Bianchi ricorda Pino Trotta

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Bianchi ricorda Pino Trotta
Pellegrinaggio dall’Eremo al monastero
Introduzione di Giovanni Bianchi
In memoria di Pino Trotta
L’idolo
Per cominciare, una osservazione lapalissiana: il problema non è il denaro, ma l'idolo. E quindi la
modalità con cui il denaro si fa idolo in questa fase storica. Papa Francesco nella Evangelii
Gaudium parla esplicitamente di "globalizzazione dell'indifferenza". Prima di lui Barack Obama,
nel primo discorso di insediamento alla Casa Bianca, aveva messo il dito sulla piaga parlando di
avidità. Obama infatti ha l'oratoria giusta, ma una politica insufficiente e visibilmente inferiore alla
retorica.
Il denaro è il mezzo è l'icona dell'idolo vincente. Avidità è dunque il nome dell'idolo ieri e oggi; una
avidità oggi sistemica e governante, tanto da tradursi nel mondo globalizzato in una dilagante
volontà di potenza ai vertici e alla base, disseminando nelle generazioni il narcisismo consumistico.
Questa è la "politicità vincente" del denaro in questa fase storica.
Cosa significa "globalizzazione dell'indifferenza"? Denuncia Francesco: "Quasi senza
accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri,
non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse
una responsabilità a noi estranea che non ci compete"... (n. 54). Da qui una profonda crisi
antropologica dovuta alla creazione di "nuovi idoli", e questa nuova adorazione dell'antico vitello
d'oro ha molto a che fare con "la dittatura di una economia senza uno scopo veramente umano"( n.
55). In tal modo la prospettiva del lasciar fare non coglie la possibile esistenza di un lato oscuro del
mercato, di una sorta di "fallimento etico" del mercato.
Chi con molta perspicacia ha riflettuto sul tema è Luciano Venturini, aclista milanese e docente di
Economia Politica presso l'Università Cattolica. Secondo Venturini papa Francesco ripropone una
forte denuncia dell'economia del "lasciar fare", vale a dire dell'idea che un'economia di mercato
possa essere lasciata ai suoi normali e spontanei meccanismi senza che questo comporti non solo
conseguenze positive in termini di sviluppo e crescita, ma anche l'emergere di seri problemi e rischi.
L'esortazione cioè prende una posizione molto netta contro le visioni che difendono "l'autonomia
assoluta dei mercati", che "negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la
tutela del bene comune, visioni e ideologie che così instaurano la una nuova tirannia invisibile […]
che impone, in modo unilaterale di implacabile, le sue leggi e le sue regole" (n. 56). Del resto gli
economisti più attenti sono sempre stati consapevoli che il mercato, lasciato a se stesso, porta
all'instabilità e a crisi finanziarie, a problemi ambientali, ad una eccessiva produzione di beni privati
rispetto ai beni pubblici, e naturalmente a una distribuzione non equa del reddito e della ricchezza.
Papa Francesco coglie con grande lucidità i drammi concreti e i costi inaccettabili che ci troviamo
di fronte e dalle parole che usa si comprende bene che vuole osservare il mondo mettendosi dalla
parte di chi soffre le peggiori conseguenze del "lasciar fare".
L'esortazione della Evangelii Gaudium perciò individua anzitutto l'esistenza di un'economia
dell'esclusione come fenomeno nuovo, che supera le tradizionali disuguaglianze dal momento che
con l'esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l'appartenenza alla società in cui si vive. In
essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi cioè non
sono "sfruttati", ma rifiuti, "avanzi".
E non si astiene dall’osservare: "questa economia uccide".
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Il giovane e già celebrato economista francese Thomas Picketty porta un'ulteriore tessera al mosaico
chiarendo che nella stagione del turbocapitalismo sono i rentièr (e quindi i petrolieri e i finanzieri) a
prevalere rispetto agli antichi padroni delle ferriere. Gli imprenditori del fordismo tenevano sulla
scrivania i modelli delle cose che producevano. I rentièr di oggi mettono mute di giovani economisti
a controllare i monitor delle Borse per guadagnare in tempo reale.
Il denaro, in sé, è il grande equivalente dello scambio. Ha liberato, agli albori del capitalismo, intere
popolazioni dai vincoli feudali. Un'economia basata sul dono può anche presentare vincoli
soffocanti di ricatto e di risentimento. L'esercizio del dono infatti non è solo quello che illustrano
Luigino Bruni e Zamagni; "economia del dono" è anche quella applicata dai Paesi ricchi e dagli
organismi internazionali nei confronti dei Paesi che eravamo abituati a chiamare in via di sviluppo o
del terzo mondo. Mi sono imbattuto in questa "carità pelosa" come relatore della legge italiana del
2000 – l'anno del giubileo proclamato da papa Giovanni Paolo II – per la remissione del debito
estero ai Paesi fortemente indebitati. Con pratiche pelose che in cambio dei "doni" prevedevano
sudditanza tecnologica e continuità della subalternità economica.
Probabilmente la prima comunità cristiana, la chiesa di Gerusalemme – quella della quale ci parlano
la fine del capitolo quarto l'inizio del capitolo quinto degli Atti degli Apostoli – si è trovata alla fame
per aver mirato più alla comunanza dei beni che alla liberazione dal bisogno, per un eccesso di
generosità e una carenza di programmazione e anche di calcolo.
Infatti l'idolo è mutevole e sorprendente nelle sue metamorfosi.
Mi ha ricordato Paolo Colombo un proverbio tedesco: Geld macht Macht. Il denaro crea potenza.
Ripeto che mi appare questa la maschera del denaro in quanto idolo vincente. Il denaro è in questa
fase storica la massima concentrazione della volontà di potenza.
L’analisi potrebbe dilungarsi all'infinito. E’ fatta oggetto di indagine per le sue radici moderne e
postmoderne negli anni Trenta in Germania da Georg Simmel, ed è illustrata da noi in Italia dai libri
della Giacardi e di Magatti.
L'itinerario di Pino Trotta
Credo che la ricerca di Pino Trotta lo porti a polarizzare l'analisi sulla confluenza di due idolatrie
l’una contro l'altra armata: là dove cioè sembrano darsi convegno la volontà di potenza del sistema
capitalistico e quella del movimento operaio che era riuscito a farsi Stato. Pino le aveva definite,
concentrando il discorso intorno alle due capitali della "guerra fredda" nel mondo bipolare: Mosca,
un'uguaglianza senza libertà; Washington, una libertà senza uguaglianza. Entrambe animate dalla
medesima volontà di potenza, e proprio per questo schierate dietro due ideologie e due bandiere
antagonistiche.
Come potevamo superare il confronto tra i due idoli ideologici e sistemici vincenti? E quella
medesima volontà di potenza non era forse idolatricamente presente anche tra di noi? Come in
particolare potevamo abbattere l'idolo presente tra noi per attrezzarci a fare la nostra parte per il
superamento dell'idolo di una fase storica della quale si avvertivano i segni di decadenza e di
esaurimento? Questa seconda battaglia, per così dire "interna", era la prima ad affrontare ed anche
la più insidiosa.
Come Pino prova a uscire dalla contraddizione? Perché gli ideali degli aclisti convivono di fatto con
la piccola volontà di potenza che attraversa qualsiasi organizzazione, anche di lavoratori, anche di
volontariato, anche solidale, anche animata dall'ispirazione cristiana.
Non puoi raccontare non dico agli operatori dei Servizi aclisti, ma neppure nel circolo rimasto
militante che per prendere sul serio una almeno delle "tre fedeltà" che ci connotano bisogna
marciare spediti verso una possibile dissoluzione dell'associazione, fare i conti col fatto che essa,
per restare fedele alla vocazione originaria, possa deperire, impoverirsi e mettersi a rischio…
Riflettevano sul dilemma che in questo senso aveva attraversato gli inizi dell'ordine francescano. Da
una parte il santo, il fondatore, il leader, Francesco, la cui radicalità viene però rifiutata dalla
maggior parte dei suoi al momento di darsi un'organizzazione. (Anche tutti i dissidi intorno alla
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regola hanno qui la loro radice.) Non è una parabola né un midrash quello che lo vede imporre a
frate Leone di scrivere: "Ivi è perfetta letizia"!
È capitato effettivamente a Francesco di bussare una notte di tempesta a un convento dei suoi frati,
e quindi di vedersi rifiutare l'ospitalità dal padre guardiano, e poi, riempito di busse, d'essere
lasciato in balia degli elementi atmosferici scatenati. Può un ordine, può un'associazione di credenti
assumere quella notte di tempesta come icona della propria vocazione e del proprio destino?
Assumere cioè quella "perfetta letizia" – così diversa dalla sublime propaganda di Giotto negli
affreschi della Basilica Superiore – come programma, e magari farci su una conferenza
organizzativa?
La storia e la storia dell'ordine dicono che frate Elia mette da parte Francesco e, a partire dalla
intuizione e dalla testimonianza del poverello di Assisi, che non rinnega, ma che sottopone a una
interpretazione e soprattutto a una modalità esistenziale più moderata, organizza l'ordine dei
francescani che, vedi caso, sarà attraversato come noi delle Acli da un vivace pluralismo insieme a
una qualche volontà di potenza...
Per Pino Trotta il problema raddoppia di intensità perché la sua cultura politica è anche interna
all’operaismo di Mario Tronti. Le tracce editoriali da lui lasciate in proposito sono esplicite ed
eloquenti.
Ecco allora il bivio di Pino. (Quanto la rivista "Bailamme", da lui voluta e diretta, è concepita come
il laboratorio di questo dilemma?)
Da una parte l'apocalittica di Sergio Quinzio. Qui si tratta di trovare le ragioni di un fallimento
annunciato e inevitabile. Il ritardo perenne del Messia, che è così in ritardo da far sinceramente
disperare di un suo arrivo. Forse anzi, non arriverà più.
Dall'altro l’operaismo di Mario Tronti, che dichiara apertamente il proprio scacco e quello di una
prospettiva rivoluzionaria, insieme al rimpianto, proprio nella prefazione al tomo monumentale
sulla vicenda dell’operaismo italiano che Pino aveva cominciato e Fabio Milana ha condotto a
termine.
Se non ce l'hanno fatta i comunisti – scrive lapidariamente Mario Tronti – nessun altro sarà in grado
di farcela.
E a questo punto, pare a me, che Pino, dopo i trascorsi giovanili in un ordine religioso nel bresciano,
riscopre la figura del monaco come riferimento e come indicazione di una via di sortita. Dossetti,
monaco assolutamente particolare per sua esplicita ammissione, che del monachesimo conserva
l'imperativo del lavoro e quello della preghiera. Padre Benedetto Calati, il carismatico abate di
Camaldoli e dei camaldolesi. Benedetto Labre, sorta di pio clochard, così povero da ritrovarsi dopo
una ricerca durata tutta la vita, senza convento e senza vocazione. Al punto da pensare che la sua
vocazione fosse quella di non averne una. E che il popolo di Roma proclama santo subito.
Non stupisce a questo punto la simpatia di Pino per i "piccoli fratelli" di Charles de Foucauld, dei
quali coltivava l'amicizia: 150 nel mondo intero, tutti testimonianza e niente organizzazione,
frequentatori dei talkshow neppure come elettricisti.
Il monaco si sottrae allo scacco storico perché si sottrae alla volontà di potenza e alle sue diverse
rappresentazioni idolatriche.
Ma, si sarà capito, anche il monaco di Pino è un monaco "estremo", fuori dal senso comune, anche
ecclesiastico, anche ecclesiale. È piuttosto un idealtipo, un riferimento e l'icona di una ricerca di una
presenza fraterna nella storia che, per restare tale e cogliere i segni dei tempi e i semi dello Spirito
nella vicenda degli uomini, pratica la storia, non la cronaca (diceva Dossetti: "non sono uomo da
canzonette"), trovando una testimonianza, o almeno cercando, lontano dalla volontà di potenza e di
sopraffazione. Là dove cioè cominciano la volontà solidale, la fraternità, una società tenuta insieme
da legami di comunità.
Ci pensa il solito tumore a interrompere la ricerca di Pino, che ne parla a padre Athos dal letto
dell'ospedale di Sesto San Giovanni il pomeriggio precedente la sua morte. Il successore di don
Dossetti era venuto a dirgli la simpatia e l'amicizia oltre alla stima della comunità della Piccola
Annunziata e Pino nelle ultime ore della sua vita si rimette a discutere e a ragionare proprio intorno
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alla figura del monaco sostenendo che anche per Dossetti si trattava di un problema lasciato
irrisolto.
Come vivere cioè, come confrontarsi con la storia e con l'organizzazione dei grandi numeri capaci
di modificare la realtà e quindi con la politica senza essere diretti da sopra e da fuori dalla volontà
di potenza?
Il confronto con l'idolo avevamo cercato di viverlo, sinceramente spericolatamente, così. In questa
direzione deve essere anche collocato il convegno di Urbino sul tema: "Convertirsi al Vangelo. Vie
nuove per la politica". Un titolo voluto da pio Parisi e Pino Trotta e che provocò apprensioni e
malumori in molti quadri dirigenti dell'associazione.
La ricerca di Pino si è interrotta, mentre la nostra non può concedersi il lusso né di interrompersi né
di acquietarsi.
Il monaco oggi
Scrive Pavel Evdokimov: "E’a questo punto che il monachesimo entra sulla scena della storia. È il
no più categorico a ogni compromesso, a ogni conformismo, a ogni complicità col Tentatore,
mascheratosi tanto sotto la corona imperiale, quanto sotto la mitria episcopale. È il sì convinto al
Cristo del deserto. Non si pensa mai abbastanza a quanto il semplice fatto dell'avvenimento del
monachesimo abbia rappresentato una salvezza per la cristianità".1
Sottolinea ancora Evdokimov: "Se un tempo il monachesimo tutto centrato sulle cose ultime ha
cambiato la faccia del mondo, oggi esso fa appello a tutti, ai laici come ai monaci, e propone una
vocazione universale. Si tratta per ciascuno di un adattamento, di un equivalente personale, dei voti
monastici. Ora, per comprendere tutto ciò, occorre risalire alla loro origine evangelica".2
In effetti, "i tre voti monastici si iscrivono nella magna charta della libertà umana. La povertà
libera dal dominio della materialità ed é la trasformazione battesimale nella creatura nuova; la
castità libera dal dominio della carnalità ed è il mistero nuziale dell’agàpe; l'obbedienza libera dal
dominio idolatra dell’ego ed è la filiazione divina nel Padre. Seguendo la struttura tripartita della
preghiera domenicale, tutti, monaci o no, domandano povertà, castità e obbedienza a Dio:
l'obbedienza alla sola volontà del Padre, la povertà di colui che non ha fame che del pane
sostanziale, eucaristico, la castità, infine, quale purificazione dal Maligno. Ai tempi dell'Antico
Testamento, ogni volta che Israele nomade-viator incontra la civiltà materialista dei "popoli
stanziali", vi sperimenta le tre tentazioni: gli idoli, ovvero il contrario dall'obbedienza; la
prostituzione, ovvero il contrario della castità; la ricchezza, ovvero il contrario della povertà. I
profeti non cessano di denunciare e di combattere il primato dell'efficacia sulla verità, la riuscita
materiale come criterio di valore, e ogni forma di giustificazione attraverso la forza".3
Dunque, il cristianesimo di successo non esiste. Non è possibile al cristiano sostituire il successo
alla fatica di pensare e di testimoniare di persona e comunitariamente. Qui torna la domanda
preliminare che tormentava Pino negli ultimi giorni:
Cosa ha a che fare il monaco con la politica?
Domanda che poi traduceva nell'oggi: perché i "piccoli fratelli"?
La discussione mancata
Per questo mi sarebbe piaciuto discutere con Pino Trotta delle dimissioni di papa Benedetto.
Dimissioni inattese e impensabili. Gesto del quale si rischia di sottovalutare l'importanza,
sottolineandone soltanto l'indubbia prova di umiltà. Penso invece si tratti del frutto di una decisione
lungamente meditata e programmata nella quale deve avere avuto un peso dirimente proprio la
1
Pavel Evdokimov, Il monachesimo interiorizzato, Cittadella, Assisi 2013, pp. 29-30
Ivi, p. 23.
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Ivi, p. 24
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cultura tedesca. Sia la teologia, e in particolare quella protestante, come pure la politica germaniche
hanno al centro come fondamento una riflessione intorno al potere demoniaco del potere:
quell’idolo intorno al quale si soffermano non a caso tutti e quattro gli evangelisti presentandoci le
tentazioni di Gesù nel deserto.
Ben più difficilmente un cardinale italiano sarebbe stato disponibile al grande passo, perché da noi
abbiamo tutt'altra vulgata: vige infatti indisturbato l'andreottiano "il potere logora chi non ce l'ha".
Mi sarebbe piaciuto discutere con Pino perché questo in fondo era l'argomento che affrontò il
pomeriggio antecedente alla morte, nell'ospedale di Sesto San Giovanni, con padre Athos.
Non è possibile scansare la croce
Evdokimov ci aiuta ancora una volta e forse un poco ci irrita: non è possibile scansare la croce. La
tragedia di Dio e dell'uomo si risolverebbe così in un happy end demoniaco. Così è anche della
politica attuale "senza fondamenti", il cui messaggio "passa" perché è il più adatto agli stilemi
pubblicitari: scivola dentro e scivola via: "passa", appunto. Una politica che corre il rischio di una
sorta di paganesimo pubblicitario. Mentre le riflessioni spirituali sulla politica di Evdokimov
richiamano il clima della rivista "Esprit". Il clima di Maritain e Mounier. Là dove si sospinge la
forma partito (Pino Trotta) verso l'istanza del monachesimo.
In che senso un "ordine nuovo"? "Non si può fruire dei beni anarchicamente".4 Ed è umile e
commovente insieme l'ultimo messaggio del vecchio Maritain – che chiude la sua esistenza da
monaco – scritto sul muro della cella nel convento lungo le rive della Garonna: "Se la sua mente
non funziona più, lasciatelo ai suoi sogni".
Ottobre 2014
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Giovanni Bianchi
Ivi, p. 34
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