Segnali ed onde - Dipartimento di Fisica
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Capitolo 6 Segnali ed onde 6.1 Analisi di un segnale I sistemi materiali da quelli più semplici a quelli più complicati comunicano attraverso segnali. Un esempio di segnale è la variazione nel tempo di una grandezza fisica, nel caso più semplice una grandezza fisica scalare come una differenza di potenziale. Si può chiamare segnale anche la risposta di uno strumento di misura alla variazione della grandezza fisica alla quale esso è sensibile. Ad esempio il dinamometro a strain gauge di cui abbiamo parlato trattando di elasticità dei materiali, genera una tensione che dipende linearmente dalla forza ad esso applicata. Se questa è variabile nel tempo si dice che il dinamometro genera un segnale V (t) suscettibile di essere misurato, registrato ed elaborato. Più in generale la risposta di un apparato o di un sistema materiale ad una perturbazione esterna è un tipo di segnale, anche se l’apparato non è necessariamente realizzato come uno strumento di misura. L’oscillazione di un edificio sotto l’azione di una scossa sismica è un segnale le cui propriet,̀ ad esempio l’ampiezza delle oscillazioni verticali, dipendono dal sistema stesso e dalla causa che le ha provocate, i movimenti della crosta terrestre. Le oscillazioni dell’edificio segnalano queste proprietà e dallo studio dell’andamento di quelle oscillazioni è possibile, almeno in 1 2 linea di principio, acquisire conoscenza del fenomeno che le ha provocate. Per fissare le idee, nel seguito conviene immaginare un particolare tipo di segnale, ad esempio quello legato alla ricezione di un suono. Questo, come vedremo, consiste in una variazione della pressione dell’aria e l’orecchio genera in ultima analisi un segnale nervoso che corrisponde alla sensazione auditiva. Identificheremo spesso il segnale col suono stesso, ossia l’effetto con la causa, per semplificare l’esposizione. Ci proponiamo nella prima parte di questo capitolo di introdurre dei metodi molto generali per descrivere un segnale ossia per compierne una analisi. Per semplicità, supponiamo che il segnale sia rappresentabile da una grandezza scalare dipendente solo dal tempo. Il segnale è dunque rappresentato da una funzione s(t) che ha una certa durata T . 6.1.1 Principio di sovrapposizione Nel seguito supporremo sempre segnali che godono delle seguenti proprietà: siano dati due segnali (suoni) che provocano separatamente le risposte (auditive) s1 (t) , s2 (t) allora, se i suoni vengono percepiti contemporaneamente il segnale risultante è s(t) = s1 (t) + s2 (t) Chiameremo questa proprietà principio di sovrapposizione. Essa è sicuramente valida per segnali che consistono in piccoli spostamenti da una posizione di equilibrio. Inoltre consideriamo che un segnale possa essere moltiplicato per una costante c e che il risultato cs(t) sia ancora un segnale valido. 6.1.2 La schematizzazione di un segnale Un segnale, ad esempio un suono, è dunque una perturbazione che viene osservata per una durata T . Prima e dopo il segnale può esserci stato o esserci ancora, ma se non viene osservato non rientra nella descrizione che vogliamo fare. Anzi nulla vieta di fissare il segnale arbitrariamente al di fuori dell’intervallo T . Si potrebbe ad esempio assumere che il segnale sia nullo quando non lo abbiamo osservato. Risulta però più conveniente assumere che il segnale sia periodico di periodo T , ossia si ripeta uguale alla porzione di segnale effettivamente osservato, per tutti gli intervalli di durata T precedenti e seguenti l’intervallo di misura. In figura il segnale vero è rappresentato con la linea continua e le copie negli intervalli adiacenti sono tratteggiate. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 3 6.1.3 Decomposizione di un segnale Caratterizzare un segnale equivale quindi a descrivere una qualunque funzione periodica. In ogni ambito, in particolare in quello che ci interessa di piú ossia nello studio dei fenomeni fisici e/o biologici, esistono concetti e grandezze che possono essere studiate con questo metodo. Per svilupparlo abbiamo bisogno di un vocabolario che sia in qualche modo tratto dal contesto delle funzioni periodiche. Tra le funzioni periodiche che hanno periodo T sono particolarmente facili il seno ed il coseno, di periodo T che conosciamo dal nostro studio dell’oscillatore armonico. Il periodo è ovviamente legato al numero di oscillazioni che capitano in un secondo, cioè alla frequenza tramite f = 1/T : 2π 2π t) cos( t) T T Anche la funzione costante uguale ad 1 è ovviamente periodica di periodo T . In base al principio di sovrapposizione la somma di queste tre funzioni (eventualmente ciascuna moltiplicata per un numero): sin( 2π 2π t) + b1 sin( t) (1.1) T T è un suono, anche se ancora non è chiaro come questo fatto si adatti alla sensazione fisiologica del fenomeno. Conviene pensare alle tre funzioni distinte, la funzione costante 1, e le funzioni Seno e Coseno come le prime tre “parole” del nostro vocabolario. Lasciamo perdere per il momento la funzione costante e concentriamoci sulle altre due. Se facciamo un grafico con l’asse dei tempi normalizzato a T , ossia riportando sull’asse orizzontale la grandezza x = t/T , troviamo due figure, nell’intervallo [0, 1], s(t) = a0 + a1 cos( F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 4 che rappresentano rispettivamente una oscillazione completa del seno e del coseno: Ma allora è semplice “arricchire” il nostro vocabolario di funzioni periodiche, basta considerare lo stesso tipo di funzioni, seni e coseni, ma fargli compiere più di un’ oscillazione. Le funzioni precedenti avevano una frequenza f1 = 1 T Se consideriamo frequenze multiple di questa, la funzione trigonometrica seno o coseno, di frequenza fk = kf1 = k 1 T compie nell’intervallo (0, T ) k oscillazioni. Nella figura si mostrano in alto ed in basso i grafici del seno e del coseno delle prime quattro frequenze. Seguendo la procedura di prima ed il principio di sovrapposizione avremo allora che una qualunque somma del tipo s(t) = a0 + X k=1 ak cos(k X 2π 2π t) + bk sin(k t) T T k=1 F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 (1.2) 5 è ancora un suono, anche estendendo le somme ad un numero infinito di elementi. Con il vocabolario delle funzioni armoniche nell’intervallo (0, T ) possiamo allora sintetizzare una grande varietà di suoni (segnali) caratterizzati da una durata T . Qui interviene un importante risultato matematico: il teorema di Fourier: Una qualunque funzione periodica di periodo T si può esprimere tramite una somma del tipo (1.2). La somma si chiama serie di Fourier della funzione. Se conosciamo la funzione s(t) è relativamente facile, anche se a noi non servirà mai, trovare analiticamente i coefficienti ak , bk : Z 1 T a0 = s(t)dt T 0 Z 2 T 2π ak = s(t) cos(k t)dt T 0 T Z T 2π 2 s(t) sin(k t)dt b0 = T 0 T Per il momento, notiamo solo che a0 è la media del segnale ed è quindi nulla per segnali che nel periodo sono tanto positivi che negativi. Possiamo allora interpretare la (1.2) dicendo che ogni segnale osservato per un tempo T è la somma di coppie seno/coseno, ognuna con frequenza fk = k/T . (k = 0 corrisponde alla costante). Dalla esperienza fatta con l’oscillatore armonico sappiamo che la somma sovrapposizione di seno e coseno rappresenta la legge oraria generale del moto di un oscillatore armonico per cui possiamo dire che la somma realizza la decomposizione (analisi) del segnale in oscillatori armonici elementari di frequenze multiple della frequenza più bassa f = 1/T . Torneremo più avanti su questo punto. Spettro in frequenza di un segnale La (1.2) ha una proprietà molto importante dal punto di vista fisico. Sappiamo che in un’oscillazione armonica l’energia è proporzionale al quadrato dell’ampiezza. L’energia media contenuta nel segnale è allora proporzionale a Z 1 T E= s(t)2 dt T 0 Calcolando il quadrato s(t)2 dalla (1.2) si vede facilmente che nell’integrale precedente danno contributo non nullo solo i termini in quadratura ossia risultanti dal prodotto della stessa funzione armonica con la stessa frequenza come ad esempio: 2π 2π cos(k t) · cos(k t) T T F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 6 e tutti gli altri hanno integrale nullo. D’altra parte il valor medio sul periodo del quadrato di una funzione seno o coseno è 1/2 per cui l’energia risulta: E = a20 + 1X 2 (ak + b2k ) 2 (1.3) k Es.1 Verificare, applicando la definizione di valore medio di una funzione nell’intervallo (0, T ): f = 1 T T Z f (t)dt 0 che il valor medio sul proprio periodo del coseno quadrato o del seno quadrato è 1/2. Fare anche il grafico di una oscillazione completa del seno quadrato e del coseno quadrato. Calcolare anche il valor medio sul periodo T della funzione f (t) = sin( 2π 2π t) cos( t) T T Ricordando che per ogni oscillatore x = a cos(ωt) + b sin(ωt), il quadrato dell’ ampiezza è proprio a2 + b2 vediamo che la relazione precedente dice che l’energia è immagazzinata in ognuno degli oscillatori e che l’energia totale è la somma delle energie di ogni singolo oscillatore. La formula precedente è la decomposizione dell’energia nelle componenti armoniche. Si dice anche che ogni termine esprime una componente spettrale e l’insieme dei termini si dice spettro energetico del segnale. Veniamo finalmente al significato delle frequenze che compongono un segnale sonoro: fisiologicamente ogni frequenza corrisponde a quello che in musica si chiama una nota pura. La (1.2) significa quindi che ogni suono si può considerare come una somma di note. La 1.3) dice invece che l’intensità totale E è la somma delle intensità di ogni singola nota. 6.1.4 Campionamento e discretizzazione Dal punto di vista pratico non è possibile conoscere un segnale per tutti i tempi 0 < t < T e, reciprocamente, non è possibile determinare gli infiniti coefficienti ak e bk . Occorre quindi adattare la teoria precedente al calcolo che si fa in concreto quando si registra un segnale. Dire che il teorema di Fourier “funziona” equivale a verificare che, all’aumentare del numero di frequenze usate, l’approssimazione della somma trigonometrica (1.2) migliora sempre di più. Per essere precisi se facciamo la differenza fra un segnale teoricamente noto s(t) e la somma di Fourier fino alla frequenza fN = N/T , l’energia immagazzinata nei rimanenti oscillatori, con frequenze maggiori, può essere resa piccola quanto si vuole, pur di scegliere N abbastanza grande. Questo significa che se ci accontentiamo di approssimare il segnale con una certa precisione possiamo limitarci ad un numero finito di termini. Naturalmente, se vogliamo una precisione maggiore il numero di termini deve aumentare. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 7 Generalmente nelle scienze sperimentali l’osservazione dei sistemi materiali comporta la misura di grandezze che definiscono lo stato del sistema, ad esempio il livello di glicemia nell’arco di una giornata quando si è interessati al ciclo quotidiano del metabolismo degli zuccheri. Detta g(t) la funzione che rappresenta il livello di glicemia, comunemente espresso in milligrammi di glucosio per decilitro di sangue venoso, si può collegare ad un vaso periferico un apparecchio che ad intervalli regolari di tempo (ad esempio ogni minuto) misura, tipicamente con metodi colorimetrici la grandezza in questione e la registra. Si dice che viene effettuato un campionamento regolare della grandezza di interesse ed il risultato che si ottiene è un insieme finito di valori del segnale, ad esempio uniformemente intervallati fra loro. Per formalizzare matematicamente la situazione, supponiamo che il nostro sistema di campionamento ci permetta di registrare N misure in un tempo T , l’intervallo fra loro, detto intervallo di campionamento sia ∆t = T T ' N −1 N L’ultima approssimazione sfrutta il fatto che normalmente N 1 e l’inverso dell’intervallo di campionamento si chiama frequenza di campionamento fc : 1 N fc = = ∆t T Essa rappresenta quante misure al secondo vengono effettuate. Es.2 Un sistema di acquisizione dati registra per T = 2 s, un segnale, usando una frequenza di campionamento costante di 20 kHz. Quante misure vengono effettuate in tutto? Quanto vale l’intervallo di tempo tra una misura e l’altra?. Se il segnale è periodico con una frequenza di 60 Hz, quanti campioni vengono acquisiti per ogni periodo del segnale? In corrispondenza di ogni osservazione del segnale, di durata T , avremo N valori del segnale s1 , s2 , s3 ...sN che sono, rispettivamente le registrazioni ai tempi t1 , t2 = t1 + ∆t, ....tN = T . Ad esempio, per l’holter glicemico1 da cui siamo partiti il periodo di osservazione T è un giorno e alla frequenza ipotizzata si ottengono alla fine 1440 misure. Se ora usiamo le misure si per calcolare i coefficienti della somma di Fourier, quanti coefficienti ak e bk riusciamo ad ottenere? La risposta è semplice: se abbiamo N numeri possiamo al massimo determinare N coefficienti. In effetti, se scriviamo la serie di Fourier per i valori di t in cui abbiamo fatto le misure otteniamo un grande (per N grande) sistema di equazioni lineari in cui i termini noti sono le misure, i coefficienti sono i 1 Il termine holter indica uno strumento che misura una certa grandezza fisiologica nell’arco delle ventiquattro ore. Il nome deriva da quello del fisico americano Jeff Holter che costruı̀ per primo un apparecchio in grado di registrare l’elettrocardiogramma di un soggetto durante l’attività di una intera giornata. Oggi viene usato moltissimo in ambito clinico per fini diaqnostici e prognostici. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 8 valori di seno e coseno nei tempi ti e le incognite sono i coefficienti ak e bk . Esistono degli algoritmi di calcolo numerico estremamente efficienti per risolvere questo tipo di sistemi (algoritmi FFT Fast Fourier Transform) che forniscono il risultato. Immaginiamo per semplicità che N sia dispari, del tipo N = 2n + 1. Contiamo le frequenze che in questo modo possiamo analizzare: per ogni frequenza abbiamo i due coefficienti ak e bk (e poi abbiamo il termine costante a0 ). Quindi se effettuiamo N = 2n + 1 misure al massimo riusciamo ad ottenere le frequenze fino ad n = (N − 1)/2 ' N/2. Scrivendo esplicitamente le frequenze: fk = kf1 = k 1 T fmax = N 1N fc f1 = = 2 2T 2 ossia la massima frequenza analizzata è pari alla metà della frequenza di campionamento. Consideriamo ad esempio un suono udibile. La massima frequenza udibile è di circa 20 kHz. Quindi se voglio conoscere le componenti di un segnale sonoro nell’intervallo di udibilità devo campionare almeno al doppio di questa frequenza. La massima frequenza ottenibile (significativa) è la metà della frequenza di campionamento (teorema di Nyquist). Inoltre, la più piccola frequenza analizzata è 1/T per cui se sono interessato a segnali che hanno interessanti componenti a frequenze basse devo registrare per un tempo T pari almeno all’inverso della più bassa frequenza interessante. Un esempio tratto dalla fisiologia umana è l’influenza della frequenza respiratoria che è di qualche decimo di Hz sul ritmo cardiaco. La presenza di questa influenza si ritrova nel segnale che rappresenta il ritmo cardiaco in funzione del tempo. Se voglio analizzare una frequenza di un decimo di Hz devo almeno registrare il segnale per 10 secondi. La durata del campionamento fissa anche la spaziatura tra le frequenze analizzate che è ancora 1/T . Infatti le frequenze analizate sono multipli della frquenza più bassa e, quindi la differenza tra due frequenze vicine è proprio uguale alla frequenza f = 1/T . Se sono interessato ad uno spettro che varia in un intervallo ristretto ∆f occorre che il tempo di osservazione sia grande rispetto all’inverso di questa struttura dello spettro: T 1 ∆f Sommario Ripercorriamo questa parte sulla analisi di segnale sintetizzando i punti essenziali. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 9 • Nell’analisi di un segnale siamo spessissimo interessati a sapere come l’energia del segnale è distribuita fra le varie frequenze (dette spesso modi, per ricordare i modi di vibrazione degli oscillatori). Ogni oscillatore ha un’energia proporzionale a EK = a2k + b2k Se riportiamo in un grafico (per punti o unendo i punti con delle linee) le quantità En in funzione di n/T (le frequenze) otteniamo quello che si chiama lo spettro del segnale. L’analisi che stiamo conducendo si chiama anche analisi spettrale. • Se dobbiamo misurare un segnale che ha componenti importanti a grandi frequenze, che cioè può variare molto rapidamente, dobbiamo aumentare la frequenza di campionamento. Se, ad esempio, vogliamo registrare un suono a 10000 Hz dobbiamo usare una frequenza di campionamento di almeno 20000 Hz. • La differenza fra una frequenza e la successiva è df = 1 T e non possiamo sperare di determinare una frequenza con precisione maggiore: quindi se vogliamo una misura con maggiore precisione dobbiamo aumentare il tempo di misura T . Inoltre, se vogliamo misurare un suono bassa frequenza (suono tipico per animali di grosse dimensioni), ad esempio 10 Hz, dobbiamo usare delle registrazioni che durino più di un decimo di secondo. 6.2 Onde progressive Vogliamo adesso introdurre il problema della propagazione di un segnale, vale a dire della situazione in cui il segnale s(t) presente in un certo punto dello spazio influenza i punti vicini e dopo un certo tempo si ritrova in punti diversi più o meno esattamente riprodotto. A questo scopo consideriamo una situazione molto generale in cui il segnale si propaga in un mezzo macroscopico che occupa una certa regione dello spazio e che presenta una condizione di equilibrio ossia uno stato che si mantiene costante se non viene perturbato. Ad esempio, la superficie di uno specchio d’acqua ha una posizione di equilibrio in cui il liquido è orizzontale, oppure l’aria in una stanza ha uno stato di equilibrio in cui la densità o la pressione sono uniformi. In questo contesto un segnale è una perturbazione in questo stato di equilibrio e, come osserviamo se gettiamo un sasso in un punto dello stagno o battiamo le mani in un punto della stanza la perturbazione, ossia l’onda sulla superficie dell’acqua o il suono nell’aria della stanza, si propaga ai punti vicini del mezzo e da quelli a quelli loro vicini e cosı́ via. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 10 Individuiamo dunque ogni punto del mezzo in cui si ha la propagazione del segnale con un sistema di coordinate. Per semplicità ci occuperemo del caso unidimensionale e quindi i punti del mezzo sono individuati da una sola coordinata x. A seconda del sistema fisico effettivo, uno scostamento dall’equilibrio è descritto da una qualche grandezza s. Descrivere la presenza di una perturbazione nel mezzo equivale a considerare lo scostamento dall’equilibrio s(x) nel punto individuato dalla coordinata x. s(x) = 0 corrisponde alla condizione di equilibrio in cui o la perturbazione non è arrivata nel punto considerato o è già passata e il sistema è tornato all’equilibrio. La grandezza s può essere, a seconda del sistema sotto esame, uno spostamento, come nel caso della altezza dell’acqua rispetto al piano di equilibrio, una variazione di pressione, come per l’aria, etc. Se si fa una fotografia istantanea dello scostamento dall’equilibrio la funzione s(x) dà il profilo della variazione lungo tutto il corpo. Ad esempio la superficie dell’acqua potrebbe essere spostata in un certo istante dalla posizione di equilibrio s = 0 nel modo rappresentato in figura. Se la fotografia viene ripetuta ad un istante successivo la perturbazione può essere cambiata. In questo caso se consideriamo un certo punto di coordinata x lo scostamento osservato è diverso dall’istante precedente. In altre parole la grandezza s(x) dipende dal tempo. Questa possibilità è espressa dicendo che s è una funzione sia della posizione sia del tempo e si scrive simbolicamente come: s = s(x, t) Un caso particolarmente importante, perché molto generale, si ha quando la perturbazione, che in questo caso si chiama onda progressiva, si sposta mantenendo invariata la sua forma, ad esempio viaggiando progressivamente2 nel verso positivo delle x. Ciascun punto della perturbazione viaggia con la stessa velocità v e la funzione risulta traslata dopo un tempo t della distanza vt. Vediamo ora che un modo semplice per scrivere l’onda viaggiante è di usare una funzione dell’argomento x − vt: 2 Animazioni di questo genere di movimento nel caso 1-Dimensionale e in casi più complicati si trovano in rete. Ad esempio la PennState University ha un sito dedicato alle animazioni di sistemi fisici ed esempi di propagazione di onde si trovano a http://rt210.sl.psu.edu/phys anim/waves/indexer waves.html. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 11 s(x, t) = f (x − vt) (2.4) Consideriamo in effetti un dato valore del segnale, ad esempio il massimo. All’istante t = 0 questo corrisponde ad un certo punto del mezzo, cioè ad una coordinata x = x, ad esempio a x = 1 m. Ora, una funzione assume il valore massimo per un certo valore del suo argomento, comunque questo sia scritto, quindi nella (2.4) il massimo si ha per tempi t 6= 0 quando l’argomento è x − vt = x. Quindi, trascorso un tempo t il massimo si è spostato nella posizione x = x + vt. Il ragionamento è valido per tutti i punti della perturbazione che dunque si sposta nel modo desiderato. Se cambiamo segno alla velocità otteniamo un’onda regressiva che si sposta nella direzione negativa delle x: s(x, t) = g(x + vt) Ripetiamo che le onde che stiamo descrivendo sono abbastanza generali ma hanno una particolarità: come è chiaro dalla presentazione la funzione f (x) che stiamo considerando è sempre la stessa, quindi al passare del tempo l’onda (il segnale) ha sempre la stessa forma, semplicemente trasla e come si usa dire non si ha “dispersione”. Si potrebbe, più in generale, avere una situazione, del resto più realistica, in cui, ad esempio, il segnale si attenua. Tuttavia, come ormai abbiamo appreso in Fisica si iniziano a studiare sistemi particolarmente semplici che descrivono le proprietà essenziali degli oggetti reali e si aggiungono dettagli alla descrizione solo quando è strettamente necessario. Riassumendo questa parte, diciamo che noi considereremo nel seguito solo il caso di segnali che descrivono piccoli spostamenti dall’equilibrio, per i quali, come più volte riscontrato, si ha una struttura lineare, cioè la somma di due segnali è ancora un segnale dello stesso tipo etc. Quindi possiamo dire che la generica propagazione di un segnale (senza dispersione) è scrivibile nella somma di un’onda progressiva e di una regressiva s(x, t) = f (x − vt) + g(x + vt) (2.5) Siccome le funzioni f e g sono completamente arbitrarie stiamo descrivendo un’amplissima classe di segnali. Consideriamo nel prossimo paragrafo una particolare classe di questi segnali strettamente legati ai moti armonici. 6.2.1 Onde semplici (frequenza e lunghezza d’onda) Nella sezione precedente abbiamo descritto come un segnale “fotografato” all’istante iniziale, si possa evolvere nel tempo. Possiamo considerare lo stesso fenomeno da un altro punto di vista: se fissiamo la nostra attenzione su un dato punto del mezzo, individuato dalla coordinata x, come varia il segnale? Consideriamo per il momento solo le onde progressive. Dalla F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 12 (2.4) discende che in un dato punto, ossia a fisso x, si ha una “arbitraria” variazione nel tempo, determinata implicitamente dalla forma iniziale di s(x, t = 0). Ad esempio, se consideriamo un’onda superficiale progressiva nell’acqua e prendiamo un punto P sulla superficie, prima che la perturbazione inizi a interessare quel punto lo scostamento s(P ) è nullo. Poi, il fronte dell’onda investe il punto la cui quota sul livello di equilibrio inizia a salire, raggiunge il massimo, poi inizia a discendere e torna nella condizione di equilibrio quando la perturbazione è passata. Quindi, lo spostamento nella posizione del punto P risulta una funzione s(t) del tempo il cui andamento è fissato dalla forma f dell’onda progressiva. D’altra parte sappiamo anche dell’inizio di questo capitolo che una qualunque funzione f (t) può essere descritta da una somma (serie) di funzioni trigonometriche. Quindi, siamo indotti a studiare la propagazione di perturbazioni derivanti da moti armonici semplici, ossia da onde descritte da seni e coseni. Consideriamo dunque che, ad esempio nell’origine sia posta una sorgente che genera una perturbazione armonica ad una pulsazione ω = 2π/T e che per le proprietà del mezzo essa si sposti nella direzione dell’asse x positivo alla velocità v. È evidente che in queste condizioni la perturbazione che rilevo all’istante t nel punto di coordinate x è la stessa che avevo all’istante t − x/v nella posizione x = 0. In formule: s(x, t) = f (t − x ) v la quale, come si capisce raccogliendo nell’argomento di f −v è dello stesso tipo (f (x − vt)) che abbiamo scritto in (2.4). La figura mostra in quattro istanti separati da un periodo T la propagazione dell’onda progressiva che si muove con velocità v = 1 m/s generata dalla sorgente posta in x = 0 e che produce una perturbazione sinusoidale. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 13 Quantitativamente questo significa che in x = 0 ho una perturbazione che al passare del tempo varia come: s(0, t) = A sin( 2π t) T e nello stesso istante t ho nel punto x la perturbazione che si trovava nella sorgente (a x = 0) all’istante t − x/v e che si è spostata alla velocità v verso destra, ossia: 2π x 2π 2π (t − )) = A sin( t − x) (2.6) T v T vT Dal secondo membro risulta chiaro che se facciamo una fotografia del segnale a tempo fisso il termine contenente t diventa un numero, ossia una fase e otteniamo una funzione sinusoidale periodica in x, con periodo spaziale λ = vT (vedi figura). La lunghezza λ è manifestamente la distanza percorsa dal segnale (esempio da un suo massimo che si muove con velocità v verso destra) in un periodo T e prende il nome di lunghezza d’onda. Possiamo anche, al posto del periodo, ossia il tempo necessario a compiere una oscillazione completa, fare intervenire la frequenza f = 1/T dell’onda progressiva e scrivere la relazione ta lunghezza d’onda e frquenza come: s(x, t) = A sin( λ= v f (2.7) Un modo alternativo per scrivere la onda progressiva sinusoidale consiste nell’includere nei parametri il fattore 2π e scrivere: A sin(2π( t x − )) = A sin(ωt − kx) T λ dove con ω = 2π/T si indica la frequenza angolare e con k = 2π/λ il cosiddetto vettore d’onda. Es.3 Si scriva l’espressione che descrive un onda sinusoidale di lunghezza d’onda λ = 40 cm e ampiezza A = 15 cm che si sposta con velocità v = 3.2 m/s nella direzione delle x positive. Si calcoli la frequenza f dell’onda. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 14 Vediamo nel seguito alcune conseguenze della propagazione di un onda progressiva. 6.2.2 Intensità La propagazione del segnale può o meno essere associata ad uno spostamento di materia. Ad esempio, in un onda sonora ossia una perturbazione della densità/pressione di un mezzo (l’aria) che viene generata in una zona e successivamente si propaga ai punti vicini, non si ha uno spostamento della massa di aria da un punto all’altro. Ciò che viaggia è la perturbazione delle grandezze che definiscono lo stato dell’aria. Si può definire l’energia della perturbazione e il moto della perturbazione è sempre associato ad un trasporto di energia. Quindi le onde trasportano energia ed è questo che rende questo meccanismo di propagazione estremamente importante per la trasmissione dei segnali. Per concretezza consideriamo il caso di un’onda piana del tipo (2.6), in cui s(x, t) rappresenta in effetti lo spostamento, con ampiezza A della massa del mezzo in cui l’onda si propaga. Fissiamo l’attenzione su una sezione dell’onda di superficie di base S ortogonale alla direzione di propagazione. Mentre l’ onda si propaga con velocità v, la massa coinvolta nell’oscillazione in un tempo dt è quella contenuta in un cilindro di area S, la sezione trasversale dell’onda, ed altezza vdt, cioè dm = ρSvdt, dove ρ è la densità del mezzo. Come sappiamo un moto oscillatorio di una massa dm ha energia 1 1 dE = dmω 2 A2 = ρSvdtω 2 A2 2 2 quindi nel tempo dt viene trasferita una energia dE attraverso la superficie S. Si chiama intensità dell’onda l’energia trasferita al secondo e per metro-quadro la quale si ottiene dalla precedente dividendola per S e per dt: dE 1 I= = ρvω 2 A2 (2.8) Sdt 2 F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 15 e si misura in Watt per metro quadrato (W/m2 ).Torneremo nel seguito su questa relazione tra intensità e ampiezza A della perturbazione in alcuni casi particolari di propagazione ondulatoria. 6.2.3 Effetto Doppler Abbiamo visto che una sorgente posta in un punto dello spazio può dare origine ad un’onda sinusoidale progressiva, ad esempio nella direzione delle x positive, secondo la relazione: s = A sin(ωt − kx) Supponiamo che all’istante t = 0 un osservatore fermo in un punto x riveli il massimo dell’onda, ossia in quell’istante il punto x sia attraversato dall’onda al suo massimo valore. Ci si domanda dopo quanto tempo egli percepisce il massimo successivo? Dato che l’onda viaggia con velocità costante v ci aspettiamo che il tempo necessario sia quello che impiega l’onda a percorrere il tratto λ (lunghezza d’onda) che separa i due massimi: t= λ λ 1 = = =T v λf f avendo usato la (2.7). Quindi l’osservatore percepisce una successione di massimi separati dal periodo T , ossia con una frequenza f uguale a quella emessa dalla sorgente. La situazione cambia se l’osservatore si muove rispetto alla sorgente. Consideriamo che l’osservatore che percepisce il massimo quando è nella posizione x si stia muovendo verso la sorgente con velocità costante V . Stavolta incontrerà il massimo successivo dopo un tempo t quando questo avrà percorso la distanza λ−V t. Poiché la velocità di propagazione dell’onda è v questo accade dopo un tempo: t= λ−Vt v e, risolvendo rispetto a t: t= 1 v 1 1 λ = = V +v f (V + v) f 1+ v V La frequenza percepita è l’inverso di t ossia: v f0 = f 1 + c ed è più alta di quella che percepisce l’osservatore fermo, come è intuitivo considerando che muovendosi verso la sorgente egli intercetta un numero maggiore di massimi in un dato tempo. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 16 È facile anche vedere che anche se la sorgente si avvicina muovendosi, con velocità V verso l’osservatore fermo questi misura una frequenza più alta di quella emessa. In effetti se al tempo t = 0 la sorgente emette un segnale massimo, il successivo massimo lo emetterà al tempo T = 1/f pari ad un periodo di oscillazione e ciò avverrà in un punto più vicino all’osservatore della quantità V T , quando il primo massimo avrà percorso la distanza vT e cosı̀ via per il successivo. All’osservatore giungono in successione massimi separati dalla distanza: λ0 = vT − V T e che si muovono a velocità v; il tempo t che separa l’arrivo di un massimo dal successivo è: t= λ0 v−V =T v v ciò che corrisponde ad una frequenza: f0 = 1 1 = t T 1 1− V v = f 1− V v e anche in questo caso l’avvicinamento sorgente-osservatore si risolve in un aumento della frequenza misurata f 0 . In tutti i casi la f è la frequenza emessa dalla sorgente nel proprio sistema di riferimento. Es.4 Mostrare, seguendo il ragionamento svolto sopra, che per un osservatore fermo una sorgente in allontanamento che emette una frequenza f viene percepita come f 0 = f /(1 + v/c), ossia come una frequenza più bassa. Mostrare anche che se la sorgente è ferma ed l’osservatore si allontana la frequenza misurata è f 0 = f (1 − v/c) Riassumendo tutti i casi in un unica formula si ha: f0 = f v + VO v − VS dove si è indicato con VO la velocità dell’osservatore rispetto all’onda presa come positiva se esso va incontro all’onda e VS la velocità della sorgente rispetto all’onda, presa come positiva se essa insegue l’onda. Effetto Doppler ed astronomia Christian Doppler propose nel 1842 l’effetto che poi ha preso il suo nome per giustificare la variazione del colore della luce emessa da stelle binarie durante il loro periodo di rotazione attorno al comune centro di massa. L’effetto non ha un origine relativistica e presuppone solo che la velocità di propagazione sia costante in un mezzo (all’epoca di Doppler non era accertato neppure che la luce si propagasse per via ondulatoria anche nel vuoto) e non che sia la stessa in tutti i sistemi di riferimento ad esempio se il mezzo in cui avviene la propagazione si muove. Consideriamo per semplicità di osservare sulla Terra una coppia di stelle in orbita una rispetto all’altra nel piano di osservazione. Quando le stelle F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 17 sono in posizione diametralmente opposta rispetto alla direzione di osservazione una si muove verso l’osservatore e l’altra in allontanamento da esso. La luce proveniente dalle due stelle appare spostata (shifted) verso frequenze più alte (blue-shifted) per la stella che si avvicina o verso frequenze più basse (red-shifted per la stella che si allontana. Periodicamente lo spostamento tra le due stelle si inverte cosa che permette di valutare il periodo di rotazione e, basandosi sulla forza di gravitazione, la massa delle stelle. Dal punto di vista sperimentale ciò che si osserva è appunto lo shift delle frequenze. Nel seguito si indicherà con c la velocità della luce e con V la velocità della sorgente, cioè della stella. Considerando, ad esempio la stella in allontanamento si ha f 0 = f /(1 + V /c) da cui si ricava: V 0 f c e, la stella in avvicinamento mostra uno spostamento verso il blu della stessa entità. Lo spostamento percentuale è dunque: ∆f = f 0 − f = − ∆f V ' f c che è abbastanza piccolo dato che la velocità delle stelle è in rapporto con quella della luce. Tuttavia, la precisione delle misure spettroscopiche permette di vedere senza troppe difficoltà lo spostamento di una riga spettrale intensa. Es.5 Mostrare che, partendo dalla relazione λf = c per piccoli spostamenti Doppler vale: ∆λ ∆f V = ' λ f c Es.6 La prima riga Balmer Hα dell’idrogeno ha una lunghezza d’onda che,misurata da un osservatore fermo rispetto alla sorgente, è pari a λ0 = 656.3 nm. La stessa riga, osservata nella luce di una stella appare ad una lunghezza d’onda di 657.0 nm. La stella si sta avvicinando o allontanando dall’osservatore? Calcolare la velocità della stella. In effetti, ciò che si misura è la componente della velocità della stella nella direzione di osservazione, la cosiddetta velocità radiale. L’effetto Doppler è stato impiegato in cosmologia anche per misurare la velocità di allontanamento reciproco delle galassie, la cosiddetta velocità di espansione dell’universo. La velocità di recessione risulta proporzionale alla distanza delle galassie secondo quella che è nota come legge di Hubble. Questa dice che la velocità di recessione è approssimativamente proporzionale alla distanza della galassia. vg = HD H è la cosiddetta costante di Hubble e oggi vale, in unità (non standard ma pratiche) circa 75(km/s)/M pc: una galassia che si trovi ad un M egaparsec F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 18 ossia ad una distanza di circa 3.26 milioni di anni luce recede ad una velocità di 75 km/s. Le galassie conosciute più distanti sono a circa 10 miliardi di anni luce ossia a distanze dell’ordine delle migliaia di megaparsec per le quali la velocità di recessione è dell’ordine di centomila chilometri al secondo, ossia un po’ più di un terzo della velocità della luce. La figura seguente mostra lo spettro di galassie a distanza crescente. Nello spettro è indicata con una lettera K la posizione della riga K del calcio ionizzato che ha una lunghezza d’onda di circa 393.3 nm. Essa appare come la prima di una coppia di righe più scura su un fondo chiaro (la seconda è probabilmente la riga H del calcio ionizzato a 396.9 nm, ma nella fonte della figura non è precisato). Gli ammassi di galassie mostrati sono a distanze3 di 15, 313, 347, 650 ed 831 Megaparsec e, come si vede lo shift delle linee è molto ben visibile. 6.3 Derivate parziali Seguendo il programma che ci siamo dati dall’inizio di questo corso, ci proponiamo di descrivere il fenomeno delle onde progressive in forma matematica, identificando le espressioni che abbiamo scritto con soluzioni di certe equazioni che coinvolgono la funzione incognita (lo scostamento s) ed eventualmente le sue derivate. Vorremmo in altre parole scrivere delle equazioni 3 Occorre dire che le incertezze su questi valori sono notevoli. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 19 differenziali che abbiamo come soluzione le onde progressive (ed eventualmente anche altre soluzioni). Nasce qui un problema. Come abbiamo visto le onde sono descritte da funzioni di più variabili. Nel caso più semplice che abbiamo visto, quello unidimensionale, la perturbazione dipende sia dalla posizione x lungo l’asse di propagazione, sia dal tempo t. Volendo scrivere delle equazioni differenziali che coinvolgono le onde occorre dunque estendere la nozione di derivata al caso di funzioni di più variabili. Lo facciamo trascurando di dimostrare le regole pratiche che enunceremo e limitando le definizioni alla sfera dell’intuizione. Come abbiamo visto dall’inizio del corso la operazione di derivata ci è servita per caratterizzare la variazione di una grandezza che dipende, ad esempio dal tempo (velocità) o dallo spazio (gradiente). Se una grandezza dipende da più variabili, ad esempio, come nel caso dell’onda, sia dal tempo che dallo spazio, siamo interessati a descrivere le variazioni della grandezza sia quando ci si sposta nel tempo che quando ci si muove nello spazio. Ad esempio, siamo interessati a sapere in un fissato punto x dello spazio quanto rapidamente varia la grandezza f (x, t) al passare del tempo. Questa informazione la si ottiene facendo la derivata rispetto al tempo della funzione f considerando costante la posizione x. Questa operazione prende il nome di derivata parziale rispetto a t e si indica con la scrittura: ∂f (x, t) ∂t Consideriamo per esempio la funzione: s(x, t) = at2 + bxt + x2 (3.9) dove a e b sono dei parametri costanti. La derivata parziale rispetto a t si calcola applicando le regole di derivazione note, considerando la variabile x come fissa, ovvero costante. La derivata è la somma delle derivate dei tre addendi. Nella primo addendo a è costante e si deriva t2 , nel secondo è costante il prodotto bx perché si considera fissa la x. Quindi c’è da derivare solo la t. Infine il terzo addendo ha derivata nulla perché dipende solo da x che è considerata fissa: ∂s(x, t) = 2at + bx ∂t Allo stesso modo si definisce e si calcola la derivata parziale rispetto ad x che dà informazione sulla variazione spaziale ad un tempo fissato. Essa si indica con la scrittura: ∂f (x, t) ∂x Es.7 Con la stessa funzione (3.9) si mostri che la derivata parziale rispetto ad x vale ∂s/∂x = bt + 2x F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 20 È evidente che le derivate parziali di funzioni di più variabili dipendono a loro volta dalle variabili di partenza. Come abbiamo visto nell’esempio la derivata parziale rispetto al tempo della (3.9) è, a sua volta, funzione di x e t. Quindi si può pensare di fare la derivata parziale sia rispetto a x che a t delle due derivate parziali prime, ottenendo tre derivate parziali seconde. Due si ottengono derivando due volte rispetto alla stessa variabile la funzione di partenza e la terza derivando prima rispetto ad una e poi rispetto all’altra (l’ordine con cui si procede per quest’ultimo caso è ininfluente e per questo le derivate parziali seconde sono tre e non quattro). La notazione per le tre derivate seconde è: ∂2f ∂x2 Es.8 ∂2f ∂t2 ∂2f ∂x∂t Verificare che per la funzione data nella (3.9) valgono le seguenti uguaglianze: ∂ 2 f /∂x2 = 2, ∂ 2 f /∂t2 = 2a, ∂ 2 f /∂x∂t = b e che l’ultimo risultato non dipende dall’ordine di derivazione, ovvero se si deriva prima rispetto a t e poi rispetto a x o viceversa. Per le derivate parziali valgono le regole di calcolo per le derivate ordinarie. In particolare, se si ha una funzione composta f (g(x, t)), la derivata parziale, ad esempio rispetto a t, si calcola facendo la derivata di f rispetto all’argomento g moltiplicato la derivata parziale di g rispetto alla sola t (considerando la x costante): ∂ df ∂g f (g(x, t)) = ∂t dg ∂t (3.10) Prendiamo ad esempio la funzione f (x, t) = sin(ωt − kx) ossia con f ≡ sin e g = ωt − kx. Applichiamo esplicitamente la regola (3.10): ∂ d ∂(ωt − kx) sin(ωt − kx) = ( sin(g)) = cos(g)ω = ω cos(ωt − kx) ∂t dg ∂t Es.9 Mostrare che ∂/∂x sin(ωt − kx) = −k cos(ωt − kx) 6.4 Equazione delle onde Dopo avere introdotto i parametri che descrivono la propagazione ondulatoria e la forma che hanno le onde progressive, dobbiamo capire se questo fenomeno è lo stesso che osserviamo in natura e se è possibile prevedere una propagazione di onde in un mezzo sulla base delle leggi fisiche che conosciamo (essenzialmente la meccanica Newtoniana). Come vedremo nel seguito del corso la formazione di onde non è limitata ai soli sistemi meccanici. Per capire quando un dato fenomeno produce dei segnali di tipo ondulatorio conviene scrivere le relazioni che descrivono le onde progressive, F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 21 sotto forma di equazioni differenziali, usando la nozione di derivata parziale descritta sommariamente sopra. Dimostreremo poi che da equazioni come quella di Newton si otterranno, per opportuni sistemi fisici, equazioni differenziali dello stesso tipo, che avranno come soluzione delle propagazioni ondose. La procedura per il primo obbiettivo è molto semplice. Consideriamo di nuovo le onde progressive di tipo f (x − vt). Per fissare le idee pensiamo alla f come alla funzione che descrive uno spostamento. Come funzione di x e t la f si può vedere come una funzione composta f (ξ(x, t)) dove ξ = x − vt. Applicando la regola di derivazione delle funzioni composte si trova per la derivata temporale di f : ∂f (ξ) df ∂ξ = = −vf 0 ∂t dξ ∂t ossia per le funzioni dell’argomento x − vt la derivata rispetto al tempo equivale a moltiplicarne la derivata ordinaria f 0 per −v e la funzione risultante dipende ancora dall’argomento ξ. Allora la derivata seconda rispetto al tempo (l’accelerazione del segnale) è semplicemente la derivata prima della derivata prima e si ottiene moltiplicando la derivata ordinaria della derivata prima (ossia la derivata seconda ordinaria) per −v: d df ∂2f = −v (−v ) = v 2 f 00 2 ∂t dξ dξ Con la stessa procedura si mostra che: ∂2f = f 00 ∂x2 (4.11) e dal confronto tra queste due si vede che la particolare dipendenza funzionale delle onde progressive da x e da t tramite l’argomento x−vt comporta che le derivate seconde rispetto alle due variabili stiano nella relazione 2 ∂2f 2∂ f = v ∂t2 ∂x2 Es.10 (4.12) Si verifichi, applicando la regola di derivazione la (4.11). La equazione (4.12) è detta equazione delle onde o equazione di d’Alambert. Ogni volta che una grandezza soddisfa l’equazione delle onde si ha propagazione ondulatoria del fenomeno descritto da quella grandezza. Inoltre, il parametro v 2 che compare nella equazione è il quadrato della velocità di propagazione. Es.11 Seguendo passo passo i calcoli fatti per l’onda progressiva f (x − vt), si dimostri che anche l’onda regressiva g(x + vt) soddisfa la (4.12). F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 22 L’equazione di d’Alembert è una equazione lineare, vale a dire che se ho due soluzioni f1 ed f2 anche la loro somma è una soluzione. Si potrebbe dimostrare poi che una qualunque soluzione della equazione delle onde può essere scritta come somma di un’onda progressiva (verso destra) e di un’onda regressiva (verso sinistra). ossia che la soluzione generale della equazione di d’Alembert è: s(x, t) = f (x − vt) + g(x + vt) Onde piane d’Alambert ha scritto l’equazione delle onde nella forma (4.12) in cui la grandezza dipende solo dalla coordinata x lungo la quale avviene la propagazione. Ciò significa che si descrivono perturbazioni in cui la grandezza non dipende dalle altre due variabili spaziali y e z ossia è costante sul piano yz. Per questo motivo questo particolare tipo di onde vengono chiamate onde piane. Visivamente si dovrebbe immaginare che su piani ortogonali all’asse x la funzione assume ad un dato istante lo stesso valore. Questi piani si chiamano fronti d’onda, un concetto che, con la stessa definizione, risulta utile, come vedremo più avanti anche nel caso di onde non piane.In effetti come è chiaro pensando al suono, sappiamo che la propagazione di un’onda avviene in generale nello spazio a tre dimensioni. La descrizione del caso generale è molto complicata dal punto di vista matematico. Come abbiamo fatto finora e come faremo nel seguito ci serviremo di casi particolarmente semplici per illustrare e studiare le proprietà di sistemi fisici che si realizzano anche in modo più complesso. Qui è appunto il caso delle onde piane che sono la realizzazione più semplice del fenomeno generale della propagazione ondulatoria. Resta ora da mostrare che esistono sistemi fisici per i quali l’equazione delle onde è una conseguenza delle leggi fisiche fondamentali sotto ipotesi che sono bene approssimate da casi realistici. Il caso più semplice di onda si ha attraverso una piccola perturbazione elastica di un mezzo macroscopico: lo spostamento dalla posizione di equilibrio è soggetto alle usuali forze di tipo elastico (modellizzate da molle). Si possono avere due casi: • Lo spostamento è lungo la direzione di propagazione, in questo caso si ha un’onda di compressione (detta di tipo longitudinale). • Lo spostamento dalla posizione di equilibrio è ortogonale alla direzione dell’onda. In questo caso si parla di onda trasversale. 6.4.1 Onde meccaniche trasversali: Corda vibrante Storicamente il sistema che ha dato origine allo studio dell’equazione d’onda da parte di d’Alambert è una corda tesa che può essere posta in vibrazione F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 23 se viene lasciata libera di muoversi dopo essere stata spostata dalla sua posizione di equilibrio. Un esempio concreto di questo sistema si trova negli strumenti musicali a corda. Mostriamo che, applicando le leggi della Meccanica, ad una corda elastica (trascurando la gravità che è una forza piccola rispetto alla tensione T ) si trova l’equazione (4.12). Consideriamo dunque una corda ideale (cioè con tensione T in modulo costante) che si trova in equilibrio quando giace lungo l’asse x. Sappiamo che se spostiamo la corda dalla sua posizione di equilibrio, ad esempio pizzicando la corda in un punto, le parti vicine della corda agiscono con forze elastiche che tendono a riportare il sistema all’equilibrio. D’altra parte per il terzo principio l’elemento di corda che ha subito la perturbazione iniziale esercita una forza uguale e contraria su ciascuna delle parti vicine della corda che, inizialmente ferme si mettono in moto causando la propagazione della perturbazione. Consideriamo in particolare un piccolo spostamento y in direzione trasversa rispetto all’asse di equilibrio della corda. Questo spostamento in generale sarà diverso da punto a punto: se x denota l’ascissa (punto della corda) si ha che lo spostamento è una funzione di x: y = y(x). Se poi lo spostamento varia col tempo, y è una funzione sia del punto x che del tempo t: y = y(x, t). Applichiamo le equazioni di Newton per un piccolo tratto di corda compreso fra x e x + ∆x. Se la corda è omogenea, la densità ρ è costante e nel tratto ∆x, se la corda ha sezione S c’è la massa: ∆m = ρS∆x Come si vede dalla figura la tensione della corda agisce agli estremi del tratto di corda in direzione tangenziale rispetto alla corda stessa. Come è noto, l’angolo che la tangente alla curva in un suo punto di ascissa x fa con la verticale è legato alla derivata, calcolata in x, della funzione y(x) che descrive la forma della curva. Indichiamo la derivata con la notazione ∂y/∂x = y 0 (x). Sempre con riferimento alla figura si ha: tan(α) = y 0 (x) tan(α0 ) = y 0 (x + ∆x) F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 24 Ora possiamo invocare le leggi fisiche e scrivere l’equazione fondamentale della meccanica ma = F per il tratto di corda in questione e nella direzione y: ∂2y ∆m 2 = Fy = T sin(α0 ) − T sin(α) ∂t Sfruttiamo ora il fatto che ci siamo proposti di studiare piccoli spostamenti della posizione di equilibrio. In questa ipotesi gli angoli sono piccoli e si possono sostituire i seni con le tangenti: ∂2y = Fy = T tan(α0 ) − T tan(α) = T (y 0 (x + ∆x) − y 0 (x)) ∂t2 Osserviamo ora che al secondo membro abbiamo l’incremento4 della funzione y 0 (x) quindi, vedi nota: ∆m ∂2y ∂2y = T ∆x ∂t2 ∂x2 e isolando la derivata seconda al primo membro si riscrive: ρS∆x ∂2y T ∂2y = ∂t2 ρS ∂x2 che è l’equazione di d’Alambert. Sulla corda tesa si propagano quindi onde trasversali con velocità di propagazione che cresce con la tensione e decresce con la densità e la sezione della corda.: s T v= ρS 4 Ricordiamo che l’incremento di una funzione f (x) è la differenza tra i valori della funzione in due punti separati dall’incremento ∆x della variabile indipendente. Ricordando la definizione di derivata come rapporto tra i due incrementi ∆f e ∆x vale, nel limite di ∆x piccoli: ∆f = f (x + ∆x) − f (x) ' f 0 (x)∆x F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 25 Es.12 La velocità su una corda tesa si può anche scrivere come: s v= T µ dove si è sostituito a ρS la densità µ per unità di lunghezza della corda che è una quantità spesso più facilmente misurabile che non la densità di volume e lo spessore. Si calcoli la velocità di un’onda su una corda di chitarra che ha una densità lineare di massa di 7 grammi per metro ed una tensione di 80 N. Energia trasportata da una corda elastica Abbiamo già considerato sopra la propagazione di energia durante la propagazione di un’onda armonica progressiva. Anche sulla corda vibrante non si ha un trasporto nella direzione x della massa del mezzo (la corda) sulla quale si propaga la perturbazione (lo spostamento trasversale). Quando la perturbazione è passata la corda torna, con la sua massa, nella posizione di equilibrio. Tuttavia in un punto della corda dove vi è la perturbazione si ha energia che in parte è energia cinetica, dovuta al fatto che la materia di cui è fatta la corda si sta muovendo (ha velocità) ed in parte al fatto che per effetto dello spostamento dall’equilibrio vi è una certa energia potenziale (come in una molla sotto trazione). La propagazione di queste grandezze (velocità e spostamento) da una regione all’altra della corda comporta dunque un trasferimento di energia da un punto all’altro. Un modo alternativo è di considerare il trasferimento di energia dalla sorgente al mezzo, analizzando la situazione di una corda tesa molto lunga ad una delle cui estremità viene imposto, da un meccanismo, un movimento trasversale di tipo oscillatorio armonico y(0, t) = A sin(ωt). La forza esercitata dalla corda sul motore nella direzione dello spostamento è uguale alla proiezione trasversale della tensione T della corda. Quindi con le notazioni del paragrafo precedente: Ty = T0 sin α ' T0 tan α = T0 ∂y ∂x e la forza Fy esercitata dal motore è, per il terzo principio, uguale ed opposta. La potenza trasferita dal motore alla corda è data dalla forza per la velocità trasversale: ∂y ∂y ∂x ∂t Ricordando la relazione vista sopra tra la derivata spaziale e quella temporale per una qualunque onda progressiva s = f (x − vt): W = Fy vy = −T0 ∂s = f0 ∂x ∂s = −vf 0 ∂t F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 26 per cui nel nostro caso ∂y 1 ∂y =− ∂x v ∂t e, con questa sostituzione si ha: T0 W = v ∂y ∂t (4.13) 2 (4.14) Ora, essendo per la corda elastica ρv 2 = T0 , si ottiene infine la potenza istantanea trasferita alla corda: W = ρvω 2 A2 cos2 (ωt) Il valor medio del coseno quadrato è 1/2 per cui si ha che la energia che in media fluisce per un punto della corda nell’unità di tempo vale, in accordo con la (2.8) : 1 W = ρvω 2 A2 2 6.4.2 Onde meccaniche longitudinali: modello di solido Trattando l’elasticità dei corpi abbiamo immaginato un modello di corpo solido costituito da piani reticolari collegati da molle. I primi rappresentano l’insieme regolare di atomi che costituiscono strato dopo strato il reticolo cristallino e le molle rappresentano la parametrizzazione dei legami interatomici tra i diversi strati. Considerando un solido di sezione trasversale S suddiviso in strati di spessore ∆x possiamo considerare ogni strato come una massa collegata agli strati adiacenti da molle di costante elastica k (vedi figura). Il meccanismo di propagazione della perturbazione è evidente. Se una delle masse viene spostata lungo l’asse del sistema, le molle ad essa collegate si deformano, una si allunga e l’altra si accorcia, Questo fa nascere sia delle forze sulla massa perturbata che tendono a riportarla nella posizione di equilibrio ma anche sulle masse poste alle estremità opposte delle molle. Queste masse, inizialmente ferme, sono soggette ad una forza che tende a metterle in moto, spostandole dalla posizione di equilibrio e la perturbazione inizia a propagarsi. È relativamente semplice descrivere quantitativamente il fenomeno descrivendolo tramite lo spostamento s(x) della massa m che F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 27 si trova nella generica posizione individuata dalla coordinata x. La massa è collegata dalle molle alle due masse di coordinate x − ∆x e x + ∆x i cui spostamenti sono s(x − ∆x) e s(x + ∆x). Il campo di deformazione è quindi in un dato istante descritto dalla funzione s(x). Questa a sua volta varia con il tempo. Consideriamo un corpo solido omogeneo di densità ρ e sezione trasversale S. Nello strato che in condizioni di equilibrio si trova tra le coordinate x e x + ∆x è contenuta la massa: m = ρS∆x sulla quel agiscono le forze dovute agli strati in contatto, che modellizziamo appunto con molle di costante elastica k. In condizioni di equilibrio lo strato a destra inizia nella posizione x+∆x e quello di sinistra inizia nella posizione x − ∆x. Se indichiamo con s(x) lo spostamento del mezzo che si trova all’equilibrio nel punto x, la deformazione del legame a destra della massa m è s(x + ∆x) − s(x) e quello a sinistra è deformato della quantità s(x) − s(x − ∆x). Quindi si può scrivere l’equazione del moto ma = F : m ∂2s ∂t2 ∂2s = k(s(x + ∆x) − s(x)) − k(s(x) − s(x − ∆x)) = ∂t2 ∂2s = k(s(x + ∆x) − 2s(x) + s(x − ∆x)) ' k 2 (∆x)2 (4.15) ∂x = ρS∆x L’ultima eguaglianza approssimata merita una spiegazione. Consideriamo i tre punti x, x + ∆x e x − ∆x Ricordiamo che per una funzione f (x) tra l’incremento e la derivata sussiste la relazione: f (x + ∆x) − f (x) ' f 0 (x)∆x f (x) − f (x − ∆x) ' f 0 (x − ∆x)∆x (4.16) e, facendo la differenza tra le due equazioni, si trova: (f 0 (x) − f 0 (x − ∆x))∆x ' f 00 (x)(∆x)2 = f (x + ∆x) − 2f (x) + f (x − ∆x) In conclusione, anche la perturbazione longitudinale nel solido soddisfa l’equazione d’onda: ∂2s k ∂2s = ∆x ∂t2 ρS ∂x2 Applicando le relazioni tra le molle in serie ed in parallelo avevamo dimostrato che la costante elastica k è collegata al modulo di Young E, che è, in principio, direttamente misurabile dalla deformazione che subisce il corpo sottoposto ad uno sforzo di trazione, dalla relazione: k= ES ∆x F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 28 e, infine sostituendo nella precedente si trova ∂2s E ∂2s = ∂t2 ρ ∂x2 da cui si ricava la velocità di propagazione delle onde meccaniche longitudinali in un solido: s E v= ρ Es.13 Il modulo di Young E del rame è circa 120 GPa. La densità del rame è 9g/cm3 . Calcolare la velocità di propagazione dei onde meccaniche longitudinali nel rame e confrontare il valore trovato con i dati reperibili in rete. In modo analogo si può dimostrare che in un solido si hanno anche oscillazioni trasversali con velocità s G vT = (4.17) ρ dove G è il secondo modulo di Young che descrive, come abbiamo visto in un capitolo precedente, la deformazione di un corpo soggetto a uno sforzo(shear) tangenziale (di taglio). In un solido E > G, quindi le onde trasversali hanno velocità minore di quelle longitudinali, di compressione. Es.14 Seguendo lo stesso procedimento usato per le onde longitudinali si dimostri che con il modello di solido come un insieme di molle in serie si ricava che per una perturbazione trasversale la velocità di propagazione è data dalla (4.17). Terremoti Un caso macroscopico di propagazione di onde meccaniche in un solido si ha nei terremoti. Il terremoto è una perturbazione meccanica che si propaga nella crosta terrestre e che può essere assimilata ad onde elastiche progressive legate a spostamenti trasversali e longitudinali. All’inizio del secolo scorso i geofisici impararono a distinguere nei tracciati sismografici due fasi: una fase primaria di attività del sismografo seguita a qualche decina di secondi di distanza da una fase secondaria. Ciò induceva a considerare che le due perturbazioni, che si erano originate nell’epicentro del sisma allo stesso istante, avessero viaggiato nella materia solida con velocità differenti. In effetti la prima fase è causata dalle onde longitudinali, dette P (primarie) e la seconda da onde trasversali, dette S (secondarie). Una proprietà molto interessante della Terra è che essa ha un nucleo liquido. In un liquido non sono possibili sforzi di taglio e quindi le onde secondarie non attraversano il nucleo della Terra e vengono riflesse. Dallo studio dei segnali generati da queste onde è stato possibile ricavare informazione sulle zone centrali del pianeta. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 29 6.5 Onde sonore Il suono è l’esempio più importante di onde meccaniche (longitudinali) che si propagano in un fluido. Il fluido, ad esempio l’aria in una stanza, ha uno stato di equilibrio in cui esso è fermo e la densità e la pressione sono le stesse in tutto il volume. Ci proponiamo di descrivere ancora il caso semplice di onda piana e, pertanto, consideriamo una direzione x di propagazione delle perturbazioni e consideriamo che lo stato del fluido possa dipendere solo dalla coordinata x. Per fissare le idee consideriamo uno strato del fluido compreso tra la cooordinata x e la coordinata x + h (vedi le linee continue verticali in figura): Una perturbazione dello strato di fluido consiste in uno spostamento s(x) del fluido diverso nei diversi punti (inomogeneo). Se il fluido che si trova nella posizione x si sposta della quantità s(x) e il fluido che si trova in x+h si sposta della quantità s(x+h), le nuove posizioni sono indicate dalle linee tratteggiate nella figura. La variazione di volume conseguente al diverso spostamento delle due zone del fluido comporta una variazione della densità e, quindi della pressione. Nasce un gradiente di pressione che tende a ripristinare la situazione di equilibrio, ma che agisce anche sugli strati vicini del fluido mettendoli in movimento e inducendo la propagazione della perturbazione. Per mostrare che anche in questo caso sussiste una equazione d’onda d’Alambertiana, consideriamo una sezione S del fluido mostrato in figura. La massa contenuta nel cilindro di fluido nella condizione di equilibrio in cui la densità è ρ0 vale: m = ρ0 Sh Nella situazione in cui il fluido si è spostato la densità è cambiata perché la massa è la stessa e il volume è cambiato. Se gli spostamenti sono piccoli possiamo considerare che la nuova densità sia quella vecchia più un incremento dρ (negativo se la densità diminuisce). Dato che la massa del fluido è sempre la stessa deve valere (vedi figura): ρ0 Sh = (ρ0 + dρ)S(h + s(x + h) − s(x)) e, semplificando e trascurando i termini che contengono il prodotto di dρ × s con le quantità piccole s si trova: hdρ = −ρ0 (s(x + h) − s(x)) = −ρ0 ∂s h ∂x e, semplificando h: dρ = −ρ0 ∂s ∂x F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 30 col che si è calcolato la variazione di densità dovuta allo spostamento che è il primo passo per la formazione dell’onda sonora. Il secondo passo è l’applicazione della legge di Newton F = ma all’accelerazione del centro di massa dello strato di fluido. A meno di termini di ordine superiore l’accelerazione è: a= ∂2s ∂t2 Le forze esterne sono dovute alla pressione dell’aria in contatto con le superfici di separazione nella posizione x e x + h. Quindi l’equazione di Newton si scrive: ∂2s ∂p = S(p(x) − p(x + h)) ' −Sh (5.18) ∂t2 ∂x Ricorriamo ancora una volta alle proprietà delle derivate. La pressione dipende dalla densità, ovvero è una funzione, per il momento imprecisata, p = f (ρ). Considerando la derivata spaziale della pressione come quella di una funzione composta della densità che a sua volta, in accordo con la discussione precedente dipende da x: ρ0 Sh ∂p ∂p ∂ρ ∂2s = = −ρ0 f 0 (ρ) 2 ∂x ∂ρ ∂x ∂x (5.19) Sostituendo quest’ultima relazione nella (5.18)e semplificando ρ0 Sh ai due membri si trova alla fine l’equazione di d’Alembert: ∂2s ∂2s 0 = −f (ρ) ∂t2 ∂x2 e dunque la conferma che, in queste apporssimazioni, il suono si propaga come un’onda prograssiva con velocità che dipende, per un dato fluido, dalla rapidità con cui dipende la pressione dalla densità: s 1 v= 0 f (ρ) Dipendenza di p da ρ per l’aria Studiando la termodinamica dei gas ritroveremo un risultato che probabilmente lo studente ha incontrato negli studi precedenti. Se in un gas faccio variare il volume (e quindi la densità) la variazione di pressione dipende dalle condizioni in cui è stata fatta la trasformazione. Ad esempio per una trasformazione a temperatura costante sappiamo che la pressione è inversamente proporzionale al volume (legge di Boyle: P V = cost) e quindi direttamente proporzionale alla densità p = aρ. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 31 Come sappiamo però l’aria è un pessimo conduttore di calore. Quindi possiamo assumere che la variazione di volume e, quindi, di densità avvenga senza scambio di calore, ossia, come vedremo studiando la Termodinamica, con una trasformazione adiabatica. Per questo genere di trasformazioni si mantiene costante il prodotto pV γ dove γ= Cp Cv è il rapporto tra il calore molare a pressione costante e a volume costante per il gas in questione. Scritta in termini della densità questa relazione vale: p = f (ρ) = Dργ (5.20) Sostituendo questa ultima nella (5.19) ed il risultato nella equazione del moto troviamo infine: ∂2s ∂2s = Dγργ−1 2 2 ∂t ∂x Infine, la costante D può essere espressa in termini dei valori all’equilibrio di pressione e densità usando la (5.20): D= p0 ργ0 (5.21) e infine considerando piccola la differenza di densità si calcola il rapporto ργ−1 /ργ0 trattando ρ ' ρ0 e si trova, infine: ∂2s γp0 ∂ 2 s = ∂t2 ρ0 ∂x2 (5.22) che è l’equazione d’onda cercata con: v2 = γp0 ρ0 (5.23) Possiamo anche sfruttare la legge di stato dei gas per esprimere il rapporto pressione-densità all’equilibrio. Ricordiamo che per una massa M di gas di peso molecolare µ il numero di moli è n = M/µ per cui la legge dei gas: M 1 RT n T =ρ p = RT = V V µR µ da cui all’equilibrio: p0 T = ρ0 µR e la velocità del suono nel gas dipende dalla temperatura e dal peso molecolare secondo: s γRT v= µ F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 32 Siamo giunti al punto in cui le ipotesi e le assunzioni fatte, il modello adottato e le approssimazioni accettate devono essere messe alla prova dei fatti sperimentali. L’aria è una miscela di gas biatomici e γaria = 7/5 = 1.4. La misura della velocità del suono nell’aria è possibile ed il risultato viene generalmente dichiarato a una temperatura di 20 gradi centigradi. L’aria è una miscela per il 78% di Azoto e per il 22% di ossigeno. Il suo peso molecolare (medio) è di circa 29 g/mole. Con il valore tabulato della costante dei gas si trova: s 1.4 · 8.314 J/(mol K) · 293.17 K v= = 343 m/s 29 10−3 kg/mol in ottimo accordo con il valore sperimentale tabulato. Es.15 Assumendo che l’aria sia una miscela del 78% di N2 e per il 22% di ossigeno si mostri che il peso molecolare medio è 28.9 g. Es.16 Assumendo una dipendenza p = aρ della pressione dalla densità in un gas, quanto vale la velocità di propagazione del suono? Per un gas perfetto la costante a dipende dal peso molecolare e dalla temperatura. Trovare la costante a per l’aria, considerando il peso molecolare di una miscela 80/20 di azoto ed ossigeno. Quanto vale la velocitá del suono se consideriamo la propagazione isoterma? È in accordo con la velocità del suono sperimentalmente osservata? 6.6 Intensità del suono Una quantità molto importante dal punto di vista pratico è l’intensità di un’onda sonora. Questa è la causa della sensazione auditiva cui è soggetto l’orecchio umano. Naturalmente l’effettiva sensazione è una quantità soggettiva che varia da individuo ad individuo. La intensità invece esprime l’energia trasportata dall’onda attraverso una superficie unitaria ogni secondo. La sua unità di misura è il W/m2 (Watt su metro quadrato), come visto sopra mostrando da due punti di vista che l’intensità può essere associata alla ampiezza dell’oscillazione meccanica e alla sua frequenza da: 1 I = ρω 2 A2 v 2 dove, come al solito, ω = 2πf , ρ è la densità di equilibrio del mezzo, ad esempio quella dell’aria che vale in condizioni ordinarie ρaria = 1.225 kg/m3 e v è la velocità dell’onda sonora. Mettiamo in relazione l’intensità con l’ampiezza della oscillazione di pressione Ap , considerando un’onda piana armonica in cui lo spostamento spaziale ha ampiezza s descritta da: s = A cos 2π(f t − x ) λ F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 33 Riscriviamo la (5.19), tenendo conto della (5.20) e (5.21): ∂2s ∂p = −γp0 2 ∂x ∂x Trattando grandezze armoniche la derivazione rispetto a x equivale alla moltiplicazionedell’am piezza per −k e la derivazione seconda alla moltiplicazione per −k 2 per cui, ignorando lo sfasamento tra oscillazione spaziale e di pressione5 , l’ampiezza Ap della oscillazione di pressione è proporzionale alla ampiezza della derivata della oscillazione spaziale (moltiplicata per kγp0 ). Ricordando la relazione λ = v/f si trova: Ap = −γp0 ∂s γAp0 ωγp0 A = 2π = ∂x λ v e, invertendo rispetto ad ωA: ωA = Ap vAp = γp0 vρ0 (6.24) dove, per l’ultima uguaglianza si è sfruttato la (5.23). Sostituendo infine nella espressione della intensità: A2p 1 ρ0 I = v 3 A2p 2 2 = 2 2vρ0 γ p0 Si noti che la intensità dell’onda è proporzionale al quadrato della grandezza che oscilla, ossia in questo caso del campo di pressione. Questa relazione secondo cui la grandezza energetica (la potenza) è proporzionale al quadrato della grandezza di campo è tipica. In termini energetici la soglia di udibilità dell’orecchio-tipo è I0 = 10−12 W/m2 . In termini di oscillazione della pressione intorno al valore medio (1 atm ' 105 P a) è: p p Ap = 2vρ0 I0 ' 2 · 343 m/s · 1.225 kg/m3 · 10−12 W/m2 = 2.9 10−5 P a ovvero una variazione di meno di un decimo di miliardo di volte la pressione media. Es.17 Mostrare che la ampiezza dell’onda di pressione quando si ha un’intensità sonora prossima alla soglia del dolore (1 W/m2 ) è 29 Pa. A che profondità nell’acqua si ha un aumento di pressione di questa entità? È interessante anche calcolare, secondo la (6.24), il valore della oscillazione spaziale per una oscillazione di pressione data: A= Ap ωvρ0 5 È ovvio che se la oscillazione spaziale è positiva e il volume è massimo, la variazione (derivata) della pressione è nulla. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 34 e dunque, per la soglia di udibilità l’entità dello spostamento spaziale per un suono di frequenza f = 1000 Hz, è: A= 2.9 10− 5 P a = 0.011nm 2π 1000 s−1 · 343 m/s · 1.225kg/m3 una quantità davvero piccola (confrontarla con le dimensioni di una piccola molecola). Es.18 Mostrare che la ampiezza dell’oscillazione dell’aria quando si ha un’intensità sonora prossima alla soglia del dolore è 11 µ m. Es.19 Una nota di frequenza f = 300 Hz ha una intensità I = 1.0 µW/m2 . Quale è la ampiezza delle oscillazioni dell’aria per questo suono? 6.6.1 Intensità sonora e decibel Ci sono due ragioni per non usare una scala lineare per indicare le intensità sonore. La prima è, come abbiamo visto, l’amplissimo intervallo entro cui può variare l’intensità dei suoni udibili. Si tratta di 12 ordini di grandezza (da 10−12 per la soglia di udubilità a 1 W/m2 per la soglia del danno). Usando questa unità di misura, in una scala lineare si dovrebbero esprimere l’intensità dei suoni più deboli con numeri che iniziano undici cifre dopo la virgola. Viceversa se prendessimo come unità il suono più debole i suoni più intensi sarebbero espressi con numeri dell’ordine di cento miliardi. La seconda ragione è legata alla fisiologia dell’orecchio e nasce dal fatto che la risposta dell’udito al segnale sonoro non è lineare (un suono di intensità mille volte più grande non produce una sensazione mille volte più intensa), ma logaritmica. L’origine di questa dipendenza non è esclusivamente meccanica, ma coinvolge anche la percezione cerebrale del suono. Per questo motivo si parla di psicoacustica quando ci si riferisce allo studio della percezione del suono. Per questi motivi in acustica, come capita anche in elettronica, ottica ed in molti altri campi, si è trovato conveniente usare una scala logaritmica per confrontare due grandezze, definendo il Bel ed il suo sottomultiplo il deciBel (dB), che ne ha ormai preso il posto. Il deciBel è definito nel modo seguente: Due grandezze differiscono per un decibel quando il loro rapporto è G1 /G2 = 100.1 (l’esponente di 10 è un decimo). Quindi due grandezze differiscono per x decibel quando il loro rapporto è G1 /G2 = 10x·0.1 . La definizione dà anche una ricetta per calcolare i decibel di cui differiscono due grandezza. Prendiamo, per esempio, due intensità sonore I1 e I2 . Di F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 35 quanti decibel differiscono? Se si fa il logaritmo in base 10 del loro rapporto, espresso secondo la definizione come potenza di 10, si trova: log10 Es.20 I1 = x · 0.1 I2 ⇒ x = 10 log10 I1 I2 Mostrare che se una grandezza è il doppio di un altra, essa differisce da questa di 3 dB. Poiché il decibel è un numero che esprime un rapporto tra grandezze omogenee esso non è una unità di misura. Ad esempio non contiene alcuna informazione sul valore di ciascuna delle grandezze di cui si fa il rapporto. Se si parla di 20 dB in riferimento a due grandezze questo ci dice solo che una è 100 volte l’altra. Per utilizzare il decibel come unità di misura occorre in un determinato sistema prendere una grandezza come livello di riferimento, attribuire a questa grandezza il valore di 0dB(G)6 e esprimere le altre in base ai decibel di cui differiscono da essa. Per l’intensità sonora si conviene spesso di prendere come livello di riferimento la soglia di udibilità I0 e indicare con dB (LP S) i decibel di Livello di Potenza Sonora (nella documentazione in italiano è detto anche livello sonoro Lp ), relativi ad essa: Lp = 10 log I I0 Quando, nel linguaggio comune si dice che il livello sonoro di una strada trafficata è di 70 dB, si intende che l’intensità sonora (media) è 107 = 1070· 0.1 volte la soglia di udibilità. Fortunatamente la sensazione uditiva non è dieci milioni di volte maggiore. Un grafico interessante a questo proposito è la curva di eguale intensità sonora nella quale viene confrontato il livello sonoro che alle varie frequenze dà una sensazione auditiva uguale a quella di un suono preso come riferimento a 1000 Hz. 6 Si noti che si è preferito indicare esplicitamente che il valore in dB è riferito ad una particolare grandezza G. Nella pratica comune spesso questo viene omesso, generando una certa confusione nei principianti. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 36 Nella figura la scala in decibel è riferita al segnale di riferimento a 1000 Hz e si legge che intorno a 60 Hz occorre un segnale che differisce da quello di riferimento di circa 30 dB per avere la stessa sensazione uditiva. Es.21 Esaminando la figura qualè la frequenza a cui la sensazione auditiva di riferimento è realizzata con la minima intensità sonora? Approssimativamente, quante volte è più piccola l’intensità sonora trovata rispetto a quella scelta come riferimento? 6.7 Complementi Quui di seguito alcuni argomenti specifici relativi alle onde.Essi richiederebbero un trattazione ampia per la quale non vi è spazio in questo corso. Tuttavia sono nozioni importanti delle quali diamo solo alcuni cenni. 6.7.1 Sorgente puntiforme Le onde piane in cui la grandezza ondulatoria dipende da una sola coordinata spaziale, sono evidentemente delle approssimazioni ideali. Un’onda piana in senso stretto ha un fronte d’onda che è appunto un piano. Se l’onda ha un massimo ad un dato istante di tempo in un punto, in tutti i punti del piano ortogonale alla velocità di propagazione la grandezza ha lo stesso valore. Questo è apèpunto il fronte d’onda. Ad esempio la pressione in un onda sonora piana è la stessa in tutti i punti del fronte ossia su una superficie infinita. Questo non è realistico dato che l’onda trasporterebbe, tra l’altro, una energia infinita. Più vicino alla intuizione pratica è il caso di una piccola sorgente S, ad esempio di onde sonore. L’energia viene prodotta nella sorgente e si propaga nello spazio circostante in modo vario. Il caso più semplice, anche se ideale, F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 37 è quello di una sorgente puntiforme che, per ragioni di simmetria emette l’energia in modo isotropo, ossia in modo uguale in tutte le direzioni. Assumiamo che essa emetta una potenza P = 1 W ossia ceda energia al mezzo circostante al tasso di un Joule al secondo. Il fronte d’onda che rappresenta i punti dello spazio raggiunti dall’onda generata in S ad uno stesso istante di tempo, ha una forma sferica (alcuni fronti d’onda sono rappresentati nella figura accanto) e l’energia che raggiunge la sfera concentrica di raggio r è la stessa emessa dalla sorgente. Quindi, la energia che nell’unità di tempo attraversa la sfera è ancora 1 Watt. Porzioni uguali della superficie sferica vengono attraversate da energia uguale per cui la energia che passa, nell’unità di tempo, attraverso un metro quadrato è il rapporto della potenza totale per l’area della sfera. Questa quantità è proprio la intensità I e alla distanza di un metro dalla sorgente vale: P = 7.96 10−2 W/m2 ' 80 mW/m2 4πr2 La distanza di udibilità rmax dalla sorgente si trova imponendo che il raggio della sfera sia tale che l’intensità su di essa sia pari a I0 = 10−12 W/m2 : r P P I0 = ⇒ rmax = ' 8 × 104 m 2 4πrmax 4πI0 I= ovvero, risulta dell’ordine delle decine di km, il che è un ulteriore indizio della estrema sensibilità dell’orecchio umano. Occorre d’altra parte osservare che quello trovato è un valore evidentemente poco realistico. Questo lascia intendere che l’ipotesi di assenza di perdite di energia non è ammissibile. Si osservi che quando si è a distanza grande dalla sorgente puntiforme i fronti d’onda sono poco curvi e possono essere assimilati a delle porzioni piane. Un modo per ottenere una onda piana, che è un sistema ideale è appunto di osservare i fenomeni ondulatori su un sistema investito da un’onda sferica proveniente da una sorgente puntiforme sufficientemente lontana. 6.7.2 Generazione delle onde sonore Il problema di come delle onde, ad esempio sonore, vengono generate è semplice di principio ma piuttosto complesso da trattare matematicamente. Qui ci limitiamo ad uno dei problemi fondamentali: come accade che alcuni strumenti, quali la chitarra, il pianoforte o l’apparato vocale, riescono ad emettere, prevalentemente, solo alcune “note”? (frequenze). F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 38 Il meccanismo è il seguente: in un sistema oscillante (finito) il bordo del sistema è a contatto con altri corpi (l’ “esterno”). In questo caso l’oscillazione al bordo deve raccordarsi con l’esterno e questo è possibile solo per particolari lunghezze d’onda (e frequenze). Le oscillazioni possibili sono quindi determinate da condizioni geometriche e fisiche di raccordo. 6.7.3 Onde stazioanrie su una corda elastica Per capire il problema trattiamo il caso più semplice, quello delle vibrazioni di una corda elastica, accennando solamente alle generalizzazioni in casi analoghi. Consideriamo, in particolare le vibrazioni trasversali possibili di una corda elastica con gli estremi fissati, come è, ad esempio, una corda di chitarra. Per semplicità consideriamo il caso di una oscillazione armonica di lunghezza d’onda λ (e frequenza f = v/λ). Come sappiamo, la soluzione generale di questo sistema sono due onde armoniche che si propagano in direzioni opposte. Indicando ancora con s(x, t) lo spostamento della corda dalla posizione di equilibrio si ha: s(x, t) = A sin(kx − ωt + φ1 ) + B sin(kx + ωt + φ2 ) Se la corda è lunga L e gli estremi sono tenuti fissi lo spostamento agli estremi deve sempre nullo a tutti gli istanti, quindi le condizioni di raccordo (condizioni al contorno) sono: s(0, t) = 0 s(L, T ) = 0 Imponendo alla soluzione queste condizioni si trova per la prima: A sin(ωt + φ1 ) = B sin(ωt + φ2 ) che è soddisfatta per ogni t solo se A = B e φ1 = φ2 = φ. Con questo risultato la soluzione diventa: s(x, t) = A(sin(kx − ωt + φ) + sin(ωt + kx + φ) che per x = L risulta s(x, t) = A(sin(kL + ωt + kL + φ) − sin(kL − ωt − φ) Usando le formule di somma dei seni: sin(α ± β) = sin α cos β ± sin β cos α con α = ωt + phi e β = kL: s(x, t) = 2A sin(ωt + φ) sin(kL) F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 39 che si annulla a tutti i tempi solo se: kL = 2π nπ λ da cui si ricava che le condizioni al contorno impongono che le sole lunghezze d’onda che possono sussistere sulla corda sono la successione : λn = 2L n ovvero la lunghezza L = (n/2)λ deve contenere un numero intero di mezze lunghezze d’onda, come è mostrato in figura per le quattro maggiori lunghezze d’onda che possono essere generate su una corda di lunghezza unitaria. La successione delle frequenze si trova immediatamente dalla relazione f = v/λ che mostra che sulla corda vengono generate una successione di armoniche: v v fn = =n λn 2L a partire dalla frequenza fondamentale f1 = v/2L che in genere ha l’ampiezza maggiore e fissa la nota suonata. In una chitarra si può variare la frequenza fondamentale cambiando la lunghezza della corda, ad esempio bloccando la corda con il polpastrello sulla tastiera in un punto diverso dal capotasto. Oppure si cambia la velocità di propagazione, ad esempio variando la tensione della corda agendo sulle chiavette. Si osservi che nel primo caso cambia la lunghezza d’onda, nel secondo no. Le frequenze proprie di vibrazione, come quelle di una corda elastica, sono la generalizzazione per un sistema macroscopico della frequenza propria di un oscillatore: l’analisi spettrale, cioè la determinazione delle frequenze proprie, “scompone” il corpo in oscillatori elementari. Come nel caso di un F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 40 singolo oscillatore, ogni frequenza propria è in grado di “risuonare, quindi di fornire una risposta particolarmente amplificata ad uno stimolo esterno. Un esempio tipico di questo fenomeno è fornito dalle casse armoniche degli strumenti musicali, che per effetto di risonanza sono in grado di amplificare il suono emesso, ad esempio, da una corda. Un secondo esempio è l’apparato vocale: quando parliamo modelliamo la nostra cavità orale in modo tale che entrino in risonanza le frequenze corrispondenti al suono che vogliamo emettere. Un esempio è riportato nella figura seguente che mostra le diverse configurazioni del sistema vocale in corrispondenza dell’emissione di tre vocali. Le frequenze più importanti in ciascuna di esse si chiamano formanti e sono quelle che sono in risonanza con la cavità orale. Poiché l’anatomia di questa varia da individuo ad individuo e ciascuno controlla in modo personale gli organi di fonazione l’impronta vocale caratterizza in modo molto preciso ogni persona. Gli esempi in figura sono dunque solo indicativi. 6.7.4 Battimenti Un fenomeno che è direttamente legato al principio di sovrapposizione dei segnali, ad esempio dei segnali sonori si ha quando in un punto dello spazio arrivano due perturbazioni armoniche con frequenze f1 ed f2 differenti, ma vicine. Supponiamo per semplicità che esse abbiano la stessa ampiezza A e siano nel punto considerato in fase all’istante t = 0. Come sappiamo, ciascuna di esse trasporta una energia proporzionale ad A2 . Se sono presenti F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 41 entrambi il segnale complessivo, per il principio di sovrapposizione vale: s = A sin(2πf1 t) + A sin(2πf2 t) Ricordiamo le formule di somma dei seni: sin(α) + sin(β) = 2 cos( α−β α+β ) sin( ) 2 2 che, applicata alla precedente con α = 2πf1 t e β = 2πf2 t: f1 + f2 f1 − f2 t) sin(2π t) (7.25) 2 2 Se ora consideriamo che le due frequenze sono vicine e f1 = f2 + ∆f con ∆f fi si vede che il segnale dato dalla sovrapposizione oscilla ad una frequenza paria alla media (f1 + f2 )/2 e quindi ad una frequenza vicina alle due frequenze pure e l’ampiezza di questo segnale oscillante varia armonicamente ad una frequenza molto bassa pari a metà della differenza. Si dice che le due frequenza fanno battimento alla frequenza lenta. Se, ad esempio le due frequenze sono la nota La a 110 Hz e il Sol diesis a 104 Hz il grafico del primo mezzo secondo delle singole note e della loro somma è mostrato in figura. s = 2A cos(2π Es.22 Si stimi dalla figura la frequenza della oscillazione lenta dell’ampiezza e la si confronti con il valore atteso ∆f /2. Come si nota dalla (7.25) (e dalla figura) l’ampiezza del battimento è il doppio della ampiezza delle singole note. Dato che però l’energia è proporzionale al quadrato dell’ampiezza di oscillazione le due note pure avevano energia pari al quadrato A2 mentre il valore massimo dell’energia nel battimento (beat) è (2A)2 = 4A2 . Il fatto è che il battimento ha provocato F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 42 una redistribuzione dell’energia nel tempo. Mentre per le due note separate l’energia media era costante nel battimento ci sono istanti in cui è massima e istanti in cui è minima (nulla). È interessante notare che le stesse considerazioni che abbiamo fatto per due segnali che si sovrappongono ad un fissato istante dello spazio al passare del tempo, si potrebbero fare per la sovrapposizione ad un istante fissato (fotografia) al variare della posizione. Anche in questo caso si avrebbe un battimento, che in questo caso si chiama interferenza e che consiste in una variazione della ampiezza dell’onda sonora con una lunghezza d’onda: λbeat = 2 (7.26) 1 1 − λ1 λ2 Es.23 Seguendo lo stesso ragionamento usato per ricavare la (7.25) si mostri che se ad un istante fissato si ha la sovrapposizione di due segnali armonici nello spazio: s = A sin(2π x x ) + A sin(2π ) λ1 λ2 il segnale risultante risulta avere una ampiezza lentamente variabile nello spazio con una lunghezza d’onda λbeat data dalla(7.26). 6.7.5 Impedenza del mezzo Torniamo al trasporto di energia nel mezzo e riprendiamo l’esempio della corda vibrante. Possiamo riscrivere la (4.14): T0 W = v ∂s ∂t 2 =Z ∂s ∂t 2 introducendo la quantità Z che è detta impedenza del mezzo in cui avviene la propagazione e che per la corda elastica vale: Z= T0 v Un artificio per memorizzare il significato di impedenza si basa sul fatto che il termine impedenza è una generalizzazione della nozione di resistenza. Per un conduttore di resistenza R la relazione tra potenza e corrente è data dalla legge di Joule: W = RI 2 Si può allora considerare l’impedenza caratteristica per vari tipi di onde e di mezzi considerando che per un onda progressiva generica l’impedenza Z è il coefficiente di proporzionalità fra il quadrato della velocità dello spostamento e la potenza per unità di superficie irraggiata dalla sorgente. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 43 Ad esempio, per un onda sonora vale, dalla relazione che lega la perturbazione della pressione p allo spostamento s per la propagazione adiabatica: p ∼ γp0 ∂s ∂x e, d’altra parte per l’onda progressiva f (x − vt) vale ∂f 1 ∂f =− ∂x v ∂t per cui γp0 ∂s v ∂t e, d’altra parte con la stessa considerazione fatta per la corda elastica la potenza è W = F (∂s/∂t) e la potenza per unità di superficie, essendo F = pS si scrive: 2 ∂s γp0 ∂s 2 ∂s W =p = =Z ∂t v ∂t ∂t p∼− Per l’onda sonora l’impedenza risulta: Z= γp0 v e, essendo γp0 = v 2 ρ si trova che per il suono l’impedenza vale Z = ρv L’impedenza acustica per l’aria è dell’ordine di ρv ' 1.2Kg/m3 ×340m/sec ' 400P a · s/m. Riflessione e trasmissione Consideriamo ora il caso di un’onda che durante la sua propagazione incontra una superficie di separazione fra due mezzi di impedenza diversa. Per concretezza lo studente pensi sempre ad un’onda sonora, ma le osservazioni che facciamo sono generali per qualunque tipo di onda progressiva. Dunque, in questa situazione l’onda incidente si sdoppia, una parte prosegue il suo cammino dal primo al secondo mezzo (questa onda viene chiamata onda trasmessa), l’altra viene riflessa (onda riflessa). Nel caso semplice unidimensionale illustrato in figura, l’onda trasmessa prosegue nella stessa direzione dell’onda incidente, quella riflessa si propaga in direzione opposta. Nella figura le due onde sono disegnate spostate rispetto a quella incidente per chiarezza. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 44 La quantità di energia trasmessa e riflessa dipende dalle impedenze dei due mezzi (ad, esempio, se le impedenze sono uguali ossia i due mezzi sono lo stesso mezzo, la parte trasmessa è il 100 % di quella incidente e non si ha parte riflessa). Senza entrare nei dettagli si ha che il coefficiente di riflessione R, ovvero il rapporto tra l’energia riflessa e quella incidente vale: R= Z1 − Z2 Z1 + Z2 2 essendo Zi l’impedenza caratteristica del mezzo i. Analogamente si definisce il coefficiente di trasmissione T come il rapporto tra l’energia trasmessa e quella incidente. In assenza di perdite deve ovviamente valere T + R = 1. Es.24 Si mostri che, assumendo l’espressione scritta sopra peril coefficiente di riflessione e la condizione di assenza di perdite T + R = 1 il coefficiente di trasmissione vale: T = 4Z1 Z2 (Z1 + Z2 )2 Ecografia Utilizziamo la nozione di riflessione all’interfaccia di due mezzi con impedenza diversa per descrivere qualitativamente la base fisica dell’ecografia ossia dell’insieme di tecniche che permettono di ottenere un immagine (dal greco gràphein = scrivere disegnare) analizzando il suono (echos = suono, voce) che ritorna indietro (eco) dopo la riflessione. In pratica nella tecnica più semplice, si ha una sorgente di ultrasuoni (onde acustiche di frequenze più alte della regione di udibilità umana) che emette frequenze dell’ordine di qualche MHz. Queste corrispondono in acqua, dove la velocità di propagazione è circa 1 km/s a lunghezze d’onda dell’ordine del millimetro o meno. Le frequenze acustiche che rientrano nell’intervallo di udibilità sono dell’ordine di 1 m e sono inadatte a dare informazioni su oggetti più piccoli della lunghezza d’onda. La formazione dell’immagine nell’ecografo avviene con tecniche diverse il cui esame va al di là dei limiti di questo corso. Una modalità di funzionamento che è semplice descrivere a questo punto del corso consiste nell’inviare un corto impulso ultrasonico (durata minore di 1 µs) e di registrare, con lo F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 45 stesso strumento che serve ad inviare il segnale l’energia riflessa ai tempi successivi. Se si ha una variazione di intensità riflessa dopo un tempo τ vuol dire che a distanza x = vτ /2 dalla sorgente si ha una variazione di impedenza acustica e dunque una variazione dei tessuti esaminati. L’operatore ottiene una immagine bi-dimensionale muovendo la sorgente in modo da irraggiare con una successione di impulsi una zona del corpo come fa la luce di un faro. Contemporaneamente viene registrata la radiazione di ritorno che rielaborata produce una immagine sullo schermo, la cui intensità corrisponde alla quantità di radiazione riflessa e, quindi, secondo l’espressione del coefficiente di riflessione, alla entità della variazione di impedenza. Un tessuto omogeneo produce un’immagine di illuminazione uniforme. Se c’è una modificazione istologica essa appare come una più o meno brusca variazione di intensità. La profondità della modificazione (pensate ad esempio ad una cisti in un tessuto omogeneo di impedenza diversa) si deduce dal ritardo con cui arriva l’eco e l’informazione sulla natura dei tessuti che provocano l’eco dalla intensità dell’onda riflezza. In effetti, l’impedenza dipende, ad esempio, dalla densità del mezzo per cui una cisti formata da un tessuto di densità molto più grande di quello circostante presenta una impedenza acustica molto diversa e quindi il coefficiente di riflessione è più grande che non quando la variazione di densità è piccola. Naturalmente, questa tecnica topografica può essere accoppiata anche ad un analisi della frequenza dell’onda riflessa e, come abbiamo fatto notare discutendo l’effetto Doppler, ciò permette di determinare lo stato di moto del mezzo da cui si ha la riflessione (ecografia Doppler). Es.25 Un impulso di ultrasuoni estremamente breve viene inviato in direzione x e si registrano tre echi dopo t1 = 30 µs, t2 = 70 µs e t3 = 90 µs. La velocità di propagazione nel corpo sia costante in tutti i tessuti e valga v = 1500 m/s. Si tracci un asse x e su una scala in mm si segnino con tre punti la posizione delle superfici di separazione tra i tre mezzi. Successivamente, viene spostata la sorgente di 10 mm a destra e a sinistra della direzione iniziale e ripetuto l’esperimento. Si trova la seguente tabella per i tempi di eco, espressi in µs: y t1 t2 t3 10 mm 35 65 91 - 10 mm 31 a curva 50 91 Sul disegno precedente si traccino due rette parallele all’asse x e si segnino i punti di separazione tra i mezzi, ricavati con i dati della tabella. Spiegare come questa tecnica permette di ottenere una immagine ecografica bidimensionale. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011