Olio di palma ingrediente della
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Olio di palma ingrediente della
in primo piano Olio di palma: l’ingrediente della discordia Tra chi decide di boicottarne in toto la produzione e chi mantiene una posizione più moderata, abbiamo deciso di parlarne mettendo a confronto le opinioni di quanti lo utilizzano nell’industria. Per fare il punto sulle tante criticità che accompagnano l’impiego di questa materia prima e riflettere sulla sostenibilità delle possibili alternative. di Claudia Benatti Terra Nuova · febbraio 2016 9 in primo piano S e nel 2012 l’Italia era il secondo paese europeo per importazioni di olio di palma con 992 mila tonnellate l’anno1, nel 2014 le quantità sono schizzate in alto, arrivando a un import pari a 1 milione e 659 mila tonnellate2, che rappresenta ben oltre il 2% della produzione mondiale, che tra il 2014 e il 2015 ha superato i 70 milioni di tonnellate e si avvia a crescere ancora da qui al 2020. estinzione diverse specie animali e calpestato i diritti dei popoli nativi. Per questo, nel nostro paese si sono mobilitate decine di migliaia di consumatori con petizioni e boicottaggi, e anche alcuni politici si sono impegnati su questo fronte con mozioni e interrogazioni in Parlamento4. A fronte di una fortissima pressione dell’opinione pubblica, alcune aziende, soprattutto quelle dell’in- dustria alimentare, hanno avviato programmi di ricerca e vere e proprie riconversioni di prodotto per eliminare questa materia prima dagli ingredienti e c’è chi è riuscito a passare a differenti oli vegetali. Altre aziende e organismi pensano invece che questa strada non sia praticabile, come l’associazione dei produttori dell’industria dolciaria (Aidepi), che ritiene sufficiente pas- Da dove viene? 10 Le monocolture hanno rapidamente distrutto gli ecosistemi delicati dei grandi polmoni verdi tropicali, causato un grave inquinamento, portato al rischio di estinzione diverse specie animali e calpestato i diritti dei popoli nativi. Foto: Friends of the Earth Foto: Friends of the Earth Foto: Friends of the Earth Quasi il 90% di tutto l’olio di palma a livello globale proviene dalle foreste di Malesia e Indonesia3, devastate dalle coltivazioni intensive e dai roghi appiccati per destinare le terre alle piantagioni. In questi anni, le monocolture hanno rapidamente distrutto gli ecosistemi delicati dei grandi polmoni verdi tropicali, causato un grave inquinamento, portato al rischio di www.terranuova.it La devastazione delle foreste Lo scorso dicembre, il governo indonesiano ha sanzionato 23 società1, la maggior parte delle quali operanti nei settori della materia prima per la carta e dell’olio di palma, accusate di aver provocato i terribili roghi che per tutta l’estate e parte dell’autunno 2015 non hanno lasciato requie all’Indonesia, in particolare a Sumatra e nel Borneo. Il direttore del Ministero per le foreste, Brotestes Panjaitan, ha anche spiegato che altre 33 società sono state messe sotto indagine perché sospettate di avere avuto parte nella devastazione. A 3 società sono state revocate le licenze, mentre per 16 c’è stata una sospensione e 4 sono state messe sotto osservazione. I roghi del 2015 hanno causato una vera e propria devastazione, con 2,1 milioni di ettari di terreni bruciati, 21 morti e oltre mezzo milione di persone colpite da problemi respiratori, con una popolazione esposta di 43 milioni di persone. La Banca Mondiale ha stimato una perdita per l’economia indonesiana pari a 16 miliardi di dollari a causa dei roghi: oltre il doppio di quanto è stato investito per la ricostruzione della provincia di Aceh dopo lo tsunami del 2004. La denuncia di Greenpeace Il problema, però, non è nuovo, anche se le dimensioni ormai paiono fuori controllo. Come denuncia Greenpeace: «Ogni anno, la nube di cenere che dall’Indonesia si espande nei cieli dei paesi vicini uccide migliaia di persone e rilascia migliaia di tonnellate di CO2 in atmosfera». Contro i roghi, Greenpeace ha avviato una petizione a cui si può ancora aderire2. Una recente analisi del Global fire emissions database3 ha evidenziato come i roghi, a tutto settembre 2015, abbiano in più di una occasione superato il livello giornaliero di emissioni inquinanti degli Stati Uniti. Peraltro, nel 2011, il governo indonesiano aveva annunciato una moratoria per le nuove concessioni sulla foresta vergine, che di fatto non è stata rispettata. I dati di Greenpeace mostrano come, dal 2011 al 2013, circa un quinto delle zone deforestate fossero proprio quelle coperte da moratoria. Secondo il Wwf «se ancora 50 anni fa l’82% dell’Indonesia era coperta da foreste, già nel 1995 la percentuale era scesa al 52% e al ritmo attuale, entro il 2020, le foreste indonesiane - tra le maggiori al mondo per estensione insieme a quelle dell’Amazzonia e del bacino del Congo - saranno definitivamente distrutte, e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità»4. Ci sono poi altri aspetti assai criticati dell’industria dell’olio di palma, denunciati con forza nel maggio scorso dal gruppo Rural missionaries of the Philipphines5: il land grabbing, il mancato rispetto dei diritti degli agricoltori e della popolazione locale e l’utilizzo di pesticidi chimici molto pericolosi, come furadan, glifosato e paraquat. Ecco, stando ai dati di Greenpeace, le principali cause di distruzione delle foreste sono: • concessioni per olio di palma 20%; • concessioni per piantagioni di polpa di cellulosa e carta 18%; • concessioni per l’estrazione di carbone 12%; • concessioni per taglio selettivo 9%. Note Associated Press: http://bigstory.ap.org/article/ 9c414873e59549f492eef3057a1ff889/indonesia-punishes -23-companies-causing-forest-fires 2. https://act.greenpeace.org/ea-action/action?ea.client.id= 1844&ea.campaign.id=43471&utm_source=internal&utm_medium= post&utm_term=gpi-bos&utm_campaign=Forests&__surl__= Ig25Q&__ots__=1447405194923&__step__=1 3. www.globalfiredata.org/updates.html 4. www.wwf.it/news/?11160/Olio-di-palma-il-grasso-tropicale-che -dimagrisce-le-foreste 5. www.rmp-nmr.org/articles/2015/05/10/no-oil-palm-plantations -philippines 1. Fonte Terra Nuova · febbraio 2016 11 in primo piano sare all’utilizzo di un olio di palma certificato; quest’ultima opzione consente, con modalità però assai discusse, di etichettare quel prodotto come “sostenibile”. Si tratta della certificazione Rspo, acronimo che sta per Roundtable on sustainable palm oil (Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile)5, che attualmente copre solo il 20% dell’olio di palma totale prodotto e che fino ad ora, in ogni caso, non è servita ad arrestare il fenomeno della deforestazione. Il 7 dicembre scorso, alla conferenza internazionale sulla sostenibilità delle filiere, organizzata ad Amsterdam, cinque stati europei – Olanda, Francia, Inghilterra, Danimarca e Germania – hanno annunciato l’impegno6 di voler arrivare al 100% di produzione sostenibile entro il 2020 attraverso la Rspo, ritenuta però una certificazione a maglie troppo larghe (vedi box a pag. 16). Inoltre, secondo l’associazione Friends of the Earth, la modalità per raggiungere l’obiettivo sarebbe quella di inserire una clausola all’interno del contestatissimo TTIP, il trattato transatlantico contro cui si sono mobilitati milioni di cittadini in tutta Europa7. Dove si trova? Il settore alimentare Situazione assai variegata, dunque, ma soprattutto complicata dal fatto che questo olio vegetale ha ormai un utilizzo molto ampio, che non si limita ai soli prodotti destinati all’alimentazione umana. Infatti, secondo il rapporto Patterns of global biomass trade del marzo 20158, il 50% della produzione globale si usa nelle agroenergie, nel settore farmaceutico, nella cosmesi e nella zootecnia per i mangimi destinati agli animali. La ragione di questo massiccio utilizzo sta nel fatto che l’olio di palma costa poco, ha una resa alta e una lunga durata, è versatile, resiste alle alte temperature, consente una facile lavorazione e non altera il sapore del prodotto finale. Ma il grosso problema sta proprio nella sostenibilità, benché occorra tenere ben presente come questo sia il punto debole anche di altri oli vegetali massicciamente utilizzati, come ad esempio quello di soia, accusato di contribuire in modo sostanziale alla devastazione della Foresta Amazzonica9. Occorre dunque avere una visione globale del problema delle filiere sostenibili e agire su più fronti. Le aziende alimentari che decidono di eliminare l’olio di palma dai propri prodotti, interamente o parzialmente, stanno aumentando. Tra queste, la parte del leone la fanno i produttori del settore biologico. PROBIOS. Probios ha una storia di impegno e investimenti sul fronte della qualità e dell’innovazione e oggi su 900 prodotti a listino solo una trentina mantengono ancora l’olio di palma; per la maggior parte si tratta di alimenti senza glutine il cui processo produttivo è particolarmente complesso. «Probios è nata nel 1978 come azienda di prodotti bio, vegetariani e legati ai principi della macrobiotica. Scelta che portiamo avanti tuttora. Fin dall’inizio abbiamo sempre considerato l’uso dell’olio palma come una soluzione residuale» spiega Lorenzo Tonini, responsabile del settore ricerca e sviluppo. «Abbiamo dovuto prevederlo laddove alcuni prodotti, fortemente innovativi, richiedevano soluzioni tecniche particolari perché difficili da lavorare e da conservare. Per esempio, 15 anni fa siamo stati la prima azienda a proporre prodotti senza glutine nel biologico, a base di riso e mais. Poi siamo stati tra i primi a usare cereali diversi, come quinoa, grano saraceno, miglio, tef. Poi ancora sono venuti i prodotti senza frumento, senza latte, senza uova, zucchero, lievito né lecitine, senza grassi idrogenati né conservanti, emulsionanti e addensanti sintetici. Nel tempo, per alcune ricette abbiamo usato l’olio di palma perché migliora la conservabilità, conferisce consistenza e permette la lievitazione, ma ci siamo orientati verso materie prime certificate Rspo, biologiche e non idrogenate. Negli ultimi tre anni ci siamo impegnati a sostituire l’olio di palma con olio di oliva e di girasole e siamo riusciti a convertire tantissime ricette. Per esempio, tutta la linea delle fette biscottate, le creme spalmabili al cioccolato, dal 2015 il panettone senza glutine e i biscotti. Ci prefiggiamo di continuare: i prodotti con olio di palma diminuiranno ancora. Per noi non è un problema di prezzo, il nostro obiettivo è la qualità». Il 50% della produzione globale si usa nelle agroenergie, nel settore farmaceutico, nella cosmesi e nella zootecnia per i mangimi destinati agli animali. 12 www.terranuova.it Olio di palma: fr frazioni azioni e deriv derivati eriv vati La lavorazione dell’olio di palma Legenda: Legenda: Frutti della Frutti del la palma da olio Olio di palma IE1 Pr odotto Prodotto Pr Processo ocesso Semi FFrantoio rantoio Olio di palma crudo Interesterificazione In teresterificazione Prod. oleochimici Prod. Emulsionante te Emulsionan Glic erolisi Glicerolisi Ra Raffinazione ffinazione pa Olio di palma idrogenato id idrogenato Idr Idrogenazione ogenazione grassi Acidi gr assi distillati dis tillati Glicerolisi Glicerolisi Olio di palma RBD2 Emulsionan Emulsionante te FFrazionamento razionamento Dis Distillazione tillazione 80% 20% Oleina IE1 S Stearina tearina arin IE1 Interesterificazione Interesterificazione Interesterificazione Interesterificazione Idr Idrogenazione ogenazione Oleina RBD2 S Stearina tearina RBD2 FFrazionamento razionamento FFrazionamento razionamento 50% Oleina idr ogenata idrogenata 50% S Stearina tearina semifr azionata semifrazionata 40% Super Super-stearina -stearina Super -oleina Super-oleina Glic Glicerolisi erolisi Emulsionan Emulsionante te 60% Olio di palma semifr azionato semifrazionato Idr Idrogenazione ogenazione www.greenpalm.org www w.greenpalm.org Super-oleina idrogenata ogenata Super-oleina idr Note 1 IE = interesterificato/a 2 RBD = raffinato/a, sbiancato/a, deodorato/a in primo piano Scopri l’olio di palma in etichetta Cibi, prodotti per il corpo, cosmetici e detergenti: ecco alcuni dei nomi in etichetta, dietro cui può esserci olio di palma. • Olio vegetale • Grasso vegetale • Sodium Laureth Sulfate • Sodium Lauryl Sulfate • Sodium Dodecyl Sulphate (SDS o NaDS) • Palm Kernel • Olio di semi di palma o olio di palmisto o palm oil kernel • Olio di palma o palm fruit oil • Palmate • Palmitate • Palmolein • Glyceryl Stearate • Acido stearico o stearic acid • Elaeis Guineensis • Acido palmitico o palmitic acid • Palm Stearine • Palmitoyl oxostearamide • Palmitoyl tetrapeptide3 • Steareth 2 • Steareth 20 • Sodium Kernelate • Sodium Palm Kernelate • Sodium Lauryl Lactylate/Sulphate • Sodium Lauryl Sulfoacetate • Hyrated Palm Glycerides • Sodium Isostearoyl Lactylaye • Cetyl Palmitate • Octyl Palmitate • Cetyl Alcohol • Palmityl Alchohol Legenda Olio di palma o derivati. Derivati dall’olio di palma, ma anche da altri oli vegetali. Derivati sia dall’olio di palma, che dall’olio di cocco. Fonte: http://deforestationandpalmoil.weebly.com/uploads/1/8/8/5/18854416/ say_no_to_palm_oil.pdf 14 www.terranuova.it Per Tonini, dunque, le alternative vegetali di più immediato uso sono l’olio extravergine di oliva e l’olio di semi di girasole, «che hanno anche meno grassi saturi rispetto all’olio palma e che, nelle giuste miscele, possono reggere elevate temperature di cottura». Tonini esprime però qualche dubbio sulla sostenibilità di una ipotetica conversione globale dei produttori: «Le rese delle coltivazioni di olive e girasole risulterebbero parecchio inferiori a quelle della palma da olio, quindi richiederebbero molto più terreno, ma su questo stiamo facendo delle verifiche». In che misura può risultare accettabile l’olio di palma biologico e certificato Rspo? «La certificazione del biologico impone un sistema di gestione sostenibile per l’agricoltura. I prodotti bio devono essere ottenuti con procedimenti che non danneggino l’ambiente, la salute umana o animale e che non compromettano gli equilibri naturali» risponde Tonini. «Il bio non accetta la deforestazione, quindi garantisce standard superiori a quelli della Rspo. Comunque, già dal 2008 abbiamo chiesto ai nostri produttori di usare olio di palma bio e anche certificato Rspo, benché si conoscano i limiti di questo strumento, che a tratti pare quasi una forma di greenwashing dell’industria. Stiamo anche approfondendo il progetto Poig (Palm oil innovation group), portato avanti da Greenpeace e Wwf, che garantisce il rispetto di principi più restrittivi rispetto alla Rspo. Ma manca il controllo sull’intera filiera, dall’industria che lavora la palma fino al commerciante finale. Presumo aderiremo non appena la filiera sarà completata». ALCE NERO. Un’altra nota azienda del biologico ha fatto scelte radicali. Si tratta di Alce Nero, che da dieci anni usa per i propri frollini esclusivamente olio di oliva extravergine e per gli altri prodotti anche olio di girasole. «A suo tempo è stata una scelta pionieristica» spiega Erika Marrone, responsabile della qualità per il gruppo bolognese. «Non è stato subito facile far accettare il prodotto ai nostri clienti, perché la differenza di sapore è marcata. Ma poi ne sono stati conquistati, e in questo modo contribuiscono persino a salvaguardare ambiente e salute. Sappiamo che per molti produttori la scelta di privilegiare l’olio di palma dipende dal prezzo abbordabile e dalle caratteristiche tecniche che rendono facile la lavorazione, ma noi abbiamo scelto altre strade. Fino a due anni fa, l’unico nostro prodotto che manteneva olio di palma era il dado per il brodo, ma siamo riusciti a sostituirlo anche lì. Certo, ci siamo assunti rischi e responsabilità. Per esempio, diminuisce la conservabilità dei prodotti, quindi abbiamo dovuto anticipare la scadenza, ma nel contempo forniamo risposte corrette alle esigenze di consumatori sempre più consapevoli e maturi. Naturalmente ci rendiamo conto che non si deve passare da una coltivazione intensiva non sostenibile a un’altra, per questo non va mai abbassata la guardia sulle filiere di produzioni, qualsiasi sia la scelta che si fa». In proposito potrebbe essere promettente l’annuncio dell’individuazione di un lievito oleoso che potrebbe sostituire l’olio di palma, anche se si tratta ancora di una fase sperimentale in laboratorio. Il quotidiano inglese The Guardian10 ha illustrato lo stato di avanzamento delle ricerche condotte dall’equipe dell’Università di Bath sul lievito Metschnikowia pulcherrima, utilizzato in Sud Africa nella produzione del vino. Non richiederebbe condizioni sterili per la coltivazione e si ciba di zuccheri. Occorreranno però almeno altri tre o quattro anni per capire se sarà possibile procedere con l’uso industriale. In termini di produzione, la palma da olio ha una resa media di 3,47 tonnellate per ettaro, 5 volte più della colza, 6 volte di più del girasole, 9 volte più della soia e 11 rispetto all’olio di oliva. AIDEPI. Totalmente differente la posizione di Aidepi, Associazione delle industrie del dolce e della pasta, che conta tra gli aderenti gruppi come Barilla, Bauli, Cameo, Elah, Ferrero e tanti altri11. «Al momento, se si sceglie olio di palma certificato non esistono ingredienti più sostenibili di questo, considerando anche le poche esigenze in termini di utilizzo dell’acqua, visto che le palme vengono coltivate in aree ad alta piovosità e a basse produzioni di CO2 equivalente» spiegano i vertici dell’associazione. «In termini di produzione, la palma da olio ha una resa media di 3,47 tonnellate per ettaro, 5 volte più della colza, 6 volte di più del girasole, 9 volte più della soia e 11 rispetto all’olio di oliva. Questo significa che oggi la palma da olio si “accontenta” di 17 milioni di ettari di terreno per fornire il 35% del fabbisogno mondiale di olio vegetale. Mentre servono ben 111 milioni di ettari perché la soia garantisca appena il 27% del fabbisogno globale. Proiettando questi numeri rispetto alle esigenze future, che sono stimate in un range compreso fra 30 e 70 milioni di tonnellate di oli vegetali in più, avremmo un percorso quasi obbligato a favore dell’olio di palma. I terreni coltivabili ancora non utilizzati, nel mondo, non sono infiniti. Non è nemmeno da prendere in considerazione l’ipotesi di una sostituzione dell’olio di palma con il burro, un ingrediente simile per caratteristiche nutrizionali e per quantità di grassi saturi: sul piano ambientale la situazione sarebbe anche peggiore, visto che l’impatto in termini di superfici dedicate all’allevamento, di esigenze in termini di fabbisogno di acqua e di emissioni di CO2 equivalente sarebbe disastroso. Detto questo, perlopiù per motivi di marketing, alcune azien- Lorenzo Tonini, Probios «Negli ultimi 3 anni ci siamo impegnati a sostituire l’olio di palma con olio di oliva e di girasole e siamo riusciti a convertire tantissime ricette» Erika Marrone, Alce Nero «Sappiamo che per molti produttori la scelta di privilegiare l’olio di palma dipende dal prezzo abbordabile e dalle caratteristiche tecniche che rendono facile la lavorazione, ma noi abbiamo scelto altre strade» Stefano Dorato, Cosmetica Italia «Se parliamo di olio di palma, allora lo si trova in pressoché tutti i saponi, mentre i derivati sono praticamente in tutti i prodotti cosmetici» Paolo Pastore, Fairtrade Italia «Qualora i produttori e il mercato internazionale ce lo chiedessero, lo sviluppo di uno standard sull’olio di palma diventerebbe sicuramente prioritario» Martina Borghi, Greenpeace «Non siamo a favore del boicottaggio perché effettivamente la coltivazione della palma da olio ha il rendimento maggiore possibile per ettaro rispetto ad altre coltivazioni per fini analoghi, e perché l’economia indonesiana ormai si fonda su questo prodotto» Terra Nuova · febbraio 2016 15 in primo piano de hanno scelto di toglierlo da alcuni prodotti (per esempio, Mulino Bianco ha immesso sul mercato i biscotti Chicchi di cioccolato e Fiori di latte; Misura e Gentilini ormai vendono solo prodotti palma free; marchi come Tre Marie, Galbusera, Esselunga e Coop hanno deciso di eliminare o sostituire l’olio di palma da molti nuovi prodotti, nda), lasciandolo in altri dove la sostituzione è più difficile. Altre invece non hanno intenzione di farlo». In merito alle numerose critiche sollevate sulla certificazione Rspo, Aidepi replica che «ci sono problemi effettivi nelle piantagioni di alcuni paesi di provenienza, ma per le popolazioni locali significa lavoro; occorre far sì che questo lavoro sia ben organizzato e questo può avvenire solo certificando l’origine del loro prodotto. Poi tutto è migliorabile, si sta già lavorando al miglioramento dei sistemi di certificazione». Il settore dell’energia Già all’inizio degli anni 2000, stando ai dati forniti da Friends of the Earth12, ha iniziato a diffondersi l’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente del biodiesel e come carburante da bruciare nelle centrali per produrre energia elettrica. «Attualmente», come conferma la stessa Eni13, che lo importa per lo stabilimento di Porto Marghera, «l’olio di palma è la biomassa più utilizzata per la produzione di biodiesel». E a giudicare dalle affermazioni fatte durante una tavola rotonda internazionale nel 201414, c’è tutta l’intenzione di sviluppare questo mercato, piuttosto che frenarlo. A Washington, durante l’incontro organizzato dall’Institute of medicine, Jamal Hisham Hashim, ricercatore dell’Onu e docente all’università nazionale malesiana, ne aveva parlato come di una materia prima su cui si vuole puntare e aveva già auspicato che il governo della Malesia prevedesse sussidi per sostenerne produzione e utilizzo. Chissà se l’innalzamento dei prezzi di vendita della materia prima a partire dalla metà del 2016, annunciata da alcuni analisti15, servirà a frenare la richiesta. L’aumento dei costi deriverebbe dal fatto che l’Indonesia ha deciso di utilizzare più olio di palma per produrre proprio biodiesel e che la siccità causata da El Nino potrebbe mettere a dura prova le scorte. Ma qualcosa si sta muovendo anche in questo settore. La Solazyme16, compagnia californiana, utilizza microalghe per produrre olio per biodiesel che già viene usato dai jet della United Airlines e dalle navi del- Le critiche alle certificazioni Nel 2004 è stata costituita la Rspo, Roundtable on sustainable palm oil1, un’associazione ad adesione volontaria che comprende produttori di olio di palma, trasformatori e distributori, aziende e organizzazioni non governative. I criteri stabiliti dalla Rspo riguardano i diritti dei precedenti proprietari terrieri, le comunità locali, i lavoratori e piccoli agricoltori, e prevedono che non siano eliminati tratti di foresta primaria o aree ad alto valore di conservazione per far posto alla produzione di olio di palma. Una delle critiche che è stata mossa a questi criteri riguarda il fatto che verrebbero applicati con lassità; pare inoltre che sia stato permesso un margine troppo ampio di interpretazione per definire quali possano essere o meno le aree delle foreste primarie intoccabili o quelle ad alto valore ambientale. Lo scandalo maggiore in merito alla Rspo ha riguardato nel 2008 la United Plantations, che aveva ricevuto la certificazione malgrado fosse coinvolta, come scoperto da Greenpeace, nella distruzione di foreste e torbiere a Kalimantan, in Indonesia2. Proprio Greenpeace è stata tra i promotori del Poig, Palm oil innovation group3, che vede coinvolto anche il Wwf, tra i fondatori nel 2004 della Rspo, e che si propone di osservare e far applicare criteri più restrittivi. «Con il Poig garantiamo l’impiego di olio di palma non derivante da deforestazione o frutto di violazione dei diritti 16 www.terranuova.it l’esercito americano. E queste microalghe pare stiano entrando anche in altri mercati grazie al profitto maggiore che garantiscono. Per esempio, la Unilever si è già data da fare per acquistare grandi quantità di olio da alghe della Solazyme, per contenere l’impatto ambientale delle proprie lavorazioni17. La cosmesi Nella produzione di cosmetici e prodotti per la cura del corpo, l’olio di palma viene usato in quanto tale, ma anche come olio di palmisto (ricavato dai semi) e in tutta una serie di derivati che hanno la funzione di tensioattivi, emollienti ed emulsionanti. «È anche piuttosto difficile capire quando in un prodotto questi derivati sono presenti perché hanno nomi complessi e non immediatamente riconducibili all’olio di palma» spiega Stefano Dorato, direttore delle relazioni scientifiche e normative di Cosmetica Italia, associazione nazionale delle imprese cosmetiche. «Se parliamo di olio di palma, allora è un componente importante di molti saponi» spiega Dorato, «mentre i derivati sono praticamente in tutti i prodotti cosmetici. È però vero che già dal 2000 le più grandi aziende del settore, come anche le piccole e medie imprese, si sono impegnate nell’am- delle popolazioni locali» spiegano da Greenpeace. «Questo gruppo è nato dalla necessità di andare oltre la certificazione rilasciata dalla Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile, i cui criteri vengono giudicati insufficienti soprattutto perché non contemplano la reale e totale protezione di ecosistemi forestali importanti come le foreste torbiere». Il Poig indica una cornice di criteri all’interno della quale gli aderenti devono muoversi per evitare la deforestazione, la distruzione delle torbiere e per rispettare i diritti dei lavoratori e delle popolazioni. A chi decide di aderire viene richiesta trasparenza sulle informazioni e sulla condotta. Il Poig prevede inoltre modalità snelle per sanzionare chi vìola i principi sottoscritti. Note 1. www.rspo.org 2. www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/comunicati/ certificazioni-olio 3. http://poig.org bito dei programmi di sostenibilità a utilizzare olio certificato Rspo, alcune al 2010 avevano raggiunto il 100% di prodotto certificato, altre hanno questo obiettivo per il 2020». A fare una scelta drastica sulle materie prime sono soprattutto le aziende che scelgono biologico, biodinamico e che hanno eliminato le sostanze chimiche di sintesi. Come per esempio Weleda. WELEDA. «Limitiamo l’impiego dell’olio di palma a due prodotti (Men gel doccia energy e Arnica gel doccia sport), in cui è presente un derivato di questo ingrediente, l’Hydrogenated Palm Glycerides Citrate, un grasso idrogenato ottenuto dall’olio di palma e dall’acido citrico, che serve in particolare per stabilizzare i tensioattivi poiché, data la specifica natura della formulazione di questi due prodotti, non siamo ancora riusciti a trovare una sostanza equivalente» spiegano dall’azienda. «Siamo coscienti della problematica ecologica legata all’utilizzo dell’olio di palma e da sempre scegliamo rigorosa- mente le materie prime. Per questo abbiamo aderito all’Uebt, Union for ethical biotrade, associazione non profit nata nel 2007 che sostiene e promuove la conservazione della biodiversità. Uebt rappresenta un’ulteriore garanzia di qualità e sicurezza dei prodotti Weleda: un audit esterno e indipendente verifica e valuta periodicamente le pratiche di approvvigionamento, i processi della filiera produttiva secondo standard specifici, nonché la corretta conservazione della biodiversità». Il fair trade E il sistema del commercio equo e solidale che ruolo e posizione ha su questo argomento così dibattuto? «Come organizzazione globale che ha a cuore le condizioni di vita e di lavoro dei produttori agricoli dei paesi in via di sviluppo, condividiamo le preoccupazioni sugli impatti sociali e ambientali della produzione di olio di palma» spiega Paolo Pastore, direttore di Fairtrade Italia. «Al momento non esiste uno standard Fairtrade per questo prodotto e ci viene spesso chiesto per quale motivo certifichiamo prodotti composti che lo contengono. La risposta risiede proprio nell’attenzione verso i produttori: secondo le regole di certificazione, perché un prodotto composto possa riportare il marchio Fairtrade al suo interno devono essere certificati tutti gli ingredienti per i quali esiste uno standard Fairtrade e, se rifiutassimo di certificare i prodotti contenenti olio di palma, danneggeremmo milioni di contadini che producono cacao, zucchero e frutta secca. In questo momento, lo sviluppo di uno standard per questo prodotto non è tra le nostre priorità. Il lavoro di Fairtrade per la definizione di nuovi standard si basa sui bisogni espressi dagli stessi produttori, che rappresentano la metà dei seggi nella nostra assemblea generale, oltre che sulla valutazione del mercato e del valore aggiunto che Fairtrade potrebbe portare. Attualmente la priorità va ad altri prodotti. Tuttavia i nostri programmi internazio- Autorizzazione del 10/09/15 Terra Nuova · febbraio 2016 17 in primo piano nali di ricerca e sviluppo sono in continua evoluzione; perciò, qualora i produttori e il mercato internazionale ce lo chiedessero, lo sviluppo di uno standard sull’olio di palma diventerebbe sicuramente prioritario». Chi dice no al boicottaggio Si può dunque scegliere di boicottare completamente i prodotti contenenti olio di palma, perché di ragioni certamente ce ne sono. Ma c’è chi spiega di non voler intraprendere questa strada e di voler invece diffondere e ampliare una procedura più stringente della Rspo per certificare l’olio di palma in modo che, stante il danno ormai fatto, non se ne peggiorino le dimensioni e si dia di che vivere ai coltivatori locali. A dire no al boicottaggio e sì a un nuovo metodo di certificazione sono Greenpeace e Wwf, che hanno dato vita al Poig, Palm oil innovation group18, progetto che si fonda, come spiegano da Greenpeace, su tre aree tematiche: responsabilità ambientale, collaborazione con le comunità locali e integrità del prodotto. «Non siamo a favore del boicottaggio e questo perché effettivamente la coltivazione della palma da olio ha il rendimento maggiore possibile per ettaro rispetto ad altre coltivazioni per fini analoghi, perché l’economia indonesiana ormai si fonda su questo prodotto» spiega Martina Borghi, responsabile della Campagna foreste per Greenpeace Italia. «Abbiamo voluto analizzare il problema con la logica. Laddove le foreste sono state danneggiate da incendi dolosi o dove il drenaggio delle torbiere è appena iniziato, allora si può pensare di bloccare tutto e riforestare. Ma laddove le palme da olio sono state pian- Gli effetti sulla salute L’olio di palma viene ottenuto dalla polpa del frutto; all’origine ha colore rosso (se spremuto a freddo) per l’elevata presenza di carotenoidi, che vengono però distrutti dalla cottura e/o eliminati dalla raffinazione. Dalla spremitura dei semi viene invece ricavato l’olio di palmisto (kernel oil), che contiene una percentuale ancora più elevata di grassi saturi. Il problema sta nel capire, dalle etichette non sempre chiare, cosa di preciso sia contenuto nel prodotto che si vorrebbe acquistare. Dal dicembre 2014 risulta obbligatorio1 indicare in etichetta la natura dei grassi e degli oli vegetali impiegati, ma purtroppo spesso non viene dichiarato il tipo di olio di palma utilizzato (frazionato, raffinato, integrale, di palmisto). Benché non esista un’allerta sanitaria sull’olio di palma, sono sorte molte obiezioni sulla sua salubrità, soprattutto per il contenuto di grassi saturi (50%), ancora più elevato nell’olio di semi di palma (82-84%). Superare le quantità consigliate di grassi saturi non è una prassi alimentare salutare, da qualsiasi fonte provengano, e i prodotti contenenti olio di palma si aggiungono a una dieta, quella occidentale, che ne è già ricca. Uno studio pubblicato a settembre 2015 sulla rivista scientifica Molecules2 afferma che gli studi sull’insalubrità dell’olio di palma non paiono conclusivi. «In modelli animali, una tate da tempo e le torbiere sono state drenate completamente, non è possibile pensare di tornare indietro, perché quelle particolari condizioni si formano solo in centinaia di anni. Ci sono poi tantissimi agricoltori la cui vita si basa sul lavoro nelle piantagioni e il nostro Poig può fornire loro condizioni dignitose e il rispetto dei diritti umani». La principale critica che è stata mossa alle due associazioni ambientaliste è stata quella di essersi “ammorbidite” sul fronte olio di palma e di avere scelto di allearsi con i grandi gruppi (al Poig hanno aderito anche aziende come AgroPalma, Danone e Ferrero). «Respingiamo questa accusa» prosegue Borghi. «Abbiamo scelto di cercare e ottenere proprio la collaborazione con chi produce e utilizza olio di palma per fare in modo che la richiesta di- dieta con aggiunta di olio di palma peggiora la tolleranza al glucosio per diminuzione della sensibilità insulinica». Riguardo agli effetti sulle malattie cardiovascolari «ci sono risultati discordanti» aggiungono i ricercatori. «Di recente, una mole sempre più ampia di evidenze ha mostrato gli effetti negativi di un eccesso di olio di palma sulla funzione mitocondriale mediata da stress ossidativo, effetto conosciuto come lipotossicità», ma ci sarebbero «dati a supporto dell’ipotesi di un basso potere aterogeno dell’olio di palma, se assunto in una dieta bilanciata». Olio di palma e cancro Anche l’associazione tra olio di palma e cancro dà risultati controversi. «Ciò può essere ascritto all’eterogeneità della popolazione studiata, alla difficoltà di considerare fattori di rischio aggiuntivi e ad altre condizioni patologiche che influenzano il metabolismo lipidico. Comunque, alcuni studi hanno concluso che una dieta povera di grassi gioca un ruolo protettivo nei confronti dei tumori; anche il tipo di grassi influenza il processo carcinogenico e alcuni acidi grassi, come l’acido palmitico, possono giocare un ruolo nella regolazione della crescita dei tumori». A sconcertare è stato uno studio, pubblicato nel 2011 sulla rivista Globalization and Health3 e firmato da un gruppo di ricercatori della Stanford University. «Nei paesi in via di sviluppo» si legge nello studio «per ogni chilo aggiuntivo di olio di pama consumato annualmente pro-capite, il tasso di mortalità per ischemia cardiaca aumenta di 68 casi ogni 100.000 abitanti; la mortalità per ictus aumenta del 19%». Nei paesi dove, invece, il livello di benessere è elevato, l’aumento della mortalità per questi disturbi dovuta al consumo di olio di palma è minore, rispettivamente 17 e 5,1, poiché evidentemente la dieta già predispone a tali patologie. Note 1. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32011R1169&from=IT 2. www.mdpi.com/1420-3049/20/9/17339 3. http://globalizationandhealth.biomedcentral.com/articles/10.1186/1744-8603-7-45 18 www.terranuova.it minuisca, divenga sostenibile e che si utilizzi solo materia prima prodotta senza devastare le foreste. I governi dei paesi dove si coltiva olio di palma, come ad esempio quello indonesiano, sono deboli di fronte alle pressioni delle multinazionali, quindi riteniamo che l’unico modo per incidere sia di far cambiare posizione alle aziende stesse, coinvolgendole». Hai bisogno di energia? Caricati con Cosa fare? Cosa fare dunque per minimizzare l’impatto delle nostre scelte? Senz’altro si può decidere di non acquistare prodotti contenenti olio di palma, ma occorrerà anche fare attenzione a non spostare gli acquisti su altri alimenti impattanti. Quindi è bene leggere attentamente le etichette e scegliere quanto di più naturale possibile, privo di conservanti, emulsionanti, grassi e quant’altro possa avere dubbia provenienza. Poi, sarebbe cosa opportuna ritornare all’autoproduzione: farsi in casa pane, biscotti, pasta, torte, conserve e creme, scegliendo ingredienti naturali, biologici e, se possibile, a chilometro zero. E non dimentichiamo la mobilità. Anche in questo caso cambiare paradigma, tornare a ritmi più sostenibili e a mezzi non impattanti, ad esempio abbandonando l’auto, permette di diminuire le esigenze di carburanti, quindi anche di biodiesel. Le aziende e i governi, poi, facciano finalmente la loro parte! Scelte come queste, a prescindere anche dall’olio di palma, fanno bene a noi e all’ambiente. l ie acie rmac farm tte llee fa tutte in tu rovvaa in Si ttro Si ie terrie riste oris b bo er i r ri o i l lio g i ig m le neellle en Segui le offerte sul nostro sito! Tel. +39 0473 231 669 | [email protected] | www.regulat.it Note 1. Vedi pag. 10 del seguente documento: www.europe-economics.com/ publications/europe_economics_-_economic_impact_of_palm_oil_ imports.pdf 2. Fonte Aidepi: www.aidepi.it/images/PDFscaricabili/olio_di_palma_ a_pdf.pdf 3. Fao - Faostat: database online. http://apps.fao.org 4. Vedi: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/00836&ramo= CAMERA&leg=17 e http://www.foodagriculturerequirements.com/ lolio-di-palma-in-parlamento-ecco-i-26-casi-in-cui-se-ne-dibatte 5. www.rspo.org 6. www.euandgvc.nl/documents/publications/2015/december/7/ declarations-palm-oil 7. www.terranuova.it/Le-Campagne-di-Terra-Nuova-2014/Stop-Ttip-no -al-trattato-che-cancella-i-diritti 8. La versione integrale del rapporto è disponibile all’indirizzo www.ejolt.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/03/150312_ EJOLT-20-Biomass-FINAL-VERSION.pdf. Gli autori appartengono al World rainforest movement, all’Università di Vienna e all’Università di Gondar in Etiopia. 9. www.wwf.it/news/notizie/?8380 10. www.theguardian.com/sustainable-business/2015/feb/17/ scientists-reveal-revolutionary-palm-oil-alternative-yeast 11. La lista completa degli associati Aidepi si trova all’indirizzo www.aidepi.it/associati/lista.html?limitstart=0 12. www.foe.co.uk/sites/default/files/downloads/palm_oil_biofuel_ position.pdf 13. www.eni.com/it_IT/sostenibilita/ambiente/biodiversita-ed-ecosistemi/ progetto-green-refinery/progetto-green-refinery.shtml 14. www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK196448 15. http://jakartaglobe.beritasatu.com/business/biodiesel-mandate -el-nino-boost-palm-oil-prices-2016-analyst-fry 16. http://solazyme.com 17. www.nytimes.com/2013/09/25/business/energy-environment/ unilever-to-buy-oil-derived-from-algae-from-solazyme.html 18. http://poig.org $*5,&2/785$%,2/2*,&$ $ *5,&2/785$%,2/2*,&$ Perle di Sicilia Bio 6FLFFKHULH3HUOHGL*XVWR3UHOLEDWH]]H3URIXPRGL2OHROLWL 6FLFFKHULH3HUOHGL*XVWR3UHOLEDWH]]H3URIXPRGL2OHROLWL per info: perledisiciliabio - www www.. perledisiciliabio.it Email: [email protected] Terra Nuova · febbraio 2016 19