E. Stolfi – Iacta alea est
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E. Stolfi – Iacta alea est
RIVISTA DI DIRITTO DEI GIOCHI E DELLE SCOMMESSE Emanuele Stolfi Prof. Ordinario nell'Università di Siena Iacta alea est. Considerazioni extra-vaganti attorno a gioco e diritto. Non può esistere cultura vera senza una certa qualità ludica. (J. Huizinga, Homo ludens) I. Homo ludens e homo juridicus. Al di là della celebre espressione che Svetonio attribuisce al “dittatore democratico”1 – alla cui scontata citazione, nel momento in cui Lex Giochi vede la luce, il giusromanista non ha saputo rinunciare –, credo che il sottotitolo indichi puntualmente quanto (non molto, in verità) potersi attendere da queste pagine. Chiamato a cooperare nella non facile impresa di varare una rivista che ex professo segua l'evolversi dei tre formanti del diritto2 in materia di giochi, le mie limitate competenze impongono che il contributo inaugurale si delinei solo, appunto, quale una sparsa messe di riflessioni più o meno vaghe, proposte con taglio assai generale da parte di chi professionalmente si misura con la storia e la teoria del diritto, e perciò extraneae riguardo alle specifiche soluzioni tecniche oggi allestite (o allestende), ed extra moenia rispetto agli ambiti di lavoro che gli sono più familiari. 1 Secondo la terminologia – solo apparentemente ossimorica, e non priva di allusioni a vicende e protagonisti a noi assai più vicini – di L. CANFORA, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Roma-Bari, 1999 (nuova ediz. 2006). Peraltro, l'approccio di questo studioso è apparso a taluno più suggestivo che storicamente perspicuo: cfr. F. COSTABILE, Novi generis imperia constituere iura magistratuum commutare. Progetto e riforma della respublica da Pompeo e Cesare ad Augusto, Reggio Calabria, 2009, p. 14 nt. 17 ove bibl. 2 Per dirla con Rodolfo Sacco: ossia legge, dottrina e giurisprudenza (nel senso attuale, non in quello romanistico di iuris prudentia, ossia di scienza giuridica). Si tratta di un motivo ricorrente nei contributi del civilista e comparatista piemontese, sul quale non possiamo adesso soffermarci. 1 E' tuttavia indubbio che tra gioco e diritto3 affiorino molteplici relazioni, assai più di quanto saremmo indotti a immaginare dal volto ludico e scherzoso che usualmente attribuiamo al primo, e da quello assai serio (pur non privo di un elemento “faceto”)4 riconosciuto al secondo: relazioni che non si esauriscono nell'ambito, già in sé variegato e sempre più complesso, delle forme in cui il gioco diviene oggetto di regolamentazione giuridica – che è appunto il terreno su cui si muoverà la nostra rivista. Non occorre scomodare il classico (ma per più aspetti discusso, e anche deludente) Homo ludens di Huizinga5 né tantomeno le elaborazioni che, prima o dopo di lui, hanno assunto il paradigma del gioco per dar conto di molteplici fenomeni umani, alcuni dei quali, a loro volta, variamente connessi alla dimensione giuridica – basti pensare ai “giochi linguistici” di Wittgenstein6: linguaggio che poi, da Savigny alla filosofia analitica, si è rivelato campo privilegiato di infinite metafore, raffronti e chiavi interpretative, metodologie di studio e interrogativi ermeneutici che coinvolgono il giurista7. Il mio obiettivo è assai meno impegnativo, senza alcuna velleità teoretica o l'ambizione di dar vita a univoche letture d'insieme. Proverò solo a illustrare, con l'incedere rapsodico (e perciò stesso incompiuto) cui accennavo, alcuni profili di questi rapporti fra gioco e diritto, per come lo studioso e l'operatore giuridico può averli appresi o scoperti negli anni della propria formazione e poi del suo impegno di ricercatore e professionista. Guardandomi bene dall'indulgere all'autobiografismo, ritengo comunque che la mia esperienza, da cui principalmente attingo questi dati, non sia molto diversa da quella di almeno un paio di generazioni, attive fra XX e XXI secolo. II. Gioco e diritto fra teoria degli ordinamenti e spazi anomici. Del gioco, nel periodo dell'apprendimento nelle Facoltà giuridiche, gli appartenenti a queste generazioni avranno sentito parlare di rado: a parte l'eventualità (per molti aspetti fortunata, ma davvero sporadica) di corsi dedicati specificamente al diritto dello sport8 o che coinvolgano la 3 Questi devono essere considerati, a mio avviso, gli autentici termini del rapporto: la circostanza che la nostra rivista evochi, sin dal titolo, la “legge” (lex) accanto ai “giochi” non deve trarre in inganno. Il vocabolo latino si rivela, se ben intendo, niente più che una sineddoche: ossia una parte (la fonte che, per inerzia di visioni, se non più anche per reale convinzione, stimiamo più rilevante) in luogo del tutto (il diritto applicato e vivente: esperienza giuridica nel senso di Capograssi, che scaturisce anche da altre fonti e quotidianamente si realizza tramite dinamiche e protagonisti ulteriori). Ben pochi, infatti, potrebbero oggi ritenere che qualsiasi regolamentazione giuridica – tanto più nel contesto dell'Unione Europea e del globalizzato mondo – possa esaurirsi nella sola legislazione statuale. Insiste da tempo su questo punto, con penetranti rilievi, Paolo Grossi: se ne veda almeno, fra i contributi più recenti, Società, diritto, stato. Un recupero per il diritto, Milano, 2006. Circa l'odierno ius non scriptum, quale chiave interpretativa per leggere il crescente fenomeno della produzione extrastatuale di norme, tale da rendere più incerti anche i confini tra fonti e rapporti giuridici, norma e contratto, cfr. S. MEDER, Ius non scriptum – Traditionen privater Rechtsetzung, Tübingen, 2008, spec. pp. 83 ss., 107 ss. (nonché la mia rezension in Zeitschrift für Gemeinschaftsprivatrecht, 6.3, 2009, p. 133). 4 Ovviamente gioco – è il caso di dirlo – col titolo di un noto libro di Jhering: Scherz und Ernst in der Jurisprudenz, Leipzig, 1884. 5 Cfr. J. HUIZINGA, Homo ludens, trad. it. Torino, 1982, spec. pp. 90 ss. (in merito a gioco e diritto). Per qualche indicazione circa la metodologia di Huizinga (interessato a “una teoria del comportamento ludico”, più che del gioco [p. XVII]) e le reazioni da lui suscitate, si veda U. ECO, «Homo ludens» oggi, in J. HUIZINGA, Homo ludens cit., pp. VII ss. 6 Per alcuni orientamenti al riguardo cfr., tra i molti, R. BODEI, La filosofia nel Novecento, Roma, 1997, pp. 127 ss., e R. DIONIGI, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia, Macerata, 2001, spec. pp. 314 ss. Circa gioco e linguaggio cfr. anche J. HUIZINGA, Homo ludens, cit., spec. pp. 35 ss. 7 Non è qui il caso di addentrarsi, neppure sommariamente, nel dedalo di divergenti impostazioni, proposte teoriche e atteggiamenti metodologici che, soprattutto negli ultimi due secoli, si è sviluppato attorno a questi temi. In ogni caso, per qualche orientamento, si veda almeno U. SCARPELLI-P. DE LUCIA (a cura di), Il linguaggio del diritto, Milano, 1994. Cfr., più di recente, anche R. SACCO, Antropologia giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto, Bologna, 2007, spec. 193 ss. 8 Nella Facoltà cui appartengo ne è stato da poco attivato l'insegnamento, quale materia facoltativa, con lo sguardo rivolto sia ai profili strettamente privatistici (di cui si occupa il Prof. Stanghellini) che a quelli giuslaburistici (di competenza del Prof. Fiorai). Iniziative didattiche di analogo tenore (al di là della varia nomenclatura dei corsi) sono state assunte in altri Atenei: ad esempio, a Cagliari, Camerino, Cassino, Torino e Trento. 2 disciplina amministrativistica di materie legate al gioco9, probabilmente solo un riferimento sarà rimasto impresso, almeno nella memoria dei più attenti, ma per instillare in loro la percezione di una distanza e (almeno in apparenza) quasi di un’alterità fra le nostre due dimensioni. Sto pensando a quanto, fin dai corsi di Istituzioni di diritto privato, tutti abbiamo appreso in ordine alle obbligazioni naturali (art. 2034 c.c.), per le quali non è azionabile la pretesa creditoria ma neppure ripetibile quanto spontaneamente corrisposto in adempimento di un dovere morale o sociale (nec actio, nec repetitio): era in questa occasione che veniva ricordata l'ipotesi, contemplata dall'art. 1933 c.c., del debito di gioco. Ma il contesto cui si faceva riferimento doveva poi essere attentamente ritagliato, per escluderne non solo i casi in cui il perdente avesse subito una frode, o fosse comunque un incapace (non operando qui, ex art. 19332 c.c., il regime della soluti retentio), ma anche le competizioni sportive e le vincite in lotterie autorizzate (per cui gli artt. 1934 e 1935 c.c. prevedono la perseguibilità in giudizio dei relativi crediti). Occorreva poi fare i conti con le disposizioni penalistiche in tema di repressone di attività illecite d'azzardo (artt. 718 ss. c.p.), il cui coordinamento col dettato stringato e “neutro”10 del codice civile consente sì di delineare l'usuale tripartizione fra giochi “pienamente tutelati” (di cui appunto agli artt. 1934 e 1935 c.c.), “non proibiti ma tollerati” e “vietati”, ma lascia divisi gli interpreti sulla possibile operatività, in quest'ultimo caso, del meccanismo della soluti retentio11. Personalmente trovo che l'inciso che segue la previsione di inazionabilità dell'art. 19331 c.c. (“anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibiti”) e la mancanza di ulteriori esplicite eccezioni alla regola della irripetibilità di quanto corrisposto (oltre alle due, già richiamate, dell'art. 19332 c.c.) dovrebbero condurre a preferire la soluzione che estende la soluti retentio anche alle ipotesi di giochi proibiti: convengo tuttavia che già questo considerevole margine di dubbio lasciato (volutamente?) aperto dal legislatore si rivela per molti aspetti significativo, e non escludo che il giovane studente di Giurisprudenza a cui fosse prospettata solo l'altra opzione interpretativa, traesse dagli scarni dati codicistici la percezione di un interesse affatto inadeguato del nostro ordinamento per un fenomeno sociale tutt'altro che secondario, in grado di coinvolgere considerevoli interessi economici. Solo chi, per lodevole curiosità o per costrizione didattica, avesse avuto modo di imbattersi nelle intricate pagine dedicate alle obbligazioni naturali, ad esempio, da Salvatore Romano12, avrebbe potuto apprezzare la potenzialità problematica che, a livello di teoria generale del diritto (non solo privato), si annida nella materia, e intuire, tramite il filiale richiamo alla teoria degli ordinamenti giuridici (di Santi Romano)13, che la dimensione del gioco – rectius, dell'ordinamento che prende vita per disciplinarlo – è altro non dal diritto in sé, ma solo da quell'ulteriore peculiare ordinamento, più significativo ma non esclusivo né assorbente, che fa capo allo Stato e alla sua 9 Si tratta di settori che – come apprenderanno i lettori della nostra rivista – sempre più attraggono l'attenzione del legislatore e soprattutto delle corti giudicanti a livello nazionale e comunitario. Per certi versi pionieristiche, ma sicuramente meritorie, alcune indagini dedicate al tema, come quelle di C. BENELLI-E. VEDOVA, Giochi e scommesse tra diritto comunitario e diritto amministrativo nazionale, Milano, 2008, ove ulteriori indicazioni bibliografiche. 10 Nel senso che, come più volte è stato osservato in dottrina, il legislatore del 1942 ha optato per una disciplina (degli esiti) del gioco che fosse il meno possibile condizionata da valutazioni morali o di illiceità, discostandosi sensibilmente anche dai precedenti romani (vi accenneremo). Rimane peraltro ben percepibile il disfavore per tali attività, le cui vincite rimangono escluse dalla disciplina propria delle obbligazioni (civili o perfette). 11 Per un sintetico quadro delle diverse impostazioni al riguardo, cfr. da ultimo G. ALPA-V. MANACORDA (a cura di), Codice civile commentato. Libro IV, Trento, 2009, p. 2494. Più ampia disamina dei “giochi vietati dalla legge penale e la zona grigia della «soluti retentio»” era già, ad esempio, in E. MOSCATI, Le obbligazioni naturali, estr. da Fonti legali e fonti private delle obbligazioni, Padova, 1999, pp. 91 ss. ove ampia bibl. (a sua volta senz’altro convinto “che il gioco vietato esula dalla previsione dell’art. 1933 c.c.” [p. 92]). 12 Mi riferisco a Salv. ROMANO, Note sulle obbligazioni naturali, Firenze, 19532, spec. pp. 29 ss., 110 s. Ulteriori spunti (e indicazioni bibliografiche) sono in E. MOSCATI, Le obbligazioni naturali, cit., pp. 11 ss. Cfr. anche L. BALESTRA, Le obbligazioni naturali, Milano, 2003. 13 Il libro cui alludo è ovviamente L'ordinamento giuridico (1918), rist. Firenze, 19622 (in cui già si rinvengono alcune intuizioni nella prospettiva poi percorsa dal figlio, come rilevato nel testo, e da altri studiosi: cfr. E. MOSCATI, Le obbligazioni naturali, cit., spec. pp. 11 s. e nt. 33). Riguardo ad alcune applicazioni cui la teoria di Santi Romano è andata incontro nel campo della storiografia giuridica (dal diritto attico di Paoli sino a quello medievale di Grossi), cfr. E. STOLFI, Introduzione allo studio dei diritti greci, Torino, 2006, pp. 19 ss., 197 s. Si veda anche infra, nt. seguente. 3 normazione14. Il discorso iniziava così, opportunamente, a divenire più complesso, il panorama meno univoco, i confini più labili. E tuttavia al centro di questa proficua problematizzazione non era il gioco in sé – ciò che esso avesse in comune col diritto, o addirittura se e come quest'ultimo partecipasse delle dinamiche ludiche – ma appunto un altro distinto ordinamento cui i consociati potevano dar luogo, non in quanto partecipi della compagine statuale, ma in quanto disciplinanti con proprie regole la forma di aggregazione che avevano determinato. La percezione di una modesta rilevanza del gioco sub specie iuris – o almeno di un disporsi di tale rilevanza su piani distinti e peculiari, in certa misura anche eccentrici e anomali – era così destinata a non venire completamente rimossa. Il profilo composto e seri(os)o del diritto sembrava non consentire che entro il sacro cerchio del giuridico trovassero piena e legittima ospitalità scherzi e scommesse, l'alea15 e il multiforme divertissement dell'homo ludens. Una conferma appariva desumibile, per chi osasse addentrarvisi, anche dalle esperienze del passato, e in particolare dalle austere testimonianze a noi pervenute dal mondo romano. Al riguardo potevamo infatti apprendere – tramite i frammenti dei commentari che vi dedicarono i giuristi fra I e III secolo d.C., che leggiamo nei Digesta giustinianei – di una previsione formulata in una rubrica (De aleatoribus) dell'editto del pretore, alla cui stregua ogni salvaguardia processuale veniva esclusa in riferimento alle lesioni fisiche e alle sottrazioni patrimoniali verificatesi in una casa da gioco16. I magistrati romani sancivano, in tal modo, l'estraneità di quei luoghi (rectius, delle attività che vi erano svolte) all'usuale rete di mezzi di tutela – azioni, eccezioni, interdetti, stipulazioni pretorie, rimesse in pristino, immissioni in possesso – assicurati dal processo civile (formulare) e che loro stessi, nel corso di generazioni, avevano pazientemente tessuto con l'ausilio dei giuristi. Il gioco diveniva oggetto del ius (in questo caso honorarium)17, ma solo per formalizzare l'alterità della sua logica e delle sue implicazioni rispetto alle ordinarie dinamiche giuridiche. Ne scaturiva quasi uno spazio anomico, o di sospensione del diritto, che includeva per esclusione: una zona d'ombra, come degiuridicizzata e consegnata ai puri rapporti di forza della “nuda vita”18, in cui rifluivano dimensioni ed esperienze tutt'altro che marginali nella socialità antica. Quasi stupisce, di fronte all'innescarsi di un simile meccanismo, che ad esso non abbiano neppure accennato le odierne correnti filosofiche che a certe figure dell'esperienza giuridica romana – dall'homo sacer al Senatus consultum ultimum, all'auctoritas e allo iustitium, sino alla nozione di persona – si sono rivolte per desumerne, con qualche forzatura storiografica ma anche un'indubbia forza concettuale, paradigmi biopolitici in grado di afferrare i fenomeni di inclusione ed esclusione dal diritto della vita umana, sino a decifrare l'essenza della sovranità, dello stato di eccezione e della soggettività giuridica (quale irrimediabilmente sconnessa, tramite il “dispositivo” della persona, 14 Una lucida rimeditazione della proposta teorica romaniana – sino a valorizzarne in pieno, e talora radicalizzare anche rispetto allo stesso giurista siciliano, l'idea di una pluralità di ordinamenti giuridici (contrassegnati da autonomia, e non da sovranità) – si deve soprattutto a P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1995, spec. pp. 30 ss.; ID., Società, diritto, stato, cit., spec. pp. 144 ss., 178 ss., 206 ss.; ID., L'Europa del diritto, Roma-Bari, 2007, pp. 219 ss. 15 Intesa in un senso non del tutto coincidente con quello che riscontriamo nella più vasta categoria dei contratti detti appunto aleatori (il cui paradigma, come noto, è costituito da una figura tutt'altro che “giocosa” quale il contratto di assicurazione), solitamente contrapposti ai contratti commutativi (nel senso che ho chiarito in L. LANTELLA-E. STOLFI-M. DEGANELLO, Operazioni elementari di discorso e sapere giuridico, rist. Torino, 2007, pp. 160 s.). 16 Le parole dell'editto sono riportate da Ulpiano in D.11.5.1. Per qualche ragguaglio circa la dottrina romanistica sul punto, cfr. G. IMPALLOMENI, In tema di gioco, in Sodalitas. Sciriti in onore di Antonio Guarino, V, Napoli, 1984, pp. 2331 ss., e A. POLLERA, In tema di repressione del gioco d’azzardo: dati e problemi, in Studi per Luigi De Sarlo, Milano, 1989, pp. 517 ss. 17 E perciò distinto dagli altri piani normativi – non veri e propri ordinamenti distinti, come pure in passato è stato sostenuto – conosciuti dai romani, e in primo luogo dal ius civile, destinato ai soli cittadini (cives): sul punto, per un quadro di sintesi, posso rinviare a L. LANTELLA-E. STOLFI, Profili diacronici di diritto romano, Torino, 2005, pp. 36 ss. 18 Nel senso, teoricamente pregnante, che all'espressione è stato attribuito nel dibattito filosofico – da Benjamin sino ad Agamben ed Esposito – e che ho cercato di ricostruire in Il diritto, la genealogia, la storia. Itinerari, di imminente pubblicazione, Cap. IV §§ 1-2. 4 dalla mera falda biologica dell'esistenza, e anche, verrebbe da aggiungere, della dimensione ludica che di quest'ultima è componente non secondaria)19. III. Funzione performativa degli enunciati e cultura delle regole. Ma anche a fronte dell'autorevolezza di queste risultanze storiche – il cui rilievo a me sembra, come in molte altre occasioni, risiedere più nella loro alterità dalle soluzioni odierne che nella loro vicinanza, nella feconda “inattualità” che vi scorgiamo più che in una pretesa continuità senza cesure20 – il problema delle relazioni fra gioco e diritto sembra ben lontano dall'essere anche solo correttamente impostato, non dico compiutamente indagato e risolto. Almeno altri due aspetti trovo che non possano essere trascurati: entrambi all'insegna di un'analogia profonda fra quei due campi, di una consonanza morfologica che riporta alla luce snodi portanti della loro struttura, ed entrambi legati a quell'orizzonte che l'analisi linguistica consente, come accennato, di mettere meglio a fuoco. Mi riferisco, in primo luogo, alla peculiare valenza che l'atto linguistico, soprattutto orale, più volte assume in quei contesti: una portata che siamo soliti denominare “performativa”, la cui caratteristica prestazione consiste nel mutamento della realtà che vi è connesso21. La pronunzia di determinate parole o l'esperimento di un formulario prestabilito non assolve una delle usuali funzioni illocutorie del linguaggio (quella assertiva, interrogativa, esclamativa, direttiva, commissiva)22 ma si rivela il canale esclusivo, o almeno privilegiato, tramite il quale ottenere certi effetti, introdurre modifiche nella struttura del mondo (almeno quello contemplato dal diritto e dal gioco, o da essi duplicato quale propria e ipostatica dimensione)23. E' quanto verifichiamo nel diritto (soprattutto quello arcaico, maggiormente legato alle implicazioni magico-sacrali della pronunzia solenne, se del caso accompagnata dal compimento di gesti rituali24: ma, in misura non irrilevante, anche in quello odierno), così come nel gioco. Nessun matrimonio sarebbe validamente concluso ove i nubendi non si scambiassero le fatidiche formule che li trasformano da celibe e nubile in coniugi, e fra loro instaurano appunto il rapporto di coniugio; nessun esame di laurea costituirebbe un corretto procedimento amministrativo se non fosse coronato dalla lettura di una formula che cancella dal mondo il Signor X per collocarvi, al suo posto, il Dottor X: esattamente come a un tavolo di poker chi scandisce la parola “passo” scompare dal novero di coloro che partecipano a quella “mano” (che a sua volta si concluderà, se qualcuno afferma “vedo”, a favore di chi dichiarerà 19 Sarebbe qui fuor di luogo ripercorrere il complesso e articolato dibattito su questi temi. Fra le ricerche cui alludo si vedano comunque, in primo luogo, le ricerche genealogiche di Giorgio Agamben (soprattutto Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, 1995, e Stato di eccezione (Homo sacer II,1), Torino, 2003) e di Roberto Esposito (Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Torino, 2007). Per un quadro in proposito posso ancora rinviare al mio Il diritto, la genealogia, la storia, cit., Cap. IV §§ 1-2 e Cap. V spec. § 1, ove ulteriore bibliografia. Si veda ora anche L. GAROFALO, Biopolitica e diritto romano, Padova, 2009. 20 Di nuovo devo qui rinunciare ad approfondire i delicati problemi di metodo che tutto ciò comporta, fra comparazione dell'antico col moderno, studio storico del diritto e velleità di “Aktualisierung”. Mi sono più volte soffermato, da angolature diverse, su simili temi: cfr., da ultimo, Il diritto, la genealogia, la storia, cit., spec. Cap. III. 21 Sul punto, per tutti, J.L. AUSTIN, Enunciati performativi (1961), trad. it. in U. SCARPELLI (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio, Milano, 1976, pp. 123 ss.; ID., How to do Things with Words, rist. Oxford, 1986 (ed. or. 1962); A.G. CONTE, Performativo vs. normativo (1994), in U. SCARPELLI-P. DE LUCIA (a cura di), Il linguaggio del diritto, cit., pp. 247 ss.; M. LA TORRE, Norme, istituzioni, valori, Per una teoria istituzionalistica del diritto, Roma-Bari, 20083, spec. pp. 230 ss.; G. BERNARDINI, Le parole preparate, in Studi in onore di Remo Martini, I, Milano, 2008, pp. 227 ss. Sul paradigma del performativo, colto nel giuramento, cfr. ora G. AGAMBEN, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento (Homo sacer II,3), Roma-Bari, 2008, spec. pp. 80 ss. 22 Sugli atti illocutori (anche in confronto alle funzioni perlocutorie) si veda, in estrema sintesi, L. LANTELLA-E. STOLFI-M. DEGANELLO, Operazioni elementari, cit., pp. 176, 181 s. 23 Sulla stilizzazione o duplicazione del reale posta in essere dai meccanismi del diritto, si vedano almeno le considerazioni (valevoli non per la sola esperienza romana) di L. LOMBARDI, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967, p. 31 s., e di M. BRETONE, Storia del diritto romano, Roma-Bari, 19938, p. 10. 24 Cfr., in estrema sintesi, L. LANTELLA-E. STOLFI, Profili diacronici, cit., spec. pp. 27 ss., 219 s. 5 il punto più alto)25, e solo l'espressione “scacco al re” consente di far pienamente valere l'esecuzione di una certa mossa compiuta da uno scacchista. Gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi, ma credo che già questi, assai banali, siano sufficienti a porre in luce una rilevante omologia tra le nostre due sfere, e gli atti linguistici – forme verbali che modificano la sostanza delle cose, o su questa prevalgono – che entro di esse consentono di raggiungere determinati obiettivi. Ancor più costitutivo risulta il secondo profilo di contiguità e somiglianza cui accennavo: ossia il ruolo primario che, tanto nel diritto che nel gioco, assumono quelle “informazioni su rapporti di condizionamento tra fatti” che usualmente denominiamo “regole”26. Il dato non può stupire il giurista, ben consapevole che una “cultura delle regole” domina il suo intero campo di lavoro27, e che non vi è enunciato proprio del suo sapere che non sia traducibile nella forma canonica della regola (“Se X allora Y”), in una delle sue diverse tipologie (soprattutto regole direttive, ma anche costitutive e commissive, mentre dal mondo del diritto sono escluse per definizione quelle descrittive)28. La medesima enunciazione condizionale – che sta nel mondo linguistico come il rapporto di condizionamento sta nel mondo reale29 – connota però, notoriamente, anche altri ambiti della vita umana, dal linguaggio alla morale alla buona educazione sino all'elaborazione nel campo delle cosiddette “scienze dure”. Il gioco non fa certo eccezione: possiamo anzi dire che esso, e in genere ogni comportamento ludico, neppure è pensabile prescindendo da una rigorosa trama di regole: da quelle semplici ed estemporanee, ma avvertite come affatto vincolanti (e prese estremamente sul serio), che guidano il gioco dei bambini, sino a quelle assai complesse e articolate che disciplinano gli sport, i giochi di carte o di abilità. La regola, nella sua volontaria assunzione e nel suo effetto assolutamente vincolante, non può anzi mancare in alcuna definizione del fenomeno, come quella classica di Huizinga30. E qui veniamo al punto che maggiormente accomuna al diritto il fenomeno ludico, e segna la peculiarità di quest'ultimo anche dagli altri ambiti interessati dalla presenza di regole. Mi riferisco non solo alla circostanza che tanto nel diritto che nel gioco (come, in verità, in ogni altro sistema direttivo, e a differenza di quanto riscontriamo nelle scienze naturali) le regole sono per lo più di carattere direttivo, e comunque mai di natura descrittiva; ma soprattutto alla particolare forza coercitiva di cui tali enunciazioni condizionali sono munite nei nostri due settori. Anche chi non si arrischi a definire il diritto31, sa per certo che a caratterizzarne le prescrizioni (rispetto, ad esempio, a quelle morali o di buona creanza) è l'allestimento di strumenti – dapprima di autotutela, poi processuali, garantiti da una compagine politica (modernamente lo 25 Punto che ovviamente deve non essere inferiore a quello che effettivamente si ha in mano: a riprova del valore performativo di queste enunciazioni, non vale però l'inverso, giacché il giocatore che dichiari (per errore, gigioneria o inopportuno bluff) un punto minore di quello realmente ottenuto, non potrà far valere quest'ultimo. In tal senso è da interpretare l'usuale affermazione dei pokeristi: “il punto è quello che si dichiara”. 26 Traggo la definizione, con lievi modifiche, da L. LANTELLA-R. CATERINA, Se X allora Y. I: l'universo della regola, Torino, 2009, p. 3 (a questo e al successivo volume [II: lavorare con le regole] si fa rinvio per una lucida e articolata disamina del tema della regola). 27 E non solo quello del diritto privato, alla cui parabola fra XIX e XX secolo si riferisce il libro di Guido Alpa (La cultura delle regole. Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2000) al cui titolo ho appena fatto allusione. 28 Cfr. ancora L. LANTELLA-R. CATERINA, Se X allora Y, I, cit., pp. 4 ss., 169 ss. 29 Ho in mente, di nuovo, quanto scrivono L. LANTELLA-R. CATERINA, Se X allora Y, I, cit., p. 4. 30 Secondo il quale il gioco è “un'azione, o un'occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di «essere diversi» dalla «vita ordinaria»”: così J. HUIZINGA, Homo ludens, cit., p. 34. 31 Operazione fra le più incerte e controverse con cui il giurista possa misurarsi, e che ha probabilmente sortito gli effetti migliori laddove (come da parte degli antichi prudentes, con l'enunciazione di Celso e Ulpiano che leggiamo in apertura dei Digesta giustinianei) il definiendum era assunto in chiave dinamica, quale attività umana (caratterizzata dalla conformità al bonum et aequum) più che come ordinamento da essa prodotto. Il punto, sfiorato nelle molte indagini dedicate da Filippo Gallo al tema (cfr., da ultimo, La definizione celsina del diritto nel sistema giustinianeo e la sua successiva rimozione dalla scienza giuridica: conseguenze persistenti in concezioni e dottrine del presente, estr. da Teoria e Storia del Diritto Privato, 3, 2010) è ulteriormente approfondito in nuove ricerche del medesimo Autore, di imminente pubblicazione. 6 Stato, oggi anche le comunità sovranazionali) – che sanzionino ogni inottemperanza a tali disposizioni, e costringano quindi al loro rispetto quanti vi siano tenuti. Se così una regola del galateo non comporta, ove disattesa, che una (sempre più vaga) reazione di ordine sociale – quale l'affievolimento della stima e del decoro goduto dall'interessato in certi ambienti –, ben diverse sono le conseguenze di chi, ad esempio, tenga una condotta repressa dal diritto penale, o manchi di compiere una prestazione a cui si è contrattualmente obbligato. Di fronte a una simile alternativa fra regole provviste di un puntuale apparato di coazione e altre che affidano la propria osservanza a più labili meccanismi di reazione sociale (o di giustizia divina, nel caso delle regole di natura religiosa), è indubbio che il gioco si disponga vicino al diritto, nella prima direzione, quanto forse nessun altro fenomeno della socialità umana. Esso prende spesso vita secondo le logiche dell'agonalità (che già si delineò quale un tratto di fondo del vissuto greco32, irradiatosi sin nelle forme più alte di speculazione33, e anche per questo destinato a incidere sulla storia occidentale), laddove il rispetto delle regole è essenziale per l'ottenimento stesso del successo, e il primo mezzo coercitivo è rappresentato proprio dalla soccombenza che consegue, o dovrebbe conseguire, dalla condotta ad esse contraria (non certo dalle ripercussioni a livello di opinione pubblica, che può persino ricordare con simpatia e quasi ammirazione un goal di mano segnato in una semifinale del Campionato del Mondo...). Ma anche laddove il gioco esula dalla peculiare dimensione competitiva – è il caso di molti comportamenti ludici dei bambini, che si cimentano a impersonare questo o quel personaggio, o di certi giochi di ruolo – le regole che ci si pongono non riescono meno stringenti: la loro inottemperanza fa sì che addirittura venga meno l'incanto del gioco, si spezzi il consapevole inganno su cui esso si regge, quale fine e non mezzo. Altre competenze, di ordine antropologico, psicologico e sociologico, occorrerebbero per meglio indagare simili dinamiche, proprie dell'uomo quale “signore delle forme”34 (e quindi delle stesse regole). Quel che ai nostri occhi più rileva è però la conferma che ne possiamo desumere in merito a quella contiguità (o addirittura un'endiadi?) di gioco e diritto, su cui conveniva soffermarsi, sia pure in modo sommario, nell'avviarci a seguire – grazie al quotidiano sviluppo di Lex Giochi – le forme in cui l'uno diviene oggetto dell'attività dell'altro. 32 Colto sin dai tempi di Burckhardt: cfr., per tutti, H.-J. GEHRKE, La «stasis», in S. SETTIS (a cura di), I Greci, II.2, Torino, 1997, pp. 453 ss. Sul processo, nell'esperienza giuridica greca, come ágon, cfr. soprattutto L. GERNET, Sulla nozione di giudizio in diritto greco (a cura di D. DE SANCTIS), Torino, 2007, spec. pp. 74 ss. (nonché la mia recensione in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 74, 2008, pp. 853, 866 s.). Sulla guerra “agonale” nel mondo antico si vedano, fra gli altri, V. ILARI, Guerra e diritto nel mondo antico. Parte prima. Guerra e diritto nel mondo greco-ellenistico fino al III secolo, Milano, 1980, pp. 46 s.; J.-P. VERNANT, Mito e società nell’antica Grecia (seguito da) Religione greca, religioni antiche, trad. it. Torino, 2007, p. 37; E. STOLFI, Configurazioni della guerra e concetto di ‘díkaios pólemos’ nell’esperienza greca: alcune osservazioni, di prossima pubblicazione in Studi in onore di Remo Martini, III, § 3 ove altra bibliografia. 33 Sul carattere agonale della filosofia greca, per tutti, J. HUIZINGA, Homo ludens, cit., spec. pp. 137 ss. Ancor più evidente è l'incidenza dello stesso carattere nel caso della retorica, nel senso alto in cui essa fu coltivata nel mondo antico e medievale. 34 L’espressione è di Ernst Jünger: cfr. E. CASTRUCCI, Ricognizioni. Quattro studi di critica della cultura, Firenze, 2005, p. 57. 7