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giu.-lug. 2014 - N. 6-7
Mare
nostrum
€4
A bordo di una nave
dell’operazione italiana
nel Mediterraneo
sri lanka
Viaggio nell’isola
ferita
inchiesta
Fratelli (musulmani)
d’Italia
brasile
Vetrina
Mondiale
editoriale
Stefano Femminis
Direttore di Popoli - [email protected] -
@stefanofemminis
Punto
e a capo
Il 28 giugno di 100 anni fa, a Sarajevo, l’assassinio di Francesco Ferdinando
d’Asburgo accese la miccia che, un mese più tardi, portò all’esplosione della
prima guerra mondiale, con il suo fardello di oltre 15 milioni di vittime, tra
soldati e civili. Esattamente trent’anni dopo, il 6 giugno 1944, lo sbarco in
Normandia segnò invece l’inizio della fine del secondo conflitto mondiale.
Terminava la guerra con più morti nella storia dell’umanità (almeno 55
milioni, tra cui le vittime dell’Olocausto), ma ne iniziava un’altra, cosiddetta
«fredda», in realtà anch’essa insanguinata da conflitti regionali e violazioni
dei diritti umani.
Come tutti gli anniversari, anche questi due possono diluirsi in sterili
celebrazioni, con annesse sfilate di potenti, discorsi formali e cene di gala. Ma
possono anche conservare il loro significato autentico: aiutarci a fare memoria
del passato, perpetuare - come esempio o come monito - il ricordo di eventi e
persone che hanno cambiato in bene o in male il corso della storia, riflettere
sugli effetti, a volte epocali, di scelte personali e collettive. Ancora, una
ricorrenza serve a misurare la distanza, non solo cronologica, che ci separa dai
fatti ricordati, a tracciare un bilancio del percorso compiuto.
Guardare all’attualità da questo punto di vista getta nello sconforto. La crisi
esplosa in Ucraina, con le
forti tensioni tra Occidente e
Due importanti anniversari, legati alla prima
Russia, svela il rinascere dei
e alla seconda guerra mondiale, cadono
blocchi contrapposti, con lo
in un momento di grande tensione: la storia
«zar» Vladimir Putin al posto
sembra non avere insegnato nulla
del vecchio nemico sovietico.
E anche in altri contesti rintracciamo logiche che credevamo sconfitte:
anzitutto in Siria, trasformatasi nel ring su cui grandi e medie potenze
esibiscono i propri muscoli; ma pensiamo anche ai numerosi focolai di crisi
in Africa e Asia. Né la comparsa sulla scena mondiale di un nuovo attore
protagonista, la Cina, aiuta a ridurre le tensioni, anzi.
La storia davvero non sembra avere insegnato nulla se, dopo uno o più
secoli, siamo punto e a capo, fermi alle scorciatoie del nazionalismo e del
populismo, alle rivendicazioni etniche e identitarie. Senza dimenticare che
le religioni (l’islam in particolare) spesso funzionano, loro malgrado, come
benzina sul fuoco dei conflitti anziché come fattore di pacificazione.
Mai come in questi casi ci si sente impotenti di fronte a sfide che superano le
nostre forze e probabilmente anche le nostre responsabilità. Eppure, proprio
quella storia così facilmente dimenticata ci mostra quanto le cose avrebbero
potuto (e potrebbero) andare diversamente se si fosse dato ascolto ai profeti
che ogni epoca regala all’umanità: pensiamo a Giovanni XXIII, «fresco» di
canonizzazione, con la sua Pacem in Terris ancora così attuale. Pensiamo,
oggi, a papa Francesco, alla sua rivoluzione nel modo di intendere il potere
e l’autorità, ai suoi ripetuti appelli per la pace (l’ultimo nel recente viaggio
in Terra Santa).
Pensiamo anche al nostro collaboratore padre Paolo Dall’Oglio, uomo del
dialogo e della riconciliazione: ci sembra doveroso farlo, pur nel rispetto del
silenzio chiesto da familiari e autorità, mentre si avvicina un altro anniversario,
quello del suo rapimento in Siria il 29 luglio 2013. Noi speriamo di averlo
presto di nuovo con noi, per costruire insieme un mondo senza guerra.
GIUGNO-LUGLIO 2014 Popoli 1
Punto e a capo
S. Femminis
PICS
CAMMINI DI GIUSTIZIA
Nelle terre estreme
foto B. Zanzottera/ Parallelozero
sommario
n. 6-7 - giugno-luglio 2014
01EDITORIALE
Reportage
Mare nostrum
R. Vinci
Vite sprecate
G. Bondi
22
22Sri Lanka
Viaggio nell’isola ferita
S. Jayasekara
26Angola
Il Paese a due velocità
F. Spinola
29Il profilo
Narendra Modi
F. Pistocchini
IDENTITÀ - DIFFERENZA
Inchiesta
Fratelli (musulmani) d’Italia
E. Casale
34Corea
Una terra comune
R. Tofani
38Brasile
Vetrina Mondiale
B. Barba
In copertina: Lampedusa, un carabiniere osserva le operazioni
di sbarco di un gommone carico di immigrati. (Foto Afp Photo/
Filippo Monteforte)
14
reportage
46
PICS
08
DIALOGO E ANNUNCIO
Cina
Beata amicizia
B. Vermander SJ
44Qatar
Teologia nel Golfo
F. Pistocchini
46Storia
Da Ignazio a Francesco/6
Pionieri del Nuovo mondo
A. Brouillette SJ, E. Casale
RUBRICHE
04Lettere e idee
05Contromano
G. Ferrario
06Multitalia
L’alibi Europa
M. Ambrosini
06Made in China
Vacanze cinesi
E. Zanetti SJ
07La sete di Ismaele
Pellegrini di verità
P. Dall’Oglio SJ
34
07Scusate il disagio
La donna d’altri
G. Poretti
52Jsn/Jrs/Amo
70Postcard
72L’ultima Parola
La casa di Lidia,
prima Chiesa d’Europa
S. Fausti SJ
E tra
inchiesta
30
lettere e idee
CROCIFISSIONI
E DIALOGO
Ho letto delle crocifissioni a cui sono stati sottoposti alcuni cristiani in
Siria. Ho anche letto che
la crocifissione è prevista e ammessa dal Corano. Mi domando: come
si può dialogare con una
religione che consente
queste cose? E soprattutto: che senso ha predicare il dovere di accogliere
e integrare gli islamici
in Italia e in Europa,
quando poi il rischio è di
finire come quei poveri
cristiani siriani?
Carlo Battistini
Milano
SCRIVETECI
Indirizzate le
vostre lettere a:
[email protected]
Redazione Popoli
Piazza San Fedele 4
20121 Milano
02.86352802 (fax)
www.popoli.info
Gli episodi a cui si riferisce il lettore mostrano a
quali livelli di disumanità
e di violenza possa condurre una visione completamente distorta della fede: qualcosa che purtroppo
abbiamo già visto più volte
nella storia.
Va aggiunto, però, che le
crocifissioni avvenute in
Siria hanno un risvolto
politico più che religioso:
tanto è vero che i morti non
erano cristiani (contrariamente a quanto è stato
detto da molti mass media)
ma anch’essi musulmani,
trucidati per essersi opposti allo strapotere delle
milizie fondamentaliste.
Il crimine è orrendo, al di
là dell’appartenenza confessionale delle vittime.
Ma non deve e non può
alimentare chiusure e paura del dialogo. Sarebbe la
vittoria degli integralisti
di ogni fede.
CITTADINI
ADULTI
Sono una cittadina italiana, ma non mi sento tale.
È successo qualcosa nella
mia vita che mi ha fatto
capire come, di fatto, io
non sia cittadina di niente... Da una parte questo
Paese mi ha permesso di
laurearmi, lavorare, farmi
una casa, avere dei figli
(doni-impegni immensi),
dall’altra non ha reso possibile la comprensione di
cose più importanti che
hanno a che fare con la
libertà individuale, la capacità di agire all’unisono
con altri per un futuro
dell’umanità migliore.
Fare parte di un popolo,
sentirsi parte di esso è
un privilegio che credevo
fosse un diritto automatico e che invece forse
è solo acquisibile con il
tempo, e magari quando
non sei più in grado di
esercitarlo... Se l’Europa
non è unita è perché non
sta lavorando abbastanza
su questo, sul fare sentire
Anno di fondazione: 1915
Direttore responsabile
Stefano Femminis
Redazione Enrico Casale, Davide Magni SJ,
Francesco Pistocchini
Segreteria di Redazione
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a casa tutti, parte di qualcosa di grande e importante: piccole tessere di
un puzzle, ma ugualmente importanti. A volte ci
vogliamo sentire qualcosa
di diverso (come se fossimo più tessere contemporaneamente) dimenticando i nostri limiti. Ecco,
forse dovremmo imparare
a essere tessere prima di
essere parte del puzzle,
mentre spesso si ragiona al contrario anche a
scuola: identità sacrificate per altri. Forse solo
alcuni santi, con grande
fatica, sono riusciti a fare
questo: a formare corpi,
anime e spiriti.
Lettera firmata
Il tema della cittadinanza, così come quello
dell’identità personale e
comunitaria, sono davvero la sfida delle sfide
nell’era della globalizzazione. E si portano dietro
questioni altrettanto complesse: l’idea di nazione,
il concetto di cultura, ecc.
Nozioni che si ritenevano
rigidamente definite fino
a poche decine di anni fa,
ora sono completamente messe in discussione
e chiedono di essere ripensate e adattate: pur
con gli scossoni e i rischi
che questo provoca è un
processo che può essere
QUESTO NUMERO
Come ogni anno, in estate
Popoli diventa bimestrale:
questo è il numero di giugno-luglio, seguirà quello
di agosto-settembre. Da
ottobre si ricomincia con
la cadenza mensile.
visto positivamente, come
la tappa di un cammino
verso la ricerca di un modo di vivere e con-vivere
più umano e autentico.
CONTROMANO
di Giuseppe Ferrario
L’ATTICO
DEL CARDINALE
Se la notizia è vera, vi
sembra giusto che il cardinale Tarcisio Bertone
viva in un attico? Non vi
sembra qualcosa che fa
male alla Chiesa?
Sergio Della Rocchetta
[email protected]
Le prime informazioni
pubblicate dai quotidiani
sono state poi parzialmente ridimensionate, e
va detto che l’ex Segretario di Stato sembra diventato il bersaglio preferito
di una certa stampa non
esattamente «amica» del
mondo cattolico. Al netto
di queste precisazioni, le
risposte non possono che
essere «no» alla sua prima domanda e «sì» alla
seconda.
IL VERO
VENEZUELA
Complimenti per il vostro
articolo sul Venezuela,
pubblicato nel numero di
maggio. Considerato che
(da sempre) la Conferenza
episcopale di quel Paese
sta con l’opposizione, non
era facile per una rivista
cattolica pubblicare quel
pezzo, in cui si dà conto
della diversità di posizioni che si registra nella comunità cristiana, in
particolare tra i gesuiti.
P.M.
Torino
ebook
€ 4,49
in vendita su
e su tutte le piattaforme digitali
(Amazon, Kobostore, iBookstore...)
giugno-luglio 2014 Popoli 5
lettere e idee
L’alibi Europa
C
Multitalia
Maurizio Ambrosini
Università di Milano,
direttore della rivista
Mondi migranti
i risiamo. Già nel 2011, all’inizio dei rivolgimenti del mondo arabo, l’allora capo del
governo Silvio Berlusconi aveva parlato di uno «tsunami umano» in arrivo. Esponenti
del suo governo avevano lanciato cifre iperboliche, citando le solite fonti di intelligence,
circa il numero di migranti pronti a salpare verso le coste italiane.
Dopo di allora, l’operazione Mare Nostrum lanciata dal governo italiano a seguito delle
tragedie nel Mediterraneo ha dimostrato che le persone in mare si possono salvare se
si impiegano i mezzi necessari.
Ora però il copione si ripete. La primavera anticipata ha favorito una ripresa delle partenze
e i numeri sono cresciuti sensibilmente, toccando quota 26mila dall’inizio dell’anno a
fine aprile. Tanto è bastato perché si ripartisse con la girandola dei numeri: 700-800mila
rifugiati in arrivo. Per di più, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha lanciato l’allarme
pandemie. Non si sa in base a quali dati epidemiologici: non è dato sapere, per dire, se
e quanti casi di ebola si siano manifestati tra gli sbarcati.
Come al solito, si addossa all’Europa la responsabilità di una scarsa collaborazione.
Vediamo i dati più recenti, forniti dall’Acnur: nel 2013 in Italia si sono registrate 27.800
domande di asilo, meno degli sbarcati (circa 43mila), perché molti anziché presentare
domanda in Italia cercano di raggiungere altri Paesi. Difatti l’Italia, pur denunciando una
crescita relativa delle istanze (+60%), è soltanto sesta in Europa come Paese di accoglienza, dietro Germania (109.600 domande), Francia (60.100), Svezia (54.300), Turchia
(44.800, numero cresciuto molto per la contiguità con la Siria) e Regno Unito (29.200).
Anche nell’Europa orientale si assiste a un notevole aumento dei richiedenti asilo: circa
18mila in Ungheria (contro i 2mila del 2012), 14mila in Polonia, 7mila in Bulgaria.
In definitiva, se vi fosse più solidarietà europea sul dossier rifugiati, difficilmente sarebbe
l’Italia a beneficiarne. Dovremmo piuttosto pensare a una legge organica sull’asilo, a un
miglioramento della seconda accoglienza e dell’integrazione sul territorio, a un sistema di
accoglienza compiutamente europeo, superando le storture del Regolamento di Dublino.
Vacanze cinesi
A
MADE IN CHINA
Emilio Zanetti SJ
Gesuita, lavora al
Kuangchi Program
Service (produzione
televisiva) di Taipei
nche i cinesi vanno in vacanza? Certamente,
come tutti, e forse, recentemente, più di tutti.
Anzitutto, vacanza vuol dire «famiglia». Nella testa
di ogni cinese al primo posto c’è questo valore: in
vacanza si va possibilmente con la famiglia. E di
sicuro ogni anno (questo soprattutto nelle vacanze
invernali del nuovo anno, che sono le più tradizionali e le più sentite) si va nella città o nel villaggio
nativo, dove ci sono gli antenati, dove ci sono le
origini della propria famiglia.
La famiglia per il cinese viene sempre al primo
posto: non suona un po’ «mediterraneo» questo
concetto? Le vacanze sono il tempo per stare con
gli amici ma, soprattutto, con i propri cari. E per rigenerarsi, perché quando si lavora: si lavora! Senza
preoccuparsi troppo degli orari di entrata e di uscita
dalla fabbrica o dall’ufficio.
Per quanto riguarda i viaggi turistici, la Cina è così
grande e bella che molti preferiscono visitarla in
lungo e in largo, ma ormai è già una vecchia notizia
che i cinesi abbiano superato tutti gli altri anche
nel turismo all’estero, tanto da essere l’asset più
ambito per tutti i Paesi che vogliono incrementare
il numero di arrivi e gli introiti nel settore turistico.
6 Popoli giugno-luglio 2014
Dato il boom economico degli ultimi decenni, i cinesi attualmente sono i più numerosi e i più spendaccioni, tanto da meritarsi l’appellativo di «portafogli
ambulanti». Con l’Expo del 2015, per esempio,
Milano spera di superare il milione di arrivi dalla
Cina, cosa che non dovrebbe essere difficile.
Questa ondata cinese all’estero ha creato anche
una letteratura ufficiale, da parte delle autorità,
per presentare una buona faccia della Cina nei
Paesi ospitanti. Poiché spesso, essendo in giro
in gruppi numerosi e pensando di essere sempre
a casa propria o di poter fare quello che vuole,
il turista cinese medio non rispetta l’etichetta, il
ministero del Turismo ha pubblicato due manuali
con le linee guida per il buon comportamento
(rispettare la coda, non sbraitare, lasciare i luoghi
utilizzati puliti come li si era trovati all’arrivo).
Problema risolto. O quasi.
Comunque «meno male che esistono le vacanze mi diceva un giovane padre di famiglia -, soprattutto
perché se posso dire “tra qualche settimana vado
in vacanza” significa che ho un lavoro e posso
mantenere la mia famiglia!». Capito? Gira e rigira
si parla sempre di famiglia.
Pellegrini di verità
Nella speranza di riabbracciare presto padre Paolo, rapito in Siria nel luglio 2013, continuiamo la lettura dei
suoi libri. Qui un brano di Mar Musa. Un monastero, un uomo, un deserto (a cura di G. Montjou, Paoline 2008).
I
l brulichio delle credenze esprime l’amore polisemico, polimorfo e plurale di Dio per gli uomini.
Si dà il caso che io porti il mistero di Gesù di
Nazareth, personalmente e collettivamente (quando celebro l’Eucaristia), e cerco di obbedire allo
Spirito di Gesù che parla in me. Questo mi incoraggia naturalmente ad amare, a valorizzare e a
riconoscere la profezia che anima le culture che
io incontro.
Io ovviamente annuncerò, fino al martirio, se necessario, la Buona Novella dell’amore di Gesù! Ma
so che, di fronte a me, un musulmano annuncerà
con la stessa intensità la Profezia coranica. L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù consiste nell’aiutare ognuno a essere un pellegrino di
verità, non limitarlo all’interno del suo contesto,
valorizzare la sua esperienza di Dio.
Sente il bacio d’amore di Dio sulla fronte, sull’occhio, sulla bocca? Allora abbraccerà il mondo in
un amore senza limiti. Non propongo un’educazione informativa, ma un’educazione performativa.
Il mondo non aspetta che vengano distribuiti dei
fogli che ordinano a ognuno di alzarsi, di sedersi,
di entrare, di uscire... Il mondo ha bisogno di persone iniziate all’esperienza mistica.
In modo collettivo e individuale, bisogna che ognuno senta nel proprio corpo e nel proprio cuore,
grazie a maestri esperti (cioè che hanno fatto
in prima persona questa esperienza), il tocco, il
contatto di Dio. Credo che la bella esperienza
delle Giornate mondiali della Gioventù non basti
a rendere solida e forte la fede dei giovani. Per
consolidarla, bisogna salire sulla montagna insieme a Gesù.
La sete di ismaele
Paolo Dall’Oglio SJ
Gesuita, fondatore della
Comunità monastica
di Deir Mar Musa (Siria)
La donna d’altri
Prosegue la serie di Giacomo Poretti sui Dieci comandamenti. Leggi le puntate precedenti su
www.popoli.info
P
ossibile che tutte le cose che ci piacciono o fanno male o sono vietate?
L’hamburger con ketchup e patatine fritte è considerato food killer; salame dell’Oltrepò
con lardo di Colonnata accompagnati da una Bonarda vivace sono il viatico per l’ictus; una
bella sigaretta dopo il caffè mattutino ingenera più processi di quelli a carico di Berlusconi;
starsene tutto il week end sul divano a guardarsi Sky Sport fa aumentare l’adipe intraaddominale con conseguente pericolo di malattie cardiocircolatorie; bersi una birra gelata
d’estate dopo aver tagliato l’erba del giardino può provocare una congestione; guidare con il
finestrino aperto in primavera può far venire una paresi facciale; giocare per ore al computer
ad Angry Birds può provocare la lesione del tunnel carpale, problemi oculari e rincretinimento permanente; guardare le partite dell’Inter di Thohir può provocare grave depressione.
Signore, nostro Dio, non è che ci stai sopravvalutando? Dove la possiamo trovare tutta
questa forza per scansare il male (e l’adipe intra-addominale)?
Se strizziamo l’occhio a un oggetto placcato oro ti incavoli; se ti evochiamo ogni tanto
perché ci girano le scatole, le tue scatole girano più delle nostre; ammazzare non si può,
e fin qui va bene, ci mancherebbe! Non dico rubare come all’Expo, ma tu ti adiri anche se
rubo La Gazzetta dello Sport del mio socio Aldo (tanto non sa leggere…), non ci consenti
neppure di fornicare un pochino, di dire una mezza balla, e va bene! Ma come fa a venirti
in mente di chiederci di non desiderare la donna degli altri?
Ovviamente spero che valga solo il fatto compiuto, perché se Tu dovessi giudicare anche
dalle intenzioni, chi si salverebbe?
Ho il sospetto che sia una prova grande quella che ci chiedi, Signore. Posso dirti, oltretutto,
che è un po’ scorretto che Tu consenta che fioriscano modelli di uomini attempati che hanno
desiderato e avuto di tutto nella vita: liceali, attrici, nipotine di capi di Stato, prime mogli, seconde mogli, attiviste politiche, animaliste: se appena appena abbozziamo una pallida difesa
della fedeltà coniugale ci fanno sentire dei fessi oppure ci danno degli omosessuali!
Vuoi vedere che è vero quel che si dice di Te: e cioè che se ti si ascolta le gioie che ne
deriveranno sono più grandi di quelle che promette il signore attempato? Ok, ci stiamo! Però
puoi abolire la congestione dopo la birretta gelata?
scusate il disagio
Giacomo Poretti
del trio Aldo, Giovanni
e Giacomo
giugno-luglio 2014 Popoli 7
Nelle terre
estreme
Foto
Bruno Zanzottera/ Parallelozero
In luoghi dove il limite fa parte della quotidianità,
l’uomo stabilisce un rapporto particolare
con la natura e da millenni mostra creatività
e capacità di adattamento per sopravvivere.
Bruno Zanzottera ne ha esplorato con la fotografia
diverse manifestazioni in ogni continente
giugno-Luglio 2014 Popoli 9
Il fotografo
Bruno Zanzottera (Monza, 1957) ha
iniziato a fotografare da ragazzo,
affascinato dal mondo celtico.
Nel 1979 compie il suo primo viaggio
africano, attraversando con una
Peugeot 404 il Sahara fino al Golfo
di Guinea. Da allora l’Africa è stata
meta privilegiata dei suoi reportage
fotografici, anche se non sono mancati
numerosi lavori in Asia e America
latina, dove ha esplorato luoghi e
popolazioni fino alle zone più remote
del pianeta. Nel 2008 ha creato insieme
ad alcuni colleghi l’agenzia fotografica
Parallelozero (www.parallelozero.com).
Collabora con numerose testate italiane
e straniere, tra cui Geo France, Geo
International, National Geographic
Italia, Focus, Bell’Europa. Nel 2014 ha
realizzato il suo primo documentario,
Il Gioco delle perle di vetro.
10 Popoli giugno-Luglio 2014
“
“
Cominciarono a morire i
primi coloni. Alcuni per avere
mangiato frutti sconosciuti,
altri attaccati da febbri
rapide […]. Si sentivano
perduti: in sterile lotta con
la pioggia che a ogni assalto
minacciava di portarsi via la
capanna, con le zanzare che
in ogni pausa dell’acquazzone
attaccavano con ferocia […],
“
“
e infine con gli animali
affamati, che vagavano nella
selva popolandola di suoni
agghiaccianti che impedivano
il sonno. Finché la salvezza
non venne loro con la
comparsa di alcuni uomini
seminudi, dal volto dipinto
di rosso con polpa di bissa e
monili multicolori sul capo
e sulle braccia.
giugno-Luglio 2014 Popoli 11
PIANETA CIBO
Continua nel 2014 il viaggio per immagini dedicate al tema del
cibo nelle sue mille declinazioni: fondamentale (e spesso carente)
sostegno per la vita, occasione per promuovere o negare i diritti
dei lavoratori e dell’ambiente, espressione di identità culturali,
elemento di feste e riti. «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» è
anche il tema dell’Esposizione Universale che si apre a Milano il 1º
maggio 2015 e nella quale anche Popoli è coinvolta, attraverso la
promozione di alcuni eventi.
Con il contributo di:
“
12 Popoli giugno-Luglio 2014
Erano gli shuar che,
impietositi, si avvicinavano
per dare una mano. Da
loro impararono a cacciare,
a pescare, a innalzare
capanne stabili e resistenti
agli uragani, a riconoscere
i frutti commestibili e quelli
velenosi, ma soprattutto,
da loro impararono l’arte di
convivere con la foresta.
“
In collaborazione con:
Dal 2007 la popolazione urbana del mondo ha
superato quella che abita nelle regioni rurali.
Anche se la tendenza pare inarrestabile, un
grande numero di persone continua a vivere
caparbiamente in territori molto difficili, dove
si sono creati delicati equilibri di convivenza
tra l’uomo e la natura. Equilibri fragili, che
significano innanzitutto scarsa disponibilità di
beni essenziali, cibo e acqua. I luoghi di fatica
e sofferenza sono «terre estreme», espressione
che può indicare il limite della sopravvivenza
umana, ma anche la capacità di adattamento
delle persone; si relativizza nelle culture e
nelle tradizioni e modella la fisiologia di chi
le abita. Questi luoghi diventano «normali»
per intere popolazioni che rivelano esempi di
adattamento creativo al deserto, ai ghiacci,
alla foresta. La transumanza dei pastori
peul nel Sahara, il sale strappato dalla terra
rovente della Dancalia, il miele raccolto sugli
alberi dai pigmei in Congo, la cura delle
mandrie in Patagonia, la caccia sui monti
Altai in Mongolia, la pesca nel lago Turkana
(Kenya): le strategie di sopravvivenza si
mettono in pratica da tempi immemorabili in
luoghi reali, ma anche simbolici ed evocativi,
di interazione tra vicende umane e scenari
ambientali in angoli lontani del pianeta.
(Luis Sepúlveda, Il vecchio che leggeva romanzi
d’amore, Guanda, Milano 1996)
“
“
Passata la stagione
delle piogge, gli shuar
li aiutarono a disboscare
alcune pendici,
avvertendoli però che
sarebbe stato tutto vano.
giugno-Luglio 2014 Popoli 13
reportage
Mare
nostrum
Siamo saliti a bordo di una nave dell’operazione
organizzata dal governo italiano, per incontrare
storie e volti delle persone recuperate dai militari
in mezzo al Mediterraneo, spesso in condizioni
disperate. Il racconto e le immagini di quella che
(come racconta l’articolo successivo) è solo una
delle tante tappe di un lungo viaggio
Testi e foto: Romina Vinci
Mar Mediterraneo
«N
on si fermano, stanno scappando, temono
che siamo libici, dobbiamo superarli!»: dalla plancia
della Nave Sirio (una corazza di
14 Popoli giugno-luglio 2014
acciaio lunga 88 metri, uno dei
pattugliatori in forza alla Marina
Italiana), la voce del comandante
Marco Bilardi ha lo stesso ritmo
dei suoi passi rapidi. È il primo
pomeriggio di una grigia giornata
di aprile; nei tre giorni precedenti
l’equipaggio ha soccorso più di 700
naufraghi nel Mediterraneo (poi
accompagnati nei porti di Pozzallo
e Porto Empedocle, rispettivamente in provincia di Ragusa e Agrigento), e adesso ci si prepara a un
nuovo intervento.
L’INSEGUIMENTO
L’imbarcazione da soccorrere è ben
visibile, ma non sembra intenzionata a fermarsi. Ci troviamo a meno
di cento miglia dalle coste libiche, nell’area che Nave Sirio sta
pattugliando da qualche giorno. E
quest’oggi lo fa in direzione sudest. «È sempre meglio venire da
nord, perché altrimenti pensano che
proveniamo dalla Libia e vogliamo
riportarceli», spiega il comandante.
Parte così l’inseguimento: loro a
sinistra, noi sulla loro destra, viaggiamo a circa 20 nodi, bisogna stare attenti alla velocità, e non perder
di vista la loro, altrimenti basta
un’onda anomala generata dal nostro andamento per farli ribaltare.
cammini di giustizia
In queste pagine e nelle due seguenti,
alcuni momenti di un’operazione di
soccorso svolta dai marinai italiani.
UN PACCO DI SPAGHETTI
Dopo meno di dieci minuti li abbiamo raggiunti e superati. Si procede
con la preparazione dell’idrobarca
di sinistra, sarà la prima a raggiungere l’imbarcazione da soccorrere.
Il comandante fa portare a bordo
del gommone a motore un pacco di
spaghetti e una bandiera italiana: potrebbero essere utili da mostrare nel
momento di avvicinamento al barcone, per dimostrare che siamo italiani.
Quattro marinai vanno in avanscoperta sull’idrobarca, in costante
contatto radio con la plancia. Appena arrivati vicino al barcone forniscono un primo resoconto: «Si tratta
più o meno di 200 persone, ci sono
bambini e donne, alcune incinte. C’è
una falla nell’imbarcazione, stanno
già prendendo acqua, ma non sono
fermi, navigano “a lento moto”».
Non c’è tempo da perdere. «Devono
spegnere i motori, o almeno fermare
l’abbrivio, altrimenti non possiamo
soccorrere», risponde dalla plancia
l’ufficiale in seconda, Andrea Scalia.
Segue un silenzio difficile da quantificare in minuti: in realtà sono
pochi, ma dalla plancia sembrano
infiniti. Nuovo messaggio dal gommone: «Adesso sembrano fermi,
possiamo procedere con le manovre. C’è un bambino che ha bisogno
di cure perché sta male». «Diamo
priorità assoluta», replica Bilardi.
I SOCCORSI
Intanto, nella parte posteriore della nave, l’equipaggio è pronto a
ricevere i naufraghi. Una volta saliti a bordo attraverso una scaletta
mobile, dopo i controlli di sicurezza, vengono identificati, censiti, e
infine divisi: donne e bambini fatti
accomodare in un luogo coperto,
gli uomini seduti sul ponte. È un’operazione che dura svariate ore:
l’idrobarca fa viaggi di 15 persone
alla volta, e sulla Sirio si forma
una lunga fila.
Non tutti i naufraghi sono pronti
a collaborare. Le donne eritree, in
particolare, non vogliono farsi fotografare, né lasciare i propri dati.
Scuotono la testa e rimangono ferme nella propria posizione. «Voglio
aspettare che arrivi mio marito
- dice una delle poche che parla in
inglese per temporeggiare -: lui è
ancora sul barcone, ha con sé i nostri documenti». Le altre la imitano.
I marinai cercano di ricompattare
i nuclei familiari, e a poco a poco
le donne diventano più collaborative. Sono spaventate e si sentono
smarrite. Alcune, in gravidanza,
vengono fatte sdraiare e tenute sotto osservazione dal team sanitario
della nave. Molti bambini hanno il
viso scottato dai raggi solari, tanti
uomini sono disidratati e faticano a
reggersi in piedi.
Sono partiti dalle coste libiche da
due giorni, la loro barca aveva iniziato a prendere acqua, molti naufraghi sono bagnati. La maggior
parte delle famiglie sono siriane,
mentre il 90% dei ragazzi che
viaggiano da soli vengono dall’Africa, soprattutto da Mali, Sudan,
Somalia, Eritrea, Nigeria.
L’AMORE NEL DESERTO
Dopo circa tre ore, quando le operazioni di imbarco sono terminate,
Natu può finalmente riabbracciare
la sua Wehazit. Lui 26 anni, lei
14, entrambi
vengono da
Le donne
Asmara. Si soin gravidanza
no conosciuvengono tenute
ti durante il
sotto osservazione,
viaggio, hanmolti bambini
no attraversahanno il viso
to tre deserti,
scottato dal sole,
d a l l’ E r it r e a
tanti uomini sono
al Sudan, dal
disidratati
Sudan all’Ee faticano a
gitto e dall’Ereggersi in piedi
gitto alla Libia: «Quando l’ho vista ho subito
capito che era la donna della mia
vita, dovevo occuparmi di lei, dovevo proteggerla», racconta Natu. Il
viaggio sul barcone è costato 1.400
dollari. Lui ha un fratello che, dopo
aver vissuto in Italia e in Belgio
adesso si è sistemato in Francia,
giugno-luglio 2014 Popoli 15
reportage
ma Natu è diretto in Inghilterra,
perché parla bene inglese: «Voglio
cambiare la mia vita, lavorare duramente per crearmi una famiglia
con Wehazit, e voglio farlo in un
Paese democratico».
LA NOTTE
Il ponte è stracolmo di gente.
Alcuni sono sdraiati, altri seduti vicini, per guadagnare spazio.
Ognuno ha una coperta termica,
pensata per proteggere sia dal
freddo sia dal caldo eccessivi, e
anche per ripararsi dal vento. Un
ragazzo tiene strette le ginocchia
al petto e trema vistosamente.
Ha i vestiti bagnati, ma non ha
indumenti di ricambio perché in
Libia gli hanno rubato la borsa
con le sue poche cose. Si chiama
Youssef, viene dalla Nigeria, e
scappa da un Paese in preda a una
violenza inarrestabile. «Ho visto i
terroristi uccidere alcuni miei cari
come fossero bestie - racconta in
un mix tra inglese e francese -;
sto andando in Italia dove vive
già mio fratello. Non so bene in
quale città, ma ho il suo numero
di telefono, lo chiamerò appena
arrivo a terra. Tra qualche mese
tornerò in Nigeria a prendere mia
madre e mia sorella, devo portarle
in salvo, ma non possono mettersi
in viaggio da sole, la Libia è troppo pericolosa».
La nave intanto viaggia in direzione dell’isola di Lampedusa, il
comandante ha ricevuto la comunicazione che i 200 naufraghi
verranno trasbordati su alcune
motovedette e da lì fatti sbarcare.
All’imbrunire la distribuzione dei
pasti è stata completata, a tutti i
migranti vengono dati cartoni per
potersi sdraiare e riposare. In mare
aperto la notte è fredda, soprattutto allo scoperto.
LA TEMPESTA
Quando avvistiamo la costa di
Lampedusa la mezzanotte è passata da un pezzo, ma all’orizzonte si intravedono lampi che non
fanno presagire nulla di buono.
Si avvicinano le due motovedette,
i naufraghi vengono sistemati in
fila per scendere dalla nave. Nel
momento stesso in cui sta per
iniziare il primo trasbordo, però,
si scatena un violento temporale.
La pioggia è battente, cade an-
MISSIONE UMANITARIA
Dieci aerei e cinque navi in pattugliamento da ottobre
F
ronteggiare l’emergenza umanitaria legata all’arrivo dei migranti dal Nord Africa e assicurare alla giustizia i trafficanti
di uomini: sono questi gli obiettivi di Mare Nostrum, l’operazione organizzata dal governo italiano a partire dall’autunno 2013.
L’iniziativa è stata la prima risposta messa in campo dalle istituzioni italiane dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre,
quando nel naufragio di un barcone morirono 366 persone.
«Mare Nostrum - spiega un portavoce della Marina militare - consiste nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi
migratori già attivo dal 2004 con una nave che incrocia permanentemente nello Stretto di Sicilia e con aerei da pattugliamento marittimo. L’operazione Mare Nostrum ha una duplice
funzione: quella di garantire la salvaguardia della vita in mare
e di assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul
traffico illegale dei migranti».
Il dispositivo vede impiegati mezzi e personale della Marina e
dell’Aeronautica militare oltre a quelli della Guardia di Finanza,
dei Carabinieri, della Capitaneria di Porto e della Polizia. La Marina, in particolare, ha schierato cinque unità navali d’altura,
due elicotteri e un velivolo, mentre l’Aeronautica ha messo a
16 Popoli giugno-luglio 2014
disposizione una decina di aerei e alcuni droni (velivoli senza
pilota a guida remota). La missione si integra con la missione
di pattugliamento Frontex e quella di rilevamento Eurosur. La
prima però di fatto non schiera unità navali nel Canale di Sicilia
e la seconda non ha come compito quello di salvare i naufraghi
o le imbarcazioni in difficoltà.
Secondo calcoli effettuati dal quotidiano economico Il Sole
24 Ore, Mare Nostrum costerebbe a Roma circa 11 milioni
di euro al mese, che gravano interamente sul nostro erario,
anche se l’Italia, a più riprese, ha chiesto all’Ue di condividere
sia le spese sia l’impegno nel pattugliamento. In questi mesi,
l’operazione ha tratto in salvo almeno diecimila persone, suscitando l’elogio dell’Alto commissario delle Nazioni unite per
i rifugiati (Acnur). «Esprimiamo apprezzamento per l’operato
della Marina militare impegnata nell’operazione Mare Nostrum
che costituisce un contributo essenziale per evitare ulteriori
tragedie del mare - ha detto Laurens Jolles, delegato Acnur per
il Sud Europa -. Auspichiamo che altri Stati membri dell’Ue seguano il modello di Mare Nostrum. Non possiamo permettere
ulteriori perdite di vite umane per chi cerca di mettersi in salvo
dalle atrocità della guerra e delle persecuzioni».
Enrico Casale
che qualche chicco di grandine. Il
comandante ferma tutto: «Non ci
sono le condizioni di sicurezza per
trasbordare, dobbiamo sospendere
le operazioni».
Cambiano i piani: sarà la Nave
Sirio a portare i naufraghi a terra,
direzione Porto Empedocle, orario
di arrivo stimato attorno alle 14.
Le motovedette si allontanano senza alcun naufrago a bordo e Sirio
riprende il suo cammino cambiando rotta. La lunga notte dei marinai è appena iniziata.
più attivi c’è Khaled. Parla inglese
fluentemente, si mette a disposizione dei marinai e il suo si rivelerà un prezioso aiuto.
DA DUBAI ALLE BOMBE
Khaled è siriano, ha meno di quarant’anni, è single e ha vissuto otto
anni a Dubai. Lavorava nell’edilizia, aveva un tenore di vita di tutto rispetto. Quando è tornato nel
suo Paese, in Siria, ha trovato una
terra trasformata, lontana anni
luce da quella che aveva lasciato.
«Purtroppo quando un presidente
governa per 30 anni consecutivi,
TAPPETO UMANO
Il temporale va avanti per pa- può fare tutto quello che vuole.
recchie ore, sono più di 150 gli E così succede che una mattina
uomini all’aperto, in balia della si sveglia e decide di ammazzare
pioggia. I marinai decidono di tutti i suoi concittadini, e nessufarli spostare sul ponte coperto: no muove un dito per fermarlo».
uno spazio molto più esiguo, ma Khaled ha provato a vivere per un
almeno al riparo dalle intemperie. po’ nella sua città, Damasco, ma
La collaborazione dei naufraghi è non ce l’ha fatta: «Dovevi convitotale, tutti vengono rapidamente vere con le bombe, ti consideravi
fatti scendere al piano sottostante. sempre un bersaglio, era una siAlle prime luci dell’alba, la scena tuazione insostenibile». Da qui la
è quasi spettrale: una marea di decisione di andare in Libia: «Un
persone riversate le une sulle al- Paese senza governo, nel quale
tre, una massa amorfa in cui non puoi entrare e fare tutto ciò che
si riescono a distinguere forme né vuoi, basta che corrompi qualcusembianze. Qualcuno lo definisce no». Ha lavorato un anno in Libia,
un «tappeto umano», e mai meta- ma neppure quel genere di anarfora è stata più calzante.
chia poteva dargli tranquillità e il
Quando smette di piopericolo era altissimo.
Così Khaled ha deciso
vere e un timido sole si Khaled ha
di partire di nuovo,
fa spazio tra le nuvole, lavorato 8 anni
sfidando il mare su un
i naufraghi vengono a Dubai, poi è
fatti risalire sul ponte tornato nel suo
barcone fatiscente. È
di volo, e qualcuno ne Paese, la Siria:
diretto in Germania,
dove c’è un cugino che
approfitta per sgran- «Ho provato
lo attende.
chirsi le gambe. Tra i a vivere a
Damasco, ma
non ce l’ho fatta
a convivere con
le bombe»
FOTO RICORDO
Quando all’orizzonte appare la costa
sicula, il sole domina incontrastato.
Alla vista della terra lo sguardo dei
migranti si accende di speranza: c’è
chi lancia un grido di gioia, chi alza le braccia al cielo in segno di vittoria, chi si mette in posa per una
foto ricordo. I genitori prendono in
braccio i propri
figli, indicando
Alla vista della
la tanto agoterra lo sguardo
gnata terraferdei migranti
ma. È la fine
si accende di
di un viaggio
speranza. Poi
in mare durato
arrivano le
oltre tre giordomande: «Dove
ni e che li ha
andiamo ora?»,
visti scampare
«Dove si compra
alle insidie del
il biglietto per la
Mediter raneo.
Norvegia?»
Alcuni si fanno
dare grossi sacchi neri e iniziano
a raccogliere piatti, bicchieri e coperte: vogliono lasciare la nave in
ordine come l’hanno trovata.
«Ma dove andiamo ora?», «Quanto
è lontana la stazione ferroviaria?»,
«Quanto dista la Sicilia da Milano?», «Dove si compra il biglietto
per la Norvegia?», «E per la Germania?». Le domande si susseguono,
ma i marinai non sanno rispondere. Distribuiscono di nuovo i
salvagente e aiutano i loro «compagni di viaggio» a salire sulle motovedette della Guardia costiera.
Dal ponte ormai vuoto li vedono
allontanarsi e dirigersi verso Porto
Empedocle. Il mare lascia il posto
alla terraferma, inizia una nuova
tappa del viaggio.
giugno-luglio 2014 Popoli 17
reportage
Vite sprecate
E a quelli che riescono a sbarcare nel Belpaese
cosa succede? Una fotografia del sistema
di accoglienza italiano fra attese, inefficienze,
umiliazioni e voglia di Nord Europa
Testi e foto: Giulia Bondi
«P
er prima cosa abbiamo
fatto un poster, con foto
e nomi al posto dei numeri. Poi l’orto e le manifestazioni.
Ora, un anno dopo, abbiamo una
casa, eio faccio il tirocinio come
giardiniere». Ali, 26 anni, un bel
sorriso e kefiah al collo, viene dal
Ciad. Arriva in Italia dalla Libia e
dopo vari trasferimenti finisce a Pisa. Quando l’Emergenza Nord Africa
chiude, il 28 febbraio 2013, il centro
in cui vive viene svuotato, l’elettricità staccata, e ai 44 ospiti si propo-
18 Popoli giugno-luglio 2014
ne una buonuscita di 500 euro.
Ali e un gruppetto di connazionali
non ci stanno. Al corso di italiano
hanno fatto amicizia con studenti
di Pisa, e insieme decidono di occupare il centro. «Con l’autogestione
la mia vita è cambiata», dice Ali,
uno degli oltre 34mila richiedenti
asilo arrivati in Italia nel 2011. «Ho
visto tanti centri: alcuni sono come
carceri, la gente impazziva».
Il tipo di accoglienza che uno straniero può ricevere in Italia varia a
seconda dei luoghi di arrivo, della
dimensione dei centri, del periodo
dell’anno. Insomma, del caso.
La rete comincia con i Cpsa, Centri di
primo soccorso e accoglienza e i Cda,
Centri di accoglienza (permanenza
massima prevista 72 ore). Il sito del
ministero dell’Interno ne elenca 19,
precisando che alcuni potrebbero essere chiusi per lavori, e alcuni sono
anche Cara, Centri di accoglienza per
richiedenti asilo. L’elenco ufficiale
non comprende le «strutture temporanee di accoglienza» che, precisa
l’ufficio stampa del ministero, vengono attivate «su tutto il territorio nazionale in conseguenza degli afflussi
di immigrati» e «affidate in gestione
principalmente ad associazioni del
Terzo settore con specifica esperienza». Nei Cara si dovrebbe sostare
non oltre i 35 giorni, per poi essere
trasferiti in altri centri, in genere
più piccoli, come quelli dello Sprar
(Sistema di protezione per richiedenti
asilo e rifugiati), gestiti da enti locali
e privato sociale in convenzione con
il ministero dell’Interno.
Qui e di seguito, foto scattate nel Centro
di prima accoglienza di Pozzallo (Rg) e
(ultima immagine) di Ragusa.
chiamati dal 2008) è ufficialmente
IL FALLIMENTO DEI CIE
Il sistema governativo disciplina composto da 11 strutture: Bari, Boanche «il trattenimento degli ex- logna, Brindisi, Caltanissetta, Crotracomunitari irregolari destinati tone, Gradisca d’Isonzo (Go), Miall’espulsione»: persone mai rego- lano, Roma (Ponte Galeria), Torino
larizzate, ma anche persone i cui e i due centri di Trapani. In realtà
documenti scadono con la perdita sono in funzione, con presenze lidel lavoro. I primi embrioni di quel- mitate rispetto alla capienza, solo
li che oggi si chiamano Cie (Centri Torino, Roma, Bari, Trapani Milo e
di identificazione ed espulsione) Caltanissetta. Gli altri centri sono
nascono nel 1995, per trasformarsi, chiusi per «danneggiamenti o procon la legge Turco-Napolitano del blemi di gestione», chiarisce l’or1998, in Centri di permanenza tem- ganizzazione Medici per i diritti
poranea. Con la Bossi-Fini del 2002 umani (Medu) in un report del 12
la permanenza massima passa da febbraio. Secondo la Commissione
30 a 60 giorni, che diventano 180 diritti umani del Senato, che cita
nel 2009 con il cosiddetto Pacchet- dati degli Interni, al 4 febbraio la
to sicurezza. Quest’ultimo introdu- capienza dei Cie italiani è ridotta
da 1.791 posti «teorici»
ce il reato di clandestia 828 nei centri efnità (depenalizzato ad I primi embrioni
aprile 2014), mentre nel di quelli che oggi fettivamente aperti, di
cui solo 460 occupati.
2012 il tempo massimo si chiamano Cie
Nell’elenco ufficiale
di trattenimento passa nascono
fornito dal ministero
a 18 mesi.
nel 1995.
dell’Interno, tra i geNella primavera 2014 In questi anni
stori di Cie, Cda, Cpsa
il sistema dei Cie (così il periodo
massimo di
trattenimento
è passato da 30
giorni a 18 mesi
e Cara compaiono consorzi, cooperative, associazioni culturali, Comuni, una società francese (Gepsa,
che ad aprile ha vinto l’appalto per
la riapertura del Cie di via Corelli a
Milano) e nel caso di Ancona persino un hotel.
Tra i Cpsa compare ancora Lampedusa, chiuso a gennaio 2014 dopo
che un video diffuso in rete aveva mostrato procedure di «disinfestazione» umilianti e disumane.
Dall’episodio di Lampedusa prende
le distanze in un’intervista del 19
dicembre anche il fondatore della cooperativa
Auxilium, che
Nell’elenco
gestisce il Cie di
del ministero,
Ponte Galeria, a
tra i Cpsa
Roma. Peccacompare ancora
to che, poche
Lampedusa,
settimane dochiuso dopo
po, proprio lì
che un video
un gruppo di
aveva mostrato
marocchini si
procedure di
cuce la bocca
«disinfestazione»
(letteralmente)
umilianti
per protestare
contro le condizioni della propria
«detenzione amministrativa».
A Gradisca d’Isonzo, dove il consorzio Connecting People gestisce un
Cie, ora chiuso, e un Cara ancora in
funzione, il 25 marzo sono rinviati
a giudizio la viceprefetto vicario di
Gorizia e il ragioniere capo della
Prefettura, assieme a undici componenti del consorzio gestore, con
sede a Trapani, questi ultimi imputati di associazione per delinquere
finalizzata alla truffa ai danni dello
Stato. Il 31 marzo, il Giudice per le
indagini preliminari di Gorizia, in
un procedimento contro due trattenuti accusati di danneggiamento,
definisce «disumano» il contesto di
vita del Cie. Il 10 maggio viene diffusa la notizia della morte di Majid,
34enne marocchino caduto dal tetto
del Cie durante le proteste dell’agosto precedente.
Medici per i diritti umani e numerose altre associazioni evidenziano
giugno-luglio 2014 Popoli 19
reportage
come in molti Cie manchi la possibilità di svolgere attività normali
come radersi, leggere libri e giornali, utilizzare il telefono cellulare
o pettinarsi. Condizioni che contribuiscono a fare dei Cie luoghi di
inutile sofferenza non soltanto per
i migranti, ma anche per gli operatori e le forze dell’ordine.
La prassi delle gare al massimo
ribasso, con base d’asta di 30 euro
al giorno a persona, era entrata in
vigore con la spending review del
2011. A marzo
2014, un’indagiNel 2013
ne della Finanza
è stato
sulla gestione
rimpatriato
del Cie di Moattraverso
dena (anch’esso
i Cie lo 0,9%
chiuso) da pardegli stranieri
te del consorirregolari che
zio Oasi di Sisi stima fossero
racusa, segnala
presenti sul
«mancanza di
territorio
medicinali; kit
italiano
di vestiario e
lenzuola non completi; personale
inferiore al previsto; pasti di porzioni scarse».
IN FUGA DALLA GUERRA
Nel 2013 è stato rimpatriato attraverso i Cie lo 0,9% degli stranieri irregolari che si stima fossero
presenti sul territorio italiano. Il
numero totale di stranieri senza
documenti era stimato in 294mila
a gennaio 2013, il 26% in meno del
2012 secondo i dati Ismu. Valori in
calo, non per le espulsioni dai Cie,
ma per l’emersione dall’irregolarità
attraverso i click day e per i trasferimenti spontanei dovuti alla crisi
economica.
La crisi provvede in effetti a rendere meno appetibile l’Italia, ma
la penisola rimane approdo di chi
fugge dalle guerre in Africa o in
Medio Oriente. Dall’autunno 2013,
con l’avvio dell’operazione militare-umanitaria Mare Nostrum, i
soccorsi avvengono per lo più in
alto mare. Tra ottobre e maggio,
20 Popoli giugno-luglio 2014
i pattugliamenti (costati in media disumani: la spesa pubblica per il
9milioni 300 mila euro al mese) contrasto all’immigrazione irregohanno tratto in salvo oltre 27mila lare 2005-2012 stimano costi per
persone, e a chi fa richiesta di la sorveglianza non inferiori a 26,3
asilo è necessario fornire una si- milioni l’anno, mentre per allestimento, manutenzione, gestione e
stemazione.
Dai Cda, Cspa e Cara, a differenza ristrutturazione si sarebbero spesi
che dai Cie, si può entrare e uscire circa 143,8 milioni di euro l’anno.
più o meno liberamente. Il proble- Tra i Cara in funzione, il maggiore
ma sono i lunghissimi tempi di at- è Mineo (Catania), che con le sue
tesa per ricevere una risposta sulla 404 villette da 160 metri quadri
propria domanda di asilo, oltre al è anche il più grande d’Europa.
fatto che molti centri sorgono in Un centro come questo, moltiplizone isolate lontane dai centri abi- cando la cifra di 34,50 euro pro
tati. I costi di gestione sono intorno capite (dichiarata dal gestore) per
ai 30 euro al giorno a persona, il numero di persone (per diversi
secondo le convenzioni tra prefet- mesi oltre 4mila), arriva a costare
ture e gestori, che possono salire a 138mila euro al giorno. Nato con
50 per i centri di primo soccorso. l’Emergenza Nord Africa, il Cara
Comprendono alloggio (nel caso di di Mineo è gestito da Sisifo, un’asPozzallo, in provincia di Ragusa, sociazione temporanea di impresa.
su materassi di gommapiuma sul All’interno dell’appalto - spiega
pavimento), vitto (sempre a Poz- un portavoce - fornisce «mediazallo, i pasti sono consumati per zione culturale e linguistica, ma
terra data la mancanza di tavoli), anche attività ricreative, dal calvestiario (estivo perché, spiega- cio al cricket». Eppure, proteste e
no, «gli anni scorsi gli sbarchi blocchi stradali dei migranti sono
si interrompevano il 15 agosto»), continuati per tutto l’inverno. A
assistenza medica, più i cosiddetti dicembre un giovane eritreo si
«benefit», cioè telefonate, sigaret- è tolto la vita. Il Cara è isolato,
difficile da controllare
te e, a volte, «pocket
money». I costi com- Per allestimento, («Non è possibile affermare con esattezza
prendono il personale, manutenzione,
che non siano presenti
ma non le forze dell’or- gestione e
ospiti non autorizzati»,
dine che presidiano le ristrutturazione
ammette il portavoce)
strutture più grandi. I di questi centri,
e le persone sono esadati raccolti da Luna- si stima che dal
sperate dall’ozio.
ria nel rapporto Costi 2005 al 2012
lo Stato abbia
speso circa
144 milioni
di euro l’anno
I richiedenti asilo, molti sotto i
trent’anni, «sprecano anche un
anno e mezzo di energie nell’attesa del permesso, senza avviare
un vero percorso di integrazione»,
afferma Elio Tozzi, del progetto
Borderline Sicilia. «Sono polveriere pronte a esplodere», afferma
un avvocato che segue i ricorsi di
alcuni richiedenti asilo. Ancora
più duro è Carlo D’Antoni, sacerdote siracusano: «Circola un’enorme massa di soldi che si potrebbe
spendere molto meglio, ma molti ci
mangiano sopra».
DAL CARA ALLO SPRAR
I costi sono simili (35 euro al
giorno a persona, in media), ma
le problematiche sembrano molto
più contenute nei centri Sprar, che
per il triennio 2014-2016 hanno
visto quintuplicare il numero dei
posti. «Siamo a un totale di 13mila posti, più 7mila da attivare su
richiesta», spiega la direttrice del
Servizio centrale Sprar, Daniela Di
Capua. «Le criticità non mancano
ma nell’ambito di centri più piccoli
- afferma - è più semplice fornire
non soltanto i servizi obbligatori
come la consulenza legale e il
corso di italiano, e anche cercare di attivare tirocini formativi».
Compito del Servizio centrale è
cercare di garantire l’omogeneità
di un sistema che, già all’inizio
di maggio, ha raggiunto quasi il
totale della capienza ordinaria e
si avvia ad attivare anche i 7 mila
posti aggiuntivi.
Intanto, come rileva anche il Centro Astalli, la sezione italiana del
Servizio dei gesuiti per i rifugiati
(Jrs), il problema continua a essere
la mancanza di programmazione:
«Negli ultimi dieci anni - si legge nel Rapporto 2014 - il trend
delle richieste di asilo si è ormai
attestato su un ordine di grandezza costante e prevedibile». Il
regolamento di Dublino in vigore
tra i Paesi Ue prevede che la domanda di protezione debba essere
fatta nel primo Paese in cui si è
identificati. Un obbligo ingiusto,
secondo Stati come Italia e Grecia,
principali punti d’approdo. Alle
lamentele mediterranee, i nord europei rispondono con le cifre: nel
2013 la Germania ha avuto 127mila richieste di asilo, la Francia
65mila, la Svezia 54mila. L’Italia è
ferma a 28mila.
Secondo i dati Acnur del 2013,
l’11,6% dei richiedenti asilo nell’Unione è siriano e la destinazione
privilegiata è l’Europa settentrionale. Paesi come la Svezia concedono
l’asilo piuttosto facilmente, ma non
accettano richieste presentate al di
fuori del territorio nazionale. Così,
al traffico di esseri umani via mare
si è aggiunto quello che attraversa il continente. «Sono scafisti di
terra», spiega Alberto Sinigallia,
presidente della Fondazione Progetto Arca, che a Milano gestisce un
servizio straordinario per l’accoglienza dei siriani in transito. «Per i
viaggi verso nord chiedono dai 300
ai 900 euro a persona».
I siriani (ma anche molti eritrei)
cercano di non farsi identificare in
Italia, per non essere costretti a fermarsi. «Da ottobre 2013 - racconta
Sinigallia - ci siamo trovati con
decine di persone, anche famiglie
con bambini, che dormivano sul
marmo della Stazione Centrale». Il
Comune crea un’unità di crisi (che
comprende oltre a Progetto Arca
anche Caritas ambrosiana, Medici
Volontari, Sant’Egidio, Albero della vita e Giovani Musulmani) che
in sette mesi ha già accolto oltre
5mila persone in transito, in un
«corridoio umanitario informale»
basato su una convenzione con
la Prefettura. «Di tutte le persone
accolte da noi, soltanto sei hanno
presentato domanda di asilo in
Italia», spiega Sinigallia.
Ciò che spinge i fuggiaschi a cercare fortuna altrove non sono soltanto le condizioni molto varie
della rete di accoglienza, ma la
debolezza del sistema di welfare,
che rende difficile trovare laLe problematiche
voro o sostegno
sembrano molto
sociale anche a
più contenute
chi, dopo mesi
nei centri Sprar
di attesa, finalper i richiedenti
mente ha un
asilo. Ma anche
permesso. La
per i rifugiati,
differenza, cocome denuncia
me nel caso di
il Centro Astalli,
Ali, la fanno le
manca una seria
reti di relazioprogrammazione
ne. Anche per
questo la tendenza è creare centri
più piccoli. O scommettere su nuove forme, come quella proposta
in via sperimentale da Caritas
ambrosiana con «Rifugiato a casa
mia», un progetto di accoglienza
in famiglia con un contributo di 10
euro al giorno.
giugno-luglio 2014 Popoli 21
sri lanka
Testo: Sumila Jayasekara
Foto: Andrea Carrubba
Jaffna (Sri L anka)
S
ono le quattro del mattino, è buio quando lasciamo Colombo. Le strade sono
calme e offrono una sensazione
strana per una città asiatica. Siamo
diretti a Nord, a Jaffna, l’antica
capitale dei regni tamil, piazPartendo
zaforte durante i
dalla capitale
domini coloniali
Colombo, a
e poi epicentro
Sud, l’itinerario
dell’insurrezioporta nelle zone
ne che ha scondella minoranza
volto l’isola per
tamil. Jaffna, la
più di venticindestinazione, è
que anni.
stata l’epicentro
della guerra civile In questa città,
quasi un secolo
durata 25 anni
fa, rifiorì l’identità dei tamil che, unitisi ai singalesi, maggioranza del Sud, diedero
vita a quel processo di emancipazione culminato nel 1948 con
l’indipendenza dell’isola di Ceylon.
22 Popoli giugno-luglio 2014
Viaggio
nell’isola ferita
Cinque anni fa si concludeva il lungo conflitto
civile che ha sconvolto lo Sri Lanka, ma i traumi
non sono stati ancora superati. Attraversando
l’isola, un giovane italiano di origine singalese
descrive i segni del faticoso dopoguerra
Sempre a Jaffna, nel 1956 nacque
il Partito federale che rivendicava
una forma di autonomia per le regioni a maggioranza tamil e poi il
movimento di guerriglia delle Ltte,
le Tigri tamil, protagoniste degli
anni più tristi della storia recente.
La guerra civile in Sri Lanka si
è conclusa nel maggio di cinque
anni fa, dopo aver provocato, secondo l’Onu, almeno 80mila morti,
oltre la metà dei quali civili. Quel-
lo che si vede è un Paese che solo
oggi inizia a risollevare la testa.
La strada che percorriamo è la più
importante via commerciale, segue la costa orientale verso i porti
di Negombo e Puttalam. Corre tra
distese di palmeti, all’interno, e
l’oceano, lungo il quale i pescatori
hanno tirato le barche a riva. In tre
ore giungiamo ad Anuradhapura,
il capoluogo della Provincia del
Centro-Nord, una zona dal clima
Colombo: uno slum lungo una ferrovia
alle porte della capitale. Sotto, ragazze
orfane di guerra in un convento cattolico
vicino a Trincomalee.
secco. Qui si trovava il centro del testanti) subiscono spesso gli effetti
più antico regno dell’isola, come delle leggi antiterrorismo ancora
in vigore, come è actestimoniano numerosi
caduto in marzo a due
siti archeologici e baci- Le forze armate
noti attivisti cristiani
ni d’acqua artificiali, il nel Nord restano
impegnati per i diritti
più grande dei quali - il onnipresenti.
umani. Anche la reKala Weva - risale a V Gestiscono la
cente istituzione di una
secolo d.C. I buddhisti, ricostruzione,
«polizia religiosa», che
che sono maggioran- mantengono vie
za religiosa (circa tre di comunicazione dovrebbe intervenire
in casi di intolleranza,
quarti degli abitanti), e sistemi idrici.
è stata molto criticahanno qui una tra le Soldati sono
ta dalle minoranze che
principali mete di pel- impiegati come
legrinaggio, il tempio di «guide turistiche» denunciano come molte aggressioni da parSri Maha Bodhi. Tutti
te di gruppi estremisti
nel Paese conoscono il
buddhisti siano coperte
fico sacro che deriva
dall’albero di Boho, sotto il quale dalle forze di sicurezza.
Siddharta ricevette l’illuminazione.
La convivenza pacifica tra grup- TURISMO POSTBELLICO
pi religiosi è ancora una meta da Procedendo verso Nord il caldo auraggiungere. Le minoranze (hindu, menta, l’asfalto fuma come un bramusulmani, cristiani cattolici e pro- ciere appena spento. La vegetazione
si fa più rada, ma all’improvviso
vediamo che le strade sono state
rifatte, mentre fino a poco tempo fa
versavano in condizioni pessime, al
punto che, superata Anuradaphura, sembrava di percorrere piste da
rally. È un segno della ricostruzione
postbellica. L’unica strada che porta
a Jaffna per anni è rimasta chiusa
perché attraversava il confine invisibile che separava singalesi e tamil,
il fronte della guerra civile.
Il paesaggio che costeggia questa
lunga strada è diverso dalle immagini classiche dello Sri Lanka, a
partire dalla vegetazione più arida e
dal caldo secco. I segni esteriori della guerra sembrano scomparsi, tutto
è ricostruito. Facciamo una breve
sosta lungo la strada in un locale
anch’esso di recente costruzione,
gestito direttamente dai militari,
dietro il quale si scorgono i binari
giugno-luglio 2014 Popoli 23
sri lanka
Sampur: una spiaggia nel Nord-Est
pattugliata da soldati. Sotto, Jaffna:
manifesto di propaganda dell’esercito.
CRONOLOGIA DEL CONFLITTO
>1948: l’isola di Ceylon ottiene l’indipendenza dopo tre secoli e mezzo di dominazione
europea: portoghese, olandese e, infine, britannica.
>Anni Cinquanta: si afferma il nazionalismo singalese.
>1972: il Paese assume il nome di Sri Lanka e il buddhismo è riconosciuto come
religione predominante.
>1976: nascono le Tigri tamil (Ltte); inizia un periodo di tensioni crescenti tra ribelli
tamil e forze armate.
>1983: tredici soldati sono uccisi in un’imboscata. Inizia la guerra civile.
>1987-1990: truppe indiane intervengono come forza di peace-keeping. Inizia la
seconda fase del conflitto.
>1991: Rajiv Gandhi, già primo ministro indiano, è vittima di un attentato delle Ltte.
>1993: il presidente srilankese Premadasa è ucciso dalle Ltte.
>1995- 2001: terza fase del conflitto che si espande a tutto il Nord e l’Est del Paese.
>2002: cessate il fuoco con mediazione norvegese.
>2005: Mahinda Rajapaksa diventa presidente ed è ancora in carica.
>2006: escalation delle violenze.
>2008: il governo respinge il cessate il fuoco e lancia una grande offensiva; migliaia
di civili sono vittime sia dei ribelli tamil sia delle truppe governative.
>Maggio 2009: le forze governative sconfiggono le Ltte uccidendone il comandante.
>2011: l’Onu denuncia le atrocità contro i civili commesse da entrambe le parti e
chiede un’indagine internazionale sui crimini di guerra. È la prima di tre richieste
(l’ultima del 27 marzo 2014), tutte respinte dal governo di Colombo.
>2012: Alla fine dell’anno, secondo l’Onu (Acnur) risultavano ancora presenti 93mila
sfollati interni; oltre 460mila civili sfollati per la guerra sono rientrati alle loro case
24 Popoli giugno-luglio 2014
nei primi quattro anni dopo il conflitto.
di una ferrovia ancora in costruzione: negli anni della guerra le Tigri
tamil hanno smantellato la ferrovia
per ricavarne acciaio e fabbricare
armi. Colpisce il grande numero di
caserme, soprattutto dello Sri Lanka
Sinha Regiment, il Reggimento del
leone con il tipico stemma raffigurato sui cancelli.
Le forze armate in questi distretti
restano onnipresenti, nonostante il
conflitto sia concluso. Hanno il
compito di gestire la ricostruzione
della regione. Sono impegnate nel
mantenimento delle vie di comunicazione e dei sistemi idrici, perfino
nella gestione di piccoli chioschi.
I soldati vengono impiegati anche
come «guide turistiche», con l’ordine
di spiegare come si è svolto il conflitto. Come sempre, la storia viene
raccontata dai vincitori, anche nei
dettagli. Dopo il 2009 il governo
ha promosso una sorta di turismo
rivolto ai singalesi. Lo si comprende
subito per il fatto che tutte le visite
si tengono in questa lingua, parlata
dalla maggioranza, e nessun cartello informativo è in inglese. È una
forma di racconto dall’interno (le
truppe) all’interno (i civili singalesi) che avviene dopo la vittoria.
Gli stranieri non sono coinvolti. Le
tappe del «tour» sono luoghi chiave
del conflitto.
È sera quando arriviamo nella zona
di Vavuniya. Grazie a un conoscente troviamo alloggio in un campo
dell’esercito, dentro un bungalow
dotato di brande e zanzariere.
JAFFNA, PREGHIERA HINDU
All’alba siamo pronti per ripartire
e il comandante del campo ordina
a una guida militare di accompagnarci lungo il tragitto che resta
fino a Jaffna. La strada che porta
al Passo dell’Elefante è lugubre,
costeggiata da cartelli che vietano
l’accesso ai campi minati ancora in
fase di bonifica. Uomini e donne
sono impegnati in un lavoro meticoloso, attrezzati di metal detector.
Jaffna: intorno alla laguna, anche se
inquinata, vivono in baracche vedove,
mendicanti, pescatori.
Un piccolo museo espone apparec- dagli altri centri del Paese, la vechiature belliche usate dalle Tigri getazione è rigogliosa e le strade
tamil, armi di ogni tipo, perfino sono più curate. Ma subito si nota
mine e bombe artigianali ricavate un elemento caratteristico: i kovil,
da tubature idriche. Sono nume- i templi hindu. La maggioranza
rosi questi piccoli musei, pieni di dei tamil sono di fede induista.
visitatori curiosi, dettagliatamente I kovil si ergono come splendidi
istruiti dai militari.
«purosangue» colorati a festa, alte
Il Passo dell’Elefante non è un vali- costruzioni di pietra e così ricche di
co di montagna, ma una striscia di decorazioni che il paesaggio attorno
terra circondata da lagune, unico sembra sfigurare. L’ingresso princicollegamento stradale che unisce la pale di queste strutture è ornato di
penisola di Jaffna al resto dell’isola. statue di divinità e rappresentazioni
Fu teatro di scontri violentissimi. A della mitologia hindu. Entrando ci
dispetto del nome suggestivo, per viene chiesto di toglierci la camicia.
molti è associato a disperazione e Tutti gli uomini, così è l’usanza
lutto per i tanti caduti. Il governo tamil, hanno l’obbligo di restare
ha fatto erigere nel 2010 un mo- a torso nudo in segno di rispetto,
numento esattamente nel luogo in compresi gli agenti della sicurezza.
cui esercito, marina e aviazione L’interno custodisce un sacrario al
si incontrarono in una
quale solo i sacerdoti
operazione congiunta.
possono accedere. VeSul passo
Inoltrandoci nella pe- dell’Elefante,
niamo coinvolti in una
nisola le strade sono teatro di scontri
benedizione: in cambio
deserte e i monumenti violentissimi,
di un’offerta è possibile
ai caduti si susseguo- il governo
chiedere protezione per
no. Jaffna a prima vista ha eretto un
un proprio caro alla dinon pare molto diversa monumento
vinità interpellata.
per celebrare
un’operazione
congiunta delle
forze armate
È un segno di speranza: anche tanti
buddhisti, che praticano una filosofia di vita più che una religione,
si avvicinano a luoghi di culto di
altre fedi, affollano il tempio,
Jaffna a prima
ammirandone
vista non pare
i colori e sono
molto diversa
attirati dalle
dagli altri centri,
tradizioni spirise non fosse per
tuali hindu.
i kovil, i templi
Il cielo si riemhindu. I tamil
pie di nuvole
sono perlopiù
cariche di pioginduisti, mentre la
gia, il monsone
maggioranza del
ci sorprende
Paese è buddhista
con la forza che
solo chi vive in queste zone dell’Asia
conosce. Con i piedi ancora scalzi
per la visita al tempio calchiamo la
terra rossa, mentre i bambini intorno si bagnano e iniziano a ridere e
ballare sotto la pioggia. Restiamo
sotto l’acqua battente, a testa alta.
Ci lasciamo coinvolgere in questa
immagine di rinascita, di una città
intera che riprende le forze per rialzarsi, anche se a piedi nudi.
giugno-luglio 2014 Popoli 25
angola
Francesca Spinola
Luanda (Angola)
T
ia Berta è una di quelle donne
africane che portano sul volto
i segni di una vita straordinaria. Non è ordinario nascere in un
Paese colonizzato da cinquecento
anni (tanto tempo sono rimasti i
portoghesi in
Angola). Come
L’Angola ha
non lo è creriserve valutarie
scere durante
per 32 miliardi di
la guerra che
dollari e un fondo
porta alla cacsovrano
ciata del coloche possiede
nizzatore nel
un patrimonio di
1975. Ancora
5 miliardi e serve
meno lo è spocome base per
sarsi mentre tre
gli investimenti
gruppi armati
all’estero
(Mpla, Unita e
Flna) si contendono, in una durissima guerra civile finita solo nel 2002,
il vuoto di potere che si è creato con
la fuga dei portoghesi.
Si tratta di dettagli che su quest’an-
26 Popoli giugno-luglio 2014
Il Paese
a due velocità
L’economia angolana sta conoscendo una forte
crescita legata non solo al settore estrattivo
(petrolio e diamanti), ma anche all’agricoltura, al
commercio e ai servizi. La redistribuzione della
ricchezza è però insufficiente e larghi strati della
popolazione vivono ancora nella miseria
golana, nata nel Malanje, una provincia dell’interno, poi trasferitasi
come altre migliaia di connazionali
a Luanda per sfuggire alla fame e
al pericolo di saltare su una mina,
non pare abbiano sortito l’effetto di
indebolirla.
Catechista a Sambizanga, quartiere povero della capitale, Tia Berta oggi indossa stivali di gomma
per attraversare il fiume di fango
causato dalla pioggia. Sta andando
a coordinare un gruppo di donne
della Chiesa di don Bosco, che in
questo quartiere offrono assistenza
a malati, anziani, bambini di strada.
In particolare, in questo periodo di
chuva, la stagione delle piogge, si lavora molto per assistere chi è colpito
dalla malaria.
A turbare Tia Berta però non è il paludismo, né sono le altre difficoltà di
ogni giornata. «La malaria - afferma
- è il nostro pane quotidiano. Senza
un sistema fognario, senza la raccolta municipale dell’immondizia, è
molto difficile non ammalarsi». A
infastidirla è «la consapevolezza che
siamo ancora troppo pochi ad avere
la coscienza di quali siano i nostri
diritti. Sono solo io ad accorgermi di
ciò che non va?».
«Algo está mal, não é normal, alguma coisa não está bem» («Qualcosa
non va, non è normale, qualcosa
non è giusto»): a giudicare dal ritornello dell’ultimo successo di Yannick Afroman, dj e rapper angolano
amatissimo dai giovani, Tia Berta
non è la sola a nutrire dubbi e tanto
più alla luce di alcuni numeri che ci
raccontano un’altra Africa.
agricoltura, costruzioni) che segna
un +5,8%. Fra gli altri segnali positivi e di stabilità elencati dal numero
uno del ministero dell’Economia angolano ci sono l’inflazione al 7,6%
(in calo rispetto al 10% del 2012), un
debito dello Stato inferiore al 18%
del Pil e un miglioramento generale del rating del Paese da parte di
alcune agenzie internazionali come
Standard & Poor’s. Il Paese ha poi
riserve valutarie per 32 miliardi di
dollari e un fondo sovrano di investimento (Fundo Soberano de Angola), alimentato con parte dei proventi
petroliferi, che possiede un patrimonio di 5 miliardi e sta servendo come
base per gli investimenti all’estero.
Questa è la crescita di un Paese che
ha superato, grazie agli introiti del
petrolio e dei diamanti, la fase della
rinascita dalle macerie della guerra
civile, un’epoca durata trent’anni, in
cui tutto è rimasto fermo: industria,
agricoltura, infrastrutture.
Oggi, secondo i dati diffusi da Edel
(la società elettrica angolana), Epal
(l’impresa pubblica delle acque) e dal
ministero dei Trasporti, in Angola
sono necessari 5mila megawatt elettrici e tremila chilometri di linee di
trasporto ad alta tensione. Bisogna
inoltre investire 5 miliardi di dollari
nello sviluppo dei sistemi idrici in
aree urbane e rurali in termini di
captazione, distribuzione e smaltimento delle acque. Vanno infine
realizzati duemila chilometri di ferrovie per interconnettere le tre reti
esistenti tra loro e con quelle delle
nazioni confinanti.
L’AFRICA CRESCE...
Se è vero che, secondo gli ultimi
dati di Un Habitat (Programma delle
Nazioni unite per gli insediamenti umani), nell’Africa subsahariana
l’80% della popolazione vive nelle
favelas, lo stesso continente sta vivendo una crescita mai conosciuta
prima. L’Africa delle popolazioni che
vivono senza accesso all’acqua potabile e all’elettricità è la stessa che,
alla fine del 2014, avrà registrato
una crescita del 5,5% del Pil. A
sostenerlo è il Fondo monetario internazionale nell’ultimo World Economic Outlook pubblicato a marzo.
Una crescita ancora più sostenuta
rispetto al 4,8% fatto segnare nel
2013, e che dovrebbe proseguire
anche nel 2015, con un incremento ...MA C’È CHI RESTA INDIETRO
Sono numeri che parlano di succesdel 5,5%.
Anche l’Angola segue questa ten- so e di futuro. Nelle maglie del boom
africano in generale e
denza, parola di Abraão
dell’Angola in particoGourgel,
ministro Secondo
lare restano però incadell’Economia, che in il ministro
strati alcuni milioni di
una nota diffusa a fi- dell’Economia
individui la cui aspettane aprile ha conferma- nel 2013 la
tiva di vita è passata dai
to una crescita pari al crescita è stata
5,3% nel 2013, con il pari al 5,3%, con 47 anni di dieci anni fa
ai soli 51 di oggi.
settore non oil (servizi, il settore non
petrolifero
che tira a un
ritmo più forte,
pari al 5,8%
POLITICA
Dos Santos,
da 35 anni al potere
L’
Mpla, il Movimento nazionale di
liberazione dell’Angola, alla guida
del Paese dal 1975, e il presidente José
Eduardo dos Santos, hanno vinto, con il
72% dei voti, le ultime elezioni generali
che si sono tenute il 31 agosto 2012.
Quelle del 2012 sono state le prime
elezioni realizzate sulla base della nuova
Costituzione promulgata nel 2010, che
ha disegnato per il Paese un modello
istituzionale nel quale presidente e vicepresidente, come i deputati, sono eletti
insieme nella lista di un partito.
Rispetto alle elezioni del 2008, il partito
del presidente ha perso dieci punti percentuali mentre l’avversario storico, l’Unita (Unione nazionale per l’indipendenza
dell’Angola), oggi guidata da Isaías Samakuva, è arrivata al secondo posto guadagnando il 18,7% dei consensi, il doppio di
quelli ottenuti nel 2008.
Il dato più eclatante delle ultime elezioni
è stato però il forte astensionismo, il 37%
degli aventi diritto di voto, segnale di sfiducia nei confronti dei due storici movimenti.
José Eduardo dos Santos è dunque considerato oggi il primo presidente eletto democraticamente della storia dell’Angola,
dopo 33 anni di esercizio del potere motivato solo da ragioni storiche particolari: la
lotta per l’indipendenza e la guerra civile.
Il presidente ha promesso di governare
nel segno del «rinnovamento e della
continuità» per portare a conclusione il
progetto di sviluppo dell’Angola concepito
fino al 2025.
Nei suoi piani c’è l’utilizzo dei proventi
del petrolio per diversificare l’economia
e sviluppare il Paese in modo armonioso.
Le linee guida riguardano investimenti
nei settori dell’energia e dell’acqua, un
programma strategico per la sicurezza
alimentare, uno per l’industrializzazione
e l’adozione di un Piano sanitario da qui
al 2025 oltre alla revisione del sistema
scolastico. La verifica del suo lavoro è
attesa per il 2017 quando saranno indette
le nuove elezioni generali.
f.s.
giugno-luglio 2014 Popoli 27
angola
«Noi non abbiamo una classe media»,
afferma Willy Piassa, esperto di
urbanistica dell’Ong angolana Development workshop, mentre dalle
finestre del suo
ufficio osserva
Nella capitale
le gru in moviLuanda oltre il
70% delle persone mento dei canabita nelle favelas tieri che stanno
modellando la
e si guadagna
nuova Luanda
da vivere con
e, più vicino, i
il commercio
tetti di lamiera
informale (che ad
dei musseques.
aprile il governo
«Questa parola
ha dichiarato
- spiega Willy illegale)
viene dal kimbundu e indica le favelas, dove vive
il 70% della popolazione di Luanda,
che è poi quella stessa porzione di
cittadinanza che dipende dal commercio informale. Mentre l’élite che
si è formata all’estero ora vive nei
condomini di lusso di nuova costruzione e ricopre alti incarichi nel
settore pubblico e in quello privato».
«È con questi angolani che hanno
potere economico che stiamo rilanciando l’immagine del Paese». A parlare è Paulo Costa, portoghese a capo
del progetto Welcome to Angola,
un’iniziativa editoriale e di business,
online e su carta, che nel giro di tre
anni ha raggiunto 40mila fan sulla
pagina Facebook, 10mila follower su
Twitter e 22mila visite al mese sul
sito dedicato al turismo in Angola.
IL PAESE IN CIFRE
>Superficie: 1.246.700 kmq.
>Popolazione: 20.609.000 (2013).
>Gruppi etnici: ovimbundu 37%, kimbun-
du 25%, bakongo 13%, meticci 2%, europei 1%, altri 22%.
>Capitale: Luanda (2.766.000 ab.)
>Pil/ab.: 5.144 dollari Usa.
>Aspettativa di vita: 51 anni.
>Lingua: portoghese (ufficiale), lingue
bantu e khoisan.
>Religione: cattolici 50,7%, protestanti
14,7%, altre confessioni cristiane 4,3%,
altri 30,3%.
28 Popoli giugno-luglio 2014
«Il nostro obiettivo - spiega - sono su un enorme cartellone pubblicitagli angolani ricchi e gli espatriati, rio a vantaggio degli automobilisti
ma anche i turisti stranieri, i pas- di una delle arterie principali che
seggeri delle navi da crociera che da portano in città: «A crescer mais e
quest’anno hanno inserito il porto di a distribuir melhor» («Per crescere
di più e per distribuire meglio»). Si
Luanda nei loro tour».
A fronte di queste poche miglia- tratta dello slogan con cui l’Mpla, il
ia di angolani e di stranieri, tutti partito al governo, ha vinto le ultigli altri sono zungueiros, venditori me elezioni legislative che si sono
ambulanti, che da aprile sono di- tenute nell’agosto 2012. La stessa
ventati illegali, avendo il governo tornata elettorale che ha riconferintrapreso una vasta opera che tende mato al potere il presidenziale di
a reprimere il commercio informale. José Eduardo dos Santos (che è presidente dal 1979). Né
Ogni quartiere di Luanda
convincono i cinque
è invaso da giovani che Lo scrittore
milioni di dollari di
vendono di tutto agli au- Ondjaki: «Mi
investimenti nel settomobilisti e ai passeg- preoccupa che
tore immobiliare che
geri dei candongueiros, la ricostruzione
dal 2005 la Cina ha
i pulmini bianco-celesti di cui si sta
realizzato in Angola
che fanno le veci dell’i- occupando il
nesistente servizio di governo sia legata con la costruzione deltrasporti pubblico.
solo al cemento le famose centralidade,
quelle città satellite
Secondo i dati di Deve- e ai mattoni e
(Kilamba Kiaxi, Zanlopment Workshop, oggi non alla cultura
solo il 50% dei luande- e all’educazione» go) che il presidente
dos Santos presenta
si ha accesso ai sistemi
come le nuove case per
sanitari di base e solo
il popolo.
il 35% all’acqua corrente. Gli altri usano meno di 7 litri A dirla con le parole di Ndalu
d’acqua al giorno e spendono più de Almeida, meglio noto con lo
del 25% delle loro entrate mensili pseudonimo di Ondjaki (lo scrittoper rifornirsi di taniche del prezioso re angolano vincitore del Premio
José Saramago 2013 con l’opera
oro blu.
Os Transparentes), riferendosi ai
cittadini poveri: «Mi preoccupa il
INVESTIRE IN CULTURA
Alla luce di questi dati stona il fatto che la ricostruzione di cui si
motto stampato a caratteri cubitali sta occupando il governo sia legata
solo al cemento e ai mattoni e non
alla cultura e all’istruzione». In sostanza, nell’Angola con più scuole
e centri medici, più palazzi e più
strade, più ponti e infrastrutture,
Africa
Congo
Rep.
Ondjaki si domanda: «Basteranno
Dem.
Congo
i mattoni a cambiare il destino
Cabinda
di questo popolo o non occorrerà
anche radere al suolo la paura,
l’ignoranza, l’ingiustizia e pensare
a costruire una nuova qualità della
LUANDA
cultura, della formazione professionale, della consapevolezza dei
propri diritti e doveri?».
ANGOLA
Sono più o meno gli stessi dubbi di
Benguela
Tia Berta.
Huambo
Namibe
Namibia
Zambia
il profilo
Narendra Modi
C
Nato nel 1950 in
Gujarat da una famiglia
di casta bassa, è
entrato da giovane
nelle Rss, il movimento
della destra hindu,
che è stato base
di lancio della sua
carriera politica nel
Bjp (Bharatiya Janata
Party). Primo ministro
del Gujarat dal 2001
al 2014. È stato
scelto come candidato
premier dal Bjp nelle
elezioni parlamentari
di aprile-maggio scorsi.
Simbolicamente ha
scelto di candidarsi
nella circoscrizione di
Varanasi (Benares),
città sacra degli
induisti.
on il giuramento del 26
maggio, Narendra Modi è diventato il nuovo
primo ministro dell’India. In
Parlamento gode di una maggioranza solida: il suo Partito,
Bjp, ala politica della destra induista, ha conquistato da solo
la maggioranza assoluta dei
seggi e un fatto simile non accadeva da trent’anni. Ha scavalcato il Congresso dei Gandhi
e di Manmohan Singh, che è rimasto sotto il 20% dei voti con
il peggiore risultato di sempre.
Tuttavia, il Bjp ha raccolto solo
il 31% dei voti tra i 551 milioni di votanti: più di sei indiani su dieci non hanno votato
per Modi e i suoi alleati. Ciò
nonostante egli può governare
senza troppi ricatti da parte dei
piccoli partiti.
Per 13 anni è stato il capo del
governo del Gujarat, il decimo
Stato indiano per popolazione
(60 milioni), ma il quinto per ricchezza prodotta. Ed è al Gujarat
che occorre guardare per capire
alcuni possibili sviluppi.
Qui Modi ha mostrato la faccia
del politico carismatico, efficiente e non corrotto. La classe
media indiana stanca di scandali e impaziente di tornare ad
avere crescita, lavoro e mobilità
sociale, gli ha dato credito. Ma
Anna Hazare e Arvind Kejriwal, portavoce della «questione morale», hanno denunciato alti livelli di corruzione in
Gujarat, dove vicende gravi e
poco note hanno interessato
diversi gruppi industriali e dove ci sono stati clamorosi casi
di landgrabbing in favore delle
grandi imprese.
In politica estera, il nuovo lea-
der giocherà a tutto campo, rilanciando l’India come
attore globale, nei rapporti con Cina, Usa ed Europa,
nelle questioni multilaterali come il commercio e il
clima. La politica di difesa sarà rafforzata. Ma è soprattutto rispetto al Pakistan che bisognerà vedere come si
comporterà il nuovo governo nazionalista hindu.
La piattaforma economica neoliberale di Modi punta
a un’espansione industriale che negli ultimi anni è
rallentata. Molti considerano la crescita del Gujarat un
modello: non più solo «Shining India», come recitava
lo slogan del Bjp dieci anni fa, ma «Excellent India».
Tuttavia, c’è chi critica il modello di crescita del Gujarat che non è inclusivo. Gli interessi di grandi gruppi
industriali sono stati tutelati a scapito dei poveri. La
crescita non ha significato sviluppo (un esempio: sono
peggiorati i dati sull’analfabetismo delle donne).
Modi è l’uomo immagine di un nazionalismo
religioso sempre più bellicoso che si lega
all’economia di mercato. Lo accompagna
l’ombra delle gravi violenze interreligiose
che scoppiarono in Gujarat nel 2002
Modi è l’uomo immagine di un nazionalismo religioso sempre più bellicoso che si lega all’economia di
mercato. Lo accompagna l’ombra delle gravi violenze
interreligiose che scoppiarono in Gujarat nel 2002 e
provocarono 1.200 morti, soprattutto tra la minoranza
musulmana, e più di centomila sfollati. Modi non ebbe
condanne penali, ma resta la sua responsabilità politica
come leader del governo locale (dal 2005 gli Usa lo
avevano privato del visto d’ingresso).
Cedric Prakash, gesuita noto in tutta l’India per il suo
impegno per i diritti umani, sottolinea che dietro alla
candidatura di Modi c’è un’ideologia estremista che
propugna la creazione di uno Stato hindu. In campagna
elettorale Modi ha smorzato i toni contro le minoranze
religiose. Ma se l’economia non darà i risultati previsti,
si vedranno ricomparire le vecchie promesse dei nazionalisti hindu. Musulmani e cristiani sono preoccupati
che vada compromessa la democrazia laica e pluralista
realizzata con l’indipendenza. In che maniera Modi
terrà a bada gli estremisti del suo campo?
Il pericolo della violenza religiosa, dello «scontro dentro le civiltà», come denunciato nel 2007 dalla filosofa
Martha Nussbaum proprio in riferimento all’India, si fa
concreto. L’India color zafferano potrebbe fare paura.
Francesco Pistocchini
giugno-luglio 2014 Popoli 29
inchiesta
Fratelli (musulmani)
Enrico Casale
«L
a Fratellanza musulmana
non esiste in Italia e non
esistono neppure i fratelli
musulmani». Ahmed Abdel Aziz, ex
portavoce della Gioventù musulmana italiana e attuale responsabile
del Comitato libertà e democrazia
per l’Egitto, spiazza l’interlocutore.
E continua: «La Fratellanza è un importante movimento politico e sociale egiziano, ma qui da noi non ha
un corrispettivo, né intende averlo.
Perché non ha senso replicare in
Italia il modello di un altro Paese
che si rifà a una realtà diversa».
I media e anche qualche studioso
di islam accostano alla Fratellanza
musulmana associazioni come Ucoii
(Unione delle comunità islamiche
d’Italia), Alleanza islamica d’Italia,
Gioventù musulmana italiana e, a
livello europeo, Fioe (Federation of
30 Popoli giugno-luglio 2014
d’Italia
Nata in Egitto, diffusasi in tutto il Nord Africa
e il Medio Oriente, l’ideologia della Fratellanza
musulmana ispira, più o meno direttamente,
anche alcune associazioni che operano in Italia.
Abbiamo cercato di capire quali obiettivi
si pongono nel nostro Paese
Islamic Organisations in Europe),
ma è inutile insistere con Ahmed
Abdel Aziz: «Quelle sono associazioni indipendenti che non hanno
nessun rapporto organico né gerarchico con la Fratellanza musulmana
egiziana». Alla fine, però, ammette:
«Se vogliamo parlare di una qualche
relazione, dobbiamo dire che c’è un
filo ideale che accomuna queste organizzazioni. Un’ideologia che però
ciascun gruppo interpreta differentemente a seconda della realtà che si
trova ad affrontare».
«Non si può negare - osserva
Aboulkeir Breigheche, presidente
del Consiglio dei garanti dell’Associazione italiana degli imam e
delle guide religiose - che ci siano
influenze reciproche, anche forti,
tra organizzazioni diverse nel mondo, così come è vero che ci sono
identità - differenza
fondatore, Hasan al Banna (cfr box),
diceva: «La Fratellanza musulmana
è un’idea e un credo, un insieme di
principi. Non siamo legati a un posto o a un gruppo di persone e non
lo saremo mai».
E allora per capire chi sono i Fratelli
musulmani è necessario andare alle
radici ideali. Il principio sul quale
tutte le associazioni che in qualche
modo si rifanno alla Fratellanza basano la loro azione è la convinzione
che l’islam sia una fede completa,
che deve regolare sia la vita privata
sia quella pubblica. Professano una
religiosità che va oltre la sfera intima, per abbracciare la sfera sociale
e, quindi, politica. In questo ambito,
dichiarano un’adesione completa ai
valori democratici. «L’islam - spiega Ahmed Elbardakhani, membro
dell’Alleanza islamica d’Italia - persegue tre obiettivi: libertà, giustizia
e benessere. Questi elementi non
solo sono compatibili, ma sono l’essenza stessa della democrazia. E
per raggiungere questi obiettivi, i
musulmani sono disposti a lavorare
con chiunque e in qualunque parte
centri islamici che condividono una del mondo».
parte dell’ideologia della Fratellanza Una professione così piena per la
musulmana, ma non mi azzarde- democrazia sorprende quando si
rei a dire che sono organici alla parla di un movimento che l’opiFratellanza. Lo stesso intellettuale nione pubblica internazionale conislamico Tariq Ramadan, che espri- sidera molto vicino alle posizioni
me a livello personale idee vicine al integraliste. «Quando la Fratellanza
pensiero del movimento egiziano, musulmana è salita al potere in
non può essere definito un porta- Egitto, Marocco, Tunisia e Turchia
voce della scuola della Fratellanza». - osserva Ashraf Aboualy, membro
del Consiglio generale dell’Alleanza
islamica d’Italia - era considerata
respiro INTERNAZIONALe
Non è semplice cercare di adden- democratica, ora che in Egitto è statrarsi in questo movimento. Un uni- ta rovesciata da un golpe è consideverso complesso sia in Egitto, dov’è rata un’organizzazione terroristica.
nato e, dopo l’avvento al potere L’adesione del movimento ai principi democratici è chiadei generali (2013), viera. In Turchia, Tunisia,
ne considerato u­­n’or­­ «In Italia noi
Marocco si tengono eleganizzazione terroristi- lavoriamo
zioni libere, c’è alterca, sia all’estero, dove all’interno
nanza e rispetto per le
numerose sono le orga- del sistema
minoranze. Non è stato
nizzazioni che l’hanno democratico
creato nessun califfato,
preso a modello ideale. e da sempre ci
anche se è ovvio che
D’altra parte lo stesso opponiamo al
fondamentalismo
perché è una
strada che non
porta a nulla»
i politici locali hanno una visione
islamica della società e si muovono
in sintonia con essa. In Egitto e Siria
la Fratellanza è in prima linea contro i dittatori. E anche in Italia noi
lavoriamo all’interno del sistema
democratico e, da sempre, ci opponiamo al fondamentalismo perché è
una strada che non porta a nulla».
«Il loro progetto di creare una società islamica - afferma Massimo
Campanini, storico del Medio
«Ci sono influenze
oriente arabo e
reciproche tra
della filosofia
organizzazioni
islamica - non
diverse nel
implica un elemondo, così
mento intrinseco
come è vero che
di estremismo e
ci sono centri
la loro espansioislamici che
ne non ha nulla
condividono parte
a che vedere con
dell’ideologia
rischi terroristidella Fratellanza»
ci. Ciò detto, la
loro lettura fondamentalista dell’islam può portare a una limitazione
dei diritti umani, soprattutto delle
donne, e a rendere le comunità islamiche meno integrabili. Ma è pur
vero che la Fratellanza ha sempre
dimostrato un notevole pragmatismo che potrebbe smussarne la
radicalità».
OBIETTIVO INCULTURAZIONE
Ma l’obiettivo di queste organizzazioni europee è più ambizioso:
cercare di conciliare la fede islamica
con la cultura occidentale. «È inutile
importare modelli culturali nordafricani o mediorientali in Italia
- spiega Ahmed Abdel Aziz -, forse
andrebbero bene per le prime generazioni di immigrati, certamente
non per le seconde. Noi dobbiamo
proporre una visione dell’islam seria
e rigorosa, ma che sappia fare propria la cultura italiana. Solo in questo modo possiamo diventare una
parte attiva di questo Paese. Siamo
convinti che la religione (non solo
quella islamica) aiuti la comunità a
migliorarsi».
giugno-luglio 2014 Popoli 31
inchiesta
«Un network informale
a livello globale»
E. Dacrema
Una dichiarazione che pare in contrasto con l’accusa portata avanti
da molti studiosi di una «doppia
predicazione» nei centri culturali
che si rifanno alla Fratellanza: sermoni integralisti e aggressivi contro
la società occidentale quando
«Dobbiamo
sono tenuti in
proporre una
lingua araba,
visione dell’islam
più concilianti
seria, ma che
sappia fare propria quando sono
in italiano. «È
la cultura italiana.
vero il contraSolo in questo
rio - commenmodo possiamo
ta Aboulkeir
diventare una
Breigheche -,
parte attiva di
da anni stiamo
questo Paese»
formando gli
imam alla predicazione in italiano
e chiediamo loro di tenere sermoni
in italiano e in arabo dicendo esattamente le stesse cose. Continuare a
predicare in arabo rischia di allontanare le seconde generazioni, ma
anche i musulmani non arabi».
Questo attivismo porterà nel prossimo futuro alla creazione di un
partito della Fratellanza islamica in
Italia? «I tempi non sono maturi conclude Ashraf Aboualy -. Noi lavoriamo per essere una componente
attiva della società italiana. Ma non
è detto che in futuro non si possa
creare una formazione simile».
L
orenzo Vidino è l’esperto
di estremismo islamico del
Politecnico di Zurigo e ha
scritto un libro sulla Fratellanza
musulmana (The New Muslim Brotherood in the West, Columbia University Press, 2011, pp. 336, euro
32). A lui chiediamo di aiutarci a
interpretare questo movimento e a
comprenderne le logiche.
In Europa e in Italia quali sono
le organizzazioni che fanno riferimento alla Fratellanza musulmana?
In 80 Stati del mondo, inclusi
quasi tutti i Paesi occidentali, vivono persone che appartengono
alla Fratellanza musulmana e che
hanno creato organizzazioni che
portano avanti l’ideologia del mo-
LE ORIGINI E LA STORIA
Un movimento borderline
L
a Fratellanza musulmana nasce in Egitto nel 1928. A fondarla è Hasan al Banna, un maestro di scuola che vive a Ismailia.
Il movimento si propone di reagire all’occidentalizzazione della società egiziana e di promuovere il riscatto dei lavoratori arabi nella
zona del Canale di Suez. L’organizzazione cresce velocemente.
Diventa presto un punto di riferimento delle classi povere e,
allo stesso tempo, inizia a giocare un ruolo di primo piano
nel movimento nazionalista egiziano. Dal punto di vista
ideologico il movimento si richiama al dovere di fedeltà ai
valori islamici tradizionali.
La Fratellanza viene repressa da Gamal Nasser che vede
in essa un ostacolo alla secolarizzazione del Paese. A partire dal 1969, però, l’organizzazione prende le distanze dalle
posizioni più radicali e Anwar Sadat, inaugura una politica di apertura nei loro confronti. Saranno però alcuni militanti più estremisti
staccatisi dall’organizzazione a ucciderlo nel 1981.
Hosni Mubarak
manterrà
una politica ambigua nei loro
32 Popoli invece
giugno-luglio
2014
confronti, fatta di aperture (concederà loro di presentare candidati, ma nelle liste di partiti laici) e chiusure (con dure repressioni).
Nel frattempo il movimento svolge una capillare azione sociale
offrendo assistenza, istruzione, formazione religiosa a persone di
ogni ceto.
Lo scoppio della Primavera araba prende di sorpresa la Fratellanza. Caduto Mubarak, però, il partito Libertà e Giustizia,
legato al movimento, vince le elezioni presidenziali del giugno 2012 con Mohamed Morsi. Rimane in carica solo un
anno. Il 3 luglio 2013 i militari lo depongono e dichiarano la Fratellanza musulmana: «movimento terroristico».
Partiti vicini alla Fratellanza sono attivi in Africa e Medio
Oriente. Le formazioni più note sono l’Akp in Turchia, Ennahda in Tunisia, Hamas in Palestina, il Fronte di azione islamica in
Giordania, il Partito della giustizia e dell’unità in Somalia. In Europa
le organizzazioni legate alla Fratellanza si riconoscono nel Fioe
(Federation of Islamic Organizations in Europe).
Milano, una manifestazione
di sostenitori dell’ex presidente
egiziano Mohamed Morsi.
vimento adattandola all’ambiente
in cui operano. Questo mondo in
Italia è rappresentato dall’Ucoii
(Unione delle comunità islamiche
d’Italia), la cui leadership si riconosce nella Fratellanza musulmana (anche se non tutti i membri lo
ammettono e/o ne fanno parte).
Due altri gruppi di questa galassia
sono l’Alleanza islamica d’Italia e
la Gioventù musulmana italiana
(anche se negli anni ha oscillato
tra chi è più legato e chi meno alla
Fratellanza). A livello europeo,
questi movimenti si riconoscono
nel Fioe (Federation of Islamic Organisation in Europe).
Queste organizzazioni hanno un
forte legame ideale con la Fratellanza musulmana, ma non un
legame formale con essa. Per intenderci, non esiste, come ai tempi
dell’Urss, un Comintern musulmano che detta le direttive centrali e
impone uno statuto a tutte le organizzazioni. Esistono legami informali tra le varie organizzazioni,
ma è difficile capire quale forza
abbiano. C’è una sorta di vincolo
alla segretezza tra i membri, che
è il retaggio, comprensibile, della
storia di un movimento che è sempre stato perseguitato.
Quali sono i principi ai quali si
ispira la Fratellanza?
La flessibilità è una delle caratteristiche fondamentali: ogni organizzazione opera in modo diverso
a seconda del contesto e delle
circostanze. Detto questo, l’idea
fondamentale è che l’islam regola
ogni aspetto della vita privata e
pubblica. L’obiettivo è l’islamizzazione della società, un’islamizzazione che deve partire dal basso
e dev’essere graduale. Il concetto
di gradualismo è fondamentale:
secondo al Banna, si deve creare
prima l’individuo islamico, poi la
famiglia islamica e infine la società islamica. Una volta che la
società è diventata islamica, lo
Stato islamico verrà da sé. Questo processo viene portato avanti
con mezzi pacifici: proselitismo,
educazione, servizi sociali, ecc. Il
movimento però non esclude del
tutto la violenza, seppure solo in
casi eccezionali.
dentali per fare lobby per le cause
islamiche nel mondo: Hamas in
Palestina, Fratelli musulmani in
Egitto e in Siria, ecc.
Quale rapporto esiste tra Fratellanza musulmana egiziana e altri
movimenti?
La Fratellanza musulmana si pone Non esistono legami formali tra la
Fratellanza in Egitto e in altri Pae­
gli stessi obiettivi in Occidente?
I primi fratelli musulmani arrivati si. Al tempo stesso però esistono
negli anni Sessanta in Europa e forti rapporti personali tra i diriin Nord America proclamavano genti che si riconoscono nella Frala volontà di creare uno Stato tellanza nel mondo. C’è quindi uno
islamico in Occidente. Poi, es- scambio costante di informazioni
sendo persone pragmatiche, han- tra le varie realtà del movimento e
no capito che l’obiettivo non era vengono regolarmente organizzati
perseguibile nel breve. Oggi, il incontri in cui si definiscono le
ruolo che vedono per se stessi in strategie globali di questo network
informale a livello gloOccidente è riassumibale. Come queste strabile in tre obiettivi: 1) «L’obiettivo tegie debbano essere
fare proselitismo tra la spiega Vidino - è
interpretate a livello
popolazione musulma- l’islamizzazione
locale è poi demandato
na immigrata. Questo dal basso: si
ai singoli gruppi naè possibile grazie alla deve creare
zionali. Anche se molte
superiorità di risorse prima l’individuo
iniziative organizzate
e di capacità organiz- islamico,
in Stati diversi sono
zativa della Fratellan- poi la famiglia
simili e hanno slogan
za rispetto alle altre islamica e,
identici. Un esempio
organizzazioni islami- infine, la società
sono le manifestazioni
che, al fatto che in Oc- islamica»
che qualche anno fa
cidente non esistono le
venivano organizzate a
limitazioni degli Stati
favore della Palestina
nordafricani e mediorientali e, infine, al fatto che le o quelle che oggi si organizzano a
masse islamiche disorientate dal- favore della Fratellanza in Egitto
la migrazione possono essere un o in Siria.
audience molto recettiva del loro
messaggio; 2) diventare i legitti- Chi finanzia i gruppi dell’alveo
mi rappresentanti delle comunità della Fratellanza?
islamiche nei confronti delle élite Non è facile dirlo. Ciò che è certo
occidentali: presentarsi come dia- è che i gruppi hanno beneficiato di
loganti con le autorità pubbliche grandi finanziamenti provenienti
potrebbe permettere loro di arriva- da Qatar e Turchia. L’Arabia Saure ad accordi con gli Stati e quin- dita e il Kuwait, a livello governadi ad assumere una posizione di tivo, hanno limitato l’afflusso di
leadership nel mondo musulmano fondi. Ma è anche vero che mol(con la possibilità di gestire tutti ti miliardari sauditi e kuwaitiani
i rapporti con lo Stato, per esem- continuano, a livello personale, a
pio l’insegnamento della religione versare soldi alla Fratellanza. E
islamica nelle scuole pubbliche); poi la Fratellanza, in cambio, aiuta
3) sfruttare la loro posizione di queste personalità a fare business
influenza su politici e media occi- in Europa.
giugno-luglio 2014 Popoli 33
corea
Testo: Roberto Tofani
Foto: Luca Faccio
S
e tra Corea del Nord e del
Sud esiste oggi un terreno
comune, quella è la Zona demilitarizzata. Una striscia di
demarcazione disegnata nel 1953
con la firma dell’armistizio tra i
due governi, che mai hanno siglato
un trattato di pace. Una linea al
centro di uno spazio largo 4 chilometri, all’interno del quale giovani
soldati si guardano a distanza
senza mai comunicare. Discen-
Una terra
comune
Un progetto fotografico diventa esplorazione
per immagini di ciò che accomuna i coreani
del Nord e del Sud, oltre sessant’anni dopo
la divisione. Mutazioni e persistenze si mostrano
in un gioco di specchi, che trascende le
prospettive geopolitiche
Immagini a confronto tra Nord
e Sud del 38º parallelo.
34 Popoli giugno-luglio 2014
denti di altri uomini in divisa che
hanno combattuto insieme contro
l’invasore giapponese all’inizio del
secolo scorso. Nipoti di quei settemila manifestanti che nel 1919
caddero insieme, sotto i colpi dei
soldati nipponici, per opporsi pacificamente all’impero coloniale del
Sol levante.
Figli che oggi non si conoscono
e che non riconoscono le lacrime
dei loro padri e delle loro madri
divisi da due diverse ideologie e
da una guerra infuocata, che si
è poi congelata su una cortina di
FRONTI CONTRAPPOSTI
Uno spartito che oggi è composto
da immagini e parole che ci descrivono due fronti contrapposti:
da una parte il bene e dall’altra il
male. Una divisione che alimenta
insicurezza, paura, terrore. Ma le
immagini, le parole, possono anche essere utilizzate per raccontare
quelle sfumature spesso dimenticate, alla ricerca di quei tratti che
invece accomunano, uniscono. A tal
punto da chiedersi se oggi esista ancora un common ground, un terreno
comune, tra Nord e Sud coreani.
ferro e cemento lunga 248 chilometri. Un confine, il più militarizzato al mondo, che divide un
terreno che per secoli ha cullato
e nutrito un popolo e una cultura
comune.
Note di uno stesso spartito che negli ultimi sessant’anni si sono perse in echi inascoltati e amplificati
dal vuoto di stanze governative e
palazzi di vetro.
Possiamo ancora credere nella caduta di un muro in un’epoca in cui
si contrappongono barriere fisiche e
culturali ben più imponenti anche
tra i campioni della democrazia?
«Sì, è possibile. Dobbiamo credere e
pensare che prima o poi anche questo muro si dissolverà», ci racconta
Luca Faccio, autore del progetto
artistico Common Ground da cui
sono tratte queste immagini (www.
luca-faccio.com). Un’idea nata agli
inizi del secolo dopo i primi viaggi a
Pyongyang, capitale del Nord. Era il
2001 quando George W. Bush lanciò
il suo anatema contro quell’«asse del
male» che minacciava la «pace del
mondo». «Di che genere di asse stava
parlando? Mi trovavo in Iraq nel
2003 - racconta il fotogiornalista - e
non riuscivo a percepire quel Paese
come una minaccia. Quel conflitto
mi aveva inoltre condotto a fare una
serie di riflessioni sulle interazioni
tra il mondo dei media e quello militare, che le parole di Susan Sontag
mi aiutarono a circoscrivere».
Nel suo Il dolore davanti agli altri
(2006), la scrittrice americana parla di «distanziarsi dall’aggressività
del mondo». Una scelta che ci dà
la libertà di osservare, offrendoci
quindi la possibilità di guardare
alle cose del
mondo in modi
I 248 chilometri
diversi e singodi cortina di ferro
lari. Allo stestra Nord e Sud
so tempo, però,
della Corea da più
tale distanza
di sessant’anni
non deve essedividono un
re troppo marterreno che per
cata, altrimensecoli ha cullato
ti il rischio è
e nutrito un popolo
quello di piome una cultura
bare nell’indifcomune
ferenza. «Per
questo decisi che dovevo essere lì.
Sentivo il bisogno di comunicare
con quelle persone, anche se ancora non le conoscevo, ma senza
mai rischiare di offendere la loro
dignità. Volevo ritrarle all’interno
del loro ambiente, per catturarne
l’essenza, evitando di offrire giudizi preconfezionati», spiega l’artista,
originario di Genova. È questo il
motivo principale che lo ha condotto in Corea del Nord. Paese in
cui è tornato per sei volte negli
ultimi otto anni. Un legame che
nel 2006 ha spinto un suo progetto
fotografico a superare le mura ermetiche di Pyongyang. «È stato più
facile esporre le mie foto nel cuore
giugno-luglio 2014 Popoli 35
corea
nordcoreano che nella mia città natale», osserva ironicamente Faccio,
ormai di base a Vienna da quasi
vent’anni e dove, dal 2011, è cofondatore di un’associazione giornalistica (PlanetNext) con l’obiettivo di
«informare per cambiare».
Attraverso i suoi continui ritorni,
la sua gioiosa umanità, Faccio è
riuscito a catturare la fiducia dei
suoi accompagnatori. Nel tempo i
suoi «Mr Cho» gli hanno permesso
di ritrarre persone e luoghi comuni senza dover per forza portare
a casa cartoline
da propaganNel Nord il
da. Nell’aprile
semplice ritrarre
2013, quando
l’individuo nella
sembrava che
sua singolarità è
le minacce tra
un atto contro la
Pyongyang e
ragion di Stato; a
Seul potessero
Seoul, invece, lo
tramutarsi in
stesso individuo
conflitto aperto,
sembra incapace
Faccio era l’udi gridare la
nico giornalista
solitudine di oggi
a fotografare la
zona demilitarizzata da Nord verso
Sud. Una volta catturati gli sguardi
dei soldati della Repubblica popolare democratica, la scelta di ritrarre
le spalle dei loro nemici. L’azzurro
delle casermette si confonde con la
fresca e bianca luce primaverile, le
36 Popoli giugno-luglio 2014
diverse tonalità di verde delle divise a malapena si distinguono, in un
gioco degli opposti che ci ricorda
che siamo sul territorio di due nazioni di una stessa penisola. Quella
striscia di terra dove tutto ha avuto
inizio e da dove è partita la ricerca di luoghi e volti che potessero
raccontare quel tratto comune. Un
tratto che sfugge alle cronache dei
media internazionali, fin troppo
attenti ad amplificare qualsiasi notizia che possa screditare il regime
di Pyongyang.
«A Seoul ero sicuramente più libero
di muovermi rispetto a Pyongyang,
ma mi sentivo comunque un corpo estraneo, in completa solitudine
ASPETTANDO IL PAPA
I
l cristianesimo sudcoreano vive da un decennio una crescita costante:
i cattolici sono 5,5 milioni, circa un decimo della popolazione, una delle
percentuali più alte in Asia. Come riporta l’agenzia Asianews, è in aumento il
numero di fedeli e sacerdoti, anche se altri indicatori della pratica religiosa
sono in controtendenza. I sacerdoti sono quasi cinquemila e il vescovo di
Seoul, Andrew Yeom Soo-jung, è diventato cardinale in febbraio. I protestanti
sono ancora più numerosi (18%). Il cristianesimo si è diffuso a partire dal
XVIII secolo, grazie all’impegno di laici coreani, più che di missionari stranieri.
La Corea accoglierà papa Francesco dal 14 al 18 agosto nel suo primo
viaggio in Asia orientale. Parteciperà alla Giornata asiatica della gioventù a
Daejeon, nel centro del Paese, e presiederà alla cerimonia di beatificazione
di 124 martiri coreani. In vista della visita papale, nel Sud si fa più intenso il
dialogo ecumenico e interreligioso: cattolici, anglicani e protestanti, buddhisti
e confuciani hanno tenuto in aprile una Conferenza dei religiosi per la pace.
Un cartello di benvenuto al Papa sarà affisso su tutti i luoghi sacri delle diverse
religioni. Al Nord, in cui l’unico culto consentito è quello di Kim Il-sung, fondatore del regime, e dei suoi eredi, il Papa dedicherà una messa e probabilmente
si recherà vicino al confine.
In Corea del Nord non ci sono più sacerdoti né suore e la presenza religiosa, in
particolare buddhista e cristiana, viene ostacolata e repressa con la violenza.
f.p.
con la mia fotocamera», racconta.
Proteste antigovernative di cui i
media non parlavano, luoghi pubblici riservati esclusivamente a coreani, l’idea di due famiglie che si
spartiscono il potere economico del
Paese. Ma non è solo su questo terreno, quello delle restrizioni, della
censura, di assonanze tra regimi
politici contrapposti che si è fermato lo sguardo del fotogiornalista. Sì,
perché l’arte e la cultura possono
denunciare, turbare, provocare, ma
possono anche unire e aiutare a delineare quei tratti comuni che i soggetti scelti ci comunicano attraverso i loro sguardi, ritratti al centro
di un contesto che rivela assonanze
geografiche, naturali e architettoniche. Immagini in cui il contrasto tra
luci e ombre abbatte muri e confini,
in un gioco di specchi in cui le differenze si compongono all’interno
di un common ground.
VIRTUALITÀ POLITICA
E REALtÀ UMANA
Quei volti, quei sorrisi di giovani militari,
studenti, operai, imprenditori, adolescenti,
caratterizzati da una
forte espressività umana, si muovono in un
confronto costante, lucido e ironico. I loro occhi, le loro mani, sono
lì a raccontarci ognuno la propria
storia. Alle loro spalle monumenti
alla memoria, le sculture e le effigi
del «Grande leader», manifesti pubblicitari e di propaganda, scorci di
vita urbana in una quotidianità che
non conosce soste. Camminando
tra le immagini e i video che hanno
trovato spazio nelle ampie e silenziose sale della Künstlerhaus di
Vienna, si ha l’impressione di procedere in un passato stanco del presente, convinto che il futuro possa
e debba essere diverso. In Corea del
Nord, il semplice cogliere e ritrarre
l’individuo nella sua singolarità è
un atto che si contrappone in modo
forte alla ragion di Stato. A Seoul,
invece, lo stesso individuo sembra
incapace di gridare la solitudine
dei nostri tempi. Gli indumenti
degli adolescenti nei due Paesi non
sono in fondo così dissimili, ma
denotano una certa omologazione:
nel Sud hanno gli stessi
noti marchi occidentali
L’arte e la
cultura possono prodotti in larga parte
nel Sud-Est asiatico. A
denunciare,
uno sfondo rappresenprovocare, ma
tato da un manifesto
anche unire
che nel Nord celebra la
e aiutare a
partenza di un missile
delineare quei
tratti comuni che
i soggetti scelti
ci comunicano
con i loro sguardi
balistico, si contrappone l’ultimo
modello intimo agognato dalle ragazze sudcoreane.
I volti stanchi dei lavoratori in metro a fine giornata non mostrano
alcuna differenza. La «Grande Porta
meridionale», però, è unica e si trova
a Seoul, a sud della linea di demarcazione. Mura che, edificate nel XIV
secolo, vengono ricordate da un
maestoso dipinto all’interno degli
studios nordcoreani di Pyongyang.
L’opera fotografica riconsegna alla vita reale, «contrapponendo la
virtualità della politica alla realtà
umana». L’idea di una riunificazione parte dalla penisola coreana,
ma potrebbe muoversi altrove nel
mondo dell’ipercomunicazione sociale, che continua a costruire muri
e barriere di ogni tipo. «È naturale
che il Paese debba essere riunificato. Però non ora»: è questa, spesso,
la riflessione più comune quando
si parla del futuro delle due Coree.
«È triste pensare che la generazione
dei miei genitori e dei loro padri abbia lottato per la democrazia e sofferto durante il periodo di sviluppo
economico del Paese - racconta Lee
Loc Hyun, artista sudcoreano che
ha collaborato al progetto -. Mi
chiedo allora quale sia l’obiettivo
della nostra generazione».
giugno-luglio 2014 Popoli 37
brasile
È
un momento esaltante per il
Brasile. Difficile, controverso, ma certamente decisivo
per le sorti dell’«indomito colosso»,
come recitano le parole dell’inno
nazionale. Non c’entrano il calcio,
l’economia e nemmeno la politica.
O meglio c’entrano, nella misura
in cui tutto, in una cultura, ha un
senso, un significato. Ma sono altre
- più generali, più nobili - le ragioni
per cui il Brasile vive con il cuore
in gola questo mese elettrizzante
che inizia il 12 giugno, fatto di
partite, turisti, giornalisti, proteste.
Un mese in cui la storia - finalmente - passa davvero da queste parti.
UNA CHANCE MONDIALE
C’era già stata un’altra occasione
per dimostrare come il Brasile fosse
pronto, moderno, «degno» di partecipare al banchetto dei primi della
classe. Era il 1950, ma il Brasile fallì
l’appuntamento. Lo mancò non perché venne sconfitto nella finale
L’occasione è
«sportivamente»
imperdibile, per
più tragica della
i brasiliani e per
storia del calcio,
il mondo intero:
far capire e capire quell’«Hiroshima tropicale»,
cosa ha reso
come
venne
questo popolo,
ribattezzata la
che pure è stato
derrota contro
ed è sofferente, e
tanto, la gente più l’Uruguay, che
seppe ispirare,
felice della terra
e ancora ispira,
poeti, narratori, giornalisti.
È piuttosto il fatto che, a essere
imputati di quella sconfitta, furono due «negri», il portiere Barbosa
e il terzino Bigode, a dover fare
riflettere sulle dinamiche identitarie di «quel» Brasile, così come del
Brasile di oggi.
Nonostante il perenne complesso
di inferiorità dei brasiliani - ribattezzato, con un’immagine efficacissima, o complexo do vira-lata,
complesso del bastardo (il vira-lata
38 Popoli giugno-luglio 2014
Vetrina
Mondiale
Cominciano il 12 giugno i Mondiali di calcio:
li ospita un Paese che ha il futebol nel sangue
e che vive questo megaevento come un assist
per presentare al pianeta il suo nuovo volto.
Possibilmente senza rinnegare la propria identità,
fatta di differenze, contrasti, meticciato
AFP
Bruno Barba
è quell’animale randagio che rovista adorare uno speciale understatenella spazzatura e con un tocco vira, ment, da ribaltare repentinamente in
«rovescia», le lattine di alimenti) -, orgoglio meticcio. Questo ha portato
nonostante questo, è il modello me- a riscontrare, nei brasiliani, un altro
ticcio che il Brasile vuole mostrare complesso, in fondo parente di quelai razzisti - e agli uomini di buona lo del vira-lata. Le vittorie, sportive e non, vengono ricondotte alla
volontà, certo - di tutto il mondo.
Questo Brasile che cambia con una creatività, all’originalità, all’audacia
velocità entusiasmante e inimma- e all’anticonformismo; le sconfitte
ginabile per noi europei è una Re- all’irresponsabilità, all’indisciplina,
alla mancanza di caratpubblica federale con
tere. Tutte caratteristiun territorio di più di Nonostante
che - quelle positive co8 milioni di chilome- il perenne
me quelle negative - che
tri quadrati (26 volte complesso di
siamo soliti attribuire
l’Italia, per intenderci) inferiorità del
ai bambini. Ecco perché
e una popolazione di brasiliani (o
quasi 200 milioni di in- complexo do vira- questa «sindrome» viene
chiamata paradoxo do
dividui; vanta immense lata) è proprio il
risorse agricole e zoo- modello meticcio moleque, il «paradosso
del bambino»; è come
tecniche, giacimenti di che il Brasile
se il gigante sudamerioro, ferro e petrolio e vuole mostrare
cano (l’indomito colosso
alcune delle mete tu- ai razzisti
dell’inno) soffrisse, anristiche più visitate del
cora e sempre, di quelmondo. È il luogo ideale
la dolce condanna così
- dovunque il Mondiale
porti, fisicamente o nei sogni di ben tracciata in Macunaíma, l’eroe
ognuno di noi - per «abbandonarsi» senza carattere, dal poeta moderalle emozioni, perché offre sempre nista Mário de Andrade. Informale
una scelta, un angolo di familiarità e... impunito, un po’ troppo superbo
in tanto esotismo, un’eccitante im- eppure capace di atti d’umiltà permersione nella diversità, antidoto sino eccessivi: è così che appare il
brasiliano.
all’omologazione.
Le immagini televisive ci trasmetto- Il Brasile-nazione, il Paese uffino la sensazione di una terra com- ciale, presenta quindi la propria
posita, diseguale e sempre diversa tecnologia, la propria voglia di «fada se stessa. E questa «alterità», re» e di «essere», la propria crescita
questa peculiarità, questa «essenza economica. Ma che portata storica
brasiliana», se talvolta può apparire possono avere queste eccellenze di
socialmente dolorosa, è in realtà fronte al sorriso disarmante e devaun germe prezioso e fecondo che stante di certi bambini mulatti, di
si chiama meticciato. Eccola allora certe donne e uomini euro-africani,
la carta vincente che i brasiliani scurinhos, morenos o dalla pelle
devono giocarsi fino in fondo, che dourada? Di fronte a certi messaggi
abbatterà l’indifferenza di noi occi- fatti di sguardi, di movenze e di
dentali, lo snobismo, il razzismo, e posture del corpo, che si possono
che farà dimenticare cose in fondo osservare nei campetti spelacchiati
marginali e contingenti (la puntua- dove si pratica il calcio più autentico, nelle spiagge della bossa nova,
lità, l’organizzazione, l’efficienza).
La gente brasiliana - siamo consa- nelle piazze della capoeira, nei morpevoli che le generalizzazioni sono ros e nei suburbi del samba?
sempre pericolose, eppure qui si Attitudini, queste, che non sono
accenna a un modello culturale ab- allusive, come la cattiva fede degli
bastanza «condiviso» - sembrerebbe europei ha fatto credere per trop-
po tempo, ma espressive, ricche di
simbologie e riferimenti identitari,
gioiose, comunicative e persino «religiose», culturalmente complesse
e sincretiche. Ancora, il Brasile ha
l’opportunità di mostrare il proprio
jeitinho, ovvero quella capacità di
aggirare gli ostacoli, di farsi volere
bene anche quando si è in difetto,
di ingannare, forse, per ottenere ciò
che si vuole. Come fa il malandro
cantato nei samba: uomo eternamente immaturo che vive di espedienti, che ruba ai ricchi, ma che
possiede un cuore nobile e in fondo
sa commuovere; come fa la donna,
nobilitata dalla letteratura di Jorge
Amado - Teresa Batista, Dona Flor,
Gabriela - che sembra «leggera» ma
che in realtà vive generosamente,
e il suo eros, l’amore che regala, la
bontà che dimostra sono funzionali
alla salvezza degli uomini e degli
ideali.
DODICI PERLE DI DIVERSITÁ
Ecco che allora, di fronte al popolo,
la vera ricchezza del Brasile, anche
l’interesse per le dodici città che
ospiteranno la Copa - con la loro bellezza, la loro vitalità, il loro ritmo, il
loro essere così lontane, diverse, eppure tutte autenticamente brasiliane
- sembra passare in secondo piano.
Eppure di meraviglie, sparse per
questo avvincente Paese, ve ne so-
PER SAPERNE DI PIÙ
>Jorge Amado, Dona Flor e i suoi due
mariti, Garzanti 1977
>Jorge Amado, Bahia. Le strade e le
piazze, la gente e le feste, gli incanti
e i misteri, Garzanti 1972
>Domenico De Masi, Mappa Mundi.
Modelli di vita per una società senza
orientamento, Rizzoli 2013
>Mauro Valeri, La razza in campo.
Per una storia della Rivoluzione Nera
nel calcio, Edup 2005
>Hermano Vianna, Il mistero del samba.
Contaminazioni e fantasmi dell’autenticità,
Costa&Nolan 1998
giugno-luglio 2014 Popoli 39
no davvero per tutti i gusti: estetici, gastronomici, paesaggistici,
musicali, religiosi.
Salvador de Bahia è terra di macumbe, santi e orixás, di feticismi
vecchi e nuovi, di magie, di malie
di colori accecanti e di angoli decrepiti. Eppure è la città dalle «365
chiese cattoliche» - una per ogni
giorno dell’anno -, il luogo dove le
tradizioni nere, seppure da secoli
sincretizzate con quelle europee,
sono ancora vivissime, pulsanti,
più Africa che l’Africa, più Africa
che in Africa. Salvador respira,
emana negritudine perché quelle
radici, reinterpretate e ricolorate,
come sempre avviene in Brasile,
mostrano i segni, per paradosso, di
una «vera» autenticità. Obbligatorio
leggere Amado, ascoltare Caetano
Veloso e Gilberto Gil, mangiare
acarajé, e compiere un pellegrinaggio fino alla Casa Branca do Engenho Velho, il centro di culto dove
nacque l’epopea delle religioni afro.
Rio presenta le ebbrezze e le inquietudini - fisiche, sentimentali e
geografiche - del nostro immaginario: le spiagge di Copacabana e
Ipanema, il Pão de Açucar, il Cristo
Redentor del Corcovado, da dove
si ammira il più bel panorama del
mondo, visioni associate dalle tradizioni musicali del samba e della
L’AUTORE E IL LIBRO
B
runo Barba, autore di questo articolo,
è ricercatore di Antropologia presso
il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova. Da diversi anni si occupa di sincretismo religioso e meticciati
culturali in Brasile e Sudamerica. Ha al
suo attivo varie pubblicazioni, la più recente è: No país do futebol. Il calcio torna
a casa: un viaggio antropologico (Effequ
2014). Su Popoli ha già scritto un articolo
nel numero di agosto-settembre del 2012
(Il Brasile nel pallone), analizzando i significati socio-culturali del gioco del calcio nel
Paese sudamericano. L’articolo è disponibile su www.popoli.info
40 Popoli giugno-luglio 2014
M. HSU
brasile
bossa nova, e poi tanti quartieri l’epopea dell’oro, poi del latte e ora
diversissimi per storie di popola- dell’automobile. Ancora, vedremo
di sfuggita l’utopica, incredibile,
mento, per charme, per mode.
San Paolo stupisce per post-mo- lineare Brasilia, celebrazione del sodernità, efficienza, traffico, eppure gno sinuoso e senza curve di Oscar
- ecco che useremo, per la prima e Niemeyer; conosceremo (poco) la
unica volta, l’espressione più abusa- coloniale Recife con vicino quel
ta dai commentatori - è davvero, se gioiello barocco di Olinda; ci afce ne deve essere una, la «città dei facceremo nell’organizzata e fredda
contrasti». È la più grande e cosmo- Curitiba e nella caldissima Cuiabá,
polita metropoli dell’America latina nel pieno del paradiso naturale del
(19 milioni di residenti, 52 naziona- Pantanal; gusteremo - di seconda o
lità rappresentate); la metropolitana terza mano - il fascino esotico della
trasporta 3,3 milioni di persone solitaria Manaus e della foresta che
al giorno; in autobus si spostano tutto inghiotte, condiziona, deter8 milioni di persone; offre 12.500 mina, persino i sogni che hanno
ristoranti, 1.500 bar, 79 shopping portato i visionari a costruire e
center. Non sono semplici dati, ma poi a frequentare quel teatro ric«opportunità». Vi sono il bairro ita- chissimo e ridondante. Faremo un
liano e quello giapponese, immensi tuffo nella «bionda», europea, anzi
parchi, le tradizioni nere, levantine tedesca, Porto Alegre; nella pigra
ed europee che convivono. San e divertente Natal, città contornata
Paolo appartiene al mondo, non di spiagge, spiagge, e ancora dune
soltanto al Brasile. Consiglio a tutti di sabbia.
di ascoltare e di farsi tradurre le pa- Il Mondiale brasiliano, inutile nerole di Sampa di Caetano Veloso: si garlo, è un’autentica «scarica di
capirà tutto di questa metropoli, la energia»: troppe le evocazioni mepiù importante del Sudamerica, la ramente sportive - il Brasile calcittà con più italiani nel mondo. Un cistico e la sua storia, in primis -,
luogo dove nonostante quel che si troppi gli stimoli visivi, culturali
percepisce al primo impatto, regna e non, che gli spettatori e i turisti
la dolcezza, il lirismo, la poesia e, colgono.
L’occasione è imperdibile, per i brasoprattutto, la saudade.
Ma come fare classifiche? Viviamo siliani e per il mondo intero: far
settimane frenetiche di collegamen- capire e capire cosa ha reso questo
ti televisivi, reportage giornalistici, popolo, che pure è stato ed è sofferente, e tanto, la gente
frettolose immagini o
più felice della terra.
parole che si posano, Il Brasile ha
Un’ipotesi, solo una, cedistrattamente, sulla l’opportunità
lebrata dalle parole del
gradevolmente pigra di mostrare il
poeta Vinícius de MoFortaleza, e sulla mo- proprio jeitinho,
raes: che la vita, davvederna Belo Horizonte, quella capacità
ro, non è nient’altro che
in una regione, il Mi- di aggirare gli
a arte do encontro...
nas Gerais, che visse ostacoli, di farsi
volere bene
anche quando si
è in difetto, forse
di ingannare
cina
Benoit Vermander SJ
Taipei (Taiwan)
Beata amicizia
L
a prima fase della causa di
beatificazione di Matteo Ricci si è conclusa nel maggio
2013 a Macerata, diocesi di origine
del missionario gesuita. Il dossier è
ora allo studio della Congregazione
per le Cause dei Santi in Vaticano.
Da qualche tempo si moltiplicano
gli appelli per la beatificazione e
la canonizzazione di Ricci.
Che Ricci meriti ampiamente di
essere canonizzato è fuori di dubbio. La rettitudine del suo carattere, l’infinita pazienza, la perseveranza e l’umiltà mostrate durante
tutto il percorso cinese e i frutti
maturati dalla sua missione testimoniano la santità di un uomo che
è estremamente rispettato e persino amato da molti cinesi.
La domanda è: Ricci dovrebbe essere
42 Popoli GIUGNO-LUGLIO 2014
Un gesuita che ben conosce il mondo cinese
riflette sull’avanzamento del processo di
beatificazione di Matteo Ricci e lancia un
appello: non va dimenticato l’amico Xu Guangqi,
primo cinese convertito al cristianesimo dal
missionario marchigiano. Ecco perché
beatificato da solo, oppure la sua causa apre opportunità per affrontare in
modo nuovo questi temi? Ricci iniziò
il suo pellegrinaggio cinese pubblicando un libretto dal titolo Sull’amicizia. Il suo processo di beatificazione
dovrebbe dunque riflettere lo spirito
che ispirava il suo impegno missionario. Detto in altre parole: è difficile
pensare di beatificare Matteo Ricci
senza beatificare, insieme a lui il suo
grande amico Xu Guangqi.
TRE RAGIONI
Ci sono tre ragioni per unire i due
in una causa comune. La prima è
che anche Xu Guangqi è un uo-
mo la cui vita parla di santità. In
secondo luogo, ciò cambierebbe il
modo in cui la storia missionaria viene generalmente presentata.
Infine, questo è di gran lunga il
miglior regalo che Roma possa fare
alla Chiesa cinese e alla Cina stessa.
Xu Guangqi (1562-1633) è noto in Cina come uno straordinario studioso
e funzionario pubblico, autore di un
trattato enciclopedico sulle tecniche
agricole, un patriota che testimoniò
il progressivo indebolimento della
dinastia Ming e cercò di difenderla
dalle aggressioni, un matematico e
astronomo. Tuttavia queste qualità
umane potrebbero non bastare per-
dialogo e annuncio
Matteo Ricci e Xu Guangqi sulla vetrata
di una chiesa a Canlubang, nelle Filippine.
ché sia proclamato santo. Che cos’al- della parte degli Esercizi Spirituali intitolata «Contemplazione per
tro dovrebbe mostrare di sé?
Innanzitutto, occorre notare che raggiungere l’amore»: «L’amore si
Xu si impegnò pienamente nelle deve porre più nelle opere che nelle
attività pratiche soltanto dopo l’e- parole. (...) L’amore consiste nella
sperienza della conversione, la cui comunicazione reciproca, cioè nel
profondità pare impressionante: il dare e comunicare l’amante all’amasuo battesimo, avvenuto nel 1603, to quello che ha, o di quello che ha o
fu preparato da lunghe meditazio- può, e così a sua volta l’amato all’ani sui classici cinesi, da ripetute mante. Di maniera che se l’uno ha
esperienze di fallimento e dolore, scienza la dia a chi non l’ha, e così
dal sogno, nel 1600, di un tem- se onori, se ricchezze l’uno all’altro».
pio con tre cappelle successivamente interpretato come immagine UN MESSAGGIO ALLA CINA
della Trinità, e dalla profondissi- Proprio questo tipo di scambio numa emozione provata di fronte a trì l’amicizia che Xu sviluppò con
un’immagine della Madonna con il Ricci e ne ispirò il comportamento
Bambino, a Nanjing.
lungo tutta la sua vita. Pur non
Una volta battezzato, portò alla arrivando all’esperienza del marfede cristiana tutta la sua casa: tirio come Tommaso Moro, il suo
non solo i parenti e i servi alle sue coraggio e i suoi meriti ricordano
dipendenze, ma anche il suo stesso molto da vicino quelli di questo
padre. I suoi discendenti, in modo grande santo laico cattolico.
particolare la nipote Camilla Xu, La beatificazione congiunta di Ricci
proteggeranno e promuoveranno e Xu cambierebbe il modo in cui
la comunità cristiana di Shanghai. la storia missionaria viene spesso
Nei trent’anni che separarono il bat- raccontata: non più una storia di
tesimo dalla sua morte, Xu Guangqi ricezione passiva, ma piuttosto di
operò costantemente per proteggere, attiva collaborazione. Mostrerebbe
consigliare e guidare i missionari, l’eccezionale apertura e forza spirisviluppando una vita spirituale an- tuale che i primi convertiti manifecorata al discernimento e al dialogo starono nel lavorare con i missionari
fra le tradizioni. Tra le varie testimo- alla costruzione della Chiesa locanianze abbiamo quella di Longobar- le. E mostrerebbe anche che quedo, un gesuita che si era opposto alla sti convertiti portarono con sé fin
strategia di inculturazione di Ric- dall’inizio la ricchezza delle proprie
ci: attraverso una sorta di «contro- tradizioni. Direbbe ai fedeli che tutti
inchiesta» sull’ortodossia dei cinesi i carismi sono necessari e devono
convertiti, Longobardo involontaria- unirsi quando si fonda una comunimente ci permette di apprezzare la tà cristiana nella vita dello Spirito.
profondità e la libertà interiore della Infine, una beatificazione comune
visione spirituale di Xu.
sarebbe molto più significativa per la
Inoltre, il modo in cui Xu tradus- popolazione cinese contemporanea,
se la sua fede in piani di azione compresi i cattolici cinesi, rispetcoraggiosi e concreti ci ricorda il to a quella di un singolo missiocarattere morale di Ricnario. Manderebbe un
ci: entrambi sono meno Ci sono varie
messaggio di amicizia,
inclini a scrivere dei lo- ragioni per unire
collaborazione e uguaro sentimenti che a im- i due in una
glianza spirituale. Anpegnarsi in quella che causa comune.
cora più importante, la
percepiscono essere la Una è che
poliedrica figura di Xu
loro vocazione. Ciò può sarebbe di gran
- uno dei «tre pilastri
ricordarci anche l’inizio lunga il miglior
della Chiesa cinese» (in-
regalo che Roma
può fare alla
Chiesa cinese e
alla Cina stessa
sieme a Li Zhazhao e Yang Tingyun,
vedi box) - può favorire la riconciliazione fra tutti i settori della Chiesa,
oltre che tra la Chiesa e la società. E
ancora, unire le figure di Ricci e Xu
mostrerebbe una Chiesa che mira
all’universalità nel cuore di un dialogo fra le culture locali e nella varietà delle esperienze di vita.
La beatificazione
È vero che le atcongiunta di Ricci
tuali difficoltà
e Xu cambierebbe
della diocesi di
il modo in cui la
Shanghai renstoria missionaria
dono la causa di
viene spesso
beatif icazione
raccontata: non
di Xu molto più
più una storia di
lenta e complesricezione passiva,
sa di quella di
ma di attiva
Ricci. Ma procollaborazione
prio queste difficoltà dovrebbero spingere Roma a
istituire la causa con ancor maggiore cura, e sono molte le strade attraverso le quali questa causa potrebbe
essere portata avanti. Sono passati
più di 400 anni da quando Ricci è
andato in Paradiso: sono convinto
che aspetterebbe volentieri qualche
anno in più per essere riconosciuto
beato e santo in compagnia del suo
amico Xu Guangqi.
© www.erenlai.com
A CHE PUNTO È L’ITER
I
l 10 gennaio 2014 i documenti per il
processo di beatificazione di Matteo
Ricci sono stati consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi dalla diocesi
di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia.
La fase diocesana si era aperta (anzi,
riaperta, dopo diversi anni di sostanziale
immobilismo) nel 2010, grazie anche alla
rinnovata attenzione nei confronti del missionario gesuita suscitata dalle celebrazioni
per il quarto centenario della morte.
Ora tutto è nelle mani della Congregazione
e dello stesso Papa Francesco, che certamente ben conosce e apprezza questo suo
celebre confratello gesuita.
Anche per Xu Guangqi, discepolo e amico
di Ricci, è stata aperta da alcuni anni una
causa di beatificazione nella diocesi di
Shanghai, ma l’iter procede con grande
lentezza a causa della delicata situazione
ecclesiale in Cina.
maggio 2014 Popoli 43
qatar
Teologia
nel Golfo
wahabismo: ma la matrice religiosa
comune ai monarchi non impedisce
la competizione diplomatica. Riyad
non apprezza certi movimenti politici, come la Fratellanza musulmana, che, dall’Egitto, alla Tunisia,
alla stessa Siria riceve dal Qatar una
Insegnare teologia cristiana all’università in
pioggia di dollari.
una petromonarchia: è il compito di un gesuita
La famiglia Al Thani ha le chiavi di
islamologo che si confronta con le dinamiche
tutt’altro che scontate di un emirato in pieno boom questo forziere senza fondo. La lista
degli acquisti è sterminata e spazia
che supera i 100mila dollari all’an- da immobili in Piazza di Spagna a
Francesco Pistocchini
no, le Primavere arabe non hanno Roma, a nuovi grattacieli milanesi,
aese strano il Qatar. Il pic- sollevato proteste di piazza. Tuttavia dalla squadra di calcio del Paris
colo emirato del Golfo, una il Qatar non è rimasto in disparte, Saint-Germain alle opere di un Mupenisola desertica grande ma si è impegnato nella guerra del seo di arte islamica di prim’ordine
come l’Abruzzo, abitato da 2 milioni 2011 in Libia (con aerei e soldati) a Doha.
di persone, più di metà delle quali per rovesciare Gheddafi e, ancora Nonostante il rigorismo dottrinario
sono immigrati, sta diventando ra- oggi, è attivo nel sanguinoso disfa- dell’islam locale, a Doha il pragmapidamente un protagonista di primo cimento della Siria, dove appoggia tismo è la prima regola. Per dotarsi
piano della politica internazionale. l’opposizione al regime di Assad dei delle migliori offerte culturali, lo
La famiglia che lo governa dall’in- musulmani sunniti (tra cui i Fratelli Stato del Qatar nel 2005 ha invitato sei università statunitensi ad
dipendenza nel 1971 oggi si muove musulmani).
con iniziative sempre più ambiziose A Doha, la capitale, ha sede Al-Jaze- aprire corsi di studio nel Paese. Tra
e mettendosi in competizione con i era. Il network televisivo è diventa- queste c’è la Georgetown University
to strumento di politica
di Washington, il più
potenti vicini sauditi.
antico ateneo fondato
Questo è possibile perché dal 2007 estera per l’emirato che Per dotarsi delle
dai gesuiti negli Usa,
il Qatar ha il più alto Pil pro capite si è ormai apertamente migliori offerte
al mondo, grazie agli idrocarburi messo in competizione culturali, lo Stato che a Doha ha aperto
un campus con la pro(ad esempio, condivide con l’Iran, con l’Arabia Saudita. del Qatar nel
dall’altra parte del Golfo, il più gran- Come soltanto il regno 2005 ha invitato pria School of Foreign
Service.
de giacimento di gas del pianeta). vicino, il Qatar si rico- sei università
Tra i suoi docenti c’è il
Avendo i qatarini un reddito medio nosce ufficialmente nel Usa ad aprire
P
44 Popoli giugno-luglio 2014
corsi di studio
nel Paese.
Tra queste
una dei gesuiti
Doha: una messa nella chiesa del Rosario
(l’unica cattolica). I fedeli sono tutti
immigrati, che costituiscono più di metà
della popolazione.
gesuita Thomas Michel, islamologo suita lavorare in un Paese come il
di fama internazionale, che ci spiega Qatar? «È un’opportunità di servire
come questo centro svolga un ruolo giovani - spiega a Popoli -, offrire
di ponte tra le comunità accademi- i valori e le priorità che caratterizche negli Usa e nel Golfo.
zano le scuole dei gesuiti in altre
Statunitense di origine, padre Mi- parti del mondo. Gli studenti a Gechel ha dedicato una vita di studi orgetown conoscono bene “i valori
e insegnamento al dialogo con l’i- gesuiti” che si possono indicare in
slam, da quando in Indonesia nel sintesi con “Amdg” (Ad maiorem Dei
1971 è entrato nella Compagnia di gloriam), “uomini e donne per gli
Gesù. Ha proseguito gli studi in altri”, “contemplazione in azione”,
Egitto, in Libano e a Chicago, dove “dialogo interreligioso”, “giustizia e
ha conseguito un dotfede”, ecc. Un comitato
torato in Studi arabi e Statunitense
composto da studenti
islamici. Ha trascorso a di origine,
musulmani ha organizRoma un quindicennio diventato
zato la “Jesuit Heritage
con incarichi in Vati- gesuita in
Week” (un momento di
cano e nella Curia dei Indonesia, padre
approfondimento che
gesuiti incentrati sul Thomas Michel
gli studenti di Georgedialogo interreligioso e ha dedicato una
town tengono dal 2001,
a lungo è stato anche vita di studi e
ndr) e che in gennaio si
consigliere per l’ecume- insegnamento
è celebrata per la prima
nismo della Federazio- al dialogo
volta anche a Doha. In
ne delle conferenze dei con l’islam
quell’occasione hanno
vescovi cattolici dell’Ainvitato Bambang Sisia. Quindi, si è trasfepayung, che è direttore
rito in Turchia, dove ha
del Jesuit refugee servicollaborato con l’influente movi- ce per l’Asia del Pacifico, a spiegare
mento Hizmet, fondato da Fetullah il programma della settimana».
Gülen, e ha insegnato Introduzione Non da oggi il Qatar apre spazi di
al cristianesimo in diverse univer- dialogo interreligioso. Nel 2008 ha
sità. Questo lavoro di conoscenza consentito la costruzione e l’inaudelle religioni gli è valso alcuni gurazione di una chiesa cattolica,
riconoscimenti internazionali. L’e- in una zona della capitale dove in
sperienza di incontro con l’islam, in seguito sono sorte anche una chiesa
diverse parti dell’Asia, lo ha portato anglicana e una greco-ortodossa.
fino a questo nuovo laboratorio Il gran numero di immigrati, lavomulticulturale che è Doha, dove ratori manuali soprattutto dall’Asia
sarà visiting professor alla George- meridionale, ha portato a una varietown fino all’estate 2015.
gata presenza religiosa nel Paese che
non è più solo musulmano. Quasi
un quinto degli abitanti è cristiano,
CHIESA MULTILINGUE
I suoi studenti sono, per un terzo, oltre a un numero considerevole di
cittadini del Qatar. Un altro terzo induisti e buddhisti.
proviene da Paesi vicini (pakista- Ma quali forme di dialogo esistono
ni, egiziani, siriani, molti dei quali in Università? «Abbiamo un gruppo
hanno vissuto in Qatar tutta la loro di dialogo interreligioso - continua
vita, ma per le leggi locali risultano Michel -. Si tratta di un gruppo mifigli di stranieri). L’ultimo terzo ha sto che discute su questioni di fede.
una reale provenienza internazio- Ma lo spazio di incontro più vasto
nale: Russia, Europa, Cina, Norda- si trova nei vari programmi sulla
giustizia: dai rifugiati alla Palestina,
merica.
Ma che cosa significa per un ge- dalla condizione dei disabili a quella
degli operai stranieri».
Questo è un punto sensibile, sempre
più all’attenzione dei media internazionali, soprattutto da quando il Qatar si è aggiudicato l’organizzazione
dei Mondiali di calcio del 2022. Oltre
cinquecento operai indiani (il principale gruppo di immigrati) sono morti
nei cantieri dell’emirato negli ultimi
due anni e molti cantieri sono legati
all’evento: la questione delle condizioni di lavoro degli operai stranieri
è diventata un serio problema di
diritti fondamentali. Orari disumani,
sequestro dei passaporti, bassi salari:
sono molti i temi su cui il Qatar sarà
messo sotto osservazione.
Che spazi di incontro ha padre Michel con gli immigrati? «Ci sono
molti cristiani di tutti i Paesi di Asia
e Africa. Celebro la messa con i cattolici indonesiani. È una delle tante
celebrazioni: ci sono, infatti, 17 messe ogni venerdì (in arabo e in diverse
lingue occidentali e indiane), altre 10
sono il sabato e 14 la domenica. La
maggior parte dei fedeli sono proprio
operai africani e asiatici dei cantieri.
Invece i cristiani di ori«Abbiamo un
gine europea e
gruppo di dialogo
americana freinterreligioso quentano mespiega -. Discute di
no la chiesa».
questioni di fede.
Come valuMa lo spazio di
ta l’apertura
incontro più vasto
del Qatar nel
è sui temi della
quadro
dei
giustizia, tra cui
rapporti tra
le condizioni degli
monarchie del
immigrati»
Golfo e mondo
cristiano? «Il 10 maggio abbiamo
avuto la Graduation. L’emiro stesso
è venuto, perché sua figlia studia a
Georgetown e ha ricevuto il baccalaureato. A conferma dei buoni rapporti tra la famiglia reale e la nostra
Università. Con il “mondo cristiano”,
è più difficile dirlo… Sembra piuttosto che non ci siano molti rapporti.
Ma la chiesa e le cappelle cristiane
di Doha sono sempre piene venerdì,
sabato e domenica».
giugno-luglio 2014 Popoli 45
storia
La riserva indiana di Pine Ridge (Sud Dakota),
teatro nel 1890 di un massacro di Sioux.
L’immagine è del fotografo gesuita Don Doll.
46 Popoli giugno-luglio 2014
Da Ignazio
a Francesco/6
Pionieri
del Nuovo mondo
Il cattolicesimo in Canada e Stati Uniti ha
le radici nelle missioni di gesuiti che furono,
fin dagli inizi, anche esploratori delle culture
indigene. Scuole e università testimoniano
ancora oggi un impegno della Compagnia
per lo sviluppo delle società nordamericane
André Brouillette SJ *
Québec (Canada)
D. DOLL SJ
I
gesuiti hanno messo piede per
la prima volta nell’America del
Nord nel 1611, inaugurando
un’epopea affascinante. In questo
«Nuovo mondo», i gesuiti nordamericani hanno svolto un ruolo
di primo piano nella formazione e
nello sviluppo della Chiesa e della
società, in Canada come negli Stati
Uniti. Come esploratori, missionari,
fondatori ed educatori, hanno lasciato la loro impronta nello spazio
di un continente.
I territori che Francia e Inghilterra
avevano colonizzato avevano uno
sviluppo demografico ed economico
molto più lento rispetto all’America
latina, colonizzata da Spagna e Portogallo. La popolazione autoctona
era dispersa e solo nel XVII secolo
furono create colonie stabili di popolamento. A Québec, fondata nel
1608, i gesuiti arrivarono nel 1625
e divennero presto i soli missionari.
La città serviva da base di partenza per le loro numerose missioni
di esplorazione ed evangelizzazione
nel cuore del continente. Le famose
Relazioni dei gesuiti - che erano
rapporti dei superiori della missione
nella Nuova Francia (come era allora
chiamato il Canada) sulla situazione
locale, i popoli, i costumi e l’evange-
lizzazione - suscitarono un grande
entusiasmo quando furono conosciute in Francia. Attraverso di esse
il pubblico europeo imparava a conoscere questo nuovo mondo. Il racconto degli sforzi compiuti in Nord
America dai missionari del Seicento
trovò un’eco molto favorevole, che
alimentava le aspirazioni più nobili di laici e religiosi. Galvanizzati
dall’esempio dei martiri nordamericani, alcuni futuri santi gesuiti
furono tuttavia invitati a lasciare da
parte il loro desiderio di andare in
Canada per dedicare il loro zelo alle
missioni interne, come nel caso di
san Jean-François Régis attivo nella
regione francese del Vivarais.
Nel Maryland come a Montréal i
gesuiti furono in prima fila nella
fondazione di nuove città. Nel 1634
i primi europei misero piede nella
futura colonia del Maryland, un
luogo in cui i cattolici erano benvenuti, contrariamente ad altre colonie britanniche in Nord America.
Alcuni gesuiti inglesi parteciparono
al viaggio inaugurale e celebrarono
la prima messa in quel luogo. Più a
nord, sotto la spinta della Société
Notre-Dame di Montréal - un gruppo composto da laici e chierici - organizzò in Francia il progetto di una
città dedicata a Maria e votata all’evangelizzazione degli amerindi della Nuova Francia. Il 17 maggio 1642
giugno-luglio 2014 Popoli 47
storia
questo sogno vide la luce quando un
gruppo di coloni diretto da Pierre de
Maisonneuve arrivò alla località di
Ville-Marie. Il giorno dopo il gesuita Barthélémy Vimont celebrò una
messa solenne nella radura dissodata il giorno prima, predicendo che il
seme di una grande città era stato
piantato in quel giorno. Fu l’atto di
fondazione della città di Montréal,
grande metropoli canadese.
Parecchi gesuiti divennero così intrepidi esploratori. Padre Jacques
Marquette (1637-1675) accompagnò
Louis Jolliet, un ex alunno dei gesuiti, in una spedizione che nel 1673
fece loro scoprire la parte settentrionale del fiume Mississippi. Nel XIX
secolo padre
Pierre de Smet
Parecchi gesuiti
(1801-1873) si
divennero intrepidi
recò nell’Ovest
esploratori. Il
americano inpadre Jacques
contrando diMarquette
verse comunità
raggiunse con
amerinde i cui
una spedizione
territori erano
nel 1673 la parte
ancora poco
settentrionale
conosciuti dai
del fiume
bianchi. Padre
Mississippi
Nicolas Point
(1799-1968), artista dilettante, durante alcune spedizioni realizzò acquarelli e bozzetti che descrivono
la vita quotidiana di queste antiche
culture all’alba di grandi cambiamenti. Le relazioni di viaggio e di
missione di diversi gesuiti si rivelano essere preziose testimonianze
delle culture originarie e delle terre
vergini.
Durante le grandi ondate migratorie
negli Stati Uniti e in Canada, soprattutto nell’Ottocento, i gesuiti, talvolta espulsi dai loro stessi Paesi, accompagnarono questo spostamento
ingente di popolazioni. Nella provincia canadese dell’Ontario si contano
a decine le parrocchie fondate da
gesuiti al seguito dell’avanzata della
ferrovia. Negli Stati Uniti alcuni
gesuiti hanno accompagnato questo
movimento verso l’Ovest e le nuove
frontiere. Alcuni gesuiti piemontesi,
ad esempio, hanno posto le basi della
presenza della Compagnia in California alla metà dell’Ottocento. Dopo
la seconda guerra mondiale, quando
la cortina di ferro divideva l’Europa,
gesuiti dei Paesi comunisti hanno accompagnato i loro compatrioti
nell’esilio nordamericano, fondando
parrocchie «etniche» per sostenere la
loro fede e la loro cultura.
AMERINDI, UN RAPPORTO
PRIVILEGIATO
L’impatto della missione dei gesuiti
in America del Nord ha lasciato una
traccia nella toponimia del continente, nei nomi di parrocchie, istituzioni, come pure nei nomi di strade, città, villaggi, regioni e perfino luoghi
naturali. Da Sant’Ignazio di Loyola a
Charlevoix o De Smet, passando per
i martiri nordamericani (Brébeuf,
Jogues, Garnier, Lallemant…), il
Priest’s Lake (in Idaho) o le devozioni predilette dai gesuiti (Loreto,
Sainte-Foy, Sainte-Marie), un vasto
ricamo di ispirazione gesuita ricopre
il Canada e gli Stati Uniti, memoria
di una presenza importante.
Il contatto dei gesuiti con le diverse
nazioni autoctone presenti nell’America del Nord si inscrive in una
lunga tradizione. Quei missionari
impararono dagli amerindi ad ad-
domesticare e a esplorare questo
nuovo continente e suoi rigidi inverni, sia con le racchette che con la
canoa! Hanno presentato la fede cattolica a questi popoli raccogliendo
la testimonianza delle loro culture
e tradizioni. In tal modo dizionari
delle lingue autoctone (algonchino,
outaouais, urone, ojibwé, irochese,
ecc.) che i missionari europei avevano compilato per aiutare i nuovi
arrivati a imparare gli idiomi locali
sono diventati oggi risorse su cui le
comunità amerinde si appoggiano
per ritrovare le loro lingue d’origine.
le parole dI papa FRANCESCO
C
hi lavora con i giovani non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e
strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai
ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio, di un nuovo modo di dire le cose. Oggi Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere
inviati. [...] Il compimento del mandato evangelico “Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15) si può realizzare con questa chiave ermeneutica spostata nelle periferie esistenziali e geografiche. È
il modo più concreto di imitare Gesù, che è andato verso tutte le periferie.
Gesù è andato verso tutti, proprio tutti. Io non mi sentirei affatto inquieto andando verso la periferia: non sentitevi inquieti nel rivolgervi a chiunque. [...]
Mi vengono in mente le straordinarie avventure del gesuita spagnolo Segundo Llorente, tenace e contemplativo missionario in Alaska, che non solo ha
imparato la lingua, ma che ha appreso il pensiero concreto della sua gente.
Inculturare il carisma, dunque, è fondamentale, e questo non significa mai
relativizzarlo. Non dobbiamo rendere il carisma rigido e uniforme. Quando
noi uniformiamo le nostre culture, allora uccidiamo il carisma.
Dal colloquio di Papa Francesco con i Superiori generali, 27 novembre 2013.
48 Popoli giugno-luglio 2014
Da Ignazio
a Francesco/6
Washington (Usa): la Georgetown University,
fondata dai gesuiti nel 1789.
Gli uroni e i mohawk sono state le
prime nazioni amerinde con cui è
stata scritta la storia dei missionari. Jean de Brébeuf, Isaac Jogues
e i loro compagni hanno subito il
martirio a metà del Seicento, chi per
mano di mohawk, nemici degli uroni
che stavano evangelizzando, chi per
mano di dissidenti. Dopo una quindicina di anni di evangelizzazione
gli uroni, violentemente braccati dai
loro nemici, lasciarono la missione
di Santa Maria tra gli uroni (oggi
Midland, foto in basso), dopo la
morte di Brébeuf, accompagnati da
alcuni gesuiti, e si recarono nella
capitale della colonia, Québec, dove
vivono ancora oggi. Ma quegli sforzi
dei missionari non furono vani poiché frutti di santità sono maturati
tra gli amerindi convertiti. Ad esempio, una giovane mohawk, Kateri
Tekakwitha (1657-1680), scelse di lasciare il suo villaggio natale e unirsi
a una missione, Kahnawake, fondata
vicino a Montréal dai gesuiti sotto
la protezione di Francesco Saverio.
Desiderava poter vivere pienamente
la sua fede. Kateri morì giovanissima
dopo una vita di carità, castità e santità. È stata canonizzata da Benedetto XVI nel 2012 ed è la prima santa
indigena dell’America del Nord.
Nei secoli seguenti i gesuiti hanno
continuato nei loro sforzi missionari.
Oggi diversi di loro prestano servizio in comunità autoctone nell’isola
Manitoulin, in Ontario, nel Midwest
degli Usa - dove operano in diverse
parrocchie -, come pure in Alaska.
1753 ed era stato testimone, durante della città, ma in conformità con
la sua formazione in Europa, della la loro tradizione per la quale non
soppressione dell’Ordine. Di ritorno accettano questo genere di onore, i
nel suo Paese natale, si assicurò che gesuiti avevano piuttosto spinto per
il gruppo dei vecchi gesuiti potes- la nomina di un loro ex alunno al
se proseguire nella sua
collegio di La Flèche.
missione ecclesiale in Durante le
Monsignor Laval arrivò
modo strutturato. Nel grandi ondate
a Québec nel 1659, fa1805, quando la Com- migratorie negli
cendo della chiesa prinpagnia fu in parte rico- Stati Uniti e in
cipale della città, di cui
stituita, ottenne l’auto- Canada,
aveva la responsabilità
rizzazione perché i suoi i gesuiti, talvolta
la Compagnia di Gesù,
confratelli americani espulsi dai loro
una parrocchia, poi la
potessero nuovamen- stessi Paesi,
sua cattedrale. Egli si
te pronunciare i propri accompagnarono ispirò al modello misvoti religiosi. Essendo le nuove
sionario dei gesuiti per
nel frattempo diventato popolazioni
stabilire un’associaziovescovo, egli non poté
ne di preti che sarebfarne parte.
bero stati mobili, dato
Molto vicino alla capiche il territorio della
tale federale, a Georgetown, John diocesi era immenso e poco popolaCarroll aveva fondato un collegio, to. Si appoggiò ai gesuiti anche per
che di primo acchito aveva voluto assicurare la formazione dei futuri
affidare ai gesuiti. Oggi è l’Univer- sacerdoti del seminario di Québec.
sità Georgetown, il più antico ateneo
gesuita degli Stati Uniti e la prima I SUCCESSI NELL’EDUCAZIONE
istituzione cattolica del Paese.
Quando si guarda al lavoro dei geL’onore di essere il primo vescovo suiti oggi nell’America del Nord, è
a nord del Messico tocca però a evidente l’importanza del ministero
François de Laval (1623-1708), ca- educativo. Diverse decine di scuole
nonizzato nell’aprile 2014 da papa secondarie e università di qualità
Francesco. Al momento della nomi- sono gestite dalla Compagnia. Nel
na di monsignor de Laval, i gesuiti 1635 fu fondato il primo istituto
formavano il gruppo principale di scolastico a nord del Messico, un
preti a Québec. Si era pensato di anno prima della fondazione del
fare di un gesuita il primo vescovo collegio di Harvard College, il colIl sito storico della missione di Santa Maria
tra gli uroni (Ontario, Canada).
IL PRIMO ATENEO
In Canada come negli Stati Uniti
i gesuiti furono dei pionieri della
Chiesa locale. John Carroll (17351815), nominato vescovo di Baltimora nel 1789, fu il primo vescovo
cattolico degli Stati Uniti. Figlio di
una famiglia benestante (suo cugino
Charles Carroll fu l’unico firmatario
cattolico della Dichiarazione d’indipendenza americana), John era
entrato nella Compagnia di Gesù nel
giugno-luglio 2014 Popoli 49
storia
Studenti della scuola Cristo Rey
di Minneapolis (Usa).
legio dei gesuiti di Québec. Questa
scuola formò per più di un secolo la
gioventù della Nuova Francia. Interruppe la sua missione, sostituito
in questo dal seminario di Québec,
a seguito della cessione della Nuova Francia all’Inghilterra nel 1763.
In Canada l’attività educativa dei
gesuiti riprese dopo il loro ritorno con la fondazione del collegio
Sainte-Marie nel 1848 a Montréal,
la prima di una serie di istituzioni
di questo tipo.
Negli Usa la crescita concomitante
dei gesuiti e della popolazione cattolica a partire dalla metà dell’Ottocento portò con sé la creazione di
parecchie scuole secondarie e università. Poiché il cattolicesimo era
stato emarginato in diversi Stati,
i gesuiti svolsero un ruolo pionieristico nella creazione di università dalla solida
identità cattoQuando si guarda
lica. A fronte
al lavoro dei
di un insegnagesuiti oggi
mento univernell’America del
sitario segnato
Nord, è evidente
dal protestanl’importanza
tesimo e nel
del ministero
quadro di una
educativo in
Chiesa in pieno
decine di scuole
sviluppo, ma
secondarie e
ancora strutuniversità
turalmente
fragile, i gesuiti americani sposarono la causa della formazione universitaria con notevole successo.
All’Università Georgetown, si aggiunsero l’Università St. Louis nel
1832, la Fordham a New York nel
1841, l’Università di San Francisco
nel 1859, il Boston College nel 1863,
la Creighton a Omaha nel 1879, la
Marquette a Milwaukee nel 1881
e altre ancora a Chicago, Detroit,
New Orleans, Santa Clara, Los Angeles, Seattle, ecc. Fatto unico nella
storia della Compagnia di Gesù, la
rete di istruzione accademica conta
oggi negli Usa 28 università i cui
studenti e laureati sono centinaia
di migliaia.
50 Popoli giugno-luglio 2014
NON SOLO ÉLITE
L’impegno nell’istruzione dei gesuiti
nordamericani non si è tuttavia limitato a studenti della classe media
o superiore. Di fronte alle difficoltà
scolastiche vissute dalle popolazioni urbane emarginate, composte in
gran parte da immigrati ispanofoni
o da afroamericani, due iniziative
innovatrici hanno visto la luce nel
XX secolo. Nel 1971 veniva aperta
la scuola elementare Nativity a New
York per servire con una pedagogia
adatta la popolazione sfavorita del
Low East Side e dare l’opportunità
a quei ragazzi di integrarsi meglio
nella società. L’interesse suscitato
da questa iniziativa portò alla creazione, a partire dagli anni Ottanta,
di una decina di scuole «Nativity»
ispirate a quel modello. Sulla stessa scia, a Chicago, i gesuiti hanno
sviluppato un modello di scuola
secondaria che unisce un preciso
piano di studi ed esperienza di lavoro in impresa. Nel 1996 ha aperto i
battenti la prima scuola secondaria
«Cristo Rey» , subito seguita da altre. Queste iniziative arricchiscono
la grande tradizione educativa dei
gesuiti, integrando nella loro missione la promozione della giustizia
sociale, così come la collaborazione
con altri religiosi e laici.
La Compagnia di Gesù ha conosciuto in terra nordamericana uno
sviluppo prodigioso tra l’Ottocento
e il Novecento, dopo un XVII secolo
eroico. Pur in un contesto dove il
cattolicesimo era minoritario e non
godeva di un sostegno statale, gli
Stati Uniti arrivarono ad avere per
parecchi decenni il contingente nazionale di gesuiti più consistente al
mondo. Ai missionari europei sono
seguiti grandi nomi nordamericani
di influenza internazionale, tra cui i
teologi John Curtney Murray, Avery
Dulles o Bernard Lonergan, mezzi
di comunicazione influenti, come la
rivista America, grandi università,
parrocchie, centri spirituali, opere
sociali.
Come segno di riconoscimento del
ruolo storico dei gesuiti nell’America del Nord, si possono visitare
a Washington, presso il National
Statuary Hall, due statue di gesuiti
selezionate da alcuni Stati americani: Eusebio Kino per l’Arizona e
Jacques Marquette per il Wisconsin.
Il padre Marquette è stato anche
scelto, in compagnia di Jean de
Brébeuf, tra i 22 personaggi storici
che adornano la facciata dell’Hôtel
du Parlement di Québec. Sono silenziosi testimoni della storia della
missione nordamericana dei figli di
Ignazio di Loyola.
* Gesuita del Canada francofono
La serie «Da Ignazio a Francesco»
è iniziata nel numero di gennaio di
Popoli e continuerà per tutto il 2014.
Da Ignazio
a Francesco/6
Gesuiti oggi
Michael Schultheis
Enrico Casale
l’assoluta mancanza di politici preparati).
l Sud Sudan è lo Stato più gio- Consapevoli di questa necessità,
vane dell’Africa. L’indipendenza già nel 2007 i vescovi cattolici inufficiale dal Sudan è stata ot- cominciano a pensare a strutture
tenuta il 9 luglio 2011 a seguito di educative che formino i giovani del
un referendum, ma già prima della nascente Sud Sudan. L’idea è quella
formale secessione da Karthoum la di creare una università cattolica a
società civile ha iniziato a lavorare Juba (quella che poi sarebbe divenper costruire dalle fondamenta una tata la capitale del nuovo Stato) con
nazione uscita distrutta da due facoltà umanistiche e scientifiche.
guerre civili che hanno causato Il progetto viene presentato al mimigliaia di morti. Mancavano (e nistero dell’Educazione, Scienza e
mancano) le infrastrutture: ponti, Tecnologia di Karthoum, che nel
strade, uffici pubblici, ecc. Erano 2008 dà il suo assenso. Il primo
quasi inesistenti (e lo sono tutto- corso prende il via nel settembre
ra) i sistemi sanitario e scolasti- 2008 con 45 studenti che frequenco. Ma, soprattutto, era necessario tano le lezioni della facoltà di Arti
creare una classe dirigente slegata e Scienze sociali. E quattro anni
dalle dinamiche etniche e in gra- dopo, il 5 ottobre 2012, 25 di loro
ricevono il diploma di
do di guidare il Paese
laurea.
attraverso una politica Dietro la nascita
Dietro la nascita di
attenta alla redistribu- dell’università
questa istituzione c’è
zione delle ricchezze del Sud Sudan
Michael Schultheis.
derivanti dalle risorse c’è Michael
Gesuita statunitense,
petrolifere (la nuova Schultheis. 82
82 anni, economista
guerra civile scoppia- anni, gesuita
di formazione, è stato
ta nel 2013 confermerà nato negli Usa,
I
economista di
formazione, dagli
anni Settanta
lavora in Africa
responsabile del Center of Concern
di Washington, un think tank cattolico per lo sviluppo internazionale. Dagli anni Settanta lavora in
Africa prima nell’ambito del Jesuit
Refugee Service e poi come docente. Insegna in Tanzania, Uganda,
Mozambico e Malawi. Nel 2002
viene nominato rettore dell’Università cattolica del Ghana. Nel
2007 è inviato in Sudan e gli viene
affidato il progetto dell’Università
cattolica del Sudan. «In realtà spiega padre Schultheis -, l’Università cattolica è un sogno che, per
anni, è stato rimandato. La Conferenza episcopale del Sudan avrebbe
voluto creare l’ateneo già nel 1956,
al momento dell’indipendenza del
Paese dalla Gran Bretagna. Nel
1983 l’allora presidente del Sudan,
Jaafar Nimeiri, parlò di questo a
papa Giovanni Paolo II durante la
sua visita a Roma».
Oggi l’università è una realtà. Alla
prima sede di Juba, se n’è aggiunta
una seconda a Wau e alla prima facoltà si è aggiunta quella di
Agraria e Scienze ambientali. «Al
quinto anno accademico - continua
Schultheis - si sono iscritti a Juba
582 studenti (dei quali 183 ragazze)
e 180 a Wau (dei quali 29 ragazze).
Un dato positivo che segna un incremento del 50% nelle iscrizioni
rispetto al 2012».
Nonostante la guerra civile scoppiata nel dicembre 2013 abbia causato la morte di almeno quattro
studenti e abbia costretto almeno
cento di essi a lasciare il Paese per
rifugiarsi all’estero, padre Schultheis, che a maggio si è trasferito
in Nigeria per seguire un altro
progetto educativo, spera che il
progetto non si fermi. «Il conflitto
non fermerà l’università - conclude
-, appena possibile verranno ampliate le strutture a Juba e a Wau.
C’è inoltre un progetto per dar vita
a una facoltà di Ingegneria a Wau
e una Scuola di alti studi (inizialmente in Economia) a Juba».
giugno-luglio 2014 Popoli 51
www.jsn.it
Cambiare
è possibile
L’
associazione Figli in Famiglia è nata nel 1983 a Napoli
nel quartiere San Giovanni a
Teduccio che, con i quartieri Barra e
Ponticelli, forma la VI Municipalità,
tristemente famosa come «triangolo
della morte». Si occupa di recuperare
famiglie e minori in grave disagio
sociale. Il nostro sforzo è quello di
rendere gli utenti protagonisti e responsabili del loro futuro. Le ricadute positive sono evidenti soprattutto
nei giovani che scelgono di restare e
divenire loro stessi educatori di altri.
Ecco alcune storie di questi ragazzi,
protagonisti del cambiamento, raccontate in prima persona.
Maria, 26 anni - Ho cominciato a
frequentare l’associazione quando
avevo 6 anni. In un quartiere dove
non c’è niente se non desolazione,
povertà e degrado, trovare una realtà che si occupa di giovani è veramente una fortuna. Ho cominciato
con il doposcuola e i laboratori, poi
ci ho preso gusto e non mi sono più
allontanata, al punto che ho deciso
di fare l’educatrice e oggi collaboro
con coloro che una volta erano i
miei educatori.
Il contatto con Figli in Famiglia
ha segnato la mia vita e quella di
tanti altri, le ricadute positive per il
territorio sono evidentissime: penso
all’abbattimento del tasso di abbandono scolastico, alla diminuzione
di minori che commettono reati,
all’eliminazione del fenomeno del
lavoro minorile, soprattutto all’accresciuta gioia di vivere, al senso
52 Popoli giugno-luglio 2014
di accoglienza e condivisione che
sempre più si diffondono tra gli
abitanti di San Giovanni a Teduccio.
Non voglio dire che in questo quartiere non esistono più problemi, ma
sicuramente abbiamo imboccato la
buona strada e l’altissimo numero di
persone che frequenta i nostri locali
quotidianamente ne è la dimostrazione. Il nostro segreto? L’amore.
Abbiamo sperimentato che l’amore
di Cristo, vissuto e incarnato, trasforma le persone.
Gaetano 22 anni - Io vedo l’associazione come una comunità che avvolge e coinvolge. Una comunità che
interviene sulle difficoltà nelle quali
ognuno può trovarsi. Nella mia vita
l’associazione ha inciso notevolmente sulla formazione culturale e sulle
mie scelte. Mi ha aiutato e tuttora
mi aiuta a discernere i miei obiettivi
di vita. Il metodo utilizzato dagli
educatori, il coinvolgimento nelle
decisioni, la responsabilizzazione, ci
hanno consentito di crescere e di
accrescere il senso di autostima permettendoci di affrontare la vita con
strumenti e risorse che altrimenti
non avremmo mai scoperto in noi.
Sono contento di aver incontrato
sulla mia strada Figli in Famiglia, di
cui oggi orgogliosamente faccio parte. Guardandomi intorno vedo con
tenerezza e soddisfazione che le nuove generazioni ripercorrono i nostri
passi relazionandosi con noi come
noi facevano con i nostri educatori.
Raffaele 23 anni - Il contatto con
Figli in Famiglia ha significato per
MATILUBA
Crescere nel «triangolo della morte», a Napoli, non è facile.
Un'associazione legata ai gesuiti, da trent'anni aiuta bambini,
ragazzi e famiglie a diventare protagonisti del cambiamento
L'EUROPA A NAPOLI
L
a Social Week (o Settimana sociale)
è un incontro fra gesuiti, collaboratori
e volontari impegnati nel settore sociale
legati alla Compagnia di Gesù in tutta
Europa. La terza edizione, dopo quelle del
2007 e 2010, si svolge a Napoli, dal 24
al 28 giugno, con il titolo Volontariato e
Bene comune - Impegnarsi per una cittadinanza attiva. Tre giorni di dibattiti, condivisioni e workshop di approfondimento
(temi dei gruppi di discussione: povertà
in Europa, ecologia e risorse naturali, migrazioni, solidarietà Internazionale).
Info e iscrizioni: [email protected]
me nascere a nuova vita. Ho avuto
un percorso di sofferenza in seguito
alla morte prematura di mio padre
e l’incontro con l’associazione mi
ha aiutato a uscire dal tunnel. Ho
imparato a relazionarmi con gli
altri e questo ha generato in me un
cambiamento che mi ha fatto acquistare sicurezza. Oggi sono inserito
nel laboratorio di cucina dell’Oasi e
sto imparando a cucinare aprendomi
nuove possibilità: sto imparando un
mestiere e mi sento finalmente utile
a qualcuno e questo mi fa sentire felice. Con i miei amici sto imparando
a trovare le cose positive, pur nelle
sofferenze che la vita ci riserva.
Carmela Manco
Presidente di Figli in Famiglia
www.centroastalli.it
Se lo scafista
è un bambino
I
l teatro è bellissimo: blu come un
sottomarino, come lo hanno voluto i ragazzi dell’Istituto penale
minorile di Bicocca, a Catania, un
sottomarino perduto dentro un mare
profondo. Il resto del mondo lontano
e dimenticato.
Elvira Iovino del Centro Astalli chiede ai giovani detenuti: «Sapete cos’è
il cuntu siciliano? Avete mai sentito
le storie antiche che raccontavano i
cuntisti?». Una rappresentazione teatrale per i minori del carcere Bicocca è una delle più recenti occasioni
di incontro e confronto che il Centro
Astalli della città ha voluto per tanti
giovani «che del mondo hanno conosciuto solo la faccia cattiva».
Da undici anni a Catania il Centro
Astalli fornisce assistenza ai detenuti nell’Istituto penale minorile.
I volontari che visitano periodicamente il carcere sono otto, tra cui
un mediatore culturale di lingua
araba e un criminologo. «Ai detenuti
diamo essenzialmente un sostegno
morale e materiale - spiega Iovino -,
come farebbe la famiglia che, ovviamente, per i detenuti stranieri,
è quasi sempre nell’impossibilità di
effettuare visite. Teniamo i contatti
con parenti lontani, con gli av-
Spazzate via da trafficanti senza
scrupoli e da famiglie talmente povere e disperate che non hanno la
forza e la voglia di capire.
Il Centro Astalli Catania li inconvocati, seguiamo le problematiche tra in carcere dove scontano una
connesse ai permessi di soggiorno pena con l’imputazione gravissima
o le richieste di asilo, molto spesso di traffico di esseri umani. Alcuni
scadute nel corso della detenzione». hanno solo 14 anni e sono spaventaIn quel teatro tutto blu,
ti, increduli, condannaè entrato un cuntista, La sezione
ti ad anni di detenzione
antico cantastorie della di Catania
lontano dalla famiglia.
tradizione siciliana, che del Centro
Sono uno dei tanti «efper una sera ha parlato Astalli incontra
fetti collaterali» della
di posti lontani, di ma- e aiuta minori
mancanza di canali
re, di viaggi, di naufra- detenuti in
umanitari sicuri e leciti
gi. Ha parlato di loro, di carcere
per chiedere asilo in
quei ragazzini di 15 o per condanne
Italia. Il viaggio verso
legate al traffico
16 anni che si trovano di esseri umani.
l’Europa non lo pagano.
in carcere, per conto di Ma anch’essi
È questo il loro comqualcun altro.
penso per mettersi alla
sono vittime
Tra i detenuti del carguida di un gommone.
cere minorile, continua
Conoscono il mare: alla volontaria, «seguiacuni sono nati in piccomo numerosi scafisti. Ragazzini le isole egiziane che vivono di pesca.
che guidano gommoni carichi di Al mare li hanno abituati i loro
disperati. I trafficanti convincono padri. Certamente non avevano in
le famiglie con la promessa dell’El- mente questo quando li portavano,
dorado. Di un futuro ricco e felice». da bambini, sulle loro barche.
Li condannano al carcere. Nell’ul- E così Elvira Iovino racconta di ratimo tratto di mare dall’Africa alla gazzi muti e commossi davanti a un
Sicilia, comandano loro. Si credono cuntista siciliano che parla di tonni,
uomini, si sentono potenti, governa- di gabbie e di quanto può essere
no le correnti, comandano su uomi- profondo e scuro il mare.
ni e donne più grandi. Invincibili.
Fondazione Astalli
E invece in un mare troppo grande
La foto non si riferisce
sono come barche di carta al vento.
ai soggetti descritti nell’articolo
Rifugiati in Italia: bilancio 2013
L
o scorso anno i migranti forzati che sono sbarcati sulle coste italiane sono
stati 42.925. La maggior parte di loro (37.258) sono stati soccorsi in mare,
ma numerose sono state anche le vittime dei viaggi: solo nel naufragio del 3
ottobre 2013 hanno perso la vita 366 eritrei. Il principale Paese di provenienza
è la Siria con 11.307 persone. Seguono l’Eritrea, la Somalia e l’Egitto. Gli arrivi
nei primi tre mesi del 2014 sono decuplicati rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Nel solo mese di gennaio sono arrivate altre 2.156 persone.
I rifugiati in Italia alla fine del 2012 erano 64.779. L’Italia non ha mai potuto contare su un sistema nazionale per l’accoglienza di richiedenti asilo
e rifugiati unitario, integrato e commisurato ai flussi di arrivo. I posti oggi a
disposizione, pure recentemente aumentati, continuano a essere largamente
insufficienti e le misure mancano ancora di uniformità e coordinamento. Le
giugno-luglio
2014 Popoli
prospettive di integrazione per un rifugiato
in Italia restano,
anche 53
per questo,
ancora troppo incerte.
www.amo-fme.org
Quando la fede
si fa cammino
Pellegrinaggi per giovani e adulti nella «Terra del Santo»,
non convenzionali, in ricerca di approfondimento. Il senso
spiegato da due gesuiti che ne sono guide
Z
aino in spalla e Bibbia in
mano, sono tre le proposte di
pellegrinaggi dell’associazione Amici del Medio oriente (Amo)
in Israele e Palestina nella prossima
estate: due rivolte ai giovani, con
uno stile spartano, sacco a pelo e
cambusa al seguito; una terza rivolta
agli adulti, centrata esclusivamente
su Gerusalemme (vedi box).
Secoli fa come oggi, cosa spinge
un uomo o una donna a mettersi in
cammino verso la Terra Santa? «Personalmente preferisco l’espressione
“Terra del Santo” - dice Paolo Bizzeti,
gesuita, fondatore di Amo -. Infatti,
non è la terra che è santa… Significherebbe ritornare a una concezione
religiosa pagana. Come racconta san
Bernardino da Siena in una omelia,
il vero fine del pellegrinaggio non
consiste nel vedere i luoghi ma, attraverso l’incontro con i luoghi teatro
delle vicende bibliche, maturare un
affidamento della propria vita a Dio».
Attenzione però: non è così semplice
ITINERARI IN MEDIO ORIENTE
27 luglio-13 agosto - Per giovani sotto
i 32 anni. Dal mar Rosso al mar Morto,
dalla valle del Giordano alla Galilea, fino
a Gerusalemme.
15-31 agosto - Stessi destinatari e stesso percorso.
23-30 agosto - Per adulti, il percorso
Terra e Parola 2014 ha per tema «Gerusalemme: storia, mistero, profezia».
Per informazioni:
www.amo-fme.org/it/attivita/itinerari-in-mo
54 Popoli giugno-luglio 2014
e automatico, avverte padre Bizzeti:
«Non possiamo nasconderci che da
sempre i pellegrini sono stati tentati
dalla venerazione delle pietre, spinti
a esaurire il senso del pellegrinaggio
in qualche emozione e nel sasso raccolto in loco ed esposto nel salotto
di casa. Oggi poi è forte il rischio
del tour de force: un’ansia frenetica
di visitare tanti più luoghi possibili
in pochi giorni - e di scattare altrettante fotografie con cellulari e
tablet a ogni piè sospinto. Alla fine
l'effetto è alienante e faticoso, non di
graduale e profonda immersione nel
Mistero che si contempla nei luoghi».
Luoghi, tra l’altro, spesso lontani e
contrastanti rispetto alle aspettative
iniziali… Per questo, ad agosto, sarà
riservato un tempo stanziale a Gerusalemme proprio per approfondire la
Parola, nel silenzio e nella calma, da
ricercare in questa unica e inesauribile città.
Sulla stessa linea si pone Francesco
Cavallini, gesuita che da dodici anni
è guida per gruppi di giovani nelle
terre bibliche. «Potremmo dividere i
giovani pellegrini in due categorie osserva -: quelli che hanno già un
buon cammino di fede alle spalle e
sentono il bisogno di approfondire la
relazione con il Signore e quelli, magari lontani da tempo da frequentazioni ecclesiali, ma comunque in
ricerca e desiderosi di riscoprire il
messaggio di Gesù con un approccio
diverso rispetto a quello della loro
storia passata. La nostra proposta si
compone di alcuni ingredienti fon-
damentali: semplicità, condivisione,
immersione nella natura con un
pizzico di avventura e molto tempo
dedicato alla meditazione dei testi
biblici. Cerchiamo di creare il clima
e il contesto adeguati che aiutino a
scoprire come la storia della salvezza si relazioni alla vita quotidiana
di ciascuno».
Padre Cavallini ha riscontrato questi
desideri soprattutto nei giovani di
età compresa tra i 25 e i 35 anni. «In
generale posso dire che il pellegrino
Amo non cerca un itinerario convenzionale, in cui tutto è già prestabilito nel dettaglio, ma si affida
e si lascia sorprendere, cercando un
approfondimento appassionato, sia
della pagina che della terra biblica,
nonché l’incontro con i popoli e le
culture che la abitano. Riguardo a
quest’ultimo aspetto, poi, non sono pochi quelli che sono ritornati
coltivando l’impegno e il servizio
in favore delle “pietre vive”». Tutti questi ingredienti permettono al
pellegrinaggio Amo di essere uno
strumento per continuare il cammino anche al rientro a casa.
Elisa Costanzo
A cura della Redazione
e di Anna Casanova
@casanovanna
Per segnalazioni scrivi a
[email protected]
Carta Canta
Io donna
e lo sguardo glocal
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Tre domande a...
Cécile Kyenge
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Invito a teatro
Iqbal, prode cavaliere
e tessitore di tappeti
Musica
La tromba magica
di Ibrahim Maalouf
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Cinema
Giraffada
Sapori&saperi
Il mondo perduto
degli eschimesi
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Inter@gire
Presta attenzione
Benvivere
Banca etica guarda
al crowdfunding
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Leggere
Novità
La libreria Odradek (Roma)
Sul comodino di... Guido Dotti
Carta canta
Io donna e lo sguardo glocal
Tre domande a... Cécile Kyenge Guardare
Cinema Giraffada
Docu
Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica
Osservatorio L’Unione europea nell’informazione Tv
Invito
a teatro Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti Ascoltare
Musica La tromba magica di Ibrahim
Maalouf
Hit Argentina
Strumenti Agogo
On Air Radio Onda d’Urto Gustare
Sapori&saperi
Il mondo perduto degli eschimesi
Verso Expo 2015 Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia
Retrogusto Vietnamonamour (Milano)
Sorseggi Vino di kiwi Inter@gire
Presta attenzione
Decode Un futuro fai-da-te Benvivere
Banca etica guarda al crowdfunding
Ecojesuits I gesuiti
canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne Graphic journalism
Le lettere di Hilda Dajč/6
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Leggere
novità
In Koli Jean Bofane
Matematica
congolese
Che cos’è la matematica? Solo un
freddo susseguirsi di numeri, operazioni, teoremi? E a che cosa può
servire in un continente come l’Africa dove i bisogni primari delle
persone non sempre sono soddisfatti
e l’astrazione dei calcoli può apparire
unicamente come un esercizio sterile
di appassionati fuori dalla realtà?
Ed è proprio come un eccentrico
che gli amici di Kinshasa vedono
Célio Matemona, soprannominato
Matematik, il protagonista di questo
romanzo. Quel suo affannarsi tra
derivate, equazioni e teoremi è stravagante in un mondo di diseredati
e orfani. Ma un giorno Célio viene
assunto da un oscuro ufficio che
lavora per la presidenza e si occupa
di manipolare l’informazione. Lì si
rende conto di quale strumento potente può diventare la matematica e
decide di utilizzarlo al meglio: non
per servire il potere, ma per combatterlo. Con questo romanzo, l’A.,
uno scrittore congolese che vive in
Belgio, ha vinto il Grand prix littéraire d’Afrique noir e il Prix Jean
Muno. [66thand2nd, 2014, pp. 245,
euro 17]
Elena Dak
La carovana
del sale
I tuareg sono i veri padroni del
deserto. Ne conoscono ogni angolo
56 Popoli giugno-luglio 2014
e si orientano tra le dune e le pietraie meglio dei marinai in mezzo
all’oceano. Da secoli attraversano
le terre arroventate dal sole seguendo unicamente il loro istinto
e le flebili tracce delle piste. Sui
commerci nel deserto hanno creato
la loro leggenda e la loro fortuna.
Ancora oggi i tuareg del Nord del
Niger attraversano, con centinaia
di dromedari, il temibile Ténéré
verso le saline e le oasi di Bilma e di
Falchi per andare a rifornirsi di sale
e datteri, che poi scambieranno con
il miglio prodotto dalle popolazioni
del Sud. L’A., che lavora come guida
turistica, ha voluto seguire i tuareg
nei loro spostamenti. Per lei è stata un’avventura durissima sotto il
profilo fisico, ma affascinante sotto
l’aspetto culturale. In questo libro
racconta gli incontri umani intensi
e gli spettacoli naturali unici che il
viaggio le ha riservato. [Corbaccio,
2013, pp. 160, euro 18,60]
Sonia Grieco
Abbiamo stretto
molte mani.
Venti anni nelle
emergenze
umanitarie
Venti anni in prima linea nelle
emergenze del Sud del mondo,
spesso in Paesi facilmente dimenticati, dalla Somalia allo Yemen,
dal Sud Sudan al Congo, oltre a
quelli più noti come il Kosovo, l’Iraq e l’Afghanistan. Intersos ripercorre il lavoro svolto in 35 Paesi
la libreria
D
iverse librerie indipendenti stanno aderendo
all’iniziativa #librosospeso
che, sulla falsariga del «caffè
sospeso» napoletano, invita
i lettori a comprare un libro
in più e lasciarlo «sospeso», cioè in regalo a chi lo
chiedesse. Una delle librerie
che ha aderito è Odradek di
Roma (il nome si rifà all’oggetto misterioso protagonista di un racconto di Kafka), parte della catena omonima che ha negozi anche a
Milano, Pomezia e Tuscania. Un libro lasciato «in sospeso» innesca
un circuito virtuoso di lettura più del bookcrossing (libri che vengono
distribuiti gratuitamente e per i quali, grazie a un codice, è possibile
risalire a chi li ha letti).
Libreria alternativa, dove puoi trovare volumi che danno voce a popolazioni oppresse e sfruttate, alle letterature africana, asiatica, sudamericana e a opere di piccole case editrici, Odradek è attenta anche
ai temi ambientali: oltre a far uso di borse di mais biodegradabili al
100%, promuove, nel suo spazio «Più salute meno chimica», prodotti
biologici: dai detersivi ai pannolini. È inoltre un centro di promozione
culturale con un laboratorio per bambini, incontri su tematiche quali
l’uso consapevole delle risorse energetiche, seminari di musica etnica e teatro. Info: www.odradek.it
ODRADEK - Via dei Banchi Vecchi 57, Roma
attraverso i suoi operatori umanitari che si fanno protagonisti
diretti di questo libro, descrivono
esperienze, motivazioni, impegno
e ostacoli. Ma il racconto va oltre
e diventa occasione per riflettere
su che cosa è mutato e che cosa rimane costante nell’impegno
umanitario. «Gli interventi hanno
dovuto adattarsi al mondo che
cambia», osserva Nino Sergi che di
Intersos è il fondatore, sottolineando l’importanza di essere neutrali
e imparziali di fronte ai conflitti.
E sul campo l’Ong, che è partner
delle principali agenzie e istituzioni Onu ed europee, ha imparato la
necessità di «riannodare i fili del
tessuto sociale» nelle ricostruzioni
post-conflitto. [Carocci 2013, p.
192, euro 19,50]
Frère Jean-Pierre,
Nicolas Ballet
Lo spirito
di Tibhirine
Nella notte tra il 26 e il 27 marzo
1996 sette monaci trappisti furono sequestrati nel loro monastero
presso Tibhirine, in Algeria, e vennero uccisi il 21 maggio seguente.
Erano gli anni della guerra civile
algerina che vedeva contrapposti
i fondamentalisti musulmani e
uno Stato che aveva annullato
le elezioni vinte dalle formazioni islamiste. Un conflitto senza
quartiere, segnato da una violenza
inaudita da entrambe le parti. I
sette monaci furono vittime di
questa furia cieca che togliendo
loro la vita intendeva sopprimere
anche quel messaggio di speranza
e di dialogo che i religiosi testimoniavano. Quello spirito, in realtà,
non è morto.
L’A. di questo libro, un giornalista francese, ha incontrato l’unico monaco, ormai novantenne,
sopravvissuto alla strage e con
lui ha ricostruito i giorni del rapimento restituendo il senso di
quello che ormai è chiamato lo
«spirito di Tibhirine», una vocazione all’incontro e alla fratellanza
così importante in un tempo in
cui prevale la logica dello «scontro
delle civiltà». [Paoline, 2014, pp.
172, euro 14]
Sul comodino di... Guido Dotti
Congar, Francesco e la via della povertà
C
Monaco di Bose, esperto
di questioni ecumeniche,
Guido Dotti è membro del
Comitato di consulenza
editoriale di Popoli.
on il primo Papa della storia che ha assunto
il nome di Francesco vi sono alcune istanze
evangeliche e conciliari che ritrovano slancio
nella vita ecclesiale. Vi è in particolare un passaggio della costituzione Lumen gentium - finora
mai citato nei documenti del magistero - che
conosce oggi un’inedita centralità: «Come Cristo
ha compiuto la redenzione attraverso la povertà
e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata
a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza« (LG 8,3). La «stessa
via» intrapresa da Cristo è quella della povertà
che, secondo il Concilio, non è soltanto una virtù
privata a cui esortare i fedeli, ma criterio ermeneutico per cogliere in verità il mistero dell’incarnazione e annunciarlo nell’amore.
Questa convinzione teologica così presente, almeno in alcuni ambienti, ai tempi del Vaticano II
emerge con chiarezza e lucidità rare dal saggio
che il domenicano Yves Congar volle offrire Per
una Chiesa serva e povera (Edizioni Qiqajon,
2014, pp. 170, euro 16, con una nuova traduzione e in appendice il Patto delle catacombe,
assente nella prima edizione). Forse i tempi non
erano maturi: nel 1963, quando uscì il libro in
francese, Congar era appena stato riabilitato dagli «esilii» in cui l’aveva relegato il Sant’Uffizio e
la sua nomina a cardinale arriverà solo trent’anni
dopo. Sta di fatto che l’edizione italiana sfumerà
il titolo in un più discreto Povertà e servizio nella
Chiesa e il presbitero che tradusse il testo si
firmerà prudentemente solo con le iniziali. E pensare che pochi anni dopo il traduttore e curatore
Massimo Giustetti sarebbe diventato vescovo...
Ma il poter rileggere oggi quelle pagine - assieme
al Patto delle catacombe che alcuni vescovi siglarono durante il Concilio per dare concretezza alla
riflessione sulla povertà di Cristo e della Chiesa
- offre una ventata di freschezza spirituale che
ci riporta al cuore del messaggio evangelico. È
ancora Lumen gentium a ricordarci che «come
Cristo è stato inviato dal Padre a dare la buona
novella ai poveri [...] così pure la Chiesa [...]
riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine
del suo fondatore, povero e sofferente» (LG 8,3).
Padre Congar traduce questa dimensione rivelativa dapprima in una convincente analisi della «gerarchia come servizio» attraverso le fonti bibliche
e il percorso storico e, successivamente, in una
serrata disanima dei «titoli e onori nella Chiesa».
L’insieme dell’opera costituisce un’anticipazione
profetica del ministero petrino di Francesco e
un monito decisivo: sulla povertà della Chiesa si
gioca la credibilità
dell’annuncio
evangelico.
giugno-luglio
2014 Popoli
57
Leggere
CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana
Io donna e lo sguardo glocal
Anselmo Palini
Marianella García
Villas
L’
analisi di questo mese è dedicata a Io donna, femminile del Corriere
della Sera, di cui abbiamo considerato i numeri distribuiti sabato 5,
9 e 26 aprile.
Il settimanale è suddiviso in otto sezioni: all’editoriale e ai pezzi d’apertura seguono «Mondo Io donna», «Io guardo/ascolto», «Io assaporo», «Io
sfioro», «Io cambio», «Io scopro/scelgo». Si tratta di parti autonome, ma
accomunate dall’obiettivo di offrire al lettore una varietà di proposte sensoriali che lo rendano protagonista di un’esperienza piacevole.
Al pari di Vanity Fair (cfr Popoli n. 5/2014), anche Io donna si distingue per
il ruolo centrale attribuito alle immagini a livello quantitativo e qualitativo.
Gli articoli sono spesso accompagnati da servizi fotografici realizzati ad
hoc oppure nascono da reportage o mostre in corso, come il servizio Gaza
Felix (5 aprile), tratto dal lavoro «Occupied pleasures» esposto a Firenze
durante il festival «Middle East Now». La pubblicità occupa una percentuale rilevante di pagine (44%), mentre lo spazio riservato all’«altro» raggiunge il 19%, concentrandosi soprattutto nella sezione «Io guardo/ascolto».
Le immagini non offrono una rappresentazione stereotipata della realtà,
ma trasfigurata. È quanto emerge dal pezzo Tutti per (la) terra (19 aprile)
che la redazione, in occasione della Giornata mondiale della Terra, affida
allo scrittore Andrea Bajani chiedendogli di «esorcizzare la catastrofe» e
«sintonizzarsi sul futuro». Diversamente dai bambini descritti dall’autore,
che guardano «il buio dritto negli occhi», le fotografie non rappresentano
il «mondo capovolto» dei nostri giorni, ma appagano gli occhi del lettore.
Le immagini si presentano quindi come il corrispettivo iconografico degli
adulti di Bajani che «hanno perso la capacità di stare davanti a una cosa
troppo più grande di loro, e hanno guadagnato quella di risolvere tutto
trasformando la paura in una pratica da risolvere».
Più in generale, all’interno degli articoli, l’«estero» è visto da una prospettiva determinata che, in questo caso, coincide con quella dell’«io-donna»
che dà il titolo alla testata e, al tempo stesso, rappresenta l’interlocutore
ideale del settimanale. È uno sguardo che osserva lo «straniero» da Occidente cercando di metterlo a fuoco, senza distacco, ma da una distanza
che lo rende accettabile e narrabile. Come suggerisce l’occhiello del pezzo
In Cina la ruota (degli esposti) gira troppo veloce (26 aprile), si tratta di
una prospettiva «glocal» che legge il dato internazionale in relazione al
contesto locale: l’abbandono dei minori in Cina «è vietato, come da noi.
Ma succede come da noi».
Diversamente, nella rubrica Est/Ovest firmata da Franco Venturini, il confronto tra Oriente e Occidente ha un taglio più internazionale. È il caso
dell’articolo Il pennello e la bomba (5 aprile) che offre una sintesi efficace
dell’inasprimento dei divieti e dei controlli a Teheran in risposta alla politica nucleare del presidente Rouhani.
Il punto di vista glocal torna invece nella sezione conclusiva «Io scopro/
scelgo» dove, all’interno della rubrica «Vivere meglio», il rapporto tra noi
e l’«altro» si risolve in un invito all’azione per aiutare chi si trova in
difficoltà. Il 19 aprile troviamo la maratona Running for Kids organizzata
da Terre des hommes, mentre il 26 aprile è la volta della campagna Giro
fights for Oxfam per «illustrare e finanziare i progetti di sviluppo rurale e di
aiuto all’imprenditoria femminile […] in molti Paesi del Sud del mondo».
Elvio Schiocchet e Paola Gelatti
58 Popoli giugno-luglio 2014
«Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e
degli scomparsi»: così, nel sottotitolo e nella Prefazione, Raniero La
Valle definisce Marianella García
Villas, 34enne, salvadoregna uccisa
nel 1983: alla ricostruzione della sua
figura - poco conosciuta in Italia Palini dedica meritoriamente questo
saggio. Presidente della Commissione per i diritti umani, convinta
promotrice della non violenza, collaboratrice di mons. Oscar Romero,
Marianella venne uccisa tre anni dopo il vescovo. La sua «colpa», avere
denunciato in modo troppo esplicito
le connivenze o addirittura le dirette
responsabilità della giunta militare
nel clima di violenza instauratosi
con lo scoppio della guerra civile: uccisioni di sacerdoti, catechisti,
contadini, sparizioni di oppositori
politici, minacce agli attivisti per
i diritti umani. Marianella aveva
anche indagato sugli incidenti avvenuti il giorno dei funerali di Romero,
quando in una piazza affollatissima
l’esplosione di una bomba e i tumulti
successivi provocarono almeno 30
morti. [Ave, 2014, pp. 265, euro 12]
Cristoforo Spinella
Pezzi di turchi
Non è semplice raccontare «una nazione complessa come poche», quel
ponte sospeso tra Europa e Asia,
mosaico di identità e contaminazioni
che chiamiamo Turchia. L’A. lo fa
ricomponendone frammenti, con ta-
glio giornalistico, ma senza inseguire semplificazioni. Inquadra, nella
prima parte, grandi questioni attuali
o della storia recente turca - il rapporto con l’Europa, la minoranza
curda, il velo delle donne musulmane, ecc. -, e incontra, nella seconda
parte dedicata a interviste, testimoni
importanti delle realtà esaminate,
spesso esponenti delle diverse minoranze. Questi incontri «a viva voce»
offrono uno spaccato delle dinamiche, apparentemente contraddittorie,
della storia turca recente. Chiude
con un’appendice dedicata alle convulsioni di piazza Taksim, snodo
politico del futuro. [Editori Riuniti
2013, p. 208, euro 13]
Gianpaolo Trevisi
Fogli di via. Racconti
di un Vice Questore
L’immigrazione vista da una prospettiva insolita, ma quanto mai
concreta: quella di un ex Vice Questore della Polizia di Stato e dirigente
dell’Ufficio immigrazione di Verona,
oggi direttore della Scuola di Polizia
di Peschiera del Garda (Vr). Dopo
la prima fortunata edizione, Trevisi
- origini romane e penna brillante aggiunge qui nuove storie, forse non
sempre vere ma certo verosimili, e
ci fa incontrare la stessa variopinta
umanità che lui ha avuto modo di
avvicinare in tanti anni di lavoro
sul campo: dai bambini nomadi da
sgomberare agli egiziani «clandestini» da riaccompagnare al Cairo
in aereo, dalle ragazze nigeriane ai
bambini cinesi. Il tutto narrato senza
buonismi, ma con la virtù - che segnala anche Gad Lerner nella Prefazione - di «sapersi mettere nei panni
degli altri». Virtù essenziale tanto per
uno scrittore quanto per un poliziotto. [Emi, 2014, pp. 188, euro 12]
Cécile Kyenge
«Un’Europa più unita
favorisce l’integrazione»
I
l giorno della partenza per l’Italia sua madre le disse: «Cécile, non tornare finché
non trovi ciò che stai cercando. Vai avanti e non voltarti indietro». Quelle parole
materne Cécile Kyenge le ha sempre portate nel cuore e nella mente. Da allora sono
passati trent’anni e Cécile è sempre andata avanti, nonostante tutto. Ha portato
avanti con determinazione il suo progetto di vita: si è laureata in Medicina a Roma
(voleva fare il medico fin da bambina), specializzata in Oculistica a Modena, dove poi
ha vissuto con suo marito e le due figlie, si è impegnata nella società civile fino a
diventare ministro dell’Integrazione (dal 28 aprile 2013 fino al 22 febbraio 2014). La
sua è una storia d’integrazione riuscita, anche se sul suo percorso ha trovato non
pochi ostacoli, difficoltà, pregiudizi, come racconta nel suo libro Ho sognato una strada
(Piemme, 2014, pp. 160, euro 14) in cui, oltre a raccontarsi, sfata molti pregiudizi
che circolano sui migranti e rimarca le sue convinzioni su gestione delle marginalità
sociali, forza del meticciato, fragilità delle «porte d’Europa», sfide dell’integrazione.
Nel suo libro descrive l’integrazione come un processo che avviene in tre fasi: adeguamento, interazione, perfezionamento. Nella fase di adeguamento sono importanti le
figure di riferimento che trova nel Paese che li ospita. Quando lei è arrivata nel 1983 in
Italia, quali sono state le figure di riferimento?
Solitamente nel processo migratorio i migranti hanno come punti di riferimento la loro
comunità, un parente, un familiare da cui andare, che li può aiutare. Il mio è stato
un percorso atipico in quanto al mio arrivo in Italia non avevo nessuno e sono stata
aiutata da un sacerdote e poi da una suora laica. Ho trovato una rete cattolica di accoglienza, ma assolutamente improvvisata. Spesso, ancora oggi, l’assistenza ai migranti è così. Invece penso che andrebbe resa sistema. Non un fai-da-te, ma un welfare di
comunità generativo che includa istituzioni, associazioni, nuclei familiari sul territorio.
Lei sostiene che per un migrante è fondamentale non rimanere sospeso tra il Paese di
provenienza e il Paese ospitante, ma che «deve sapersi radicare nel Paese in cui decide
di vivere». Di che cosa ha bisogno il migrante per radicarsi?
Penso che un passaggio fondamentale sia acquisire la cittadinanza del Paese ospitante, un atto che però non deve essere solo formale, ma sostanziale. Spesso per il
migrante non è un passaggio facile, perché si ha paura di «tradire» il proprio Paese
d’origine, si sviluppa un senso di colpa che ti perseguita. Ma superato questo senso
di colpa, se nel Paese in cui si vive ci si trova bene, è giusto che si possa acquisire la
cittadinanza. Arrivare a chiedere la cittadinanza implica non solo un ragionamento di
convenienza, ma anche un percorso spirituale interiore del migrante, di accettazione
di una propria identità multipla. Io l’ho chiesta (l’ha ottenuta nel 1997, ndr) perché
ero e sono innamorata dell’Italia, ma non dimentico il Congo, il mio Paese d’origine.
E poi con la cittadinanza il migrante può partecipare alla politica. Per me l’impegno
civico e politico è stato molto importante per radicarmi.
Le ennesime morti di migranti nel Mediterraneo hanno rimarcato l’insufficienza dell’operazione Mare Nostrum e l’immobilismo dell’Europa. Come si può colmare questo
vuoto a livello europeo nella gestione dei flussi migratori?
È necessaria una politica estera europea vera e forte, con una gestione comunitaria
centrale dei flussi migratori che porti anche a uniformare le leggi sulla materia. Bisogna stipulare accordi con i Paesi di provenienza e istituire corridoi umanitari che
eviterebbero viaggi pericolosi. Bisogna poi rivedere il Regolamento di Dublino (obbliga
a tenere sul proprio territorio i rifugiati che lì giungono e il richiedente asilo può fare
domanda d’asilo solo nello Stato dove ha messo piede per la prima volta, ndr) in
modo tale che le frontiere italiane diventino europee e un migrante possa scegliere
dove vivere in Europa.
giugno-luglio 2014 Popoli 59
Guardare
Giraffada
Una giraffa nell’intifada: tra Israele e
Palestina una favola moderna di pace,
guerra, confini, differenze e sentimenti capaci
di superarle
G
li spari si fanno assordanti nella quiete
di uno zoo poco frequentato. Le vite umane recintate, divise, in tensione
sembrano quasi senza libertà, rinchiuse come bestie in gabbia.
Il veterinario Yacine (Saleh Bakri) vive in Palestina con il figlio Ziad
(Ahmed Bayatra), orfano
di madre, al confine con i
territori della West Bank,
a pochi passi dal muro
che divide dai coloni israeliani. Yacine lavora per
lo zoo della zona, dove
Ziad si prende cura di
una coppia di giraffe. Una
notte, durante un attacco israeliano, la giraffa
maschio impazzisce, va a
sbattere contro la recinzione e muore. La femmina si ritrova così sola,
senza più voglia di vivere
e non si lascia nutrire.
Lo stesso Ziad sconvolto
scappa di casa e viene ri-
trovato soltanto dopo una
lunga notte di ricerche,
proibite perché si svolgono durante il coprifuoco. Quando Yacine scopre
che la giraffa superstite è
incinta decide di trovarle un nuovo compagno.
La sola soluzione sembra
rubare una giraffa dallo
zoo di Haifa, con l’aiuto
di una reporter francese
(Laure de Clermont) e di
un amico israeliano (Roschdy Zem).
L’opera prima di Rani
Massalha è dichiaratamente una fiaba moderna che unisce elementi
di commedia a dramma, realtà e surrealismo.
Ambisce candidamente
a farsi invito alla pace,
denunciare la violenza
e il sangue sul confine
attraverso l’apologo ecologista e animalista, citando poesie orientali e
Noè (di questi tempi va
per la maggiore al cine-
Docu
A
una delle artiste sudamericane più intense e significative è
dedicato questo documentario, uscito nel 50º anniversario
del Manifiesto del nuevo canconiero. Mercedes Sosa, scomparsa
nel 2009, era stata tra i protagonisti di quella esperienza musicale e letteraria che ha segnato la musica del Continente. Il film è
un viaggio intimo nella vita della cantante, con la testimonianza
di tanti, amici e artisti internazionali, che l’hanno conosciuta. Un
racconto di arte e impegno per la libertà e i diritti civili, segnata
dall’esperienza della dittatura e dell’esilio in Europa.
Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica
Regia di Rodrigo H. Vila
Argentina 2013
Durata: 90’
Lingua: spagnolo (sottotitoli in inglese)
60 Popoli giugno-luglio 2014
ma). Purtroppo il risultato
finale non sempre è efficace, incerto proprio tra
metafora e realismo, muri
disumani e gabbie di docili animali. Le parti più
suggestive sono quelle in
cui l’impasto tra registri
diversi riesce in maniera
meno programmatica ed è
spiazzante: la giraffa libera che nel finale attraversa un varco nel muro ed
entra in Palestina con le
proprie zampe, beffando
ogni soldato. Sono intense
le scene in cui il padre
cerca il figlio nel buio
notturno, tra gli spari e
i controlli infiniti e kafkiani. I personaggi purtroppo riescono raramente
ad appassionarci davvero
(l’eccezione è il buffo venditore di noccioline, causa
di disturbi intestinali alle
povere scimmie).
La reporter francese è stata doppiata con un italiano in stile ispettore Clouseau e questo non aiuta.
Ma l’aspetto più discutibile e ingenuo del film
è quello di rappresentare
tutti - ma proprio tutti gli israeliani (con la sola
eccezione del buon Yoahv)
come brutti, cattivi, antipatici, tonti e sempre armati (soldati e civili). In
un tentativo di pace serio
e per scuotere tutte le coscienze sarebbe stata forse
utile una forma narrativa
un po’ meno manichea.
Il film è incredibilmente
ispirato a fatti realmente
accaduti nel 2003, durante
la seconda Intifada (di qui
il titolo-crasi tra giraffa e
intifada). Ha ottenuto recensioni molto positive un
po’ in tutto il mondo e, a
sorpresa, anche dall’americano Variety.
Nelle note del pressbook si
cita la poesia La capra di
Umberto Saba, che in una
capra aveva visto specchiarsi la sofferenza umana: l’animale era descritto dal «volto semita» ed
evocava la tragedia della
Shoah. In Giraffada, lo
sguardo dell’animale che
soffre coincide con quello del popolo palestinese.
Quello che manca, però,
al film è proprio la capacità di inquadrare quello
sguardo in maniera profonda, sotto la superficie
fiabesca.
Luca Barnabé
L’Unione europea
nell’informazione Tv
I
l 22-25 maggio scorsi si è votato per
il rinnovo del Parlamento europeo in
tutti i 28 Paesi della Ue.
Qual è l’informazione sull’Unione veicolata dai media italiani? Da una prima
analisi sui dati parziali in periodo di
pre-campagna e avvio di campagna
elettorale, considerando solo i telegiornali di prima serata (quelli caratterizzati da maggior ascolto) delle Tv
generaliste, l’Unione europea, con una
media di più di nove servizi al giorno,
trova uno spazio pari al 7,6% sul totale
delle notizie.
Grandi differenze emergono, tuttavia,
sul fronte dei numeri, dal confronto tra
testate. Il network Rai supera decisamente tutte le testate del gruppo Mediaset, queste ultime sul fondo classifica. Il Tg2 è la testata più «europea»,
seguita dal Tg3 a pari merito con il
TgLa7 e dal Tg1. Primo tra i telegiornali
del gruppo Mediaset il Tg5.
Anche l’indice di favore/sfavore rispetto all’Unione europea offre qualche
elemento di ulteriore spunto. Su tutte
le testate prevale il numero di notizie
favorevoli all’Europa rispetto a quelle
negative e neutre. Sempre su tutte le
testate, sono le notizie neutre a prevalere anche su quelle contrarie. Unica
eccezione il Tg4 del neo direttore Mario
Giordano.
«Politica» e «campagna per le elezioni
europee» sono al centro delle notizie
sull’Europa: la prima presente in 8
servizi su 10, la seconda primo tema
dell’agenda europea (72% sul complessivo dei temi relativi alla Ue). Si parla
di Europa anche per la crisi in Ucraina,
per il controllo dei conti pubblici dei
Paesi membri, per l’immigrazione e per
la situazione delle carceri in Italia.
Stefano Mosti
14 giugno
Rimini
In occasione di «Mare
di Libri. Festival dei
ragazzi che leggono», lo
spettacolo Viaggiando nel
Mediterraneo. Da Ulisse
ai migranti di Lampedusa.
Teatro degli Atti.
www.maredilibri.it
16-20 giugno
Palermo
Presso Villa Niscemi,
mostra fotografica
dedicata ai riti sciamanici
nel mondo.
www.festivaldelviaggio.it
Invito a teatro
Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti
I
Mondiali di calcio in Brasile, oltre all’entusiasmo per il
pallone, ci ricordano un problema che grava su questo
Paese come su altri del Sud del
mondo: i diritti negati a migliaia
di bambini che sono costretti al
lavoro minorile o ancor peggio sono
vittime di tratta e violenze. Una bella testimonianza di lotta contro gli
sfruttatori di bambini-schiavo arriva
dallo spettacolo Iqbal, prode cavaliere e tessitore di tappeti, in scena
il 17 giugno a Genova, nell’ambito
del Festival Suq. Lo spettacolo
racconta la storia di Iqbal, Fatima e
Maria, che ogni giorno lavorano sui telai e che, grazie alla
forza e creatività di Iqbal, riescono a superare l’angoscia
della segregazione dovuta al lavoro, ricorrendo al gioco:
una gara a chi inventa i sogni più fantasiosi.
Una vicenda di diritti negati, ma anche il racconto di come
è possibile sognare un futuro di libertà ed estinguere il micidiale debito
contratto con il padrone-sfruttatore.
Lo spettacolo si ispira alla storia vera
di Iqbal Masih, raccontata nel libro di
Francesco D’Adamo, Storia di Iqbal,
ragazzino pakistano che all’età di
cinque anni viene venduto per pochi
dollari a un trafficante di tappeti, ma
che si ribella e riesce a denunciare
lo sfruttatore e a liberare altri minori
sfruttati come lui. A dodici anni, nel
1995, Iqbal viene assassinato proprio dalle «mafie dei
tappeti» e da allora è un simbolo della lotta contro il lavoro minorile. Per info: www.suqgenova.it
giugno-luglio 2014 Popoli 61
Ascoltare
La tromba magica
di Ibrahim Maalouf
Talento smisurato e formazione eclettica
fanno del musicista libanese uno degli artisti
più apprezzati, non solo nei Paesi arabi
È
giovane, classe 1980,
ma sin dalla più tenera età la musica ha fatto
parte della sua vita, vuoi
per eredità familiare, vuoi
per il suo talento e la
sua creatività. Si chiama
Ibrahim Maalouf, è nato a Beirut ma, a causa
della guerra civile che ha
martoriato il suo Paese,
da bambino si è trasferito
con la famiglia a Parigi.
La sua è una famiglia di
artisti e intellettuali: il
padre Nassim, insegnante
di musica e trombettista,
la madre Nada, pianista, lo
zio Amin, noto scrittore, il
nonno Rushdi, giornalista, poeta e musicologo.
Ibrahim, seguendo le orme paterne, a soli 7 anni sceglie la tromba come strumento. È proprio
il padre - musicista con
formazione classica - che
lo inizia a questo ottone.
Con lui il piccolo Maalouf
studia le diverse tecniche così come i più vari
repertori: dal classico al
moderno fino al contemporaneo oltre, ovviamente, alla musica araba.
Il giovane musicista si distingue per il talento precoce: accompagna il padre
Hit
I brani più venduti a marzo 2014 in Argentina
1
Shot me down
David Guetta & Skylar Grey
Canzone lanciata nel febbraio 2014 dal
produttore francese di house music e disc jockey
David Guetta.
2
Selfie
3
Summer
The Chainsmokers
Duo di New York composto da Andrew Taggart
e Alex Pall. Il duo si è costituito nel 2012
ed è diventato famoso con il brano Selfie di
quest’anno.
Calvin Harris
Musicista, cantante, dj scozzese.
62 Popoli giugno-luglio 2014
in tour per l’Europa eseguendo repertori barocchi
e facendosi notare. A poco
a poco si rende conto che
la musica è la sua vita:
abbandona quindi gli studi scientifici per dedicarsi
a quelli musicali. Negli
anni vince premi e concorsi, brucia le tappe della
formazione di musicista
e diventa insegnante di
tromba al conservatorio.
Anche qui, però, va oltre: lascia l’insegnamento
per divergenze tra la sua
visione musicale e quella
classica, e si dedica a masterclass (lezioni private)
in giro per il mondo.
Ibrahim Maalouf ha però una peculiarità: la sua
tromba è speciale poiché
modificata con l’aggiunta di un quarto pistone
che consente di suonare
i quarti di tono. Questo
strumento è stato inventato dal padre negli anni
Sessanta per eseguire le
tonalità tipiche della musica araba, che si muove
su intervalli inferiori ai
semitoni della musica occidentale.
Lo stile di Maalouf attinge
alla formazione classica,
così come al jazz - negli
anni si è avvicinato a questo genere, esibendosi in
big band e in club -, ma è
sempre venato dal languore unico delle note arabe.
Musicista, dunque, ma anche valente compositore.
Fino a qualche anno fa
conosciuto solo ai cultori, Maalouf inizia a far
parlare di sé a livello internazionale nel 2011 con
l’album Diagnostic. Il suo
suono è ricco di influssi e
intrecci, frutto delle origini mediorientali, degli
studi classici, degli incontri e delle varie collaborazioni: oltre alla tromba,
nelle sue esibizioni si avvale di strumenti quali il
pianoforte e il sassofono,
ma pure del ney, il flauto
arabo, del buzuq - versione araba del bouzouki
(una sorta di mandolino
greco) - e di varie percussioni. Maalouf è presente
ai principali festival musicali europei e la critica
lo nota e lo segue.
Nel 2013 esce l’album che
sarà uno spartiacque nella sua carriera: Illusions.
Questo disco, che contiene
diverse perle tipo Nomade
slang, Conspiracy generation, Unfaithful, racchiude l’essenza di Maalouf,
che abbina la sua possente
tromba ai suoni rock della
sua giovane band (sei elementi, compresi chitarra,
basso e batteria).
Chi pensa che un album
strumentale sia difficile da ascoltare, si sbaglia
di grosso. Per avere un
assaggio è consigliabile
guardare il Live at Baby­
lon di Istanbul, (2013) e
si vedrà una folla di giovani che ondeggiano ritmicamente
ipnotizzati
dal sound maaloufiano.
La consacrazione è definitiva quando nel marzo di
quest’anno riceve la Victoire per il miglior album
di musica tradizionale e
straniere, ovvero l’Oscar
della musica assegnato in
Francia. La sua esibizione
quella sera ha del prodigioso: eseguendo True
sorry, uno dei suoi brani
più vibranti, il carismatico
Ibrahim si fa raggiungere sul palco da giovani
musicisti con strumenti a
fiato e violini, che creano
insieme una performance
eccezionale.
Alessandra Abbona
STRUMENTI
Agogo
L’
agogo è uno strumento a percussione della famiglia degli idiofoni. Originario della Nigeria si è, successivamente,
diffuso in Brasile e a Cuba, dove è stato
portato dagli schiavi africani. È formato da
due o più campane di ferro senza batacchio di grandezze diverse, unite alla base
da una connessione che funge anche da
impugnatura. Nella maggior parte degli
agogo le campane sono due, tre o quattro,
in metallo (più raramente in legno). Lo si
suona reggendolo in mano e percuotendolo con una bacchetta in legno o in ferro. Il
ruolo principale di questo strumento è l’esecuzione di una frase ritmica, che serve a
dare il ritmo sul quale si basa l’andamento
generale di una danza.
Agogo era utilizzato dagli yoruba della
Nigeria, che lo consideravano simbolo
di potere. Nelle sua funzione originaria
veniva impiegato anche per rituali religiosi
e queste reminiscenze sono giunte anche
nel Nuovo Mondo, dove è entrato a far
D
parte integrante del candomblé, cerimonia
degli schiavi e dei loro discendenti. Oggi
lo strumento è molto utilizzato nella capoeira e nel samba. Nella capoeira l’agogo
segue il ritmo dell’atabaque (un tamburo)
o del pandeiro (una specie di tamburello)
e ha un suono più forte e acuto degli altri
strumenti. Nel samba l’agogo fa parte della
bateria e serve a dare note più acute alla
sezione ritmica.
L’agogo è stato impiegato anche nella musica rock: David Byrne, leader dei Talking
Heads, lo ha usato in diversi album e nei
concerti dal vivo. Più recentemente lo si è
sentito anche nei dischi degli inglesi Kaiser
Chiefs, band indie rock.
a.a.
aniele Mantovani, trent’anni, una passione per la politica estera,
decide di proporre nel 2011 a Radio Onda d’Urto di Brescia
C’è crisi, un programma che tratta di politica estera e, in particolare,
delle crisi dimenticate. Il progetto piace, il programma viene inserito
nel palinsesto e si avvia anche una collaborazione con Medici senza
Frontiere. Nella prima stagione era, infatti, previsto un collegamento
con gli operatori di Msf che lavoravano in Paesi toccati da crisi politicomilitari.
Nel 2012, invece, il filo conduttore non sono stati i Paesi in crisi, ma
fenomeni globali che hanno impattato sulla vita dei Paesi extraeuropei. Per esempio, a seguito della Primavera araba per tre mesi si
è analizzato il tema del rapporto tra religione e politica (con focus sui
Paesi musulmani) oppure si è affrontato il nodo dell’acqua e dell’energia
(con focus su Etiopia, Eritrea, Sud Sudan, Egitto) e di come queste
risorse vadano a modificare le politiche nazionali e internazionali con
ricadute sulle popolazioni.
Quest’anno il programma (in onda il sabato dalle ore 13 alle 14) si
concentra sui movimenti sociali: si è trattato di Medio Oriente, Nordafrica,
Turchia, Libano, Siria, Sudamerica: dagli effetti delle Primavere arabe,
alla creazione di nuove generazioni di blogger, alle trasformazioni urbane.
In ogni puntata oltre ai collegamenti con esperti e ospiti ci sono
due rubriche: «Dall’Osservatorio», in cui s’intervista un collaboratore
dell’associazione Osservatorio Iraq; «Libri» in cui si presenta un romanzo
o un saggio, preferibilmente collegato all’area geografica oggetto della
puntata. Info: cecrisi.radiondadurto.org.
Gustare
Il mondo perduto
degli eschimesi
••••••••••••••••••••••••
La ricetta
••••••••••••••••••••••••
Il popolo dei ghiacci ha sviluppato una civiltà
capace di rendere ospitale la tundra, ma che
si sta irrimediabilmente dissolvendo
AGOUTUK, il gelato degli eschimesi
Agoutuk o akutaq è il «gelato eschimese», una spuma di
pesce lavorata con olio o grasso e con aggiunta di bacche. La ricetta yupik (Nord-Ovest dell’Alaska ed Est della
Russia) propone di usare olio di foca fresco, ma si hanno
ricette con grasso di renna o di caribù. Oggi si preferisce
usare l’olio vegetale industriale Crisco. Il pesce va pulito
togliendo le interiora, la testa e la coda e poi va fatto
bollire per venti minuti. Lasciar raffreddare nell’acqua,
togliere le lische e sbriciolare il pesce il più possibile. Aggiungere due cucchiai di Crisco, miscelare e aggiungere
altro olio continuando a lavorare finché il composto non
diventa spumoso. Aggiungere zucchero e frutti di bosco.
Refrigerare e servire gelato.
P
ochi popoli al mondo
sono così ammirati e
così sconosciuti come gli
eschimesi. A partire dal
termine popolare e fantasioso con il quale sono definiti: «mangiatori di carne
cruda», che rimanda all’eterna diatriba tra chi sa
cuocere il cibo (e, dunque,
è «civile») e chi invece, si
limita a consumarlo come
natura lo offre. O anche
«fabbricanti di racchette da
neve», nome dato dai vicini incapaci di concepire
un popolo che si ostina a
vivere in un ambiente così
inospitale, tra ghiaccio e
sassi. Ambiente nel quale è
la pietra, essenziale, nuda,
eppure viva a dare l’immagine dell’eternità. Come
scrive Onfray: «Prima del
tempo, quando non c’è nulla a offrire punti di riferimento, quanto tutto esclude l’archeologia o la genea­
logia, è l’assoluto trionfo
della pietra» (M. Onfray,
Estetica del Polo Nord, Ponte alle Grazie, 2011, p. 11).
Terre estreme nelle quali
solo l’inukshuk, l’immagine
megalitica dell’uomo, conforta il viaggiatore che va
per mare indicandogli il
villaggio dove approdare.
Loro, gli inuit, cioè gli «uomini», sono eredi di una
lunga storia artistica, testimoniata dalle figurine
di osso della Terra di Baffin e dalle complesse maschere yupik che sedussero
gli artisti europei. La loro
splendida mitologia parla
di una divinità, Sedna, dal
verso expo 2015
Fondazione Feltrinelli, incontri su cibo ed energia
L’
Esposizione universale di Milano si interrogherà sui temi cruciali del cibo e
dell’energia. Su questi argomenti Expo 2015 e
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli hanno creato
Laboratorio Expo, un progetto che organizza
eventi, dibattiti e incontri legati alla divulgazione
scientifica. Quattro le aree tematiche: agricoltura, sui temi riguardanti la produzione agricola
mettendo in risalto l’importanza della sicurezza
alimentare; antropologia; si esploreranno le
forme della commensalità in una prospettiva
interculturale; sviluppo sostenibile, si prenderà
in esame la dimensione ambientale intesa
come equità nell’accesso alle risorse; sociologia urbana, si metteranno a fuoco le pluralità
di modelli che migliorano la qualità della vita
delle città. A giugno si svolgeranno un workshop
sull’ambiente nell’Università di Milano, uno sul
cambiamento climatico alla Fondazione Mattei
e un terzo sulla smart governance all’Università
Bicocca. A ottobre si terrà un seminario sui suoni della commensalità, cioè sulla dimensione
acustica dello stare a tavola. Infine a novembre
il sociologo Manuel Castells terrà a Milano una
lezione.
Il progetto ha creato anche la collana digitale
Laboratorio Expo, suddivisa in due sotto-collane:
Thesaurus e Keywords (gli e-book possono
essere scaricati gratuitamente dal sito www.
fondazionefeltrinelli.it).
cui sacrificio nacquero i
pesci del mare per nutrire gli uomini. Parla di un
fratello e una sorella che
diventarono il sole e la luna
e parla degli animali. Tra
questi, la foca, dalla quale
si ricava l’essenziale per la
vita. E cioè carne, olio per
l’illuminazione, pelle per
l’abbigliamento o per fare
i kayak.
Una civiltà, quella eschimese, fragile e bellissima,
capace di abitare la tundra
e di rendere significativo
ogni sasso e ogni insenatura del mare. Una civiltà
poco capita e che si dissolse
irrimediabilmente all’arrivo dei bianchi. Oggi, a Nunavut, il territorio artico
canadese gestito in autonomia dagli inuit, gli eredi
dell’antica Thule cercano,
attraverso l’arte, di recuperare il senso grandioso
e tragico del loro essere
custodi di un luogo dove il
mondo finisce.
Anna Casella Paltrinieri
RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro
Vietnamonamour
I
l nome è un chiaro riferimento a Hiroshima mon amour, il romanzo di
Marguerite Duras, la scrittrice francese nata in Vietnam. Un accostamento non casuale. Christiane Blanchet,
la titolare di Vietnamonamour, ha
una storia uguale e contraria a quella
della Duras: vietnamita, cresciuta in
Francia e trapiantata in Italia.
«La mia famiglia - racconta - è originaria di Hai Phong, sulla Baia del Tonchino. Mio padre aveva partecipato
come mediatore ai colloqui di pace
tra il governo vietnamita e quello
francese. Quando Hanoi è
diventata indipendente mio
padre è stato considerato
troppo vicino ai francesi e
nel 1958 è stato espulso
dal Vietnam. Io sono quindi
cresciuta in Francia dove
mi sono laurea­
ta in Storia.
In Italia sono arrivata agli
inizi degli anni Novanta. Inizialmente ho lavorato come
redattrice, poi ho insegnato francese
all’Università statale di Milano».
La cattedra le assicura un posto
fisso, ma lei non è soddisfatta. Vuole
ritrovare un rapporto più stretto con
il Paese di origine. Inizia così a produrre piccoli oggetti di abbigliamento
e oggettistica ispirati alla tradizione
vietnamita. Ma ancora non le basta:
vuole recuperare il gusto, i sapori,
i piatti della cucina del Vietnam.
Nel 2006, insieme al marito Dario
Arlunno, apre un locale a Milano.
«Dario ha condiviso con me questo
percorso - osserva -. Ha lasciato la
multinazionale farmaceutica per la
quale lavorava e ha messo a frutto la
sua passione per il vino ereditata dai
parenti che da generazioni lo producono. Si è così realizzato un incontro
unico tra Oriente e Occidente».
La cucina offre piatti a base di farina
e noodles di riso e soia. Come le gallette di riso degli involtini per i nem, il
banh xeo fatto con la farina di riso e
la farcitura vegetariana, il pho servito
con noodles di riso. Ma vengono serviti anche la zuppa di carne e di pesce, il bun cha (bocconcini di carne),
il cha ca (filetto di branzino all’aneto
e curcuma), l’agnello al tamarindo.
«Dario - conclude Christiane - ha
abbinato 80 vini francesi e italiani
ai nostri piatti. Ma ai clienti offriamo anche tè, birra e caffè
fatti arrivare direttamente dal
Vietnam. I nostri tavoli sono sempre apparecchiati con
i bastoncini di bambù, ma
spesso le mani sono il metodo migliore per mangiare».
VIETNAMONAMOUR
Via Alessandro Pestalozza 7,
Milano
SORSEGGI
Vino di kiwi
O
rmai il termine «kiwi» è associato
sempre più alla Nuova Zelanda. A
volte gli stessi neozelandesi sono chiamati in senso scherzoso «kiwi». Il riferimento è sia al curioso
uccello senza ali che vive
nel Paese, sia ai frutti
che lì crescono e che da
anni ormai sono diffusi
anche in Europa (l’Italia
è uno dei maggiori produttori mondiali).
La pianta, in realtà, a differenza del piccolo uccello, non è autoctona della
Nuova Zelanda. Il frutto
è infatti originario della Cina, dove è
coltivato da più di 700 anni. All’inizio
dell’Ottocento alcuni missionari hanno
pensato di esportarlo prima in Gran
Bretagna e, poi, in Nuova Zelanda, dove
ha attecchito e si è diffuso rapidamente. Inizialmente il frutto veniva chiamato
Uva spina cinese, successivamente è
stato ribattezzato kiwi.
Il kiwi è ricco di vitamine, fibre, potassio, magnesio e rame. Possiede anche
proprietà antiossidanti ed
enzimi che favoriscono la
digestione.
In Nuova Zelanda dal
frutto si ricavano un vino
che si ottiene dalla fermentazione del succo e
da un «invecchiamento»
di almeno tre mesi nelle
botti. Solitamente il vino
di kiwi accompagna piatti
di carne particolarmente
saporiti come agnello, maiale, manzo
e cervo. A volte viene accostato anche
a ricette di pesce e ai formaggi neozelandesi.
Dal kiwi si ottiene anche una grappa,
distillando in un alambicco il succo del
frutto.
7-8 giugno
Bologna
«Terra Equa», festival
del commercio equo e
dell’economia solidale.
terraequa.blogspot.com
13-24 luglio
Genova
Al «Suq Festival» punti di
ristorazione con diverse
cucine dal mondo.
www.suqgenova.it
giugno-luglio 2014 Popoli 65
Presta
attenzione
La rete connette le persone facendo incontrare
i bisogni di allevatori, contadini, commercianti
del Sud del mondo con microfinanziatori di ogni
continente. È la nuova frontiera del crowdfunding
A
nh Chi Em (sigla Ace)
significa «Fratelli e
sorelle» in vietnamita ed
è un programma di microfinanza creato da una Ong
francese, Entrepreneurs
du Monde: la sua missione è sostenere persone
vulnerabili nei remoti distretti rurali di Dien Bien
e Muong Ang, nel nord del
Vietnam.
Lanciato nel 2007, il programma promuove l’inclusione finanziaria delle
donne di etnie marginalizzate e di clienti con gravi
problemi socioeconomici.
Sono oltre 3.500 le persone che stanno usufruendo
di microprestiti con questo programma in tutto il
mondo.
Oltre ad aver creato questi significativi strumenti
finanziari, Ace si adopera
per offrire servizi di formazione allo sviluppo degli affari, sviluppo sociale
e agricolo, counselling, affiancamento e visite a domicilio. Opera anche con
partnership mirate, come
quella con Agronomes et
Vétérinaires Sans Frontières.
Ace ha anche programmi di prevenzione contro
Hiv/Aids, per la nutrizione, l’igiene e la gestione
dei rifiuti. Nel 2012, oltre
9.500 clienti nel solo Vietnam hanno preso parte
alle attività di sviluppo ed
educazione sui vari temi
proposti.
Nella regione di intervento, i tassi di interesse delle
banche sono mediamente
superiori al 23% annuo,
mentre Ace, con gli strumenti della microfinanza,
riesce a praticare un tasso
del 18%. Sono risparmi
che restano nelle tasche
dei beneficiari.
Il Vietnam ha oltre 90
milioni di abitanti che vivono con un reddito pro
capite di circa 4mila dollari annui, reddito cresciuto
molto in fretta negli ultimi
anni; la cifra che riusciva
a guadagnare Sua, una
donna di 62 anni della
regione agricola di Noong Luong, era di circa un
quinto prima dell’incontro
con il programma di sviluppo.
Sua vive in una famiglia con otto persone, che
comprende il marito, la sorella con la figlia, due figli
e due nipoti. L’età avanzata non le impedisce di
lavorare attivamente sia
nella coltivazione del riso
sia nell’allevamento di pe-
KIVA.ORG
Inter@gire
sce, maiali e pollame. Dotata di una notevole forza
di carattere, è decisa a
sviluppare l’attività, così
quando ha sentito parlare
dei prestiti e dei programmi di formazione di Ace si
è subito interessata. E da
lì, partendo da una richiesta a un operatore locale
e passando per internet,
è arrivata fino ai monitor
di computer e dispositivi
mobili di tutte le persone
connesse nel mondo.
La piattaforma che ci ha
consentito di entrare in
contatto con lei, vedere la
sua foto, conoscere la sua
storia e le sue esigenze,
e persino di contribuire
a sostenere il suo sviluppo è Kiva.org, un caso di
DECODE
Un futuro fai-da-te
N
el cuore di Dakar, tra le botteghe di artigiani e piccoli commercianti, tra un centro sociale e un asilo nido c’è Defko-AkYen, che in italiano suona più o meno come «farlo con gli altri».
È un FabLab creato dall’associazione Kër Thiossane, aperto a
tutti: residenti e artigiani, artisti, pensatori, hacker, ricercatori,
informatici, sviluppatori, designer. Uno spazio di condivisione di
know-how e sistemi di produzione che contaminano macchine
tradizionali e tecnologie digitali. Qui il concetto di FabLab - ovvero Fabrication Laboratory, l’antro dell’artigiano più innovativo, del
maker che crea usando nuove tecnologie digitali e stampanti
3D - acquista un nuovo significato. In un ambiente di condivisione e crescita personale, chiunque può venire a imparare,
sperimentare, trasmettere la sua esperienza o semplicemente
realizzare qualcosa.
A più di nove ore di volo c’è, all’interno della Città della Scienza
di Napoli, lo Urban FabLab (www.urbanfablab.it), così lontano e
così vicino nelle idee e nello spirito. Proprio qui, infatti, è nato
The 66
African
project,
un progetto nonprofit basato
PopoliFabbers
giugno-luglio
2014
sull’innovazione che vuole fare interagire le comunità di makers
europei e africani attraverso workshop e progetti collaborativi.
Dopo una tappa a Marrakech, The African Fabbers project arriva
proprio alla Biennale di Dakar nella cornice del festival Afropixel.
Qui, dopo una prima fase dedicata a sviluppare il concetto di
design di un progetto, utilizzando gli strumenti di progettazione
di calcolo e macchine di fabbricazione digitale, si passerà alla
realizzazione del progetto stesso, esplorando tecniche di autocostruzione con materiali locali, naturali e riciclati.
E non si tratta di un’iniziativa isolata della comunità dei makers.
C’è anche VentolOne, che cerca fondi per realizzare un generatore microeolico a basso costo e basso contenuto tecnologico.
C’è WasProject, che ispirandosi alla vespa vasaia che depone
concentricamente materiale argilloso per costruirsi il nido, sta
progettando sistemi per realizzare abitazioni sostenibili nel Sud
del mondo.
Antonio Sonzini
[email protected]
successo mondiale di cosiddetto lending crowdfunding. Grazie a questa piattaforma, ognuno può scegliere di finanziare Sua
dalla propria scrivania,
aiutandola a comprare più
pesci e cibo per pesci, incrementare gli affari e migliorare le condizioni della
famiglia. E come lei molte
altre e molti altri.
Per esempio, a diverse
migliaia di chilometri di
distanza, in Uganda, c’è
Florence, una donna con
una storia simile e al tempo stesso del tutto diversa.
Qui la popolazione è di
quasi 36 milioni di abitanti, il reddito medio pro
capite di 1.500 dollari annui e l’economia è basata
per l’82% sull’agricoltura.
Florence vive nella cittadina di Nansana, vicino a
Kampala, e vende bibite.
Anche lei, come Sua, ha
chiesto un prestito (900mila scellini ugandesi, circa
250 euro) che userà per
acquistare più bibite e avviare un circolo virtuoso
di crescita.
Si è rivolta a Brac Uganda,
Ong parte di un network
internazionale (www.brac.
net). Nel suo approccio
olistico Brac offre programmi di istruzione, salute, depurazione dell’acqua, agricoltura e microfinanza. Il programma di
microfinanziamenti da cui
Florence aspira a trarre
beneficio è stato studiato per offrire ai poveri
accesso in modo facile,
affidabile ed efficiente
a strumenti finanziari e
raggiunge oggi 150mila
persone, solo in Uganda.
Florence appartiene al
gruppo di beneficiarie
del programma Empowerment and Livelihood for Adolescents (Ela).
Durante l’adolescenza,
le ragazze raggiunte dal
programma
studiano,
formano club e giocano
insieme, oltre a riunirsi
per discutere di problemi
e opportunità sociali che
le aiutano a essere più
consapevoli. Il programma Ela è notevolmente
cresciuto dal 2008 e oggi
conta oltre mille club che
uniscono circa 40mila ragazze in tutto il Paese.
Come Sua e Florence ci sono migliaia di altre donne
che sono aiutate a sviluppare il proprio potenziale
e le attività economiche
di cui sono protagoniste
grazie a microprestiti e
grazie alla rete. Lo studio
e l’integrazione di modelli
di servizio finanziario sostenibili e realmente centrati sulla persona hanno
fatto grandi passi in avanti, andando a raggiungere microimprenditori che
sarebbero stati ignorati
dal sistema bancario tradizionale. In tutto questo,
internet è ancora una volta
una leva eccezionale, rendendo possibile l’incontro
tra un prestatore seduto
nel suo soggiorno di una
città italiana e una coltivatrice di riso in zone
remote del Vietnam o una
commerciante di bevande
che vive nelle periferie di
una metropoli africana.
Giovanni Vannini
GooglePlus:
+GiovanniVannini
@giovvan
giugno-luglio 2014 Popoli 67
Benvivere
ECOJESUITS
I gesuiti canadesi: per rispettare l’ambiente, non mangiate carne
«I
nvito ogni comunità della Provincia a impegnarsi in
una dieta senza carne e senza pesce un giorno
alla settimana (...) Oltre ai motivi tradizionali, oggi ne
abbiamo uno nuovo per rispolverare la pratica dell’astinenza da carne e pesce: la solidarietà con i poveri
del mondo e con un creato devastato». L’invito è stato
lanciato, in una lettera ai suoi confratelli, da J. Peter
Bisson, superiore della Provincia gesuitica del Canada
anglofono. La sua non è una trovata sensazionalistica,
ma un’iniziativa che mira a far crescere la sensibilità
ecologica nella Compagnia di Gesù. Un’iniziativa che si
inserisce in un solco tracciato anni prima da Jim Webb,
il predecessore di Bisson. «Padre Webb - è scritto nella
lettera - ha avviato un processo di discernimento col-
lettivo sul nostro impegno comunitario per l’ecologia
(...). Tra i frutti di questo processo sono emerse due
raccomandazioni specifiche». La prima è l’istituzione
di una commissione per la missione e l’ecologia che è
stata creata da padre Bisson con l’intento di «preparare
la Provincia ai nuovi modi di percepire, pregare, discernere, pensare e agire appropriati alla dimensione
ecologica». La seconda è appunto l’invito a non consumare carne e pesce almeno un giorno a settimana. «La
richiesta di carne da parte dei consumatori è diventato
un fattore molto significativo nel degrado ambientale.
Quindi, quanto da me proposto è un efficace atto di
speranza e un passo verso la riconciliazione con i poveri
e la terra».
Banca etica guarda
al crowdfunding
Insieme a Produzioni dal Basso ha creato uno
spazio per raccogliere fondi per progetti sociali
N
ell’era dei social media e dell’innovazione
tecnologica sta prendendo
piede anche in Italia una
forma di finanziamento
legata al soft power digitale. Si tratta delle piattaforme di crowdfunding
che permettono a persone, associazioni ed enti di
presentare i loro progetti
e cercare i finanziamenti.
Una di queste piattaforme
è Produzioni dal Basso che
dal 2005 ha realizzato 512
progetti con la raccolta di
quasi 1,3 milioni di euro.
Produzioni dal Basso ha
da poco iniziato una collaborazione con Banca Etica
che ha come obiettivo l’uso responsabile del denaro
dei risparmiatori. È stato
così inaugurato un nuovo
spazio della Banca popolare etica sulla piattaforma
68 Popoli GIUGNO-LUGLIO 2014
di Produzioni dal Basso.
Su questo spazio virtuale
le organizzazioni, i soci
e i clienti di Banca etica
potranno raccogliere fondi
attraverso il crowdfunding
per realizzare progetti di
promozione culturale, sociale e ambientale. È sufficiente che i soci e i clienti
di Banca etica contattino
una delle filiali dell’istituto
per chiedere di poter caricare il loro progetto sulla
piattaforma, condividerlo e
raccogliere fondi.
A metà maggio, sulla piattaforma sono stati caricati
due progetti: l’organizzazione del Congresso nazionale di economia sociale
che si terrà a Parma dal
20 al 22 giugno nel corso
del quale si discuterà di
un nuovo modello economico e delle risposte vir-
tuose alle contraddizioni
dell’economia tradizionale.
Per riuscire a organizzare l’evento sono necessari
10mila euro e la quota minima di adesione attraverso il crowdfunding è di 10
euro.
L’altro progetto è la creazione della Casa dei beni
comuni di Belluno (www.
casadeibenicomuni.it). L’iniziativa intende recuperare un’ex caserma per trasformarla in un centro culturale polivalente aperto
alla città in cui si organiz-
zeranno mostre, esposizioni, incontri teatrali e musicali. Nel centro troveranno
posto un piccolo bar, un’officina, una falegnameria,
un orto sociale e un piccolo
ufficio per la redazione del
sito d’informazione indipendente Bellunopiù. Per
la ristrutturazione servono
10 mila euro, 10 euro la
quota minima di adesione.
Per proporre progetti o sostenerli: http://bancaetica.
produzionidalbasso.com
oppure www.produzionidalbasso.com
Graphic journalism
“Tutte le speranze di
lasciare questo posto
svaniscono davanti alla
prospettiva ripetitiva di
un sopravvivere passivo
che non assomiglia in
nessun modo alla vita”
“Non è ironia della vita.
È la sua tragedia più
profonda. Possiamo
resistere non perché
siamo forti, ma unicamente perché non siamo
consapevoli in ogni
momento della nostra
immensa miseria in
tutti gli aspetti della
nostra vita”.
“Siamo qui ormai da nove settimane,
e sono ancora in grado, anche
se poco, di scrivere e di
pensare. Ogni sera, senza
eccezione, leggo le tue
lettere e quelle di Nada,
e questo è l’unico momento
in cui sono un’altra, non sono
solo un’internata”.
6/ continua
Foto: R. CABECINHAS / A. CUNHA
Come si chiama quest’isola?
1. Vi si trova una fortezza
intitolata a un santo
2. È stata cantata da diversi poeti
3. Ha lo stesso nome del Paese
di cui è parte
Invia la risposta entro il 31 luglio a
[email protected]. Alla quinta risposta esatta
vinci un Atlante Geografico Moderno De Agostini
2013/2014 (regolamento su www.popoli.info)
La risposta di aprile:
Somalia
Silvano Fausti S.I.
Biblista e scrittore
La casa di Lidia,
prima Chiesa d’Europa
«Venite ad abitare nella mia casa» (leggi Atti 15,3616,15)
L
a prima Chiesa d’Europa nasce «per caso» ed è tutta al femminile. La corsa della Parola, cominciata
a Gerusalemme, raggiunge la Giudea e la Samaria.
Dopo l’incontro tra Pietro e Cornelio alcuni ellenisti di
Cipro e di Cirene, forse dei mercanti, vanno ad Antiochia ed evangelizzano direttamente i pagani. Questa
comunità mista e problematica, campo base dei viaggi
di Paolo, fu la causa del «Concilio» di Gerusalemme.
Il cristianesimo si è diffuso in Asia Minore, che ha
caratteristiche culturali comuni ai giudei. La sete di
salvezza e i culti misterici, con relative ricerche di
relazione con Dio, facilitano l’annuncio del Vangelo.
Sono desideri profondi che basta esplicitare e indirizzare a Cristo.
Dopo l’esperienza del primo viaggio, Paolo progetta
con cura il secondo: suo compagno sarà Barnaba e
meta le comunità fondate, con fondazione di nuove.
Tutto è programmato: dove andare, cosa fare, con
chi collaborare e a chi rivolgersi. Unica incognita è
il tempo di permanenza. Ma Paolo sa che ovunque lo
«attendono catene e tribolazioni» (At 20,23): nata una
comunità, la persecuzione lo spedisce altrove.
Il progetto però non funziona. Barnaba subito divorzia da Paolo. Suo compagno allora sarà Sila, che «per
caso» non è tornato a Gerusalemme. La meta cambia:
se Barnaba parte con Marco per Cipro, Paolo con Sila
devia verso Derbe e Listra per evangelizzare la provincia dell’Asia. Qui incontrano, sempre «per caso»,
Timoteo, che si aggrega. Attraversano la Frigia e la
Galazia, ma lo Spirito Santo, non si sa come, vieta loro
di predicare. Allora raggiungono la Misia per andare in
Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permette. Quindi
scendono a Troade, porta del mare verso la Grecia. Qui
un sogno li dirotta verso l’Europa, in Macedonia.
A Troade si aggrega pure Luca, autore del Vangelo
e degli Atti. La sua presenza, anche se anonima, è
chiara: all’improvviso il racconto passa dalla terza
persona plurale «essi» al «noi» (cfr At 16,10: «cercammo di partire»). Gli incontri con Sila, Timoteo e
72 Popoli giugno-luglio 2014
Luca saranno determinanti per la nuova missione.
L’evangelizzazione è opera di Dio. Egli ostacola i
nostri progetti e agisce con gli imprevisti. Il caso è
il suo modo abituale di viaggiare in incognito. Non
le nostre idee sicure, ma le novità più irritanti svelano la sua volontà.
La breve traversata da Troade a Filippi è in realtà il
salto dall’Asia all’Europa. Al di là del Bosforo, Paolo
e compagni incontrano il mondo greco-romano, un
universo culturale e religioso diverso dal loro.
Paolo non può usare gli schemi già collaudati con
giudei ed ellenisti in Asia. Sperimenta approcci nuovi. Non a caso inizia cercando giudei già radicati sul
territorio: hanno familiarità con la mentalità locale.
Il loro processo di inculturazione era cominciato
presto a causa del commercio, ma anche dell’esilio,
della diaspora, del loro zelo per la Parola e - perché
no? - della loro curiosità intellettuale. Le traduzioni
greche della Bibbia e la scrittura di testi biblici direttamente in greco testimoniano l’intento dei giudei di
dialogare con la cultura dominante.
Arrivato a Filippi, il quartetto apostolico esce dalla
città e va di sabato lungo il fiume. In mancanza
d’altro, è un luogo di preghiera adatto per i giudei e
le loro abluzioni. Sinagoga è la riva e l’assemblea di
sole donne. I quattro uomini siedono e parlano loro
del Cristo. Tra le ascoltatrici c’è Lidia, commerciante
di porpora di Tiatira. Ascoltando Paolo, il Signore le
spalancò il cuore. Lui è già dentro: la Parola lo fa
venire alla luce. Lidia si fa battezzare e li «costringe»
a entrare in casa sua. La sua casa di donna ospitale
è la matrice di tutte le chiese d’Occidente. Questa
comunità, non programmata, è la più cara a Paolo
(leggi la Lettera ai Filippesi). Il buon seme si spargerà
da qui agli estremi confini della Terra.
Per riflettere e condividere
> Perché Dio sprogramma i nostri programmi?
> Perché gli ostacoli?
> Che cosa significano l’ospitalità e la donna per
la Chiesa?