Questa settimana …
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Questa settimana … Anno C pari - IV settimana di Quaresima - IV settimana del salterio Lunedì 7 marzo Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato 6.30 Lodi mattutine in chiesa 17.00 catechismo Parroco: Parrocchia, catechismo Martedì 8 6.30 Lodi mattutine in chiesa Dio è per noi rifugio e fortezza Parroco: mattina Vicariato Mercoledì 9 Misericordioso e pietoso è il Signore 6.30 Lodi mattutine in chiesa 17.00 catechismo Parroco: Parrocchia, catechismo Giovedì 10 Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo 6.30 Lodi mattutine in chiesa 15.30 Pomeriggio Insieme per anziani 17.00 Adorazione eucaristica e Vespri Parroco: Parrocchia, Adorazione Venerdì 11 Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato 6.30 Lodi mattutine in chiesa 17.45 Via Crucis 20.00 incontro famiglie (P. Gabriele) 21.00 Cammino per fidanzati Parroco: Parrocchia, Via Crucis, fidanzati Sabato 12 Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio Parroco: Parrocchia 18.00 incontro ragazzi Domenica 13 Grandi cose ha fatto il Signore per noi V Domenica di Quaresima Parroco: incontro ragazzi e-mail: [email protected] ietato vietare. Fu uno dei famosi slogan del maggio del ‘68 francese, movimento che accese il fuoco della contestazione anche in Italia. Un’inebriatura di libertà che ancor oggi fa sentire i suoi effetti. Poter gestire liberamente della propria vita senza dover sottostare ad autorità civili o religiose, vincoli morali o legali. Ripartire da zero o comunque ripensare tutto. Senza la pretesa di essere il superuomo di Nietsche ma semplicemente liberi. È un film già visto: il giovane del Vangelo vuole proprio questo. In maniera meno idealista; niente assemblee o collettivi, non occupa fabbriche o università, non fa autogestioni, va subito al dunque: voglio fare ciò che mi piace. Non è questo in fondo che si voleva (e si vuole)? Nel ‘68 bisognava abbattere l’autorità: lo Stato, il padrone, la Chiesa, la morale, le regole. Non accetto più di vivere in questa casa che mi sta stretta, me ne vado con la mia eredità: la mia vita, la mia storia, tutto quanto mi è stato trasmesso e ho ricevuto, ciò che sono. È la continua tentazione di realizzare il paradiso ter- restre, un paradiso senza Dio. A ben guardare abbiamo riscritto per l’ennesima volta la seconda pagina della Bibbia: il peccato originale, la pretesa di decidere cos’è bene e cos’è male. Solo che non funziona così. Prima o poi i soldi finiscono e così anche il pane, anche i piaceri assumono un gusto amaro. Vedo le cose che desideravo svanire nella loro inconsistenza. L’ha toccato con mano il giovane e lo tocchiamo con mano noi: famiglia, amore, amicizia, lavoro, verità, giustizia, … cos’è rimasto di tutto ciò che sembrava a portata di mano, così facile e ragionevole da costruire. Non c’è bisogno di un Dio e della sua Chiesa, sono un ostacolo: chi meglio di me sa cosa mi rende felice! Quel giovane ha avuto il buonsenso di rendersi conto che a casa di suo Padre si stava meglio e si è rimesso in cammino. C’è anche un altro fratello, il maggiore, quello ‘bravo’, sempre rimasto a casa a lavorare, obbediente (lo dico sentitamente da primogenito). Anche lui deve ritrovare la strada di casa, desiderare che suo fratello torni e fare festa col Padre. Il Vangelo della Domenica (Lc 15,1-3,11-32) n quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». Preghiamo per Gli anziani e gli ammalati Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen Avvisi parrocchiali e altro "La famiglia è l'associazione istituita dalla natura per provvedere alle necessità dell'uomo" Aristotele (384 o 383 a.C.–322 a.C) Domenica delle Palme (20 marzo) NON C’E’ LA MESSA DELLE 9.30 ore 9.45 inizio della celebrazione dal piazzale dell’Oratorio dietro la chiesa (accesso da via S. Teresa) con la Processione delle palme MARTEDì SANTO (22 marzo) ore 20.30 LITURGIA PENITENZIALE GIOVEDì SANTO (24 marzo) ore 7.00 Ufficio delle Letture e Lodi Mattutine NON CI SONO LE MESSE DELLA MATTINA ora 18.30 S. MESSA della CENA del SIGNORE Presentazione dei bambini della Prima Comunione Raccolta delle offerte della Quaresima ore 21.00 SOSTA DAVANTI all’ALTARE della REPOSIZIONE VENERDì SANTO (25 marzo) ora 7.00 Ufficio delle Letture e Lodi Mattutine NON CI SONO MESSE ore 15.00 VIA CRUCIS ora 18.30 AZIONE LITURGICA dell’ADORAZIONE della CROCE SABATO SANTO (26 marzo) ore 7.00 Ufficio delle Letture e Lodi Mattutine L’unica celebrazione è la VEGLIA PASQUALE alle ore 22.00 Si dice che la meretrice seduta sulla bestia, con la coppa del mistero nelle mani, sarà svergognata, che i deboli torneranno a rivoltarsi, strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo “impuro”. Ma io allora mi alzerò e Ti additerò i mille milioni di bimbi felici, che non conobbero il peccato. E noi, che ci siamo caricati dei loro peccati, per la felicità loro, noi sorgeremo dinanzi a Te e diremo: “Giudicaci, se puoi e se osi”. Sappi che io non Ti temo. Sappi che anch’io fui nel deserto, che anch’io mi nutrivo di cavallette e di radici, che anch’io benedicevo la libertà di cui Tu letificasti gli uomini, che anch’io mi ero preparato ad entrare nel numero dei Tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, con la brama di “completare il numero”. Ma mi ricredetti e non volli servire la causa della follia. Tornai indietro e mi unii alla schiera di quelli che hanno corretto l’opera Tua. Lasciai gli orgogliosi e tornai agli umili per la felicità di questi umili. Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carboni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno piú di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu. Domani Ti arderò. Dixi”. Ivàn, si fermò. Egli si era accalorato e aveva parlato con fervore; quando poi ebbe finito, fece improvvisamente un sorriso. Aljòsa, che l’aveva sempre ascoltato in silenzio e verso la fine, in preda a straordinaria agitazione, molte volte aveva voluto interrompere il discorso del fratello, ma si era visibilmente trattenuto, si mise d’un tratto a parlare, come scattando: – Ma... è un assurdo! – esclamò, arrossendo. – Il tuo poema è l’elogio di Gesú e non la condanna... come tu volevi. E chi ti crederà là dove parli della libertà? È cosí, è forse cosí che va intesa? È quello il concetto che ne ha l’ortodossia?... Quella è Roma, e neppure tutta Roma, sbaglio, sono i peggiori fra i cattolici, sono gli inquisitori, i gesuiti!... E un personaggio fantastico come il tuo inquisitore non può esistere affatto. Che cosa sono quei peccati degli uomini che egli ha presi su di sé? Chi sono quei detentori del mistero, che si sono addossata non so quale maledizione per la felicità degli uomini? Quando mai si son visti? Noi conosciamo i gesuiti, se ne parla male, ma sono forse come i tuoi? Non sono affatto cosí, sono tutt’altra cosa... Sono semplicemente l’armata romana per il futuro regno universale terreno, con l’imperatore, il pontefice romano, alla testa... ecco il loro ideale, ma senza nessun mistero e nessuna sublime tristezza... La piú semplice brama di potere, di sordidi beni terreni, di asservimento... una specie di futura servitú della gleba, nella quale essi sarebbero i proprietari fondiari... ecco tutto quello che essi vogliono. Forse non credono nemmeno in Dio. Il tuo inquisitore con le sue sofferenze non è che una fantasia... – Fermati, fermati! – rise Ivàn, – come ti sei scaldato! Fantasia, tu dici, sia pure! Fantasia, certo. Permetti però: credi tu davvero che tutto questo movimento cattolico degli ultimi secoli non sia in realtà che una brama di potere in vista soltanto di beni volgari? È forse padre Paisio che t’insegna cosí? – No, no, al contrario, padre Paisio diceva una volta perfino qualcosa del tuo genere... ma era una cosa diversa, certo, tutta diversa, – si riprese Aljòsa. – Informazione preziosa, però, nonostante il tuo “tutta diversa”. Io ti domando: perché i tuoi gesuiti e inquisitori si sarebbero collegati solo in vista di beni materiali e volgari? Perché non può incontrarsi fra di loro neanche un solo martire, tormentato da una nobile sofferenza e amante dell’umanità? Vedi: supponi che fra tutti questi uomini non desiderosi che di sordidi beni materiali se ne sia trovato anche uno solo come il mio vecchio inquisitore, che abbia mangiato anche lui radici nel deserto e si sia accanito a domare la propria carne per rendersi libero e perfetto, ma che però abbia in tutta la sua vita amato l’umanità: a un tratto ha aperto gli occhi e ha veduto che non è una gran felicità morale raggiungere la perfezione del volere, per doversi in pari tempo convincere che milioni di altre creature di Dio sono rimaste imperfette, che esse non saranno mai in grado di servirsi della loro libertà, che dai miseri ribelli non usciranno mai dei giganti per condurre a compimento la torre, che non per simili paperotti il grande idealista ha sognato la sua armonia... Dopo aver compreso tutto ciò, egli è tornato indietro e si è unito... alle persone intelligenti. Non poteva questo accadere? – A chi si è unito, a quali persone intelligenti? – esclamò Aljòsa quasi adirato. – Essi non hanno né tanta intelligenza, né misteri o segreti di sorta... Forse soltanto l’ateismo, ecco tutto il loro segreto. Il tuo inquisitore non crede in Dio, ecco tutto il suo segreto! – E anche se fosse cosí? Infine tu hai indovinato. È proprio cosí, è ben qui soltanto che sta tutto il segreto, ma non è forse una sofferenza, almeno per un uomo come lui, che ha sacrificato tutta la sua vita nel deserto per una grande impresa e non ha perduto l’amore per l’umanità? Al tramonto dei suoi giorni egli acquista la chiara convinzione che unicamente i consigli del grande e terribile spirito potrebbero instaurare un qualche ordine fra i deboli ribelli, “esseri imperfetti e incompiuti, creati per derisione”. Ed ecco che, di ciò convinto, vede come occorra seguire le indicazioni dello spirito intelligente, del terribile spirito della morte e della distruzione, e, all’uopo, accettare la menzogna e l’inganno, guidare ormai consapevolmente gli uomini alla morte e alla distruzione, e intanto ingannarli per tutto il cammino, affinché non possano vedere dove sono condotti affinché questi miseri ciechi almeno lungo il cammino si stimino felici. E nota: l’inganno è compiuto in nome di Quello nel cui ideale il vecchio ha per tutta la sua vita cosí appassionatamente creduto! Non è questa un’infelicità? E anche se un solo uomo simile si fosse trovato alla testa di tutta quell’armata “avida di potere in vista di soli beni volgari”, non sarebbe sufficiente quest’unico perché si avesse la tragedia? Piú ancora: basterebbe che ci fosse alla testa un solo uomo cosí perché si scoprisse, finalmente, la vera idea direttiva di tutta l’opera di Roma, con tutte le sue armate e i suoi gesuiti, l’idea suprema dell’opera stessa. Te lo dico schietto, io credo fermamente che quest’unico non sia mai mancato fra quelli che erano alla testa del movimento. Chissà, ce ne sono stati anche fra i pontefici romani! Chissà, questo vecchio maledetto, che cosí ostinatamente e cosí a modo suo ama l’umanità, esiste forse anche oggidí sotto l’aspetto di tutta una schiera di vecchi consimili, e non già casualmente, ma perché esiste come un accordo, come una segreta alleanza, già da gran tempo stabilita per custodire il mistero, per salvaguardarlo dagli uomini sventurati ed imbelli, allo scopo di rendere costoro felici. Cosí è senza dubbio, e cosí dev’essere. Io immagino che perfino i massoni abbiano, fra i loro principi, qualcosa di analogo a questo mistero e che i cattolici odino tanto i massoni perché vedono in essi dei concorrenti, che spezzano l’unità dell’idea, mentre unico deve essere il gregge e unico il pastore... Del resto, difendendo il mio pensiero, io ho l’aria di un autore che non sopporta la tua critica. Ma basta di ciò! – Sei forse massone anche tu! – sfuggí ad Aljòsa. – Tu non credi in Dio, – soggiunse, ma ormai con profonda amarezza. Gli parve inoltre che il fratello lo guardasse con fare canzonatorio. – E come termina il tuo poema? – domandò a un tratto, con lo sguardo a terra, – o è già terminato? – Io volevo finirlo cosí: l’inquisitore, dopo aver taciuto, aspetta per qualche tempo che il suo Prigioniero gli risponda. Il Suo silenzio gli pesa. Ha visto che il Prigioniero l’ha sempre ascoltato, fissandolo negli occhi col suo sguardo calmo e penetrante e non volendo evidentemente obiettar nulla. Il vecchio vorrebbe che dicesse qualcosa, sia pure di amaro, di terribile. Ma Egli tutt’a un tratto si avvicina al vecchio in silenzio e lo bacia piano sulle esangui labbra novantenni. Ed ecco tutta la Sua risposta. Il vecchio sussulta. Gli angoli delle labbra hanno avuto un fremito; egli va verso la porta, la spalanca e Gli dice: “Vattene e non venir più ... non venire mai più ... mai più!”. E Lo lascia andare per “le vie oscure della città”. Il Prigioniero si allontana. – E il vecchio? – Il bacio gli arde nel cuore, ma il vecchio persiste nella sua idea. FINE Lo scrittore russo Fedor Mikhailovic Dostoevskij nasce a Mosca il giorno 11 novembre 1821, secondo di sette figli. Il padre Michail Andreevic (Michajl Andrevic), di origine lituana, è medico e ha un carattere stravagante nonchè dispotico; il clima in cui cresce i figli è autoritario. La madre Marija Fedorovna Necaeva muore nel 1837 a causa della tisi. Fedor viene iscritto alla scuola del genio militare di Pietroburgo, pur non avendo nessuna predisposizione per la carriera militare. Nel 1839 il padre, che si era dato al bere e che maltrattava i propri contadini, viene ucciso probabilmente da questi ultimi. Con il suo carattere allegro e semplice la madre aveva educato il figlio all'amore per la musica, la lettura e la preghiera. Gli interessi di Fedor sono per la letteratura e, terminati gli studi di ingegneria militare, abbandona questo settore rinunciando alla carriera che il titolo gli offrirebbe. Lotta contro la povertà e la salute cagionevole: inizia a scrivere il suo primo libro, "Povera gente", che vede la luce nel 1846 e che avrà importanti elogi critici. Nello stesso periodo conosce Michail Petrasevkij, convinto sostenitore del socialismo utopistico di Fourier, conoscenza che influenza la stesura del suo primo lavoro. Dostoevskij inizia a frequentare i circoli rivoluzionari: nel 1849 viene arrestato e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo con l'accusa di cospirazione. Dostoevskij viene condannato insieme ad altri venti imputati alla pena di morte mediante fucilazione. E' già in posizione per la propria esecuzione quando giunge un ordine dell'imperatore Nicola I che cambia la condanna in lavori forzati. Dostoevskij parte così per la Siberia. La dura esperienza lo segna fisicamente e moralmente. Terminata la pena viene mandato a Semipalatinsk in qualità di soldato semplice; dopo la morte dello zar Nicola I diventerà ufficiale. Qui conosce Marija, già moglie di un compagno; si innamora di lei: la sposerà nel 1857 quando questa rimarrà vedova. Per motivi di salute nel 1859 Dostoevskij viene congedato e si trasferisce a Pietroburgo. Torna così alla vita letteraria. Tra le sue opere più note vi sono "Memorie dal sottosuolo", "Delitto e castigo", "L'idiota", "Il giocatore", "I fratelli Karamazov". Fedor Dostoevskij muore il 28 gennaio 1881. La sua sepoltura, nel convento Aleksandr Nevskij, è accompagnata da una folla immensa.