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giu.-lug. 2014 - N. 6-7 Mare nostrum €4 A bordo di una nave dell’operazione italiana nel Mediterraneo sri lanka Viaggio nell’isola ferita inchiesta Fratelli (musulmani) d’Italia brasile Vetrina Mondiale editoriale Stefano Femminis Direttore di Popoli - [email protected] - @stefanofemminis Punto e a capo Il 28 giugno di 100 anni fa, a Sarajevo, l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo accese la miccia che, un mese più tardi, portò all’esplosione della prima guerra mondiale, con il suo fardello di oltre 15 milioni di vittime, tra soldati e civili. Esattamente trent’anni dopo, il 6 giugno 1944, lo sbarco in Normandia segnò invece l’inizio della fine del secondo conflitto mondiale. Terminava la guerra con più morti nella storia dell’umanità (almeno 55 milioni, tra cui le vittime dell’Olocausto), ma ne iniziava un’altra, cosiddetta «fredda», in realtà anch’essa insanguinata da conflitti regionali e violazioni dei diritti umani. Come tutti gli anniversari, anche questi due possono diluirsi in sterili celebrazioni, con annesse sfilate di potenti, discorsi formali e cene di gala. Ma possono anche conservare il loro significato autentico: aiutarci a fare memoria del passato, perpetuare - come esempio o come monito - il ricordo di eventi e persone che hanno cambiato in bene o in male il corso della storia, riflettere sugli effetti, a volte epocali, di scelte personali e collettive. Ancora, una ricorrenza serve a misurare la distanza, non solo cronologica, che ci separa dai fatti ricordati, a tracciare un bilancio del percorso compiuto. Guardare all’attualità da questo punto di vista getta nello sconforto. La crisi esplosa in Ucraina, con le forti tensioni tra Occidente e Due importanti anniversari, legati alla prima Russia, svela il rinascere dei e alla seconda guerra mondiale, cadono blocchi contrapposti, con lo in un momento di grande tensione: la storia «zar» Vladimir Putin al posto sembra non avere insegnato nulla del vecchio nemico sovietico. E anche in altri contesti rintracciamo logiche che credevamo sconfitte: anzitutto in Siria, trasformatasi nel ring su cui grandi e medie potenze esibiscono i propri muscoli; ma pensiamo anche ai numerosi focolai di crisi in Africa e Asia. Né la comparsa sulla scena mondiale di un nuovo attore protagonista, la Cina, aiuta a ridurre le tensioni, anzi. La storia davvero non sembra avere insegnato nulla se, dopo uno o più secoli, siamo punto e a capo, fermi alle scorciatoie del nazionalismo e del populismo, alle rivendicazioni etniche e identitarie. Senza dimenticare che le religioni (l’islam in particolare) spesso funzionano, loro malgrado, come benzina sul fuoco dei conflitti anziché come fattore di pacificazione. Mai come in questi casi ci si sente impotenti di fronte a sfide che superano le nostre forze e probabilmente anche le nostre responsabilità. Eppure, proprio quella storia così facilmente dimenticata ci mostra quanto le cose avrebbero potuto (e potrebbero) andare diversamente se si fosse dato ascolto ai profeti che ogni epoca regala all’umanità: pensiamo a Giovanni XXIII, «fresco» di canonizzazione, con la sua Pacem in Terris ancora così attuale. Pensiamo, oggi, a papa Francesco, alla sua rivoluzione nel modo di intendere il potere e l’autorità, ai suoi ripetuti appelli per la pace (l’ultimo nel recente viaggio in Terra Santa). Pensiamo anche al nostro collaboratore padre Paolo Dall’Oglio, uomo del dialogo e della riconciliazione: ci sembra doveroso farlo, pur nel rispetto del silenzio chiesto da familiari e autorità, mentre si avvicina un altro anniversario, quello del suo rapimento in Siria il 29 luglio 2013. Noi speriamo di averlo presto di nuovo con noi, per costruire insieme un mondo senza guerra. GIUGNO-LUGLIO 2014 Popoli 1 Punto e a capo S. Femminis PICS CAMMINI DI GIUSTIZIA Nelle terre estreme foto B. Zanzottera/ Parallelozero sommario n. 6-7 - giugno-luglio 2014 01EDITORIALE Reportage Mare nostrum R. Vinci Vite sprecate G. Bondi 22 22Sri Lanka Viaggio nell’isola ferita S. Jayasekara 26Angola Il Paese a due velocità F. Spinola 29Il profilo Narendra Modi F. Pistocchini IDENTITÀ - DIFFERENZA Inchiesta Fratelli (musulmani) d’Italia E. Casale 34Corea Una terra comune R. Tofani 38Brasile Vetrina Mondiale B. Barba In copertina: Lampedusa, un carabiniere osserva le operazioni di sbarco di un gommone carico di immigrati. (Foto Afp Photo/ Filippo Monteforte) 14 reportage 46 PICS 08 DIALOGO E ANNUNCIO Cina Beata amicizia B. Vermander SJ 44Qatar Teologia nel Golfo F. Pistocchini 46Storia Da Ignazio a Francesco/6 Pionieri del Nuovo mondo A. Brouillette SJ, E. Casale RUBRICHE 04Lettere e idee 05Contromano G. Ferrario 06Multitalia L’alibi Europa M. Ambrosini 06Made in China Vacanze cinesi E. Zanetti SJ 07La sete di Ismaele Pellegrini di verità P. Dall’Oglio SJ 34 07Scusate il disagio La donna d’altri G. Poretti 52Jsn/Jrs/Amo 70Postcard 72L’ultima Parola La casa di Lidia, prima Chiesa d’Europa S. Fausti SJ E tra inchiesta 30 lettere e idee CROCIFISSIONI E DIALOGO Ho letto delle crocifissioni a cui sono stati sottoposti alcuni cristiani in Siria. Ho anche letto che la crocifissione è prevista e ammessa dal Corano. Mi domando: come si può dialogare con una religione che consente queste cose? E soprattutto: che senso ha predicare il dovere di accogliere e integrare gli islamici in Italia e in Europa, quando poi il rischio è di finire come quei poveri cristiani siriani? Carlo Battistini Milano SCRIVETECI Indirizzate le vostre lettere a: [email protected] Redazione Popoli Piazza San Fedele 4 20121 Milano 02.86352802 (fax) www.popoli.info Gli episodi a cui si riferisce il lettore mostrano a quali livelli di disumanità e di violenza possa condurre una visione completamente distorta della fede: qualcosa che purtroppo abbiamo già visto più volte nella storia. Va aggiunto, però, che le crocifissioni avvenute in Siria hanno un risvolto politico più che religioso: tanto è vero che i morti non erano cristiani (contrariamente a quanto è stato detto da molti mass media) ma anch’essi musulmani, trucidati per essersi opposti allo strapotere delle milizie fondamentaliste. Il crimine è orrendo, al di là dell’appartenenza confessionale delle vittime. Ma non deve e non può alimentare chiusure e paura del dialogo. Sarebbe la vittoria degli integralisti di ogni fede. CITTADINI ADULTI Sono una cittadina italiana, ma non mi sento tale. È successo qualcosa nella mia vita che mi ha fatto capire come, di fatto, io non sia cittadina di niente... Da una parte questo Paese mi ha permesso di laurearmi, lavorare, farmi una casa, avere dei figli (doni-impegni immensi), dall’altra non ha reso possibile la comprensione di cose più importanti che hanno a che fare con la libertà individuale, la capacità di agire all’unisono con altri per un futuro dell’umanità migliore. Fare parte di un popolo, sentirsi parte di esso è un privilegio che credevo fosse un diritto automatico e che invece forse è solo acquisibile con il tempo, e magari quando non sei più in grado di esercitarlo... Se l’Europa non è unita è perché non sta lavorando abbastanza su questo, sul fare sentire Anno di fondazione: 1915 Direttore responsabile Stefano Femminis Redazione Enrico Casale, Davide Magni SJ, Francesco Pistocchini Segreteria di Redazione Cinzia Giovari (0286352415) Sede Piazza San Fedele 4 - 20121 Milano Contatti tel 02863521 - fax 0286352802 [email protected] - www.popoli.info Editore e proprietario Fondazione Culturale San Fedele - Milano Registrazione del Tribunale di Milano n. 265 del 17/05/1986 Stampa àncora arti grafiche - Milano Progetto grafico Donatello Occhibianco Ufficio stampa [email protected] Abbonamenti 2014 (10 numeri) Ordinario € 32, Web € 25 (solo rivista on line), Ridotto € 25 (per giovani con meno di 25 anni), Cumulativo € 59, Sostenitore € 60, Estero € 45 (un numero € 4) Servizio abbonamenti tel. 02.86352424 [email protected] Gruppo di consulenza editoriale Marco Aime, Stefano Allievi, Maurizio Ambrosini, Stefano Bittasi SJ, Anna Casella, Guido Dotti, Miriam Giovanzana, Luca Moscatelli, Gianni Vaggi Opportunità per gli abbonati - Silvano Fausti, Sogni, allergie, benedizioni (San Paolo 2013, € 14), in omaggio a chi regala uno o più abbonamenti e agli abbonati Issn 0394-4247 Sostenitori; a € 12 (compresa spedizione) Nel rispetto del D.Lgs. n. 196/2003, Popoli garantisce per gli altri abbonati (nuovi o rinnovi). che i dati personali relativi agli abbonati sono custoditi - Chiavetta Usb (1Gb) con i pdf 2013 di Popo- nel proprio archivio elettronico con le opportune misure li e Aggiornamenti Sociali: in regalo agli abbo- di sicurezza. 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Ecco, forse dovremmo imparare a essere tessere prima di essere parte del puzzle, mentre spesso si ragiona al contrario anche a scuola: identità sacrificate per altri. Forse solo alcuni santi, con grande fatica, sono riusciti a fare questo: a formare corpi, anime e spiriti. Lettera firmata Il tema della cittadinanza, così come quello dell’identità personale e comunitaria, sono davvero la sfida delle sfide nell’era della globalizzazione. E si portano dietro questioni altrettanto complesse: l’idea di nazione, il concetto di cultura, ecc. Nozioni che si ritenevano rigidamente definite fino a poche decine di anni fa, ora sono completamente messe in discussione e chiedono di essere ripensate e adattate: pur con gli scossoni e i rischi che questo provoca è un processo che può essere QUESTO NUMERO Come ogni anno, in estate Popoli diventa bimestrale: questo è il numero di giugno-luglio, seguirà quello di agosto-settembre. Da ottobre si ricomincia con la cadenza mensile. visto positivamente, come la tappa di un cammino verso la ricerca di un modo di vivere e con-vivere più umano e autentico. CONTROMANO di Giuseppe Ferrario L’ATTICO DEL CARDINALE Se la notizia è vera, vi sembra giusto che il cardinale Tarcisio Bertone viva in un attico? Non vi sembra qualcosa che fa male alla Chiesa? Sergio Della Rocchetta [email protected] Le prime informazioni pubblicate dai quotidiani sono state poi parzialmente ridimensionate, e va detto che l’ex Segretario di Stato sembra diventato il bersaglio preferito di una certa stampa non esattamente «amica» del mondo cattolico. Al netto di queste precisazioni, le risposte non possono che essere «no» alla sua prima domanda e «sì» alla seconda. IL VERO VENEZUELA Complimenti per il vostro articolo sul Venezuela, pubblicato nel numero di maggio. Considerato che (da sempre) la Conferenza episcopale di quel Paese sta con l’opposizione, non era facile per una rivista cattolica pubblicare quel pezzo, in cui si dà conto della diversità di posizioni che si registra nella comunità cristiana, in particolare tra i gesuiti. P.M. Torino ebook € 4,49 in vendita su e su tutte le piattaforme digitali (Amazon, Kobostore, iBookstore...) giugno-luglio 2014 Popoli 5 lettere e idee L’alibi Europa C Multitalia Maurizio Ambrosini Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti i risiamo. Già nel 2011, all’inizio dei rivolgimenti del mondo arabo, l’allora capo del governo Silvio Berlusconi aveva parlato di uno «tsunami umano» in arrivo. Esponenti del suo governo avevano lanciato cifre iperboliche, citando le solite fonti di intelligence, circa il numero di migranti pronti a salpare verso le coste italiane. Dopo di allora, l’operazione Mare Nostrum lanciata dal governo italiano a seguito delle tragedie nel Mediterraneo ha dimostrato che le persone in mare si possono salvare se si impiegano i mezzi necessari. Ora però il copione si ripete. La primavera anticipata ha favorito una ripresa delle partenze e i numeri sono cresciuti sensibilmente, toccando quota 26mila dall’inizio dell’anno a fine aprile. Tanto è bastato perché si ripartisse con la girandola dei numeri: 700-800mila rifugiati in arrivo. Per di più, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha lanciato l’allarme pandemie. Non si sa in base a quali dati epidemiologici: non è dato sapere, per dire, se e quanti casi di ebola si siano manifestati tra gli sbarcati. Come al solito, si addossa all’Europa la responsabilità di una scarsa collaborazione. Vediamo i dati più recenti, forniti dall’Acnur: nel 2013 in Italia si sono registrate 27.800 domande di asilo, meno degli sbarcati (circa 43mila), perché molti anziché presentare domanda in Italia cercano di raggiungere altri Paesi. Difatti l’Italia, pur denunciando una crescita relativa delle istanze (+60%), è soltanto sesta in Europa come Paese di accoglienza, dietro Germania (109.600 domande), Francia (60.100), Svezia (54.300), Turchia (44.800, numero cresciuto molto per la contiguità con la Siria) e Regno Unito (29.200). Anche nell’Europa orientale si assiste a un notevole aumento dei richiedenti asilo: circa 18mila in Ungheria (contro i 2mila del 2012), 14mila in Polonia, 7mila in Bulgaria. In definitiva, se vi fosse più solidarietà europea sul dossier rifugiati, difficilmente sarebbe l’Italia a beneficiarne. Dovremmo piuttosto pensare a una legge organica sull’asilo, a un miglioramento della seconda accoglienza e dell’integrazione sul territorio, a un sistema di accoglienza compiutamente europeo, superando le storture del Regolamento di Dublino. Vacanze cinesi A MADE IN CHINA Emilio Zanetti SJ Gesuita, lavora al Kuangchi Program Service (produzione televisiva) di Taipei nche i cinesi vanno in vacanza? Certamente, come tutti, e forse, recentemente, più di tutti. Anzitutto, vacanza vuol dire «famiglia». Nella testa di ogni cinese al primo posto c’è questo valore: in vacanza si va possibilmente con la famiglia. E di sicuro ogni anno (questo soprattutto nelle vacanze invernali del nuovo anno, che sono le più tradizionali e le più sentite) si va nella città o nel villaggio nativo, dove ci sono gli antenati, dove ci sono le origini della propria famiglia. La famiglia per il cinese viene sempre al primo posto: non suona un po’ «mediterraneo» questo concetto? Le vacanze sono il tempo per stare con gli amici ma, soprattutto, con i propri cari. E per rigenerarsi, perché quando si lavora: si lavora! Senza preoccuparsi troppo degli orari di entrata e di uscita dalla fabbrica o dall’ufficio. Per quanto riguarda i viaggi turistici, la Cina è così grande e bella che molti preferiscono visitarla in lungo e in largo, ma ormai è già una vecchia notizia che i cinesi abbiano superato tutti gli altri anche nel turismo all’estero, tanto da essere l’asset più ambito per tutti i Paesi che vogliono incrementare il numero di arrivi e gli introiti nel settore turistico. 6 Popoli giugno-luglio 2014 Dato il boom economico degli ultimi decenni, i cinesi attualmente sono i più numerosi e i più spendaccioni, tanto da meritarsi l’appellativo di «portafogli ambulanti». Con l’Expo del 2015, per esempio, Milano spera di superare il milione di arrivi dalla Cina, cosa che non dovrebbe essere difficile. Questa ondata cinese all’estero ha creato anche una letteratura ufficiale, da parte delle autorità, per presentare una buona faccia della Cina nei Paesi ospitanti. Poiché spesso, essendo in giro in gruppi numerosi e pensando di essere sempre a casa propria o di poter fare quello che vuole, il turista cinese medio non rispetta l’etichetta, il ministero del Turismo ha pubblicato due manuali con le linee guida per il buon comportamento (rispettare la coda, non sbraitare, lasciare i luoghi utilizzati puliti come li si era trovati all’arrivo). Problema risolto. O quasi. Comunque «meno male che esistono le vacanze mi diceva un giovane padre di famiglia -, soprattutto perché se posso dire “tra qualche settimana vado in vacanza” significa che ho un lavoro e posso mantenere la mia famiglia!». Capito? Gira e rigira si parla sempre di famiglia. Pellegrini di verità Nella speranza di riabbracciare presto padre Paolo, rapito in Siria nel luglio 2013, continuiamo la lettura dei suoi libri. Qui un brano di Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto (a cura di G. Montjou, Paoline 2008). I l brulichio delle credenze esprime l’amore polisemico, polimorfo e plurale di Dio per gli uomini. Si dà il caso che io porti il mistero di Gesù di Nazareth, personalmente e collettivamente (quando celebro l’Eucaristia), e cerco di obbedire allo Spirito di Gesù che parla in me. Questo mi incoraggia naturalmente ad amare, a valorizzare e a riconoscere la profezia che anima le culture che io incontro. Io ovviamente annuncerò, fino al martirio, se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù! Ma so che, di fronte a me, un musulmano annuncerà con la stessa intensità la Profezia coranica. L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di verità, non limitarlo all’interno del suo contesto, valorizzare la sua esperienza di Dio. Sente il bacio d’amore di Dio sulla fronte, sull’occhio, sulla bocca? Allora abbraccerà il mondo in un amore senza limiti. Non propongo un’educazione informativa, ma un’educazione performativa. Il mondo non aspetta che vengano distribuiti dei fogli che ordinano a ognuno di alzarsi, di sedersi, di entrare, di uscire... Il mondo ha bisogno di persone iniziate all’esperienza mistica. In modo collettivo e individuale, bisogna che ognuno senta nel proprio corpo e nel proprio cuore, grazie a maestri esperti (cioè che hanno fatto in prima persona questa esperienza), il tocco, il contatto di Dio. Credo che la bella esperienza delle Giornate mondiali della Gioventù non basti a rendere solida e forte la fede dei giovani. Per consolidarla, bisogna salire sulla montagna insieme a Gesù. La sete di ismaele Paolo Dall’Oglio SJ Gesuita, fondatore della Comunità monastica di Deir Mar Musa (Siria) La donna d’altri Prosegue la serie di Giacomo Poretti sui Dieci comandamenti. Leggi le puntate precedenti su www.popoli.info P ossibile che tutte le cose che ci piacciono o fanno male o sono vietate? L’hamburger con ketchup e patatine fritte è considerato food killer; salame dell’Oltrepò con lardo di Colonnata accompagnati da una Bonarda vivace sono il viatico per l’ictus; una bella sigaretta dopo il caffè mattutino ingenera più processi di quelli a carico di Berlusconi; starsene tutto il week end sul divano a guardarsi Sky Sport fa aumentare l’adipe intraaddominale con conseguente pericolo di malattie cardiocircolatorie; bersi una birra gelata d’estate dopo aver tagliato l’erba del giardino può provocare una congestione; guidare con il finestrino aperto in primavera può far venire una paresi facciale; giocare per ore al computer ad Angry Birds può provocare la lesione del tunnel carpale, problemi oculari e rincretinimento permanente; guardare le partite dell’Inter di Thohir può provocare grave depressione. Signore, nostro Dio, non è che ci stai sopravvalutando? Dove la possiamo trovare tutta questa forza per scansare il male (e l’adipe intra-addominale)? Se strizziamo l’occhio a un oggetto placcato oro ti incavoli; se ti evochiamo ogni tanto perché ci girano le scatole, le tue scatole girano più delle nostre; ammazzare non si può, e fin qui va bene, ci mancherebbe! Non dico rubare come all’Expo, ma tu ti adiri anche se rubo La Gazzetta dello Sport del mio socio Aldo (tanto non sa leggere…), non ci consenti neppure di fornicare un pochino, di dire una mezza balla, e va bene! Ma come fa a venirti in mente di chiederci di non desiderare la donna degli altri? Ovviamente spero che valga solo il fatto compiuto, perché se Tu dovessi giudicare anche dalle intenzioni, chi si salverebbe? Ho il sospetto che sia una prova grande quella che ci chiedi, Signore. Posso dirti, oltretutto, che è un po’ scorretto che Tu consenta che fioriscano modelli di uomini attempati che hanno desiderato e avuto di tutto nella vita: liceali, attrici, nipotine di capi di Stato, prime mogli, seconde mogli, attiviste politiche, animaliste: se appena appena abbozziamo una pallida difesa della fedeltà coniugale ci fanno sentire dei fessi oppure ci danno degli omosessuali! Vuoi vedere che è vero quel che si dice di Te: e cioè che se ti si ascolta le gioie che ne deriveranno sono più grandi di quelle che promette il signore attempato? Ok, ci stiamo! Però puoi abolire la congestione dopo la birretta gelata? scusate il disagio Giacomo Poretti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo giugno-luglio 2014 Popoli 7 Nelle terre estreme Foto Bruno Zanzottera/ Parallelozero In luoghi dove il limite fa parte della quotidianità, l’uomo stabilisce un rapporto particolare con la natura e da millenni mostra creatività e capacità di adattamento per sopravvivere. Bruno Zanzottera ne ha esplorato con la fotografia diverse manifestazioni in ogni continente giugno-Luglio 2014 Popoli 9 Il fotografo Bruno Zanzottera (Monza, 1957) ha iniziato a fotografare da ragazzo, affascinato dal mondo celtico. Nel 1979 compie il suo primo viaggio africano, attraversando con una Peugeot 404 il Sahara fino al Golfo di Guinea. Da allora l’Africa è stata meta privilegiata dei suoi reportage fotografici, anche se non sono mancati numerosi lavori in Asia e America latina, dove ha esplorato luoghi e popolazioni fino alle zone più remote del pianeta. Nel 2008 ha creato insieme ad alcuni colleghi l’agenzia fotografica Parallelozero (www.parallelozero.com). Collabora con numerose testate italiane e straniere, tra cui Geo France, Geo International, National Geographic Italia, Focus, Bell’Europa. Nel 2014 ha realizzato il suo primo documentario, Il Gioco delle perle di vetro. 10 Popoli giugno-Luglio 2014 “ “ Cominciarono a morire i primi coloni. Alcuni per avere mangiato frutti sconosciuti, altri attaccati da febbri rapide […]. Si sentivano perduti: in sterile lotta con la pioggia che a ogni assalto minacciava di portarsi via la capanna, con le zanzare che in ogni pausa dell’acquazzone attaccavano con ferocia […], “ “ e infine con gli animali affamati, che vagavano nella selva popolandola di suoni agghiaccianti che impedivano il sonno. Finché la salvezza non venne loro con la comparsa di alcuni uomini seminudi, dal volto dipinto di rosso con polpa di bissa e monili multicolori sul capo e sulle braccia. giugno-Luglio 2014 Popoli 11 PIANETA CIBO Continua nel 2014 il viaggio per immagini dedicate al tema del cibo nelle sue mille declinazioni: fondamentale (e spesso carente) sostegno per la vita, occasione per promuovere o negare i diritti dei lavoratori e dell’ambiente, espressione di identità culturali, elemento di feste e riti. «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» è anche il tema dell’Esposizione Universale che si apre a Milano il 1º maggio 2015 e nella quale anche Popoli è coinvolta, attraverso la promozione di alcuni eventi. Con il contributo di: “ 12 Popoli giugno-Luglio 2014 Erano gli shuar che, impietositi, si avvicinavano per dare una mano. Da loro impararono a cacciare, a pescare, a innalzare capanne stabili e resistenti agli uragani, a riconoscere i frutti commestibili e quelli velenosi, ma soprattutto, da loro impararono l’arte di convivere con la foresta. “ In collaborazione con: Dal 2007 la popolazione urbana del mondo ha superato quella che abita nelle regioni rurali. Anche se la tendenza pare inarrestabile, un grande numero di persone continua a vivere caparbiamente in territori molto difficili, dove si sono creati delicati equilibri di convivenza tra l’uomo e la natura. Equilibri fragili, che significano innanzitutto scarsa disponibilità di beni essenziali, cibo e acqua. I luoghi di fatica e sofferenza sono «terre estreme», espressione che può indicare il limite della sopravvivenza umana, ma anche la capacità di adattamento delle persone; si relativizza nelle culture e nelle tradizioni e modella la fisiologia di chi le abita. Questi luoghi diventano «normali» per intere popolazioni che rivelano esempi di adattamento creativo al deserto, ai ghiacci, alla foresta. La transumanza dei pastori peul nel Sahara, il sale strappato dalla terra rovente della Dancalia, il miele raccolto sugli alberi dai pigmei in Congo, la cura delle mandrie in Patagonia, la caccia sui monti Altai in Mongolia, la pesca nel lago Turkana (Kenya): le strategie di sopravvivenza si mettono in pratica da tempi immemorabili in luoghi reali, ma anche simbolici ed evocativi, di interazione tra vicende umane e scenari ambientali in angoli lontani del pianeta. (Luis Sepúlveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Guanda, Milano 1996) “ “ Passata la stagione delle piogge, gli shuar li aiutarono a disboscare alcune pendici, avvertendoli però che sarebbe stato tutto vano. giugno-Luglio 2014 Popoli 13 reportage Mare nostrum Siamo saliti a bordo di una nave dell’operazione organizzata dal governo italiano, per incontrare storie e volti delle persone recuperate dai militari in mezzo al Mediterraneo, spesso in condizioni disperate. Il racconto e le immagini di quella che (come racconta l’articolo successivo) è solo una delle tante tappe di un lungo viaggio Testi e foto: Romina Vinci Mar Mediterraneo «N on si fermano, stanno scappando, temono che siamo libici, dobbiamo superarli!»: dalla plancia della Nave Sirio (una corazza di 14 Popoli giugno-luglio 2014 acciaio lunga 88 metri, uno dei pattugliatori in forza alla Marina Italiana), la voce del comandante Marco Bilardi ha lo stesso ritmo dei suoi passi rapidi. È il primo pomeriggio di una grigia giornata di aprile; nei tre giorni precedenti l’equipaggio ha soccorso più di 700 naufraghi nel Mediterraneo (poi accompagnati nei porti di Pozzallo e Porto Empedocle, rispettivamente in provincia di Ragusa e Agrigento), e adesso ci si prepara a un nuovo intervento. L’INSEGUIMENTO L’imbarcazione da soccorrere è ben visibile, ma non sembra intenzionata a fermarsi. Ci troviamo a meno di cento miglia dalle coste libiche, nell’area che Nave Sirio sta pattugliando da qualche giorno. E quest’oggi lo fa in direzione sudest. «È sempre meglio venire da nord, perché altrimenti pensano che proveniamo dalla Libia e vogliamo riportarceli», spiega il comandante. Parte così l’inseguimento: loro a sinistra, noi sulla loro destra, viaggiamo a circa 20 nodi, bisogna stare attenti alla velocità, e non perder di vista la loro, altrimenti basta un’onda anomala generata dal nostro andamento per farli ribaltare. cammini di giustizia In queste pagine e nelle due seguenti, alcuni momenti di un’operazione di soccorso svolta dai marinai italiani. UN PACCO DI SPAGHETTI Dopo meno di dieci minuti li abbiamo raggiunti e superati. Si procede con la preparazione dell’idrobarca di sinistra, sarà la prima a raggiungere l’imbarcazione da soccorrere. Il comandante fa portare a bordo del gommone a motore un pacco di spaghetti e una bandiera italiana: potrebbero essere utili da mostrare nel momento di avvicinamento al barcone, per dimostrare che siamo italiani. Quattro marinai vanno in avanscoperta sull’idrobarca, in costante contatto radio con la plancia. Appena arrivati vicino al barcone forniscono un primo resoconto: «Si tratta più o meno di 200 persone, ci sono bambini e donne, alcune incinte. C’è una falla nell’imbarcazione, stanno già prendendo acqua, ma non sono fermi, navigano “a lento moto”». Non c’è tempo da perdere. «Devono spegnere i motori, o almeno fermare l’abbrivio, altrimenti non possiamo soccorrere», risponde dalla plancia l’ufficiale in seconda, Andrea Scalia. Segue un silenzio difficile da quantificare in minuti: in realtà sono pochi, ma dalla plancia sembrano infiniti. Nuovo messaggio dal gommone: «Adesso sembrano fermi, possiamo procedere con le manovre. C’è un bambino che ha bisogno di cure perché sta male». «Diamo priorità assoluta», replica Bilardi. I SOCCORSI Intanto, nella parte posteriore della nave, l’equipaggio è pronto a ricevere i naufraghi. Una volta saliti a bordo attraverso una scaletta mobile, dopo i controlli di sicurezza, vengono identificati, censiti, e infine divisi: donne e bambini fatti accomodare in un luogo coperto, gli uomini seduti sul ponte. È un’operazione che dura svariate ore: l’idrobarca fa viaggi di 15 persone alla volta, e sulla Sirio si forma una lunga fila. Non tutti i naufraghi sono pronti a collaborare. Le donne eritree, in particolare, non vogliono farsi fotografare, né lasciare i propri dati. Scuotono la testa e rimangono ferme nella propria posizione. «Voglio aspettare che arrivi mio marito - dice una delle poche che parla in inglese per temporeggiare -: lui è ancora sul barcone, ha con sé i nostri documenti». Le altre la imitano. I marinai cercano di ricompattare i nuclei familiari, e a poco a poco le donne diventano più collaborative. Sono spaventate e si sentono smarrite. Alcune, in gravidanza, vengono fatte sdraiare e tenute sotto osservazione dal team sanitario della nave. Molti bambini hanno il viso scottato dai raggi solari, tanti uomini sono disidratati e faticano a reggersi in piedi. Sono partiti dalle coste libiche da due giorni, la loro barca aveva iniziato a prendere acqua, molti naufraghi sono bagnati. La maggior parte delle famiglie sono siriane, mentre il 90% dei ragazzi che viaggiano da soli vengono dall’Africa, soprattutto da Mali, Sudan, Somalia, Eritrea, Nigeria. L’AMORE NEL DESERTO Dopo circa tre ore, quando le operazioni di imbarco sono terminate, Natu può finalmente riabbracciare la sua Wehazit. Lui 26 anni, lei 14, entrambi vengono da Le donne Asmara. Si soin gravidanza no conosciuvengono tenute ti durante il sotto osservazione, viaggio, hanmolti bambini no attraversahanno il viso to tre deserti, scottato dal sole, d a l l’ E r it r e a tanti uomini sono al Sudan, dal disidratati Sudan all’Ee faticano a gitto e dall’Ereggersi in piedi gitto alla Libia: «Quando l’ho vista ho subito capito che era la donna della mia vita, dovevo occuparmi di lei, dovevo proteggerla», racconta Natu. Il viaggio sul barcone è costato 1.400 dollari. Lui ha un fratello che, dopo aver vissuto in Italia e in Belgio adesso si è sistemato in Francia, giugno-luglio 2014 Popoli 15 reportage ma Natu è diretto in Inghilterra, perché parla bene inglese: «Voglio cambiare la mia vita, lavorare duramente per crearmi una famiglia con Wehazit, e voglio farlo in un Paese democratico». LA NOTTE Il ponte è stracolmo di gente. Alcuni sono sdraiati, altri seduti vicini, per guadagnare spazio. Ognuno ha una coperta termica, pensata per proteggere sia dal freddo sia dal caldo eccessivi, e anche per ripararsi dal vento. Un ragazzo tiene strette le ginocchia al petto e trema vistosamente. Ha i vestiti bagnati, ma non ha indumenti di ricambio perché in Libia gli hanno rubato la borsa con le sue poche cose. Si chiama Youssef, viene dalla Nigeria, e scappa da un Paese in preda a una violenza inarrestabile. «Ho visto i terroristi uccidere alcuni miei cari come fossero bestie - racconta in un mix tra inglese e francese -; sto andando in Italia dove vive già mio fratello. Non so bene in quale città, ma ho il suo numero di telefono, lo chiamerò appena arrivo a terra. Tra qualche mese tornerò in Nigeria a prendere mia madre e mia sorella, devo portarle in salvo, ma non possono mettersi in viaggio da sole, la Libia è troppo pericolosa». La nave intanto viaggia in direzione dell’isola di Lampedusa, il comandante ha ricevuto la comunicazione che i 200 naufraghi verranno trasbordati su alcune motovedette e da lì fatti sbarcare. All’imbrunire la distribuzione dei pasti è stata completata, a tutti i migranti vengono dati cartoni per potersi sdraiare e riposare. In mare aperto la notte è fredda, soprattutto allo scoperto. LA TEMPESTA Quando avvistiamo la costa di Lampedusa la mezzanotte è passata da un pezzo, ma all’orizzonte si intravedono lampi che non fanno presagire nulla di buono. Si avvicinano le due motovedette, i naufraghi vengono sistemati in fila per scendere dalla nave. Nel momento stesso in cui sta per iniziare il primo trasbordo, però, si scatena un violento temporale. La pioggia è battente, cade an- MISSIONE UMANITARIA Dieci aerei e cinque navi in pattugliamento da ottobre F ronteggiare l’emergenza umanitaria legata all’arrivo dei migranti dal Nord Africa e assicurare alla giustizia i trafficanti di uomini: sono questi gli obiettivi di Mare Nostrum, l’operazione organizzata dal governo italiano a partire dall’autunno 2013. L’iniziativa è stata la prima risposta messa in campo dalle istituzioni italiane dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre, quando nel naufragio di un barcone morirono 366 persone. «Mare Nostrum - spiega un portavoce della Marina militare - consiste nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo dal 2004 con una nave che incrocia permanentemente nello Stretto di Sicilia e con aerei da pattugliamento marittimo. L’operazione Mare Nostrum ha una duplice funzione: quella di garantire la salvaguardia della vita in mare e di assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale dei migranti». Il dispositivo vede impiegati mezzi e personale della Marina e dell’Aeronautica militare oltre a quelli della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Capitaneria di Porto e della Polizia. La Marina, in particolare, ha schierato cinque unità navali d’altura, due elicotteri e un velivolo, mentre l’Aeronautica ha messo a 16 Popoli giugno-luglio 2014 disposizione una decina di aerei e alcuni droni (velivoli senza pilota a guida remota). La missione si integra con la missione di pattugliamento Frontex e quella di rilevamento Eurosur. La prima però di fatto non schiera unità navali nel Canale di Sicilia e la seconda non ha come compito quello di salvare i naufraghi o le imbarcazioni in difficoltà. Secondo calcoli effettuati dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, Mare Nostrum costerebbe a Roma circa 11 milioni di euro al mese, che gravano interamente sul nostro erario, anche se l’Italia, a più riprese, ha chiesto all’Ue di condividere sia le spese sia l’impegno nel pattugliamento. In questi mesi, l’operazione ha tratto in salvo almeno diecimila persone, suscitando l’elogio dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur). «Esprimiamo apprezzamento per l’operato della Marina militare impegnata nell’operazione Mare Nostrum che costituisce un contributo essenziale per evitare ulteriori tragedie del mare - ha detto Laurens Jolles, delegato Acnur per il Sud Europa -. Auspichiamo che altri Stati membri dell’Ue seguano il modello di Mare Nostrum. Non possiamo permettere ulteriori perdite di vite umane per chi cerca di mettersi in salvo dalle atrocità della guerra e delle persecuzioni». Enrico Casale che qualche chicco di grandine. Il comandante ferma tutto: «Non ci sono le condizioni di sicurezza per trasbordare, dobbiamo sospendere le operazioni». Cambiano i piani: sarà la Nave Sirio a portare i naufraghi a terra, direzione Porto Empedocle, orario di arrivo stimato attorno alle 14. Le motovedette si allontanano senza alcun naufrago a bordo e Sirio riprende il suo cammino cambiando rotta. La lunga notte dei marinai è appena iniziata. più attivi c’è Khaled. Parla inglese fluentemente, si mette a disposizione dei marinai e il suo si rivelerà un prezioso aiuto. DA DUBAI ALLE BOMBE Khaled è siriano, ha meno di quarant’anni, è single e ha vissuto otto anni a Dubai. Lavorava nell’edilizia, aveva un tenore di vita di tutto rispetto. Quando è tornato nel suo Paese, in Siria, ha trovato una terra trasformata, lontana anni luce da quella che aveva lasciato. «Purtroppo quando un presidente governa per 30 anni consecutivi, TAPPETO UMANO Il temporale va avanti per pa- può fare tutto quello che vuole. recchie ore, sono più di 150 gli E così succede che una mattina uomini all’aperto, in balia della si sveglia e decide di ammazzare pioggia. I marinai decidono di tutti i suoi concittadini, e nessufarli spostare sul ponte coperto: no muove un dito per fermarlo». uno spazio molto più esiguo, ma Khaled ha provato a vivere per un almeno al riparo dalle intemperie. po’ nella sua città, Damasco, ma La collaborazione dei naufraghi è non ce l’ha fatta: «Dovevi convitotale, tutti vengono rapidamente vere con le bombe, ti consideravi fatti scendere al piano sottostante. sempre un bersaglio, era una siAlle prime luci dell’alba, la scena tuazione insostenibile». Da qui la è quasi spettrale: una marea di decisione di andare in Libia: «Un persone riversate le une sulle al- Paese senza governo, nel quale tre, una massa amorfa in cui non puoi entrare e fare tutto ciò che si riescono a distinguere forme né vuoi, basta che corrompi qualcusembianze. Qualcuno lo definisce no». Ha lavorato un anno in Libia, un «tappeto umano», e mai meta- ma neppure quel genere di anarfora è stata più calzante. chia poteva dargli tranquillità e il Quando smette di piopericolo era altissimo. Così Khaled ha deciso vere e un timido sole si Khaled ha di partire di nuovo, fa spazio tra le nuvole, lavorato 8 anni sfidando il mare su un i naufraghi vengono a Dubai, poi è fatti risalire sul ponte tornato nel suo barcone fatiscente. È di volo, e qualcuno ne Paese, la Siria: diretto in Germania, dove c’è un cugino che approfitta per sgran- «Ho provato lo attende. chirsi le gambe. Tra i a vivere a Damasco, ma non ce l’ho fatta a convivere con le bombe» FOTO RICORDO Quando all’orizzonte appare la costa sicula, il sole domina incontrastato. Alla vista della terra lo sguardo dei migranti si accende di speranza: c’è chi lancia un grido di gioia, chi alza le braccia al cielo in segno di vittoria, chi si mette in posa per una foto ricordo. I genitori prendono in braccio i propri figli, indicando Alla vista della la tanto agoterra lo sguardo gnata terraferdei migranti ma. È la fine si accende di di un viaggio speranza. Poi in mare durato arrivano le oltre tre giordomande: «Dove ni e che li ha andiamo ora?», visti scampare «Dove si compra alle insidie del il biglietto per la Mediter raneo. Norvegia?» Alcuni si fanno dare grossi sacchi neri e iniziano a raccogliere piatti, bicchieri e coperte: vogliono lasciare la nave in ordine come l’hanno trovata. «Ma dove andiamo ora?», «Quanto è lontana la stazione ferroviaria?», «Quanto dista la Sicilia da Milano?», «Dove si compra il biglietto per la Norvegia?», «E per la Germania?». Le domande si susseguono, ma i marinai non sanno rispondere. Distribuiscono di nuovo i salvagente e aiutano i loro «compagni di viaggio» a salire sulle motovedette della Guardia costiera. Dal ponte ormai vuoto li vedono allontanarsi e dirigersi verso Porto Empedocle. Il mare lascia il posto alla terraferma, inizia una nuova tappa del viaggio. giugno-luglio 2014 Popoli 17 reportage Vite sprecate E a quelli che riescono a sbarcare nel Belpaese cosa succede? Una fotografia del sistema di accoglienza italiano fra attese, inefficienze, umiliazioni e voglia di Nord Europa Testi e foto: Giulia Bondi «P er prima cosa abbiamo fatto un poster, con foto e nomi al posto dei numeri. Poi l’orto e le manifestazioni. Ora, un anno dopo, abbiamo una casa, eio faccio il tirocinio come giardiniere». Ali, 26 anni, un bel sorriso e kefiah al collo, viene dal Ciad. Arriva in Italia dalla Libia e dopo vari trasferimenti finisce a Pisa. Quando l’Emergenza Nord Africa chiude, il 28 febbraio 2013, il centro in cui vive viene svuotato, l’elettricità staccata, e ai 44 ospiti si propo- 18 Popoli giugno-luglio 2014 ne una buonuscita di 500 euro. Ali e un gruppetto di connazionali non ci stanno. Al corso di italiano hanno fatto amicizia con studenti di Pisa, e insieme decidono di occupare il centro. «Con l’autogestione la mia vita è cambiata», dice Ali, uno degli oltre 34mila richiedenti asilo arrivati in Italia nel 2011. «Ho visto tanti centri: alcuni sono come carceri, la gente impazziva». Il tipo di accoglienza che uno straniero può ricevere in Italia varia a seconda dei luoghi di arrivo, della dimensione dei centri, del periodo dell’anno. Insomma, del caso. La rete comincia con i Cpsa, Centri di primo soccorso e accoglienza e i Cda, Centri di accoglienza (permanenza massima prevista 72 ore). Il sito del ministero dell’Interno ne elenca 19, precisando che alcuni potrebbero essere chiusi per lavori, e alcuni sono anche Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo. L’elenco ufficiale non comprende le «strutture temporanee di accoglienza» che, precisa l’ufficio stampa del ministero, vengono attivate «su tutto il territorio nazionale in conseguenza degli afflussi di immigrati» e «affidate in gestione principalmente ad associazioni del Terzo settore con specifica esperienza». Nei Cara si dovrebbe sostare non oltre i 35 giorni, per poi essere trasferiti in altri centri, in genere più piccoli, come quelli dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), gestiti da enti locali e privato sociale in convenzione con il ministero dell’Interno. Qui e di seguito, foto scattate nel Centro di prima accoglienza di Pozzallo (Rg) e (ultima immagine) di Ragusa. chiamati dal 2008) è ufficialmente IL FALLIMENTO DEI CIE Il sistema governativo disciplina composto da 11 strutture: Bari, Boanche «il trattenimento degli ex- logna, Brindisi, Caltanissetta, Crotracomunitari irregolari destinati tone, Gradisca d’Isonzo (Go), Miall’espulsione»: persone mai rego- lano, Roma (Ponte Galeria), Torino larizzate, ma anche persone i cui e i due centri di Trapani. In realtà documenti scadono con la perdita sono in funzione, con presenze lidel lavoro. I primi embrioni di quel- mitate rispetto alla capienza, solo li che oggi si chiamano Cie (Centri Torino, Roma, Bari, Trapani Milo e di identificazione ed espulsione) Caltanissetta. Gli altri centri sono nascono nel 1995, per trasformarsi, chiusi per «danneggiamenti o procon la legge Turco-Napolitano del blemi di gestione», chiarisce l’or1998, in Centri di permanenza tem- ganizzazione Medici per i diritti poranea. Con la Bossi-Fini del 2002 umani (Medu) in un report del 12 la permanenza massima passa da febbraio. Secondo la Commissione 30 a 60 giorni, che diventano 180 diritti umani del Senato, che cita nel 2009 con il cosiddetto Pacchet- dati degli Interni, al 4 febbraio la to sicurezza. Quest’ultimo introdu- capienza dei Cie italiani è ridotta da 1.791 posti «teorici» ce il reato di clandestia 828 nei centri efnità (depenalizzato ad I primi embrioni aprile 2014), mentre nel di quelli che oggi fettivamente aperti, di cui solo 460 occupati. 2012 il tempo massimo si chiamano Cie Nell’elenco ufficiale di trattenimento passa nascono fornito dal ministero a 18 mesi. nel 1995. dell’Interno, tra i geNella primavera 2014 In questi anni stori di Cie, Cda, Cpsa il sistema dei Cie (così il periodo massimo di trattenimento è passato da 30 giorni a 18 mesi e Cara compaiono consorzi, cooperative, associazioni culturali, Comuni, una società francese (Gepsa, che ad aprile ha vinto l’appalto per la riapertura del Cie di via Corelli a Milano) e nel caso di Ancona persino un hotel. Tra i Cpsa compare ancora Lampedusa, chiuso a gennaio 2014 dopo che un video diffuso in rete aveva mostrato procedure di «disinfestazione» umilianti e disumane. Dall’episodio di Lampedusa prende le distanze in un’intervista del 19 dicembre anche il fondatore della cooperativa Auxilium, che Nell’elenco gestisce il Cie di del ministero, Ponte Galeria, a tra i Cpsa Roma. Peccacompare ancora to che, poche Lampedusa, settimane dochiuso dopo po, proprio lì che un video un gruppo di aveva mostrato marocchini si procedure di cuce la bocca «disinfestazione» (letteralmente) umilianti per protestare contro le condizioni della propria «detenzione amministrativa». A Gradisca d’Isonzo, dove il consorzio Connecting People gestisce un Cie, ora chiuso, e un Cara ancora in funzione, il 25 marzo sono rinviati a giudizio la viceprefetto vicario di Gorizia e il ragioniere capo della Prefettura, assieme a undici componenti del consorzio gestore, con sede a Trapani, questi ultimi imputati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato. Il 31 marzo, il Giudice per le indagini preliminari di Gorizia, in un procedimento contro due trattenuti accusati di danneggiamento, definisce «disumano» il contesto di vita del Cie. Il 10 maggio viene diffusa la notizia della morte di Majid, 34enne marocchino caduto dal tetto del Cie durante le proteste dell’agosto precedente. Medici per i diritti umani e numerose altre associazioni evidenziano giugno-luglio 2014 Popoli 19 reportage come in molti Cie manchi la possibilità di svolgere attività normali come radersi, leggere libri e giornali, utilizzare il telefono cellulare o pettinarsi. Condizioni che contribuiscono a fare dei Cie luoghi di inutile sofferenza non soltanto per i migranti, ma anche per gli operatori e le forze dell’ordine. La prassi delle gare al massimo ribasso, con base d’asta di 30 euro al giorno a persona, era entrata in vigore con la spending review del 2011. A marzo 2014, un’indagiNel 2013 ne della Finanza è stato sulla gestione rimpatriato del Cie di Moattraverso dena (anch’esso i Cie lo 0,9% chiuso) da pardegli stranieri te del consorirregolari che zio Oasi di Sisi stima fossero racusa, segnala presenti sul «mancanza di territorio medicinali; kit italiano di vestiario e lenzuola non completi; personale inferiore al previsto; pasti di porzioni scarse». IN FUGA DALLA GUERRA Nel 2013 è stato rimpatriato attraverso i Cie lo 0,9% degli stranieri irregolari che si stima fossero presenti sul territorio italiano. Il numero totale di stranieri senza documenti era stimato in 294mila a gennaio 2013, il 26% in meno del 2012 secondo i dati Ismu. Valori in calo, non per le espulsioni dai Cie, ma per l’emersione dall’irregolarità attraverso i click day e per i trasferimenti spontanei dovuti alla crisi economica. La crisi provvede in effetti a rendere meno appetibile l’Italia, ma la penisola rimane approdo di chi fugge dalle guerre in Africa o in Medio Oriente. Dall’autunno 2013, con l’avvio dell’operazione militare-umanitaria Mare Nostrum, i soccorsi avvengono per lo più in alto mare. Tra ottobre e maggio, 20 Popoli giugno-luglio 2014 i pattugliamenti (costati in media disumani: la spesa pubblica per il 9milioni 300 mila euro al mese) contrasto all’immigrazione irregohanno tratto in salvo oltre 27mila lare 2005-2012 stimano costi per persone, e a chi fa richiesta di la sorveglianza non inferiori a 26,3 asilo è necessario fornire una si- milioni l’anno, mentre per allestimento, manutenzione, gestione e stemazione. Dai Cda, Cspa e Cara, a differenza ristrutturazione si sarebbero spesi che dai Cie, si può entrare e uscire circa 143,8 milioni di euro l’anno. più o meno liberamente. Il proble- Tra i Cara in funzione, il maggiore ma sono i lunghissimi tempi di at- è Mineo (Catania), che con le sue tesa per ricevere una risposta sulla 404 villette da 160 metri quadri propria domanda di asilo, oltre al è anche il più grande d’Europa. fatto che molti centri sorgono in Un centro come questo, moltiplizone isolate lontane dai centri abi- cando la cifra di 34,50 euro pro tati. I costi di gestione sono intorno capite (dichiarata dal gestore) per ai 30 euro al giorno a persona, il numero di persone (per diversi secondo le convenzioni tra prefet- mesi oltre 4mila), arriva a costare ture e gestori, che possono salire a 138mila euro al giorno. Nato con 50 per i centri di primo soccorso. l’Emergenza Nord Africa, il Cara Comprendono alloggio (nel caso di di Mineo è gestito da Sisifo, un’asPozzallo, in provincia di Ragusa, sociazione temporanea di impresa. su materassi di gommapiuma sul All’interno dell’appalto - spiega pavimento), vitto (sempre a Poz- un portavoce - fornisce «mediazallo, i pasti sono consumati per zione culturale e linguistica, ma terra data la mancanza di tavoli), anche attività ricreative, dal calvestiario (estivo perché, spiega- cio al cricket». Eppure, proteste e no, «gli anni scorsi gli sbarchi blocchi stradali dei migranti sono si interrompevano il 15 agosto»), continuati per tutto l’inverno. A assistenza medica, più i cosiddetti dicembre un giovane eritreo si «benefit», cioè telefonate, sigaret- è tolto la vita. Il Cara è isolato, difficile da controllare te e, a volte, «pocket money». I costi com- Per allestimento, («Non è possibile affermare con esattezza prendono il personale, manutenzione, che non siano presenti ma non le forze dell’or- gestione e ospiti non autorizzati», dine che presidiano le ristrutturazione ammette il portavoce) strutture più grandi. I di questi centri, e le persone sono esadati raccolti da Luna- si stima che dal sperate dall’ozio. ria nel rapporto Costi 2005 al 2012 lo Stato abbia speso circa 144 milioni di euro l’anno I richiedenti asilo, molti sotto i trent’anni, «sprecano anche un anno e mezzo di energie nell’attesa del permesso, senza avviare un vero percorso di integrazione», afferma Elio Tozzi, del progetto Borderline Sicilia. «Sono polveriere pronte a esplodere», afferma un avvocato che segue i ricorsi di alcuni richiedenti asilo. Ancora più duro è Carlo D’Antoni, sacerdote siracusano: «Circola un’enorme massa di soldi che si potrebbe spendere molto meglio, ma molti ci mangiano sopra». DAL CARA ALLO SPRAR I costi sono simili (35 euro al giorno a persona, in media), ma le problematiche sembrano molto più contenute nei centri Sprar, che per il triennio 2014-2016 hanno visto quintuplicare il numero dei posti. «Siamo a un totale di 13mila posti, più 7mila da attivare su richiesta», spiega la direttrice del Servizio centrale Sprar, Daniela Di Capua. «Le criticità non mancano ma nell’ambito di centri più piccoli - afferma - è più semplice fornire non soltanto i servizi obbligatori come la consulenza legale e il corso di italiano, e anche cercare di attivare tirocini formativi». Compito del Servizio centrale è cercare di garantire l’omogeneità di un sistema che, già all’inizio di maggio, ha raggiunto quasi il totale della capienza ordinaria e si avvia ad attivare anche i 7 mila posti aggiuntivi. Intanto, come rileva anche il Centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati (Jrs), il problema continua a essere la mancanza di programmazione: «Negli ultimi dieci anni - si legge nel Rapporto 2014 - il trend delle richieste di asilo si è ormai attestato su un ordine di grandezza costante e prevedibile». Il regolamento di Dublino in vigore tra i Paesi Ue prevede che la domanda di protezione debba essere fatta nel primo Paese in cui si è identificati. Un obbligo ingiusto, secondo Stati come Italia e Grecia, principali punti d’approdo. Alle lamentele mediterranee, i nord europei rispondono con le cifre: nel 2013 la Germania ha avuto 127mila richieste di asilo, la Francia 65mila, la Svezia 54mila. L’Italia è ferma a 28mila. Secondo i dati Acnur del 2013, l’11,6% dei richiedenti asilo nell’Unione è siriano e la destinazione privilegiata è l’Europa settentrionale. Paesi come la Svezia concedono l’asilo piuttosto facilmente, ma non accettano richieste presentate al di fuori del territorio nazionale. Così, al traffico di esseri umani via mare si è aggiunto quello che attraversa il continente. «Sono scafisti di terra», spiega Alberto Sinigallia, presidente della Fondazione Progetto Arca, che a Milano gestisce un servizio straordinario per l’accoglienza dei siriani in transito. «Per i viaggi verso nord chiedono dai 300 ai 900 euro a persona». I siriani (ma anche molti eritrei) cercano di non farsi identificare in Italia, per non essere costretti a fermarsi. «Da ottobre 2013 - racconta Sinigallia - ci siamo trovati con decine di persone, anche famiglie con bambini, che dormivano sul marmo della Stazione Centrale». Il Comune crea un’unità di crisi (che comprende oltre a Progetto Arca anche Caritas ambrosiana, Medici Volontari, Sant’Egidio, Albero della vita e Giovani Musulmani) che in sette mesi ha già accolto oltre 5mila persone in transito, in un «corridoio umanitario informale» basato su una convenzione con la Prefettura. «Di tutte le persone accolte da noi, soltanto sei hanno presentato domanda di asilo in Italia», spiega Sinigallia. Ciò che spinge i fuggiaschi a cercare fortuna altrove non sono soltanto le condizioni molto varie della rete di accoglienza, ma la debolezza del sistema di welfare, che rende difficile trovare laLe problematiche voro o sostegno sembrano molto sociale anche a più contenute chi, dopo mesi nei centri Sprar di attesa, finalper i richiedenti mente ha un asilo. Ma anche permesso. La per i rifugiati, differenza, cocome denuncia me nel caso di il Centro Astalli, Ali, la fanno le manca una seria reti di relazioprogrammazione ne. Anche per questo la tendenza è creare centri più piccoli. O scommettere su nuove forme, come quella proposta in via sperimentale da Caritas ambrosiana con «Rifugiato a casa mia», un progetto di accoglienza in famiglia con un contributo di 10 euro al giorno. giugno-luglio 2014 Popoli 21 sri lanka Testo: Sumila Jayasekara Foto: Andrea Carrubba Jaffna (Sri L anka) S ono le quattro del mattino, è buio quando lasciamo Colombo. Le strade sono calme e offrono una sensazione strana per una città asiatica. Siamo diretti a Nord, a Jaffna, l’antica capitale dei regni tamil, piazPartendo zaforte durante i dalla capitale domini coloniali Colombo, a e poi epicentro Sud, l’itinerario dell’insurrezioporta nelle zone ne che ha scondella minoranza volto l’isola per tamil. Jaffna, la più di venticindestinazione, è que anni. stata l’epicentro della guerra civile In questa città, quasi un secolo durata 25 anni fa, rifiorì l’identità dei tamil che, unitisi ai singalesi, maggioranza del Sud, diedero vita a quel processo di emancipazione culminato nel 1948 con l’indipendenza dell’isola di Ceylon. 22 Popoli giugno-luglio 2014 Viaggio nell’isola ferita Cinque anni fa si concludeva il lungo conflitto civile che ha sconvolto lo Sri Lanka, ma i traumi non sono stati ancora superati. Attraversando l’isola, un giovane italiano di origine singalese descrive i segni del faticoso dopoguerra Sempre a Jaffna, nel 1956 nacque il Partito federale che rivendicava una forma di autonomia per le regioni a maggioranza tamil e poi il movimento di guerriglia delle Ltte, le Tigri tamil, protagoniste degli anni più tristi della storia recente. La guerra civile in Sri Lanka si è conclusa nel maggio di cinque anni fa, dopo aver provocato, secondo l’Onu, almeno 80mila morti, oltre la metà dei quali civili. Quel- lo che si vede è un Paese che solo oggi inizia a risollevare la testa. La strada che percorriamo è la più importante via commerciale, segue la costa orientale verso i porti di Negombo e Puttalam. Corre tra distese di palmeti, all’interno, e l’oceano, lungo il quale i pescatori hanno tirato le barche a riva. In tre ore giungiamo ad Anuradhapura, il capoluogo della Provincia del Centro-Nord, una zona dal clima Colombo: uno slum lungo una ferrovia alle porte della capitale. Sotto, ragazze orfane di guerra in un convento cattolico vicino a Trincomalee. secco. Qui si trovava il centro del testanti) subiscono spesso gli effetti più antico regno dell’isola, come delle leggi antiterrorismo ancora in vigore, come è actestimoniano numerosi caduto in marzo a due siti archeologici e baci- Le forze armate noti attivisti cristiani ni d’acqua artificiali, il nel Nord restano impegnati per i diritti più grande dei quali - il onnipresenti. umani. Anche la reKala Weva - risale a V Gestiscono la cente istituzione di una secolo d.C. I buddhisti, ricostruzione, «polizia religiosa», che che sono maggioran- mantengono vie za religiosa (circa tre di comunicazione dovrebbe intervenire in casi di intolleranza, quarti degli abitanti), e sistemi idrici. è stata molto criticahanno qui una tra le Soldati sono ta dalle minoranze che principali mete di pel- impiegati come legrinaggio, il tempio di «guide turistiche» denunciano come molte aggressioni da parSri Maha Bodhi. Tutti te di gruppi estremisti nel Paese conoscono il buddhisti siano coperte fico sacro che deriva dall’albero di Boho, sotto il quale dalle forze di sicurezza. Siddharta ricevette l’illuminazione. La convivenza pacifica tra grup- TURISMO POSTBELLICO pi religiosi è ancora una meta da Procedendo verso Nord il caldo auraggiungere. Le minoranze (hindu, menta, l’asfalto fuma come un bramusulmani, cristiani cattolici e pro- ciere appena spento. La vegetazione si fa più rada, ma all’improvviso vediamo che le strade sono state rifatte, mentre fino a poco tempo fa versavano in condizioni pessime, al punto che, superata Anuradaphura, sembrava di percorrere piste da rally. È un segno della ricostruzione postbellica. L’unica strada che porta a Jaffna per anni è rimasta chiusa perché attraversava il confine invisibile che separava singalesi e tamil, il fronte della guerra civile. Il paesaggio che costeggia questa lunga strada è diverso dalle immagini classiche dello Sri Lanka, a partire dalla vegetazione più arida e dal caldo secco. I segni esteriori della guerra sembrano scomparsi, tutto è ricostruito. Facciamo una breve sosta lungo la strada in un locale anch’esso di recente costruzione, gestito direttamente dai militari, dietro il quale si scorgono i binari giugno-luglio 2014 Popoli 23 sri lanka Sampur: una spiaggia nel Nord-Est pattugliata da soldati. Sotto, Jaffna: manifesto di propaganda dell’esercito. CRONOLOGIA DEL CONFLITTO >1948: l’isola di Ceylon ottiene l’indipendenza dopo tre secoli e mezzo di dominazione europea: portoghese, olandese e, infine, britannica. >Anni Cinquanta: si afferma il nazionalismo singalese. >1972: il Paese assume il nome di Sri Lanka e il buddhismo è riconosciuto come religione predominante. >1976: nascono le Tigri tamil (Ltte); inizia un periodo di tensioni crescenti tra ribelli tamil e forze armate. >1983: tredici soldati sono uccisi in un’imboscata. Inizia la guerra civile. >1987-1990: truppe indiane intervengono come forza di peace-keeping. Inizia la seconda fase del conflitto. >1991: Rajiv Gandhi, già primo ministro indiano, è vittima di un attentato delle Ltte. >1993: il presidente srilankese Premadasa è ucciso dalle Ltte. >1995- 2001: terza fase del conflitto che si espande a tutto il Nord e l’Est del Paese. >2002: cessate il fuoco con mediazione norvegese. >2005: Mahinda Rajapaksa diventa presidente ed è ancora in carica. >2006: escalation delle violenze. >2008: il governo respinge il cessate il fuoco e lancia una grande offensiva; migliaia di civili sono vittime sia dei ribelli tamil sia delle truppe governative. >Maggio 2009: le forze governative sconfiggono le Ltte uccidendone il comandante. >2011: l’Onu denuncia le atrocità contro i civili commesse da entrambe le parti e chiede un’indagine internazionale sui crimini di guerra. È la prima di tre richieste (l’ultima del 27 marzo 2014), tutte respinte dal governo di Colombo. >2012: Alla fine dell’anno, secondo l’Onu (Acnur) risultavano ancora presenti 93mila sfollati interni; oltre 460mila civili sfollati per la guerra sono rientrati alle loro case 24 Popoli giugno-luglio 2014 nei primi quattro anni dopo il conflitto. di una ferrovia ancora in costruzione: negli anni della guerra le Tigri tamil hanno smantellato la ferrovia per ricavarne acciaio e fabbricare armi. Colpisce il grande numero di caserme, soprattutto dello Sri Lanka Sinha Regiment, il Reggimento del leone con il tipico stemma raffigurato sui cancelli. Le forze armate in questi distretti restano onnipresenti, nonostante il conflitto sia concluso. Hanno il compito di gestire la ricostruzione della regione. Sono impegnate nel mantenimento delle vie di comunicazione e dei sistemi idrici, perfino nella gestione di piccoli chioschi. I soldati vengono impiegati anche come «guide turistiche», con l’ordine di spiegare come si è svolto il conflitto. Come sempre, la storia viene raccontata dai vincitori, anche nei dettagli. Dopo il 2009 il governo ha promosso una sorta di turismo rivolto ai singalesi. Lo si comprende subito per il fatto che tutte le visite si tengono in questa lingua, parlata dalla maggioranza, e nessun cartello informativo è in inglese. È una forma di racconto dall’interno (le truppe) all’interno (i civili singalesi) che avviene dopo la vittoria. Gli stranieri non sono coinvolti. Le tappe del «tour» sono luoghi chiave del conflitto. È sera quando arriviamo nella zona di Vavuniya. Grazie a un conoscente troviamo alloggio in un campo dell’esercito, dentro un bungalow dotato di brande e zanzariere. JAFFNA, PREGHIERA HINDU All’alba siamo pronti per ripartire e il comandante del campo ordina a una guida militare di accompagnarci lungo il tragitto che resta fino a Jaffna. La strada che porta al Passo dell’Elefante è lugubre, costeggiata da cartelli che vietano l’accesso ai campi minati ancora in fase di bonifica. Uomini e donne sono impegnati in un lavoro meticoloso, attrezzati di metal detector. Jaffna: intorno alla laguna, anche se inquinata, vivono in baracche vedove, mendicanti, pescatori. Un piccolo museo espone apparec- dagli altri centri del Paese, la vechiature belliche usate dalle Tigri getazione è rigogliosa e le strade tamil, armi di ogni tipo, perfino sono più curate. Ma subito si nota mine e bombe artigianali ricavate un elemento caratteristico: i kovil, da tubature idriche. Sono nume- i templi hindu. La maggioranza rosi questi piccoli musei, pieni di dei tamil sono di fede induista. visitatori curiosi, dettagliatamente I kovil si ergono come splendidi istruiti dai militari. «purosangue» colorati a festa, alte Il Passo dell’Elefante non è un vali- costruzioni di pietra e così ricche di co di montagna, ma una striscia di decorazioni che il paesaggio attorno terra circondata da lagune, unico sembra sfigurare. L’ingresso princicollegamento stradale che unisce la pale di queste strutture è ornato di penisola di Jaffna al resto dell’isola. statue di divinità e rappresentazioni Fu teatro di scontri violentissimi. A della mitologia hindu. Entrando ci dispetto del nome suggestivo, per viene chiesto di toglierci la camicia. molti è associato a disperazione e Tutti gli uomini, così è l’usanza lutto per i tanti caduti. Il governo tamil, hanno l’obbligo di restare ha fatto erigere nel 2010 un mo- a torso nudo in segno di rispetto, numento esattamente nel luogo in compresi gli agenti della sicurezza. cui esercito, marina e aviazione L’interno custodisce un sacrario al si incontrarono in una quale solo i sacerdoti operazione congiunta. possono accedere. VeSul passo Inoltrandoci nella pe- dell’Elefante, niamo coinvolti in una nisola le strade sono teatro di scontri benedizione: in cambio deserte e i monumenti violentissimi, di un’offerta è possibile ai caduti si susseguo- il governo chiedere protezione per no. Jaffna a prima vista ha eretto un un proprio caro alla dinon pare molto diversa monumento vinità interpellata. per celebrare un’operazione congiunta delle forze armate È un segno di speranza: anche tanti buddhisti, che praticano una filosofia di vita più che una religione, si avvicinano a luoghi di culto di altre fedi, affollano il tempio, Jaffna a prima ammirandone vista non pare i colori e sono molto diversa attirati dalle dagli altri centri, tradizioni spirise non fosse per tuali hindu. i kovil, i templi Il cielo si riemhindu. I tamil pie di nuvole sono perlopiù cariche di pioginduisti, mentre la gia, il monsone maggioranza del ci sorprende Paese è buddhista con la forza che solo chi vive in queste zone dell’Asia conosce. Con i piedi ancora scalzi per la visita al tempio calchiamo la terra rossa, mentre i bambini intorno si bagnano e iniziano a ridere e ballare sotto la pioggia. Restiamo sotto l’acqua battente, a testa alta. Ci lasciamo coinvolgere in questa immagine di rinascita, di una città intera che riprende le forze per rialzarsi, anche se a piedi nudi. giugno-luglio 2014 Popoli 25 angola Francesca Spinola Luanda (Angola) T ia Berta è una di quelle donne africane che portano sul volto i segni di una vita straordinaria. Non è ordinario nascere in un Paese colonizzato da cinquecento anni (tanto tempo sono rimasti i portoghesi in Angola). Come L’Angola ha non lo è creriserve valutarie scere durante per 32 miliardi di la guerra che dollari e un fondo porta alla cacsovrano ciata del coloche possiede nizzatore nel un patrimonio di 1975. Ancora 5 miliardi e serve meno lo è spocome base per sarsi mentre tre gli investimenti gruppi armati all’estero (Mpla, Unita e Flna) si contendono, in una durissima guerra civile finita solo nel 2002, il vuoto di potere che si è creato con la fuga dei portoghesi. Si tratta di dettagli che su quest’an- 26 Popoli giugno-luglio 2014 Il Paese a due velocità L’economia angolana sta conoscendo una forte crescita legata non solo al settore estrattivo (petrolio e diamanti), ma anche all’agricoltura, al commercio e ai servizi. La redistribuzione della ricchezza è però insufficiente e larghi strati della popolazione vivono ancora nella miseria golana, nata nel Malanje, una provincia dell’interno, poi trasferitasi come altre migliaia di connazionali a Luanda per sfuggire alla fame e al pericolo di saltare su una mina, non pare abbiano sortito l’effetto di indebolirla. Catechista a Sambizanga, quartiere povero della capitale, Tia Berta oggi indossa stivali di gomma per attraversare il fiume di fango causato dalla pioggia. Sta andando a coordinare un gruppo di donne della Chiesa di don Bosco, che in questo quartiere offrono assistenza a malati, anziani, bambini di strada. In particolare, in questo periodo di chuva, la stagione delle piogge, si lavora molto per assistere chi è colpito dalla malaria. A turbare Tia Berta però non è il paludismo, né sono le altre difficoltà di ogni giornata. «La malaria - afferma - è il nostro pane quotidiano. Senza un sistema fognario, senza la raccolta municipale dell’immondizia, è molto difficile non ammalarsi». A infastidirla è «la consapevolezza che siamo ancora troppo pochi ad avere la coscienza di quali siano i nostri diritti. Sono solo io ad accorgermi di ciò che non va?». «Algo está mal, não é normal, alguma coisa não está bem» («Qualcosa non va, non è normale, qualcosa non è giusto»): a giudicare dal ritornello dell’ultimo successo di Yannick Afroman, dj e rapper angolano amatissimo dai giovani, Tia Berta non è la sola a nutrire dubbi e tanto più alla luce di alcuni numeri che ci raccontano un’altra Africa. agricoltura, costruzioni) che segna un +5,8%. Fra gli altri segnali positivi e di stabilità elencati dal numero uno del ministero dell’Economia angolano ci sono l’inflazione al 7,6% (in calo rispetto al 10% del 2012), un debito dello Stato inferiore al 18% del Pil e un miglioramento generale del rating del Paese da parte di alcune agenzie internazionali come Standard & Poor’s. Il Paese ha poi riserve valutarie per 32 miliardi di dollari e un fondo sovrano di investimento (Fundo Soberano de Angola), alimentato con parte dei proventi petroliferi, che possiede un patrimonio di 5 miliardi e sta servendo come base per gli investimenti all’estero. Questa è la crescita di un Paese che ha superato, grazie agli introiti del petrolio e dei diamanti, la fase della rinascita dalle macerie della guerra civile, un’epoca durata trent’anni, in cui tutto è rimasto fermo: industria, agricoltura, infrastrutture. Oggi, secondo i dati diffusi da Edel (la società elettrica angolana), Epal (l’impresa pubblica delle acque) e dal ministero dei Trasporti, in Angola sono necessari 5mila megawatt elettrici e tremila chilometri di linee di trasporto ad alta tensione. Bisogna inoltre investire 5 miliardi di dollari nello sviluppo dei sistemi idrici in aree urbane e rurali in termini di captazione, distribuzione e smaltimento delle acque. Vanno infine realizzati duemila chilometri di ferrovie per interconnettere le tre reti esistenti tra loro e con quelle delle nazioni confinanti. L’AFRICA CRESCE... Se è vero che, secondo gli ultimi dati di Un Habitat (Programma delle Nazioni unite per gli insediamenti umani), nell’Africa subsahariana l’80% della popolazione vive nelle favelas, lo stesso continente sta vivendo una crescita mai conosciuta prima. L’Africa delle popolazioni che vivono senza accesso all’acqua potabile e all’elettricità è la stessa che, alla fine del 2014, avrà registrato una crescita del 5,5% del Pil. A sostenerlo è il Fondo monetario internazionale nell’ultimo World Economic Outlook pubblicato a marzo. Una crescita ancora più sostenuta rispetto al 4,8% fatto segnare nel 2013, e che dovrebbe proseguire anche nel 2015, con un incremento ...MA C’È CHI RESTA INDIETRO Sono numeri che parlano di succesdel 5,5%. Anche l’Angola segue questa ten- so e di futuro. Nelle maglie del boom africano in generale e denza, parola di Abraão dell’Angola in particoGourgel, ministro Secondo lare restano però incadell’Economia, che in il ministro strati alcuni milioni di una nota diffusa a fi- dell’Economia individui la cui aspettane aprile ha conferma- nel 2013 la tiva di vita è passata dai to una crescita pari al crescita è stata 5,3% nel 2013, con il pari al 5,3%, con 47 anni di dieci anni fa ai soli 51 di oggi. settore non oil (servizi, il settore non petrolifero che tira a un ritmo più forte, pari al 5,8% POLITICA Dos Santos, da 35 anni al potere L’ Mpla, il Movimento nazionale di liberazione dell’Angola, alla guida del Paese dal 1975, e il presidente José Eduardo dos Santos, hanno vinto, con il 72% dei voti, le ultime elezioni generali che si sono tenute il 31 agosto 2012. Quelle del 2012 sono state le prime elezioni realizzate sulla base della nuova Costituzione promulgata nel 2010, che ha disegnato per il Paese un modello istituzionale nel quale presidente e vicepresidente, come i deputati, sono eletti insieme nella lista di un partito. Rispetto alle elezioni del 2008, il partito del presidente ha perso dieci punti percentuali mentre l’avversario storico, l’Unita (Unione nazionale per l’indipendenza dell’Angola), oggi guidata da Isaías Samakuva, è arrivata al secondo posto guadagnando il 18,7% dei consensi, il doppio di quelli ottenuti nel 2008. Il dato più eclatante delle ultime elezioni è stato però il forte astensionismo, il 37% degli aventi diritto di voto, segnale di sfiducia nei confronti dei due storici movimenti. José Eduardo dos Santos è dunque considerato oggi il primo presidente eletto democraticamente della storia dell’Angola, dopo 33 anni di esercizio del potere motivato solo da ragioni storiche particolari: la lotta per l’indipendenza e la guerra civile. Il presidente ha promesso di governare nel segno del «rinnovamento e della continuità» per portare a conclusione il progetto di sviluppo dell’Angola concepito fino al 2025. Nei suoi piani c’è l’utilizzo dei proventi del petrolio per diversificare l’economia e sviluppare il Paese in modo armonioso. Le linee guida riguardano investimenti nei settori dell’energia e dell’acqua, un programma strategico per la sicurezza alimentare, uno per l’industrializzazione e l’adozione di un Piano sanitario da qui al 2025 oltre alla revisione del sistema scolastico. La verifica del suo lavoro è attesa per il 2017 quando saranno indette le nuove elezioni generali. f.s. giugno-luglio 2014 Popoli 27 angola «Noi non abbiamo una classe media», afferma Willy Piassa, esperto di urbanistica dell’Ong angolana Development workshop, mentre dalle finestre del suo ufficio osserva Nella capitale le gru in moviLuanda oltre il 70% delle persone mento dei canabita nelle favelas tieri che stanno modellando la e si guadagna nuova Luanda da vivere con e, più vicino, i il commercio tetti di lamiera informale (che ad dei musseques. aprile il governo «Questa parola ha dichiarato - spiega Willy illegale) viene dal kimbundu e indica le favelas, dove vive il 70% della popolazione di Luanda, che è poi quella stessa porzione di cittadinanza che dipende dal commercio informale. Mentre l’élite che si è formata all’estero ora vive nei condomini di lusso di nuova costruzione e ricopre alti incarichi nel settore pubblico e in quello privato». «È con questi angolani che hanno potere economico che stiamo rilanciando l’immagine del Paese». A parlare è Paulo Costa, portoghese a capo del progetto Welcome to Angola, un’iniziativa editoriale e di business, online e su carta, che nel giro di tre anni ha raggiunto 40mila fan sulla pagina Facebook, 10mila follower su Twitter e 22mila visite al mese sul sito dedicato al turismo in Angola. IL PAESE IN CIFRE >Superficie: 1.246.700 kmq. >Popolazione: 20.609.000 (2013). >Gruppi etnici: ovimbundu 37%, kimbun- du 25%, bakongo 13%, meticci 2%, europei 1%, altri 22%. >Capitale: Luanda (2.766.000 ab.) >Pil/ab.: 5.144 dollari Usa. >Aspettativa di vita: 51 anni. >Lingua: portoghese (ufficiale), lingue bantu e khoisan. >Religione: cattolici 50,7%, protestanti 14,7%, altre confessioni cristiane 4,3%, altri 30,3%. 28 Popoli giugno-luglio 2014 «Il nostro obiettivo - spiega - sono su un enorme cartellone pubblicitagli angolani ricchi e gli espatriati, rio a vantaggio degli automobilisti ma anche i turisti stranieri, i pas- di una delle arterie principali che seggeri delle navi da crociera che da portano in città: «A crescer mais e quest’anno hanno inserito il porto di a distribuir melhor» («Per crescere di più e per distribuire meglio»). Si Luanda nei loro tour». A fronte di queste poche miglia- tratta dello slogan con cui l’Mpla, il ia di angolani e di stranieri, tutti partito al governo, ha vinto le ultigli altri sono zungueiros, venditori me elezioni legislative che si sono ambulanti, che da aprile sono di- tenute nell’agosto 2012. La stessa ventati illegali, avendo il governo tornata elettorale che ha riconferintrapreso una vasta opera che tende mato al potere il presidenziale di a reprimere il commercio informale. José Eduardo dos Santos (che è presidente dal 1979). Né Ogni quartiere di Luanda convincono i cinque è invaso da giovani che Lo scrittore milioni di dollari di vendono di tutto agli au- Ondjaki: «Mi investimenti nel settomobilisti e ai passeg- preoccupa che tore immobiliare che geri dei candongueiros, la ricostruzione dal 2005 la Cina ha i pulmini bianco-celesti di cui si sta realizzato in Angola che fanno le veci dell’i- occupando il nesistente servizio di governo sia legata con la costruzione deltrasporti pubblico. solo al cemento le famose centralidade, quelle città satellite Secondo i dati di Deve- e ai mattoni e (Kilamba Kiaxi, Zanlopment Workshop, oggi non alla cultura solo il 50% dei luande- e all’educazione» go) che il presidente dos Santos presenta si ha accesso ai sistemi come le nuove case per sanitari di base e solo il popolo. il 35% all’acqua corrente. Gli altri usano meno di 7 litri A dirla con le parole di Ndalu d’acqua al giorno e spendono più de Almeida, meglio noto con lo del 25% delle loro entrate mensili pseudonimo di Ondjaki (lo scrittoper rifornirsi di taniche del prezioso re angolano vincitore del Premio José Saramago 2013 con l’opera oro blu. Os Transparentes), riferendosi ai cittadini poveri: «Mi preoccupa il INVESTIRE IN CULTURA Alla luce di questi dati stona il fatto che la ricostruzione di cui si motto stampato a caratteri cubitali sta occupando il governo sia legata solo al cemento e ai mattoni e non alla cultura e all’istruzione». In sostanza, nell’Angola con più scuole e centri medici, più palazzi e più strade, più ponti e infrastrutture, Africa Congo Rep. Ondjaki si domanda: «Basteranno Dem. Congo i mattoni a cambiare il destino Cabinda di questo popolo o non occorrerà anche radere al suolo la paura, l’ignoranza, l’ingiustizia e pensare a costruire una nuova qualità della LUANDA cultura, della formazione professionale, della consapevolezza dei propri diritti e doveri?». ANGOLA Sono più o meno gli stessi dubbi di Benguela Tia Berta. Huambo Namibe Namibia Zambia il profilo Narendra Modi C Nato nel 1950 in Gujarat da una famiglia di casta bassa, è entrato da giovane nelle Rss, il movimento della destra hindu, che è stato base di lancio della sua carriera politica nel Bjp (Bharatiya Janata Party). Primo ministro del Gujarat dal 2001 al 2014. È stato scelto come candidato premier dal Bjp nelle elezioni parlamentari di aprile-maggio scorsi. Simbolicamente ha scelto di candidarsi nella circoscrizione di Varanasi (Benares), città sacra degli induisti. on il giuramento del 26 maggio, Narendra Modi è diventato il nuovo primo ministro dell’India. In Parlamento gode di una maggioranza solida: il suo Partito, Bjp, ala politica della destra induista, ha conquistato da solo la maggioranza assoluta dei seggi e un fatto simile non accadeva da trent’anni. Ha scavalcato il Congresso dei Gandhi e di Manmohan Singh, che è rimasto sotto il 20% dei voti con il peggiore risultato di sempre. Tuttavia, il Bjp ha raccolto solo il 31% dei voti tra i 551 milioni di votanti: più di sei indiani su dieci non hanno votato per Modi e i suoi alleati. Ciò nonostante egli può governare senza troppi ricatti da parte dei piccoli partiti. Per 13 anni è stato il capo del governo del Gujarat, il decimo Stato indiano per popolazione (60 milioni), ma il quinto per ricchezza prodotta. Ed è al Gujarat che occorre guardare per capire alcuni possibili sviluppi. Qui Modi ha mostrato la faccia del politico carismatico, efficiente e non corrotto. La classe media indiana stanca di scandali e impaziente di tornare ad avere crescita, lavoro e mobilità sociale, gli ha dato credito. Ma Anna Hazare e Arvind Kejriwal, portavoce della «questione morale», hanno denunciato alti livelli di corruzione in Gujarat, dove vicende gravi e poco note hanno interessato diversi gruppi industriali e dove ci sono stati clamorosi casi di landgrabbing in favore delle grandi imprese. In politica estera, il nuovo lea- der giocherà a tutto campo, rilanciando l’India come attore globale, nei rapporti con Cina, Usa ed Europa, nelle questioni multilaterali come il commercio e il clima. La politica di difesa sarà rafforzata. Ma è soprattutto rispetto al Pakistan che bisognerà vedere come si comporterà il nuovo governo nazionalista hindu. La piattaforma economica neoliberale di Modi punta a un’espansione industriale che negli ultimi anni è rallentata. Molti considerano la crescita del Gujarat un modello: non più solo «Shining India», come recitava lo slogan del Bjp dieci anni fa, ma «Excellent India». Tuttavia, c’è chi critica il modello di crescita del Gujarat che non è inclusivo. Gli interessi di grandi gruppi industriali sono stati tutelati a scapito dei poveri. La crescita non ha significato sviluppo (un esempio: sono peggiorati i dati sull’analfabetismo delle donne). Modi è l’uomo immagine di un nazionalismo religioso sempre più bellicoso che si lega all’economia di mercato. Lo accompagna l’ombra delle gravi violenze interreligiose che scoppiarono in Gujarat nel 2002 Modi è l’uomo immagine di un nazionalismo religioso sempre più bellicoso che si lega all’economia di mercato. Lo accompagna l’ombra delle gravi violenze interreligiose che scoppiarono in Gujarat nel 2002 e provocarono 1.200 morti, soprattutto tra la minoranza musulmana, e più di centomila sfollati. Modi non ebbe condanne penali, ma resta la sua responsabilità politica come leader del governo locale (dal 2005 gli Usa lo avevano privato del visto d’ingresso). Cedric Prakash, gesuita noto in tutta l’India per il suo impegno per i diritti umani, sottolinea che dietro alla candidatura di Modi c’è un’ideologia estremista che propugna la creazione di uno Stato hindu. In campagna elettorale Modi ha smorzato i toni contro le minoranze religiose. Ma se l’economia non darà i risultati previsti, si vedranno ricomparire le vecchie promesse dei nazionalisti hindu. Musulmani e cristiani sono preoccupati che vada compromessa la democrazia laica e pluralista realizzata con l’indipendenza. In che maniera Modi terrà a bada gli estremisti del suo campo? Il pericolo della violenza religiosa, dello «scontro dentro le civiltà», come denunciato nel 2007 dalla filosofa Martha Nussbaum proprio in riferimento all’India, si fa concreto. L’India color zafferano potrebbe fare paura. Francesco Pistocchini giugno-luglio 2014 Popoli 29 inchiesta Fratelli (musulmani) Enrico Casale «L a Fratellanza musulmana non esiste in Italia e non esistono neppure i fratelli musulmani». Ahmed Abdel Aziz, ex portavoce della Gioventù musulmana italiana e attuale responsabile del Comitato libertà e democrazia per l’Egitto, spiazza l’interlocutore. E continua: «La Fratellanza è un importante movimento politico e sociale egiziano, ma qui da noi non ha un corrispettivo, né intende averlo. Perché non ha senso replicare in Italia il modello di un altro Paese che si rifà a una realtà diversa». I media e anche qualche studioso di islam accostano alla Fratellanza musulmana associazioni come Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia), Alleanza islamica d’Italia, Gioventù musulmana italiana e, a livello europeo, Fioe (Federation of 30 Popoli giugno-luglio 2014 d’Italia Nata in Egitto, diffusasi in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente, l’ideologia della Fratellanza musulmana ispira, più o meno direttamente, anche alcune associazioni che operano in Italia. Abbiamo cercato di capire quali obiettivi si pongono nel nostro Paese Islamic Organisations in Europe), ma è inutile insistere con Ahmed Abdel Aziz: «Quelle sono associazioni indipendenti che non hanno nessun rapporto organico né gerarchico con la Fratellanza musulmana egiziana». Alla fine, però, ammette: «Se vogliamo parlare di una qualche relazione, dobbiamo dire che c’è un filo ideale che accomuna queste organizzazioni. Un’ideologia che però ciascun gruppo interpreta differentemente a seconda della realtà che si trova ad affrontare». «Non si può negare - osserva Aboulkeir Breigheche, presidente del Consiglio dei garanti dell’Associazione italiana degli imam e delle guide religiose - che ci siano influenze reciproche, anche forti, tra organizzazioni diverse nel mondo, così come è vero che ci sono identità - differenza fondatore, Hasan al Banna (cfr box), diceva: «La Fratellanza musulmana è un’idea e un credo, un insieme di principi. Non siamo legati a un posto o a un gruppo di persone e non lo saremo mai». E allora per capire chi sono i Fratelli musulmani è necessario andare alle radici ideali. Il principio sul quale tutte le associazioni che in qualche modo si rifanno alla Fratellanza basano la loro azione è la convinzione che l’islam sia una fede completa, che deve regolare sia la vita privata sia quella pubblica. Professano una religiosità che va oltre la sfera intima, per abbracciare la sfera sociale e, quindi, politica. In questo ambito, dichiarano un’adesione completa ai valori democratici. «L’islam - spiega Ahmed Elbardakhani, membro dell’Alleanza islamica d’Italia - persegue tre obiettivi: libertà, giustizia e benessere. Questi elementi non solo sono compatibili, ma sono l’essenza stessa della democrazia. E per raggiungere questi obiettivi, i musulmani sono disposti a lavorare con chiunque e in qualunque parte centri islamici che condividono una del mondo». parte dell’ideologia della Fratellanza Una professione così piena per la musulmana, ma non mi azzarde- democrazia sorprende quando si rei a dire che sono organici alla parla di un movimento che l’opiFratellanza. Lo stesso intellettuale nione pubblica internazionale conislamico Tariq Ramadan, che espri- sidera molto vicino alle posizioni me a livello personale idee vicine al integraliste. «Quando la Fratellanza pensiero del movimento egiziano, musulmana è salita al potere in non può essere definito un porta- Egitto, Marocco, Tunisia e Turchia voce della scuola della Fratellanza». - osserva Ashraf Aboualy, membro del Consiglio generale dell’Alleanza islamica d’Italia - era considerata respiro INTERNAZIONALe Non è semplice cercare di adden- democratica, ora che in Egitto è statrarsi in questo movimento. Un uni- ta rovesciata da un golpe è consideverso complesso sia in Egitto, dov’è rata un’organizzazione terroristica. nato e, dopo l’avvento al potere L’adesione del movimento ai principi democratici è chiadei generali (2013), viera. In Turchia, Tunisia, ne considerato un’or «In Italia noi Marocco si tengono eleganizzazione terroristi- lavoriamo zioni libere, c’è alterca, sia all’estero, dove all’interno nanza e rispetto per le numerose sono le orga- del sistema minoranze. Non è stato nizzazioni che l’hanno democratico creato nessun califfato, preso a modello ideale. e da sempre ci anche se è ovvio che D’altra parte lo stesso opponiamo al fondamentalismo perché è una strada che non porta a nulla» i politici locali hanno una visione islamica della società e si muovono in sintonia con essa. In Egitto e Siria la Fratellanza è in prima linea contro i dittatori. E anche in Italia noi lavoriamo all’interno del sistema democratico e, da sempre, ci opponiamo al fondamentalismo perché è una strada che non porta a nulla». «Il loro progetto di creare una società islamica - afferma Massimo Campanini, storico del Medio «Ci sono influenze oriente arabo e reciproche tra della filosofia organizzazioni islamica - non diverse nel implica un elemondo, così mento intrinseco come è vero che di estremismo e ci sono centri la loro espansioislamici che ne non ha nulla condividono parte a che vedere con dell’ideologia rischi terroristidella Fratellanza» ci. Ciò detto, la loro lettura fondamentalista dell’islam può portare a una limitazione dei diritti umani, soprattutto delle donne, e a rendere le comunità islamiche meno integrabili. Ma è pur vero che la Fratellanza ha sempre dimostrato un notevole pragmatismo che potrebbe smussarne la radicalità». OBIETTIVO INCULTURAZIONE Ma l’obiettivo di queste organizzazioni europee è più ambizioso: cercare di conciliare la fede islamica con la cultura occidentale. «È inutile importare modelli culturali nordafricani o mediorientali in Italia - spiega Ahmed Abdel Aziz -, forse andrebbero bene per le prime generazioni di immigrati, certamente non per le seconde. Noi dobbiamo proporre una visione dell’islam seria e rigorosa, ma che sappia fare propria la cultura italiana. Solo in questo modo possiamo diventare una parte attiva di questo Paese. Siamo convinti che la religione (non solo quella islamica) aiuti la comunità a migliorarsi». giugno-luglio 2014 Popoli 31 inchiesta «Un network informale a livello globale» E. Dacrema Una dichiarazione che pare in contrasto con l’accusa portata avanti da molti studiosi di una «doppia predicazione» nei centri culturali che si rifanno alla Fratellanza: sermoni integralisti e aggressivi contro la società occidentale quando «Dobbiamo sono tenuti in proporre una lingua araba, visione dell’islam più concilianti seria, ma che sappia fare propria quando sono in italiano. «È la cultura italiana. vero il contraSolo in questo rio - commenmodo possiamo ta Aboulkeir diventare una Breigheche -, parte attiva di da anni stiamo questo Paese» formando gli imam alla predicazione in italiano e chiediamo loro di tenere sermoni in italiano e in arabo dicendo esattamente le stesse cose. Continuare a predicare in arabo rischia di allontanare le seconde generazioni, ma anche i musulmani non arabi». Questo attivismo porterà nel prossimo futuro alla creazione di un partito della Fratellanza islamica in Italia? «I tempi non sono maturi conclude Ashraf Aboualy -. Noi lavoriamo per essere una componente attiva della società italiana. Ma non è detto che in futuro non si possa creare una formazione simile». L orenzo Vidino è l’esperto di estremismo islamico del Politecnico di Zurigo e ha scritto un libro sulla Fratellanza musulmana (The New Muslim Brotherood in the West, Columbia University Press, 2011, pp. 336, euro 32). A lui chiediamo di aiutarci a interpretare questo movimento e a comprenderne le logiche. In Europa e in Italia quali sono le organizzazioni che fanno riferimento alla Fratellanza musulmana? In 80 Stati del mondo, inclusi quasi tutti i Paesi occidentali, vivono persone che appartengono alla Fratellanza musulmana e che hanno creato organizzazioni che portano avanti l’ideologia del mo- LE ORIGINI E LA STORIA Un movimento borderline L a Fratellanza musulmana nasce in Egitto nel 1928. A fondarla è Hasan al Banna, un maestro di scuola che vive a Ismailia. Il movimento si propone di reagire all’occidentalizzazione della società egiziana e di promuovere il riscatto dei lavoratori arabi nella zona del Canale di Suez. L’organizzazione cresce velocemente. Diventa presto un punto di riferimento delle classi povere e, allo stesso tempo, inizia a giocare un ruolo di primo piano nel movimento nazionalista egiziano. Dal punto di vista ideologico il movimento si richiama al dovere di fedeltà ai valori islamici tradizionali. La Fratellanza viene repressa da Gamal Nasser che vede in essa un ostacolo alla secolarizzazione del Paese. A partire dal 1969, però, l’organizzazione prende le distanze dalle posizioni più radicali e Anwar Sadat, inaugura una politica di apertura nei loro confronti. Saranno però alcuni militanti più estremisti staccatisi dall’organizzazione a ucciderlo nel 1981. Hosni Mubarak manterrà una politica ambigua nei loro 32 Popoli invece giugno-luglio 2014 confronti, fatta di aperture (concederà loro di presentare candidati, ma nelle liste di partiti laici) e chiusure (con dure repressioni). Nel frattempo il movimento svolge una capillare azione sociale offrendo assistenza, istruzione, formazione religiosa a persone di ogni ceto. Lo scoppio della Primavera araba prende di sorpresa la Fratellanza. Caduto Mubarak, però, il partito Libertà e Giustizia, legato al movimento, vince le elezioni presidenziali del giugno 2012 con Mohamed Morsi. Rimane in carica solo un anno. Il 3 luglio 2013 i militari lo depongono e dichiarano la Fratellanza musulmana: «movimento terroristico». Partiti vicini alla Fratellanza sono attivi in Africa e Medio Oriente. Le formazioni più note sono l’Akp in Turchia, Ennahda in Tunisia, Hamas in Palestina, il Fronte di azione islamica in Giordania, il Partito della giustizia e dell’unità in Somalia. In Europa le organizzazioni legate alla Fratellanza si riconoscono nel Fioe (Federation of Islamic Organizations in Europe). Milano, una manifestazione di sostenitori dell’ex presidente egiziano Mohamed Morsi. vimento adattandola all’ambiente in cui operano. Questo mondo in Italia è rappresentato dall’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia), la cui leadership si riconosce nella Fratellanza musulmana (anche se non tutti i membri lo ammettono e/o ne fanno parte). Due altri gruppi di questa galassia sono l’Alleanza islamica d’Italia e la Gioventù musulmana italiana (anche se negli anni ha oscillato tra chi è più legato e chi meno alla Fratellanza). A livello europeo, questi movimenti si riconoscono nel Fioe (Federation of Islamic Organisation in Europe). Queste organizzazioni hanno un forte legame ideale con la Fratellanza musulmana, ma non un legame formale con essa. Per intenderci, non esiste, come ai tempi dell’Urss, un Comintern musulmano che detta le direttive centrali e impone uno statuto a tutte le organizzazioni. Esistono legami informali tra le varie organizzazioni, ma è difficile capire quale forza abbiano. C’è una sorta di vincolo alla segretezza tra i membri, che è il retaggio, comprensibile, della storia di un movimento che è sempre stato perseguitato. Quali sono i principi ai quali si ispira la Fratellanza? La flessibilità è una delle caratteristiche fondamentali: ogni organizzazione opera in modo diverso a seconda del contesto e delle circostanze. Detto questo, l’idea fondamentale è che l’islam regola ogni aspetto della vita privata e pubblica. L’obiettivo è l’islamizzazione della società, un’islamizzazione che deve partire dal basso e dev’essere graduale. Il concetto di gradualismo è fondamentale: secondo al Banna, si deve creare prima l’individuo islamico, poi la famiglia islamica e infine la società islamica. Una volta che la società è diventata islamica, lo Stato islamico verrà da sé. Questo processo viene portato avanti con mezzi pacifici: proselitismo, educazione, servizi sociali, ecc. Il movimento però non esclude del tutto la violenza, seppure solo in casi eccezionali. dentali per fare lobby per le cause islamiche nel mondo: Hamas in Palestina, Fratelli musulmani in Egitto e in Siria, ecc. Quale rapporto esiste tra Fratellanza musulmana egiziana e altri movimenti? La Fratellanza musulmana si pone Non esistono legami formali tra la Fratellanza in Egitto e in altri Pae gli stessi obiettivi in Occidente? I primi fratelli musulmani arrivati si. Al tempo stesso però esistono negli anni Sessanta in Europa e forti rapporti personali tra i diriin Nord America proclamavano genti che si riconoscono nella Frala volontà di creare uno Stato tellanza nel mondo. C’è quindi uno islamico in Occidente. Poi, es- scambio costante di informazioni sendo persone pragmatiche, han- tra le varie realtà del movimento e no capito che l’obiettivo non era vengono regolarmente organizzati perseguibile nel breve. Oggi, il incontri in cui si definiscono le ruolo che vedono per se stessi in strategie globali di questo network informale a livello gloOccidente è riassumibale. Come queste strabile in tre obiettivi: 1) «L’obiettivo tegie debbano essere fare proselitismo tra la spiega Vidino - è interpretate a livello popolazione musulma- l’islamizzazione locale è poi demandato na immigrata. Questo dal basso: si ai singoli gruppi naè possibile grazie alla deve creare zionali. Anche se molte superiorità di risorse prima l’individuo iniziative organizzate e di capacità organiz- islamico, in Stati diversi sono zativa della Fratellan- poi la famiglia simili e hanno slogan za rispetto alle altre islamica e, identici. Un esempio organizzazioni islami- infine, la società sono le manifestazioni che, al fatto che in Oc- islamica» che qualche anno fa cidente non esistono le venivano organizzate a limitazioni degli Stati favore della Palestina nordafricani e mediorientali e, infine, al fatto che le o quelle che oggi si organizzano a masse islamiche disorientate dal- favore della Fratellanza in Egitto la migrazione possono essere un o in Siria. audience molto recettiva del loro messaggio; 2) diventare i legitti- Chi finanzia i gruppi dell’alveo mi rappresentanti delle comunità della Fratellanza? islamiche nei confronti delle élite Non è facile dirlo. Ciò che è certo occidentali: presentarsi come dia- è che i gruppi hanno beneficiato di loganti con le autorità pubbliche grandi finanziamenti provenienti potrebbe permettere loro di arriva- da Qatar e Turchia. L’Arabia Saure ad accordi con gli Stati e quin- dita e il Kuwait, a livello governadi ad assumere una posizione di tivo, hanno limitato l’afflusso di leadership nel mondo musulmano fondi. Ma è anche vero che mol(con la possibilità di gestire tutti ti miliardari sauditi e kuwaitiani i rapporti con lo Stato, per esem- continuano, a livello personale, a pio l’insegnamento della religione versare soldi alla Fratellanza. E islamica nelle scuole pubbliche); poi la Fratellanza, in cambio, aiuta 3) sfruttare la loro posizione di queste personalità a fare business influenza su politici e media occi- in Europa. giugno-luglio 2014 Popoli 33 corea Testo: Roberto Tofani Foto: Luca Faccio S e tra Corea del Nord e del Sud esiste oggi un terreno comune, quella è la Zona demilitarizzata. Una striscia di demarcazione disegnata nel 1953 con la firma dell’armistizio tra i due governi, che mai hanno siglato un trattato di pace. Una linea al centro di uno spazio largo 4 chilometri, all’interno del quale giovani soldati si guardano a distanza senza mai comunicare. Discen- Una terra comune Un progetto fotografico diventa esplorazione per immagini di ciò che accomuna i coreani del Nord e del Sud, oltre sessant’anni dopo la divisione. Mutazioni e persistenze si mostrano in un gioco di specchi, che trascende le prospettive geopolitiche Immagini a confronto tra Nord e Sud del 38º parallelo. 34 Popoli giugno-luglio 2014 denti di altri uomini in divisa che hanno combattuto insieme contro l’invasore giapponese all’inizio del secolo scorso. Nipoti di quei settemila manifestanti che nel 1919 caddero insieme, sotto i colpi dei soldati nipponici, per opporsi pacificamente all’impero coloniale del Sol levante. Figli che oggi non si conoscono e che non riconoscono le lacrime dei loro padri e delle loro madri divisi da due diverse ideologie e da una guerra infuocata, che si è poi congelata su una cortina di FRONTI CONTRAPPOSTI Uno spartito che oggi è composto da immagini e parole che ci descrivono due fronti contrapposti: da una parte il bene e dall’altra il male. Una divisione che alimenta insicurezza, paura, terrore. Ma le immagini, le parole, possono anche essere utilizzate per raccontare quelle sfumature spesso dimenticate, alla ricerca di quei tratti che invece accomunano, uniscono. A tal punto da chiedersi se oggi esista ancora un common ground, un terreno comune, tra Nord e Sud coreani. ferro e cemento lunga 248 chilometri. Un confine, il più militarizzato al mondo, che divide un terreno che per secoli ha cullato e nutrito un popolo e una cultura comune. Note di uno stesso spartito che negli ultimi sessant’anni si sono perse in echi inascoltati e amplificati dal vuoto di stanze governative e palazzi di vetro. Possiamo ancora credere nella caduta di un muro in un’epoca in cui si contrappongono barriere fisiche e culturali ben più imponenti anche tra i campioni della democrazia? «Sì, è possibile. Dobbiamo credere e pensare che prima o poi anche questo muro si dissolverà», ci racconta Luca Faccio, autore del progetto artistico Common Ground da cui sono tratte queste immagini (www. luca-faccio.com). Un’idea nata agli inizi del secolo dopo i primi viaggi a Pyongyang, capitale del Nord. Era il 2001 quando George W. Bush lanciò il suo anatema contro quell’«asse del male» che minacciava la «pace del mondo». «Di che genere di asse stava parlando? Mi trovavo in Iraq nel 2003 - racconta il fotogiornalista - e non riuscivo a percepire quel Paese come una minaccia. Quel conflitto mi aveva inoltre condotto a fare una serie di riflessioni sulle interazioni tra il mondo dei media e quello militare, che le parole di Susan Sontag mi aiutarono a circoscrivere». Nel suo Il dolore davanti agli altri (2006), la scrittrice americana parla di «distanziarsi dall’aggressività del mondo». Una scelta che ci dà la libertà di osservare, offrendoci quindi la possibilità di guardare alle cose del mondo in modi I 248 chilometri diversi e singodi cortina di ferro lari. Allo stestra Nord e Sud so tempo, però, della Corea da più tale distanza di sessant’anni non deve essedividono un re troppo marterreno che per cata, altrimensecoli ha cullato ti il rischio è e nutrito un popolo quello di piome una cultura bare nell’indifcomune ferenza. «Per questo decisi che dovevo essere lì. Sentivo il bisogno di comunicare con quelle persone, anche se ancora non le conoscevo, ma senza mai rischiare di offendere la loro dignità. Volevo ritrarle all’interno del loro ambiente, per catturarne l’essenza, evitando di offrire giudizi preconfezionati», spiega l’artista, originario di Genova. È questo il motivo principale che lo ha condotto in Corea del Nord. Paese in cui è tornato per sei volte negli ultimi otto anni. Un legame che nel 2006 ha spinto un suo progetto fotografico a superare le mura ermetiche di Pyongyang. «È stato più facile esporre le mie foto nel cuore giugno-luglio 2014 Popoli 35 corea nordcoreano che nella mia città natale», osserva ironicamente Faccio, ormai di base a Vienna da quasi vent’anni e dove, dal 2011, è cofondatore di un’associazione giornalistica (PlanetNext) con l’obiettivo di «informare per cambiare». Attraverso i suoi continui ritorni, la sua gioiosa umanità, Faccio è riuscito a catturare la fiducia dei suoi accompagnatori. Nel tempo i suoi «Mr Cho» gli hanno permesso di ritrarre persone e luoghi comuni senza dover per forza portare a casa cartoline da propaganNel Nord il da. Nell’aprile semplice ritrarre 2013, quando l’individuo nella sembrava che sua singolarità è le minacce tra un atto contro la Pyongyang e ragion di Stato; a Seul potessero Seoul, invece, lo tramutarsi in stesso individuo conflitto aperto, sembra incapace Faccio era l’udi gridare la nico giornalista solitudine di oggi a fotografare la zona demilitarizzata da Nord verso Sud. Una volta catturati gli sguardi dei soldati della Repubblica popolare democratica, la scelta di ritrarre le spalle dei loro nemici. L’azzurro delle casermette si confonde con la fresca e bianca luce primaverile, le 36 Popoli giugno-luglio 2014 diverse tonalità di verde delle divise a malapena si distinguono, in un gioco degli opposti che ci ricorda che siamo sul territorio di due nazioni di una stessa penisola. Quella striscia di terra dove tutto ha avuto inizio e da dove è partita la ricerca di luoghi e volti che potessero raccontare quel tratto comune. Un tratto che sfugge alle cronache dei media internazionali, fin troppo attenti ad amplificare qualsiasi notizia che possa screditare il regime di Pyongyang. «A Seoul ero sicuramente più libero di muovermi rispetto a Pyongyang, ma mi sentivo comunque un corpo estraneo, in completa solitudine ASPETTANDO IL PAPA I l cristianesimo sudcoreano vive da un decennio una crescita costante: i cattolici sono 5,5 milioni, circa un decimo della popolazione, una delle percentuali più alte in Asia. Come riporta l’agenzia Asianews, è in aumento il numero di fedeli e sacerdoti, anche se altri indicatori della pratica religiosa sono in controtendenza. I sacerdoti sono quasi cinquemila e il vescovo di Seoul, Andrew Yeom Soo-jung, è diventato cardinale in febbraio. I protestanti sono ancora più numerosi (18%). Il cristianesimo si è diffuso a partire dal XVIII secolo, grazie all’impegno di laici coreani, più che di missionari stranieri. La Corea accoglierà papa Francesco dal 14 al 18 agosto nel suo primo viaggio in Asia orientale. Parteciperà alla Giornata asiatica della gioventù a Daejeon, nel centro del Paese, e presiederà alla cerimonia di beatificazione di 124 martiri coreani. In vista della visita papale, nel Sud si fa più intenso il dialogo ecumenico e interreligioso: cattolici, anglicani e protestanti, buddhisti e confuciani hanno tenuto in aprile una Conferenza dei religiosi per la pace. Un cartello di benvenuto al Papa sarà affisso su tutti i luoghi sacri delle diverse religioni. Al Nord, in cui l’unico culto consentito è quello di Kim Il-sung, fondatore del regime, e dei suoi eredi, il Papa dedicherà una messa e probabilmente si recherà vicino al confine. In Corea del Nord non ci sono più sacerdoti né suore e la presenza religiosa, in particolare buddhista e cristiana, viene ostacolata e repressa con la violenza. f.p. con la mia fotocamera», racconta. Proteste antigovernative di cui i media non parlavano, luoghi pubblici riservati esclusivamente a coreani, l’idea di due famiglie che si spartiscono il potere economico del Paese. Ma non è solo su questo terreno, quello delle restrizioni, della censura, di assonanze tra regimi politici contrapposti che si è fermato lo sguardo del fotogiornalista. Sì, perché l’arte e la cultura possono denunciare, turbare, provocare, ma possono anche unire e aiutare a delineare quei tratti comuni che i soggetti scelti ci comunicano attraverso i loro sguardi, ritratti al centro di un contesto che rivela assonanze geografiche, naturali e architettoniche. Immagini in cui il contrasto tra luci e ombre abbatte muri e confini, in un gioco di specchi in cui le differenze si compongono all’interno di un common ground. VIRTUALITÀ POLITICA E REALtÀ UMANA Quei volti, quei sorrisi di giovani militari, studenti, operai, imprenditori, adolescenti, caratterizzati da una forte espressività umana, si muovono in un confronto costante, lucido e ironico. I loro occhi, le loro mani, sono lì a raccontarci ognuno la propria storia. Alle loro spalle monumenti alla memoria, le sculture e le effigi del «Grande leader», manifesti pubblicitari e di propaganda, scorci di vita urbana in una quotidianità che non conosce soste. Camminando tra le immagini e i video che hanno trovato spazio nelle ampie e silenziose sale della Künstlerhaus di Vienna, si ha l’impressione di procedere in un passato stanco del presente, convinto che il futuro possa e debba essere diverso. In Corea del Nord, il semplice cogliere e ritrarre l’individuo nella sua singolarità è un atto che si contrappone in modo forte alla ragion di Stato. A Seoul, invece, lo stesso individuo sembra incapace di gridare la solitudine dei nostri tempi. Gli indumenti degli adolescenti nei due Paesi non sono in fondo così dissimili, ma denotano una certa omologazione: nel Sud hanno gli stessi noti marchi occidentali L’arte e la cultura possono prodotti in larga parte nel Sud-Est asiatico. A denunciare, uno sfondo rappresenprovocare, ma tato da un manifesto anche unire che nel Nord celebra la e aiutare a partenza di un missile delineare quei tratti comuni che i soggetti scelti ci comunicano con i loro sguardi balistico, si contrappone l’ultimo modello intimo agognato dalle ragazze sudcoreane. I volti stanchi dei lavoratori in metro a fine giornata non mostrano alcuna differenza. La «Grande Porta meridionale», però, è unica e si trova a Seoul, a sud della linea di demarcazione. Mura che, edificate nel XIV secolo, vengono ricordate da un maestoso dipinto all’interno degli studios nordcoreani di Pyongyang. L’opera fotografica riconsegna alla vita reale, «contrapponendo la virtualità della politica alla realtà umana». L’idea di una riunificazione parte dalla penisola coreana, ma potrebbe muoversi altrove nel mondo dell’ipercomunicazione sociale, che continua a costruire muri e barriere di ogni tipo. «È naturale che il Paese debba essere riunificato. Però non ora»: è questa, spesso, la riflessione più comune quando si parla del futuro delle due Coree. «È triste pensare che la generazione dei miei genitori e dei loro padri abbia lottato per la democrazia e sofferto durante il periodo di sviluppo economico del Paese - racconta Lee Loc Hyun, artista sudcoreano che ha collaborato al progetto -. Mi chiedo allora quale sia l’obiettivo della nostra generazione». giugno-luglio 2014 Popoli 37 brasile È un momento esaltante per il Brasile. Difficile, controverso, ma certamente decisivo per le sorti dell’«indomito colosso», come recitano le parole dell’inno nazionale. Non c’entrano il calcio, l’economia e nemmeno la politica. O meglio c’entrano, nella misura in cui tutto, in una cultura, ha un senso, un significato. Ma sono altre - più generali, più nobili - le ragioni per cui il Brasile vive con il cuore in gola questo mese elettrizzante che inizia il 12 giugno, fatto di partite, turisti, giornalisti, proteste. Un mese in cui la storia - finalmente - passa davvero da queste parti. UNA CHANCE MONDIALE C’era già stata un’altra occasione per dimostrare come il Brasile fosse pronto, moderno, «degno» di partecipare al banchetto dei primi della classe. Era il 1950, ma il Brasile fallì l’appuntamento. Lo mancò non perché venne sconfitto nella finale L’occasione è «sportivamente» imperdibile, per più tragica della i brasiliani e per storia del calcio, il mondo intero: far capire e capire quell’«Hiroshima tropicale», cosa ha reso come venne questo popolo, ribattezzata la che pure è stato derrota contro ed è sofferente, e tanto, la gente più l’Uruguay, che seppe ispirare, felice della terra e ancora ispira, poeti, narratori, giornalisti. È piuttosto il fatto che, a essere imputati di quella sconfitta, furono due «negri», il portiere Barbosa e il terzino Bigode, a dover fare riflettere sulle dinamiche identitarie di «quel» Brasile, così come del Brasile di oggi. Nonostante il perenne complesso di inferiorità dei brasiliani - ribattezzato, con un’immagine efficacissima, o complexo do vira-lata, complesso del bastardo (il vira-lata 38 Popoli giugno-luglio 2014 Vetrina Mondiale Cominciano il 12 giugno i Mondiali di calcio: li ospita un Paese che ha il futebol nel sangue e che vive questo megaevento come un assist per presentare al pianeta il suo nuovo volto. Possibilmente senza rinnegare la propria identità, fatta di differenze, contrasti, meticciato AFP Bruno Barba è quell’animale randagio che rovista adorare uno speciale understatenella spazzatura e con un tocco vira, ment, da ribaltare repentinamente in «rovescia», le lattine di alimenti) -, orgoglio meticcio. Questo ha portato nonostante questo, è il modello me- a riscontrare, nei brasiliani, un altro ticcio che il Brasile vuole mostrare complesso, in fondo parente di quelai razzisti - e agli uomini di buona lo del vira-lata. Le vittorie, sportive e non, vengono ricondotte alla volontà, certo - di tutto il mondo. Questo Brasile che cambia con una creatività, all’originalità, all’audacia velocità entusiasmante e inimma- e all’anticonformismo; le sconfitte ginabile per noi europei è una Re- all’irresponsabilità, all’indisciplina, alla mancanza di caratpubblica federale con tere. Tutte caratteristiun territorio di più di Nonostante che - quelle positive co8 milioni di chilome- il perenne me quelle negative - che tri quadrati (26 volte complesso di siamo soliti attribuire l’Italia, per intenderci) inferiorità del ai bambini. Ecco perché e una popolazione di brasiliani (o quasi 200 milioni di in- complexo do vira- questa «sindrome» viene chiamata paradoxo do dividui; vanta immense lata) è proprio il risorse agricole e zoo- modello meticcio moleque, il «paradosso del bambino»; è come tecniche, giacimenti di che il Brasile se il gigante sudamerioro, ferro e petrolio e vuole mostrare cano (l’indomito colosso alcune delle mete tu- ai razzisti dell’inno) soffrisse, anristiche più visitate del cora e sempre, di quelmondo. È il luogo ideale la dolce condanna così - dovunque il Mondiale porti, fisicamente o nei sogni di ben tracciata in Macunaíma, l’eroe ognuno di noi - per «abbandonarsi» senza carattere, dal poeta moderalle emozioni, perché offre sempre nista Mário de Andrade. Informale una scelta, un angolo di familiarità e... impunito, un po’ troppo superbo in tanto esotismo, un’eccitante im- eppure capace di atti d’umiltà permersione nella diversità, antidoto sino eccessivi: è così che appare il brasiliano. all’omologazione. Le immagini televisive ci trasmetto- Il Brasile-nazione, il Paese uffino la sensazione di una terra com- ciale, presenta quindi la propria posita, diseguale e sempre diversa tecnologia, la propria voglia di «fada se stessa. E questa «alterità», re» e di «essere», la propria crescita questa peculiarità, questa «essenza economica. Ma che portata storica brasiliana», se talvolta può apparire possono avere queste eccellenze di socialmente dolorosa, è in realtà fronte al sorriso disarmante e devaun germe prezioso e fecondo che stante di certi bambini mulatti, di si chiama meticciato. Eccola allora certe donne e uomini euro-africani, la carta vincente che i brasiliani scurinhos, morenos o dalla pelle devono giocarsi fino in fondo, che dourada? Di fronte a certi messaggi abbatterà l’indifferenza di noi occi- fatti di sguardi, di movenze e di dentali, lo snobismo, il razzismo, e posture del corpo, che si possono che farà dimenticare cose in fondo osservare nei campetti spelacchiati marginali e contingenti (la puntua- dove si pratica il calcio più autentico, nelle spiagge della bossa nova, lità, l’organizzazione, l’efficienza). La gente brasiliana - siamo consa- nelle piazze della capoeira, nei morpevoli che le generalizzazioni sono ros e nei suburbi del samba? sempre pericolose, eppure qui si Attitudini, queste, che non sono accenna a un modello culturale ab- allusive, come la cattiva fede degli bastanza «condiviso» - sembrerebbe europei ha fatto credere per trop- po tempo, ma espressive, ricche di simbologie e riferimenti identitari, gioiose, comunicative e persino «religiose», culturalmente complesse e sincretiche. Ancora, il Brasile ha l’opportunità di mostrare il proprio jeitinho, ovvero quella capacità di aggirare gli ostacoli, di farsi volere bene anche quando si è in difetto, di ingannare, forse, per ottenere ciò che si vuole. Come fa il malandro cantato nei samba: uomo eternamente immaturo che vive di espedienti, che ruba ai ricchi, ma che possiede un cuore nobile e in fondo sa commuovere; come fa la donna, nobilitata dalla letteratura di Jorge Amado - Teresa Batista, Dona Flor, Gabriela - che sembra «leggera» ma che in realtà vive generosamente, e il suo eros, l’amore che regala, la bontà che dimostra sono funzionali alla salvezza degli uomini e degli ideali. DODICI PERLE DI DIVERSITÁ Ecco che allora, di fronte al popolo, la vera ricchezza del Brasile, anche l’interesse per le dodici città che ospiteranno la Copa - con la loro bellezza, la loro vitalità, il loro ritmo, il loro essere così lontane, diverse, eppure tutte autenticamente brasiliane - sembra passare in secondo piano. Eppure di meraviglie, sparse per questo avvincente Paese, ve ne so- PER SAPERNE DI PIÙ >Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due mariti, Garzanti 1977 >Jorge Amado, Bahia. Le strade e le piazze, la gente e le feste, gli incanti e i misteri, Garzanti 1972 >Domenico De Masi, Mappa Mundi. Modelli di vita per una società senza orientamento, Rizzoli 2013 >Mauro Valeri, La razza in campo. Per una storia della Rivoluzione Nera nel calcio, Edup 2005 >Hermano Vianna, Il mistero del samba. Contaminazioni e fantasmi dell’autenticità, Costa&Nolan 1998 giugno-luglio 2014 Popoli 39 no davvero per tutti i gusti: estetici, gastronomici, paesaggistici, musicali, religiosi. Salvador de Bahia è terra di macumbe, santi e orixás, di feticismi vecchi e nuovi, di magie, di malie di colori accecanti e di angoli decrepiti. Eppure è la città dalle «365 chiese cattoliche» - una per ogni giorno dell’anno -, il luogo dove le tradizioni nere, seppure da secoli sincretizzate con quelle europee, sono ancora vivissime, pulsanti, più Africa che l’Africa, più Africa che in Africa. Salvador respira, emana negritudine perché quelle radici, reinterpretate e ricolorate, come sempre avviene in Brasile, mostrano i segni, per paradosso, di una «vera» autenticità. Obbligatorio leggere Amado, ascoltare Caetano Veloso e Gilberto Gil, mangiare acarajé, e compiere un pellegrinaggio fino alla Casa Branca do Engenho Velho, il centro di culto dove nacque l’epopea delle religioni afro. Rio presenta le ebbrezze e le inquietudini - fisiche, sentimentali e geografiche - del nostro immaginario: le spiagge di Copacabana e Ipanema, il Pão de Açucar, il Cristo Redentor del Corcovado, da dove si ammira il più bel panorama del mondo, visioni associate dalle tradizioni musicali del samba e della L’AUTORE E IL LIBRO B runo Barba, autore di questo articolo, è ricercatore di Antropologia presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova. Da diversi anni si occupa di sincretismo religioso e meticciati culturali in Brasile e Sudamerica. Ha al suo attivo varie pubblicazioni, la più recente è: No país do futebol. Il calcio torna a casa: un viaggio antropologico (Effequ 2014). Su Popoli ha già scritto un articolo nel numero di agosto-settembre del 2012 (Il Brasile nel pallone), analizzando i significati socio-culturali del gioco del calcio nel Paese sudamericano. L’articolo è disponibile su www.popoli.info 40 Popoli giugno-luglio 2014 M. HSU brasile bossa nova, e poi tanti quartieri l’epopea dell’oro, poi del latte e ora diversissimi per storie di popola- dell’automobile. Ancora, vedremo di sfuggita l’utopica, incredibile, mento, per charme, per mode. San Paolo stupisce per post-mo- lineare Brasilia, celebrazione del sodernità, efficienza, traffico, eppure gno sinuoso e senza curve di Oscar - ecco che useremo, per la prima e Niemeyer; conosceremo (poco) la unica volta, l’espressione più abusa- coloniale Recife con vicino quel ta dai commentatori - è davvero, se gioiello barocco di Olinda; ci afce ne deve essere una, la «città dei facceremo nell’organizzata e fredda contrasti». È la più grande e cosmo- Curitiba e nella caldissima Cuiabá, polita metropoli dell’America latina nel pieno del paradiso naturale del (19 milioni di residenti, 52 naziona- Pantanal; gusteremo - di seconda o lità rappresentate); la metropolitana terza mano - il fascino esotico della trasporta 3,3 milioni di persone solitaria Manaus e della foresta che al giorno; in autobus si spostano tutto inghiotte, condiziona, deter8 milioni di persone; offre 12.500 mina, persino i sogni che hanno ristoranti, 1.500 bar, 79 shopping portato i visionari a costruire e center. Non sono semplici dati, ma poi a frequentare quel teatro ric«opportunità». Vi sono il bairro ita- chissimo e ridondante. Faremo un liano e quello giapponese, immensi tuffo nella «bionda», europea, anzi parchi, le tradizioni nere, levantine tedesca, Porto Alegre; nella pigra ed europee che convivono. San e divertente Natal, città contornata Paolo appartiene al mondo, non di spiagge, spiagge, e ancora dune soltanto al Brasile. Consiglio a tutti di sabbia. di ascoltare e di farsi tradurre le pa- Il Mondiale brasiliano, inutile nerole di Sampa di Caetano Veloso: si garlo, è un’autentica «scarica di capirà tutto di questa metropoli, la energia»: troppe le evocazioni mepiù importante del Sudamerica, la ramente sportive - il Brasile calcittà con più italiani nel mondo. Un cistico e la sua storia, in primis -, luogo dove nonostante quel che si troppi gli stimoli visivi, culturali percepisce al primo impatto, regna e non, che gli spettatori e i turisti la dolcezza, il lirismo, la poesia e, colgono. L’occasione è imperdibile, per i brasoprattutto, la saudade. Ma come fare classifiche? Viviamo siliani e per il mondo intero: far settimane frenetiche di collegamen- capire e capire cosa ha reso questo ti televisivi, reportage giornalistici, popolo, che pure è stato ed è sofferente, e tanto, la gente frettolose immagini o più felice della terra. parole che si posano, Il Brasile ha Un’ipotesi, solo una, cedistrattamente, sulla l’opportunità lebrata dalle parole del gradevolmente pigra di mostrare il poeta Vinícius de MoFortaleza, e sulla mo- proprio jeitinho, raes: che la vita, davvederna Belo Horizonte, quella capacità ro, non è nient’altro che in una regione, il Mi- di aggirare gli a arte do encontro... nas Gerais, che visse ostacoli, di farsi volere bene anche quando si è in difetto, forse di ingannare cina Benoit Vermander SJ Taipei (Taiwan) Beata amicizia L a prima fase della causa di beatificazione di Matteo Ricci si è conclusa nel maggio 2013 a Macerata, diocesi di origine del missionario gesuita. Il dossier è ora allo studio della Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano. Da qualche tempo si moltiplicano gli appelli per la beatificazione e la canonizzazione di Ricci. Che Ricci meriti ampiamente di essere canonizzato è fuori di dubbio. La rettitudine del suo carattere, l’infinita pazienza, la perseveranza e l’umiltà mostrate durante tutto il percorso cinese e i frutti maturati dalla sua missione testimoniano la santità di un uomo che è estremamente rispettato e persino amato da molti cinesi. La domanda è: Ricci dovrebbe essere 42 Popoli GIUGNO-LUGLIO 2014 Un gesuita che ben conosce il mondo cinese riflette sull’avanzamento del processo di beatificazione di Matteo Ricci e lancia un appello: non va dimenticato l’amico Xu Guangqi, primo cinese convertito al cristianesimo dal missionario marchigiano. Ecco perché beatificato da solo, oppure la sua causa apre opportunità per affrontare in modo nuovo questi temi? Ricci iniziò il suo pellegrinaggio cinese pubblicando un libretto dal titolo Sull’amicizia. Il suo processo di beatificazione dovrebbe dunque riflettere lo spirito che ispirava il suo impegno missionario. Detto in altre parole: è difficile pensare di beatificare Matteo Ricci senza beatificare, insieme a lui il suo grande amico Xu Guangqi. TRE RAGIONI Ci sono tre ragioni per unire i due in una causa comune. La prima è che anche Xu Guangqi è un uo- mo la cui vita parla di santità. In secondo luogo, ciò cambierebbe il modo in cui la storia missionaria viene generalmente presentata. Infine, questo è di gran lunga il miglior regalo che Roma possa fare alla Chiesa cinese e alla Cina stessa. Xu Guangqi (1562-1633) è noto in Cina come uno straordinario studioso e funzionario pubblico, autore di un trattato enciclopedico sulle tecniche agricole, un patriota che testimoniò il progressivo indebolimento della dinastia Ming e cercò di difenderla dalle aggressioni, un matematico e astronomo. Tuttavia queste qualità umane potrebbero non bastare per- dialogo e annuncio Matteo Ricci e Xu Guangqi sulla vetrata di una chiesa a Canlubang, nelle Filippine. ché sia proclamato santo. Che cos’al- della parte degli Esercizi Spirituali intitolata «Contemplazione per tro dovrebbe mostrare di sé? Innanzitutto, occorre notare che raggiungere l’amore»: «L’amore si Xu si impegnò pienamente nelle deve porre più nelle opere che nelle attività pratiche soltanto dopo l’e- parole. (...) L’amore consiste nella sperienza della conversione, la cui comunicazione reciproca, cioè nel profondità pare impressionante: il dare e comunicare l’amante all’amasuo battesimo, avvenuto nel 1603, to quello che ha, o di quello che ha o fu preparato da lunghe meditazio- può, e così a sua volta l’amato all’ani sui classici cinesi, da ripetute mante. Di maniera che se l’uno ha esperienze di fallimento e dolore, scienza la dia a chi non l’ha, e così dal sogno, nel 1600, di un tem- se onori, se ricchezze l’uno all’altro». pio con tre cappelle successivamente interpretato come immagine UN MESSAGGIO ALLA CINA della Trinità, e dalla profondissi- Proprio questo tipo di scambio numa emozione provata di fronte a trì l’amicizia che Xu sviluppò con un’immagine della Madonna con il Ricci e ne ispirò il comportamento Bambino, a Nanjing. lungo tutta la sua vita. Pur non Una volta battezzato, portò alla arrivando all’esperienza del marfede cristiana tutta la sua casa: tirio come Tommaso Moro, il suo non solo i parenti e i servi alle sue coraggio e i suoi meriti ricordano dipendenze, ma anche il suo stesso molto da vicino quelli di questo padre. I suoi discendenti, in modo grande santo laico cattolico. particolare la nipote Camilla Xu, La beatificazione congiunta di Ricci proteggeranno e promuoveranno e Xu cambierebbe il modo in cui la comunità cristiana di Shanghai. la storia missionaria viene spesso Nei trent’anni che separarono il bat- raccontata: non più una storia di tesimo dalla sua morte, Xu Guangqi ricezione passiva, ma piuttosto di operò costantemente per proteggere, attiva collaborazione. Mostrerebbe consigliare e guidare i missionari, l’eccezionale apertura e forza spirisviluppando una vita spirituale an- tuale che i primi convertiti manifecorata al discernimento e al dialogo starono nel lavorare con i missionari fra le tradizioni. Tra le varie testimo- alla costruzione della Chiesa locanianze abbiamo quella di Longobar- le. E mostrerebbe anche che quedo, un gesuita che si era opposto alla sti convertiti portarono con sé fin strategia di inculturazione di Ric- dall’inizio la ricchezza delle proprie ci: attraverso una sorta di «contro- tradizioni. Direbbe ai fedeli che tutti inchiesta» sull’ortodossia dei cinesi i carismi sono necessari e devono convertiti, Longobardo involontaria- unirsi quando si fonda una comunimente ci permette di apprezzare la tà cristiana nella vita dello Spirito. profondità e la libertà interiore della Infine, una beatificazione comune visione spirituale di Xu. sarebbe molto più significativa per la Inoltre, il modo in cui Xu tradus- popolazione cinese contemporanea, se la sua fede in piani di azione compresi i cattolici cinesi, rispetcoraggiosi e concreti ci ricorda il to a quella di un singolo missiocarattere morale di Ricnario. Manderebbe un ci: entrambi sono meno Ci sono varie messaggio di amicizia, inclini a scrivere dei lo- ragioni per unire collaborazione e uguaro sentimenti che a im- i due in una glianza spirituale. Anpegnarsi in quella che causa comune. cora più importante, la percepiscono essere la Una è che poliedrica figura di Xu loro vocazione. Ciò può sarebbe di gran - uno dei «tre pilastri ricordarci anche l’inizio lunga il miglior della Chiesa cinese» (in- regalo che Roma può fare alla Chiesa cinese e alla Cina stessa sieme a Li Zhazhao e Yang Tingyun, vedi box) - può favorire la riconciliazione fra tutti i settori della Chiesa, oltre che tra la Chiesa e la società. E ancora, unire le figure di Ricci e Xu mostrerebbe una Chiesa che mira all’universalità nel cuore di un dialogo fra le culture locali e nella varietà delle esperienze di vita. La beatificazione È vero che le atcongiunta di Ricci tuali difficoltà e Xu cambierebbe della diocesi di il modo in cui la Shanghai renstoria missionaria dono la causa di viene spesso beatif icazione raccontata: non di Xu molto più più una storia di lenta e complesricezione passiva, sa di quella di ma di attiva Ricci. Ma procollaborazione prio queste difficoltà dovrebbero spingere Roma a istituire la causa con ancor maggiore cura, e sono molte le strade attraverso le quali questa causa potrebbe essere portata avanti. Sono passati più di 400 anni da quando Ricci è andato in Paradiso: sono convinto che aspetterebbe volentieri qualche anno in più per essere riconosciuto beato e santo in compagnia del suo amico Xu Guangqi. © www.erenlai.com A CHE PUNTO È L’ITER I l 10 gennaio 2014 i documenti per il processo di beatificazione di Matteo Ricci sono stati consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi dalla diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia. La fase diocesana si era aperta (anzi, riaperta, dopo diversi anni di sostanziale immobilismo) nel 2010, grazie anche alla rinnovata attenzione nei confronti del missionario gesuita suscitata dalle celebrazioni per il quarto centenario della morte. Ora tutto è nelle mani della Congregazione e dello stesso Papa Francesco, che certamente ben conosce e apprezza questo suo celebre confratello gesuita. Anche per Xu Guangqi, discepolo e amico di Ricci, è stata aperta da alcuni anni una causa di beatificazione nella diocesi di Shanghai, ma l’iter procede con grande lentezza a causa della delicata situazione ecclesiale in Cina. maggio 2014 Popoli 43 qatar Teologia nel Golfo wahabismo: ma la matrice religiosa comune ai monarchi non impedisce la competizione diplomatica. Riyad non apprezza certi movimenti politici, come la Fratellanza musulmana, che, dall’Egitto, alla Tunisia, alla stessa Siria riceve dal Qatar una Insegnare teologia cristiana all’università in pioggia di dollari. una petromonarchia: è il compito di un gesuita La famiglia Al Thani ha le chiavi di islamologo che si confronta con le dinamiche tutt’altro che scontate di un emirato in pieno boom questo forziere senza fondo. La lista degli acquisti è sterminata e spazia che supera i 100mila dollari all’an- da immobili in Piazza di Spagna a Francesco Pistocchini no, le Primavere arabe non hanno Roma, a nuovi grattacieli milanesi, aese strano il Qatar. Il pic- sollevato proteste di piazza. Tuttavia dalla squadra di calcio del Paris colo emirato del Golfo, una il Qatar non è rimasto in disparte, Saint-Germain alle opere di un Mupenisola desertica grande ma si è impegnato nella guerra del seo di arte islamica di prim’ordine come l’Abruzzo, abitato da 2 milioni 2011 in Libia (con aerei e soldati) a Doha. di persone, più di metà delle quali per rovesciare Gheddafi e, ancora Nonostante il rigorismo dottrinario sono immigrati, sta diventando ra- oggi, è attivo nel sanguinoso disfa- dell’islam locale, a Doha il pragmapidamente un protagonista di primo cimento della Siria, dove appoggia tismo è la prima regola. Per dotarsi piano della politica internazionale. l’opposizione al regime di Assad dei delle migliori offerte culturali, lo La famiglia che lo governa dall’in- musulmani sunniti (tra cui i Fratelli Stato del Qatar nel 2005 ha invitato sei università statunitensi ad dipendenza nel 1971 oggi si muove musulmani). con iniziative sempre più ambiziose A Doha, la capitale, ha sede Al-Jaze- aprire corsi di studio nel Paese. Tra e mettendosi in competizione con i era. Il network televisivo è diventa- queste c’è la Georgetown University to strumento di politica di Washington, il più potenti vicini sauditi. antico ateneo fondato Questo è possibile perché dal 2007 estera per l’emirato che Per dotarsi delle dai gesuiti negli Usa, il Qatar ha il più alto Pil pro capite si è ormai apertamente migliori offerte al mondo, grazie agli idrocarburi messo in competizione culturali, lo Stato che a Doha ha aperto un campus con la pro(ad esempio, condivide con l’Iran, con l’Arabia Saudita. del Qatar nel dall’altra parte del Golfo, il più gran- Come soltanto il regno 2005 ha invitato pria School of Foreign Service. de giacimento di gas del pianeta). vicino, il Qatar si rico- sei università Tra i suoi docenti c’è il Avendo i qatarini un reddito medio nosce ufficialmente nel Usa ad aprire P 44 Popoli giugno-luglio 2014 corsi di studio nel Paese. Tra queste una dei gesuiti Doha: una messa nella chiesa del Rosario (l’unica cattolica). I fedeli sono tutti immigrati, che costituiscono più di metà della popolazione. gesuita Thomas Michel, islamologo suita lavorare in un Paese come il di fama internazionale, che ci spiega Qatar? «È un’opportunità di servire come questo centro svolga un ruolo giovani - spiega a Popoli -, offrire di ponte tra le comunità accademi- i valori e le priorità che caratterizche negli Usa e nel Golfo. zano le scuole dei gesuiti in altre Statunitense di origine, padre Mi- parti del mondo. Gli studenti a Gechel ha dedicato una vita di studi orgetown conoscono bene “i valori e insegnamento al dialogo con l’i- gesuiti” che si possono indicare in slam, da quando in Indonesia nel sintesi con “Amdg” (Ad maiorem Dei 1971 è entrato nella Compagnia di gloriam), “uomini e donne per gli Gesù. Ha proseguito gli studi in altri”, “contemplazione in azione”, Egitto, in Libano e a Chicago, dove “dialogo interreligioso”, “giustizia e ha conseguito un dotfede”, ecc. Un comitato torato in Studi arabi e Statunitense composto da studenti islamici. Ha trascorso a di origine, musulmani ha organizRoma un quindicennio diventato zato la “Jesuit Heritage con incarichi in Vati- gesuita in Week” (un momento di cano e nella Curia dei Indonesia, padre approfondimento che gesuiti incentrati sul Thomas Michel gli studenti di Georgedialogo interreligioso e ha dedicato una town tengono dal 2001, a lungo è stato anche vita di studi e ndr) e che in gennaio si consigliere per l’ecume- insegnamento è celebrata per la prima nismo della Federazio- al dialogo volta anche a Doha. In ne delle conferenze dei con l’islam quell’occasione hanno vescovi cattolici dell’Ainvitato Bambang Sisia. Quindi, si è trasfepayung, che è direttore rito in Turchia, dove ha del Jesuit refugee servicollaborato con l’influente movi- ce per l’Asia del Pacifico, a spiegare mento Hizmet, fondato da Fetullah il programma della settimana». Gülen, e ha insegnato Introduzione Non da oggi il Qatar apre spazi di al cristianesimo in diverse univer- dialogo interreligioso. Nel 2008 ha sità. Questo lavoro di conoscenza consentito la costruzione e l’inaudelle religioni gli è valso alcuni gurazione di una chiesa cattolica, riconoscimenti internazionali. L’e- in una zona della capitale dove in sperienza di incontro con l’islam, in seguito sono sorte anche una chiesa diverse parti dell’Asia, lo ha portato anglicana e una greco-ortodossa. fino a questo nuovo laboratorio Il gran numero di immigrati, lavomulticulturale che è Doha, dove ratori manuali soprattutto dall’Asia sarà visiting professor alla George- meridionale, ha portato a una varietown fino all’estate 2015. gata presenza religiosa nel Paese che non è più solo musulmano. Quasi un quinto degli abitanti è cristiano, CHIESA MULTILINGUE I suoi studenti sono, per un terzo, oltre a un numero considerevole di cittadini del Qatar. Un altro terzo induisti e buddhisti. proviene da Paesi vicini (pakista- Ma quali forme di dialogo esistono ni, egiziani, siriani, molti dei quali in Università? «Abbiamo un gruppo hanno vissuto in Qatar tutta la loro di dialogo interreligioso - continua vita, ma per le leggi locali risultano Michel -. Si tratta di un gruppo mifigli di stranieri). L’ultimo terzo ha sto che discute su questioni di fede. una reale provenienza internazio- Ma lo spazio di incontro più vasto nale: Russia, Europa, Cina, Norda- si trova nei vari programmi sulla giustizia: dai rifugiati alla Palestina, merica. Ma che cosa significa per un ge- dalla condizione dei disabili a quella degli operai stranieri». Questo è un punto sensibile, sempre più all’attenzione dei media internazionali, soprattutto da quando il Qatar si è aggiudicato l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022. Oltre cinquecento operai indiani (il principale gruppo di immigrati) sono morti nei cantieri dell’emirato negli ultimi due anni e molti cantieri sono legati all’evento: la questione delle condizioni di lavoro degli operai stranieri è diventata un serio problema di diritti fondamentali. Orari disumani, sequestro dei passaporti, bassi salari: sono molti i temi su cui il Qatar sarà messo sotto osservazione. Che spazi di incontro ha padre Michel con gli immigrati? «Ci sono molti cristiani di tutti i Paesi di Asia e Africa. Celebro la messa con i cattolici indonesiani. È una delle tante celebrazioni: ci sono, infatti, 17 messe ogni venerdì (in arabo e in diverse lingue occidentali e indiane), altre 10 sono il sabato e 14 la domenica. La maggior parte dei fedeli sono proprio operai africani e asiatici dei cantieri. Invece i cristiani di ori«Abbiamo un gine europea e gruppo di dialogo americana freinterreligioso quentano mespiega -. Discute di no la chiesa». questioni di fede. Come valuMa lo spazio di ta l’apertura incontro più vasto del Qatar nel è sui temi della quadro dei giustizia, tra cui rapporti tra le condizioni degli monarchie del immigrati» Golfo e mondo cristiano? «Il 10 maggio abbiamo avuto la Graduation. L’emiro stesso è venuto, perché sua figlia studia a Georgetown e ha ricevuto il baccalaureato. A conferma dei buoni rapporti tra la famiglia reale e la nostra Università. Con il “mondo cristiano”, è più difficile dirlo… Sembra piuttosto che non ci siano molti rapporti. Ma la chiesa e le cappelle cristiane di Doha sono sempre piene venerdì, sabato e domenica». giugno-luglio 2014 Popoli 45 storia La riserva indiana di Pine Ridge (Sud Dakota), teatro nel 1890 di un massacro di Sioux. L’immagine è del fotografo gesuita Don Doll. 46 Popoli giugno-luglio 2014 Da Ignazio a Francesco/6 Pionieri del Nuovo mondo Il cattolicesimo in Canada e Stati Uniti ha le radici nelle missioni di gesuiti che furono, fin dagli inizi, anche esploratori delle culture indigene. Scuole e università testimoniano ancora oggi un impegno della Compagnia per lo sviluppo delle società nordamericane André Brouillette SJ * Québec (Canada) D. DOLL SJ I gesuiti hanno messo piede per la prima volta nell’America del Nord nel 1611, inaugurando un’epopea affascinante. In questo «Nuovo mondo», i gesuiti nordamericani hanno svolto un ruolo di primo piano nella formazione e nello sviluppo della Chiesa e della società, in Canada come negli Stati Uniti. Come esploratori, missionari, fondatori ed educatori, hanno lasciato la loro impronta nello spazio di un continente. I territori che Francia e Inghilterra avevano colonizzato avevano uno sviluppo demografico ed economico molto più lento rispetto all’America latina, colonizzata da Spagna e Portogallo. La popolazione autoctona era dispersa e solo nel XVII secolo furono create colonie stabili di popolamento. A Québec, fondata nel 1608, i gesuiti arrivarono nel 1625 e divennero presto i soli missionari. La città serviva da base di partenza per le loro numerose missioni di esplorazione ed evangelizzazione nel cuore del continente. Le famose Relazioni dei gesuiti - che erano rapporti dei superiori della missione nella Nuova Francia (come era allora chiamato il Canada) sulla situazione locale, i popoli, i costumi e l’evange- lizzazione - suscitarono un grande entusiasmo quando furono conosciute in Francia. Attraverso di esse il pubblico europeo imparava a conoscere questo nuovo mondo. Il racconto degli sforzi compiuti in Nord America dai missionari del Seicento trovò un’eco molto favorevole, che alimentava le aspirazioni più nobili di laici e religiosi. Galvanizzati dall’esempio dei martiri nordamericani, alcuni futuri santi gesuiti furono tuttavia invitati a lasciare da parte il loro desiderio di andare in Canada per dedicare il loro zelo alle missioni interne, come nel caso di san Jean-François Régis attivo nella regione francese del Vivarais. Nel Maryland come a Montréal i gesuiti furono in prima fila nella fondazione di nuove città. Nel 1634 i primi europei misero piede nella futura colonia del Maryland, un luogo in cui i cattolici erano benvenuti, contrariamente ad altre colonie britanniche in Nord America. Alcuni gesuiti inglesi parteciparono al viaggio inaugurale e celebrarono la prima messa in quel luogo. Più a nord, sotto la spinta della Société Notre-Dame di Montréal - un gruppo composto da laici e chierici - organizzò in Francia il progetto di una città dedicata a Maria e votata all’evangelizzazione degli amerindi della Nuova Francia. Il 17 maggio 1642 giugno-luglio 2014 Popoli 47 storia questo sogno vide la luce quando un gruppo di coloni diretto da Pierre de Maisonneuve arrivò alla località di Ville-Marie. Il giorno dopo il gesuita Barthélémy Vimont celebrò una messa solenne nella radura dissodata il giorno prima, predicendo che il seme di una grande città era stato piantato in quel giorno. Fu l’atto di fondazione della città di Montréal, grande metropoli canadese. Parecchi gesuiti divennero così intrepidi esploratori. Padre Jacques Marquette (1637-1675) accompagnò Louis Jolliet, un ex alunno dei gesuiti, in una spedizione che nel 1673 fece loro scoprire la parte settentrionale del fiume Mississippi. Nel XIX secolo padre Pierre de Smet Parecchi gesuiti (1801-1873) si divennero intrepidi recò nell’Ovest esploratori. Il americano inpadre Jacques contrando diMarquette verse comunità raggiunse con amerinde i cui una spedizione territori erano nel 1673 la parte ancora poco settentrionale conosciuti dai del fiume bianchi. Padre Mississippi Nicolas Point (1799-1968), artista dilettante, durante alcune spedizioni realizzò acquarelli e bozzetti che descrivono la vita quotidiana di queste antiche culture all’alba di grandi cambiamenti. Le relazioni di viaggio e di missione di diversi gesuiti si rivelano essere preziose testimonianze delle culture originarie e delle terre vergini. Durante le grandi ondate migratorie negli Stati Uniti e in Canada, soprattutto nell’Ottocento, i gesuiti, talvolta espulsi dai loro stessi Paesi, accompagnarono questo spostamento ingente di popolazioni. Nella provincia canadese dell’Ontario si contano a decine le parrocchie fondate da gesuiti al seguito dell’avanzata della ferrovia. Negli Stati Uniti alcuni gesuiti hanno accompagnato questo movimento verso l’Ovest e le nuove frontiere. Alcuni gesuiti piemontesi, ad esempio, hanno posto le basi della presenza della Compagnia in California alla metà dell’Ottocento. Dopo la seconda guerra mondiale, quando la cortina di ferro divideva l’Europa, gesuiti dei Paesi comunisti hanno accompagnato i loro compatrioti nell’esilio nordamericano, fondando parrocchie «etniche» per sostenere la loro fede e la loro cultura. AMERINDI, UN RAPPORTO PRIVILEGIATO L’impatto della missione dei gesuiti in America del Nord ha lasciato una traccia nella toponimia del continente, nei nomi di parrocchie, istituzioni, come pure nei nomi di strade, città, villaggi, regioni e perfino luoghi naturali. Da Sant’Ignazio di Loyola a Charlevoix o De Smet, passando per i martiri nordamericani (Brébeuf, Jogues, Garnier, Lallemant…), il Priest’s Lake (in Idaho) o le devozioni predilette dai gesuiti (Loreto, Sainte-Foy, Sainte-Marie), un vasto ricamo di ispirazione gesuita ricopre il Canada e gli Stati Uniti, memoria di una presenza importante. Il contatto dei gesuiti con le diverse nazioni autoctone presenti nell’America del Nord si inscrive in una lunga tradizione. Quei missionari impararono dagli amerindi ad ad- domesticare e a esplorare questo nuovo continente e suoi rigidi inverni, sia con le racchette che con la canoa! Hanno presentato la fede cattolica a questi popoli raccogliendo la testimonianza delle loro culture e tradizioni. In tal modo dizionari delle lingue autoctone (algonchino, outaouais, urone, ojibwé, irochese, ecc.) che i missionari europei avevano compilato per aiutare i nuovi arrivati a imparare gli idiomi locali sono diventati oggi risorse su cui le comunità amerinde si appoggiano per ritrovare le loro lingue d’origine. le parole dI papa FRANCESCO C hi lavora con i giovani non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio, di un nuovo modo di dire le cose. Oggi Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere inviati. [...] Il compimento del mandato evangelico “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15) si può realizzare con questa chiave ermeneutica spostata nelle periferie esistenziali e geografiche. È il modo più concreto di imitare Gesù, che è andato verso tutte le periferie. Gesù è andato verso tutti, proprio tutti. Io non mi sentirei affatto inquieto andando verso la periferia: non sentitevi inquieti nel rivolgervi a chiunque. [...] Mi vengono in mente le straordinarie avventure del gesuita spagnolo Segundo Llorente, tenace e contemplativo missionario in Alaska, che non solo ha imparato la lingua, ma che ha appreso il pensiero concreto della sua gente. Inculturare il carisma, dunque, è fondamentale, e questo non significa mai relativizzarlo. Non dobbiamo rendere il carisma rigido e uniforme. Quando noi uniformiamo le nostre culture, allora uccidiamo il carisma. Dal colloquio di Papa Francesco con i Superiori generali, 27 novembre 2013. 48 Popoli giugno-luglio 2014 Da Ignazio a Francesco/6 Washington (Usa): la Georgetown University, fondata dai gesuiti nel 1789. Gli uroni e i mohawk sono state le prime nazioni amerinde con cui è stata scritta la storia dei missionari. Jean de Brébeuf, Isaac Jogues e i loro compagni hanno subito il martirio a metà del Seicento, chi per mano di mohawk, nemici degli uroni che stavano evangelizzando, chi per mano di dissidenti. Dopo una quindicina di anni di evangelizzazione gli uroni, violentemente braccati dai loro nemici, lasciarono la missione di Santa Maria tra gli uroni (oggi Midland, foto in basso), dopo la morte di Brébeuf, accompagnati da alcuni gesuiti, e si recarono nella capitale della colonia, Québec, dove vivono ancora oggi. Ma quegli sforzi dei missionari non furono vani poiché frutti di santità sono maturati tra gli amerindi convertiti. Ad esempio, una giovane mohawk, Kateri Tekakwitha (1657-1680), scelse di lasciare il suo villaggio natale e unirsi a una missione, Kahnawake, fondata vicino a Montréal dai gesuiti sotto la protezione di Francesco Saverio. Desiderava poter vivere pienamente la sua fede. Kateri morì giovanissima dopo una vita di carità, castità e santità. È stata canonizzata da Benedetto XVI nel 2012 ed è la prima santa indigena dell’America del Nord. Nei secoli seguenti i gesuiti hanno continuato nei loro sforzi missionari. Oggi diversi di loro prestano servizio in comunità autoctone nell’isola Manitoulin, in Ontario, nel Midwest degli Usa - dove operano in diverse parrocchie -, come pure in Alaska. 1753 ed era stato testimone, durante della città, ma in conformità con la sua formazione in Europa, della la loro tradizione per la quale non soppressione dell’Ordine. Di ritorno accettano questo genere di onore, i nel suo Paese natale, si assicurò che gesuiti avevano piuttosto spinto per il gruppo dei vecchi gesuiti potes- la nomina di un loro ex alunno al se proseguire nella sua collegio di La Flèche. missione ecclesiale in Durante le Monsignor Laval arrivò modo strutturato. Nel grandi ondate a Québec nel 1659, fa1805, quando la Com- migratorie negli cendo della chiesa prinpagnia fu in parte rico- Stati Uniti e in cipale della città, di cui stituita, ottenne l’auto- Canada, aveva la responsabilità rizzazione perché i suoi i gesuiti, talvolta la Compagnia di Gesù, confratelli americani espulsi dai loro una parrocchia, poi la potessero nuovamen- stessi Paesi, sua cattedrale. Egli si te pronunciare i propri accompagnarono ispirò al modello misvoti religiosi. Essendo le nuove sionario dei gesuiti per nel frattempo diventato popolazioni stabilire un’associaziovescovo, egli non poté ne di preti che sarebfarne parte. bero stati mobili, dato Molto vicino alla capiche il territorio della tale federale, a Georgetown, John diocesi era immenso e poco popolaCarroll aveva fondato un collegio, to. Si appoggiò ai gesuiti anche per che di primo acchito aveva voluto assicurare la formazione dei futuri affidare ai gesuiti. Oggi è l’Univer- sacerdoti del seminario di Québec. sità Georgetown, il più antico ateneo gesuita degli Stati Uniti e la prima I SUCCESSI NELL’EDUCAZIONE istituzione cattolica del Paese. Quando si guarda al lavoro dei geL’onore di essere il primo vescovo suiti oggi nell’America del Nord, è a nord del Messico tocca però a evidente l’importanza del ministero François de Laval (1623-1708), ca- educativo. Diverse decine di scuole nonizzato nell’aprile 2014 da papa secondarie e università di qualità Francesco. Al momento della nomi- sono gestite dalla Compagnia. Nel na di monsignor de Laval, i gesuiti 1635 fu fondato il primo istituto formavano il gruppo principale di scolastico a nord del Messico, un preti a Québec. Si era pensato di anno prima della fondazione del fare di un gesuita il primo vescovo collegio di Harvard College, il colIl sito storico della missione di Santa Maria tra gli uroni (Ontario, Canada). IL PRIMO ATENEO In Canada come negli Stati Uniti i gesuiti furono dei pionieri della Chiesa locale. John Carroll (17351815), nominato vescovo di Baltimora nel 1789, fu il primo vescovo cattolico degli Stati Uniti. Figlio di una famiglia benestante (suo cugino Charles Carroll fu l’unico firmatario cattolico della Dichiarazione d’indipendenza americana), John era entrato nella Compagnia di Gesù nel giugno-luglio 2014 Popoli 49 storia Studenti della scuola Cristo Rey di Minneapolis (Usa). legio dei gesuiti di Québec. Questa scuola formò per più di un secolo la gioventù della Nuova Francia. Interruppe la sua missione, sostituito in questo dal seminario di Québec, a seguito della cessione della Nuova Francia all’Inghilterra nel 1763. In Canada l’attività educativa dei gesuiti riprese dopo il loro ritorno con la fondazione del collegio Sainte-Marie nel 1848 a Montréal, la prima di una serie di istituzioni di questo tipo. Negli Usa la crescita concomitante dei gesuiti e della popolazione cattolica a partire dalla metà dell’Ottocento portò con sé la creazione di parecchie scuole secondarie e università. Poiché il cattolicesimo era stato emarginato in diversi Stati, i gesuiti svolsero un ruolo pionieristico nella creazione di università dalla solida identità cattoQuando si guarda lica. A fronte al lavoro dei di un insegnagesuiti oggi mento univernell’America del sitario segnato Nord, è evidente dal protestanl’importanza tesimo e nel del ministero quadro di una educativo in Chiesa in pieno decine di scuole sviluppo, ma secondarie e ancora strutuniversità turalmente fragile, i gesuiti americani sposarono la causa della formazione universitaria con notevole successo. All’Università Georgetown, si aggiunsero l’Università St. Louis nel 1832, la Fordham a New York nel 1841, l’Università di San Francisco nel 1859, il Boston College nel 1863, la Creighton a Omaha nel 1879, la Marquette a Milwaukee nel 1881 e altre ancora a Chicago, Detroit, New Orleans, Santa Clara, Los Angeles, Seattle, ecc. Fatto unico nella storia della Compagnia di Gesù, la rete di istruzione accademica conta oggi negli Usa 28 università i cui studenti e laureati sono centinaia di migliaia. 50 Popoli giugno-luglio 2014 NON SOLO ÉLITE L’impegno nell’istruzione dei gesuiti nordamericani non si è tuttavia limitato a studenti della classe media o superiore. Di fronte alle difficoltà scolastiche vissute dalle popolazioni urbane emarginate, composte in gran parte da immigrati ispanofoni o da afroamericani, due iniziative innovatrici hanno visto la luce nel XX secolo. Nel 1971 veniva aperta la scuola elementare Nativity a New York per servire con una pedagogia adatta la popolazione sfavorita del Low East Side e dare l’opportunità a quei ragazzi di integrarsi meglio nella società. L’interesse suscitato da questa iniziativa portò alla creazione, a partire dagli anni Ottanta, di una decina di scuole «Nativity» ispirate a quel modello. Sulla stessa scia, a Chicago, i gesuiti hanno sviluppato un modello di scuola secondaria che unisce un preciso piano di studi ed esperienza di lavoro in impresa. Nel 1996 ha aperto i battenti la prima scuola secondaria «Cristo Rey» , subito seguita da altre. Queste iniziative arricchiscono la grande tradizione educativa dei gesuiti, integrando nella loro missione la promozione della giustizia sociale, così come la collaborazione con altri religiosi e laici. La Compagnia di Gesù ha conosciuto in terra nordamericana uno sviluppo prodigioso tra l’Ottocento e il Novecento, dopo un XVII secolo eroico. Pur in un contesto dove il cattolicesimo era minoritario e non godeva di un sostegno statale, gli Stati Uniti arrivarono ad avere per parecchi decenni il contingente nazionale di gesuiti più consistente al mondo. Ai missionari europei sono seguiti grandi nomi nordamericani di influenza internazionale, tra cui i teologi John Curtney Murray, Avery Dulles o Bernard Lonergan, mezzi di comunicazione influenti, come la rivista America, grandi università, parrocchie, centri spirituali, opere sociali. Come segno di riconoscimento del ruolo storico dei gesuiti nell’America del Nord, si possono visitare a Washington, presso il National Statuary Hall, due statue di gesuiti selezionate da alcuni Stati americani: Eusebio Kino per l’Arizona e Jacques Marquette per il Wisconsin. Il padre Marquette è stato anche scelto, in compagnia di Jean de Brébeuf, tra i 22 personaggi storici che adornano la facciata dell’Hôtel du Parlement di Québec. Sono silenziosi testimoni della storia della missione nordamericana dei figli di Ignazio di Loyola. * Gesuita del Canada francofono La serie «Da Ignazio a Francesco» è iniziata nel numero di gennaio di Popoli e continuerà per tutto il 2014. Da Ignazio a Francesco/6 Gesuiti oggi Michael Schultheis Enrico Casale l’assoluta mancanza di politici preparati). l Sud Sudan è lo Stato più gio- Consapevoli di questa necessità, vane dell’Africa. L’indipendenza già nel 2007 i vescovi cattolici inufficiale dal Sudan è stata ot- cominciano a pensare a strutture tenuta il 9 luglio 2011 a seguito di educative che formino i giovani del un referendum, ma già prima della nascente Sud Sudan. L’idea è quella formale secessione da Karthoum la di creare una università cattolica a società civile ha iniziato a lavorare Juba (quella che poi sarebbe divenper costruire dalle fondamenta una tata la capitale del nuovo Stato) con nazione uscita distrutta da due facoltà umanistiche e scientifiche. guerre civili che hanno causato Il progetto viene presentato al mimigliaia di morti. Mancavano (e nistero dell’Educazione, Scienza e mancano) le infrastrutture: ponti, Tecnologia di Karthoum, che nel strade, uffici pubblici, ecc. Erano 2008 dà il suo assenso. Il primo quasi inesistenti (e lo sono tutto- corso prende il via nel settembre ra) i sistemi sanitario e scolasti- 2008 con 45 studenti che frequenco. Ma, soprattutto, era necessario tano le lezioni della facoltà di Arti creare una classe dirigente slegata e Scienze sociali. E quattro anni dalle dinamiche etniche e in gra- dopo, il 5 ottobre 2012, 25 di loro ricevono il diploma di do di guidare il Paese laurea. attraverso una politica Dietro la nascita Dietro la nascita di attenta alla redistribu- dell’università questa istituzione c’è zione delle ricchezze del Sud Sudan Michael Schultheis. derivanti dalle risorse c’è Michael Gesuita statunitense, petrolifere (la nuova Schultheis. 82 82 anni, economista guerra civile scoppia- anni, gesuita di formazione, è stato ta nel 2013 confermerà nato negli Usa, I economista di formazione, dagli anni Settanta lavora in Africa responsabile del Center of Concern di Washington, un think tank cattolico per lo sviluppo internazionale. Dagli anni Settanta lavora in Africa prima nell’ambito del Jesuit Refugee Service e poi come docente. Insegna in Tanzania, Uganda, Mozambico e Malawi. Nel 2002 viene nominato rettore dell’Università cattolica del Ghana. Nel 2007 è inviato in Sudan e gli viene affidato il progetto dell’Università cattolica del Sudan. «In realtà spiega padre Schultheis -, l’Università cattolica è un sogno che, per anni, è stato rimandato. La Conferenza episcopale del Sudan avrebbe voluto creare l’ateneo già nel 1956, al momento dell’indipendenza del Paese dalla Gran Bretagna. Nel 1983 l’allora presidente del Sudan, Jaafar Nimeiri, parlò di questo a papa Giovanni Paolo II durante la sua visita a Roma». Oggi l’università è una realtà. Alla prima sede di Juba, se n’è aggiunta una seconda a Wau e alla prima facoltà si è aggiunta quella di Agraria e Scienze ambientali. «Al quinto anno accademico - continua Schultheis - si sono iscritti a Juba 582 studenti (dei quali 183 ragazze) e 180 a Wau (dei quali 29 ragazze). Un dato positivo che segna un incremento del 50% nelle iscrizioni rispetto al 2012». Nonostante la guerra civile scoppiata nel dicembre 2013 abbia causato la morte di almeno quattro studenti e abbia costretto almeno cento di essi a lasciare il Paese per rifugiarsi all’estero, padre Schultheis, che a maggio si è trasferito in Nigeria per seguire un altro progetto educativo, spera che il progetto non si fermi. «Il conflitto non fermerà l’università - conclude -, appena possibile verranno ampliate le strutture a Juba e a Wau. C’è inoltre un progetto per dar vita a una facoltà di Ingegneria a Wau e una Scuola di alti studi (inizialmente in Economia) a Juba». giugno-luglio 2014 Popoli 51 www.jsn.it Cambiare è possibile L’ associazione Figli in Famiglia è nata nel 1983 a Napoli nel quartiere San Giovanni a Teduccio che, con i quartieri Barra e Ponticelli, forma la VI Municipalità, tristemente famosa come «triangolo della morte». Si occupa di recuperare famiglie e minori in grave disagio sociale. Il nostro sforzo è quello di rendere gli utenti protagonisti e responsabili del loro futuro. Le ricadute positive sono evidenti soprattutto nei giovani che scelgono di restare e divenire loro stessi educatori di altri. Ecco alcune storie di questi ragazzi, protagonisti del cambiamento, raccontate in prima persona. Maria, 26 anni - Ho cominciato a frequentare l’associazione quando avevo 6 anni. In un quartiere dove non c’è niente se non desolazione, povertà e degrado, trovare una realtà che si occupa di giovani è veramente una fortuna. Ho cominciato con il doposcuola e i laboratori, poi ci ho preso gusto e non mi sono più allontanata, al punto che ho deciso di fare l’educatrice e oggi collaboro con coloro che una volta erano i miei educatori. Il contatto con Figli in Famiglia ha segnato la mia vita e quella di tanti altri, le ricadute positive per il territorio sono evidentissime: penso all’abbattimento del tasso di abbandono scolastico, alla diminuzione di minori che commettono reati, all’eliminazione del fenomeno del lavoro minorile, soprattutto all’accresciuta gioia di vivere, al senso 52 Popoli giugno-luglio 2014 di accoglienza e condivisione che sempre più si diffondono tra gli abitanti di San Giovanni a Teduccio. Non voglio dire che in questo quartiere non esistono più problemi, ma sicuramente abbiamo imboccato la buona strada e l’altissimo numero di persone che frequenta i nostri locali quotidianamente ne è la dimostrazione. Il nostro segreto? L’amore. Abbiamo sperimentato che l’amore di Cristo, vissuto e incarnato, trasforma le persone. Gaetano 22 anni - Io vedo l’associazione come una comunità che avvolge e coinvolge. Una comunità che interviene sulle difficoltà nelle quali ognuno può trovarsi. Nella mia vita l’associazione ha inciso notevolmente sulla formazione culturale e sulle mie scelte. Mi ha aiutato e tuttora mi aiuta a discernere i miei obiettivi di vita. Il metodo utilizzato dagli educatori, il coinvolgimento nelle decisioni, la responsabilizzazione, ci hanno consentito di crescere e di accrescere il senso di autostima permettendoci di affrontare la vita con strumenti e risorse che altrimenti non avremmo mai scoperto in noi. Sono contento di aver incontrato sulla mia strada Figli in Famiglia, di cui oggi orgogliosamente faccio parte. Guardandomi intorno vedo con tenerezza e soddisfazione che le nuove generazioni ripercorrono i nostri passi relazionandosi con noi come noi facevano con i nostri educatori. Raffaele 23 anni - Il contatto con Figli in Famiglia ha significato per MATILUBA Crescere nel «triangolo della morte», a Napoli, non è facile. Un'associazione legata ai gesuiti, da trent'anni aiuta bambini, ragazzi e famiglie a diventare protagonisti del cambiamento L'EUROPA A NAPOLI L a Social Week (o Settimana sociale) è un incontro fra gesuiti, collaboratori e volontari impegnati nel settore sociale legati alla Compagnia di Gesù in tutta Europa. La terza edizione, dopo quelle del 2007 e 2010, si svolge a Napoli, dal 24 al 28 giugno, con il titolo Volontariato e Bene comune - Impegnarsi per una cittadinanza attiva. Tre giorni di dibattiti, condivisioni e workshop di approfondimento (temi dei gruppi di discussione: povertà in Europa, ecologia e risorse naturali, migrazioni, solidarietà Internazionale). Info e iscrizioni: [email protected] me nascere a nuova vita. Ho avuto un percorso di sofferenza in seguito alla morte prematura di mio padre e l’incontro con l’associazione mi ha aiutato a uscire dal tunnel. Ho imparato a relazionarmi con gli altri e questo ha generato in me un cambiamento che mi ha fatto acquistare sicurezza. Oggi sono inserito nel laboratorio di cucina dell’Oasi e sto imparando a cucinare aprendomi nuove possibilità: sto imparando un mestiere e mi sento finalmente utile a qualcuno e questo mi fa sentire felice. Con i miei amici sto imparando a trovare le cose positive, pur nelle sofferenze che la vita ci riserva. Carmela Manco Presidente di Figli in Famiglia www.centroastalli.it Se lo scafista è un bambino I l teatro è bellissimo: blu come un sottomarino, come lo hanno voluto i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Bicocca, a Catania, un sottomarino perduto dentro un mare profondo. Il resto del mondo lontano e dimenticato. Elvira Iovino del Centro Astalli chiede ai giovani detenuti: «Sapete cos’è il cuntu siciliano? Avete mai sentito le storie antiche che raccontavano i cuntisti?». Una rappresentazione teatrale per i minori del carcere Bicocca è una delle più recenti occasioni di incontro e confronto che il Centro Astalli della città ha voluto per tanti giovani «che del mondo hanno conosciuto solo la faccia cattiva». Da undici anni a Catania il Centro Astalli fornisce assistenza ai detenuti nell’Istituto penale minorile. I volontari che visitano periodicamente il carcere sono otto, tra cui un mediatore culturale di lingua araba e un criminologo. «Ai detenuti diamo essenzialmente un sostegno morale e materiale - spiega Iovino -, come farebbe la famiglia che, ovviamente, per i detenuti stranieri, è quasi sempre nell’impossibilità di effettuare visite. Teniamo i contatti con parenti lontani, con gli av- Spazzate via da trafficanti senza scrupoli e da famiglie talmente povere e disperate che non hanno la forza e la voglia di capire. Il Centro Astalli Catania li inconvocati, seguiamo le problematiche tra in carcere dove scontano una connesse ai permessi di soggiorno pena con l’imputazione gravissima o le richieste di asilo, molto spesso di traffico di esseri umani. Alcuni scadute nel corso della detenzione». hanno solo 14 anni e sono spaventaIn quel teatro tutto blu, ti, increduli, condannaè entrato un cuntista, La sezione ti ad anni di detenzione antico cantastorie della di Catania lontano dalla famiglia. tradizione siciliana, che del Centro Sono uno dei tanti «efper una sera ha parlato Astalli incontra fetti collaterali» della di posti lontani, di ma- e aiuta minori mancanza di canali re, di viaggi, di naufra- detenuti in umanitari sicuri e leciti gi. Ha parlato di loro, di carcere per chiedere asilo in quei ragazzini di 15 o per condanne Italia. Il viaggio verso legate al traffico 16 anni che si trovano di esseri umani. l’Europa non lo pagano. in carcere, per conto di Ma anch’essi È questo il loro comqualcun altro. penso per mettersi alla sono vittime Tra i detenuti del carguida di un gommone. cere minorile, continua Conoscono il mare: alla volontaria, «seguiacuni sono nati in piccomo numerosi scafisti. Ragazzini le isole egiziane che vivono di pesca. che guidano gommoni carichi di Al mare li hanno abituati i loro disperati. I trafficanti convincono padri. Certamente non avevano in le famiglie con la promessa dell’El- mente questo quando li portavano, dorado. Di un futuro ricco e felice». da bambini, sulle loro barche. Li condannano al carcere. Nell’ul- E così Elvira Iovino racconta di ratimo tratto di mare dall’Africa alla gazzi muti e commossi davanti a un Sicilia, comandano loro. Si credono cuntista siciliano che parla di tonni, uomini, si sentono potenti, governa- di gabbie e di quanto può essere no le correnti, comandano su uomi- profondo e scuro il mare. ni e donne più grandi. Invincibili. Fondazione Astalli E invece in un mare troppo grande La foto non si riferisce sono come barche di carta al vento. ai soggetti descritti nell’articolo Rifugiati in Italia: bilancio 2013 L o scorso anno i migranti forzati che sono sbarcati sulle coste italiane sono stati 42.925. La maggior parte di loro (37.258) sono stati soccorsi in mare, ma numerose sono state anche le vittime dei viaggi: solo nel naufragio del 3 ottobre 2013 hanno perso la vita 366 eritrei. Il principale Paese di provenienza è la Siria con 11.307 persone. Seguono l’Eritrea, la Somalia e l’Egitto. Gli arrivi nei primi tre mesi del 2014 sono decuplicati rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Nel solo mese di gennaio sono arrivate altre 2.156 persone. I rifugiati in Italia alla fine del 2012 erano 64.779. L’Italia non ha mai potuto contare su un sistema nazionale per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati unitario, integrato e commisurato ai flussi di arrivo. I posti oggi a disposizione, pure recentemente aumentati, continuano a essere largamente insufficienti e le misure mancano ancora di uniformità e coordinamento. Le giugno-luglio 2014 Popoli prospettive di integrazione per un rifugiato in Italia restano, anche 53 per questo, ancora troppo incerte. www.amo-fme.org Quando la fede si fa cammino Pellegrinaggi per giovani e adulti nella «Terra del Santo», non convenzionali, in ricerca di approfondimento. Il senso spiegato da due gesuiti che ne sono guide Z aino in spalla e Bibbia in mano, sono tre le proposte di pellegrinaggi dell’associazione Amici del Medio oriente (Amo) in Israele e Palestina nella prossima estate: due rivolte ai giovani, con uno stile spartano, sacco a pelo e cambusa al seguito; una terza rivolta agli adulti, centrata esclusivamente su Gerusalemme (vedi box). Secoli fa come oggi, cosa spinge un uomo o una donna a mettersi in cammino verso la Terra Santa? «Personalmente preferisco l’espressione “Terra del Santo” - dice Paolo Bizzeti, gesuita, fondatore di Amo -. Infatti, non è la terra che è santa… Significherebbe ritornare a una concezione religiosa pagana. Come racconta san Bernardino da Siena in una omelia, il vero fine del pellegrinaggio non consiste nel vedere i luoghi ma, attraverso l’incontro con i luoghi teatro delle vicende bibliche, maturare un affidamento della propria vita a Dio». Attenzione però: non è così semplice ITINERARI IN MEDIO ORIENTE 27 luglio-13 agosto - Per giovani sotto i 32 anni. Dal mar Rosso al mar Morto, dalla valle del Giordano alla Galilea, fino a Gerusalemme. 15-31 agosto - Stessi destinatari e stesso percorso. 23-30 agosto - Per adulti, il percorso Terra e Parola 2014 ha per tema «Gerusalemme: storia, mistero, profezia». Per informazioni: www.amo-fme.org/it/attivita/itinerari-in-mo 54 Popoli giugno-luglio 2014 e automatico, avverte padre Bizzeti: «Non possiamo nasconderci che da sempre i pellegrini sono stati tentati dalla venerazione delle pietre, spinti a esaurire il senso del pellegrinaggio in qualche emozione e nel sasso raccolto in loco ed esposto nel salotto di casa. Oggi poi è forte il rischio del tour de force: un’ansia frenetica di visitare tanti più luoghi possibili in pochi giorni - e di scattare altrettante fotografie con cellulari e tablet a ogni piè sospinto. Alla fine l'effetto è alienante e faticoso, non di graduale e profonda immersione nel Mistero che si contempla nei luoghi». Luoghi, tra l’altro, spesso lontani e contrastanti rispetto alle aspettative iniziali… Per questo, ad agosto, sarà riservato un tempo stanziale a Gerusalemme proprio per approfondire la Parola, nel silenzio e nella calma, da ricercare in questa unica e inesauribile città. Sulla stessa linea si pone Francesco Cavallini, gesuita che da dodici anni è guida per gruppi di giovani nelle terre bibliche. «Potremmo dividere i giovani pellegrini in due categorie osserva -: quelli che hanno già un buon cammino di fede alle spalle e sentono il bisogno di approfondire la relazione con il Signore e quelli, magari lontani da tempo da frequentazioni ecclesiali, ma comunque in ricerca e desiderosi di riscoprire il messaggio di Gesù con un approccio diverso rispetto a quello della loro storia passata. La nostra proposta si compone di alcuni ingredienti fon- damentali: semplicità, condivisione, immersione nella natura con un pizzico di avventura e molto tempo dedicato alla meditazione dei testi biblici. Cerchiamo di creare il clima e il contesto adeguati che aiutino a scoprire come la storia della salvezza si relazioni alla vita quotidiana di ciascuno». Padre Cavallini ha riscontrato questi desideri soprattutto nei giovani di età compresa tra i 25 e i 35 anni. «In generale posso dire che il pellegrino Amo non cerca un itinerario convenzionale, in cui tutto è già prestabilito nel dettaglio, ma si affida e si lascia sorprendere, cercando un approfondimento appassionato, sia della pagina che della terra biblica, nonché l’incontro con i popoli e le culture che la abitano. Riguardo a quest’ultimo aspetto, poi, non sono pochi quelli che sono ritornati coltivando l’impegno e il servizio in favore delle “pietre vive”». Tutti questi ingredienti permettono al pellegrinaggio Amo di essere uno strumento per continuare il cammino anche al rientro a casa. Elisa Costanzo A cura della Redazione e di Anna Casanova @casanovanna Per segnalazioni scrivi a [email protected] Carta Canta Io donna e lo sguardo glocal 59 Tre domande a... Cécile Kyenge 58 61 Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti Musica La tromba magica di Ibrahim Maalouf 60 Cinema Giraffada Sapori&saperi Il mondo perduto degli eschimesi 62 66 64 Inter@gire Presta attenzione Benvivere Banca etica guarda al crowdfunding 56 56 57 68 58 Leggere Novità La libreria Odradek (Roma) Sul comodino di... Guido Dotti Carta canta Io donna e lo sguardo glocal Tre domande a... Cécile Kyenge Guardare Cinema Giraffada Docu Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica Osservatorio L’Unione europea nell’informazione Tv Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti Ascoltare Musica La tromba magica di Ibrahim Maalouf Hit Argentina Strumenti Agogo On Air Radio Onda d’Urto Gustare Sapori&saperi Il mondo perduto degli eschimesi Verso Expo 2015 Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia Retrogusto Vietnamonamour (Milano) Sorseggi Vino di kiwi Inter@gire Presta attenzione Decode Un futuro fai-da-te Benvivere Banca etica guarda al crowdfunding Ecojesuits I gesuiti canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne Graphic journalism Le lettere di Hilda Dajč/6 62 65 66 59 63 61 65 63 65 68 60 62 64 69 66 68 60 61 Leggere novità In Koli Jean Bofane Matematica congolese Che cos’è la matematica? Solo un freddo susseguirsi di numeri, operazioni, teoremi? E a che cosa può servire in un continente come l’Africa dove i bisogni primari delle persone non sempre sono soddisfatti e l’astrazione dei calcoli può apparire unicamente come un esercizio sterile di appassionati fuori dalla realtà? Ed è proprio come un eccentrico che gli amici di Kinshasa vedono Célio Matemona, soprannominato Matematik, il protagonista di questo romanzo. Quel suo affannarsi tra derivate, equazioni e teoremi è stravagante in un mondo di diseredati e orfani. Ma un giorno Célio viene assunto da un oscuro ufficio che lavora per la presidenza e si occupa di manipolare l’informazione. Lì si rende conto di quale strumento potente può diventare la matematica e decide di utilizzarlo al meglio: non per servire il potere, ma per combatterlo. Con questo romanzo, l’A., uno scrittore congolese che vive in Belgio, ha vinto il Grand prix littéraire d’Afrique noir e il Prix Jean Muno. [66thand2nd, 2014, pp. 245, euro 17] Elena Dak La carovana del sale I tuareg sono i veri padroni del deserto. Ne conoscono ogni angolo 56 Popoli giugno-luglio 2014 e si orientano tra le dune e le pietraie meglio dei marinai in mezzo all’oceano. Da secoli attraversano le terre arroventate dal sole seguendo unicamente il loro istinto e le flebili tracce delle piste. Sui commerci nel deserto hanno creato la loro leggenda e la loro fortuna. Ancora oggi i tuareg del Nord del Niger attraversano, con centinaia di dromedari, il temibile Ténéré verso le saline e le oasi di Bilma e di Falchi per andare a rifornirsi di sale e datteri, che poi scambieranno con il miglio prodotto dalle popolazioni del Sud. L’A., che lavora come guida turistica, ha voluto seguire i tuareg nei loro spostamenti. Per lei è stata un’avventura durissima sotto il profilo fisico, ma affascinante sotto l’aspetto culturale. In questo libro racconta gli incontri umani intensi e gli spettacoli naturali unici che il viaggio le ha riservato. [Corbaccio, 2013, pp. 160, euro 18,60] Sonia Grieco Abbiamo stretto molte mani. Venti anni nelle emergenze umanitarie Venti anni in prima linea nelle emergenze del Sud del mondo, spesso in Paesi facilmente dimenticati, dalla Somalia allo Yemen, dal Sud Sudan al Congo, oltre a quelli più noti come il Kosovo, l’Iraq e l’Afghanistan. Intersos ripercorre il lavoro svolto in 35 Paesi la libreria D iverse librerie indipendenti stanno aderendo all’iniziativa #librosospeso che, sulla falsariga del «caffè sospeso» napoletano, invita i lettori a comprare un libro in più e lasciarlo «sospeso», cioè in regalo a chi lo chiedesse. Una delle librerie che ha aderito è Odradek di Roma (il nome si rifà all’oggetto misterioso protagonista di un racconto di Kafka), parte della catena omonima che ha negozi anche a Milano, Pomezia e Tuscania. Un libro lasciato «in sospeso» innesca un circuito virtuoso di lettura più del bookcrossing (libri che vengono distribuiti gratuitamente e per i quali, grazie a un codice, è possibile risalire a chi li ha letti). Libreria alternativa, dove puoi trovare volumi che danno voce a popolazioni oppresse e sfruttate, alle letterature africana, asiatica, sudamericana e a opere di piccole case editrici, Odradek è attenta anche ai temi ambientali: oltre a far uso di borse di mais biodegradabili al 100%, promuove, nel suo spazio «Più salute meno chimica», prodotti biologici: dai detersivi ai pannolini. È inoltre un centro di promozione culturale con un laboratorio per bambini, incontri su tematiche quali l’uso consapevole delle risorse energetiche, seminari di musica etnica e teatro. Info: www.odradek.it ODRADEK - Via dei Banchi Vecchi 57, Roma attraverso i suoi operatori umanitari che si fanno protagonisti diretti di questo libro, descrivono esperienze, motivazioni, impegno e ostacoli. Ma il racconto va oltre e diventa occasione per riflettere su che cosa è mutato e che cosa rimane costante nell’impegno umanitario. «Gli interventi hanno dovuto adattarsi al mondo che cambia», osserva Nino Sergi che di Intersos è il fondatore, sottolineando l’importanza di essere neutrali e imparziali di fronte ai conflitti. E sul campo l’Ong, che è partner delle principali agenzie e istituzioni Onu ed europee, ha imparato la necessità di «riannodare i fili del tessuto sociale» nelle ricostruzioni post-conflitto. [Carocci 2013, p. 192, euro 19,50] Frère Jean-Pierre, Nicolas Ballet Lo spirito di Tibhirine Nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 sette monaci trappisti furono sequestrati nel loro monastero presso Tibhirine, in Algeria, e vennero uccisi il 21 maggio seguente. Erano gli anni della guerra civile algerina che vedeva contrapposti i fondamentalisti musulmani e uno Stato che aveva annullato le elezioni vinte dalle formazioni islamiste. Un conflitto senza quartiere, segnato da una violenza inaudita da entrambe le parti. I sette monaci furono vittime di questa furia cieca che togliendo loro la vita intendeva sopprimere anche quel messaggio di speranza e di dialogo che i religiosi testimoniavano. Quello spirito, in realtà, non è morto. L’A. di questo libro, un giornalista francese, ha incontrato l’unico monaco, ormai novantenne, sopravvissuto alla strage e con lui ha ricostruito i giorni del rapimento restituendo il senso di quello che ormai è chiamato lo «spirito di Tibhirine», una vocazione all’incontro e alla fratellanza così importante in un tempo in cui prevale la logica dello «scontro delle civiltà». [Paoline, 2014, pp. 172, euro 14] Sul comodino di... Guido Dotti Congar, Francesco e la via della povertà C Monaco di Bose, esperto di questioni ecumeniche, Guido Dotti è membro del Comitato di consulenza editoriale di Popoli. on il primo Papa della storia che ha assunto il nome di Francesco vi sono alcune istanze evangeliche e conciliari che ritrovano slancio nella vita ecclesiale. Vi è in particolare un passaggio della costituzione Lumen gentium - finora mai citato nei documenti del magistero - che conosce oggi un’inedita centralità: «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza« (LG 8,3). La «stessa via» intrapresa da Cristo è quella della povertà che, secondo il Concilio, non è soltanto una virtù privata a cui esortare i fedeli, ma criterio ermeneutico per cogliere in verità il mistero dell’incarnazione e annunciarlo nell’amore. Questa convinzione teologica così presente, almeno in alcuni ambienti, ai tempi del Vaticano II emerge con chiarezza e lucidità rare dal saggio che il domenicano Yves Congar volle offrire Per una Chiesa serva e povera (Edizioni Qiqajon, 2014, pp. 170, euro 16, con una nuova traduzione e in appendice il Patto delle catacombe, assente nella prima edizione). Forse i tempi non erano maturi: nel 1963, quando uscì il libro in francese, Congar era appena stato riabilitato dagli «esilii» in cui l’aveva relegato il Sant’Uffizio e la sua nomina a cardinale arriverà solo trent’anni dopo. Sta di fatto che l’edizione italiana sfumerà il titolo in un più discreto Povertà e servizio nella Chiesa e il presbitero che tradusse il testo si firmerà prudentemente solo con le iniziali. E pensare che pochi anni dopo il traduttore e curatore Massimo Giustetti sarebbe diventato vescovo... Ma il poter rileggere oggi quelle pagine - assieme al Patto delle catacombe che alcuni vescovi siglarono durante il Concilio per dare concretezza alla riflessione sulla povertà di Cristo e della Chiesa - offre una ventata di freschezza spirituale che ci riporta al cuore del messaggio evangelico. È ancora Lumen gentium a ricordarci che «come Cristo è stato inviato dal Padre a dare la buona novella ai poveri [...] così pure la Chiesa [...] riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente» (LG 8,3). Padre Congar traduce questa dimensione rivelativa dapprima in una convincente analisi della «gerarchia come servizio» attraverso le fonti bibliche e il percorso storico e, successivamente, in una serrata disanima dei «titoli e onori nella Chiesa». L’insieme dell’opera costituisce un’anticipazione profetica del ministero petrino di Francesco e un monito decisivo: sulla povertà della Chiesa si gioca la credibilità dell’annuncio evangelico. giugno-luglio 2014 Popoli 57 Leggere CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana Io donna e lo sguardo glocal Anselmo Palini Marianella García Villas L’ analisi di questo mese è dedicata a Io donna, femminile del Corriere della Sera, di cui abbiamo considerato i numeri distribuiti sabato 5, 9 e 26 aprile. Il settimanale è suddiviso in otto sezioni: all’editoriale e ai pezzi d’apertura seguono «Mondo Io donna», «Io guardo/ascolto», «Io assaporo», «Io sfioro», «Io cambio», «Io scopro/scelgo». Si tratta di parti autonome, ma accomunate dall’obiettivo di offrire al lettore una varietà di proposte sensoriali che lo rendano protagonista di un’esperienza piacevole. Al pari di Vanity Fair (cfr Popoli n. 5/2014), anche Io donna si distingue per il ruolo centrale attribuito alle immagini a livello quantitativo e qualitativo. Gli articoli sono spesso accompagnati da servizi fotografici realizzati ad hoc oppure nascono da reportage o mostre in corso, come il servizio Gaza Felix (5 aprile), tratto dal lavoro «Occupied pleasures» esposto a Firenze durante il festival «Middle East Now». La pubblicità occupa una percentuale rilevante di pagine (44%), mentre lo spazio riservato all’«altro» raggiunge il 19%, concentrandosi soprattutto nella sezione «Io guardo/ascolto». Le immagini non offrono una rappresentazione stereotipata della realtà, ma trasfigurata. È quanto emerge dal pezzo Tutti per (la) terra (19 aprile) che la redazione, in occasione della Giornata mondiale della Terra, affida allo scrittore Andrea Bajani chiedendogli di «esorcizzare la catastrofe» e «sintonizzarsi sul futuro». Diversamente dai bambini descritti dall’autore, che guardano «il buio dritto negli occhi», le fotografie non rappresentano il «mondo capovolto» dei nostri giorni, ma appagano gli occhi del lettore. Le immagini si presentano quindi come il corrispettivo iconografico degli adulti di Bajani che «hanno perso la capacità di stare davanti a una cosa troppo più grande di loro, e hanno guadagnato quella di risolvere tutto trasformando la paura in una pratica da risolvere». Più in generale, all’interno degli articoli, l’«estero» è visto da una prospettiva determinata che, in questo caso, coincide con quella dell’«io-donna» che dà il titolo alla testata e, al tempo stesso, rappresenta l’interlocutore ideale del settimanale. È uno sguardo che osserva lo «straniero» da Occidente cercando di metterlo a fuoco, senza distacco, ma da una distanza che lo rende accettabile e narrabile. Come suggerisce l’occhiello del pezzo In Cina la ruota (degli esposti) gira troppo veloce (26 aprile), si tratta di una prospettiva «glocal» che legge il dato internazionale in relazione al contesto locale: l’abbandono dei minori in Cina «è vietato, come da noi. Ma succede come da noi». Diversamente, nella rubrica Est/Ovest firmata da Franco Venturini, il confronto tra Oriente e Occidente ha un taglio più internazionale. È il caso dell’articolo Il pennello e la bomba (5 aprile) che offre una sintesi efficace dell’inasprimento dei divieti e dei controlli a Teheran in risposta alla politica nucleare del presidente Rouhani. Il punto di vista glocal torna invece nella sezione conclusiva «Io scopro/ scelgo» dove, all’interno della rubrica «Vivere meglio», il rapporto tra noi e l’«altro» si risolve in un invito all’azione per aiutare chi si trova in difficoltà. Il 19 aprile troviamo la maratona Running for Kids organizzata da Terre des hommes, mentre il 26 aprile è la volta della campagna Giro fights for Oxfam per «illustrare e finanziare i progetti di sviluppo rurale e di aiuto all’imprenditoria femminile […] in molti Paesi del Sud del mondo». Elvio Schiocchet e Paola Gelatti 58 Popoli giugno-luglio 2014 «Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi»: così, nel sottotitolo e nella Prefazione, Raniero La Valle definisce Marianella García Villas, 34enne, salvadoregna uccisa nel 1983: alla ricostruzione della sua figura - poco conosciuta in Italia Palini dedica meritoriamente questo saggio. Presidente della Commissione per i diritti umani, convinta promotrice della non violenza, collaboratrice di mons. Oscar Romero, Marianella venne uccisa tre anni dopo il vescovo. La sua «colpa», avere denunciato in modo troppo esplicito le connivenze o addirittura le dirette responsabilità della giunta militare nel clima di violenza instauratosi con lo scoppio della guerra civile: uccisioni di sacerdoti, catechisti, contadini, sparizioni di oppositori politici, minacce agli attivisti per i diritti umani. Marianella aveva anche indagato sugli incidenti avvenuti il giorno dei funerali di Romero, quando in una piazza affollatissima l’esplosione di una bomba e i tumulti successivi provocarono almeno 30 morti. [Ave, 2014, pp. 265, euro 12] Cristoforo Spinella Pezzi di turchi Non è semplice raccontare «una nazione complessa come poche», quel ponte sospeso tra Europa e Asia, mosaico di identità e contaminazioni che chiamiamo Turchia. L’A. lo fa ricomponendone frammenti, con ta- glio giornalistico, ma senza inseguire semplificazioni. Inquadra, nella prima parte, grandi questioni attuali o della storia recente turca - il rapporto con l’Europa, la minoranza curda, il velo delle donne musulmane, ecc. -, e incontra, nella seconda parte dedicata a interviste, testimoni importanti delle realtà esaminate, spesso esponenti delle diverse minoranze. Questi incontri «a viva voce» offrono uno spaccato delle dinamiche, apparentemente contraddittorie, della storia turca recente. Chiude con un’appendice dedicata alle convulsioni di piazza Taksim, snodo politico del futuro. [Editori Riuniti 2013, p. 208, euro 13] Gianpaolo Trevisi Fogli di via. Racconti di un Vice Questore L’immigrazione vista da una prospettiva insolita, ma quanto mai concreta: quella di un ex Vice Questore della Polizia di Stato e dirigente dell’Ufficio immigrazione di Verona, oggi direttore della Scuola di Polizia di Peschiera del Garda (Vr). Dopo la prima fortunata edizione, Trevisi - origini romane e penna brillante aggiunge qui nuove storie, forse non sempre vere ma certo verosimili, e ci fa incontrare la stessa variopinta umanità che lui ha avuto modo di avvicinare in tanti anni di lavoro sul campo: dai bambini nomadi da sgomberare agli egiziani «clandestini» da riaccompagnare al Cairo in aereo, dalle ragazze nigeriane ai bambini cinesi. Il tutto narrato senza buonismi, ma con la virtù - che segnala anche Gad Lerner nella Prefazione - di «sapersi mettere nei panni degli altri». Virtù essenziale tanto per uno scrittore quanto per un poliziotto. [Emi, 2014, pp. 188, euro 12] Cécile Kyenge «Un’Europa più unita favorisce l’integrazione» I l giorno della partenza per l’Italia sua madre le disse: «Cécile, non tornare finché non trovi ciò che stai cercando. Vai avanti e non voltarti indietro». Quelle parole materne Cécile Kyenge le ha sempre portate nel cuore e nella mente. Da allora sono passati trent’anni e Cécile è sempre andata avanti, nonostante tutto. Ha portato avanti con determinazione il suo progetto di vita: si è laureata in Medicina a Roma (voleva fare il medico fin da bambina), specializzata in Oculistica a Modena, dove poi ha vissuto con suo marito e le due figlie, si è impegnata nella società civile fino a diventare ministro dell’Integrazione (dal 28 aprile 2013 fino al 22 febbraio 2014). La sua è una storia d’integrazione riuscita, anche se sul suo percorso ha trovato non pochi ostacoli, difficoltà, pregiudizi, come racconta nel suo libro Ho sognato una strada (Piemme, 2014, pp. 160, euro 14) in cui, oltre a raccontarsi, sfata molti pregiudizi che circolano sui migranti e rimarca le sue convinzioni su gestione delle marginalità sociali, forza del meticciato, fragilità delle «porte d’Europa», sfide dell’integrazione. Nel suo libro descrive l’integrazione come un processo che avviene in tre fasi: adeguamento, interazione, perfezionamento. Nella fase di adeguamento sono importanti le figure di riferimento che trova nel Paese che li ospita. Quando lei è arrivata nel 1983 in Italia, quali sono state le figure di riferimento? Solitamente nel processo migratorio i migranti hanno come punti di riferimento la loro comunità, un parente, un familiare da cui andare, che li può aiutare. Il mio è stato un percorso atipico in quanto al mio arrivo in Italia non avevo nessuno e sono stata aiutata da un sacerdote e poi da una suora laica. Ho trovato una rete cattolica di accoglienza, ma assolutamente improvvisata. Spesso, ancora oggi, l’assistenza ai migranti è così. Invece penso che andrebbe resa sistema. Non un fai-da-te, ma un welfare di comunità generativo che includa istituzioni, associazioni, nuclei familiari sul territorio. Lei sostiene che per un migrante è fondamentale non rimanere sospeso tra il Paese di provenienza e il Paese ospitante, ma che «deve sapersi radicare nel Paese in cui decide di vivere». Di che cosa ha bisogno il migrante per radicarsi? Penso che un passaggio fondamentale sia acquisire la cittadinanza del Paese ospitante, un atto che però non deve essere solo formale, ma sostanziale. Spesso per il migrante non è un passaggio facile, perché si ha paura di «tradire» il proprio Paese d’origine, si sviluppa un senso di colpa che ti perseguita. Ma superato questo senso di colpa, se nel Paese in cui si vive ci si trova bene, è giusto che si possa acquisire la cittadinanza. Arrivare a chiedere la cittadinanza implica non solo un ragionamento di convenienza, ma anche un percorso spirituale interiore del migrante, di accettazione di una propria identità multipla. Io l’ho chiesta (l’ha ottenuta nel 1997, ndr) perché ero e sono innamorata dell’Italia, ma non dimentico il Congo, il mio Paese d’origine. E poi con la cittadinanza il migrante può partecipare alla politica. Per me l’impegno civico e politico è stato molto importante per radicarmi. Le ennesime morti di migranti nel Mediterraneo hanno rimarcato l’insufficienza dell’operazione Mare Nostrum e l’immobilismo dell’Europa. Come si può colmare questo vuoto a livello europeo nella gestione dei flussi migratori? È necessaria una politica estera europea vera e forte, con una gestione comunitaria centrale dei flussi migratori che porti anche a uniformare le leggi sulla materia. Bisogna stipulare accordi con i Paesi di provenienza e istituire corridoi umanitari che eviterebbero viaggi pericolosi. Bisogna poi rivedere il Regolamento di Dublino (obbliga a tenere sul proprio territorio i rifugiati che lì giungono e il richiedente asilo può fare domanda d’asilo solo nello Stato dove ha messo piede per la prima volta, ndr) in modo tale che le frontiere italiane diventino europee e un migrante possa scegliere dove vivere in Europa. giugno-luglio 2014 Popoli 59 Guardare Giraffada Una giraffa nell’intifada: tra Israele e Palestina una favola moderna di pace, guerra, confini, differenze e sentimenti capaci di superarle G li spari si fanno assordanti nella quiete di uno zoo poco frequentato. Le vite umane recintate, divise, in tensione sembrano quasi senza libertà, rinchiuse come bestie in gabbia. Il veterinario Yacine (Saleh Bakri) vive in Palestina con il figlio Ziad (Ahmed Bayatra), orfano di madre, al confine con i territori della West Bank, a pochi passi dal muro che divide dai coloni israeliani. Yacine lavora per lo zoo della zona, dove Ziad si prende cura di una coppia di giraffe. Una notte, durante un attacco israeliano, la giraffa maschio impazzisce, va a sbattere contro la recinzione e muore. La femmina si ritrova così sola, senza più voglia di vivere e non si lascia nutrire. Lo stesso Ziad sconvolto scappa di casa e viene ri- trovato soltanto dopo una lunga notte di ricerche, proibite perché si svolgono durante il coprifuoco. Quando Yacine scopre che la giraffa superstite è incinta decide di trovarle un nuovo compagno. La sola soluzione sembra rubare una giraffa dallo zoo di Haifa, con l’aiuto di una reporter francese (Laure de Clermont) e di un amico israeliano (Roschdy Zem). L’opera prima di Rani Massalha è dichiaratamente una fiaba moderna che unisce elementi di commedia a dramma, realtà e surrealismo. Ambisce candidamente a farsi invito alla pace, denunciare la violenza e il sangue sul confine attraverso l’apologo ecologista e animalista, citando poesie orientali e Noè (di questi tempi va per la maggiore al cine- Docu A una delle artiste sudamericane più intense e significative è dedicato questo documentario, uscito nel 50º anniversario del Manifiesto del nuevo canconiero. Mercedes Sosa, scomparsa nel 2009, era stata tra i protagonisti di quella esperienza musicale e letteraria che ha segnato la musica del Continente. Il film è un viaggio intimo nella vita della cantante, con la testimonianza di tanti, amici e artisti internazionali, che l’hanno conosciuta. Un racconto di arte e impegno per la libertà e i diritti civili, segnata dall’esperienza della dittatura e dell’esilio in Europa. Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica Regia di Rodrigo H. Vila Argentina 2013 Durata: 90’ Lingua: spagnolo (sottotitoli in inglese) 60 Popoli giugno-luglio 2014 ma). Purtroppo il risultato finale non sempre è efficace, incerto proprio tra metafora e realismo, muri disumani e gabbie di docili animali. Le parti più suggestive sono quelle in cui l’impasto tra registri diversi riesce in maniera meno programmatica ed è spiazzante: la giraffa libera che nel finale attraversa un varco nel muro ed entra in Palestina con le proprie zampe, beffando ogni soldato. Sono intense le scene in cui il padre cerca il figlio nel buio notturno, tra gli spari e i controlli infiniti e kafkiani. I personaggi purtroppo riescono raramente ad appassionarci davvero (l’eccezione è il buffo venditore di noccioline, causa di disturbi intestinali alle povere scimmie). La reporter francese è stata doppiata con un italiano in stile ispettore Clouseau e questo non aiuta. Ma l’aspetto più discutibile e ingenuo del film è quello di rappresentare tutti - ma proprio tutti gli israeliani (con la sola eccezione del buon Yoahv) come brutti, cattivi, antipatici, tonti e sempre armati (soldati e civili). In un tentativo di pace serio e per scuotere tutte le coscienze sarebbe stata forse utile una forma narrativa un po’ meno manichea. Il film è incredibilmente ispirato a fatti realmente accaduti nel 2003, durante la seconda Intifada (di qui il titolo-crasi tra giraffa e intifada). Ha ottenuto recensioni molto positive un po’ in tutto il mondo e, a sorpresa, anche dall’americano Variety. Nelle note del pressbook si cita la poesia La capra di Umberto Saba, che in una capra aveva visto specchiarsi la sofferenza umana: l’animale era descritto dal «volto semita» ed evocava la tragedia della Shoah. In Giraffada, lo sguardo dell’animale che soffre coincide con quello del popolo palestinese. Quello che manca, però, al film è proprio la capacità di inquadrare quello sguardo in maniera profonda, sotto la superficie fiabesca. Luca Barnabé L’Unione europea nell’informazione Tv I l 22-25 maggio scorsi si è votato per il rinnovo del Parlamento europeo in tutti i 28 Paesi della Ue. Qual è l’informazione sull’Unione veicolata dai media italiani? Da una prima analisi sui dati parziali in periodo di pre-campagna e avvio di campagna elettorale, considerando solo i telegiornali di prima serata (quelli caratterizzati da maggior ascolto) delle Tv generaliste, l’Unione europea, con una media di più di nove servizi al giorno, trova uno spazio pari al 7,6% sul totale delle notizie. Grandi differenze emergono, tuttavia, sul fronte dei numeri, dal confronto tra testate. Il network Rai supera decisamente tutte le testate del gruppo Mediaset, queste ultime sul fondo classifica. Il Tg2 è la testata più «europea», seguita dal Tg3 a pari merito con il TgLa7 e dal Tg1. Primo tra i telegiornali del gruppo Mediaset il Tg5. Anche l’indice di favore/sfavore rispetto all’Unione europea offre qualche elemento di ulteriore spunto. Su tutte le testate prevale il numero di notizie favorevoli all’Europa rispetto a quelle negative e neutre. Sempre su tutte le testate, sono le notizie neutre a prevalere anche su quelle contrarie. Unica eccezione il Tg4 del neo direttore Mario Giordano. «Politica» e «campagna per le elezioni europee» sono al centro delle notizie sull’Europa: la prima presente in 8 servizi su 10, la seconda primo tema dell’agenda europea (72% sul complessivo dei temi relativi alla Ue). Si parla di Europa anche per la crisi in Ucraina, per il controllo dei conti pubblici dei Paesi membri, per l’immigrazione e per la situazione delle carceri in Italia. Stefano Mosti 14 giugno Rimini In occasione di «Mare di Libri. Festival dei ragazzi che leggono», lo spettacolo Viaggiando nel Mediterraneo. Da Ulisse ai migranti di Lampedusa. Teatro degli Atti. www.maredilibri.it 16-20 giugno Palermo Presso Villa Niscemi, mostra fotografica dedicata ai riti sciamanici nel mondo. www.festivaldelviaggio.it Invito a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti I Mondiali di calcio in Brasile, oltre all’entusiasmo per il pallone, ci ricordano un problema che grava su questo Paese come su altri del Sud del mondo: i diritti negati a migliaia di bambini che sono costretti al lavoro minorile o ancor peggio sono vittime di tratta e violenze. Una bella testimonianza di lotta contro gli sfruttatori di bambini-schiavo arriva dallo spettacolo Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti, in scena il 17 giugno a Genova, nell’ambito del Festival Suq. Lo spettacolo racconta la storia di Iqbal, Fatima e Maria, che ogni giorno lavorano sui telai e che, grazie alla forza e creatività di Iqbal, riescono a superare l’angoscia della segregazione dovuta al lavoro, ricorrendo al gioco: una gara a chi inventa i sogni più fantasiosi. Una vicenda di diritti negati, ma anche il racconto di come è possibile sognare un futuro di libertà ed estinguere il micidiale debito contratto con il padrone-sfruttatore. Lo spettacolo si ispira alla storia vera di Iqbal Masih, raccontata nel libro di Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal, ragazzino pakistano che all’età di cinque anni viene venduto per pochi dollari a un trafficante di tappeti, ma che si ribella e riesce a denunciare lo sfruttatore e a liberare altri minori sfruttati come lui. A dodici anni, nel 1995, Iqbal viene assassinato proprio dalle «mafie dei tappeti» e da allora è un simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Per info: www.suqgenova.it giugno-luglio 2014 Popoli 61 Ascoltare La tromba magica di Ibrahim Maalouf Talento smisurato e formazione eclettica fanno del musicista libanese uno degli artisti più apprezzati, non solo nei Paesi arabi È giovane, classe 1980, ma sin dalla più tenera età la musica ha fatto parte della sua vita, vuoi per eredità familiare, vuoi per il suo talento e la sua creatività. Si chiama Ibrahim Maalouf, è nato a Beirut ma, a causa della guerra civile che ha martoriato il suo Paese, da bambino si è trasferito con la famiglia a Parigi. La sua è una famiglia di artisti e intellettuali: il padre Nassim, insegnante di musica e trombettista, la madre Nada, pianista, lo zio Amin, noto scrittore, il nonno Rushdi, giornalista, poeta e musicologo. Ibrahim, seguendo le orme paterne, a soli 7 anni sceglie la tromba come strumento. È proprio il padre - musicista con formazione classica - che lo inizia a questo ottone. Con lui il piccolo Maalouf studia le diverse tecniche così come i più vari repertori: dal classico al moderno fino al contemporaneo oltre, ovviamente, alla musica araba. Il giovane musicista si distingue per il talento precoce: accompagna il padre Hit I brani più venduti a marzo 2014 in Argentina 1 Shot me down David Guetta & Skylar Grey Canzone lanciata nel febbraio 2014 dal produttore francese di house music e disc jockey David Guetta. 2 Selfie 3 Summer The Chainsmokers Duo di New York composto da Andrew Taggart e Alex Pall. Il duo si è costituito nel 2012 ed è diventato famoso con il brano Selfie di quest’anno. Calvin Harris Musicista, cantante, dj scozzese. 62 Popoli giugno-luglio 2014 in tour per l’Europa eseguendo repertori barocchi e facendosi notare. A poco a poco si rende conto che la musica è la sua vita: abbandona quindi gli studi scientifici per dedicarsi a quelli musicali. Negli anni vince premi e concorsi, brucia le tappe della formazione di musicista e diventa insegnante di tromba al conservatorio. Anche qui, però, va oltre: lascia l’insegnamento per divergenze tra la sua visione musicale e quella classica, e si dedica a masterclass (lezioni private) in giro per il mondo. Ibrahim Maalouf ha però una peculiarità: la sua tromba è speciale poiché modificata con l’aggiunta di un quarto pistone che consente di suonare i quarti di tono. Questo strumento è stato inventato dal padre negli anni Sessanta per eseguire le tonalità tipiche della musica araba, che si muove su intervalli inferiori ai semitoni della musica occidentale. Lo stile di Maalouf attinge alla formazione classica, così come al jazz - negli anni si è avvicinato a questo genere, esibendosi in big band e in club -, ma è sempre venato dal languore unico delle note arabe. Musicista, dunque, ma anche valente compositore. Fino a qualche anno fa conosciuto solo ai cultori, Maalouf inizia a far parlare di sé a livello internazionale nel 2011 con l’album Diagnostic. Il suo suono è ricco di influssi e intrecci, frutto delle origini mediorientali, degli studi classici, degli incontri e delle varie collaborazioni: oltre alla tromba, nelle sue esibizioni si avvale di strumenti quali il pianoforte e il sassofono, ma pure del ney, il flauto arabo, del buzuq - versione araba del bouzouki (una sorta di mandolino greco) - e di varie percussioni. Maalouf è presente ai principali festival musicali europei e la critica lo nota e lo segue. Nel 2013 esce l’album che sarà uno spartiacque nella sua carriera: Illusions. Questo disco, che contiene diverse perle tipo Nomade slang, Conspiracy generation, Unfaithful, racchiude l’essenza di Maalouf, che abbina la sua possente tromba ai suoni rock della sua giovane band (sei elementi, compresi chitarra, basso e batteria). Chi pensa che un album strumentale sia difficile da ascoltare, si sbaglia di grosso. Per avere un assaggio è consigliabile guardare il Live at Baby lon di Istanbul, (2013) e si vedrà una folla di giovani che ondeggiano ritmicamente ipnotizzati dal sound maaloufiano. La consacrazione è definitiva quando nel marzo di quest’anno riceve la Victoire per il miglior album di musica tradizionale e straniere, ovvero l’Oscar della musica assegnato in Francia. La sua esibizione quella sera ha del prodigioso: eseguendo True sorry, uno dei suoi brani più vibranti, il carismatico Ibrahim si fa raggiungere sul palco da giovani musicisti con strumenti a fiato e violini, che creano insieme una performance eccezionale. Alessandra Abbona STRUMENTI Agogo L’ agogo è uno strumento a percussione della famiglia degli idiofoni. Originario della Nigeria si è, successivamente, diffuso in Brasile e a Cuba, dove è stato portato dagli schiavi africani. È formato da due o più campane di ferro senza batacchio di grandezze diverse, unite alla base da una connessione che funge anche da impugnatura. Nella maggior parte degli agogo le campane sono due, tre o quattro, in metallo (più raramente in legno). Lo si suona reggendolo in mano e percuotendolo con una bacchetta in legno o in ferro. Il ruolo principale di questo strumento è l’esecuzione di una frase ritmica, che serve a dare il ritmo sul quale si basa l’andamento generale di una danza. Agogo era utilizzato dagli yoruba della Nigeria, che lo consideravano simbolo di potere. Nelle sua funzione originaria veniva impiegato anche per rituali religiosi e queste reminiscenze sono giunte anche nel Nuovo Mondo, dove è entrato a far D parte integrante del candomblé, cerimonia degli schiavi e dei loro discendenti. Oggi lo strumento è molto utilizzato nella capoeira e nel samba. Nella capoeira l’agogo segue il ritmo dell’atabaque (un tamburo) o del pandeiro (una specie di tamburello) e ha un suono più forte e acuto degli altri strumenti. Nel samba l’agogo fa parte della bateria e serve a dare note più acute alla sezione ritmica. L’agogo è stato impiegato anche nella musica rock: David Byrne, leader dei Talking Heads, lo ha usato in diversi album e nei concerti dal vivo. Più recentemente lo si è sentito anche nei dischi degli inglesi Kaiser Chiefs, band indie rock. a.a. aniele Mantovani, trent’anni, una passione per la politica estera, decide di proporre nel 2011 a Radio Onda d’Urto di Brescia C’è crisi, un programma che tratta di politica estera e, in particolare, delle crisi dimenticate. Il progetto piace, il programma viene inserito nel palinsesto e si avvia anche una collaborazione con Medici senza Frontiere. Nella prima stagione era, infatti, previsto un collegamento con gli operatori di Msf che lavoravano in Paesi toccati da crisi politicomilitari. Nel 2012, invece, il filo conduttore non sono stati i Paesi in crisi, ma fenomeni globali che hanno impattato sulla vita dei Paesi extraeuropei. Per esempio, a seguito della Primavera araba per tre mesi si è analizzato il tema del rapporto tra religione e politica (con focus sui Paesi musulmani) oppure si è affrontato il nodo dell’acqua e dell’energia (con focus su Etiopia, Eritrea, Sud Sudan, Egitto) e di come queste risorse vadano a modificare le politiche nazionali e internazionali con ricadute sulle popolazioni. Quest’anno il programma (in onda il sabato dalle ore 13 alle 14) si concentra sui movimenti sociali: si è trattato di Medio Oriente, Nordafrica, Turchia, Libano, Siria, Sudamerica: dagli effetti delle Primavere arabe, alla creazione di nuove generazioni di blogger, alle trasformazioni urbane. In ogni puntata oltre ai collegamenti con esperti e ospiti ci sono due rubriche: «Dall’Osservatorio», in cui s’intervista un collaboratore dell’associazione Osservatorio Iraq; «Libri» in cui si presenta un romanzo o un saggio, preferibilmente collegato all’area geografica oggetto della puntata. Info: cecrisi.radiondadurto.org. Gustare Il mondo perduto degli eschimesi •••••••••••••••••••••••• La ricetta •••••••••••••••••••••••• Il popolo dei ghiacci ha sviluppato una civiltà capace di rendere ospitale la tundra, ma che si sta irrimediabilmente dissolvendo AGOUTUK, il gelato degli eschimesi Agoutuk o akutaq è il «gelato eschimese», una spuma di pesce lavorata con olio o grasso e con aggiunta di bacche. La ricetta yupik (Nord-Ovest dell’Alaska ed Est della Russia) propone di usare olio di foca fresco, ma si hanno ricette con grasso di renna o di caribù. Oggi si preferisce usare l’olio vegetale industriale Crisco. Il pesce va pulito togliendo le interiora, la testa e la coda e poi va fatto bollire per venti minuti. Lasciar raffreddare nell’acqua, togliere le lische e sbriciolare il pesce il più possibile. Aggiungere due cucchiai di Crisco, miscelare e aggiungere altro olio continuando a lavorare finché il composto non diventa spumoso. Aggiungere zucchero e frutti di bosco. Refrigerare e servire gelato. P ochi popoli al mondo sono così ammirati e così sconosciuti come gli eschimesi. A partire dal termine popolare e fantasioso con il quale sono definiti: «mangiatori di carne cruda», che rimanda all’eterna diatriba tra chi sa cuocere il cibo (e, dunque, è «civile») e chi invece, si limita a consumarlo come natura lo offre. O anche «fabbricanti di racchette da neve», nome dato dai vicini incapaci di concepire un popolo che si ostina a vivere in un ambiente così inospitale, tra ghiaccio e sassi. Ambiente nel quale è la pietra, essenziale, nuda, eppure viva a dare l’immagine dell’eternità. Come scrive Onfray: «Prima del tempo, quando non c’è nulla a offrire punti di riferimento, quanto tutto esclude l’archeologia o la genea logia, è l’assoluto trionfo della pietra» (M. Onfray, Estetica del Polo Nord, Ponte alle Grazie, 2011, p. 11). Terre estreme nelle quali solo l’inukshuk, l’immagine megalitica dell’uomo, conforta il viaggiatore che va per mare indicandogli il villaggio dove approdare. Loro, gli inuit, cioè gli «uomini», sono eredi di una lunga storia artistica, testimoniata dalle figurine di osso della Terra di Baffin e dalle complesse maschere yupik che sedussero gli artisti europei. La loro splendida mitologia parla di una divinità, Sedna, dal verso expo 2015 Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia L’ Esposizione universale di Milano si interrogherà sui temi cruciali del cibo e dell’energia. Su questi argomenti Expo 2015 e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli hanno creato Laboratorio Expo, un progetto che organizza eventi, dibattiti e incontri legati alla divulgazione scientifica. Quattro le aree tematiche: agricoltura, sui temi riguardanti la produzione agricola mettendo in risalto l’importanza della sicurezza alimentare; antropologia; si esploreranno le forme della commensalità in una prospettiva interculturale; sviluppo sostenibile, si prenderà in esame la dimensione ambientale intesa come equità nell’accesso alle risorse; sociologia urbana, si metteranno a fuoco le pluralità di modelli che migliorano la qualità della vita delle città. A giugno si svolgeranno un workshop sull’ambiente nell’Università di Milano, uno sul cambiamento climatico alla Fondazione Mattei e un terzo sulla smart governance all’Università Bicocca. A ottobre si terrà un seminario sui suoni della commensalità, cioè sulla dimensione acustica dello stare a tavola. Infine a novembre il sociologo Manuel Castells terrà a Milano una lezione. Il progetto ha creato anche la collana digitale Laboratorio Expo, suddivisa in due sotto-collane: Thesaurus e Keywords (gli e-book possono essere scaricati gratuitamente dal sito www. fondazionefeltrinelli.it). cui sacrificio nacquero i pesci del mare per nutrire gli uomini. Parla di un fratello e una sorella che diventarono il sole e la luna e parla degli animali. Tra questi, la foca, dalla quale si ricava l’essenziale per la vita. E cioè carne, olio per l’illuminazione, pelle per l’abbigliamento o per fare i kayak. Una civiltà, quella eschimese, fragile e bellissima, capace di abitare la tundra e di rendere significativo ogni sasso e ogni insenatura del mare. Una civiltà poco capita e che si dissolse irrimediabilmente all’arrivo dei bianchi. Oggi, a Nunavut, il territorio artico canadese gestito in autonomia dagli inuit, gli eredi dell’antica Thule cercano, attraverso l’arte, di recuperare il senso grandioso e tragico del loro essere custodi di un luogo dove il mondo finisce. Anna Casella Paltrinieri RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro Vietnamonamour I l nome è un chiaro riferimento a Hiroshima mon amour, il romanzo di Marguerite Duras, la scrittrice francese nata in Vietnam. Un accostamento non casuale. Christiane Blanchet, la titolare di Vietnamonamour, ha una storia uguale e contraria a quella della Duras: vietnamita, cresciuta in Francia e trapiantata in Italia. «La mia famiglia - racconta - è originaria di Hai Phong, sulla Baia del Tonchino. Mio padre aveva partecipato come mediatore ai colloqui di pace tra il governo vietnamita e quello francese. Quando Hanoi è diventata indipendente mio padre è stato considerato troppo vicino ai francesi e nel 1958 è stato espulso dal Vietnam. Io sono quindi cresciuta in Francia dove mi sono laurea ta in Storia. In Italia sono arrivata agli inizi degli anni Novanta. Inizialmente ho lavorato come redattrice, poi ho insegnato francese all’Università statale di Milano». La cattedra le assicura un posto fisso, ma lei non è soddisfatta. Vuole ritrovare un rapporto più stretto con il Paese di origine. Inizia così a produrre piccoli oggetti di abbigliamento e oggettistica ispirati alla tradizione vietnamita. Ma ancora non le basta: vuole recuperare il gusto, i sapori, i piatti della cucina del Vietnam. Nel 2006, insieme al marito Dario Arlunno, apre un locale a Milano. «Dario ha condiviso con me questo percorso - osserva -. Ha lasciato la multinazionale farmaceutica per la quale lavorava e ha messo a frutto la sua passione per il vino ereditata dai parenti che da generazioni lo producono. Si è così realizzato un incontro unico tra Oriente e Occidente». La cucina offre piatti a base di farina e noodles di riso e soia. Come le gallette di riso degli involtini per i nem, il banh xeo fatto con la farina di riso e la farcitura vegetariana, il pho servito con noodles di riso. Ma vengono serviti anche la zuppa di carne e di pesce, il bun cha (bocconcini di carne), il cha ca (filetto di branzino all’aneto e curcuma), l’agnello al tamarindo. «Dario - conclude Christiane - ha abbinato 80 vini francesi e italiani ai nostri piatti. Ma ai clienti offriamo anche tè, birra e caffè fatti arrivare direttamente dal Vietnam. I nostri tavoli sono sempre apparecchiati con i bastoncini di bambù, ma spesso le mani sono il metodo migliore per mangiare». VIETNAMONAMOUR Via Alessandro Pestalozza 7, Milano SORSEGGI Vino di kiwi O rmai il termine «kiwi» è associato sempre più alla Nuova Zelanda. A volte gli stessi neozelandesi sono chiamati in senso scherzoso «kiwi». Il riferimento è sia al curioso uccello senza ali che vive nel Paese, sia ai frutti che lì crescono e che da anni ormai sono diffusi anche in Europa (l’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali). La pianta, in realtà, a differenza del piccolo uccello, non è autoctona della Nuova Zelanda. Il frutto è infatti originario della Cina, dove è coltivato da più di 700 anni. All’inizio dell’Ottocento alcuni missionari hanno pensato di esportarlo prima in Gran Bretagna e, poi, in Nuova Zelanda, dove ha attecchito e si è diffuso rapidamente. Inizialmente il frutto veniva chiamato Uva spina cinese, successivamente è stato ribattezzato kiwi. Il kiwi è ricco di vitamine, fibre, potassio, magnesio e rame. Possiede anche proprietà antiossidanti ed enzimi che favoriscono la digestione. In Nuova Zelanda dal frutto si ricavano un vino che si ottiene dalla fermentazione del succo e da un «invecchiamento» di almeno tre mesi nelle botti. Solitamente il vino di kiwi accompagna piatti di carne particolarmente saporiti come agnello, maiale, manzo e cervo. A volte viene accostato anche a ricette di pesce e ai formaggi neozelandesi. Dal kiwi si ottiene anche una grappa, distillando in un alambicco il succo del frutto. 7-8 giugno Bologna «Terra Equa», festival del commercio equo e dell’economia solidale. terraequa.blogspot.com 13-24 luglio Genova Al «Suq Festival» punti di ristorazione con diverse cucine dal mondo. www.suqgenova.it giugno-luglio 2014 Popoli 65 Presta attenzione La rete connette le persone facendo incontrare i bisogni di allevatori, contadini, commercianti del Sud del mondo con microfinanziatori di ogni continente. È la nuova frontiera del crowdfunding A nh Chi Em (sigla Ace) significa «Fratelli e sorelle» in vietnamita ed è un programma di microfinanza creato da una Ong francese, Entrepreneurs du Monde: la sua missione è sostenere persone vulnerabili nei remoti distretti rurali di Dien Bien e Muong Ang, nel nord del Vietnam. Lanciato nel 2007, il programma promuove l’inclusione finanziaria delle donne di etnie marginalizzate e di clienti con gravi problemi socioeconomici. Sono oltre 3.500 le persone che stanno usufruendo di microprestiti con questo programma in tutto il mondo. Oltre ad aver creato questi significativi strumenti finanziari, Ace si adopera per offrire servizi di formazione allo sviluppo degli affari, sviluppo sociale e agricolo, counselling, affiancamento e visite a domicilio. Opera anche con partnership mirate, come quella con Agronomes et Vétérinaires Sans Frontières. Ace ha anche programmi di prevenzione contro Hiv/Aids, per la nutrizione, l’igiene e la gestione dei rifiuti. Nel 2012, oltre 9.500 clienti nel solo Vietnam hanno preso parte alle attività di sviluppo ed educazione sui vari temi proposti. Nella regione di intervento, i tassi di interesse delle banche sono mediamente superiori al 23% annuo, mentre Ace, con gli strumenti della microfinanza, riesce a praticare un tasso del 18%. Sono risparmi che restano nelle tasche dei beneficiari. Il Vietnam ha oltre 90 milioni di abitanti che vivono con un reddito pro capite di circa 4mila dollari annui, reddito cresciuto molto in fretta negli ultimi anni; la cifra che riusciva a guadagnare Sua, una donna di 62 anni della regione agricola di Noong Luong, era di circa un quinto prima dell’incontro con il programma di sviluppo. Sua vive in una famiglia con otto persone, che comprende il marito, la sorella con la figlia, due figli e due nipoti. L’età avanzata non le impedisce di lavorare attivamente sia nella coltivazione del riso sia nell’allevamento di pe- KIVA.ORG Inter@gire sce, maiali e pollame. Dotata di una notevole forza di carattere, è decisa a sviluppare l’attività, così quando ha sentito parlare dei prestiti e dei programmi di formazione di Ace si è subito interessata. E da lì, partendo da una richiesta a un operatore locale e passando per internet, è arrivata fino ai monitor di computer e dispositivi mobili di tutte le persone connesse nel mondo. La piattaforma che ci ha consentito di entrare in contatto con lei, vedere la sua foto, conoscere la sua storia e le sue esigenze, e persino di contribuire a sostenere il suo sviluppo è Kiva.org, un caso di DECODE Un futuro fai-da-te N el cuore di Dakar, tra le botteghe di artigiani e piccoli commercianti, tra un centro sociale e un asilo nido c’è Defko-AkYen, che in italiano suona più o meno come «farlo con gli altri». È un FabLab creato dall’associazione Kër Thiossane, aperto a tutti: residenti e artigiani, artisti, pensatori, hacker, ricercatori, informatici, sviluppatori, designer. Uno spazio di condivisione di know-how e sistemi di produzione che contaminano macchine tradizionali e tecnologie digitali. Qui il concetto di FabLab - ovvero Fabrication Laboratory, l’antro dell’artigiano più innovativo, del maker che crea usando nuove tecnologie digitali e stampanti 3D - acquista un nuovo significato. In un ambiente di condivisione e crescita personale, chiunque può venire a imparare, sperimentare, trasmettere la sua esperienza o semplicemente realizzare qualcosa. A più di nove ore di volo c’è, all’interno della Città della Scienza di Napoli, lo Urban FabLab (www.urbanfablab.it), così lontano e così vicino nelle idee e nello spirito. Proprio qui, infatti, è nato The 66 African project, un progetto nonprofit basato PopoliFabbers giugno-luglio 2014 sull’innovazione che vuole fare interagire le comunità di makers europei e africani attraverso workshop e progetti collaborativi. Dopo una tappa a Marrakech, The African Fabbers project arriva proprio alla Biennale di Dakar nella cornice del festival Afropixel. Qui, dopo una prima fase dedicata a sviluppare il concetto di design di un progetto, utilizzando gli strumenti di progettazione di calcolo e macchine di fabbricazione digitale, si passerà alla realizzazione del progetto stesso, esplorando tecniche di autocostruzione con materiali locali, naturali e riciclati. E non si tratta di un’iniziativa isolata della comunità dei makers. C’è anche VentolOne, che cerca fondi per realizzare un generatore microeolico a basso costo e basso contenuto tecnologico. C’è WasProject, che ispirandosi alla vespa vasaia che depone concentricamente materiale argilloso per costruirsi il nido, sta progettando sistemi per realizzare abitazioni sostenibili nel Sud del mondo. Antonio Sonzini [email protected] successo mondiale di cosiddetto lending crowdfunding. Grazie a questa piattaforma, ognuno può scegliere di finanziare Sua dalla propria scrivania, aiutandola a comprare più pesci e cibo per pesci, incrementare gli affari e migliorare le condizioni della famiglia. E come lei molte altre e molti altri. Per esempio, a diverse migliaia di chilometri di distanza, in Uganda, c’è Florence, una donna con una storia simile e al tempo stesso del tutto diversa. Qui la popolazione è di quasi 36 milioni di abitanti, il reddito medio pro capite di 1.500 dollari annui e l’economia è basata per l’82% sull’agricoltura. Florence vive nella cittadina di Nansana, vicino a Kampala, e vende bibite. Anche lei, come Sua, ha chiesto un prestito (900mila scellini ugandesi, circa 250 euro) che userà per acquistare più bibite e avviare un circolo virtuoso di crescita. Si è rivolta a Brac Uganda, Ong parte di un network internazionale (www.brac. net). Nel suo approccio olistico Brac offre programmi di istruzione, salute, depurazione dell’acqua, agricoltura e microfinanza. Il programma di microfinanziamenti da cui Florence aspira a trarre beneficio è stato studiato per offrire ai poveri accesso in modo facile, affidabile ed efficiente a strumenti finanziari e raggiunge oggi 150mila persone, solo in Uganda. Florence appartiene al gruppo di beneficiarie del programma Empowerment and Livelihood for Adolescents (Ela). Durante l’adolescenza, le ragazze raggiunte dal programma studiano, formano club e giocano insieme, oltre a riunirsi per discutere di problemi e opportunità sociali che le aiutano a essere più consapevoli. Il programma Ela è notevolmente cresciuto dal 2008 e oggi conta oltre mille club che uniscono circa 40mila ragazze in tutto il Paese. Come Sua e Florence ci sono migliaia di altre donne che sono aiutate a sviluppare il proprio potenziale e le attività economiche di cui sono protagoniste grazie a microprestiti e grazie alla rete. Lo studio e l’integrazione di modelli di servizio finanziario sostenibili e realmente centrati sulla persona hanno fatto grandi passi in avanti, andando a raggiungere microimprenditori che sarebbero stati ignorati dal sistema bancario tradizionale. In tutto questo, internet è ancora una volta una leva eccezionale, rendendo possibile l’incontro tra un prestatore seduto nel suo soggiorno di una città italiana e una coltivatrice di riso in zone remote del Vietnam o una commerciante di bevande che vive nelle periferie di una metropoli africana. Giovanni Vannini GooglePlus: +GiovanniVannini @giovvan giugno-luglio 2014 Popoli 67 Benvivere ECOJESUITS I gesuiti canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne «I nvito ogni comunità della Provincia a impegnarsi in una dieta senza carne e senza pesce un giorno alla settimana (...) Oltre ai motivi tradizionali, oggi ne abbiamo uno nuovo per rispolverare la pratica dell’astinenza da carne e pesce: la solidarietà con i poveri del mondo e con un creato devastato». L’invito è stato lanciato, in una lettera ai suoi confratelli, da J. Peter Bisson, superiore della Provincia gesuitica del Canada anglofono. La sua non è una trovata sensazionalistica, ma un’iniziativa che mira a far crescere la sensibilità ecologica nella Compagnia di Gesù. Un’iniziativa che si inserisce in un solco tracciato anni prima da Jim Webb, il predecessore di Bisson. «Padre Webb - è scritto nella lettera - ha avviato un processo di discernimento col- lettivo sul nostro impegno comunitario per l’ecologia (...). Tra i frutti di questo processo sono emerse due raccomandazioni specifiche». La prima è l’istituzione di una commissione per la missione e l’ecologia che è stata creata da padre Bisson con l’intento di «preparare la Provincia ai nuovi modi di percepire, pregare, discernere, pensare e agire appropriati alla dimensione ecologica». La seconda è appunto l’invito a non consumare carne e pesce almeno un giorno a settimana. «La richiesta di carne da parte dei consumatori è diventato un fattore molto significativo nel degrado ambientale. Quindi, quanto da me proposto è un efficace atto di speranza e un passo verso la riconciliazione con i poveri e la terra». Banca etica guarda al crowdfunding Insieme a Produzioni dal Basso ha creato uno spazio per raccogliere fondi per progetti sociali N ell’era dei social media e dell’innovazione tecnologica sta prendendo piede anche in Italia una forma di finanziamento legata al soft power digitale. Si tratta delle piattaforme di crowdfunding che permettono a persone, associazioni ed enti di presentare i loro progetti e cercare i finanziamenti. Una di queste piattaforme è Produzioni dal Basso che dal 2005 ha realizzato 512 progetti con la raccolta di quasi 1,3 milioni di euro. Produzioni dal Basso ha da poco iniziato una collaborazione con Banca Etica che ha come obiettivo l’uso responsabile del denaro dei risparmiatori. È stato così inaugurato un nuovo spazio della Banca popolare etica sulla piattaforma 68 Popoli GIUGNO-LUGLIO 2014 di Produzioni dal Basso. Su questo spazio virtuale le organizzazioni, i soci e i clienti di Banca etica potranno raccogliere fondi attraverso il crowdfunding per realizzare progetti di promozione culturale, sociale e ambientale. È sufficiente che i soci e i clienti di Banca etica contattino una delle filiali dell’istituto per chiedere di poter caricare il loro progetto sulla piattaforma, condividerlo e raccogliere fondi. A metà maggio, sulla piattaforma sono stati caricati due progetti: l’organizzazione del Congresso nazionale di economia sociale che si terrà a Parma dal 20 al 22 giugno nel corso del quale si discuterà di un nuovo modello economico e delle risposte vir- tuose alle contraddizioni dell’economia tradizionale. Per riuscire a organizzare l’evento sono necessari 10mila euro e la quota minima di adesione attraverso il crowdfunding è di 10 euro. L’altro progetto è la creazione della Casa dei beni comuni di Belluno (www. casadeibenicomuni.it). L’iniziativa intende recuperare un’ex caserma per trasformarla in un centro culturale polivalente aperto alla città in cui si organiz- zeranno mostre, esposizioni, incontri teatrali e musicali. Nel centro troveranno posto un piccolo bar, un’officina, una falegnameria, un orto sociale e un piccolo ufficio per la redazione del sito d’informazione indipendente Bellunopiù. Per la ristrutturazione servono 10 mila euro, 10 euro la quota minima di adesione. Per proporre progetti o sostenerli: http://bancaetica. produzionidalbasso.com oppure www.produzionidalbasso.com Graphic journalism “Tutte le speranze di lasciare questo posto svaniscono davanti alla prospettiva ripetitiva di un sopravvivere passivo che non assomiglia in nessun modo alla vita” “Non è ironia della vita. È la sua tragedia più profonda. Possiamo resistere non perché siamo forti, ma unicamente perché non siamo consapevoli in ogni momento della nostra immensa miseria in tutti gli aspetti della nostra vita”. “Siamo qui ormai da nove settimane, e sono ancora in grado, anche se poco, di scrivere e di pensare. Ogni sera, senza eccezione, leggo le tue lettere e quelle di Nada, e questo è l’unico momento in cui sono un’altra, non sono solo un’internata”. 6/ continua Foto: R. CABECINHAS / A. CUNHA Come si chiama quest’isola? 1. Vi si trova una fortezza intitolata a un santo 2. È stata cantata da diversi poeti 3. Ha lo stesso nome del Paese di cui è parte Invia la risposta entro il 31 luglio a [email protected]. Alla quinta risposta esatta vinci un Atlante Geografico Moderno De Agostini 2013/2014 (regolamento su www.popoli.info) La risposta di aprile: Somalia Silvano Fausti S.I. Biblista e scrittore La casa di Lidia, prima Chiesa d’Europa «Venite ad abitare nella mia casa» (leggi Atti 15,3616,15) L a prima Chiesa d’Europa nasce «per caso» ed è tutta al femminile. La corsa della Parola, cominciata a Gerusalemme, raggiunge la Giudea e la Samaria. Dopo l’incontro tra Pietro e Cornelio alcuni ellenisti di Cipro e di Cirene, forse dei mercanti, vanno ad Antiochia ed evangelizzano direttamente i pagani. Questa comunità mista e problematica, campo base dei viaggi di Paolo, fu la causa del «Concilio» di Gerusalemme. Il cristianesimo si è diffuso in Asia Minore, che ha caratteristiche culturali comuni ai giudei. La sete di salvezza e i culti misterici, con relative ricerche di relazione con Dio, facilitano l’annuncio del Vangelo. Sono desideri profondi che basta esplicitare e indirizzare a Cristo. Dopo l’esperienza del primo viaggio, Paolo progetta con cura il secondo: suo compagno sarà Barnaba e meta le comunità fondate, con fondazione di nuove. Tutto è programmato: dove andare, cosa fare, con chi collaborare e a chi rivolgersi. Unica incognita è il tempo di permanenza. Ma Paolo sa che ovunque lo «attendono catene e tribolazioni» (At 20,23): nata una comunità, la persecuzione lo spedisce altrove. Il progetto però non funziona. Barnaba subito divorzia da Paolo. Suo compagno allora sarà Sila, che «per caso» non è tornato a Gerusalemme. La meta cambia: se Barnaba parte con Marco per Cipro, Paolo con Sila devia verso Derbe e Listra per evangelizzare la provincia dell’Asia. Qui incontrano, sempre «per caso», Timoteo, che si aggrega. Attraversano la Frigia e la Galazia, ma lo Spirito Santo, non si sa come, vieta loro di predicare. Allora raggiungono la Misia per andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permette. Quindi scendono a Troade, porta del mare verso la Grecia. Qui un sogno li dirotta verso l’Europa, in Macedonia. A Troade si aggrega pure Luca, autore del Vangelo e degli Atti. La sua presenza, anche se anonima, è chiara: all’improvviso il racconto passa dalla terza persona plurale «essi» al «noi» (cfr At 16,10: «cercammo di partire»). Gli incontri con Sila, Timoteo e 72 Popoli giugno-luglio 2014 Luca saranno determinanti per la nuova missione. L’evangelizzazione è opera di Dio. Egli ostacola i nostri progetti e agisce con gli imprevisti. Il caso è il suo modo abituale di viaggiare in incognito. Non le nostre idee sicure, ma le novità più irritanti svelano la sua volontà. La breve traversata da Troade a Filippi è in realtà il salto dall’Asia all’Europa. Al di là del Bosforo, Paolo e compagni incontrano il mondo greco-romano, un universo culturale e religioso diverso dal loro. Paolo non può usare gli schemi già collaudati con giudei ed ellenisti in Asia. Sperimenta approcci nuovi. Non a caso inizia cercando giudei già radicati sul territorio: hanno familiarità con la mentalità locale. Il loro processo di inculturazione era cominciato presto a causa del commercio, ma anche dell’esilio, della diaspora, del loro zelo per la Parola e - perché no? - della loro curiosità intellettuale. Le traduzioni greche della Bibbia e la scrittura di testi biblici direttamente in greco testimoniano l’intento dei giudei di dialogare con la cultura dominante. Arrivato a Filippi, il quartetto apostolico esce dalla città e va di sabato lungo il fiume. In mancanza d’altro, è un luogo di preghiera adatto per i giudei e le loro abluzioni. Sinagoga è la riva e l’assemblea di sole donne. I quattro uomini siedono e parlano loro del Cristo. Tra le ascoltatrici c’è Lidia, commerciante di porpora di Tiatira. Ascoltando Paolo, il Signore le spalancò il cuore. Lui è già dentro: la Parola lo fa venire alla luce. Lidia si fa battezzare e li «costringe» a entrare in casa sua. La sua casa di donna ospitale è la matrice di tutte le chiese d’Occidente. Questa comunità, non programmata, è la più cara a Paolo (leggi la Lettera ai Filippesi). Il buon seme si spargerà da qui agli estremi confini della Terra. Per riflettere e condividere > Perché Dio sprogramma i nostri programmi? > Perché gli ostacoli? > Che cosa significano l’ospitalità e la donna per la Chiesa?