Olio di palma ingrediente della

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Olio di palma ingrediente della
in primo piano
Olio di palma:
l’ingrediente della
discordia
Tra chi decide di boicottarne in toto la produzione e chi mantiene una
posizione più moderata, abbiamo deciso di parlarne mettendo a
confronto le opinioni di quanti lo utilizzano nell’industria. Per fare il
punto sulle tante criticità che accompagnano l’impiego di questa
materia prima e riflettere sulla sostenibilità delle possibili alternative.
di Claudia Benatti
Terra Nuova · febbraio 2016
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in primo piano
S
e nel 2012 l’Italia era il secondo
paese europeo per importazioni di olio di palma con 992 mila
tonnellate l’anno1, nel 2014 le quantità sono schizzate in alto, arrivando
a un import pari a 1 milione e 659
mila tonnellate2, che rappresenta ben
oltre il 2% della produzione mondiale, che tra il 2014 e il 2015 ha superato i 70 milioni di tonnellate e si
avvia a crescere ancora da qui al 2020.
estinzione diverse specie animali e
calpestato i diritti dei popoli nativi.
Per questo, nel nostro paese si sono
mobilitate decine di migliaia di consumatori con petizioni e boicottaggi, e anche alcuni politici si sono impegnati su questo fronte con mozioni
e interrogazioni in Parlamento4.
A fronte di una fortissima pressione dell’opinione pubblica, alcune
aziende, soprattutto quelle dell’in-
dustria alimentare, hanno avviato
programmi di ricerca e vere e proprie
riconversioni di prodotto per eliminare questa materia prima dagli ingredienti e c’è chi è riuscito a passare a differenti oli vegetali.
Altre aziende e organismi pensano invece che questa strada non sia
praticabile, come l’associazione dei
produttori dell’industria dolciaria
(Aidepi), che ritiene sufficiente pas-
Da dove viene?
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Le monocolture hanno rapidamente distrutto gli
ecosistemi delicati dei grandi polmoni verdi
tropicali, causato un grave inquinamento, portato
al rischio di estinzione diverse specie animali e
calpestato i diritti dei popoli nativi.
Foto: Friends of the Earth
Foto: Friends of the Earth
Foto: Friends of the Earth
Quasi il 90% di tutto l’olio di palma a livello globale proviene dalle foreste di Malesia e Indonesia3, devastate dalle coltivazioni intensive e dai
roghi appiccati per destinare le terre alle piantagioni.
In questi anni, le monocolture
hanno rapidamente distrutto gli ecosistemi delicati dei grandi polmoni
verdi tropicali, causato un grave inquinamento, portato al rischio di
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La devastazione delle foreste
Lo scorso dicembre, il governo indonesiano ha sanzionato
23 società1, la maggior parte delle quali operanti nei settori
della materia prima per la carta e dell’olio di palma, accusate di aver provocato i terribili roghi che per tutta l’estate
e parte dell’autunno 2015 non hanno lasciato requie all’Indonesia, in particolare a Sumatra e nel Borneo.
Il direttore del Ministero per le foreste, Brotestes Panjaitan,
ha anche spiegato che altre 33 società sono state messe
sotto indagine perché sospettate di avere avuto parte nella
devastazione. A 3 società sono state revocate le licenze,
mentre per 16 c’è stata una sospensione e 4 sono state
messe sotto osservazione. I roghi del 2015 hanno causato
una vera e propria devastazione, con 2,1 milioni di ettari di
terreni bruciati, 21 morti e oltre mezzo milione di persone
colpite da problemi respiratori, con una popolazione esposta di 43 milioni di persone. La Banca Mondiale ha stimato
una perdita per l’economia indonesiana pari a 16 miliardi di
dollari a causa dei roghi: oltre il doppio di quanto è stato
investito per la ricostruzione della provincia di Aceh dopo
lo tsunami del 2004.
La denuncia di Greenpeace
Il problema, però, non è nuovo, anche se le dimensioni ormai paiono fuori controllo. Come denuncia Greenpeace:
«Ogni anno, la nube di cenere che dall’Indonesia si espande
nei cieli dei paesi vicini uccide migliaia di persone e rilascia
migliaia di tonnellate di CO2 in atmosfera». Contro i roghi,
Greenpeace ha avviato una petizione a cui si può ancora
aderire2.
Una recente analisi del Global fire emissions database3 ha
evidenziato come i roghi, a tutto settembre 2015, abbiano
in più di una occasione superato il livello giornaliero di
emissioni inquinanti degli Stati Uniti. Peraltro, nel 2011, il governo indonesiano aveva annunciato una moratoria per le
nuove concessioni sulla foresta vergine, che di fatto non è
stata rispettata. I dati di Greenpeace mostrano come, dal
2011 al 2013, circa un quinto delle zone deforestate fossero
proprio quelle coperte da moratoria. Secondo il Wwf «se ancora 50 anni fa l’82% dell’Indonesia era coperta da foreste,
già nel 1995 la percentuale era scesa al 52% e al ritmo attuale, entro il 2020, le foreste indonesiane - tra le maggiori
al mondo per estensione insieme a quelle dell’Amazzonia
e del bacino del Congo - saranno definitivamente distrutte,
e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali
e della stessa biodiversità»4.
Ci sono poi altri aspetti assai criticati dell’industria dell’olio
di palma, denunciati con forza nel maggio scorso dal gruppo
Rural missionaries of the Philipphines5: il land grabbing, il
mancato rispetto dei diritti degli agricoltori e della popolazione locale e l’utilizzo di pesticidi chimici molto pericolosi,
come furadan, glifosato e paraquat.
Ecco, stando ai dati di Greenpeace, le principali cause di distruzione delle foreste sono:
• concessioni per olio di palma 20%;
• concessioni per piantagioni di polpa di cellulosa e carta 18%;
• concessioni per l’estrazione di carbone 12%;
• concessioni per taglio selettivo 9%.
Note
Associated Press: http://bigstory.ap.org/article/
9c414873e59549f492eef3057a1ff889/indonesia-punishes
-23-companies-causing-forest-fires
2. https://act.greenpeace.org/ea-action/action?ea.client.id=
1844&ea.campaign.id=43471&utm_source=internal&utm_medium=
post&utm_term=gpi-bos&utm_campaign=Forests&__surl__=
Ig25Q&__ots__=1447405194923&__step__=1
3. www.globalfiredata.org/updates.html
4. www.wwf.it/news/?11160/Olio-di-palma-il-grasso-tropicale-che
-dimagrisce-le-foreste
5. www.rmp-nmr.org/articles/2015/05/10/no-oil-palm-plantations
-philippines
1. Fonte
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sare all’utilizzo di un olio di palma
certificato; quest’ultima opzione
consente, con modalità però assai discusse, di etichettare quel prodotto
come “sostenibile”. Si tratta della certificazione Rspo, acronimo che sta
per Roundtable on sustainable palm
oil (Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile)5, che attualmente
copre solo il 20% dell’olio di palma
totale prodotto e che fino ad ora, in
ogni caso, non è servita ad arrestare il fenomeno della deforestazione.
Il 7 dicembre scorso, alla conferenza internazionale sulla sostenibilità delle filiere, organizzata ad Amsterdam, cinque stati europei – Olanda, Francia, Inghilterra, Danimarca e
Germania – hanno annunciato l’impegno6 di voler arrivare al 100% di
produzione sostenibile entro il 2020
attraverso la Rspo, ritenuta però una
certificazione a maglie troppo larghe
(vedi box a pag. 16). Inoltre, secondo l’associazione Friends of the Earth,
la modalità per raggiungere l’obiettivo sarebbe quella di inserire una
clausola all’interno del contestatissimo TTIP, il trattato transatlantico
contro cui si sono mobilitati milioni
di cittadini in tutta Europa7.
Dove si trova?
Il settore alimentare
Situazione assai variegata, dunque,
ma soprattutto complicata dal fatto
che questo olio vegetale ha ormai un
utilizzo molto ampio, che non si limita ai soli prodotti destinati all’alimentazione umana. Infatti, secondo il rapporto Patterns of global
biomass trade del marzo 20158, il
50% della produzione globale si usa
nelle agroenergie, nel settore farmaceutico, nella cosmesi e nella zootecnia per i mangimi destinati agli animali. La ragione di questo massiccio
utilizzo sta nel fatto che l’olio di palma costa poco, ha una resa alta e una
lunga durata, è versatile, resiste alle
alte temperature, consente una facile lavorazione e non altera il sapore
del prodotto finale. Ma il grosso problema sta proprio nella sostenibilità,
benché occorra tenere ben presente
come questo sia il punto debole anche di altri oli vegetali massicciamente
utilizzati, come ad esempio quello di
soia, accusato di contribuire in modo
sostanziale alla devastazione della Foresta Amazzonica9.
Occorre dunque avere una visione globale del problema delle filiere
sostenibili e agire su più fronti.
Le aziende alimentari che decidono
di eliminare l’olio di palma dai propri prodotti, interamente o parzialmente, stanno aumentando. Tra queste, la parte del leone la fanno i produttori del settore biologico.
 PROBIOS. Probios ha una storia di
impegno e investimenti sul fronte
della qualità e dell’innovazione e
oggi su 900 prodotti a listino solo una
trentina mantengono ancora l’olio di
palma; per la maggior parte si tratta
di alimenti senza glutine il cui processo produttivo è particolarmente
complesso.
«Probios è nata nel 1978 come
azienda di prodotti bio, vegetariani
e legati ai principi della macrobiotica. Scelta che portiamo avanti tuttora. Fin dall’inizio abbiamo sempre
considerato l’uso dell’olio palma
come una soluzione residuale» spiega Lorenzo Tonini, responsabile del
settore ricerca e sviluppo. «Abbiamo
dovuto prevederlo laddove alcuni
prodotti, fortemente innovativi, richiedevano soluzioni tecniche particolari perché difficili da lavorare e
da conservare. Per esempio, 15 anni
fa siamo stati la prima azienda a proporre prodotti senza glutine nel biologico, a base di riso e mais. Poi siamo stati tra i primi a usare cereali diversi, come quinoa, grano saraceno,
miglio, tef. Poi ancora sono venuti i
prodotti senza frumento, senza latte, senza uova, zucchero, lievito né lecitine, senza grassi idrogenati né
conservanti, emulsionanti e addensanti sintetici. Nel tempo, per alcune ricette abbiamo usato l’olio di palma perché migliora la conservabilità, conferisce consistenza e permette la lievitazione, ma ci siamo orientati verso materie prime certificate
Rspo, biologiche e non idrogenate.
Negli ultimi tre anni ci siamo impegnati a sostituire l’olio di palma con
olio di oliva e di girasole e siamo riusciti a convertire tantissime ricette.
Per esempio, tutta la linea delle fette biscottate, le creme spalmabili al
cioccolato, dal 2015 il panettone
senza glutine e i biscotti. Ci prefiggiamo di continuare: i prodotti con
olio di palma diminuiranno ancora.
Per noi non è un problema di prezzo, il nostro obiettivo è la qualità».
Il 50% della produzione globale si usa
nelle agroenergie, nel settore farmaceutico,
nella cosmesi e nella zootecnia per i mangimi
destinati agli animali.
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Olio di palma: fr
frazioni
azioni e deriv
derivati
eriv
vati
La lavorazione dell’olio di palma
Legenda:
Legenda:
Frutti
della
Frutti del
la
palma da olio
Olio di palma IE1
Pr
odotto
Prodotto
Pr
Processo
ocesso
Semi
FFrantoio
rantoio
Olio di palma crudo
Interesterificazione
In
teresterificazione
Prod. oleochimici
Prod.
Emulsionante
te
Emulsionan
Glic
erolisi
Glicerolisi
Ra
Raffinazione
ffinazione
pa
Olio di palma
idrogenato
id
idrogenato
Idr
Idrogenazione
ogenazione
grassi
Acidi gr
assi
distillati
dis
tillati
Glicerolisi
Glicerolisi
Olio di palma
RBD2
Emulsionan
Emulsionante
te
FFrazionamento
razionamento
Dis
Distillazione
tillazione
80%
20%
Oleina IE1
S
Stearina
tearina
arin IE1
Interesterificazione
Interesterificazione
Interesterificazione
Interesterificazione
Idr
Idrogenazione
ogenazione
Oleina RBD2
S
Stearina
tearina RBD2
FFrazionamento
razionamento
FFrazionamento
razionamento
50%
Oleina
idr
ogenata
idrogenata
50%
S
Stearina
tearina
semifr
azionata
semifrazionata
40%
Super
Super-stearina
-stearina
Super
-oleina
Super-oleina
Glic
Glicerolisi
erolisi
Emulsionan
Emulsionante
te
60%
Olio di palma
semifr
azionato
semifrazionato
Idr
Idrogenazione
ogenazione
www.greenpalm.org
www
w.greenpalm.org
Super-oleina
idrogenata
ogenata
Super-oleina idr
Note
1
IE = interesterificato/a
2
RBD = raffinato/a, sbiancato/a, deodorato/a
in primo piano
Scopri l’olio di palma in etichetta
Cibi, prodotti per il corpo, cosmetici e detergenti: ecco
alcuni dei nomi in etichetta, dietro cui può esserci olio
di palma.
• Olio vegetale
• Grasso vegetale
• Sodium Laureth Sulfate 
• Sodium Lauryl Sulfate 
• Sodium Dodecyl Sulphate (SDS o NaDS) 
• Palm Kernel 
• Olio di semi di palma o olio di palmisto o palm oil kernel 
• Olio di palma o palm fruit oil 
• Palmate 
• Palmitate 
• Palmolein 
• Glyceryl Stearate 
• Acido stearico o stearic acid 
• Elaeis Guineensis 
• Acido palmitico o palmitic acid 
• Palm Stearine 
• Palmitoyl oxostearamide 
• Palmitoyl tetrapeptide3 
• Steareth 2 
• Steareth 20 
• Sodium Kernelate 
• Sodium Palm Kernelate 
• Sodium Lauryl Lactylate/Sulphate 
• Sodium Lauryl Sulfoacetate 
• Hyrated Palm Glycerides 
• Sodium Isostearoyl Lactylaye 
• Cetyl Palmitate 
• Octyl Palmitate 
• Cetyl Alcohol 
• Palmityl Alchohol 
Legenda
 Olio di palma o derivati.
 Derivati dall’olio di palma, ma anche da altri oli vegetali.
 Derivati sia dall’olio di palma, che dall’olio di cocco.
Fonte: http://deforestationandpalmoil.weebly.com/uploads/1/8/8/5/18854416/
say_no_to_palm_oil.pdf
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Per Tonini, dunque, le alternative vegetali di più immediato uso sono l’olio extravergine di oliva e l’olio di
semi di girasole, «che hanno anche meno grassi saturi
rispetto all’olio palma e che, nelle giuste miscele, possono reggere elevate temperature di cottura». Tonini
esprime però qualche dubbio sulla sostenibilità di una
ipotetica conversione globale dei produttori: «Le rese
delle coltivazioni di olive e girasole risulterebbero parecchio inferiori a quelle della palma da olio, quindi richiederebbero molto più terreno, ma su questo stiamo
facendo delle verifiche».
In che misura può risultare accettabile l’olio di palma biologico e certificato Rspo?
«La certificazione del biologico impone un sistema di
gestione sostenibile per l’agricoltura. I prodotti bio devono essere ottenuti con procedimenti che non danneggino l’ambiente, la salute umana o animale e che non compromettano gli equilibri naturali» risponde Tonini. «Il bio
non accetta la deforestazione, quindi garantisce standard
superiori a quelli della Rspo. Comunque, già dal 2008 abbiamo chiesto ai nostri produttori di usare olio di palma
bio e anche certificato Rspo, benché si conoscano i limiti
di questo strumento, che a tratti pare quasi una forma di
greenwashing dell’industria. Stiamo anche approfondendo
il progetto Poig (Palm oil innovation group), portato avanti da Greenpeace e Wwf, che garantisce il rispetto di principi più restrittivi rispetto alla Rspo. Ma manca il controllo sull’intera filiera, dall’industria che lavora la palma fino al commerciante finale. Presumo aderiremo non
appena la filiera sarà completata».
 ALCE NERO. Un’altra nota azienda del biologico ha
fatto scelte radicali. Si tratta di Alce Nero, che da dieci
anni usa per i propri frollini esclusivamente olio di oliva extravergine e per gli altri prodotti anche olio di girasole. «A suo tempo è stata una scelta pionieristica»
spiega Erika Marrone, responsabile della qualità per il
gruppo bolognese. «Non è stato subito facile far accettare
il prodotto ai nostri clienti, perché la differenza di sapore è marcata. Ma poi ne sono stati conquistati, e in
questo modo contribuiscono persino a salvaguardare ambiente e salute. Sappiamo che per molti produttori la scelta di privilegiare l’olio di palma dipende dal prezzo abbordabile e dalle caratteristiche tecniche che rendono
facile la lavorazione, ma noi abbiamo scelto altre strade. Fino a due anni fa, l’unico nostro prodotto che manteneva olio di palma era il dado per il brodo, ma siamo
riusciti a sostituirlo anche lì. Certo, ci siamo assunti rischi e responsabilità. Per esempio, diminuisce la conservabilità dei prodotti, quindi abbiamo dovuto anticipare la scadenza, ma nel contempo forniamo risposte
corrette alle esigenze di consumatori sempre più consapevoli e maturi. Naturalmente ci rendiamo conto che
non si deve passare da una coltivazione intensiva non
sostenibile a un’altra, per questo non va mai abbassata
la guardia sulle filiere di produzioni, qualsiasi sia la scelta che si fa».
In proposito potrebbe essere promettente l’annuncio dell’individuazione di un lievito oleoso che potrebbe
sostituire l’olio di palma, anche se si tratta ancora di una
fase sperimentale in laboratorio. Il quotidiano inglese The Guardian10 ha illustrato lo stato di avanzamento delle ricerche condotte dall’equipe dell’Università di Bath sul lievito Metschnikowia pulcherrima, utilizzato in Sud Africa nella produzione
del vino. Non richiederebbe condizioni sterili per
la coltivazione e si ciba di zuccheri. Occorreranno però almeno altri tre o quattro anni per capire se sarà possibile procedere con l’uso industriale.
In termini di produzione, la
palma da olio ha una resa media
di 3,47 tonnellate per ettaro, 5
volte più della colza, 6 volte di
più del girasole, 9 volte più della
soia e 11 rispetto all’olio di oliva.
 AIDEPI. Totalmente differente la posizione di Aidepi, Associazione delle industrie del dolce e della pasta, che conta tra gli aderenti gruppi come Barilla, Bauli, Cameo, Elah, Ferrero e tanti altri11. «Al
momento, se si sceglie olio di palma certificato non
esistono ingredienti più sostenibili di questo,
considerando anche le poche esigenze in termini
di utilizzo dell’acqua, visto che le palme vengono coltivate in aree ad alta piovosità e a basse produzioni di CO2 equivalente» spiegano i vertici dell’associazione. «In termini di produzione, la palma da olio ha una resa media di 3,47 tonnellate per
ettaro, 5 volte più della colza, 6 volte di più del girasole, 9 volte più della soia e 11 rispetto all’olio
di oliva. Questo significa che oggi la palma da olio
si “accontenta” di 17 milioni di ettari di terreno
per fornire il 35% del fabbisogno mondiale di olio
vegetale. Mentre servono ben 111 milioni di ettari perché la soia garantisca appena il 27% del fabbisogno globale. Proiettando questi numeri rispetto alle esigenze future, che sono stimate in un
range compreso fra 30 e 70 milioni di tonnellate
di oli vegetali in più, avremmo un percorso quasi obbligato a favore dell’olio di palma. I terreni
coltivabili ancora non utilizzati, nel mondo, non
sono infiniti. Non è nemmeno da prendere in considerazione l’ipotesi di una sostituzione dell’olio
di palma con il burro, un ingrediente simile per
caratteristiche nutrizionali e per quantità di grassi saturi: sul piano ambientale la situazione sarebbe
anche peggiore, visto che l’impatto in termini di
superfici dedicate all’allevamento, di esigenze in
termini di fabbisogno di acqua e di emissioni di
CO2 equivalente sarebbe disastroso. Detto questo, perlopiù per motivi di marketing, alcune azien-
Lorenzo Tonini, Probios
«Negli ultimi 3 anni ci siamo
impegnati a sostituire l’olio di
palma con olio di oliva e di girasole e siamo riusciti a convertire tantissime ricette»
Erika Marrone, Alce Nero
«Sappiamo che per molti
produttori la scelta di privilegiare l’olio di palma dipende dal prezzo abbordabile e
dalle caratteristiche tecniche
che rendono facile la lavorazione, ma noi abbiamo
scelto altre strade»
Stefano Dorato,
Cosmetica Italia
«Se parliamo di olio di palma, allora lo si trova in pressoché tutti i saponi, mentre i
derivati sono praticamente
in tutti i prodotti cosmetici»
Paolo Pastore, Fairtrade Italia
«Qualora i produttori e il
mercato internazionale ce lo
chiedessero, lo sviluppo di
uno standard sull’olio di palma diventerebbe sicuramente prioritario»
Martina Borghi, Greenpeace
«Non siamo a favore del boicottaggio perché effettivamente la coltivazione della
palma da olio ha il rendimento maggiore possibile per
ettaro rispetto ad altre coltivazioni per fini analoghi,
e perché l’economia indonesiana ormai si fonda su
questo prodotto»
Terra Nuova · febbraio 2016
15
in primo piano
de hanno scelto di toglierlo da alcuni
prodotti (per esempio, Mulino Bianco ha immesso sul mercato i biscotti Chicchi di cioccolato e Fiori di latte; Misura e Gentilini ormai vendono solo prodotti palma free; marchi
come Tre Marie, Galbusera, Esselunga e Coop hanno deciso di eliminare o sostituire l’olio di palma da
molti nuovi prodotti, nda), lasciandolo in altri dove la sostituzione è
più difficile. Altre invece non hanno intenzione di farlo».
In merito alle numerose critiche
sollevate sulla certificazione Rspo,
Aidepi replica che «ci sono problemi effettivi nelle piantagioni di alcuni
paesi di provenienza, ma per le popolazioni locali significa lavoro; occorre far sì che questo lavoro sia ben
organizzato e questo può avvenire
solo certificando l’origine del loro
prodotto. Poi tutto è migliorabile, si
sta già lavorando al miglioramento
dei sistemi di certificazione».
Il settore dell’energia
Già all’inizio degli anni 2000, stando ai dati forniti da Friends of the
Earth12, ha iniziato a diffondersi
l’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente del biodiesel e come carburante da bruciare nelle centrali per
produrre energia elettrica. «Attualmente», come conferma la stessa
Eni13, che lo importa per lo stabilimento di Porto Marghera, «l’olio di
palma è la biomassa più utilizzata per
la produzione di biodiesel». E a
giudicare dalle affermazioni fatte
durante una tavola rotonda internazionale nel 201414, c’è tutta l’intenzione di sviluppare questo mercato, piuttosto che frenarlo.
A Washington, durante l’incontro
organizzato dall’Institute of medicine, Jamal Hisham Hashim, ricercatore dell’Onu e docente all’università
nazionale malesiana, ne aveva parlato come di una materia prima su cui
si vuole puntare e aveva già auspicato che il governo della Malesia prevedesse sussidi per sostenerne produzione e utilizzo. Chissà se l’innalzamento dei prezzi di vendita
della materia prima a partire dalla
metà del 2016, annunciata da alcuni
analisti15, servirà a frenare la richiesta. L’aumento dei costi deriverebbe
dal fatto che l’Indonesia ha deciso di
utilizzare più olio di palma per produrre proprio biodiesel e che la siccità causata da El Nino potrebbe
mettere a dura prova le scorte.
Ma qualcosa si sta muovendo anche in questo settore. La Solazyme16,
compagnia californiana, utilizza microalghe per produrre olio per biodiesel che già viene usato dai jet della United Airlines e dalle navi del-
Le critiche alle certificazioni
Nel 2004 è stata costituita la Rspo, Roundtable on sustainable palm oil1, un’associazione ad adesione volontaria che
comprende produttori di olio di palma, trasformatori e distributori, aziende e organizzazioni non governative.
I criteri stabiliti dalla Rspo riguardano i diritti dei precedenti
proprietari terrieri, le comunità locali, i lavoratori e piccoli
agricoltori, e prevedono che non siano eliminati tratti di foresta primaria o aree ad alto valore di conservazione per far
posto alla produzione di olio di palma.
Una delle critiche che è stata mossa a questi criteri riguarda
il fatto che verrebbero applicati con lassità; pare inoltre che
sia stato permesso un margine troppo ampio di interpretazione per definire quali possano essere o meno le aree delle
foreste primarie intoccabili o quelle ad alto valore ambientale.
Lo scandalo maggiore in merito alla Rspo ha riguardato nel
2008 la United Plantations, che aveva ricevuto la certificazione malgrado fosse coinvolta, come scoperto da Greenpeace, nella distruzione di foreste e torbiere a Kalimantan,
in Indonesia2. Proprio Greenpeace è stata tra i promotori del
Poig, Palm oil innovation group3, che vede coinvolto anche
il Wwf, tra i fondatori nel 2004 della Rspo, e che si propone
di osservare e far applicare criteri più restrittivi.
«Con il Poig garantiamo l’impiego di olio di palma non derivante da deforestazione o frutto di violazione dei diritti
16
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l’esercito americano. E queste microalghe pare stiano entrando anche
in altri mercati grazie al profitto
maggiore che garantiscono. Per
esempio, la Unilever si è già data da
fare per acquistare grandi quantità di
olio da alghe della Solazyme, per
contenere l’impatto ambientale delle proprie lavorazioni17.
La cosmesi
Nella produzione di cosmetici e prodotti per la cura del corpo, l’olio di
palma viene usato in quanto tale, ma
anche come olio di palmisto (ricavato dai semi) e in tutta una serie di derivati che hanno la funzione di tensioattivi, emollienti ed emulsionanti.
«È anche piuttosto difficile capire
quando in un prodotto questi derivati
sono presenti perché hanno nomi
complessi e non immediatamente riconducibili all’olio di palma» spiega
Stefano Dorato, direttore delle relazioni scientifiche e normative di Cosmetica Italia, associazione nazionale delle imprese cosmetiche. «Se parliamo di olio di palma, allora è un
componente importante di molti saponi» spiega Dorato, «mentre i derivati sono praticamente in tutti i prodotti cosmetici. È però vero che già
dal 2000 le più grandi aziende del settore, come anche le piccole e medie
imprese, si sono impegnate nell’am-
delle popolazioni locali» spiegano da Greenpeace. «Questo
gruppo è nato dalla necessità di andare oltre la certificazione rilasciata dalla
Tavola rotonda sull’olio di
palma sostenibile, i cui
criteri vengono giudicati
insufficienti soprattutto
perché non contemplano la
reale e totale protezione di
ecosistemi forestali importanti
come le foreste torbiere».
Il Poig indica una cornice di criteri all’interno della quale gli
aderenti devono muoversi per evitare la deforestazione, la
distruzione delle torbiere e per rispettare i diritti dei lavoratori e delle popolazioni. A chi decide di aderire viene richiesta trasparenza sulle informazioni e sulla condotta. Il
Poig prevede inoltre modalità snelle per sanzionare chi
vìola i principi sottoscritti.
Note
1. www.rspo.org
2. www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/comunicati/
certificazioni-olio
3. http://poig.org
bito dei programmi di sostenibilità a
utilizzare olio certificato Rspo, alcune
al 2010 avevano raggiunto il 100% di
prodotto certificato, altre hanno questo obiettivo per il 2020».
A fare una scelta drastica sulle materie prime sono soprattutto le aziende che scelgono biologico, biodinamico e che hanno eliminato le sostanze chimiche di sintesi. Come per
esempio Weleda.
 WELEDA. «Limitiamo l’impiego
dell’olio di palma a due prodotti
(Men gel doccia energy e Arnica gel
doccia sport), in cui è presente un derivato di questo ingrediente, l’Hydrogenated Palm Glycerides Citrate, un grasso idrogenato ottenuto dall’olio di palma e dall’acido citrico, che
serve in particolare per stabilizzare i
tensioattivi poiché, data la specifica
natura della formulazione di questi
due prodotti, non siamo ancora riusciti a trovare una sostanza equivalente» spiegano dall’azienda. «Siamo
coscienti della problematica ecologica
legata all’utilizzo dell’olio di palma
e da sempre scegliamo rigorosa-
mente le materie prime. Per questo
abbiamo aderito all’Uebt, Union for
ethical biotrade, associazione non
profit nata nel 2007 che sostiene e
promuove la conservazione della
biodiversità. Uebt rappresenta un’ulteriore garanzia di qualità e sicurezza dei prodotti Weleda: un audit
esterno e indipendente verifica e valuta periodicamente le pratiche di approvvigionamento, i processi della filiera produttiva secondo standard
specifici, nonché la corretta conservazione della biodiversità».
Il fair trade
E il sistema del commercio equo e solidale che ruolo e posizione ha su
questo argomento così dibattuto?
«Come organizzazione globale che
ha a cuore le condizioni di vita e di
lavoro dei produttori agricoli dei paesi in via di sviluppo, condividiamo le
preoccupazioni sugli impatti sociali e ambientali della produzione di
olio di palma» spiega Paolo Pastore,
direttore di Fairtrade Italia. «Al
momento non esiste uno standard
Fairtrade per questo prodotto e ci
viene spesso chiesto per quale motivo certifichiamo prodotti composti
che lo contengono. La risposta risiede
proprio nell’attenzione verso i produttori: secondo le regole di certificazione, perché un prodotto composto possa riportare il marchio
Fairtrade al suo interno devono essere certificati tutti gli ingredienti per
i quali esiste uno standard Fairtrade
e, se rifiutassimo di certificare i prodotti contenenti olio di palma, danneggeremmo milioni di contadini
che producono cacao, zucchero e
frutta secca. In questo momento, lo
sviluppo di uno standard per questo
prodotto non è tra le nostre priorità. Il lavoro di Fairtrade per la definizione di nuovi standard si basa sui
bisogni espressi dagli stessi produttori, che rappresentano la metà dei
seggi nella nostra assemblea generale, oltre che sulla valutazione del mercato e del valore aggiunto che Fairtrade potrebbe portare. Attualmente la priorità va ad altri prodotti. Tuttavia i nostri programmi internazio-
Autorizzazione del 10/09/15
Terra Nuova · febbraio 2016
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in primo piano
nali di ricerca e sviluppo sono in continua evoluzione; perciò, qualora i
produttori e il mercato internazionale
ce lo chiedessero, lo sviluppo di uno
standard sull’olio di palma diventerebbe sicuramente prioritario».
Chi dice no al boicottaggio
Si può dunque scegliere di boicottare
completamente i prodotti contenenti olio di palma, perché di ragioni
certamente ce ne sono. Ma c’è chi
spiega di non voler intraprendere
questa strada e di voler invece diffondere e ampliare una procedura
più stringente della Rspo per certificare l’olio di palma in modo che,
stante il danno ormai fatto, non se ne
peggiorino le dimensioni e si dia di
che vivere ai coltivatori locali.
A dire no al boicottaggio e sì a un
nuovo metodo di certificazione sono
Greenpeace e Wwf, che hanno dato
vita al Poig, Palm oil innovation
group18, progetto che si fonda, come
spiegano da Greenpeace, su tre aree
tematiche: responsabilità ambientale, collaborazione con le comunità locali e integrità del prodotto. «Non
siamo a favore del boicottaggio e
questo perché effettivamente la coltivazione della palma da olio ha il
rendimento maggiore possibile per
ettaro rispetto ad altre coltivazioni
per fini analoghi, perché l’economia
indonesiana ormai si fonda su questo prodotto» spiega Martina Borghi,
responsabile della Campagna foreste
per Greenpeace Italia. «Abbiamo voluto analizzare il problema con la logica. Laddove le foreste sono state
danneggiate da incendi dolosi o dove
il drenaggio delle torbiere è appena
iniziato, allora si può pensare di
bloccare tutto e riforestare. Ma laddove le palme da olio sono state pian-
Gli effetti sulla salute
L’olio di palma viene ottenuto dalla polpa del frutto; all’origine ha colore rosso (se spremuto a freddo) per l’elevata
presenza di carotenoidi, che vengono però distrutti dalla cottura e/o eliminati dalla raffinazione. Dalla spremitura dei
semi viene invece ricavato l’olio di palmisto (kernel oil), che
contiene una percentuale ancora più elevata di grassi saturi.
Il problema sta nel capire, dalle etichette non sempre chiare,
cosa di preciso sia contenuto nel prodotto che si vorrebbe
acquistare. Dal dicembre 2014 risulta obbligatorio1 indicare
in etichetta la natura dei grassi e degli oli vegetali impiegati,
ma purtroppo spesso non viene dichiarato il tipo di olio di
palma utilizzato (frazionato, raffinato, integrale, di palmisto).
Benché non esista un’allerta sanitaria sull’olio di palma, sono
sorte molte obiezioni sulla sua salubrità, soprattutto per il
contenuto di grassi saturi (50%), ancora più elevato nell’olio
di semi di palma (82-84%). Superare le quantità consigliate
di grassi saturi non è una prassi alimentare salutare, da qualsiasi fonte provengano, e i prodotti contenenti olio di palma
si aggiungono a una dieta, quella occidentale, che ne è già
ricca.
Uno studio pubblicato a settembre 2015 sulla rivista scientifica Molecules2 afferma che gli studi sull’insalubrità dell’olio
di palma non paiono conclusivi. «In modelli animali, una
tate da tempo e le torbiere sono state drenate completamente, non è
possibile pensare di tornare indietro,
perché quelle particolari condizioni
si formano solo in centinaia di anni.
Ci sono poi tantissimi agricoltori la
cui vita si basa sul lavoro nelle piantagioni e il nostro Poig può fornire
loro condizioni dignitose e il rispetto dei diritti umani».
La principale critica che è stata
mossa alle due associazioni ambientaliste è stata quella di essersi
“ammorbidite” sul fronte olio di palma e di avere scelto di allearsi con i
grandi gruppi (al Poig hanno aderito anche aziende come AgroPalma,
Danone e Ferrero). «Respingiamo
questa accusa» prosegue Borghi.
«Abbiamo scelto di cercare e ottenere proprio la collaborazione con
chi produce e utilizza olio di palma
per fare in modo che la richiesta di-
dieta con aggiunta di olio di palma peggiora la tolleranza al
glucosio per diminuzione della sensibilità insulinica». Riguardo agli effetti sulle malattie cardiovascolari «ci sono risultati discordanti» aggiungono i ricercatori. «Di recente, una
mole sempre più ampia di evidenze ha mostrato gli effetti
negativi di un eccesso di olio di palma sulla funzione mitocondriale mediata da stress ossidativo, effetto conosciuto
come lipotossicità», ma ci sarebbero «dati a supporto dell’ipotesi di un basso potere aterogeno dell’olio di palma, se
assunto in una dieta bilanciata».
Olio di palma e cancro
Anche l’associazione tra olio di palma e cancro dà risultati
controversi. «Ciò può essere ascritto all’eterogeneità della
popolazione studiata, alla difficoltà di considerare fattori di
rischio aggiuntivi e ad altre condizioni patologiche che influenzano il metabolismo lipidico. Comunque, alcuni studi
hanno concluso che una dieta povera di grassi gioca un
ruolo protettivo nei confronti dei tumori; anche il tipo di
grassi influenza il processo carcinogenico e alcuni acidi
grassi, come l’acido palmitico, possono giocare un ruolo
nella regolazione della crescita dei tumori».
A sconcertare è stato uno studio, pubblicato nel 2011 sulla
rivista Globalization and Health3 e firmato da un gruppo di
ricercatori della Stanford University. «Nei paesi in via di sviluppo» si legge nello studio «per ogni chilo aggiuntivo di
olio di pama consumato annualmente pro-capite, il tasso di
mortalità per ischemia cardiaca aumenta di 68 casi ogni
100.000 abitanti; la mortalità per ictus aumenta del 19%».
Nei paesi dove, invece, il livello di benessere è elevato, l’aumento della mortalità per questi disturbi dovuta al consumo
di olio di palma è minore, rispettivamente 17 e 5,1, poiché
evidentemente la dieta già predispone a tali patologie.
Note
1. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32011R1169&from=IT
2. www.mdpi.com/1420-3049/20/9/17339
3. http://globalizationandhealth.biomedcentral.com/articles/10.1186/1744-8603-7-45
18
www.terranuova.it
minuisca, divenga sostenibile e che si utilizzi solo materia prima prodotta senza devastare le foreste. I governi
dei paesi dove si coltiva olio di palma, come ad esempio quello indonesiano, sono deboli di fronte alle
pressioni delle multinazionali, quindi riteniamo che l’unico modo per incidere sia di far cambiare posizione alle
aziende stesse, coinvolgendole».
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Cosa fare?
Cosa fare dunque per minimizzare l’impatto delle nostre scelte? Senz’altro si può decidere di non acquistare prodotti contenenti olio di palma, ma occorrerà anche fare attenzione a non spostare gli acquisti su altri alimenti impattanti. Quindi è bene leggere attentamente
le etichette e scegliere quanto di più naturale possibile, privo di conservanti, emulsionanti, grassi e quant’altro
possa avere dubbia provenienza. Poi, sarebbe cosa opportuna ritornare all’autoproduzione: farsi in casa
pane, biscotti, pasta, torte, conserve e creme, scegliendo ingredienti naturali, biologici e, se possibile, a chilometro zero. E non dimentichiamo la mobilità. Anche
in questo caso cambiare paradigma, tornare a ritmi più
sostenibili e a mezzi non impattanti, ad esempio abbandonando l’auto, permette di diminuire le esigenze
di carburanti, quindi anche di biodiesel. Le aziende e i
governi, poi, facciano finalmente la loro parte!
Scelte come queste, a prescindere anche dall’olio di palma, fanno bene a noi e all’ambiente.
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Note
1. Vedi pag. 10 del seguente documento: www.europe-economics.com/
publications/europe_economics_-_economic_impact_of_palm_oil_
imports.pdf
2. Fonte Aidepi: www.aidepi.it/images/PDFscaricabili/olio_di_palma_
a_pdf.pdf
3. Fao - Faostat: database online. http://apps.fao.org
4. Vedi: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/00836&ramo=
CAMERA&leg=17 e http://www.foodagriculturerequirements.com/
lolio-di-palma-in-parlamento-ecco-i-26-casi-in-cui-se-ne-dibatte
5. www.rspo.org
6. www.euandgvc.nl/documents/publications/2015/december/7/
declarations-palm-oil
7. www.terranuova.it/Le-Campagne-di-Terra-Nuova-2014/Stop-Ttip-no
-al-trattato-che-cancella-i-diritti
8. La versione integrale del rapporto è disponibile all’indirizzo
www.ejolt.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/03/150312_
EJOLT-20-Biomass-FINAL-VERSION.pdf. Gli autori appartengono
al World rainforest movement, all’Università di Vienna e all’Università di Gondar in Etiopia.
9. www.wwf.it/news/notizie/?8380
10. www.theguardian.com/sustainable-business/2015/feb/17/
scientists-reveal-revolutionary-palm-oil-alternative-yeast
11. La lista completa degli associati Aidepi si trova all’indirizzo
www.aidepi.it/associati/lista.html?limitstart=0
12. www.foe.co.uk/sites/default/files/downloads/palm_oil_biofuel_
position.pdf
13. www.eni.com/it_IT/sostenibilita/ambiente/biodiversita-ed-ecosistemi/
progetto-green-refinery/progetto-green-refinery.shtml
14. www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK196448
15. http://jakartaglobe.beritasatu.com/business/biodiesel-mandate
-el-nino-boost-palm-oil-prices-2016-analyst-fry
16. http://solazyme.com
17. www.nytimes.com/2013/09/25/business/energy-environment/
unilever-to-buy-oil-derived-from-algae-from-solazyme.html
18. http://poig.org
$*5,&2/785$%,2/2*,&$
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Perle di Sicilia
Bio
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per info:
perledisiciliabio - www
www.. perledisiciliabio.it
Email: [email protected]
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