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SOMMARIO PROGETTO SICUREZZA 4 In questo numero 6 Anche l’impresa familiare deve redigere il Piano Operativo di Sicurezza Eleonora Viganò 18 [FOCUS] Coordinatore per la sicurezza in cantiere: la nuova Linea guida Danilo G.M. De Filippo 28 Attrezzature semplici in pressione: immissioni sul mercato e utilizzazione in sicurezza Antonino Muratore, Vincenzo Nastasi, Casto Di Girolamo 36 Nanotossicologia: analisi della sicurezza dei nanomateriali Patrizia Cinquina 46 Salute e sicurezza sul lavoro: una questione anche di genere Rosella Di Benedetto 51 Tecnologie additive in relazione alla valutazione dei rischi connessi: l’utilizzo nei luoghi di lavoro Monica Caselli 60 RLS: un archivio web dell’azione sindacale per la salute dei lavoratori Diego Alhaique, Nunzia Bellantonio, Renato Gurin, Piero Iacono, Raffaella Modestino 66 Calzature antinfortunistiche e salute del piede: un binomio rilevante Nicola Perrino 70Il prontuario del rischio incendio: principali definizioni dei fenomeni e rassegna di casi pratici Carlo Ortolani Direttore Responsabile Manlio Maggioli Hanno collaborato a questo numero: Diego Alhaique Nunzia Bellantonio Monica Caselli Patrizia Cinquina Danilo G.M. De Filippo Rosella Di Benedetto Casto Di Girolamo Renato Gurin Piero Iacono Raffaella Modestino Antonino Muratore Vincenzo Nastasi Carlo Ortolani Nicola Perrino Giovanna Rosa Eleonora Viganò Marco Vinci Redazione Marco Brezza Mauro Ferrarini Giacomo Sacchetti Progetto grafico Niki Caragiulo COLLABORAZIONI Per l’invio di articoli e comunicati si prega di fare riferimento al seguente indirizzo e-mail: [email protected] TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. 1 2016 DIREZIONE AMMINISTRAZIONE E DIFFUSIONE Maggioli Editore presso c.p.o. Rimini Via Coriano, 58 47924 Rimini Tel. 0541/628111 – Fax 0541/622100 Maggioli Editore è un marchio Maggioli Spa Servizio Abbonati Tel. 0541/628200 – Fax 0541/624457 [email protected] www.periodicimaggioli.it NEWS E ATTUALITÀ 10 Bando ISI 2015: la procedure per fruire dei finanziamenti quest’anno 10 Appalti: l’indicazione dei costi della sicurezza è imprescindibile, anche quando non richiesto dal bando 11 Come cambia il Testo Unico (d.lgs. 81/2008) alla luce del Jobs Act? 12 Nel 2015 aumentano le denunce di infortuni mortali 13 Formazione per la sicurezza: il bando INAIL mette a disposizione 14,5 milioni 14 VETRINA DELLA SICUREZZA Filiali MILANO Via F. Albani, 21 – 20149 Milano Tel. 02/48545811 – Fax 02/48517108 BOLOGNA Piazza VIII Agosto - Galleria del Pincio, 1 – 40126 Bologna Tel. 051/229439-228676 – Fax 051/262036 ROMA Via Volturno, 2/C – 00185 Roma Tel. 06/5896600-58301292 – Fax 06/5882342 OSSERVATORIO LEGISLAZIONE Registrazione Presso il Tribunale di Rimini del 17.9.1996 al n. 20/96 76 a cura della Redazione 80 Maggioli Spa Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2008 Iscritta al registro operatori della comunicazione OSSERVATORIO GIURISPRUDENZA STAMPA Maggioli S.p.A. – Stabilimento di Santarcangelo di Romagna a cura di Giovanna Rosa QUESITI a cura di Marco Vinci 82 Il rinnovo della formazione 83 La formazione “adeguata” può escludere il “comportamento abnorme” del lavoratore 84 La richiesta di visita medica da parte dei lavoratori Comitato di Redazione Danilo GM De Filippo Ingegnere Meccanico, Ispettore Tecnico del Lavoro. Coordinatore per la vigilanza presso l’Ispettorato del Lavoro di Siena. Formatore incaricato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Autore di numerosi interventi in materia di sicurezza sul lavoro. Fabiano Bondioli Ingegnere minerario, Presidente di Galileo Ingegneria s.r.l. esperto di assessment, consulenza e formazione Consigliere Responsabile del GDL Sicurezza dell’Ord. Ingegneri di Bologna Consigliere di ANCE Bologna Andrea Bassi Ingegnere civile civile, partner di Eos s.r.l. – progettazione civile, ambiente e sicurezza Professore a contratto di Fondamenti di Economia ed Estimo civile presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, Membro della commissione di congruità INAIL PUBBLICITÀ: Publimaggioli Concessionaria di pubblicità per Maggioli s.p.a. Via Del Carpino, 8 – 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Tel. 0541/628439 – Fax 0541/628736 [email protected] www.publimaggioli.it Carmine Moretti Ingegnere per l’Ambiente e il Territorio, Consulente aziendale in Bologna e Partner di TMA s.r.l. Sicurezza sul Lavoro, Ambiente, Formazione e Sistemi di Gestione – www.tmasafe.it Condizioni di abbonamento 2016 •ANNUALE: euro 155 (Iva inclusa) Formato digitale (in formato PDF) euro 72+Iva. •TRIENNALE: euro 126 (Iva inclusa) Formato digitale (in formato PDF) euro 59+Iva Il prezzo di una copia della rivista è di euro 30. Il prezzo di una copia arretrata della rivista è di euro 32. Il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli Spa – Periodici – Via Del Carpino, 8 – 47822 Santarcangelo di Romagna (RN). La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie. L’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno. La Casa Editrice comunque, al fine di garantire la continuità del servizio, in mancanza di esplicita revoca, da comunicarsi in forma scritta entro il termine di 45 giorni successivi alla scadenza dell’abbonamento, si riserva di inviare il periodico anche per il periodo successivo. La disdetta non è comunque valida se l’abbonato non è in regola con i pagamenti. Il rifiuto o la restituzione dei fascicoli della rivista non costituiscono disdetta dell’abbonamento a nessun effetto. I fascicoli non pervenuti possono essere richiesti dall’abbonato non oltre 20 giorni dopo la ricezione del numero successivo. Coloro che sono in regola con i pagamenti hanno diritto a richiedere entro l’anno la risoluzione gratuita di due quesiti di interesse generale. I quesiti dovranno essere formulati per iscritto ed inviati all’indirizzo e-mail: [email protected] Elisa Denaro Consulente Sicurezza e Prevenzione nei luoghi di lavoro in Bologna. Andrea Ariani Consulente sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro www.periodicimaggioli.it In questo numero Progetto Sicurezza 1.2016 4 pag. 6 Anche l’impresa familiare deve redigere il Piano Operativo di Sicurezza – La Corte di Cassazione, mediante la sentenza n. 38346 del 21 settembre 2015, ha evidenziato che “le norme che il d.lgs. 81/2008 dedica all’impresa familiare rendono evidente che essa è divenuta destinataria di talune previsioni, ma anche che l’ambito delle norme prevenzionistiche ad essa applicabili non corrisponde a quello degli altri lavoratori”. Una pronuncia di rilievo che esplicita e chiarisce temi rilevanti nell’ambito della sicurezza nell’impresa familiare: come quello per cui anche tale impresa è tenuta alla redazione del POS nel momento in cui sia riconosciuto un datore di lavoro per principio di effettività. pag. 18 Coordinatore per la sicurezza in cantiere: la nuova Linea guida – Negli ultimi anni, anche a causa delle modifiche apportate mediante il passaggio tra il d.lgs. 494/1996 e il Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro ed il conseguente “spostamento” del baricentro della sicurezza, il ruolo del CSE è stato rivalutato, ritornando allo status giuridico effettivamente proposto dal legislatore comunitario. Probabilmente in quest’ottica, il CNI, tramite la circolare n. 626 del 10 novembre 2015, ha deciso di realizzare un documento “di sintesi” dei principali doveri del coordinatore per la sicurezza in fase d’esecuzione, non cogliendo però, secondo il nostro autore, l’obiettivo di predisporre una vera “Linea guida” nella quale invece sarebbe stato interessante rintracciare suggerimenti, casistiche e modalità attuative dei doveri sanciti dalla norma. L’analisi dell’Ing. De Filippo. pag. 28 Attrezzature semplici in pressione immissioni sul mercato e utilizzazione in sicurezza – La nuova direttiva europea 2014/29 regola progettazione, realizzazione e messa a disposizione sul mercato europeo dei Recipienti Semplici in Pressione (Simple Pressure Vessels – SPV). Nell’articolo: indicazioni essenziali ai fabbricanti per la marcatura CE dei SPV e informazioni di base agli utilizzatori per l’utilizzo in sicurezza dei SPV. pag. 36 Nanotossicologia: analisi della sicurezza dei nanomateriali – I nanomateriali sono presenti in molti prodotti di largo consumo, dal settore cosmetico all’edilizia, dalla medicina all’elettronica. Le caratteristiche tipicamente legate alla nanostruttura, che possono rendere vantaggiosi i nanomateriali per applicazioni mediche, tecnologiche e industriali, possono per altro verso essere la causa di effetti biologici indesiderati. Elementi di preoccupazione per la sicurezza, la salute e la qualità dell’ecosistema interessano l’intera durata del ciclo vitale dei nanomateriali, a partire dalla loro produzione e manipolazione, passando per l’utilizzo da parte del consumatore o del paziente fino a giungere all’eliminazione nell’ambiente. Nell’articolo un focus sulla nanotossicologia, il settore che si occupa dello studio della sicurezza delle nanotecnologie con lo scopo di determinare i rischi associati all’esposizione a nanomateriali. pag. 46 Salute e sicurezza sul lavoro: una questione anche di genere – Se le donne lavoratrici rappresentano in Italia circa il 40% degli occupati, con una diminuzione degli infortuni sul lavoro che interessa più la componente maschile che quella femminile, si deve rilevare che non sempre la normativa ha tenuto conto delle differenze di genere sui luoghi di lavoro e solo in anni recenti tali differenze sono state prese in considerazione dal legislatore. Infatti, migliorando il quadro normativo con una maggiore attenzione alle diverse condizioni di partenza dell’universo maschile e di quello femminile, in un’ottica sistematica di maggiore integrazione tra prevenzione, sicurezza, qualità di vita, si riesce a riconoscere e tenere in considerazione le differenti modalità percettive e anche le differenti vulnerabilità che sono elementi necessari da indicare nel Documento di Valutazione dei Rischi. pag. 51 Tecnologie additive in relazione alla valutazione dei rischi connessi: l’utilizzo nei luoghi di lavoro – L’entusiasmo per la novità che ha portato alcuni ad ipotizzare che la stampa 3D possa rappresentare la terza rivoluzione industriale non deve portare a trascurare il problema della sicurezza delle nuove tecnologie additive. In tale settore non è infatti ancora presente una normativa di riferimento specifica. Nell’articolo si fornisce uno strumento per redigere una corretta e completa valutazione dei rischi ed ovviare al rischio da ignoto tecnologico introdotto dalle stampanti 3D nei luoghi di lavoro. Dagli aspetti relativi al rischio macchine fino al rischio chimico e al rischio fisico, nell’ottica di indicare le misure di prevenzione e protezione da adottare e le procedure per lavorare in sicurezza. pag. 60 RLS: un archivio web dell’azione sindacale per la salute dei lavoratori – “Repository della documentazione sindacale sulla prevenzione dei rischi e la salute e sicurezza sul lavoro - INAIL” è il risultato di un’attività di ricerca il cui obiettivo è stato quello di recuperare e rendere disponibili alla consultazione i documenti del Crd. L’archivio, così restituito a nuova vita, rappresenta oggi la memoria storica della nascita della cultura e prevenzione dei rischi sul lavoro in Italia. pag. 66 Calzature antinfortunistiche e salute del piede: un binomio rilevante – Nell’ambito delle calzature antinfortunistiche non esiste un plantare universale adatto ad ogni piede e consono ad ogni patologia. La soluzione consigliata è la costruzione su misura di una calzatura (dispositivo di protezione individuale) che inizia con un’attenta valutazione della postura, una corretta analisi del passo e una misurazione del piede computerizzata. Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Anche l’impresa familiare deve redigere il Piano Operativo di Sicurezza uu Eleonora Viganò Responsabile Ufficio Legale Arcotecnica Group s.p.a. La Corte di Cassazione, mediante la sentenza n. 38346 del 21 settembre 2015, ha evidenziato che “le norme che il d.lgs. 81/2008 dedica all’impresa familiare rendono evidente che essa è divenuta destinataria di talune previsioni, ma anche che l’ambito delle norme prevenzionistiche ad essa applicabili non corrisponde a quello degli altri lavoratori”. Una pronuncia di rilievo che esplicita e chiarisce temi rilevanti nell’ambito della sicurezza nell’impresa familiare: come quello per cui anche tale impresa è tenuta alla redazione del POS nel momento in cui sia riconosciuto un datore di lavoro per principio di effettività. Con questa sentenza la Suprema Corte ha evidenziato che “le norme che il d.lgs. 81/2008 dedica all’impresa familiare rendono evidente che essa è divenuta destinataria di talune previsioni, ma anche che l’ambito delle norme prevenzionistiche ad essa applicabili non corrisponde a quello degli altri lavoratori, risultando limitato dall’art. 21, al quale fa riferimento l’art. 3, comma 12.” Questa sentenza è di grande importanza poiché è solo da pochi anni che il legislatore e la giurisprudenza si interessano dell’“impresa familiare” e dei suoi risvolti, sia giuridici che fiscali. Cos’è l’impresa familiare L’impresa familiare è un istituto giuridico nell’ordinamento italiano, disciplinato dall’art. 6 230-bis del codice civile. Esso regola i rapporti che nascono in seno ad una impresa ogni qualvolta un familiare dell’imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa. L’impresa familiare riceve per la prima volta tutela solo nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia, e l’istituto stesso è stato sviscerato negli anni successivi per quanto riguarda i profili fiscali, successori, retributivi e in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro: per tanto è un istituto assolutamente recente. L’esigenza sottesa alla creazione di tale istituto era di tutela nei confronti di quei familiari che pur lavorando all’interno di una impresa familiare non erano protetti nei confronti dell’imprenditore. Situazione iniqua che trovava larga applicazione nel mondo della piccola impresa italiana, in cui spesso il padre assumeva la qua- Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 lifica di imprenditore e la moglie ed i figli non ricevevano nulla in cambio del proprio lavoro. Sovente, purtroppo, ancora oggi è prassi che i componenti della famiglia, nonostante il loro fattivo contributo, non ricevano né le tutele, né tantomeno un compenso per l’attività svolta, che è data non solo dal capofamiglia che provvede al mantenimento della moglie e dei figli, ma dal contesto sociale stesso, come per scontata; in quanto la loro attività è ritenuta, di fatto, dovuta, in quanto spesso si ritiene che, più che lavorare seriamente come farebbero presso un imprenditore terzo, si limitino a “dare una mano” al pater familias fautore del loro sostentamento. Io stessa, soprattutto in realtà provinciali, mi sono imbattuta spesso in situazioni di questo genere, persistenti ancora oggi, soprattutto nell’ambiente dei negozianti o delle piccole imprese artigiane. Ma, al di là del giusto riconoscimento economico per il lavoro prestato, cerco sempre di far soffermare l’attenzione sugli aspetti di responsabilità del titolare che, per quanto attiene agli obblighi contributivi e previdenziali, nonché per quanto attiene agli obblighi di rispetto della normativa riguardo alla sicurezza sui luoghi di lavoro, sono agli occhi dei terzi e agli organi di controllo assolutamente dovuti; sia che si tratti di un datore di lavoro che impiega personale a lui estraneo, che di un pater familias che si avvale della collaborazione dei suoi familiari. Natura giuridica dell’impresa familiare L’impresa familiare è costituita dall’imprenditore che di regola è il fondatore e al quale spettano tutti gli atti di ordinaria gestione, dal coniuge (per il quale si tratterà di una prestazione e non di una cogestione unitamente all’altro coniuge imprenditore), dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo grado. Dell’impresa inoltre possono far parte i figli adottivi e naturali. Il rapporto familiare deve persistere durante tutto l’arco della vicenda cosicché il divorzio e le invalidità matrimoniali sono motivo di scioglimento ma non la separazione legale che in quanto tale non fa venir meno il vincolo familiare. Dal punto di vista del lavoro la prestazione deve essere non saltuaria ma non necessariamente a tempo pieno, salvo diverso accordo (es. subordinato ex art 2094 c.c. o societario). Le mansioni possono essere le più varie. I familiari hanno diritto al mantenimento in rapporto alle condizioni economiche della famiglia, alla partecipazione agli utili (non alle perdite in quanto non c’è l’alea), ai beni acquistati con gli utili e agli incrementi dell’azienda. I creditori personali dei familiari non possono pignorare i beni dell’impresa né espropriare la loro quota. Il pignoramento potrà avvenire esclusivamente sugli utili corrisposti. I familiari deliberando a maggioranza (con voto per teste e non per quote) decidono sull’impiego degli utili e degli incrementi nonché sugli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sugli indirizzi produttivi e sulla cessazione dell’impresa. Sono cause di perdita della quota di partecipazione la morte, il recesso (se manca la giusta causa obbliga la parte a risarcire il danno), la cessazione del rapporto familiare, im7 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 possibilità sopravvenuta a prestare il proprio lavoro, l’esclusione deliberata dalla maggioranza dei membri. Il familiare non può cedere la sua partecipazione ad estranei: essa è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti (fonte: art. 230-bis codice civile). Alla cessazione dell’attività lavorativa per qualsiasi motivo (tranne la cessione a un familiare), e in caso di alienazione dell’azienda senza che il familiare eserciti la prelazione, ha diritto ad essere liquidato in denaro e il pagamento può avvenire in più annualità. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento d’azienda i partecipi hanno diritto di prelazione sull’azienda. Solo nel 2006, per cercare di garantire o agevolare la continuazione dell’azienda familiare dopo la morte del pater familias titolare, è stato introdotto un istituto giuridico apposito denominato “patto di famiglia”. Il patto di famiglia è dunque il contratto – tipico, ossia disciplinato nei suoi contenuti dalla legge – con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, la propria azienda o le proprie partecipazioni societarie a uno o più tra i suoi discendenti. Trattasi di un atto inter vivos, con effetti traslativi immediati dell’azienda, la cui particolare disciplina si discosta vistosamente dalle regole generali successorie. A pena di nullità, il contratto va stipulato nella forma di atto pubblico (art. 768-ter cod. civ.), previsione che tende ad assicurare un consenso tendenzialmente più informato di tutti i partecipanti. I partecipanti al patto, oltre ovviamente all’imprenditore disponente, devono necessariamente essere il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se, al momento della stipulazione del patto, si aprisse la successione dell’imprenditore: art. 768-quater, primo comma cod. civ. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto – ossia tutti coloro che al momento della sottoscrizione del patto sarebbero legittimari rispetto all’imprenditore – con 8 il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima o in natura (art. 768-quater, secondo comma cod. civ.). L’impresa familiare e la sicurezza sui luoghi di lavoro: la parola alla Cassazione Come abbiamo visto, ancora oggi in molte imprese familiari non vengono rispettati i criteri economico-retributivi che invece sarebbero pienamente vigenti in caso di imprese nelle quali il datore di lavoro non ha alcun legame affettivo con i suoi dipendenti. Se questo è vero per gli aspetti economici, possiamo solo lasciare all’immaginazione il numero delle imprese familiari che non rispettano le previsioni in tema di sicurezza sui luoghi di Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 lavoro; che invece sono pienamente applicabili. All’impresa familiare si applicherà infatti quanto previsto dall’art. 21 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche o integrazioni, anche noto come “Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, mentre laddove i componenti dell’impresa assumano la veste di lavoratori, così come definiti dall’art. 2, comma 1, lett. a) del Testo Unico, con un vero e proprio rapporto di subordinazione, al titolare dell’impresa familiare, nella sua qualità di datore di lavoro e garante rispetto agli altri componenti, faranno capo gli obblighi di adottare tutte le misure di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di cui al Testo Unico fra i quali l’obbligo della valutazione dei rischi, della redazione del documento di valutazione dei rischi o dell’autocertificazione, della nomina del medico com- petente, della formazione ed informazione dei componenti, della sorveglianza sanitaria, ecc. In tali ipotesi, non si configura disparità alcuna di trattamento, atteso che nel caso di impresa familiare il titolare della stessa non verrà ad assumere la veste di datore di lavoro e, pertanto, non soggiacerà a tutti gli obblighi previsti dal Testo Unico in materia. Per le imprese familiari vi è, è vero, un ridotto numero di doveri (utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di apposita tessera di riconoscimento qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto) e di facoltà (in tema di sorveglianza sanitaria e di formazione); molti obblighi che vengono tuttora elusi o trascurati. Recentemente, la Corte di Cassazione si è espressa in materia, in una prima importante sentenza, riguardante in particolare la redazione del POS, stante la reticenza, da parte di molte imprese siffatte, a rispettare le disposizioni di legge in tema di sicurezza. La Suprema Corte ha anche affermato che “poiché a redigere il POS (Piano Operativo di Sicurezza) sono tenuti, in forza dell’art. 96, i datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, a tale nozione occorre guardare; ovvero all’art. 2, lett. b) d.lgs, n. 81/2008, per il quale datore di lavoro è: il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Quindi, qualora, pur nell’ambito di una impresa familiare, si possa riconoscere un datore di lavoro per principio di effettività, anche tale impresa è tenuta alla redazione del POS. Vale ribadire che la tutela prevenzionistica non presuppone la presenza di un rapporto di lavoro subordinato (la Corte ha ritenuto beneficiario della tutela anche colui che svolge il lavoro per mero favore: quel che rileva è la relazione di fatto che si instaura tra chi gestisce il rischio derivante dal lavoro e chi vi è esposto). 9 News e attualità Progetto Sicurezza 1.2016 Bando ISI 2015: la procedure per fruire dei finanziamenti quest’anno Anche per il 2016 l’INAIL mette a disposizione delle imprese 277mila euro per progetti di miglioramento dei livelli di sicurezza nei luoghi di lavoro uu a cura della Redazione Tramite il bando ISI 2015 l’INAIL rinnova ancora una volta il proprio impegno per il welfare del Paese, mettendo a disposizione delle imprese 277mila euro di contributi a fondo perduto per progetti di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La somma rappresenta il sesto scaglione di un ammontare complessivo di oltre 1,2 miliardi di euro stanziato dall’Istituto a partire dal 2010. Lo stanziamento viene ripartito in budget regionali. Gli incentivi ISI vengono ripartiti su singoli avvisi regionali pubblicati sul portale dell’INAIL e sono successivamente assegnati fino ad esaurimento, secondo l’ordine cronologico di arrivo delle domande. Il contributo viene erogato soltanto previo superamento della verifica tecnico-amministrativa e conseguente realizzazione del progetto ed è cumulabile con benefici derivanti da interventi pubblici di garanzia sul credito. I soggetti destinatari dei contributi sono tutte le imprese, anche individuali, ubicate sul territorio nazionale iscritte alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura. La copertura dei costi giunge fino al 65% della quota complessiva, per un contributo massimo di 130 mila euro. Il bando ISI 2015 mette a disposizione delle imprese un contributo in conto capitale pari al 65% dei costi sostenuti per la realizzazione dell’intervento ed è compreso tra un minimo di 5.000 euro e un massimo di 130.000 euro. Il limite minimo di contributo non si applica alle imprese fino a 50 lavoratori che presentino progetti per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale. Nello specifico, i 276.269.986 euro di finanziamenti del bando a sportello possono concernere: – progetti di investimento volti al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori; – progetti per l’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale; – progetti di bonifica di materiali contenenti amianto (novità rilevante del bando ISI 2015). Le aziende interessate potranno inserire le proprie domande dal 1° marzo al 5 maggio 2016 sul portale dell’INAIL. Appalti: l’indicazione dei costi della sicurezza è imprescindibile, anche quando non richiesto dal bando Il Consiglio di Stato (sent. n. 5873 del 30 dicembre 2015) afferma che deve esclusa dalla gara l’impresa che in sede di offerta economica non abbia indicato gli oneri necessari a evitare gli infortuni uu a cura della Redazione Stop agli appalti senza costi di sicurezza interni: ad affermarlo è il Consiglio 10 di Stato mediante la sentenza n. 5873 del 30 dicembre 2015. A parere dei giu- dici amministrativi deve infatti essere esclusa dalla gara l’impresa che in sede News e attualità Progetto Sicurezza 1.2016 di offerta economica non abbia indicato gli oneri necessari a evitare gli infortuni, anche qualora un incombente del genere non risulti richiesto esplicitamente dal bando. Questo perché si tratta di un precetto imperativo per qualsiasi tipo di procedura pubblica, quale che sia la posta in palio: lavori, servizi o forniture. I giudici del Consiglio di Stato hanno evidenziato il principio secondo cui ogni impresa che partecipa a un appalto pubblico deve indicare gli oneri di sicurezza aziendali: si tratta a tutti gli effetti di un obbligo che integra “dall’esterno” la disciplina di gara. “In tutte le gare di appalti di lavori, servizi e forniture – si legge nella sentenza -, le imprese devono indicare in sede di offerta economica gli oneri di sicurezza aziendali (c.d. costi di sicurezza interni); tale obbligo integra un precetto imperativo che etero-integra la legge di gara, ove questa sia silente sul punto o comunque compatibile con esso, nel rispetto del ‘principio di tassatività attenuata’ delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46 del codice dei contratti pubblicit. (...)”. In caso di mancato adegua- mento, pertanto, l’azienda rimane esclusa dalla procedura, anche nel caso in cui il bando non stabilisca l’estromissione in maniera esplicita. Come cambia il Testo Unico (d.lgs. 81/2008) alla luce del Jobs Act? La circolare-guida (11 gennaio 2015, n. 649) del CNI illustra i cambiamenti introdotti dai decreti attuativi del Jobs Act: sanzioni generali, valutazione dei rischi, cantieri temporanei e mobili uu a cura della Redazione Il Jobs Act ha apportato importanti modifiche al Testo Unico in materia di sicurezza e salute nell’ambiente di lavoro: il sistema di provvedimenti che cambiano il mondo del lavoro in Italia è entrato in vigore nello scorso mese di settembre attraverso una serie di decreti attuativi. In particolare, il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, recante rubrica “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, ha apportato numerosi e puntuali cambiamenti ad alcuni importanti ar11 News e attualità Progetto Sicurezza 1.2016 ticoli del testo di riferimento in materia di sicurezza nel nostro Paese. L’analisi di quello che è cambiato riemerge ora nel dibattito grazie ad una fresca circolare del CNI (circ. 11 gennaio, n. 649, denominata “Le modifiche apportate dal d.lgs 151/2015 al Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, d.lgs. 81/2008), la quale enuclea e delinea in maniera analitica i cambiamenti intercorsi con il decreto attuativo del Jobs Act. Ecco un sintetico elenco delle modifiche delineate dal CNI nella sua delibera-guida. Abolizione dell’obbligo del registro: a decorrere dal 23 dicembre 2015, stop all’obbligo di tenuta del registro infortuni. Pertanto da tale data le imprese non sono più tenute a compilare e conservare tale registro. Sanzioni: cambia anche l’impianto sanzionatorio del Testo Unico che si arricchisce di nuove previsioni. Vengono in- dividuate una serie di disposizioni la cui violazione determina il raddoppio dell’importo della sanzione, qualora la violazione si riferisca a più di cinque lavoratori, od una triplicazione dell’importo, qualora la violazione si riferisca a più di dieci lavoratori. Tra le violazioni che verranno punite con un aumento dell’importo va segnalata la mancata o inadeguata formazione dei dirigenti e dei preposti in materia di salute e sicurezza sul lavoro (ammenda da 1.200 a 5.200 euro); Interpelli: anche le Regioni e le Province autonome possono ora inoltrare alla Commissione Interpelli quesiti generali riguardanti la salute e sicurezza sul lavoro. Oggetto della valutazione dei rischi: viene modificato l’art. 28 del Testo Unico, con l’introduzione del nuovo comma 3: “Ai fini della valutazione di cui al comma 1, l’INAIL, anche in collaborazione con le aziende sanitarie locali per il tramite del Coordinamento Tecnico delle Regioni (…) rende disponibili al datore di lavoro strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio. L’Inail e le aziende sanitarie locali svolgono la predetta attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Cantieri temporanei o mobili: viene introdotto il comma che prevede che il Titolo IV Capo I non si applica ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile riportati nell’allegato X. Requisiti professionali del coordinatore per la sicurezza: tramite le modifiche apportate diventa ora possibile seguire online il corso di formazione per coordinatore della sicurezza, per la sola parte relativa al modulo giuridico di 28 ore e i corsi di aggiornamento. Nel 2015 aumentano le denunce di infortuni mortali I dati relativi al periodo gennaio-novembre 2015 mostrano un aumento di ben il 17,5% delle denunce di infortunio mortale rispetto all’anno precedente (passando da 919 a 1080) uu a cura della Redazione Il 2015 si conferma anno negativo sotto il profilo delle morti sul lavoro nel nostro Paese: facendo riferimento ai primi 11 mesi del 2015 (gennaio-novembre) il numero di morti bianche è cresciuto, portando avanti una tendenza che già si era intravista nei primi mesi dell’anno (vedi Progetto Sicurezza n. 6/2015). I dati relativi al periodo gennaio-novembre 2015 mostrano, infatti, un aumento di ben il 17,5% delle denunce di infortunio mortale, passate dai 919 casi dei primi undici mesi 2014 a 1080 nel 2015, con un incremento di 161 unità. Il 2015 diviene pertanto ufficialmente l’anno in cui, dopo un decennio ininterrotto di contrazione delle morti sul lavoro, si verifica una inquietante inversione di tendenza nell’an12 News e attualità Progetto Sicurezza 1.2016 damento del fenomeno (accadimento che non si verificava in Italia dal 2006). Aumentano anche le denunce di malattie professionali: i dati INAIL (Open Data) relativi sempre ai primi undici mesi dell’anno segnalano 54.372 denunce notificate nel 2015 contro le 52.892 dello stesso periodo del 2014, con un incremento del 2,8%. In questo senso il trend negativo (iniziato nel 2008) pare rallentare. A partire da quell’anno ad oggi, infatti, si è registrato un aumento di oltre l’80% delle denunce: quasi 25.000 in più nel giro di pochi anni. Alla base di questa crescita vorticosa sono le patologie muscolo-scheletriche che anche nel 2015 sono aumentate in misura molto su- periore alla media, passando dalle 30.500 circa del periodo gennaio-novembre 2014 alle 32.300 dell’omologo periodo 2015 con un incremento di quasi 2mila unità (corrispondente ad un +5,7%). Per quello che concerne le malattie professionali “tradizionali” più diffuse si registra, invece, una sostanziale stabilità. Formazione per la sicurezza: il bando INAIL mette a disposizione 14,5 milioni Si tratta del finanziamento di una campagna nazionale di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivolta ad imprese e lavoratori uu a cura della Redazione Pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 19 gennaio il bando INAIL per il finanziamento di progetti formativi specificatamente dedicati alle piccole, medie e microimprese. Il bando si rivolge in maniera esplicita al finanziamento di una campagna nazionale di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’entità delle risorse previste per il bando ammonta a circa 14 milioni di euro. L’obiettivo del bando è quello di finanziare una campagna nazionale di rafforzamento della formazione prevista dalla legislazione vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro, destinata alle piccole, medie e microimprese. I soggetti destinatari della campagna di formazione sono i seguenti: – datori di lavoro delle piccole, medie e microimprese; – piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 del codice civile; – lavoratori (compresi quelli stagionali, delle piccole, medie e microimprese); – rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST) delle piccole, medie e microimprese; – soggetti individuati ex art. 21 del d.lgs. 81/2008 e s.m.i. Ammessi al finanziamento sono progetti realizzati in almeno quattro Regioni (una Regione per ciascuna delle seguenti quattro macroaree: nord, centro, sud, isole) che prevedano il ricorso a docenti in possesso di una comprovata esperienza, almeno triennale, di insegnamento o professionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. I progetti ammessi sono quelli riferiti alla formazione finalizzata a differenti obiettivi nell’ambito della sicurezza (finalizzata all’adozione di modelli di organizzazione e di gestione, formazione per l’adozione di comportamenti sicuri, finalizzati alla prevenzione del fenomeno infortunistico e tecnopatico, formazione sulla valutazione dei rischi nell’ambito dell’art. 28 del Testo Unico). La domanda, unitamente a tutta la documentazione indicata nel bando, dovrà essere presentata entro le ore 13 del giorno 19 aprile 2016 mediante servizio postale, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, o mediante corrieri privati o agenzie di recapito debitamente autorizzati, ovvero consegnata a mano da un incaricato del soggetto attuatore all’indirizzo indicato nel bando. Per tutte le info si rimanda al bando integrale all’indirizzo http://www.inail.it/internet/default/INAILincasodi/Incentiviperlasicurezza/ Bandoperlaformazione/index.html. Per dubbi e quesiti scrivere a [email protected]. 13 Vetrina della Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Miller TurboLite Edge, il sistema anticaduta leggero e flessibile Nuovo retrattile anticaduta di Honeywell: il sistema capace di offrire agli operatori (in edilizia e non solo) maggiore comfort, libertà di movimento e un arresto immediato in caso di caduta uu a cura della Redazione Honeywell presenta Miller TurboLite Edge, un nuovo retrattile anticaduta (self-retracting lifeline – SRL) leggero e altamente resistente che pesa solamente 1 kg e si configura pertanto come il più leggero dispositivo testato su spigolo da 2 metri disponibile sul mercato. Il nuovo sistema anticaduta (più leggero del 15% rispetto alla maggior parte dei prodotti concorrenziali) offre agli operatori nel settore dell’edilizia, manutenzione, utility e oil and gas maggiore comfort, libertà di movimento e un arresto immediato in caso di caduta. “Siamo consapevoli del fatto che ci sia sempre più bisogno di un retrattile leggero, conforme e testato su spigolo, che possa permettere a chi lavora in condizioni e ambienti difficili di sentirsi sicuro – spiega Corentin Barbieux, product manager soluzioni anticaduta presso Honeywell Industrial Safety, EMEA –; il dispositivo è stato studiato per fornire ai lavoratori una singola soluzione di prote- Honeywell Industrial Safety (HIS), parte di Honeywell Automation and Control Solutions, aiuta le organizzazioni a gestire la sicurezza sul posto di lavoro, offrendo un’ampia gamma di prodotti per la sicurezza industriale, dai dispositivi di protezione individuale per occhi, orecchie e testa ai sistemi anticaduta e alla protezione delle vie respiratorie, software, dispositivi salvavita e monitor di gas tossici e combustibili che proteggono le vite dei lavoratori. 14 zione per qualsiasi lavoro in quota, compresi i lavori a livello dei piedi”. Miller TurboLite Edge (certificato a EN360:2002) è completamente testato su spigolo e certificato per i lavoratori che pesano fino a 140 kg grazie all’uso di tessuto rinforzato altamente resistente. Il dispositivo è certificato per essere agganciato a livello dei piedi (FF2) per proteggere i lavoratori dal rischio di caduta sopra uno spigolo. Dispone di un meccanismo di blocco rapido per garantire una distanza di arresto ridotta, particolarmente importante quando lo spazio verticale è limitato. Tra le caratteristiche di rilievo vanno inoltre citati due elementi girevoli, uno sull’alloggiamento e uno integrato al connettore di ancoraggio in alluminio, idonei a garantire libertà di movimento agli utilizzatori: gli elementi girevoli impediscono infatti al tessuto di attorcigliarsi eliminando quindi eventuali rischi di blocco del retrattore nel momento in cui viene agganciato. Il moschettone superiore con ghiera twist-lock consente al retrattile di essere agganciato rapidamente e facilmente all’imbracatura, mentre l’inclusione di un indicatore anticaduta ad alta visibilità sul tessuto consente sia all’utilizzatore che al responsabile della sicurezza di identificare facilmente quando un sistema è stato esposto a una caduta. Per informazioni: www.honeywellsafety.com Vetrina della Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Edilizia: protezione anticaduta ottimale con le reti Betafence Betafence ha sviluppato due speciali reti elettrosaldate per la sicurezza in materia di installazione di coperture: Metasafe® e Metatec® maglie grandi uu a cura della Redazione L’installazione di coperture, sia in fase di montaggio che in fase di manutenzione, comporta il rischio che oggetti e materiali possano cadere nell’area sottostante l’intervento. Per implementare tali operazioni in completa sicurezza, Betafence ha sviluppato due speciali reti elettrosaldate: Metasafe® e Metatec® maglie grandi. I due prodotti, posizionati sotto i lucernari, hanno la funzione di prevenire la caduta di oggetti, in fase di installazione, e, nel tempo, di eventuali materiali deteriorati. Le reti sono certificate secondo i requisiti stabiliti dalla normativa UNI EN 15057. Metasafe® Zincata prima della saldatura, tale rete presenta maglie differenziate (di dimensioni 50, 8 x 50, 8 mm + 101,6 x 50,8 mm) con fili di diametro pari a 2 mm. È disponibile in rotoli di 25 m, in diverse altezze (min 100 cm; max 200 cm) ed è dotata di un filo di vivagno nella parte superiore e inferiore. Metatec® maglie grandi Zincata prima della saldatura, tale rete presenta maglie grandi di dimensioni standard (76,2 x 50, 8 mm), con fili orizzontali di diametro pari a 2 mm e verticali di 1,80 mm. È disponibile in rotoli da 25 m, in diverse altezze (min 76 cm; max 198 cm). Si consiglia l’installazione con Palo Tondo. Mollo Formazione: più corsi, maggiore sicurezza, meno infortuni La divisione di Mollo Noleggio nel corso del 2015 ha infatti organizzato 519 corsi formando oltre 4mila operatori nell’ambito della sicurezza sul lavoro uu a cura della Redazione Più formazione significa infatti maggiore sicurezza e, conseguentemente, meno infortuni sul lavoro. Un sillogismo che tratteggia in maniera efficace quanto sia essenziale l’attività di Mollo Formazione, la divisione di Mollo Noleggio, che eroga corsi teorici e pratici (conformi alla normativa vigente) con rilascio di patentini per gli operatori di attrezzature da lavoro. Per Mollo Formazione il 2015 è stato un anno segnato da importanti risultati. La divisione di Mollo Noleggio nel corso del 2015 ha infatti organizzato 519 corsi formando direttamente 4.100 operatori. Quelli appena trascorsi sono stati anni di importanti cambiamenti nell’ambito della sicurezza e salute nell’ambiente di lavoro: dal 2013 ad oggi gli operatori abilitati da Mollo Formazione all’uso di macchine edili, industriali ed agricole sono in totale 10.105. Numeri di rilievo che fanno di Mollo Formazione un punto di riferimento per aziende, enti, associazioni e tutti quei soggetti che necessitano di un’assistenza a 360° nell’opera di adeguamento alle disposizioni in materia di sicurezza. Il 2015 ha inoltre visto l’avvio in casa Mollo di nuovi corsi, tra cui il corso che abilita ai lavori in quota con funi-tree climbing e il master per operatore di attrezzature da lavoro. Quest’ultimo in particolare è mirato a creare figure altamente professionali e munite dei patentini e certifi- 15 Vetrina della Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 cazioni necessari per lavorare in aziende a rischio alto e per operare sui principali mezzi da lavoro utilizzati nelle aziende. Un corso innovativo e completo, in grado di offrire agli operatori formati nuove op- portunità nel mondo del lavoro. Tra i principali obiettivi di Mollo Formazione per il 2016 vi sono il potenziamento dell’offerta formativa e un rinnovato impegno nell’opera di sensibilizzazione in tema di sicu- rezza sul lavoro. Perché la sicurezza sul lavoro non deve essere per le aziende solo un obbligo di legge da ottemperare, ma deve diventare una priorità, a tutela della vita di milioni di persone. Powercap Active™: l’innovativo respiratore per la protezione da polveri e da altre particelle Spring Protezione presenta un dispositivo che garantisce un’ampia protezione agli occhi e alle vie respiratorie del lavoratore uu a cura della Redazione Powercap Active™ è un leggero ed innovativo respiratore a pressione positiva di aria filtrata per la protezione da polveri e da altre particelle. Si tratta di un dispositivo di straordinaria utilità per la protezione da polvere, ad esempio per coloro che lavorano utilizzando martelli pneumatici, oltre che per i restauratori. Il dispositivo (classificato secondo le norme EN 12941+A2 TH1P) è dotato di una turbina che aspira l’aria attraverso i filtri e la convoglia (depurata) sulla visiera evitandone l’appannamento. Inoltre il continuo flusso d’aria crea una pressione positiva che elimina ogni sforzo respiratorio garantendo comfort ed impedendo l’entrata di aria contaminata. È garantita 16 pertanto un’ampia tutela e protezione agli occhi del lavoratore, oltre alla contemporanea possibilità di indossare facilmente cuffie antirumore o conetti auricolari. Muratori, posatori, ceramica, addetti a verniciatura, demolizioni e taglio polimeri, moderni spazzacamino, architetti ed ingegneri che fanno sopralluoghi in cantieri edili: sono questi gli operatori che potrebbero trarre ampi benefici dall’utilizzo di Powercap Active™. Il dispositivo monta di 2 filtri per polveri ad alta efficienza, alimentazione a batteria ricaricabile al litio, per un’autonomia di 8 ore e un tempo di ricarica di 16 ore. Completamente regolabile per quello che concerne le taglie, Powercap Active™ possiede una visiera in policarbonato certificata secondo la norma EN 166:1B per la protezione del viso e degli occhi, ed un caschetto interno per la protezione della testa conforme alla norma EN 812 + A1. Per informazioni www.springprotezione.com Vetrina della Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Sicurezza in cantiere: la comoda app YouTalkie Grazie a YouTalkie diventa possibile comunicare all’interno di un cantiere in modo istantaneo e bidirezionale: le funzionalità del nuovo strumento YouCo uu a cura della Redazione Sicurezza in cantiere: le nuove tecnologie contribuiscono a migliorare e ad implementare in maniera più accurata tutto il sistema della safety nell’ambito del cantiere. Un esempio lampante in tal senso è YouTalkie, l’app YouCo che tiene il cantiere sotto controllo: ma di cosa si tratta? YouTalkie riesce a comunicare all’interno di un cantiere in modo istantaneo e bidirezionale, funzionando come un walkie talkie. D’ora in avanti la comunicazione all’interno del cantiere sarà veloce, sicura ed efficace: grazie a YouTalkie, il sistema di messaggistica vocale istantanea ingegnerizzato da YouCo, diviene possibile la comunicazione fra le diverse squadre di operai e il responsabile dei lavori in modo bidirezionale, con velocità di ricezione adeguata alle esigenze Enterprise, favorendo contemporaneamente la gestione e il controllo delle varie operazioni e della sicurezza sul lavoro. Ma come funziona questa nuova app? La soluzione si configura come un’app nativa per smartphone Android e centrale operativa web raggiungibile da pc o tablet e consente al responsabile di cantiere di creare dei gruppi sulla base delle mansioni, in modo da poter comunicare con tutti, con una squadra specifica o con una sola persona. Con un unico messaggio vocale possono venire avvisati tutti i componenti della stessa squadra. È sufficiente selezionare il gruppo da contattare, registrare il messaggio vocale che viene immediatamente inviato ai destinatari e cominciare ad interagire con loro una volta ascoltato il messaggio. La possibilità di inviare anche fotografie scattate direttamente con il dispositivo supporta e documenta visivamente il dialogo. L’esperienza di utilizzo è identica ad un walkie talkie; infatti è disponibile anche la modalità one-to-one fra i singoli utenti che compongono il team di lavoro. YouTalkie presenta una molteplicità di funzioni per la comunicazione e la sicurezza sul lavoro: dalla velocità di ricezione adeguata alle esigenze Enterprise alla visualizzazione dello stato degli utenti, collegati o non collegati (presence), passando per il controllo della posizione degli operatori e il servizio di certificazione del “passaggio” in maniera automatica (punzonatura). Il tutto reso concreto da un nuovo design user oriented per la centrale operativa e per l’app mobile. La soluzione è inoltre basata sullo standard IP e funziona sotto copertura mobile (tramite una SIM) oppure con rete wi-fi. Tramite YouTalkie la ricezione e la riproduzione del messaggio risultano immediate ed avvengono mediante il vivavoce del dispositivo: qualora il messaggio non venga sentito o ben compreso, esso potrà essere riascoltato immediatamente. Al momento della risposta la comunicazione viene attivata con tutti i destina- tari del messaggio. È anche possibile cercare un vecchio messaggio, sia ricevuto sia inviato. YouTalkie è particolarmente efficace in situazioni di emergenza grazie all’attivazione della funzione “Uomo a terra”, in grado di controllare, complici i sensori del dispositivo, che il suo proprietario non rimanga immobile troppo a lungo. L’assenza di movimento per un periodo troppo lungo innesca il meccanismo di conferma, ovvero il dispositivo suona fino a quando non viene confermata la presenza entro un tempo prestabilito. In caso contrario l’applicazione invierà l’allarme a tutti gli altri utenti del sistema. Va ricordato che YouTalkie si configura come uno strumento flessibile: è infatti possibile l’implementazione con moduli e funzionalità per potenziare e personalizzare il prodotto a seconda delle specifiche esigenze. Inoltre il servizio è a canone mensile “tutto incluso”. Inoltre YouTalkie consente la comunicazione istantanea anche per vigilanza privata (a norma con il Decreto Maroni ), porti e navi da crociera, aeroporti, contesti industriali, trasporti, ecc. Nelle situazioni difficili o pericolose, YouTalkie è utilizzabile e configurabile con device ruggedized (resistenti a urti, acqua, alte temperature). Per informazioni youco.eu/soluzioni 17 Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 Coordinatore per la sicurezza in cantiere: la nuova Linea guida uu Danilo G.M. De Filippo Ingegnere meccanico, Ispettore Tecnico del Lavoro, coordinatore per la vigilanza presso l’Ispettorato del Lavoro di Siena Negli ultimi anni, anche a causa delle modifiche apportate mediante il passaggio tra il d.lgs. 494/1996 e il Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro ed il conseguente “spostamento” del baricentro della sicurezza, il ruolo del CSE è stato rivalutato, ritornando allo status giuridico effettivamente proposto dal legislatore comunitario. Probabilmente in quest’ottica, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, tramite la circolare n. 626 del 10 novembre 2015, ha considerato di realizzare un documento “di sintesi” dei principali doveri del coordinatore per la sicurezza in fase d’esecuzione, non cogliendo però, secondo il nostro autore, l’obiettivo di predisporre una vera “Linea guida” nella quale invece sarebbe stato interessante rintracciare suggerimenti, casistiche e modalità attuative dei doveri sanciti dalla norma. Introduzione La figura del Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione dell’opera è certamente una delle figure più dibattute dell’intero scenario dei cantieri temporanei o mobili. Istituito per effetto del recepimento delle direttive comunitarie in materia di sicurezza sul lavoro (Direttiva Cantieri), il ruolo di CSE, nel corso degli anni, è stato interpretato in maniera molto controversa, divenendo ad un certo punto il supergarante di tutte le norme poste a tutela fisica dei lavoratori, tant’è che la maggior parte della giurisprudenza dei primi dieci anni 18 del XXI secolo individuava in questo personaggio il dovere permanente di vigilare, in maniera ossessiva, su qualsiasi attività del processo produttivo di cantiere, superando di gran lunga quel debito di sicurezza che invece era sempre stato rintracciato in capo all’imprenditore/ datore di lavoro. Questo orientamento degli organi di vigilanza e dei giudici entrava in forte contraddizione con le caratteristiche richieste al ruolo di coordinatore: un tecnico professionista in grado di progettare e “manutenere” la sicurezza in cantiere ma, per questo motivo, libero di esercitare la propria professione anche presso più uni- Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 tà produttive con l’evidente impossibilità di essere costantemente presente in ogni cantiere. Negli ultimi anni, anche in virtù delle modifiche apportate attraverso il passaggio tra il d.lgs. n. 494/96 e il Testo Unico ed il conseguente “spostamento” del baricentro della sicurezza, il ruolo del CSE è stato rivalutato, riportandolo allo status giuridico effettivamente proposto dal legislatore comunitario. Probabilmente in quest’ottica, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha considerato di realizzare un documento “di sintesi” dei principali doveri del coordinatore per la sicurezza in fase d’esecuzione, non cogliendo però – a giudizio di chi scrive – l’obiettivo di predisporre una vera “Linea Guida” nella quale invece sarebbe stato interessante rintracciare suggerimenti, casistiche e modalità attuative dei doveri sanciti dalla norma. Il documento del CNI, inoltre, presenta delle evidenti omissioni che, purtroppo, non consentono di cogliere in maniera completa il difficile e complesso ruolo del CSE. L’evoluzione della figura del Coordinatore per la Sicurezza Il 10 novembre 2015, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, sempre attento alla materia della sicurezza sul lavoro ed in particolare agli eventi collegati al settore dei cantieri temporanei e mobili, ha presentato un documento denominato “Linea guida per lo svolgimento dell’incarico di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione”, invitando tutti i presidenti degli Ordini degli Ingegneri d’Italia a darne la più ampia divulgazione, con l’intento di proporsi come utile strumento per l’esercizio della professione (del ruolo) di coordinatore per la fase esecutiva dell’opera. Ai cultori della materia non sarà certamente sfuggito che il documento è, in realtà, frutto di una intensa attività “locale” e che, già nel luglio del 2014, le Federazioni Regionali degli Ordini degli Ingegneri dell’Emilia-Romagna e della Toscana avevano pubblicato un documento dal medesimo titolo e dai contenuti analoghi. Anche lo scrivente, nelle precedenti edizioni di un testo specificatamente rivolto al CSE (1), oltre ad esaminare, in maniera anche critica, gli adempimenti che spettano al coordinatore in virtù della norma (artt. 91 e 92, d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii.), aveva proposto una sorta di “decalogo” comportamentale per un più efficace svolgimento di questo difficile ruolo, connotato da una “posizione di garanzia” di ampia portata e fatto oggetto, per un lungo periodo di tempo, di uno sfortunato orientamento giurisprudenziale. Prima di passare alla disamina dei contenuti della Linea Guida proposta dal CNI, occorre mettere sul tappeto alcune preliminari riflessioni: sono trascorsi quasi vent’anni dall’emanazione del d.lgs. n. 494/1996 “Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili” che, per l’appunto, nel recepire (in ritardo) la citata direttiva comunitaria, denominata anche “Direttiva Cantieri”, introduceva per la prima volta, mediante una legge speciale (2), la figura del “Coordinatore per la Sicurezza” distinguendone l’operatività in una fase “progettuale”, precedente l’inizio delle lavorazioni e una fase “esecutiva” in cui i compiti di questa figura si estrinsecano nel corso dell’attività produttiva e per tutta la durata dei lavori. Negli anni successivi all’entrata in vigore di questa normativa, il coordinatore assunse un ruolo di garanzia sempre più evidente sino a divenire il dominus della sicurezza in cantiere, tant’è che, in quell’arco temporale, sono proliferate sentenze della Corte di Cassazione penale le cui condanne “miravano” puntualmente al coordinatore, in virtù di una permanente culpa in vigilando che, forse, si era ampliata ben oltre la sfera di garanzia voluta dalla norma stessa. L’orientamento riscontrabile in seno a questi dispositivi di sentenza, emessi a seguito di infortuni gravi o mortali avvenuti all’interno dei cantieri o per effetto di provvedimenti prescrittivi adottati da parte degli organi di vigilanza, era quello secondo cui il Coordinatore per la Sicurezza, in virtù dei compiti e delle funzioni assegnatigli dalle disposizioni legislative, rivestiva un ruolo di supergaranzia rispetto al “dovere di vigilanza” in cantiere. 19 Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 Le sentenze più recenti della sezione penale di Cassazione (n. 18149, datata 13 maggio 2010, n. 15562 del 18 aprile 2011, n. 15484 del 7 aprile 2014, n. 36510 del 1° settembre 2014, n. 7960 del 23 febbraio 2015), anche a seguito della nuova struttura fornita dal d.lgs. n. 81/2008, sono intervenute proprio sull’argomento con un evidente cambio di rotta e precisando che la funzione di vigilanza del coordinatore deve essere considerata “alta” e non può essere in alcun modo confusa con quella c.d. “operativa”, demandata in maniera specifica al datore di lavoro dell’impresa ed in particolare all’impresa affidataria ed ai suoi responsabili. Al coordinatore spetta dunque un processo di progettazione e verifica continua del “sistema sicurezza”, lasciando ad altri soggetti la vigilanza costante sulle attività, le quali tra l’altro devono svolgersi proprio secondo le specifiche prescrizioni contenute all’interno del Piano di Sicurezza e Coordinamento. Fatte queste precisazioni e considerata la più che “maggiore età” compiuta della figura giuridica del Coordinatore, a chi scrive sarebbe parso più opportuno che gli ordini professionali, certamente interessati alla materia, realizzassero un documento in grado di regolamentare non il lavoro o i compiti del CSE, ma il ruolo di garanzia che questi deve svolgere, mediante una sorta di codice “deontologico” e di responsabilizzazione per tutti i soggetti chiamati ad occuparsi del coordinamento della sicurezza in cantiere. La Linea guida del CNI: analisi e commento dei 13 punti Veniamo ora alla disamina dei 13 punti che costituiscono la linea guida del CNI la quale, comunque, può costituire un utile memorandum sugli adempimenti minimi da eseguire, specie per chi – neo-formato – si avvicina all’attività professionale del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, precisando che, a causa di alcune omissioni (anche importanti) della Guida, è indispensabile un’accurata verifica dei disposti normativi, con particolare riferimento all’art. 92, d.lgs. n. 81/2008. 20 1. “Il CSE, ricevuti i documenti PSC e “fascicolo”, effettua un sopralluogo nel sito che sarà oggetto del cantiere per verificare il riscontro della documentazione ricevuta, controllando che lo stato dei luoghi non abbia subito modificazioni dalla fine della progettazione (per esempio apertura di cantieri limitrofi, modifiche della viabilità, ecc.). È opportuno lasciare traccia del sopralluogo redigendo relativo verbale corredato da documentazione fotografica”. L’indicazione si riferisce al fatto che, in una fase precedente, “la fase di progettazione”, ai sensi dell’art. 90, comma 3, d.lgs. n. 81/2008, il committente o il responsabile dei lavori è sta- Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 to obbligato a nominare un Coordinatore per la Sicurezza per la fase progettuale (CSP) e questi, per effetto dell’art. 91, ha provveduto a redigere il Piano di Sicurezza e Coordinamento ed un fascicolo dell’opera di tipo “embrionale”. La linea guida propone dunque una verifica, da parte del CSE, circa il mantenimento dello status quo rispetto alla fase progettuale. Nel fornire quest’utile suggerimento, però, si è trascurato quanto previsto dallo stesso art. 90, ai commi 5 e 11, situazioni per le quali “la committenza” potrebbe non aver nominato un coordinatore in fase di progettazione. Col richiamato comma 5, in particolare, il committente potrebbe aver avuto la convinzione (o l’illusione?) che l’intera opera potesse essere realizzata da una sola impresa esecutrice e, casomai, l’ausilio di soli lavoratori autonomi, per poi scoprire che la ditta prescelta non poteva provvedere, ad esempio, al montaggio del ponteggio e/o alla fornitura e certificazione dell’impianto elettrico di cantiere. In questi casi il neo-nominato Coordinatore per la fase di esecuzione è costretto a provvedere, d’urgenza, non ad una mera verifica dello status quo ma alla redazione dei mancanti PSC e Fascicolo dell’opera, con le ovvie problematiche che derivano dal fatto che il cantiere è già avviato. 21 Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 2. “Dopo aver ricevuta dal Committente (o dal Responsabile dei Lavori) l’avvenuta verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici con esito positivo, procede alla verifica dell’idoneità del/dei POS delle imprese esecutrici, ricevuto/i dalla/e Impresa/e affidataria/e controllandone la rispondenza rispetto a quanto disposto dall’allegato XV del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii. e la congruità con il PSC, dandone evidenza oggettiva al Committente o al Responsabile dei Lavori e alle imprese interessate. In caso di non idoneità provvede a richiedere, tramite l’impresa affidataria, alla/e ditta/e esecutrice/i le integrazioni e modifiche necessarie. Le imprese affidatarie ed esecutrici dovranno inviare i POS modificati prima di iniziare le rispettive lavorazioni. Per ciò che concerne l’adempimento alla verifica dell’“attuazione degli accordi tra le parti sociali” previsto dal d.lgs. 81/08, art. 92, lettera d), si intende la verifica che in ogni impresa sia stato nominato il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) o ci si avvalga di quello Territoriale (RLST) di competenza. In difetto di ciò il CSE fa esplicita comunicazione all’impresa”. Le indicazioni preliminari fornite al punto 2 della linea guida ricalcano i contenuti dell’art. 92, comma 1, lettera b), in termini di verifica dell’idoneità dei Piani Operativi di Sicurezza delle imprese e di procedure da attuarsi in caso di inidoneità. Si è trascurato però di soffermarsi sul più importante dovere del coordinatore: adeguare il PSC in funzione delle proposte delle imprese esecutrici, contenute anche negli stessi POS e dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, mediante procedure differenti da quelle scelte dal CSE ma più idonee. È ravvisabile un ulteriore elemento di criticità che, purtroppo, rende il punto 2 della linea guida poco realistico: se è vero che, in termini di responsabilità anche sanzionatorie, la verifica dell’idoneità tecnico-professionale spetta al committente (e, preliminarmente, all’impresa affidataria per le subappaltatrici) è altrettanto vero che il committente, specie se si tratta di un soggetto privato, affida “istintivamente” queste verifiche “tecniche” ai professionisti incaricati che, ovviamente, ritiene essere più pre22 parati all’effettuazione di controlli anche di tipo documentale. Probabilmente, da una linea guida ci si sarebbe aspettati qualche suggerimento un po’ più oggettivo su come “assistere” la committenza nella verifica dell’idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi, fermi restando i rispettivi obblighi. Per ciò che concerne l’adempimento alla “verifica dell’attuazione degli accordi tra le parti sociali”, nel documento si intende la verifica che in ogni impresa sia stato nominato il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) o ci si avvalga di quello Territoriale (RLST). A giudizio di chi scrive, il legislatore del Testo Unico intendeva qualcosa di molto più utile e pregnante: l’art. 92, comma 1, lett. d), recita che il coordinatore “verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere”. Da quanto rilevabile dalla giurisprudenza e dallo stesso legislatore (p.e. attraverso l’impostazione che questi ha anche voluto dare con il modello di PSC “semplificato” di cui al decreto interministeriale 9 settembre 2014), il Coordinatore per la Sicurezza deve “costringere” il datore di lavoro a sottoporre il PSC ai Rappresentanti dei Lavoratori i quali, in virtù degli accordi tra le parti sociali, hanno la facoltà di esprimere pareri e suggerimenti rispetto al grado di tutela dei lavoratori approntato. 3. “Convoca una riunione di coordinamento preliminare, prima dell’inizio dei lavori, a cui parteciperanno: Direzione Lavori (esclusivamente per il successivo punto di cui alla lettera b); impresa/e affidataria/e imprese esecutrici già definite; lavoratori autonomi eventualmente già individuati; eventuali ulteriori figure tecniche previste dalla normativa vigente qualora necessario (ad esempio: tecnici dei gestori sottoservizi, RSPP del committente, ecc.). Della riunione sarà data comunicazione al Committente/responsabile dei lavori che potrà partecipare qualora lo ritenga necessario. Nella riunione dovranno essere discussi almeno i seguenti punti: Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 a) i contenuti dei piani di sicurezza (PSC e POS) in relazione alle attività da svolgere e le eventuali proposte di adeguamento/integrazione formulate dai presenti; b) la verifica della programmazione dell’attività esecutiva e dello sviluppo delle fasi lavorative rispetto al cronoprogramma con particolare attenzione alle sovrapposizioni ed all’individuazione delle fasi ritenute più pericolose; c) le modalità di coordinamento delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi per la fasi individuate; d) le eventuali richieste di integrazione della documentazione; e) identificazione delle figure delle squadre di primo soccorso e gestione emergenza; a tal fine il CSE verifica che il cantiere sia effettivamente coperto in caso si verifichi una situazione di emergenza o un incidente (compresa l’eventuale necessità di effettuare operazioni di salvataggio di lavoratori colti da malore e/o infortunatisi, operanti in quota o in ambienti sospetti di inquinamento o confinati), in tutti gli orari di lavoro e relaziona sul tipo di organizzazione, tra le tre sotto riportate, che è stata scelta per lo specifico cantiere: 1) committente/RL intendono organizzare apposito servizio di PS [d.lgs. 81/08, art. 104, c. 4] e di conseguenza i datori di lavoro sono esonerati dagli obblighi legati alla designazione degli addetti al PS e dunque della gestione “diretta” del Primo Soccorso [d.lgs. 81/08, art. 18, comma 1, lettera b)]; 2) in fase di progettazione è stato deciso dal CSP che la gestione del Primo Soccorso sarà di tipo unitario, definendo la partecipazione delle imprese (affidataria ed esecutrice) alla gestione delle emergenze identificando un’impresa deputata alla gestione delle operazioni anche tramite un preposto, con garanzia da parte delle imprese presenti in cantiere della costante presenza di almeno un addetto specificamente formato [rif. doc. 10/1/2005 del coordinamento interregionale]; 3) in assenza delle due ipotesi precedenti ogni impresa presente dovrà assolvere autonomamente agli obblighi relativi al PS. Qualora la tipologia di lavorazioni previste nel cantiere preveda la presenza della squadra di salvataggio, la stessa dovrà essere organizzata rispettando i summenzionati criteri. f) documentazione da tenere in cantiere. Al termine della riunione il CSE redige il verbale di coordinamento sottoscritto dai presenti, quale utile strumento di modifica ed integrazione del PSC, per la corretta gestione del cantiere”. Lo scrivente si è espresso numerose volte sull’importanza assoluta delle riunioni di coordinamento ed in questo senso ha sovente sottolineato la rilevanza delle “tecniche di comunicazione” che – ovviamente – fanno parte della formazione prevista dal coordinatore (3), ma che quasi mai sono realmente oggetto di trattazione con personale qualificato. Notevoli perplessità derivano dall’ultimo capoverso del punto 3, ove si dice che il verbale di coordinamento rappresenta un “utile strumento di modifica ed integrazione del PSC”. Tale possibilità, infatti, oltre a non essere espressamente prevista dalla normativa, è stata anche oggetto di importanti pareri da parte della giurisprudenza della Cassazione penale, sez. IV che, con sentenza del 29 marzo 2011, n. 12703, presidente Morgigni, si esprimeva “Sull’aggiornamento del PSC” sostenendo che “nessun documento differente può sostituire il dovuto aggiornamento ed adeguamento del PSC (..)”. 4. “Verifica di volta in volta che tutte le imprese esecutrici e i lavoratori autonomi abbiano ricevuto dall’Impresa/e affidataria/e copia del PSC e ne abbiano accettato i contenuti”. Il suggerimento proposto è senz’altro corretto ma purtroppo poco aderente alla realtà nazionale del settore delle costruzioni. Sfortunatamente il ruolo dell’impresa affidataria ex art. 97 non è stato ancora integralmente percepito dai tecnici che si occupano di coordinamento in cantiere e le imprese esecutrici si di23 Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 mostrano quasi sempre disinteressate ai contenuti del PSC. A parere di chi scrive sarebbe stato interessante che la linea guida avesse proposto una serie di modalità ed una casistica su come svolgere la descritta verifica. 5. “Convoca eventualmente ulteriori riunioni di coordinamento, in riferimento alle indicazioni del cronoprogramma, in occasione di: a) ingresso in cantiere di ulteriori nuove imprese esecutrici e lavoratori autonomi; b) successive macrofasi di lavoro; c) motivate richieste da parte della committenza, della/e affidataria/e, di imprese esecutrici, RLS(T), medico competente, lavoratori autonomi; d) periodi a maggior rischio dovuto ad interferenze o attività ad elevato rischio; e) accadimento di incidenti/infortuni; f) sostanziali modifiche dell’opera; g) accadimento di eventi atmosferici di notevole intensità (venti di tempesta, piogge molto intense, abbondanti nevicate, ecc.); h) accadimento di quasi incidente o quasi infortunio (near miss) rilevato con modulo di cui al d.m. 13 febbraio 2014 o altra modalità. Al termine della riunione redige il verbale sottoscritto dai presenti, che costituisce, in funzione dei contenuti, aggiornamento al PSC. Il CSE provvede, con gli strumenti che ritiene più opportuni, a mantenere aggiornato l’elenco delle imprese affidatarie ed esecutrici e dei lavoratori autonomi”. Anche in questo caso, a giudizio dello scrivente, si commette l’imprudenza di considerare tout court il verbale di riunione (che sostanzialmente può considerarsi equivalente ad un documento “endoprocedimentale”) quale aggiornamento del PSC, documento a cui invece la norma assegna gli effetti propri dell’esercizio del potere. Il testo unico prevede, per il PSC, anche una serie di procedure di “trasmissione” che difficilmente potranno essere perseguite con il c.d. verbale di riunione. 6. “Qualora riscontri l’eventuale ingresso in cantiere di Imprese esecutrici o lavoratori au24 tonomi non autorizzati comunica per iscritto al Committente o al Responsabile dei Lavori e all’Impresa/e affidataria/e (per ‘non autorizzato’ si intende l’ingresso in cantiere di imprese o lavoratori autonomi dei quali non è stata formulata richiesta di autorizzazione al committente o al responsabile dei lavori e per i quali non sia ancora pervenuta l’autorizzazione da parte di questi)”. Con questa indicazione si rischia di “accomunare” (o confondere?) gli obblighi previsti dall’art. 90, c. 9 [verifica dell’idoneità tecnico professionale – per il committente o responsabile dei lavori], dall’art. 97 [obblighi dell’impresa affidataria] e art. 92, c. 1, lett. e) [doveri del CSE in caso di inadempienze delle imprese o dei lavoratori autonomi]. Proprio in virtù del dovere di “vigilanza alta” del coordinatore, sancito dalla giurisprudenza e dal legislatore (attraverso l’introduzione del Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 nuovo articolo 97 del T.U.) e, per altro verso, dai doveri stabiliti proprio dall’art. 92, c. 1, lettera e), il Coordinatore, nel caso riscontri l’eventuale ingresso in cantiere di imprese esecutrici o lavoratori autonomi non autorizzati deve adoperarsi nei termini di legge, non per effetto dei “suggerimenti” dettati dalla linea guida, ma per le conseguenze pesantemente sanzionatorie a cui si esporrebbe in caso di inadempienza alla norma. È doloroso puntualizzare che laddove si verifichi il caso di ingresso in cantiere di imprese esecutrici o lavoratori autonomi non autorizzati, vorrebbe dire che tutto il “lavoro” precedente del CSE nei confronti del committente e delle imprese affidatarie è stato vano e non è stato recepito il ruolo del Coordinatore. 7. “Effettua frequenti sopralluoghi in cantiere con periodicità da determinare in funzione delle caratteristiche dell’opera e dei rischi presenti (comunque in occasione delle fasi critiche della realizzazione dell’opera) e comunque preferibilmente accompagnato dal capo cantiere e/o preposti delle imprese opportunamente nominati, per verificare la corretta applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel PSC e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, e indica il tempo entro cui è necessario ottemperare alle inadempienze. Tale attività può essere condotta anche con l’ausilio di apposite check list.” Come in passato qualcuno avrebbe detto: “La domanda nasce spontanea...”: Cosa si intende per periodicità da determinare in funzione delle caratteristiche dell’opera e dei rischi presenti? E, ancora, visto che la linea guida non si è espressa in tal senso, chi dovrà determinare questa “biunivocità” tra il numero di sopralluoghi e la caratteristica dell’opera? Se la scelta è rinviata al coordinatore, allora l’indicazione fornita dalla linea guida è quantomeno ridondante e forse superflua; se, invece, la scelta è rinviata a terzi (committente, responsabile dei lavori, ecc.), ci troviamo davanti ad una precisa intromissione nella libertà di professione del tecnico incaricato del coordinamento e se, in ultimo, si vuole rinviare la scelta ad una ipotetica formula matematica (come taluni autori hanno fatto), il rischio è quello di non saper (poter) considerare l’alea che è indissolubilmente legata all’accadimento dell’evento infortunistico, sino al momento in cui questo effettivamente si verifica. In questi ultimi due casi, inoltre, il sopralluogo assumerebbe tutte le caratteristiche di un “appuntamento”. Ovviamente, chi scrive, ben consapevole dell’orientamento giurisprudenziale circa la “vigilanza alta” e conscio dei contenuti dell’allegato XV, non può che essere d’accordo sulla necessità che il CSE sia presente in occasione delle fasi critiche della realizzazione dell’opera. 8. “In caso di inosservanza delle disposizioni degli artt. 94-95-96 e 97, comma 1 del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii. ed alle prescrizioni del PSC, il CSE “contesta per iscritto quan25 Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 to riscontrato alle imprese o lavoratori autonomi interessati e all’impresa affidataria, trasmettendo copia del relativo verbale al Committente o al Responsabile dei Lavori. In caso di mancato adeguamento segnala le inosservanze al Committente o al Responsabile dei Lavori proponendo la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o lavoratori autonomi, la risoluzione del contratto” L’indicazione di cui al punto 8 è una mera riproposizione di quanto contenuto all’art. 92, comma 1, lett. e), (obbligo penalmente sanzionabile del CSE). Occorre rilevare una grave omissione: non è stato precisato cosa accada nel caso in cui la committenza non si attivi a prendere i dovuti provvedimenti. L’articolo del T.U. cita infatti: “Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza all’Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competenti”. Il lettore può ben intuire la portata dell’inciso normativo e quanto sia “pericoloso” non farne menzione in un documento che deve servire da guida al coordinatore. 9. “In caso di pericolo grave e imminente contesta per iscritto quanto riscontrato alle imprese o lavoratori autonomi interessati e sospende le singole lavorazioni pericolose, trasmettendo copia del relativo verbale al Committente o al Responsabile dei Lavori e all’impresa affidataria. Effettuati gli adeguamenti dalle imprese interessate ne riscontra la corretta esecuzione con un sopralluogo facendo riprendere le lavorazioni e trasmette il relativo verbale al Committente o al Responsabile dei Lavori e all’impresa affidataria”. Anche in questo caso si tratta di una riproposizione di un disposto normativo: l’art. 92, comma 1, lettera f). Forse, da una linea guida sarebbe stato interessante aspettarsi una casistica delle situazioni di “pericolo grave e imminente” in maniera tale da “guidare” il CSE in una scelta dalla quale possono derivare pesanti conseguen26 ze, non solo sanzionatorie ma anche di natura contrattuale e privatistica. 10. In occasione della liquidazione del SAL (documento relativo allo Stato Avanzamento Lavori) il CSE “a seguito di richiesta della Direzione Lavori approva, previa verifica, l’importo relativo agli oneri della sicurezza”. Si tratta anche in questo caso di un adempimento dovuto per legge, in quanto contenuto al punto 4.1.6 dell’allegato XV. 11. Il CSE, in corso d’opera, “aggiorna e, alla fine dei lavori, completa il ‘fascicolo’ di cui all’art. 91, comma 1, lett. b), completo dell’elaborato tecnico della copertura, se previsto, per lavori ricadenti nel campo di applicazione dei regolamenti regionali, che, alla fine dell’attività di cantiere, consegna al Committente o al Responsabile dei Lavori, con evidenza oggettiva dell’avvenuta consegna”. L’indicazione, già prevista all’art. 91, appare utile a rammentare al CSE interessato che il fascicolo dell’opera dovrà includere anche l’elaborato tecnico della copertura, ove previsto. 12. Il CSE, “al termine dei lavori, previo accordo con D.L Committente e/o Responsabile dei Lavori, redige il verbale di fine lavori di sua competenza e lo fa firmare al Committente e/o al Responsabile dei Lavori e all’impresa affidataria. Tale verbale è da interpretare quale conclusione dell’incarico, fatta salva la consegna del documento di cui al punto 11”. In assenza di una “notifica di fine lavori” (anteposta alla “notifica preliminare”), l’indicazione fornita dalla linea guida potrebbe essere un utile strumento per identificare il momento conclusivo delle responsabilità dirette del CSE (fermo restando il fatto che su eventuali specifiche omissioni o carenze, la responsabilità penale si esaurisce solo nei termini di prescrizione). 13. Il CSE “redige direttamente il verbale di sospensione delle singole lavorazioni in presenza di pericolo grave ed imminente”. Si tratta di una precisazione “doverosa” rispetto a quanto indicato al punto 9 della Linea Cantiere Progetto Sicurezza 1.2016 Guida e sempre in linea con la riproposizione dell’art. 92, comma 1, lettera f), specificando come, a differenza delle previsioni di cui alla precedente lettera e), dello stesso articolo, la sospensione delle lavorazioni in presenza di pericolo grave ed imminente non debba essere oggetto di autorizzazione della committenza ma rappresenti un atto “dovuto” ed urgente del CSE. Un’occasione persa? Nel pieno rispetto dell’operato degli ingegneri del CNI che hanno collaborato all’implementazione della Linea Guida, dalla disamina del documento non sarà sfuggita al lettore la sensazione che si sia persa l’occasione per proporre al Coordinatore per la Sicurezza alcuni consigli realmente operativi e coerenti con la realtà del settore dell’edilizia, con l’aggravante che su alcuni adempimenti posti a base dell’attività del CSE la guida non propone alcun riferimento: nei 13 punti, ad esempio, non si è fatto cenno all’obbligo di adeguamento del PSC, adempimento che, invece, rappresenta una delle responsabilità maggiormente “sanzionate” dagli organi di vigilanza e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. Nel corpo del testo del CNI, inoltre, si legge che “Il CSE nel caso in cui si avvalga di collaboratori del proprio staff con adeguate capacità e formazione conforme all’allegato XIV del d.lgs. 81/2008, mantiene la piena e diretta responsabilità degli obblighi derivanti dall’incarico ricevuto.” Ovviamente, chi scrive non eccepisce sul fatto che la “posizione di garanzia” del CSE sia indelegabile e che dunque sia impossibile trasferire le relative responsabilità personali, ma è in dovere di dissentire sulla formazione indicata per i componenti dello “staff” i quali, da quanto indicato nella linea guida, dovrebbero possedere lo stesso identico percorso formativo del coordinatore, anche se tale indicazione non è presente in alcun testo normativo né oggetto di nessun tipo di accordo da parte della Conferenza Stato-Regioni. A conclusione di questo intervento, appare utile soffermarsi su quelle che potrebbero essere delle interessanti istanze per la promozione, la valutazione e la “serenità” del Coordinatore per la Sicurezza in fase di esecuzione: L’istituzione di un albo professionale dei coordinatori per la sicurezza che permetterebbe il perseguimento di una serie di risultati: tariffe professionali adeguate, creazione di un codice deontologico, monitoraggio della formazione obbligatoria, forza di rappresentanza per tutte le finalità giuridico-istituzionali. L’inserimento del “compenso” per il coordinamento all’interno dei “costi della sicurezza”, così da fare in modo che queste somme non siano soggette “a ribasso” (o a trattative) e siano corrisposte sicuramente entro la conclusione dei lavori. Maggiore attenzione rispetto al percorso formativo del coordinatore, inclusi gli aggiornamenti quinquennali che invece il legislatore ha previsto possano effettuarsi anche in modalità e-learning, depauperando, per chi scrive, l’importanza della partecipazione in aula e della conseguente condivisione delle esperienze fatte in cantiere. Note 1) Il Coordinatore per la sicurezza in cantiere – Maggioli Editore – Prima edizione: agosto 2010, seconda edizione: settembre 2013. Oggi alla terza edizione: luglio 2015. 2) Il principio di specialità, nell’ambito del diritto penale comune, è disciplinato dall’art. 15 del c.p., il quale così recita: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Tale criterio consente di escludere la contemporanea applicazione di più disposizioni incriminatrici ogniqualvolta uno stesso fatto risulti, prima facie, sussumibile in due o più fattispecie astratte. 3) Allegato XIV, d.lgs. n. 81/2008 – Contenuti minimi del corso di formazione per i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori – Modulo metodologico/organizzativo per complessive 16 ore – Teorie e tecniche di comunicazione, orientate alla risoluzione di problemi e alla cooperazione; teorie di gestione dei gruppi e leadership. 27 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Attrezzature semplici in pressione: immissioni sul mercato e utilizzazione in sicurezza uu Antonino Muratore, Vincenzo Nastasi, Casto Di Girolamo Ingegneri tecnologi La nuova direttiva 2014/29/UE regola progettazione, realizzazione e messa a disposizione sul mercato europeo dei Recipienti Semplici in Pressione (Simple Pressure Vessels – SPV). Scopo del presente lavoro è dare le indicazioni essenziali ai fabbricanti per la marcatura CE dei SPV e le informazioni di base agli utilizzatori per l’utilizzo in sicurezza dei SPV. La nuova direttiva europea 2014/29/UE (1), regola la sicurezza legata alla progettazione, realizzazione e immissione sul mercato dei Recipienti Semplici in Pressione (Simple Pressure Vessels – SPV). Questa nuova direttiva introduce alcune novità rispetto alla precedente direttiva 2009/105/ CE (2), che ha subito sostanziali modifiche e di cui rappresenta, quindi una refusione. La direttiva 2014/29/UE a partire del 20 aprile 2016 abrogherà la direttiva 2009/105/CE. Quest’ultima a sua volta aveva in precedenza abrogato la direttiva 87/404/CEE (3) e s.m.i., che era stata la prima direttiva europea ad occuparsi dei recipienti semplici in pressione, recepita in Italia dal d.lgs. 311/1991. Occorre puntualizzare che detti recipienti semplici in pressione “SPV” spesso si trovano installati a servizio di diverse attrezzature che utilizzano aria compressa o azoto per il loro funzionamento. Pertanto se i recipienti “SPV” provvisti dei relativi accessori di sicu28 rezza e controllo non sono progettati, fabbricati e installati secondo le normative di sicurezza possono introdurre rischi non trascurabili negli ambienti di vita e di lavoro. Essi infatti si possono trovare installati: – a valle di compressori d’aria come serbatoi di stoccaggio di aria compressa; – a valle di impianti di produzione di aria medicale a servizio degli ospedali, dopo i serbatoi criogenici (Azoto e/o Ossigeno) e dell’apposito miscelatore. Scopo del presente lavoro è dare, le indicazioni essenziali ai: – Fabbricanti di Recipienti Semplici in Pressione, nel processo di certificazione che porta alla marcatura CE dei SPV prima della immissione sul mercato; – Datori di lavoro/Utilizzatori ai fini dell’utilizzo in sicurezza dei suddetti SPV, nel rispetto del DM 329/04, del d.lgs. 81/08 e smi e del DM 11 aprile 2011. Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Campo di applicazione. Caratteristiche tecniche e dimensionali dei SPV Bisogna evidenziare fin da subito che la direttiva 2014/29/UE regola la progettazione, realizzazione e immissione sul mercato dei SPV, fabbricati in serie, che presentano le seguenti caratteristiche: recipienti saldati; – pressione interna relativa superiore a 0,5 bar; – recipienti contenenti ARIA o AZOTO, non destinati ad essere esposti alla fiamma; – pressione massima di esercizio “PS” inferiore o pari a 30 bar, e prodotto di tale pressione per la capacità del recipiente (PS x V) inferiore o pari a 10 000 bar x litro; – temperatura minima di esercizio non inferiore a -50°C; – temperatura massima di esercizio non su- periore a 300°C per l’acciaio e 100°C per i recipienti in alluminio o lega di alluminio. – le parti e componenti che contribuiscono alla resistenza del recipiente alla pressione sono fabbricati in acciaio di qualità non legato, in alluminio non legato oppure in lega di alluminio ricotto; – recipiente costituito dai seguenti elementi: 1) una parte cilindrica a sezione retta circolare chiusa da due fondi; 2) fondi a chiusura della parte cilindrica prima descritta, possono essere bombati con la concavità rivolta all’esterno e/o da fondi piani; – l’asse di rivoluzione di questi fondi è lo stesso della parte cilindrica. Per quanto riguarda il campo di applicazione bisogna puntualizzare che i limiti della PS 30 bar e del prodotto PS in bar per Volume in litri (PS x V) pari a 10000, sono dei limi29 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 ti superiori. Superati tali limiti la normativa di riferimento diventa la direttiva 97/23/CE (PED – Pressure Equipment Direttive) (4). Quest’ultima sarà abrogata dalla direttiva 2014/68/UE (nuova PED) (5) che entrerà in vigore nel 2016. Quindi per i recipienti di grosse dimensioni si seguiranno le procedure di certificazione previste dalle direttive PED prima citate. La direttiva 2014/29/UE (SPV) non si applica: a) ai recipienti appositamente previsti per usi nucleari e che, se difettosi, possono causare un’emissione di radioattività; b) ai recipienti appositamente previsti per l’installazione su o per la propulsione di navi o aeromobili; c) agli estintori. Obblighi dei fabbricanti In conformità all’art. 6 della direttiva 2014/29/UE, all’atto dell’immissione sul mercato dei loro recipienti il cui prodotto PS × V è: – superiore a 50 bar × l, i fabbricanti garantiscono che siano stati progettati e fabbricati conformemente ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I della direttiva 2014/29/UE. – Inferiore o pari a 50 bar × l, i fabbricanti garantiscono che siano stati progettati e fabbricati conformemente alla corretta prassi costruttiva in uno degli Stati membri. Per i recipienti il cui prodotto PS × V è superiore a 50 bar × l: – i fabbricanti preparano la documentazione tecnica di cui all’allegato II della direttiva 2014/29/UE ed eseguono o fanno eseguire la pertinente procedura di valutazione della conformità di cui all’articolo 13; – qualora la conformità sia stata dimostrata da tale procedura, i fabbricanti redigono una dichiarazione di conformità UE e appongono la marcatura CE e le iscrizioni di cui all’allegato III, punto 1 della direttiva 2014/29/UE. I fabbricanti assicurano che i recipienti il cui prodotto PS × V è inferiore o pari a 50 bar × l rechano le iscrizioni di cui all’allegato III, punto 1. 30 I fabbricanti conservano la documentazione tecnica e la dichiarazione di conformità UE per dieci anni dalla data in cui il recipiente è stato immesso sul mercato. I fabbricanti garantiscono che siano predisposte le procedure necessarie affinché la produzione in serie continui a essere conforme alla presente direttiva. Si tiene debitamente conto delle modifiche della progettazione o delle caratteristiche del prodotto, nonché delle modifiche delle norme armonizzate o delle altre specifiche tecniche con riferimento alle quali è dichiarata la conformità di un recipiente. Laddove ritenuto necessario in considerazione dei rischi presentati da un recipiente, i fabbricanti eseguono, per proteggere la sicurezza dei consumatori finali, una prova a campione sui recipienti messi a disposizione sul mercato, esaminano i reclami, i recipienti non conformi e i richiami dei recipienti, mantengo- Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 no, se del caso, un registro degli stessi e informano i distributori di tale monitoraggio. I fabbricanti: – assicurano che sui recipienti immessi sul mercato sia apposto un numero di tipo, di serie o di lotto che ne consenta l’identificazione; – indicano sul recipiente il loro nome, la loro denominazione commerciale registrata o il loro marchio registrato e l’indirizzo postale al quale possono essere contattati. L’indirizzo indica un unico punto in cui il fabbricante può essere contattato. Le informazioni relative al contatto sono in una lingua facilmente comprensibile per l’utilizzatore finale e le autorità di vigilanza del mercato; – garantiscono che il recipiente sia accompagnato dalle istruzioni e dalle informazioni sulla sicurezza di cui all’allegato III, punto 2 della direttiva 2014/29/UE, in una lingua che possa essere facilmente compre- sa dagli utilizzatori finali, secondo quanto determinato dallo Stato membro interessato. Tali istruzioni e informazioni sulla sicurezza, al pari di qualunque etichettatura, devono essere chiare, comprensibili e intelligibili. – che ritengono o hanno motivo di ritenere che un recipiente da essi immesso sul mercato non sia conforme alla direttiva 2014/29/UE prendono immediatamente le misure correttive necessarie per rendere conforme tale recipiente, per ritirarlo o richiamarlo, a seconda dei casi. Inoltre, qualora il recipiente presenti un rischio, i fabbricanti ne informano immediatamente le autorità nazionali competenti degli Stati membri in cui hanno messo a disposizione sul mercato il recipiente, indicando in particolare i dettagli relativi alla non conformità e qualsiasi misura correttiva presa. – A seguito di una richiesta motivata di un’autorità nazionale competente, forniscono a quest’ultima tutte le informazioni e la documentazione, in formato cartaceo o elettronico, necessarie per dimostrare la conformità del recipiente alla presente direttiva, in una lingua che può essere facilmente compresa da tale autorità. Cooperano con tale autorità, su sua richiesta, su qualsiasi azione intrapresa per eliminare i rischi presentati dai recipienti da essi immessi sul mercato. Procedura di valutazione di conformità dei SPV. Dichiarazione di conformità UE In merito alle procedure di valutazione della conformità ai sensi dell’art. 13 della direttiva 2014/29/UE si evidenzia quanto segue: 1) Prima della fabbricazione, i recipienti il cui prodotto PS × V sia superiore a 50 bar × l sono sottoposti all’esame UE del tipo di cui all’allegato II, punto 1, secondo le seguenti modalità: a) per i recipienti fabbricati conformemente alle norme armonizzate di cui all’articolo 12, si procede, a scelta del fabbricante, in uno dei due modi seguenti: 31 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 i) accertamento dell’adeguatezza del progetto tecnico del recipiente, effettuato esaminando la documentazione tecnica e gli elementi di prova, senza esame di un prototipo di recipiente (modulo B – tipo di progetto); ii) accertamento dell’adeguatezza del progetto tecnico del recipiente, effettuato esaminando la documentazione tecnica e gli elementi di prova, unito a un esame di un prototipo, rappresentativo della produzione prevista, del recipiente finito (modulo B – tipo di produzione); b) per i recipienti fabbricati non rispettando o rispettando soltanto parzialmente le norme armonizzate di cui all’articolo 12, il fabbricante sottopone a esame un prototipo rappresentativo della produzione prevista del recipiente finito e la documentazione tecnica e gli elementi di prova per l’esame e la valutazione dell’adeguatezza del progetto tecnico del recipiente (modulo B – tipo di produzione). 2) Prima dell’immissione sul mercato, i recipienti sono sottoposti alle seguenti procedure: MODULI (Modulo B) Esame «UE» del tipo Allegato II, Punto 1 (Modulo C1) Conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove sul recipiente sotto controllo ufficiale Allegato II, Punto 2 (Modulo C2) Conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove del recipiente sotto controllo ufficiale effettuate a intervalli casuali Allegato II, Punto 3 (Modulo C) Conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione a) se il prodotto PS × V è superiore a 3000 bar × l: conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove sul recipiente sotto controllo ufficiale (modulo C1) di cui all’allegato II, punto 2; b) se il prodotto PS × V è inferiore o pari a 3000 bar × l e superiore a 200 bar × l, a scelta del fabbricante, a uno dei seguenti moduli: i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove sul recipiente sotto controllo ufficiale (modulo C1) di cui all’allegato II, punto 2; ii) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione, unito a controlli sul recipiente effettuati sotto controllo ufficiale a intervalli casuali (modulo C2) di cui all’allegato II, punto 3; c) se il prodotto PS × V è inferiore o pari a 200 bar × l e superiore a 50 bar × l, a scelta del fabbricante, a uno dei seguenti moduli: i) conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove sul recipiente sotto controllo ufficiale (modulo C1) di cui all’allegato II, punto 2; ii) conformità al tipo basata sul controllo Descrizioni Sintetiche L’esame UE del tipo è la parte di una procedura di valutazione della conformità con la quale un organismo notificato esamina il progetto tecnico di un recipiente, nonché verifica e certifica che il progetto tecnico del recipiente rispetta le prescrizioni della presente direttiva ad esso applicabili. La conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a prove sul recipiente effettuate sotto controllo ufficiale fa parte di una procedura di valutazione della conformità in cui il fabbricante ottempera agli obblighi di cui ai punti 2.2, 2.3 e 2.4, e si accerta e dichiara, sotto la sua esclusiva responsabilità, che i recipienti in questione sono conformi al tipo descritto nel certificato di esame UE del tipo e soddisfano le prescrizioni della presente direttiva ad essi applicabili. La conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione, unito a prove del recipiente sotto controllo ufficiale effettuate a intervalli casuali, fa parte di una procedura di valutazione della conformità in cui il fabbricante ottempera agli obblighi di cui ai punti 3.2, 3.3 e 3.4 e si accerta e dichiara, sotto la sua esclusiva responsabilità, che i recipienti in questione sono conformi al tipo oggetto del certificato di esame UE del tipo e soddisfano le prescrizioni della presente direttiva ad essi applicabili. La conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione è la parte di una procedura di valutazione della conformità con cui il fabbricante ottempera agli obblighi di cui ai punti 4.2 e 4.3 e garantisce e dichiara che i recipienti interessati sono conformi al tipo descritto nel certificato di esame UE del tipo e rispondono alle prescrizioni della presente direttiva ad essi applicabili. Tabella 1 – Procedura di Valutazione di conformità – Allegato II direttiva 2014/29/UE 32 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 interno della produzione (modulo C) di cui all’allegato II, punto 4. I fascicoli e la corrispondenza relativi alle procedure di valutazione della conformità, sopra evidenziati, sono redatti in una delle lingue ufficiali dello Stato membro in cui è stabilito l’organismo notificato o in una lingua da quest’ultimo accettata. Si riporta di seguito la Tabella 1 con cui in modo sintetico vengono descritti i Moduli. In merito alla “Dichiarazione di conformità UE” l’art. 14 della direttiva 2014/29/UE evidenzia: – la dichiarazione di conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I; – la dichiarazione di conformità UE ha la struttura tipo di cui all’allegato IV, contiene gli elementi specificati nei pertinenti moduli di cui all’allegato II ed è continuamente aggiornata. Essa è tradotta nella lingua o nelle lingue richieste dallo Stato membro nel quale il recipiente è immesso o messo a disposizione sul mercato; – con la dichiarazione di conformità UE il fabbricante si assume la responsabilità della conformità. Corrosione a)informazioni – pressione massima di esercizio (PS in bar); – temperatura massima di esercizio (T max in °C); – temperatura minima di esercizio (T min in °C); – capacità del recipiente (V in l); – nome, denominazione commerciale o marchio registrato e indirizzo del fabbricante; b) utilizzazione prevista del recipiente; c) condizioni di manutenzione e di installazione necessarie per garantire la sicurezza dei recipienti. Quindi nella realtà i vari fabbricanti oltre a produrre generalmente apparecchi verniciati solo esternamente e lasciati allo stato grezzo internamente, possono fornire gli stessi recipienti, a richiesta dell’utilizzatore, con protezioni particolari quali la zincatura a bagno caldo o altri idonei rivestimenti interni. In ultima analisi si può dire (tranne nei casi di protezione interna adeguata dei recipienti, che deve essere evidenziata nelle informazioni fornite dal Fabbricante e consegnate all’Utilizzatore), ci si trova nella situazione di non escludere nel tempo la presenza di corrosione. In conclusione, se si è nell’incertezza, conviene seguire una impostazione più cautelati- Prima di entrare nel merito dell’utilizzo in sicurezza dei Recipienti Semplici in pressione, bisogna che l’Utilizzatore (analisi che compete ad esso) evidenzi se il particolare recipiente installato sia soggetto a corrosione oppure no. In base a questo giudizio cambiano in modo sostanziale gli obblighi conseguenti così come evidenziato nella Tabella 2. Nelle prescrizioni dell’allegato I della direttiva 2014/29/UE si evidenzia che i recipienti, tenuto conto dell’impiego prescritto, devono essere adeguatamente protetti contro la corrosione. Nelle “Istruzioni per l’uso e informazioni sulla sicurezza” previste dall’Allegato III della direttiva 2014/29/UE devono figurare le indicazioni seguenti: 33 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Serbatoio soggetto a corrosione interna ed esterna o esterna Dichiarazione messa in servizio art. 6 d.m. 329/04 Verifica messa in Servizio art. 4 d.m. 329/04 Riqualificazione Periodica art. 11 d.m. 329/04 Applicazione nei luoghi di lavoro Verifiche periodiche d.m. 11/04/2011 in attuazione del d.lgs. 81/08 Allegato VII Attrezzature di Lavoro SI o NO NO Art. 2.1.J) NO Art. 2.1.J) NO Art. 2.1.J) NO (***) ≤ 600 SI o NO NO Art. 2.1.J) NO Art. 2.1.J) NO Art. 2.1.J) NO (***) ≤ 12 > 600 ma ≤ 8000 NO NO Art. 6 .1 Art. 5.1 c) NO Art. 6.1 Art. 5.1 c) NO Art. 11.1 a) NO (***) > 50 ≤ 12 > 600 ma ≤ 8000 SI SI Art. 6.4 NO Art. 5.1 c) SI SI > 50 ≤ 12 > 8000 ma ≤ 10000 (**) NO SI SI NO Art.11.1.a) NO (***) > 50 ≤ 12 > 8000 ma ≤ 10000 (**) SI SI SI SI SI (****) > 50 > 12 ma ≤ 30 ≤ 10000 (**) SI o NO SI SI SI SI (****) Capacità [litri] PS [bar] ≤ 25 (*) >25 ma ≤ 50 ≤ 12 > 50 PS x V [bar x litri] (*) con qualunque pressione. (**) il limite 10000 anziché 12000 per il prodotto PS x V deriva dal limite superiore della direttiva SPV prima vista. (***) Il DM 11/4/2011 all’allegato II punto 4.1.1 esplicita che nell’applicazione dell’allegato VII del d.lgs. 81/08 e smi relative alle verifiche periodiche “restano ferme le esclusioni e le esenzioni delle verifiche periodiche per le attrezzature di cui agli art. 2 e 11 del DM 329/04”. (****) la 1^ delle verifiche periodiche deve essere fatta, su richiesta dell’Utilizzatore/Datore di Lavoro, dall’INAIL – UOT competente per territorio entro 45 giorni dalla richiesta. Per le verifiche periodiche successive alla prima, l’Utilizzatore/Datore di Lavoro si può rivolgere alle ASL/ARPA o ai Soggetti di cui all’art. 71, c. 13 del d.lgs. 81/08 e smi. Tabella 2 – Eventuali adempimenti da parte dell’Utilizzatore/Datore di Lavoro va nei confronti della sicurezza, prevedendo la presenza di corrosione nel tempo, e quindi seguire gli adempimenti più restrittivi in termini di riqualificazioni periodiche (d.m. 329/2004) o di verifiche periodiche previste dal d.m. 11 aprile 2011, come evidenziati nella Tabella 2. Utilizzo in Sicurezza dei serbatoi semplici in pressione “SPV” (d.m. 329/04 e d.m. 11/4/2011) In merito all’esercizio, si evidenzia che la normativa vigente da seguire da parte del Datore di Lavoro/ Utilizzatore risulta essere: 34 – d.m. 1 dicembre 2004, n 329 (G.U. n 22 del 28 gennaio 2005): “Regolamento recante norme per la messa in servizio ed utilizzazione delle attrezzature a pressione e degli insiemi di cui all’art. 19 del d.lgs. 25 febbraio 2000, n 93; – d.m. 11 aprile 2011 “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’Allegato VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonché i criteri per l’abilitazione dei soggetti di cui all’articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo”. Si evidenzia che il d.m. 11 aprile 2011 all’allegato II punto 4.1.1 esplicita che nell’applica- Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 zione dell’allegato VII del d.lgs. 81/2008 e s.m.i. relative alle verifiche periodiche “restano ferme le esclusioni e le esenzioni delle verifiche periodiche per le attrezzature di cui agli art. 2 e 11 del d.m. 329/04”. In funzione di ciò nella Tabella 2 si riportano gli eventuali vari adempimenti previsti dall’Utilizzatore/Datore di Lavoro per i serbatoi semplici in pressione, partendo dalla capacità, dalla PS, dal prodotto PS x V e se il serbatoio è sottoposto a corrosione interna ed esterna o esterna. Ad oggi la suddetta normativa si applica per tutti i recipienti semplici in pressione a prescindere dalle direttive comunitarie (riportate nel paragrafo iniziale) con le quali sono stati costruiti. La succitata direttiva 2014/29/UE si trova attualmente in fase di recepimento in ambito nazionale, non ci resta che attendere per comprendere se vi saranno eventuali ulteriori risvolti applicativi. all’articolo 19 del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 93, pubblicato in Gazz. Uff., Suppl. Ordin. n. 22 del 28 gennaio 2005. – D.m. 11 aprile 2011 “Disciplina delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’Allegato VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”. Bibliografia – Direttiva 2014/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione, pubblicata in G.U. L 96 del 29 marzo 2014, pag. 45. – Direttiva 87/404/CEE del Consiglio del 25 giugno 1987 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di recipienti semplici a pressione, pubblicata in g.u. L 220 del 8 agosto 1987 pag. 48. – Direttiva 2009/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 relativa ai recipienti semplici a pressione, pubblicata in G.U. L 264 del 8 ottobre 2009, pag. 12. – Decreto ministeriale n. 329 del 1 dicembre 2004, Regolamento recante norme per la messa in servizio ed utilizzazione delle attrezzature a pressione e degli insiemi di cui Note 1) Direttiva 2014/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di recipienti semplici a pressione, pubblicata in G.U. L 96 del 29.3.2014, pag. 45. 2) Direttiva 2009/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 relativa ai recipienti semplici a pressione, pubblicata in GU L 264 del 8.10.2009, pag. 12. 3) Direttiva 87/404/CEE del Consiglio del 25 giugno 1987 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di recipienti semplici a pressione, pubblicata in GU L 220 del 8.8.1987 pag. 48. 4) PED (Pressure Equipment Directive): Direttiva 97/23/CE inerente alla costruzione e all’esercizio delle attrezzature e degli insiemi a pressione, attualmente in vigore. 5) Nuova PED (Pressure Equipment Directive): Direttiva 2014/68/UE relativa alla messa a disposizione sul mercato europeo di attrezzature a pressione, entrerà in vigore il 19 luglio 2016. 35 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 Nanotossicologia: analisi della sicurezza dei nanomateriali uu Patrizia Cinquina Esperta e consulente per la sicurezza La nanotecnologia si configura come un ambito relativamente nuovo che, dopo essere stato investito da una rapida crescita, è diventato praticamente onnipresente. I nanomateriali, sono già presenti in molti prodotti di largo consumo, dal settore cosmetico all’edilizia, dalla medicina all’elettronica, dal tessile agli imballaggi, dagli alimenti agli articoli sportivi. Le caratteristiche tipicamente legate alla nanostruttura, che possono rendere vantaggiosi i nanomateriali per applicazioni mediche, tecnologiche e industriali, possono per altro verso essere la causa di effetti biologici indesiderati. Elementi di preoccupazione per la sicurezza, la salute e la qualità dell’ecosistema interessano l’intera durata del ciclo vitale dei nanomateriali, a partire dalla loro produzione e manipolazione, passando per l’utilizzo da parte del consumatore o del paziente fino a giungere alla eliminazione nell’ambiente. Tramite questo articolo si effettua pertanto un focus sulla nanotossicologia, il settore che si occupa dello studio della sicurezza delle nanotecnologie con lo scopo di determinare i rischi associati all’esposizione a nanomateriali. Il settore della nanotecnologia rappresenta un ambito relativamente nuovo che, dopo essere stato investito da una rapida crescita, è diventato praticamente onnipresente. È trascorso un decennio da quando la ricerca nanotossicologica dei materiali ingegnerizzati ha iniziato il suo percorso ed è indubbio che in questi anni sono stati fatti notevoli progressi circa le conoscenze scientifiche in tale settore. I nanomateriali, sono già diffusamente presenti 36 in molti prodotti di largo consumo, dal settore cosmetico all’edilizia, dalla medicina all’elettronica, dal tessile agli imballaggi, dagli alimenti agli articoli sportivi. Alla nanotossicologia si riconosce oggi un ruolo centrale come riferimento scientifico per la prevenzione dei rischi e per lo sviluppo responsabile di un settore tecnologico considerato vitale in ragione delle attese ricadute industriali e socio-economiche. Le caratteristiche tipicamente legate alla Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 nanostruttura, che possono rendere vantaggiosi i nanomateriali per applicazioni mediche, tecnologiche e industriali, possono per altro verso essere la causa di effetti biologici indesiderati. Elementi di preoccupazione per la sicurezza, la salute e la qualità dell’ecosistema interessano l’intera durata del ciclo vitale dei nanomateriali, a partire dalla loro produzione e manipolazione, passando per l’utilizzo da parte del consumatore o del paziente (nel caso di prodotti di interesse clinico-diagnostico), fino ad arrivare alla eliminazione nell’ambiente. Oggi le industrie produttrici tendono più a sviluppare e produrre nuovi nanomateriali, piuttosto che effettuare un’attenta valutazione della loro sicurezza. Finora capire e prevenire i rischi ha avuto bassa priorità nel competitivo mondo della ricerca nanotecnologica. Il tema è importante anche per le sue implicazioni economiche e sociali. Al pari degli organismi geneticamente modificati, il futuro delle nanotecnologie dipenderà molto da come il pubblico riterrà accettabile i rapporti rischio/beneficio. L’impatto dovuto al continuo sviluppo di nuovi nanomateriali può avere effetti imprevedibili sulla sicurezza e sulla salute umana ed è fondamentale che ogni tipo di nanomateriale sia classificato, caratterizzato e studiato. Progettazione di nanomateriali La progettazione di nanomateriali ingegnerizzati sicuri per la salute umana ha come presupposto una conoscenza approfondita delle proprietà chimico-fisiche che ne determinano la tossicità. Sebbene il numero di studi tossicologici su nanomateriali stia rapidamente crescendo, la caratterizzazione non esaustiva dei materiali usati nei test, così come il basso potere predittivo di alcuni modelli, impediscono spesso la definizione di precise relazioni struttura-attività. A questo si aggiunge un’ancora scarsa conoscenza del ruolo delle interazioni delle nanoparticelle e salute. La risposta biologica ai materiali solidi è una conseguenza diretta di una serie di processi chimico-fisici che avvengono all’interfaccia tra la loro superficie e i sistemi biologi- ci. Analogamente, per i materiali in forma nanometrica i processi di interfaccia sono determinanti nel definire il destino delle nanoparticelle nell’organismo ed il loro effetto biologico. Tuttavia, la natura complessa di questi processi rende particolarmente difficile la loro comprensione a livello molecolare rappresentando quindi una delle maggiori sfide per la comunità scientifica che si occupa di nanomateriali e salute. Le proprietà innovative uniche che rendono le nanostrutture così interessanti per l’industria e la biomedicina, come la loro piccola dimensione, l’estesa area superficiale, la composizione chimica, la solubilità e la geometria, possono contribuire al loro potenziale profilo tossicologico verso i sistemi biologici, l’organismo umano (consumatori, pazienti e lavoratori) e l’ambiente. Molto importanti quindi sono lo studio e l’analisi dell’eventuale pericolosità dei nanoveicoli per l’organismo umano, valutandone il rapporto rischi/benefici. Dato che per le nanostrutture non sono più 37 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 applicabili i convenzionali parametri della tossicologia tradizionale, è sorta una nuova disciplina, denominata nanotossicologia, che si occupa dello studio della sicurezza delle nanotecnologie ed ha lo scopo di determinare i rischi associati all’esposizione a nanomateriali, esplorare le vie di entrata delle nanostrutture nell’organismo umano ed indagare i meccanismi molecolari relativi alla tossicità. Classificazioni di nanomateriali Il binomio dimensione “nano”e reattività biologica ha molteplici riscontri sperimentali. Tuttavia, in un contesto tossicologico, la dimensione ha importanza non esclusiva, nel senso che gli effetti del nanomateriale sono determinati anche da altri fattori quali la composizione chimica, lo stato di aggregazione delle particelle e le modalità di esposizione. È da tener presente che la denominazione di nanomateriale raccoglie una miriade di entità diverse l’una dall’altra, aventi spesso in comune solo l’intervallo dimensionale nanometrico. In base a struttura e composizione, possiamo classificare i nanomateriali in quattro classificazioni (vedi Tabella 1). Spesso, tra una classe e l’altra (ma anche tra composti della stessa classe) si rilevano più differenze che analogie riguardo al profilo degli effetti tossici. Da un punto di vista tossicologico, possiamo dividere i nanomateriali provenienti da combustione in modo naturale o non intenzionale, presenti sotto forma di inquinanti ambientali, dai nanomateriali progettati e prodotti dalla nanotecnologia. Questi due gruppi sono differenti sia dal punto di vista dell’esposizione, che dal punto di vista chimico. L’espo- sizione a nanomateriali che sono prodotti non intenzionalmente è meno controllabile/prevedibile, rispetto all’esposizine dei nanomateriali che vengono prodotti dall’industria, ai quali sono esposte classi più ristrette di persone (dal punto di vista di età, sesso, stato di salute), per esempio i lavoratori durante la produzione o il trasporto. Inoltre, da un punto di vista chimico, i nanomateriali presenti nell’inquinamento ambientale sono un insieme chimicamente complesso di natura polidispersa (diversi composti di carbonio volatili solubili, mescolati a composti inorganici poco solubili), mentre i nanomateriali ingegnerizzati sono soluzioni monodisperse di solidi a composizione chimica conosciuta, generati in gas o fase liquida. Nonostante queste differenze, si suppone che gli stessi principi tossicologici siano applicabili ad entrambe le classi di nanomateriali. Categorie di nanomateriali Le specie naturali (Categoria A) sono ubiquitarie nell’ambiente (acqua, aria, suolo, sedimenti). Sono prodotte da materiali fossili, agenti microbici, processi di combustione, attività vulcanica e mobilizzazione da sedimenti acquatici. Al loro studio si dedica una speciale disciplina, la nanogeochimica, che ha avuto finora poche interazioni con la componente biologica delle nanoscienze ma che ha indubbia importanza anche per gli aspetti tossicologici. Le nanoparticelle antropiche incidentali (Categoria B) sono state oggetto di molti studi sperimentali ed epidemiologici, volti principalmente a definire il ruolo di queste particelle nelle patologie respiratorie e cardiocircolatorie collegate all’inquinamento atmosferico. Materiali a base di carbonio: contengono principalmente carbonio e possono avere forma sferica o ellittica (fullereni) oppure tubulare (nanotubi di carbonio). Materiali a base di metalli: contengono oro, argento, ossidi metallici (es. biossido di titanio, ossido di ferro). Questa classe annovera anche i quantum dots (punti quantici), semiconduttori cristallini con dimensioni tra 2 e 10 nm. Dendrimeri: composti polimerici costituiti da una sola specie chimica. Hanno strutture altamente ramificate di forma globulare, costruite in modo iterativo, che si possono variamente disegnare per conferire specifiche funzioni. Compositi: si tratta di nanomateriali dove si combinano tipi diversi di nanoparticelle oppure nanoparticelle e materiali convenzionali. Tabella 1 – Classificazione di Nanomateriali 38 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 I nanomateriali ingegnerizzati (Categoria C) costituiscono forse la realtà più importante del ventunesimo secolo in termini di innovazione tecnologica. A causa delle proprietà “nano” (reattività chimica, diffusione attraverso membrane biologiche, ecc.) sono anch’essi materia di ricerca tossicologica per i possibili effetti indesiderati sugli organismi viventi. In un contesto tossicologico, nanomateriali ingegnerizzati e incidentali vanno tenuti distinti poiché configurano situazioni non comparabili in termini di rischio. I nanomateriali ingegnerizzati hanno composizione e proprietà fisico-chimiche abbastanza definite e costanti. La loro azione va considerata nel quadro di un ciclo di vita e di scenari d’esposizione che, almeno in prospettiva, si ritiene possibile caratterizzare, quantificare e mettere sotto controllo. Le nanoparticelle incidentali hanno invece natura chimica variabile e si trovano miscelate in forma complessa con le altre frazioni del particolato atmosferico (PM2.5 e PM10). La composizione relativa di queste miscele è difficilmente quantificabile e varia molto in rapporto a fattori esterni, es. fattori climatici e atmosferici. Inoltre, queste particelle incorporano spesso altri tipi di inquinanti (metalli, idrocarburi policiclici aromatici, ecc.) di per sé capaci di indurre tossicità. Il rischio tossicologico differisce da una categoria all’altra anche quando consideriamo la classificazione basata sull’origine (vedi Tabella 2). Modalità di esposizione L’esposizione della popolazione al nanoparticolato può avvenire indirettamente o di- rettamente. L’esposizione indiretta è causata sia da nanoparticolati prodotti da processi naturali come incendi, terremoti ed esplosioni vulcaniche, sia da nanoparticolati derivanti dall’inquinamento atmosferico causato dall’indisciplinato progresso tecnologico che ne ha portato l’accumulo di grandi quantità nel nostro ecosistema. L’esposizione diretta può avvenire sia per applicazioni biomediche, terapeutiche o diagnostiche, sia per scopi cosmetici. Possiamo, quindi, dividere le cause di esposizione in: –occupazionale; – non intenzionale; – per utilizzo di prodotti cosmetici; – per utilizzo di prodotti medici. Tutti gli effetti indesiderati dipenderanno dalle caratteristiche fisico-chimiche della superficie e del core delle nanoparticelle. I nanomateriali presentano un significativo potenziale di rischio, poiché possono essere escreti nell’ambiente dall’organismo che li assume, per poi entrare nell’ecosistema nel quale si disperdono. In questo modo possono essere inalati per poi depositarsi nelle vie respiratorie, essere ingeriti ed assimilati tramite il tratto gastro-intestinale e depositarsi sulla cute ed essere assorbiti. Da questi siti possono poi traslocare in altri distretti corporei. Sono necessarie quindi numerose strategie di screening di tossicità per accertare il potenziale rischio che essi presentano, soprattutto se tali nanomateriali presentano una reattività diversa dal loro materiale grezzo. È fondamentale che ogni tipo di nanomateriale sia classificato, caratterizzato e studiato. I primi studi di nanotossicologia sono stati focalizzati sulle nanoparticelle prodotte non intenzionalmente, come il particolato atmosfe- Nanomateriali naturali (Categoria A): virtualmente ubiquitari nell’ambiente; originano da comuni fenomeni naturali, es., processi di combustione, emissioni vulcaniche, mobilizzazione spontanea dall’ambiente terrestre o acquatico. Nanomateriali antropici incidentali (particelle ultrafini) (Categoria B): nanoparticelle polidisperse, anch’esse ubiquitarie; sono immesse nell’ambiente per effetto di attività industriali, quali processi di combustione ad alta temperatura, traffico autoveicolare, impianti di riscaldamento, produzione e conversione dell’energia, ecc. Nanomateriali antropici intenzionali (ingegnerizzati) (Categoria C): sono i prodotti delle nanotecnologie fabbricati dall’uomo con l’obiettivo di trarre vantaggio dalle peculiari caratteristiche che i materiali assumono nella dimensione nanometrica. Tabella 2 – Categorie di nanomateriali in rapporto all’origine 39 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 rico, ed hanno preso in considerazione la tossicità polmonare associata alla deposizione di particolato nel tratto respiratorio di alcuni animali da questi studi è emerso un legame tra la mortalità e la quantità di particolato prodotto dagli scarichi di automobili e da altre fonti di inquinamento cittadino. Al contrario delle nanoparticelle prodotte accidentalmente, i nanomateriali prodotti industrialmente possono essere sintetizzati in forme omogenee, con dimensioni e forme definite come, ad esempio, sfere, fibre o tubi. I pochi studi di nanotossicologia su questi nanomateriali ingegnerizzati hanno preso in considerazione la dimensione, forma e dose, relazionandoli ad un effetto biologico, cercando di capire se fosse possibile elaborare un modello biologico in cui ritrovare un profilo tossicologico specifico per le differenti proprietà. Le dimensioni sono inversamente proporzionali all’attività biologica causata dalla nanoparticella. Infatti più piccole sono le particelle e maggiore sarà l’area di superficie a parità di massa rispetto a particelle più grandi, maggiore sarà anche la probabilità di avere interazioni con il sistema biologico. Sulla base di alcuni studi l’European Agency for Safety and Health at Work (EU-OSHA) 40 indica i seguenti attributi che caratterizzano le nanoparticelle: forma, area di superficie, chimica di superficie, composizione, omogeneità di composizione tra nucleo e superficie, eterogeneità della distribuzione della composizione, solubilità, carica nei fluidi biologici, struttura cristallina, porosità, cambio nelle dimensioni e/o struttura dopo deposizione, rilascio dei componenti dopo deposizione, risposta funzionale all’ambiente. Sulla base di questi attributi, pur ammettendo che non esiste un parametro chimico-fisico universale per caratterizzare la tossicità delle particelle nanostrutturate, l’Agenzia suggerisce, come test minimi prima di uno studio di tossicologia, i seguenti parametri (EU-OSHA, 2009): –dimensioni; –distribuzione; – area di superficie specifica; – reattività superficiale; – struttura cristallina; – composizione superficiale; –purezza. Sarà, pertanto, necessario disporre di un ampio spettro di informazioni circa le proprietà del nanomateriale in oggetto, la cui completa caratterizzazione permetterà di valutare in mo- Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 • Dimensioni delle particelle e loro distribuzione in stato umido e area di superficie (stato secco) nei mezzi utilizzati per l’esposizione • Struttura cristallina/cristallinità • Stato di aggregazione • Composizione e rivestimento superficiale • Reattività superficiale • Metodo di sintesi e/o loro preparazione, incluse le modificazioni post-sintesi • Purezza del campione Warheit, 2008, Murdock et al., 2008, Card JW et al., 2008 • • • • • • • • Dimensioni Forma Composizione chimica Cristallinità Proprietà superficiali (area, porosità, carica, modificazioni superficiali, presenza di rivestimenti) Stato di agglomerazione/aggregazione Biopersistenza Dose assorbita Oberdorster et al., 2005 a, b • • • • • • • Numero di particelle e distribuzione delle dimensioni Dose a livello dell’organo bersaglio Trattamenti superficiali Livello di aggregazione/agglomerazione Carica superficiale Forma e/o potenziale elettrostatico di attrazione Metodo di sintesi (liquida o gassosa, modificazioni post-sintesi) Tsuji et al., 2006 • • • • • Dimensioni e distribuzione delle dimensioni Forma Area di superficie Potenziale e proprietà redox Purezza/presenza di contaminanti Balbus et al., 2007 • • • • • • Numero di particelle e dimensioni Dose di superficie Rivestimenti superficiali Capacità di agglomerare/aggregare Carica superficiale Metodo di sintesi Borm et al., 2006 • • • • • • • • • • Stato di aggregazione Composizione elementare e concentrazione di massa Numero di particelle Forma Dimensioni e distribuzione delle dimensioni Solubilità Speciazione (metalli) Area di superficie e porosità Carica di superficie Chimica di superficie Tiede et al., 2008 • • • • • • • Dimensioni Forma Carica Stato di aggregazione Irregolarità superficiali Idrofobicità Presenza di rivestimenti o gruppi funzionali superficiali Xia et al., 2009 Tabella 3 – Caratteristiche chimico-fisiche essenziali delle nanoparticelle correlabili alla tossicità Fonte: Libro bianco esposizione a nanomateriali ingegnerizzati ed effetti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – Capitolo 1 Definizioni dei nanomateriali – INAIL do appropriato il rischio di esposizione e, conseguentemente, misure di prevenzione e protezione per la salute umana e per l’ambiente. In Tabella 3 sono elencate alcune caratteri- stiche chimico-fisiche delle nanoparticelle correlabili alla tossicità. Si riportano in Tabella 4 alcuni esempi relativi alle principali proprietà chimiche, nonché 41 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 Tipologie di nanomateriali (NM) Esempi Proprietà chimiche Impiego A base di carbonio (naturali o ingegnerizzati) Fullereni/Buckyballs (Carbonio 60, Carbonio 20, Carbonio 70, nanodiamonds, nanowires Stabili, limitata reattività, composti interamente da carbonio, forti antiossidanti Applicazioni biomediche, supercondensatori, sensori, fotovoltaici Ossidi metallici (naturali o ingegnerizzati) TiO2, ZnO, CeO2 Alta reattività, proprietà fotolitiche Fotocatalizzatori, pigmenti, veicolazione di farmaci, diagnostica medica, protettori dai raggi UV nelle creme solari, additivi nei diesel Metalli zero-valenti (ingegnerizzati) Nanoscale Zero-Valent Iron (nZVI), Emulsified Zero-Valent Iron (EZVI), Bimetallic Nanoscale Particles (BNPs). I BNP includono ferro elementare ed un catalizzatore metallico (quale Au, Ni, Pa o Pt) Alta reattività superficiale. Comuni materiali di partenza utilizzati nella produzione includono: Sali ferrici (Fe [III]) o ferrosi (Fe [II]) con sodio boroidruro Impieghi nelle acque, nei sedimenti e nei suoli per la riduzione di contaminanti quali nitrati, tricloroetilene e tetracloroetilene Quantum dots (ingegnerizzati) Quantum dots a base di CdSe, CdTe e ZnSe Semiconduttori impaccati i cui eccitoni sono confinati in tutte e tre le dimensioni spaziali. Possibili strutture metalliche includono: CdSe, CdTe, CdSeTe, ZnSe, InAs, o PbSe, per il nucleo e CdS o ZnS per il guscio Diagnostica medica, fotovoltaici, telecomunicazioni e sensori Dendrimeri (ingegnerizzati) Polimeri iper ramificati; dendrigraft polymers e dendroni Altamente ramificati; polimeri multifunzionali Rilascio di farmaci, sensori chimici, elettrodi modificati e agenti di trasferimento di DNA NM compositi (ingegnerizzati) Caratterizzati da due differenti NM o NM combinati con nanoclays. Possono anche includere NM combinati con polimeri sintetici e resine Componenti multifunzionali; caratteristiche catalitiche Potenziali applicazioni nel rilascio di farmaci. Utilizzati anche per ottimizzare proprietà meccaniche e dei ritardanti di fiamma NM di argento (ingegnerizzati) Argento colloidale, fili di argento, polvere di nanoargento ed argento polimerico Alta reattività superficiale, forti proprietà antimicrobiche Applicazioni mediche, purificazione dell’acqua, impieghi come antimicrobici. Utilizzati in diversi prodotti commerciali Tabella 4 – Proprietà chimiche ed utilizzo di nanomateriali Fonte: EPA, 2009, Emerging Contaminants-Nanomaterials Fact – Sheets. EPA 505-F-09-011. ai settori di impiego di alcune tipologie di nanomateriali attualmente presenti in commercio ed evidenziati nell’ambito della problematica dei nanomateriali quali contaminanti emergenti dalla U.S. Environmental Protection Agency (EPA), Federal Facilities Restoration and Reuse Office (FFRRO). Tossicità nell’uomo Le ricerche condotte sulla tossicità dei nanomateriali ingegnerizzati somministrati per 42 via orale, ad oggi, sono relativamente scarse. La maggior parte di esse si riferisce all’assorbimento gastrointestinale di metalli od ossidi di metallo, spesso somministrate a dosi troppo elevate per essere utilizzate nella determinazione dell’esposizione al pericolo. Inoltre, i dati presenti in bibliografia si riferiscono a studi di tossicità acuta, mentre mancano dati in merito alla tossicità cronica, indotta da somministrazioni di piccole dosi per via orale, ripetute per lunghi periodi. Dai risultati attualmente disponibili, si può affermare che l’assorbimento per via orale di alcuni nanomateriali (nano- Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 particelle di biossido di titanio, nanoparticelle di rame, di zinco) può indurre processi degenerativi o infiammatori principalmente su reni e fegato, visibili a livello sia macroscopico sia microscopico. Tuttavia, molti sono i risultati tra loro contrastanti. Infine, studi relativi alla tossicità dei materiali nanostrutturati somministrati per via endovenosa e/o respiratoria hanno evidenziato effetti tossici anche in altri organi appartenenti al sistema nervoso, immunitario, polmonare e riproduttivo. Attualmente, si ipotizza che i nanomateriali possano essere presenti o contaminare gli alimenti attraverso le seguenti modalità: – migrazione negli alimenti di nanomateriali ingegnerizzati presenti nei materiali a contatto con gli alimenti (FCM), ad esempio le confezioni o i piani di lavoro; – presenza di nanomateriali ingegnerizzati negli alimenti sotto forma di additivi o di ingredienti attivi (novel food e integratori); – presenza di residui negli alimenti di prodotti agro-chimici o di farmaci veterinari contenenti nanomateriali ingegnerizzati; – presenza negli alimenti di contaminanti ambientali che derivano dalla produzione, dall’utilizzo e dallo smaltimento di altri prodotti ottenuti con nanotecnologie, quali prodotti elettronici, medicali, cosmetici, ecc. Un’ulteriore fonte di esposizione è rappresentata dai nanomateriali inalati, che possono essere catturati dal sistema mucociliare polmonare, trasportati nel laringe e, infine, deglutiti. Ai fini della valutazione dell’esposizione, oltre alle modalità di esposizione, devono essere determinate, la quantità e le caratteristiche dei nanomateriali ingegnerizzati presenti negli alimenti e nei mangimi. Purtroppo attualmente non è possibile determinare questi parametri, poiché non sono disponibili metodiche analitiche per l’isolamento, l’identificazione e la caratterizzazione dei nanomateriali. Pertanto, considerando le attuali difficoltà nella ricerca dei nanomateriali nelle matrici alimentari, la conoscenza in merito alla loro presenza negli alimenti si affida alle informazioni fornite dalle industrie di settore. Inoltre, bisogna considerare che, qualora le analisi dei nanomateriali ingegnerizzati siano condotte nelle fasi primarie, dovranno essere considerate, le eventuali variazioni conseguenti ai processi produttivi e alle interazioni con la matrice alimentare. Infatti, i nanomateriali e le nanostrutture possono essere modificati lungo la filiera agro-alimentare sia dai processi produttivi (sterilizzazione, marinatura, ecc.), ma soprattutto dall’interazione con proteine, lipidi e altre sostanze presenti nella matrice alimentare. Inoltre deve essere valutato l’effetto che la digestione induce sulle caratteristiche chimiche e fisiche dei nanomateriali ingegnerizzati contenuti negli alimenti (EFSA 2009). Un altro limite che ostacola la valutazione dell’esposizione al pericolo è l’impossibilità di stabilire una misura che correli il dosaggio alla tossicità dei nanomateriali ingegnerizzati. Infatti, l’esposizione dei consumatori al pericolo è solitamente rappresentata da limiti espressi in concentrazione in massa, quali la dose giornaliera tollerabile, la dose giornaliera accettabile, oppure da valori nutrizionali di riferimento, come la dose giornaliera raccomandata o i livelli massimi giornalieri. Sviluppo responsabile delle nanotecnologie Nonostante le nanotecnologie promettano benefici enormi per la società e grossi capitali siano sempre più investiti in questa nuova tecnologia, e nonostante oggi ci siano circa 800 prodotti nanotecnologici sul mercato (di cui il 60% cosmetici e 10% alimentari), resta ancora da definire se e quali nanomateriali ingegnerizzati sino dannosi per la salute dell’uomo e per l’ambiente. Non essendo chiari i meccanismi che rendono i nanomateriali così fisicamente e chimicamente unici, è ancora impossibile predire il loro comportamento a contatto con diversi sistemi biologici. Convinzione comune tra i tossicologi è che i nanomateriali, avendo proprietà fisiche e chimiche così diverse dagli stessi materiali nelle dimensioni atomiche o super-micrometriche, abbiano bisogno di essere testati e regolamentati in modo specifico. 43 Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 Strumentazione, metodi analitici e metrologia • Sviluppare metodi per la determinazione di nanomateriali in matrici biologiche, nell’ambiente e nei luoghi di lavoro. Nanomateriali standard • Realizzare materiali di riferimento certificati utilizzabili come standard per la verifica delle caratteristiche fisico-chimiche dei nanomateriali ingegnerizzati. Nanomateriali e salute • Esplorare i meccanismi cellulari e molecolari che determinano la tossicità ed i rapporti tra caratteristiche fisico-chimiche e tossicità • Definire l’effettiva dimensione al di sotto della quale compaiono le nuove proprietà tipiche della nanoscala; ammesso che questo cut-off sia individuabile, verificare se esso vale indistintamente per qualsiasi tipo di nanomateriale • Migliorare la conoscenza sui processi che governano assorbimento e trasporto dei nanomateriali nell’organismo umano • Sviluppare metodi per lo studio della dose interna, anche attraverso indicatori biologici • Sviluppare test validati per la valutazione tossicologica dei nanomateriali in vitro, in vivo e in silico • Determinare le specificità negli effetti e nel meccanismo d’azione delle principali classi di nanomateriali • Caratterizzare la tossicità dei nanomateriali nei prodotti di consumo che li contengono Esposizione umana • Caratterizzare processi e fattori che determinano l’esposizione a nanomateriali in sottogruppi della popolazione, nei lavoratori e a livello individuale • Censire i processi produttivi e le realtà industriali che comportano esposizione professionale o ambientale a nanomateriali ingegnerizzati • Identificare l’esposizione del pubblico a nanomateriali presenti in prodotti di consumo Nanomateriali e ambiente • Caratterizzare gli effetti dei nanomateriali sulle varie componenti dell’ecosistema • Identificare le fonti di rilascio ambientale di nanomateriali, i meccanismi di rilascio dai prodotti e gli scenari di esposizione • Determinare fattori e meccanismi che governano il trasporto di nanomateriali nell’ambiente • Identificare le eventuali trasformazioni che i nanomateriali subiscono nell’ambiente durante l’intero ciclo di vita (sviluppo, produzione, utilizzo, fino allo smaltimento finale) • Identificare gli eventuali passaggi che i nanomateriali possono avere lungo la catena trofica degli organismi • Studiare le dinamiche dei nanomateriali lungo la filiera alimentare Risk management • Integrare i dati su pericolosità, esposizione e modellizzazione dei rischi nell’analisi sulla sicurezza • Sviluppare metodi di caratterizzazione dei rischi basati sulle proprietà fisico-chimiche dei singoli nanomateriali • Integrare i dati di risk assessment nei processi decisionali per il controllo dei rischi • Elaborare protocolli per il controllo dell’esposizione negli ambienti di lavoro, la sorveglianza sanitaria e la prevenzione dei rischi nei soggetti esposti • Integrare i dati relativi all’intero ciclo di vita nei processi di risk assessment and management • Sviluppare la conoscenza per l’implementazione di buone pratiche nei luoghi di lavoro (fabbricazione, controlli ambientali, ecc.) • Sviluppare strategie per la comunicazione dei rischi come parte integrante del processo di risk management • Sviluppare basi legislative comuni tra i vari Paesi per la regolamentazione della produzione, della commercializzazione e dell’uso dei nanomateriali Tabella 5 – Nanotossicologia e sicurezza dei nanomateriali Fonte: Nanotossicologia – Concetti e applicazione, Informazioni della difesa 2/2012 L’impossibilità di definire il rischio legato alla nanotecnologia, dovuto all’assenza di protocolli standard per la valutazione tossicologica dei nanomateriali, rischia di rallentare l’avanzamento della nanotecnologia a causa del principio precauzionale o per paura di investimenti a rischio. In questo scenario, la nanotossicologia si pone come una branca fondamentale per la nanotecnologia. È ragionevole ritenere che la ricerca in nanotossicologia dia certezze e renda meno ale44 atorio lo sviluppo industriale dei prodotti nanotecnologici, rendendo quindi disponibili per la collettività prodotti che altrimenti, nell’incertezza, si fermerebbero allo stadio delle aspettative. La nanotossicologia è destinata ad assumere un ruolo importante anche come guida per mitigare la tossicità dei prodotti, ad esempio per lo sviluppo di materiali innovativi meno tossici dei prodotti convenzionali o di farmaci più maneggevoli di quelli già in uso. Ab- Rischio chimico Progetto Sicurezza 1.2016 biamo dunque un motore per la ricerca di soluzioni innovative con cui sostituire materiali che risultano problematici in termini di sicurezza. La ricerca in questo campo servirà anche ad individuare metodi idonei per lo studio di particolari prodotti nanotech attesi per il prossimo futuro, ad esempio materiali di combinazione e prodotti ottenuti mediante tecnologie convergenti. In sintesi, la nanotossicologia potrà assumere un ruolo centrale nelle scienze della prevenzione se saprà darsi basi scientifiche solide ed imporsi nel contesto globale come disciplina responsabile ed indipendente. In tale prospettiva si collocano le priorità di ricerca elencate nella Tabella 5. Conclusioni Lo stato attuale delle conoscenze non è abbastanza maturo per fornire una guida specifica per assicurare la valutazione scientifica dei rischi dei nanomateriali per l’ambiente e la salute. Non vi è dubbio che alle perplessità emerse in questo primo decennio di ricerca nanotossicologica abbiano contribuito la mancanza di protocolli sperimentali di esposizione e l’uso di test di tossicità non validati e non riconosciuti internazionalmente. Ciò rende problematica la riproducibilità degli esperimenti inter-laboratorio, rendendo inoltre difficile giudicare la va- lidità scientifica dei risultati con la necessaria severità. Senza un adeguato coordinamento di tali studi il rischio è di incorrere in uno spreco di risorse finanziarie ed umane, mettendo anche in difficoltà le aziende che, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, producono o utilizzano prodotti contenenti nanomateriali. In questo contesto, si collocano gli obiettivi generali che si propongono: – di indicare la direzione strategica verso cui orientare la ricerca nanotossicologica di base ed applicata tramite la preparazione di un documento di linee guida, da divulgare presso la comunità scientifica, enti nazionali ed internazionali preposti alla sicurezza dei nanomateriali e presso aziende che li utilizzano. Le raccomandazioni guida di tale documento saranno il risultato di un dibattito scientifico pubblico, in sede congressuale. – fare il punto sullo stato di specifici argomenti tematici trattati dai Working Group, non solo per promuovere, consolidare e comunicare la necessaria sinergia tra diverse discipline, ma anche per mettere a fuoco e delineare alcune idee chiave essenziali per lo sviluppo sostenibile dei nanomateriali. L’ambiente, la salute dei lavoratori e dei consumatori si proteggono non a posteriori risanando ambienti inquinati, ma a priori con la progettazione di nuovi processi e nuovi prodotti pensati fin dall’inizio per minimizzare i rischi. 45 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Salute e sicurezza sul lavoro: una questione anche di genere uu Rosella Di Benedetto Consulente tecnico Accertamento Rischi e Prevenzione – INAIL Calabria (CON.T.A.R.P.) Se le donne lavoratrici rappresentano in Italia circa il 40% degli occupati, con una diminuzione degli infortuni sul lavoro che interessa più la componente maschile che quella femminile, si deve rilevare che non sempre la normativa ha tenuto conto delle differenze di genere sui luoghi di lavoro e solo in anni recenti tali differenze sono state prese in considerazione dal legislatore. Infatti, migliorando il quadro normativo con una maggiore attenzione alle diverse condizioni di partenza dell’universo maschile e di quello femminile, in un’ottica sistematica di maggiore integrazione tra prevenzione, sicurezza, qualità di vita, si riesce a riconoscere e tenere in considerazione le differenti modalità percettive e anche le differenti vulnerabilità che sono elementi necessari da indicare nel Documento di Valutazione dei Rischi. La salute e la sicurezza sul lavoro riguardano lo studio sia sull’appartenenza al genere femminile o al genere maschile, sia in termini di prevenzione che di conseguenze per la salute, a partire dalle malattie professionali e dall’incidenza infortunistica in ambito lavorativo. In realtà, è necessario fare notare le differenze tra uomini e donne negli ambienti lavorativi, prendendo in considerazione tutti quei fattori sociali connessi all’ambiente di lavoro e di vita che possono diversamente incidere sulla sicurezza e sulla salute degli uni e delle altre. Un oggetto trascurato prima dell’emanazione del Testo Unico in materia di sicurezza (d.lgs. 81/2008). Pertanto, l’approccio al tema della salute e sicurezza sul lavoro in maniera non “neutra”, ma con una necessaria attenzione legata 46 all’appartenenza di genere, è sicuramente una recente e importante conquista. Risale agli anni ’90 l’acquisizione, anche scientifica, della convinzione che in ambito lavorativo uomini e donne non solo possono essere esposti a rischi diversi, il che è normale a seconda delle lavorazioni nelle quali si è impegnati, ma anche che uomini e donne possono rispondere in maniera diversa alla stessa esposizione a rischio e che diversità di ruoli sociali e di carichi conseguenti possono avere, più o meno indirettamente, una influenza sull’esposizione a rischi lavorativi. La fine del secolo scorso e l’inizio del terzo millennio sicuramente sono stati caratterizzati dall’emergere sempre più deciso di richieste, a vari livelli, affinché il tema della salute e Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 della sicurezza negli ambienti lavorativi fosse affrontato non in termini neutri ma adeguatamente declinato secondo necessità ed effetti legati all’appartenere al genere maschile piuttosto che femminile, integrando, senza trascurarle, le evidenti attenzioni legate, per le donne, al periodo della gravidanza. Le disposizioni del d.lgs. 81/2008 convertono in necessitati comportamenti che in precedenza erano lasciati alla sensibilità e buona volontà del datore di lavoro. E c’è di più: l’obbligatorietà normativa ha sicuramente indotto e rivitalizzato la ricerca scientifica e la discussione sul tema delle differenze di genere e sulla loro incidenza nel campo della salute nel suo complesso e nel lavoro come fattore derivato. Ovverosia: le prescrizioni legislative del d.lgs. 81/2008 impongono un nuovo approccio alla prevenzione dei rischi, dove è necessario tener conto, oltre ai rischi già noti, delle diversità uomo/donna nei fattori di esposizione e di vulnerabilità. Infatti, l’art. 1 del d.lgs. 81/2008 rileva l’obbligo della garanzia della tutela di lavoratori e lavoratrici, tenendo conto del genere di appartenenza, dell’età, dell’eventuale status di migrante, nonché della condizione derivante dalla tipologia contrattuale attraverso cui è resa la prestazione. La Commissione Europea ha riconosciuto sin dal 2000 la dimensione di genere. La collaborazione della donna nel mondo del lavoro e i diversi tipi di segregazione cui è soggetta rappresentano aspetti di grande rilevanza per l’identificazione dei pericoli e la valutazione dell’esposizione a essi, mentre le differenze biologiche riguardano più la caratterizzazione dei rischi (effetti) per la salute e sicurezza che tali pericoli pongono. Quindi, un modello “neutro” di valutazione dei rischi, che non tenga conto delle implicazioni delle differenze di genere nell’entità e nelle modalità di esposizione, non può essere idoneo a garantire la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e delle lavoratrici. Gli effetti del lavoro sulla salute possono essere diversi per donne e uomini perché dovuti a specificità biologiche, a differenti percezioni della salute/malattia, al contesto sociale e organizzativo. È ormai noto che donne e uomini, anche se soggetti alle medesime patologie, presentano differenti sintomi, progressioni e risposte ai trattamenti, non solo a causa delle differenze biologiche, dei sistemi ormonali e riproduttivi, ma anche delle sfere sociali, economiche e ambientali di appartenenza. Rischio lavorativo e differenze di genere Differenze di genere si evidenziano, inoltre, anche per quanto riguarda gli effetti sulla salute che, rispetto agli uomini, per esposizioni ad alcuni fattori di rischio, possano essere più frequenti e più gravi nelle donne e necessitano pertanto di differenti misure in termine di tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. Ad esempio, nel caso di pari esposizione a sovraccarico biomeccanico degli arti superiori, le donne hanno più probabilità di sviluppare l’effetto avverso rispetto agli uomini, oppure è noto che alcuni valori limite di esposizione (ad esempio per il Pb) sono inferiori per le donne rispetto agli uomini poiché a parità di dose l’effetto risulta maggiore. Le donne, inoltre, sono frequentemente esposte a fattori di rischio extralavorativi favorendo, con effetto sinergico o additivo, il medesimo effetto avverso sulla salute (ad esempio, il lavoro domestico quotidiano ha un peso notevole sul carico di lavoro giornaliero delle donne e rappresenta una fonte di ulteriore sovraccarico). A conferma di queste differenze ci sono evidenze che indicano che il genere femminile è più frequentemente soggetto a disturbi del ritmo cardiaco, patologie delle vene degli arti inferiori, disturbi a carico degli arti superiori, patologie stress-correlate, asma e malattie infettive. Per esposizione ad agenti chimici, inoltre, ci possono essere differenze tra donne e uomini anche in termini di metabolismo dei tossici, in particolare per le sostanze che si accumulano nel tessuto adiposo. Sul piano preventivo altre problematiche correlate al sesso femminile riguardano ad esempio l’adattabilità e l’efficacia dei DPI perché questi in genere sono progettati dalle aziende produttrici per avere il massi47 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 mo dell’efficacia (ad esempio aderenza al volto delle maschere respiratorie e al capo di caschi protettivi, peso delle calzature, disponibilità di taglia e modelli) in soggetti con caratteristiche tipiche del sesso maschile. Le donne sono, inoltre, più spesso soggette a infezioni da agenti respiratori o trasmissibili per contagio interumano, presenti soprattutto negli ambienti lavorativi a stretto contatto con il pubblico. Risulta opportuno aggiungere che, talvolta, anche nello stesso settore lavorativo gli uomini e le donne possono svolgere mansioni diverse, pur appartenendo alla stessa categoria di lavoro: ad es., in alcuni studi è stato osservato che nei settori manifatturieri, alimentare e impiegatizio agli uomini sono affidate mansioni diverse, mentre le donne continuano a svolgere i compiti a più alto grado di stereotipia, con conseguente differenza nei pericoli ergonomici. Le donne, infatti, sono particolarmente esposte a movimenti ripetuti, eseguiti ad alta velocità, con maggiore impegno di gruppi muscolari più piccoli, ma anche più vulnerabili. Gli uomini, invece, sono più spesso impegnati nel sollevamento di carichi pesanti, anche se per le donne tale pericolo è importante nei settori delle pulizie e delle cure sanitarie. Inoltre, le donne sono sottoposte a stress biomeccanici all’apparato muscolo-scheletrico apparentemente meno eclatanti, ma talora duraturi, come il persistere della stazione eretta o di posizioni statiche che possono accelerare processi degenerativi a carico di strutture tendinee, muscolari e delle articolazioni, o svolgere un ruolo concausale nella patogenesi di patologie vascolari degli arti inferiori. Inoltre, il genere femminile, per i diversi livelli di segregazione, ha una maggiore esposizione a fattori di rischio psicosociale. Le donne, infatti, sono più spesso impegnate in attività che richiedono un uso elevato di risorse relazionali ed emotive con un conseguente carico di lavoro che prevede la necessità di far fronte a richieste diverse e difficili da conciliare. Nella valutazione dei rischi che tenga in considerazione le differenze di genere, è necessario considerare anche l’ambiente di lavo48 ro e le attrezzature utilizzate per il processo lavorativo; spesso, infatti, tali elementi sono progettati per il “lavoratore medio”, senza tenere conto che le caratteristiche antropomorfe del lavoratore possono variare, e che ciò che non è pericoloso per alcuni può esserlo per altri: tipicamente, anche i DPI sono disegnati secondo questa visione “maschile”. Quindi, un ulteriore parametro da dover valutare è l’utilizzo e la conformità dei DPI. Esiste una scarsa attenzione da parte dei produttori e fornitori dei DPI ai fattori di genere e in genere alle esigenze delle lavoratrici. È frequente, infatti, che molti DPI non tengano conto delle diverse caratteristiche antropomorfe tra uomo e donna, determinando così disagi rilevanti nell’utilizzo da parte delle lavoratrici. Per caratterizzare i pericoli in ottica di genere occorre valutare i differenti effetti che i vari fattori esercitano sull’organismo maschile e femminile. Infatti, è ben noto che l’uomo e la donna hanno differenti peculiarità di tossico-cinetica e tossico-dinamica, differente suscettibilità di organi bersaglio e speci- Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 ficità legate al sistema riproduttivo ed ormonale che possono comportare effetti biologici diversi, anche a parità di esposizione. È ben noto che la tossico-cinetica di alcune sostanze presenti negli ambienti di lavoro è diversa per i due sessi. Il fattore rumore e le condizioni microclimatiche non confortevoli (i c.d. “ambienti severi caldi o severi freddi”) che caratterizzano ambienti di lavoro quali le industrie alimentari sono spesso associati ad effetti come la dismenorrea, i disturbi ormonali e la ridotta fertilità. Gli effetti attribuibili al fattore di rischio “rumore” sono generalmente più alti negli uomini, forse per una maggiore occupazione del genere maschile in settori più rischiosi dal punto di vista uditivo, per le diverse caratteristiche anatomiche dell’apparato uditivo nei due sessi (il condotto uditivo femminile ha una forma anatomica diversa rispetto a quello degli uomini per cui le onde sonore vengono amplificate in modo più “efficace”, permettendo un maggiore effetto di risonanza dei suoni e aumentando così percentualmente la capacità uditi- va) e per la naturale diminuzione della capacità uditiva dovuta all’età. Le radiazioni ionizzanti, alle quali sono esposti in particolare gli operatori di radiodiagnostica e radioterapia in ambito sanitario, esercitano un effetto dannoso sulla fertilità e sullo sviluppo del feto, causando malformazioni genetiche e alterazioni cromosomiche. Per quanto riguarda le radiazioni non ionizzanti (es. videoterminali), al momento attuale, non esistono sufficienti dati circa gli effetti che possono provocare, neanche per la donna in gravidanza, poiché i livelli e la frequenza delle onde elettromagnetiche sono estremamente bassi. Gli effetti di agenti biologici sono più gravi per le donne soprattutto in gravidanza, come accade per il virus dell’epatite E. In tale condizione si hanno importanti rischi per il feto, soprattutto a causa di infezioni virali, come il morbillo e la rosolia. Sono stati anche rilevati effetti lesivi per il feto da parte di microtossine presenti nelle polveri organiche. Alcuni agenti sono invece più pericolosi per i maschi, come il virus della parotite che 49 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 può provocare orchite soprattutto se contratta in età adulta. Il genere femminile, anche non in condizioni fisiologiche particolari (gravidanza, allattamento, menopausa), può essere considerato ipersuscettibile nei confronti degli arti superiori e la postura fissa prolungata. Le evidenze scientifiche avvalorano la maggiore predisposizione femminile a sviluppare patologie di natura artrosica a carico della colonna vertebrale e delle articolazioni, sindrome del tunnel carpale e patologie delle vene degli arti inferiori. Un lavoro faticoso e stressante può alterare il ciclo mestruale provocando amenorrea, dismenorrea e riduzione della fertilità. Il lavoro a turni, caratteristico del settore sanitario e di alcuni altri servizi, può interferire con il sistema endocrino-riproduttivo delle donne, causando alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi, patologie quali disturbi dell’umore e malattie cardiovascolari. I dati dell’OMS, così come quelli derivanti da statistiche condotte in Italia, dimostrano come la depressione e i disturbi d’ansia siano più diffusi tra le donne rispetto agli uomini. Per una corretta stima dei rischi legati al lavoro delle donne Per fare un’adeguata stima dei rischi correlati al lavoro a carico delle donne, sarebbe opportuno che le attività di ricerca e di monitoraggio in tema di salute e sicurezza sul lavoro fossero integrate da una serie di dati epidemiologici, ancora purtroppo carenti, che tenessero di conto innanzitutto delle differenze esistenti tra i due sessi. Molti standard riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro e i limiti dell’esposizione alle sostanze pericolose, per esempio, si basano su studi effettuati sulla popolazione maschile e si riferiscono in misura maggiore ai settori lavorativi maschili. Inoltre, gli incidenti e le mp presenti negli elenchi ai fini della corresponsione degli indennizzi si riferiscono in misura maggiore a malattie e incidenti lavoro-correlati più comuni tra la popolazione maschile trascurando del tutto settori di lavoro con predo50 minanza femminile. Quindi, per facilitare sia la valutazione che la gestione del rischio secondo un approccio di genere, occorre promuovere una maggiore partecipazione delle donne ai processi consultivi e decisionali legati alla salute ed alla sicurezza sul lavoro rendendole così più consapevoli e più attive nella propria protezione contro i rischi lavorativi. Dalle indicazioni di normative e delle linee guida europee e da quanto finora prodotto in Italia si possono trarre alcune indicazioni generali da applicare a vari livelli nella valutazione e gestione dei rischi. – Registrare le differenze di mansioni fra maschi e femmine: analizzare più in dettaglio la reale mansione e non soltanto il tipo di lavoro o il titolo assegnato a ciascun occupato/a, tenere conto anche dell’eventuale segregazione verticale. – Considerare le differenze di genere per le varie tipologie contrattuali e l’effettivo orario di lavoro: prendere quindi in esame l’intera forza lavoro (ad es. lavoratori a tempo determinato/indeterminato), senza dimenticare il personale a orario ridotto (part-time) e i dipendenti in congedo di malattia o maternità al momento della valutazione. – Valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo aziendale per garantire flessibilità di orari in modo da facilitare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. – Valutare la conformità delle variabili strutturali e procedurali alle differenze di genere (macchinari, attrezzature, ergonomia delle postazioni di lavorative…). – Esaminare l’esistenza di differenze di genere nei limiti di esposizione e negli effetti a seconda dei pericoli individuati. – Valutare la conformità dei DPI, soprattutto per quanto riguarda la loro adattabilità alle caratteristiche antropomorfe del genere femminile. – Mantenere un dialogo aperto con le lavoratrici: incoraggiare le donne a riferire gli elementi del loro lavoro che a loro giudizio possono avere effetti sulla salute o sulla sicurezza, così come problemi di salute che ritengono correlati al lavoro, senza trascurare il carico del lavoro domestico. Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 Tecnologie additive in relazione alla valutazione dei rischi connessi: l’utilizzo nei luoghi di lavoro uu Monica Caselli Ingegnere e diplomata Master “Sicurezza e Prevenzione nell’Ambiente di Lavoro” UNIBO L’entusiasmo per la novità che ha portato alcuni ad ipotizzare che la stampa 3D possa rappresentare la terza rivoluzione industriale non deve portare a trascurare il problema della sicurezza delle nuove tecnologie additive. In tale settore non è infatti ancora presente una normativa di riferimento specifica. L’obiettivo dell’articolo è fornire uno strumento per redigere una corretta e completa valutazione dei rischi ed ovviare al rischio da ignoto tecnologico introdotto dalle stampanti 3D nei luoghi di lavoro. A tal proposito sono stati analisati gli aspetti relativi al rischio macchine, al rischio chimico e al rischio fisico, nell’ottica di indicare le misure di prevenzione e protezione da adottare e le procedure per lavorare in sicurezza. La realtà che si è in grado di percepire con occhi e cervello è sempre stata oggetto di curiosità scientifica che ha portato a invenzioni nei settori dell’ottica (si pensi al cinema e alla televisione in 3D), ma poter creare oggetti solidi a costi accessibili è un fatto recente. Le stampanti 3D sono basate su un processo di stampa tridimensionale di tipo additivo che permette di creare, strato dopo strato, veri e propri oggetti solidi (modelli, stampi, prototipi e prodotti finiti), con praticamente qualsiasi materiale e a costi contenuti, por- tando così la produzione dalle industrie a luoghi fino ad oggi non convenzionali, quali uffici, scuole, ospedali, fino alle case degli stessi consumatori. Lo studio effettuato ha evidenziato l’esistenza di una grande varietà di tecnologie di 3D printing con diversi principi di funzionamento e materiali utilizzati. Gli standard tecnici generalmente utilizzano il termine tecnologie additive per comprendere quest’ampia varietà, differenziandoli così dai tradizionali processi di produzione industriale, definiti di tipo 51 Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 sottrattivo, nei quali l’oggetto viene creato eliminando il materiale in eccesso. È stata, però, riscontrata la mancanza di una classificazione standardizzata delle tecnologie presenti sul mercato. Per ovviare a questa carenza, e comprendere meglio gli aspetti problematici dell’oggetto di studio e gli eventuali rischi per la salute e la sicurezza ad esso connessi, in particolare per i lavoratori che le utilizzano, è stata costruita una classificazione delle tecnologie additive definendo 4 macro-tipologie, in base allo specifico processo di stampa impiegato: –estrusione: nella quale l’oggetto viene costruito tramite la deposizione sul piano di lavoro, strato dopo strato, attraverso un ugello riscaldato mobile, di un filamento di materiale generalmente termoplastico; –polimerizzazione: nella quale le diverse sezioni che costituiscono l’oggetto sono costituite da un fotopolimero liquido, il quale viene solidificato tramite l’azione di un laser; –sinterizzazione: in cui un laser fonde i vari strati di materiale in polvere (polimeri, metalli o leghe), fino al completamento dell’oggetto; –laminazione: nella quale l’oggetto è creato sovrapponendo e unendo sezioni di carta, plastica o metallo precedentemente tagliate utilizzando un laser. All’interno di queste sono state fatte rientrare le 15 tecnologie di stampa 3D individuate attualmente presenti sul mercato. Questa classificazione è stata schematizzata in una tabella contenente quelle che sono le informazioni essenziali per mettere in evidenza i rischi preponderanti di ogni tecnologia: – materiali impiegati; – temperatura di lavoro; – presenza o meno di un piano di lavoro riscaldato e sua temperatura; – dotazione o meno di un laser e classe di quest’ultimo. Tale tabella risulta essere, in questo modo, un efficace strumento, sia per il datore di lavoro per effettuare un’adeguata scelta della tecnologia additiva più adatta alle esigenze di produzione e sicurezza dei lavoratori del52 la propria azienda, sia come base di partenza per redigere una corretta e completa valutazione dei rischi introdotti sul luogo di lavoro da tali tecnologie. Molti aspetti riguardanti la stampa 3D non risultano ancora completamente coperti da standard, soprattutto per quanto riguarda la problematica della sicurezza degli operatori addetti a tali lavorazioni si configura, pertanto, un rischio da ignoto tecnologico, in quanto accanto a rischi conosciuti, la cui pericolosità ed effetti sulla salute sono stati scientificamente accertati e tutelati dalla normativa vigente, vi sono pericoli ipotizzati o non ancora confermati scientificamente. Per ovviare a tale rischio da ignoto tecnologico occorre porre in essere il principio di precauzione, rispettando così l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 del codice civile. Dall’analisi delle informazioni presenti in tabella, ed osservando le stampanti 3D durante il loro funzionamento, i rischi preponderanti dei quali è stata effettuata la valutazione, applicando la normativa vigente, sono: – rischio macchine: dovuto alla presenza di organi in movimento, estrusore ad elevata temperatura, un eventuale piano di lavoro riscaldato; – rischio chimico: derivato dai materiali impiegati; – rischio fisico: conseguente all’eventuale dotazione di laser. Rischio macchine Si è deciso di iniziare la trattazione dei rischi partendo dal rischio macchine, in quanto le tecnologie additive, nonostante impieghino tecniche di produzione innovative, sono innanzitutto macchine che devono essere certificate e sicure per chi le utilizza e devono, quindi, rispettare le disposizioni della direttiva macchine (d.lgs. 17/2010), della direttiva bassa tensione 2006/95/CE e, per quanto riguarda la normativa prevenzionistica, del d.lgs. 81/2008, in particolare il Titolo III di quest’ultimo relativo all’uso delle attrezzature di lavoro. Tra gli aspetti fondamentali emersi dall’a- Estrusione Tipologia Robocasting o Direct Ink Writing (DIW) Stick Deposition Moulding (SDM) Plastic Jet Printing (PJP) Fused Filament Fabrication (FFF) e Fused Deposition Modeling (FDM) Tecnologia 160 °C – 230 °C 190 °C 235 °C 230 °C – 265 °C PLA PVA HIPS Nylon Inchiostri sol-gel Inchiostri polimerici Matrici di metallo e ceramica Hydroxyapetite Fosfato di calcio vetroso Like PLA Like Wood Like Flex Like ABS Materiale termoplastico Grafene Laybrick Laywood TPE TPU ULTEM PPSF/PPSU BendLay Simil Plexiglass PC Max 300 °C 175 °C – 250 °C 240 °C 215 °C – 240 °C 215 °C – 250 °C ABS ASA Temperatura di lavoro Materiali impiegati / / / 90 °C 90 °C Non richiesto, ma consigliato a 50 °C 60 °C – 90 °C Piano di lavoro riscaldato / / / / (segue) Classificazione laser Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 53 54 Polimerizzazione Tipologia Tecnologia Polyjet Digital Light Processing (DLP) Stereolithografia (SLA) Tecnologia Materiali impiegati Materiale odontoiatrico Biocompatibile Simil-gomma Polipropilene simulato Opaco rigido Trasparente Alta temperatura ABS digitale Superflex 3SP® E-Tool 3SP® E-Glass 3SP® E-Appliance 3SP®, E-Denstone 3SP® Peach, Ortho Tough 3SP® ABS 3SP® Flex Series, ABS 3SP® Tough 3D System Accura 60 MicroFine Green Huntsman RenShape 7820 Accura® Bluestone™ Somos® WaterShed XC 11122 Somos® ProtoTherm 12110 Somos® ProtoCast 19122 Somos® PerFORM Somos® ProtoGen™ Series Somos®Tusk SolidGrey Somos® BioClear Somos® WaterClear® Ultra 10122 Somos® 9120 Somos® 9110 Somos® NeXt Somos® NanoTool™ Temperatura di lavoro / / / Piano di lavoro riscaldato (segue) Luce ultravioletta Luce inattinica Luce ultravioletta Classificazione laser Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 Laminated Object Manufactoring (LOM) Selective Heat Sintering (SHS) Selective Laser Melting (SLM) Plaster-Based 3D Printing (PP) Direct Metal Laser Sintering (DMLS) Selective Laser Sintering (SLS) Electron-Beam Melting (EBM) Pressurized Spray Deposition (PSD) Tecnologia Tabella 1: Classificazione delle principali tecnologie additive Laminazione Sinterizzazione Tipologia Metallo Plastica Carta Polveri termoplastiche Acciaio CL 60 Acciaio CL 50 Acciaio CL 20 Resine Gesso Inconel 718-625 Cromo-Cobalto MP1 Acciaio 316L Acciaio 17-4 PH Alluminio (AlSi10Mg) Titanio grado 5 (Ti6Al4V) Ceramiche specificamente ottimizzate Polimeri termoplastici Alluminio Acciaio inossidabile Leghe metalliche di titanio Titanio in lega (Ti6 Al4V) o puro Nitruro di alluminio (AlN) Zirconio e miscele a base di ossido di zirconio Carburo di boro (B4C) Carburo di silicio (SiC) Allumina (Al2O3) Materiali impiegati Appena superiore alla temperatura di fusione delle polveri termoplastiche 700 °C – 1.000 °C Temperatura di lavoro Laser di potenza Classe 4 / Appena inferiore alla temperatura di fusione delle polveri termoplastiche / Laser di potenza Classe 4 / Laser di potenza Classe 4 Laser di potenza Classe 4 / / Classificazione laser / / / / / Piano di lavoro riscaldato Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 55 Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 nalisi vi è l’obbligo della dichiarazione CE di conformità e dell’apposizione della marcatura CE da parte dei produttori di stampanti 3D che intendano commercializzarle all’interno dello Spazio Economico Europeo (SEE), marcatura con la quale i fabbricanti si assumono la responsabilità della rispondenza delle macchine ai requisiti di sicurezza. Il datore di lavoro ha l’obbligo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro idonee ai fini della salute e della sicurezza, ponendo l’attenzione per quanto riguarda la valutazione dei rischi delle stampanti 3D in particolare su: – rischio elettrico; – rischio di schiacciamento, dovuto alla presenza di organi in movimento; – rischio di ustioni, per la dotazione di estrusore ad alta temperatura ed eventuale piano di lavoro riscaldato; ponendo, di conseguenza, in essere le adeguate misure di prevenzione e protezione e procedure di lavoro sicure. Rischio chimico Dallo studio effettuato è emerso che il rischio preponderante e che presenta le maggiori problematiche non solo per chi utilizza le tecnologie additive, ma anche per chi le pro- 56 duce, risulta essere il rischio chimico. Ciò che rende tale rischio così significativo nell’ambito del 3D printing è l’utilizzo di materiali tossici e, talvolta, anche cancerogeni, spesso in modo non adeguato e senza le dovute protezioni. Per quanto riguarda la normativa prevenzionistica, il rischio chimico è trattato dal Titolo IX del Testo Unico 81/2008 riguardante le sostanze pericolose, a cui si affiancano i Regolamenti REACH, CLP e SDS: – Regolamento REACH 1907/2006/CE: ha lo scopo, tramite la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche, di rendere i fornitori di prodotti chimici responsabili della comprensione e gestione dei rischi associati al loro uso; – Regolamento CLP 1272/2008/CE: disciplina la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e delle miscele; – Regolamento SDS 453/2010/CE: indica i requisiti per la compilazione delle Schede di Dati di Sicurezza. Le SDS, costituite da 16 sezioni che devono essere tutte correttamente compilate, sono il principale strumento per garantire che fabbricanti e importatori comunichino a tutta la catena d’approvvigionamento informazioni corrette e sufficienti per consentire un uso sicuro delle loro sostanze e miscele. Il datore di lavoro deve valutare la presen- Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 za di materiali pericolosi sul luogo di lavoro e i rischi ad essi collegati, mettendo di conseguenza in atto le misure generali e specifiche per la prevenzione e la protezione, affinché non vengano superati i Valori Limite di Esposizione Professionale (VLEP). Per quanto riguarda la valutazione di questo rischio sono state riscontrate molte difficoltà nel reperire informazioni sui materiali impiegati nelle tecnologie additive. Nello specifico la maggior parte dei fabbricanti sulle proprie fonti di informazioni online mette a disposizione schede di sicurezza dei materiali che in realtà risultano essere schede tecniche, le quali contengono solo il nome commerciale del materiale e le sue proprietà fisiche e meccaniche, ma non danno indicazioni dell’effettiva composizione chimica e pericoli per la salute. Inoltre, le poche SDS trovate sono risultate incomplete e contradditorie, quindi non redatte correttamente secondo quanto previsto dal regolamento SDS. Per quanto riguarda le emissioni nocive, è stato analizzato come esempio l’ABS (1) (2), uno dei materiali più utilizzati nella stampa 3D, i cui tre composti chimici che lo costituiscono, come monomeri, sono volatili alle temperature raggiunte nel processo di stampa, e sono classificati come cancerogeni con differente livello di sospetto, oltre che avere altre proprietà tossiche e sensibilizzanti: –Acrilonitrile [C3H3N/CH2=CH2=CHCN]: allo stato originario è liquido, si libera come vapore a circa 80 °C ed è mediamente volatile; –Butadiene [C4H6/CH2=(CH)2=CH2]: allo stato originario è un gas, è molto volatile già a temperatura ambiente; –Stirene [C8H8/C6H5CH=CH2]: allo stato originario è liquido, vaporizza sui 140 °C ed è poco volatile; Per quanto riguarda l’emissione di nanoparticelle, uno studio effettuato dai ricercatori dell’Illinois Institute of Technology (3) ha dimostrato l’emissione, durante l’utilizzo delle stampanti 3D, di quantità significative di particelle ultrafini (UFP) o di sostanze volatili, delle quali non sono ancora conosciuti gli effetti sulla salute. In particolare, usando i materiali di stampa PLA (acido polilattico) si liberano circa 20 miliardi di particelle al minuto, mentre con l’uso del più diffuso materiale ABS si arriva ad un quantitativo di particelle al minuto pari a 200 miliardi. Le maggiori problematiche riscontrate riguardano le stampanti 3D di tipo desktop, in quanto spesso impiegate in ambienti atipici generalmente non destinati alla produzione di oggetti, utilizzabili e utilizzate con materiali dei quali alcuni studi hanno evidenziato una possibile pericolosità o già identificati come pericolosi, e spesso sprovviste delle necessarie protezioni atte a garantirne la sicurezza (ne sono state osservate molte utilizzate completamente aperte), o usate da lavoratori non adeguatamente formati sulle procedure corrette e sicure da seguire. UE IARC ACGIH NIOSH Acrilonitrile 2 Effetti cancerogeni da considerare per l’uomo sulla base di studi su animali e altro R45 – R41 – R43 2B Possibile cancerogeno per l’uomo A3 Cancerogeno per l’animale Potenziale cancerogeno occupazionale 1,3-Butadiene 1 Effetti cancerogeni noti e prove sufficienti per l’uomo R45 – R46 2A Probabile cancerogeno per l’uomo A2 Cancerogeno sospetto per l’uomo Potenziale cancerogeno occupazionale Stirene 3 Effetti cancerogeni sospetti per l’uomo R20 – R36 – R38 2B Possibile cancerogeno per l’uomo A4 Non classificabile come cancerogeno per l’uomo Dubbio cancerogeno occupazionale Tabella 2: Classificazione di cancerogenicità dei composti chimici che costituiscono l’ABS 57 Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 Rischio fisico Dei pericoli e fattori di rischio dovuti ad agenti fisici si è scelto di porre l’attenzione sulla problematica dei laser, componente fondamentale sul quale è basato il principio di funzionamento di molte tecnologie additive. La normativa di riferimento che regola l’utilizzo dei laser è costituita dal Capo V del Titolo VIII relativo alla protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali, e da varie norme tecniche, dalle quali conseguono le relative protezioni da adottare: – Norma CEI 76-6, 2001: Sicurezza degli apparecchi laser; – Norma UNI EN 207 e 208, 2003: Protezione personale degli occhi; – Norma CEI EN 60825-1, 1995: Sicurezza degli apparecchi laser e classificazione in categorie, o classi, di pericolosità, stabilite sulla base dei LEA (Livelli di Emissione Accessibile). L’analisi effettuata ha evidenziato che l’impiego di laser sul luogo di lavoro, a seconda della rispettiva classe di appartenenza, può introdurre svariate tipologie di rischio (rischio da radiazione ottica, incendio, esplosione, rumore, radiazione collaterale, radiazioni ionizzanti, elettrico, chimico, refrigeranti criogenici), che vanno tutte valutate dal datore di lavoro, ex art. 28 del d.lgs. 81/2008, e rispetto alle quali vanno predisposte le prescrizioni previste dalla normativa, i dispositivi di protezione collettiva (DPC) e individuale (DPI) da adottare e le procedure per lavorare in sicurezza. Conclusioni e sviluppi futuri L’entusiasmo per la novità, che ha portato alcuni ad ipotizzare che la stampa 3D possa rappresentare la terza rivoluzione industriale, non deve portare a trascurare la sicurezza di queste nuove tecnologie additive, aspetto che, come evidenziato, presenta molte problematiche, in quanto non è ancora presente una normativa di riferimento specifica e gli studi ad oggi effettuati svolgendo misurazioni e cam58 pionamenti sui luoghi di impiego sono pochi (alcuni dei quali, tra l’altro, hanno evidenziato possibili pericoli per la salute degli utilizzatori), e le indicazioni fornite dai fabbricanti riguardo all’uso corretto di stampanti 3D e materiali sono spesso lacunose. Per ovviare a tutto ciò, occorre scegliere modelli di stampanti 3D possibilmente a tenuta stagna o equipaggiati con specifici filtri per l’aspirazione di sostanze e particelle, in modo da impedirne la dispersione nell’ambiente di lavoro circostante, e prevedere un locale riservato alle lavorazioni effettuate tramite tecnologie additive, per limitare l’esposizione di lavoratori non adibiti direttamente a tali mansioni, oltre a quanto previsto dalla normativa prevenzionistica vigente. I produttori devono redigere corretti e completi manuali d’uso e manutenzione e SDS dei materiali impiegati, nonché costruire macchine dotate delle adeguate protezioni, mentre i datori di lavoro devono fornire ai lavoratori macchine e materiali sicuri, valutandone correttamente tutti i rischi, e prevedere procedure di lavoro sicure e adeguati formazione, informazione e addestramento ed eventuale sorveglianza sanitaria. L’analisi svolta si pone come base di partenza per ulteriori sviluppi futuri. Emerge, innanzitutto, l’esigenza di ulteriori studi per chiarire il problema della configurazione di un rischio da ignoto tecnologico. A tal proposito, sarebbe auspicabile svolgere campionamenti sui luoghi di effettivo utilizzo delle tecnologie additive, analizzando qualità e quantità delle emissioni delle stampanti 3D. Nel caso risultasse un rischio effettivo da 3D printing, se necessario, occorrerebbe apportare un’integrazione alla normativa prevenzionistica vigente. Un altro problema rilevante è dovuto al fatto che una stessa stampante 3D può essere utilizzata con diversi materiali per fabbricare praticamente qualsiasi oggetto, ponendo la questione della sicurezza e certificazione degli oggetti così creati, in quanto l’utilizzatore della stampante 3D diviene a tutti gli effetti un fabbricante, con i conseguenti obblighi di legge ad esso associati. Sicurezza e nuove tecnologie Progetto Sicurezza 1.2016 In particolare, per quanto riguarda il campo biomedico, nel quale i dispositivi medici, visto il fine al quale sono destinati, devono rispondere a certificazioni e controlli molto accurati e restrittivi, questa questione diviene particolarmente problematica, a maggior ragione alla luce del fatto che si sta già parlando e sperimentando a proposito di dispositivi, protesi e tessuti stampati in 3D, costruiti su misura rispetto a quelle che sono le esigenze dello specifico paziente. Se i dispositivi stampanti in 3D, in quanto dispositivi medici su misura, rientrano nella definizione di dispositivo medico della direttiva CE 93/42, recepita con il d.lgs. 46/1997, si pone la questione della marcatura CE. Se un ospedale ha la proprietà di una stampante 3D interna alla struttura sanitaria e la utilizza a fini di ricerca o training (3D printed model) o per curare i pazienti (3D printed medical device), la struttura sanitaria diventa fabbricante? A questa questione si aggiunge quella dei tessuti stampati in 3D (bioprinting), per i quali occorre stabilire se sono assimilabili a prodotti, dispositivi medici, farmaci o è necessario definire una nuova categoria. Note 1) Cirla A.M., Martinotti I., Cirla P.E., Esposizione ad ABS: i risultati dello studio PPTP – Gomma, Volume degli atti Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma, CIMAL, 30/5/2007. 2) Cavallo D.M., Longhi O., Scarpa M., Lionetti C., Fustinoni S., Esposizione ad ABS: i risultati dello studio PPTP – Plastica, Volume degli atti Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma, CIMAL, 30/5/2007. 3) Stephens B., Azimi P., El Orch Z., Ramos T., Ultrafine particle emissions from desktop 3D printers, Atmospheric Environment 79, 2013. 59 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 RLS: un archivio web dell’azione sindacale per la salute dei lavoratori uu Diego Alhaique *, Nunzia Bellantonio **, Renato Gurin **, Piero Iacono **, Raffaella Modestino ** * Fondazione Giuseppe Di Vittorio del progetto “Repository della documentazione relativa alle lotte ed alle esperienze dei lavoratori per la salute nel lavoro” ** Direzione centrale ricerca, Inail Rls “Repository della documentazione sindacale sulla prevenzione dei rischi e la salute e sicurezza sul lavoro – INAIL” è il risultato di un’attività di ricerca il cui obiettivo è stato quello di recuperare e rendere disponibili alla consultazione i documenti del Crd. L’archivio, così restituito a nuova vita, rappresenta oggi la memoria storica della nascita della cultura e prevenzione dei rischi sul lavoro in Italia. Nella primavera del 1999 stava per essere mandato al macero l’archivio del Crd, Centro ricerche e documentazione rischi e danni da lavoro dell’ex Federazione unitaria Cgil-CislUil (1). L’allarme fu lanciato da Gastone Marri (2), colui che l’aveva ideato e che l’aveva fortemente voluto e poi diretto per tanti anni; sapeva bene quale immensa perdita di memoria documentale una tale evenienza avrebbe comportato. L’archivio giaceva ancora nella sede dove aveva operato (3), che ora stava per essere abbandonata dai Patronati delle tre Confederazioni, che vi erano subentrati con il loro Centro unitario dopo la chiusura del Crd (1984). Claudio Stanzani, che nel 1980 era succeduto a Marri nella direzione del Crd, si adoperò per trovare una soluzione e questa arrivò grazie alla sensibilità di Sergio Perticaroli, allora responsabile del Dipartimento dell’Ispesl (4), 60 nel cui ambito ricadeva la funzione documentazione, che si dichiarò disponibile a ospitare quella montagna di documenti presso l’Istituto. Così l’archivio, che negli anni di abbandono era stato già variamente saccheggiato, venne sistemato – molto alla rinfusa, purtroppo – dentro un centinaio di scatoloni e, insieme con la cassetta di legno che conteneva il prezioso soggettario, trasferito alla biblioteca dell’Ispesl a Monteporzio Catone (Roma). Il salvataggio era riuscito, ma l’archivio era ancora praticamente inaccessibile e inutilizzabile. Nel 2005, nell’approssimarsi del centenario dalla sua fondazione (1906), la Cgil stava preparando il programma delle celebrazioni. Tuttavia, il tema “ambiente di lavoro” era del tutto assente tra quelli cui erano dedicati gli eventi che si andavano profilando, mentre era stato il leitmotiv di una lunga stagione di lotte e di con- Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 quiste contrattuali e legislative da metà degli anni Sessanta a tutto il decennio Settanta del Novecento. Perciò fu proposto di lanciare e di realizzare, insieme con Cisl e Uil, un progetto per il riordino, la digitalizzazione e la messa a disposizione sul web di quel grande patrimonio documentale delle lotte e delle vertenze operaie per il controllo dell’ambiente di lavoro, rappresentate dall’archivio dell’ex Crd, per riportarlo alla luce e farne una base per un centro documentale delle odierne iniziative sindacali nella stessa materia. Nello stesso anno, un progetto ad hoc, elaborato e condiviso con Cisl e Uil, fu così sottoposto all’attenzione dell’ex Ispesl affinché valutasse la possibilità di inserirlo nei suoi piani di ricerca. La proposta fu accolta dall’Istituto, ma il relativo finanziamento si è reso disponibile solo nel 2010, anno in cui è stato emanato dall’Istituto il bando di gara per l’attuazione. Ne è risultato assegnatario l’Ires Cgil, Istituto ricerche economiche e sociali (5), con un progetto triennale che è stato svolto in partenariato con Sindnova (Cisl), Istituto per lo studio dell’innovazione, delle trasformazioni produttive e del lavoro e Ancs Uil, Associazione nazionale cooperazione sociale. Il progetto si è concluso nel settembre 2015. Il movimento per l’ambiente di lavoro e il Crd Oggi quasi nessuno ne conosce più la storia, ma la cultura della prevenzione dei rischi sul lavoro nacque e si diffuse in Italia per merito del Crd, che fu il motore del grande miglioramento dell’ambiente di lavoro ottenuto dal movimento sindacale, nel decennio centrale della seconda metà del secolo scorso, attraverso storiche conquiste a difesa della salute dei lavoratori. Il Crd nacque, infatti, nella temperie delle lotte operaie e sindacali contro la nocività degli anni Settanta. Queste erano il portato dell’elaborazione del decennio precedente, con cui il sindacato era approdato a una rivoluzione copernicana nella lotta per la salute nelle fabbriche. Secondo i concetti e il linguaggio di allora: non più “monetizzazione” dei rischi (paghe di nocività), ma la loro prevenzione, fondata sulla conoscenza dell’ambiente di lavoro e sull’esperienza dei lavoratori (c.d. “soggettività operaia”), in particolare da parte del “gruppo operaio omogeneo” (così definito perché esposto agli stessi rischi nella medesima lavorazione). Gli operai non delegano più ai tecnici l’individuazione dei fattori di nocività dell’ambiente di lavoro (riguardo a rischi fisici, chimici, microclima, fatica, ritmi, ecc., inquadrati in “quattro gruppi di fattori”), ma sono loro stessi – attraverso una metodologia propria (“indagini ambientali” e “mappa dei rischi”) – a indicarli ai tecnici, chiedendone l’eliminazione, mentre le misure di prevenzione devono essere condivise dai lavoratori (“validazione consensuale”) e quindi rivendicate al datore di lavoro. Il modello strategico si fondava dunque sull’azione diretta dei lavoratori. Si partiva dalle indagini ambientali, per lo più autogestite dai gruppi operai omogenei, per definire una piattaforma rivendicativa, che scaturiva quindi “dal basso” e richiedeva non solo macchine e impianti sicuri e l’abbattimento dell’esposizione alle sostanze pericolose, ma anche cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, il riconoscimento del diritto all’informazione sui rischi e un organismo di rappresentanza sindacale specifica sui problemi dell’ambiente di lavoro (c.d. “commissione ambiente”). La dispensa “L’ambiente di lavoro” (6), edita prima dalla Fiom, il sindacato dei metallurgici della Cgil, nel 1969 e poi dalla federazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici (Flm) nel 1971, fece conoscere questo “modello operaio” (così venne denominato) in migliaia di fabbriche. Forse la pubblicazione sindacale più diffusa di sempre, divenne la bibbia del “movimento per l’ambiente”, portatore di una nuova cultura della prevenzione, segnata da storiche conquiste sindacali nei contratti (diritto a strumenti informativi sull’ambiente di lavoro, quali i registri dei dati ambientali e biostatistici e i libretti individuali sanitari e di rischio, le “commissioni ambiente”) e nella legislazione (art. 9 dello Statuto dei lavoratori: diritto a partecipare alla prevenzione in azienda e la riforma sanitaria, basata sugli stessi principi e metodi di pre61 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 venzione delle conquiste operaie) e concreto veicolo di crescita culturale e politica per milioni di lavoratori e delegati. Il Crd Il Crd fu lo strumento di elaborazione della linea sindacale per il controllo dell’ambiente di lavoro, di conoscenza e di diffusione delle esperienze e delle lotte contro la nocività delle condizioni di lavoro. Marri era riuscito a creare il Crd già nel 1966 nel patronato Inca Cgil, insieme con “Rassegna di Medicina dei Lavoratori”, nata come supplemento della rivista “L’Assistenza Sociale” (7). Poi, alla conferenza di Rimini (8), al culmine di quel movimento, la mozione conclusiva, allo scopo di garantire un metodo comune nell’affrontare la tematica dell’ambiente, indicò, tra le altre, la scelta di istituire un “Centro di documentazione nazionale che assicurasse la più ampia e continua socializzazione delle esperienze e delle conoscenze”. Coerentemente con tale indicazione, nel 1974 fu costituito, dai Patronati sindacali delle tre Confederazioni, il Centro ricerche e documentazione rischi e danni da lavoro (Crd), divenuto poi struttura dalla Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, che operò fino al 1984 quale strumento per la raccolta e la diffusione delle esperienze e delle lotte operaie e sindacali contro la nocività. Al Crd si rivolgevano consigli di fabbrica e altre rappresentanze sindacali aziendali e territoriali, patronati, strutture socio-sanitarie degli enti locali, università, enti e istituzioni di ricerca e di servizio, anche estere, che operavano nel campo della salute ambientale (9). Il Crd svolse anche un ruolo di elaborazione e di riflessione sul tema del controllo sindacale dell’ambiente di lavoro, principalmente attraverso la rivista “Medicina dei lavoratori” (trasformazione della testata dell’Inca “Rassegna di medicina dei lavoratori”), che fu a lungo autorevole punto di riferimento per tutto il movimento sindacale e per quanti, anche al di fuori del sindacato, si impegnarono nelle lotte per la salute e la realizzazione della riforma sanitaria. 62 Il progetto di recupero e i suoi risultati L’obiettivo del progetto è stato quello di recuperare e rendere disponibili alla consultazione i documenti del Crd, pubblicare in un apposito sito web tale documentazione storica e mettere a disposizione dei sindacati, dei lavoratori e dei loro rappresentanti un centro di documentazione ove conferire le attuali e le future esperienze nel campo della salute e sicurezza sul lavoro. Infatti, il recupero di gran parte dell’archivio dell’ex Crd è stato concepito come la rivitalizzazione delle radici su cui si è fondato e si è andato sviluppando nei decenni successivi l’impegno delle organizzazioni sindacali per la tutela della salute dei lavoratori. A tal fine è stato ritenuto opportuno prevedere nel Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 sito web ove sono stati resi disponibili i documenti dell’ex Crd la possibilità di raccogliere e diffondere il materiale successivo alla chiusura del Crd, ai fini di costruire non solo un archivio, ma un centro di documentazione dotato di continuità cronologia e capace di essere uno strumento attuale, aggiornato, partecipato, funzionale allo sviluppo delle tutele dei lavoratori e di cui si sente da più parti e da tempo l’esigenza. La sua realizzazione si è svolta nell’arco di tre annualità, a partire da settembre 2011. Tutte le fasi sono state condotte in maniera coordinata con il gruppo di ricerca della Direzione centrale ricerca dell’Inail, che, in particolare, ha curato gli aspetti informatici e quelli strettamente biblioteconomici e documentali. Alla conclusione del progetto, nel portale dell’Inail sarà disponibile un applicativo denominato con l’acronimo Rls. Questa sigla, con cui si indica oggi il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, figura prevista dalla legge in tutti i luoghi di lavoro, è stata scelta per richiamare l’importanza della partecipazione dei lavoratori alla prevenzione, ma nel nostro caso sta per “Ricerca e salute dei lavoratori – Repository” e, per esteso, “Repository della documentazione sindacale sulla prevenzione dei rischi e la salute e sicurezza sul lavoro – Inail” (10). In Rls è consultabile online un repository con una “comunità” di oltre duemila documenti, codificati con la sigla originaria “DO”, dell’archivio dell’ex Crd e altre comunità che raccolgono pubblicazioni fondamentali (es. la dispensa “L’ambiente di lavoro” e gli atti della citata Conferenza di Rimini), catalogati secondo gli standard internazionali e con possibilità di ricerca attraverso le voci dei thesaurus (11) più diffusi in materia, unitamente alle collezioni complete delle riviste Rassegna di Medicina dei Lavoratori e Medicina dei Lavoratori (1968-1996). In un prossimo futuro, oltre a quella storica, Rls comprenderà una documentazione significativa delle iniziative sindacali successive la chiusura del Crd fino ad oggi e sarà aggiornato attivando la raccolta della documentazione delle esperienze svolte attualmente dai lavoratori nella partecipazione alla tutela della loro salute e sicurezza, attraverso un sistema di pubblica proposizione on line. I DO non sono risultati sempre singoli documenti, ma spesso veri e propri dossier, che raccolgono diversi documenti appartenenti ad una stessa tematica (indagini, inchieste, interventi sui rischi, elaborati teorici sulla metodologia d’intervento, libretti individuali di rischio e registri dei dati ambientali e biostatistici, mappatura dei rischi, analisi dei contenuti degli accordi e dei contratti, ecc.) o ad essa direttamente o indirettamente connessi. Ciò ha fatto sì che, quando ci si è trovati di fronte ad un dossier (più di un documento), nella scheda di catalogazione si è scelto di immettere tutti i dati (autore, titolo, ecc.) riguardanti il documento ritenuto il più importante o il “caposti63 Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 pite” (perché conteneva la maggior parte delle informazioni sulla tematica o perché la riassumeva o comunque era il risultato di un’attività, ecc.) e di elencare gli altri documenti presenti nella voce “sommario”. Ad esempio, nel caso di un’indagine sull’ambiente di lavoro, si è catalogato il documento che ne riassume i risultati e si è descritto nella voce sommario il carteggio tra Crd e consiglio di fabbrica o gli articoli sulla pubblicazione sindacale che ne riportava la notizia. Tra tutti i documenti pervenutici dell’archivio dell’ex Crd (12), i duemila DO catalogati sono stati selezionati secondo tre criteri. Un primo gruppo, consistente in circa cinquecento DO, tutti quelli pubblicati nella rivista “Medicina dei lavoratori” e perciò presunti importanti; un secondo gruppo di altri circa cinquecento DO, scelti allo scopo di rappresentare l’arco dei temi non tutti riguardanti direttamente la salute sul lavoro trattati dal Crd, che testimoniano la sua appartenenza e partecipazione alla vita del movimento sindacale nel senso più ampio; un terzo gruppo, di più di mille DO, strettamente attinenti alla lotta contro la nocività e per la riforma sanitaria, dalle elaborazioni teoriche (diversi i manoscritti di Marri) alle azioni concrete, quali le indagini ambientali di fabbrica, le iniziative delle commissioni ambiente, le vertenze e gli accordi aziendali e territoriali. Per la gestione del repository di Rls si è utilizzato Dspace, un software open source che rappresenta una soluzione estremamente completa per questo tipo di archivi (13). Dspace è il software più usato a livello mondiale per i repository (14) accademici e le sue caratteristiche tecniche permettono di garantire, tra l’altro, la conservazione dell’informazione nel lungo periodo, l’accesso all’informazione archiviata in una forma coerente con le esigenze degli utenti del sistema, dati in formato digitale di qualsiasi tipo, uso di metadati standard come Dublin Core (15), ricerca mediante thesaurus, possibilità di organizzare le risorse distinte per collezioni, processo di proposta di immissione di documenti (submissing) automatizzato, la possibilità di reperire statistiche di accesso al sistema, identificatori persistenti at64 ti a garantire la preservazione dell’informazione e spazio riservato all’utente autorizzato in cui poter memorizzare i percorsi di ricerca dei documenti selezionati. Tutti i documenti sono stati indicizzati mediante quattro thesauri: il soggettario storico del Crd, di oltre quattrocento voci; il thesaurus Cis, pubblicazione a stampa dell’Ilo/Cis di Ginevra, risalente al 1976 e che costituisce lo strumento per l’indicizzazione dei documenti da inserire nella produzione del Bollettino Ilo/ Cis e del corrispondente archivio elettronico, ancora la più autorevole lista di descrittori in materia; il thesaurus dall’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (Euosha): vocabolario multilingue e strumento di riferimento in materia; la classificazione Ateco-Nace 2007 delle attività produttive e dei principali settori economici. Il valore dell’archivio L’archivio dell’ex Crd, così restituito a nuova vita, rappresenta oggi la memoria storica di un’esperienza di ricerca collettiva, condotta da una comunità scientifica ristretta, appartenente a diverse discipline, allargata a una comunità scientifica non specializzata, ma fondata su una democrazia che faceva leva sull’unificazione dei linguaggi per cercare insieme soluzioni importanti sul piano applicativo, quali l’individuazione, la valutazione, la selezione, la misurazione, la registrazione e l’eliminazione dei rischi. I materiali dell’archivio del Crd documentano numerosissime realtà in cui la valutazione dei rischi è stata compiuta attraverso una partecipazione operaia che ha consentito di individuare e realizzare le misure per eliminarli. La possibilità ora di poterli consultare non solo permette la ricerca e lo studio su un’epoca in cui i lavoratori, attraverso forme dirette d’impegno e partecipazione, diedero un grande impulso allo sviluppo della democrazia e della società italiana, ma offre anche la possibilità agli odierni rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di trarre utili suggerimenti da quel metodo e da quelle esperienze. Sicurezza Progetto Sicurezza 1.2016 Note 1) La sigla prevedeva formalmente i trattini d’unione. 2) Gastone Marri (Massa Lombarda, Ravenna 1921 Roma 2006) è stato figura eminente e ascoltata della Cgil del periodo più ricco e intenso della partecipazione diretta dei lavoratori alle lotte di fabbrica che migliorarono le condizioni di lavoro, videro l’acquisizione di rilevanti diritti, sia nei contratti nazionali di categoria sia nella legislazione, ed esercitarono una forte influenza sui principi fondanti del Servizio sanitario nazionale e sulla cultura della medicina del lavoro. La sua opera è testimoniata da un’amplissima produzione, che con il recupero dell’archivio dell’ex Crd, di cui qui di seguito diamo conto, potrà essere inventariata e studiata. 3) Il Crd si trovava a Roma, in viale Regina Margherita, in un appartamento al primo piano di un vecchio palazzo umbertino, sopra il cinema Empire, ora chiuso. 4) L’Ispesl, Istituto superiore per la salute e la sicurezza sul lavoro, è stato sciolto nel 2010 e le sue funzioni sono state assorbite nell’Inail. 5) Attualmente l’Ires si è fuso con altri due istituti della Cgil, l’Associazione Bruno Trentin e l’Isf, per dar vita ad un unico istituto sindacale di ricerca e formazione, la Fondazione Giuseppe Di Vittorio. 6) La sua validità è ancora attuale per il metodo e per la grafica, anch’essa ancora straordinariamente efficace. Tanto che, nell’ambito della campagna europea del 2006 per la salute e la sicurezza sul lavoro dedicata ai giovani lavoratori, l’Inail accolse la proposta sindacale di realizzarne una stampa anastatica, facendone larga diffusione. La ristampa era presentata da Cgil, Cisl e Uil e dedicata alla memoria di Gastone Marri, appena scomparso, e conteneva una testimonianza di Ivar Oddone sulle origini della dispensa, oltre a una guida essenziale sul diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro secondo l’odierna normativa. 7) Il primo numero di “Rassegna di Medicina dei Lavoratori” è del nov.-dic. 1968. I redattori sono Rosario Bentivegna (grandissima figura di medico del patronato Inca Cgil e medaglia d’argento della Resistenza) e Gastone Marri. Nella presentazione, si motiva la nascita del supplemento come risposta all’esigenza da tempo maturata dai lavoratori di una trattazione sistematica dei problemi della prevenzione e della medicina legale e del lavoro e si dichiara che il suo nome sta proprio a sottolineare che la neonata rivista sta dalla parte dei lavoratori e che si sforzerà pertanto di attenersi a questa impostazione concettuale: 1) l’ambiente di lavoro come causa di malattia; 2) la partecipazione diretta, organica e responsabile dei lavoratori al processo di identificazione e quantificazione dei rischi e dei danni e alla elaborazione di alternative tecnologiche non nocive. Tutto ciò come condizione preliminare di responsabilizzazione e di liberazione dal condizionamento attuale dei tecnici, degli scienziati e degli enti preposti allo studio della difesa della salute; 3) la “validazione consensuale”, da parte dei lavoratori, delle condizioni ambientali di lavoro, come metodo e strumento di controllo e di contrattazione. 8) Fabbrica e salute. La tutela della salute nell’ambiente di lavoro, Atti della conferenza nazionale Cgil-CislUil, Rimini, 27-30 marzo 1972, SEUSi, Roma, 1972. 9) A. Bonin e S. Gloria, La domanda sindacale di iniziativa sull’ambiente di lavoro: una rilevazione, «Quaderni di Rassegna Sindacale», n. 83, 1980, pp. 99-114. 10)Dal punto di vista tecnico, un repository (in italiano deposito o ripostiglio) è un ambiente di un sistema informativo, in cui vengono gestiti dei metadati, attraverso tabelle relazionali. Un metadato è un’informazione che descrive un insieme di dati. Dal punto di vista dell’utente un repository è sostanzialmente un archivio web. 11)In informatica si indica con “thesaurus” l’insieme delle parole chiave che danno accesso a una banca dati o a vocabolari (con elenchi di sinonimi) associati a programmi di videoscrittura. 12)Come s’è accennato, negli anni di abbandono tra la chiusura del Centro e il salvataggio presso la biblioteca dell’ex Ispesl, l’archivio è stato ampiamente saccheggiato. 13)Dspace è un software open source, scritto in java, distribuito con licenza BSD (Berkeley Software Distribution), sviluppato in collaborazione dai laboratori Hewlett-Packard e dal MIT tra il marzo del 2000 e il novembre del 2002. 14)Come attestano i dati statistici reperibili su OpenDoar, Dspace si attesta su una percentuale pari al 43,1%. Esso, inoltre, soddisfa pienamente le specifiche tecniche definite dallo standard ISO 14721 (modello Open Archival Information System). 15)Il Dublin Core (dal nome della città americana nell’Ohio) è un sistema di metadati costituito da un nucleo di elementi essenziali ai fini della descrizione di qualsiasi materiale digitale accessibile via rete informatica. 65 Dispositivi di protezione individuale Progetto Sicurezza 1.2016 Calzature antinfortunistiche e salute del piede: un binomio rilevante uu Nicola Perrino Tecnico ortopedico, professore a contratto del Corso di Laurea in Tecniche Ortopediche presso la Statale di Milano Nell’ambito delle calzature antinfortunistiche non esiste un plantare universale adatto ad ogni piede e consono ad ogni patologia. La soluzione consigliata è la costruzione su misura di una calzatura (dispositivo di protezione individuale) che inizia con un’attenta valutazione della postura, una corretta analisi del passo e una misurazione del piede computerizzata ll DPI è un obbligo di legge La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori ha subito negli ultimi anni un’importante evoluzione con l’emanazione del d.lgs. 81/2008, che impone al datore di lavoro di identificare i DPI (dispositivi di protezione individuale) idonei alla protezione dei lavoratori. Il datore di lavoro stesso deve assicurarsi che il DPI abbia i requisiti essenziali di salute e sicurezza, che sia adeguato ai rischi da prevenire, alla loro entità, allo specifico ambiente di lavoro e che sia rispondente alle esigenze ergonomiche e/o di salute del lavoratore. Tuttavia il DPI, oltre a garantire i parametri di protezione per cui è progettato, deve essere necessariamente comodo. La scarpa, che è compagna di lavoro, deve permettere all’utilizzatore di muoversi in completa sicurezza e comodità. Spesso, per soddisfare i parametri di protezione stabiliti si utilizzano DPI con misurazioni standard. Ma cosa succede nei casi di piedi “fuori misura”? Come può un puntale stan66 dard adattarsi a piedi dalle misure o proporzioni non ordinarie? Come ci si comporta con piedi particolarmente sensibili o affetti da patologie e/o infiammazioni fastidiose? Metatarsalgia, alluce valgo, tallonite, spina calcaneare, fascite plantare, piede piatto, piede diabetico: sono solo alcuni dei piccoli e grandi acciacchi di cui il piede può essere vittima. Una scarpa di serie, in circostanze simili, non è in grado di garantire una soluzione adeguata, anzi, può causare un progressivo peggioramento della patologia. Risulta importante, in situazioni simili, rivolgersi ad medico competente, che in sinergia con un tecnico ortopedico specializzato individuerà e progetterà una calzatura adeguata alle esigenze funzionali e di protezione. Quando un DPI diventa anche dispositivo medico? Una determinata patologia, una naturale deformazione o, semplicemente, un piede Dispositivi di protezione individuale Progetto Sicurezza 1.2016 particolarmente voluminoso possono rendere fastidioso, e spesso molto doloroso, l’utilizzo di una calzatura antinfortunistica di serie. In questi casi è vivamente consigliato un dispositivo medico di protezione costruito su misura, così da garantire la massima sensazione di comodità e, di conseguenza, una migliore prestazione lavorativa. Sono sempre più numerose le aziende europee che commissionano ai centri ortopedici la realizzazione di calzature antinfortunistiche su misura. Questo succede perché i prodotti standard possono non soddisfare i requisiti di buona calzabilità oppure, semplicemente, necessitano di alcune caratteristiche correttive. Un sistema laser permette di acquisire le misure con estrema precisione senza effettuare calchi in gesso, a volte fastidioso e poco tollerato, sui pazienti 67 Dispositivi di protezione individuale Progetto Sicurezza 1.2016 Il plantare permette di far assumere una posizione corretta e consente al carico di distribuirsi in modo uniforme su tutto il piede Il tecnico ortopedico Il tecnico ortopedico è la figura professionale abilitata ad erogare un Dispositivo medico come plantare e scarpe, collabora in simbiosi con il medico competente per una risoluzione adeguata e una seria valutazione preventiva per scegliere la soluzione più idonea: scarpa su misura, un plantare o entrambi i dispositivi. Risulta assolutamente necessario, per la costruzione di un plantare su misura efficace, definire i punti di maggior pressione in statica e in dinamica con un esame baropodometrico, ricostruire i volumi del piede in 3D con precise misurazioni laser ed effettuare le opportune correzioni sul modello virtuale senza scomodare il paziente. Il risultato sarà una scarpa perfettamente disegnata sul piede dell’operatore, con tomaia traspirante, suola, plantare quando necessario, puntale su misura in fibra di carbonio che accoglie e protegge le dita nel migliore dei modi. gono applicati dei sensori all’interno della scarpa per verificare il corretto esercizio della calzatura. I successivi incontri programmati verificheranno, a consegna avvenuta, il corretto utilizzo del dispositivo garantendo l’efficacia nel tempo. La tecnologia al servizio dell’ortopedia e il monitoraggio del DPI/DM Prima di completare il confezionamento della calzatura e del plantare verifichiamo che il dispositivo soddisfi tutti i requisiti richiesti e che il plantare scarichi in modo corretto il peso corporeo. Con la valutazione baropodometrica si misura la pressione che il piede esercita al suolo con e senza il dispositivo medico (DM). Inoltre ven68 Da cosa derivano eventuali insuccessi di un DM Oltre ad una valutazione iniziale non adeguata, o ad una realizzazione del DM affidata a centri non specializzati, il presidio potrebbe anche non essere efficace a causa di un cattivo uso da parte dell’utente. La persona che utilizza il dispositivo medico deve essere sot- Dispositivi di protezione individuale Progetto Sicurezza 1.2016 L’esame baropodometrico rileva i dati durante la camminata e definisce i punti di maggior pressione in statica e dinamica toposta a periodici controlli programmati ed è cura del tecnico ortopedico preoccuparsi che il monitoraggio venga effettuato con regolarità. serie possono rivelarsi scomode. La soluzione consigliata è la costruzione su misura di un prodotto che inizia con un’attenta valutazione della postura, una corretta analisi del passo e una misurazione del piede computerizzata. Differenza tra su misura e preformato Quando si parla di salute non ci sono mezze misure. È assolutamente opportuno seguire le procedure migliori per avere dei risultati certi. Non esiste un plantare universale, adatto ad ogni piede e consono ad ogni patologia, così come le scarpe di Centro Ortopedico Rinascita – Chi siamo Dal 1984 il Centro Ortopedico Rinascita realizza le migliori soluzioni ortopediche per il bambino e l’adulto. Nel 1990 siamo il primo centro in Lombardia ad introdurre l’analisi del passo computerizzato. Lo studio e le soluzioni per il benessere del piede sono, ancora oggi, una nostra eccellenza. In collaborazione con i migliori medici diabetologi italiani, abbiamo fatto passi da gigante anche nella prevenzione delle patologie del piede diabetico. 69 Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 Il prontuario del rischio incendio: principali definizioni dei fenomeni e rassegna di casi pratici uu Carlo Ortolani Vicepresidente vicario Cineas In collaborazione con Cineas (consorzio universitario non profit, fondato dal Politecnico di Milano), forniamo un prontuario in merito alle principali definizioni legate al rischio incendio: casi esemplificativi e risvolti pratici Definizione di “flash point” Il “flash point” (in italiano “punto di infiammabilità”, espresso in gradi centigradi) è la temperatura più bassa alla quale il vapore sviluppato da un liquido combustibile forma con l’aria una miscela che si infiamma (flash) per l’azione di una opportuna sorgente di accensione. Casi esemplificativi. Il “flash point” della benzina commerciale è pari a [-40°C]; quello del gasolio per autotrazione pari a +55°C. Tutti i combustibili liquidi sono classificati in base al valore del “flash point”. Per esempio la classificazione anglosassone distingue tra: – liquidi “combustili”, con punto di infiammabilità superiore a 60°C; – liquidi “infiammabili”, con punto di infiammabilità compreso fra 32°C e 60°C; – liquidi “altamente infiammabili”, con punto di infiammabilità compreso fra 0°C e 32°C. Risvolti pratici. Un tentativo di incendio doloso (con dolo dell’assicurato) attuato versan70 do benzina in un locale commerciale chiuso si è risolto in un’esplosione (e non in un semplice incendio). Infatti la benzina (avente basso “flash point”) evapora molto facilmente a temperatura ambiente generando una miscela combustibile aria/vapori di benzina che, accesa, in luogo chiuso causa un aumento di pressione sicuramente incompatibile con la resistenza della struttura edilizia. Definizione di temperatura-limite (inferiore e superiore) In un serbatoio di liquido combustibile, se la temperatura è più bassa della cosiddetta temperatura-limite inferiore, la concentrazione dei vapori di combustibile al di sopra del pelo libero è inferiore al limite inferiore di infiammabilità (e quindi la miscela non può accendersi); se la temperatura è superiore alla temperatura-limite superiore, invece, detta concentrazione è superiore al limite superiore di infiammabilità (e quindi, ancora, la miscela non può accendersi). Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 Quindi al di sotto della temperatura-limite inferiore e al di sopra della temperatura-limite superiore la miscela di aria e vapori di combustibile non può reagire perché si trova al di fuori dei limiti di infiammabilità, cioè troppo povera o troppo ricca di combustibile. Quest’ultimo, ad esempio, è il caso della comune benzina commerciale che, avendo una temperatura-limite inferiore di -40°C ed una temperatura -limite superiore di -7°C (cioè inferiore alla normale nostra temperatura ambiente e al livello del mare), può essere stoccata con sicurezza poiché la miscela gassosa non è infiammabile al di sopra di un liquido la cui temperatura-limite superiore è inferiore alla temperatura ambiente. Qualora invece la temperatura ambiente scendesse al di sotto della temperatura di -7°C, lo stoccaggio della benzina richiederebbe particolari cautele. Non vi è rischio di esplosione nei serbatoi di liquidi combustibili la cui temperatura-limite superiore è sempre inferiore alla temperatura ambiente. Nel caso del benzene (C6H6) le temperature-limite valgono: – inferiore: -12°C; – superiore: +15°C. I limiti volumetrici di infiammabilità in aria (campo di infiammabilità) valgono: – 1,3% (inferiore); – 7,8% (superiore). Quindi con temperatura ambiente compresa tra -12 e +15°C l’esplosione è possibile (naturalmente in presenza di un adeguato innesco). L’energia di accensione in condizioni stechiometriche è molto modesta: 0,55 mJ e l’energia minima di accensione vale addirittura: 0,21 ÷ 0,22 mJ. Nella stragrande maggioranza dei casi il comburente è costituito dall’ossigeno presente nell’aria. Risvolti pratici. Il campo di infiammabilità del gas naturale (metano) in aria varia dal 5 (limite inferiore) al 15% (limite superiore, entrambi in volume). Cioè in un ipotetico volume di 100 m3 bisogna introdurre almeno 5 m3 per raggiungere il limite (inferiore di infiammabilità). Attenzione: il raggiungimento del limite inferiore di infiammabilità non è garanzia di sicurezza. Anche introducendo solo 3 m3 di metano (meno di 5 m3) può esserci pericolo di esplosione perché in realtà la non omogeneità del sistema reale (i fenomeni di diffusione fra gas sono lenti) comporta che in qualche punto del volume possono realizzarsi rapporti di miscela localmente compresi nel campo di infiammabilità (maggiori del 5% e minori del 15%). Casi esemplificativi. In un serbatoio, durante operazioni quali la raccolta di un campione di liquido o la misura del livello del liquido stesso mediante un’asta metallica graduata, può aversi un’esplosione. È nota l’esplosione di un serbatoio di alcool etilico (temperature-limite rispettivamente di +11°C e +41°C) durante la verifica del livello, all’atto dell’introduzione, attraverso l’apposita apertura, di un decametro metallico flessibile. Durante le operazioni di svuotamento di un serbatoio l’inevitabile entrata di aria nel serbatoio abbassa la concentrazione del vapore combustibile. Se il serbatoio contiene un liquido molto volatile che – in equilibrio – crea un’atmosfera troppo ricca per poter reagire, l’introduzione di aria può riportare il rapporto di miscela all’interno del campo di infiammabilità con possibilità di esplosioni anche molto gravi (come noto sperimentalmente, per esempio, nel caso dei serbatoi di benzina commerciale). Concetto di energia di accensione L’energia minima di accensione di una miscela combustibile gassosa è molto modesta, ma è fortissima la variabilità dell’energia di accensione con il rapporto di miscela. Se la miscela diviene più povera o più ricca del valore stechiometrico l’energia di accensione aumenta dapprima gradualmente e poi bruscamente. In prossimità dei limiti di infiammabilità l’energia di accensione cresce anche di diversi ordini di grandezza (10, 100 volte e più). 71 Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 Risvolti pratici. Attorno alle condizioni stechiometriche, l’energia minima di accensione ha normalmente valori estremamente bassi (dell’ordine addirittura dei millesimi di Joule, mJ). Ciò significa che “basta pochissimo” per accendere una miscela gassosa: per esempio, una modesta scintilla causata dall’urto di un utensile metallico, la modesta scarica elettrica (elettricità statica) dovuta allo sfregamento di un indumento di tessuto artificiale. È per questo motivo che in alcune attività è richiesto l’impiego di attrezzi antiscintilla o di indumenti di cotone (antistatici). Definizioni: la distinzione fra esplosione e scoppio Si parla di esplosione solo in presenza di fenomeni di combustione. Negli altri casi si parla di scoppio (scoppio, cioè cedimento meccanico di una bombola contenente un gas in pressione). Quando si fa il collaudo di una bombola (per verificare che resista ad una determinata pressione) la si riempie di un liquido (normalmente acqua) e non di un gas, in quanto, essendo il liquido incomprimibile se la bombola dovesse collassare (rompersi) non succede nulla. Se la bombola fosse invece piena di gas si avrebbero pericolosi frammenti metallici lanciati in ogni direzione. Un liquido (teoricamente incomprimibile) per effetto di differenze anche forti di pressione varia di pochissimo il proprio volume. Un gas invece è fortemente comprimibile e quindi in genere associa fortissime variazioni di volume specifico alle variazioni di pressione (compressioni o decompressioni). Definizioni: deflagrazione e detonazione Non ha senso chiedersi se la miscela metano-aria reagisca per deflagrazione o per detonazione. Non dipende dalla natura della miscela, ma dalle “condizioni al contorno”. Tipica condizione al contorno è la geometria: non 72 si hanno detonazioni nelle geometrie sferiche, ma nei lunghi tubi, con lunghezza L molto maggiore del diametro D. Questo è il motivo per cui non sono documentate detonazioni di miscele gassose in edifici civili e/o industriali. La detonazione, a differenza della deflagrazione, comporta sempre un forte aumento di pressione (circa 20 volte nel caso di miscele gassose di idrocarburi), indipendentemente dalle condizioni di confinamento. Gli esplosivi solidi (dinamite, tritolo, ecc.), se opportunamente innescati (con un sistema detto detonatore), reagiscono per detonazione con forte aumento di pressione e con violenza dell’esplosione (aumento nel tempo della pressione) fortissima. Casi esemplificativi. Il 21 settembre 1921 ad Oppau, in Germania, l’esplosione di 4500 t di una miscela di solfato di ammonio (NH4)2SO4 e nitrato di ammonio NH4NO3, presso la Badische Anilin und Soda Fabrik (B.A.S.F.), causò 430 morti e la distruzione di 1000 case. L’onda d’urto provocò danni alla distanza di oltre 50 km. Il 21 settembre 2001 nella fabbrica di concimi del gruppo TotalFinaElf (T.F.E.) a Tolosa, in Francia, si ebbero 30 morti, 4500 feriti (di cui 34 gravi), 10.000 famiglie senza tetto per l’esplosione di un quantitativo di nitrato di ammonio (NH4NO3), stoccato provvisoriamente in un deposito dello stabilimento, equivalente a 70 t di tritolo. L’esplosione generò un cratere di 65x54 m. Il danno è stato stimato in 1,8 miliardi di euro. Esplosioni da gas e da polveri Poiché la combustione avviene sempre in fase gassosa, quando parliamo di gas combustibili comprendiamo anche i vapori dei liquidi combustibili (a bassa temperatura di “flash point”, come la benzina commerciale). Un combustibile solido più o meno finemente suddiviso (polverizzato) si comporta come un gas e può quindi provocare esplosioni (le cosiddette esplosioni da polvere) con conseguenze altrettanto gravi. Per esempio: Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 esplosioni da farina, da polverino di carbone, ecc. Deflagrazione in volume chiuso o parzialmente confinato Ogni fenomeno di combustione genera gas combusti (prodotti della combustione) ad elevatissima temperatura che quindi debbono po- tersi espandere. Se tale espansione è possibile la pressione rimane costante (combustione normale o deflagrazione). Se invece l’espansione è in tutto o in parte contrastata (deflagrazione in volume chiuso o in volume parzialmente confinato) la pressione aumenta (anche di 7-8 volte in volume chiuso) con conseguenze spesso catastrofiche. Non interessa solo il valore massimo raggiunto dalla pressione, ma anche la velocità con 73 Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 Cineas, scuola di formazione manageriale nella gestione del rischio e del sinistro Cineas è il Consorzio universitario non profit, fondato dal Politecnico di Milano nel 1987, con la mission di: – diffondere cultura e formazione manageriale nella gestione globale dei rischi e dei sinistri; – creare nuove competenze e professionalità altamente specializzate; – essere la cerniera tra il comparto assicurativo, il settore industriale, le istituzioni, l’area della sanità e il mondo accademico. Oggi il Consorzio annovera 59 soci di cui 6 atenei, primarie compagnie di assicurazione, associazioni di categoria, studi professionali, broker e il mondo industriale. Dalla sua costituzione, Cineas ha formato circa 2000 manager del rischio che rivestono ruoli di prestigio nelle principali aziende industriali e sanitarie del mercato. Attualmente, Cineas organizza 8 master annuali: Risk engineering e risk management nelle imprese, Bank and insurance financial risk management, Environmental risk assessment and management, Loss adjustment basic on line, Loss adjustment advanced, Expert loss adjuster, Hospital risk management e Life skills. Inoltre, sui temi del risk management e della gestione dei sinistri, il consorzio sviluppa percorsi formativi ad hoc progettati su misura in base alle esigenze dell’azienda cliente. La faculty Cineas è composta da circa 250 professionisti provenienti sia dal mondo accademico che da quello aziendale e consulenziale. cui aumenta la pressione (velocità detta violenza dell’esplosione). Le pressioni che si raggiungono in una deflagrazione in volume chiuso non sono mai compatibili con le capacità di resistenza delle normali strutture edilizie civili e/o industriali. L’aumento di pressione può portare al collasso le pareti di tamponamento e anche quelle portanti. Come difendersi da una deflagrazione Le aperture di ventilazione, necessarie per limitare l’aumento di pressione, hanno dimensioni notevoli (per es. per “proteggere” un volume cubico serve un’apertura avente le dimensioni di un’intera faccia del cubo). Le dimensioni delle aperture di ventilazione dipendono dalla violenza dell’esplosione (che dipende dalla natura del gas combustibile e dal volume). A parità di miscela le esplosioni più violente si verificano nei recipienti di minor volume. Con le aperture di ventilazione non è MAI possibile difendersi dalle sovrappressioni generate da una detonazione! stituite da normali finestre o da intelaiature a vetri cieche fissate a cerniera ed apribili verso l’esterno sotto l’azione di una limitata pressione”. Detto d.P.R. è stato abrogato dal d. lgs. 81/2008, che naturalmente mantiene l’obbligo delle “aperture di ventilazione”. Non bisogna confondere le aperture di ventilazione antideflagranti con le aperture di ventilazione (di superfici nettamente inferiori), imposte dalla norma italiana UNI-CIG 7129, necessarie per il reintegro dell’aria comburente nei locali ove sono installate “caldaie murali” per riscaldamento domestico aventi potenza inferiore o uguale a 30.000 kcal/h (35 kW). Il comportamento del vetro negli incendi e nelle esplosioni Come distinguere un incendio da un’esplosione? In un’esplosione i danni derivano soprattutto dal repentino aumento di pressione; in un incendio soprattutto dal calore. L’esame Il profilo del prof. Carlo Ortolani Risvolti pratici. Già il d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (in suppl. ord. alla G.U. n. 158 del 12 luglio 1955) all’art. 361 “Valvole di esplosione nei locali pericolosi” (p. 40) richiedeva qualcosa di simile alle “aperture di ventilazione”. “Dette valvole possono essere anche co74 Carlo Ortolani, Vicepresidente Vicario Cineas-Consorzio universitario non-profit fondato nel 1987 dal Politecnico di Milano e scuola di formazione manageriale sulla gestione del rischio e del sinistro – sviluppa un utile prontuario sul rischio incendio. L’ingegner Ortolani è stato professore ordinario di “Combustione e sicurezza” nella Facoltà di Ingegneria industriale del Politecnico di Milano, Dipartimento di Energia. Prevenzione incendi Progetto Sicurezza 1.2016 Environmental risk assessment and management Il Consorzio organizza 8 master annuali focalizzati sul risk management nei diversi settori: dall’ambiente alla sanità alla finanza, passando per i rischi industriali. Tra i prossimi corsi in avvio c’è il master Environmental risk assessment and management, giunto alla sua nona edizione e dedicato ai temi della gestione del rischio ambientale. Le aziende di tutti i settori sono esposte ai rischi di danno ambientale: dall’oil&gas al chimico farmaceutico, ai trasporti, ma anche l’alimentare e il tessile. Un incidente con conseguenze sull’ambiente può essere un incendio nel magazzino di stoccaggio, uno scarico irregolare dei residui dei processi industriali, emissioni inquinanti. I rischi sono molteplici, quindi, nelle diverse fasi e funzioni produttive. In base alle più recenti normative in queste situazioni si delineano profili di responsabilità penale e civile con l’obbligo di bonifica e ripristino della situazione iniziale per l’imprenditore o per l’amministrazione pubblica che ha causato l’incidente. Questo vuol dire un danno economico immediato (che in media è dell’ordine di centinaia di migliaia di euro) a cui si può aggiungere l’interruzione temporanea dell’attività produttiva. È certo che questi avvenimenti creano conseguenze indiscutibili sull’immagine dell’impresa le quali, in alcuni casi, possono portare anche alla chiusura definitiva dell’azienda. delle superfici vetrate (direttamente sul luogo dell’incidente o nelle vicinanze) può costituire un valido strumento di indagine. Il tipo di rottura della lastra di vetro di una finestra è completamente differente nel caso di esplosione o di incendio. Nel caso di esplosione (aumento repentino di pressione) la rottura comporta un gran numero di piccoli frammenti di vetro, mentre nel caso di incendio (produzione di calore) un piccolo numero di frammenti di grandi dimensioni. Nel caso di incendio la superficie interna della lastra di vetro sarà anche annerita dal fumo (più o meno, a seconda della durata dell’incendio e dei materiali bruciati). La superficie vetrata può, in entrambi i casi (esplosione/incendio), rimanere, seppur lesionata, nella propria intelaiatura oppure cadere a piè d’opera (incendio) o essere proiettata a distanza variabile (esplosione). Esplosione da gas o da esplosivo solido (bomba)? Le conseguenze di una “esplosione da gas” (miscela costituita da aria e gas combustibile) o da “esplosivo solido” (dinamite, tritolo, ecc.) sono molto diverse e facilmente distinguibili. Nel caso di “esplosioni da gas” la velocità di fiamma (deflagrazione) è modesta (qualche m/s) ed altrettanto è la velocità di aumento della pressione (bar/s, bar al secondo). Poiché la velocità del suono (coincidente con la velocità delle perturbazioni di pressione) è dell’ordine di centinaia di m/s la pressione tende ad eguagliarsi molto rapidamente nel volume interessato. Il danno strutturale (dovuto all’aumento di pressione) quindi è piuttosto uniforme e omnidirezionale. Invece la velocità di combustione (detonazione) di un esplosivo solido è dell’ordine di migliaia di m/s (tipicamente più di 7000 m/s). Conseguentemente la pressione non si eguaglia nel volume interessato dall’esplosione; si generano pressioni molto elevate nel punto esatto dov’era collocato l’esplosivo solido. La pressione, e quindi il livello di danno, decade molto rapidamente con la distanza dal punto dov’era collocata la “bomba”. Nel caso di esplosivi solidi la velocità di aumento della pressione (bar/s) è molto più elevata (teoricamente tende all’infinito). Come diventare risk manager dell’ambiente 80 ore di formazione dall’11 marzo al 20 maggio 2016 Sede: Politecnico di Milano (P.zza L. da Vinci, 32 – Milano) Calendario: le lezioni avranno cadenza settimanale e saranno concentrate al venerdì (dalle ore 9.30 alle ore 18.30) Costo: 2000 euro (esente da IVA) Iscrizioni entro il 26 febbraio 2016 A coloro che si iscriveranno entro il 5 febbraio 2016 verrà riconosciuto uno sconto del 10% sull’intera quota. Maggiori info sul master: www. cineas.it 75 Osservatorio legislazione Progetto Sicurezza 1.2016 uu a cura della Redazione Legislazione nazionale Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 dicembre 2015 Approvazione del modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2016, in G.U. Serie Generale n. 300 del 28 dicembre 2015. Confermata la validità del modello di dichiarazione, previsto dal d.P.C.M. 17 dicembre 2014 e in vigore nel 2015. La presentazione del MUD entro il 30 aprile 2016 avverrà quindi con modulistica ed istruzioni già utilizzate per le dichiarazioni presentate nel 2015. Ricordiamo che il Modello Unico di Dichiarazione ambientale è articolato in Comunicazioni che devono essere presentate dai soggetti tenuti all’adempimento: comunicazione Rifiuti speciali, comunicazione Veicoli fuori uso, comunicazione Imballaggi, comunicazione Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, comunicazione Rifiuti urbani, assimilati e raccolti in convenzione, comunicazione Produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Legge 28 dicembre 2015, n. 221 Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali, in G.U. Serie Generale n. 13 del 18 gennaio 2016. Un vero e proprio pacchetto di misure che incidono in diversi settori dell’economia verde, un disegno organico di norme che vanno nella direzione della semplificazione e della promozione del riutilizzo delle risorse con l’obiettivo di concepire un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale. Diverse le semplificazioni e gli incentivi idonei a premiare i comportamenti virtuosi di consumatori, produttori e istituzioni in campo ambientale. Ecco i temi rilevanti contenuti nel testo definitivo del provvedimento. Le novità riguardano valutazione di impatto ambientale, gestione rifiuti, prevenzione dissesto idrogeologico, green economy, tutela del suolo. Da segnalare poi: la previsione dell’applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi, un sostanzioso pacchetto di norme che puntano a favorire il riuso dei materiali, che darà impulso a un comparto industriale in costante crescita, incentivi per la differenziata, recupero e riuso della materia, una serie di misure a sostegno dell’economia circolare. Importante anche l’art. 56 in materia di amianto: per i soggetti titolari di reddito d’impresa che effettuano nell’anno 2016 interventi di bonifica dall’amianto su beni e strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato è attribuito, nel limite di spesa complessivo di 5,667 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, un credito d’imposta nella misura del 50% delle spese sostenute per i predetti interventi nel periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. Il credito d’imposta non spetta per gli investimenti di importo unitario inferiore a 20mila euro. Decreto legge 30 dicembre 2015, n. 210 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, in G.U. Serie Generale n. 302 del 30 dicembre 2015. All’interno del provvedimento che definisce la proroga di termini di vicina scadenza al fine di garantire la continuità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, si stabilisce anche la proro76 Osservatorio legislazione Progetto Sicurezza 1.2016 ga di un anno per l’adeguamento al SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti), cioè il termine entro il quale continuano ad applicarsi gli adempimenti e gli obblighi gestionali tradizionali nonché le relative sanzioni. Fino al 31 dicembre 2016 sarà pertanto ancora consentita la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti trasportati. Inoltre si prevede espressamente che nello stesso periodo non si applichino le sanzioni relative al corretto utilizzo del SISTRI. Decreto legislativo 7 gennaio 2016, n. 1 Attuazione della direttiva 2014/58/UE, che istituisce, a norma della direttiva 2007/23/CE, un sistema per la tracciabilità degli articoli pirotecnici, in G.U. Serie Generale dell’11 gennaio 2016. Tramite questo strumento normativo viene istituito un sistema armonizzato relativo alla tracciabilità degli articoli pirotecnici rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123, che garantisce la loro identificazione e quella dei fabbricanti in tutte le fasi della catena di fornitura. Decreto Ministero della Salute, 11 gennaio 2016 Modifica del decreto 24 aprile 2013, recante: “Disciplina della certificazione dell’attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”, in G.U. Serie Generale del 18 gennaio 2016. Viene sancita una proroga di sei mesi per l’adeguamento all’obbligo di defibrillatori nello sport dilettantistico. Il decreto del Ministro della salute del 24 aprile 2013 fissava al 19 gennaio 2016 la decorrenza dell’obbligo, per le associazioni sportive dilettantistiche, di garantire (durante allenamenti e gare) la disponibilità di un defibrillatore e la presenza di una persona autorizzata ad utilizzarlo. Tale termine è stato prorogato di sei mesi: la nuova scadenza per l’adeguamento è fissata al 20 luglio 2016. Legislazione regionale Deliberazione giunta Regione Piemonte 9 dicembre 2015, n. 20-2557 OR FESR 2014/2020 Asse III, Priorità di Investimento III.3c, Obiettivo specifico III.3c.1, Azione III.3c.1.1: istituzione del Fondo rotativo di finanza agevolata “Fondo Pmi” e approvazione scheda tecnica della misura “Agevolazioni per le MPMI a sostegno di progetti ed investimenti per l’innovazione, la sostenibilità ambientale, l’efficienza energetica e la sicurezza nei luoghi di lavoro”. Come si legge nel testo della delibera: “Il POR è articolato in 7 Assi prioritari - che perseguono 5 degli 11 Obiettivi Tematici di cui all’art.9 del Reg. UE 1303/2013 - fra i quali l’Asse III ‘Competitività dei sistemi produttivi’ ha come priorità di investimento il sostegno alla creazione e all’ampliamento di capacità avanzate per lo sviluppo di prodotti e servizi, con l’obiettivo specifico - tra gli altri di rilanciare la propensione agli investimenti del sistema produttivo regionale; all’interno del suddetto Asse III è prevista l’attivazione di un’azione denominata ‘III.3c. 1.1 - Aiuti per investimenti in macchinari, impianti e beni intangibili, e accompagnamento dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale’, finalizzata appunto a sostenere il rilancio della propensione agli investimenti del sistema produttivo”. 77 Osservatorio legislazione Progetto Sicurezza 1.2016 Prassi e interpelli Regolamento ANAC, 25 novembre 2015 Linee guida per lo svolgimento delle ispezioni. L’ANAC ha pubblicato le nuove Linee guida per lo svolgimento delle ispezioni che regolano e definiscono l’attività ispettiva in tutte le materie sottoposte alla vigilanza della stessa, nelle quali sono indicate delle precise regole comportamentali e specifici protocolli da adottare in tale sede. Il documento ha la finalità di orientare, coordinare e rendere omogenea l’attività ispettiva dell’Autorità, attraverso la definizione di precise indicazioni in merito alle modalità di procedere durante le ispezioni, assicurando il rispetto dei principi del contraddittorio procedimentale e la tutela dei diritti dell’ispezionato. Ecco i comparti in cui sono suddivise le Linee guida redatte dall’Autorità nazionale anticorruzione: la funzione ispettiva dell’Autorità, la fase preliminare all’ispezione, l’accertamento ispettivo, allegati con varie check-list e moduli. L’obiettivo è assicurare adeguata trasparenza e omogeneità nella conduzione della delicata ed importante attività accertativa svolta fuori sede. In allegato alle Linee guida è presente una serie di check-list idonee a guidare varie tipologie di ispezione. Accordo quadro INAIL, Ministero della Salute e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, 16 dicembre 2015 Realizzazione di iniziative congiunte volte a promuovere la salute e la sicurezza sul lavoro. La collaborazione stretta tra i 3 soggetti si pone i seguenti obiettivi: l’individuazione di percorsi di prevenzione basati su obiettivi prioritari comuni e metodologicamente condivisi a livello centrale, regionale e locale, supportati da strategie e azioni “evidence based” e caratterizzati da interventi sostenibili e misurabili in termini di processo e di risultato; lo sviluppo e il consolidamento di sistemi informativi/gestionali e di sorveglianza su una serie di temi prioritari tra INAIL, Regioni e Province autonome, e la relativa fruibilità delle rispettive banche dati; il supporto tecnico alla redazione e alla realizzazione dei Piani nazionali di prevenzione e dei Piani nazionali e regionali di settore che ne derivano, e al monitoraggio dei risultati ottenuti; metodologie e strumenti destinati al miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Le attività previste dall’accordo quadro saranno svolte, nello specifico, attraverso un Comitato di coordinamento paritetico composto da sei rappresentanti, di cui uno in rappresentanza del Ministero della Salute, tre in rappresentanza delle Regioni e Province autonome e due in rappresentanza dell’INAIL. Alle riunioni del Comitato potranno inoltre partecipare esperti in grado di fornire il loro apporto professionale su specifici argomenti, contribuendo al buon andamento dei lavori. Interpello Ministero del Lavoro, 29 dicembre 2015, n. 16 I requisiti di formazione del preposto alla sorveglianza dei ponteggi, ai sensi dell’art. 136 del Testo Unico, in confronto con quelli ricadenti sul preposto ex articolo 2, comma 1, lettera e). Il Ministero del Lavoro ha risposto al quesito proposto dall’ANCE (Associazione nazionale dei costruttori edili) in merito ai requisiti di formazione del preposto alla sorveglianza dei ponteggi, ai sensi dell’art. 136 del d.lgs. 81/2008, in confronto con quelli ricadenti sul preposto (ex articolo 2, comma 1, lettera e)). L’articolo 136, comma 6 del Testo Unico stabilisce che “il datore di lavoro assicura che i ponteggi siano montati, smontati o trasformati sotto la diretta sorveglianza di un preposto, a regola d’arte e 78 Osservatorio legislazione Progetto Sicurezza 1.2016 conformemente al Pi.M.U.S., ad opera di lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste”. Ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. e) del d.lgs. n. 81/2008, l’individuazione della figura del preposto “non è obbligatoria in azienda ma è una scelta del datore di lavoro in base all’organizzazione ed alla complessità della sua azienda”, precisa il Ministero del Lavoro. Esistono “alcuni casi particolari (come ad esempio per il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali, lavori di demolizione, montaggio e smontaggio dei ponteggi, ecc.), in cui il legislatore richiede specificatamente che i lavori siano effettuati sotto la diretta sorveglianza di un soggetto preposto e gerarchicamente sovraordinato ai lavoratori che effettuano tali attività, che ovviamente può essere lo stesso datore di lavoro purché abbia seguito gli appositi corsi di formazione”. Di conseguenza, sottolinea la commissione per gli interpelli, “il preposto addetto al controllo nelle fasi di montaggio e smontaggio dei ponteggi deve partecipare, oltre ai corsi di formazione o aggiornamento disciplinati dall’Allegato XXI del d.lgs. n. 81/2008, anche allo specifico corso di formazione previsto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 81/2008”. Legislazione europea Regolamento delegato UE 2015/2229 della Commissione del 29 settembre 2015 Modifica dell’allegato I del regolamento UE n. 649/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio sull’esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose. L’Allegato I del Regolamento contiene l’elenco delle sostanze chimiche soggette a obbligo di notifica di esportazione, assoggettabili alla notifica PIC e soggette alla procedura PIC (di cui all’art. 7 del Reg. (UE) n. 649/2012). Le modifiche apportate all’allegato riguardano l’iscrizione nell’elenco delle sostanze chimiche soggette all’obbligo di notifica di esportazione o assoggettabili alla notifica PIC, nonché le modalità di redazione della nomenclatura combinata (codice NC). Il Regolamento è entrato in vigore lo scorso 23 dicembre 2015 ed è applicabile dal 1° febbraio 2016. 79 Osservatorio giurisprudenza Progetto Sicurezza 1.2016 uu a cura di Giovanna Rosa Avvocato, docente e consulente in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro www.avvocatorosa.com Cassazione Penale, Sez. IV, udienza 20 novembre 2015, n. 48406 Infortunio con il macchinario in fase di manutenzione: cuffie di sicurezza non inserite. Colpa generica e colpa specifica per il datore di lavoro In tale sentenza, al datore di lavoro veniva contestato di aver cagionato lesioni personali al lavoratore nel non aver fatto in modo che l’infortunato osservasse le norme vigenti e le disposizioni aziendali che gli imponevano l’uso dei mezzi di protezione (quali la cuffia di protezione chiusa). Non aveva, inoltre, provveduto ad effettuare idonea manutenzione dell’attrezzatura di lavoro utilizzata dal lavoratore al fine di garantire la permanenza dei requisiti di sicurezza previsti dal Testo Unico. Il datore di lavore avrebbe dovuto adottare le misure per impedire che il personale utilizzasse la macchina, essendo la stessa in stato di insicurezza (cuffie di sicurezza non applicate al macchinario). Più precisamente non era installato il carter di protezione, cioè un dispositivo che, se installato, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, in quanto, a carter alzato, la sega circolare non si sarebbe messa in moto. Dette misure non erano state adottate dal datore di lavoro. Occorre tener presente che oltre al Testo Unico che prevede specifici obblighi a carico del datore di lavoro anche l’art. 2087 del codice civile dispone che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Cassazione Penale, Sez. IV, 2 ottobre 2015, n. 39765 Lavoratore rimane schiacciato tra la motrice ed il rimorchio. Omessa valutazione del rischio e mancata formazione Tale sentenza ha per oggetto la responsabilità di un amministratore delegato che ha cagionato la morte di un dipendente per non aver valutato il rischio particolare cui era esposto il lavoratore stesso, il quale, addetto a mansioni di autotrasportatore, provvedeva al periodico prelievo di rottami in vetro presso lo stabilimento. Un giorno si era venuto a trovare nella necessità di sganciare l’autocarro dal rimorchio per l’impossibilità di accedere al punto di prelievo con l’intero veicolo, data la ridotta dimensione del tratto di strada antistante. Nel documento di valutazione rischi mancava ogni riferimento a tale specifico rischio, con conseguente omessa individuazione delle misure preordinate a fronteggiarlo. Inoltre il lavoratore non era stato adeguatamente informato sui rischi specifici a cui era esposto in relazione all’attività svolta, con particolare riferimento al rischio presente durante le operazioni di sganciamento e successivo riaggancio autotreno-rimorchio. Dalla sentenza risulta che non gli era stata assicurata una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza, avuto riguardo alle proprie mansioni. Uno degli obblighi del datore di lavoro è quello di provvedere all’informazione e formazione del lavoratore. Tale adempimento è previsto dalla legge ed è importante per la tutela della salute del lavoratore. Cassazione Penale, Sez. IV, 15 dicembre 2015, n. 49361 Caduta all’interno della vasca di contenimento in cui era presente zolfo liquido. Abnormità del comportamento e assoluzione del preposto 80 Osservatorio giurisprudenza Progetto Sicurezza 1.2016 Un caposquadra di una ditta, nonché preposto alla sicurezza in cantiere nell’esecuzione dei lavori edili commissionati, veniva rinviato a giudizio per aver procurato lesioni personali ai danni di un lavoratore, per aver disposto l’esecuzione di lavorazioni contrastanti con il permesso di lavoro rilasciato dal responsabile della ditta committente, e per non aver informato il lavoratore infortunato della presenza di zolfo liquido all’interno di una vasca di contenimento. In tal modo il lavoratore, trovandosi in prossimità della stessa, cadeva all’interno della stessa riportando gravi ustioni. La Cassazione assolveva il preposto, in quanto il lavoratore infortunato aveva dichiarato durante il processo di essersi spinto fino al centro della vasca di contenimento dello zolfo per riprendere il proprio secchio che gli era caduto accidentalmente dalla mano. Ciò evidenziava il cosiddetto comportamento abnorme del lavoratore; comportamento che esula dalle normali attività quotidiane e che, di conseguenza, nessuno è in grado di prevedere. Il preposto ha l’obbligo di vigilare ma ciò non significa che abbia l’obbligo di garantire la presenza costante e continua sui luoghi di lavoro. Il preposto, durante il processo, aveva comunque dimostrato una presenza assidua sul cantiere. Cassazione Penale, Sez. IV, 9 novembre 2015, n. 44793 Investimento di un pedone nel piazzale di carico e scarico. Rischio previsto nel DVR ma nessuna attuazione delle misure preventive La sentenza condanna un responsabile della sicurezza di una ditta per aver contribuito a cagionare l’investimento di un pedone che, trovandosi sul piazzale di carico e scarico della ditta, veniva investito da un autoarticolato che stava facendo una manovra in retromarcia. In particolare il responsabile della sicurezza aveva redatto il documento di valutazione dei rischi ma non aveva individuato lo specifico rischio di incidenti ed investimento sul piazzale. L’adozione delle misure di prevenzione era ancora più necessaria tenuto conto che nelle operazioni di carico e scarico erano impegnate anche aziende subappaltatrici che non avevano alcuna conoscenza dei rischi connessi alla circolazione nel piazzale. La Corte osservava che in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro deve essere tutelato qualsiasi soggetto che si trovi nel perimetro dell’azienda anche se non sia dipendente dell’azienda stessa. È necessario sottolineare, inoltre, in tale sentenza, che il responsabile della sicurezza era munito di specifica delega conferitagli dal datore di lavoro. Come tale, risultava titolare di una posizione di garanzia, che gli imponeva di gestire tutte le situazioni di rischio ed attuare le misure di prevenzione per evitare il rischio stesso. www.avvocatorosa.com 81 Quesiti Progetto Sicurezza 1.2016 uu a cura di Marco Vinci Il rinnovo della formazione Il sesto comma dell’art. 37 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 recita: “la formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi ovvero all’insorgenza di nuovi rischi”. – In termini di tempo, ogni quanto deve essere ripetuta? – Deve essere ripetuta anche in assenza di nuovi rischi? – Cosa deve essere inteso per evoluzione dei rischi? – È giusto rinnovare sistematicamente la formazione con cadenza biennale? Lettera firmata 82 Risposta Per un più agevole riscontro con la normativa vigente se ne riporta di seguito l’articolo 37 – Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti – del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo coordinato con il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106). “1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda. 2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. 3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l’Accordo di cui al comma 2. 4. La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi. 5. L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro. 6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”. Occorre premettere che la formazione per la prevenzione va comunque considerata continua per determinati ambiti produttivi aziendali (acquisizione prodotti ed attrezzature, organizzazione della produzione, manutenzione, ecc.). Ciò in linea con l’evoluzione della tecnica già considerata nella previsione civilistica dell’articolo 2087 c.c. Inoltre l’attività di formazione non può che essere condizionata dall’attività di valutazione dei rischi aziendali, valutazione che non può essere “congelata” una volta per tutte, ma riproposta ove necessario in relazione all’aumento dei rischi (altri rischi, anche successivamente evidenziati dal progresso tecnologico e scientifico) oppure dall’incremento del rischio già valutato (per effetto di nuove ricerche e studi). Occorre riflettere anche sulla definizione di rischio accettata a livello UE. Quesiti Progetto Sicurezza 1.2016 “Probabilità che sia raggiunto il livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego e/o di esposizione ad una determinata entità (sostanza, attrezzo, metodo, ecc.).” La norma richiamata nel quesito (testo coordinato con il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106) ci dice prima di tutto che: “La formazione deve avvenire in occasione: a)dell’assunzione; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.” Poi al comma 6 aggiunge: “La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi ovvero all’insorgenza di nuovi rischi.” La norma richiamata pone quindi due criteri di intervento aziendale: 1) il primo collegato a “vicende” aziendali e novità dei sistemi di produzione e nei rapporti di lavoro; 2) il secondo pone l’accento sull’evoluzione dei rischi (già valutati) in presenza di nuove conoscenze frutto di ricerche e studi. Alle quattro domande possiamo rispondere: I, II e IV: Indipendentemente da nuove assunzioni, da trasferimenti e cambiamenti di mansioni e dalle “novità” previste possiamo affermare che è opportuna per le aziende industriali la riproposizione di alcuni moduli formativi ogni anno. Per le aziende commerciali e dei servizi, ogni due anni. (Anche in assenza di nuovi rischi rigorosamente accertata.) III: Si veda l’esposizione in premessa. La formazione “adeguata” può escludere il “comportamento abnorme” del lavoratore L’errata utilizzazione di una apparecchiatura di lavoro da parte di un lavoratore in precedenza adeguatamente formato e specificamente addestrato può essere considerata “comportamento abnorme” suscettibile di configurare responsabilità dell’utilizzatore? Potete indicarmi qualche recente utile riferimento? Lettera firmata Risposta Al cortese Lettore possiamo offrire le motivazioni e le considerazioni di una recente sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV, 2 dicembre 2015, n. 47742, concernente il ribaltamento di un trabattello e la caduta a terra dell’operatore. L’infortunio è avvenuto mentre il dipendente di una ditta di servizi, si trovava impegnato all’interno di un cantiere relativo alla realizzazione di un centro commerciale, intento alla stesura di cavi elettrici sulla soffittatura. Il trabattello sul quale stava lavorando si ribaltava a causa di una buca in occasione della sua traslazione da un punto all’altro, procurando la caduta del lavoratore da un’altezza di circa quattro metri. La Corte d’Appello di Brescia aveva confermato la sentenza del Tribunale di Brescia in data 17 novembre 2010, appellata dall’amministratore unico dell’azienda. Questi era stato tratto a giudizio e condannato per il reato di cui all’art. 590, commi 1 e 3 cod. pen. per avere, anche in qualità di responsabile tecnico dell’azienda, cagionato al lavoratore dipendente lesioni personali gravi consistenti nell’“ematoma epidurale traumatico”, dalle quali derivava una malattia della durata di sessantaquattro giorni. Colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; per aver omesso di prendere le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero utilizzate correttamente; nello specifico, per non aver disposto e preteso che nessun operatore stazionasse sul piano in quota del trabattello, di fatto impiegato per portarsi in quota durante le operazioni di stesura di cavi elettrici, durante gli spostamenti di tale attrez- 83 Quesiti Progetto Sicurezza 1.2016 zatura da una postazione ad un’altra, stante il rischio di ribaltamento connesso a tale operazione. Mentre l’infortunato rimaneva posizionato sul piano in quota del ponteggio su ruote ed un collega spostava l’attrezzatura verso una nuova posizione di lavoro, spingendola manualmente, improvvisamente, a causa di uno spacco nel pavimento, il trabattello si ribaltava determinando la caduta a terra dell’operatore che riportava così conseguenze lesive. La S.C. di Cassazione ha evidenziato che pur in presenza di idonea formazione il datore di lavoro aveva autorizzato l’esecuzione di operazioni lavorative in altezza, senza premurarsi di controllare personalmente o a mezzo del preposto che le stesse avvenissero in sicurezza. Peraltro che il lavoratore fosse stato debitamente formato è apparsa una mera affermazione del ricorrente, non supportata da alcun riscontro. Quanto al comportamento del lavoratore, il ricorrente ha sostenuto che il lavoratore avrebbe dovuto scendere dal trabattello e spostarlo per poi risalirvi in tutta sicurezza. In relazione a quanto precede, la sentenza impugnata ha adottato il “… principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, in base al quale il sistema prevenzionistico mira a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, per cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento imprudente del lavoratore sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro …”. Il ricorso è stato disatteso ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. La richiesta di visita medica da parte dei lavoratori Il lavoratore che può fare richiesta di visita medica deve essere un lavoratore già soggetto a sorveglianza sanitaria, o la richiesta può essere fatta da qualsiasi lavoratore che svolge la propria attività nell’ambiente di lavoro nel quale un medico competente opera? Lettera firmata Risposta Facciamo riferimento alla risposta del 2 novembre 2015 ad uno dei due quesiti della CISL Nazionale contenuti nell’Interpello n. 8/2015 rivolti alla Commissione per gli interpelli presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’articolo 41, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 prevede che la visita medica sia effettuata dal medico competente: a) “nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all’articolo 6” del medesimo decreto; b) “qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi”. L’articolo 41, comma 2, lettera c), del medesimo d.lgs. n. 81/2008 sancisce che la sorveglianza sanitaria comprende anche la “visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica”. La Commissione ha fornito le seguenti indicazioni: “… la richiesta di essere sottoposto a visita medica da parte del medico competente, ove nominato, può essere avanzata da qualsiasi lavoratore, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia o meno già sottoposto a sorveglianza sanitaria, con l’unico limite che il medico competente la ritenga accoglibile, in quanto correlata ai rischi lavorativi.” Studio Dott. Marco Vinci • Roma • www.marcovinci.it 84