Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti
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Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti
A cura della Redazione e di Anna Casanova @casanovanna Per segnalazioni scrivi a [email protected] Carta Canta Io donna e lo sguardo glocal 59 Tre domande a... Cécile Kyenge 58 61 Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti Musica La tromba magica di Ibrahim Maalouf 60 Cinema Giraffada Sapori&saperi Il mondo perduto degli eschimesi 62 66 64 Inter@gire Presta attenzione Benvivere Banca etica guarda al crowdfunding 56 56 57 68 58 Leggere Novità La libreria Odradek (Roma) Sul comodino di... Guido Dotti Carta canta Io donna e lo sguardo glocal Tre domande a... Cécile Kyenge Guardare Cinema Giraffada Docu Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica Osservatorio L’Unione europea nell’informazione Tv Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti Ascoltare Musica La tromba magica di Ibrahim Maalouf Hit Argentina Strumenti Agogo On Air Radio Onda d’Urto Gustare Sapori&saperi Il mondo perduto degli eschimesi Verso Expo 2015 Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia Retrogusto Vietnamonamour (Milano) Sorseggi Vino di kiwi Inter@gire Presta attenzione Decode Un futuro fai-da-te Benvivere Banca etica guarda al crowdfunding Ecojesuits I gesuiti canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne Graphic journalism Le lettere di Hilda Dajč/6 62 65 66 59 63 61 65 63 65 68 60 62 64 69 66 68 60 61 Leggere novità In Koli Jean Bofane Matematica congolese Che cos’è la matematica? Solo un freddo susseguirsi di numeri, operazioni, teoremi? E a che cosa può servire in un continente come l’Africa dove i bisogni primari delle persone non sempre sono soddisfatti e l’astrazione dei calcoli può apparire unicamente come un esercizio sterile di appassionati fuori dalla realtà? Ed è proprio come un eccentrico che gli amici di Kinshasa vedono Célio Matemona, soprannominato Matematik, il protagonista di questo romanzo. Quel suo affannarsi tra derivate, equazioni e teoremi è stravagante in un mondo di diseredati e orfani. Ma un giorno Célio viene assunto da un oscuro ufficio che lavora per la presidenza e si occupa di manipolare l’informazione. Lì si rende conto di quale strumento potente può diventare la matematica e decide di utilizzarlo al meglio: non per servire il potere, ma per combatterlo. Con questo romanzo, l’A., uno scrittore congolese che vive in Belgio, ha vinto il Grand prix littéraire d’Afrique noir e il Prix Jean Muno. [66thand2nd, 2014, pp. 245, euro 17] Elena Dak La carovana del sale I tuareg sono i veri padroni del deserto. Ne conoscono ogni angolo 56 Popoli giugno-luglio 2014 e si orientano tra le dune e le pietraie meglio dei marinai in mezzo all’oceano. Da secoli attraversano le terre arroventate dal sole seguendo unicamente il loro istinto e le flebili tracce delle piste. Sui commerci nel deserto hanno creato la loro leggenda e la loro fortuna. Ancora oggi i tuareg del Nord del Niger attraversano, con centinaia di dromedari, il temibile Ténéré verso le saline e le oasi di Bilma e di Falchi per andare a rifornirsi di sale e datteri, che poi scambieranno con il miglio prodotto dalle popolazioni del Sud. L’A., che lavora come guida turistica, ha voluto seguire i tuareg nei loro spostamenti. Per lei è stata un’avventura durissima sotto il profilo fisico, ma affascinante sotto l’aspetto culturale. In questo libro racconta gli incontri umani intensi e gli spettacoli naturali unici che il viaggio le ha riservato. [Corbaccio, 2013, pp. 160, euro 18,60] Sonia Grieco Abbiamo stretto molte mani. Venti anni nelle emergenze umanitarie Venti anni in prima linea nelle emergenze del Sud del mondo, spesso in Paesi facilmente dimenticati, dalla Somalia allo Yemen, dal Sud Sudan al Congo, oltre a quelli più noti come il Kosovo, l’Iraq e l’Afghanistan. Intersos ripercorre il lavoro svolto in 35 Paesi la libreria D iverse librerie indipendenti stanno aderendo all’iniziativa #librosospeso che, sulla falsariga del «caffè sospeso» napoletano, invita i lettori a comprare un libro in più e lasciarlo «sospeso», cioè in regalo a chi lo chiedesse. Una delle librerie che ha aderito è Odradek di Roma (il nome si rifà all’oggetto misterioso protagonista di un racconto di Kafka), parte della catena omonima che ha negozi anche a Milano, Pomezia e Tuscania. Un libro lasciato «in sospeso» innesca un circuito virtuoso di lettura più del bookcrossing (libri che vengono distribuiti gratuitamente e per i quali, grazie a un codice, è possibile risalire a chi li ha letti). Libreria alternativa, dove puoi trovare volumi che danno voce a popolazioni oppresse e sfruttate, alle letterature africana, asiatica, sudamericana e a opere di piccole case editrici, Odradek è attenta anche ai temi ambientali: oltre a far uso di borse di mais biodegradabili al 100%, promuove, nel suo spazio «Più salute meno chimica», prodotti biologici: dai detersivi ai pannolini. È inoltre un centro di promozione culturale con un laboratorio per bambini, incontri su tematiche quali l’uso consapevole delle risorse energetiche, seminari di musica etnica e teatro. Info: www.odradek.it ODRADEK - Via dei Banchi Vecchi 57, Roma attraverso i suoi operatori umanitari che si fanno protagonisti diretti di questo libro, descrivono esperienze, motivazioni, impegno e ostacoli. Ma il racconto va oltre e diventa occasione per riflettere su che cosa è mutato e che cosa rimane costante nell’impegno umanitario. «Gli interventi hanno dovuto adattarsi al mondo che cambia», osserva Nino Sergi che di Intersos è il fondatore, sottolineando l’importanza di essere neutrali e imparziali di fronte ai conflitti. E sul campo l’Ong, che è partner delle principali agenzie e istituzioni Onu ed europee, ha imparato la necessità di «riannodare i fili del tessuto sociale» nelle ricostruzioni post-conflitto. [Carocci 2013, p. 192, euro 19,50] Frère Jean-Pierre, Nicolas Ballet Lo spirito di Tibhirine Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 sette monaci trappisti furono sequestrati nel loro monastero presso Tibhirine, in Algeria, e vennero uccisi il 21 maggio seguente. Erano gli anni della guerra civile algerina che vedeva contrapposti i fondamentalisti musulmani e uno Stato che aveva annullato le elezioni vinte dalle formazioni islamiste. Un conflitto senza quartiere, segnato da una violenza inaudita da entrambe le parti. I sette monaci furono vittime di questa furia cieca che togliendo loro la vita intendeva sopprimere anche quel messaggio di speranza e di dialogo che i religiosi testimoniavano. Quello spirito, in realtà, non è morto. L’A. di questo libro, un giornalista francese, ha incontrato l’unico monaco, ormai novantenne, sopravvissuto alla strage e con lui ha ricostruito i giorni del rapimento restituendo il senso di quello che ormai è chiamato lo «spirito di Tibhirine», una vocazione all’incontro e alla fratellanza così importante in un tempo in cui prevale la logica dello «scontro delle civiltà». [Paoline, 2014, pp. 172, euro 14] Sul comodino di... Guido Dotti Congar, Francesco e la via della povertà C Monaco di Bose, esperto di questioni ecumeniche, Guido Dotti è membro del Comitato di consulenza editoriale di Popoli. on il primo Papa della storia che ha assunto il nome di Francesco vi sono alcune istanze evangeliche e conciliari che ritrovano slancio nella vita ecclesiale. Vi è in particolare un passaggio della costituzione Lumen gentium - finora mai citato nei documenti del magistero - che conosce oggi un’inedita centralità: «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza« (LG 8,3). La «stessa via» intrapresa da Cristo è quella della povertà che, secondo il Concilio, non è soltanto una virtù privata a cui esortare i fedeli, ma criterio ermeneutico per cogliere in verità il mistero dell’incarnazione e annunciarlo nell’amore. Questa convinzione teologica così presente, almeno in alcuni ambienti, ai tempi del Vaticano II emerge con chiarezza e lucidità rare dal saggio che il domenicano Yves Congar volle offrire Per una Chiesa serva e povera (Edizioni Qiqajon, 2014, pp. 170, euro 16, con una nuova traduzione e in appendice il Patto delle catacombe, assente nella prima edizione). Forse i tempi non erano maturi: nel 1963, quando uscì il libro in francese, Congar era appena stato riabilitato dagli «esilii» in cui l’aveva relegato il Sant’Uffizio e la sua nomina a cardinale arriverà solo trent’anni dopo. Sta di fatto che l’edizione italiana sfumerà il titolo in un più discreto Povertà e servizio nella Chiesa e il presbitero che tradusse il testo si firmerà prudentemente solo con le iniziali. E pensare che pochi anni dopo il traduttore e curatore Massimo Giustetti sarebbe diventato vescovo... Ma il poter rileggere oggi quelle pagine - assieme al Patto delle catacombe che alcuni vescovi siglarono durante il Concilio per dare concretezza alla riflessione sulla povertà di Cristo e della Chiesa - offre una ventata di freschezza spirituale che ci riporta al cuore del messaggio evangelico. È ancora Lumen gentium a ricordarci che «come Cristo è stato inviato dal Padre a dare la buona novella ai poveri [...] così pure la Chiesa [...] riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente» (LG 8,3). Padre Congar traduce questa dimensione rivelativa dapprima in una convincente analisi della «gerarchia come servizio» attraverso le fonti bibliche e il percorso storico e, successivamente, in una serrata disanima dei «titoli e onori nella Chiesa». L’insieme dell’opera costituisce un’anticipazione profetica del ministero petrino di Francesco e un monito decisivo: sulla povertà della Chiesa si gioca la credibilità dell’annuncio evangelico. giugno-luglio 2014 Popoli 57 Leggere CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana Io donna e lo sguardo glocal Anselmo Palini Marianella García Villas L’ analisi di questo mese è dedicata a Io donna, femminile del Corriere della Sera, di cui abbiamo considerato i numeri distribuiti sabato 5, 9 e 26 aprile. Il settimanale è suddiviso in otto sezioni: all’editoriale e ai pezzi d’apertura seguono «Mondo Io donna», «Io guardo/ascolto», «Io assaporo», «Io sfioro», «Io cambio», «Io scopro/scelgo». Si tratta di parti autonome, ma accomunate dall’obiettivo di offrire al lettore una varietà di proposte sensoriali che lo rendano protagonista di un’esperienza piacevole. Al pari di Vanity Fair (cfr Popoli n. 5/2014), anche Io donna si distingue per il ruolo centrale attribuito alle immagini a livello quantitativo e qualitativo. Gli articoli sono spesso accompagnati da servizi fotografici realizzati ad hoc oppure nascono da reportage o mostre in corso, come il servizio Gaza Felix (5 aprile), tratto dal lavoro «Occupied pleasures» esposto a Firenze durante il festival «Middle East Now». La pubblicità occupa una percentuale rilevante di pagine (44%), mentre lo spazio riservato all’«altro» raggiunge il 19%, concentrandosi soprattutto nella sezione «Io guardo/ascolto». Le immagini non offrono una rappresentazione stereotipata della realtà, ma trasfigurata. È quanto emerge dal pezzo Tutti per (la) terra (19 aprile) che la redazione, in occasione della Giornata mondiale della Terra, affida allo scrittore Andrea Bajani chiedendogli di «esorcizzare la catastrofe» e «sintonizzarsi sul futuro». Diversamente dai bambini descritti dall’autore, che guardano «il buio dritto negli occhi», le fotografie non rappresentano il «mondo capovolto» dei nostri giorni, ma appagano gli occhi del lettore. Le immagini si presentano quindi come il corrispettivo iconografico degli adulti di Bajani che «hanno perso la capacità di stare davanti a una cosa troppo più grande di loro, e hanno guadagnato quella di risolvere tutto trasformando la paura in una pratica da risolvere». Più in generale, all’interno degli articoli, l’«estero» è visto da una prospettiva determinata che, in questo caso, coincide con quella dell’«io-donna» che dà il titolo alla testata e, al tempo stesso, rappresenta l’interlocutore ideale del settimanale. È uno sguardo che osserva lo «straniero» da Occidente cercando di metterlo a fuoco, senza distacco, ma da una distanza che lo rende accettabile e narrabile. Come suggerisce l’occhiello del pezzo In Cina la ruota (degli esposti) gira troppo veloce (26 aprile), si tratta di una prospettiva «glocal» che legge il dato internazionale in relazione al contesto locale: l’abbandono dei minori in Cina «è vietato, come da noi. Ma succede come da noi». Diversamente, nella rubrica Est/Ovest firmata da Franco Venturini, il confronto tra Oriente e Occidente ha un taglio più internazionale. È il caso dell’articolo Il pennello e la bomba (5 aprile) che offre una sintesi efficace dell’inasprimento dei divieti e dei controlli a Teheran in risposta alla politica nucleare del presidente Rouhani. Il punto di vista glocal torna invece nella sezione conclusiva «Io scopro/ scelgo» dove, all’interno della rubrica «Vivere meglio», il rapporto tra noi e l’«altro» si risolve in un invito all’azione per aiutare chi si trova in difficoltà. Il 19 aprile troviamo la maratona Running for Kids organizzata da Terre des hommes, mentre il 26 aprile è la volta della campagna Giro fights for Oxfam per «illustrare e finanziare i progetti di sviluppo rurale e di aiuto all’imprenditoria femminile […] in molti Paesi del Sud del mondo». Elvio Schiocchet e Paola Gelatti 58 Popoli giugno-luglio 2014 «Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi»: così, nel sottotitolo e nella Prefazione, Raniero La Valle definisce Marianella García Villas, 34enne, salvadoregna uccisa nel 1983: alla ricostruzione della sua figura - poco conosciuta in Italia Palini dedica meritoriamente questo saggio. Presidente della Commissione per i diritti umani, convinta promotrice della non violenza, collaboratrice di mons. Oscar Romero, Marianella venne uccisa tre anni dopo il vescovo. La sua «colpa», avere denunciato in modo troppo esplicito le connivenze o addirittura le dirette responsabilità della giunta militare nel clima di violenza instauratosi con lo scoppio della guerra civile: uccisioni di sacerdoti, catechisti, contadini, sparizioni di oppositori politici, minacce agli attivisti per i diritti umani. Marianella aveva anche indagato sugli incidenti avvenuti il giorno dei funerali di Romero, quando in una piazza affollatissima l’esplosione di una bomba e i tumulti successivi provocarono almeno 30 morti. [Ave, 2014, pp. 265, euro 12] Cristoforo Spinella Pezzi di turchi Non è semplice raccontare «una nazione complessa come poche», quel ponte sospeso tra Europa e Asia, mosaico di identità e contaminazioni che chiamiamo Turchia. L’A. lo fa ricomponendone frammenti, con ta- glio giornalistico, ma senza inseguire semplificazioni. Inquadra, nella prima parte, grandi questioni attuali o della storia recente turca - il rapporto con l’Europa, la minoranza curda, il velo delle donne musulmane, ecc. -, e incontra, nella seconda parte dedicata a interviste, testimoni importanti delle realtà esaminate, spesso esponenti delle diverse minoranze. Questi incontri «a viva voce» offrono uno spaccato delle dinamiche, apparentemente contraddittorie, della storia turca recente. Chiude con un’appendice dedicata alle convulsioni di piazza Taksim, snodo politico del futuro. [Editori Riuniti 2013, p. 208, euro 13] Gianpaolo Trevisi Fogli di via. Racconti di un Vice Questore L’immigrazione vista da una prospettiva insolita, ma quanto mai concreta: quella di un ex Vice Questore della Polizia di Stato e dirigente dell’Ufficio immigrazione di Verona, oggi direttore della Scuola di Polizia di Peschiera del Garda (Vr). Dopo la prima fortunata edizione, Trevisi - origini romane e penna brillante aggiunge qui nuove storie, forse non sempre vere ma certo verosimili, e ci fa incontrare la stessa variopinta umanità che lui ha avuto modo di avvicinare in tanti anni di lavoro sul campo: dai bambini nomadi da sgomberare agli egiziani «clandestini» da riaccompagnare al Cairo in aereo, dalle ragazze nigeriane ai bambini cinesi. Il tutto narrato senza buonismi, ma con la virtù - che segnala anche Gad Lerner nella Prefazione - di «sapersi mettere nei panni degli altri». Virtù essenziale tanto per uno scrittore quanto per un poliziotto. [Emi, 2014, pp. 188, euro 12] Cécile Kyenge «Un’Europa più unita favorisce l’integrazione» I l giorno della partenza per l’Italia sua madre le disse: «Cécile, non tornare finché non trovi ciò che stai cercando. Vai avanti e non voltarti indietro». Quelle parole materne Cécile Kyenge le ha sempre portate nel cuore e nella mente. Da allora sono passati trent’anni e Cécile è sempre andata avanti, nonostante tutto. Ha portato avanti con determinazione il suo progetto di vita: si è laureata in Medicina a Roma (voleva fare il medico fin da bambina), specializzata in Oculistica a Modena, dove poi ha vissuto con suo marito e le due figlie, si è impegnata nella società civile fino a diventare ministro dell’Integrazione (dal 28 aprile 2013 fino al 22 febbraio 2014). La sua è una storia d’integrazione riuscita, anche se sul suo percorso ha trovato non pochi ostacoli, difficoltà, pregiudizi, come racconta nel suo libro Ho sognato una strada (Piemme, 2014, pp. 160, euro 14) in cui, oltre a raccontarsi, sfata molti pregiudizi che circolano sui migranti e rimarca le sue convinzioni su gestione delle marginalità sociali, forza del meticciato, fragilità delle «porte d’Europa», sfide dell’integrazione. Nel suo libro descrive l’integrazione come un processo che avviene in tre fasi: adeguamento, interazione, perfezionamento. Nella fase di adeguamento sono importanti le figure di riferimento che trova nel Paese che li ospita. Quando lei è arrivata nel 1983 in Italia, quali sono state le figure di riferimento? Solitamente nel processo migratorio i migranti hanno come punti di riferimento la loro comunità, un parente, un familiare da cui andare, che li può aiutare. Il mio è stato un percorso atipico in quanto al mio arrivo in Italia non avevo nessuno e sono stata aiutata da un sacerdote e poi da una suora laica. Ho trovato una rete cattolica di accoglienza, ma assolutamente improvvisata. Spesso, ancora oggi, l’assistenza ai migranti è così. Invece penso che andrebbe resa sistema. Non un fai-da-te, ma un welfare di comunità generativo che includa istituzioni, associazioni, nuclei familiari sul territorio. Lei sostiene che per un migrante è fondamentale non rimanere sospeso tra il Paese di provenienza e il Paese ospitante, ma che «deve sapersi radicare nel Paese in cui decide di vivere». Di che cosa ha bisogno il migrante per radicarsi? Penso che un passaggio fondamentale sia acquisire la cittadinanza del Paese ospitante, un atto che però non deve essere solo formale, ma sostanziale. Spesso per il migrante non è un passaggio facile, perché si ha paura di «tradire» il proprio Paese d’origine, si sviluppa un senso di colpa che ti perseguita. Ma superato questo senso di colpa, se nel Paese in cui si vive ci si trova bene, è giusto che si possa acquisire la cittadinanza. Arrivare a chiedere la cittadinanza implica non solo un ragionamento di convenienza, ma anche un percorso spirituale interiore del migrante, di accettazione di una propria identità multipla. Io l’ho chiesta (l’ha ottenuta nel 1997, ndr) perché ero e sono innamorata dell’Italia, ma non dimentico il Congo, il mio Paese d’origine. E poi con la cittadinanza il migrante può partecipare alla politica. Per me l’impegno civico e politico è stato molto importante per radicarmi. Le ennesime morti di migranti nel Mediterraneo hanno rimarcato l’insufficienza dell’operazione Mare Nostrum e l’immobilismo dell’Europa. Come si può colmare questo vuoto a livello europeo nella gestione dei flussi migratori? È necessaria una politica estera europea vera e forte, con una gestione comunitaria centrale dei flussi migratori che porti anche a uniformare le leggi sulla materia. Bisogna stipulare accordi con i Paesi di provenienza e istituire corridoi umanitari che eviterebbero viaggi pericolosi. Bisogna poi rivedere il Regolamento di Dublino (obbliga a tenere sul proprio territorio i rifugiati che lì giungono e il richiedente asilo può fare domanda d’asilo solo nello Stato dove ha messo piede per la prima volta, ndr) in modo tale che le frontiere italiane diventino europee e un migrante possa scegliere dove vivere in Europa. giugno-luglio 2014 Popoli 59 Guardare Giraffada Una giraffa nell’intifada: tra Israele e Palestina una favola moderna di pace, guerra, confini, differenze e sentimenti capaci di superarle G li spari si fanno assordanti nella quiete di uno zoo poco frequentato. Le vite umane recintate, divise, in tensione sembrano quasi senza libertà, rinchiuse come bestie in gabbia. Il veterinario Yacine (Saleh Bakri) vive in Palestina con il figlio Ziad (Ahmed Bayatra), orfano di madre, al confine con i territori della West Bank, a pochi passi dal muro che divide dai coloni israeliani. Yacine lavora per lo zoo della zona, dove Ziad si prende cura di una coppia di giraffe. Una notte, durante un attacco israeliano, la giraffa maschio impazzisce, va a sbattere contro la recinzione e muore. La femmina si ritrova così sola, senza più voglia di vivere e non si lascia nutrire. Lo stesso Ziad sconvolto scappa di casa e viene ri- trovato soltanto dopo una lunga notte di ricerche, proibite perché si svolgono durante il coprifuoco. Quando Yacine scopre che la giraffa superstite è incinta decide di trovarle un nuovo compagno. La sola soluzione sembra rubare una giraffa dallo zoo di Haifa, con l’aiuto di una reporter francese (Laure de Clermont) e di un amico israeliano (Roschdy Zem). L’opera prima di Rani Massalha è dichiaratamente una fiaba moderna che unisce elementi di commedia a dramma, realtà e surrealismo. Ambisce candidamente a farsi invito alla pace, denunciare la violenza e il sangue sul confine attraverso l’apologo ecologista e animalista, citando poesie orientali e Noè (di questi tempi va per la maggiore al cine- Docu A una delle artiste sudamericane più intense e significative è dedicato questo documentario, uscito nel 50º anniversario del Manifiesto del nuevo canconiero. Mercedes Sosa, scomparsa nel 2009, era stata tra i protagonisti di quella esperienza musicale e letteraria che ha segnato la musica del Continente. Il film è un viaggio intimo nella vita della cantante, con la testimonianza di tanti, amici e artisti internazionali, che l’hanno conosciuta. Un racconto di arte e impegno per la libertà e i diritti civili, segnata dall’esperienza della dittatura e dell’esilio in Europa. Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica Regia di Rodrigo H. Vila Argentina 2013 Durata: 90’ Lingua: spagnolo (sottotitoli in inglese) 60 Popoli giugno-luglio 2014 ma). Purtroppo il risultato finale non sempre è efficace, incerto proprio tra metafora e realismo, muri disumani e gabbie di docili animali. Le parti più suggestive sono quelle in cui l’impasto tra registri diversi riesce in maniera meno programmatica ed è spiazzante: la giraffa libera che nel finale attraversa un varco nel muro ed entra in Palestina con le proprie zampe, beffando ogni soldato. Sono intense le scene in cui il padre cerca il figlio nel buio notturno, tra gli spari e i controlli infiniti e kafkiani. I personaggi purtroppo riescono raramente ad appassionarci davvero (l’eccezione è il buffo venditore di noccioline, causa di disturbi intestinali alle povere scimmie). La reporter francese è stata doppiata con un italiano in stile ispettore Clouseau e questo non aiuta. Ma l’aspetto più discutibile e ingenuo del film è quello di rappresentare tutti - ma proprio tutti gli israeliani (con la sola eccezione del buon Yoahv) come brutti, cattivi, antipatici, tonti e sempre armati (soldati e civili). In un tentativo di pace serio e per scuotere tutte le coscienze sarebbe stata forse utile una forma narrativa un po’ meno manichea. Il film è incredibilmente ispirato a fatti realmente accaduti nel 2003, durante la seconda Intifada (di qui il titolo-crasi tra giraffa e intifada). Ha ottenuto recensioni molto positive un po’ in tutto il mondo e, a sorpresa, anche dall’americano Variety. Nelle note del pressbook si cita la poesia La capra di Umberto Saba, che in una capra aveva visto specchiarsi la sofferenza umana: l’animale era descritto dal «volto semita» ed evocava la tragedia della Shoah. In Giraffada, lo sguardo dell’animale che soffre coincide con quello del popolo palestinese. Quello che manca, però, al film è proprio la capacità di inquadrare quello sguardo in maniera profonda, sotto la superficie fiabesca. Luca Barnabé L’Unione europea nell’informazione Tv I l 22-25 maggio scorsi si è votato per il rinnovo del Parlamento europeo in tutti i 28 Paesi della Ue. Qual è l’informazione sull’Unione veicolata dai media italiani? Da una prima analisi sui dati parziali in periodo di pre-campagna e avvio di campagna elettorale, considerando solo i telegiornali di prima serata (quelli caratterizzati da maggior ascolto) delle Tv generaliste, l’Unione europea, con una media di più di nove servizi al giorno, trova uno spazio pari al 7,6% sul totale delle notizie. Grandi differenze emergono, tuttavia, sul fronte dei numeri, dal confronto tra testate. Il network Rai supera decisamente tutte le testate del gruppo Mediaset, queste ultime sul fondo classifica. Il Tg2 è la testata più «europea», seguita dal Tg3 a pari merito con il TgLa7 e dal Tg1. Primo tra i telegiornali del gruppo Mediaset il Tg5. Anche l’indice di favore/sfavore rispetto all’Unione europea offre qualche elemento di ulteriore spunto. Su tutte le testate prevale il numero di notizie favorevoli all’Europa rispetto a quelle negative e neutre. Sempre su tutte le testate, sono le notizie neutre a prevalere anche su quelle contrarie. Unica eccezione il Tg4 del neo direttore Mario Giordano. «Politica» e «campagna per le elezioni europee» sono al centro delle notizie sull’Europa: la prima presente in 8 servizi su 10, la seconda primo tema dell’agenda europea (72% sul complessivo dei temi relativi alla Ue). Si parla di Europa anche per la crisi in Ucraina, per il controllo dei conti pubblici dei Paesi membri, per l’immigrazione e per la situazione delle carceri in Italia. Stefano Mosti 14 giugno Rimini In occasione di «Mare di Libri. Festival dei ragazzi che leggono», lo spettacolo Viaggiando nel Mediterraneo. Da Ulisse ai migranti di Lampedusa. Teatro degli Atti. www.maredilibri.it 16-20 giugno Palermo Presso Villa Niscemi, mostra fotografica dedicata ai riti sciamanici nel mondo. www.festivaldelviaggio.it Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti I Mondiali di calcio in Brasile, oltre all’entusiasmo per il pallone, ci ricordano un problema che grava su questo Paese come su altri del Sud del mondo: i diritti negati a migliaia di bambini che sono costretti al lavoro minorile o ancor peggio sono vittime di tratta e violenze. Una bella testimonianza di lotta contro gli sfruttatori di bambini-schiavo arriva dallo spettacolo Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti, in scena il 17 giugno a Genova, nell’ambito del Festival Suq. Lo spettacolo racconta la storia di Iqbal, Fatima e Maria, che ogni giorno lavorano sui telai e che, grazie alla forza e creatività di Iqbal, riescono a superare l’angoscia della segregazione dovuta al lavoro, ricorrendo al gioco: una gara a chi inventa i sogni più fantasiosi. Una vicenda di diritti negati, ma anche il racconto di come è possibile sognare un futuro di libertà ed estinguere il micidiale debito contratto con il padrone-sfruttatore. Lo spettacolo si ispira alla storia vera di Iqbal Masih, raccontata nel libro di Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, ragazzino pakistano che all’età di cinque anni viene venduto per pochi dollari a un trafficante di tappeti, ma che si ribella e riesce a denunciare lo sfruttatore e a liberare altri minori sfruttati come lui. A dodici anni, nel 1995, Iqbal viene assassinato proprio dalle «mafie dei tappeti» e da allora è un simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Per info: www.suqgenova.it giugno-luglio 2014 Popoli 61 Ascoltare La tromba magica di Ibrahim Maalouf Talento smisurato e formazione eclettica fanno del musicista libanese uno degli artisti più apprezzati, non solo nei Paesi arabi È giovane, classe 1980, ma sin dalla più tenera età la musica ha fatto parte della sua vita, vuoi per eredità familiare, vuoi per il suo talento e la sua creatività. Si chiama Ibrahim Maalouf, è nato a Beirut ma, a causa della guerra civile che ha martoriato il suo Paese, da bambino si è trasferito con la famiglia a Parigi. La sua è una famiglia di artisti e intellettuali: il padre Nassim, insegnante di musica e trombettista, la madre Nada, pianista, lo zio Amin, noto scrittore, il nonno Rushdi, giornalista, poeta e musicologo. Ibrahim, seguendo le orme paterne, a soli 7 anni sceglie la tromba come strumento. È proprio il padre - musicista con formazione classica - che lo inizia a questo ottone. Con lui il piccolo Maalouf studia le diverse tecniche così come i più vari repertori: dal classico al moderno fino al contemporaneo oltre, ovviamente, alla musica araba. Il giovane musicista si distingue per il talento precoce: accompagna il padre Hit I brani più venduti a marzo 2014 in Argentina 1 Shot me down David Guetta & Skylar Grey Canzone lanciata nel febbraio 2014 dal produttore francese di house music e disc jockey David Guetta. 2 Selfie 3 Summer The Chainsmokers Duo di New York composto da Andrew Taggart e Alex Pall. Il duo si è costituito nel 2012 ed è diventato famoso con il brano Selfie di quest’anno. Calvin Harris Musicista, cantante, dj scozzese. 62 Popoli giugno-luglio 2014 in tour per l’Europa eseguendo repertori barocchi e facendosi notare. A poco a poco si rende conto che la musica è la sua vita: abbandona quindi gli studi scientifici per dedicarsi a quelli musicali. Negli anni vince premi e concorsi, brucia le tappe della formazione di musicista e diventa insegnante di tromba al conservatorio. Anche qui, però, va oltre: lascia l’insegnamento per divergenze tra la sua visione musicale e quella classica, e si dedica a masterclass (lezioni private) in giro per il mondo. Ibrahim Maalouf ha però una peculiarità: la sua tromba è speciale poiché modificata con l’aggiunta di un quarto pistone che consente di suonare i quarti di tono. Questo strumento è stato inventato dal padre negli anni Sessanta per eseguire le tonalità tipiche della musica araba, che si muove su intervalli inferiori ai semitoni della musica occidentale. Lo stile di Maalouf attinge alla formazione classica, così come al jazz - negli anni si è avvicinato a questo genere, esibendosi in big band e in club -, ma è sempre venato dal languore unico delle note arabe. Musicista, dunque, ma anche valente compositore. Fino a qualche anno fa conosciuto solo ai cultori, Maalouf inizia a far parlare di sé a livello internazionale nel 2011 con l’album Diagnostic. Il suo suono è ricco di influssi e intrecci, frutto delle origini mediorientali, degli studi classici, degli incontri e delle varie collaborazioni: oltre alla tromba, nelle sue esibizioni si avvale di strumenti quali il pianoforte e il sassofono, ma pure del ney, il flauto arabo, del buzuq - versione araba del bouzouki (una sorta di mandolino greco) - e di varie percussioni. Maalouf è presente ai principali festival musicali europei e la critica lo nota e lo segue. Nel 2013 esce l’album che sarà uno spartiacque nella sua carriera: Illusions. Questo disco, che contiene diverse perle tipo Nomade slang, Conspiracy generation, Unfaithful, racchiude l’essenza di Maalouf, che abbina la sua possente tromba ai suoni rock della sua giovane band (sei elementi, compresi chitarra, basso e batteria). Chi pensa che un album strumentale sia difficile da ascoltare, si sbaglia di grosso. Per avere un assaggio è consigliabile guardare il Live at Baby lon di Istanbul, (2013) e si vedrà una folla di giovani che ondeggiano ritmicamente ipnotizzati dal sound maaloufiano. La consacrazione è definitiva quando nel marzo di quest’anno riceve la Victoire per il miglior album di musica tradizionale e straniere, ovvero l’Oscar della musica assegnato in Francia. La sua esibizione quella sera ha del prodigioso: eseguendo True sorry, uno dei suoi brani più vibranti, il carismatico Ibrahim si fa raggiungere sul palco da giovani musicisti con strumenti a fiato e violini, che creano insieme una performance eccezionale. Alessandra Abbona STRUMENTI Agogo L’ agogo è uno strumento a percussione della famiglia degli idiofoni. Originario della Nigeria si è, successivamente, diffuso in Brasile e a Cuba, dove è stato portato dagli schiavi africani. È formato da due o più campane di ferro senza batacchio di grandezze diverse, unite alla base da una connessione che funge anche da impugnatura. Nella maggior parte degli agogo le campane sono due, tre o quattro, in metallo (più raramente in legno). Lo si suona reggendolo in mano e percuotendolo con una bacchetta in legno o in ferro. Il ruolo principale di questo strumento è l’esecuzione di una frase ritmica, che serve a dare il ritmo sul quale si basa l’andamento generale di una danza. Agogo era utilizzato dagli yoruba della Nigeria, che lo consideravano simbolo di potere. Nelle sua funzione originaria veniva impiegato anche per rituali religiosi e queste reminiscenze sono giunte anche nel Nuovo Mondo, dove è entrato a far D parte integrante del candomblé, cerimonia degli schiavi e dei loro discendenti. Oggi lo strumento è molto utilizzato nella capoeira e nel samba. Nella capoeira l’agogo segue il ritmo dell’atabaque (un tamburo) o del pandeiro (una specie di tamburello) e ha un suono più forte e acuto degli altri strumenti. Nel samba l’agogo fa parte della bateria e serve a dare note più acute alla sezione ritmica. L’agogo è stato impiegato anche nella musica rock: David Byrne, leader dei Talking Heads, lo ha usato in diversi album e nei concerti dal vivo. Più recentemente lo si è sentito anche nei dischi degli inglesi Kaiser Chiefs, band indie rock. a.a. aniele Mantovani, trent’anni, una passione per la politica estera, decide di proporre nel 2011 a Radio Onda d’Urto di Brescia C’è crisi, un programma che tratta di politica estera e, in particolare, delle crisi dimenticate. Il progetto piace, il programma viene inserito nel palinsesto e si avvia anche una collaborazione con Medici senza Frontiere. Nella prima stagione era, infatti, previsto un collegamento con gli operatori di Msf che lavoravano in Paesi toccati da crisi politicomilitari. Nel 2012, invece, il filo conduttore non sono stati i Paesi in crisi, ma fenomeni globali che hanno impattato sulla vita dei Paesi extraeuropei. Per esempio, a seguito della Primavera araba per tre mesi si è analizzato il tema del rapporto tra religione e politica (con focus sui Paesi musulmani) oppure si è affrontato il nodo dell’acqua e dell’energia (con focus su Etiopia, Eritrea, Sud Sudan, Egitto) e di come queste risorse vadano a modificare le politiche nazionali e internazionali con ricadute sulle popolazioni. Quest’anno il programma (in onda il sabato dalle ore 13 alle 14) si concentra sui movimenti sociali: si è trattato di Medio Oriente, Nordafrica, Turchia, Libano, Siria, Sudamerica: dagli effetti delle Primavere arabe, alla creazione di nuove generazioni di blogger, alle trasformazioni urbane. In ogni puntata oltre ai collegamenti con esperti e ospiti ci sono due rubriche: «Dall’Osservatorio», in cui s’intervista un collaboratore dell’associazione Osservatorio Iraq; «Libri» in cui si presenta un romanzo o un saggio, preferibilmente collegato all’area geografica oggetto della puntata. Info: cecrisi.radiondadurto.org. Gustare Il mondo perduto degli eschimesi •••••••••••••••••••••••• La ricetta •••••••••••••••••••••••• Il popolo dei ghiacci ha sviluppato una civiltà capace di rendere ospitale la tundra, ma che si sta irrimediabilmente dissolvendo AGOUTUK, il gelato degli eschimesi Agoutuk o akutaq è il «gelato eschimese», una spuma di pesce lavorata con olio o grasso e con aggiunta di bacche. La ricetta yupik (Nord-Ovest dell’Alaska ed Est della Russia) propone di usare olio di foca fresco, ma si hanno ricette con grasso di renna o di caribù. Oggi si preferisce usare l’olio vegetale industriale Crisco. Il pesce va pulito togliendo le interiora, la testa e la coda e poi va fatto bollire per venti minuti. Lasciar raffreddare nell’acqua, togliere le lische e sbriciolare il pesce il più possibile. Aggiungere due cucchiai di Crisco, miscelare e aggiungere altro olio continuando a lavorare finché il composto non diventa spumoso. Aggiungere zucchero e frutti di bosco. Refrigerare e servire gelato. P ochi popoli al mondo sono così ammirati e così sconosciuti come gli eschimesi. A partire dal termine popolare e fantasioso con il quale sono definiti: «mangiatori di carne cruda», che rimanda all’eterna diatriba tra chi sa cuocere il cibo (e, dunque, è «civile») e chi invece, si limita a consumarlo come natura lo offre. O anche «fabbricanti di racchette da neve», nome dato dai vicini incapaci di concepire un popolo che si ostina a vivere in un ambiente così inospitale, tra ghiaccio e sassi. Ambiente nel quale è la pietra, essenziale, nuda, eppure viva a dare l’immagine dell’eternità. Come scrive Onfray: «Prima del tempo, quando non c’è nulla a offrire punti di riferimento, quanto tutto esclude l’archeologia o la genea logia, è l’assoluto trionfo della pietra» (M. Onfray, Estetica del Polo Nord, Ponte alle Grazie, 2011, p. 11). Terre estreme nelle quali solo l’inukshuk, l’immagine megalitica dell’uomo, conforta il viaggiatore che va per mare indicandogli il villaggio dove approdare. Loro, gli inuit, cioè gli «uomini», sono eredi di una lunga storia artistica, testimoniata dalle figurine di osso della Terra di Baffin e dalle complesse maschere yupik che sedussero gli artisti europei. La loro splendida mitologia parla di una divinità, Sedna, dal verso expo 2015 Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia L’ Esposizione universale di Milano si interrogherà sui temi cruciali del cibo e dell’energia. Su questi argomenti Expo 2015 e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli hanno creato Laboratorio Expo, un progetto che organizza eventi, dibattiti e incontri legati alla divulgazione scientifica. Quattro le aree tematiche: agricoltura, sui temi riguardanti la produzione agricola mettendo in risalto l’importanza della sicurezza alimentare; antropologia; si esploreranno le forme della commensalità in una prospettiva interculturale; sviluppo sostenibile, si prenderà in esame la dimensione ambientale intesa come equità nell’accesso alle risorse; sociologia urbana, si metteranno a fuoco le pluralità di modelli che migliorano la qualità della vita delle città. A giugno si svolgeranno un workshop sull’ambiente nell’Università di Milano, uno sul cambiamento climatico alla Fondazione Mattei e un terzo sulla smart governance all’Università Bicocca. A ottobre si terrà un seminario sui suoni della commensalità, cioè sulla dimensione acustica dello stare a tavola. Infine a novembre il sociologo Manuel Castells terrà a Milano una lezione. Il progetto ha creato anche la collana digitale Laboratorio Expo, suddivisa in due sotto-collane: Thesaurus e Keywords (gli e-book possono essere scaricati gratuitamente dal sito www. fondazionefeltrinelli.it). cui sacrificio nacquero i pesci del mare per nutrire gli uomini. Parla di un fratello e una sorella che diventarono il sole e la luna e parla degli animali. Tra questi, la foca, dalla quale si ricava l’essenziale per la vita. E cioè carne, olio per l’illuminazione, pelle per l’abbigliamento o per fare i kayak. Una civiltà, quella eschimese, fragile e bellissima, capace di abitare la tundra e di rendere significativo ogni sasso e ogni insenatura del mare. Una civiltà poco capita e che si dissolse irrimediabilmente all’arrivo dei bianchi. Oggi, a Nunavut, il territorio artico canadese gestito in autonomia dagli inuit, gli eredi dell’antica Thule cercano, attraverso l’arte, di recuperare il senso grandioso e tragico del loro essere custodi di un luogo dove il mondo finisce. Anna Casella Paltrinieri RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro Vietnamonamour I l nome è un chiaro riferimento a Hiroshima mon amour, il romanzo di Marguerite Duras, la scrittrice francese nata in Vietnam. Un accostamento non casuale. Christiane Blanchet, la titolare di Vietnamonamour, ha una storia uguale e contraria a quella della Duras: vietnamita, cresciuta in Francia e trapiantata in Italia. «La mia famiglia - racconta - è originaria di Hai Phong, sulla Baia del Tonchino. Mio padre aveva partecipato come mediatore ai colloqui di pace tra il governo vietnamita e quello francese. Quando Hanoi è diventata indipendente mio padre è stato considerato troppo vicino ai francesi e nel 1958 è stato espulso dal Vietnam. Io sono quindi cresciuta in Francia dove mi sono laurea ta in Storia. In Italia sono arrivata agli inizi degli anni Novanta. Inizialmente ho lavorato come redattrice, poi ho insegnato francese all’Università statale di Milano». La cattedra le assicura un posto fisso, ma lei non è soddisfatta. Vuole ritrovare un rapporto più stretto con il Paese di origine. Inizia così a produrre piccoli oggetti di abbigliamento e oggettistica ispirati alla tradizione vietnamita. Ma ancora non le basta: vuole recuperare il gusto, i sapori, i piatti della cucina del Vietnam. Nel 2006, insieme al marito Dario Arlunno, apre un locale a Milano. «Dario ha condiviso con me questo percorso - osserva -. Ha lasciato la multinazionale farmaceutica per la quale lavorava e ha messo a frutto la sua passione per il vino ereditata dai parenti che da generazioni lo producono. Si è così realizzato un incontro unico tra Oriente e Occidente». La cucina offre piatti a base di farina e noodles di riso e soia. Come le gallette di riso degli involtini per i nem, il banh xeo fatto con la farina di riso e la farcitura vegetariana, il pho servito con noodles di riso. Ma vengono serviti anche la zuppa di carne e di pesce, il bun cha (bocconcini di carne), il cha ca (filetto di branzino all’aneto e curcuma), l’agnello al tamarindo. «Dario - conclude Christiane - ha abbinato 80 vini francesi e italiani ai nostri piatti. Ma ai clienti offriamo anche tè, birra e caffè fatti arrivare direttamente dal Vietnam. I nostri tavoli sono sempre apparecchiati con i bastoncini di bambù, ma spesso le mani sono il metodo migliore per mangiare». VIETNAMONAMOUR Via Alessandro Pestalozza 7, Milano SORSEGGI Vino di kiwi O rmai il termine «kiwi» è associato sempre più alla Nuova Zelanda. A volte gli stessi neozelandesi sono chiamati in senso scherzoso «kiwi». Il riferimento è sia al curioso uccello senza ali che vive nel Paese, sia ai frutti che lì crescono e che da anni ormai sono diffusi anche in Europa (l’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali). La pianta, in realtà, a differenza del piccolo uccello, non è autoctona della Nuova Zelanda. Il frutto è infatti originario della Cina, dove è coltivato da più di 700 anni. All’inizio dell’Ottocento alcuni missionari hanno pensato di esportarlo prima in Gran Bretagna e, poi, in Nuova Zelanda, dove ha attecchito e si è diffuso rapidamente. Inizialmente il frutto veniva chiamato Uva spina cinese, successivamente è stato ribattezzato kiwi. Il kiwi è ricco di vitamine, fibre, potassio, magnesio e rame. Possiede anche proprietà antiossidanti ed enzimi che favoriscono la digestione. In Nuova Zelanda dal frutto si ricavano un vino che si ottiene dalla fermentazione del succo e da un «invecchiamento» di almeno tre mesi nelle botti. Solitamente il vino di kiwi accompagna piatti di carne particolarmente saporiti come agnello, maiale, manzo e cervo. A volte viene accostato anche a ricette di pesce e ai formaggi neozelandesi. Dal kiwi si ottiene anche una grappa, distillando in un alambicco il succo del frutto. 7-8 giugno Bologna «Terra Equa», festival del commercio equo e dell’economia solidale. terraequa.blogspot.com 13-24 luglio Genova Al «Suq Festival» punti di ristorazione con diverse cucine dal mondo. www.suqgenova.it giugno-luglio 2014 Popoli 65 Presta attenzione La rete connette le persone facendo incontrare i bisogni di allevatori, contadini, commercianti del Sud del mondo con microfinanziatori di ogni continente. È la nuova frontiera del crowdfunding A nh Chi Em (sigla Ace) significa «Fratelli e sorelle» in vietnamita ed è un programma di microfinanza creato da una Ong francese, Entrepreneurs du Monde: la sua missione è sostenere persone vulnerabili nei remoti distretti rurali di Dien Bien e Muong Ang, nel nord del Vietnam. Lanciato nel 2007, il programma promuove l’inclusione finanziaria delle donne di etnie marginalizzate e di clienti con gravi problemi socioeconomici. Sono oltre 3.500 le persone che stanno usufruendo di microprestiti con questo programma in tutto il mondo. Oltre ad aver creato questi significativi strumenti finanziari, Ace si adopera per offrire servizi di formazione allo sviluppo degli affari, sviluppo sociale e agricolo, counselling, affiancamento e visite a domicilio. Opera anche con partnership mirate, come quella con Agronomes et Vétérinaires Sans Frontières. Ace ha anche programmi di prevenzione contro Hiv/Aids, per la nutrizione, l’igiene e la gestione dei rifiuti. Nel 2012, oltre 9.500 clienti nel solo Vietnam hanno preso parte alle attività di sviluppo ed educazione sui vari temi proposti. Nella regione di intervento, i tassi di interesse delle banche sono mediamente superiori al 23% annuo, mentre Ace, con gli strumenti della microfinanza, riesce a praticare un tasso del 18%. Sono risparmi che restano nelle tasche dei beneficiari. Il Vietnam ha oltre 90 milioni di abitanti che vivono con un reddito pro capite di circa 4mila dollari annui, reddito cresciuto molto in fretta negli ultimi anni; la cifra che riusciva a guadagnare Sua, una donna di 62 anni della regione agricola di Noong Luong, era di circa un quinto prima dell’incontro con il programma di sviluppo. Sua vive in una famiglia con otto persone, che comprende il marito, la sorella con la figlia, due figli e due nipoti. L’età avanzata non le impedisce di lavorare attivamente sia nella coltivazione del riso sia nell’allevamento di pe- KIVA.ORG Inter@gire sce, maiali e pollame. Dotata di una notevole forza di carattere, è decisa a sviluppare l’attività, così quando ha sentito parlare dei prestiti e dei programmi di formazione di Ace si è subito interessata. E da lì, partendo da una richiesta a un operatore locale e passando per internet, è arrivata fino ai monitor di computer e dispositivi mobili di tutte le persone connesse nel mondo. La piattaforma che ci ha consentito di entrare in contatto con lei, vedere la sua foto, conoscere la sua storia e le sue esigenze, e persino di contribuire a sostenere il suo sviluppo è Kiva.org, un caso di DECODE Un futuro fai-da-te N el cuore di Dakar, tra le botteghe di artigiani e piccoli commercianti, tra un centro sociale e un asilo nido c’è Defko-AkYen, che in italiano suona più o meno come «farlo con gli altri». È un FabLab creato dall’associazione Kër Thiossane, aperto a tutti: residenti e artigiani, artisti, pensatori, hacker, ricercatori, informatici, sviluppatori, designer. Uno spazio di condivisione di know-how e sistemi di produzione che contaminano macchine tradizionali e tecnologie digitali. Qui il concetto di FabLab - ovvero Fabrication Laboratory, l’antro dell’artigiano più innovativo, del maker che crea usando nuove tecnologie digitali e stampanti 3D - acquista un nuovo significato. In un ambiente di condivisione e crescita personale, chiunque può venire a imparare, sperimentare, trasmettere la sua esperienza o semplicemente realizzare qualcosa. A più di nove ore di volo c’è, all’interno della Città della Scienza di Napoli, lo Urban FabLab (www.urbanfablab.it), così lontano e così vicino nelle idee e nello spirito. Proprio qui, infatti, è nato The 66 African project, un progetto nonprofit basato PopoliFabbers giugno-luglio 2014 sull’innovazione che vuole fare interagire le comunità di makers europei e africani attraverso workshop e progetti collaborativi. Dopo una tappa a Marrakech, The African Fabbers project arriva proprio alla Biennale di Dakar nella cornice del festival Afropixel. Qui, dopo una prima fase dedicata a sviluppare il concetto di design di un progetto, utilizzando gli strumenti di progettazione di calcolo e macchine di fabbricazione digitale, si passerà alla realizzazione del progetto stesso, esplorando tecniche di autocostruzione con materiali locali, naturali e riciclati. E non si tratta di un’iniziativa isolata della comunità dei makers. C’è anche VentolOne, che cerca fondi per realizzare un generatore microeolico a basso costo e basso contenuto tecnologico. C’è WasProject, che ispirandosi alla vespa vasaia che depone concentricamente materiale argilloso per costruirsi il nido, sta progettando sistemi per realizzare abitazioni sostenibili nel Sud del mondo. Antonio Sonzini [email protected] successo mondiale di cosiddetto lending crowdfunding. Grazie a questa piattaforma, ognuno può scegliere di finanziare Sua dalla propria scrivania, aiutandola a comprare più pesci e cibo per pesci, incrementare gli affari e migliorare le condizioni della famiglia. E come lei molte altre e molti altri. Per esempio, a diverse migliaia di chilometri di distanza, in Uganda, c’è Florence, una donna con una storia simile e al tempo stesso del tutto diversa. Qui la popolazione è di quasi 36 milioni di abitanti, il reddito medio pro capite di 1.500 dollari annui e l’economia è basata per l’82% sull’agricoltura. Florence vive nella cittadina di Nansana, vicino a Kampala, e vende bibite. Anche lei, come Sua, ha chiesto un prestito (900mila scellini ugandesi, circa 250 euro) che userà per acquistare più bibite e avviare un circolo virtuoso di crescita. Si è rivolta a Brac Uganda, Ong parte di un network internazionale (www.brac. net). Nel suo approccio olistico Brac offre programmi di istruzione, salute, depurazione dell’acqua, agricoltura e microfinanza. Il programma di microfinanziamenti da cui Florence aspira a trarre beneficio è stato studiato per offrire ai poveri accesso in modo facile, affidabile ed efficiente a strumenti finanziari e raggiunge oggi 150mila persone, solo in Uganda. Florence appartiene al gruppo di beneficiarie del programma Empowerment and Livelihood for Adolescents (Ela). Durante l’adolescenza, le ragazze raggiunte dal programma studiano, formano club e giocano insieme, oltre a riunirsi per discutere di problemi e opportunità sociali che le aiutano a essere più consapevoli. Il programma Ela è notevolmente cresciuto dal 2008 e oggi conta oltre mille club che uniscono circa 40mila ragazze in tutto il Paese. Come Sua e Florence ci sono migliaia di altre donne che sono aiutate a sviluppare il proprio potenziale e le attività economiche di cui sono protagoniste grazie a microprestiti e grazie alla rete. Lo studio e l’integrazione di modelli di servizio finanziario sostenibili e realmente centrati sulla persona hanno fatto grandi passi in avanti, andando a raggiungere microimprenditori che sarebbero stati ignorati dal sistema bancario tradizionale. In tutto questo, internet è ancora una volta una leva eccezionale, rendendo possibile l’incontro tra un prestatore seduto nel suo soggiorno di una città italiana e una coltivatrice di riso in zone remote del Vietnam o una commerciante di bevande che vive nelle periferie di una metropoli africana. Giovanni Vannini GooglePlus: +GiovanniVannini @giovvan giugno-luglio 2014 Popoli 67 Benvivere ECOJESUITS I gesuiti canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne «I nvito ogni comunità della Provincia a impegnarsi in una dieta senza carne e senza pesce un giorno alla settimana (...) Oltre ai motivi tradizionali, oggi ne abbiamo uno nuovo per rispolverare la pratica dell’astinenza da carne e pesce: la solidarietà con i poveri del mondo e con un creato devastato». L’invito è stato lanciato, in una lettera ai suoi confratelli, da J. Peter Bisson, superiore della Provincia gesuitica del Canada anglofono. La sua non è una trovata sensazionalistica, ma un’iniziativa che mira a far crescere la sensibilità ecologica nella Compagnia di Gesù. Un’iniziativa che si inserisce in un solco tracciato anni prima da Jim Webb, il predecessore di Bisson. «Padre Webb - è scritto nella lettera - ha avviato un processo di discernimento col- lettivo sul nostro impegno comunitario per l’ecologia (...). Tra i frutti di questo processo sono emerse due raccomandazioni specifiche». La prima è l’istituzione di una commissione per la missione e l’ecologia che è stata creata da padre Bisson con l’intento di «preparare la Provincia ai nuovi modi di percepire, pregare, discernere, pensare e agire appropriati alla dimensione ecologica». La seconda è appunto l’invito a non consumare carne e pesce almeno un giorno a settimana. «La richiesta di carne da parte dei consumatori è diventato un fattore molto significativo nel degrado ambientale. Quindi, quanto da me proposto è un efficace atto di speranza e un passo verso la riconciliazione con i poveri e la terra». Banca etica guarda al crowdfunding Insieme a Produzioni dal Basso ha creato uno spazio per raccogliere fondi per progetti sociali N ell’era dei social media e dell’innovazione tecnologica sta prendendo piede anche in Italia una forma di finanziamento legata al soft power digitale. Si tratta delle piattaforme di crowdfunding che permettono a persone, associazioni ed enti di presentare i loro progetti e cercare i finanziamenti. Una di queste piattaforme è Produzioni dal Basso che dal 2005 ha realizzato 512 progetti con la raccolta di quasi 1,3 milioni di euro. Produzioni dal Basso ha da poco iniziato una collaborazione con Banca Etica che ha come obiettivo l’uso responsabile del denaro dei risparmiatori. È stato così inaugurato un nuovo spazio della Banca popolare etica sulla piattaforma 68 Popoli GIUGNO-LUGLIO 2014 di Produzioni dal Basso. Su questo spazio virtuale le organizzazioni, i soci e i clienti di Banca etica potranno raccogliere fondi attraverso il crowdfunding per realizzare progetti di promozione culturale, sociale e ambientale. È sufficiente che i soci e i clienti di Banca etica contattino una delle filiali dell’istituto per chiedere di poter caricare il loro progetto sulla piattaforma, condividerlo e raccogliere fondi. A metà maggio, sulla piattaforma sono stati caricati due progetti: l’organizzazione del Congresso nazionale di economia sociale che si terrà a Parma dal 20 al 22 giugno nel corso del quale si discuterà di un nuovo modello economico e delle risposte vir- tuose alle contraddizioni dell’economia tradizionale. Per riuscire a organizzare l’evento sono necessari 10mila euro e la quota minima di adesione attraverso il crowdfunding è di 10 euro. L’altro progetto è la creazione della Casa dei beni comuni di Belluno (www. casadeibenicomuni.it). L’iniziativa intende recuperare un’ex caserma per trasformarla in un centro culturale polivalente aperto alla città in cui si organiz- zeranno mostre, esposizioni, incontri teatrali e musicali. Nel centro troveranno posto un piccolo bar, un’officina, una falegnameria, un orto sociale e un piccolo ufficio per la redazione del sito d’informazione indipendente Bellunopiù. Per la ristrutturazione servono 10 mila euro, 10 euro la quota minima di adesione. Per proporre progetti o sostenerli: http://bancaetica. produzionidalbasso.com oppure www.produzionidalbasso.com Graphic journalism “Tutte le speranze di lasciare questo posto svaniscono davanti alla prospettiva ripetitiva di un sopravvivere passivo che non assomiglia in nessun modo alla vita” “Non è ironia della vita. È la sua tragedia più profonda. Possiamo resistere non perché siamo forti, ma unicamente perché non siamo consapevoli in ogni momento della nostra immensa miseria in tutti gli aspetti della nostra vita”. “Siamo qui ormai da nove settimane, e sono ancora in grado, anche se poco, di scrivere e di pensare. Ogni sera, senza eccezione, leggo le tue lettere e quelle di Nada, e questo è l’unico momento in cui sono un’altra, non sono solo un’internata”. 6/ continua