La relazione Paziente-Operatore in ambito sanitario e

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La relazione Paziente-Operatore in ambito sanitario e
Treviso relazione Carlo Hanau
1. La relazione paziente-operatore in ambito sanitario e in ambito sociale
com'era e come sta cambiando (Treviso, 5 maggio 2011).
Carlo Hanau, Docente di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sociali e Sanitari
presso l'Università di Modena e Reggio Emilia: una visione dal lato istituzionale
2. Vittorina Ius – Psicoterapeuta e formatore del Coordinamento delle Associazioni di
Volontariato: una visione dal lato delle associazioni e degli utenti
1) Carlo Hanau
Relazione cittadino-istituzioni
vista dal lato istituzionale
Introduzione
Dopo la precedente conferenza sulle trasformazioni demografiche, sociali ed economiche
intervenute negli ultimi anni, mi spetta il compito di delineare l’evoluzione della relazione
fra paziente ed operatore in ambito sanitario e in ambito sociale, con particolare
riferimento al sociosanitario, che a seguito dell’evoluzione demografica assume una
sempre maggiore importanza, sia per l’aumento dei bisogni dovuto all’invecchiamento
della popolazione, sia per il venir meno della famiglia come tradizionale supporto ai malati
ed ai componenti fragili. L’importanza del settore sociosanitario definito ad alta
integrazione viene ulteriormente incrementata dalla rapida riduzione della durata
dell’ospedalizzazione che consegue al sistema di incentivazione adottato dalla sanità
(DRG e appropriatezza del ricovero), che lo riconosce comunque come parte di sé, dal
momento che lo ricomprende nei LEA vigenti (risalenti al 29 novembre 2001). Non mi
riferirò al settore sociale, non a caso privo di una analoga regolamentazione a livello
nazionale, quella che avrebbe dovuto costituire i LIVEASS o LEP.
Nel presente contributo devo occuparmi, dal lato istituzionale, del “rapporto fra
paziente ed operatore” ivi comprendendo pazienti, loro familiari e loro associazioni
di rappresentanza da un lato, e dall’altro gli operatori a tutti i livelli, dai dirigenti agli
esecutori, sia dipendenti che convenzionati, sia come singoli che come cooperatori
in appalto. Il Direttore generale, funzionario politico di nomina dell’Assessore regionale, è
l’ultimo anello della catena degli operatori ed insieme la congiunzione con il decisore
politico (policy maker), l’amministratore. In periodi di crisi finanziaria e di riduzione delle
risorse per la sanità e l’assistenza, come quello attuale, il decisore politico tende ad
eclissarsi ed a delegare ai funzionari il compito di tagliare i servizi.
Il quadro generale istituzionale all’interno del quale il rapporto fra paziente e operatore è
collocato può avere una forte influenza sullo stesso: si pensi al caso della quasi
concorrenza indotta dalla libera scelta del MMG oppure dal sistema dei vaucer
contrapposto alla imposizione amministrativa di un operatore competente per stradario,
senza possibilità di cambiarlo, come avviene di fatto in E.R. per la psichiatria e la
neuropsichiatria, nonostante la legislazione richieda di salvaguardare, per quanto
possibile, la libertà di scelta del luogo di cura persino nel caso del TSO. La comodità della
gestione del servizio, esigenza reale sostenuta dall’operatore, prevale sul diritto del
paziente. Con tutte le critiche che dobbiamo fare alla teoria del libero mercato della sanità
(Gianfranco Domenighetti, Il mercato della salute, CIC Roma, 1992), si deve tuttavia
riconoscere che la possibilità di scelta del cittadino riguardo al Medico di Medicina
Generale (MMG) è la base dell’alto livello di soddisfazione che i cittadini esprimono verso
questi operatori. La scelta del MMG, entro i limiti dei massimali previsti, è infatti libera e
revocabile in ogni momento (diritto di exit) e garantisce una sorta di concorrenza fra
produttori, che avviene in presenza del terzo pagante, a tariffe fisse, teoricamente basata
sulla qualità percepita del servizio da parte del consumatore.
Pure la scelta del luogo di cura (un ospedale invece di un altro, un poliambulatorio invece
di un altro) è libera, anche se soggetta alle limitazioni di cui alle liste di attesa, mentre la
scelta dell’operatore (quando nello stesso ospedale vi siano più operatori abilitati a
svolgere la stessa funzione) è vincolata al rapporto di lavoro libero professionale, a
pagamento diretto del cittadino.
Infine non si può dimenticare, in questi tempi di vacche magre, che la disponibilità
quantitativa e qualitativa di risorse umane, l’aspetto strutturale che più condiziona il
rapporto fra operatore e paziente, rischia di fare venire meno le condizioni oggettive
perché si possa instaurare un rapporto accettabile dal punto di vista della umanizzazione e
della personalizzazione.
Esperienze di rappresentanza degli interessi dei pazienti in E.R.
Parlando in Veneto, per dare un contributo concreto ai lavori di questa conferenza, sarei
tentato di riportare criticamente l’esperienza di due Regioni confinanti, il Friuli Venezia
Giulia e l’Emilia Romagna: tralascio il FVG, per le forti delusioni riportate, e mi concentro
sull’ER, poiché la mia esperienza di rapporti istituzionalizzati fra operatori e pazienti in
questa Regione risale a molti anni addietro. Già nel 1994 vi erano strumenti di
rappresentanza di interessi e di mediazione dei conflitti già istituzionalizzati: i Comitati
consultivi misti, di Azienda Ospedaliera, di Azienda Sanitaria e di Distretto, il Comitato
consultivo regionale per la qualità delle cure (CCRQ), i Comitati di struttura, oltre al
Difensore Civico, il cui ruolo è molto modesto e quasi trascurabile. A questi si sono
aggiunti l’anno scorso i Comitati Utenti, familiari e operatori dei Dipartimenti di Salute
Mentale (CUF o CUFO) e la Consulta psichiatrica regionale.
Prima del 1994, già nel lontano 1972 - come Lega per i Diritti del Malato - iniziammo a
Bologna l’attività di volontariato di difesa dei diritti della persona affetta da malattia e/o
disabilità. La nostra associazione costituiva una prima forma di partecipazione dei cittadini
alla gestione della sanità ed era particolarmente attiva nella difesa dei diritti dei malati
cronici non autosufficienti, troppo spesso letteralmente "calpestati" dalle nostre Istituzioni.
La partecipazione dei cittadini - esercitata tramite le loro associazioni di tutela dei malati e i
sindacati dei pensionati attivi nel comparto sanitario e sociosanitario - era già sviluppata
nella Regione Emilia Romagna, quando nel 1992 iniziammo col professor Achille Ardigò la
prima esperienza dei Comitati Consultivi Misti, che vennero istituzionalizzati con Legge
Regionale dell’Emilia Romagna n. 19/94, come applicazione dell’articolo 14 del Decreto
Legislativo 502/92. Ebbene, a distanza di tanti anni si deve constatare in Emilia
Romagna un declino della partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni, non a caso
accompagnata all’eclissi della presenza dei rappresentanti politici e all’affermarsi del
potere dei funzionari, sia in Regione che nelle AUSL. L’assessore regionale alla Sanità
Giovanni Bissoni, ad esempio, da molti anni non partecipava più alle riunioni del Comitato
Consultivo Regionale per il controllo della qualità (CCRQ) da parte dei cittadini e degli
utenti, delegando i rapporti ai suoi funzionari.
Dal 1994 i Comitati Consultivi Misti (CCM) sono stati istituiti in Emilia Romagna riunendovi
i rappresentanti di associazioni di difesa dei diritti dei malati e delle persone con disabilità,
degli utenti dei servizi e dei loro familiari, dei sindacati pensionati; fra i loro compiti quello
di umanizzare e personalizzare il servizio, instaurando un luogo di confronto diretto fra
cittadini e operatori, e di verificare la qualità percepita delle cure e dell’assistenza sanitaria
(cfr http://www.ausl.bologna.it/partecipazione). Nei CCM è previsto un seggio per un
assessore alla sanità del Comune o dei Comuni territorialmente competenti, che in genere
viene occupato soltanto sporadicamente dall’assessore o da suoi delegati. Per trovare i
fondamenti nazionali di questa legge regionale dobbiamo risalire all’art.14 del decreto
delegato 502 del 92, la prima norma concernente la qualità percepita da parte degli utenti,
in parallelo con l’art. 10 sulla qualità delle cure misurata dagli esperti, che introduce la
regola della medicina basata sull’evidenza (EBM), le buone prassi, le linee guida.
Oggi si richiede ai cittadini la partecipazione economica alla spesa e non più la
partecipazione democratica e sono a rischio anche quelle conquiste che sembravano
acquisite per sempre. Nulla può essere dato per scontato: corsi e ricorsi della storia non
portano inesorabilmente verso le sorti progressive del mondo. Il paternalismo medico, che
sembrava definitivamente tramontato da decenni, torna su questioni etiche che
dovrebbero competere agli interessati: gli esperti della Corea maggiore hanno deciso di
non effettuare ricerche sulla presenza della malattia fintanto che il bambino non abbia
compiuto la maggiore età, negando ai genitori la possibilità di conoscere la diagnosi del
figlio, nonostante la procedura sia semplice e sicura.
Col decreto delegato 502 del 92 si riconosceva all’utente singolo o associato la
competenza per esprimersi su quattro punti, l’informazione, l’umanizzazione e la
personalizzazione dei rapporti, il confort alberghiero: il vitto, l’alloggio, la situazione
logistica, sia nella residenzialità, sia nell’assistenza a domicilio, perché non dobbiamo
dimenticare che una parte grande e sempre maggiore dei servizi si esegue anche a
domicilio. In questa sede in particolare ci interessa la personalizzazione del sevizio e la
sua umanizzazione, dove la relazione paziente operatore è al centro delle tematiche.
Operare a domicilio comporta una dimensione molto differente del rapporto fra sanitario e
paziente: il lavoro a domicilio, come quello dell’ADI, che viene eseguito in prevalenza dalla
figura infermieristica, impone una professionalità differente da quella di chi opera in
istituzione e sopra tutto crea per gli operatori la condizione che nelle gare sportive si
chiama “giocare fuori casa”.
Durante l’assistenza domiciliare il paziente ed i familiari vengono spesso istruiti
dall’operatore, che insegna loro i principi dell’autoaiuto e li sostiene nel percorso: questa
funzione è basilare e crea un rapporto diverso da quello tradizionale.
Il buon rapporto viene favorito dalla integrazione fra i vari componenti dell’assistenza, che
in genere è fornita da professionisti diversi per qualifica e per dipendenza da enti diversi
(Comune, ASL, ASP, Enti accreditati): il paziente avverte le carenze dell’integrazione e, se
viene messo in grado di esprimere il suo parere e i suoi suggerimenti può costituire uno
stimolo esterno atto a migliorare questo aspetto, spesso molto carente nell’assistenza
domiciliare integrata pubblica. Ricordo che all’inizio, per avviare l’ADI, nella quasi totalità
delle Aziende sanitarie (ad eccezione di Merate, dell’ospedalizzazione a domicilio di
S.Donato milanese e dell’ADI di Novellara) si dovette ricorrere all’appalto esterno del
servizio, che altrimenti sarebbe stato paralizzato dalla rivalità fra operatori sanitari e quelli
del sociale.
La continuità nel rapporto con un operatore addetto al servizio costituisce l’altro aspetto
molto avvertito dai pazienti e dai loro famigliari, che consente un miglioramento del
rapporto umano altrimenti reso impossibile dal turn over. La rotazione di operatori diversi a
casa del paziente si ripercuote negativamente anche sull’efficienza del servizio, in quanto
la conoscenza dei familiari e della casa è indispensabile per potervi operare.
La continuità del percorso e della presa in carico, che si estende dall’ospedale al domicilio,
dalla assistenza sanitaria all’assistenza sociale è stata posta come centrale dall’Assessore
provinciale di Bologna alla sanità e servizi sociali dr.Giuliano Barigazzi, nonché presidente
della conferenza sanitaria dei sindaci e degli assessori comunali della Provincia sulla
programmazione sociosanitaria nell’ultimo incontro svoltosi a dicembre 2010 con il CCM
dell’AUSL di Bologna e col CUFO, Comitato Utenti, Familiari e Operatori. Si ricorda che il
CUFO è il nuovo organismo di rappresentanza delle associazioni degli utenti del
Dipartimento salute mentale dell’AUSL di Bologna, da non confondersi con i Comitati di
struttura di Utenti e Familiari singoli e associati che un tempo erano presenti presso
diverse singole strutture psichiatriche e RSA per anziani.
Si rileva come non sia casuale il fatto che in questa conferenza, dove oltre i rappresentanti
dei Comuni (assessori o sindaci) siedono i Direttori generali delle AUSL, delle AO e
dell’IRCCS, i Presidenti dei Comitati Consultivi Misti non siano mai stati ammessi,
nonostante molte loro sollecitazioni. Nella stanza della decisione sulla programmazione la
voce dei pazienti non è ammessa neppure nel ruolo di consulenza.
Fra queste tre tipologie di Comitati è opportuno fare alcune distinzioni: Comitati di
struttura, CCM e CUFO.
L’esperienza dei precedenti Comitati di strutture psichiatriche, composti da operatori,
utenti e familiari, persone direttamente interessate in quella particolare struttura
(Residenza psichiatrica) e non da rappresentanti di associazioni, è iniziata con
l’applicazione della legge n.180 del 1978. E’ stata un’esperienza conflittuale e perciò
tutt’altro che favorita da parte della dirigenza dell’AUSL e degli operatori interessati e si è
estinta, essendo venuti meno gli entusiasmi del periodo della riforma psichiatrica. Nei
Comitati di struttura delle residenze psichiatriche potevano accedere tutti gli interessati, in
particolare i familiari dei pazienti ivi ricoverati, che si confrontavano sui problemi reali della
residenza con i dirigenti e gli operatori della struttura stessa. In talune strutture i Comitati
erano in forma assembleare. Gli argomenti erano l’uso dei farmaci ed i rapporti fra
operatori, pazienti e familiari, le azioni riabilitative che si indicavano spesso come sostituite
impropriamente da un carico di farmaci. Altri argomenti erano quelli che oggi si ritrovano
nelle Carte dei servizi, per l’approvazione delle quali i CCM e ora anche i CUFO devono
essere consultati.
Al contrario è ancora presente uno specifico Comitato di struttura nelle maggiori
residenze per anziani, gestite dalle IPAB, ora trasformate in ASP, con competenze più
generali e ancor più collegate con la parte del percorso dei malati che si denomina “cura a
lungo termine”, dopo la fine dell’episodio acuto. Di questi Comitati fanno parte, oltre che
alcuni operatori, utenti e familiari espressi dalla base ed infine alcuni rappresentanti di
sindacati pensionati e di loro associazioni. Questi Comitati danno il loro parere sulle carte
dei servizi e su tutte le questioni ordinarie che la vita di collettività impone di risolvere. Gli
ospiti che mantengono la capacità di tutelarsi sono pure presenti con loro rappresentanze.
L’interrogativo che ci si pone è se non si debba unificare, in tutto o in parte, l’azione di
questi Comitati con quella dei CCM, per la parte che riguarda i problemi generali, mentre
ritengo sarebbe ancora molto utile la funzione svolta dai Comitati di struttura formati dalle
persone direttamente interessate nella verifica dell’andamento quotidiano della specifica
residenza da parte di coloro che sono maggiormente interessati, gli ospiti ivi residenti e i
loro familiari, accanto a rappresentanti dei sindacati pensionati, il cui ruolo non è passibile
di condizionamenti pesanti come quello degli ospiti rappresentanti “interni”, i quali spesso
temono ritorsioni da parte degli operatori.
I CCM possono comunque visitare le strutture sanitarie, anche senza preavviso, tramite
piccole équipe formate almeno da un paio di rappresentanti delle associazioni e da un
operatore.
I Comitati di struttura possono giocare un loro ruolo complementare a quello del CCM. I
familiari rischiano talvolta di non rappresentare gli interessi dei pazienti, dato che vi
possono essere conflitti di interesse fra gli uni e gli altri, come nel caso della minaccia di
chiusura di una struttura prima di avere reperito le alternative, che comporterebbe il ritorno
a casa del malato.
Fino ad ora i CCM hanno avuto competenza sui servizi sanitari, come ambulatori, ospedali
per brevi e lungodegenze, mentre presso le grandi IPAB, come i Poveri Vergognosi e il
Giovanni XXIII, appositi Comitati di struttura hanno svolto le funzioni di proposta, di verifica
e di consulenza per i servizi di Residenze sanitarie assistenziali (RSA). Vi sono stati
incontri fra i CCM e i Comitati di struttura, iniziando una collaborazione che si basa sulla
complementarietà dei ruoli. Si è stabilito non essere opportuno che nelle équipe del CCM
che vanno a visitare una struttura sia presente un familiare di un ricoverato nella stessa
struttura, dato che i due tipi di comitati si differenziano quanto a compiti. I problemi
individuali dovrebbero essere trattati in sede apposita, mentre tutti i reclami globalmente
vengono esaminati dal CCM a prescindere dai nominativi dei proponenti: nel CCM si cerca
di cogliere la problematica generale per chiedere una soluzione di ordine generale, sia
pure partendo dalle esperienze concrete che sono normalmente quelle dei singoli.
I CCM fra i loro compiti hanno anche l’aggiornamento periodico della carta dei servizi,
nella quale vengono indicati diritti e doveri dei pazienti e degli operatori, oltre che i livelli
garantiti del confort. Le attività di un CCM, quello dell’AUSL di Bologna, emergono dai
verbali di un anno di lavoro:
http://www.ausl.bologna.it/partecipazione/comitato-consultivo-misto/ccm-aziendale/verbaliapprovati/index_html
Il clima di diffidenza fra pazienti e operatori
A causa della crisi finanziaria dello Stato, oggi gli Enti pubblici, quando possono, cercano
di risparmiare ed allora si rafforza nell’opinione pubblica il dubbio di essere privati di
un’utilità possibile per motivi di bilancio, e la diffidenza aumenta: non è altrimenti facile
spiegare perché si applica un giorno settimanale di digiuno per coloro che sono alimentati
artificialmente.
La tecnica dilatoria consente di effettuare risparmi di risorse, e si attua non rispondendo
alle domande, istituendo gruppi di lavoro con termini indefiniti, modificando regolamenti.
La “sospensione” degli assegni di cura a chi assisteva una persona con disabilità grave
nel distretto che coincide col comune di Bologna è un esempio. Verso fine 2010 viene
mandata a tutti coloro che usufruivano di un assegno di cura (150-450 euro al mese a
fronte di un contratto di cura e di sorveglianza del malato grave non autosufficiente) una
lettera che sospende l’assegno dal 1 gennaio 2011 e poi si modifica il regolamento di
concessione. I primi 4 mesi di assegno del 2011 sono comunque persi e da maggio viene
lentamente applicata la selezione per la riconcessione degli assegni: si prevede che alla
fine del 2011 soltanto il 60% degli assegni concessi nel 2010 sarà confermato.
L’elenco delle malattie rare riconosciute con decreto come motivo di esenzione dalla
compartecipazione e di incentivi alla ricerca scientifica supera di poco le 100, mentre
quelle note superano le 6.000: il braccio di ferro fra Stato e Regioni, che chiedono più
finanziamenti, impedisce da anni che vengano aggiunte anche soltanto quelle pochissime
centinaia sulle quali si era manifestato l’accordo già durante il ministero Turco. Si giunge
all’assurdo per cui una bambina malata era riconosciuta fra le malattie rare come
sindrome di Rett, che si credeva causata soltanto dal gene MECP2; con la recente
scoperta che la bambina è affetta da un’altra possibile causa di simile disabilità, ancora più
rara del MECP2, il gene CDKL5, la bambina dovrebbe perdere il riconoscimento giuridico
della rarità, perché la sua malattia è diversa da quella prevista nella tabella ministeriale.
Il nomenclatore degli ausili e protesi è fermo a più di dieci anni addietro, e non certo per
problemi tecnici.
La partecipazione ai costi delle RSA è un capitolo di gravi lesioni dei diritti del malato, sia
per il calcolo dell’ISEE, sia per la quota dovuta dall’ASL, sia per i voluti ritardi nella presa
in carico, come illustrato nell’articolo allegato, pubblicato su PRO Terza Età n.45 del
settembre 2010, riportato in calce
La quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 1607 del 15 febbraio 2011,
depositata il 17 marzo successivo, ha riaffermato il principio secondo il quale per le
persone con grave disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della Legge 104/92, e per gli
anziani ultrasessantacinquenni non autosufficienti accertati dalle ASL, la contribuzione ai
costi - rispetto alla fruizione di servizi domiciliari, diurni o residenziali in percorsi
sociosanitari - deve avvenire sulla base del solo ISEE personale e non familiare. La
sentenza si è resa necessaria perché i Comuni violano continuamente questa normativa:
cfr Nocera Salvatore e poi Santanera Francesco sul sito www.superando.it
http://www.superando.it/content/view/7367/121/
Gli esempi sopra riportati diffondono un senso di sfiducia generalizzato, che induce
diffidenza dei pazienti verso l’ente pubblico e i suoi operatori, provocando conflitti basati su
valutazioni errate, di cui si riportano alcuni esempi qui di seguito.
Di un esempio riferito all’uso improprio di antibiotico per lavaggio di una ferita si riferisce
nell’articolo già richiamato:
“Ricordo ad esempio un parente affettuosissimo nei confronti del suo familiare malato che
lamentava che l’ulcera cutanea non venisse lavata con l’antibiotico ma con l’acqua e con
la soluzione fisiologica. Il suo pensiero era:“Lo fanno perché vogliono risparmiare
sull‘antibiotico”. Sappiano che vi erano diversi medici che prescrivevano lavaggi con
antibiotici e a volte ci vuole del tempo perché un cambiamento di rotta venga
metabolizzato dagli esperti ma ancor più difficile un cambiamento per i non addetti ai
lavori, quelli che non hanno la possibilità di andare a leggere la nuova letteratura, come
appunto i familiari. Questi sanno che lo Stato quando può cerca di aver la mano corta e
allora si rafforza in loro il dubbio di essere privati di un’utilità possibile e ci vuole moltissimo
tempo per vincere le diffidenze, spiegando loro che sono state fatte ricerche da parte
soprattutto degli infermieri, concordi nel ritenere che il lavaggio con antibiotici
generalmente non sia utile. In futuro potranno venire smentite o conferme, scoperte di
altre nuove soluzioni, ma per ora la restrizione all’uso non è dovuta alla carenza di risorse
ma alle prove di efficacia.”
Sull’argomento del vitto, di cui pure si tratta nell’articolo citato, abbiamo fatto, parecchi
anni fa, una valutazione in alcune case di riposo protette e RSA in Emilia Romagna e ci
siamo accorti che per esempio da parte dei parenti c’era una tendenza esagerata a voler
rimpinzare di cibo i loro familiari ricoverati. Questo non solo andava contro la buona
regola del mangiare a giusto modo, senza mai esagerare, ma andava anche contro le
richieste degli utenti ancora in grado di esprimere la loro volontà.
Bisogna insegnare a queste persone (pazienti e familiari) ed ai componenti attivi delle loro
associazioni i criteri per fare bene la valutazione, altrimenti emergono i difetti di
rappresentanza nei quali mi sono imbattuto nella mia lunghissima esperienza di
associazionismo per la difesa dei diritti del malato e del disabile, iniziata nel lontano 1972.
Occorre dare una competenza e una conoscenza adeguata anche agli utenti, perché
altrimenti rischiano di cercare quello che non è il loro bene, ma il loro male, oppure quello
che non serve a nulla.
Le associazioni come cinghia di trasmissione di consapevolezza verso i soci e
verso tutti i cittadini: la formazione delle competenze
Per contrastare questi errori di rappresentanza si sono fatte diverse iniziative, come quella
del
Cittadino
competente
o
Laboratorio
dei
cittadini
per
la
salute
(cfr.
http://www.ausl.bologna.it/partecipazione/laboratorio-dei-cittadini-per-la-salute), promossa
dall’AUSL di Bologna, valendosi del CEVEAS dell’Università di Modena e Reggio Emilia,
in collaborazione stretta con diversi responsabili delle associazioni di cittadini, che si sono
fatte carico di trasmettere ad una platea più vasta, quella della loro associazione ed anche
quella della cittadinanza in generale: con una campagna abbastanza vasta e articolata si è
riusciti a contenere nei minimi termini (5%) il numero delle prestazioni prenotate e non
usufruite, favorendo la sensibilità al problema sociale dello spreco di risorse e favorendo la
possibilità di comunicare agevolmente la sopravvenuta impossibilità di accedere alla
prestazione sanitaria già prenotata.
Il Prof. Pierluigi Morosini dell’ISS, che costituiva un nostro grande riferimento per lo studio
e la ricerca sulla qualità, la qualità dell’assistenza, la qualità delle cure sia nelle residenze,
sia negli ospedali, sia al domicilio, nel 2006 aveva preso l’incarico dal Ministero della
salute di dirigere questa azione particolarmente difficile, la valutazione della qualità
dell’assistenza nell’ambito della psichiatria: “Progetto di miglioramento e valutazione in
campo psichiatrico con la partecipazione attiva del volontariato”, con le associazioni di
familiari e dei malati. Sappiamo che anche nelle RSA la disabilità mentale e la malattia
psichiatrica sono frequentissime e quindi il discorso è qui molto pertinente.
Cosa si può fare del consenso quando si ha a che fare con una persona che non è in
grado di intendere e di volere, in permanenza o per alcuni periodi critici della sua vita?
L’azione che il Prof. Morosini aveva intrapreso per conto del Ministero della Salute
riguardava esplicitamente una valutazione di qualità che doveva esser fatta soprattutto
dalle associazioni dei malati psichiatrici e dalle associazioni dei disabili mentali e dei loro
familiari, una valutazione per dare voce diretta a queste persone o a chi li rappresentava e
doveva decidere che cosa fosse meglio per loro. I seminari avvenuti a Roma e a Bologna
sono visibili nel sito: www.autismotv.it
http://www.autismotv.it/media/iss/start.html
http://www.autismotv.it/media/morosini_bologna/start.html
Dopo che abbiamo fatto un’azione educativa, un’azione informativa e formativa, allora
possiamo utilizzare al meglio le risorse umane di queste associazioni, anche per
rappresentare la volontà di coloro che sono impossibilitati ad esprimerla. La formazione e
l’azione devono andare di pari passo, non si può dire a chi ha già il problema della
malattia:“Adesso fai l’Università e poi ne riparliamo fra tre anni”. Ci deve essere un
percorso comune di formazione, per evitare di generare i conflitti che hanno alla base
cattive conoscenze e nessuna realtà.
Un’altra esperienza molto positiva di informazione e formazione dei pazienti è quella
condotta da Paola Mosconi, del Mario Negri, che ha attuato il progetto “Partecipasalute”.
Mediante questo progetto si è cercato di diffondere la valutazione scientifica degli
interventi in sanità ed ancora, proponendosi una meta ancor più ambiziosa, la valutazione
della ricerca scientifica alla quale i pazienti sono chiamati a partecipare.
Gli anziani e la non autosufficienza, di Marco Geddes, è un articolo appena comparso su
questo
sito
avente
per
argomento
quello
centrale
di
queste
conferenze:
http://www.partecipasalute.it/cms_2/node/1664.
Le associazioni di pazienti non sempre costituiscono un esempio di guida disinteressata
alle possibili cure, ma sono talvolta vere e proprie vetrine di propaganda nei confronti di un
metodo o di un sanitario o di una ditta produttrice.
Nell’ambito del progetto PartecipaSalute, fin dal 2004 è stato sviluppato:
Misurassociazioni, uno strumento che, attraverso alcune semplici domande riguardanti le
fonti di finanziamento e gli eventi organizzati, la composizione degli organi direttivi e
decisionali, permetteva di valutare forza, attività, trasparenza e indipendenza delle
associazioni di cittadini e di pazienti. La nuova versione del Misurassociazioni disponibile
sul sito è il risultato della collaborazione tra il team di PartecipaSalute, il gruppo GRAL, e
Pierluigi Pennati, Presidente della Federazione FEDIPSO.
Ad esempio molte associazioni di genitori di bambini con autismo, note anche a livello
internazionale, presentano come cure mirabolanti quegli interventi che potrebbero al
massimo costituire ipotesi di ricerca, al fine di vendere ai genitori gli interventi stessi: è il
caso dell’ASA (American Autistic Society), nel cui consiglio di amministrazione siede
l’amministratore delegato di una ditta che produce integratori alimentari, che è venuto
persino a parlare con il nostro Ministro della salute sotto copertura di ASA. Alcune
associazioni di genitori di soggetti autistici italiani fanno pubblicità a medicine alternative,
fra le quali trapianto di cellule nel cervello, camera iperbarica, chelazione dei metalli,
integratori alimentari necessari per compensare le restrizioni della dieta superflue (cioè
che non hanno basi diagnostiche oggettive), castrazione chimica dei ragazzini, secretina.
La Federazione nazionale delle tre associazioni nazionali che si occupano specificamente
di autismo (ANGSA onlus, Autismo Italia, Gruppo Asperger) hanno stigmatizzato queste
ciarlatanerie, spesso dannose. Per valutare la serietà delle associazioni cfr,
http://www.partecipasalute.it/cms_2/node/358
Conoscendo l’importanza crescente di internet come fonte di informazione (buona e
cattiva) sanitaria, nel sito www.partecipa salute.it si trova fra l’altro il “misurasiti”, una scala
di giudizio che permette di riconoscere la scientificità dei vari siti in cui ci si può imbattere
alla
ricerca
di
una
risposta
per
una
malattia
o
per
un
farmaco.
(cfr
http://www.partecipasalute.it/cms_2/node/18 ).
L’impudenza dei ciarlatani non conosce limiti, e talvolta è difficile distinguere un annuncio
a pagamento di uno di questi da una proposta seria. L’educazione sanitaria nelle scuole
dovrebbe curare in particolare una formazione di tutti gli allievi, dato che è meglio fare
formazione sulle persone sane, quando non è presente il dramma della malattia e della
disabilità, che di per sé rende difficile usare il raziocinio.
Il CICAP, fra i cui fondatori si annovera Piero Angela, fornisce materiale di studio e di
informazione nei confronti dei ciarlatani che si ammantano di scientificità utilizzando
laboratori e presentazioni apparentemente corrette (il personaggio vestito a metà da mago
e a metà da laboratorista è stato appositamente scelto come emblema dell’ultimo
convegno svoltosi in provincia di Padova).
Molti ciarlatani presentano invece subito il volto del paranormale, della magia o della
religione tipo new age: l’ultimo figlio di Blair, per volere della mamma e della nonna
materna non è stato sottoposto alle vaccinazioni, in quanto il guru della nonna era
contrario: questo fatto, diffuso ampiamente dai media, ha significato una disastrosa
discesa delle vaccinazioni, con gravi conseguenze per molti bambini.
La razionalità dovrebbe essere il fondamento della medicina moderna, quella EBM, ma
non si deve dimenticare che la medicina alternativa, con la quale molti medici possono
aumentare gli onorari, è generalmente fondata sull’effetto placebo. Soltanto i giovani
medici della Gran Bretagna hanno levato la loro voce contro questa mescolanza di due
mondi assolutamente antitetici. Ma in Italia un settimo dei cittadini crede nelle medicine
alternative e le pratica a proprie spese: il pensiero magico, la superstizione e il desiderio di
illusioni sono realtà ben note a psicologi e sociologi, presenti in tutte le civiltà e in tutte le
classi sociali, particolarmente nella classe colta e di media età.
Il rapporto operatore-paziente viene particolarmente curato nella pratica di molte medicine
alternative: non è un caso che siano state additate come esempio di ottimo rapporto
interpersonale. La personalizzazione della medicina e del rapporto fra sanitario e paziente
che vi si realizza consente di massimizzare l’effetto placebo: il tempo impiegato non
conosce le limitazioni efficientistiche e l’onorario (privato) è commisurato a tempi lunghi.
Il rapporto fra paziente e operatore è influenzato dal sistema giuridico vigente
Il timore di essere denunciato per malpractice si è esteso notevolmente negli ultimi dieci
anni, anche se le cause intentate in Italia sono generalmente molto meno frequenti rispetto
agli USA e le sentenze di condanna sono ancora meno frequenti. Gli operatori avvertono
tuttavia che il nostro Paese si è avviato lungo la stessa strada e quindi adottano già da ora
una serie di precauzioni che possono ritorcersi pesantemente contro i pazienti stessi. La
medicina difensiva è destinata ad estendersi sempre più finché non si adotteranno norme
giuridiche particolari: la condizione di malato che esige un intervento chirurgico e ne riceve
un danno non è paragonabile a quella di una persona sana che riceve un danno da un
investimento di un’auto sulle strisce pedonali. Il paziente deve essere messo in grado di
scegliere in base alla sua situazione e alla sua propensione al rischio, uscendo dalla
situazione di chi si affida nelle mani dell’operatore, al quale resta comunque il dovere di
dare l’informazione più corretta, sia pure in termini probabilistici.
Condizionamenti derivanti dal sistema incentivante economico
La situazione di crisi finanziaria delle Aziende sanitarie pubbliche ha incentivato l’attività
libero professionale intramuraria: infatti questa attività comporta un risparmio per il SSN,
dovuto alla mancanza della produzione del servizio, ed un introito che viene ripartito fra
Azienda e équipe curante. Non ci si deve stupire se questa attività viene continuamente
incentivata, con mezzi anche non leciti, come quello di ingigantire le file di attesa. Vedere
nel paziente una possibile fonte di guadagno modifica l’atteggiamento che favorisce
l’equità di trattamento, un tempo orgoglio dei SSN del mondo, Italia compresa.
Un
tentativo
di
superare
la
dicotomia
paziente-operatore
e
iniziare
una
collaborazione su piano paritario, nel rispetto delle competenze: Il giudizio
soggettivo e quello medio di un collettivo sulla qualità della vita
Sopra tutto quando si tratta di servizi a lungo termine, come nel caso di RSA, Centri
semiresidenziali e ADI, personalizzazione, umanizzazione, confort contribuiscono alla
qualità della vita e possono essere rilevanti mediante i QALY. Facendo riferimento al
gradimento dell’assistito ed alla qualità di vita percepita, nei paesi anglosassoni fin dagli
anni ‘70 si incominciò a misurare quantitativamente la qualità dell’anno di vita vissuto, con
il ‘Q.A.L.Y.‘, l’anno di vita ponderato (A=Adjusted) per la buona salute. Da anni ormai la
valutazione del risultato di un intervento sanitario viene effettuata calcolando sia l’aumento
degli anni di vita che la qualità degli anni di vita. Prima si garantisce comunque il livello
minimo che ti fa durare la vita quello che può durare, poi si punta l’attenzione sulla qualità
della vita, dando un valore più elevato agli anni di vita passati in buona qualità di vita; un
anno di vita è eguale a un QALY soltanto se vissuto e percepito in perfetta salute,
altrimenti viene ridotto in proporzione. Pertanto questo metodo che all’estero è stato già
usato tantissime volte, per tantissime malattie e tantissime situazioni di disabilità, deve
cominciare ad entrare nell’uso corrente anche in Italia.
Ci sono altri modi per ottenere la valutazione della qualità da parte degli utenti e da parte
delle associazioni che li rappresentano: l’audit, per esempio, può essere un mezzo
importante. Attenzione però che gli audit non siano autoreferenziali, sia pure
indirettamente: l’audit che viene condotto da un’organizzazione profit o no profit che viene
retribuita dall’ospedale o dalla RSA rischia di non potere esprimere un giudizio
indipendente. L’audit dovrebbe esser fatto da un esterno del tutto indipendente e le
associazioni degli utenti e gli utenti stessi dovrebbero essere il riferimento principale. Per
le aziende ospedaliere e sanitarie il Movimento Cittadinanzattiva ha proposto l’audit civico,
che è un primo passo per uscire dall’autoreferenzialità, ma essendo retribuito dall’azienda
o dalla Regione, i cui funzionari sono molto presenti nei procedimenti, non gode della
piena libertà.
La priorità che si afferma è il pareggio del bilancio e ogni mezzo è utile pur di raggiungere lo
scopo. I dirigenti medici e non medici sono giudicati su questa base e perciò seguono con
diligenza la politica dei tagli, a partire dal massimo dirigente che riduce i posti letto, fino
all’assistente sociale che propone alla famiglia di pagare in proprio tutte le spese dell'RSA per
molti mesi, almeno finché l’AUSL non sarà in grado di cominciare a prendersi carico della metà dei
costi totali, mentre la legge prescrive che ciò debba avvenire da subito.
Ai fini delle scelte di programmazione dell’intervento pubblico nel settore sanitario e
sociosanitario, la qualità dell’intervento e la quantità e qualità di vita che ne derivano
devono essere misurate da un lato dai tecnici funzionari, come prescritto dall’art.10 del
decreto legislativo n.502/92, e dall’altro dai cittadini e dagli utenti, come prescritto
dall’art.14 prima richiamato, ed a loro spetta sempre l’ultima parola nell’applicazione degli
interventi al loro caso personale. Il rappresentante politico ha il dovere di decidere la
programmazione, anche nel caso di scelte difficili, confrontandosi direttamente con la sua
base elettorale di cittadini e di loro associazioni, mediandone le richieste. Su queste basi si
fonda la democrazia partecipativa che la nostra Costituzione tutela.
Le società o le associazioni degli operatori emanano delle Carte dei valori, sulla base delle
quali i pazienti, i loro familiari e le loro associazioni vedono chiariti e formalizzati i rapporti
fra pazienti e quella categoria di operatori cui compete quella Carta dei valori.