renato guttuso. lo scultore del colore-donna

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renato guttuso. lo scultore del colore-donna
RENATO GUTTUSO.
LO SCULTORE DEL
COLORE-DONNA
DI
IRENE BATTAGLINI
Il volto è tutto, sulla faccia della gente c'è la storia che
stiamo vivendo, l'affanno dei giorni. La portiamo
incisa più dei fatti che ci accadono in presa diretta o
che avvengono lontano: noi siamo la vera pellicola
della realtà; e io la dipingo.
Renato Guttuso
INNER UNDERGROUND
L’IMMAGINALE.
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Prato, 8 ottobre 2012
L’
opera
di
(1911-1987)
Renato
è
Guttuso
materia
e
pigmento, è colore intriso di
lavoro, è laboratorio in perenne work in progress. Un
vero cantiere dell’arte della contemporaneità, in cui
l’accorto giudice delle nuove generazioni di pittori,
affermava a 71 anni, nonostante la fama, il successo,
il denaro, l’impegno politico, di «voler ancora
imparare a dipingere». Afferma di volersi defilare
dalle “avanguardie” perché non sono espressione del
nuovo, ma una condizione perenne della posizione
più estrema, non meditata, della realtà: come dirà a
Minoli in Faccia a Faccia del 1984: «Non c’è nulla di
più vecchio delle avanguardie, e l’avanguardia è la
II
cosa più vecchia che ci sia nella cultura del mondo».
La dialettica di cui si fa interlocutore sofferto e
vivace – talora escluso per aver sostenuto idee
“contro” –, sviluppa il rapporto tra materia e lavoro,
passando per lo spazio della tela. «La pittura è una
lunga fatica di imitazione di ciò che si ama»: Guttuso,
lapidario e fremente, sintetizza così il processo
scultoreo cui il pittore sottopone la materia e il colore per farne opera malleabile impastata
del sudore delle mani. La tematica del “lavoro” sarà più volte protagonista di quadri
importanti, molti dei quali a sfondo politico.
Egli sostiene di non credere nella metafisica della pittura e nel gesto ispirato, ma nella
pittura come frutto del lavoro di ogni giorno. Nel filmato Guttuso dipinge i peperoni allude
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all’attualizzazione della forma per mezzo del colore, tramite l’osservazione “semplice” della
realtà, con occhio l’occhio pulito e fresco delle prime ore del mattino, adoperandosi in
piccoli passi costanti alla ricerca del proprio personale modo di suggerire la realtà attraverso
la tela, i contorni, i colori, le ombre.
La “semplificazione”, o forse è più giusto dire “il gesto pittorico semplificato”, diretto,
eviscerato dalle sovrastrutture percettive, è la cifra di un’impeccabilità artistica, una purezza
a sostegno della coerenza. E’ il livello cui giunge Renato Guttuso come il frutto di un lungo
e doloroso disimparare gli schemi della percezione per apprendere ad osservare la bellezza
della forma che è intrisa di colore: una costruzione per via di Levare, che si può ascrivere
alle metafore della semantica dello scultore, che assurge a dignità artistica con il De Statua
di Leon Battista Alberti. Non già un levare fisico, ma un levare psichico, a sottrarre
impressioni “aggiungendo” il colore come fosse materia molle dove la realtà si fa più fisica,
- quasi una risonanza della morbidezza dell’oro, e un’evocazione dell’aridità del fango:
un’arte per via di porre, applicando anche il nero di inchiostri, chine, tempere e olio
direttamente nel grembo vacante delle ombre, alla stregua di un carboncino. Lo spazio vuoto
si fa teatro di un grido, come a slargare il cappio che è posto come intorno al collo di una
bottiglia di natura morta, in una duplice danza di corpi in giravolta. Tutto assume vita, nel
suo costante lavoro di reviviscenza dell’osservabile: un portare in dinamica quel che è
immoto in apparenza, calcando le orme di Picasso.
Nella pittura di Guttuso, forma e colore sussumono dallo stesso gesto appassionato. Il
gesto dell'uomo che chiede di riappropriarsi del cuore dell'esperienza percettiva, dell'essenza
stessa del vedere.
Guardare, vedere, rappresentare cedono il passo al sentimento del mondo, prendendosi il
dolore del sentire tutto all’interno, facendosene carico, e lavorare così all’opus alchemica, al
processo di trasformazione dell’Io in Anima del Mondo.
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III
Guttuso sente il mondo attraversando la forma e invadendone i campi, si fa passare
dentro e lo travalica, sgrossando ogni spigolo con nere pennellate di ombra che si fa
contorno, seminando e arando, irrorando i solchi della geometria con echi di rosso, viola,
verde, giallo; tuttavia l’arancio, il rosa, il lilla, il vinaccia e tutte le declinazioni della terra e
del cielo trovano posto sulla sua tavolozza, che attraverso il colore si fa femminile e dolce,
spirituale e splendente, affrancando così l’Homo Faber che si asserraglia in un continuo
forgiare la materia della vita, dalla stanchezza estrema della “troppa bravura e del troppo
mestiere” (Barilli su Guttuso, in Faccia a Faccia, 1984).
Questo colore, “agito” così in
risonanza come eco dentro una tana che
si risolve in onde che aprono faglie e
non degradano mai, è un colore-donna.
La femmina ritratta, dai volti di
amante,
musa,
ancella,
IV
ballerina,
prostituta, è il suo mediatore eccellente
e si presta al gioco attraverso la modella.
Il pittore sa scoprire la forma nascosta, il
profilo
lascivo
quasi
senza
occhi,
lasciando che la sua impronta sulla tela
sia suggellata dal bacio del suo sposocolore, in una sorta di incontro tra una
roccia secolare e un'inondazione di
miele
lavico
e
fiero,
maschio,
determinante.
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Il sentimento che sgorga tra i due elementi naturali è di complicità e conflitto, tesi in un
contrappunto d'amore che si fa passione bruciante o luce adamantina: forma e colore si
appartengono in una richiesta di infedeltà dichiarata, un tradimento ai sensi, alle sensazioni,
condizione indispensabile al diventare indivisibili in un ordine superiore di categoria
deputato al sentimento, all’esperienza diretta della valutazione delle cose.
Realista, espressionista, materico, dissacrante, durissimo e al tempo stesso un uomo
capace di amare la moglie Mimise senza con questo tradire l'illusione ispiratrice di musa e
amante quale fu per lui Marta Marzotto.
L'infedeltà alle cose possedute è il valore dominante di tutta la poetica di Guttuso, il
V
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tradimento la radice ultima del suo affetto esasperato per la verosimiglianza. La verità
diventa soggettività del reale, deve confrontarsi con la sua notte da Innominato per
addivenire a luce piena.
L'influenza di Picasso è una trasparenza, un fluire morbido attraverso le mani e gli occhi
del pittore di Bagheria, e il suo spiegare, coltivare, stare nel problema dello spazio partendo
dal calore del corpo, dalla plastica dell’o-sceno, dalla ridondanza di tratto per fare dell’eros
femminile la presentificazione di un atto che resterebbe altrimenti esclusiva giurisdizione di
una sessualità privata. Il corpo, quasi sempre semi-nudo diventa sacro vello per proteggere la
donna dalla necessità limitante del coprirsi.
VI
Le Ragazze di Palermo, 1940. Olio su tela, 60x80 cm. Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma.
Si pensi a Les Damoiselles d'Avignon (1907) e al loro potenziale di cambiamento. Dopo
i Bagnanti di Cezanne (1890) e Les Damoiselles di Picasso, l'arte è costretta al confronto
con l'attuale, il movimento, la dimensionalità come costrutto ascrivibile al quadro e alla sua
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coerenza interna, ma soprattutto alla metaespressione del corpo discinto che si fa chiarore di
nudità, delle curve muliebri che si fanno abitare e stare nello spazio a tutto tondo: come nella
discussa opera Le ragazze di Palermo, del 1940.
E’una Donna padrona del suo colore, di cui elabora in ogni quadro un nuovo elemento di
sovranità. Guttuso pittore “liberante” del corpo di donna, esteta invadente, capace di sguardo
disinibito e originale, sulle pieghe del volto che sa la vita e che finalmente ne può parlare,
tradendo il silenzio misurato degli stereotipi non con l’urlo della baldoria ma con la
caleidoscopica naturalità di una bellezza che si veste di petali e piccoli indumenti che
strizzano l’occhio a chi guarda. Una costellazione immaginale del femminile, ibridato dalla
luce, come sarà celebrato dai grandi fotografi del Novecento, sulle tracce del percorso
iniziato da Klimt, Schiele, Toulouse Lautrec. Donne che prendono la libertà ubertosa dal
colore disseminato sulla loro pelle, un colore che non imprigiona, che non demarca, che non
confina nel gineceo: si tratta di donne che le vedi uscire da un momento all’altro, saltar fuori
dal quadro, dopo aver danzato l’amore del Vulcano che forgiava i colori.
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