Le polizze vita: un`arma a doppio taglio

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Le polizze vita: un`arma a doppio taglio
IL DENARO
SABATO 29 MARZO 2014
I M P R E S E &P A L A Z Z I
8
LA MAPPA DELLA COOPERAZIONE
La carica delle 8mila coop
Sono 53mila gli occupati
IN CALO IL NUMERO DI AZIENDE MA IN DIECI ANNI +21,6 PER CENTO DI LAVORATORI
ALTIERI (AGCI): MISCELA ESPLOSIVA TRA CRISI E CARENZA DI POLITICHE DI SOSTEGNO
DI CHIARA DI MARTINO
È CRESCIUTO del 21,6 per cento
in dieci anni, dal 2001 al 2011,
fino a toccare 53.500 unità lavorative l’impatto occupazionale delle cooperative campane, ma
dal 2012 anche questo settore,
che oggi rappresenta l’1,7 per
cento del tessuto imprenditoriale della regione, registra un calo.
Il numero delle imprese attive, infatti, è passato
dalle 10.175 del
2009 alle 8.145
censite nel 2013.
Dati alla mano,
a tracciare la
mappa del settore in Campania è
Rosario Altieri (in
foto) presidente dell’Agci, Associazione generale cooperative italiane, e copresidente dell’Alleanza delle
cooperative italiane che conta al
proprio interno anche Legacoop e Confcooperative, che però
precisa: “Quel numero non fa
giustizia alla cooperazione perché, delle 470.228 società complessive, molte sono ditte individuali, mentre le cooperative hanno un peso rilevante sull’occupazione”. Anche il calo numerico delle aziende va letto dopo
opportuna contestualizzazione.
“La contrazione di circa 2mila
unità negli ultimi 4 anni è dovuta
sì alla crisi – spiega – ma anche
alle fusioni”. In questo identikit
La fotografia del movimento
• Numero di società attive
(al 2013)
8.145 (l’1,7% delle Pmi campane)
• Occupazione
Il 4,8% degli occupati complessivi
Dati per provincia
(numero imprese cooperative)
Napoli: 3078
Salerno: 2125
Caserta: 1890
Avellino: 577
Benevento: 475
I dati regionali delle cooperative forniti dal copresidente dell’Alleanza
delle cooperative italiane
è Napoli, senza sorpresa,
la città con il maggiore
numero di imprese
(3.078, il 37,7 per
cento) seguita da Salerno (2.125) e Caserta (1.890). Donne e
giovani sembrano essere
il motore del comparto, ricoprendo rispettivamente il 22 e
il 14,3 per cento delle cooperative campane. Scarso è invece
l’impatto delle società gestite da
stranieri, che si fermano al 2 per
cento. Servizi e agricoltura sono
i settori più diffusi, ma se si raffronta il peso delle cooperative
campane con quello delle altre regioni, l’incidenza diretta e indiretta resta marginale. L’apporto
complessivo delle cooperative sul
Pil è di circa il 10 per cento, mentre la Campania si ferma al 4 per
cento. E non va meglio sul fronte occupazione: in assoluto, il peso regionale è del 4,8 per cento.
“Scarsa propensione alla cultura
cooperativa, mancanza di soste-
gno all’autoimprenditorialità e
crisi creano una miscela esplosiva”, chiosa Altieri. Ora che il paese ha un ministro del Lavoro che
proviene dal mondo della cooperazione – Giuliano Poletti, nominato dal premier Matteo Renzi, è ex presidente di Legacoop –
è lecito attendersi una maggiore
attenzione al movimento cooperativo? “Finora le politiche di sviluppo guardavano ai modelli della grande impresa, ora potrebbe
essere arrivato il momento di allargarle alle piccole e medie imprese - annuncia il presidente Agci -. Incontreremo nuovamente
il ministro la prossima settimana: già nel primo confronto abbiamo ribadito che non faremo
mancare l’apporto e il contributo delle cooperative. Ora bisogna discutere di riforma degli
ammortizzatori sociali, sostegno
all’occupazione e, soprattutto, di
Irap, un’imposta che colpisce il
lavoro. Sono queste le richieste
del movimento”. •••
[VITA CONSOLARE]
Monumenti e mozzarella
Know how per la Colombia
LA VERA “GRANDE BELLEZZA”
della Campania? Beni culturali e
dieta mediterranea. Ne è sempre
più convinto il Governo colombiano, che al ritorno da un tour
cultural-enogastronomico in Terra Felix, già ha in programma una
serie di accordi per importare sul
proprio territorio il know how
campano. Nel mirino dei latinoamericani, guidati nella visita a
Caserta dall’ambasciatore in Italia
Juan Sebastian Betancur e dal
console onorario napoletano Antonio Maione, la mozzarella di
bufala e le tecniche di coltivazione del terreno. “A Caserta c’è stato solo un primo passaggio, un
approccio che definirei cognitivo
- spiega Maione - perché i nostri
prodotti non esistono proprio in
Colombia. Quindi occorre creare una cultura e poi passare alla
pianificazione strutturale di impianti e coltivazioni. In questi giorni invieremo tecnici per entrare
nella fase attuativa”. Nell’ultimo
anno il Pil colombiano è cresciuto di un punto percentuale passando dal 4 al 5 per cento e il Paese è pronto a investire in nuovi
settori. “Proprio la visione del metodo di tutela culturale della Reggia di Caserta, unita alla visita dell’azienda zootecnica che alleva le
bufale campane e produce la
mozzarella ha acceso i riflettori
sulla nostra qualità e prevenzione”.
Perché la Colombia scopre le bellezze campane solo adesso. “Perché ora – dice Maione – convergono due fattori che prima non
esistevano: il maggiore impegno
delle istituzioni campane nel favorire la crescita imprenditoriale
regionale, e i passi da gigante fatti dalla Colombia che grazie agli
ultimi due presidenti è riuscita a
sconfiggere il narcotraffico relegandolo in angoli lontani dai centri cittadini”. Il prossimo passo
verso quest’intesa Campania-Colombia? “Nei prossimi giorni - annuncia Maione - prepareremo un
protocollo d’intesa che consentirà di creare assieme eventi, joint
venture e incontri con imprenditori”.
Seguiranno una serie di collaborazioni su altri fronti culturali:
gli organismi tecnici di Ambasciata e Osservatorio non solo si
stanno muovendo con un occhio
particolare all’Expo del 2015, ma
invieranno in Colombia medici
per spiegare l’impatto benefico
della nostra dieta in un Paese che
non ha mai posseduto un’alimentazione ‘leggera’, avendo stili
di vita spesso non salutari.
Anche dagli Usa, con la visita
a Caserta del console Colombia
Barrosse, si accendono i riflettori
sulle bellezze campane. Accompagnata dal console economicopolitico Rosi Balbi e dal sindaco
Pio del Gaudio, la Barosse ha fatto tappa alla Reggia, al Belvedere
di San Leucio e all’area di proprietà della Curia Ex Macrico,
dismessa come caserma e abbandonata: “Sono senza parole - dice
il console -. I tesori posseduti dalla Campania e da valorizzare sono tantissimi”.
Bruno Russo
[CACCIA AL VALORE]
Le polizze vita: un’arma a doppio taglio
Di ROBERTO RUSSO
IL RISPARMIO GESTITO in Italia
è oggi pari a circa 1.300
miliardi di euro ed è suddiviso
in due macro gruppi più o
meno di uguale dimensione: le
gestioni di portafoglio
individuali e le gestioni
collettive (fondi e altri
prodotti). Esiste un prodotto
finanziario di matrice
assicurativa che, per certi versi,
è una forma di “ibrido” in
quanto è assimilabile a una
gestione individuale avente ad
oggetto strumenti collettivi di
risparmio (fondi).
Parliamo della polizza vita,
ovvero di un contratto con il
quale una compagnia
assicurativa si impegna, dietro
la corresponsione di un
premio, a liquidare al
beneficiario un capitale in
un’unica soluzione o attraverso
una rendita in seguito a un
accadimento relativo alla vita
dell'assicurato. Le polizze
prevedono, a seconda dei casi,
la liquidazione di un capitale al
beneficiario sia in caso di morte
che in caso di vita
dell'assicurato.
La polizza vita è dunque uno
strumento di risparmio nato sia
per far fronte ai potenziali
problemi economici che
potrebbero derivare dalla morte
di un membro della famiglia
(l’assicurato), sia come forma
alternativa di risparmio
finalizzata a garantire una
pensione integrativa al
sottoscrittore.
Tra i principali vantaggi di
questi prodotti va ricordato che
essi sono esenti dall’imposta di
successione, non fanno parte
dell’asse ereditario e che i
capitali liquidati sono
impignorabili e insequestrabili.
Il denaro versato dal cliente
sotto forma di premio è gestito
da un operatore professionale
(banca) all’interno di una
“scatola assicurativa”; alla
scadenza del contratto, il
beneficiario incassa il capitale
maggiorato dei rendimenti
ottenuti attraverso l’attività di
gestione e, se previsto,
all’avverarsi dell’evento morte
incassa la somma prestabilita a
suo favore.
Quali i costi di questi prodotti?
A rigor di logica, il gestore di
una polizza vita dovrebbe
percepire una commissione di
gestione annua fissa per il
lavoro di selezione dei
titoli/fondi all’interno della
“scatola assicurativa” (l’1 per
cento sarebbe un prezzo
congruo) e, al limite, un
premio di performance qualora
i risultati dovessero oltrepassare
delle soglie di rendimento
prestabilite.
Purtroppo, sempre più spesso,
si verificano casi di polizze vita
con costi occulti su base annua
a carico dei sottoscrittori che
arrivano fino al 6 per cento del
premio versato, suddivisi tra
commissione di sottoscrizione
del contratto, commissione di
asset allocation del portafoglio
oggetto di gestione (in
numerosi casi il 2 per cento
annuo) e, cosa ben più grave,
commissioni di ingresso, di
gestione e di performance
previste nei prospetti dei fondi
stessi acquistati all’interno del
prodotto. Ecco che, in questi
casi, tutti i vantaggi sopra
elencati svaniscono in un
istante e gli ignari sottoscrittori
si trovano vittime di una
trappola che causa loro
addirittura perdite in conto
capitale alla scadenza del
contratto. La causa di questi
meccanismi perversi è
riconducibile alla crisi che
investe il sistema del risparmio
gestito in Italia, con le reti di
vendita delle
banche/assicurazioni focalizzate
prevalentemente sul
collocamento e sulla
distribuzione di prodotti
finanziari, in palese conflitto di
interesse, in quanto la
principale forma di
remunerazione dei promotori
finanziari è la retrocessione sulle
commissioni di gestione,
collocamento e distribuzione
dei fondi.
È sempre più frequente il caso
di sottoscrittori di polizze che
prevedono la gestione di un
portafoglio di fondi dove la slot
machine delle commissioni
sopra elencate erode
progressivamente il capitale
investito snaturando totalmente
la finalità per cui sono stati
creati questi prodotti.
Il segreto per non cadere nella
trappola dei costi occulti è
(prima della sottoscrizione)
leggere con molta attenzione il
prospetto informativo della
polizza e chiedere sempre il
Total Expense Ratio (Ter) di
ciascun prodotto finanziario
gestito all’interno della stessa;
tale ultimo indicatore esprime,
in percentuale e su base annua,
il totale dei costi, palesi e
occulti, a carico dei fondi, come
le commissioni di gestione, le
commissioni di performance, il
compenso della banca
depositaria, le spese di
revisione, le spese legali e
giudiziarie, le spese di
pubblicazione del valore della
quota e del prospetto
informativo e numerosi altri
oneri gravanti su ciascun fondo.
In sintesi, cari risparmiatori,
non distraetevi mai e
pretendete sempre la massima
trasparenza, la correttezza e
l’assenza di conflitti di interesse
in capo a chi gestisce il vostro
denaro. •••