t again. - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
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Anno 107 - n. 9 - Settembre 2016 La Rivista Anno 107 - n.9 - Settembre 2016 oops, we did it again. L'Italia ferita Le forme della solidarietà Fiat 124 Spider è tornata. Chi dice che le cose belle accadono una sola volta nella vita? La leggendaria Fiat 124 Spider riapparirà sulle nostre strade e ci farà rivivere lo spirito degli anni Sessanta. Scopritela subito presso il vostro partner Fiat ufficiale. fiat.ch Incontri: con Pierangelo Buttafuoco Domenio Quirico e Gian Antonio Stella CONVENIENZA SU TUTTA LA LINEA. Grazie agli innumerevoli modelli disponibili, la nuovissima gamma di mezzi Iveco offre soluzioni specifi che per ogni incarico di trasporto. Con veicoli di concezione innovativa, che vi portano avanti in tutti i sensi e tutelano il più possibile l’ambiente. In poche parole: economia ed ecologia in perfetta armonia. L’esempio più recente: il nuovo EUROCARGO, Truck of the Year 2016! Il vostro partner Iveco sarà lieto di consigliarvi. 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Mentre cinici e bari sono sicuramente coloro che, a vari livelli e a vario titolo, hanno contribuito a creare le premesse che ci mettono (ciclicamente) a confronto con la cronaca di un disastro annunciato. I resoconti dei giorni successivi al 24 agosto, dopo aver, fin quanto sperare era ancora possibile, snocciolato, aggiornandolo, il (troppo) lungo rosario delle vittime, si sono arricchiti e autoalimentai di una serie di notizie, appunto, sconcertanti. Il caso virtuoso, ormai datato, da citare come felice esempio di una ricostruzione possibile (Friuli 1976) è finito stemperato in narrazioni in cui la gara sembrava fra i casi che dimostrassero, colpevole inadempienza sconfinante nel malaffare. Soldi raccolti con gli sms e mai arrivati a destinazione (Aquila 2009) o arrivati decurtati e dopo mesi di rimpalli (Emilia 2012), fondi per progetti specifici (asili, campanili in Emilia 2012), interventi antisismici per mettere al sicuro edifici pubblici (l’esempio paradossale è la scuola di Amatrice). E sono solo gli esempi che emergono dal recente passato di cui, sembra, ma questo succede ad ogni cataclisma, ci sia oggi una rinnovata consapevolezza. Non è un caso che la magistratura abbia deciso di requisire le macerie e gli atti catastali, sostanzialmente come prova di reato, per accertare le responsabilità, di chi (talvolta anche degli stessi cittadini), per inefficienza, mancata vigilanza, speculazione, ha consentito che non si adottassero tutte quelle direttive emanate, tutte quelle misure annunciate, tutti quegli interventi promessi a fronte di soldi stanziati, che avrebbero certamente contenuto le conseguenze di un fenomeno, di per sé naturale e di fatto ancor oggi imprevedibile, ma in buona parte governabile nella limitazione dei suoi effetti. Succede cos ì che allo sconcerto subentri il disappunto, che sfocia nella rabbia: figlia dell’impotenza. Che ci impedisce di apprezzare, come invece meriterebbe, la dedizione e l’impegno profuso dai volontari. Che, a fronte del grande cuore degli italiani (ma anche di quello dei non italiani), ci fa dubitare della reale efficacia delle varie forme di solidarietà che si manifestano anche nelle espressioni più creative. Che ci lascia perplessi di fronte alle buone intenzioni dei politici, che assicurano che nessuno verrà lasciato solo. Che ci impone, nostro malgrado, di fare di necessità virtù. Esercizio nel quale, ahinoi, pare, eccelliamo. Non a caso è convinzione comune, rispolverata ad ogni triste evenienza, che gli italiani sappiano dare il meglio di sé in situazioni d’emergenza. Dispiacerebbe a qualcuno se la stessa prestazione la fornissimo anche in condizioni di tranquilla normalità? *** Ps: Ci sembrava doveroso un richiamo al terremoto: che, vista anche la natura della nostra pubblicazione, abbiamo circoscritto ad una sollecitazione in copertina e a questa breve nota. Su questo numero della Rivista, attraverso un paio di interviste, in primo piano abbiamo soprattutto alcune riflessioni che ci offrono punti di vista che possono aiutarci a meglio orientarci nelle vicende che, presentandosi soprattutto come scontro di culture, assediano (sperando che non finiscano per occuparla) la nostra quotidianità. INSTEAD OF HIRING A SUPERMODEL WE BUILT ONE MASERATI GHIBLI DIESEL. A PARTIRE DA 71’000.–* MASERATI GHIBLI – DISPONIBILE CON TRAZIONE INTEGRALE INTELLIGENTE * MASERATI GHIBLI DIESEL 6-CILINDRO-V-60° – 2.987 CM³ – POTENZA: 202 KW (275 CV) – 570 NM A 2.000 – 2.600 U/MIN – V-MAX. 250 KM/H – 0 A 100 KM/H IN 6,3 SEC. – CONSUMI (L/100 KM) CICLO COMBINATO: 5,9 (EQUIVALENTE DI BENZINA 6.6) – EMISSIONI CO2*: 158 G/KM – CATEGORIE DI EFFICIENZA: D Modello effigiato: Maserati Ghibli S Q4 con pinze dei freni in alluminio CHF 95’994.–; prezzi di listini e offerte: salva revoca e sempre attuale su www.maserati.ch. 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Incontro pubblico con Domenico Quirico INCONTRI 28 Quella ragazzina arrivata dalla città Donne in Carriera: Carla La Placa CULTURA 43 48 50 52 53 54 Come la Svizzera ottenne «la piena libertà e l’esenzione dall’Impero» (1648) Dalla Svizzera degli Stati alla Svizzera federale «La Svizzera non è Paese bilingue» L’italianità della Svizzera - Attualità e prospettive Alberto Giacometti nella banconota da 100 franchi Biografie in filigrana Il nuovo Museo nazionale Zurigo Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une collection privée Fino al 30 ottobre alla Fondation de l’Hermitage di Losanna Calato il sipario sulla 69ma edizione del Festival del film Locarno Pangottardo dolce omaggio a Gotthard Terrazza Marnin: luogo di incontri conviviali 61 64 Le piccole patrie dure e pure non m’interessano Dialogo con Gian Antonio Stella DOLCE VITA Collisioni per l’ottava volta a Barolo Festival dell’Agrirock Dove arte, vino, cibo, letteratura, musica, cinema, degustazioni s’incotrano 68 76 A Trapani per il festival Stragusto Mangiare bene, mangiare sano: un’eredità culturale da tutelare, valorizzare e tramandare La nuova Maserati Quattroporte MY17 presentata a Porto Cervo Abarth 124 spider: la macchina che farà nuovamente sorridere chi avrà la fortuna di guidarla La nuova Audi Q2: alla guida con gusto IONIQ: personalità innovative e consumi contenuti 78 Il mondiale Motocross parla sempre più italiano Sommario 82 84 IL MONDO IN CAMERA A Lugano la Liguria incontra la Svizzera Experience Italy South and Beyond 86 Business seminar nel settore aviazione e aerospaziale Go-Italy Emilia Romagna Fashion 2016 88 Le Rubriche Incontri btob nel comparto life science GOURMESSE 2016 Fiera del Gusto, delle specialità e dei prodotti di nicchia Contatti Commerciali Benvenuto ai nuovi soci Servizi Camerali 7 In breve 41 L’elefante invisibile 9 Italiche 49 Scaffale 11 Elvetiche 58 Benchmark 13 Europee 59 Sequenze 15 Internazionali 62 Per chi suona il campanello 31 Cultura d’impresa 63 Diapason 32 Burocratiche 68 Convivio 34 Normative allo specchio 73 La dieta rivista 36 Angolo Fiscale 75 Motori 37 Angolo legale Svizzera 38 Convenzioni Internazionali In copertina: Ogni iniziativa è utile per rendere concreta la propria solidarietà. Nel caso specifico strettamente connesso al territorio drammaticamente ferito. Editore Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - Giangi CRETTI Comitato di Redazione A.G. LOTTI, S. SGUAITAMATTI Collaboratori C. Bianchi Porro, M. Calderan, G. Cantoni, M. Caracciolo Di Brienza, C. D’ambrosio, V. Cesari Lusso, M. Cipollone, P. Comuzzi, D. Cosentino, A. Crosti, L. D’alessandro, F. Dozio, M. Formenti, F. Franceschini, T. Gatani, G. Guerra, M. Lento, R. Lettieri, F. Macrì, G. Merz, A. Orsi, V. Pansa, C. Rinaldi, G. Sorge, N. Tanzi, I. Wedel La Rivista Seestrasse 123 - Cas. post. 1836 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 2892319 Fax ++41(0)44 2015357 [email protected], www.ccis.ch Pubblicità Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Seestrasse 123 - Casella postale 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 2892319 Fax ++41(0)44 2015357 e-mail: [email protected] Abbonamento annuo Fr. 60.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. 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Grazie a questi impianti, infatti, sarà possibile rendere ecosostenibili anche quelle abitazioni che si trovano in aree dove esistono rigidi vincoli paesaggistici o architettonici. Il coppo fotovoltaico, ribattezzato non a caso “Invisible Solar”, integra le tecnologie più innovative ad un’estetica tradizionale. A breve la Dyaqua avvierà la produzione industriale, e gli interessati possono visionare le caratteristiche del prodotto già ora, sul sito Internet dedicato alla tegola. “Con i test effettuati dall’Enea - commentano dalla società vicentina abbiamo ottimizzato gli elementi architettonici del Fotovoltaico Invisibile per prepararli all’inserimento nel mercato”. Il prodotto è stato promosso anche dal Ministero dei Beni Culturali (MiBACT) che 6 - La Rivista settembre 2016 nel 2015 ha inserito tutta la tecnologia del Fotovoltaico Invisibile nelle “Linee di indirizzo per il miglioramento dell’efficienza energetica nel patrimonio culturale. Architettura, centri e nuclei storici ed urbani”. Ogni tegola è costituita da un composto polimerico all’interno del quale sono incorporate delle celle di silicio monocristallino. Ogni Invisible Solar è in grado di generare una potenza di picco di 4,5 W. La speciale superficie, opaca alla vista e trasparente per i raggi solari, ricopre le celle nascondendole alla vista, ma ciò non diminuisce la produzione energetica. Per produrre un kW di potenza è necessario avere a disposizione un’area di 15 metri/q, nella quale trovano posto 223 coppi: per un costo complessivo di circa 10 mila euro. La nuova tegola fotovoltaica, realizzata con materiali riciclabili, non produce soltanto energia ma contribuisce anche al filtraggio dell’aria dagli inquinanti più comuni. La sua superficie, infatti, è fotocatalitica e, grazie alla luce, riesce a degradare le particelle di smog, mantenendo nel contempo pulita la tegola: sporco e inquinamento atmosferico vengono ridotti in sali innocui che si disperdono nell’ambiente con la semplice azione di vento e pioggia. ne abbiamo fatto cenno sullo scorso numero della Rivista ed ecco la conferma: le biciclette elettriche godono sempre più del favore dei consumatori. Nel 2015, le mountainbike elettriche, per esempio, hanno registrato la maggior crescita tra tutte le due ruote: +45% stando ai dati diffusi oggi dall’Ufficio Svizzera di Consulenza Due Ruote^(USCD) di Soletta. Le bici da corsa elettriche, stando a questa classifica, hanno rappresentato oltre un quarto delle vendite. I modelli dotati di questa tecnologia non soppiantano per forza le biciclette a sola trazione umana, ma attirano sovente una nuova clientela. Il portavoce dell’USCD, Roland Fuchs, ha sostenuto all’ats che in Svizzera circolino oramai 350 mila biciclette elettriche. Gli 80 fornitori - tendenza al rialzo - di questo tipo di mezzi si danno da fare per attirare clienti mediante giornate in cui i potenziali acquirenti possono testare una bici elettrica. Sempre secondo Fuchs, il settore vale oramai quasi un miliardo di franchi l’anno nel nostro Paese. Le vendite globali da parte di negozi specializzati in biciclette (a partire da 100 mila franchi di fatturato e senza la grande distribuzione) totalizzano 720 milioni. A livello nazionale, circa 5 mila salariati sono attivi in questo particolare ramo. A questa cifra si aggiungono ancora mille persone impiegate presso fabbricanti indipendenti e altro attori. La Svizzera inclusa nella “white list” Roma ha deciso che anche la Confederazione figurerà nell’elenco dei Paesi cooperativi in materia fiscale La fine di un’ era Gli Agnelli lasciano l’Italia Gli Agnelli lasciano l’Italia: a fine anno nessuna società del gruppo avrà più sede a Torino. Se ne vanno nei Paesi Bassi anche la holding Exor e la Giovanni Agnelli e C. Sapaz, cassaforte della famiglia e detentrice del 52,99% della finanziaria. Erano gli ultimi baluardi della torinesità del gruppo e il loro addio al Lingotto segna simbolicamente la fine di un rapporto ultracentenario con la città. Il percorso è analogo a quello seguito da Fca, Cnh Industrial e Ferrari: Exor, però, porta in Olanda sia la sede legale sia quella fiscale (quest’ultima per le altre società è a Londra) e mantiene la quotazione esclusivamente a Piazza Affari. Tra gli azionisti potrebbero arrivare la Cascade Investment di Bill Gates, Jacob Rothschild e Nassef Sawiris: i tre imprenditori sono tra quelli che - come la Giovanni Agnelli - hanno dato disponibilità ad acquistare le quote provenienti dall’esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti contrari all’operazione. Il prezzo dovuto ai soci che opteranno per il recesso è di 31,2348 euro per ogni azione a fronte del prezzo di chiusura di oggi dei titoli pari a 33,51 euro. “Negli ultimi dieci anni abbiamo continuato a semplificare la nostra organizzazione e a svilupparci seguendo l’evoluzione dei nostri business. I nostri principali investimenti hanno già riorganizzato I rapporti commerciali fra l’Italia e il nostro Paese diventano più facili. Infatti Roma ha incluso la Confederazione nella «white list», ossia l’elenco degli Stati con i quali è possibile per l’Italia attuare un effettivo scambio di informazioni per poter applicare il proprio diritto interno, come si legge nel decreto del ministro delle Finanze italiano pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di lunedì. Roma ha deciso di togliere in questo modo la Svizzera dalle sue numerose «black list», e di abolire totalmente queste ultime. Ora il sistema contempla solo una «white list», che conta più di 120 Paesi (fra cui alcuni che fino a qualche anno fa erano considerati «opachi», come Liechtenstein, San Marino, Hong Kong e, appunto, la Svizzera), e che ora sono, da un profilo fiscale, totalmente in regola. Secondo il quotidiano italiano «Il Sole 24 Ore», il provvedimento ha due effetti immediati. Il primo consiste nell’allargamento del novero dei Paesi ai cui residenti sarà permesso di investire in obbligazioni pubbliche e private senza essere soggetti all’imposta sostitutiva sugli interessi. Il secondo effetto comporta l’ampliamento del mercato dei capitali per i soggetti pubblici e privati, non limitato alle obbligazioni, ma anche ad altre forme di finanziamento. le proprie strutture societarie per riflettere meglio la loro attività globale ed è quindi naturale che Exor si allinei a loro”, sottolinea il presidente John Elkann. “Vengono meno così - commenta il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino - anche gli ultimi legami finanziari fra la famiglia Agnelli e Torino. Sempre di più dobbiamo lavorare per valorizzare il nostro patrimonio del saper fare automobilistico per essere città dell’auto senza essere città della Fiat”. “Per la nostra città non è una buona notizia”, aggiunge il segretario generale della Fiom torinese, Federico Bellono, mentre la sindaca di Torino Chiara Appendino prende atto “delle rassicurazioni sugli investimenti dell’azienda sul territorio torinese” e promette di lavorare “per rilanciare la vocazione industriale di Torino”. Il progetto di fusione transfrontaliera per in- corporazione di Exor in Exor Holding, società olandese interamente controllata da Exor, sarà efficace entro la fine del 2016. L’assemblea straordinaria degli azionisti è convocata a Torino, al Lingotto, il 3 settembre e sarà l’ultima italiana del gruppo. Per favorire gli investimenti di lungo termine nella società Exor adotterà un meccanismo di fidelizzazione: per ogni azione ordinaria Exor Nv detenuta ininterrottamente per un periodo di 5 anni, gli azionisti avranno diritto, al termine di tale periodo, a 5 diritti di voto, che saliranno a dieci se il periodo complessivo sarà di 10 anni. L’operazione, sottolinea Exor, non ha impatti sulle società controllate, i cui impegni industriali e fiscali rimangono invariati, in ognuno dei paesi dove esse operano. Exor ricorda che anche PartnerRe, il suo investimento più grande, è controllata attraverso una società olandese. settembre 2016 La Rivista - 7 CENA IN FAMIGLIA? BRAVO A TE! Italiche di Corrado Bianchi Porro Preparare la svolta senza che il carro si rovesci Bisogna preparare la svolta senza che il carro si rovesci, ha ricordato il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nella sua incisiva testimonianza a Pieve Tesino dedicata alla illustre figura di Alcide De Gasperi. Bisogna dunque guidare e gestire una situazione complicata come seppe fare nel dopoguerra l’illuminato statista trentino in un periodo non meno complicato di quello odierno. Perché solo gli Stati Uniti sono oggi usciti, in un tempo relativamente breve, dalla crisi economica e finanziaria più grave che si sia registrata in un periodo di pace dopo la Grande Recessione. Invece l’Italia e l’Europa ancora stentano a ripartire, a fronte di una crescita insufficiente e di una disoccupazione che rimane ad alti livelli. Gli ultimi dati sull’evoluzione del Pil italiano e francese infatti segnalano una crescita zero nel secondo trimestre dell’anno e questo, nonostante i dati incoraggianti usciti dagli stress test effettuati dagli istituti della Penisola italiana per conto della Banca Centrale Europea, ciò che ha portato ad una nuova ondata di volatilità sui mercati azionari, per altro connessa alle incertezze conseguenti alla votazione sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, in modo particolare per i titoli finanziari e quelli ciclici. Per questo, secondo l’analisi di Frederik Ducrozet di Pictet Wealth Management, sarebbe opportuno che gli istituti bancari venissero alleggeriti dal peso del “Non-Performing Loans” le sofferenze bancarie (NPLs) che aggravano i conti societari, deprimendo la performance economica e comprimendo di conseguenza le prospettive della crescita e dell’impiego. Secondo l’analisi dell’istituto ginevrino, lo scenario di base suggerisce che solo a fronte di una magari modesta, ma rassicurante e stabile crescita dello 0,5-1%, il peso dei crediti incagliati possa gradualmente declinare nel corso del prossimo anno, consentendo alla strategia del Governo di Roma di essere credibile sul piano finanziario e al Paese di ritornare senza incertezze o ricadute sul sentiero della crescita. In questo modo, infatti, i crediti incagliati possono essere assorbiti, similmente a questo ha potuto fare la Spagna dopo la creazione della ‘Spain Bad Bank’ che ha consentito alla penisola iberica di usufruire di capitali europei col Fondo Salva Stati per 42 miliardi di euro, mentre un analogo piano italiano costerebbe sui 65 miliardi di euro, permettendo conseguenti iniezioni di capitali e risolvendo il problema alla radice, senza pericoli di ricadute ad ogni vento di crisi. Della stessa opinione anche l’economista Luigi Zingales, della Università di Chicago, secondo il quale solo una soluzione definitiva e radicale permetterebbe di riattivare il ciclo del credito fornendo carburante ed energia alla ripresa. Non a caso, commenta Zingales, la stessa cosa fecero gli Usa col fondo Tarp da 800 miliardi creato dall’allora Segretario al Tesoro, Henry Paulson nel 2008. La stessa Svizzera, nel periodo di difficoltà della più grande banca svizzera, l’UBS, non si sottrasse alla necessità di ricapitalizzare l’istituto, oggi tornato a rappresentare un esempio lampante di solidità, con il sussidio e l’intervento decisivo della Banca Nazionale Svizzera. Cessione di sovranità? Ma nel nostro caso si tratterebbe comunque di una cessione che pure fa capo al progetto comune europeo, commenta ancora lo studioso. Sull’altro fonte, quello della innovazione e della crescita della produttività, punta invece decisamente Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico del governo di Roma. Io penso, ha commentato in una recente intervista, che investimenti e competitività siano i due pilastri attorno ai quali costruire la manovra di bilancio per il 2017. Gli stimoli indifferenziati alla domanda non funzionano in uno scenario di incertezza generalizzata che è destinato a protrarsi nel tempo. Non dimentichiamo, infatti, che l’anno prossimo con le elezioni prevista in Olanda, Francia, Germania, Slovacchia, Irlanda e Romania, non potremo evitare qualche scossone politico che andrà ad aggiungersi alle trattative su Brexit col governo londinese di Theresa May. Carlo Calenda punta molto sul piano “industria 4.0”. Si tratta delle tecnologie evocate al Forum di Davos che stanno cambiando il modo di progettare, realizzare e distribuire prodotti in tutto il mondo secondo un filo digitale che percorre tutta la catena industriale. General Electric preferisce chiamarle l’internet industriale che permette di organizzare e gestire in modo automatico grandi quantità di informazioni. Secondo l’indagine di McKinsey, mentre l’80% dei dirigenti delle principali società considera la produzione digitalizzata un drive importante della competitività e della crescita, solo il 13% degli intervistati lo usa in modo adeguato. Dunque, i margini di crescita del settore sono enormi al fine di innestare la rivoluzione digitale nei processi di produzione, automatizzando i processi dalla progettazione all’esecuzione e spezzando il problema della de-industrializzazione del mondo occidentale. Con Pier Carlo Padoan, Stefania Giannini e Tommaso Nannicini, su input del Presidente del Consiglio, spiega ancora il ministro Carlo Calenda, la manovra per il 2017 si fonderà su stimoli fiscali agli investimenti in macchinari e beni digitali, che si accompagneranno al sostegno alla contrattazione aziendale, la costruzione di centri universitari d’eccellenza sulla manifattura innovativa e misure della finanza per la crescita a favore di imprese, studenti, lavoratori. Bisogna, infatti, agganciare il sistema produttivo italiano alla domanda internazionale e all’innovazione senza aver la pretesa di lanciare piani industriali dirigistici o con incentivi a pioggia. Il tutto con intelligenza, perché il fenomeno della globalizzazione va interpretato e gestito, senza l’inutile tentazione di chiudersi pensando di poter fare da soli o di guardare ad un passato che è sempre storia di cambiamenti e riforme. settembre 2016 La Rivista - 9 Elvetiche di Fabio Dozio Futuro incerto per le pensioni Nelle prossime settimane ci saranno decisioni importanti in Svizzera per quanto riguarda le pensioni. Il Parlamento federale affronterà il progetto “Previdenza per la vecchiaia 2020”. Il Popolo dovrà esprimersi, il 25 settembre, sull’iniziativa popolare “AVSplus”. Tempi duri per le pensioni e grami per i pensionati. Il secondo pilastro, come viene definita in Svizzera la pensione aziendale, obbligatoria, rischia di veder diminuire le rendite, visti gli scenari finanziari poco allettanti. Nella sessione d’autunno delle Camere federali si discuterà la riforma del sistema pensionistico e la maggioranza di centro destra potrebbe peggiorare la situazione dei pensionati, abbassando l’aliquota di conversione delle rendite e innalzando l’età del pensionamento. Il terzo pilastro, che è il risparmio privato (quando c’è!), non promette niente di meglio, dato che chi ha soldi in banca rischia di dover pagare interessi negativi e, in ogni caso, percepisce, da tempo, interessi assolutamente irrisori. Per fortuna gli Svizzeri possono contare sull’AVS, l’assicurazione vecchiaia e superstiti, fiore all’occhiello della socialità elvetica che, dal 1948, garantisce a tutti i cittadini una rendita di vecchiaia che va dai 1175 franchi ai 2350 mensili per le persone sole e arriva a 3525 franchi per le coppie sposate e i partner registrati. La Costituzione svizzera prescrive, all’articolo 112, che le rendite dell’AVS “devono coprire adeguatamente il bisogno vitale”. Chi non ce la fa può ottenere un’ulteriore prestazione, la “complementare”, che dovrebbe evitare l’indigenza ai cittadini più poveri. In questo scenario di pensioni traballanti il sindacato Unia ha lanciato un’iniziativa popolare per proporre un adeguamento delle rendite AVS del 10%. L’iniziativa è stata sottoscritta da 111’683 mila cittadini e la proposta sarà sottoposta al verdetto popolare il prossimo 25 settembre. Dal 1975 le rendite AVS non sono più state aumentate. In compenso, ogni due anni, dovrebbero venir ritoccate in funzione del rincaro e dei salari. Dal 1980 i salari hanno registrato un incremento del 135%, mentre le rendite dell’AVS del 114%. Quindi l’AVS si è indebolita! Attualmente circa 2,2 milioni di persone percepiscono la rendita AVS. Per il 19% dei pensionati e per il 38% delle pensionate l’assicurazione vecchiaia e superstiti è l’unica fonte di reddito. Il punto debole sono le donne. La maternità e la cura dei figli ha impedito a molte donne di esercitare un’attività lucrativa e quindi le loro pensioni aziendali sono scarse o nulle. Inoltre le donne lavorano spesso a tempo parziale e/o esercitano professioni a basso reddito. Nel 2012, infatti, quasi il 78% degli uomini poteva beneficiare di prestazioni del secondo pilastro, mentre le donne erano solo il 58%. Unia sottolinea che anche i giovani possono usufruire dell’aumento delle rendite AVS. Intanto, perché avranno pensioni migliori ma, soprattutto, perché “per i giovani è estremamente importante che la generazione dei pensionati benefici di un buon reddito sotto forma di rendite perché altrimenti devono sopperire essi stessi alle esigenze finanziarie dei loro genitori pensionati”. Quanto costerà aumentare del 10% le rendite AVS? Circa 4 miliardi l’anno da oggi e fino a 5,5 miliardi nel 2030, visto che il numero dei beneficiari aumenterà. Parlamento e Consiglio federale, assieme a tutti i partiti di centro e di destra e alle associazioni padronali sono però contrarie a “AVSplus” in nome dei costi. 4 miliardi all’anno sono troppi, dicono, per un’ AVS già confrontata con una situazione che diventerà più critica con il pensionamento della generazione dei baby boom. L’iniziativa ancorerebbe nella Costituzione solo il principio dell’aumento del 10%. Sulle modalità sarà tutto da decidere. Per Unia basterebbe aumentare le deduzioni dai salari dello 0,4 %, e altrettanto dovrebbero versare, in più, i datori di lavoro. Alla Confederazione toccherebbe aumentare la sua quota parte, per esempio con un prelievo dall’IVA. Se entrasse in vigore la proposta ci sarebbe un effetto perverso per alcuni cittadini che percepiscono le rendite complementari. Circa 15 mila pensionati – afferma il Governo – disporrebbero complessivamente di meno denaro, poiché perderebbero il diritto alle prestazioni complementari (che non sono tassabili, a differenza dell’AVS). Un effetto collaterale minimo, se si pensa che saranno più di due milioni coloro che invece vedranno arricchita la pensione. Il confronto alla vigilia della votazione sarà intriso di pregiudizi ideologici. Da decenni c’è chi preconizza che l’AVS rischia di fallire, sempre smentiti dai fatti. Il dato principale e inconfutabile è questo: mentre l’aspettativa di vita aumenta e le nascite diminuiscono, per cui si riduce chi paga le quote e aumenta chi riceve le rendite, il rapporto tra spesa per l’AVS e PIL (prodotto interno lordo) è costante. Dal 1975 al 2013 non è mutato, dunque l’AVS rimane un pilastro solido e sicuro. settembre 2016 La Rivista - 11 Europee di Viviana Pansa L’Europa riparte da Ventotene Più che per il rilancio del progetto europeo, l’Italia ha atteso il vertice di Ventotene tra i premier Matteo Renzi, il francese François Hollande e la tedesca Angela Merkel in vista del varo della legge di stabilità di questo autunno, reso particolarmente difficile dagli ultimi indicatori della nostra economia. La crescita zero registrata nel secondo trimestre del 2016 mette infatti a rischio l’obiettivo di un +1,2% di Pil auspicato dal governo italiano per la fine di quest’anno - e ad ammettere la difficoltà di centrare la percentuale di crescita fissata nei documenti di finanza pubblica per il 2016 nelle scorse settimane è stato lo stesso vice ministro dell’Economia Enrico Morando. È vero, inoltre, che il nostro paese dal 2015 in poi ha visto il susseguirsi di variazioni in positivo dei propri trimestrali di crescita, ma si tratta di percentuali che non hanno mai superato la soglia dello 0,5%, un andamento asfittico che pesa sulla prossima manovra e dovrebbe stimolare una riflessione seria sui motivi profondi della paralisi italiana piuttosto che il perenne fare affidamento sulla “locomotiva tedesca”. Neppure l’alibi della Brexit regge, dal momento che il campanello di allarme suona in riferimento al periodo immediatamente precedente il referendum inglese. La questione ruota ancora sulla flessibilità che Bruxelles sarà disposta a concedere alla quadratura dei nostri conti pubblici, quantificata – in base agli auspici del Ministero dell’Economia italiano – in circa 10 miliardi di euro per una manovra definita “espansiva” da 25 miliardi. Ma Roma ha già ottenuto uno sconto sulla riduzione del deficit che nel 2017 è scesa dal 2,4% all’1,8% - l’obiettivo inizialmente indicato era l’1,4%. Si vuole evitare ora l’aumento dell’Iva, destinare circa 2 miliardi alle pensioni e intervenire sulla riduzione delle tasse, così come promesso dal premier Renzi forse anche per rispondere ad un calo della fiducia e in vista del referendum di autunno sulla riforma costituzionale. “Se ci presentiamo in Europa e ai mercati con un piano industriale per l’Italia credibile fondato sullo stimolo agli investimenti e la competitività del sistema produttivo esistono spazi per ottenere quello di cui abbiamo bisogno” – ha affermato il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, giudicando “insensato” limitare ad un solo anno la possibilità di avvalersi dello sforamento dei vincoli sul deficit ribadito invece dall’Ecofin, il consiglio dei ministri dell’Economia degli Stati membri dell’Unione. Pesa tuttavia l’eccezionalità del debito pubblico italiano, lievitato a 2.248 miliardi, il 132,7% del Pil, e di cui non si prevede una riduzione, almeno per quest’anno, a meno che non riesca l’impresa delle privatizzazioni, ribadita ancora da Morando. Del resto, nonostante i margini di flessibilità richiesti e accordati da Bruxelles non sembra che l’Italia abbia ridotto in misura drastica la propria spesa pubblica, oscillata dal 51% al 50,5% del Pil in questi ultimi anni, mentre paesi come Spagna, Irlanda e Regno Unito hanno potuto dilatare i propri margini di deficit per alimentare la crescita proprio perché non gravati dalla mole di un debito pubblico paragonabile al nostro. L’indebitamento è uno dei tasselli che contribuiscono alla percezione dell’Italia quale economia tra le più fragili d’Europa, definizione ribadita in un’analisi recentemente pubblicata dall’Economist, che lancia l’allarme anche per l’alto tasso di disoccupazione e parla di “un’economia agonizzante da anni, soffocata da eccessi normativi e produttività debole”, situazione ora sotto i riflettori della stampa anglosassone, e non solo, perché la bocciatura della riforma costituzionale, trasformata in un voto pro o contro Matteo Renzi, potrebbe provocare uno shock politico sull’intero continente europeo. Può essere che il rischio disintegrazione, emerso più forte che mai all’indomani dell’esito del referendum inglese sull’uscita dall’Unione – procedura che in un primo tempo si era pensato di avviare il più velocemente possibile ma che ora sembrerebbe slittare al 2019 con il beneplacito del nuovo primo ministro britannico TheresaMay, incaricata di gestire una fase quanto mai delicata e densa di incognite, - possa mitigare il rigore di Bruxelles più dei piani del governo di “un’offesiva per lo stimolo” sollecitata all’Italia in un editoriale del Financial Times. Una manovra di bilancio sarebbe dunque indispensabile per rianimare un’economia così duramente provata, visti anche i risultati tutt’altro che decisivi delquantitative easingmesso in atto dalla Banca centrale europea. Che la sola politica monetaria non basti da sola allo scopo lo affermano da tempo anche gli economisti premi nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Quest’ultimo, nel suo ultimo libro eloquentemente sottotitolato Come la moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, si spinge ad ipotizzare addirittura un passo indietro rispetto all’euro, paventando “problemi che potrebbero essere insormontabili” così da determinare “un più complessivo ripensamento” della moneta unica, “compreso lo scenario di divisione” tra una valuta europea più forte al Nord e più debole al Sud. Ciò che si tende a dimenticare è come il varo dell’euro, così come il progetto ispirato agli “Stati Uniti d’Europa” di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, siano il frutto di idee e contesti storici destinati a mutare a volte anche molto rapidamente, perfettibili ma anche revisionabili, all’occorrenza. Per Stiglitz l’euro da “mezzo per un fine” è diventato invece un “fine in se stesso” che rischia di “mettere a repentaglio alcuni aspetti più importanti del progetto europeo”, alimentando divisioni piuttosto che solidarietà. Allo stesso modo è utile interrogarsi su quanto e come i parametri finanziari sino a qui tracciati siano strumentali al progetto europeo, e sulla natura stessa di tale progetto, in un contesto oggi molto diverso da quello osservabile ai tempi del confino sull’isola pontina. settembre 2016 La Rivista - 13 VIA NASSA 5 - 6900 LUGANO TEL: 0041 91 910 27 50 [email protected] WWW.SEALCONSULTING.CH Il Gruppo SEAL opera a Lugano dal 2005 ed offre servizi integrati sia a privati che ad imprese, attraverso le seguenti società: NEWS SETTEMBRE 2016 – IL FAMILY OFFICE –SEAL Consulting SA, attiva nella consulenza fiscale / societaria / contabile, sia domestica che internazionale, oltre che nel "Corporate Services Management" (costituzione di società, governance, regulatory and tax reporting). Nato e sviluppatosi nei paesi anglosassoni, oggi trova larga diffusione anche in Europa, Asia e Medio Oriente. L’obiettivo è di fornire ad una singola famiglia (single Family Office) o gruppo di famiglie (multi Family Office) una serie di servizi sia finanziari che giuridici, piuttosto che di godimento di beni o proprietà comuni, in maniera professionale ed organizzata. –SDB Financial Solutions SA, gestore patrimoniale indipendente Svizzero che fornisce servizi di Multi-Family Office in completa "open architecture" (strutturazione di prodotti tailor made di ogni natura, asset consolidation, risk monitoring). Collabora sulla piazza con le più importanti istituzioni bancarie locali ed internazionali ed è autorizzata FINMA alla distribuzione di fondi di investimento. –Interacta Advisory SA, una società di consulenza di diritto svizzero che opera in ambito tributario domestico ed internazionale con servizi di compliance fiscale dedicati alle persone fisiche e alle società. In particolare nella sfera della consulenza privata può assistere i propri clienti nella corretta organizzazione del patrimonio familiare attraverso istituti giuridici dedicati per scopo e tipologia d’investimento. Oltre che a Lugano, il Gruppo SEAL opera con proprie strutture a Zurigo, Singapore e Dubai. Tramite partnerships, il Gruppo opera anche a Malta, Nuova Zelanda, Lussemburgo, Italia e Spagna. IN PARTNERSHIP CON: Organizzarsi sotto forma di Family Office permette di perseguire i seguenti obiettivi: 1. Ottenere ritorni stabili, in linea con obiettivi di lungo periodo e relative strategie di investimento. 2. Selezionare advisors e portfolio managers indipendenti e “best-in-class”, ottenendo accesso ad opportunità strategiche di investimento (ad es. club deals). 3. Monitoraggio e reporting del profilo di rischio / rendimento. 4. Economie di scala, potere negoziale con gli intermediari. 5. Definire la governance nel processo decisionale della famiglia, le linee guida del processo decisionale sia in materia di investimento che di patrimonio in generale. 6. Pianificare per tempo la successione. Processo strutturato di trasferimento degli asset tra generazioni, supportato da advisors professionali indipendenti. Il gruppo SEAL si propone come supporto per Single / Multi Family Office, offrendo i seguenti servizi: A. Portfolio Advisory. Consulenza su strategia e tattica di investimento, allineata alla visione di lungo periodo della famiglia. Portfolio review e reporting consolidato. B. Discretionary Portfolio Management. Selezione di gestori e prodotti “best-in-class”, partecipazione al seeding di prodotti innovativi, accesso ad investimenti di private equity / club deals. Reporting consolidato. C. Family Governance. Advisory sulle strategie di gestione degli asset comuni della famiglia. Stabilimento delle “regole d’ingaggio” per la governance famigliare. Consulenza sulla creazione di un Consiglio di Famiglia, e redazione del relativo “contratto” famigliare. D. Pianificazione successoria. Conservazione dell’asset ereditario della famiglia. Strategie e strumenti di detenzione della proprietà degli asset famigliari, in linea coi valori condivisi. Training e sviluppo dei “leaders” della prossima generazione, nel business e nella governance famigliare. Internazionali di Michele Caracciolo di Brienza Le organizzazioni criminali transnazionali Il medagliere contiene tanti paesi. La criminalità organizzata non è una prerogativa tutta italiana. Può darsi che eccelliamo ma anche altri paesi hanno le loro strutture criminali. Quali? Nicolas Giannakopoulos è il presidente dell’Obsertoire sur le crime organisé di Ginevra. A lui La Rivista ha chiesto quali sono le organizzazioni criminali più forti. “È molto difficile fare una classificazione – ha dichiarato Giannakopoulos – Se si parla della ‘Ndrangheta, per esempio, non abbiamo a che fare con una sola organizzazione criminale ma è un insieme di ‘ndrine, di famiglie, che sono più o meno organizzate a livello superiore per evitare bagni di sangue. È tuttavia molto difficile dire qual è la più forte. E poi secondo quali criteri? Ad esempio, le organizzazioni con maggiore presenza internazionale sono sicuramente quelle italiane. Alcune sono davvero internazionalizzate al massimo come appunto la stessa ‘ndrangheta. Vi sono altre organizzazioni criminali di origine cinese, giapponese e latinoamericana – conclude Giannakopoulos – che hanno un’estrema presenza internazionale direttamente o indirettamente tramite affiliati.” La ‘Ndrangheta è ben presente in Colombia e in Bolivia, in Australia e in Nuova Zelanda. Da Roma in su reinvestono i proventi in attività legali. Secondo il dottor Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, la ‘ndrangheta ha un giro d’affari generato dalla vendita al dettaglio di cocaina di circa 44 miliardi di euro all’anno. Per avere un’idea Finmeccanica, una delle prime dieci aziende italiane, fattura all’anno circa 8 miliardi di euro e ha 47’000 dipendenti. Sempre secondo il Procuratore Gratteri, gli affiliati alla ‘ndrangheta dovrebbero essere circa 40’000 persone. “Non vi è attività lecita o illecita che sia più redditizia del commercio di cocaina e lì la ‘ndrangheta ha quasi il monopolio”, ha continuato Gratteri in un’intervista a Radio24. “In Colombia vi sono stabilmente una cinquantina di ‘ndranghetisti che agiscono come broker per procacciare più cocaina possibile ai prezzi più bassi.” A differenza di Cosa Nostra la ‘Ndrangheta non ha quasi pentiti. La posizione dominante che quest’organizzazione criminale ha assunto a livello mondiale nel traffico di stupefacenti si deve essenzialmente alla debolezza di Cosa Nostra che, a causa della stagione stragista d’inizio anni Novanta, ha ricevuto dei colpi durissimi dallo Stato. L’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) ha sede a Vienna e nel 2010 ha pubblicato il volume dal titolo The Globalization of Crime. Si tratta di un’analisi di riferimento sulle minacce del crimine organizzato a livello transnazionale. Il volume è diviso in dieci sezioni che riassumono i principali settori d’attività del crimine internazionale: il traffico di persone per lo sfruttamento sessuale, il trasporto illegale di migranti, la cocaina, l’eroina, il traffico d’armi, di risorse ambientali come, ad esempio, l’avorio e il legname, la contraffazione, la pirateria marittima e i crimini informatici. Diamo alcune cifre sull’eroina e sulla cocaina. Secondo il rapporto dell’UNODC, sono necessarie 196 tonnellate di cocaina per soddisfare la domanda del mercato statunitense. Si tratta di un flusso valutato 38 miliardi di dollari. Ai coltivatori della pianta di coca dei tre paesi andini (Colombia, Bolivia ed Ecuador) va circa un miliardo di dollari. Una stima invece del mercato europeo è di circa 124 tonnellate di cocaina all’anno. Dal 1998 al 2008 il mercato della cocaina in Europa è più che raddoppiato passando da 14 miliardi a 34 miliardi di dollari all’anno. Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, in Italia il 3% dei giovani tra i 15 e i 34 anni fa uso di cocaina. In Spagna e in Gran Bretagna arriva al 5% nella stessa fascia d’età. In Svizzera la percentuale scende al 2,6. L’eroina è l’altra droga di produzione questa volta quasi esclusivamente afgana che inonda la Russia con 70 tonnellate all’anno e un mercato al dettaglio valutato in 13 miliardi di dollari. In Europa arrivano invece 90 tonnellate che al dettaglio valgono 20 miliardi di dollari. L’eroina oggi si fuma e il suo consumo è in crescita. La produzione e il commercio di merci contraffatte dall’Asia in Europa è in aumento. Il rapporto dell’UNODC stima la produzione in circa due miliardi di articoli per un valore al dettaglio di oltre otto miliardi di dollari. I rischi sono una carente sicurezza dei prodotti e una perdita di fatturato per le aziende i cui prodotti sono copiati. [email protected] settembre 2016 La Rivista - 15 Piano di Accumulo in Fondi Per un risparmio graduale e mirato Direzione Generale e Agenzia di Città Via Giacomo Luvini 2a, CH–6900 Lugano Tel. +41 58 855 32 00 Sede Principale Via Maggio 1, CH–6900 Lugano Tel. +41 58 855 31 00 Succursali ed Agenzie Chiasso, Mendrisio, Lugano-Cassarate, Paradiso, Locarno, Bellinzona, Biasca, St. Moritz, Celerina, Samedan, Pontresina, Poschiavo, Castasegna, Coira, Berna, Basilea, Zurigo, Neuchâtel, MC-Monaco Il Piano di Accumulo in Fondi permette una gestione dei risparmi lungimirante e personalizzata. Con versamenti periodici di limitata entità investe in fondi comuni di Popso (Suisse) Investment Fund Sicav, che le consentono di accumulare un capitale nel tempo. Call Center 00800 800 767 76 www.bps-suisse.ch Banca Popolare di Sondrio (SUISSE) La Banca che parla con te www.popsofunds.com Intervista con Pietrangelo Buttafuoco La Sicilia, è un posto veramente meraviglioso, che meriterebbe di essere il giardino del Mediterraneo, ma che non può diventarlo per tanti motivi, il più grave dei quali è la presenza di noi siciliani. Soddisfatto di aver incontrato l’Islam di Giangi Cretti prima di aver incontrato i musulmani Pietrangelo Buttafuoco (Catania, 1963), laurea in filosofia con studi in Italia e Germania, è giornalista e scrittore. Ha pubblicato Le uova del drago (Mondadori 2005, finalista al Premio Campiello 2006), L’ultima del diavolo (Mondadori 2008), Il Lupo e la Luna (Bompiani 2011), Il dolore pazzo dell’amore (Bompiani 2013) e I cinque funerali della signora Göring (Mondadori, 2014). Tra i saggi, ha pubblicato Fogli consanguinei (Edizioni AR, 2003), Cabaret Voltaire (Bompiani 2008), Buttanissima Sicilia (Bompiani, 2014) e Il Feroce Saracino (Bompiani, 2015). Diversi suoi testi sono diventati spettacoli teatrali di grande successo. Scrive per il Fatto Quotidiano, firma ogni giorno “Il Riempitivo” su Il Foglio ed è ospite fisso del programma di Giovanni Minoli “Mix24”, in onda ogni mattina su Radio 24. Vive e lavora a Roma. A Zurigo ci è venuto su invito della locale sezione dell’Associazione svizzera per i rapporti culturali ed economici con l’Italia, per una conferenza che fin dal titolo, le affollate solitudini, concepito intenzionalmente come un ossimoro, anticipa l’originalità dei suoi punti di vista. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo rapporto con l’Islam, religione alla quale è approdato con consapevolezza. Il tuo avvicinamento all’Islam sembra l’approdo di un percorso intellettuale prima ancora che di fede. Pierangelo Buttafuoco: viviamo in un’epoca in cui i distinguo non hanno senso, c`è soltanto la necessità grossolana di procedere. È un percorso obbligato. Nel senso che è qualcosa che resta anche della mia formazione, del luogo in cui ho vissuto, da dove vengo. E poi è un ambito universale, nel senso che non esclude nulla che poi si aggiunga dopo nel corso della vita. Quando si è ragazzi in Sicilia e si va in gita a Palermo e ci si ritrova davanti alla Cattedrale di Palermo, davanti alla tomba di Federico II e magari durante il viaggio si è ascoltato una canzone di Franco Battiato, è quasi naturale che l’atmosfera porti a una dimensione “altra”, ulteriore. Leonardo Sciascia ha spiegato meglio di chiunque altro che, se esiste una dimensione universale di quel mondo, di quel contesto è la Sicilia; una dimensione che, ancor prima che segnata dai romani o dai greci, è stata sempre soprattutto saracena. Che è la sua vera carta d’identità: lo è nel linguaggio, lo è nell’antropologia, lo è in una forma di dimen- settembre 2016 La Rivista - 17 La cattedrale di Palermo sione sotterranea, non proprio segreta, ma svelata in mille sfumature. Magari, prima non ci facevamo caso, ma adesso con l’attualità diventano sempre più chiare e evidenti. È una forma universale, nella quale - accanto a pagine tragiche, terribili come quelle che l’attualità ci offre giorno dopo giorno - ci sono anche delle esperienze felicemente riuscite, quale potrebbe essere quella di Mazara del Vallo: una realtà di pescatori che ha funto da volano nell’integrare popoli, storie e distanze, in una forma ammirevole, che rivela e conferma come, là dove c’è un miscuglio, là dove c’è una dimensione universale, ci sia anche un’economia ricca, viva. Tant’è vero, che le uniche aree della Sicilia, dove si può dire che c’è il benessere, sono quelle della costa trapanese e del sud-est ragusano-ibleo, dove c’è gente che, arrivando, porta la vita e il lavoro. Si direbbe un ritorno alle origini. Anche se gli arabi in Sicilia hanno avuto un dominio di un paio di secoli in Sicilia… E questo è un bellissimo equivoco. Non erano arabi, erano… Saraceni… Sì … siciliani. L’impronta di quella stagione fu così forte, così potentemente segnante, che con un esempio a noi più vicino, potremmo dire che era come Berlino Ovest dentro la DDR: una vetrina luccicante, smagliante, piena di suggestioni, di bellezza, di poesia che poi è rimasta, e sarà chiamata la stagione arabo-normanna. Tant’è vero, che quando arrivano i normanni avranno bisogno di questi siciliani-saraceni, che sono gli unici a saper adoperare le pietruzze per i mosaici, a saper utilizzare l’alfabeto, la parola, la scrittura ed esse- 18 - La Rivista settembre 2016 re quindi a disposizione di un’epoca, che aveva necessità di qualcuno che sapesse mettere ordine ai discorsi, per produrre documenti e creare poi quello che sarebbe diventato il periodo di un grande imperatore: Federico che da tedesco volle farsi saraceno per vivere in Sicilia. La stessa ragione per cui hai deciso di chiamarsi anche Giafar? Quello in realtà è uno scherzo. La conseguenza di un gioco con gli amici, anche se c’è stato un emiro che ci chiamava Giafar al-Siqilli. Siccome io di mio ho una storia che viene da lontano… C’è il cattivo delle favole che si chiama così, è vero, lo ha disegnato definitivamente Walt Disney, ma questo nome un po’ mi è stato dato (e un po’ me lo sono scelto) in omaggio all’emiro di Sicilia. È quello della via Giafar, la carreggiata che collega l’autostrada Catania-Palermo con il lungomare e il porto della capitale di Sicilia: al-Siqilli, per l’appunto, vuol dire “il siciliano”». Dal punto di vista politico, la tua è una storia fortemente impegnata in quella che è la tradizione della destra italiana: Movimento sociale, Alleanza nazionale… No, Alleanza nazionale no. La mia esperienza politica si ferma al Movimento sociale, poi non ho più fatto politica. Lo fai scrivendo. Ricordo un tuo pezzo in cui fustigavi i girotondini… Sì quello sì. Grazie a Dio io non ho soggezione né per la destra né per la sinistra. Però, la mia precedente vita, quella di militanza politica, l’ho chiusa quando ero ragazzo. La mia famiglia poi è stata forte- mente radicata nelle esperienze politiche, sono fondatori del partito, quindi… La mia esperienza politica, come adesione, però si è fermata lì. Qualcuno la pensa diversamente. Non molto tempo fa sei stato oggetto di un diverbio tra Salvini e la Meloni, attorno alla tua ipotetica candidatura a governatore della Sicilia. Sì, quella è una cosa che ogni tanto qualcuno mi offre: di candidarmi intendo, ma non lo farò mai. Intanto, perché io lavoro e il mio lavoro è il giornalismo, e chiunque faccia politica abbandona il giornalismo. È una cosa che si può fare a sinistra; a sinistra riescono a farlo e poi tornare a lavorare, perché comunque la sinistra è più garantita. Se uno si candida a destra è spacciato (ride), non potrà più a lavorare. Il vero argomento forte, però, non è questo. Io non sono portato per la politica. In Sicilia sarebbe un’impresa folle, disperata: lì non sarà un nuovo presidente della Regione a risolvere tutto. Chi verrà, inevitabilmente sarà peggiore di quello che c’è. La democrazia in Sicilia è l’ultima delle soluzioni; ci vuole un “bellissimo” commissario esterno che non dia la possibilità di fiatare. Quindi governare i siciliani è ancora più difficile che governare gli italiani? Non c`è paragone! (ride) La Sicilia, non so se ti è mai capitato di esserci stato. È un posto veramente meraviglioso, che meriterebbe di essere il giardino del Mediterraneo, ma che non può diventarlo per tanti motivi, il più grave dei quali è la presenza di noi siciliani. Una riflessione che chiude la parabola del tuo percorso dentro una destra storica tradizionale in Italia, che, come hai detto, si ferma a quelle che sono delle esperienze sostanzialmente giovanili. Provo a spiegarti. Io sono radicato nella tradizione, quello sicuramente! Però, la destra oggi è nemica della tradizione, è totalmente estranea all’identità tradizionale. Perché la tradizione presuppone una visione universale, presuppone un’ansia che è quella di conoscere le cose di fronte allo scenario internazionale, di fronte ai fatti gravi dell’attualità, di fronte ad una crisi spaventosa. Ci s’immagina che la destra senta la responsabilità di formare la società dei migliori: l’areté, l’idea greca dell’aristocrazia. Invece, la destra di oggi radica la sua giornata nella pesca delle occasioni; costruisce il proprio progetto politico sull’onda della cosiddetta “pancia della gente”, cioè gli istinti più bassi. Platone redivivo li avrebbe presi tutti a calci! Perché se la destra esiste, dovrebbe essere quella del dottor Platone, non certamente quella dell’ultima guardia giurata. Quindi, anche in questo senso si spiega, che la destra paventi oggi l’invasione dell’Islam, e ribadisca il bisogno di sottolineare le origini cristiane, romane, greche dell’Europa. Magari. In realtà, le destre non hanno nessuna elaborazione culturale in questo senso. Sarebbe auspicabile che ci fosse la piena consapevolezza della potenza spirituale, dell’identità d’Ellade, di Roma e del cattolicesimo. Magari studiassero Bernardo da Chiaravalle, magari davvero avessero conoscenza delle identità cristiane! Il guaio che non ce l’hanno! Hanno soltanto una spolverata che possa scatenare gli istinti del bar, perché i ragionamenti a cui loro si affidano sono proprio quelli del bar sport. Non ho mai visto nessuno di loro che sia in grado di capire la profondità spirituale di una recita del Rosario. Non ne ho trovato mai uno. C’è una tua un’affermazione che mi sempre felice nella sua sintesi e nella sua chiarezza: sei soddisfatto di aver incontrato l’Islam prima di aver incontrato i musulmani. Sì, sono due cose totalmente diverse. L’Islam è una delle pagine più affascinanti tra la civiltà degli uomini. Innanzitutto, ha un respiro universale, potente, e poi come tutte le cose che fanno paura ha necessità di essere conosciuta, perché quello a cui siamo tutti chiamati è muovere guerra al terrorismo con il passaggio necessario di fare la guerra all’ignoranza. Non sapendo le cose rischiamo di peggiorare, di gettare benzina sul fuoco. Prima ancora che si aprisse la pagina del libro di storia con la data dell’attentato alle due torri, chiunque avesse frequentato le scuole nella tradizione occidentale-europea, aveva memoria dell’Islam come uno dei momenti più importanti di tolleranza e di apertura verso il mondo. Tant’è vero che in contrapposizione a un’idea retrograda e ostile alle differenze quale poteva essere l’Inquisizione, l’Islam era quello che si apriva agli altri: tutta la sapienza greca c’è arrivata attraverso i sapienti musulmani. Adesso invece si è costruito questo incubo, a disposizione di tutti: capirlo, conoscerlo, impone uno sforzo che in questa epoca è quasi impossibile da attuare. Questa è un’epoca per bipolari; è un’epoca dove dobbiamo dire o sì o no, dove non c`è la possibilità di conoscere per capire, ma esorcizzare da un lato e dall’altro esortare. È un’epoca in cui i distinguo non hanno senso, c`è soltanto la necessità grossolana di procedere. Quindi, che cosa ne può venirne fuori? Soltanto auspicare che magari siano i sapienti dell’uno e dell’altro mondo a parlarsi; siano soltanto coloro i quali hanno la responsabilità dei destini a poter Il terrorismo voleva terrorizzarci e ci ha terrorizzato. Voleva ammazzarci e ci ha ammazzato e continua a farlo. Voleva sfregiare definitivamente una religione che porta come sua prima cifra la parola Salam, che vuol dire “pace”, in una religione di morte e ci è riuscito discutere di certe cose. Pertanto, riesumare un vecchio metodo: quello di distinguere fra ciò che è esoterico e ciò che è essoterico. Fra ciò che può essere detto a tutti e ciò che invece deve essere riservato a una cerchia che lo può intendere. Sono tempi questi terribili, proprio perché siamo chiamati soltanto al fuoco e all’odio. Oggi, l’Islam - nella sua concezione più diffusa o semplicemente più popolare viene interpretato non tanto come una religione, quindi come un fatto vissuto intimamente da una persona, quanto come un esercizio del potere, fortemente terreno associato alla gestione della cosa pubblica. C’è Islam e Islam: l’Arabia Saudita è contrapposta all’Iran, all’Iraq, perché i sunniti.., perché gli sciiti…, perché i salafiti… Nel mondo occidentale come si può metabolizzare questo stato di cose? Ritorniamo al metodo secondo cui solo chi è in grado di intendere può … Purtroppo sì. Con grandi sacrifici. Nel frattempo, un musulmano che è una persona per bene, che fa la sua vita, il suo dovere, che è rispettoso verso gli altri, sarà immediatamente sacrificato e rigettato e fatto reietto, in nome di un principio che è quello della sopravvivenza; perché la paura è tale che nessuno si può permettere il lusso di fare dei distinguo e il caso emblematico è il cortocircuito, dove l’ignoranza diventa benzina, l’ignoranza alimenta il fuoco. Per ignoranza i funzionari dello stato italiano, in occasione della visita del presidente iraniano, Hassan Rouhani, hanno coperto le statue del Campidoglio, pensando di avere a che fare con un contadino ignorante arrivato dal deserto. Perché le informazioni sono grossolane; non ci si rende conto, che l’area persiana altro non è che una realtà potente: ghiottissima dal punto di vista economico, e soprattutto raffinata e sofisticata. A Persepoli di nudi ne hanno in abbondanza. L’ignoranza porta a scatenare nell’opinione pubblica un sentimento di avversione, per cui l’ospite è additato come pericoloso, oscurantista, retrogrado. Perché non siamo nelle condizioni di fare dei distinguo, non siamo più nelle condizioni di fermarci a parlare. Ti confesso che io non accetto mai di conversare con i colleghi su questo tema, perché conoscendo i miei “polli”, so quanta è la malafede, la propaganda e l’ignoranza che viene somministrata su questi temi. Come se potessero essere soltanto oggetto di una propaganda che abbia un tornaconto anche politico. settembre 2016 La Rivista - 19 Come ovviare, soprattutto nei confronti del cittadino comune, a questa situazione? Come si può spiegare… …non si può spiegare! Siamo in un ambito dove non c’entrano niente le decisioni spirituali, dove non c’entrano niente gli argomenti di religione, stiamo parlando solo di geo-politica. Tu mi chiedi come fai a spiegarlo? Ripeto, io generalmente non parlo di questi temi, perché si fanno soltanto equivoci. Intanto già è complicato per la gente conoscere la cristianità. La gente non riesce a distinguere tra cattolici, ortodossi, calvinisti, protestanti, figurati se capiscono che cosa c’è all’interno dell’Islam. Non se ne rendono conto. Vai a spiegare loro che l’ISIS “inspiegabilmente” è diventata una novità; dopo che si è conclusa quella di Al-Qaeda, ora è spuntata quest’altra cosa. Vai a spiegare loro come diventa un’infezione sempre più veloce. Quando, e lo sappiamo facendo questo mestiere, per esempio le potenze occidentali, la Francia soprattutto, aiutava e incoraggiava i cosiddetti ribelli siriani, la maggior parte dei quali partiva proprio dalla Francia che gli aiutava ad arrivare in Siria, avevano come mira quella di far cadere Assad, cioè di creare un’altra di queste rivoluzioni, di queste ‘primavere arabe’. Il risultato poi è stato che quelli ovviamente hanno reagito, è intervenuta la Russia, non ce l’hanno fatta, stanno tornando e gli attentati poi li vengono a fare a casa nostra tutti questi. È mai possibile che tutti si ritrovino a diventare musulmani nel giro di tre giorni? Nel giro di tre giorni ex-rapper, ex-tossici diventano tutti combattenti del Jihad? Allora senza cadere nel ‘retroscenismo’, senza essere accusato di complottismo, l’esempio a cui io mi affido è quello dei film Rambo. C’è Sylvester Stallone che nei primi film ha come potente alleato il mujahideen che in Afganistan combatte contro i sovietici. Dopo l’11 settembre finisce, non c’è più il mujahideen; se ci sono, li scelgono brutti, cattivi, con l’espressione maligna. Quando Hollywood doveva raccontare il principe arabo per eccellenza, lo Sceicco ne Il vento e il leone chiama Sean Connery. Ora invece no, quindi il discorso è che noi siamo costretti ad avere sempre un nemico e questo nemico lo dobbiamo infilare dentro la narrazione. Tu mi chiedi: come facciamo spiegarlo? Non si può fare! Io stesso so perfettamente che è fatica inutile, perché l’opinione pubblica di questa nostra epoca, paradossalmente, è molto più analfabeta di quanto potesse esserlo nel 1800 o nei primi del 1900. Non c’è la possibilità di verificare niente. Non posso scordarlo. La prima volta che sono andato in Iran, pur essendo io 20 - La Rivista settembre 2016 L’“Icona della tenerezza”, cioè un pezzo di legno dipinto che secondo la tradizione, secondo la fede, secondo la sacralità propria di quel legno, fu dipinto da Luca l’evangelista, riproducendo il volto vero della Vergine. I russi inginocchiati. Ma quello non è soltanto un atto di devozione, quello è anche un preciso gesto politico. uno che da una vita studia queste cose, credimi, mi sono meravigliato perché comunque anch’io ero imbevuto di tutta una serie di informazioni che mi meravigliavano. Parto dall’aeroporto di Fiumicino e leggo un articolo del Giornale dove c’era scritto: “non fanno lavorare le donne”. Arrivo lì e la verità è che in oltre il 65% dei posti chiave, delle professioni più importanti, sono tutte donne. A parte questo, c`è una disinformazione totale perché, secondo me, l’arma di distruzione di massa per eccellenza è la menzogna! È una manipolazione spaventosa. Io ricordo tanti esempi, anche collaterali, anche apparentemente inutili. L’attacco che subisce Angela Merkel non mi convince; non mi convince neppure il cosiddetto scandalo Volkswagen;neanche l’operazione che stanno conducendo a tutti i livelli, compreso quello filosofico, contro Martin Heidegger. Non mi convince tutto questo, perché si vuole costruire una cosiddetta narrazione che sia il più possi- bile omogenea alla globalizzazione, cioè all’idea di rendere il mondo uno, ridotto a uno, nei contesti e nei contorni su cui il dominio prende il sopravvento sull’imperium. Provo a spiegarmi. Sono due i modelli di potere che nella storia dell’umanità hanno attraversato le genti e i popoli. Uno è quello del dominio, dove c’è un unico modello, un unico schema, che la democrazia corrisponde perfettamente, perché dà a tutti l’illusione di essere partecipi e presenti nel frattempo che la macchina va avanti. L’altro invece è l’imperium, che è un modello che noi abbiamo conosciuto attraverso Roma e che adesso ha una sua speculare rappresentazione nello scacchiere geo-politico nei soggetti asiatici. Per esempio, adesso Putin ha dimostrato semprepiù vigore, sempre più forza, in virtù di un’identità plurale. Perché quando al Salvini di turno che dice “Ah vi piace Putin!”, dovrebbero spiegare che Putin è quello che il 22 settembre del 2015, in virtù del suo essere capo del governo e leader dei russi, ha inaugurato la più grande moschea d’Europa. Perché ha la consapevolezza di gestire una dimensione plurale e con lui c’erano gli induisti, c’erano i lamaisti, c’erano i cristiano ortodossi. Aveva una visione dell’imperium, dove stanno tutti. Per questo dico che è complicato, perché non è mai un problema d’identità spirituale, d’identità religiosa, è solo e soltanto un gioco geo-politico, dove di volta in volta si individua il nemico. Se domani si decidesse di fare degli indiani il nemico pubblico numero uno, vedrai che nei giornali incominceranno “Ah! nel Bhagavadgītā c’è scritto che bisogna uccidere il nemico!” “Ah questi ci invadono…”. Purtroppo sono i meccanismi di equilibrio della geo-politica. Cui prodest? La semplificazione della complessità che tu hai descritto, si traduce sostanzialmente nel messaggio quotidiano che annuncia il pericolo dell’islamizzazione. In Svizzera la campagna elettorale su votazioni che riguardino gli stranieri o la libera circolazione delle persone, si declina gridando che moriremo tutti islamici. L’Islam è percepito come pericolo, anche quando il Dipartimento degli esteri dice, ragionevolmente, di non andare in Egitto o in Tunisia perché è pericoloso. Per reazione, ci si rinchiude in se stessi. Così facendo diventiamo noi stessi artefici del declino dell’Occidente?! Nella globalizzazione questo Occidente cosa fa? Gira un po’ attorno a sé stesso? Sì, l’Occidente è declinato. Purtroppo, o per fortuna, siamo come organismi biologici, anche dal punto di vista sociale, geografico, dal punto di vista delle istituzioni. Ad ogni vuoto corrisponde un pieno. Se noi produciamo vuoto, ci sarà un pieno che si prenderà questo spazio. Torniamo a quello che dicevi prima. Magari ci fossero quelli che hanno piena consapevolezza dell’identità greca, romana, cristiana. Magari ci fossero, ma non ci sono! Ti faccio un esempio di sviluppo e di potenza economica-commerciale che è fuori dal nostro ambito occidentale, un esempio che è totalmente indo-europeo arianissimo, che è quello dell’India. L’India quando commercialmente decide di comprare la Rover e la Jaguar, che diventano proprietà del signor Ratan Tata, che decide di allargare il proprio controllo oltre agli alberghi anche alle automobili, sta mettendo in atto un progetto di volon- tà di potenza forte di un’identità. Perché quando lui opera da una città che si chiamava Bombay, che era il nome messo dai portoghesi, e lui la trasforma in Mumbai che significa proprio “torna la divinità”, significa che loro sono consapevoli della loro identità, della loro forza. È una cosa che per noi è impossibile. Mi viene in mente una scena che ho visto l’estate scorsa a Mosca, che spiega anche perché questi popoli difficilmente vengono islamizzati o diventeranno un’altra cosa. Mosca è una città modernissima: gli infissi tutti perfetti, la pulizia, i tram, ecc., strade a otto corsie in pieno centro d’epoca staliniana, però adesso affollate di automobili. Hanno una rete sotterranea straordinaria; si muovono 9 milioni di persone nel perimetro del centro di Mosca: una folla spaventosa, per fare un chilometro in macchina ci vuole mezz’ora. Improvvisamente sparisce tutto. Non so perché, non c’è più una macchina in giro in pieno giorno, e dal tratto che va dalla Casa Tretyakov - che è anche un museo oltre che una chiesa - alla basilica del Santo Salvatore - che è stata ricostruita da Yeltsin e poi inaugurata da Putin, che era stata distrutta, fatta saltare con la dinamite da Stalin, che ci aveva fatto mettere una piscina pubblica - tutto è deserto. C’è solo una limousine che avanza pianissimo e tutti i moscoviti sui marciapiedi inginocchiati; le campane che suonano; il carillon del Cremlino che suona: sta passando l’“Icona della tenerezza”, cioè un pezzo di legno dipinto che secondo la tradizione, secondo la fede, secondo la sacralità propria di quel legno, fu dipinto da Luca l’evangelista, riproducendo il volto vero della Vergine, della Madonna. I russi inginocchiati. Una scena così a Roma sarebbe impossibile e Roma è la culla della cristianità. Ma quello non è soltanto un atto di devozione, quello è anche un preciso gesto politico. Noi in Occidente non abbiamo saputo preservare la magnificenza dell’eredità greco-romana, che è quella che ha dato la lingua a tutto il mondo, figurati se riusciamo adesso a fronteggiare una situazione come questa. Poi per conto di chi e chi dovrebbe salvaguardarla? Quelli che stanno a 10mila chilometri da noi e non hanno nessuna intenzione di fare sì che cresca l’Europa, se ci sarà mai un’Europa? Non hanno nessuna intenzione di salvaguardare le identità di tutti questi popoli, non gliene frega niente. Dal loro punto di vista, è soltanto terreno su cui stabilire una rete di outlet, per renderci consumatori. Perché poi siamo invecchiati e anche quello è fondamentale. Come diceva la Buonanima: il numero è potenza! E siccome non c’è la buonanima, non c’è più né il numero né la potenza. Quindi io non ti so rispondere. So solo che se ci fosse una volontà politica, la prima cosa da fare sarebbe stabilire la sovranità. Io decido e posso anche sbagliare nelle decisioni, però per esempio sugli immigrati, io dico che se vengono devono venire come Il casino di caccia di Carditello, un’opera di Vanvitelli, un posto meraviglioso, dove il governo, all’epoca il governo Berlusconi, stabilì il punto di raccolta dei rifiuti. Questo posto bellissimo è stato oggetto di una vera e propria spoliazione. settembre 2016 La Rivista - 21 venivano fino a forse 20 anni fa, quando c’era il miracolo del Triveneto; oppure come in Sicilia, dove ci sono gli immigrati che fanno svegliare la marineria, che fanno svegliare l’agricoltura; ma se tu costruisci, come ci dicono, un progetto cosiddetto umanitario, il progetto cozza poi con la realtà dei fatti. Perché, intanto, larga parte dell’area mediterranea è fatta di province deserte, abbandonate, dove veramente la gente non sa che cosa fare. Io vi posso assicurare, che perfino a Roma, non c’è ormai famiglia, che per i propri figli non immagini il biglietto aereo che consenta loro di andarsene via. Tutti i miei amici ultracinquantenni e ultrasessantenni del Triveneto, con i loro figli ormai grandi, maturati e laureati, non ce n’è uno che sia rimasto a lavorare lì, se ne sono scapparti via tutti. Chi aveva la possibilità economica, ha costruito il futuro dei propri figli fuori dal Veneto e stiamo parlando di una zona ricca, ma così è dappertutto: in Spagna… in Grecia, paradossalmente, hanno una condizione migliore, perché vivono veramente di turismo, di formaggi, per cui la crisi in realtà non la capiscono, la vivono ad Atene. Realtà come quelle che potevano essere quelle della grande provincia italiana sono devastate, perché c’è un preciso progetto politico che è quello di liquidare una volta per tutte il continente europeo. Come si fa poi l’Europa, escludendo la più potente e più importante nazione europea qual è la Russia? I segni hanno dei dettagli rivelatori. Se è bicipite l’aquila di memoria germanica, altrettanto bicipite è l’aquila di memoria russa. Voglio dire: noi abbiamo bisogno di est e di ovest, il nostro continente si chiama euroasiatico. È un’aggregazione che da sempre vede uniti questi popoli. Ce lo conferma anche il percorso dell’acqua: lo spiegavano già i grandi tedeschi, perché quando si affacciavano sul fiume Neckar, Hegel, Hölderlin e Schelling, guardavano quell’acqua, sapevano che poi toccava il Danubio e poi a sua volta andava a finire verso il Gange. Questi segreti, questi percorsi sotterranei sono la vera linfa cui dovremmo fare riferimento, che è l’identità; ma se ce lo dimentichiamo su cosa dovremmo costruire? Ma chi tira le fila di questo disegno? Chi ci guadagna in queste operazioni? Ti posso rispondere come la canzone di Battiato: “il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”. Concretamente, però, è un fatto che abbiamo abbandonato l’amore per la vita, per il bisogno di grandezza, ci hanno sottratto questo gusto della bellezza, della grandezza, dell’abitare. Ti faccio un esempio molto “terrone”: è 22 - La Rivista settembre 2016 una storia tragica, spaventosa. C’è il casino di caccia di Carditello, un’opera di Vanvitelli, un posto meraviglioso, dove il governo, all’epoca il governo Berlusconi, stabilì il punto di raccolta dei rifiuti. Questo posto bellissimo è stato oggetto di una vera e propria spoliazione. Entravano tutti questi camorristi, tutta questa gentaglia, strappavano un lampadario, strappavano un vaso, se lo portavano nelle loro case: una cosa ignobile, che è successa recentemente. Non c’è stato uno che abbia protestato in difesa di questo luogo, è come se in Veneto si decidesse di fare il centro raccolta rifiuti nelle ville del Palladio. Succedono davvero queste cose! Noi giustamente inorridiamo per quello che succede nei siti archeologici dove quei bastardi dell’Isis devastano: lo fanno perché riconoscono la bellezza, la sua importanza, la storia e la distruggono; invece noi la distruggiamo senza rendercene conto. Non abbiamo la percezione di questa meraviglia. Tu prima hai detto: gli immigrati li facciamo arrivare se gli diamo una prospettiva. Se non li facciamo arrivare cosa facciamo? Dobbiamo andare all’origine di tutto ciò. Mi spiego: abbiamo degli ottimi servizi segreti, che possono benissimo fare il lavoro tipico dei servizi segreti. Andare nel Magreb e sparare, letteralmente; uccidere, eliminare, chi gestisce il traffico degli scafisti. Voglio dire, così come hai fatto la lotta alla Mafia, alla criminalità organizzata; sappiamo perfettamente che la gestione del mercato degli schiavi fatta dagli scafisti è per cinque/dieci volte superiore al business della droga, di qualsiasi altro business della criminalità organizzata. Si fa così! Realpolitik fa così! Tanto non è un problema di religione, non è nemmeno un problema di scappare dalle guerre, per quel che riguarda tutta la vicenda del Magreb. È quello che hanno fatto da sempre nei secoli: il mercato degli schiavi. Una volta li portavano con le catene, li vendevano e ognuno se li andava a scegliere, adesso te li scaraventano così perché sanno quale sarà l’esito. La seconda cosa da fare è parlare chiaro con i nostri alleati potenti, e dire che le cosiddette ‘primavere arabe’ se le vadano a fare a casa loro, non a diecimila chilometri di distanza, sapendo perfettamente che quel prezzo lo paga chi sta vicino. Questa è la vera questione, perché quando vai a scatenare la guerra in Siria e la gente giustamente scappa dalla guerra, allora bisogna andare all’origine. Andare a vedere: è necessario scatenare una guerra in Siria? La Realpolitik impone di ragionare sulle cose. In questo contesto, il popolo sovrano si trova confrontato regolarmente con questioni che dividono. Anche lì, un effetto del bipolarismo: da una parte c’è chi dice sì, dall’altra c’è chi dice no, su questioni che però sembrano essere confronti di civiltà. In Svizzera, ma anche altrove si vota: minareti sì minareti no; burqa sì burqa no... Il terrorismo voleva terrorizzarci e ci ha terrorizzato. Voleva ammazzarci e ci ha ammazzato e continua a farlo. Voleva sfregiare definitivamente una religione che porta come sua prima cifra la parola Salam, che vuol dire “pace”, in una religione di morte e ci è riuscito. Allora il terrorismo è innanzitutto un olio che unge, dilaga e per evitare che prenda il sopravvento, bisogna come minimo togliere loro la benzina fondamentale che è l’odio. Poi, soprattutto, non alimentare questo presunto senso di onnipotenza. Io, per esempio, trovo assurdo mandare in onda e far vedere i loro video, perché, e non bisogna sottovalutarlo, sono tantissimi i disturbati, gli alienati, che restano affascinati e vanno di là. Si spiega così anche il fatto che ci siano i cosiddetti occidentali che diventano… La cosa spaventosa è che sono quasi tutti occidentali. Ho visto un filmato di un povero padre magrebino, naturalizzato francese, i cui figlio è stato preso dall’Isis. Quello era sconvolto! Quello era un musulmano per bene, tranquillo: gli sembra un’aberrazione! Se c’è una delle regole chiare stabilite da Maometto, è che nessuno va in paradiso a colpi di frusta. Proprio nessuno! E i ragazzi che si fan saltare in aria sperando di… Quelle sono delle pericolose deviazioni. Ora, senza voler offendere la sensibilità di nessuno e con le dovute proporzioni, perché qua c’è il tritolo e là no, è come se noi pretendessimo di capire il cristianesimo attraverso i testimoni di Geova. La differenza sfacciata qual è? Che lì c’è il tritolo, c’è la morte, però quante volte noi non riusciamo a capire “ah perché quelli non fanno una trasfusione di sangue e fanno morire…”, “ah perché quelli fanno queste cose…”. Sono chiuse in un cantuccio e non ce ne accorgiamo, perché non c’è l’attenzione indotta dall’attualità. Questi adesso sono diventati un fenomeno perfino pop: prendono, catturano. Producono alienazione e gli alienati sono attratti, vanno ad alimentare quel mondo e a scatenare quest’inferno. A part of FOOD ZURICH Ci vediamo all’OSTERIA 15 / 16 settembre 2016 al Papiersaal (Sihlcity) dalle ore 11:30 alle 23:30 - Ingresso gratuito (pagate quello che gustate) PER LA GOLA: A PRANZO O A CENA: Selezione di vini italiani, birra artigianale, grappa, liquori ed un vero caffè italiano Risotto servito direttamente dalla forma di parmigiano Brasato al Barolo con polenta Taglieri con affettati gustosi e formaggi tipici L’originale „Pasta e fagioli“ Deliziosa pasticceria italiana FUMOIR MUSICA E INTRATTENIMENTO: La fisarmonica (e la chitarra) di Francesco Nodari l’ultimo dei Trovatori Aperitivo accompagnato da spumeggianti cocktail tipici del nostro “Bel Paese” In palio viaggi in treno alla scoperta dell‘Italia Gratis: Animazione e babysitting professionale (fino alle 16.30) www.bsi-swissarchitecturalaward.ch Il premio biennale è attribuito ai giovani architetti che danno un contributo significativo all’architettura contemporanea, mostrando una particolare sensibilità verso il paesaggio e l’ambiente. Vincitori delle edizioni precedenti: 2008 – Solano Benitez 2010 – Diébédo Francis Kéré 2012 – Studio Mumbai 2014 – José María Sánchez García BSI Swiss Architectural Award Vincitore 2016 Junya Ishigami Incontro pubblico con Domenico Quirico Racconto un modo, dove l’uomo si pone una domanda elementare: sopravvivrò fino a domani mattina? A fine marzo l’Università di Ginevra ha ospitato l’intervista pubblica di Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa. L’intervista è stata condotta da Michele Caracciolo con il sostegno dell’associazione culturale A Riveder Le Stelle. “Il Grande Califfato – dalla primavera araba all’ISIS: il sogno di un Medio Oriente democratico è svanito?”. Questo era il titolo dell’incontro. Mai come oggi, in seguito ai recenti attentati, le sue considerazioni sono purtroppo attuali, anche se riferite ad un’attualità che, nel frattempo, ha registrato altri drammatici aggiornamenti.. Domenico Quirico è stato suo malgrado protagonista di questa attualità. Normalmente un giornalista ne è testimone, non protagonista, e lui ce lo insegna. Astigiano, classe 1951, dopo la laurea in giurisprudenza Quirico entra a La Stampa di Torino. È stato corrispondente da Parigi sempre per La Stampa e nel 2013 è stato preso in ostaggio in Siria per cinque mesi terribili per lui e per la sua famiglia. Ecco alcuni passaggi dell’intervista. Che idea s’è fatto dell’attentato di Bruxelles? Questa milizia territorializzata, come l’ha definita l’Express, che si autoproclama Stato Islamico è in realtà morente? Le chiedo questo poiché il grosso dei morti di Parigi non è stato causato dalle cinture esplosive, bensì dall’uso dei mitragliatori, soprattutto al Bataclan. Piangiamo tutti questi morti, ma contiamoli. A Parigi erano 130 a Bruxelles sono 35. A Parigi i terroristi erano divisi in tre gruppi, che hanno condotto sei attentati simultanei in punti diversi della città. A Bruxelles, l’ISIS ha utilizzato solo tre kamikaze e nessuno di loro ha utilizzato i mitragliatori. L’ISIS sta bleffando? Faccio una considerazione di carattere generale: troviamo dei motivi di consolazione in qualsiasi cosa. No, lascio volentieri l’idea che il Califfato sia moribondo ai Candide del XXI secolo. Faccio una seconda considerazione che riguarda questi attentati europei: gli attentati di Parigi e di Bruxelles non si ricollegano alla guerra civile siriana o alla nascita del Califfato o di formazioni jihadista che vogliono costruire lo stato perfetto. Questo c’entra relativamente. Si tratta in realtà di un problema francese e belga. Nel 99,99% gli attentatori non sono arrivati su di un barcone La copertina del libro di Quirico a Lampedusa provenendo dalla Siria. Questa è gente che è nata, cresciuta, vissuta ed educata in Francia e in Belgio. Guardi che quando io sono arrivato a Parigi alla fine del 2004 i giovani delle banlieues partivano al rullo del tamburo e non della marsigliese, perché non li riguarda, per andare a combattere gli americani in Irak. Tutti lo sapevano. Le considerazioni che si facevano all’epoca erano: “Allez les gars, allez emmerder les américains”. Questi ragazzi sono usciti dallo stesso posto da cui sono usciti quelli che hanno settembre 2016 La Rivista - 25 sparato al Bataclan. Sono rimasto stupefatto che la Francia si mettesse la mano nei capelli chiedendosi chi fossero gli attentatori e indicandoli come gli inviati del califfo. Ma quali inviati del califfo? Quelli ve li siete costruiti voi. Sono vissuti accanto a voi. Io abitavo vicino alla fermata della metropolitana Odéon, quartiere chic. Prendi la metropolitana, fai otto fermate e scendi in posti simili ad Algeri, Tunisi. Sei in un altro mondo. Dov’è la France? Non c’è, non c’è la Francia. In queste zone periferiche vivono secondo un sistema di vita totalmente diverso, vestono in modo diverso, parlano in modo diverso, parlano una lingua in cui c’è un po’ di francese. Sono andato in una chiesa cattolica enorme di uno di questi quartieri e non c’era nessuno. Era domenica, ho incontrato il prete e mi ha detto: “Qui ormai non ci sono più cattolici”. Hanno la moschea nei capannoni. Lì mangiano in modo diverso, pregano in modo diverso, si comportano in modo diverso. Con questo non faccio una classificazione xenofoba, ma di differenza. La Repubblica francese è rimasta uno stato giacobino per certi aspetti addirittura bolscevico che mette gli acronimi a tutto e che vuole sapere tutto. Ti costringe a studiare in un certo modo, vestirti in un certo modo, mangiare in un certo modo, dimagrire in un certo modo. È la Francia ancora ferma lì al 1793, a Robespierre. Io andavo a correre nelle banlieues. Ce ne sono alcune che sono bellissime con dei boschi. Non è vero che sono così degradate. A Torino ci sono dei quartieri che se quelli che ci abitassero dentro andassero a Mantes-la-Jolie [N.d.R. vicino Parigi] penserebbero di essere in un quartiere residenziale. Hanno tutto. C’è lo spazio pubblico, il mercato, il cinema, il campetto per giocare a pallone. C’è tutto. L’aria è diversa. Lì i francesi non vanno. Ho conosciuto dei francesi che non hanno mai messo piede in periferia. “Cosa ci vai a fare nelle banlieues? Cosa vai a vedere?” – mi dicevano. “Ti rubano le ruote della macchina”, cosa non vera, tra l’altro. I francesi fanno finta di non vedere. Ero corrispondente a Parigi durante la rivolta delle banlieues. È stata un’autodistruzione. Hanno bruciato le macchine loro. Non sono mai andati a bruciare le macchine del centro. Bruciavano le macchina dello zio, del nonno. In queste zone la polizia francese non ci mette piede. Va quando deve andare ad arrestare un rapinatore perché l’hanno inseguito con la macchina, altrimenti non ci va. Non sanno cosa sia successo in quei luoghi. Io lavoravo a Le Monde e, quando scoppiò la rivolta, assunsero un maghrebino perché non sapevano come fare a mandare uno laggiù. Avevano fifa. Io ci andavo e loro no. Avevano assunto un ragazzo maghrebino di buona penna e gli avevano detto: “Senti, occupati tu di questo casino perché non sappiamo come fare”. La prima volta che la televisione francese, il primo canale, ha assunto come conduttore del 26 - La Rivista settembre 2016 Il giornalista con Andrea Buscaglia, tesoriere dell’associazione A rivedere le stelle telegiornale uno che veniva dalle Antille ed era un po’ scuro, i giornali sono andati avanti per un mese dicendo: “Magnifico! Come siamo antirazzisti! Che meraviglia!”. Ma come? La Dichiarazione dei diritti dell’uomo è del 1790 e ancora esultate perché avete assunto un giornalista di colore alla televisione? Questa è la Francia: un paese d’immensa ipocrisia e grandi valori. Li hanno inventati loro. Non c’entra niente il Califfato con questi attentati. Se vogliamo capire cosa sia capitato e fare qualche cosa per impedire che si ripeta non dobbiamo andare a bombardare l’ISIS. Dobbiamo mandare qualcuno nelle banlieues o in quel quartiere di Bruxelles [N.d.R. Molenbeek]a capire cosa sia successo lì. La condizione umana di quella gente non è necessariamente una condizione di degradazione economica. Attenzione, non è un problema di soldi nel portafoglio. È un problema psicologico di differenza, d’ignoranza reciproca, dell’ignorare l’altro e non sapere che cos’è. Allora lì bisogna andare per capire. Poi altra cosa è il Califfato. Chi sostiene che questi attentati siano il frutto di una sorta di dipendenza gerarchica tra l’ISIS e gli attentatori si sbaglia. Il Califfato fa terrorismo quando gli fa comodo, ma non è un’organizzazione che si occupa direttamente ed esclusivamente di fare attentati. Il Califfato fa la guerra, conquista delle città, caccia via della gente, costringe a mollare dei luoghi, controlla delle connessioni fondamentali tra le parti del mondo come il deserto del Sinai e il lago Chad. Questo gli interessa. Poi ci sono delle persone che non fanno parte gerarchicamente del califfato e che sono affascinate dal suo successo. […] Gli occidentali non riescono a sradicarlo o non vogliono sradicarlo, ma non volere è come non potere. La potenza “potenziale” è una cosa ridicola. Devi usare la forza poiché se non la usi non esiste. L’esperienza tremenda del sequestro ha ispirato il suo libro “Il paese del male. 152 giorni in ostaggio in Siria, edito da Neri Pozza, 2013.” Quirico, la scrittura di ciò che visse in quei mesi è stata per lei un sollievo? La domanda è un po’ complicata. Faccio una premessa: io di mestiere faccio il giornali- sta, non faccio l’ex ostaggio. Ho incontrato molti anni fa, quando ero a Parigi, Georges Malbrunot, un giornalista di Le Figaro, che fu sequestrato in Irak con Christian Chesnot, un collega sempre della stessa testata. Una sera chiacchierando di queste tristi vicende mi disse: “Guarda, stai attento perché, se ti capita la mia stessa sorte, il problema più grosso che puoi avere, oltre a quello di tornarne evidentemente vivo, è quello di diventare a poco a poco testimone di te stesso cioè di cominciare ad andare in giro e, invece di raccontare la realtà che sta intorno a te, di raccontare quello che ti è capitato”. Sono passati parecchi anni e anch’io passo attraverso questa esperienza che è una normalità del mio mestiere. Io sono stato sequestrato quattro volte in vita mia in luoghi diversi del mondo e da movimenti di natura ideologica e politica diversa. Se uno va in certi posti, dove accadono guerre e rivoluzioni, il sequestro è un rischio concreto. Questi sono i miei luoghi. Io non seguo elezioni. Non m’interessano. Le trovo noiose. Non verrei mai in Svizzera per un referendum. Sono cose francamente importanti, ma non me ne importa nulla. Io vado solo in luoghi in cui l’uomo è messo di fronte alla sua realtà più brutale, ossia vivere o morire e le sue domande sono elementari: sopravvivrò fino a domani mattina? Questo è il mondo che m’interessa raccontare e il mondo che io credo sia obbligatorio raccontare. Tutto il resto è senz’altro importante ma a me della crisi economica non importa assolutamente nulla e del PIL italiano, belga o svedese meno ancora. Non sono i miei problemi. I miei problemi sono quelli delle persone che io identifico con uno slogan: coloro che vivono in luoghi della Terra in cui i due gesti più elementari che ognuno di noi compie migliaia di volte ogni giorno senza pensarci, cioè schiacciare l’interruttore della luce e aprire il rubinetto dell’acqua, non solo non sono possibili, ma se fossero possibili, sarebbero un miracolo inteso in senso biblico della parola, cioè una modificazione radicale della natura delle cose determinata da una forza superiore. Il mio mondo è questo: un mondo in cui non c’è l’acqua corrente e non c’è l’energia elettrica; in cui si va a dormire quando il sole tramonta e ci si leva quando il sole sorge, dove andare a pren- dere l’acqua, che è compito delle donne, significa camminare per dieci chilometri nel deserto prima di trovare un pozzo e di portarsi indietro l’anfora sulla testa; in cui quando esci dalla tua capanna puoi trovare una persona che armata di Kalashnikov può ucciderti impunemente e in maniera arbitraria. Il mio è un mondo in cui la differenza tra l’essere umano e non esserlo, non è la carta d’identità o un documento di stato civile perché non esiste, ma avere un’arma o non averla. Se tu hai un’arma, sei un uomo e quindi degno di essere preso in considerazione. Se non ce l’hai, sei un sasso, una formica, qualcosa che posso schiacciare e cacciar via senza alcun problema. Allora in questo tipo di realtà il giornalismo può esistere come testimonianza. Ha ragione di esistere e ha il significato etico di esistere come testimonianza di queste cose. Tutto il resto chiamatelo come volete, ma non è giornalismo. È un’altra cosa e non m’interessa. Il mio giornalismo è la condivisione del dolore degli uomini e il loro racconto. Questo è l’unico giornalismo che ha senso per me. La condivisione, il passare attraverso il dolore serve per avere il titolo etico di raccontarlo, altrimenti non ce l’hai. Entrare nella vita negli altri e per di più nel dramma degli altri è una cosa di estrema arroganza. Puoi farlo solo se te lo guadagni e per guadagnartelo devi passare esattamente attraverso la stessa esperienza. Un giorno, se uno che io ho incontrato e la cui vita era niente, ma che io ho trasformato in vita perché l’ho raccontato, l’ho fatto parola, […] e ho trasformato il suo silenzio, che non è scelta ma è obbligo, necessità, costrizione, in vita, in qualcosa che quelle quattro persone che mi leggono hanno davanti a sé e che riconoscono e toccano come uomini, ecco, se un giorno una di queste persone che ho raccontato, e sono migliaia in più di vent’anni che faccio questo mestiere, si alzasse e mi ponesse la domanda: “Ma quando io soffrivo, quando io rischiavo di morire, quando gli altri mi braccavano, tu dove stavi?”. Allora io obbligatoriamente devo poter rispondere: “Ero lì con te, la tua paura è stata la mia, il tuo dolore è stato il mio, la tua speranza è stata la mia e, solo perché io ero lì con te, io posso descriverti”. Allora in questa dimensione così sommariamente tracciata il fatto che io sia stato sequestrato cinque mesi è totalmente irrilevante. La storia che vale la pena di leggere non è la mia che è una storia piccolissima, tra l’altro finita bene. Sono qui a chiacchierare con voi. Non sono morto e ne sono uscito con le ossa intere. Ho preso il grandangolo del mio sguardo e l’ho allargato su una tragedia vera e grande assai più importante e permanente: la guerra civile siriana. Vi sono stime che parlano di 350’000 morti in cinque anni di furia, di orrore. Solo in quel caso la mia storia personale viene ad avere un senso, altrimenti non conta nulla. Io non conto niente in questa storia. Io sono un viaggiatore passato attraverso quei luoghi per un periodo più lungo di quanto avevo programmato. Sono stato sei volte in Siria durante la rivoluzione siriana. Ciò che è accaduto a me è una pagliuzza nella storia. Di qua ci sono io e dall’altra parte ci sono 350.000 morti. Ripetete questo numero. Forse sono di più. Chi si è messo a contarli? La tragedia siriana è una delle maggiori del secolo che ci siamo lasciati alle spalle e del nuovo che è appena arrivato. Ma i numeri esprimono qualche cosa solo fino a un certo punto. Voi dovete fare un’operazione e parlo della Siria, dell’Irak, della Libia e anche di altri paesi che io ho attraversato in vent’anni dal Mozambico alla Somalia dal Ruanda alla Sierra Leone, all’Algeria, alla Cecenia. Allora voi dovete fare un’operazione apparentemente semplice: prendere ognuno di quei 350’000 morti e trasformarlo da un numero in un essere umano, materializzarlo, cercare di farlo venire davanti a voi. È una donna, un bambino, un vecchio. Badate che i 350’000 morti della guerra siriana non sono dei combattenti, non sono i miliziani delle formazioni ribelli e jihadiste. Quelli saranno il 10% se va bene. Tutto il resto è popolazione civile, come si suol dire, gente che stava in coda per comprare il pane ed è stata falciata da una raffica di mitra o da un colpo di mortaio oppure è precipitata sotto le macerie della propria casa bombardata dall’artiglieria pesante. Trasformate ognuno di quei 350’000 numeri in un essere umano. Toccateli, guardateli, sentiteli, vedete i loro occhi su di voi: bambini, donne, vecchi, uomini disarmati siriani. Trovateveli davanti, riempite la piazza più grossa di questa città e riempitela di questa gente, lo stadio, le vie e i quartieri. Alzatevi e guardateli. Sentiteli respirare anche se non respirano più, allora in quel momento, quando li avrete tutti davanti, potrete cominciare a ragionare di Siria e di Medio Oriente, di Califfato e delle guerre del fanatismo. Solo allora, perché li avrete davanti e i numeri sono diventati persone. Io non ho risposto alla sua domanda. Ho scritto il libro sul sequestro perché avevo fatto una promessa al mio compagno di prigionia. Quando sono tornato l’ultima cosa al mondo che avrei voluto fare era scriverlo, ma mantengo sempre le promesse. Il libro è scritto a quattro mani. Cosa mi ha lasciato tutto questo? E poi chiudiamo in una bara definitiva questa storia vecchia di tre anni. Non lo so. Non so sinceramente se mi ha reso un uomo peggiore o migliore di quello che ero. Forse sono diventato peggiore dell’uomo che ero. Il sequestro mi ha lasciato dentro delle tossine, dei veleni che vengono fuori a poco a poco come il senso dell’insicurezza e l’idea permanente di poter esser tradito da qualcuno, perché la mia storia è una storia di tradimento. Le persone che mi hanno sequestrato erano persone di cui io mi fidavo, con cui ero entrato in Siria sei volte per raccontare e non per andare a cogliere i misteri della guerra siriana. Avrei dovuto imparare già da tempo che in certi luoghi del mondo non ti puoi fidare di nessuno, invece sono rimasto essenzialmente una persona ottimista del genere umano. Tra qualche anno mi accorgerò che tutto questo mi ha corrotto e non sono migliore di com’ero, ma adesso non posso dirlo. […] Domenico Quirico con Michele Caraccio che ha animato l’încontro settembre 2016 La Rivista - 27 Donne in carriera: Carla La Placa di Ingeborg Wedel Ho conosciuto la nostra donna in carriera all’Expo di Milano, dove rappresentava la Sicilia operosa e –anche a lei– è stata dedicata una ‘statua’, posta nel Padiglione Italia. Ho chiesto l’intervista a questa giovane e bella imprenditrice, in quanto con acume ha intuito l’importanza di far rivivere le coltivazioni del passato che hanno segnato la storia delle popolazioni mediterranee. La coltivazione biologica –applicata sui 74 ettari della sua terra –ha ridato vita all’ambiente: sono ritornate le lucciole e le coccinelle e quindi anche le rondini che si nutrono di questi insetti. Carla è stata premiata per il suo coraggio e la sua perseveranza e –oggi –può affermare che le sue intuizioni erano esatte e vengono tenute in grande considerazione: infatti ha preservato dall’estinzione totale i grani affinché le generazioni future abbiano ancora l’opportunità di conoscere e degustare semi e legumi qualitativamente migliori per la nostra alimentazione e salute. Lasciamo che sia la nostra protagonista a parlarci di sé e della realtà nella quale opera, inglobando nel suo racconto anche le domanda che siamo soliti porre in questa nostra rubrica. “Sono nata a Catania il 27 maggio 1979. Mi sono diplomata con il massimo dei voti all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Caltagirone, dove ho imparato a lavorare e a dipingere la creta. Un corso di studi questo che apparentemente nulla ha a che fare con la mia attuale attività lavorativa. Sono single. I miei genitori lavoravano a Catania, ma ogni fine settimana portavano me e mio fratello Claudio a San Giovannello, la proprietà di famiglia dove abbiamo imparato ad arrampicarci sugli alberi per raccogliere le 28 - La Rivista settembre 2016 Quella ragazzina arrivata dalla città olive o le mandorle. A 18 anni mio padre ha cominciato a portarmi con sé negli uffici dove sbrigava le incombenze burocratiche per la conduzione dell’azienda e a coinvolgermi nella sua direzione. Mi sono interessata sempre più a questa attività ,ho partecipato a corsi di formazione, e tutto ciò, unito all’amore per la natura inculcatomi fin da piccola dai miei genitori, ha fatto sì che presto mi sia resa autonoma nella gestione dell’azienda Il passaggio alla coltivazione secondo le modalità dell’agricoltura biologica è stato il primo passo per la conservazione della biodiversità che stava scomparendo, perché non c’erano più farfalle, lucciole, rondini. Poi un giorno visitando la Stazione Consorziale di Granicoltura di Caltagirone mi sono resa conto che la Sicilia nei secoli passati era una terra ricca di varietà di grani che non erano più coltivati e si stavano estinguendo. È stato in quel momento che ho deciso di attivarmi, con l’aiuto e la consulenza dell’Istituto che mi ha fornito i semi di Tumminia, forma dialettale per definire il grano Timilia , per preservare dalla estinzione i semi antichi che sono stati coltivati in Sicilia per oltre due mila anni. Divengo così seeds saver e l’Azienda agrituristica San Giovannello diviene il luogo dove si coltivano, non solo grani antichi come Timilia e Maiorca, ma anche legumi antichi come le lenticchie nere delle colline ennesi e le cicerchie di Aidone. Non mancano i legumi moderni come i ceci sultano (varietà siciliana) i ceci neri (varietà selezionata in azienda), le lenticchie Maior, gli alberi di ulivo e di mandorlo piantati da mio nonno. Ho anche ripreso la coltivazione dello zafferano che all’inizio del secolo scorso guarniva i sentieri dove mia nonna e sua sorella amavano passeggiare il pomeriggio. In poche parole l’agriturismo per me diventa la vetrina del territorio, tramite la quale è possibile far conoscere i gusti, i sapori e le tradizioni della mia terra alle persone che vi soggiornano anche per poco tempo. Grazie alle conoscenze acquisite negli anni riesco ad immettere nel mercato agroalimentare piccoli quantitativi di cibo ottenuti in prevalenza da i grani e legumi prodotti nella mia terra. Oggi ne sono consapevole: cibi ottenuti da varietà antiche danno origine ad alimenti salubri che recano benessere a chi sceglie di portarli sulla propria tavola. Grazie a tutti quei consumatori consapevoli, che per la propria tavola effettuano scelte di qualità, noi agricoltori custodi sparsi in tutto il mondo siamo in grado di conservare un importante patrimonio genetico seminando e raccogliendo ogni anno i nostri semi. Una società estremamente maschilista La società contadina del centro della Sicilia è stata una società estremamente maschilista dove l’uomo si è occupato della coltivazione dei terreni e la donna ha curato gli animali da cortile e procurato il cibo facendo il pane , la pasta e cucinando per marito e figli. L’inizio della mia attività ha rotto un equilibrio che si era protratto per secoli. Naturalmente ho avuto grandi difficoltà anche per la mia giovane età sia nel rapportarmi con i dipendenti spesso molto più anziani di me che cercavano una figura maschile con la quale interloquire, sia nei rapporti con i vicini: alcuni ottimi, altri pessimi, perché mi minacciano e ostacolano il mio lavoro, cosa che se fossi stata un uomo probabilmente non sarebbe accaduta. È stato necessario che io acquisissi maggiore esperienza e soprattutto imparassi a selezionare le persone con cui lavorare scegliendo collaboratori desiderosi di sperimentare ed imparare con me nuove tecniche di coltivazione per la produzione di semi in estinzione dove gli antichi metodi vengono supportati dall’innovazione tecnologica; con la mia stessa voglia di innovazione, con una cultura di scuola superiore ed una mentalità più aperta ai cambiamenti. Quantificando posso dire che ho trovato le mie affermazioni dopo circa 8 anni di lavoro. Ho dovuto studiare, parlare e confrontarmi con tante persone prima di raggiungere la sicurezza che oggi mi supporta nella gestione aziendale e che mi ha anche fatto divenire modello e consigliera di tante colleghe e colleghi che hanno iniziato dopo di me a guidare le aziende agricole familiari. Oggi sono molti in provincia di Enna i giovani che nel cambio generazionale hanno sostituito i padri e stanno guidando le aziende di famiglia. Con alcuni di loro è nata una sinergia che ci ha portato a collaborare e crescere insieme dando una nuova spinta alle rispettive aziende. Come capo azienda sono riuscita a farmi rispettare ed ho trovato persone che credono in me e nelle mie capacità acquisite lavorando a stretto contatto con gli operai, non tirandomi indietro se c’è da zappare o da servire in tavola nel ristorante, ma anche facendoli crescere insegnando loro ciò che ho appreso nei corsi da me frequentati. Gente giovane dalla mentalità aperta Fino a qualche anno fa la mentalità retrograde e chiusa degli anziani mi ostacolava notevolmente nella gestione dell’azienda anche perché non abituati a coltivare ciò che coltivo adesso erano convinti che non avrei ottenuto nulla. Oggi, non solo visti i risultati, ma anche perché ho a che fare con gente giovane, con un grado culturale più elevato, con mentalità più aperta e pronta ad accettare i cambiamenti, la situazione è cambiata in meglio. Ho iniziato la mia attività imprenditoriale poco dopo i 18 anni, inizialmente è stato difficile farsi valere, molti mi consideravano “la ragazzina arrivata dalla città”. Negli anni ho impiegato tutte le mie forze ed energie per far crescere l’azienda, ciò mi è costato caro in termini personali, ho dovuto rinunciare a figli e famiglia, probabilmente anche perché chi mi è stato accanto negli anni non credeva nella possibilità di conciliare attività imprenditoriale e familiare, preoccupandosi che l’ambiente rurale non fosse il luogo idoneo per la crescita di bambini e per le loro opportunità di sviluppo in età adulta. Personalmente ho colto l’opportunità di poter conciliare due aspetti professionali differenti; quello più maschile legato al lavoro nei campi per la produzione di cibo e quello femminile legato alle mansioni domestiche, in particolar modo alla passione per la cucina. Dall’unione di questi aspetti ho creato quello che oggi giudico il mio motto: “dalla terra alla tavola attraverso la cucina” poiché con i prodotti agricoli nati nella mia terra mi diletto a reinterpretare ricette di cibo biologico e salutare, da proporre anche agli ospiti del nostro agriturismo. Non se mi sento privilegiata. Per paradosso, forse il fatto di essere una donna che nell’entroterra siciliano svolge un attività imprenditoriale agricola ha attirato l’attenzione dei media. Un fatto che valorizza il lavoro che svolgo da anni. In quanto donna do molta importanza all’intuito. Gli uomini sono tendenzialmente razionali, mentre noi donne possediamo un’agilità mentale che ci rende più adattabili ad interagire con situazioni differenti, e a risolvere nel modo più pratico. Viva la campagna Parlando di attività legata alla campagna, dove si va in giro con jeans e scarponi, c’è poco da illudersi che la seduzione possa aprire qualche strada. L’atteggiamento, soprattutto con gli operai, deve essere molto distante da quello seduttivo. Altra cosa, quando sono fuori con gli amici, anche se poi emerge un carattere forgiato negli anni a prendere decisioni veloci, a fronteggiare e risolvere improvvisi problemi. Mi sento realizzata ogni qual volta ha verificato che le mie intuizioni si sono rivelate esatte e ciò mi ha portato ad ottenere riconoscimenti come, nel 2011, il premio sulla qualità e l’esposizione dei prodotti agroalimentari come seconda classificata durante la Fiera Agroalimentare Mediterranea conferitomi dalla Camera di Commercio di Ragusa, o nel 2012 il Premio De@Terra indetto dall’ONILFA (Osservatorio Nazionale per l’Imprenditoria e il Lavoro Femminile in Agricoltura) tramite il Ministero delle Politiche Alimentari e Forestali, o l’essere stata scelta a rappresentare la Sicilia per “l’eccellenza del saper fare. Tutto ciò ti aiuta a superare i momenti bui e ti gratifica, e ti senti soddisfatta. Come quando sono stata scelta per rappresentare la Sicilia all’interno di Padiglione Italia alla mostra del saper fare in Expo nei confronti dei miei collaboratori ho sempre mostrato disponibilità e comprensione, perché sono dell’opinione che il dipendente, qualunque sia il genere, se soddisfatto svolge il suo lavoro con amore e dedizione. Ciò ovviamente anche a vantaggio dell’azienda. Considero il mio molto impegnativo. Fino ad un paio di anni fa non c’erano vacanze, divertimenti, soste: solo ed esclusivamente lavoro. Ma ad un certo punto mi sono accorta che non avevo una vita privata, impossibilitata ad avere una famiglia, degli amici. Oggi, con l’aiuto di qualcuno, ho cambiato atteggiamento e cerco di dedicare qualche ora alla frequentazione di amici e alla vita di società. Vivo in campagna, lontano dalle città e l’unica cosa quotidiana è il contatto con la natura. Negli anni passati era poco il tempo che dedicavo a me stessa e piano piano ho accantonato le mie passioni, le prime fra tutte l’arte di dipingere la ceramica e il forgiare l’argilla. Da qualche hanno a questa parte invece ho deciso di crearmi piccoli momenti durante la giornata da dedicare alla lettura e all’attività fisica; il tutto con l’intento di generare nel mio organismo uno stato di tranquillità e benessere”. settembre 2016 La Rivista - 29 Precisione svizzera e flair italiano… dal 1945 il partner competente e affidabile da e per l'Italia • Linee dirette da e per i maggiori centri commerciali italiani • Competenze tecniche, doganali e linguistiche • Distribuzione capillare • Rappresentanze fiscali • Sdoganamenti comunitari • Logistica vino MAT TRANSPORT SA Basilea, Berna, Cadenazzo, Lucerna e Zurigo Telefono gratuito: +41 (0) 800 809 091 [email protected] www.mat-transport.com Cultura d’impresa di Enrico Perversi La miglior emoticon? Il tuo viso. Le strategie di risposta degli individui alla richiesta di disponibilità totale verso il lavoro possono essere dannose per le organizzazioni. Conciliare vita privata e professionale è una delle sfide di cui più si legge e discute, anche le organizzazioni più innovative richiedono spesso una disponibilità quasi totale grazie ai dispositivi elettronici che connettono tutti 24 ore su 24. Ho trascorso una vacanza in viaggio in Africa e, benché mi ritenga consapevole del problema, sono rimasto sorpreso di come cambino le dinamiche sociali in un gruppo quando il wifi non c’è. Disponibilità totale dunque, assoluta dedizione al lavoro, connessione permanente. Un recente articolo dell’autorevole Harvard Business Review avanza tuttavia l’ipotesi che tale situazione sia dannosa non solo per l’individuo ma anche per le organizzazioni che trasmettono questo valore. Gli autori riportano una classificazione delle strategie che vengono messe in atto dalle persone per gestire lo stress di essere sempre disponibili: la prima è l’accondiscendenza, l’individuo si conforma alle richieste, accetta la pressione. Quando il lavoro è interessante, questa strategia può portare ad una carriera gratificante, tuttavia l’individuo è molto vulnerabile agli imprevisti perché punta tutto solo sulla professione, inoltre spesso riproduce la pressione che riceve sui collaboratori rischiando di pregiudicare il loro sviluppo armonico. La seconda è la dissimulazione, le persone dedicano tempo ad attività extralavorative senza farlo sapere all’organizzazione. Qualcuno si dedica a clienti situati in un’area ristretta vicino all’ufficio, altri al contrario sfruttano la lontananza dalla sede per autoregolare i propri orari di lavoro. Ricordo agli inizi della mia attività lavorativa un mitico collega anziano che teneva sempre una giacca appesa in ufficio, chi lo cercava pensava fosse in riunione, invece, lui se ne era andato da ore. Questa strategia presenta certamente un costo psicologico per l’individuo che nasconde la propria identità, ma soprattutto per l’organizzazione perché le ricerche mostrano che nel tempo i dissimulatori hanno una percentuale di turnover elevata e qualche difficoltà nella gestione delle persone, ma soprattutto, non combattendo apertamente la cultura della disponibilità totale, permettono la sua sopravvivenza. Infine vi è la strategia di chi esce allo scoperto condividendo apertamente tutti gli aspetti della propria vita extraprofessionale chiedendo addirittura di cambiare la struttura del lavoro e accettando le penalizzazioni che spesso ne conseguono. Tale situazione non riguarda solo le donne, anche percentuali significative di uomini fanno questa scelta. In questo caso le persone si fanno conoscere dai colleghi, vivono una vita più autentica, tuttavia le penalizzazioni alla lunga possono creare risentimento, specie a fronte di risultati eccellenti conseguiti; talvolta succede anche che vi siano difficoltà nella gestione dei collaboratori. L’articolo conclude sottolineando che la pressione è ai massimi storici, tuttavia qualcosa può essere fatto dai leader per il benessere delle persone ma anche per il successo delle organizzazioni. Per esempio, devono coltivare tutti gli aspetti della propria identità e comunicarli apertamente, possono privilegiare i premi basati sul risultato e la crescita dei collaboratori piuttosto che sulle ore di lavoro, possono proteggere la vita privata dei dipendenti evitando carichi di lavoro esagerati e richieste urgenti. Un caso tipico è quello delle mail serali e della comunicazione elettronica in generale. Quando un capo invia una richiesta fuori orario deve essere consapevole che chi adotta la strategia di accondiscendere risponderà rapidamente perché raramente ha progetti per la serata ma rischia di logorarsi, chi dissimula fornirà una risposta interlocutoria e rassicurante dicendo che ci sta lavorando anche se si trova al cinema ma non creerà un rapporto stretto di fiducia, infine chi è uscito allo scoperto se risponderà chiederà di parlarne all’indomani ma potrà non cogliere appieno una urgenza reale straordinaria. Ogni leader deve aver chiaro che una comunicazione via mail può essere molto critica perché la posta elettronica è pratica e veloce ma non consente di trasmettere il tono della voce e neanche l’espressione del viso ed il linguaggio del corpo. Una comunicazione riguardo una situazione difficile richiede la consapevolezza che dall’altra parte dello schermo ci sono persone. Dopo aver scritto la mail è utile verificare se il contesto emozionale del messaggio sia poco chiaro, addirittura può essere importante mettersi nei panni del destinatario ed eventualmente riscrivere il testo. Infine, prima di premere Invia tre lunghi respiri consentono di focalizzarsi sul fatto che si è assolutamente liberi di non spedire affatto la mail. [email protected] settembre 2016 La Rivista - 31 Burocratiche di Manuela Cipollone Le novità in Gazzetta Ufficiale Cooperazione doganale tra Italia e Svizzera, norme contro il terrorismo e per tutelare i creditori delle banche. Sono solo alcuni dei provvedimenti entrati in vigore negli ultimi mesi con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Dall’11 agosto scorso produce effetti la legge 155/2016, quella, cioè, che ha ratificato un accordo sulla cooperazione di polizia e doganale tra Italia e Svizzera, siglato a Roma nell’ottobre 2013. Obiettivo della legge quello di rafforzare la cooperazione di polizia, particolarmente in prossimità della frontiera comune, così da salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, e di lottare efficacemente contro i traffici illeciti doganali, l’immigrazione illegale e la criminalità transfrontaliera. I due Paesi collaboreranno quindi per contrastare i reati contro il patrimonio, quelli economici e finanziari, così da localizzare patrimoni di provenienza illecita. Per farlo, l’accordo dispone il rafforzamento dello scambio di informazioni prevedendo, tra l’altro, la possibilità di definire misure congiunte di sorveglianza della frontiera comune, anche con l’istituzione di unità miste. Nei 43 articoli dell’accordo si chiariscono gli ambiti della cooperazione e le modalità in cui essa deve essere declinata, prevedendo, appunto la cooperazione diretta nella zona di frontiera e l’istituzione di un “centro comune” che, recita l’articolo 27 è “destinato ad accogliere personale composto da agenti di entrambe le Parti” che “nell’ambito delle loro rispettive competenze, lavorano in gruppo, si assistono reciprocamente, si scambiano informazioni sulla cooperazione transfrontaliera, le raccolgono, le analizzano e le trasmettono senza pregiudicare lo scambio di informazioni per il tramite degli organi centrali nazionali e della cooperazione diretta”. Tale cooperazione avrà luogo sulla base di richieste di assistenza da parte dell’Autorità competente di uno dei due Paesi, ma, ovviamente, nulla impedisce una spontanea forma di collaborazione e informazione tra le parti, con un occhio alla tutela dei dati personali, così come stabilito dal titolo VI dell’accordo. Prevenzione e repressione del terrorismo In vigore dal 28 agosto anche le nuove norme per la prevenzione e la repressione del terrorismo. In particolare, vengono previste tre nuove fattispecie di reato: il Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo; la Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro e gli Atti di terrorismo nucleare. In questo modo si punisce con la reclusione da sette a quindici anni “chiunque raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo” previste dall’articolo 270-sexies “indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte”. Inoltre, è punito con la reclusione da due a sei anni e la multa da tremila a quindicimila euro “chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro, sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo”. Con “Atti di terrorismo nucleare” si intende punire - con la reclusione non inferiore a quindici anni – chi “con finalità di terrorismo procura a sè o ad altri materia radioattiva; crea un ordigno nucleare o ne viene altrimenti in possesso”. Viene invece punito con la reclusione non inferiore a venti anni “chiunque, con finalità di terrorismo, utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare; 32 - La Rivista settembre 2016 utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o con il concreto pericolo che rilasci materia radioattiva”. La legge, inoltre, autorizza la ratifica di diverse convenzioni internazionali siglate dal 2005 al 2015. Decreto salvabanche In vigore anche il cosiddetto decreto salvabanche (Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione). Il provvedimento contiene misure di sostegno alle imprese e di accelerazione del recupero crediti (anche mediante modifiche alle procedure civilistiche di esecuzione forzata e alle norme fallimentari); disciplina gli interventi in favore degli investitori in banche in liquidazione; reca disposizioni finanziarie relative, tra l’altro, alle imposte differite attive ed al personale del comparto del credito. In particolare gli articoli da 8 a 10 contengono disposizioni in favore dei soggetti che hanno investito in banche in liquidazione, sottoposte a procedure di risoluzione. Si tratta in particolare di coloro che hanno acquistato obbligazioni subordinate della Banca delle Marche S.p.A., della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, della Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A. e della Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.A. direttamente dall’istituto di emissione o da un intermediario. A specifiche condizioni di legge e in presenza di determinati presupposti di ordine patrimoniale e reddituale, questi investitori possono chiedere l’erogazione di un indennizzo forfetario, pari all’80 per cento del corrispettivo pagato per l’acquisto degli strumenti finanziari, al netto degli oneri e spese connessi all’operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri. Tale indennizzo è a carico del Fondo di solidarietà per l’erogazione di prestazioni in favore degli investitori, istituito dall’articolo 1, comma 855, della legge di stabilità per il 2016. Agevolazione per la partecipazione di imprese italiane in società o imprese all’estero Pubblicata in Gazzetta anche una circolare della Simest - Società Italiana per le Imprese all’Estero – sulle “Agevolazione sui finanziamenti relativi alla partecipazione di imprese italiane in società o imprese all’estero” così come previsto dall’articolo 4, della legge 100/1990, circa i limiti massimi di importo dei finanziamenti agevolabili. Il Comitato agevolazioni, istituito presso la SIMEST, nella sua ultima riunione – il 23 giugno scorso – ha quindi deliberato che “l’importo massimo dei finanziamenti ammissibili all’agevolazione è pari a 40 milioni di euro per singolo progetto di investimento e per richieste di agevolazione pervenute nel medesimo anno solare” oppure “80 milioni di euro per gruppo economico (inteso come insieme di imprese i cui bilanci rientrino in uno stesso bilancio consolidato) e per richieste pervenute nel medesimo anno solare”. In vigore dallo scorso luglio anche alcune modifiche alla legge del 1975 in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. In particolare, si aggiunge un nuovo comma al testo approvato 41 anni fa che dispone “la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”. settembre 2016 La Rivista - 33 Normative allo specchio di Carlotta D’Ambrosio con la collaborazione di Paola Fuso La tassazione dei frontalieri secondo i nuovi accordi tra Italia e Svizzera Da alcuni mesi dall’intesa del dicembre 2015 sulla tassazione dei frontalieri proviamo a fare il punto della situazione sullo stato dei lavori. Tenendo conto che il testo concretizza uno dei contenuti principali della roadmap in materia di questioni finanziarie e fiscali firmata da Roma e Berna nel febbraio 2015, il principale progresso del testo parafato riguarda le modalità di tassazione e la definizione dello statuto di frontaliero. Allo stato la condizione di coloro che vivono in regioni italiane di confine risulta vantaggiosa poiché questi lavoratori pagano imposte solo in Svizzera, dove le aliquote sono inferiori a quelle italiane. Al momento, e prima dell’entrata in vigore dell’intesa, i Cantoni al confine prelevano le imposte alla fonte, ne conservano il 68,8% e versano il rimanente 31,2% all’Italia. Secondo i termini dell’intesa la Confederazione, a partire dall’entrata in vigore dell’accordo, dovrebbe trattenere il 70% dell’imposta alla fonte applicata oggi ai salari dei frontalieri. Quindi, il vantaggio per la Svizzera è dato dal non dover ristornare il 38% della somma ai Comuni italiani di frontiera. L’Italia, dal canto suo, applicherà le imposte secondo le proprie leggi e, per evitare la doppia imposizione, sottrarrà quanto il frontaliero ha già pagato in Svizzera. Per applicare efficacemente l’imposizione, l’intesa prevede lo scambio di informazioni elettronico del reddito dei frontalieri tra autorità fiscali dei due Paesi. Per “frontalieri” si intendono le persone che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza. Secondo l’Intesa, a partire dal 2018, con l’entrata in vigore della nuova tassazione, dovrebbe scattare l’adeguamento progressivo alle aliquote Irpef italiane. Al termine del periodo “cuscinetto” (nel 2028, in teoria) la differenza al netto dell’imposta sui redditi sarà tra il 15 e il 20%, a seconda del reddito. Appare interessante la postilla voluta dall’Italia secondo cui la Svizzera dovrà rinunciare a ogni azione discriminatoria nei confronti dei frontalieri. In sostanza, la trattativa è vincolata a quella, a più alto livello, tra Svizzera e UE su contingenti e libera circolazione. Modifiche in attesa dell’entrata in vigore dell’Accordo fiscale In attesa dell’entrata in vigore dell’accordo fiscale tra Italia e Svizzera, il Consiglio nazionale elvetico ha approvato una proposta di revisione della Legge sull’imposizione alla fonte dei redditi da attività lucrativa. In particolare, si è stabilito che in futuro i frontalieri pagheranno le imposte alla fonte calcolate su un moltiplicatore comunale medio, esattamente come accaduto fino al 2014 (nel 2015 il Canton Ticino invece elevò il coefficiente del moltiplicatore comunale al livello massimo, generando un aumento complessivo delle imposte pagate dai frontalieri). Il moltiplicatore comunale non potrà più essere deciso dai Cantoni ma verrà stabilito a livello federale, in modo tale da evitare nuovi episodi di discriminazione. Una seconda modifica riguarderà poi la possibilità per i soggetti “quasi residenti” di essere tassati in Svizzera per via ordinaria, richiedendo dunque un’esenzione dall’imposta alla fonte. Coloro che opteranno per questa soluzione potranno detrarre dall’imposta le proprie spese professionali (viaggi, pasti), il terzo pilastro ed altro ancora (spese per alimenti, ecc.). Per “quasi residenti” si intendono i soggetti il cui reddito è al 90% prodotto in Svizzera. Pertanto, già coloro i quali hanno il coniuge che lavora in Italia di fatto vengono esclusi (a meno che il reddito di quest’ultimo sia inferiore ad un decimo del reddito del frontaliero). Nel reddito familiare rientra anche il “valore locativo” degli immobili di proprietà. Esso è dato dal reddito che si percepirebbe qualora si desse in affitto l’immobile. Tale valore deve essere comprovato da un notaio. È quindi chiaro che per poter accedere alla tassazione ordinaria è necessario non possedere nemmeno un’immobile di proprietà in Italia o comunque fuori dalla Svizzera oppure che il valore locativo di questo sia molto basso, ovvero inferiore al 10% del proprio stipendio. Inoltre, anche qualora si rispettassero queste condizioni, non è assolutamente detto che sia più conveniente optare per la tassazione ordinaria in luogo dell’imposta alla fonte. Quest’ultima, infatti, tiene già in conto di detrazioni forfettarie per le spese professionali, i carichi familiari e gli oneri sociali obbligatori 34 - La Rivista settembre 2016 (ricordiamo poi che tramite la tassazione correttiva il frontaliero può già recuperare anche le spese effettuate per gli alimenti pagati al coniuge divorziato). In molti casi le detrazioni forfettarie sono più alte delle spese sostenute dal frontaliero e richiedendo la tassazione ordinaria si potrebbe correre quindi il rischio di andare a pagare di più che con l’imposizione alla fonte. Oltre quindi alla necessità di valutare caso per caso, cosa cambia rispetto al 2010, anno in cui è stata introdotta la possibilità di ricorrere alla tassazione ordinaria per i lavoratori “quasi residenti”? Fino ad oggi per poterla richiedere era necessario presentare un apposito ricorso per “tassazione correttiva”, mentre questa modifica legislativa vorrebbe incanalare il diritto in una via ordinaria semplificando non poco la procedura. Considerazioni Quando i processi legislativi coinvolgono due Paesi le tempistiche si allungano, così come la possibilità che i testi originari vengano rimaneggiati più volte per trovare la sempre impossibile “quadratura del cerchio”. Va da sé, che, allo stato, si può prevedere che il sistema così come configurato, si tradurrà in un aumento del carico fiscale dei frontalieri, perché le imposte sul reddito sono sensibilmente più alte in Italia rispetto alla Svizzera. Tuttavia, l’impatto non sarà solo per i frontalieri, ma anche per le città di confine, che non beneficeranno dei ristorni svizzeri in modalità diretta, ma dovranno aspettare i rimborsi da Roma con il rischio di imprecisioni e ritardi nei pagamenti. Questo per parte italiana, per la Svizzera le lacune del provvedimento sono evidenti nelle critiche sollevate dal Canton Ticino: con un’aliquota al 70%, rispetto all’attuale 61,2%, le entrate supplementari non saranno poi granché. É stato calcolato che il Ticino oggi incassa dalle imposte sui frontalieri circa 150 milioni di franchi e ne riversa 60 all’Italia. Col nuovo accordo incasserebbe invece 105 milioni, 15 milioni in più. Questo importo andrà poi diviso tra cantoni (6 milioni), comuni (5 milioni) e Confederazione (4 milioni). Questi gli scenari. Da tener presente che l’accordo sui frontalieri dovrà essere ratificato dal governo e dal parlamento dei due paesi. La precisazione è fondamentale, perché se in Svizzera il processo di ratifica sta per giungere a conclusione, in Italia il dossier ha subito uno stop al Senato, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati. Il motivo è la richiesta di ulteriori chiarimenti, in particolare sull’imposizione degli immobili posseduti da italiani residenti in Svizzera o dagli emigrati rientrati in patria, nonché il timore di ostacoli posti dalla Confederazione elvetica alla libera circolazione delle persone. Ha pesato in tal senso la richiesta del Canton Ticino a tutti i frontalieri di munirsi di un estratto del casellario giudiziale. Una misura ritenuta discriminante, così come la scelta del governo ticinese di imporre un’aliquota al 100% sui frontalieri, invece di fare una media cantonale. Mossa che è costata alla Svizzera l’avvio di una procedura di infrazione richiesta dall’Italia alla Commissione Europea. [email protected] [email protected] È arrivato il nuovo catalogo IKEA! © Inter IKEA Systems B.V. 2016 Scopri anche la nostra App Catalogo IKEA. Maggiori informazioni su: www.IKEA.ch/catalogo settembre 2016 La Rivista - 35 Angolo Fiscale di Tiziana Marenco Lo scambio internazionale spontaneo di informazioni ed in particolare di rulings Con l’approvazione e la trasposizione della Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale nel diritto nazionale (ed in particolare nella relativa Legge sull’assistenza amministrativa fiscale) dello scorso 17 dicembre 2015 il legislatore svizzero ha tra l’altro gettato le basi per lo scambio di informazioni spontaneo. Le prime informazioni raccolte sulla base della nuova normativa che entrerà in vigore il 1° gennaio 2017 verranno trasmesse dalle autorità svizzere a partire dal 2018. Lo scambio di informazioni spontaneo è profondamente contrario alla natura elvetica: lo stesso prevede infatti in sostanza che le autorità svizzere, una volta giunte alla convinzione che una fattispecie costituisca o possa verosimilmente costituire evasione fiscale nei confronti di uno stato partner della Convenzione, possano o debbano spontaneamente informarne le autorità dell’altro stato. La clausola generale della Convenzione e l’articolo di principio nel testo di legge fanno riferimento agli standard internazionali che la Svizzera, così perlomeno illustra il rapporto esplicativo alla revisione totale dell’Ordinanza del 20 aprile 2016, si obbliga, ancora prima che esista un’espressa unità di concetti in tal senso, ad applicare come disciplinato dal Consiglio Federale. Sarà bene annotarsi l’esistenza di questa clausola generale perché potrebbe in pratica costituire un’arma molto flessibile nelle mani inesperte delle autorità. Nel dubbio e se così richiesti con urgenza, riteniamo che in casi straordinari, come lo fu la causa UBS nel 2009, la stessa potrebbe costituire anche la base legale per uno scambio di informazioni motivato dall’interesse pubblico e politico, ovviamente fermo restante il fumus dell’evasione fiscale. Basti pensare a quante richieste di informazioni (per esempio raggruppate) sono state respinte negli scorsi anni per motivi formali: tutte queste richieste potrebbero in futuro essere risolte con un’informazione spontanea, se del caso, senza costringere l’altro stato a correggere l’atto di domanda formale al solo scopo di ottemperare alle disposizioni di legge sullo scambio su richiesta. La dottrina e la stampa hanno quasi ignorato quest’aspetto e si sono soffermate invece sull’elemento più calcolabile della nuova normativa, quello dell’introduzione dello scambio spontaneo di rulings di multinazionali (“decisione fiscale anticipata” nell’avamprogetto di ordinanza che si trova attualmente in consultazione) per le fattispecie identificate nel quadro del progetto OCSE/G20 Base Erosion and Profit Shifting, Action 5: Countering Harmful Tax Practices More Effectively, Taking into Account Transparency and Substance. Nel rapporto conclusivo l’OCSE/G20 hanno identificato costellazioni per le quali il rischio di evasione fiscale con spostamenti di sostrato da uno stato all’altro si ritiene immanente e per le quali si è voluto obbligatoriamente introdurre lo scambio di informazioni spontaneo. Le costellazioni di rulings per i quali è previsto obbligatoriamente lo scambio spontaneo sono le seguenti: • Rulings aventi per oggetto la concessione di regimi preferenziali ai sensi della LAID (holding, società mista, società di domicilio) oppure privilegi/box di licenze e brevetti o altri beni immateriali e diritti analoghi (anche quelli della riforma III dell’imposizione dell imprese) oppure società principal; • Rulings unilaterali, quindi concessi dalle autorità svizzere senza il coinvolgimento delle autorità competenti degli altri stati, aventi per oggetto prezzi di trasferimento (Transfer Pricing) • Rulings aventi per oggetto tecniche atte a ridurre l’utile imponibile in Svizzera nel contesto transfrontaliero senza che ciò risulti nel conto annuale; • Rulings aventi per oggetto la ripartizione di stabili permanenti (permanent establishments); • Ruling aventi per oggetto conduit companies, quindi la struttura di flussi transfrontalieri di proventi o fondi ad imprese associate di uno stato straniero attraverso società svizzere. Lo scambio di rulings è previsto solo nel contesto di imprese associate, concetto per il quale si presuppone una partecipazione di almeno il 25%, e lo scambio avviene in generale a favore dello stato di residenza della società madre e della capogruppo, inoltre di quello delle società che hanno effettuato transazioni nei punti di cui sopra (prezzi di trasferimento o stabili permanenti). Solo per le conduit companies è previsto l’invio di informazioni anche allo stato di residenza della persona che controlla l’azienda (controlling person e ultimate beneficial owner dei pagamenti). (continua) [email protected] 36 - La Rivista settembre 2016 Angolo legale Svizzera di Massimo Calderan Indicazioni di provenienza svizzere (“swiss made”) in ambito orologiero Nell’ambito di alcune modifiche di legge (tra cui la modifica della Legge federale svizzera sulla protezione dei marchi e delle indicazioni di provenienza) sviluppate negli ultimi anni dal Governo e dal Parlamento svizzero con lo scopo di aumentare l’attendibilità delle indicazioni di provenienza svizzere e rafforzarne la protezione, modifiche che nel loro insieme sono state definite legislazione “Swissness”, accettata dal Parlamento svizzero il 21 giugno 2013 e che entrerà in vigore il 1° gennaio 2017, il Consiglio federale (il Governo svizzero) il 17 giugno 2016 ha approvato la revisione parziale dell’Ordinanza concernente l’utilizzazione della designazione “Svizzera” per gli orologi (chiamata anche Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero). Tale revisione entrerà anch’essa in vigore il 1° gennaio 2017. È luogo comune che l’indicazione di provenienza “Svizzera” o “Swiss made”, “Swiss Made” e “swiss made” sugli orologi richiami l’arte orologiera svizzera e sia garanzia per una qualità tecnica elevata e un’estetica ricercata. E che, di conseguenza, il consumatore in Svizzera e all’estero sia disposto a pagare un prezzo superiore. Questo è stato confermato da vari studi del settore condotti negli ultimi anni, ad esempio dal Politecnico federale di Zurigo (ETH Zuerich) e dall’Università di San Gallo. Secondo questi studi, i consumatori sono disposti a pagare mediamente fino al 20 % in più per un orologio svizzero e fino al 50 % in più per determinati orologi meccanici svizzeri. La Svizzera, quindi, protegge i propri orologi e movimenti con il marchio “Swiss made”, tramite convenzioni internazionali, gli accordi previsti dall’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (WIPO o OMPI) e dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), e la propria legislazione. Questo oggi è necessario più che mai, in seguito all’aumento della pirateria e la contraffazione nel settore degli orologi. Secondo le stime della Fondazione della “Haute Horologerie”, infatti, ogni anno vengono prodotti e immessi sul mercato mondiale 40 milioni di orologi spacciati per svizzeri che non lo sono. La Fondazione della “Haute Horologerie” e la Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH) ogni tanto fanno una campagna pubblicitaria internazionale per combattere la pirateria e la contraffazione, ad esempio nel 2009 quella “Fake Watches are for Fake People” (“orologi falsi per gente falsa”). Sulla base della Legge federale svizzera sulla protezione dei marchi e delle indicazioni di provenienza, gli stessi organismi di questo settore economico hanno richiesto al Consiglio federale di precisare le condizioni di utilizzo dell’indicazione di provenienza svizzera. L’Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero appena modificata che entrerà in vigore l’anno prossimo, mira a rafforzare il nesso tra gli orologi e i movimenti pubblicizzati come “Swiss made” e la Svizzera quale luogo di produzione e, di conseguenza, l’importanza stessa del marchio e della designazione “Swiss made” per gli orologi e i movimenti. L’Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero modificata, prevede che almeno il 60 % del costo di produzione di un orologio (dell’intero prodotto finale) dovrà essere realizzato in Svizzera, mentre finora veniva considerato solo il movimento. Il movimento resterà comunque importante, in quanto almeno il 50 % del suo valore dovrà essere riconducibile a pezzi di fabbricazione svizzera e almeno il 60 % del suo costo di produzione dovrà essere realizzato in Svizzera. Inoltre, anche lo sviluppo tecnico di un orologio o di un movimento “Swiss made” dovrà essere effettuato in Svizzera. Infine e in linea con gli ultimi sviluppi tecnologici, la definizione di orologio sarà ampliata onde includere anche i cosiddetti orologi connessi o smartwatch. Pertanto, laddove l’orologio o il movimento sarà fabbricato essenzialmente all’estero ma conterrà delle componenti svizzere lo si potrà menzionare, senza tuttavia potere utilizzare il marchio “Swiss made”. I produttori e le industrie fornitrici del settore hanno raggiunto un compromesso per quanto riguarda il periodo transitorio. I costi delle casse e dei vetri già presenti in magazzino al momento dell’entrata in vigore dell’Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero il 1° gennaio 2017, potranno essere esclusi dal calcolo dei costi di produzione fino al 31 dicembre 2018. Tale periodo transitorio di due anni dovrebbe permettere ai produttori di smaltire le scorte legittimamente accumulate nel contesto legale vigente e ai fornitori di prepararsi al nuovo regime. [email protected] settembre 2016 La Rivista - 37 Convenzioni Internazionali di Paolo Comuzzi Il beneficiario effettivo in alcuni recenti documenti Abbiamo sempre indicato che il tema del beneficiario effettivo è un tema centrale nell’ambito delle convenzioni contro le doppie imposizioni (che in sostanza non risultano applicabili quando la “controparte” estera non risulta avere questa qualifica) e si potrebbe dire che è inutile tornare su una materia della quale abbiamo discusso in numerose occasioni. Tuttavia dobbiamo dare conto che questa nozione è stata oggetto di alcuni recenti interventi sia di prassi ufficiale (Circolare Ministeriale 6/2016 in tema di operazioni di Leveraged Buy Out) sia di dottrina (Circolare Assonime 6/2016 e articolo di Morri – Guarino, Holding …, Bollettino tributario 12/2016) ed anche della giurisprudenza di legittimità (Cassazione 10792/2016) che ha cassato una Commissione Tributaria Regionale. Diventa allora di un certo interesse verificare di nuovo quali siano posizioni assunte dall’Agenzia, dalla dottrina e dalla giurisprudenza su questo argomento che, lo ripetiamo, assume carattere nodale per la applicazione del dettato convenzionale e lo assume proprio nel particolare contesto della operazioni di LBO che forse troveranno pace con riferimento alla deduzione di alcune componenti negative di reddito ma vedono aprirsi un nuovo fronte di discussione. La nozione di beneficiario effettivo come delineata nei documenti indicati La sentenza della Cassazione Si ritiene utile cominciare questo breve commento partendo da quella che è la considerazione fatta dalla giurisprudenza di legittimità in materia di beneficiario effettivo. In primo luogo deve prendersi buona nota che (come richiesto nel ricorso in Cassazione) l’Agenzia delle Entrate considera questa condizione come un elemento essenziale per fruire della convenzione contro le doppie imposizioni e non è disposta a transigere in alcun modo su questo punto. La Corte di Cassazione risponde in modo positivo alla richiesta dell’Agenzia (anche se tecnicamente lascia qualche incertezza1) dicendo che non vi è dubbio alcuno che, almeno ai sensi della convenzione tra Italia e Regno Unito, questa sia una condizione essenziale e che debba sussistere in capo al percipiente. La Cassazione, nella sentenza, identifica questo soggetto (il beneficiario effettivo) in colui che ha la disponibilità economica ed anche giuridica del provento formalmente percepito e si fa cura di indicare che se questa condizione manca allora abbiamo una traslazione impropria dei benefici convenzionali. La Cassazione dice che non basta, per essere considerati come beneficiari effettivi, che vi sia la tassazione del provento in capo al percettore ma serve che sussista la condizione (ulteriore) della effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento stesso2 e aggiunge che della condizione di beneficiario effettivo non può farsi una riduzione a condizione puramente formale (ovvero tale da farla coincidere con quella del soggetto percettore dei dividendi). La nozione nella prassi Andando ad esaminare il documento di prassi si evince che la nozione di beneficiario effettivo potrebbe anche avere un collegamento con quella di radicamento effettivo in certo territorio (a pagina 37 della Circolare si lascia trasparire questa necessità) ma poi si aggiunge “ovvero non fungano da mere conduit” e con questi termini sembra invece introdursi una alternativa ovvero sembra dirsi che il radicamento è certamente una condizione ma che potrebbe anche aversi radicamento con una pura società conduit3. Andando nei dettagli paiono essere mere società conduit (e quindi società che non svolgono una reale e genuina attività economica e che pertanto sono a priori escluse dall’essere un beneficiario effettivo) quelle società che hanno 38 - La Rivista settembre 2016 una struttura definita come una struttura leggera (concetto questo tutto da definire4 nei dettagli) ovvero che non paiono avere una struttura organizzativa (amministratori e personale) capace di formulare un processo decisionale. Certamente rischiano di restare intrappolate in questa problematica (ovvero di non essere considerato come il beneficiario effettivo) le società che sono qualificate come delle mere Holding e su questo punto si è innescata una critica della dottrina che andiamo ad esaminare nel seguito. La posizione della dottrina Nella formulazione del loro articolo Morri e Guarino mettono bene in evidenza come sussista questo rischio di assimilazione tra conduit e Holding, una posizione che di fatto sembra equiparare il beneficial owner al final recipient. La critica che gli stessi muovono è che non sarebbe lecito considerare una Holding (in quanto tale ed anche in quanto mero percettore di un dividendo senza interesse alla gestione) come una società conduit, condizione questa che possiamo dire sussistente solo quando la entità estera non abbia alcuna discrezionalità nell’uso dei fondi che ha percepito o quando la stessa agisce su istruzione di soggetti terzi5 e non abbia alcuna discrezionalità circa il modo di agire (in buona sostanza quando la stessa si riveli un mero strumento collettore di un reddito). Gli autori citati insistono molto su questo concetto per cui la Holding (che certamente detiene il reddito che viene alla stessa erogato e che lo rende aggredibile dai suoi creditori) non può essere considerata come una conduit e quindi come una entità nella quale, a priori, manca la condizione di beneficiario effettivo ma secondo noi non sono lontani dall’Agenzia quando ammettono che il problema esiste in assenza di una discrezionalità sul modo di agire (e del resto in sede OCSE si dibatte su questo elemento). In ogni caso anche in presenza di una situazione in cui la società Holding sia chiamata a fare una redistribuzione dei proventi che ha percepito (dividendi) non per questo la stessa deve considerarsi come una entità che non è qualificabile come beneficiario effettivo dei dividendi6 (ovvero come soggetto che ha la disponibilità economica a giuridica della somma percepita)7. Questo per la ragione che non paiono assenti quelle condizioni della disponibilità economica e giuridica del provento. Alcuni commenti Appare del tutto evidente la preoccupazione che aleggia nel documento di prassi in cui la Holding che viene creata dai fondi viene interpretata come un mero veicolo del fondo di investimento (in sostanza una sorta di “stabile organizzazione del fondo localizzato in un determinato stato”), ovvero come una entità giuridica che non ha un carattere suo autonomo e che quindi svolge in modo vero una qualsiasi attività di impresa (decidendo essa stessa della sorti dell’investimento). Siamo in presenza di un timore che parte da alcuni aspetti pratici (si pensi al fatto che di solito queste Holding sono delle scatole vuote senza personale che le decisioni sono assunte in luoghi completamente diversi rispetto a quelli in cui le stesse sono situate) che non possono essere ignorati ma che rischiano di portare fuori strada e / o di ridurre di molto i margini di azione dei fondi. E’ cosa ovvia affermare che in una simile situazione di incertezza fattuale ma anche giuridica (il contrasto tra il documento di prassi e la posizione della dottrina ci pare evidente) il rischio per l’erogante è altissimo considerato che sussistono delle sanzioni nel momento in cui l’erogante stesso decide per una applicazione diretta del dettato convenzionale8. Sussiste però anche un rischio per il fondo stesso in quanto se la Holding fosse considerata a tutti gli effetti come un interposto allora anche il provento della cessione della partecipazione (provento inteso come capital gain) potrebbe presentare dei profili problematici circa la sua tassazione nel solo stato di residenza del cedente. Conclusione La prima conclusione, vista la difficoltà del tema, è che per fortuna questa materia è rimasta avulsa dalla normativa penale tributaria (sarebbe stato impossibile formulare una norma penale che non avesse avuto le caratteristiche della norma “penale in bianco” con tutte conseguenze del caso). La seconda considerazione è che su questa materia è necessario intervenire per raggiungere una conclusione che sia capace di fare un contemperamento di due esigenze: a) quella degli investitori; b) quella degli stati in cui viene fatto l’investimento e su questo elemento forse è necessario lavorare anche in sede OCSE allo scopo di raggiungere una posizione condivisa. Nel senso che la Cassazione fa un preciso riferimento alla convenzione tra Italia e regno unito e non sancisce che questa condizione deve considerarsi come una condizione immanente e quindi da tenere presente a prescindere dal dettato convenzionale. 2 Non vi sono però elementi di definizione. 3 Al contrario la conduit dovrebbe per definizione essere non radicata (ma si pensi al caso di una società certamente Olandese il cui Statuto stabilisce un obbligo di distribuire il 50% dei dividendi salvo diversa delibera). 4 Da definire nei dettagli anche se facile da capire (visti anche gli esempi) in quanto in presenza di una Holding che è completamente disinteressata rispetto all’investimento posto in essere appare di tutta evidenza che la stessa funge solo da collettore del dividendo allo scopo di usare del beneficio convenzionale. In buona sostanza la domanda che ci si deve porre è se questa Holding decida qualche cosa o se la stessa agisca senza alcun collegamento con l’investimento che dice di avere operato. 5 Rimane il dubbio della Holding che non è interessata al suo investimento: in questo caso possiamo dire che agisce su istruzione di soggetti terzi? 6 Questa redistribuzione nasce da una decisione dei soci e quindi non è decisione della Holding stessa che viene invece a subire la delibera. 7 In questa sede poi lasciamo fuori da ogni ambito di analisi la considerazione in merito all’onere della prova circa la condizione del beneficiario effettivo. 8 Ci riferiamo ovviamente a sanzioni di carattere amministrativo e non di carattere penale. 1 settembre 2016 La Rivista - 39 L’elefante Invisibile1 di Vittoria Cesari Lusso Delirio paranoico… pericolo in mezzo a noi Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur muovendosi tra la folla con al sua imponente mole passava comunque inosservato. Come se fosse invisibile… 1 Nello scrivere questo pezzo mi veniva addirittura in mente di chiedere al direttore della Rivista di cambiare la mia foto. Di sostituirla con una dall’espressione più seriosa. Quella tutta sorridente alla mia scrivania che accompagna da anni la mia rubrica mi sembrava poco adatta al tema di questo contributo. Poi mi sono detta “Lasciamo perdere”, un po’ poiché tale immagine è ormai una sorta di griffe, e un po’ per pigrizia. Perché l’idea di una foto dall’espressione più grave? Poiché il tema della paranoia non è dei più allegri e rinvia a molti tragici avvenimenti portatori di dolore e lutti. La paranoia è un delirio cronico generato da un insieme radicato di credenze di tipo persecutorio - non corrispondenti alla realtà - sulla natura malefica del prossimo. Il termine esisteva già in greco con il significato generale di “follia”. Si tratta di una “follia” che non paralizza l’individuo come ad esempio il panico, bensì lo spinge ad attaccare gli altri, anche in modo tremendamente rovinoso. Questo sistema delirante di certezze è subdolo e insidioso, in quanto coesiste con altre facoltà di raziocinio del tutto normali, ad esempio in campo tecnico. A differenza di altre patologie psicologiche, l’individuo non se ne rende conto, crede effettivamente di essere circondato da nemici. La terminologia ufficiale delle patologie mentali ha sostituito recentemente il termine paranoia con il concetto di disturbo delirante, presente anche in malesseri psichici quali schizofrenia, ipocondria, mitomania, disturbo polare in fase di mania. Ma ciò non cambia la natura del problema. L’individuo paranoico può diventare un temibile elefante più o meno invisibile che si aggira in mezzo a noi. Il delirio paranoico a volte assume forme fastidiose, ma tutto sommato inoffensive; altre volte diventa invece la causa scatenante di grandi tragedie. Un esempio del primo tipo mi è capitato di osservarlo recentemente nei rapporti tra condomini. Il signor e la signora Dunkel - anzi il Professore Dottore Dunkel e la signora Frau Doktor, come pretendono di essere chiamati – si dedicano ormai a tempo pieno a riversare i loro deliri persecutori sui vicini. Sono anziani, hanno due domestici al loro servizio ventiquattrore su ventiquattro, non hanno né amici né parenti. Ciò lascia loro molto tempo per ruminare in coppia ipotesi deliranti, e cogitare infantili dispetti da mettere in atto per contrariare gli altri. Uno dei deliri, per esempio, è l’idea che gli altri co-proprietari sabotino il sistema di riscaldamento per farli soffrire di freddo durante l’inverno. Nessun argomento o prova razionale dell’assurdità delle loro affermazioni funziona in casi come il loro. L’unica soluzione per gli altri è ripetersi che si tratta di poveri infelici, e continuare a dire loro buongiorno e buonasera, anche se non rispondono. Immensamente più gravi sono i casi di delirio paranoico che pullulano oggigiorno nella mente di una schiera di giovani adepti del terrore. Essi sono la prova di come acerbi e fragili cervelli umani possano trasformarsi in bombe pronte a scoppiare in qualsiasi momento e qualsiasi luogo, su incitamento quasi sempre di nefasti fomentatori di odio, reali o virtuali fa ormai poca differenza. Sono la prova altresì di come in fondo non sia poi così difficile trasformare determinati individui in terroristi-assassini-suicidi mettendo nel loro cranio quattro ingredienti: odio nei confronti di gruppi esterni accusati essere la causa delle loro frustrazioni; qualche semplice e distorta certezza ideologica che dia una patina eroica ai loro crimini; modelli feroci da imitare; la sicurezza che i media e i social media daranno grande risonanza alle loro nefandezze e grande popolarità postuma ai loro autori. Ha mille volte ragione Beppe Severgnini quando scrive sul Corriere delle sera del 27 luglio che ciò che sta accadendo in Europa (e altrove) è anche frutto di un perverso meccanismo di imitazione criminale “Il male genera male, il sangue chiama sangue, l’imitazione dell’orrore genera altro orrore. (…) I barbari religiosi trovano ispirazione, moventi e forza nelle nefandezze di chi li ha preceduti”. Secondo Severgnini per impedire lo spaventoso ed evidente effetto di emulazione c’è una sola strada: i media devono rendersi conto che corrono il rischio di diventare “l’ufficio-propaganda dei nuovi mostri e i fornitori di libretti di istruzione ai futuri assassini”. Ma il suo invito ai colleghi a pesare le parole, a non spettacolizzare la morte verrà raccolto? Nonostante la mia generale propensione all’ottimismo, fatico a crederlo. Forse ha ragione mio marito che si rifiuta ormai da tempo di guardare i telegiornali, dove immancabilmente ti raccontano la favola del “ragazzo tranquillo che non dava segni”, di “radicalizzazioni fulminee”, del “lupo solitario”; dove intervistano vicini di casa o passanti in preda allo shock per rendere lo spettacolo più appetibile. C’è però qualcosa che meriterebbe molta più emulazione di quanto non si veda e una conseguente sperabile maggiore risonanza da parte dei media: l’organizzazione di grandi manifestazioni nelle quali fedeli ed esponenti di spicco della religione alla quale dicono di richiamarsi i fanatici assassini tuonino con forza: “Not in my name! settembre 2016 La Rivista - 41 La Svizzera prima della Svizzera Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi confini attuali. Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica». C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica. Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione. Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio 2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 289 23 19 La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515) Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo. Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 Giacomo Casanova in Svizzera Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso, con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione. (…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese in Terra elvetica. (…)». Chi fosse interessato può richiedere copia del volume al prezzo di Fr. 25.— (+ costi di spedizione) inviando una mail a: [email protected] oppure telefonando allo 044 28923 19 Dalla Svizzera degli Stati a quella federale La Defenestrazione di Praga (23 maggio 1618). Da un dipinto di Karel Svoboda del 1644 Come la Svizzera ottenne di Tindaro Gatani A conclusione della sua Relazione al Doge (vedi La Rivista di luglio), Giovan Battista Padavino fa una breve cronistoria delle «molte colleganze» fatte dagli Svizzeri «in vari tempi, quando uniti e quando separati», per concludere che l’Elvezia è «unita piuttosto di nome che di vero effetto» e che questa unione vacilla «anche grandemente per ogni verso», tanto che più di una volta si è temuta «aperta e implacabile rottura». La Confederazione era, tuttavia, riuscita a evitare la disgregazione grazie soprattutto alla «buona intelligenza fra Zurigo e Lucerna, Cantoni molto conformi di genio, di governo e di consuetudine, benché differenti nel punto della fede». «la piena libertà e l’esenzione dall’Impero» (1648) Uniti ma differenti nella fede Passando poi a parlare della possibilità di ingaggio di mercenari per la Serenissima, l’inviato veneziano scrive che per garantirsi l’appoggio dei «principali» del Paese, per farli «restare devoti e obbligati servitori» bisognava naturalmente pagare. Sulla «materia delle pensioni private, pretese da quella Nazione e dai principi tollerate per gratificare e onorare persone benemerite e di maggior seguito», Padavino, dopo aver chiarito che l’istituto delle «pensioni... dovrebbe essere chiamato trattenimento stipendiario», informa che l’abuso delle pensioni private ha portato in passato e tali disordini, che Zurigo e gli altri Cantoni riformati si sono visti costretti a proibirle «sotto severissime pene». In questi Cantoni nessuno «può per sé o per aderenti suoi ricever doni, benefici o promesse di qualsivoglia sorte dai principi» stranieri. Soltanto i Cantoni cattolici «rimangono preda di questa a loro stessi perniciosa introduzione», attraverso la quale, «vendono il pubblico per il privato bene e la libertà propria». La prassi delle pensioni private porta in quei Cantoni «confusione e disgusti inevitabili», perché gli esclusi «nutrendo odio, ben spesso procurano averne da altra parte», fondando un partito separato. Questa pratica genera «tanta invidia» tra questi pensionati, che «arrogandosi ciascuno maggior merito del compagno non restano mai contenti». Nonostante l’esperienza propria, maturata sul campo, il Padavino non ardisce «affermare con giu- L’uccisione di Re Gustavo II Adolfo di Svezia nella battaglia di Lützen (16 novembre 1632). Da un quadro del pittore Carl Wahlbom settembre 2016 La Rivista - 43 Giuramento della ratificazione del trattato di Münster. Da un quadro Gerard Terburg (1617-1681) ramento che anche tra gli Evangelici non vi sia chi accetti allegramente donativi segreti, perché, sebbene vogliono essere tenuti Santi in questa parte, nondimeno tal santità è macchiata da originale peccato», tanto che «non sanno mettersi ad esaudire le orazioni d’alcuno, per devote e affettuose che siano, senza vedersi qualche lume acceso». Questo perché, «stante la severa proibizione suddetta, corrono gran pericolo di essere con gran rigore puniti, sempreché il fatto si risapesse». Affinché il Doge «abbia intero lume della vera quantità dei denari, pagati annualmente agli Svizzeri da diversi Principi di pensione pubblica e privata», il Padavino compila «una nota distinta e particolare». Sono notizie riservate di prima mano, alle quali hanno attinto poi anche alcuni storici svizzeri. Sappiamo così che l’arciduca del Tirolo pagava 200 scudi a ciascuno dei vecchi XII Cantoni, 100 all’Appenzello, 400 ai Grigioni e 100 all’abate di San Gallo per un totale di scudi 3.000. Il duca di Savoia dava a cinque Cantoni cattolici 900 scudi di pensione pubblica e altrettanto privata per un totale di 1.800 scudi. La Maestà cattolica (Spagna) pagava a sei Cantoni e mezzo (cattolici) circa 10.000 scudi di pensione pubblica e dava ancora «al privato come segue»: 44 - La Rivista settembre 2016 al Canton Lucerna scudi 6.500, a quello di Friburgo 5.500, a Zugo 4.200, a Uri 5.200, a Unterwalden «di sopra» (Sopraselva) 2.300, a Unterwalden «di sotto» (Sottoselva) 2.200, al Canton Svitto 6.000, per un totale di 31.900 scudi. A queste somme andavano aggiunti i 3.000 scudi del «denaro che la Maestà Sua, per speciale convenzione, si contenta pagare» a Uri, Svitto e Unterwalden «di sotto» per il presidio di Bellinzona; altri 3.000 scudi «della generosa Maestà cattolica» andavano all’abate di San Gallo e altri 500 a quello di Einsiedeln. Le pensioni straniere «Tra pubbliche e private pensioni in sei soli Cantoni e mezzo [cattolici] i quali tutti insieme non fanno che la quarta parte dell’Elvezia», la somma complessiva pagata annualmente dalla Spagna ascendeva a circa 49.000 scudi l’anno. Sua Maestà Cristianissima il Re di Francia pagava annualmente a ogni Cantone franchi 3.000 (solo Zurigo ne riceveva 2.000) per un totale di 38.000 franchi francesi. Lo stesso Re di Francia dava ancora 9.000 franchi ai Grigioni (3.000 per ogni Lega grigia), 3.000 al Vallese, 1.000 all’Abate di San Gallo, 1.000 a Biel, 1.000 alla Terra di San Gallo, 1.000 a Rottweil e 1.000 a Milau- sen. Le pensioni pubbliche pagate dalla Francia assommavano quindi a 55.000 franchi, «che sono circa scudi 21.000». Quelle private, stante la proibizione nei Cantoni evangelici, venivano pagate dalla Francia nel modo seguente: a Lucerna franchi 17.000, a Soletta 18.000, a Friburgo 16.000, a Glarona 18.000, a Svitto 14.000, a Uri 8.000, a Zugo 7.600, a Unterwalden di sopra 5.000, a Unterwalden di sotto 3.000, al Vallese 18.000. Per il presidio di Bellinzona, la Francia pagava ancora a Svitto, Uri e Unterwalden di sotto altri 3.000 franchi. Le pensioni private pagate dalla Francia ammontavano dunque a 127.600 franchi, «che sono intorno a 48.600 scudi da lire sette l’uno, che aggiunti alle pubbliche [21.000 scudi] fanno in tutto scudi 69.600». Secondo il Padavino, i tre Cantoni che avevano occupato la città di Bellinzona ricevevano, dunque, per il loro presidio 3.000 scudi dalla Spagna e 3.000 franchi dalla Francia. Tutte le pensioni ammontavano quindi «in summa summarum intorno a centoventiquattromila scudi l’anno, che vengono pagati agli Svizzeri dalle due Corone [di Spagna e di Francia], dall’Arciduca del Tirolo, e dal Duca di Savoia, non compresi i donativi segreti, né i debiti della Francia, che si vanno scontando per più di trecentomila scudi l’anno». Dall’elenco mancano, per ovvi motivi di riservatezza, le somme pagate da Venezia per mantenere l’alleanza con i Grigioni e con Berna e Zurigo. Dal tempo del viaggio del Machiavelli, erano passati esattamente cento anni. Ebbene nulla era cambiato, dopo un secolo, il comportamento degli Svizzeri era sempre lo stesso a quello descritto dal Segretario fiorentino, per il quale la migliore soluzione per loro era quella di prendere i soldi dalla Francia e dalla Spagna, senza, possibilmente, combattere per nessuna delle due grandi potenze europee (MACHIAVELLI Nicolò, Legazione all’Imperatore, in Opere complete, volume unico, Firenze 1843, p. 956). Era un fiume di denaro che affluiva in Svizzera garantendo, in un’epoca di triste penuria nel resto dell’Europa sconvolta da continue guerre, un tenore di vita abbastanza elevato per quei tempi. Alla nota delle pensioni pagate, il Padavino ne aggiungeva un’altra molto dettaglia dei mercenari addestrati e quindi pronti al combattimento, che tutti i Cantoni e i loro alle- ati e baliaggi potevano arruolare nel giro di qualche settimana. Si trattava di una cifra impressionante che raggiungeva «in tutto duecentotredicimila circa» mercenari. La Relazione era accompagnata da una pittura geografica che era «una generale descrizione di tutta l’Elvezia», che mostrava «con diversità di colori separatamente la giurisdizione di luogo in luogo con la nota distinta dei Cattolici dagli Evangelici», con «le insegne di cadauno e con speciale catalogo delle terre, fiumi, valli, laghi, monti principali», ecc. Di questa Carta topografica della Svizzera, disegnata per il Padavino da Christoph Murer (1558-1614), pittore su vetro e cartografo, figlio del più celebre Jos autore delle famose piante di Zurigo e del suo Cantone, non ne ha trovato traccia nemmeno i Ceresole (op. cit., p. 45). La libertà di stampa «La città di Zurich — nota Padavino — è fondata in sito amenissimo, sopra il lago, d’ogni intorno serrato da colli fruttiferi, bipartita dal fiume Limago [Limmat], che sbocca dallo Fabio Chigi (1559-1667), futuro papa Alessandro VII. Nel 1659, comprò per la sua famiglia di banchieri senesi il palazzo costruito dalla famiglia degli Aldobrandini nel 1578, ribattezzato poi Palazzo Chigi, odierna sede del Governo italiano. Dipinto di Giovanni Battista Gaulli (1639-1709). stesso lago, con aria saluberrima. In essa si fabbricano diverse panni, veli, e tele sottilissime, ed è più industriosa e mercantile di ogni altro cantone... Si stampa in quella ed in altre terre dell’Elvetia comunemente in latino, tedesco, italiano e francese, né proibiscono libro di qualsivoglia sorte, benché toccante la fede». Parlando del carattere degli Svizzeri in generale e degli Zurighesi in particolare, tra l’altro, scrive: «Non sono festosi, né si invaghiscono molto di titoli... Non si appassionano nel vendicar l’ingiurie, e quel che non succede mentre sono offuscati dal vino, ovvero concitati da improvviso furore e veemente sdegno, non succede più, perché facilmente s’acquietano e osservano la pace, interponendosi il magistrato nel concludere il fritt (Fried), che appunto significa sicurezza d’amicizia; non usano insidie...». «Nella giustizia criminale — scrive ancora — per il sicuro e quieto vivere, [gli Svizzeri] sono accuratissimi e usano gran severità... Il latrocinio à aborrito in tal maniera, che, se alcuno confesserà aver rubato in giurisdizione aliena, lo castigano come se il delitto fosse stato commesso in proprio paese... Vivono ristrettamente e mantengono le famiglie con poca spesa, né usano per ordinario vestir di seta ma di lana... Per legge e consuetudine, il giuoco è proibito, e universalmente lo aborriscono. Mangiano poco, bevono assai, e in questo consistono tutte le delizie, gli onori, le accoglienze e l’uso della conversazione: stanno insieme dal desinare sino all’ora d’andar a letto nel discorso e nel bere, invitandosi l’un l’altro in segno di benevolenza... e molti sopporteranno la fame una settimana intera per aver comodità di bere bene un giorno solo in compagnia d’altri... Sono poco dediti alle sensualità carnali, contentandosi ciascuno della moglie sola, attorno alla quale dicono che vi sia da far assai; e perciò mostrano non restar molto trafitti da stimoli di gelosia, stando secondo che si usa in tutta la Germania, con esse ignude nei bagni, in compagnia d’altri, anche stranieri, senza rispetto, e lasciando così alle mogli, come alle figliuole da marito, ogni libertà di giorno e di notte» (CERESOLE Victor, a cura di, Del Governo e Stato dei Signori Svizzeri. Relazione di Giovanni Battista Padavino, Venezia 1874). Dopo la partenza del Padavino il posto di inviato della Serenissima presso i Cantoni evangelici fu occupato da Gregorio Barbarigo che, destinato alla sede diplomatica di Londra, fu, invece costretto a fermarsi sulle rive della Limmat, dal 1613 al 1615, per la conclusione del patto di alleanza con Berna e Zurigo firmato il 6 marzo 1615. Tre anni dopo scoppiava, come previsto, la tanto temuta guerra di religione, ma, tolti gli sporadici intereventi nei Grigioni e in Valtellina, non coinvolse tuttavia direttamente né Zurigo, né Venezia. Lo scontro fra blocco cattolico e protestante, che per la sua durata, dal 1618-1648, prese il nome di Guerra dei Trent’Anni, fu combattuto soprattutto settembre 2016 La Rivista - 45 sul suolo tedesco e boemo. Tra le complesse cause della Guerra c’erano, infatti, anche le aspirazioni dei principi tedeschi di porre un freno all’espansione asburgica in Europa. Lo scoppio del conflitto fu tuttavia la conseguenza immediata della famosa Defenestrazione di Praga, quando l’aristocrazia boema insorse di nuovo contro la Chiesa di Roma, depose il re cattolico Ferdinando II di Asburgo, gettando dalle finestre i consiglieri del suo governatore (23 maggio 1618). Sul trono di Boemia fu quindi chiamato il protestante Federico V del Palatinato. Ma l’esercito boemo venne pesantemente sconfitto nella Battaglia della Montagna Bianca (1620). Il Defensionale di Wil Con il ritorno di re Ferdinando II, Praga e tutta la Boemia subirono i contraccolpi della Controriforma cattolica, ritornata dominante in ogni aspetto della vita comune. A guerra finita, la sede della corte asburgica, per punizione, sarebbe stata spostata a Vienna, con grave danno economico per tutta la Boemia e per Praga in particolare, che vide ridursi gli abitanti dai 60.000 dell’anteguerra ad appena 20.000. A favore dei protestanti intervennero l’Unione riformata con la Danimarca, l’Olanda, l’Inghilterra e la Svezia, che allora aveva l’esercito più potente di tutta la coalizione al comando di Re Gustavo II Adolfo detto il Grande (1594-1632), che, nonostante le sue prodezze, il 16 novembre 1632, venne battuto e ucciso dalle truppe cattoliche al comando di Alberto von Wallenstein nella battaglia di Lützen, in Sassonia. Quando gli Asburgo stavano ormai per trionfare su tutti i fronti, la guerra da religiosa si trasformò in politica con l’intervento accanto ai protestanti della cattolicissima Francia. Ancora una volta le due grandi potenze continentali si affrontavano per la supremazia in Europa. Nonostante la stretta parentela con gli Asburgo, per aver sposato Anna d’Austria, Re Luigi XIII di Francia, figlio di Enrico IV e di Maria de’ Medici (1601-1643), sostenne la politica estera del suo primo ministro Armand-Jean du Plessis, conosciuto come cardinale Richelieu (1585-1642), che, seguendo la sua Ragion di Stato fece intervenire il suo Paese contro la Spagna e l’Austria. Terreno di scontro furono allora anche i Grigioni con i loro baliaggi della Valtellina. (vedi «La Rivista» di giugno). Il Richelieu, nominato vescovo a meno di 21 anni grazie a una particolare dispensa, aveva iniziato la sua carriera politica nel 1614, cioè a trent’anni non ancora compiuti, quando la reggente Maria de’ Medici lo nominò Gran cerimoniere di Corte. Entrò dopo nel Consiglio del Re e assunse quindi il ruolo di Segretario di Stato per l’interno e per la guerra, divenendo in beve tempo quel «potente uomo che faceva tremare con la sua politica la Francia e l’Europa» (DUMAS Alessandro, I tre moschettieri, VI capitolo). Dopo la morte del Richelieu (1642) e di Luigi XIII (1643), la loro politica sarebbe stata seguita dai loro rispettivi successori il cardinale Giulio Mazzarino (1602-1661) di origini italiane e Re Luigi XIV il Re Sole (1638-1715). Nell’ultima fase della Guerra dei Trent’Anni, i Francesi, comandati da Luigi II di Borbone-Condé, detto poi Gran Condé, sconfissero prima gli Spagnoli nelle celebre battaglia di Rocroi, nel dipartimento delle Ardenne, ricordata in I promessi sposi di Alessandro Manzoni («Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi»), poi gli Austriaci nella battaglia dei tre giorni (3, 5 e 9 agosto 1644) nei pressi di Friburgo in Brisgovia e quindi, i 3 agosto 1645, a Nördlingen. Si formò allora un poderoso esercito franco-svedese che, il 17 maggio 1648, sconfisse gli imperiali a Zusmarshausen nei pressi di Augusta in Baviera. La Confederazione che, nel già1638, aveva dichiarato la sua neutralità nel conflitto, quando l’esercito svedese si spinse fino al lago di Costanza minacciando da vicino la sua integrità, si trovò di nuovo unita e decisa a non tollerare la violazione del suo territorio. Nel gennaio del 1647, «gli Svizzeri rientrarono in sé», sancendo «il Defensionale di Wil, il primo tentativo di organizzazione militare federale» (MARTIN William, op. cit., p. 89). Dopo aver proclamato di nuovo la loro neutralità, allestirono «un’armata confederale di cattolici e protestanti» per difenderla. Si trattò di un vero «risorgere dello spirito confederale» e patriottico. Ristabilita l’unità della Nazione, nominarono un consiglio di guerra confederale e costituirono un esercito di 12.000 uomini (6000 protestanti e 6.000 cattolici), che fu un ottimo deterrente contro le mire svedesi (PAPA Emilio Raffaele, Storia della Svizzera, Milano 1993, p. 89). La pace di Westfalia Il basilese Joahnn Rudolf Wettstein (1594-1666), inviato della Confederazione in Westfalia 46 - La Rivista settembre 2016 Il 20 agosto 1648, i Francesi battevano, ancora una volta, gli Spagnoli nella battaglia di Lens (Belgio). Per ironia della sorte, lo scontro avvenne dopo che, già il 6 agosto, era stata già firmata una prima intesa per la fine delle ostilità. Quest’ultima vittoria consentì al Mazzarino di far pendere la bilancia dalla parte della Francia e costringere gli austro-spagnoli a firmare la pace finale. I negoziati, iniziati il 15 maggio, si conclusero il 24 ottobre dello stesso anno 1648, con la firma e la pubblicazione del Trattato di Westfalia, la regione dove si trovavano le due città nelle quali avevano avuto luogo le trat- tative. La pace si fondava, infatti, su due trattati distinti e separati: il primo, protestante, firmato, il 6 agosto, a Osnabrück, tra Impero, Svezia e Stati protestanti, e l’altro, cattolico, l’8 settembre, a Münster tra la Francia e l’Impero, perché le due parti non avevano accettato di sedersi allo stesso tavolo. Fu allora inaugurato un nuovo ordine europeo, nel quale gli Stati avrebbero avuto tra loro rapporti solo come tali e cioè senza tener conto del credo religioso dei vari sovrani, che avrebbero dovuto riconoscere ai loro sudditi di professare privatamente la propria fede. Con la pace di Westfalia veniva in pratica siglata l’apoteosi della Francia, che raggiungeva il culmine della sua potenza politica. Nell’ultima fase del conflitto era andato sempre più diminuendo il ruolo della Svezia sul piano militare e su quello politico. La Regina Cristina (16261689) che, successa al padre Gustavo II Adolfo a soli sei anni nel 1632, avrebbe assunto i pieni poteri soltanto nel 1650, mostrò sin da giovanissima simpatia per il cattolicesimo al quale si sarebbe convertita nel 1654, lasciando il trono a suo cugino Carlo X Gustavo di Svezia (1622-1660). Più che per le arti militari, Cristina di Svezia si era distinta come grande promotrice della cultura del suo Paese, volendo trasformare Stoccolma nell’Atene del Nord. Dopo la sua abdicazione si stabilì a Roma, dove divenne punto di riferimento di uomini di cultura e dei pellegrini che vi si recavano in pellegrinaggio, ai quali faceva spesso da guida delle città, guadagnandosi anche il titolo di Regina del Giubileo del 1675. La Svezia fu comunque, come detto, la controparte principale dell’Impero nelle trattative di Osnabrück, ottenendo un risarcimento in denaro la Pomerania Anteriore e l’egemonia sul mar Baltico con le città di Brema e Verden e il controllo delle foci dei fiumi Elba, Oder e Weser. A Münster, i trattati erano stati addirittura due: uno fra la Francia e l’Impero e l’altro tra le sette Province Unite (Paesi Bassi) e la Spagna. La Francia ottenne la Lorena con Metz e Verdun e l’Alsazia solo asburgica, cioè senza Strasburgo. Con il passaggio dei territori alsaziani, la Francia diveniva direttamente confinante con la Confederazione. La pace di Westfalia riconosceva i Paesi Bassi, il Portogallo e la Svizzera come Stati sovrani e indipendenti dall’Impero. Tra Francia e Spagna non fu firmata nessuna pace. Il loro conflitto si sarebbe concluso solo dopo che i Francesi, al comando del Grand Tourenne (Henri de La Tour d’Auvergne-Bouillon, visconte di Turenne) avrebbero sconfitto, il 14 luglio 1658, gli Spagnoli agli ordini del Grand Condé, fuoruscito dal suo Paese e passato al servizio della Spagna, e di Don Giovanni d’Austria, nella battaglia delle Dune o di Dunkerque, a nord del passo di Calais, costringendoli a firmare la Pace dei Pirenei del 7 novembre 1659, che pose fine alla guerra franco-spagnola. L’inviato veneziano in Westfalia e futuro Doge Alvise Contarini (1601-1684). Ritratto d’epoca di Carlo Ponti L’esenzione dall’Impero Con la pace di Westfalia, «la Svizzera entrava, dunque, nel diritto pubblico europeo quale Stato autonomo, separato dall’Impero anche de jure (de facto, lo era dalla guerra di Svevia» (CALGARI Guido, op. cit., p. 294). Ancora una volta, nonostante le divisioni interne, la Confederazione, sfruttando gli eventi storici internazionali, conseguiva uno storico risultato che avrebbe segnato il suo futuro in seno all’Europa. Agli inizi, i Cantoni cattolici erano orientati a non partecipare affatto alle trattative di pace tanto che il borgomastro di Basilea Joahnn Rudolf Wettstein (1594-1666) partecipò solo con il mandato dei quattro Cantoni riformati e delle città alleate di Bienne e di San Gallo, con il solo proposito di «inficiare le pretese di giurisdizione della Camera imperiale e di ottenere la conferma delle antiche libertà». Quando, però, il capo della delegazione francese, Henri II d’Orléans-Longueville, principe di Neuchâtel, avanzò l’idea dell’uscita del Corpo elvetico dall’Impero, Wettstein, questa volta appoggiato anche dai Cantoni cattolici rappresentati dall’urano Zwyer von Evibach, nel febbraio del 1647, propose il riconoscimento della piena Sovranità della Svizzera a nome di tutti e tredici Cantoni confederati. Con la sua abilità diplomatica, Wettstein riuscì a tessere una fitta tela favorevole alla sua richiesta e quindi a superare tutti gli ostacoli. Con l’art. 6 della pace di Osnabrück e il paragrafo 61 di quella di Münster, non potendo ottenere la sovranità internazionale come i Paesi Bassi, perché tale istituto non era contemplato dal diritto imperiale, la Confederazione si doveva accontentare della «piena libertà e l’esenzione dall’Impero» che era la stessa cosa detta con altre parole (JORIO Marco, Dizionario Storico della Svizzera, online, alla voce Vestfalia, pace di). La Pace di Westfalia era stata un successo anche per la diplomazia della Serenissima che, con «perseverante tenacia» e «raro equi- librio», aveva contribuito in modo determinante a portare a positive conclusioni le trattative, condotte dal suo abile ambasciatore e futuro Doge Alvise Contarini (1601-1684), il diplomatico più adatto al quale allora si potesse affidare l’arduo e delicato compito di «interpositore e mediatore», per «agevolare e spianare le difficoltà» (CESSI Roberto, Storia della Repubblica di Venezia, Milano 1946, vol. II, pp. 176-177). Grazie alla perfetta organizzazione della diplomazia veneta, il Contarini era riuscito persino a oscurare ben presto l’autorità dello stesso legato pontificio Fabio Chigi (1559-1667), il futuro papa Alessandro VII, che peraltro poteva partecipare solo alle trattative cattoliche di Münster, e non, come il veneziano, anche a quelle tra protestanti a Osnabrück. È certo che l’interesse della Serenissima di affrettare la pacificazione continentale era anche dettato dalla necessità di raggiungere l’unione fra i cristiani «nella difesa contro il Turco, comune nemico». Tuttavia, come concordano gli storici, la Serenissima «non mendicò aiuti, offerti a prezzo usuraio», e non tradì l’onore e la dignità della sua missione mediatrice per «la lusinga di soccorso, pur tanto necessario sotto lo spasimo dell’assedio turco» (Ibidem). E quando il Turco minacciò di distruggere gli ultimi baluardi veneti nel Mediterraneo, Venezia si trovò abbandonata al suo destino da tutta l’Europa. L’ultima speranza era riposta in Berna e in Zurigo, a ognuna delle quali la Repubblica veneta, tenendo fede ai trattai del 1608 e del 1618, aveva sempre pagato la somma annua di 4.000 ducati e fornito i moschetti e le corazze come previsto dal patto di alleanza, senza tuttavia ricevere in cambio nessuna contropartita. Le clausole dell’accordo che prevedevano l’impiego delle truppe furono allora rese operanti e, a partire dallo stesso anno 1648, i mercenari di Berna e di Zurigo partirono quindi per presidiare e difendere le fortezze e i territori veneziani minacciate dal Turco. settembre 2016 La Rivista - 47 L’italianità della Svizzera - Attualità e prospettive «La Svizzera non è Paese bilingue» In occasione del Festival del Film Locarno, il Consiglio di Stato del Canton Ticino ha organizzato (“evento collaterale di approfondimento e di confronto su un tema di attualità”) un incontro dedicato al tema dell’italianità in Svizzera, invitando i Consigli di Stato degli altri Cantoni e altre personalità interessate per una riflessione sulle attualità e le prospettive della lingua italiana. Dopo i saluti dell’(ancora) Cancelliere dello Stato Giampiero Gianella e del Presidente del Festival del film Locarno Marco Solari, il Presidente del Consiglio di Stato Paolo Beltraminelli, nella sua relazione introduttiva, ha lanciato un chiaro messaggio: l’unione fa la forza e «il Ticino vuole essere protagonista, insieme a voi, nella costruzione della Svizzera del futuro». Dal canto suo, esprimendosi in francese, il consigliere di Stato Manuele Bertoli, che è anche presidente del Forum per l’italiano in Svizzera, ha evidenziato gli sforzi che si stanno facendo, anche con il sostegno della Confederazione, per attirare l’interesse nazionale sul ruolo dell’italiano, ribadendo che la Svizzera non è un Paese bilingue (tedesco e francese) e che il dibattito deve quindi uscire da questo paradigma errato. Quando si parla di cucina e di lirica un po’ ovunque in Svizzera aumenta il consumo di italianità. Ma quando si parla di insegnamento e dell’utilizzo della lingua di Dante non mancano le preoccupazioni. Nonostante sia una lingua ufficiale, riconosciuta dalla Costituzione, l’italiano sembra perdere costantemente considerazione. Preoccupa l’insegnamento al di fuori della Svizzera italiana. Insomma, il pericolo è che la Confederazione rischi di diventare bilingue e che l’offerta dell’italiano a scuola, indicata dal concordato Harmos, rimanga solo sulla carta. «È sulla realtà dei fatti che dobbiamo agire con forza», ha chiosato 48 - La Rivista settembre 2016 Bertoli. Anche dal punto di vista finanziario. Un tasto dolente, questo, anche per Tatiana Crivelli, professoressa all’Università di Zurigo, secondo la questione dell’attrattiva della lingua non si pone. «L’italiano è una lingua che piace. Il problema è l’offerta. E purtroppo la politica nazionale, al di là del “mito del plurilinguismo” enunciato molto spesso, si è incanalata in una direzione miope: trincerandosi dietro ai numeri, sostenendo che sono sempre di meno gli allievi disposti a seguire i corsi di italiano, riduce le possibilità anziché potenziarle». Di diverso parere Renato Martinoni, professore all’Università di San Gallo, convinto che l’italiano «abbia bisogno di (tornare ad) essere attrattivo. Dobbiamo creare motivazione negli studenti». La lingua italiana non è solo grammatica, non è solo una delle lingue nazionali e ufficiali svizzere, è un modo di vivere. Se parliamo della lingua italiana in Svizzera, ha detto Martinoni, dobbiamo perciò parlare anche dell’italianità, che è un aspetto importante dell’italiano in Svizzera. E l’italianità è un complesso di fenomeni che si declina anche attra- verso lo stile di vita italiano e quindi le abitudini alimentari conosciute in Svizzera grazie all’immigrazione e ai contatti con l’Italia che, anche dal punto di vista commerciale, è uno dei partner principali della Confederazione. Considerando, quindi, non soltanto l’aspetto linguistico, ma l’insieme del fenomeno, Martinoni ritiene che gli svizzeri tedeschi e francesi possano essere d’aiuto agli svizzeri italiani. Vero, anche se, come ha rilevato Ignazio Cassis, Consigliere nazionale e Copresidente dell’intergruppo parlamentare Italianità, c’è molto da fare. Soprattutto in ambito ufficiale. A cominciare dalla lingua utilizzata a Palazzo federale, tra parlamentari e amministrazione federale. In teoria, ciascun parlamentare può esprimersi nella propria lingua, ma se «se io lo facessi sarebbero molto pochi i colleghi che mi capirebbero». Presente all’incontro anche il Console generale d’Italia in Lugano Marcello Fondi, che si è detto consapevole che la politica del plurilinguismo richieda importanti risorse, sottolineando che «un’ottima ragione per investire sull’italiano è la cultura». Scaffale Mattmark 1965 2015 50° anniversario della tragedia. Avvenimenti Parole Immagini Elena Ferrante Storia del nuovo Isidoro Meli La mafia mi rende (Edizioni e/o - pp 480 € 19,50) (Frassinelli editore - pp 208 € 17,50) «Capii che ero arrivata fin là piena di superbia e mi resi conto che – in buona fede certo, con affetto – avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto. Lei naturalmente se ne era accorta fin dal momento in cui le ero comparsa davanti e ora stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto niente, che al mondo non c’era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell’altra». Ecco Storia del nuovo cognome, secondo romanzo del ciclo dell’Amica geniale. Cominciate a leggere e la scrittura vi catturerà. Ritroverete subito Lila ed Elena, il loro rapporto di amore e odio, l’intreccio inestricabile di dipendenza e volontà di autoaffermazione. Lila ed Elena hanno sedici anni e si sentono entrambe in un vicolo cieco. Lila si è appena sposata ma, nell’assumere il cognome del marito, ha l’impressione di aver perso se stessa. Elena è ormai una studentessa modello, ma, proprio durante il matrimonio dell’amica, ha scoperto che non sta bene né nel rione né fuori. Le vicende dell’Amica geniale riprendono a partire da questo punto e ci trascinano nella vitalissima giovinezza delle due ragazze, dentro il ritmo travolgente con cui si tallonano, si perdono, si ritrovano. Il tutto sullo sfondo di una Napoli, di un’Italia che preparano i connotati allarmanti di oggi. Storia e forza della scrittura fanno tutt’uno sorprendendo il lettore a ogni pagina, abbandonandosi a Lila ed Elena: conoscerle a fondo, riconoscersi sia nella tendenza alla conformità acquiescente, sia nella caparbia determinazione a prendere in mano il proprio destino. C’era un ragazzetto seduto tutti i pomeriggi a un tavolino d’angolo del bar Trinacria con gli occhi bassi su una granita di limone. Ogni volta che passavo lui alzava la testa e mi fissava, come se avesse qualcosa da dirmi. Scoprii che era muto quando decisi di chiederlo anche a lui: «Ma secondo te la mafia esiste?», e lui mi rispose col linguaggio dei segni. Per fortuna ho imparato l’alfabeto manuale svolgendo il servizio civile presso un istituto per sordomuti gestito da religiosi, un gran bel posto pieno di mafia e di muffa. Mi chiamo Vittorio Mazzola, e la mafia mi si è appiccicata addosso come un fungo. Così, continuai la conversazione: «Secondo te la mafia esiste?» (Gesti da muti traducibili in «Sì».) «Provamelo.» E lui ha cominciato. “Non so dire cosa sarei adesso se fossi nato in un posto diverso da palermo. Sarebbe tuttoo diverso. Palermo è l’ombelico del mostro” Il mostro di cui parla Vittorio Mazzola, voce narrante di questo romanzo, è la mafia. La storia che racconta è quella di Tommaso Traina, il figlio muto di un mafioso ucciso dai compari, i quali per compensare la famiglia della perdita, lo assumono come portapizzini. Con un fratello spacciatore e campione di PlayStation, che al contrario di Tommaso è considerato da tutti un giovane fenomeno, e una pseudo fidanzata tossicodipendente e psicotica, Tommaso si ritrova a vivere un’esistenza popolata di personaggi improbabili e scandita da messaggi enigmatici e tragitti insensati, che hanno il solo scopo di sprofondare nella confusione sbirri e rivali. Chi non va in confusione è proprio Tommaso, da tutti ritenuto analfabeta e tonto, oltre che muto, e che invece tonto non è, e nemmeno analfabeta. Un romanzo d’esordio spiazzante, farsesco, rutilante, sboccato. Uno stile originale, risolto e convincente. La mafia come non ve l’hanno mai raccontata. cognome. L’amica geniale nervoso (Edizioni Associazione ItaliaValais) È stato presentato lo scorso 22 agosto a Sion il volume che raccoglie tutti gli avvenimenti che hanno segnato il 50° Anniversario della Tragedia di Mattmark nel 2015. Dopo l’introduzione di Grégoire Jirillo, vice presidente dell’Associazione ItaliaValais, gli interventi di Domenico Mesiano, presidente dell’Associazione ItaliaValais e responsabile dell’edizione del libro, e di Stéphane Marti, presidente della Fondazione Fellini di Sion e realizzatore del volume, hanno permesso di ripercorrere le tappe del progetto realizzato lo scorso anno con esposizioni, conferenze, tavole rotonde e dibattiti, in Italia e in Svizzera. Sullo sfondo, un avvenimento tragico che andava attualizzato per fare in modo che gli anziani non dimentichino ed i giovani apprendano. Dai diversi intervenuti, è stata data una valutazione del tutto positiva sul libro prodotto. Questo rappresenta un lavoro che permette di lasciare a futura memoria un documento importante, non soltanto sull’emigrazione italiana in Svizzera, ma, in generale, anche e soprattutto sul mondo del lavoro e sulla storia del Vallese e della Svizzera. La pubblicazione è stata realizzata grazie al sostegno finanziario del Consolato Generale d’Italia di Ginevra e l’interessamento diretto del console generale Andrea Bertozzi. Per l’occasione si è provveduto alla ristampa del catalogo che ha accompagnato lo scorso anno le diverse esposizioni sulla Tragedia, già esaurito da tempo. Anche la realizzazione di questa ristampa è stata possibile grazie al sostegno finanziario del Senato della Repubblica Italiana, per il tramite e l’interessamento del senatore Claudio Micheloni, presidente del Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero. I libri possono essere richiesti direttamente all’Associazione ItaliaValais. Domenico Mesiano Presidente dell’Associazione ItaliaValais 0041 (0) 79 400 29 72 settembre 2016 La Rivista - 49 Biografie in filigrana di Giuseppe Muscardini Alberto Giacometti alla Biennale di Venezia del 1962, fotografato da Paolo Monti, Fondo Paolo Monti, BEIC Alberto Giacometti nella banconota da 100 franchi Rigirando fra le mani la banconota da cento franchi, sul fronte troviamo il volto vagamente rattristato di Alberto Giacometti, che il designer zurighese Jörg Zintzmeyer mutuò da una diffusa immagine dell’artista. Sul retro la notissima silhouette de L’homme qui marche. Un binomio visivo non può sfuggire a chi, anche solo facendo la spesa, è indotto a richiamare alla mente l’opera complessa dell’artista grigionese. Non renderemmo giusto onore ad uno dei più celebri artisti del nostro tempo, se non ricordassimo qui che Alberto Giacometti, raffigurato sulla banconta da 100 franchi, scomparve a Coira nel 1966, esattamente mezzo secolo fa. Cinque anni prima aveva realizzato la sua osservazione della natura, per poi dedicarsi di nuovo e con maggior cosAlberto Giacometti, Homme qui marche I, 1960, bronzo, 183 x 26 x 95,5 cm. tanza alla pittura Collection Fondation Aimé et Marguerite Maeght, Saint-Paul de Vence (France) verso la fine degli anni Quaranta. Le celebre scultura in bronzo intitolata L’homopere di Giacometti sono esposte in molti me qui marche, effigiata sul retro della stessa musei europei e americani, a testimonianza banconota, con cui l’artista si è fatto interdel suo impegno d’artista, assunto con l’idea prete della crisi dell’uomo contemporaneo. di dominare la materia e le tecniche a disposizione e di mettere a fuoco i problemi del I soggiorni in Italia del 1920 e del suo tempo. Vi riuscì. L’amicizia con Samuel 1921, proficui viaggi di istruzione Beckett - per il quale realizzò la scenografia Nato nel 1901 a Borgonovo di Stampa, localdi Aspettando Godot -, ne è in qualche modo ità del Canton Grigioni, Alberto Giacometti la riprova. iniziò giovanissimo a dipingere. Iscrittosi nel In considerazione alla vicinanza geografica fra 1919 alla Scuola di Arti e Mestieri di Ginevra, il luogo di nascita e il confine italiano, cosa perfezionò la sua formazione a Parigi deddeve Giacometti all’Italia? Niente, verrebbe da icandosi nel contempo ad una produzione dire, perché in campo c’è unicamente un estro artistica densa di allusioni e metafore, non e una geniale capacità di rappresentazione sempre facili da decifrare. Nel periodo in cui che, espressa nella scultura come in pittura, lavorò alle opere in bronzo, alternò fasi ispisa generare emozioni nel visitatore dei molti rate dal sogno a fasi in cui prevalse l’attenta musei in cui le sue opere sono conservate. Ma 50 - La Rivista settembre 2016 ci soddisfa riscontrare come la madre Annetta Stampa discendesse da una famiglia di protestanti italiani rifugiatasi nei Grigioni, così come protestante-evangelico era il cosiddetto «ramo romano» dei Giacometti fin dai tempi della Riforma in Bregaglia. Per di più Alberto era figlio del pittore post-impressionista Giovanni Giacometti che, affascinato dai capolavori italiani, nel 1920 condusse il giovane a Venezia per mostrargli le opere raccolte nelle sale espositive della XII Biennale d’Arte, l’importante rassegna internazionale all’interno della quale Giovanni deteneva l’incarico di Commissario per la Svizzera. L’accorto genitore non perse l’occasione di portarlo in visita alle quadrerie veneziane, dove agli occhi di Alberto Tintoretto grandeggiava sugli altri, salvo poi ricredersi davanti gli affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni a Padova. Tintoretto, Giotto e l’amore per la cuginetta di Roma Fu proprio a Padova, negli stessi giorni in cui si recò agli Scrovegni, che accadde qualcosa anche in tempi... non sospetti. Nell’autunno 2013 furono esposti a Palazzo Magnani di Reggio Emilia due bronzi per una singolare comparazione: la Femme debout di Alberto Giacometti e l’Ombra della sera, scultura votiva etrusca risalente al III secolo avanti Cristo. La compostezza esecutiva delle due opere, distanti fra loro 2.300 anni, risultava prodigiosamente affine, sia nell’impianto che nei corpi dei soggetti, somiglianti ad alberi allungati e sormontati da una testa in cui le rispondenze anatomiche erano invece uniformi. Altro viaggio italiano nel 1921 Banconota da 100 chf, fronte di straordinario e inaspettato. In lui cambiarono i rapporti fra le cose, in una sorta di visione onirica, dove le proporzioni anatomiche delle persone parevano alterarsi. A muovere queste suggestioni fu la vista di tre ragazze che lo precedevano lungo la via. Dopo essersi immerso nella contemplazione delle opere veneziane e patavine, al suo sguardo dilatato dall’arte le tre donne rivelavano irreali fattezze caricaturali. Accolse con stupore questa condizione sensoriale e concepì stravolgimenti anatomici in soggetti umani da trasferire nella pittura e nella scultura. Condizione che si rafforzò nell’autunno dello stesso 1920, quando il giovane ritornò in Italia per visitare Firenze e Pompei, soggiornando a Roma presso Antonio Giacometti, cugino del padre. Qui avvertì un’istintiva attrazione per Bianca, figlia di Antonio, di cui volle realizzare il ritratto in un impeto creativo. Si accorse allora dell’impossibilità di rappresentare il reale così come il reale si manifestava, ed uscì da quella esperienza con una consapevolezza nuova, ben riflessa nelle opere successive, incluso L’homme qui marche, figura filiforme che sembra vagare a lunghi passi alla ricerca di uno spazio esistenziale introvabile. La stessa immagine accorata dell’artista, presente nel fronte della banconota e rica- Banconota da 100 chf, retro vata da un ritratto fotografico, pare legarsi all’amarezza di aver sondato personalmente la fragilità, gli smarrimenti e l’incapacità dei suoi contemporanei di ritrovare una dimensione vitale, a causa di un’ineludibile frammentazione dell’io provocata dai tragici eventi storici e sociali del Novecento. Si possono indagare, al di là di ogni questione meramente filosofica, altre motivazioni artistiche che indussero Alberto Giacometti a dar vita alla famosissima scultura riprodotta sulla banconota. Scopriremo così gli elevati significati che Jean-Paul Sartre, occupandosi negli anni Quaranta e Cinquanta della cifra estetica e stilistica di Alberto Giacometti, mise in luce nel saggio La ricerca dell’assoluto, pubblicato nel catalogo della mostra tenuta dall’artista nel 1948 alla Pierre Matisse Gallery di New York. Negli stessi anni, tra il 1947 e il 1950, Giacometti lavorava al suo soggetto principale, elaborandolo in composizioni multiple o mantenendolo come scultura singola per ridefinire la percezione dello spazio in cui si immagina possa avvenire lo spostamento di un uomo in continuo cammino. Qui la sovradimensione degli attributi corporei sono gli stilemi attraverso i quali più si riconosce la sua mano felice. O dei suoi imitatori. Strano a dirsi, Giacometti vanta imitatori Difficile stabilire quanto l’altro viaggio italiano, compiuto sempre nel 1921, abbia influito sulla produzione dell’artista. Questa volta soggiornò in luoghi decisamente diversi dalle città d’arte visitate in precedenza. Desideroso di quiete, preferì la più appartata Madonna di Campiglio, nel Trentino. Vi giunse in compagnia di un pittore olandese di nome Peter van Meurs, conosciuto durante il viaggio a Pompei. Sappiamo tuttavia che la morte improvvisa del pittore sessantenne a Madonna di Campiglio, pesò sulla concezione della vita del giovane Alberto. La triste esperienza consolidò in lui l’idea della gracilità umana, ma irrobustì quel dinamismo estetico che nel tempo approdò alla provocazione di forme volutamente snaturate, in contrasto con i canoni del bello ideale. Ombra della sera, statuetta votiva etrusca, III secolo a. C., bronzo, 57,5 cm. Volterra, Museo Guarnacci settembre 2016 La Rivista - 51 Das Landesmuseum Zürich: Ensemble aus Alt und Neu. Blick vom Neumühlequai im Januar. © Roman Keller Il nuovo Museo nazionale Zurigo L’inaugurazione del nuovo edificio del Museo nazionale a Zurigo, lo scorso 31 luglio, segna il compimento di uno dei principali progetti del secolo. L’imponente nuova ala è l’ampliamento moderno dell’edificio storico. I due edifici riuniscono il vecchio e il nuovo per creare un insieme. La nuova ala è stata ufficialmente inaugurata durante il fine settimana del 1° agosto con il discorso di apertura del Consigliere federale Alain Berset e un ricco programma di manifestazioni che si sono svolte sull’arco di 26 ore. Dopo una fase di progettazione e realizzazione durata circa 15 anni, il museo storico può ora vantare un nuovo edificio dotato di un’infrastruttura moderna e di sale espositive polivalenti. Con le sue pareti spesse 80 cm, il nuovo edificio è uno dei primi musei svizzeri a rispondere ai criteri stabiliti dallo standard Minergie P-Eco. La nuova ala progettata dagli architetti Christ & Gantenbein si fonde con l’edificio storico di Gustav Gull per costituire un insieme: percorrendo le mostre, i visitatori percepiscono le due parti come un’unità. La facciata del nuovo edificio ricorda la facciata in tufo dell’edificio storico e i pavimenti in calcestruzzo levigato della nuova ala costituiscono un’interpretazione contemporanea del pavimento a terrazzo nel vecchio edificio. Dalla fusione delle due costruzioni emerge un cortile interno, che si apre sul parco con il ponte della nuova ala. Uno degli elementi architettonici più imponenti all’interno del nuovo edificio è costituito dallo scalone fiancheggiato da finestre tonde, attraverso le quali si scorgono gli alberi secolari del parco. La nuova ala è stata inaugurata con due mostre: la prima, intitolata L’Europa nel Rinascimento. Metamorfosi 1400 – 1600, illustra la 52 - La Rivista settembre 2016 Il consigliere federale Alain Berset inaugura la nuova ala del museo nazionale cultura del dialogo, lo scambio di idee, le trasformazioni e il transfer culturale che hanno interessato vaste regioni del continente europeo, mentre la seconda, intitolata Archeologia Svizzera, presenta ai visitatori il ricco patrimonio archeologico e culturale elvetico. Oltre a disporre di spazi espositivi moderni e polivalenti, il nuovo edificio è dotato di un Centro di studi, di una biblioteca, di un auditorium per manifestazioni aperte al pubblico e di un’offerta culinaria di pregevole qualità. Il Centro di studi rappresenta l’anello di congiunzione tra le mostre e il Centro delle collezioni di Affoltern am Albis, che accoglie i circa 850’000 oggetti appartenenti alle varie collezioni del Museo nazionale svizzero. Munito di posti di lavoro all’avanguardia, il centro è il luogo ideale per approfondire tematiche storico-culturali. Esso comprende una biblioteca di indirizzo storico-culturale, collezioni di studio nei campi della numismatica, della fotografia storica, della grafica e dell’archeologia, nonché un archivio tessile e una fototeca. Con la denominazione «Spitz» – in riferimento al «Platzspitz» – il Museo nazionale accoglie nei propri spazi un bistro, un bar e un ristorante per un totale di 300 posti a sedere al chiuso e all’aperto. Il ristorante proporrà una cucina regionale di alta qualità, mentre nel bistro si potranno consumare veloci spuntini. Fino al 30 ottobre alla Fondation de l’Hermitage di Losanna Keith Haring, End of Sale di Augusto Orsi La Fondation de l’Hermitage di Losanna conosciuta e apprezzata per le sue notevoli esposizione d’arte presenta fino al 30 ottobre Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une collection privée. La mostra, un insieme di 127 opere, dipinti, sculture e installazioni rappresenta una esplorazione considerevole e inedita dell’arte del XX e XXI secolo da parte di un collezionista anonimo, per noi, oculato e attento ai movimenti artistici contemporanei. La collezione , che è andata costituendosi a partire Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une collection privée dagli anni ’50 del secolo scorso, consente una visita che rappresenta un’escursione originale nell’arte contemporanea guidati da chi, il collezionista stesso, ha già fatto le sue scelte e da due curatori che hanno ordinato il tutto secondo criteri cronologici e qualitativi. L’esposizione dà ampio spazio all’arte tra le due guerre: dall’informale di Jean Dubuffet e Asger Jorn al neo espressionismo di Barcelo, Jean Michel Basquiat, Anselm Kiefer. La mostra offre altri momenti forti rappresentati dalle opere, poetiche, intense, realiste, gravi o leggere dell’italiano Giuseppe Jean-Michel Basquiat (1960-1988) Lobo, senza data, acrilico su tela, 123 x 100 cm Pennone, di Bertrand Lavier, Pierre Soulage e del ticinese Niele Toroni. A questa panoramica che illustra la creatività contemporanea europea si aggiunge una notevole selezione d’opere americane che si focalizza sul minimalismo e sull’espressionismo astratto di Carl Andre, Chris Burden, Sol LeWitt, Cy Twombl e altri ancora. Questa presentazione, già di per sé costituisce, secondo i curatori, un avvenimento notevole! Qualche “incursione” nell’art brut e naif di Louis Soutter e André Bauchant, in più dei ritratti di Auguste, Renoir, André Derain, Cham Soutine, Antoine Artaud e di busti classici del XVII e XIX secolo, che, seppur con l’art brut e gli artisti americani non c’entrano molto, completano l’esposizione, curata da Sylvie Wuhrmann, direttrice della Fondation di l’Hermitage e Didier Semin, professore à l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux- arts di Paris. Un catalogo illustrato edito dalla Fondation de l’Hermitage e Skira, Milano, è guida alla mostra. A parer mio, una mostra di questo tipo oltre a rappresentare un impegno minore per i curatori, in quanto nella collezione hanno a loro disposizione e pronti tutti gli elementi artistici espositivi per imbastire e presentare un insieme armonico ed avvincente, ha però i suoi limiti nell’ eterogeneità delle opere esposte. Il visitatore si sente spiazzato e non sempre riesce a fare una lettura appropriata delle proposte artistiche. La Fondation de L’Hermitage per rendere l’esposizione più dinamica e interessante sul piano cognitivo ha organizzato diverse attività divulgative: quali visite guidate e atelier, come Loup y es-tu? per bambini e famiglie e Rhythm ‘n’ Art a partire dai 16 anni. Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une collection privée. Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Giovedì fino alle 21 www.fondation-hermitage.ch settembre 2016 La Rivista - 53 Calato il sipario sulla 69 ma edizione del Festival del film Locarno Annunciato durante la serata di chiusura del 13 agosto il francobollo celebrativo per il 70esimo anniversario del Festival del film di Locarno (© Festival del film Locarno) Seppur accolta con qualche dubbio e perplessità (“nessuna polemica”, “profilo basso”, “si pensa soprattutto al 70°”…) l’edizione 2016, la quarta sotto la direzione artistica di Carlo Chatrian, è andata via via acquistando credito e si è conclusa con successo di pubblico e di critica coronata con il Pardo d’oro al film Godless della regista bulgara Ralitza Petrova. 279 pellicole in meno di due settimane, 16 sotto il cielo di Piazza Grande e 17 in Concorso internazionale. Tra i grandi ospiti di quest’anno indimenticabili il saluto alla Piazza di Mario Adorf e di Stefania Sandrelli, le conversazioni con il pubblico di Harvey Keitel, Roger Corman, David Linde e Alejando Jodorowsky e la masterclass di Howard Shore; la passione ri- voluzionaria di Ken Loach e ancora il ricordo di Cimino di Isabelle Huppert e del figlio Ahmad al padre Abbas Kiarostami, la generosità di Jane Birkin e la simpatia contagiosa di Bill Pullman. Carlo Chatrian, Direttore artistico a proposito dell’edizione che si è appena conclusa, ha dichiarato che “conteneva alcune scommesse. Da una programmazione della Piazza più libera di accogliere proposte non scontate alle competizioni che hanno privilegiato registi giovani. La risposta positiva di pubblico e stampa è per noi un incoraggiamento a proseguire il percorso intrapreso. Vogliamo che Locarno sia, come è stato in questi entusiasmanti undici giorni, un luogo in cui proiettare film che mettono al centro l’uomo in tutte le sue sfaccettature, film che fanno discutere ed emozionare; e allo stesso tempo, il luogo di incontro tra grandi artisti, capaci di consegnare messaggi dal forte valore, e un pubblico attento e caloroso. Un pubblico capace di accogliere con lo stesso affetto il grande Harvey Keitel e un suo collega bhutanese, meno noto, ma in grado di far vibrare le 8000 sedie al ritmo della sua voce”. 54 - La Rivista settembre 2016 La partecipazione degli spettatori è in linea con gli scorsi anni, con al Piazza Grande che ha accolto oltre 160’00 spettatori. Un francobollo speciale per il 70esimo anniversario del Festival In occasione della tradizionale Assemblea straordinaria di fine Festival, sono stati resi noti i dettagli dell’annuncio fatto durante la serata di chiusura del 13 agosto del francobollo celebrativo per il 70esimo anniversario del Festival del film di Locarno, che sarà presentato in anteprima il 31 marzo su La regista bulgara Ralitza Petrova che con il suo Godless ha ottenuto il pardo d’oro (© Festival del film Locarno) La Lente, la rivista per gli amici dei francobolli de La Posta. Il layout del francobollo speciale inedito sarà curato dal Festival del film di Locarno in collaborazione con Jannuzzi | Smith e La Posta. Il francobollo speciale sarà prenotabile a partire dal 31 marzo 2017 su postshop.ch e sarà emesso in data 11 maggio 2017. “Sono grato a Adriano P. Vassalli vicepresidente del Consiglio di amministrazione de La Posta e a Susanne Ruoff, direttrice generale de La Posta, per aver proposto, quello che per noi è un inaspettato regalo per il 70esimo del Festival” Ecco un modo per garantirsi un posto alal proiezione serale in Piazza Grande (© Festival del film Locarno / Pablo Gianinazzi) Dave Johns l’ottimo intreprete dello spleidido film di Ken Loach, IDaniel Blake, mentre ritira il premio del pubblico (© Festival del film Locarno / Massimo Pedrazzini) così Marco Solari, Presidente del Festival del film di Locarno, ha commentato la decisione de La Posta Successo anche per la Rotonda Successo di pubblico anche per l’edizione zero de laRotonda, il nuovo villaggio del Festival che dal 31 luglio sino a domani 14 agosto ha animato e anima la notte locarnese. “Un bilancio operativo è sicuramente positivo - secondo Mario Timbal, Direttore operativo del Festival - che si è detto soddisfatto per l’affluenza che “è stata alta e in linea con le passate edizioni. Alcune scelte coraggiose e la grande attenzione data alla sicurezza dell’evento, non hanno intaccato il grande interesse IL PALMARÈS DI LOCARNO 69 Concorso internazionale Pardo d’oro GODLESS di Ralitza Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia Premio speciale della giuria INIMI CICATRIZATE (Scarred Hearts) di Radu Jude, Romania/ Germania Pardo per la miglior regia JOÃO PEDRO RODRIGUES per O ORNITÓLOGO, Portogallo/ Francia/Brasile Pardo per la miglior interpretazione femminile IRENA IVANOVA per GODLESS di Ralitza Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia Pardo per la miglior interpretazione maschile ANDRZEJ SEWERYN per OSTATNIA RODZINA (The Last Family) di Jan P. Matusz s i, Polonia Menzione speciale MISTER UNIVERSO di Tizza Covi, Rainer Frimmel Austria/Italia Concorso Cineasti del presente Pardo d’oro Cineasti del presente – Premio Nescens EL AUGE DEL HUMANO di Eduardo Williams, Argentina/Brasile/Portogallo Premio speciale della giuria Ciné+ Cineasti del presente THE CHALLENGE di Yuri Ancara- da parte del pubblico, dei professionisti e dei media. Ottimo anche il bilancio dell’ edizione zero de laRotonda – Il villaggio del Festival. Le diverse proposte che hanno animato le serate sono state Stefania Sandrelli durante l’incontro con il pubblico (© Festival del film Locarno) accolte positivamente sia dai festivalieri, hanno reso possibile la 69ma edizione.” sia dal pubblico locale, aggiungendo all’offerta Occhi puntati ora e grande attesa per la 70° del Festival un’ ulteriore dimensione. Un granedizione del Festival del film Locarno si terrà de ringraziamento va a tutti i collaboratori e dal 2 al 12 agosto 2017. ai partner che con il loro impegno e sostegno ni, Italia/Francia/Svizzera Premio per il miglior regista emergente MARIKO TETSUYA per DESTRUCTION BABIES, Giappone Menzione Speciale VIEJO CALAVERA di Kiro Russo, Bolivia/Qatar First Feature Swatch First Feature Award (Premio per la migliore opera prima) EL FUTURO PERFECTO di Nele Wohlatz, Argentina Swatch Art Peace Hotel Award MAUD ALPI per GORGE COEUR VENTRE, Francia Menzione speciale EL AUGE DEL HUMANO di Eduardo Williams, Argentina/Brasile/ Portogallo Pardi di domani Concorso internazionale Pardino d’oro per il miglior cortometraggio internazionale – Premio SRG SSR L’IMMENSE RETOUR (ROMANCE) di Manon Coubia, Belgio/Francia Pardino d’argento SRG SSR per il Concorso internazionale CILAOS di Camilo Restrepo, Francia Nomination di Locarno agli European Film Awards – Premio Pianifica L’IMMENSE RETOUR (ROMANCE) di Manon Coubia, Belgio/ Francia Premio Film und Video Untertitelung VALPARAISO di Carlo Sironi, Italia Menzione speciale NON CASTUS di Andrea Castillo, Cile Concorso nazionale Pardino d’oro per il miglior cortometraggio svizzero – Premio Swiss Life DIE BRÜCKE ÜBER DEN FLUSS di Jadwiga Kowalska, Svizzera Pardino d’argento Swiss Life per il Concorso nazionale GENESIS di Lucien Monot, Svizzera Best Swiss Newcomer Award LA SÈVE di Manon Goupil, Svizzera Prix du Public UBS I, DANIEL BLAKE di Ken Loach, Gran Bretagna/Francia/Belgio Variety Piazza Grande Award MOKA di Frédéric Mermoud, Francia/Svizzera settembre 2016 La Rivista - 55 La Terrazza Marnin, animata dall’Infaticabile Franca Antognini Pangottardo dolce omaggio a Gotthard Tre ore di film, o meglio di fiction tv, e una Piazza quasi piena che ha strappato uno “Uau” di meraviglia ed emozione al regista Urs Egger. Nella seconda serata Prefestival è stato presentato Gotthard, grande produzione Ssr che a dicembre arriverà in tv (in collaborazione con Zdf e Orf). Attraverso un minatore anarchico italiano, un aspirante ingegnere tedesco e una giovane di Göschenen, all’ombra della montagna e di Louis Favre, colui che si fece carico del progetto, Gotthard racconta dieci anni di Storia, fra il 1870 e il 1880, andata e ritorno dal grande sogno alla strage dei minatori in sciopero. Un bel progetto tv, spettacolare e ben recitato. Prendendo spunto e ispirazione dalla Fiction di Urs Egger, la Pasticceria Marnin di Piazza Sant’Antonio ha creato il Pangottardo, un panettone di ben 5 chili contornato da una catena montuosa di panettoni più piccoli e nel ricevimento del Festival, ha fatto passare, in prima mondiale, la nuova locomotiva in miniatura GOTTARDO 2016, attraverso il tunnel del Pangottardo. L’opera d’arte dolciara è stato esposta La nuova locomotiva in miniatura GOTTARDO 2016, attraverso il tunnel del Pangottardo 56 - La Rivista settembre 2016 nella vetrina della Panetteria Marnin di Piazza San Francesco durante tutta la durata del Festival creando ammirazione e stupore. Il bel video sul Pangottardo realizzato da Simone Felici può essere ancora visto su Youtube. Come preludio della passione cinefila della Marnin la vetrina della Pasticceria era stata decorata con riproduzioni di opere di Rotella e il cinema della mostra di Casa Rusca e un video con immagini di film classici in rapporto con l’esposizione ridestava ricordi della Dolce Vita. Terrazza Marnin: luogo di incontri conviviali Nei dieci giorni della kermesse cinematografica locarnese, la Terrazza Marnin, situata di fronte alla pasticceria di Piazza Sant’Antonio, frequentata da avventori abituali e da festivalieri, ha accolto, tra gli altri il maestro del brivido, Dario Argento presidente della Giuria Pardi di domani, Lucius Barre responsabile di Protocollo tappeto rosso del Festival, Martine e Pierino Ghisla, titolari della prestigiosa Ghisla Art Collection, l’ambasciatore svizzero in Francia Bernardino Regazzoni, il giornalista di Ciak, Antonello Catacchio, Patrizia Wachter, addetta stampa del Festival per la stampa italiana, André Ceuterick direttore del Festival Internazionale del film d’amore di Mons e Stelio Righenzi vicepresidente del Festival Castellinaria. Non sono mancati gli addetti ai lavori al Festival quali i membri della Giuria Ecumenica e quelli della Giuria Fipresci (Federazione della stampa internazionale cinematografica) che sulla terrazza hanno discusso a lungo a quale film assegnare il loro premio. André Ceuterick direttore del Festival Internazionale del film d’amore di Mons (a destra) e Stelio Righenzi vicepresidente del Festival Castellinaria (a sinistra) il nostro collaboratore Augusto Orsi, la sua signora (a sinistra) e Franca Antognini (a destra) L’ambasciatore svizzero a Parigi Bernardino Regazzoni (a destra), la sua signora (a sinistra) il giornalista di Ciak, Antonello Catacchio e Patrizia Wachter, addetta stampa del Festival per la stampa italiana I membri della Giuria Ecumenica…. …e quelli della Giuria Fipresci (Federazione della stampa internazionale cinematografica) che sulla terrazza hanno discusso a lungo su quale film assegnare il loro premio settembre 2016 La Rivista - 57 Benchmark di Nico Tanzi Multitasking e “vita connessa” fra la comunicazione globale e la saggezza dei nonni Ricordo ancora perfettamente il momento in cui ho sentito parlare per la prima volta di multitasking. È stato una ventina d’anni fa, o poco più. Lavoravo per un piccolo giornale, in quel periodo. Era la fase in cui si abbandonavano i vecchi (e voluminosi, e costosi) sistemi che trasferivano il lavoro dei giornalisti dai videoterminali in redazione alla tipografia, e facevano per la prima volta la loro comparsa i personal computer, che già allora ci sembravano veloci e agilissimi. In realtà avevano un millesimo delle potenzialità dei computer attuali, ma ciononostante rappresentavano un passo avanti incredibile, rispetto alla rigidità dei sistemi di lavoro fino allora in uso. E oltretutto permettevano, appunto, il multitasking – come ci spiegava l’istruttore, un informatico che parlava il linguaggio degli informatici, non ancora diffuso come oggi, e che perciò a tutti noi, cresciuti sulle macchine per scrivere Olivetti, appariva praticamente come un marziano. Ce ne parlava come di una possibilità straordinaria, e in effetti lo era: rendeva possibile infatti utilizzare contemporaneamente più programmi: non solo la scrittura, quindi, ma il sistema di impaginazione, la gestione delle immagini... (internet non c’era ancora: sarebbe arrivato pochi anni dopo). Certo non avremmo mai immaginato, allora, che quella meraviglia tecnologica sarebbe stata pochi anni dopo la chiave di volta di una vera e propria mutazione antropologica. Eh già, perché nel frattempo questa modalità di lavoro – il multitasking – ha smesso di restare confinata nell’ambito dell’informatica, ed è diventata una parte fondamentale del nostro modo di vivere. O almeno del modo di vivere di quella parte consistente dell’umanità che non smette neppure per un attimo di essere «connessa», attraverso uno o l’altro dei diversi «gadget tecnologici» di cui dispone. Nel 2006 il settimanale americano Time aveva coniato la definizione “Multitasking Generation”, generazione multitasking, per indicare i milioni di persone che vivono in stato di «attenzione parziale continua», divisi fra i diversi dispositivi e piattaforme che rappresentano il loro contatto principale con il mondo. Esattamente dieci anni dopo, il termine ha perso completamente di senso: perché il multitasking non è più una caratteristica generazionale, ma si estende a una parte consistente dell’umanità connessa. Siamo qui e nello stesso tempo siano altrove. Parliamo con il nostro interlocutore ma intanto teniamo d’occhio Facebook, Whatsapp o gli sms. E magari ascoltiamo musica con lo smartphone o l’iPod, o guardiamo un video su Youtube. Non viviamo più “qui e ora”: distribuiamo la nostra attenzione, sempre parziale e mai totale, su una miriade di canali diversi. Le conseguenze di questo modo di vivere la «comunicazione globale» non si sono fatte attendere. Da tempo si parla di patologie connesse, di «sindrome da interruzione continua». Niente di completamente nuovo, e ci mancherebbe altro: ma intanto, solo per citare un dato, sono sempre di più (e parliamo di milioni di individui) i ragazzi che soffrono di «disordine da iperattività e deficit di attenzione». Ormai chi ha fra gli 8 e i 18 anni «consuma» media elettronici per 7 ore (in media) al giorno. E già questo sarebbe mostruoso. Ma il peggio è che quelle ore è come se fossero in realtà due in più: 9. E questo proprio a causa del multitasking, che permette di svolgere più compiti contemporaneamente. In realtà si tratta di un’illusione: il cervello umano, anche quando ci dà la sensazione della simultaneità, svolge un compito (in inglese, «task») per volta. Se lo subissiamo di richieste continue, a intervalli sempre più brevi (come avviene quando ci dividiamo fra telefono, social network, posta elettronica, musica, video eccetera) rischiamo di farlo andare in tilt. Di sicuro ne diminuiamo la capacità di concentrazione. E diminuisce così anche la capacità di mantenere viva l’attenzione per periodi di tempo che vanno oltre qualche minuto. Ne sanno qualcosa gli insegnanti, il cui sforzo per mantenere alta la concentrazione degli alunni per un’ora intera ha sempre più del titanico. Ma l’aspetto comico (o tragico, fate voi) della faccenda, è che – come è stato ormai ampiamente dimostrato – svolgere due azioni separatamente richiede meno tempo rispetto a quando le si svolge contemporaneamente. A volte addirittura la metà. E i rischi di errore sono molto inferiori. Come sapevano bene i nostri nonni, quando ammonivano che “chi va piano…”. 58 - La Rivista settembre 2016 Sequenze di Jean de la Mulière Fuocoammare di Gianfranco Rosi Gianfranco Rosi racconta Lampedusa attraverso la storia di Samuele, un ragazzino che va a scuola, ama tirare sassi, con la fionda che si è costruito, e andare a caccia di uccelli. Preferisce giocare sulla terraferma, anche se tutto, attorno a lui, parla di mare e di quelle migliaia di donne, uomini e bambini che quel mare, negli ultimi vent’anni, hanno cercato di attraversarlo alla ricerca di una vita degna di questo nome trovandovi spesso, troppo spesso, la morte.. Rosi orienta il suo e il nostro sguardo, evitando l’approccio del documentario ‘mordi e fuggi’ che vede la troupe giungere sul luogo, pretendere di capire in fretta o comunque di mettere in ordine i propri pregiudizi e ripartire quando pensa di ‘avere abbastanza materiale’. Fedele al suo metodo di totale immersione, il regista è rimasto per un anno a Lampedusa entrando così realmente nei ritmi di un microcosmo di cui voleva rendere una testimonianza onesta. Samuele è un ragazzino con l’apparente sicurezza, le paure e il bisogno di capire e conoscere tipici di ogni preadolescente. Con lui e con la sua famiglia entriamo nella quotidianità delle vite di chi abita un luogo che è, per comoda definizione, costantemente in emergenza. Grazie a lui e al suo ‘occhio pigro’, che ha bisogno di rieducazione per tornare a vedere sfruttando tutte le sue potenzialità, ci viene ricordato di quanto miope sia lo sguardo di un’Europa che affronta il fenomeno della migrazione limitandosi ad aprire o chiudere le frontiere secondo il proprio tornaconto. Samuele non incontra mai i migranti. A farlo è invece il dottor Bartolo, unico medico di Lampedusa costretto dalla propria professione a constatare i decessi, ma capace di non trasformare tutto ciò in una macabra routine, conservando intatto il senso di un’incancellabile partecipazione. Rosi non cerca l’effetto, neppure quando ci mostra situazioni al limite senza alcun compiacimento estetizzante, ma con la consapevolezza che nessun uomo è un’isola e nessuna Isola, oggi, è come Lampedusa. The light The Music of between oceans Strangers di Derek Cianfrance di Morgan Neville Dopo quattro anni sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale, che hanno lasciato un segno indelebile nella sua mente, Tom Sherbourne (Michael Fassbender) ritorna in Australia, dove cerca ed ottiene un lavoro come il guardiano del faro su Janus Rock, un’isola sperduta a quasi mezza giornata di navigazione dalla costa. Su questo lembo di terra isolato, dove la barca degli approvvigionamenti approda ad ogni stagione. Inizialmente, nella solitudine ritmicamente cadenzata dall’accensione del faro Tom cerca di ritrovare un equilibrio interiore. Ben presto però cede all’amore e alla determinazione della giovane Isabel (Alicia Vikander), la sposa, condizione necessaria, e la porta con sé sull’isola. Anni più tardi, dopo due aborti e un feto nato morto, una mattina Isabel sente un grido sottile come un volo di gabbiani rompere d’improvviso la quiete dell’alba. Quel grido, destinato a cambiare per sempre la vita della coppia, è il tenue vagito di una bambina, ritrovata a bordo di una barca naufragata sugli scogli, insieme al cadavere di uno sconosciuto. Per Isabel la bambina senza nome è il regalo più grande che l’oceano le abbia mai fatto. È la figlia che ha sempre voluto. E sarà sua. Nessuno lo verrà mai a sapere, basterà solo infrangere una piccola regola. Basterà che Tom non segnali il naufragio alle autorità, così nessuno verrà mai a cercarla. Decidono di chiamarla Lucy. Ben presto quella creatura vivace e sempre bisognosa d’attenzione diventa la luce della loro vita. Ma ogni luce crea delle ombre. E quell’ombra nasconde un segreto pesante come un macigno, più indomabile di qualunque corrente e tempesta Tom abbia mai dovuto illuminare con la luce del suo faro. In occasione d i una visita sulla terraferma Tom e Isabel dovranno rendersi conto che non esistono solo loro al mondo, ma ci sono altre anime con cui rapportarsi tra queste Hannah Roennfeldt (Rachel Weisz), il cui marito e la figlia ancora in fasce sono dispersi in mare. Per Tom non c’è dubbio la gioia degli uni non può affermarsi a scapito della sofferenza degli altri. Il potere universale della musica unisce i popoli oltre i limiti geografici e il Silk Road Ensemble, il collettivo di musicisti fondato dal leggendario violoncellista Yo-Yo Ma, nasce proprio per dare voce a questo potere, realizzando un esperimento di collaborazione artistica rivoluzionario. In crisi di identità, dopo esser stato un violoncellista prodigio e celebre dall’età di sette anni, quando suonò per i Kennedy, Yo Yo Ma quindici anni fa ha cercato un po’ di linfa nuova incontrando e selezionando 55 virtuosi di strumenti musicali tradizionali. Da allora si ritrovano più volte all’anno, in diverse combinazioni, per concerti in disparati angoli del mondo (nel documentario attraversiamo Istanbul, New York, Cina, Iran, Africa). Il film di Neville, zeppo di materiali di repertorio tratti dalla lunga vita artistica del celeberrimo violoncellista nato sotto Mao, è però soprattutto il racconto di cinque avventure umane che intrecciano ribellione e talento con eventi che hanno lasciato il segno nel nostro frantumato mondo. C’è il clarinettista siriano Kinan Azmeh, che dagli States torna nei campi profughi per insegnare musica ai ragazzini e c’è la vicenda umana assai complessa, dolorosa, dell’iraniano Kayhan Kalhor, maestro del tradizionale Kemenche, piccolo strumento a corde orientale, fuggito all’epoca della rivoluzione komeinista, rientrato a Teheran nel momento della rivoluzione verde e infine di nuovo ‘indesiderato’ ed esule. Ma il documentario non è solo questo, è in special modo l’energia vitale di due signore della Silk Road Ensemble, Cristina Pato, la splendida ragazza dai capelli verdi che a diciannove anni sul palco galvanizza tutti con la sua versione punk rock della gaita, la cornamusa galiziana, e Wu Man, cinese di Xian, vera virtuosa rocker della Pipa, il liuto di tradizione. Sulla scia emotiva di film come Buena Vista Social Club, ci si illude che basti un Ensemble per tenerci uniti e scavalcare povertà, frontiere e terrorismo. Non è così, naturalmente, ma l’arte, ribadiscono tutti i protagonisti, serve a rigenerarsi e sognare un po’ più in là. settembre 2016 La Rivista - 59 Le piccole patrie dure e pure non m’interessano Dialogo con Gian Antonio Stella Classe 1953, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella nel 2007 ha avuto grande successo con il libro La casta, scritto con Sergio Rizzo, che, con oltre 1’300’000 copie, è tra i saggi italiani più venduti di sempre. Attento osservatore e critico della realtà italiana, il 25 maggio scorso ha portato lo spettacolo teatrale “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi” al Casino Théâtre di Ginevra. Quella che segue è una sorta d’intervista pubblica con le domande degli ascoltatori di ZonaFranca, programma radiofonico in italiano di RadioZones 93.8FM, una radio locale della zona di Ginevra e dintorni. Teatro e giornalismo sono da qualche tempo sempre più vicini. Penso ai successi di Marco Travaglio e altri. Come spiega questa tendenza? Credo che il nuovo sistema porti alla semplificazione soprattutto su un punto che è fondamentale: non ne potevamo davvero più di vedere le leggi andare e venire tra Camera e Senato in una partita a ping pong tra maggioranze diverse. Era diventato un incubo. Sotto questo profilo io credo che Pietro Ingrao avesse ragione: voleva abolire il Senato già nel 1985. L’abbiamo fatto con trent’anni di ritardo. Piace, non piace? Boh! Si vedrà nei fatti se funzionerà o meno. Io credo che l’abolizione del Senato fosse necessaria. È fatta in modo da dar meno nell’occhio a un po’ di classe politica che v’era molto attaccata. Tuttavia, il nuovo Senato è nato svuotato. Il fatto che non ha niente da dire può andare bene. Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro La casta. Ci sarà un aggiornamento di questo saggio amaro e divertente? Che effetto ha avuto questo libro? All’inizio degli anni Novanta Indro Montanelli dichiarò in un’intervista di Alain Elkann su Telemontecarlo: “L’identità degli italiani è debole. Dopo un paio di generazioni sono integrati”. Tuttavia, Stella, come si spiega la vitalità dell’associazionismo italiano all’estero? È solo un modo per comunicare a persone che magari non leggono il mio giornale. È un modo per comunicare delle sensazioni che non sempre sul giornale è possibile ricreare. Faccio un esempio: il nostro spettacolo trabocca di foto stupende. Alcune sono introvabili. È difficile vedere queste fotografie tutte insieme ed è anche difficile farne un libro, quindi andare a teatro per mostrare queste immagini e far sentire le canzoni della Compagnia delle Acque per me è una cosa diversa. È un altro modo per parlare dello stesso triste fenomeno. Gli effetti sono stati migliori di quello che sembra. Pare che non sia stato ottenuto niente, ma in realtà hanno abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Hanno abolito il Senato, sia pure provvisoriamente in attesa del referendum confermativo. Sono state abolite le province. Sono stati annullati dei contratti d’affitto assurdi perché la Camera e il Senato sono arrivati ad avere una serie di uffici affittati tanto che il costo degli affitti era aumentato di quarantuno volte negli ultimi trent’anni. Tutte queste cose sono state contenute. Insomma dal barbiere della Camera adesso si paga. Anche sulle stupidaggini c’è stato un passo in avanti. Non si può dire onestamente che non è stato fatto niente. [N.d.R. Gian Antonio Stella confonde la carica elettiva con l’istituzione. Né le province né il Senato sono stati formalmente aboliti.] Noi emigrati siamo molto attaccati all’Italia ma abbiamo scoperto i pregi dei nostri paesi d’accoglienza. In Svizzera in particolare abbiamo scoperto i pregi di un sistema politico molto partecipativo, dove i cittadini, tramite i referendum, hanno sempre l’ultima parola. In Italia con le riforme costituzionali che direzione prende la politica italiana? Ci si avvicina al modello partecipativo svizzero o ci si allontana? Non è il caso di fare paragoni. In Svizzera ci sono stati tanti governi di larghe coalizioni in cui c’era dentro un po’ di tutto. È come se ci fossero dei governi che cercano di tenere insieme le varie anime. Questa è una caratteristica svizzera molto sentita. Da noi in Italia è impensabile. La polemica politica, la rissa politica non solo è fastidiosa e angosciante ma crea dei problemi. Non conosco nessuna delle realtà straniere in modo approfondito. Ne ho visitate molte. Ho seguito i loro giornali. È una stupidaggine chiedere a qualcuno di rinunciare alla nazionalità che ha o di rinunciare a quella che acquisisce. È giusto e sacrosanto che chi emigra in un’altra nazione e s’immerge nella vita del paese che lo accoglie possa conservare la propria nostalgia per la patria di un tempo e di amare allo stesso tempo la patria di accoglienza. Aristofane diceva che la patria è là dove si prospera e ci si realizza. Tantissimi italiani si sono realizzati in Svizzera ed io sono felice per tutti loro. Tenere insieme due identità credo sia una cosa bella. Io stesso, anche se non sono emigrato, vengo da una famiglia di emigranti e mi sento contemporaneamente cimbro poiché la mia piccola patria è Asiago, poi mi sento Veneto, poi italiano e infine europeo perché è la patria di tutti noi insieme. Sentire contemporaneamente amore per diverse patrie che si sovrappongono e s’integrano l’una nell’altra è una cosa non solo possibile ma bella. Le piccole patrie ringhiose, cattive e chiuse in se stesse non m’interessano. C’è un bellissimo racconto di Joseph Roth, che s’intitola “Il busto dell’imperatore”, in cui un nobile polacco, con una lontana origine italiana, quando si smembra l’impero austroungarico, celebra un solenne funerale al busto dell’imperatore che aveva in casa e lo seppellisce nel giardino dicendo una frase che faccio mia totalmente: “Sono nato per vivere in una casa e non in un gabinetto”. Le piccole patrie dure e pure non m’interessano. Se le tengano gli altri. A me fanno schifo. settembre 2016 La Rivista - 61 Per chi suona il campanello di Mirko Formenti Ecopelle un paio di palle All’alba dei quasi venticinque anni, in un pomeriggio qualsiasi di languore estivo – era un lunedì, forse – mi folgorò improvvisamente (cioè: per tramite della mia ragazza, si capisce) la fino ad allora mai pienamente raggiunta consapevolezza che la pelle è pelle. La pelle dei vestiti, voglio dire, delle scarpe, delle borse…ragazzi, è pelle! Pelle per davvero! Mi direte, sai che scoperta, ma andiamo, in quanti mentre si mettono un paio di scarpe o una giacca si rendono davvero conto di indossare la pelle di un essere (un tempo) vivente? La pelle di un animale morto, santo cielo! Ma facciamo un discorso serio: al di là del fatto che l’idea di indossare un cadavere sia alquanto raccapricciante, è inevitabile domandarsi quanto giusto sia ammazzare animali per fabbricare vestiti. A questo punto, ci sono quelli che attaccherebbero con il discorso del tipo “è la natura, in fondo gli uomini delle caverne dovevano ripararsi dal freddo e fabbricavano vestiti con le pelli e blabla”, poi ci sono i moderati che andrebbero più su un “in fondo l’importante è che non li uccidano apposta, basterebbe usare la pelle di animali già morti, o uccisi per la carne”, poi ci sono gli ecologisti che non rinunciano allo stile ripiegando sull’ecopelle (sì, esiste l’ecopelle… sono giorni gravidi di scoperte – e sono appena ad un quarto di secolo!) e gli irriducibili che eliminano sistematicamente dal proprio guardaroba ogni prodotto di origine animale. In fondo la prima categoria è ancora la più interessante, perché rilancia il dado della discussione filosofica – essì – nella sua forma più inconcludente imprevedibile e inutile, quindi più profonda e pura; la risposta che ogni lettore ha certamente immaginato all’argomento troglodita è che, beh, in effetti oggi non siamo più uomini delle caverne, quindi non abbiamo più la necessità di ripararci con pelli animali, perché la tecnica e la tecnologia ci hanno permesso di trovare soluzioni alternative che non prevedono lo scuoiamento di carcasse. Ed è qui che il discorso si fa interessante: in che misura l’uomo dovrebbe essere tenuto ad evitare ciò che grazie alla tecnologia non è più necessario? Naturalmente il conflitto è tra necessità di base e volontà di avere un qualcosa che non è necessario ma desiderato: nel caso dei vestiti l’ecopelle sembrerebbe aver risolto gran parte del problema, proprio nel senso che permette di evitare ciò che la tecnologia ha reso innecessario (cioè l’abbattimento di animali) pur senza dover rinunciare al desiderio di avere vestiti e accessori di un certo tipo. Se pensiamo però ad altri contesti – uno su tutti quello dell’alimentazione – il conflitto appare ben più evidente: considerando che oramai un uomo potrebbe benissimo soddisfare il suo fabbisogno di alimenti tramite delle pillole, non è in qualche modo crudele ostinarsi a voler mangiar carne? In fondo è un’azione non più necessaria, che risponde unicamente ai nostri capricci di gola – ma andiamo oltre, potendo davvero trarre tutto il nutrimento da delle pastiglie, non è egoistico anche strappare ettari ed ettari di terreno alla natura selvaggia per poter coltivare prodotti potenzialmente superflui? Certo, sono due misure diverse, ma nel principio mangiare l’insalata è un po’ come comprare una pelliccia di visone: è anteporre una nostra volontà specifica ed illogica ad un criterio in fondo (eco)logico. È evidente che non sto dicendo che bisognerebbe mangiare solo pillole, bensì lo scopo è quello di dimostrare come da ogni tema caldo, scavando, si giunga ad un impasse tra principi assoluti ed opposti che nella maggioranza dei casi risultano a prescindere inaccettabili, insomma, nessuno sarebbe disposto ad essere il carnefice di procioni, ma nessuno vivrebbe neanche di pillole: tutto ciò che sta in mezzo è la variabile umana, che in fondo è sostanzialmente individuale e quasi sempre relativamente incosciente, e per questo a maggior ragione: etica. Il discorso filosofico può essere questo – oppure si può condire la filosofia di retorica (basti pensare alla pesantezza dei soliti polpettoni fricchettoni: eccheppalle ‘sta ecopelle!), che vuol dire: decidere in partenza dove si vuole andare a parare, che vuol dire: non mettere in moto il pensiero e il dialogo, che vuol dire: affidarsi alla morale. Insomma, se qualcuno si vuole proprio impegnare a fraintendere: ben venga l’ecopelle, ma risparmiamoci le tiritere in automatico e le filastrocche, perché il pensiero è sempre vivo, dinamico e instancabile e non conosce certezze, mentre Apelle, figlio di Apollo c’ha fatto due palle d’ecopelle di pollo… 62 - La Rivista settembre 2016 Diapason di Luca D’Alessandro Lele Costruire Samuele Bersani La Fortuna Che Abbiamo Lele Esposito, finalista della quindicesima edizione di Amici, programma prodotto e condotto da Maria De Filippi su Canale 5, presenta il suo disco d’esordio dal titolo Costruire. Il disco contiene sette brani inediti, tra cui i suoi brani di maggior successo, La Strada Verso Casa, Screaming Out Loud e Love Me Now, e tre cover, Diamante di Zucchero, Un’Ora Sola Ti Vorrei di Giorgia e People Help The People di Birdy. In totale sono quattro i brani cantati in lingua inglese. Lele dimostra così la sua flessibilità e versatilità sul piano linguistico oltre che su quello canoro. È un artista eclettico, perfettamente a suo agio in più discipline musicali e capace di trasmettere la sua passione al grande pubblico, dal quale è molto riconosciuto ed apprezzato. La fortuna che abbiamo, al di là di un brano inedito, comprende venticinque anni di successi di Samuele Bersani, cantante e cantautore pop e rock di origine emiliana. Ciascun pezzo di questo live si presenta differente dal suo arrangiamento originale. L’album è stato anticipato dall’omonimo singolo La fortuna che abbiamo; brano che racchiude le due forze di Samuele: quella della continua sperimentazione e quella poetica. Partecipano a questo progetto ospiti illustri del mondo della musica italiana, tra l’altro Caparezza, Luca Carboni, Carmen Consoli, Marco Mengoni, per non dimenticare l’esuberante duo jazzistico Musica Nuda, composto da Ferruccio Spinetti al contrabbasso e la cantante Petra Magoni. Evan Evan Fabrizio Savino Gemini Autore di quest’album è il compositore e produttore partenopeo Gaetano Savio, in arte Evan, il quale - prima del lancio ufficiale di quello che è il suo album d’esordio - ha riscontrato successo con il singolo Fall In Love Part 1 in Inghilterra, dopo essere stato selezionato da Gilles Peterson per il programma Worldwide in onda su BBC6. Un successo che ha motivato Savio a portare in porto un completo album con sfumature di vari generi: l’elenco comprende pezzi di musica jazz del tipo Miles Davis che si mescolano con il funk elettronico firmato Herbie Hancock. L’obiettivo di Savio è quello di completare la musica jazz del passato con altri generi e di riconciliare in un unico lavoro tradizioni e tendenze moderne. Chi è alla ricerca di suoni equilibrati, fini, di melodie raffinate e ben comprensibili, probabilmente sarà soddisfatto dell’ultimo lavoro del chitarrista di origine pugliesi Fabrizio Savino. Jazzista d’eccezione che, insieme al suo trio composto dal contrabbassista Luca Alemanno e dal batterista Gianlivio Liberti, intraprende un viaggio attraverso il mondo del jazz acustico contemporaneo. La si può definire una ricerca della propria identità artistica, o detto con le parole di Savino: “la ricerca di sé stessi la si fa componendo, sperimentando sé stessi attraverso il proprio strumento e quello degli altri, alla ricerca di una voce che esprima al meglio qualcosa.” Senza dubbio Fabrizio Savino figura già adesso tra i maggiori rappresentanti del jazz contemporaneo. (Sony) (Gaetano Savio) (Sony) (A.Ma Records) settembre 2016 La Rivista - 63 Collisioni per l’ottava volta a Barolo Festival dell’Agrirock di Rocco Lettieri Dove arte, vino, cibo, letteratura, musica, cinema, degustazioni s’incotrano Conoscete la cittadina di Barolo, paesino che fa parte degli 11 comuni dove è possibile vinificare e produrre il nobile Barolo: il re dei vini? Sapete quanti sono gli abitanti?! Il censimento del 2010 ne contava 728. Sapete quante piazze ha questa cittadina? 4 e tutte abbastanza ampie. Ebbene per la manifestazione Collisioni (Festival dell’Agrirock) le 4 piazze sono state denominate: Rossa; Blu; Rosa e Verde. Ogni piazza ha avuto dal 14 al 18 Luglio scorso un festival diverso. Punto di incontro tra grandi nomi provenienti da tutto il mondo in un intreccio di arte, vino, cibo, letteratura, musica, cinema, degustazioni. Il tutto sotto la regia di Filippo Taricco, anche direttore artistico. Numerosi gli incontri. fra gli altri anche quello con Beppe Servergnini Barolo è un paese arroccato su una collina, dominato dal castello, avvolto dall’aura magica delle vigne che lo circondano. Arrivando a Barolo si avverte quel qualcosa di strano che deve accadere, e allo stesso tempo quel senso di pace che incontri negli occhi degli abitanti. Ci sono tanti paesi in un solo paese. Ci sono paesaggi che cambiano a ogni angolo, palazzi sofisticati che stanno accanto agli orti dei paesani. C’è un maneggio con i cavalli e anche un curioso Museo dei cavatappi (vedi retino). E i negozianti di Barolo seduti fuori dal negozio, sembrano una fotografia di tanti anni fa. Ci sono le belle cantine dei produttori di vino, e i ristoranti con i tavolini fuori, appoggiati ai vicoli, come quei piccoli bistrot francesi, con l’edera che sale accompagnando lo sguardo verso l’alto, verso il cielo, splendente. C’è il Castello ovviamente, dove tutto si svolge, anche durante tutto l’anno. Poi a Barolo c’è una luce che altrove non vedi. Ribatte sulle 64 - La Rivista settembre 2016 vigne, si colora sulle pareti dei palazzi, arrossisce sui pendii del Castello. Quando te ne vai, hai gli occhi pieni di quella luce che hai visto di giorno, perché quando si va via la sera, dopo aver vissuto Collisioni, è di certo passata la mezzanotte. Hai addosso ancora il colore di quell’aria, di quel tempo che Barolo offre, per passeggiare, per ascoltare, per vivere qualche attimo che altrove non troverai. Io c’ero Questa edizione, l’ottava, sotto il nome di Agrirock-Collisioni una marea umana si è ritrovata in questo miniscolo paese dal nome affascinante, Barolo, (ma grandissimo se parliamo del suo vino) per associare alla grande musica e alla letteratura internazionale i grandi vini e i grandi prodotti della cucina piemontese e italiana, persone desiderose di informarsi, comprendersi meglio, incontrare direttamente i produttori che vengono da tutte le regioni d’Italia. Molti, infatti, gli stand regionali dedicati alle grandi eccellenze della cucina italiana, stand dove i cuochi e i produttori hanno incontrato il pubblico declinando la loro sapienza in chiave street food. Una manifestazione pensata anche per i giovani curiosi di conoscere e di sperimentare nuovi approcci al cibo e al vino. Per loro, il palco previsto all’interno del cortile del Castello, ha visto racconti inediti dove anche i ragazzi sono stati protagonisti. Non lezioni, ma rappresentazioni ed animazioni di un mondo, quello agroalimentare, a cui i giovani stanno ritornando con entusiasmo e volontà di innovare. Agrirock Collisioni di questa edizione 2016 si è svolto con una folla incontenibile che ha occupato la città dalle prime ore del mattino (intorno alle 10,30–11,00 e sino alla 1 di notte). Almeno ventimila persone al giorno che hanno dovuto posteggiare le loro auto sino a circa 6-8 km in posteggi autorizzati e poi portati sul posto con bus e servizio di navette gratuite. Basta dare solo un indizio: il 15 sera in Piazza Rossa ha suonato Elton John, nella sua unica tappa italiana del suo tour mondiale. Non meno di trentamila persone già in piazza dalle 18,00 con un sole calante ma ancora cocente. Elton John ha cantato anche per Nizza (dove ha pure una sua casa) e al pubblico presente ha detto che: “Noi crediamo nell’amore e nella speranza. Voglio dedicare questa serata a tutte le vittime dell’atto barbarico compiuto a Nizza e alla Francia. Dedico Don’t Let the Sun Go Down on Me a tutta la Francia, in ricordo”. Molti hanno potuto raccontare: io c’ero. E su questa stessa piazza sono passati: i Modà, Marco Mengoni, i Xylaroo, Mika e i Negramaro. Incontri relazioni degustazioni concerti Edizione speciale questa anche per la presenza del wine writer di vini italiani, oggi, forse più famoso al mondo, Antonio Galloni, presidente e direttore generale di Vinous, con un ricco programma di ospiti e conferenze di un mondo culturale sempre più internazionale. Progetto Vino, la new entry per soddisfare i wine lovers e pertanto tra questi non poteva mancare il braccio destro dello stesso Galloni, Ian D’Agata, direttore creativo del Progetto Vino, anche redattore di Vinous, già responsabile a Roma della Wine Academy a Trinità dei Monti. Chi scrive ha avuto la possibilità di fare degustazioni pilotate e riservate con i vini di Ermete Medici, con i vini Chianti DOCG, i grandi vini rossi di Pico Maccario e con ben 32 vini bianchi di Verdicchio di Jesi e di Matelica. Una super degustazione condotta com’era in previsione da Ian D’Agata, dove hanno prevalso su tutti i vini delle aziende: Colognola, Bucci, Pievalta, Saltarelli, Moncaro, Belisario e il favoloso Podium 2007 dell’azienda Garofoli. Molte le personalità mondiali del campo enologico presenti per relazionare: Jacky Rigaux, editore e scrittore, Aubert de Villaine, comproprietario del Domaine de la Romanée Conti, Christine Vernay proprietaria del Domaine Georges Vernay, massima esperta mondiale di Condrieu e altri numerosi graditi ospiti. Molti i personaggi che si sono succe- Il Museo dei cavatappi Stappare una bottiglia di vino è un rituale che ha sempre qualcosa di magico: gli occhi dei presenti sono concentrati su chi svolge l’operazione. Viene rimosso il sigillo di stagnola e posizionata la punta del cavatappi al centro del turacciolo. La vite affonda nel sughero fino a perforarlo ed infine con lo sforzo di trazione necessario il tappo fuoriesce dal collo della bottiglia con un leggero schiocco. Il turacciolo viene estratto e annusato per verificare se presenta odore. Il nettare degli Dei ora è pronto da servire e degustare. Noi tutti siamo abituati ad utilizzare questo oggetto per stappare una bottiglia, è un gesto consueto ed automatico che ci permette di accedere ad uno dei piaceri della vita. Ma quando inizia quest’affascinante storia? Non è facile rispondere a questa domanda, ma possiamo fare delle ipotesi attendibili. Partiamo da due certezze: il cavatappi nasce per estrarre un tappo di sughero da un recipiente di vetro anche se non necessariamente da una bottiglia contenente vino; il primo brevetto di un cavatappi risale al 1795, ed è dell’inglese Samuel Henshall. All’inizio del XVIII secolo il contenitore di vetro a bottiglia era un oggetto raro, costoso, fragile e dalla capacità non sempre identica. Ebbene, se vogliamo capire e sapere tutto, ma proprio tutto, sulla storia dei cavatappi e vederli dal vero, è possibile visitare a Barolo, proprio sulla piazza che porta al Castello Falletti, il Museo dei Cavatappi (entrata 4 euro), anche Enoteca con Barolo tasting e bookshop. Dall’interesse per la storia di questo utensile è nata la passione di collezionare cavatappi antichi da parte di Paolo Annoni, un farmacista nato a Torino e trasferitosi nelle Langhe vent’anni orsono. Scelta una bellissima e felice collocazione, una ex cantina dai soffitti con volte a botte in mattone, si è avvalso della collaborazione ispirata degli architetti albesi Danilo Manassero e Luigi Ferrando e dell’ebanista restauratore di Benevagienna Massimo Ravera. Per gli amanti del buon vino, una visita è d’obbligo. www.museodeicavatappi.it Tel: +39. 0173. 560539 chiuso il giovedì settembre 2016 La Rivista - 65 presentato il suo settimo album: Scriverò il tuo nome; Erri De Luca; Carlo Conti; il premio nobel Svetlana Aleksievic; Luciano Ligabue che ha presentato il suo terzo libro: Scusate il disordine; Loredana Berté; Francesco Guccini; Roberto Vecchioni e tra gli altri i The Kolors. Non poteva mancare parlando di Agrirock, il Ministro alle Politiche Agricole, Maurizio Martina. Per la cultura che continua, visitare sino a fine Ottobre nell’Aula Picta di Piazza Falletti di Barolo, la mostra PICASSO, XXXII eaux-fortes originales pour des texts de BUFFON. (www.baroloart.it - +39.346.6790991) Il castello Falletti che domina il paese Superare gli steccati dei diversi linguaggi artistici duti sulle diverse piazze. Alcuni nomi: Corrado Augias; il regista armeno-canadese Atom Egoyan; Alessandra Amoroso; Beppe Severgnini e Stefania Chiale Le vigne intorno a Barolo 66 - La Rivista settembre 2016 nell’incontro “Il gusto di andarsene via”; Vittorio Andreoli che ha presentato il suo libro I Tredici Gesù; Cristiano De Andrè; Loretta Goggi; Francesco Renga che ha Il Festival Collisioni, promosso dalla Regione Piemonte, è stato ideato nel 2009 da un team artisti formato da giornalisti e scrittori italiani, interessati a trovare una formula capace di parlare alle nuove generazioni e ad abbattere gli steccati tra i diversi linguaggi artistici. Fin dalla prima edizione leggendaria, nel 2009, sono intervenuti gratuitamente alcuni dei più importanti scrittori italiani per dialogare con la platea d giovani in una lezione aperta sulle tematiche più urgenti relative alle nuove generazioni. Il festival è cresciuto in modo esponenziale negli anni, diventando teatro per grandi concerti e incontri, raddoppiando a ogni edizione il numero di spettatori. La tipologia del pubblico è costituita per metà da giovani under 30. Collaborano come volontari almeno 400 ragazzi dal La sera del 15 luglio nella Piazza Rossa (di Barolo!) ha suonato Elton John, nella sua unica tappa italiana del suo tour mondiale Piemonte e da tutta Italia, preparando interviste, radio web, video e organizzando concerti di musica emergente su palchi secondari. La presenza di migliaia di giovani in paese contribuisce a creare un’atmosfera molto particolare e vivace, insolita per un festival di letteratura, che rende Collisioni una realtà davvero unica nel panorama dei festival europei. Ad esempio, la location è stata scelta nel 2012 da artisti del calibro di Bob Dylan per la sua unica data italiana in occasione del cinquantesimo anniversario di Blowin’ in The Wind, e da Patti Smith per l’apertura del suo tour italiano dell’album Banga. Nel 2013 il Festival ha ospitato l’unica data italiana di Jamiroquai; nel 2014 si sono esibiti in concerto Neil Young & Crazy Horse, i Deep Purple, Caparezza, Suzanne Vega e Elisa e nel 2015 Vinicio Capossela, Paolo Nutini, The Passenger, J-Ax, Fedez, Mark Knopfler e Sting. Ulteriori informazioni sul sito: www.collisioni.it settembre 2016 La Rivista - 67 Convivio di Domenico Cosentino A Trapani per il festival Stragusto Mangiare bene, mangiare sano: un’eredita culturale da tutelare, valorizzare e tramandare I sapori multietnici dall’Italia e dal mondo sono tornati nella “chiazza”, la storica piazza del Mercato del Pesce di Trapani, ricca di laboratori, dal 19 al 24 luglio, per l’ottava edizione di Stragusto: il festival gastronomico segnalato dalla Cnn fra i migliori eventi estivi d’Europa, unico nel suo genere in Italia, e organizzato dal Comune d Trapani. Per cinque giorni la “chiazza” è stata la location di un insieme di sapori, culture e tradizioni. In questa edizione targata 2016, ad aggiungersi all’immancabile cibo (anche da strada) trapanese, palermitano, friulano, umbro, sono arrivati anche i sapori tunisini, con frikasse, brik e altre specialità, i sapori spagnoli con gazapacho, tortillas, natillas, e i sapori della Tailandia con i suoi cibi speziati. La cucina calabrese, con ‘u piscia stoccu di Mammala, il Bergamotto dello Stretto, la ‘ndujia di Spilliga, i funghi della Sila e le sue svariate paste fresche a base di farina di grano duro coltivato biologicamente, a Stragusto si è presentata con una delegazione di quindici persone (perlopiù donne), voluta e guidata da Giovanni Sgrò, giovane imprenditore calabrese che coltiva, produce e commercia solo prodotti naturali e biologici con il suo marchio Naturium. E a Trapani, dunque, nella città del sale, il viaggiatore goloso è sbarcato al seguito della delegazione, in una giornata afosa e infuocata dal caldo africano. E per volontà di Giovanni, ha dovuto parlare della coltivazione del grano duro, della trebbiatura e anche di “Quandu i filmini cucinavanu e preparavanu a pasta e casa”, quando le donne avevano tempo per cucinare e preparavano la pasta fresca fatta in casa. A conclusione de lavori, con l’aiuto delle donne calabresi, il viaggiatore goloso ha impastato, “scilato” le scialattelle o maccarruna e casa, che, una volta cotte e condite con ragù di capra, sono state distribuite ai presenti in sala. Inutile dire che la parte da Leone l’hanno fatta gli immancabili sapori trapanesi con arancino, frittura di pesce, caponata e ‘u purpu, che è il polpo bollito tipico cibo da strada e dei mercati, preparato dallo chef Francesco Pinello tra gli stand, accompagnandolo con del cùscusu e ai quagghi, ovvero alle melanzane fritte alla palermitana. Attenzione al Junk Food il viaggiatore goloso impasta e prepara “I maccarruni e casa” 68 - La Rivista settembre 2016 “Ma, come ha detto Paolo Salerno, organizzatore del Festival, Stragusto non è solo degustazione o possibilità di cimentarsi nella preparazione di tipiche pietanze. Stragusto è anche una eredita culturale da tutelare, valorizzare e tramandare anche attraverso incontri, tavole rotonde e dibattiti sul cibo sano, buono, su come mangiare e in che modo nutrirsi. Per il fatto che mangiare bene e nutrirsi bene, sono due cose diverse; in un momento in cui la ricerca e la scienza, secondo nuovi studi, stanno dimostrando che una alimentazione scorretta, a base di “Junk Food”, cibo spazzatura, ricco di grassi saturi e zuccheri, potrebbe predisporre l’Alzheimer”. E a Stragusto qualcuno non l’ha solo pensato. A Trapani, la dottoressa Suzanne de la Monte, neuropatologa della Brown University della Providence, in Rhode Island, ha tirato fuori le prove, i numeri: si stima che, nel mondo , nel 2050 ci saranno ben 115 milioni di persone con demenza di Alzheimer, contro i 36 attuali (in Italia oggi sono un milione, e i loro numero aumenta di 150 mila unità ogni anno). Demenza che, secondo la neuropatologa de la Monte, aumenta vertiginosamente soprattutto nei paesi più ricchi, a causa delle nostre cattive abitudini alimentari, ma anche colpa dell’allungamento progressivo dell’età media, essendo la demenza una degenerazione tipica del cervello che invecchia. In 12 cibi irrinunciabili l’elisir per una lunga memoria. “Ma tutto ciò non basta! Prevenire la perdita della memoria è meglio che curarla”. Con queste parole la scienziata Elisabetta Menna, ricercatrice dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e dell’Istituto di neuroscienza del Cnr, presente anche lei di Trapani, ha esordito al convegno. E le donne del viaggiatore goloso al lavoro Demenza = Diabete di tipo 3 Ma questa spiegazione – secondo la dottoressa – da sola, non basta, perché altre patologie dell’invecchiamento non hanno affatto un trend analogo e soprattutto perché la crescita non è visibile in tutte le popolazioni che hanno allungato progressivamente la durata della vita, ma solo in quelle che mangiano peggio e ingrassano di più. Secondo la studiosa americana, dunque, la demenza è causata dal Junk food, un vero e proprio killer che porta al Diabete di tipo 3, così definito per distinguerlo da quello di tipo 1, giovanile autoimmunitario, e da quello di tipo 2, associato all’obesità. E prove alla mano, la ricercatrice – attraverso un filmato – ha dimostrato alcuni dei suoi esperimenti condotti sugli animali: quando li nutriva con cibi ricchi di grassi, zuccheri e calorie, ha visto che le performance cognitive iniziavano molto velocemente a declinare, fino a giungere a manifestazioni di vera e propria demenza. E come se non bastasse, a ciò corrispondeva un calo vistoso della sensibilità all’insulina, una delle condizioni che spianano la via al diabete di tipo 2, che con l’aumento del peso è associata a una vistosa crescita del rilascio di mediatori dell’infiammazione. E nel cervello, ciò spiegherebbe l’infiammazione che sempre accompagna la demenza. le scialatelle o maccaruni e casa Studi anche sull’uomo E dopo gli animali, iniziano a esserci anche studi nell’uomo. Alcune ricerche fatte (sempre negli USA) su cadaveri confermano, infatti, l’associazione insulina-demenza. E per quanto riguarda i vivi, ci sono i test della dottoressa Susanna Craft, pioniera degli studi sull’Alzheimer, che ha nutrito per un mese un gruppo di volontari con una dieta ad alto tenore di grassi e zuccheri, e un altro gruppo con alimenti con pochi grassi e zuccheri, e ha poi dimostrato che nei primi il liquido cerebrospinale presentava un cambiamento preoccupante: l’aumento della beta amiloide, la proteina che nell’Alzheimer si deposita fino a devastare intere aree del cervello. E in un altro esperimento la scienziata ha somministrato insulina in spray nasale a un centinaio di persone, dimostrando che migliorava la memoria, la capacità decisionale e le prestazioni. settembre 2016 La Rivista - 69 Miss Nok (Tailandia) prepara il riso alla Tai arancini e crocchette alla palermitana ha continuando raccontando che l’Italia è un paese con gente, ancora molto giovane, che ha poca memoria: c’è chi annega nei post-in con cui ha tappezzato la casa per ricordare la lista delle cose da fare, chi dimentica gli appuntamenti e le decine di password che tengono in ostaggio email, internet, banking e altri pezzi di vita digitale, o chi ricorre gli infiniti impegni quotidiani ma sempre qualcuno se ne perde. Una delle cause della perdita di memoria, secondo la dottoressa Menna, è certamente da ricercare nella cattiva alimentazione, o nel modo in cui si nutre una gran parte degli italiani. E siccome nell’era moderna la memoria è messa a dura prova e sogno comune diventa quello di trovare l’elisir “salva-ricordi”, la scienziata propone una specie di “hot list” di alimenti amici della memoria, che potrebbero invogliare l’esercito degli smemorati ad armarsi di coltello e forchetta e cambiare stile di vita a tavola. Sono alimenti che aiutano la memoria a lungo termine, ricchi di colina, un coenzima essenziale ovvero una molecola importante per mantenere integra la struttura cellulare e la funzionalità del sistema nervoso. Sono alimenti come le uova, germe di grano, la super accoppiata cioccolato fondente e caffè, arachidi, gli spinaci, ricchi di luteina, le noci che contengono Omega3, i mirtilli, ricchi di antocianine, validi alleati contro l’invecchiamento del cervello, la curcuma, valido aiuto nella prevenzione dell’Alzheimer, e il pesce, soprattutto quello azzurro e il merluzzo, ricco anche lui di Omega3 e fosforo, con il quale il viaggiatore goloso, si nutre giornalmente, preparandolo spesso in bianco alla “marinara” e con il sugo si condisce una “forchettata” di linguine, cercando così, seguendo i conigli della signora Menna, di prevenire e allontanare, fin dove può, la demenza, che, come detto sopra è la degenerazione tipica del cervello che invecchia, e conservando quella memoria, che fino ad oggi (il viaggiatore goloso è arrivato alla soglia dei suoi splendidi 80 anni) non l’ha mai tradito, augurandosi che anche nell’immediato futuro ciò non avvenga, perché pensa di averne ancora bisogno per tanto, tanto tempo! “u pruppu” bollito alla trapanese cicorelle con aglio, olio e peperoncino (ricche di ferro) 70 - La Rivista settembre 2016 Il Merluzzo alla marinara Ingredienti per quattro persone 4 merluzzetti (naselli che devono essere freschissimi!!) di 300 g. circa, 1 spicchio d’aglio(intero sbucciato), 40 g di olio extravergine d’oliva, un mazzetto di erbe aromatiche (prezzemolo, basilico, timo), un bicchiere di vino bianco secco, ½ bicchiere di acqua, sale e pepe nero. Come lo preparo: Dopo averli puliti e lavati, metto il pesce in una padella. Aggiungo l’aglio intero schiacciato, condisco con olio d’oliva, il sale e il pepe nero. Trito le mie erbe aromatiche e le spargo sul pesce. Finisco con il bicchiere di vino e l’acqua. Copro con un coperchio e lascio cuocere sul fornello, a fuoco lento, per 7 – 8 minuti. Volendo con il sughetto di colore verde-oro ci si possono condire gli spaghetti o le bavette. Oppure gustarselo come di zuppetta accompagnandolo con delle fette di pane tostate. Il vino: A Trapani il viaggiatore goloso ha bevuto un bianco: Il Sicilia Grillo Regieterre vino delicato, morbido e fresco, prodotto dall’azienda vitivinicola Musita di Salemi. Disponibili nelle tabaccherie svizzere settembre 2016 La Rivista - 71 Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu. Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage. Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno. La dieta Rivista di Tatiana Gaudimonte A cena con una nutrizionista?? Ma sei fuori? Nel film Hitch, Will Smith viene invitato a un appuntamento a quattro dalla donna che sta corteggiando. Nel fare conoscenza con l’altra coppia, marito e moglie, scopre che lei è psicanalista ed esclama: “Bene, da questo momento non dirò un’altra parola!”. Trovarsi a tu per tu con un professionista che si occupa di problematiche legate alla sfera personale è sempre un po’ imbarazzante, perché da una parte accende la curiosità (cosa può dirmi di me questa persona che io non so?), dall’altra però si teme sia di essere invadenti che di essere messi sotto esame. Beh, vi assicuro che anche essere dall’altra parte della barricata non è semplice: quando esco a cena o per un aperitivo e conosco persone nuove, alla domanda “Che lavoro fai?” rispondo sempre con un misto di piacere e timore. Piacere, perché amo ciò che faccio e spesso mi ritrovo a pensare alla mia attività più come ad un’appassionante missione che come a un lavoro e timore perché appena dico “Nutrizionista” vedo gli occhi dei miei interlocutori dilatarsi educatamente e se siamo a tavola parte subito la battuta: “Ti prego, non guardare il mio piatto!”. Ho quindi trovato divertente l’idea di sciogliere questo imbarazzo organizzando la prima “cena con la nutrizionista” in un eccellente ristorante a Zurigo: un’occasione in cui rompere gli indugi e parlare apertamente di alimentazione con una professionista del settore proprio mentre si siede insieme a tavola, quindi, si può dire, entrando nel vivo. I miei primi undici commensali (non male, per un progetto pilota iniziato in pieno periodo di ferie), non avevano pressoché nulla in comune se non i loro sguardi dubbiosi: ma non è che stasera staremo qui a morire di fame mentre mangiamo un pasto ospedaliero, circondati da tavoli in cui invece vengono servite cene succulente? A dire il vero, c’è stato pure chi non me l’ha mandata a dire e ha espresso i suoi dubbi apertamente, suscitando l’ilarità generale e dandomi l’occasione perfetta per ribadire ciò che voi, miei quattro fedeli lettori, ormai sapete a memoria: per stare in forma NON bisogna fare la fame! Il tema della cena era infatti “Perché le diete non funzionano?” e dato che l’antipasto a base di tartare già parlava da solo, ho creduto opportuno aspettare che tutti l’avessero gustato per iniziare la mia presentazione. Abbiamo quindi ripercorso insieme la storia evolutiva dell’homo sapiens, prendendo in considerazione i meccanismi fisiologici che nel Paleolitico si sono sviluppati per farci sopravvivere in un ambiente estremamente povero di alimenti dolci e completamente privo di cibi raffinati e che invece possono minare la nostra salute e la nostra linea in un mondo che di questi alimenti strabocca. Chi pensava che “alla sera i carbo no” è rimasto piacevolmente sorpreso dalle tagliatelle integrali fatte in casa servite come primo piatto, che mi hanno dato il là per spiegare cosa succede se, per cercare di dimagrire, si mangiano solo proteine come prescrivono alcune celebri diete. Il secondo, sia nella versione “carnivora” che in quella vegetariana, era accompagnato da un importante contorno di verdura e l’abbiamo gustato mentre illustravo i benefici di fibre, vitamine e sali minerali apportati dagli ortaggi che, come ben sapete, non dovrebbero mai mancare ad ogni pasto. Ok, ma il dolce mica c’era, direte voi: invece sì. Un delizioso sorbetto al mandarino preparato senza zucchero accompagnato da frutta fresca ha chiuso il simposio, tra domande, esempi di esperienze personali e battute scambiate tra persone che hanno scoperto nel modo più piacevole che mangiare bene, soddisfacendo il palato e rispettando la salute si può, dicendo addio a diete, pesature dei cibi e tabelle. E voi quando venite? [email protected] settembre 2016 La Rivista - 73 QUANDO LE DOTAZIONI HANNO LA MASSIMA PRIORITÀ. VOLVO V60 EXECUTIVE. Vieni a conoscere un’executive che dà la giusta importanza alle dotazioni: la Volvo V60 D4 AWD Automatica. Con una serie di extra come i sensori di assistenza al parcheggio anteriori e posteriori, la telecamera posteriore, i sedili in pelle, i pacchetti Business Connect Pro Pack e Family Pack e tanto altro ancora, questa executive è assolutamente brillante, sia nel lavoro che nella vita privata. 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Motori di Graziano Guerra Al volante della Giulia a Cinque Stelle La nuova berlina sportiva Alfa Romeo si e’ aggiudicata le 5 stelle Euro NCAP con il punteggio piu’ alto di sempre Abbiamo provato la nuova Giulia Quadrifoglio - 2.9 V6 Biturbo benzina da 510 CV – in Germania. Il “vostro” ha superato i 229 Km/h, ma ha dovuto mollare per l’infittirsi del traffico in autostrada, mentre il più fortunato collega di test, al ritorno ha potuto abbondantemente superare i 255 Km/h prima di dover ridurre la velocità. L’Alfa Romeo Giulia non conosce compromessi, e diventa il punto di riferimento del segmento. Fedele alla tradizione offre soluzioni tecniche innovative che garantiscono un comportamento dinamico più che eccellente. Tra i contenuti più sofisticati, troviamo l’Integrated Brake System, che riduce sensibilmente lo spazio di frenata (da 100 km/h a 0 in 38 m per Giulia e in 32 m per la Quadrifoglio), il raffinato schema di sospensioni con tecnologia esclusiva AlfaLink e lo sterzo più diretto del segmento. Elementi che assicurano la massima tenuta di strada, e un controllo facile e intuitivo della vettura in ogni situazione. Giulia ha ottenuto il 98% nella protezione degli occupanti adulti, è il punteggio più alto conseguito da una vettura, considerando il più severo sistema di valutazione introdotto nel 2015, grazie ai numerosi e innovativi dispositivi di sicurezza - uno su tutti: l’AEB, grazie alle informazioni provenienti da radar e telecamera, riconosce ostacoli o pedoni e arresta la vettura autonomamente fino a 60 km/h - e l’efficienza di una scocca tanto rigida e resistente quanto leggera. Ai motori Diesel si aggiunge il nuovo 2.0 Turbo benzina, 200 CV a 5.000 giri/minuto e una coppia massima di 330 Nm a 1.750 giri/minuto. Combinato al cambio automatico a otto marce è molto performante, permette di passare da 0 a 100 km/h in soli 6,6 secondi, e di raggiungere i 235 km/h. Giulia Quadrifoglio rappresenta la massima espressione de “La Meccanica delle Emozioni” e garantisce prestazioni davvero eccezionali: 3,9 secondi per raggiungere i 100 km/h e una velocità massima di 307 km/h. L’Alfa Romeo Giulia con il nuovo 2.0 Turbo benzina da 200 CV è in listino da CHF 45’850, mentre la Quadrifoglio con cambio automatico a otto rapporti parte da CHF 89’500. settembre 2016 La Rivista - 75 La nuova Maserati Quattroporte MY17 presentata a Porto Cervo L’ammiraglia della Casa del Tridente ha fatto il suo debutto in società a Porto Cervo, perla della Costa Smeralda e presidio del Maserati Summer Tour. L’elegante soirée con live music e dj-set è iniziata sul fare del tramonto con la sorpresa del passaggio del trimarano Maserati Multi70, capitanato da Giovanni Soldini. Tante le celebrities presenti: l’attrice Lindsay Lohan arrivata a bordo di un Levante, la presentatrice Elenoire Casalegno, sofisticata come la Quattroporte che l’ha accompagnata, il Sindaco di Arzachena Alberto Ragnedda, l’imprenditore Gianluca Vacchi, Hofit Golan e Robin Cavalli. Ammiratissima a bordo dell’ammiraglia Quattroporte in color nero la protagonista del film in prossima uscita Dalida, Sveva Alviti, madrina dell’evento, che ha fatto gli onori di casa insieme al General Manager Maserati Europa Giulio Pastore. Il Maserati Summer Tour, all’insegna della velocità e delle sfide sportive che da sempre caratterizzano la Casa del Tridente, ha visto fino a settembre l’intera gamma Maserati - Levante, Quattroporte, Ghibli e GranCabrio - protagonista delle location estive più glamour della penisola: Porto Cervo e Forte dei Marmi. Abarth 124 spider: la macchina che farà nuovamente sorridere chi avrà la fortuna di guidarla Alla presentazione internazionale in sessione dinamica della Fiat 124 spider, abbiamo provato pure la corsaiola Abarth, la cui commercializzazione è prevista per il prossimo ottobre. Dei primi 2.500 esemplari in serie numerata, i 150 destinati alla Svizzera saranno commercializzati con prezzi da CHF 43’000. Sviluppata dalla Squadra Corse Abarth regala emozioni come solo una vera spider Abarth sa fare. Con un rapporto abitacolo/cofano simile a quello delle auto da corsa, permette al guidatore di sentire la strada. 1060 kg per un rapporto peso/potenza di 6,2 kg/ CV, differenziale autobloccante meccanico (di serie), masse concentrate all’interno del passo e, anche grazie al motore installato dietro l’asse anteriore, un livello di agilità fantastico. Le gobbe sul lungo cofano sottolineano la posizione longitudinale del motore e la grande potenza della vettura. Sotto il cofano, il turbo quattro cilindri 1,4 MultiAir eroga 170 CV ovvero circa 124 cavalli per litro - e 250 Nm di coppia. Vola da 0 a 100 km/h in 6,8 secondi. Il sound del motore è garantito dallo scarico Record Monza dual mode (di serie) che varia il percorso dei gas di scarico secondo il regime motore e garantisce un’erogazione sempre lineare, generando inoltre un suono intenso e profondo. Disponibile con cambio manuale o Sequenziale Sportivo Esseesse a 6 marce, ha un’impostazione dinamica che consente di sfruttare pienamente la trazione posteriore. L’impianto frenante Brembo garantisce spazi di frenata minimi e un feeling del pedale 76 - La Rivista settembre 2016 sempre sicuro. I dispositivi elettronici e le caratteristiche di sicurezza attiva sono all’avanguardia. Il dispositivo di gestione prevede i settaggi “Normal” e “Sport”, il primo è per la guida di tutti i giorni. Per garantire le sensazioni delle auto da corsa in pista i controlli elettronici si possono disinserire. Abarth 124 spider vuol dire anche: ammortizzatori Abarth by Bilstein, molle a taratura specifica, barre antirollio maggiorate. Ogni vettura è collaudata e certificata da un tecnico Abarth. È marcata con una targhetta metallica che riporta il numero progressivo. La nuova Audi Q2: alla guida con gusto Spazioso e confortevole, il nuovo piccolo SUV Audi Q2 unisce un design progressivo di tipo urbano con sistemi di connettività e assistenza d’ultima generazione, con WLAN-Hotspot integrato. Le linee pulite dell’abitacolo riflettono quelle esterne, l’equipaggiamento comprende sistemi di assistenza alla guida e di sicurezza di classe superiore. Il sistema “pre sense front” per esempio, riconosce situazioni critiche con altri veicoli come pure la presenza di pedoni, e la frenata di emergenza è pronta, a bassa velocità fino all’arresto. Fra le dotazioni troviamo il cruise control adattivo (ACC) con funzione stop & go, l’assistente in colonna, di corsia e di posteggio, il riconoscimento dei cartelli stradali. Il display head-up e il monitor MMI mostrano tutto con esemplare chiarezza. Q2 si guida con gusto, come un go-kart. Le sensazioni di sicurezza e precisione sono tipicamente Audi. Il nuovo cambio S tronic a 7 marce - disponibile per tutti i motori - semplifica la vita, ma il manuale a 6 regala marcate sensazioni sportive. La trazione quattro è prevista per la 2.0 TDI - sul mercato a novembre - e per la 2.0 TFSI a benzina che arriverà nel primo trimestre del 2017. Q2 1.4 TFSI CoD (cylinder on demand) S tronic da 150 CV ha dimostrato grinta e stabilità, sui curvoni che portano a Schwägalp e in autostrada; il cambio S tronic e i 250 Nm di coppia cavano sempre d’impiccio con grande leggerezza. Il sistema CoD disattiva il 2° e il 3° cilindro con carichi fino a 100 Nm, riducendo drasticamente i consumi, aprendo il gas la riattivazione è immediata. Tutti i motori hanno un nuovo start-stop. La Q2 di entrata, 3 cilindri 1.0 TFSI (30‘700), e i modelli 2.0 TDI Front S tronic (38‘600) e 2.0 TDI quattro S tronic 150 CV (41‘100) arriveranno in Svizzera in dicembre, mentre le versioni 1.6 TDI (32‘100), 2.0 TDI quattro S tronic (42‘900) e 1.4 TFSI CoD (33‘300) saranno dai concessionari già in novembre. IONIQ: personalità innovative e consumi contenuti Con il lancio della nuova gamma Hyundai diventa l’unico costruttore che produce veicoli ibridi, elettrici, ibridi plug-in e a idrogeno (ix35 Fuel Cell). Guidare sulle strade di Amsterdam la nuova IONIQ (pronuncia ‘aionic’) Electric e Hybrid, è stato un approccio di tipo innovativo, soprattutto per la personalità di queste macchine dai consumi molto bassi. Le aspettiamo comunque al varco, per un test sulle alture del Toggenburg. IONIQ avvolge guidatore e passeggeri in un ambiente raffinato, curatissimo. Il design è accattivante, la connettività e la sicurezza si avvalgono di tecnologia d’avanguardia, che solo l’industria IT di punta coreana sa mettere in campo. La silhouette è in stile coupé, alcune applicazioni e un design a ruota chiusa contribuiscono a una buona efficienza aerodinamica. Il nuovo 4 cilindri a benzina Kappa 1.6 GDI a iniezione diretta è accoppiato a un cambio 6DCT che si distingue per la risposta diretta e per i passaggi di marcia fluidi. La guida è dinamica. Il propulsore elettrico eroga una coppia istantanea di 170 Nm, è alimentato da una batteria litio-ione polimero sistemata sotto i sedili posteriori, ne risulta una buona usabilità dell’abitacolo e una capacità di carico. Il principio vale anche per IONIQ Plug-in e IONIQ Electric, nonostante le batterie più voluminose. Il sistema ibrido genera una potenza complessiva di 141 CV, e permette accelerazioni fino a 185 km/h, con un consumo di 3,4 l/100 km ed emissioni di CO2 pari a 79 g/km (ciclo misto, dichiarato dal costruttore). Chi sceglierà la plug-in potrà contare su un’autonomia di circa 50 chilometri puramente in elettrico. IONIQ Electric offre un’autonomia stimata di 280 km. L’esclusivo sistema shift-by-wire consente di cambiare tipo di guida con la semplice pressione di pulsanti ed elimina lo spazio di un normale cambio meccanico offrendo maggior spazio per riporre oggetti. La trasmissione Single Speed Reducer accelera in modo fluido. La ricarica all’80% con un sistema rapido richiede circa 24 minuti. Un control box consente la ricarica da una normale presa domestica. I 295 Nm sono erogati dal propulsore elettrico da 120 CV. La velocità massima è di 165 km/h. Si nota subito per il frontale: non avendo un sistema di raffreddamento motore, la griglia lascia il posto a una superficie elegante e liscia. settembre 2016 La Rivista - 77 Il mondiale Motocross parla sempre più italiano FCA sponsor di MXGP - Grazie ai risultati ottenuti in Svizzera Pirelli ha vinto matematicamente il suo 66° titolo MXGP Fiat Professional è Official Sponsor del Campionato del Mondo FIM di Motocross MxGP. Il nuovo Fullback è la stella della flotta ufficiale del Campionato a ogni tappa accompagna i vincitori sul podio. L’operazione si è ripetuta nella tappa svizzera di Frauenfeld-Gachnang, dove ha accompagnato sul gradino più alto il siciliano Antonio Cairoli. Sono accorsi più di ventimila appassionati sulle tribune del tracciato costruito appositamente per ospitare l’evento che tornava in Svizzera dopo 25 anni, l’ultimo GP si tenne infatti nel 1991 a Payerne. Il percorso, caratterizzato da un fondo duro, che il sabato, a causa della pioggia, era fangoso e ricco di canali, mentre la domenica era più consistente, ha esaltato le peculiarità dello Scorpion MX32 Mid Soft, lo pneumatico che ha permesso a Pirelli di aggiudicarsi la vittoria in entrambe le categorie e di ottenere matematicamente il sessantaseiesimo titolo Mondiale nel Campionato Mondiale FIM Motocross. Per la cronaca, l’otto volte Campione del Mondo Antonio Cairoli si è aggiudicato la vittoria assoluta nella classe MXGP. Ottimo secondo posto per Tim Gajser, pilota Pirelli che guida la classifica generale. Nella MX2 il pilota svizzero Jeremy Seewer ha provato in ogni modo a vincere la gara di casa ma si è dovuto 78 - La Rivista settembre 2016 accontentare del secondo posto assoluto, dietro solo all’inglese Max Anstie. Tutti i piloti Pirelli della MX2 si sono affidati ai Pirelli Scorpion MX32 Mid Soft. La partnership Gruppo FCA - Mondiale FIM di Motocross MxGP si basa su valori comuni quali passione, tenacia e dinamismo, che Fiat Professional condivide con il mondo del Motocross, soprattutto in un anno così fondamentale, pieno di nuovi prodotti e di grandi sfide per il Marchio. A ogni tappa europea del mondiale, Fiat Professional espone la gamma completa. Domenico Gostoli, Head of Fiat Professional EMEA, ha dichiarato: “Per il nostro marchio questa è più di una semplice sponsorizzazione. Fullback è una pietra miliare della nostra gamma e grazie al Motocross è possibile sottolineare l’animo sportivo del Marchio e la capacità off-road del nostro pickup”. Creato per soddisfare le esigenze dei professionisti, e per rispondere ai bisogni della vita di tutti i giorni, esibisce un inconfondibile look italiano, monta un 2,4 l turbodiesel Common Rail da 180 CV e 430 Nm di coppia, con cambio manuale a 6 marce oppure automatico a 5 per la versione a trazione integrale. Il prezzo di lancio in Svizzera è di 32’200 CHF (senza IVA). Mondo in Camera A Lugano la Liguria incontra la Svizzera Go-Italy Emilia Romagna Fashion 2016 Incontri btob nel comparto life Experience Italy South and Beyond science GOURMESSE 2016 Business seminar nel settore Fiera del Gusto, delle specialità aviazione e aerospaziale e dei prodotti di nicchia Contatti commerciali Benvenuto ai nuovi soci Servizi camerali settembre 2016 La Rivista - 79 A Lugano la Liguria incontra la Svizzera Dopo l’incontro dello scorso 4 luglio a Lugano nelle sale di Villa Sassa, fra gli operatori, i giornalisti e amanti dell’enogastronomia, coronato da una cena con degustazione guidata nella varietà dei sapori che caratterizzano la cucina regionale – tra l’altro protagonista di una rassegna in alcuni ristoranti affacciati sul Ceresio - la Liguria sarà di nuovo protagonista il 18 ottobre a Lugano in quella che simpaticamente è stata definita una disfida enologica*: nella prestigiosa cornice del LAC a singolar tenzone vini liguri sfideranno vini ticinesi. Alla salute. La Liguria quello stretto arco di terra, poco più che il davanzale del Piemonte sul Mar Mediterraneo, protetto dai venti freddi del nord dalle Alpi Marittime e dalla catena montuosa dell’Appennino, è una delle più piccole regioni italiane. La costa è frastagliata da una successione ininterrotta di speroni rocciosi, golfi, baie e promontori, e si snoda ai piedi dei rilievi montuosi liguri, gli Appennini ad Est e le Alpi ad Ovest. La cima montuosa più alta è il Monte Saccarello, che raggiunge i 2.200 metri di altitudine e si trova al confine con Piemonte e Provenza, a soli 40 km dal mare. È in minima parte pianeggiante (la pianura corrisponde solo all’1% della sua superficie). Costituiscono due eccezioni la Piana d’Albenga, utilizzata per la produzione agricola, e la piana attorno alla foce del fiume Magra. 80 - La Rivista settembre 2016 Clima mite Le condizioni climatiche della regione sono particolarissime, determinate dalla latitudine e da numerosi fattori concomitanti quali la geomorfologia del territorio e l’ampio affaccio sul mare. Il Mar Ligure, già profondo anche a poca distanza dalla costa, mitiga notevolmente il clima, e le catene montuose proteggono la regione dai venti freddi del Nord. Ne risulta un clima davvero mite, con un’escursione termica ridotta durante l’anno. In particolare la Riviera di Ponente, protetta dalle Alpi, presenta temperature più miti rispetto alla Riviera orientale e viene spesso paragonata al golfo di Napoli dal punto di vista climatico. Grazie al suo clima mite, a partire dalla metà del XIX secolo, la Liguria divenne - prima fra tutte le regioni italiane – meta turistica per gli stranieri. E turisti di tutto il mondo mostrano ancora oggi apprezzamento per la nostra regione, come attestano i dati statistici. La Liguria ospita circa 14 milioni di turisti ogni anno, quasi il 40% dei quali stranieri, prevalentemente tedeschi (circa un quinto del totale), svizzeri (16%), francesi, olandesi e americani. I turisti italiani ammontano al 60% circa del totale. Accanto al clima e al paesaggio, come spesso accade anche per altre regioni, un elemento di attrazione è costituito dalla gastronomia. Anche in Liguria le ricette tradizionali derivano dalla produzione locale. Semplici e genuini In questa terra variegata, i raffinati sapori della cucina sono arricchiti da prodotti genuini e semplici. che rendono la tradizione ligure enogastronomica una gustosa sorpresa. Un prodotto che può essere considerato un vessillo della tradizione gastronomica locale è il Basilico e la sua ben nota salsa chiamata Pesto, che prende il nome dal processo produttivo che prevede di schiacciare (pestare appunto) le foglie della piantina in un mortaio di marmo. Gli ingredienti essenziali di questa tipica salsa ligure sono il Basilico Genovese DOP, l’olio Extra Vergine di Oliva DOP Riviera Ligure, il Parmigiano, il Pecorino, i Pinoli, l’Aglio e il Sale. Solitamente servita con trofie o linguine. Ma in Liguria c’è molto altro ancora! La Focaccia per esempio. Dorata e croccante è il vanto dei genovesi ed uno degli elementi più caratteristici della cucina ligure. Una ricetta semplice che dà il suo massimo se gustata appena sfornata. La Farinata è senza dubbio una delle più antiche specialità della Liguria. La leggenda narra che sia stata inventata da un gruppo di soldati antico-romani, che arrostirono su di uno scudo una piccola quantità di un impasto a base di farina di ceci. Oggi lo scudo è stato sostituito da ampie teglie di rame foderato di stagno, e la Farinata calda e fumante viene servita nelle antiche friggitorie chiamate “sciamadde”, dove si compra anche la Panissa per la quale si usano gli stessi ingredienti della farinata di ceci, con l’esclusione però dell’olio di oliva. Accanto al pesce: acciughe, baccalà e muscoli (cozze) che impreziosiscono gli antipasti, nella cucina ligure, che è anche (e, forse, soprattutto dicono alcuni) cucina di terra, un grande protagonista è il coniglio. Senza scordare la cima genovese preparata a base di carne di vitello e verdure. D’oliva rigorosamente extravergine Non c’è ricetta ligure che non preveda l’impiego dell’olio: va da sé Extravergine di Oliva che in Liguria ha radici profonde. Si parte dall’olivicoltura nei latifondi di età romana. Nel corso del tempo l’olivo si adatta a variazioni climatiche, e nel Medioevo si definiscono le cultivar tipiche settembre 2016 La Rivista - 81 della Liguria, tra cui la notissima Taggiasca. L’impianto massivo dell’oliveto data a partire dal XV secolo. Ne consegue un immane sforzo di terrazzamento delle colline mediante muri a secco: solo pietre e terra. Ed è ancora così. Con il Reg. (CE) N. 123 del 1997, l’Unione Europea riconosce la Denominazione di Origine Protetta all’Olio Extravergine di Oliva RIVIERA LIGURE realizzato secondo lo specifico disciplinare di produzione che prevede tre sottozone: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese e Riviera di Levante. Si opera su oltre tremila ettari di terreno sui quali prosperano circa 750.000 olivi. L’Olio Extravergine di Oliva DOP Riviera Ligure è contraddistinto da un sapore leggermente fruttato con sensazione decisa di dolce ed eventuale leggera sensazione di piccante con una nota appena percettibile di amaro. Si tratta di un olio morbido e suadente, delicato e tenue, armonico e ben equilibrato. Vitigni perduti e ritrovati Sebbene meno noti di quelli di altre regioni, 82 - La Rivista settembre 2016 i vini della Liguria si caratterizzano per le antiche tradizioni enologiche del territorio, sviluppatesi all’insegna di una qualità ormai ampiamente riconosciuta a livello nazionale e internazionale. La produzione di vino in Liguria vanta una tradizione, che risale ai mercanti greci. Nel VI secolo a. C. i Focesi diffusero la coltura razionale della vite tra le tribù locali. Più tardi i Romani presero a produrre i vini Lunense e Corneliae (da Corniglia). Nel Medioevo venivano citati i vini delle Cinque Terre, dello Spezzino e del Ponente; i primi furono lodati anche dai viaggiatori delle epoche successive. La viticoltura ligure entrò in crisi nel XVIII secolo, a causa di scelte commerciali diverse, e nel XIX secolo per l’invasione della fillossera. Oggi si riscontra una ripresa d’interesse per la coltura dei vitigni storici e un rinnovato impegno nella produzione di vini di qualità. Le zone vitivinicole sono molto diverse tra loro ma spiccano tutte per la presenza di vitigni autoctoni radicati in questo territorio ovunque impervio, ripido e stretto, con una viticoltura caratterizzata da piccoli ap- pezzamenti sparsi e quasi nascosti al primo sguardo. La prima Denominazione di Origine riconosciuta ad un vino ligure è quella del Rossese di Dolceacqua (IM): risale al 1972 e occupa il territorio nella parte occidentale della riviera ligure, sino al confine di stato. Segue nel 1973 il riconoscimento della DOC Cinque Terre (SP), dove le colline hanno pendenze che superano il 30% e si tuffano in mare. Dopo ben 15 anni, nel 1988, è stata ottenuta la DOC Riviera Ligure di Ponente, che racchiude il territorio della fascia collinare delle province di Savona ed Imperia; nel 1989 la DOC Colli di Luni, un territorio a cavallo di due regioni (Liguria e Toscana). Seguono a distanza di 6 anni, nel 1995 la DOC Colline di Levanto (SP) e nel 1997 la Denominazione Golfo del Tigullio-Portofino (GE). Nel 1999 viene riconosciuta la DOC Val Polcevera (GE) che corre lungo il torrente omonimo e i suoi affluenti, fino a dominare dall’alto la città di Genova, con la quale si contende lembi di terra. Ultima in ordine di tempo arriva nel 2003 il riconoscimento della DOC Ormeasco di Pornassio, circoscritta principalmente nell’area delle Valli Arroscia e Argentina. Se il Rossese di Dolceacqua (vino prediletto da Napoleone Bonaparte) e l’Ormeasco di Pornassio, coltivato fino a 600 metri sul livello del mare - entrambi vitigni a bacca rossa - smentiscono ampiamente chi crede la Liguria terra di vini bianchi, vitigni perduti e ritrovati come il Moscatello di Taggia (DOP Riviera Ligure di Ponente), esportato nel Medioevo in tutto il nord Europa e il Cimixia o Scimiscià (DOP Golfo del Tigullio Portofino) sorprendono ad ogni sorso. Il Pigato (DOP Riviera Ligure di Ponente) nei suoi sentori rammenta i profumi di erbe aromatiche e del basilico che ritroviamo nei piatti della tradizione; la Bianchetta Genovese perfetta con la focaccia ligure, la Massarda, la Tabacca, la Lumassina, il Mataossu, la Ruzzese, la Massaretta, il Granaccia, il Bosco e l’Albarola vanno a costituire il ricco patrimonio varietale della Liguria. Il Vermentino però è l’unico vitigno che ritroviamo lungo tutto l’arco ligure e in tutte le denominazioni di origine da Ventimiglia a Ortonovo. La tradizione abbraccia tutta la regione nella produzione di passiti sia da uve a bacca rossa (Ormeasco), sia a bacca bianca (Pigato, Bianchetta, Scimiscià, Vermentino). Le uve di Bosco, Albarola e Vermentino - passite – danno vita al celebre Sciacchetrà (Cinque Terre). La Riviera dei fiori La regione è famosa nel mondo per i suoi fiori. La nascita della floricoltura sanremese risale a metà Ottocento con la produzione di fiori recisi di campo come narcisi, violette, violacciocche e gelsomini. Alla fine del secolo, grazie al buon clima che permette la produzione floricola ed allo sviluppo del trasporto ferroviario, Sanremo riesce ad instaurare fitte relazioni commerciali con l’estero, prevalentemente con i Paesi del nord Europa. Inizia in questo periodo la produzione su larga scala di fiori recisi con la coltivazione di garofani in pien’aria, resa possibile grazie alle temperature miti della Riviera Ligure. Al principio del XX secolo, nel periodo della belle époque, l’importanza di Sanremo nell’ambito della produzione floricola è talmente significativa da determinare persino cambiamenti nella toponomastica locale: la costa ligure di ponente diventa infatti “la Riviera dei fiori” e Sanremo viene detta “la città dei fiori”. *informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Ufficio per il Ticino Via Nassa 5 6900 Lugano [email protected] settembre 2016 La Rivista - 83 EXPERIENCE ITALY SOUTH AND BEYOND Vi segnaliamo che la Camera organizzerà nell’autunno 2016 due viaggi di affari per 2 importatori agroalimentari e 2 giornalisti svizzeri nel Sud Italia. • Dall’8 all’11 settembre saremo a Napoli in Campania • Dal 6 al 9 ottobre ad Olbia in Sardegna In queste occasioni gli importatori e i giornalisti avranno la possibilità di ricevere informazioni sulle produzioni agroalimentari tipiche locali con marchio di origine. • Miele spezie e condimenti • Olio d’oliva • Ortofrutta I gruppi di prodotto più rappresentati saranno: • Vini • Prodotti da forno • Salumi • Formaggi Interessati? Mandateci una prima adesione non vincolante scrivendo una semplice mail a [email protected] oppure [email protected] e Vi ricontatteremo a breve per maggiori dettagli e conferma definitiva. BUSINESS SEMINAR NEL SETTORE AVIAZIONE E AEROSPAZIALE La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) in collaborazione con il Canton Vaud e l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli esperti Contabili (ODCEC), organizza un seminario a Napoli il 15 settembre presso il Palazzo Calabritto, rivolto a tutte le ditte italiane operanti nel settore aviazione e aerospaziale in possesso di una strategia di sviluppo internazionale. Il Canton Vaud e l’Aeropole di Payerne offrono, infatti, un terreno fertile per avviare collaborazioni commerciali con altre ditte dello stesso settore svizzere, o in generale estere, per aprire filiali o creare joint venture con partner locali. Il seminario sarà in italiano e in inglese e a conclusione ci sarà un lunch di networking per le ditte partecipanti e la possibilità di incontrare i relatori one-to-one per eventuali approfondimenti sul mercato. Per maggiori informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Ufficio Ginevra Marianna Valle [email protected] 0041 22 906 85 95 GO-ITALY EMILIA ROMAGNA FASHION 2016 Viaggio d’affari per compratori svizzeri del settore abbigliamento, scarpe e accessori di moda per uomo donna e bambino interessati ad incontrare fornitori italiani della Regione Emilia Romagna. La Camera di Commercio italiana per la Svizzera, in collaborazione con la Camera di Commercio di Bologna invita importatori all’ingrosso, al dettaglio e della grande distribuzione svizzera, del settore moda e accessori ad un viaggio d’affari a Bologna (nella regione Emilia-Romagna) dal 21 al 23 settembre 2016. Questo viaggio offre ad un gruppo selezionato di specialisti del settore svizzeri e tedeschi la possibilità di partecipare a visite alle imprese produttrici in loco come anche 84 - La Rivista settembre 2016 a colloqui con produttori di moda selezionati dalla regione Emilia-Romagna, raccolti soprattutto dal centro di moda CENTERGROSS. Una descrizione dettagliata dei prodotti offerti e delle collezioni come anche il programma completo di visita sarà disponibile a breve. L’invito comprende: pernottamento in hotel (due notti), pranzo, cena di benvenuto, servizio di traduzione e transfer in Italia come anche il rimborso del volo fino a 300,00€ IVA inclusa. Su richiesta, possiamo prenotare i collegamenti aerei presso un’agenzia di viaggi. • Arrivo: 21.09.16 • Ritorno in Svizzera 23.09.16 È prevista la partecipazione di una persona ad azienda svizzera partecipante. Se siete interessati a partecipare al viaggio, potete annunciarvi contattando Luigi Palma (Tel. +41 044 289 23 29; Fax. +41 044 201 53 57; E-mail: [email protected]). INCONTRI BTOB NEL COMPARTO LIFE SCIENCE La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, in collaborazione con la CCIAA di Pisa, organizza in Svizzera degli incontri BtoB dal 28 al 30 settembre 2016 nel comparto life sciences con i rappresentanti delle ditta Phymtech. Per maggiori informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Ufficio di Ginevra Lysiane Bennato [email protected] Tel: 022 906 85 95 GOURMESSE 2016 Fiera del Gusto, delle specialità e dei prodotti di nicchia ropee con la migliore qualità della vita. (Fonte: AWA, 2015). La CCIS organizza all’interno del Salone un’area italiana comune a marchio Go-Italy con lo scopo di offrire ai visitatori una panoramica della cultura eno-gastronomica italiana. La possibilità di partecipare con uno stand all’interno della nostra area permette di ottenere: • visibilità sotto il cappello del marchio riconosciuto Go-Italy • un servizio di assistenza logistica-organizzativa dalla preparazione all’allestimento fino alla fase di assistenza nel contatto con i visitatori Gourmesse è la piattaforma ideale per piccoli e medi produttori, dedicata alle specialità e ai prodotti di nicchia. Offre agli espositori il palcoscenico adatto per un contatto diretto con consumatori finali e rivenditori svizzeri, presenti in fiera durante tutti e quattro i giorni della manifestazione. Il 70% dei visitatori sono privati, interessati alle novità e all’esclusività (oltre 10.000 visitatori in quattro giorni, tra cui decision-maker dell’alta gastronomia, acquirenti e rappresentanti di negozi di specialità e prodotti di nicchia, grossisti e grande distribuzione, cuochi, buongustai e gourmet, enti ed istituzioni). I settori principali di GOURMESSE 2016 sono i seguenti: Alimentari e Specialità • rodotti tipici • Gastronomia / Hotel • Bevande • Servizi e cultura della tavola • Nonfood • Perché Zurigo? La Regione di Zurigo è una delle piazze finanziare più importanti del Mondo e si trova nel cuore d’Europa. Conta 3,7 milioni di abitanti e da anni è in testa alla classifica delle città eu- Interessati? Tramite il link sottostante è possibile scaricare la presentazione della fiera insieme alle modalità di partecipazione e la scheda di adesione. Informiamo inoltre che per aziende, Consorzi, Associazioni di categorie, Aziende Speciali delle CCIAA, Regioni e Province la CCIS può organizzare degli spazi collettivi su misura. Richiedete un’offerta dettagliata: Luigi Palma Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Seestrasse 123, CH – 8027 Zurigo Tel. 0041/44/289 23 29 Fax 0041/44/201 53 57 [email protected] - www.ccis.ch settembre 2016 La Rivista - 85 CONTATTI COMMERCIALI Dal mercato italiano OFFERTE DI MERCI E SERVIZI Generatori eolici STOMA GROUP Spa Via Ciura s.n. I – 74016 Massafra (TA) Tel. +39 099 880 4786 Fax. +39 099 880 3485 E-mail: [email protected] www.stoma.it Vini calabresi Azienda Vinicola F.lli Dell’Aquila Via Salvogaro I - 88811 Cirò Marina (KR) Tel. +39 3297420323 E-mail: [email protected] www.vinidellaquila.it Ristrutturazione negozi AD Store & More srl Via de Gasperi, 16 I – 63074 San Benedetto del Tronto (AP) Tel: +39 0735381644 Fax: +39 0735585780 E-mail: :[email protected] www.adsm.eu General contractor BDR SRL Via Torino 1 I - 10034 Chivasso (TO) Tel: +39 011 9114836 Fax: +39 011 9136280 E-mail: [email protected] www.avanspace.com Impresa edile Eco Edile srl Via dei Partigiani, 5 I – 24121 Bergamo Tel: +39 035 5292527 Fax: +39 035 0662061 E-mail: [email protected] www.ecoedilesrl.com Impianti zootecnici Pignagnoli s.r.l. via XXIV Maggio, 38 I - 27017 Pieve Porto Morone (PV) Tel : +39 0382 718055 Fax : +39 0382 718056 86 - La Rivista settembre 2016 E-Mail: [email protected] www.pignagnoli.com Scaffalature metalliche Torri SpA Via Roma,15 36040 Torri di Quartesolo (VI) Tel +39 0444 265800 Fax +39 0444 26580 E-mail: [email protected] www.torri.it Stampaggi in plastica Reca Plast srl Via dell’Artigiano 15 I – 60027 Osimo AN Tel. 0039 071 7231208 Fax 0039 071 716940 E-mail: [email protected] www.recaplast.it Automazione industriale Proteo Engineering srl Via S. 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Fondata nel 1909 la Camera appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese dei paesi in cui operano verso il mercato italiano. La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra Italia, Svizzera e Liechtenstein. La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente strutturata in aree tematiche: Esportazioni - Ricerca buyers/clienti - Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca) - Consulenza di natura commerciale e doganale - Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel mondo - Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei partner (visure, rapporti commerciali, ecc.) - Organizzazione di degustazioni, workshops ed eventi - Realizzazione di delegazioni ed export strikes (visite presso buyers svizzeri) - Organizzazione ed accompagnamento di espositori italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere italiane - Organizzazione di seminari ed incontri di affari - Focus settoriali 88 - La Rivista settembre 2016 Investimenti - Apertura di un’attività - Investire nella ristorazione - Appalti pubblici in Svizzera - Attività di M&A e di Corporate Finance Comunicazione e promozione turistica La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco, per l’italianità in movimento Corsi - Corsi per professionisti e semplici appassionati - Corsi per sommelier in lingua italiana Altro - Recupero Crediti - Ricerca di dati statistici - Traduzioni ed interpretariato - Agevolazioni speciali per i soci I settori di punta Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione CONVENIENZA SU TUTTA LA LINEA. Grazie agli innumerevoli modelli disponibili, la nuovissima gamma di mezzi Iveco offre soluzioni specifi che per ogni incarico di trasporto. Con veicoli di concezione innovativa, che vi portano avanti in tutti i sensi e tutelano il più possibile l’ambiente. In poche parole: economia ed ecologia in perfetta armonia. L’esempio più recente: il nuovo EUROCARGO, Truck of the Year 2016! Il vostro partner Iveco sarà lieto di consigliarvi. IVECO (Svizzera) SA, Oberfeldstrasse 16, 8302 Kloten, tel. 044 804 73 73 W W W . I V E C O . C H Anno 107 - n. 9 - Settembre 2016 La Rivista Anno 107 - n.9 - Settembre 2016 oops, we did it again. L'Italia ferita Le forme della solidarietà Fiat 124 Spider è tornata. Chi dice che le cose belle accadono una sola volta nella vita? La leggendaria Fiat 124 Spider riapparirà sulle nostre strade e ci farà rivivere lo spirito degli anni Sessanta. 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