesa del consumatore dallo strapotere e da comportamenti
scorretti delle imprese, a un atteggiamento ostile nei confronti dell’impresa.
In realtà per vedere l’impresa nei panni del consumerismo è sufficiente configurare una
convenienza economica che la spinga a svolgere un tale ruolo. Deve trattarsi, certo, di una
convenienza particolarmente forte per indurla a spingersi lontanissimo dal proprio business, una
prospettiva che le consenta di farvi ritorno ricca di vantaggi competitivi (sul mercato in cui
opera) sostanziali e duraturi.
3. Consumerismo è sinonimo di innovazione primaria
Per cogliere l’intima essenza del consumerismo bisogna aver presente che esso è sinonimo di
innovazione primaria1: la scorreria dell’impresa fuori dal proprio ambito, fino a raggiungere
mete lontanissime, è resa possibile dalla realizzazione di un’innovazione primaria - in grado per
definizione di scardinare assetti strutturali fino a questo momento stabili – o dall’adozione di
un’innovazione primaria concepita da altri, alla quale l’impresa dà attuazione.
4. Il consumerismo aziendale: fattore strategico o tattico?
L’interrogativo posto è pleonastico: quanto detto in precedenza, la stessa definizione del
fenomeno fanno del consumerismo un’azione genuinamente strategica. Si può dire, senza
esagerare, che non esiste azione aziendale che sia – ci si passi l’espressione non proprio elegante
– strategica quanto il consumerismo, più strategica del consumerismo. Il consumerismo, definito
come sopra, ha in sé, nel massimo grado, tutti i requisiti che connotano un comportamento
strategico.
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Distinzione tra innovazione primaria e secondaria
3
5. Il consumerismo aziendale non figura nella letteratura sulla strategia
d’impresa. Perché?
Il consumerismo, dicevamo, rappresenta la frontiera più avanzata della strategia aziendale, la sua
configurazione paradigmatica, la sua versione più audace, ma di esso i testi di strategia non
parlano. Il caso Leclerc è un caso da manuale di strategia consumeristica, ma i manuali di
strategia, che dovrebbero metterlo in tutta evidenza, lo ignorano. Perché?
Si potrebbe rispondere che il consumerismo – anzi: la strategia consumeristica – sono ignorati
perché non fanno parte della cultura dell’impresa; ma a una tale risposta dà sùbito il cambio
un’altra domanda: perché la cultura d’impresa rifiuta – dato che di un rifiuto si tratta – di
prendere in considerazione la prospettiva consumeristica? In fondo il consumerismo aziendale
non è un fantasma: qualcuno, come Leclerc, l’ha fatto diventare realtà; una realtà che ha
garantito a questo gruppo distributivo successi strepitosi per molti decenni. E dunque?
La spiegazione più plausibile sta nel fatto che la cultura d’impresa è ripiegata sui mercati sui
quali le imprese operano, e sul contesto – istituzionale, economico, ecc. – che condiziona quei
mercati, mentre il consumerismo consiste in una ‘fuga’ da mercati e contesto di mercati, in una
scorreria in spazi lontani, dalla quale però si fa ritorno al proprio mercato con elementi decisivi
di successo competitivo.
Una spiegazione aggiuntiva, e complementare, riguarda la rarità dei casi di innovazione primaria
utilizzati in senso consumeristico da imprese. I casi sono pochissimi, erratici e soprattutto
irripetibili. L’innovazione primaria è eccezionale, originale, discontinua, un unicum. Nei
pochissimi casi in cui si manifesta rimane chiusa in se stessa, in si diffonde, perché l’innovazione
primaria, per definizione, si sottrae ai meccanismi di diffusione tramite l’imitazione.
Probabilmente – ma non abbiamo elementi empirici che suffraghino questa ipotesi –
l’atteggiamento culturale del mondo delle imprese nei confronti del consumerismo è
responsabile di una elevata mortalità di innovazioni primarie atte a essere utilizzate in senso
consumeristico. In altri termini, un cambiamento nell’atteggiamento delle imprese farebbe
aumentare la casistica, e imporrebbe un’attenzione che oggi manca del tutto.
6. Per un cambiamento della cultura aziendale nei confronti del
consumerismo
Ha senso proporre che la cultura d’impresa si apra al consumerismo considerato come
un’opportunità strategica straricca di vantaggi competitivi duraturi e libera dalle insidie
dell’imitazione?
La casistica, si diceva è esigua, e composta da ‘pezzi unici’ che sembra siano stati donati alle
imprese dal caso. Si tratta di vedere se un cambiamento nell’atteggiamento delle imprese – e
degli studi di management che tramite la formazione su quell’atteggiamento influiscono –
trasforma l’innovazione consumeristica in un meccanismo strategico che può essere costruito e
padroneggiato dalle imprese e sottratto ai comportamenti erratici del caso. In secondo luogo
bisogna rendersi conto pienamente della barriera altissima rappresentata dalla resistenza a uscire
dal proprio business, e dal relativo contesto, per spostarsi su terreni estranei e lontanissimi, nei
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quali vige una diversa professionalità. Una autentica rivoluzione culturale perché viene messa in
discussione non tanto una generica inerzia ma la stessa identità culturale.
Sul primo punto non è ardito affermare che, se appena l’impresa cambia il proprio
atteggiamento, prende in considerazione e cerca di far proprie le opportunità strategiche offerte
dal consumerismo, deve prendere atto che, proprio come avviene per le altre specie di
innovazione strategica, esiste un ricco campionario di opportunità a disposizione delle imprese
che sono in grado di coglierle.
Se appena ci si guarda intorno, ci si accorge che la società è straordinariamente ricca di
situazioni (a) pregiudizievoli per la sovranità del consumatore; (b) su cui è possibile intervenire
con azioni di tipo consumeristico; (c) col risultato di far ritorno al proprio mercato con elementi
che consentono vantaggi competitivi sostanziosi e duraturi.
Per individuare le opportunità strategiche di tipo consumeristico non occorre poi sforzarsi così
tanto: i vuoti creati dalle distonie strutturali da aggredire parlano, a volte urlano: si deve solo
essere disposti ad ascoltare la loro voce. Inoltre, non solo si fanno sentire, ma indicano anche la
strada per eliminarli: c’è una segnaletica, a volte vistosa, che può guidare alla meta. Ma occorre
aprirsi a questa problematica, e attrezzarsi per capirla e per piegarla alle convenienze strategiche
delle imprese.
Non è tutto: si può dimostrare che le (pochissime) innovazioni consumeristiche realizzate sono
prodighe di insegnamenti e di suggerimenti.
Ciò nega il carattere casuale dell’innovazione consumeristica, che non viene dal Cielo ma può
essere costruita in modi non molto dissimili da quelli con cui si costruiscono le altre strategie
aziendali. Se vogliamo tenere in campo il Caso, possiamo dire che esso non è poi così anarchico:
dobbiamo cercarlo, renderlo familiare e convincerlo a collaborare.
Resta il punto cruciale dell’apertura al consumerismo da parte della cultura d’impresa. Spetta
alla ricerca universitaria, con i suoi meccanismi di formazione manageriale, proporre al
management delle imprese un’apertura al consumerismo, con adatti argomenti che non è difficile
costruire, a partire da un esame approfondito della casistica esistente.
Del resto una domanda imprenditoriale di consumerismo esiste, nel comparto ad esempio della
cooperazione di consumo: per le imprese della cooperazione, che sono nate e possono competere
solo in quanto realizzano una missione consumeristica, si tratta di un’esigenza vitale.
Più in generale, la strategia consumeristica può diventare, nei comparti del largo consumo, il
tratto dominante dell’eccellenza.
7. Il consumerismo aziendale esiste, e ha mostrato di essere per chi se ne serve
un formidabile fattore di successo di lungo periodo. Il caso Leclerc e il caso
dell’innovazione nel marketing dell’arte.
Per teorizzare la strategia consumeristica è sufficiente analizzare a fondo pochi casi. Ne
rammentiamo due: il primo è quello realizzato da Leclerc a partire dagli anni 50; il secondo
riguarda un’innovazione primaria nel marketing dell’arte, che può essere adottata da una
molteplicità di tipologie d’impresa. In quest’ultimo caso l’innovazione non è stata ancora
5
adottata da un’impresa, ma ai fini del chiarimento della problematica consumeristica è come se
lo fosse stata.
Sul ‘fenomeno Leclerc’, come viene definito, c’è un’ampia documentazione nella stampa
specializzata della distribuzione commerciale, francese soprattutto. Si può inoltre vedere L.
CHAVANE, Le phénomène Leclerc, Plon, Paris, 1986; M.E.LECLERC, La fronde des caddies,
Plon, Paris, 1994. Sull’utilizzazione consumeristica dell’innovazione nel marketing dell’arte si
veda A.SPRANZI, L’innovazione nel marketing dell’arte, Rapporti di ricerca di ‘Sinergie’,
CUEIM, Verona, 2001.
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Parte seconda
La comunicazione di una strategia consumeristica
8. La comunicazione
consumeristica
dell’impresa
che
ha
adottato
una
strategia
Le strategie consumeristiche danno luogo a una comunicazione aziendale totalmente differente
dalle forme di comunicazione relative a strategie non consumeristiche.
Le peculiarità della comunicazione consumeristica sono numerose, e possono essere così
sintetizzate:
sono anzitutto dominate dalla trasgressività che connota la strategia consumeristica, intesa come
denuncia e aggressione di una inefficienza o rendita gravemente lesive degli interessi dei
consumatori, consentite dalla tacita accettazione di chi le potrebbe mettere in discussione. Il
consumerismo è un comportamento trasgressivo perché l'impresa che lo attua esce dal proprio
ruolo, entra in campi estranei al suo, alterando in certo senso in tal modo il gioco competitivo,
anche se nell'interesse dei consumatori. Questa trasgressività che caratterizza la comunicazione
consumeristica non ha nulla a che vedere, vedremo nel prossimo paragrafo, con la trasgressività
di facciata diffusa soprattutto in alcune industrie.
La trasgressività che caratterizza l'intima natura del consumerismo si traduce in una aggressività
delle politiche di marketing che a sua volta si trasferisce nella comunicazione. Siamo di fronte
dunque a una comunicazione caratterizzata non solo da una violenza eccezionale, a volte
inaudita, ma soprattutto di natura diversa dall'aggressività delle politiche e della comunicazione
non consumeristiche. Per capire questa differenza bisogna aver presente che l'aggressione
consumeristica prende le mosse dalla denuncia di uno scandalo. Si può dire che la
comunicazione consumeristica è 'scandalistica', se il termine non è usato in senso spregiativo. Va
tenuto presente che l'aggressione consumeristica non ha mai per oggetto il comportamento delle
imprese concorrenti, ma quello di industrie o istituzioni esterne all'ambito nel quale l'impresa
opera.
La comunicazione consumeristica è tutta volta a mettere in evidenza la battaglia intrapresa per la
tutela degli interessi dei consumatori, lo scandalo sollevato, per dare l'immagine di un'impresa
che si fa carico, al di là dei suoi compiti istituzionali, di interessi generali e sostanziali dei
consumatori. Ma fondamentale è che il consumerismo paga se l'impresa che lo pratica è in grado
di far sperimentare ai consumatori vantaggi concreti e non marginali prodotti dall'azione
consumeristica. Un consumerismo che non sia propositivo e che non sia in grado di mostrare i
frutti che produce, un consumerismo parolaio, è controproducente.
Un altro connotato della comunicazione consumeristica, che discende dalla natura di questa
strategia, è il suo respiro di lungo periodo.
Se la strategia consumeristica ha successo, e l'impresa riesce a mantenerla viva e ad alimentarla
nel lungo periodo, produce un forte impatto sulla massa dei consumatori, sull'opinione pubblica,
perché lo scandalo suscitato si trasferisce sui media. Ciò significa che una parte consistente della
comunicazione consumeristica è a costo zero per l'impresa. Un impatto straordinariamente forte
con un costo di comunicazione eccezionalmente basso. Le battaglie consumeristiche di Leclerc
7
non necessitano di essere comunicate con la pubblicità perché sono tutti i giorni oggetto di
notizia e di dibattito sui media, un dibattito interessante per i consumatori perché hanno per
oggetto i loro concreti e immediati interessi.
La comunicazione consumeristica non consente l'imitazione, per il semplice motivo che le
battaglie consumeristiche non sono imitabili. Ciò significa maggiore efficacia e minor costo della
comunicazione.
9. Comunicazione consumeristica
assomigliano ma non sono parenti
e
comunicazione
trasgressiva:
si
La trasgressività in campo economico ha tante facce e tanti significati. C'è anzitutto quella
trasgressività che caratterizza la comunicazione di un'impresa che non ha alcuna pretesa di
contestazione di valori e di situazioni strutturali sfavorevoli ai consumatori, ma che è solo
evocatrice di uno stile spregiudicato di vita, di consumo, per uno scopo di differenziazione
dell'immagine dell'impresa. E' significativo che trovi applicazione in settori, come quello della
moda, nei quali c'è una grande sensibilità a elementi vagamente allusivi, genericamente
simbolici.
Tutt'altra cosa, abbiamo visto, anche dal punto di vista della comunicazione, la trasgressività
rivoluzionaria del consumerismo. E' la contestazione puntuale, concreta, di un ordine che
penalizza ingiustamente il consumatore, e che si accompagna alla proposta di un ordine nuovo
che al consumatore rende giustizia. E' il marchio distintivo di un consumerismo non di facciata,
nominale, che non contesta e non fa proposte. La trasgressività dura del consumerismo punta allo
scandalo nella sua accezione più positiva; non è fastidiosa, o repellente, e stimola i consumatori a
verificarne la giustezza. In certo senso accusa l'ordine che contesta di essere trasgressivo nei
confronti di un ordine giusto, ritorcendo l'accusa dell'avversario.
La trasgressività del consumerismo non è anarchica, né confusionaria, neanche generica: ha
obiettivi precisi e concreti ed è dominata da una profonda positività. Perciò dal punto di vista
della comunicazione la trasgressività del consumerismo dà luogo a messaggi di una violenza e di
una efficacia inaudite, anche perché è in grado di dotare i propri messaggi di elementi di prova
concreti che sottopone al giudizio dei consumatori.. La comunicazione trasgressiva che non
appartiene al consumerismo è imitabile, costosa, ed esprime un modo di essere del conformismo.
8
La serie dei Working Papers del Dipartimento di Economia Politica e Aziendale può essere richiesta al seguente
indirizzo: Sezione Working Papers - Dipartimento di Economia Politica e Aziendale - Università degli Studi di Milano,
Via Conservatorio 7 - 20122 Milano - Italy - fax 39-02-76009695 - Email: [email protected]. A partire dal numero
98.01, i working papers sono scaricabili dal sito Internet del dipartimento, all’indirizzo:
http://www.eco-dip.unimi.it/index1.htm
The Working Paper Series of the Dipartimento di Economia Politica e Aziendale can be requested at the following
address: Sezione Working Papers - Dipartimento di Economia Politica e Aziendale - Università degli Studi di Milano,
Via Conservatorio 7 - 20122 Milano - Italy - fax 39-02-76009695 - Email: [email protected]. From number 98.01,
working papers are downloadable from the Internet website of the Department at the following location:
http://www.eco-dip.unimi.it/index1.htm
Papers già pubblicati/Papers already published
94.01 - D. CHECCHI, La moderazione salariale negli anni 80 in Italia. Alcune ipotesi interpretative basate sul
comportamento dei sindacati
94.02 - G. BARBA NAVARETTI, What Determines Intra-Industry Gaps in Technology? A Simple Theoretical
Framework for the Analysis of Technological Capabilities in Developing Countries
94.03 - G. MARZI, Production, Prices and Wage-Profit Curves:An Evaluation of the Empirical Results
94.04 - D. CHECCHI, Capital Controls and Conflict of Interests
94.05 - I. VALSECCHI, Job Modelling and Incentive Design: a Preliminary Study
94.06 - M. FLORIO, Cost Benefit Analysis: a Research Agenda
94.07 - A. D’ISANTO, La scissione di società e le altre operazioni straordinarie: natura, presupposti economici e
problematiche realizzative
94.08 - G. PIZZUTTO, Esistenza dell’ equilibrio economico generale: approcci alternativi
94.09 - M.FLORIO, Cost Benefit Analysis of Infrastructures in the Context of the EU Regional Policy
94.10 - D.CHECCHI - A. ICHINO - A. RUSTICHINI, Social Mobility and Efficiency - A Re-examination of the
Problem of Intergenerational Mobility in Italy
94.11 - D.CHECCHI - G. RAMPA - L. RAMPA, Fluttuazioni cicliche di medio termine nell’economia italiana del
dopoguerra
95.01 - G. BARBA NAVARETTI, Promoting the Strong or Supporting the Weak? Technological Gaps and
Segmented Labour Markets in Sub-Saharan African Industry
95.02 - D. CHECCHI, I sistemi di assicurazione contro la disoccupazione: un'analisi comparata
95.03 - I. VALSECCHI, Job Design and Maximum Joint Surplus
95.04 - M. FLORIO, Large Firms, Entrepreneurship and Regional Policy: "Growth Poles" in the Mezzogiorno over
Forty Years
95.05 - V. CERASI - S. DALTUNG, The Optimal Size of a Bank: Costs and Benefits of Diversification
95.06 - M. BERTOLDI, Il miracolo economico dei quattro dragoni: mito o realtà?
95.07 - P. CEOLIN, Innovazione tecnologica ed alta velocità ferroviaria: un'analisi
95.08 - G. BOGNETTI, La teoria della finanza a Milano nella seconda metà del Settecento: il pensiero di Pietro
Verri
95.09 - M. FLORIO, Tax Neutrality in the King-Fullerton Framework, Investment Externalities, and Growth
95.10 - D. CHECCHI, La mobilità sociale: alcuni problemi interpretativi e alcune misure sul caso italiano
95.11 - G. BRUNELLO - D. CHECCHI , Does Imitation help? Forty Years of Wage Determination in the Italian
Private Sector
95.12 - G. PIZZUTTO, La domanda di lavoro in condizioni di incertezza
95.13 - G. BARBA NAVARETTI - A. BIGANO, R&D Inter-firm Agreements in Developing Countries. Where?
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95.14 - G. BOGNETTI - R. FAZIOLI, Lo sviluppo di una regolazione europea nei grandi servizi pubblici a rete
96.01 - A. SPRANZI, Il ratto dal serraglio di W.A. Mozart. Una lettura non autorizzata
96.02 - G. BARBA NAVARETTI - I. SOLOAGA - W. TAKACS, Bargains Rejected? Developing Country Trade
Policy on Used Equipment
96.03 - D. CHECCHI - G. CORNEO, Social Custom and Strategic Effects in Trade Union Membership: Italy 19511993
96.04 - V. CERASI, An Empirical Analysis of Banking Concentration
96.05 - M. FLORIO, Il disegno dei servizi pubblici locali dal socialismo municipale alla teoria degli incentivi
96.06 - G. PIZZUTTO, Piecewise Deterministic Markov Processes and Investment Theory under Uncertainty:
Preliminary Notes
96.07 - I. VALSECCHI, Job Assignment and Promotion
96.08 - D. CHECCHI, L'efficacia del sistema scolastico in prospettiva storica
97.01 - I. VALSECCHI, Promotion and Hierarchy: A Review
97.02 - D. CHECCHI, Disuguaglianza e crescita. Materiali didattici
97.03 - M. SALVATI, Una rivoluzione copernicana: l'ingresso nell'Unione Economica e Monetaria
97.04 - V. CERASI - B. CHIZZOLINI - M. IVALDI, The Impact of Deregulation on Branching and Entry Costs in
the Banking Industry
97.05 - P.L. PORTA, Turning to Adam Smith
97.06 - M. FLORIO, On Cross-Country Comparability of Government Statistics:OECD National Accounts 1960-94
97.07 - F. DONZELLI, Pareto's Mechanical Dream
98.01 - V. CERASI - S. DALTUNG, Close-Relationships between Banks and Firms: Is it Good or Bad?
98.02 - M. FLORIO - R. LUCCHETTI - F. QUAGLIA, Grandi e piccole imprese nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno:
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