t again. - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

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t again. - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Anno 107 - n. 9 - Settembre 2016
La Rivista Anno 107 - n.9 - Settembre 2016
oops, we did it again.
L'Italia ferita
Le forme
della solidarietà
Fiat 124 Spider è tornata.
Chi dice che le cose belle accadono una sola volta nella vita?
La leggendaria Fiat 124 Spider riapparirà sulle nostre strade e ci farà rivivere lo spirito degli anni Sessanta.
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W W W . I V E C O . C H
Editoriale
di Giangi Cretti
Dolore. Sconcerto. Disappunto. Infine, Rabbia.
In ordine sparso, sono sentimenti che s’inseguono, si incrociano, si accavallano.
Il dolore è soprattutto loro. Di chi lo ha provato e lo prova in prima persona. Un
sentimento che prende il posto della paura, man mano che cresce la consapevolezza di quello che resta di un dramma vissuto sulla propria pelle: morte e
distruzione.
Il nostro è frutto di una condivisione a distanza, di una proiezione di ciò che
possa provare chi dal dramma è direttamente colpito e che noi possiamo (fortunatamente, anche se sinceramente) solo immaginare.
Lo sconcerto è (dovrebbe essere?) di (quasi)
tutti. Deriva dalla constatazione che le responsabilità del dramma, dei suoi effetti catastrofici, non sono da addebitare alla natura cattiva
matrigna e neppure al destino. Che, nel caso
specifico, non è cinico e baro. Mentre cinici e
bari sono sicuramente coloro che, a vari livelli
e a vario titolo, hanno contribuito a creare
le premesse che ci mettono (ciclicamente) a
confronto con la cronaca di un disastro annunciato.
I resoconti dei giorni successivi al 24 agosto,
dopo aver, fin quanto sperare era ancora possibile, snocciolato, aggiornandolo, il (troppo)
lungo rosario delle vittime, si sono arricchiti e
autoalimentai di una serie di notizie, appunto,
sconcertanti.
Il caso virtuoso, ormai datato, da citare come
felice esempio di una ricostruzione possibile
(Friuli 1976) è finito stemperato in narrazioni
in cui la gara sembrava fra i casi che dimostrassero, colpevole inadempienza sconfinante
nel malaffare. Soldi raccolti con gli sms e mai
arrivati a destinazione (Aquila 2009) o arrivati
decurtati e dopo mesi di rimpalli (Emilia 2012),
fondi per progetti specifici (asili, campanili in
Emilia 2012), interventi antisismici per mettere
al sicuro edifici pubblici (l’esempio paradossale
è la scuola di Amatrice).
E sono solo gli esempi che emergono dal
recente passato di cui, sembra, ma questo
succede ad ogni cataclisma, ci sia oggi una
rinnovata consapevolezza. Non è un caso che
la magistratura abbia deciso di requisire le macerie e gli atti catastali, sostanzialmente come
prova di reato, per accertare le responsabilità,
di chi (talvolta anche degli stessi cittadini), per
inefficienza, mancata vigilanza, speculazione,
ha consentito che non si adottassero tutte
quelle direttive emanate, tutte quelle misure
annunciate, tutti quegli interventi promessi a
fronte di soldi stanziati, che avrebbero certamente contenuto le conseguenze di un fenomeno, di per sé naturale e di fatto ancor oggi
imprevedibile, ma in buona parte governabile
nella limitazione dei suoi effetti.
Succede cos ì che allo sconcerto subentri il
disappunto, che sfocia nella rabbia: figlia
dell’impotenza.
Che ci impedisce di apprezzare, come invece
meriterebbe, la dedizione e l’impegno profuso
dai volontari.
Che, a fronte del grande cuore degli italiani
(ma anche di quello dei non italiani), ci fa
dubitare della reale efficacia delle varie forme
di solidarietà che si manifestano anche nelle
espressioni più creative.
Che ci lascia perplessi di fronte alle buone
intenzioni dei politici, che assicurano che nessuno verrà lasciato solo.
Che ci impone, nostro malgrado, di fare di
necessità virtù. Esercizio nel quale, ahinoi, pare,
eccelliamo. Non a caso è convinzione comune,
rispolverata ad ogni triste evenienza, che gli
italiani sappiano dare il meglio di sé in situazioni d’emergenza.
Dispiacerebbe a qualcuno se la stessa prestazione la fornissimo anche in condizioni di
tranquilla normalità?
***
Ps: Ci sembrava doveroso un richiamo al terremoto: che, vista anche la natura della nostra
pubblicazione, abbiamo circoscritto ad una sollecitazione in copertina e a questa breve nota.
Su questo numero della Rivista, attraverso
un paio di interviste, in primo piano abbiamo
soprattutto alcune riflessioni che ci offrono
punti di vista che possono aiutarci a meglio
orientarci nelle vicende che, presentandosi
soprattutto come scontro di culture, assediano
(sperando che non finiscano per occuparla) la
nostra quotidianità.
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Sommario
1
4
17
23
25
Editoriale
Sommario
PRIMO PIANO
Soddisfatto di aver incontrato l’Islam
prima di aver incontrato i musulmani
Intervista con Pietrangelo Buttafuoco
Ci vediamo all’osteria
Racconto un modo, dove l’uomo si pone
una domanda elementare:
sopravvivrò fino a domani mattina?
Incontro pubblico con Domenico Quirico
INCONTRI
28
Quella ragazzina arrivata dalla città
Donne in Carriera: Carla La Placa
CULTURA
43
48
50
52
53
54
Come la Svizzera ottenne «la piena libertà e
l’esenzione dall’Impero» (1648)
Dalla Svizzera degli Stati alla Svizzera federale
«La Svizzera non è Paese bilingue»
L’italianità della Svizzera - Attualità e prospettive
Alberto Giacometti nella banconota da 100
franchi
Biografie in filigrana
Il nuovo Museo nazionale Zurigo
Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une
collection privée
Fino al 30 ottobre alla Fondation de l’Hermitage
di Losanna
Calato il sipario sulla 69ma edizione del
Festival del film Locarno
Pangottardo dolce omaggio a Gotthard
Terrazza Marnin: luogo di incontri conviviali
61
64
Le piccole patrie dure e pure non
m’interessano
Dialogo con Gian Antonio Stella
DOLCE VITA
Collisioni per l’ottava volta a Barolo
Festival dell’Agrirock
Dove arte, vino, cibo, letteratura, musica, cinema,
degustazioni s’incotrano
68
76
A Trapani per il festival Stragusto
Mangiare bene, mangiare sano: un’eredità
culturale da tutelare, valorizzare e tramandare
La nuova Maserati Quattroporte MY17
presentata a Porto Cervo
Abarth 124 spider: la macchina che farà
nuovamente sorridere chi avrà la fortuna
di guidarla
La nuova Audi Q2: alla guida con gusto
IONIQ: personalità innovative e consumi
contenuti
78
Il mondiale Motocross parla sempre più
italiano
Sommario
82
84
IL MONDO IN CAMERA
A Lugano la Liguria incontra la Svizzera
Experience Italy South and Beyond
86
Business seminar nel settore aviazione e
aerospaziale
Go-Italy Emilia Romagna Fashion 2016
88
Le Rubriche
Incontri btob nel comparto life science
GOURMESSE 2016
Fiera del Gusto, delle specialità e dei
prodotti di nicchia
Contatti Commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi Camerali
7
In breve
41
L’elefante invisibile
9
Italiche
49
Scaffale
11
Elvetiche
58
Benchmark
13
Europee
59
Sequenze
15
Internazionali
62
Per chi suona il campanello
31
Cultura d’impresa
63
Diapason
32
Burocratiche
68
Convivio
34
Normative allo specchio
73
La dieta rivista
36
Angolo Fiscale
75
Motori
37
Angolo legale Svizzera
38
Convenzioni Internazionali
In copertina: Ogni iniziativa è utile per rendere concreta la propria solidarietà. Nel caso specifico strettamente connesso al territorio drammaticamente ferito.
Editore
Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
Direttore - Giangi CRETTI
Comitato di Redazione
A.G. LOTTI,
S. SGUAITAMATTI
Collaboratori
C. Bianchi Porro,
M. Calderan, G. Cantoni,
M. Caracciolo Di Brienza,
C. D’ambrosio, V. Cesari Lusso,
M. Cipollone, P. Comuzzi,
D. Cosentino, A. Crosti,
L. D’alessandro, F. Dozio,
M. Formenti, F. Franceschini,
T. Gatani, G. Guerra, M. Lento,
R. Lettieri, F. Macrì,
G. Merz, A. Orsi, V. Pansa,
C. Rinaldi, G. Sorge,
N. Tanzi, I. Wedel
La Rivista
Seestrasse 123 - Cas. post. 1836
8027 Zurigo
Tel. ++41(0)44 2892319
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Pubblicità
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Italiana per la Svizzera
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In Svizzera è boom
di vendite per le bici
elettriche
In Breve
Report dell’Ufficio di Consulenza Due Ruote:
in Svizzera è una vera e propria tendenza
Da Vicenza arriva
il coppo fotovoltaico
La vicentina Dyaqua ha sviluppato un
innovativo modulo fotovoltaico tanto discreto da risultare completamente invisibile a occhio nudo. Il risultato,
evidenziano gli stessi produttori che si
accingono a lanciare il prodotto sul mercato, è importantissimo. Grazie a questi
impianti, infatti, sarà possibile rendere
ecosostenibili anche quelle abitazioni
che si trovano in aree dove esistono rigidi vincoli paesaggistici o architettonici.
Il coppo fotovoltaico, ribattezzato non a
caso “Invisible Solar”, integra le tecnologie più innovative ad un’estetica tradizionale.
A breve la Dyaqua avvierà la produzione industriale, e gli interessati possono
visionare le caratteristiche del prodotto
già ora, sul sito Internet dedicato alla
tegola. “Con i test effettuati dall’Enea
- commentano dalla società vicentina abbiamo ottimizzato gli elementi architettonici del Fotovoltaico Invisibile per
prepararli all’inserimento nel mercato”. Il
prodotto è stato promosso anche dal Ministero dei Beni Culturali (MiBACT) che
6 - La Rivista settembre 2016
nel 2015 ha inserito tutta la tecnologia
del Fotovoltaico Invisibile nelle “Linee di
indirizzo per il miglioramento dell’efficienza energetica nel patrimonio culturale. Architettura, centri e nuclei storici
ed urbani”.
Ogni tegola è costituita da un composto polimerico all’interno del quale sono
incorporate delle celle di silicio monocristallino. Ogni Invisible Solar è in grado di generare una potenza di picco di
4,5 W. La speciale superficie, opaca alla
vista e trasparente per i raggi solari, ricopre le celle nascondendole alla vista,
ma ciò non diminuisce la produzione
energetica.
Per produrre un kW di potenza è necessario avere a disposizione un’area di 15
metri/q, nella quale trovano posto 223
coppi: per un costo complessivo di circa
10 mila euro. La nuova tegola fotovoltaica, realizzata con materiali riciclabili,
non produce soltanto energia ma contribuisce anche al filtraggio dell’aria dagli
inquinanti più comuni. La sua superficie,
infatti, è fotocatalitica e, grazie alla luce,
riesce a degradare le particelle di smog,
mantenendo nel contempo pulita la tegola: sporco e inquinamento atmosferico
vengono ridotti in sali innocui che si disperdono nell’ambiente con la semplice
azione di vento e pioggia.
ne abbiamo fatto cenno sullo scorso numero
della Rivista ed ecco la conferma: le biciclette elettriche godono sempre più del favore
dei consumatori. Nel 2015, le mountainbike
elettriche, per esempio, hanno registrato
la maggior crescita tra tutte le due ruote:
+45% stando ai dati diffusi oggi dall’Ufficio
Svizzera di Consulenza Due Ruote^(USCD) di
Soletta.
Le bici da corsa elettriche, stando a questa classifica, hanno rappresentato oltre un
quarto delle vendite.
I modelli dotati di questa tecnologia non
soppiantano per forza le biciclette a sola trazione umana, ma attirano sovente una nuova
clientela.
Il portavoce dell’USCD, Roland Fuchs, ha sostenuto all’ats che in Svizzera circolino oramai 350 mila biciclette elettriche.
Gli 80 fornitori - tendenza al rialzo - di questo tipo di mezzi si danno da fare per attirare
clienti mediante giornate in cui i potenziali
acquirenti possono testare una bici elettrica.
Sempre secondo Fuchs, il settore vale oramai
quasi un miliardo di franchi l’anno nel nostro
Paese. Le vendite globali da parte di negozi
specializzati in biciclette (a partire da 100
mila franchi di fatturato e senza la grande
distribuzione) totalizzano 720 milioni.
A livello nazionale, circa 5 mila salariati sono
attivi in questo particolare ramo. A questa
cifra si aggiungono ancora mille persone
impiegate presso fabbricanti indipendenti e
altro attori.
La Svizzera inclusa nella
“white list”
Roma ha deciso che anche la Confederazione figurerà nell’elenco dei
Paesi cooperativi in materia fiscale
La fine di un’ era
Gli Agnelli lasciano l’Italia
Gli Agnelli lasciano l’Italia: a fine anno nessuna società del gruppo avrà più sede a Torino.
Se ne vanno nei Paesi Bassi anche la holding
Exor e la Giovanni Agnelli e C. Sapaz, cassaforte della famiglia e detentrice del 52,99%
della finanziaria. Erano gli ultimi baluardi
della torinesità del gruppo e il loro addio al
Lingotto segna simbolicamente la fine di un
rapporto ultracentenario con la città.
Il percorso è analogo a quello seguito da Fca,
Cnh Industrial e Ferrari: Exor, però, porta in
Olanda sia la sede legale sia quella fiscale
(quest’ultima per le altre società è a Londra)
e mantiene la quotazione esclusivamente a
Piazza Affari.
Tra gli azionisti potrebbero arrivare la Cascade Investment di Bill Gates, Jacob Rothschild
e Nassef Sawiris: i tre imprenditori sono tra
quelli che - come la Giovanni Agnelli - hanno
dato disponibilità ad acquistare le quote provenienti dall’esercizio del diritto di recesso da
parte degli azionisti contrari all’operazione.
Il prezzo dovuto ai soci che opteranno per il
recesso è di 31,2348 euro per ogni azione a
fronte del prezzo di chiusura di oggi dei titoli pari a 33,51 euro. “Negli ultimi dieci anni
abbiamo continuato a semplificare la nostra
organizzazione e a svilupparci seguendo
l’evoluzione dei nostri business. I nostri principali investimenti hanno già riorganizzato
I rapporti commerciali fra l’Italia e il
nostro Paese diventano più facili. Infatti Roma ha incluso la Confederazione nella «white list», ossia l’elenco
degli Stati con i quali è possibile per
l’Italia attuare un effettivo scambio
di informazioni per poter applicare il
proprio diritto interno, come si legge
nel decreto del ministro delle Finanze
italiano pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» di lunedì.
Roma ha deciso di togliere in questo
modo la Svizzera dalle sue numerose
«black list», e di abolire totalmente
queste ultime. Ora il sistema contempla solo una «white list», che conta
più di 120 Paesi (fra cui alcuni che
fino a qualche anno fa erano considerati «opachi», come Liechtenstein,
San Marino, Hong Kong e, appunto, la
Svizzera), e che ora sono, da un profilo
fiscale, totalmente in regola.
Secondo il quotidiano italiano «Il Sole
24 Ore», il provvedimento ha due effetti immediati. Il primo consiste
nell’allargamento del novero dei Paesi
ai cui residenti sarà permesso di investire in obbligazioni pubbliche e private senza essere soggetti all’imposta
sostitutiva sugli interessi. Il secondo
effetto comporta l’ampliamento del
mercato dei capitali per i soggetti
pubblici e privati, non limitato alle obbligazioni, ma anche ad altre forme di
finanziamento.
le proprie strutture societarie per riflettere
meglio la loro attività globale ed è quindi naturale che Exor si allinei a loro”, sottolinea il
presidente John Elkann.
“Vengono meno così - commenta il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino - anche gli ultimi legami finanziari fra
la famiglia Agnelli e Torino. Sempre di più
dobbiamo lavorare per valorizzare il nostro
patrimonio del saper fare automobilistico per
essere città dell’auto senza essere città della
Fiat”. “Per la nostra città non è una buona notizia”, aggiunge il segretario generale della
Fiom torinese, Federico Bellono, mentre la
sindaca di Torino Chiara Appendino prende
atto “delle rassicurazioni sugli investimenti
dell’azienda sul territorio torinese” e promette di lavorare “per rilanciare la vocazione industriale di Torino”.
Il progetto di fusione transfrontaliera per in-
corporazione di Exor in Exor Holding, società
olandese interamente controllata da Exor,
sarà efficace entro la fine del 2016. L’assemblea straordinaria degli azionisti è convocata
a Torino, al Lingotto, il 3 settembre e sarà
l’ultima italiana del gruppo. Per favorire gli
investimenti di lungo termine nella società
Exor adotterà un meccanismo di fidelizzazione: per ogni azione ordinaria Exor Nv detenuta ininterrottamente per un periodo di 5
anni, gli azionisti avranno diritto, al termine
di tale periodo, a 5 diritti di voto, che saliranno a dieci se il periodo complessivo sarà
di 10 anni. L’operazione, sottolinea Exor, non
ha impatti sulle società controllate, i cui impegni industriali e fiscali rimangono invariati,
in ognuno dei paesi dove esse operano. Exor
ricorda che anche PartnerRe, il suo investimento più grande, è controllata attraverso
una società olandese.
settembre 2016 La Rivista - 7
CENA IN FAMIGLIA?
BRAVO A TE!
Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Preparare la svolta senza
che il carro si rovesci
Bisogna preparare la svolta senza che il carro si rovesci, ha ricordato il presidente della Repubblica italiana,
Sergio Mattarella, nella sua incisiva testimonianza a Pieve Tesino dedicata alla illustre figura di Alcide De Gasperi. Bisogna dunque guidare e gestire una situazione complicata come seppe fare nel dopoguerra l’illuminato
statista trentino in un periodo non meno complicato di quello odierno. Perché solo gli Stati Uniti sono oggi
usciti, in un tempo relativamente breve, dalla crisi economica e finanziaria più grave che si sia registrata in un
periodo di pace dopo la Grande Recessione. Invece l’Italia e l’Europa ancora stentano a ripartire, a fronte di una
crescita insufficiente e di una disoccupazione che rimane ad alti livelli.
Gli ultimi dati sull’evoluzione del Pil italiano e francese infatti segnalano una crescita zero nel secondo trimestre dell’anno
e questo, nonostante i dati incoraggianti usciti dagli stress test effettuati dagli istituti della Penisola italiana per conto della
Banca Centrale Europea, ciò che ha portato ad una nuova ondata di volatilità sui mercati azionari, per altro connessa alle
incertezze conseguenti alla votazione sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, in modo particolare per i titoli finanziari e quelli ciclici. Per questo, secondo l’analisi di Frederik Ducrozet di Pictet Wealth Management, sarebbe opportuno che
gli istituti bancari venissero alleggeriti dal peso del “Non-Performing Loans” le sofferenze bancarie (NPLs) che aggravano i conti
societari, deprimendo la performance economica e comprimendo di conseguenza le prospettive della crescita e dell’impiego.
Secondo l’analisi dell’istituto ginevrino, lo scenario di base suggerisce che solo a fronte di una magari modesta, ma rassicurante e stabile crescita dello 0,5-1%, il peso dei crediti incagliati possa gradualmente declinare nel corso del prossimo anno,
consentendo alla strategia del Governo di Roma di essere credibile sul piano finanziario e al Paese di ritornare senza incertezze
o ricadute sul sentiero della crescita. In questo modo, infatti, i crediti incagliati possono essere assorbiti, similmente a questo
ha potuto fare la Spagna dopo la creazione della ‘Spain Bad Bank’ che ha consentito alla penisola iberica di usufruire di capitali
europei col Fondo Salva Stati per 42 miliardi di euro, mentre un analogo piano italiano costerebbe sui 65 miliardi di euro, permettendo conseguenti iniezioni di capitali e risolvendo il problema alla radice, senza pericoli di ricadute ad ogni vento di crisi.
Della stessa opinione anche l’economista Luigi Zingales, della Università di Chicago, secondo il quale solo una soluzione
definitiva e radicale permetterebbe di riattivare il ciclo del credito fornendo carburante ed energia alla ripresa. Non a caso,
commenta Zingales, la stessa cosa fecero gli Usa col fondo Tarp da 800 miliardi creato dall’allora Segretario al Tesoro, Henry
Paulson nel 2008. La stessa Svizzera, nel periodo di difficoltà della più grande banca svizzera, l’UBS, non si sottrasse alla necessità di ricapitalizzare l’istituto, oggi tornato a rappresentare un esempio lampante di solidità, con il sussidio e l’intervento
decisivo della Banca Nazionale Svizzera. Cessione di sovranità? Ma nel nostro caso si tratterebbe comunque di una cessione
che pure fa capo al progetto comune europeo, commenta ancora lo studioso.
Sull’altro fonte, quello della innovazione e della crescita della produttività, punta invece decisamente Carlo Calenda, ministro
dello Sviluppo economico del governo di Roma. Io penso, ha commentato in una recente intervista, che investimenti e competitività siano i due pilastri attorno ai quali costruire la manovra di bilancio per il 2017. Gli stimoli indifferenziati alla domanda
non funzionano in uno scenario di incertezza generalizzata che è destinato a protrarsi nel tempo. Non dimentichiamo, infatti,
che l’anno prossimo con le elezioni prevista in Olanda, Francia, Germania, Slovacchia, Irlanda e Romania, non potremo evitare
qualche scossone politico che andrà ad aggiungersi alle trattative su Brexit col governo londinese di Theresa May. Carlo Calenda punta molto sul piano “industria 4.0”. Si tratta delle tecnologie evocate al Forum di Davos che stanno cambiando il modo di
progettare, realizzare e distribuire prodotti in tutto il mondo secondo un filo digitale che percorre tutta la catena industriale.
General Electric preferisce chiamarle l’internet industriale che permette di organizzare e gestire in modo automatico grandi
quantità di informazioni.
Secondo l’indagine di McKinsey, mentre l’80% dei dirigenti delle principali società considera la produzione digitalizzata un
drive importante della competitività e della crescita, solo il 13% degli intervistati lo usa in modo adeguato. Dunque, i margini di
crescita del settore sono enormi al fine di innestare la rivoluzione digitale nei processi di produzione, automatizzando i processi
dalla progettazione all’esecuzione e spezzando il problema della de-industrializzazione del mondo occidentale.
Con Pier Carlo Padoan, Stefania Giannini e Tommaso Nannicini, su input del Presidente del Consiglio, spiega ancora il
ministro Carlo Calenda, la manovra per il 2017 si fonderà su stimoli fiscali agli investimenti in macchinari e beni digitali,
che si accompagneranno al sostegno alla contrattazione aziendale, la costruzione di centri universitari d’eccellenza sulla
manifattura innovativa e misure della finanza per la crescita a favore di imprese, studenti, lavoratori. Bisogna, infatti,
agganciare il sistema produttivo italiano alla domanda internazionale e all’innovazione senza aver la pretesa di lanciare
piani industriali dirigistici o con incentivi a pioggia. Il tutto con intelligenza, perché il fenomeno della globalizzazione va
interpretato e gestito, senza l’inutile tentazione di chiudersi pensando di poter fare da soli o di guardare ad un passato che
è sempre storia di cambiamenti e riforme.
settembre 2016 La Rivista - 9
Elvetiche
di Fabio Dozio
Futuro incerto per le pensioni
Nelle prossime settimane ci saranno decisioni importanti in Svizzera per quanto riguarda
le pensioni. Il Parlamento federale affronterà il progetto “Previdenza per la vecchiaia
2020”. Il Popolo dovrà esprimersi, il 25 settembre, sull’iniziativa popolare “AVSplus”.
Tempi duri per le pensioni e grami per i pensionati. Il secondo pilastro, come viene definita in Svizzera la pensione aziendale, obbligatoria, rischia di veder diminuire le rendite, visti gli scenari finanziari poco allettanti. Nella sessione d’autunno delle Camere federali si discuterà la riforma del sistema pensionistico e la maggioranza di centro destra potrebbe
peggiorare la situazione dei pensionati, abbassando l’aliquota di conversione delle rendite e innalzando l’età del pensionamento. Il terzo pilastro, che è il risparmio privato (quando c’è!), non promette niente di meglio, dato che chi ha soldi
in banca rischia di dover pagare interessi negativi e, in ogni caso, percepisce, da tempo, interessi assolutamente irrisori.
Per fortuna gli Svizzeri possono contare sull’AVS, l’assicurazione vecchiaia e superstiti, fiore all’occhiello della socialità
elvetica che, dal 1948, garantisce a tutti i cittadini una rendita di vecchiaia che va dai 1175 franchi ai 2350 mensili per
le persone sole e arriva a 3525 franchi per le coppie sposate e i partner registrati.
La Costituzione svizzera prescrive, all’articolo 112, che le rendite dell’AVS “devono coprire adeguatamente il bisogno
vitale”. Chi non ce la fa può ottenere un’ulteriore prestazione, la “complementare”, che dovrebbe evitare l’indigenza ai
cittadini più poveri.
In questo scenario di pensioni traballanti il sindacato Unia ha lanciato un’iniziativa popolare per proporre un adeguamento delle rendite AVS del 10%. L’iniziativa è stata sottoscritta da 111’683 mila cittadini e la proposta sarà sottoposta
al verdetto popolare il prossimo 25 settembre.
Dal 1975 le rendite AVS non sono più state aumentate. In compenso, ogni due anni, dovrebbero venir ritoccate in funzione del rincaro e dei salari. Dal 1980 i salari hanno registrato un incremento del 135%, mentre le rendite dell’AVS del
114%. Quindi l’AVS si è indebolita!
Attualmente circa 2,2 milioni di persone percepiscono la rendita AVS. Per il 19% dei pensionati e per il 38% delle pensionate l’assicurazione vecchiaia e superstiti è l’unica fonte di reddito. Il punto debole sono le donne. La maternità e la
cura dei figli ha impedito a molte donne di esercitare un’attività lucrativa e quindi le loro pensioni aziendali sono scarse
o nulle. Inoltre le donne lavorano spesso a tempo parziale e/o esercitano professioni a basso reddito. Nel 2012, infatti,
quasi il 78% degli uomini poteva beneficiare di prestazioni del secondo pilastro, mentre le donne erano solo il 58%.
Unia sottolinea che anche i giovani possono usufruire dell’aumento delle rendite AVS. Intanto, perché avranno pensioni
migliori ma, soprattutto, perché “per i giovani è estremamente importante che la generazione dei pensionati benefici
di un buon reddito sotto forma di rendite perché altrimenti devono sopperire essi stessi alle esigenze finanziarie dei loro
genitori pensionati”.
Quanto costerà aumentare del 10% le rendite AVS?
Circa 4 miliardi l’anno da oggi e fino a 5,5 miliardi nel 2030, visto che il numero dei beneficiari aumenterà.
Parlamento e Consiglio federale, assieme a tutti i partiti di centro e di destra e alle associazioni padronali sono però
contrarie a “AVSplus” in nome dei costi. 4 miliardi all’anno sono troppi, dicono, per un’ AVS già confrontata con una
situazione che diventerà più critica con il pensionamento della generazione dei baby boom. L’iniziativa ancorerebbe
nella Costituzione solo il principio dell’aumento del 10%. Sulle modalità sarà tutto da decidere. Per Unia basterebbe
aumentare le deduzioni dai salari dello 0,4 %, e altrettanto dovrebbero versare, in più, i datori di lavoro. Alla Confederazione toccherebbe aumentare la sua quota parte, per esempio con un prelievo dall’IVA.
Se entrasse in vigore la proposta ci sarebbe un effetto perverso per alcuni cittadini che percepiscono le rendite complementari. Circa 15 mila pensionati – afferma il Governo – disporrebbero complessivamente di meno denaro, poiché perderebbero il diritto alle prestazioni complementari (che non sono tassabili, a differenza dell’AVS). Un effetto collaterale
minimo, se si pensa che saranno più di due milioni coloro che invece vedranno arricchita la pensione.
Il confronto alla vigilia della votazione sarà intriso di pregiudizi ideologici. Da decenni c’è chi preconizza che l’AVS rischia
di fallire, sempre smentiti dai fatti.
Il dato principale e inconfutabile è questo: mentre l’aspettativa di vita aumenta e le nascite diminuiscono, per cui si
riduce chi paga le quote e aumenta chi riceve le rendite, il rapporto tra spesa per l’AVS e PIL (prodotto interno lordo) è
costante. Dal 1975 al 2013 non è mutato, dunque l’AVS rimane un pilastro solido e sicuro.
settembre 2016 La Rivista - 11
Europee
di Viviana Pansa
L’Europa riparte
da Ventotene
Più che per il rilancio del progetto europeo, l’Italia ha atteso il vertice di Ventotene tra i premier Matteo Renzi, il francese
François Hollande e la tedesca Angela Merkel in vista del varo della legge di stabilità di questo autunno, reso particolarmente difficile dagli ultimi indicatori della nostra economia. La crescita zero registrata nel secondo trimestre del 2016
mette infatti a rischio l’obiettivo di un +1,2% di Pil auspicato dal governo italiano per la fine di quest’anno - e ad ammettere la difficoltà di centrare la percentuale di crescita fissata nei documenti di finanza pubblica per il 2016 nelle scorse
settimane è stato lo stesso vice ministro dell’Economia Enrico Morando. È vero, inoltre, che il nostro paese dal 2015 in poi
ha visto il susseguirsi di variazioni in positivo dei propri trimestrali di crescita, ma si tratta di percentuali che non hanno mai
superato la soglia dello 0,5%, un andamento asfittico che pesa sulla prossima manovra e dovrebbe stimolare una riflessione
seria sui motivi profondi della paralisi italiana piuttosto che il perenne fare affidamento sulla “locomotiva tedesca”. Neppure l’alibi della Brexit regge, dal momento che il campanello di allarme suona in riferimento al periodo immediatamente
precedente il referendum inglese.
La questione ruota ancora sulla flessibilità che Bruxelles sarà disposta a concedere alla quadratura dei nostri conti pubblici, quantificata – in base agli auspici del Ministero dell’Economia italiano – in circa 10 miliardi di euro per una manovra
definita “espansiva” da 25 miliardi. Ma Roma ha già ottenuto uno sconto sulla riduzione del deficit che nel 2017 è scesa dal
2,4% all’1,8% - l’obiettivo inizialmente indicato era l’1,4%. Si vuole evitare ora l’aumento dell’Iva, destinare circa 2 miliardi
alle pensioni e intervenire sulla riduzione delle tasse, così come promesso dal premier Renzi forse anche per rispondere ad
un calo della fiducia e in vista del referendum di autunno sulla riforma costituzionale. “Se ci presentiamo in Europa e ai
mercati con un piano industriale per l’Italia credibile fondato sullo stimolo agli investimenti e la competitività del sistema
produttivo esistono spazi per ottenere quello di cui abbiamo bisogno” – ha affermato il ministro dello Sviluppo economico,
Carlo Calenda, giudicando “insensato” limitare ad un solo anno la possibilità di avvalersi dello sforamento dei vincoli sul
deficit ribadito invece dall’Ecofin, il consiglio dei ministri dell’Economia degli Stati membri dell’Unione. Pesa tuttavia l’eccezionalità del debito pubblico italiano, lievitato a 2.248 miliardi, il 132,7% del Pil, e di cui non si prevede una riduzione,
almeno per quest’anno, a meno che non riesca l’impresa delle privatizzazioni, ribadita ancora da Morando. Del resto, nonostante i margini di flessibilità richiesti e accordati da Bruxelles non sembra che l’Italia abbia ridotto in misura drastica la
propria spesa pubblica, oscillata dal 51% al 50,5% del Pil in questi ultimi anni, mentre paesi come Spagna, Irlanda e Regno
Unito hanno potuto dilatare i propri margini di deficit per alimentare la crescita proprio perché non gravati dalla mole di
un debito pubblico paragonabile al nostro. L’indebitamento è uno dei tasselli che contribuiscono alla percezione dell’Italia
quale economia tra le più fragili d’Europa, definizione ribadita in un’analisi recentemente pubblicata dall’Economist, che
lancia l’allarme anche per l’alto tasso di disoccupazione e parla di “un’economia agonizzante da anni, soffocata da eccessi
normativi e produttività debole”, situazione ora sotto i riflettori della stampa anglosassone, e non solo, perché la bocciatura
della riforma costituzionale, trasformata in un voto pro o contro Matteo Renzi, potrebbe provocare uno shock politico
sull’intero continente europeo.
Può essere che il rischio disintegrazione, emerso più forte che mai all’indomani dell’esito del referendum inglese sull’uscita
dall’Unione – procedura che in un primo tempo si era pensato di avviare il più velocemente possibile ma che ora sembrerebbe slittare al 2019 con il beneplacito del nuovo primo ministro britannico TheresaMay, incaricata di gestire una fase quanto
mai delicata e densa di incognite, - possa mitigare il rigore di Bruxelles più dei piani del governo di “un’offesiva per lo
stimolo” sollecitata all’Italia in un editoriale del Financial Times. Una manovra di bilancio sarebbe dunque indispensabile per
rianimare un’economia così duramente provata, visti anche i risultati tutt’altro che decisivi delquantitative easingmesso in
atto dalla Banca centrale europea. Che la sola politica monetaria non basti da sola allo scopo lo affermano da tempo anche
gli economisti premi nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Quest’ultimo, nel suo ultimo libro eloquentemente sottotitolato
Come la moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, si spinge ad ipotizzare addirittura un passo indietro rispetto all’euro,
paventando “problemi che potrebbero essere insormontabili” così da determinare “un più complessivo ripensamento” della
moneta unica, “compreso lo scenario di divisione” tra una valuta europea più forte al Nord e più debole al Sud. Ciò che si
tende a dimenticare è come il varo dell’euro, così come il progetto ispirato agli “Stati Uniti d’Europa” di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, siano il frutto di idee e contesti storici destinati a mutare a volte anche molto rapidamente,
perfettibili ma anche revisionabili, all’occorrenza. Per Stiglitz l’euro da “mezzo per un fine” è diventato invece un “fine in
se stesso” che rischia di “mettere a repentaglio alcuni aspetti più importanti del progetto europeo”, alimentando divisioni
piuttosto che solidarietà. Allo stesso modo è utile interrogarsi su quanto e come i parametri finanziari sino a qui tracciati
siano strumentali al progetto europeo, e sulla natura stessa di tale progetto, in un contesto oggi molto diverso da quello
osservabile ai tempi del confino sull’isola pontina.
settembre 2016 La Rivista - 13
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Internazionali
di Michele Caracciolo
di Brienza
Le organizzazioni criminali
transnazionali
Il medagliere contiene tanti paesi. La criminalità organizzata non è una prerogativa tutta italiana.
Può darsi che eccelliamo ma anche altri paesi hanno le loro strutture criminali. Quali?
Nicolas Giannakopoulos è il presidente dell’Obsertoire sur le crime organisé di Ginevra. A lui La Rivista ha chiesto quali
sono le organizzazioni criminali più forti. “È molto difficile fare una classificazione – ha dichiarato Giannakopoulos
– Se si parla della ‘Ndrangheta, per esempio, non abbiamo a che fare con una sola organizzazione criminale ma è un
insieme di ‘ndrine, di famiglie, che sono più o meno organizzate a livello superiore per evitare bagni di sangue. È tuttavia
molto difficile dire qual è la più forte. E poi secondo quali criteri? Ad esempio, le organizzazioni con maggiore presenza
internazionale sono sicuramente quelle italiane. Alcune sono davvero internazionalizzate al massimo come appunto
la stessa ‘ndrangheta. Vi sono altre organizzazioni criminali di origine cinese, giapponese e latinoamericana – conclude
Giannakopoulos – che hanno un’estrema presenza internazionale direttamente o indirettamente tramite affiliati.”
La ‘Ndrangheta è ben presente in Colombia e in Bolivia, in Australia e in Nuova Zelanda. Da Roma in su reinvestono i
proventi in attività legali. Secondo il dottor Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, la ‘ndrangheta
ha un giro d’affari generato dalla vendita al dettaglio di cocaina di circa 44 miliardi di euro all’anno. Per avere un’idea
Finmeccanica, una delle prime dieci aziende italiane, fattura all’anno circa 8 miliardi di euro e ha 47’000 dipendenti.
Sempre secondo il Procuratore Gratteri, gli affiliati alla ‘ndrangheta dovrebbero essere circa 40’000 persone. “Non vi
è attività lecita o illecita che sia più redditizia del commercio di cocaina e lì la ‘ndrangheta ha quasi il monopolio”, ha
continuato Gratteri in un’intervista a Radio24. “In Colombia vi sono stabilmente una cinquantina di ‘ndranghetisti che
agiscono come broker per procacciare più cocaina possibile ai prezzi più bassi.” A differenza di Cosa Nostra la ‘Ndrangheta non ha quasi pentiti. La posizione dominante che quest’organizzazione criminale ha assunto a livello mondiale
nel traffico di stupefacenti si deve essenzialmente alla debolezza di Cosa Nostra che, a causa della stagione stragista
d’inizio anni Novanta, ha ricevuto dei colpi durissimi dallo Stato.
L’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) ha sede a Vienna e nel 2010 ha pubblicato il volume dal titolo
The Globalization of Crime. Si tratta di un’analisi di riferimento sulle minacce del crimine organizzato a livello transnazionale. Il volume è diviso in dieci sezioni che riassumono i principali settori d’attività del crimine internazionale: il
traffico di persone per lo sfruttamento sessuale, il trasporto illegale di migranti, la cocaina, l’eroina, il traffico d’armi,
di risorse ambientali come, ad esempio, l’avorio e il legname, la contraffazione, la pirateria marittima e i crimini
informatici.
Diamo alcune cifre sull’eroina e sulla cocaina. Secondo il rapporto dell’UNODC, sono necessarie 196 tonnellate di
cocaina per soddisfare la domanda del mercato statunitense. Si tratta di un flusso valutato 38 miliardi di dollari. Ai
coltivatori della pianta di coca dei tre paesi andini (Colombia, Bolivia ed Ecuador) va circa un miliardo di dollari. Una
stima invece del mercato europeo è di circa 124 tonnellate di cocaina all’anno. Dal 1998 al 2008 il mercato della
cocaina in Europa è più che raddoppiato passando da 14 miliardi a 34 miliardi di dollari all’anno. Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, in Italia il 3% dei giovani tra i 15 e i 34 anni fa uso di cocaina. In
Spagna e in Gran Bretagna arriva al 5% nella stessa fascia d’età. In Svizzera la percentuale scende al 2,6.
L’eroina è l’altra droga di produzione questa volta quasi esclusivamente afgana che inonda la Russia con 70 tonnellate all’anno e un mercato al dettaglio valutato in 13 miliardi di dollari. In Europa arrivano invece 90 tonnellate che
al dettaglio valgono 20 miliardi di dollari. L’eroina oggi si fuma e il suo consumo è in crescita.
La produzione e il commercio di merci contraffatte dall’Asia in Europa è in aumento. Il rapporto dell’UNODC stima la
produzione in circa due miliardi di articoli per un valore al dettaglio di oltre otto miliardi di dollari. I rischi sono una
carente sicurezza dei prodotti e una perdita di fatturato per le aziende i cui prodotti sono copiati.
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settembre 2016 La Rivista - 15
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Intervista con
Pietrangelo
Buttafuoco
La Sicilia, è un posto veramente meraviglioso, che meriterebbe di essere il giardino del Mediterraneo, ma che non può
diventarlo per tanti motivi, il più grave dei quali è la presenza di noi siciliani.
Soddisfatto di aver
incontrato l’Islam
di Giangi Cretti
prima di aver incontrato i musulmani
Pietrangelo Buttafuoco (Catania, 1963), laurea in filosofia con
studi in Italia e Germania, è giornalista e scrittore.
Ha pubblicato Le uova del drago (Mondadori 2005, finalista al
Premio Campiello 2006), L’ultima del diavolo (Mondadori 2008),
Il Lupo e la Luna (Bompiani 2011), Il dolore pazzo dell’amore
(Bompiani 2013) e I cinque funerali della signora Göring (Mondadori, 2014).
Tra i saggi, ha pubblicato Fogli consanguinei (Edizioni AR, 2003),
Cabaret Voltaire (Bompiani 2008), Buttanissima Sicilia (Bompiani,
2014) e Il Feroce Saracino (Bompiani, 2015).
Diversi suoi testi sono diventati spettacoli teatrali di grande successo. Scrive per il Fatto Quotidiano, firma ogni giorno “Il Riempitivo” su Il Foglio ed è ospite fisso del programma di Giovanni
Minoli “Mix24”, in onda ogni mattina su Radio 24. Vive e lavora
a Roma.
A Zurigo ci è venuto su invito della locale sezione dell’Associazione
svizzera per i rapporti culturali ed economici con l’Italia, per una
conferenza che fin dal titolo, le affollate solitudini, concepito intenzionalmente come un ossimoro, anticipa l’originalità dei suoi
punti di vista.
Lo abbiamo incontrato per parlare del suo rapporto con l’Islam,
religione alla quale è approdato con consapevolezza.
Il tuo avvicinamento all’Islam sembra l’approdo di
un percorso intellettuale prima ancora che di fede.
Pierangelo Buttafuoco: viviamo in un’epoca in cui i distinguo non hanno
senso, c`è soltanto la necessità grossolana di procedere.
È un percorso obbligato. Nel senso che è qualcosa che resta anche
della mia formazione, del luogo in cui ho vissuto, da dove vengo. E
poi è un ambito universale, nel senso che non esclude nulla che poi
si aggiunga dopo nel corso della vita. Quando si è ragazzi in Sicilia
e si va in gita a Palermo e ci si ritrova davanti alla Cattedrale di Palermo, davanti alla tomba di Federico II e magari durante il viaggio
si è ascoltato una canzone di Franco Battiato, è quasi naturale che
l’atmosfera porti a una dimensione “altra”, ulteriore.
Leonardo Sciascia ha spiegato meglio di chiunque altro che, se esiste
una dimensione universale di quel mondo, di quel contesto è la Sicilia;
una dimensione che, ancor prima che segnata dai romani o dai greci, è
stata sempre soprattutto saracena. Che è la sua vera carta d’identità:
lo è nel linguaggio, lo è nell’antropologia, lo è in una forma di dimen-
settembre 2016 La Rivista - 17
La cattedrale di Palermo
sione sotterranea, non proprio segreta, ma
svelata in mille sfumature. Magari, prima non
ci facevamo caso, ma adesso con l’attualità
diventano sempre più chiare e evidenti. È una
forma universale, nella quale - accanto a pagine tragiche, terribili come quelle che l’attualità ci offre giorno dopo giorno - ci sono
anche delle esperienze felicemente riuscite,
quale potrebbe essere quella di Mazara del
Vallo: una realtà di pescatori che ha funto da
volano nell’integrare popoli, storie e distanze,
in una forma ammirevole, che rivela e conferma come, là dove c’è un miscuglio, là dove
c’è una dimensione universale, ci sia anche
un’economia ricca, viva. Tant’è vero, che le
uniche aree della Sicilia, dove si può dire che
c’è il benessere, sono quelle della costa trapanese e del sud-est ragusano-ibleo, dove c’è
gente che, arrivando, porta la vita e il lavoro.
Si direbbe un ritorno alle origini.
Anche se gli arabi in Sicilia hanno
avuto un dominio di un paio di
secoli in Sicilia…
E questo è un bellissimo equivoco. Non
erano arabi, erano…
Saraceni…
Sì … siciliani. L’impronta di quella stagione
fu così forte, così potentemente segnante,
che con un esempio a noi più vicino, potremmo dire che era come Berlino Ovest
dentro la DDR: una vetrina luccicante,
smagliante, piena di suggestioni, di bellezza, di poesia che poi è rimasta, e sarà chiamata la stagione arabo-normanna. Tant’è
vero, che quando arrivano i normanni
avranno bisogno di questi siciliani-saraceni, che sono gli unici a saper adoperare le
pietruzze per i mosaici, a saper utilizzare
l’alfabeto, la parola, la scrittura ed esse-
18 - La Rivista settembre 2016
re quindi a disposizione di un’epoca, che
aveva necessità di qualcuno che sapesse
mettere ordine ai discorsi, per produrre
documenti e creare poi quello che sarebbe
diventato il periodo di un grande imperatore: Federico che da tedesco volle farsi
saraceno per vivere in Sicilia.
La stessa ragione per cui hai
deciso di chiamarsi anche Giafar?
Quello in realtà è uno scherzo. La conseguenza di un gioco con gli amici, anche se
c’è stato un emiro che ci chiamava Giafar
al-Siqilli. Siccome io di mio ho una storia
che viene da lontano…
C’è il cattivo delle favole che si chiama
così, è vero, lo ha disegnato definitivamente Walt Disney, ma questo nome un po’ mi
è stato dato (e un po’ me lo sono scelto) in
omaggio all’emiro di Sicilia. È quello della
via Giafar, la carreggiata che collega l’autostrada Catania-Palermo con il lungomare e il porto della capitale di Sicilia: al-Siqilli, per l’appunto, vuol dire “il siciliano”».
Dal punto di vista politico, la tua è
una storia fortemente impegnata
in quella che è la tradizione
della destra italiana: Movimento
sociale, Alleanza nazionale…
No, Alleanza nazionale no. La mia esperienza politica si ferma al Movimento sociale, poi non ho più fatto politica.
Lo fai scrivendo. Ricordo un tuo
pezzo in cui fustigavi i girotondini…
Sì quello sì. Grazie a Dio io non ho soggezione né per la destra né per la sinistra.
Però, la mia precedente vita, quella di
militanza politica, l’ho chiusa quando ero
ragazzo. La mia famiglia poi è stata forte-
mente radicata nelle esperienze politiche,
sono fondatori del partito, quindi…
La mia esperienza politica, come adesione,
però si è fermata lì.
Qualcuno la pensa diversamente.
Non molto tempo fa sei stato
oggetto di un diverbio tra
Salvini e la Meloni, attorno
alla tua ipotetica candidatura a
governatore della Sicilia.
Sì, quella è una cosa che ogni tanto qualcuno mi offre: di candidarmi intendo, ma
non lo farò mai. Intanto, perché io lavoro
e il mio lavoro è il giornalismo, e chiunque faccia politica abbandona il giornalismo. È una cosa che si può fare a sinistra;
a sinistra riescono a farlo e poi tornare a
lavorare, perché comunque la sinistra è
più garantita. Se uno si candida a destra
è spacciato (ride), non potrà più a lavorare.
Il vero argomento forte, però, non è questo. Io non sono portato per la politica. In
Sicilia sarebbe un’impresa folle, disperata:
lì non sarà un nuovo presidente della Regione a risolvere tutto. Chi verrà, inevitabilmente sarà peggiore di quello che c’è. La
democrazia in Sicilia è l’ultima delle soluzioni; ci vuole un “bellissimo” commissario
esterno che non dia la possibilità di fiatare.
Quindi governare i siciliani è
ancora più difficile che governare
gli italiani?
Non c`è paragone! (ride) La Sicilia, non so
se ti è mai capitato di esserci stato. È un
posto veramente meraviglioso, che meriterebbe di essere il giardino del Mediterraneo, ma che non può diventarlo per tanti
motivi, il più grave dei quali è la presenza
di noi siciliani.
Una riflessione che chiude la
parabola del tuo percorso dentro
una destra storica tradizionale
in Italia, che, come hai detto, si
ferma a quelle che sono delle
esperienze sostanzialmente
giovanili.
Provo a spiegarti. Io sono radicato nella
tradizione, quello sicuramente! Però, la
destra oggi è nemica della tradizione, è
totalmente estranea all’identità tradizionale. Perché la tradizione presuppone una
visione universale, presuppone un’ansia
che è quella di conoscere le cose di fronte
allo scenario internazionale, di fronte ai
fatti gravi dell’attualità, di fronte ad una
crisi spaventosa. Ci s’immagina che la destra senta la responsabilità di formare la
società dei migliori: l’areté, l’idea greca
dell’aristocrazia. Invece, la destra di oggi
radica la sua giornata nella pesca delle
occasioni; costruisce il proprio progetto
politico sull’onda della cosiddetta “pancia della gente”, cioè gli istinti più bassi.
Platone redivivo li avrebbe presi tutti a
calci! Perché se la destra esiste, dovrebbe essere quella del dottor Platone, non
certamente quella dell’ultima guardia
giurata.
Quindi, anche in questo senso si
spiega, che la destra paventi oggi
l’invasione dell’Islam, e ribadisca
il bisogno di sottolineare le
origini cristiane, romane, greche
dell’Europa.
Magari. In realtà, le destre non hanno
nessuna elaborazione culturale in questo
senso. Sarebbe auspicabile che ci fosse la
piena consapevolezza della potenza spirituale, dell’identità d’Ellade, di Roma e del
cattolicesimo. Magari studiassero Bernardo da Chiaravalle, magari davvero avessero
conoscenza delle identità cristiane! Il guaio che non ce l’hanno! Hanno soltanto una
spolverata che possa scatenare gli istinti
del bar, perché i ragionamenti a cui loro si
affidano sono proprio quelli del bar sport.
Non ho mai visto nessuno di loro che sia in
grado di capire la profondità spirituale di
una recita del Rosario. Non ne ho trovato
mai uno.
C’è una tua un’affermazione
che mi sempre felice nella sua
sintesi e nella sua chiarezza: sei
soddisfatto di aver incontrato
l’Islam prima di aver incontrato i
musulmani.
Sì, sono due cose totalmente diverse. L’Islam è una delle pagine più affascinanti
tra la civiltà degli uomini. Innanzitutto, ha
un respiro universale, potente, e poi come
tutte le cose che fanno paura ha necessità
di essere conosciuta, perché quello a cui
siamo tutti chiamati è muovere guerra al
terrorismo con il passaggio necessario di
fare la guerra all’ignoranza. Non sapendo
le cose rischiamo di peggiorare, di gettare
benzina sul fuoco.
Prima ancora che si aprisse la pagina del
libro di storia con la data dell’attentato
alle due torri, chiunque avesse frequentato le scuole nella tradizione occidentale-europea, aveva memoria dell’Islam
come uno dei momenti più importanti
di tolleranza e di apertura verso il mondo. Tant’è vero che in contrapposizione a
un’idea retrograda e ostile alle differenze
quale poteva essere l’Inquisizione, l’Islam
era quello che si apriva agli altri: tutta la
sapienza greca c’è arrivata attraverso i
sapienti musulmani.
Adesso invece si è costruito questo incubo,
a disposizione di tutti: capirlo, conoscerlo, impone uno sforzo che in questa epoca è quasi impossibile da attuare. Questa
è un’epoca per bipolari; è un’epoca dove
dobbiamo dire o sì o no, dove non c`è la
possibilità di conoscere per capire, ma
esorcizzare da un lato e dall’altro esortare. È un’epoca in cui i distinguo non hanno
senso, c`è soltanto la necessità grossolana
di procedere. Quindi, che cosa ne può venirne fuori? Soltanto auspicare che magari
siano i sapienti dell’uno e dell’altro mondo a parlarsi; siano soltanto coloro i quali
hanno la responsabilità dei destini a poter
Il terrorismo voleva terrorizzarci e ci ha terrorizzato. Voleva ammazzarci e ci ha ammazzato e continua
a farlo. Voleva sfregiare definitivamente una religione che porta come sua prima cifra la parola Salam,
che vuol dire “pace”, in una religione di morte e ci è riuscito
discutere di certe cose. Pertanto, riesumare
un vecchio metodo: quello di distinguere
fra ciò che è esoterico e ciò che è essoterico. Fra ciò che può essere detto a tutti e
ciò che invece deve essere riservato a una
cerchia che lo può intendere. Sono tempi
questi terribili, proprio perché siamo chiamati soltanto al fuoco e all’odio.
Oggi, l’Islam - nella sua
concezione più diffusa o
semplicemente più popolare viene interpretato non tanto
come una religione, quindi come
un fatto vissuto intimamente da
una persona, quanto come un
esercizio del potere, fortemente
terreno associato alla gestione
della cosa pubblica. C’è Islam
e Islam: l’Arabia Saudita è
contrapposta all’Iran, all’Iraq,
perché i sunniti.., perché gli
sciiti…, perché i salafiti…
Nel mondo occidentale come si
può metabolizzare questo stato
di cose? Ritorniamo al metodo
secondo cui solo chi è in grado di
intendere può …
Purtroppo sì. Con grandi sacrifici. Nel frattempo, un musulmano che è una persona
per bene, che fa la sua vita, il suo dovere,
che è rispettoso verso gli altri, sarà immediatamente sacrificato e rigettato e fatto
reietto, in nome di un principio che è quello della sopravvivenza; perché la paura è
tale che nessuno si può permettere il lusso
di fare dei distinguo e il caso emblematico
è il cortocircuito, dove l’ignoranza diventa
benzina, l’ignoranza alimenta il fuoco. Per
ignoranza i funzionari dello stato italiano,
in occasione della visita del presidente iraniano, Hassan Rouhani, hanno coperto le
statue del Campidoglio, pensando di avere
a che fare con un contadino ignorante arrivato dal deserto. Perché le informazioni
sono grossolane; non ci si rende conto, che
l’area persiana altro non è che una realtà
potente: ghiottissima dal punto di vista
economico, e soprattutto raffinata e sofisticata. A Persepoli di nudi ne hanno in
abbondanza.
L’ignoranza porta a scatenare nell’opinione pubblica un sentimento di avversione,
per cui l’ospite è additato come pericoloso,
oscurantista, retrogrado. Perché non siamo nelle condizioni di fare dei distinguo,
non siamo più nelle condizioni di fermarci
a parlare. Ti confesso che io non accetto
mai di conversare con i colleghi su questo
tema, perché conoscendo i miei “polli”, so
quanta è la malafede, la propaganda e l’ignoranza che viene somministrata su questi temi. Come se potessero essere soltanto
oggetto di una propaganda che abbia un
tornaconto anche politico.
settembre 2016 La Rivista - 19
Come ovviare, soprattutto nei
confronti del cittadino comune,
a questa situazione? Come si può
spiegare…
…non si può spiegare! Siamo in un ambito
dove non c’entrano niente le decisioni spirituali, dove non c’entrano niente gli argomenti di religione, stiamo parlando solo di
geo-politica.
Tu mi chiedi come fai a spiegarlo? Ripeto,
io generalmente non parlo di questi temi,
perché si fanno soltanto equivoci. Intanto
già è complicato per la gente conoscere la
cristianità. La gente non riesce a distinguere tra cattolici, ortodossi, calvinisti,
protestanti, figurati se capiscono che cosa
c’è all’interno dell’Islam. Non se ne rendono conto. Vai a spiegare loro che l’ISIS
“inspiegabilmente” è diventata una novità;
dopo che si è conclusa quella di Al-Qaeda, ora è spuntata quest’altra cosa. Vai a
spiegare loro come diventa un’infezione
sempre più veloce.
Quando, e lo sappiamo facendo questo mestiere, per esempio le potenze occidentali,
la Francia soprattutto, aiutava e incoraggiava i cosiddetti ribelli siriani, la maggior
parte dei quali partiva proprio dalla Francia che gli aiutava ad arrivare in Siria, avevano come mira quella di far cadere Assad,
cioè di creare un’altra di queste rivoluzioni,
di queste ‘primavere arabe’. Il risultato poi
è stato che quelli ovviamente hanno reagito, è intervenuta la Russia, non ce l’hanno
fatta, stanno tornando e gli attentati poi li
vengono a fare a casa nostra tutti questi.
È mai possibile che tutti si ritrovino a diventare musulmani nel giro di tre giorni?
Nel giro di tre giorni ex-rapper, ex-tossici
diventano tutti combattenti del Jihad?
Allora senza cadere nel ‘retroscenismo’,
senza essere accusato di complottismo,
l’esempio a cui io mi affido è quello dei
film Rambo. C’è Sylvester Stallone che nei
primi film ha come potente alleato il mujahideen che in Afganistan combatte contro
i sovietici. Dopo l’11 settembre finisce, non
c’è più il mujahideen; se ci sono, li scelgono brutti, cattivi, con l’espressione maligna. Quando Hollywood doveva raccontare
il principe arabo per eccellenza, lo Sceicco
ne Il vento e il leone chiama Sean Connery.
Ora invece no, quindi il discorso è che noi
siamo costretti ad avere sempre un nemico
e questo nemico lo dobbiamo infilare dentro la narrazione.
Tu mi chiedi: come facciamo spiegarlo?
Non si può fare! Io stesso so perfettamente che è fatica inutile, perché l’opinione
pubblica di questa nostra epoca, paradossalmente, è molto più analfabeta di quanto potesse esserlo nel 1800 o nei primi del
1900. Non c’è la possibilità di verificare
niente. Non posso scordarlo. La prima volta che sono andato in Iran, pur essendo io
20 - La Rivista settembre 2016
L’“Icona della tenerezza”, cioè un pezzo di legno dipinto che secondo la tradizione, secondo la fede,
secondo la sacralità propria di quel legno, fu dipinto da Luca l’evangelista, riproducendo il volto vero
della Vergine. I russi inginocchiati. Ma quello non è soltanto un atto di devozione, quello è anche un
preciso gesto politico.
uno che da una vita studia queste cose,
credimi, mi sono meravigliato perché comunque anch’io ero imbevuto di tutta una
serie di informazioni che mi meravigliavano. Parto dall’aeroporto di Fiumicino e
leggo un articolo del Giornale dove c’era
scritto: “non fanno lavorare le donne”. Arrivo lì e la verità è che in oltre il 65% dei posti chiave, delle professioni più importanti,
sono tutte donne.
A parte questo, c`è una disinformazione totale perché, secondo me, l’arma di
distruzione di massa per eccellenza è la
menzogna! È una manipolazione spaventosa. Io ricordo tanti esempi, anche collaterali, anche apparentemente inutili.
L’attacco che subisce Angela Merkel non
mi convince; non mi convince neppure il
cosiddetto scandalo Volkswagen;neanche
l’operazione che stanno conducendo a
tutti i livelli, compreso quello filosofico,
contro Martin Heidegger. Non mi convince
tutto questo, perché si vuole costruire una
cosiddetta narrazione che sia il più possi-
bile omogenea alla globalizzazione, cioè
all’idea di rendere il mondo uno, ridotto a
uno, nei contesti e nei contorni su cui il
dominio prende il sopravvento sull’imperium.
Provo a spiegarmi. Sono due i modelli di
potere che nella storia dell’umanità hanno
attraversato le genti e i popoli. Uno è quello del dominio, dove c’è un unico modello,
un unico schema, che la democrazia corrisponde perfettamente, perché dà a tutti
l’illusione di essere partecipi e presenti nel
frattempo che la macchina va avanti.
L’altro invece è l’imperium, che è un modello che noi abbiamo conosciuto attraverso Roma e che adesso ha una sua speculare rappresentazione nello scacchiere
geo-politico nei soggetti asiatici. Per
esempio, adesso Putin ha dimostrato semprepiù vigore, sempre più forza, in virtù di
un’identità plurale. Perché quando al Salvini di turno che dice “Ah vi piace Putin!”,
dovrebbero spiegare che Putin è quello che
il 22 settembre del 2015, in virtù del suo
essere capo del governo e leader dei russi, ha inaugurato la più grande moschea
d’Europa. Perché ha la consapevolezza di
gestire una dimensione plurale e con lui
c’erano gli induisti, c’erano i lamaisti, c’erano i cristiano ortodossi. Aveva una visione dell’imperium, dove stanno tutti.
Per questo dico che è complicato, perché
non è mai un problema d’identità spirituale, d’identità religiosa, è solo e soltanto un
gioco geo-politico, dove di volta in volta si
individua il nemico. Se domani si decidesse
di fare degli indiani il nemico pubblico numero uno, vedrai che nei giornali incominceranno “Ah! nel Bhagavadgītā c’è scritto
che bisogna uccidere il nemico!” “Ah questi
ci invadono…”.
Purtroppo sono i meccanismi di equilibrio
della geo-politica.
Cui prodest? La semplificazione
della complessità che tu
hai descritto, si traduce
sostanzialmente nel messaggio
quotidiano che annuncia il
pericolo dell’islamizzazione. In
Svizzera la campagna elettorale
su votazioni che riguardino gli
stranieri o la libera circolazione
delle persone, si declina gridando
che moriremo tutti islamici.
L’Islam è percepito come pericolo,
anche quando il Dipartimento
degli esteri dice, ragionevolmente,
di non andare in Egitto o in
Tunisia perché è pericoloso.
Per reazione, ci si rinchiude
in se stessi. Così facendo
diventiamo noi stessi artefici del
declino dell’Occidente?! Nella
globalizzazione questo Occidente
cosa fa? Gira un po’ attorno a sé
stesso?
Sì, l’Occidente è declinato. Purtroppo, o per
fortuna, siamo come organismi biologici,
anche dal punto di vista sociale, geografico, dal punto di vista delle istituzioni. Ad
ogni vuoto corrisponde un pieno. Se noi
produciamo vuoto, ci sarà un pieno che si
prenderà questo spazio.
Torniamo a quello che dicevi prima. Magari
ci fossero quelli che hanno piena consapevolezza dell’identità greca, romana, cristiana. Magari ci fossero, ma non ci sono!
Ti faccio un esempio di sviluppo e di potenza economica-commerciale che è fuori
dal nostro ambito occidentale, un esempio
che è totalmente indo-europeo arianissimo, che è quello dell’India.
L’India quando commercialmente decide
di comprare la Rover e la Jaguar, che diventano proprietà del signor Ratan Tata,
che decide di allargare il proprio controllo
oltre agli alberghi anche alle automobili,
sta mettendo in atto un progetto di volon-
tà di potenza forte di un’identità. Perché
quando lui opera da una città che si chiamava Bombay, che era il nome messo dai
portoghesi, e lui la trasforma in Mumbai
che significa proprio “torna la divinità”, significa che loro sono consapevoli della loro
identità, della loro forza. È una cosa che
per noi è impossibile.
Mi viene in mente una scena che ho visto
l’estate scorsa a Mosca, che spiega anche
perché questi popoli difficilmente vengono
islamizzati o diventeranno un’altra cosa.
Mosca è una città modernissima: gli infissi
tutti perfetti, la pulizia, i tram, ecc., strade
a otto corsie in pieno centro d’epoca staliniana, però adesso affollate di automobili.
Hanno una rete sotterranea straordinaria; si muovono 9 milioni di persone nel
perimetro del centro di Mosca: una folla
spaventosa, per fare un chilometro in macchina ci vuole mezz’ora. Improvvisamente
sparisce tutto. Non so perché, non c’è più
una macchina in giro in pieno giorno, e dal
tratto che va dalla Casa Tretyakov - che è
anche un museo oltre che una chiesa - alla
basilica del Santo Salvatore - che è stata
ricostruita da Yeltsin e poi inaugurata da
Putin, che era stata distrutta, fatta saltare con la dinamite da Stalin, che ci aveva
fatto mettere una piscina pubblica - tutto è deserto. C’è solo una limousine che
avanza pianissimo e tutti i moscoviti sui
marciapiedi inginocchiati; le campane che
suonano; il carillon del Cremlino che suona: sta passando l’“Icona della tenerezza”,
cioè un pezzo di legno dipinto che secondo
la tradizione, secondo la fede, secondo la
sacralità propria di quel legno, fu dipinto
da Luca l’evangelista, riproducendo il volto
vero della Vergine, della Madonna. I russi
inginocchiati. Una scena così a Roma sarebbe impossibile e Roma è la culla della
cristianità. Ma quello non è soltanto un
atto di devozione, quello è anche un preciso gesto politico.
Noi in Occidente non abbiamo saputo preservare la magnificenza dell’eredità greco-romana, che è quella che ha dato la lingua a tutto il mondo, figurati se riusciamo
adesso a fronteggiare una situazione come
questa. Poi per conto di chi e chi dovrebbe
salvaguardarla? Quelli che stanno a 10mila
chilometri da noi e non hanno nessuna intenzione di fare sì che cresca l’Europa, se
ci sarà mai un’Europa? Non hanno nessuna
intenzione di salvaguardare le identità di
tutti questi popoli, non gliene frega niente.
Dal loro punto di vista, è soltanto terreno su cui stabilire una rete di outlet, per
renderci consumatori. Perché poi siamo
invecchiati e anche quello è fondamentale.
Come diceva la Buonanima: il numero è
potenza! E siccome non c’è la buonanima,
non c’è più né il numero né la potenza.
Quindi io non ti so rispondere. So solo che
se ci fosse una volontà politica, la prima
cosa da fare sarebbe stabilire la sovranità.
Io decido e posso anche sbagliare nelle decisioni, però per esempio sugli immigrati,
io dico che se vengono devono venire come
Il casino di caccia di Carditello, un’opera di Vanvitelli, un posto meraviglioso, dove il governo, all’epoca
il governo Berlusconi, stabilì il punto di raccolta dei rifiuti. Questo posto bellissimo è stato oggetto di
una vera e propria spoliazione.
settembre 2016 La Rivista - 21
venivano fino a forse 20 anni fa, quando
c’era il miracolo del Triveneto; oppure
come in Sicilia, dove ci sono gli immigrati
che fanno svegliare la marineria, che fanno
svegliare l’agricoltura; ma se tu costruisci,
come ci dicono, un progetto cosiddetto
umanitario, il progetto cozza poi con la
realtà dei fatti. Perché, intanto, larga parte
dell’area mediterranea è fatta di province
deserte, abbandonate, dove veramente la
gente non sa che cosa fare.
Io vi posso assicurare, che perfino a Roma,
non c’è ormai famiglia, che per i propri
figli non immagini il biglietto aereo che
consenta loro di andarsene via. Tutti i miei
amici ultracinquantenni e ultrasessantenni del Triveneto, con i loro figli ormai
grandi, maturati e laureati, non ce n’è uno
che sia rimasto a lavorare lì, se ne sono
scapparti via tutti. Chi aveva la possibilità
economica, ha costruito il futuro dei propri figli fuori dal Veneto e stiamo parlando
di una zona ricca, ma così è dappertutto:
in Spagna… in Grecia, paradossalmente,
hanno una condizione migliore, perché
vivono veramente di turismo, di formaggi,
per cui la crisi in realtà non la capiscono,
la vivono ad Atene. Realtà come quelle
che potevano essere quelle della grande
provincia italiana sono devastate, perché c’è un preciso progetto politico che è
quello di liquidare una volta per tutte il
continente europeo.
Come si fa poi l’Europa, escludendo la più
potente e più importante nazione europea
qual è la Russia? I segni hanno dei dettagli
rivelatori. Se è bicipite l’aquila di memoria
germanica, altrettanto bicipite è l’aquila di
memoria russa. Voglio dire: noi abbiamo
bisogno di est e di ovest, il nostro continente si chiama euroasiatico. È un’aggregazione che da sempre vede uniti questi
popoli. Ce lo conferma anche il percorso
dell’acqua: lo spiegavano già i grandi tedeschi, perché quando si affacciavano sul
fiume Neckar, Hegel, Hölderlin e Schelling,
guardavano quell’acqua, sapevano che poi
toccava il Danubio e poi a sua volta andava
a finire verso il Gange.
Questi segreti, questi percorsi sotterranei
sono la vera linfa cui dovremmo fare riferimento, che è l’identità; ma se ce lo dimentichiamo su cosa dovremmo costruire?
Ma chi tira le fila di questo
disegno? Chi ci guadagna in
queste operazioni?
Ti posso rispondere come la canzone di
Battiato: “il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”. Concretamente, però, è un
fatto che abbiamo abbandonato l’amore
per la vita, per il bisogno di grandezza, ci
hanno sottratto questo gusto della bellezza, della grandezza, dell’abitare.
Ti faccio un esempio molto “terrone”: è
22 - La Rivista settembre 2016
una storia tragica, spaventosa. C’è il casino di caccia di Carditello, un’opera di
Vanvitelli, un posto meraviglioso, dove
il governo, all’epoca il governo Berlusconi, stabilì il punto di raccolta dei
rifiuti. Questo posto bellissimo è stato
oggetto di una vera e propria spoliazione. Entravano tutti questi camorristi,
tutta questa gentaglia, strappavano un
lampadario, strappavano un vaso, se
lo portavano nelle loro case: una cosa
ignobile, che è successa recentemente.
Non c’è stato uno che abbia protestato in difesa di questo luogo, è come se
in Veneto si decidesse di fare il centro
raccolta rifiuti nelle ville del Palladio.
Succedono davvero queste cose! Noi
giustamente inorridiamo per quello che
succede nei siti archeologici dove quei
bastardi dell’Isis devastano: lo fanno
perché riconoscono la bellezza, la sua
importanza, la storia e la distruggono;
invece noi la distruggiamo senza rendercene conto. Non abbiamo la percezione di questa meraviglia.
Tu prima hai detto: gli immigrati
li facciamo arrivare se gli diamo
una prospettiva. Se non li
facciamo arrivare cosa facciamo?
Dobbiamo andare all’origine di tutto ciò.
Mi spiego: abbiamo degli ottimi servizi
segreti, che possono benissimo fare il lavoro tipico dei servizi segreti. Andare nel
Magreb e sparare, letteralmente; uccidere, eliminare, chi gestisce il traffico degli
scafisti. Voglio dire, così come hai fatto la
lotta alla Mafia, alla criminalità organizzata; sappiamo perfettamente che la gestione del mercato degli schiavi fatta dagli
scafisti è per cinque/dieci volte superiore
al business della droga, di qualsiasi altro
business della criminalità organizzata. Si
fa così! Realpolitik fa così! Tanto non è un
problema di religione, non è nemmeno un
problema di scappare dalle guerre, per quel
che riguarda tutta la vicenda del Magreb.
È quello che hanno fatto da sempre nei
secoli: il mercato degli schiavi. Una volta
li portavano con le catene, li vendevano
e ognuno se li andava a scegliere, adesso
te li scaraventano così perché sanno quale
sarà l’esito.
La seconda cosa da fare è parlare chiaro
con i nostri alleati potenti, e dire che le
cosiddette ‘primavere arabe’ se le vadano a
fare a casa loro, non a diecimila chilometri di distanza, sapendo perfettamente che
quel prezzo lo paga chi sta vicino. Questa è
la vera questione, perché quando vai a scatenare la guerra in Siria e la gente giustamente scappa dalla guerra, allora bisogna
andare all’origine. Andare a vedere: è necessario scatenare una guerra in Siria? La
Realpolitik impone di ragionare sulle cose.
In questo contesto, il popolo
sovrano si trova confrontato
regolarmente con questioni che
dividono. Anche lì, un effetto del
bipolarismo: da una parte c’è chi
dice sì, dall’altra c’è chi dice no,
su questioni che però sembrano
essere confronti di civiltà. In
Svizzera, ma anche altrove si
vota: minareti sì minareti no;
burqa sì burqa no...
Il terrorismo voleva terrorizzarci e ci ha
terrorizzato. Voleva ammazzarci e ci ha
ammazzato e continua a farlo. Voleva sfregiare definitivamente una religione che
porta come sua prima cifra la parola Salam, che vuol dire “pace”, in una religione
di morte e ci è riuscito.
Allora il terrorismo è innanzitutto un olio
che unge, dilaga e per evitare che prenda
il sopravvento, bisogna come minimo togliere loro la benzina fondamentale che
è l’odio. Poi, soprattutto, non alimentare
questo presunto senso di onnipotenza. Io,
per esempio, trovo assurdo mandare in
onda e far vedere i loro video, perché, e
non bisogna sottovalutarlo, sono tantissimi i disturbati, gli alienati, che restano
affascinati e vanno di là.
Si spiega così anche il fatto che
ci siano i cosiddetti occidentali
che diventano…
La cosa spaventosa è che sono quasi tutti occidentali. Ho visto un filmato di un
povero padre magrebino, naturalizzato
francese, i cui figlio è stato preso dall’Isis.
Quello era sconvolto! Quello era un musulmano per bene, tranquillo: gli sembra
un’aberrazione! Se c’è una delle regole
chiare stabilite da Maometto, è che nessuno va in paradiso a colpi di frusta. Proprio
nessuno!
E i ragazzi che si fan saltare in
aria sperando di…
Quelle sono delle pericolose deviazioni.
Ora, senza voler offendere la sensibilità di
nessuno e con le dovute proporzioni, perché qua c’è il tritolo e là no, è come se noi
pretendessimo di capire il cristianesimo
attraverso i testimoni di Geova. La differenza sfacciata qual è? Che lì c’è il tritolo, c’è la morte, però quante volte noi non
riusciamo a capire “ah perché quelli non
fanno una trasfusione di sangue e fanno
morire…”, “ah perché quelli fanno queste
cose…”. Sono chiuse in un cantuccio e non
ce ne accorgiamo, perché non c’è l’attenzione indotta dall’attualità.
Questi adesso sono diventati un fenomeno
perfino pop: prendono, catturano. Producono alienazione e gli alienati sono attratti, vanno ad alimentare quel mondo e a
scatenare quest’inferno.
A part of
FOOD ZURICH
Ci vediamo all’OSTERIA
15 / 16 settembre 2016 al Papiersaal (Sihlcity)
dalle ore 11:30 alle 23:30
- Ingresso gratuito (pagate quello che gustate)
PER LA GOLA:
A PRANZO O A CENA:
Selezione di vini italiani,
birra artigianale, grappa,
liquori ed un vero caffè italiano
Risotto servito direttamente dalla forma
di parmigiano
Brasato al Barolo con polenta
Taglieri con affettati gustosi
e formaggi tipici
L’originale „Pasta e fagioli“
Deliziosa pasticceria italiana
FUMOIR
MUSICA E
INTRATTENIMENTO:
La fisarmonica (e la chitarra) di
Francesco Nodari l’ultimo dei Trovatori
Aperitivo accompagnato da spumeggianti
cocktail tipici del nostro “Bel Paese”
In palio viaggi in treno alla scoperta dell‘Italia
Gratis: Animazione e babysitting professionale
(fino alle 16.30)
www.bsi-swissarchitecturalaward.ch
Il premio biennale è attribuito ai giovani architetti che
danno un contributo significativo all’architettura
contemporanea, mostrando una particolare sensibilità
verso il paesaggio e l’ambiente.
Vincitori delle edizioni precedenti:
2008 – Solano Benitez
2010 – Diébédo Francis Kéré
2012 – Studio Mumbai
2014 – José María Sánchez García
BSI Swiss
Architectural Award
Vincitore 2016
Junya Ishigami
Incontro pubblico con Domenico Quirico
Racconto un modo, dove l’uomo si
pone una domanda elementare:
sopravvivrò fino a domani
mattina?
A fine marzo l’Università di Ginevra ha ospitato l’intervista pubblica di Domenico Quirico, inviato di guerra
de La Stampa. L’intervista è stata condotta da Michele
Caracciolo con il sostegno dell’associazione culturale A
Riveder Le Stelle. “Il Grande Califfato – dalla primavera araba all’ISIS: il sogno di un Medio Oriente democratico è svanito?”. Questo era il titolo dell’incontro.
Mai come oggi, in seguito ai recenti attentati, le sue
considerazioni sono purtroppo attuali, anche se riferite
ad un’attualità che, nel frattempo, ha registrato altri
drammatici aggiornamenti..
Domenico Quirico è stato suo malgrado protagonista
di questa attualità. Normalmente un giornalista ne è
testimone, non protagonista, e lui ce lo insegna. Astigiano, classe 1951, dopo la laurea in giurisprudenza
Quirico entra a La Stampa di Torino. È stato corrispondente da Parigi sempre per La Stampa e nel 2013 è
stato preso in ostaggio in Siria per cinque mesi terribili
per lui e per la sua famiglia.
Ecco alcuni passaggi dell’intervista.
Che idea s’è fatto dell’attentato di Bruxelles?
Questa milizia territorializzata, come l’ha
definita l’Express, che si autoproclama Stato
Islamico è in realtà morente? Le chiedo questo
poiché il grosso dei morti di Parigi non è stato
causato dalle cinture esplosive, bensì dall’uso
dei mitragliatori, soprattutto al Bataclan.
Piangiamo tutti questi morti, ma contiamoli.
A Parigi erano 130 a Bruxelles sono 35. A
Parigi i terroristi erano divisi in tre gruppi, che
hanno condotto sei attentati simultanei in
punti diversi della città. A Bruxelles, l’ISIS ha
utilizzato solo tre kamikaze e nessuno di loro ha
utilizzato i mitragliatori. L’ISIS sta bleffando?
Faccio una considerazione di carattere generale: troviamo dei motivi di consolazione in qualsiasi cosa. No, lascio
volentieri l’idea che il Califfato sia moribondo ai Candide
del XXI secolo. Faccio una seconda considerazione che riguarda questi attentati europei: gli attentati di Parigi e di
Bruxelles non si ricollegano alla guerra civile siriana o alla
nascita del Califfato o di formazioni jihadista che vogliono
costruire lo stato perfetto. Questo c’entra relativamente.
Si tratta in realtà di un problema francese e belga. Nel
99,99% gli attentatori non sono arrivati su di un barcone
La copertina del libro di Quirico
a Lampedusa provenendo dalla Siria. Questa è gente che è
nata, cresciuta, vissuta ed educata in Francia e in Belgio.
Guardi che quando io sono arrivato a Parigi alla fine del
2004 i giovani delle banlieues partivano al rullo del tamburo e non della marsigliese, perché non li riguarda, per
andare a combattere gli americani in Irak. Tutti lo sapevano. Le considerazioni che si facevano all’epoca erano: “Allez
les gars, allez emmerder les américains”. Questi ragazzi sono
usciti dallo stesso posto da cui sono usciti quelli che hanno
settembre 2016 La Rivista - 25
sparato al Bataclan. Sono rimasto stupefatto
che la Francia si mettesse la mano nei capelli
chiedendosi chi fossero gli attentatori e indicandoli come gli inviati del califfo. Ma quali
inviati del califfo? Quelli ve li siete costruiti
voi. Sono vissuti accanto a voi.
Io abitavo vicino alla fermata della metropolitana Odéon, quartiere chic. Prendi la metropolitana, fai otto fermate e scendi in posti
simili ad Algeri, Tunisi. Sei in un altro mondo.
Dov’è la France? Non c’è, non c’è la Francia.
In queste zone periferiche vivono secondo un
sistema di vita totalmente diverso, vestono in
modo diverso, parlano in modo diverso, parlano una lingua in cui c’è un po’ di francese.
Sono andato in una chiesa cattolica enorme
di uno di questi quartieri e non c’era nessuno. Era domenica, ho incontrato il prete e mi
ha detto: “Qui ormai non ci sono più cattolici”.
Hanno la moschea nei capannoni. Lì mangiano in modo diverso, pregano in modo diverso,
si comportano in modo diverso. Con questo
non faccio una classificazione xenofoba, ma
di differenza. La Repubblica francese è rimasta
uno stato giacobino per certi aspetti addirittura bolscevico che mette gli acronimi a tutto e
che vuole sapere tutto. Ti costringe a studiare
in un certo modo, vestirti in un certo modo,
mangiare in un certo modo, dimagrire in un
certo modo. È la Francia ancora ferma lì al
1793, a Robespierre.
Io andavo a correre nelle banlieues. Ce ne sono
alcune che sono bellissime con dei boschi. Non
è vero che sono così degradate. A Torino ci sono
dei quartieri che se quelli che ci abitassero dentro andassero a Mantes-la-Jolie [N.d.R. vicino
Parigi] penserebbero di essere in un quartiere
residenziale. Hanno tutto. C’è lo spazio pubblico, il mercato, il cinema, il campetto per giocare
a pallone. C’è tutto. L’aria è diversa. Lì i francesi
non vanno. Ho conosciuto dei francesi che non
hanno mai messo piede in periferia.
“Cosa ci vai a fare nelle banlieues? Cosa vai
a vedere?” – mi dicevano. “Ti rubano le ruote
della macchina”, cosa non vera, tra l’altro. I
francesi fanno finta di non vedere. Ero corrispondente a Parigi durante la rivolta delle
banlieues. È stata un’autodistruzione. Hanno
bruciato le macchine loro. Non sono mai andati a bruciare le macchine del centro. Bruciavano le macchina dello zio, del nonno. In
queste zone la polizia francese non ci mette
piede. Va quando deve andare ad arrestare
un rapinatore perché l’hanno inseguito con
la macchina, altrimenti non ci va. Non sanno
cosa sia successo in quei luoghi. Io lavoravo
a Le Monde e, quando scoppiò la rivolta, assunsero un maghrebino perché non sapevano
come fare a mandare uno laggiù. Avevano
fifa. Io ci andavo e loro no. Avevano assunto
un ragazzo maghrebino di buona penna e gli
avevano detto: “Senti, occupati tu di questo
casino perché non sappiamo come fare”.
La prima volta che la televisione francese, il
primo canale, ha assunto come conduttore del
26 - La Rivista settembre 2016
Il giornalista con Andrea Buscaglia, tesoriere dell’associazione A rivedere le stelle
telegiornale uno che veniva dalle Antille ed
era un po’ scuro, i giornali sono andati avanti
per un mese dicendo: “Magnifico! Come siamo antirazzisti! Che meraviglia!”. Ma come? La
Dichiarazione dei diritti dell’uomo è del 1790
e ancora esultate perché avete assunto un
giornalista di colore alla televisione? Questa
è la Francia: un paese d’immensa ipocrisia e
grandi valori. Li hanno inventati loro.
Non c’entra niente il Califfato con questi attentati. Se vogliamo capire cosa sia capitato
e fare qualche cosa per impedire che si ripeta
non dobbiamo andare a bombardare l’ISIS.
Dobbiamo mandare qualcuno nelle banlieues
o in quel quartiere di Bruxelles [N.d.R. Molenbeek]a capire cosa sia successo lì.
La condizione umana di quella gente non è
necessariamente una condizione di degradazione economica. Attenzione, non è un problema di soldi nel portafoglio. È un problema
psicologico di differenza, d’ignoranza reciproca, dell’ignorare l’altro e non sapere che cos’è.
Allora lì bisogna andare per capire. Poi altra
cosa è il Califfato. Chi sostiene che questi attentati siano il frutto di una sorta di dipendenza gerarchica tra l’ISIS e gli attentatori si
sbaglia. Il Califfato fa terrorismo quando gli
fa comodo, ma non è un’organizzazione che
si occupa direttamente ed esclusivamente di
fare attentati. Il Califfato fa la guerra, conquista delle città, caccia via della gente, costringe
a mollare dei luoghi, controlla delle connessioni fondamentali tra le parti del mondo
come il deserto del Sinai e il lago Chad. Questo gli interessa. Poi ci sono delle persone che
non fanno parte gerarchicamente del califfato
e che sono affascinate dal suo successo. […]
Gli occidentali non riescono a sradicarlo o non vogliono sradicarlo, ma non volere è come non potere. La potenza “potenziale” è una cosa ridicola.
Devi usare la forza poiché se non la usi non esiste.
L’esperienza tremenda del sequestro
ha ispirato il suo libro “Il paese del
male. 152 giorni in ostaggio in Siria,
edito da Neri Pozza, 2013.” Quirico,
la scrittura di ciò che visse in quei
mesi è stata per lei un sollievo?
La domanda è un po’ complicata. Faccio una
premessa: io di mestiere faccio il giornali-
sta, non faccio l’ex ostaggio. Ho incontrato
molti anni fa, quando ero a Parigi, Georges
Malbrunot, un giornalista di Le Figaro, che fu
sequestrato in Irak con Christian Chesnot, un
collega sempre della stessa testata. Una sera
chiacchierando di queste tristi vicende mi disse: “Guarda, stai attento perché, se ti capita
la mia stessa sorte, il problema più grosso che
puoi avere, oltre a quello di tornarne evidentemente vivo, è quello di diventare a poco a poco
testimone di te stesso cioè di cominciare ad
andare in giro e, invece di raccontare la realtà
che sta intorno a te, di raccontare quello che ti
è capitato”. Sono passati parecchi anni e anch’io passo attraverso questa esperienza che è
una normalità del mio mestiere. Io sono stato
sequestrato quattro volte in vita mia in luoghi
diversi del mondo e da movimenti di natura
ideologica e politica diversa. Se uno va in certi
posti, dove accadono guerre e rivoluzioni, il
sequestro è un rischio concreto. Questi sono
i miei luoghi. Io non seguo elezioni. Non m’interessano. Le trovo noiose. Non verrei mai in
Svizzera per un referendum. Sono cose francamente importanti, ma non me ne importa
nulla. Io vado solo in luoghi in cui l’uomo è
messo di fronte alla sua realtà più brutale, ossia vivere o morire e le sue domande sono elementari: sopravvivrò fino a domani mattina?
Questo è il mondo che m’interessa raccontare
e il mondo che io credo sia obbligatorio raccontare. Tutto il resto è senz’altro importante
ma a me della crisi economica non importa
assolutamente nulla e del PIL italiano, belga o
svedese meno ancora. Non sono i miei problemi. I miei problemi sono quelli delle persone
che io identifico con uno slogan: coloro che
vivono in luoghi della Terra in cui i due gesti più elementari che ognuno di noi compie
migliaia di volte ogni giorno senza pensarci,
cioè schiacciare l’interruttore della luce e aprire il rubinetto dell’acqua, non solo non sono
possibili, ma se fossero possibili, sarebbero un
miracolo inteso in senso biblico della parola,
cioè una modificazione radicale della natura
delle cose determinata da una forza superiore.
Il mio mondo è questo: un mondo in cui non c’è
l’acqua corrente e non c’è l’energia elettrica; in
cui si va a dormire quando il sole tramonta e ci
si leva quando il sole sorge, dove andare a pren-
dere l’acqua, che è compito delle donne, significa camminare per dieci chilometri nel deserto
prima di trovare un pozzo e di portarsi indietro
l’anfora sulla testa; in cui quando esci dalla tua
capanna puoi trovare una persona che armata
di Kalashnikov può ucciderti impunemente e in
maniera arbitraria.
Il mio è un mondo in cui la differenza tra
l’essere umano e non esserlo, non è la carta d’identità o un documento di stato civile
perché non esiste, ma avere un’arma o non
averla. Se tu hai un’arma, sei un uomo e
quindi degno di essere preso in considerazione. Se non ce l’hai, sei un sasso, una formica,
qualcosa che posso schiacciare e cacciar via
senza alcun problema. Allora in questo tipo
di realtà il giornalismo può esistere come testimonianza. Ha ragione di esistere e ha il significato etico di esistere come testimonianza di queste cose. Tutto il resto chiamatelo
come volete, ma non è giornalismo. È un’altra cosa e non m’interessa. Il mio giornalismo
è la condivisione del dolore degli uomini e il
loro racconto. Questo è l’unico giornalismo
che ha senso per me.
La condivisione, il passare attraverso il dolore
serve per avere il titolo etico di raccontarlo,
altrimenti non ce l’hai. Entrare nella vita negli
altri e per di più nel dramma degli altri è una
cosa di estrema arroganza. Puoi farlo solo se te
lo guadagni e per guadagnartelo devi passare
esattamente attraverso la stessa esperienza.
Un giorno, se uno che io ho incontrato e la cui
vita era niente, ma che io ho trasformato in
vita perché l’ho raccontato, l’ho fatto parola,
[…] e ho trasformato il suo silenzio, che non
è scelta ma è obbligo, necessità, costrizione,
in vita, in qualcosa che quelle quattro persone che mi leggono hanno davanti a sé e che
riconoscono e toccano come uomini, ecco, se
un giorno una di queste persone che ho raccontato, e sono migliaia in più di vent’anni che
faccio questo mestiere, si alzasse e mi ponesse
la domanda: “Ma quando io soffrivo, quando
io rischiavo di morire, quando gli altri mi braccavano, tu dove stavi?”. Allora io obbligatoriamente devo poter rispondere: “Ero lì con te, la
tua paura è stata la mia, il tuo dolore è stato il
mio, la tua speranza è stata la mia e, solo perché io ero lì con te, io posso descriverti”. Allora
in questa dimensione così sommariamente
tracciata il fatto che io sia stato sequestrato
cinque mesi è totalmente irrilevante.
La storia che vale la pena di leggere non è
la mia che è una storia piccolissima, tra l’altro finita bene. Sono qui a chiacchierare con
voi. Non sono morto e ne sono uscito con le
ossa intere. Ho preso il grandangolo del mio
sguardo e l’ho allargato su una tragedia vera e
grande assai più importante e permanente: la
guerra civile siriana. Vi sono stime che parlano
di 350’000 morti in cinque anni di furia, di orrore. Solo in quel caso la mia storia personale
viene ad avere un senso, altrimenti non conta
nulla. Io non conto niente in questa storia. Io
sono un viaggiatore passato attraverso quei
luoghi per un periodo più lungo di quanto
avevo programmato. Sono stato sei volte in
Siria durante la rivoluzione siriana. Ciò che è
accaduto a me è una pagliuzza nella storia.
Di qua ci sono io e dall’altra parte ci sono
350.000 morti. Ripetete questo numero. Forse
sono di più. Chi si è messo a contarli? La tragedia siriana è una delle maggiori del secolo
che ci siamo lasciati alle spalle e del nuovo
che è appena arrivato. Ma i numeri esprimono
qualche cosa solo fino a un certo punto. Voi
dovete fare un’operazione e parlo della Siria,
dell’Irak, della Libia e anche di altri paesi che
io ho attraversato in vent’anni dal Mozambico alla Somalia dal Ruanda alla Sierra Leone,
all’Algeria, alla Cecenia. Allora voi dovete fare
un’operazione apparentemente semplice:
prendere ognuno di quei 350’000 morti e trasformarlo da un numero in un essere umano,
materializzarlo, cercare di farlo venire davanti
a voi. È una donna, un bambino, un vecchio.
Badate che i 350’000 morti della guerra siriana non sono dei combattenti, non sono i
miliziani delle formazioni ribelli e jihadiste.
Quelli saranno il 10% se va bene. Tutto il resto
è popolazione civile, come si suol dire, gente che stava in coda per comprare il pane ed
è stata falciata da una raffica di mitra o da
un colpo di mortaio oppure è precipitata sotto le macerie della propria casa bombardata
dall’artiglieria pesante. Trasformate ognuno di
quei 350’000 numeri in un essere umano. Toccateli, guardateli, sentiteli, vedete i loro occhi
su di voi: bambini, donne, vecchi, uomini disarmati siriani. Trovateveli davanti, riempite la
piazza più grossa di questa città e riempitela
di questa gente, lo stadio, le vie e i quartieri.
Alzatevi e guardateli. Sentiteli respirare anche
se non respirano più, allora in quel momento,
quando li avrete tutti davanti, potrete cominciare a ragionare di Siria e di Medio Oriente,
di Califfato e delle guerre del fanatismo. Solo
allora, perché li avrete davanti e i numeri sono
diventati persone.
Io non ho risposto alla sua domanda. Ho scritto il libro sul sequestro perché avevo fatto
una promessa al mio compagno di prigionia.
Quando sono tornato l’ultima cosa al mondo
che avrei voluto fare era scriverlo, ma mantengo sempre le promesse. Il libro è scritto a
quattro mani.
Cosa mi ha lasciato tutto questo? E poi chiudiamo in una bara definitiva questa storia
vecchia di tre anni. Non lo so. Non so sinceramente se mi ha reso un uomo peggiore o
migliore di quello che ero. Forse sono diventato peggiore dell’uomo che ero. Il sequestro
mi ha lasciato dentro delle tossine, dei veleni che vengono fuori a poco a poco come il
senso dell’insicurezza e l’idea permanente di
poter esser tradito da qualcuno, perché la mia
storia è una storia di tradimento. Le persone
che mi hanno sequestrato erano persone di
cui io mi fidavo, con cui ero entrato in Siria
sei volte per raccontare e non per andare a
cogliere i misteri della guerra siriana. Avrei dovuto imparare già da tempo che in certi luoghi
del mondo non ti puoi fidare di nessuno, invece sono rimasto essenzialmente una persona
ottimista del genere umano. Tra qualche anno
mi accorgerò che tutto questo mi ha corrotto e non sono migliore di com’ero, ma adesso
non posso dirlo. […]
Domenico Quirico con Michele Caraccio che ha animato l’încontro
settembre 2016 La Rivista - 27
Donne in carriera:
Carla La Placa
di Ingeborg Wedel
Ho conosciuto la nostra donna in
carriera all’Expo di Milano, dove
rappresentava la Sicilia operosa e
–anche a lei– è stata dedicata una
‘statua’, posta nel Padiglione Italia.
Ho chiesto l’intervista a questa giovane e bella imprenditrice,
in quanto con acume ha intuito
l’importanza di far rivivere le coltivazioni del passato che hanno
segnato la storia delle popolazioni
mediterranee.
La coltivazione biologica –applicata sui 74
ettari della sua terra –ha ridato vita all’ambiente: sono ritornate le lucciole e le coccinelle e quindi anche le rondini che si nutrono
di questi insetti.
Carla è stata premiata per il suo coraggio e
la sua perseveranza e –oggi –può affermare
che le sue intuizioni erano esatte e vengono
tenute in grande considerazione: infatti ha
preservato dall’estinzione totale i grani affinché le generazioni future abbiano ancora
l’opportunità di conoscere e degustare semi
e legumi qualitativamente migliori per la nostra alimentazione e salute.
Lasciamo che sia la nostra protagonista a
parlarci di sé e della realtà nella quale opera,
inglobando nel suo racconto anche le domanda che siamo soliti porre in questa nostra rubrica.
“Sono nata a Catania il 27 maggio 1979. Mi
sono diplomata con il massimo dei voti all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Caltagirone,
dove ho imparato a lavorare e a dipingere
la creta. Un corso di studi questo che apparentemente nulla ha a che fare con la mia
attuale attività lavorativa.
Sono single. I miei genitori lavoravano a Catania, ma ogni fine settimana portavano me
e mio fratello Claudio a San Giovannello, la
proprietà di famiglia dove abbiamo imparato
ad arrampicarci sugli alberi per raccogliere le
28 - La Rivista settembre 2016
Quella ragazzina
arrivata dalla città
olive o le mandorle. A 18 anni mio padre ha
cominciato a portarmi con sé negli uffici dove
sbrigava le incombenze burocratiche per la
conduzione dell’azienda e a coinvolgermi nella sua direzione. Mi sono interessata sempre
più a questa attività ,ho partecipato a corsi
di formazione, e tutto ciò, unito all’amore per
la natura inculcatomi fin da piccola dai miei
genitori, ha fatto sì che presto mi sia resa autonoma nella gestione dell’azienda
Il passaggio alla coltivazione secondo le modalità dell’agricoltura biologica è stato il primo
passo per la conservazione della biodiversità
che stava scomparendo, perché non c’erano
più farfalle, lucciole, rondini. Poi un giorno visitando la Stazione Consorziale di Granicoltura di Caltagirone mi sono resa conto che la
Sicilia nei secoli passati era una terra ricca di
varietà di grani che non erano più coltivati e si
stavano estinguendo. È stato in quel momento
che ho deciso di attivarmi, con l’aiuto e la consulenza dell’Istituto che mi ha fornito i semi
di Tumminia, forma dialettale per definire il
grano Timilia , per preservare dalla estinzione
i semi antichi che sono stati coltivati in Sicilia
per oltre due mila anni.
Divengo così seeds saver e l’Azienda agrituristica San Giovannello diviene il luogo dove si
coltivano, non solo grani antichi come Timilia
e Maiorca, ma anche legumi antichi come le
lenticchie nere delle colline ennesi e le cicerchie di Aidone.
Non mancano i legumi moderni come i ceci
sultano (varietà siciliana) i ceci neri (varietà
selezionata in azienda), le lenticchie Maior,
gli alberi di ulivo e di mandorlo piantati da
mio nonno. Ho anche ripreso la coltivazione
dello zafferano che all’inizio del secolo scorso guarniva i sentieri dove mia nonna e sua
sorella amavano passeggiare il pomeriggio.
In poche parole l’agriturismo per me diventa la vetrina del territorio, tramite la quale
è possibile far conoscere i gusti, i sapori e le
tradizioni della mia terra alle persone che vi
soggiornano anche per poco tempo.
Grazie alle conoscenze acquisite negli anni
riesco ad immettere nel mercato agroalimentare piccoli quantitativi di cibo ottenuti
in prevalenza da i grani e legumi prodotti
nella mia terra. Oggi ne sono consapevole:
cibi ottenuti da varietà antiche danno origine ad alimenti salubri che recano benessere
a chi sceglie di portarli sulla propria tavola.
Grazie a tutti quei consumatori consapevoli,
che per la propria tavola effettuano scelte di
qualità, noi agricoltori custodi sparsi in tutto il mondo siamo in grado di conservare un
importante patrimonio genetico seminando
e raccogliendo ogni anno i nostri semi.
Una società estremamente
maschilista
La società contadina del centro della Sicilia è
stata una società estremamente maschilista
dove l’uomo si è occupato della coltivazione
dei terreni e la donna ha curato gli animali
da cortile e procurato il cibo facendo il pane ,
la pasta e cucinando per marito e figli.
L’inizio della mia attività ha rotto un equilibrio che si era protratto per secoli. Naturalmente ho avuto grandi difficoltà anche
per la mia giovane età sia nel rapportarmi
con i dipendenti spesso molto più anziani di
me che cercavano una figura maschile con
la quale interloquire, sia nei rapporti con i
vicini: alcuni ottimi, altri pessimi, perché mi
minacciano e ostacolano il mio lavoro, cosa
che se fossi stata un uomo probabilmente
non sarebbe accaduta.
È stato necessario che io acquisissi maggiore
esperienza e soprattutto imparassi a selezionare le persone con cui lavorare scegliendo
collaboratori desiderosi di sperimentare ed
imparare con me nuove tecniche di coltivazione per la produzione di semi in estinzione
dove gli antichi metodi vengono supportati
dall’innovazione tecnologica; con la mia
stessa voglia di innovazione, con una cultura di scuola superiore ed una mentalità più
aperta ai cambiamenti. Quantificando posso
dire che ho trovato le mie affermazioni dopo
circa 8 anni di lavoro.
Ho dovuto studiare, parlare e confrontarmi
con tante persone prima di raggiungere la
sicurezza che oggi mi supporta nella gestione aziendale e che mi ha anche fatto divenire modello e consigliera di tante colleghe
e colleghi che hanno iniziato dopo di me a
guidare le aziende agricole familiari. Oggi
sono molti in provincia di Enna i giovani che
nel cambio generazionale hanno sostituito i
padri e stanno guidando le aziende di famiglia. Con alcuni di loro è nata una sinergia
che ci ha portato a collaborare e crescere insieme dando una nuova spinta alle rispettive
aziende.
Come capo azienda sono riuscita a farmi
rispettare ed ho trovato persone che credono in me e nelle mie capacità acquisite
lavorando a stretto contatto con gli operai,
non tirandomi indietro se c’è da zappare o da
servire in tavola nel ristorante, ma anche facendoli crescere insegnando loro ciò che ho
appreso nei corsi da me frequentati.
Gente giovane dalla mentalità
aperta
Fino a qualche anno fa la mentalità retrograde e chiusa degli anziani mi ostacolava notevolmente nella gestione dell’azienda anche
perché non abituati a coltivare ciò che coltivo
adesso erano convinti che non avrei ottenuto
nulla. Oggi, non solo visti i risultati, ma anche
perché ho a che fare con gente giovane, con
un grado culturale più elevato, con mentalità
più aperta e pronta ad accettare i cambiamenti, la situazione è cambiata in meglio.
Ho iniziato la mia attività imprenditoriale
poco dopo i 18 anni, inizialmente è stato difficile farsi valere, molti mi consideravano “la
ragazzina arrivata dalla città”. Negli anni ho
impiegato tutte le mie forze ed energie per
far crescere l’azienda, ciò mi è costato caro
in termini personali, ho dovuto rinunciare a
figli e famiglia, probabilmente anche perché
chi mi è stato accanto negli anni non credeva nella possibilità di conciliare attività imprenditoriale e familiare, preoccupandosi che
l’ambiente rurale non fosse il luogo idoneo
per la crescita di bambini e per le loro opportunità di sviluppo in età adulta.
Personalmente ho colto l’opportunità di poter conciliare due aspetti professionali differenti; quello più maschile legato al lavoro
nei campi per la produzione di cibo e quello
femminile legato alle mansioni domestiche,
in particolar modo alla passione per la cucina. Dall’unione di questi aspetti ho creato
quello che oggi giudico il mio motto: “dalla
terra alla tavola attraverso la cucina” poiché
con i prodotti agricoli nati nella mia terra mi
diletto a reinterpretare ricette di cibo biologico e salutare, da proporre anche agli ospiti
del nostro agriturismo.
Non se mi sento privilegiata. Per paradosso,
forse il fatto di essere una donna che nell’entroterra siciliano svolge un attività imprenditoriale agricola ha attirato l’attenzione dei
media. Un fatto che valorizza il lavoro che
svolgo da anni.
In quanto donna do molta importanza all’intuito. Gli uomini sono tendenzialmente razionali, mentre noi donne possediamo un’agilità mentale che ci rende più adattabili ad
interagire con situazioni differenti, e a risolvere nel modo più pratico.
Viva la campagna
Parlando di attività legata alla campagna,
dove si va in giro con jeans e scarponi, c’è
poco da illudersi che la seduzione possa
aprire qualche strada. L’atteggiamento, soprattutto con gli operai, deve essere molto
distante da quello seduttivo. Altra cosa,
quando sono fuori con gli amici, anche se
poi emerge un carattere forgiato negli anni
a prendere decisioni veloci, a fronteggiare e
risolvere improvvisi problemi.
Mi sento realizzata ogni qual volta ha verificato che le mie intuizioni si sono rivelate
esatte e ciò mi ha portato ad ottenere riconoscimenti come, nel 2011, il premio sulla
qualità e l’esposizione dei prodotti agroalimentari come seconda classificata durante la
Fiera Agroalimentare Mediterranea conferitomi dalla Camera di Commercio di Ragusa, o
nel 2012 il Premio De@Terra indetto dall’ONILFA (Osservatorio Nazionale per l’Imprenditoria e il Lavoro Femminile in Agricoltura)
tramite il Ministero delle Politiche Alimentari
e Forestali, o l’essere stata scelta a rappresentare la Sicilia per “l’eccellenza del saper
fare. Tutto ciò ti aiuta a superare i momenti
bui e ti gratifica, e ti senti soddisfatta. Come
quando sono stata scelta per rappresentare
la Sicilia all’interno di Padiglione Italia alla
mostra del saper fare in Expo
nei confronti dei miei collaboratori ho sempre mostrato disponibilità e comprensione,
perché sono dell’opinione che il dipendente,
qualunque sia il genere, se soddisfatto svolge il suo lavoro con amore e dedizione. Ciò
ovviamente anche a vantaggio dell’azienda.
Considero il mio molto impegnativo. Fino ad
un paio di anni fa non c’erano vacanze, divertimenti, soste: solo ed esclusivamente lavoro. Ma ad un certo punto mi sono accorta
che non avevo una vita privata, impossibilitata ad avere una famiglia, degli amici. Oggi,
con l’aiuto di qualcuno, ho cambiato atteggiamento e cerco di dedicare qualche ora alla
frequentazione di amici e alla vita di società.
Vivo in campagna, lontano dalle città e l’unica cosa quotidiana è il contatto con la natura.
Negli anni passati era poco il tempo che dedicavo a me stessa e piano piano ho accantonato le mie passioni, le prime fra tutte l’arte di
dipingere la ceramica e il forgiare l’argilla. Da
qualche hanno a questa parte invece ho deciso
di crearmi piccoli momenti durante la giornata
da dedicare alla lettura e all’attività fisica; il
tutto con l’intento di generare nel mio organismo uno stato di tranquillità e benessere”.
settembre 2016 La Rivista - 29
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Le strategie di risposta degli individui alla richiesta di disponibilità totale verso il lavoro possono essere
dannose per le organizzazioni.
Conciliare vita privata e professionale è una delle sfide di cui più si legge e discute, anche le organizzazioni più innovative richiedono spesso una disponibilità quasi totale grazie ai dispositivi elettronici che connettono tutti 24 ore su 24.
Ho trascorso una vacanza in viaggio in Africa e, benché mi ritenga consapevole del problema, sono rimasto sorpreso di
come cambino le dinamiche sociali in un gruppo quando il wifi non c’è.
Disponibilità totale dunque, assoluta dedizione al lavoro, connessione permanente. Un recente articolo dell’autorevole
Harvard Business Review avanza tuttavia l’ipotesi che tale situazione sia dannosa non solo per l’individuo ma anche per
le organizzazioni che trasmettono questo valore. Gli autori riportano una classificazione delle strategie che vengono
messe in atto dalle persone per gestire lo stress di essere sempre disponibili: la prima è l’accondiscendenza, l’individuo
si conforma alle richieste, accetta la pressione. Quando il lavoro è interessante, questa strategia può portare ad una
carriera gratificante, tuttavia l’individuo è molto vulnerabile agli imprevisti perché punta tutto solo sulla professione,
inoltre spesso riproduce la pressione che riceve sui collaboratori rischiando di pregiudicare il loro sviluppo armonico.
La seconda è la dissimulazione, le persone dedicano tempo ad attività extralavorative senza farlo sapere all’organizzazione. Qualcuno si dedica a clienti situati in un’area ristretta vicino all’ufficio, altri al contrario sfruttano la lontananza
dalla sede per autoregolare i propri orari di lavoro. Ricordo agli inizi della mia attività lavorativa un mitico collega anziano che teneva sempre una giacca appesa in ufficio, chi lo cercava pensava fosse in riunione, invece, lui se ne era andato
da ore. Questa strategia presenta certamente un costo psicologico per l’individuo che nasconde la propria identità, ma
soprattutto per l’organizzazione perché le ricerche mostrano che nel tempo i dissimulatori hanno una percentuale di
turnover elevata e qualche difficoltà nella gestione delle persone, ma soprattutto, non combattendo apertamente la
cultura della disponibilità totale, permettono la sua sopravvivenza.
Infine vi è la strategia di chi esce allo scoperto condividendo apertamente tutti gli aspetti della propria vita extraprofessionale chiedendo addirittura di cambiare la struttura del lavoro e accettando le penalizzazioni che spesso ne
conseguono. Tale situazione non riguarda solo le donne, anche percentuali significative di uomini fanno questa scelta.
In questo caso le persone si fanno conoscere dai colleghi, vivono una vita più autentica, tuttavia le penalizzazioni alla
lunga possono creare risentimento, specie a fronte di risultati eccellenti conseguiti; talvolta succede anche che vi siano
difficoltà nella gestione dei collaboratori.
L’articolo conclude sottolineando che la pressione è ai massimi storici, tuttavia qualcosa può essere fatto dai leader per
il benessere delle persone ma anche per il successo delle organizzazioni. Per esempio, devono coltivare tutti gli aspetti
della propria identità e comunicarli apertamente, possono privilegiare i premi basati sul risultato e la crescita dei collaboratori piuttosto che sulle ore di lavoro, possono proteggere la vita privata dei dipendenti evitando carichi di lavoro
esagerati e richieste urgenti.
Un caso tipico è quello delle mail serali e della comunicazione elettronica in generale. Quando un capo invia una
richiesta fuori orario deve essere consapevole che chi adotta la strategia di accondiscendere risponderà rapidamente
perché raramente ha progetti per la serata ma rischia di logorarsi, chi dissimula fornirà una risposta interlocutoria e
rassicurante dicendo che ci sta lavorando anche se si trova al cinema ma non creerà un rapporto stretto di fiducia, infine
chi è uscito allo scoperto se risponderà chiederà di parlarne all’indomani ma potrà non cogliere appieno una urgenza
reale straordinaria.
Ogni leader deve aver chiaro che una comunicazione via mail può essere molto critica perché la posta elettronica è
pratica e veloce ma non consente di trasmettere il tono della voce e neanche l’espressione del viso ed il linguaggio del
corpo. Una comunicazione riguardo una situazione difficile richiede la consapevolezza che dall’altra parte dello schermo
ci sono persone. Dopo aver scritto la mail è utile verificare se il contesto emozionale del messaggio sia poco chiaro,
addirittura può essere importante mettersi nei panni del destinatario ed eventualmente riscrivere il testo.
Infine, prima di premere Invia tre lunghi respiri consentono di focalizzarsi sul fatto che si è assolutamente liberi di non
spedire affatto la mail.
[email protected]
settembre 2016 La Rivista - 31
Burocratiche
di Manuela Cipollone
Le novità in Gazzetta Ufficiale
Cooperazione doganale tra Italia e Svizzera, norme contro il terrorismo e per tutelare
i creditori delle banche. Sono solo alcuni dei provvedimenti entrati in vigore negli
ultimi mesi con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Dall’11 agosto scorso produce effetti la legge 155/2016, quella, cioè, che ha ratificato un accordo
sulla cooperazione di polizia e doganale tra Italia e Svizzera, siglato a Roma nell’ottobre 2013.
Obiettivo della legge quello di rafforzare la cooperazione di polizia, particolarmente in prossimità
della frontiera comune, così da salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, e di lottare efficacemente contro i traffici illeciti doganali, l’immigrazione illegale e la criminalità transfrontaliera.
I due Paesi collaboreranno quindi per contrastare i reati contro il patrimonio, quelli economici e
finanziari, così da localizzare patrimoni di provenienza illecita. Per farlo, l’accordo dispone il rafforzamento dello scambio di informazioni prevedendo, tra l’altro, la possibilità di definire misure
congiunte di sorveglianza della frontiera comune, anche con l’istituzione di unità miste.
Nei 43 articoli dell’accordo si chiariscono gli ambiti della cooperazione e le modalità in cui essa
deve essere declinata, prevedendo, appunto la cooperazione diretta nella zona di frontiera e l’istituzione di un “centro comune” che, recita l’articolo 27 è “destinato ad accogliere personale composto da agenti di entrambe le Parti” che “nell’ambito delle loro rispettive competenze, lavorano in
gruppo, si assistono reciprocamente, si scambiano informazioni sulla cooperazione transfrontaliera, le raccolgono, le analizzano e le trasmettono senza pregiudicare lo scambio di informazioni per
il tramite degli organi centrali nazionali e della cooperazione diretta”.
Tale cooperazione avrà luogo sulla base di richieste di assistenza da parte dell’Autorità competente di uno dei due Paesi, ma, ovviamente, nulla impedisce una spontanea forma di collaborazione e
informazione tra le parti, con un occhio alla tutela dei dati personali, così come stabilito dal titolo
VI dell’accordo.
Prevenzione e repressione del terrorismo
In vigore dal 28 agosto anche le nuove norme per la prevenzione e la repressione del terrorismo.
In particolare, vengono previste tre nuove fattispecie di reato: il Finanziamento di condotte con
finalità di terrorismo; la Sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro e gli Atti di terrorismo
nucleare.
In questo modo si punisce con la reclusione da sette a quindici anni “chiunque raccoglie, eroga
o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in
parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo” previste dall’articolo 270-sexies “indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate
condotte”.
Inoltre, è punito con la reclusione da due a sei anni e la multa da tremila a quindicimila euro
“chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro, sottoposti a sequestro
per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo”.
Con “Atti di terrorismo nucleare” si intende punire - con la reclusione non inferiore a quindici
anni – chi “con finalità di terrorismo procura a sè o ad altri materia radioattiva; crea un ordigno
nucleare o ne viene altrimenti in possesso”. Viene invece punito con la reclusione non inferiore a
venti anni “chiunque, con finalità di terrorismo, utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare;
32 - La Rivista settembre 2016
utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o con il concreto pericolo che
rilasci materia radioattiva”.
La legge, inoltre, autorizza la ratifica di diverse convenzioni internazionali siglate dal 2005 al 2015.
Decreto salvabanche
In vigore anche il cosiddetto decreto salvabanche (Disposizioni urgenti in materia di procedure
esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione).
Il provvedimento contiene misure di sostegno alle imprese e di accelerazione del recupero crediti
(anche mediante modifiche alle procedure civilistiche di esecuzione forzata e alle norme fallimentari); disciplina gli interventi in favore degli investitori in banche in liquidazione; reca disposizioni
finanziarie relative, tra l’altro, alle imposte differite attive ed al personale del comparto del credito.
In particolare gli articoli da 8 a 10 contengono disposizioni in favore dei soggetti che hanno investito in banche in liquidazione, sottoposte a procedure di risoluzione. Si tratta in particolare di
coloro che hanno acquistato obbligazioni subordinate della Banca delle Marche S.p.A., della Banca
popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, della Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A. e
della Cassa di risparmio della provincia di Chieti S.p.A. direttamente dall’istituto di emissione o da
un intermediario.
A specifiche condizioni di legge e in presenza di determinati presupposti di ordine patrimoniale e
reddituale, questi investitori possono chiedere l’erogazione di un indennizzo forfetario, pari all’80
per cento del corrispettivo pagato per l’acquisto degli strumenti finanziari, al netto degli oneri e
spese connessi all’operazione di acquisto e della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati e il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri.
Tale indennizzo è a carico del Fondo di solidarietà per l’erogazione di prestazioni in favore degli
investitori, istituito dall’articolo 1, comma 855, della legge di stabilità per il 2016.
Agevolazione per la partecipazione di
imprese italiane in società o imprese
all’estero
Pubblicata in Gazzetta anche una circolare della Simest - Società Italiana per le Imprese all’Estero – sulle “Agevolazione sui finanziamenti relativi alla partecipazione di
imprese italiane in società o imprese all’estero” così come previsto dall’articolo 4, della
legge 100/1990, circa i limiti massimi di importo dei finanziamenti agevolabili.
Il Comitato agevolazioni, istituito presso la SIMEST, nella sua ultima riunione – il
23 giugno scorso – ha quindi deliberato che “l’importo massimo dei finanziamenti
ammissibili all’agevolazione è pari a 40 milioni di euro per singolo progetto di investimento e per richieste di agevolazione pervenute nel medesimo anno solare” oppure
“80 milioni di euro per gruppo economico (inteso come insieme di imprese i cui bilanci
rientrino in uno stesso bilancio consolidato) e per richieste pervenute nel medesimo
anno solare”.
In vigore dallo scorso luglio anche alcune modifiche alla legge del 1975 in materia
di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
In particolare, si aggiunge un nuovo comma al testo approvato 41 anni fa che
dispone “la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda
ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che
derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano
in tutto o in parte sulla negazione della
Shoah o dei crimini di genocidio,
dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra,
come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto
della Corte penale internazionale”.
settembre 2016 La Rivista - 33
Normative
allo specchio
di Carlotta D’Ambrosio
con la collaborazione
di Paola Fuso
La tassazione dei frontalieri
secondo i nuovi accordi
tra Italia e Svizzera
Da alcuni mesi dall’intesa del dicembre 2015 sulla tassazione dei frontalieri proviamo a fare il punto della
situazione sullo stato dei lavori. Tenendo conto che il testo concretizza uno dei contenuti principali della
roadmap in materia di questioni finanziarie e fiscali firmata da Roma e Berna nel febbraio 2015, il principale
progresso del testo parafato riguarda le modalità di tassazione e la definizione dello statuto di frontaliero.
Allo stato la condizione di coloro che vivono in regioni italiane di confine risulta vantaggiosa poiché questi lavoratori pagano imposte solo in Svizzera, dove le aliquote sono inferiori a quelle italiane. Al momento, e prima
dell’entrata in vigore dell’intesa, i Cantoni al confine prelevano le imposte alla fonte, ne conservano il 68,8% e
versano il rimanente 31,2% all’Italia.
Secondo i termini dell’intesa la Confederazione, a partire dall’entrata in vigore dell’accordo, dovrebbe trattenere il
70% dell’imposta alla fonte applicata oggi ai salari dei frontalieri. Quindi, il vantaggio per la Svizzera è dato dal non
dover ristornare il 38% della somma ai Comuni italiani di frontiera. L’Italia, dal canto suo, applicherà le imposte secondo le proprie leggi e, per evitare la doppia imposizione, sottrarrà quanto il frontaliero ha già pagato in Svizzera.
Per applicare efficacemente l’imposizione, l’intesa prevede lo scambio di informazioni elettronico del reddito dei
frontalieri tra autorità fiscali dei due Paesi.
Per “frontalieri” si intendono le persone che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente,
in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di
residenza. Secondo l’Intesa, a partire dal 2018, con l’entrata in vigore della nuova tassazione, dovrebbe scattare l’adeguamento progressivo alle aliquote Irpef italiane. Al termine del periodo “cuscinetto” (nel 2028, in teoria) la differenza al netto dell’imposta sui redditi sarà tra il 15 e il 20%, a seconda del reddito. Appare interessante la postilla
voluta dall’Italia secondo cui la Svizzera dovrà rinunciare a ogni azione discriminatoria nei confronti dei frontalieri.
In sostanza, la trattativa è vincolata a quella, a più alto livello, tra Svizzera e UE su contingenti e libera circolazione.
Modifiche in attesa dell’entrata in vigore dell’Accordo fiscale
In attesa dell’entrata in vigore dell’accordo fiscale tra Italia e Svizzera, il Consiglio nazionale elvetico ha approvato
una proposta di revisione della Legge sull’imposizione alla fonte dei redditi da attività lucrativa. In particolare, si è
stabilito che in futuro i frontalieri pagheranno le imposte alla fonte calcolate su un moltiplicatore comunale medio,
esattamente come accaduto fino al 2014 (nel 2015 il Canton Ticino invece elevò il coefficiente del moltiplicatore
comunale al livello massimo, generando un aumento complessivo delle imposte pagate dai frontalieri). Il moltiplicatore comunale non potrà più essere deciso dai Cantoni ma verrà stabilito a livello federale, in modo tale da evitare
nuovi episodi di discriminazione. Una seconda modifica riguarderà poi la possibilità per i soggetti “quasi residenti”
di essere tassati in Svizzera per via ordinaria, richiedendo dunque un’esenzione dall’imposta alla fonte. Coloro che
opteranno per questa soluzione potranno detrarre dall’imposta le proprie spese professionali (viaggi, pasti), il terzo
pilastro ed altro ancora (spese per alimenti, ecc.). Per “quasi residenti” si intendono i soggetti il cui reddito è al 90%
prodotto in Svizzera. Pertanto, già coloro i quali hanno il coniuge che lavora in Italia di fatto vengono esclusi (a
meno che il reddito di quest’ultimo sia inferiore ad un decimo del reddito del frontaliero).
Nel reddito familiare rientra anche il “valore locativo” degli immobili di proprietà. Esso è dato dal reddito che si
percepirebbe qualora si desse in affitto l’immobile. Tale valore deve essere comprovato da un notaio. È quindi chiaro
che per poter accedere alla tassazione ordinaria è necessario non possedere nemmeno un’immobile di proprietà
in Italia o comunque fuori dalla Svizzera oppure che il valore locativo di questo sia molto basso, ovvero inferiore
al 10% del proprio stipendio. Inoltre, anche qualora si rispettassero queste condizioni, non è assolutamente detto
che sia più conveniente optare per la tassazione ordinaria in luogo dell’imposta alla fonte. Quest’ultima, infatti,
tiene già in conto di detrazioni forfettarie per le spese professionali, i carichi familiari e gli oneri sociali obbligatori
34 - La Rivista settembre 2016
(ricordiamo poi che tramite la tassazione correttiva il frontaliero può già recuperare anche le spese effettuate per
gli alimenti pagati al coniuge divorziato). In molti casi le detrazioni forfettarie sono più alte delle spese sostenute
dal frontaliero e richiedendo la tassazione ordinaria si potrebbe correre quindi il rischio di andare a pagare di più
che con l’imposizione alla fonte. Oltre quindi alla necessità di valutare caso per caso, cosa cambia rispetto al 2010,
anno in cui è stata introdotta la possibilità di ricorrere alla tassazione ordinaria per i lavoratori “quasi residenti”?
Fino ad oggi per poterla richiedere era necessario presentare un apposito ricorso per “tassazione correttiva”, mentre
questa modifica legislativa vorrebbe incanalare il diritto in una via ordinaria semplificando non poco la procedura.
Considerazioni
Quando i processi legislativi coinvolgono due Paesi le tempistiche si allungano, così come la possibilità che i testi
originari vengano rimaneggiati più volte per trovare la sempre impossibile “quadratura del cerchio”. Va da sé, che,
allo stato, si può prevedere che il sistema così come configurato, si tradurrà in un aumento del carico fiscale dei
frontalieri, perché le imposte sul reddito sono sensibilmente più alte in Italia rispetto alla Svizzera. Tuttavia, l’impatto non sarà solo per i frontalieri, ma anche per le città di confine, che non beneficeranno dei ristorni svizzeri in
modalità diretta, ma dovranno aspettare i rimborsi da Roma con il rischio di imprecisioni e ritardi nei pagamenti.
Questo per parte italiana, per la Svizzera le lacune del provvedimento sono evidenti nelle critiche sollevate dal Canton Ticino: con un’aliquota al 70%, rispetto all’attuale 61,2%, le entrate supplementari non saranno poi granché.
É stato calcolato che il Ticino oggi incassa dalle imposte sui frontalieri circa 150 milioni di franchi e ne riversa 60
all’Italia. Col nuovo accordo incasserebbe invece 105 milioni, 15 milioni in più. Questo importo andrà poi diviso tra
cantoni (6 milioni), comuni (5 milioni) e Confederazione (4 milioni). Questi gli scenari.
Da tener presente che l’accordo sui frontalieri dovrà essere ratificato dal governo e dal parlamento dei due paesi. La
precisazione è fondamentale, perché se in Svizzera il processo di ratifica sta per giungere a conclusione, in Italia il
dossier ha subito uno stop al Senato, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati. Il motivo è la richiesta
di ulteriori chiarimenti, in particolare sull’imposizione degli immobili posseduti da italiani residenti in Svizzera o
dagli emigrati rientrati in patria, nonché il timore di ostacoli posti dalla Confederazione elvetica alla libera circolazione delle persone. Ha pesato in tal senso la richiesta del Canton Ticino a tutti i frontalieri di munirsi di un estratto
del casellario giudiziale. Una misura ritenuta discriminante, così come la scelta del governo ticinese di imporre
un’aliquota al 100% sui frontalieri, invece di fare una media cantonale. Mossa che è costata alla Svizzera l’avvio di
una procedura di infrazione richiesta dall’Italia alla Commissione Europea.
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settembre 2016 La Rivista - 35
Angolo
Fiscale
di Tiziana Marenco
Lo scambio internazionale
spontaneo di informazioni ed in particolare di rulings
Con l’approvazione e la trasposizione della Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla
reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale nel diritto nazionale (ed in particolare nella
relativa Legge sull’assistenza amministrativa fiscale) dello scorso 17 dicembre 2015 il legislatore
svizzero ha tra l’altro gettato le basi per lo scambio di informazioni spontaneo. Le prime informazioni raccolte sulla base della nuova normativa che entrerà in vigore il 1° gennaio 2017 verranno
trasmesse dalle autorità svizzere a partire dal 2018.
Lo scambio di informazioni spontaneo è profondamente contrario alla natura elvetica: lo stesso prevede infatti in sostanza che le autorità svizzere, una volta giunte alla convinzione che una fattispecie costituisca o possa verosimilmente
costituire evasione fiscale nei confronti di uno stato partner della Convenzione, possano o debbano spontaneamente
informarne le autorità dell’altro stato. La clausola generale della Convenzione e l’articolo di principio nel testo di legge
fanno riferimento agli standard internazionali che la Svizzera, così perlomeno illustra il rapporto esplicativo alla revisione totale dell’Ordinanza del 20 aprile 2016, si obbliga, ancora prima che esista un’espressa unità di concetti in tal senso,
ad applicare come disciplinato dal Consiglio Federale. Sarà bene annotarsi l’esistenza di questa clausola generale perché
potrebbe in pratica costituire un’arma molto flessibile nelle mani inesperte delle autorità.
Nel dubbio e se così richiesti con urgenza, riteniamo che in casi straordinari, come lo fu la causa UBS nel 2009, la stessa
potrebbe costituire anche la base legale per uno scambio di informazioni motivato dall’interesse pubblico e politico,
ovviamente fermo restante il fumus dell’evasione fiscale. Basti pensare a quante richieste di informazioni (per esempio
raggruppate) sono state respinte negli scorsi anni per motivi formali: tutte queste richieste potrebbero in futuro essere
risolte con un’informazione spontanea, se del caso, senza costringere l’altro stato a correggere l’atto di domanda formale al solo scopo di ottemperare alle disposizioni di legge sullo scambio su richiesta.
La dottrina e la stampa hanno quasi ignorato quest’aspetto e si sono soffermate invece sull’elemento più calcolabile
della nuova normativa, quello dell’introduzione dello scambio spontaneo di rulings di multinazionali (“decisione fiscale
anticipata” nell’avamprogetto di ordinanza che si trova attualmente in consultazione) per le fattispecie identificate
nel quadro del progetto OCSE/G20 Base Erosion and Profit Shifting, Action 5: Countering Harmful Tax Practices More
Effectively, Taking into Account Transparency and Substance. Nel rapporto conclusivo l’OCSE/G20 hanno identificato costellazioni per le quali il rischio di evasione fiscale con spostamenti di sostrato da uno stato all’altro si ritiene immanente
e per le quali si è voluto obbligatoriamente introdurre lo scambio di informazioni spontaneo.
Le costellazioni di rulings per i quali è previsto obbligatoriamente lo scambio spontaneo sono le seguenti:
• Rulings aventi per oggetto la concessione di regimi preferenziali ai sensi della LAID (holding, società mista, società
di domicilio) oppure privilegi/box di licenze e brevetti o altri beni immateriali e diritti analoghi (anche quelli della
riforma III dell’imposizione dell imprese) oppure società principal;
• Rulings unilaterali, quindi concessi dalle autorità svizzere senza il coinvolgimento delle autorità competenti degli
altri stati, aventi per oggetto prezzi di trasferimento (Transfer Pricing)
• Rulings aventi per oggetto tecniche atte a ridurre l’utile imponibile in Svizzera nel contesto transfrontaliero senza
che ciò risulti nel conto annuale;
• Rulings aventi per oggetto la ripartizione di stabili permanenti (permanent establishments);
• Ruling aventi per oggetto conduit companies, quindi la struttura di flussi transfrontalieri di proventi o fondi ad
imprese associate di uno stato straniero attraverso società svizzere.
Lo scambio di rulings è previsto solo nel contesto di imprese associate, concetto per il quale si presuppone una partecipazione di almeno il 25%, e lo scambio avviene in generale a favore dello stato di residenza della società madre e della
capogruppo, inoltre di quello delle società che hanno effettuato transazioni nei punti di cui sopra (prezzi di trasferimento o stabili permanenti). Solo per le conduit companies è previsto l’invio di informazioni anche allo stato di residenza
della persona che controlla l’azienda (controlling person e ultimate beneficial owner dei pagamenti).
(continua)
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36 - La Rivista settembre 2016
Angolo legale
Svizzera
di Massimo Calderan
Indicazioni di provenienza
svizzere (“swiss made”) in ambito orologiero
Nell’ambito di alcune modifiche di legge (tra cui la modifica della Legge federale svizzera sulla
protezione dei marchi e delle indicazioni di provenienza) sviluppate negli ultimi anni dal Governo
e dal Parlamento svizzero con lo scopo di aumentare l’attendibilità delle indicazioni di provenienza
svizzere e rafforzarne la protezione, modifiche che nel loro insieme sono state definite legislazione
“Swissness”, accettata dal Parlamento svizzero il 21 giugno 2013 e che entrerà in vigore il 1° gennaio
2017, il Consiglio federale (il Governo svizzero) il 17 giugno 2016 ha approvato la revisione parziale
dell’Ordinanza concernente l’utilizzazione della designazione “Svizzera” per gli orologi (chiamata
anche Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero). Tale revisione entrerà anch’essa in vigore il
1° gennaio 2017.
È luogo comune che l’indicazione di provenienza “Svizzera” o “Swiss made”, “Swiss Made” e “swiss made” sugli orologi richiami
l’arte orologiera svizzera e sia garanzia per una qualità tecnica elevata e un’estetica ricercata. E che, di conseguenza, il consumatore in Svizzera e all’estero sia disposto a pagare un prezzo superiore. Questo è stato confermato da vari studi del settore
condotti negli ultimi anni, ad esempio dal Politecnico federale di Zurigo (ETH Zuerich) e dall’Università di San Gallo. Secondo
questi studi, i consumatori sono disposti a pagare mediamente fino al 20 % in più per un orologio svizzero e fino al 50 % in
più per determinati orologi meccanici svizzeri.
La Svizzera, quindi, protegge i propri orologi e movimenti con il marchio “Swiss made”, tramite convenzioni internazionali,
gli accordi previsti dall’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (WIPO o OMPI) e dall’Organizzazione mondiale
del commercio (WTO), e la propria legislazione. Questo oggi è necessario più che mai, in seguito all’aumento della pirateria
e la contraffazione nel settore degli orologi. Secondo le stime della Fondazione della “Haute Horologerie”, infatti, ogni anno
vengono prodotti e immessi sul mercato mondiale 40 milioni di orologi spacciati per svizzeri che non lo sono. La Fondazione
della “Haute Horologerie” e la Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH) ogni tanto fanno una campagna pubblicitaria
internazionale per combattere la pirateria e la contraffazione, ad esempio nel 2009 quella “Fake Watches are for Fake People”
(“orologi falsi per gente falsa”).
Sulla base della Legge federale svizzera sulla protezione dei marchi e delle indicazioni di provenienza, gli stessi organismi di
questo settore economico hanno richiesto al Consiglio federale di precisare le condizioni di utilizzo dell’indicazione di provenienza svizzera. L’Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero appena modificata che entrerà in vigore l’anno prossimo,
mira a rafforzare il nesso tra gli orologi e i movimenti pubblicizzati come “Swiss made” e la Svizzera quale luogo di produzione
e, di conseguenza, l’importanza stessa del marchio e della designazione “Swiss made” per gli orologi e i movimenti.
L’Ordinanza “Swiss made” per il settore orologiero modificata, prevede che almeno il 60 % del costo di produzione di un
orologio (dell’intero prodotto finale) dovrà essere realizzato in Svizzera, mentre finora veniva considerato solo il movimento. Il
movimento resterà comunque importante, in quanto almeno il 50 % del suo valore dovrà essere riconducibile a pezzi di fabbricazione svizzera e almeno il 60 % del suo costo di produzione dovrà essere realizzato in Svizzera. Inoltre, anche lo sviluppo
tecnico di un orologio o di un movimento “Swiss made” dovrà essere effettuato in Svizzera. Infine e in linea con gli ultimi
sviluppi tecnologici, la definizione di orologio sarà ampliata onde includere anche i cosiddetti orologi connessi o smartwatch.
Pertanto, laddove l’orologio o il movimento sarà fabbricato essenzialmente all’estero ma conterrà delle componenti svizzere lo
si potrà menzionare, senza tuttavia potere utilizzare il marchio “Swiss made”.
I produttori e le industrie fornitrici del settore hanno raggiunto un compromesso per quanto riguarda il periodo transitorio.
I costi delle casse e dei vetri già presenti in magazzino al momento dell’entrata in vigore dell’Ordinanza “Swiss made” per il
settore orologiero il 1° gennaio 2017, potranno essere esclusi dal calcolo dei costi di produzione fino al 31 dicembre 2018. Tale
periodo transitorio di due anni dovrebbe permettere ai produttori di smaltire le scorte legittimamente accumulate nel contesto
legale vigente e ai fornitori di prepararsi al nuovo regime.
[email protected]
settembre 2016 La Rivista - 37
Convenzioni
Internazionali
di Paolo Comuzzi
Il beneficiario effettivo in
alcuni recenti documenti
Abbiamo sempre indicato che il tema del beneficiario effettivo è un tema centrale nell’ambito delle convenzioni
contro le doppie imposizioni (che in sostanza non risultano applicabili quando la “controparte” estera non risulta
avere questa qualifica) e si potrebbe dire che è inutile tornare su una materia della quale abbiamo discusso in
numerose occasioni.
Tuttavia dobbiamo dare conto che questa nozione è stata oggetto di alcuni recenti interventi sia di prassi
ufficiale (Circolare Ministeriale 6/2016 in tema di operazioni di Leveraged Buy Out) sia di dottrina (Circolare
Assonime 6/2016 e articolo di Morri – Guarino, Holding …, Bollettino tributario 12/2016) ed anche della
giurisprudenza di legittimità (Cassazione 10792/2016) che ha cassato una Commissione Tributaria Regionale.
Diventa allora di un certo interesse verificare di nuovo quali siano posizioni assunte dall’Agenzia, dalla dottrina
e dalla giurisprudenza su questo argomento che, lo ripetiamo, assume carattere nodale per la applicazione del
dettato convenzionale e lo assume proprio nel particolare contesto della operazioni di LBO che forse troveranno
pace con riferimento alla deduzione di alcune componenti negative di reddito ma vedono aprirsi un nuovo
fronte di discussione.
La nozione di beneficiario effettivo come delineata
nei documenti indicati
La sentenza della Cassazione
Si ritiene utile cominciare questo breve commento partendo da quella che è la considerazione fatta dalla giurisprudenza di legittimità in materia di beneficiario effettivo.
In primo luogo deve prendersi buona nota che (come richiesto nel ricorso in Cassazione) l’Agenzia delle Entrate
considera questa condizione come un elemento essenziale per fruire della convenzione contro le doppie imposizioni
e non è disposta a transigere in alcun modo su questo punto.
La Corte di Cassazione risponde in modo positivo alla richiesta dell’Agenzia (anche se tecnicamente lascia qualche
incertezza1) dicendo che non vi è dubbio alcuno che, almeno ai sensi della convenzione tra Italia e Regno Unito,
questa sia una condizione essenziale e che debba sussistere in capo al percipiente.
La Cassazione, nella sentenza, identifica questo soggetto (il beneficiario effettivo) in colui che ha la disponibilità
economica ed anche giuridica del provento formalmente percepito e si fa cura di indicare che se questa condizione
manca allora abbiamo una traslazione impropria dei benefici convenzionali.
La Cassazione dice che non basta, per essere considerati come beneficiari effettivi, che vi sia la tassazione del provento in capo al percettore ma serve che sussista la condizione (ulteriore) della effettiva disponibilità giuridica ed
economica del provento stesso2 e aggiunge che della condizione di beneficiario effettivo non può farsi una riduzione
a condizione puramente formale (ovvero tale da farla coincidere con quella del soggetto percettore dei dividendi).
La nozione nella prassi
Andando ad esaminare il documento di prassi si evince che la nozione di beneficiario effettivo potrebbe anche avere
un collegamento con quella di radicamento effettivo in certo territorio (a pagina 37 della Circolare si lascia trasparire
questa necessità) ma poi si aggiunge “ovvero non fungano da mere conduit” e con questi termini sembra invece introdursi una alternativa ovvero sembra dirsi che il radicamento è certamente una condizione ma che potrebbe anche
aversi radicamento con una pura società conduit3.
Andando nei dettagli paiono essere mere società conduit (e quindi società che non svolgono una reale e genuina
attività economica e che pertanto sono a priori escluse dall’essere un beneficiario effettivo) quelle società che hanno
38 - La Rivista settembre 2016
una struttura definita come una struttura leggera (concetto questo tutto da definire4 nei dettagli) ovvero che non
paiono avere una struttura organizzativa (amministratori e personale) capace di formulare un processo decisionale.
Certamente rischiano di restare intrappolate in questa problematica (ovvero di non essere considerato come il beneficiario effettivo) le società che sono qualificate come delle mere Holding e su questo punto si è innescata una critica
della dottrina che andiamo ad esaminare nel seguito.
La posizione della dottrina
Nella formulazione del loro articolo Morri e Guarino mettono bene in evidenza come sussista questo rischio di assimilazione tra conduit e Holding, una posizione che di fatto sembra equiparare il beneficial owner al final recipient.
La critica che gli stessi muovono è che non sarebbe lecito considerare una Holding (in quanto tale ed anche in
quanto mero percettore di un dividendo senza interesse alla gestione) come una società conduit, condizione questa
che possiamo dire sussistente solo quando la entità estera non abbia alcuna discrezionalità nell’uso dei fondi che ha
percepito o quando la stessa agisce su istruzione di soggetti terzi5 e non abbia alcuna discrezionalità circa il modo di
agire (in buona sostanza quando la stessa si riveli un mero strumento collettore di un reddito).
Gli autori citati insistono molto su questo concetto per cui la Holding (che certamente detiene il reddito che viene alla
stessa erogato e che lo rende aggredibile dai suoi creditori) non può essere considerata come una conduit e quindi
come una entità nella quale, a priori, manca la condizione di beneficiario effettivo ma secondo noi non sono lontani
dall’Agenzia quando ammettono che il problema esiste in assenza di una discrezionalità sul modo di agire (e del resto
in sede OCSE si dibatte su questo elemento).
In ogni caso anche in presenza di una situazione in cui la società Holding sia chiamata a fare una redistribuzione dei
proventi che ha percepito (dividendi) non per questo la stessa deve considerarsi come una entità che non è qualificabile come beneficiario effettivo dei dividendi6 (ovvero come soggetto che ha la disponibilità economica a giuridica
della somma percepita)7.
Questo per la ragione che non paiono assenti quelle condizioni della disponibilità economica e giuridica del provento.
Alcuni commenti
Appare del tutto evidente la preoccupazione che aleggia nel documento di prassi in cui la Holding che viene creata
dai fondi viene interpretata come un mero veicolo del fondo di investimento (in sostanza una sorta di “stabile organizzazione del fondo localizzato in un determinato stato”), ovvero come una entità giuridica che non ha un carattere
suo autonomo e che quindi svolge in modo vero una qualsiasi attività di impresa (decidendo essa stessa della sorti
dell’investimento).
Siamo in presenza di un timore che parte da alcuni aspetti pratici (si pensi al fatto che di solito queste Holding sono
delle scatole vuote senza personale che le decisioni sono assunte in luoghi completamente diversi rispetto a quelli in
cui le stesse sono situate) che non possono essere ignorati ma che rischiano di portare fuori strada e / o di ridurre di
molto i margini di azione dei fondi.
E’ cosa ovvia affermare che in una simile situazione di incertezza fattuale ma anche giuridica (il contrasto tra il
documento di prassi e la posizione della dottrina ci pare evidente) il rischio per l’erogante è altissimo considerato
che sussistono delle sanzioni nel momento in cui l’erogante stesso decide per una applicazione diretta del dettato
convenzionale8.
Sussiste però anche un rischio per il fondo stesso in quanto se la Holding fosse considerata a tutti gli effetti come un
interposto allora anche il provento della cessione della partecipazione (provento inteso come capital gain) potrebbe
presentare dei profili problematici circa la sua tassazione nel solo stato di residenza del cedente.
Conclusione
La prima conclusione, vista la difficoltà del tema, è che per fortuna questa materia è rimasta avulsa dalla normativa
penale tributaria (sarebbe stato impossibile formulare una norma penale che non avesse avuto le caratteristiche della
norma “penale in bianco” con tutte conseguenze del caso). La seconda considerazione è che su questa materia è
necessario intervenire per raggiungere una conclusione che sia capace di fare un contemperamento di due esigenze:
a) quella degli investitori; b) quella degli stati in cui viene fatto l’investimento e su questo elemento forse è necessario
lavorare anche in sede OCSE allo scopo di raggiungere una posizione condivisa.
Nel senso che la Cassazione fa un preciso riferimento alla convenzione tra Italia e regno unito e non sancisce che questa condizione deve considerarsi come una condizione immanente e quindi da tenere presente a prescindere dal dettato convenzionale.
2
Non vi sono però elementi di definizione.
3
Al contrario la conduit dovrebbe per definizione essere non radicata (ma si pensi al caso di una società certamente Olandese il cui Statuto stabilisce un obbligo di distribuire il 50% dei dividendi salvo diversa delibera).
4
Da definire nei dettagli anche se facile da capire (visti anche gli esempi) in quanto in presenza di una Holding che è completamente disinteressata
rispetto all’investimento posto in essere appare di tutta evidenza che la stessa funge solo da collettore del dividendo allo scopo di usare del beneficio convenzionale. In buona sostanza la domanda che ci si deve porre è se questa Holding decida qualche cosa o se la stessa agisca senza alcun
collegamento con l’investimento che dice di avere operato.
5
Rimane il dubbio della Holding che non è interessata al suo investimento: in questo caso possiamo dire che agisce su istruzione di soggetti terzi?
6
Questa redistribuzione nasce da una decisione dei soci e quindi non è decisione della Holding stessa che viene invece a subire la delibera.
7
In questa sede poi lasciamo fuori da ogni ambito di analisi la considerazione in merito all’onere della prova circa la condizione del beneficiario
effettivo.
8
Ci riferiamo ovviamente a sanzioni di carattere amministrativo e non di carattere penale.
1
settembre 2016 La Rivista - 39
L’elefante
Invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
Delirio paranoico…
pericolo in mezzo a noi
Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur
muovendosi tra la folla con al
sua imponente mole passava
comunque inosservato. Come
se fosse invisibile…
1
Nello scrivere questo pezzo mi veniva addirittura in mente di chiedere al direttore della Rivista di cambiare la mia foto.
Di sostituirla con una dall’espressione più seriosa. Quella tutta sorridente alla mia scrivania che accompagna da anni la
mia rubrica mi sembrava poco adatta al tema di questo contributo. Poi mi sono detta “Lasciamo perdere”, un po’ poiché
tale immagine è ormai una sorta di griffe, e un po’ per pigrizia. Perché l’idea di una foto dall’espressione più grave? Poiché
il tema della paranoia non è dei più allegri e rinvia a molti tragici avvenimenti portatori di dolore e lutti.
La paranoia è un delirio cronico generato da un insieme radicato di credenze di tipo persecutorio - non corrispondenti
alla realtà - sulla natura malefica del prossimo. Il termine esisteva già in greco con il significato generale di “follia”. Si
tratta di una “follia” che non paralizza l’individuo come ad esempio il panico, bensì lo spinge ad attaccare gli altri, anche
in modo tremendamente rovinoso. Questo sistema delirante di certezze è subdolo e insidioso, in quanto coesiste con altre
facoltà di raziocinio del tutto normali, ad esempio in campo tecnico. A differenza di altre patologie psicologiche, l’individuo non se ne rende conto, crede effettivamente di essere circondato da nemici. La terminologia ufficiale delle patologie
mentali ha sostituito recentemente il termine paranoia con il concetto di disturbo delirante, presente anche in malesseri
psichici quali schizofrenia, ipocondria, mitomania, disturbo polare in fase di mania. Ma ciò non cambia la natura del
problema. L’individuo paranoico può diventare un temibile elefante più o meno invisibile che si aggira in mezzo a noi.
Il delirio paranoico a volte assume forme fastidiose, ma tutto sommato inoffensive; altre volte diventa invece la causa
scatenante di grandi tragedie. Un esempio del primo tipo mi è capitato di osservarlo recentemente nei rapporti tra
condomini. Il signor e la signora Dunkel - anzi il Professore Dottore Dunkel e la signora Frau Doktor, come pretendono di
essere chiamati – si dedicano ormai a tempo pieno a riversare i loro deliri persecutori sui vicini. Sono anziani, hanno due
domestici al loro servizio ventiquattrore su ventiquattro, non hanno né amici né parenti. Ciò lascia loro molto tempo per
ruminare in coppia ipotesi deliranti, e cogitare infantili dispetti da mettere in atto per contrariare gli altri. Uno dei deliri,
per esempio, è l’idea che gli altri co-proprietari sabotino il sistema di riscaldamento per farli soffrire di freddo durante
l’inverno. Nessun argomento o prova razionale dell’assurdità delle loro affermazioni funziona in casi come il loro. L’unica
soluzione per gli altri è ripetersi che si tratta di poveri infelici, e continuare a dire loro buongiorno e buonasera, anche se
non rispondono.
Immensamente più gravi sono i casi di delirio paranoico che pullulano oggigiorno nella mente di una schiera di giovani
adepti del terrore. Essi sono la prova di come acerbi e fragili cervelli umani possano trasformarsi in bombe pronte a scoppiare in qualsiasi momento e qualsiasi luogo, su incitamento quasi sempre di nefasti fomentatori di odio, reali o virtuali
fa ormai poca differenza. Sono la prova altresì di come in fondo non sia poi così difficile trasformare determinati individui
in terroristi-assassini-suicidi mettendo nel loro cranio quattro ingredienti: odio nei confronti di gruppi esterni accusati
essere la causa delle loro frustrazioni; qualche semplice e distorta certezza ideologica che dia una patina eroica ai loro
crimini; modelli feroci da imitare; la sicurezza che i media e i social media daranno grande risonanza alle loro nefandezze
e grande popolarità postuma ai loro autori.
Ha mille volte ragione Beppe Severgnini quando scrive sul Corriere delle sera del 27 luglio che ciò che sta accadendo
in Europa (e altrove) è anche frutto di un perverso meccanismo di imitazione criminale “Il male genera male, il sangue
chiama sangue, l’imitazione dell’orrore genera altro orrore. (…) I barbari religiosi trovano ispirazione, moventi e forza nelle
nefandezze di chi li ha preceduti”. Secondo Severgnini per impedire lo spaventoso ed evidente effetto di emulazione c’è
una sola strada: i media devono rendersi conto che corrono il rischio di diventare “l’ufficio-propaganda dei nuovi mostri
e i fornitori di libretti di istruzione ai futuri assassini”. Ma il suo invito ai colleghi a pesare le parole, a non spettacolizzare
la morte verrà raccolto? Nonostante la mia generale propensione all’ottimismo, fatico a crederlo. Forse ha ragione mio
marito che si rifiuta ormai da tempo di guardare i telegiornali, dove immancabilmente ti raccontano la favola del “ragazzo tranquillo che non dava segni”, di “radicalizzazioni fulminee”, del “lupo solitario”; dove intervistano vicini di casa o
passanti in preda allo shock per rendere lo spettacolo più appetibile.
C’è però qualcosa che meriterebbe molta più emulazione di quanto non si veda e una conseguente sperabile maggiore risonanza da parte dei media: l’organizzazione di grandi manifestazioni nelle quali fedeli ed esponenti di spicco della
religione alla quale dicono di richiamarsi i fanatici assassini tuonino con forza: “Not in my name!
settembre 2016 La Rivista - 41
La Svizzera prima della Svizzera
Non si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che
precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel
lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di
quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cinque secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi
confini attuali.
Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio
non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica».
C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere
per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al
duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica.
Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studioso dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della
storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione.
Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio
2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla
richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
al prezzo di CHF 25.— (+ costi di spedizione)
inviando una mail a: [email protected]
oppure telefonando allo 044 289 23 19
La Svizzera: da Morgarten (1315)
a Marignano (1515)
Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono
state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Gatani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel
quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione
elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione
si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre
dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.
Chi fosse interessato può richiedere copia del volume
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Giacomo Casanova in Svizzera
Il nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avventure amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle
gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra
l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono
coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il
brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventuriero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato
affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso,
con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo
mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità
dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la
bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione.
(…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno preceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre
Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna
nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese
in Terra elvetica. (…)».
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Dalla Svizzera
degli Stati a
quella federale
La Defenestrazione di Praga (23 maggio 1618). Da un dipinto di Karel Svoboda del 1644
Come la Svizzera ottenne
di Tindaro Gatani
A conclusione della sua Relazione al Doge
(vedi La Rivista di luglio), Giovan Battista
Padavino fa una breve cronistoria delle
«molte colleganze» fatte dagli Svizzeri
«in vari tempi, quando uniti e quando
separati», per concludere che l’Elvezia è
«unita piuttosto di nome che di vero effetto» e che questa unione vacilla «anche
grandemente per ogni verso», tanto che
più di una volta si è temuta «aperta e
implacabile rottura». La Confederazione
era, tuttavia, riuscita a evitare la disgregazione grazie soprattutto alla «buona
intelligenza fra Zurigo e Lucerna, Cantoni molto conformi di genio, di governo
e di consuetudine, benché differenti nel
punto della fede».
«la piena libertà e l’esenzione dall’Impero» (1648)
Uniti ma differenti nella fede
Passando poi a parlare della possibilità di
ingaggio di mercenari per la Serenissima,
l’inviato veneziano scrive che per garantirsi
l’appoggio dei «principali» del Paese, per farli
«restare devoti e obbligati servitori» bisognava naturalmente pagare. Sulla «materia delle
pensioni private, pretese da quella Nazione e
dai principi tollerate per gratificare e onorare
persone benemerite e di maggior seguito»,
Padavino, dopo aver chiarito che l’istituto
delle «pensioni... dovrebbe essere chiamato
trattenimento stipendiario», informa che
l’abuso delle pensioni private ha portato in
passato e tali disordini, che Zurigo e gli altri Cantoni riformati si sono visti costretti a
proibirle «sotto severissime pene». In questi
Cantoni nessuno «può per sé o per aderenti
suoi ricever doni, benefici o promesse di qualsivoglia sorte dai principi» stranieri. Soltanto i
Cantoni cattolici «rimangono preda di questa
a loro stessi perniciosa introduzione», attraverso la quale, «vendono il pubblico per il privato bene e la libertà propria».
La prassi delle pensioni private porta in quei
Cantoni «confusione e disgusti inevitabili»,
perché gli esclusi «nutrendo odio, ben spesso
procurano averne da altra parte», fondando
un partito separato. Questa pratica genera
«tanta invidia» tra questi pensionati, che «arrogandosi ciascuno maggior merito del compagno non restano mai contenti». Nonostante l’esperienza propria, maturata sul campo,
il Padavino non ardisce «affermare con giu-
L’uccisione di Re Gustavo II Adolfo di Svezia nella battaglia di Lützen (16 novembre 1632). Da un quadro del pittore Carl Wahlbom
settembre 2016 La Rivista - 43
Giuramento della ratificazione del trattato di Münster. Da un quadro Gerard Terburg (1617-1681)
ramento che anche tra gli Evangelici non vi
sia chi accetti allegramente donativi segreti,
perché, sebbene vogliono essere tenuti Santi in questa parte, nondimeno tal santità è
macchiata da originale peccato», tanto che
«non sanno mettersi ad esaudire le orazioni
d’alcuno, per devote e affettuose che siano,
senza vedersi qualche lume acceso». Questo
perché, «stante la severa proibizione suddetta, corrono gran pericolo di essere con gran
rigore puniti, sempreché il fatto si risapesse».
Affinché il Doge «abbia intero lume della vera
quantità dei denari, pagati annualmente agli
Svizzeri da diversi Principi di pensione pubblica e privata», il Padavino compila «una nota
distinta e particolare».
Sono notizie riservate di prima mano, alle
quali hanno attinto poi anche alcuni storici svizzeri. Sappiamo così che l’arciduca
del Tirolo pagava 200 scudi a ciascuno dei
vecchi XII Cantoni, 100 all’Appenzello, 400
ai Grigioni e 100 all’abate di San Gallo per
un totale di scudi 3.000. Il duca di Savoia
dava a cinque Cantoni cattolici 900 scudi di
pensione pubblica e altrettanto privata per
un totale di 1.800 scudi. La Maestà cattolica
(Spagna) pagava a sei Cantoni e mezzo (cattolici) circa 10.000 scudi di pensione pubblica e dava ancora «al privato come segue»:
44 - La Rivista settembre 2016
al Canton Lucerna scudi 6.500, a quello di
Friburgo 5.500, a Zugo 4.200, a Uri 5.200, a
Unterwalden «di sopra» (Sopraselva) 2.300, a
Unterwalden «di sotto» (Sottoselva) 2.200, al
Canton Svitto 6.000, per un totale di 31.900
scudi. A queste somme andavano aggiunti i
3.000 scudi del «denaro che la Maestà Sua,
per speciale convenzione, si contenta pagare» a Uri, Svitto e Unterwalden «di sotto»
per il presidio di Bellinzona; altri 3.000 scudi
«della generosa Maestà cattolica» andavano
all’abate di San Gallo e altri 500 a quello di
Einsiedeln.
Le pensioni straniere
«Tra pubbliche e private pensioni in sei soli
Cantoni e mezzo [cattolici] i quali tutti insieme non fanno che la quarta parte dell’Elvezia», la somma complessiva pagata annualmente dalla Spagna ascendeva a circa
49.000 scudi l’anno. Sua Maestà Cristianissima il Re di Francia pagava annualmente a
ogni Cantone franchi 3.000 (solo Zurigo ne
riceveva 2.000) per un totale di 38.000 franchi francesi. Lo stesso Re di Francia dava ancora 9.000 franchi ai Grigioni (3.000 per ogni
Lega grigia), 3.000 al Vallese, 1.000 all’Abate
di San Gallo, 1.000 a Biel, 1.000 alla Terra di
San Gallo, 1.000 a Rottweil e 1.000 a Milau-
sen. Le pensioni pubbliche pagate dalla Francia assommavano quindi a 55.000 franchi,
«che sono circa scudi 21.000».
Quelle private, stante la proibizione nei
Cantoni evangelici, venivano pagate dalla Francia nel modo seguente: a Lucerna
franchi 17.000, a Soletta 18.000, a Friburgo
16.000, a Glarona 18.000, a Svitto 14.000,
a Uri 8.000, a Zugo 7.600, a Unterwalden di
sopra 5.000, a Unterwalden di sotto 3.000,
al Vallese 18.000. Per il presidio di Bellinzona, la Francia pagava ancora a Svitto, Uri e
Unterwalden di sotto altri 3.000 franchi. Le
pensioni private pagate dalla Francia ammontavano dunque a 127.600 franchi, «che
sono intorno a 48.600 scudi da lire sette l’uno, che aggiunti alle pubbliche [21.000 scudi]
fanno in tutto scudi 69.600».
Secondo il Padavino, i tre Cantoni che avevano occupato la città di Bellinzona ricevevano,
dunque, per il loro presidio 3.000 scudi dalla
Spagna e 3.000 franchi dalla Francia. Tutte
le pensioni ammontavano quindi «in summa
summarum intorno a centoventiquattromila
scudi l’anno, che vengono pagati agli Svizzeri dalle due Corone [di Spagna e di Francia],
dall’Arciduca del Tirolo, e dal Duca di Savoia,
non compresi i donativi segreti, né i debiti
della Francia, che si vanno scontando per
più di trecentomila scudi l’anno». Dall’elenco
mancano, per ovvi motivi di riservatezza, le
somme pagate da Venezia per mantenere
l’alleanza con i Grigioni e con Berna e Zurigo.
Dal tempo del viaggio del Machiavelli, erano
passati esattamente cento anni. Ebbene nulla era cambiato, dopo un secolo, il comportamento degli Svizzeri era sempre lo stesso
a quello descritto dal Segretario fiorentino,
per il quale la migliore soluzione per loro era
quella di prendere i soldi dalla Francia e dalla Spagna, senza, possibilmente, combattere
per nessuna delle due grandi potenze europee (MACHIAVELLI Nicolò, Legazione all’Imperatore, in Opere complete, volume unico,
Firenze 1843, p. 956). Era un fiume di denaro
che affluiva in Svizzera garantendo, in un’epoca di triste penuria nel resto dell’Europa
sconvolta da continue guerre, un tenore di
vita abbastanza elevato per quei tempi.
Alla nota delle pensioni pagate, il Padavino
ne aggiungeva un’altra molto dettaglia dei
mercenari addestrati e quindi pronti al combattimento, che tutti i Cantoni e i loro alle-
ati e baliaggi potevano arruolare nel giro di
qualche settimana. Si trattava di una cifra
impressionante che raggiungeva «in tutto
duecentotredicimila circa» mercenari. La Relazione era accompagnata da una pittura geografica che era «una generale descrizione di
tutta l’Elvezia», che mostrava «con diversità di
colori separatamente la giurisdizione di luogo
in luogo con la nota distinta dei Cattolici dagli
Evangelici», con «le insegne di cadauno e con
speciale catalogo delle terre, fiumi, valli, laghi,
monti principali», ecc. Di questa Carta topografica della Svizzera, disegnata per il Padavino da Christoph Murer (1558-1614), pittore
su vetro e cartografo, figlio del più celebre Jos
autore delle famose piante di Zurigo e del suo
Cantone, non ne ha trovato traccia nemmeno
i Ceresole (op. cit., p. 45).
La libertà di stampa
«La città di Zurich — nota Padavino — è fondata in sito amenissimo, sopra il lago, d’ogni
intorno serrato da colli fruttiferi, bipartita
dal fiume Limago [Limmat], che sbocca dallo
Fabio Chigi (1559-1667), futuro papa Alessandro VII. Nel 1659, comprò per la sua famiglia di banchieri senesi
il palazzo costruito dalla famiglia degli Aldobrandini nel 1578, ribattezzato poi Palazzo Chigi, odierna sede del
Governo italiano. Dipinto di Giovanni Battista Gaulli (1639-1709).
stesso lago, con aria saluberrima. In essa si
fabbricano diverse panni, veli, e tele sottilissime, ed è più industriosa e mercantile di ogni
altro cantone... Si stampa in quella ed in altre terre dell’Elvetia comunemente in latino,
tedesco, italiano e francese, né proibiscono
libro di qualsivoglia sorte, benché toccante
la fede». Parlando del carattere degli Svizzeri in generale e degli Zurighesi in particolare, tra l’altro, scrive: «Non sono festosi,
né si invaghiscono molto di titoli... Non si
appassionano nel vendicar l’ingiurie, e quel
che non succede mentre sono offuscati dal
vino, ovvero concitati da improvviso furore
e veemente sdegno, non succede più, perché
facilmente s’acquietano e osservano la pace,
interponendosi il magistrato nel concludere il
fritt (Fried), che appunto significa sicurezza
d’amicizia; non usano insidie...». «Nella giustizia criminale — scrive ancora — per il sicuro e
quieto vivere, [gli Svizzeri] sono accuratissimi
e usano gran severità... Il latrocinio à aborrito
in tal maniera, che, se alcuno confesserà aver
rubato in giurisdizione aliena, lo castigano
come se il delitto fosse stato commesso in
proprio paese... Vivono ristrettamente e mantengono le famiglie con poca spesa, né usano
per ordinario vestir di seta ma di lana... Per
legge e consuetudine, il giuoco è proibito, e
universalmente lo aborriscono. Mangiano
poco, bevono assai, e in questo consistono
tutte le delizie, gli onori, le accoglienze e l’uso
della conversazione: stanno insieme dal desinare sino all’ora d’andar a letto nel discorso
e nel bere, invitandosi l’un l’altro in segno di
benevolenza... e molti sopporteranno la fame
una settimana intera per aver comodità di
bere bene un giorno solo in compagnia d’altri... Sono poco dediti alle sensualità carnali,
contentandosi ciascuno della moglie sola, attorno alla quale dicono che vi sia da far assai;
e perciò mostrano non restar molto trafitti da
stimoli di gelosia, stando secondo che si usa in
tutta la Germania, con esse ignude nei bagni,
in compagnia d’altri, anche stranieri, senza
rispetto, e lasciando così alle mogli, come alle
figliuole da marito, ogni libertà di giorno e di
notte» (CERESOLE Victor, a cura di, Del Governo e Stato dei Signori Svizzeri. Relazione
di Giovanni Battista Padavino, Venezia 1874).
Dopo la partenza del Padavino il posto di inviato della Serenissima presso i Cantoni evangelici fu occupato da Gregorio Barbarigo che,
destinato alla sede diplomatica di Londra, fu,
invece costretto a fermarsi sulle rive della Limmat, dal 1613 al 1615, per la conclusione del
patto di alleanza con Berna e Zurigo firmato il
6 marzo 1615. Tre anni dopo scoppiava, come
previsto, la tanto temuta guerra di religione,
ma, tolti gli sporadici intereventi nei Grigioni
e in Valtellina, non coinvolse tuttavia direttamente né Zurigo, né Venezia. Lo scontro fra
blocco cattolico e protestante, che per la sua
durata, dal 1618-1648, prese il nome di Guerra dei Trent’Anni, fu combattuto soprattutto
settembre 2016 La Rivista - 45
sul suolo tedesco e boemo. Tra le complesse
cause della Guerra c’erano, infatti, anche le
aspirazioni dei principi tedeschi di porre un
freno all’espansione asburgica in Europa. Lo
scoppio del conflitto fu tuttavia la conseguenza immediata della famosa Defenestrazione di
Praga, quando l’aristocrazia boema insorse di
nuovo contro la Chiesa di Roma, depose il re
cattolico Ferdinando II di Asburgo, gettando
dalle finestre i consiglieri del suo governatore (23 maggio 1618). Sul trono di Boemia fu
quindi chiamato il protestante Federico V del
Palatinato. Ma l’esercito boemo venne pesantemente sconfitto nella Battaglia della Montagna Bianca (1620).
Il Defensionale di Wil
Con il ritorno di re Ferdinando II, Praga e
tutta la Boemia subirono i contraccolpi della
Controriforma cattolica, ritornata dominante
in ogni aspetto della vita comune. A guerra
finita, la sede della corte asburgica, per punizione, sarebbe stata spostata a Vienna, con
grave danno economico per tutta la Boemia
e per Praga in particolare, che vide ridursi gli
abitanti dai 60.000 dell’anteguerra ad appena 20.000. A favore dei protestanti intervennero l’Unione riformata con la Danimarca,
l’Olanda, l’Inghilterra e la Svezia, che allora
aveva l’esercito più potente di tutta la coalizione al comando di Re Gustavo II Adolfo
detto il Grande (1594-1632), che, nonostante le sue prodezze, il 16 novembre 1632, venne battuto e ucciso dalle truppe cattoliche
al comando di Alberto von Wallenstein nella
battaglia di Lützen, in Sassonia. Quando gli
Asburgo stavano ormai per trionfare su tutti
i fronti, la guerra da religiosa si trasformò in
politica con l’intervento accanto ai protestanti della cattolicissima Francia. Ancora
una volta le due grandi potenze continentali
si affrontavano per la supremazia in Europa.
Nonostante la stretta parentela con gli
Asburgo, per aver sposato Anna d’Austria,
Re Luigi XIII di Francia, figlio di Enrico IV e
di Maria de’ Medici (1601-1643), sostenne
la politica estera del suo primo ministro Armand-Jean du Plessis, conosciuto come cardinale Richelieu (1585-1642), che, seguendo
la sua Ragion di Stato fece intervenire il suo
Paese contro la Spagna e l’Austria. Terreno di
scontro furono allora anche i Grigioni con i
loro baliaggi della Valtellina. (vedi «La Rivista»
di giugno). Il Richelieu, nominato vescovo a
meno di 21 anni grazie a una particolare dispensa, aveva iniziato la sua carriera politica
nel 1614, cioè a trent’anni non ancora compiuti, quando la reggente Maria de’ Medici
lo nominò Gran cerimoniere di Corte. Entrò
dopo nel Consiglio del Re e assunse quindi
il ruolo di Segretario di Stato per l’interno e
per la guerra, divenendo in beve tempo quel
«potente uomo che faceva tremare con la sua
politica la Francia e l’Europa» (DUMAS Alessandro, I tre moschettieri, VI capitolo). Dopo
la morte del Richelieu (1642) e di Luigi XIII
(1643), la loro politica sarebbe stata seguita
dai loro rispettivi successori il cardinale Giulio Mazzarino (1602-1661) di origini italiane
e Re Luigi XIV il Re Sole (1638-1715). Nell’ultima fase della Guerra dei Trent’Anni, i Francesi, comandati da Luigi II di Borbone-Condé,
detto poi Gran Condé, sconfissero prima gli
Spagnoli nelle celebre battaglia di Rocroi,
nel dipartimento delle Ardenne, ricordata in
I promessi sposi di Alessandro Manzoni («Si
racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi»), poi gli Austriaci nella battaglia dei tre
giorni (3, 5 e 9 agosto 1644) nei pressi di Friburgo in Brisgovia e quindi, i 3 agosto 1645,
a Nördlingen. Si formò allora un poderoso
esercito franco-svedese che, il 17 maggio
1648, sconfisse gli imperiali a Zusmarshausen nei pressi di Augusta in Baviera.
La Confederazione che, nel già1638, aveva dichiarato la sua neutralità nel conflitto, quando
l’esercito svedese si spinse fino al lago di Costanza minacciando da vicino la sua integrità,
si trovò di nuovo unita e decisa a non tollerare
la violazione del suo territorio. Nel gennaio del
1647, «gli Svizzeri rientrarono in sé», sancendo «il Defensionale di Wil, il primo tentativo
di organizzazione militare federale» (MARTIN
William, op. cit., p. 89). Dopo aver proclamato
di nuovo la loro neutralità, allestirono «un’armata confederale di cattolici e protestanti» per
difenderla. Si trattò di un vero «risorgere dello
spirito confederale» e patriottico. Ristabilita
l’unità della Nazione, nominarono un consiglio di guerra confederale e costituirono un
esercito di 12.000 uomini (6000 protestanti e
6.000 cattolici), che fu un ottimo deterrente
contro le mire svedesi (PAPA Emilio Raffaele,
Storia della Svizzera, Milano 1993, p. 89).
La pace di Westfalia
Il basilese Joahnn Rudolf Wettstein (1594-1666), inviato della Confederazione in Westfalia
46 - La Rivista settembre 2016
Il 20 agosto 1648, i Francesi battevano, ancora una volta, gli Spagnoli nella battaglia
di Lens (Belgio). Per ironia della sorte, lo
scontro avvenne dopo che, già il 6 agosto,
era stata già firmata una prima intesa per
la fine delle ostilità. Quest’ultima vittoria
consentì al Mazzarino di far pendere la bilancia dalla parte della Francia e costringere
gli austro-spagnoli a firmare la pace finale. I
negoziati, iniziati il 15 maggio, si conclusero
il 24 ottobre dello stesso anno 1648, con la
firma e la pubblicazione del Trattato di Westfalia, la regione dove si trovavano le due
città nelle quali avevano avuto luogo le trat-
tative. La pace si fondava, infatti, su due trattati distinti e separati: il primo, protestante,
firmato, il 6 agosto, a Osnabrück, tra Impero,
Svezia e Stati protestanti, e l’altro, cattolico,
l’8 settembre, a Münster tra la Francia e l’Impero, perché le due parti non avevano accettato di sedersi allo stesso tavolo.
Fu allora inaugurato un nuovo ordine europeo, nel quale gli Stati avrebbero avuto tra
loro rapporti solo come tali e cioè senza tener
conto del credo religioso dei vari sovrani, che
avrebbero dovuto riconoscere ai loro sudditi di
professare privatamente la propria fede. Con
la pace di Westfalia veniva in pratica siglata
l’apoteosi della Francia, che raggiungeva il
culmine della sua potenza politica. Nell’ultima
fase del conflitto era andato sempre più diminuendo il ruolo della Svezia sul piano militare
e su quello politico. La Regina Cristina (16261689) che, successa al padre Gustavo II Adolfo a soli sei anni nel 1632, avrebbe assunto i
pieni poteri soltanto nel 1650, mostrò sin da
giovanissima simpatia per il cattolicesimo al
quale si sarebbe convertita nel 1654, lasciando il trono a suo cugino Carlo X Gustavo di
Svezia (1622-1660).
Più che per le arti militari, Cristina di Svezia
si era distinta come grande promotrice della
cultura del suo Paese, volendo trasformare
Stoccolma nell’Atene del Nord. Dopo la sua
abdicazione si stabilì a Roma, dove divenne
punto di riferimento di uomini di cultura e
dei pellegrini che vi si recavano in pellegrinaggio, ai quali faceva spesso da guida delle
città, guadagnandosi anche il titolo di Regina
del Giubileo del 1675. La Svezia fu comunque,
come detto, la controparte principale dell’Impero nelle trattative di Osnabrück, ottenendo
un risarcimento in denaro la Pomerania Anteriore e l’egemonia sul mar Baltico con le città
di Brema e Verden e il controllo delle foci dei
fiumi Elba, Oder e Weser. A Münster, i trattati
erano stati addirittura due: uno fra la Francia
e l’Impero e l’altro tra le sette Province Unite
(Paesi Bassi) e la Spagna. La Francia ottenne
la Lorena con Metz e Verdun e l’Alsazia solo
asburgica, cioè senza Strasburgo.
Con il passaggio dei territori alsaziani, la
Francia diveniva direttamente confinante
con la Confederazione. La pace di Westfalia
riconosceva i Paesi Bassi, il Portogallo e la
Svizzera come Stati sovrani e indipendenti dall’Impero. Tra Francia e Spagna non fu
firmata nessuna pace. Il loro conflitto si sarebbe concluso solo dopo che i Francesi, al
comando del Grand Tourenne (Henri de La
Tour d’Auvergne-Bouillon, visconte di Turenne) avrebbero sconfitto, il 14 luglio 1658, gli
Spagnoli agli ordini del Grand Condé, fuoruscito dal suo Paese e passato al servizio della
Spagna, e di Don Giovanni d’Austria, nella
battaglia delle Dune o di Dunkerque, a nord
del passo di Calais, costringendoli a firmare
la Pace dei Pirenei del 7 novembre 1659, che
pose fine alla guerra franco-spagnola.
L’inviato veneziano in Westfalia e futuro Doge Alvise Contarini (1601-1684). Ritratto d’epoca di Carlo Ponti
L’esenzione dall’Impero
Con la pace di Westfalia, «la Svizzera entrava, dunque, nel diritto pubblico europeo
quale Stato autonomo, separato dall’Impero
anche de jure (de facto, lo era dalla guerra
di Svevia» (CALGARI Guido, op. cit., p. 294).
Ancora una volta, nonostante le divisioni interne, la Confederazione, sfruttando
gli eventi storici internazionali, conseguiva
uno storico risultato che avrebbe segnato
il suo futuro in seno all’Europa. Agli inizi, i
Cantoni cattolici erano orientati a non partecipare affatto alle trattative di pace tanto
che il borgomastro di Basilea Joahnn Rudolf
Wettstein (1594-1666) partecipò solo con
il mandato dei quattro Cantoni riformati e
delle città alleate di Bienne e di San Gallo,
con il solo proposito di «inficiare le pretese
di giurisdizione della Camera imperiale e di
ottenere la conferma delle antiche libertà».
Quando, però, il capo della delegazione francese, Henri II d’Orléans-Longueville, principe
di Neuchâtel, avanzò l’idea dell’uscita del
Corpo elvetico dall’Impero, Wettstein, questa
volta appoggiato anche dai Cantoni cattolici
rappresentati dall’urano Zwyer von Evibach,
nel febbraio del 1647, propose il riconoscimento della piena Sovranità della Svizzera a
nome di tutti e tredici Cantoni confederati.
Con la sua abilità diplomatica, Wettstein riuscì a tessere una fitta tela favorevole alla
sua richiesta e quindi a superare tutti gli
ostacoli. Con l’art. 6 della pace di Osnabrück
e il paragrafo 61 di quella di Münster, non
potendo ottenere la sovranità internazionale come i Paesi Bassi, perché tale istituto
non era contemplato dal diritto imperiale, la
Confederazione si doveva accontentare della
«piena libertà e l’esenzione dall’Impero» che
era la stessa cosa detta con altre parole (JORIO Marco, Dizionario Storico della Svizzera,
online, alla voce Vestfalia, pace di).
La Pace di Westfalia era stata un successo
anche per la diplomazia della Serenissima
che, con «perseverante tenacia» e «raro equi-
librio», aveva contribuito in modo determinante a portare a positive conclusioni le trattative, condotte dal suo abile ambasciatore e
futuro Doge Alvise Contarini (1601-1684), il
diplomatico più adatto al quale allora si potesse affidare l’arduo e delicato compito di
«interpositore e mediatore», per «agevolare e
spianare le difficoltà» (CESSI Roberto, Storia
della Repubblica di Venezia, Milano 1946,
vol. II, pp. 176-177). Grazie alla perfetta
organizzazione della diplomazia veneta, il
Contarini era riuscito persino a oscurare ben
presto l’autorità dello stesso legato pontificio
Fabio Chigi (1559-1667), il futuro papa Alessandro VII, che peraltro poteva partecipare
solo alle trattative cattoliche di Münster, e
non, come il veneziano, anche a quelle tra
protestanti a Osnabrück.
È certo che l’interesse della Serenissima di
affrettare la pacificazione continentale era
anche dettato dalla necessità di raggiungere l’unione fra i cristiani «nella difesa contro
il Turco, comune nemico». Tuttavia, come
concordano gli storici, la Serenissima «non
mendicò aiuti, offerti a prezzo usuraio», e non
tradì l’onore e la dignità della sua missione
mediatrice per «la lusinga di soccorso, pur
tanto necessario sotto lo spasimo dell’assedio
turco» (Ibidem). E quando il Turco minacciò
di distruggere gli ultimi baluardi veneti nel
Mediterraneo, Venezia si trovò abbandonata al suo destino da tutta l’Europa. L’ultima
speranza era riposta in Berna e in Zurigo, a
ognuna delle quali la Repubblica veneta, tenendo fede ai trattai del 1608 e del 1618,
aveva sempre pagato la somma annua di
4.000 ducati e fornito i moschetti e le corazze come previsto dal patto di alleanza, senza
tuttavia ricevere in cambio nessuna contropartita. Le clausole dell’accordo che prevedevano l’impiego delle truppe furono allora rese
operanti e, a partire dallo stesso anno 1648,
i mercenari di Berna e di Zurigo partirono
quindi per presidiare e difendere le fortezze
e i territori veneziani minacciate dal Turco.
settembre 2016 La Rivista - 47
L’italianità della
Svizzera - Attualità
e prospettive
«La Svizzera non
è Paese bilingue»
In occasione del Festival del Film Locarno, il Consiglio di Stato
del Canton Ticino ha organizzato (“evento collaterale di approfondimento e di confronto su un tema di attualità”) un incontro
dedicato al tema dell’italianità in Svizzera, invitando i Consigli di
Stato degli altri Cantoni e altre personalità interessate per una
riflessione sulle attualità e le prospettive della lingua italiana.
Dopo i saluti dell’(ancora) Cancelliere dello Stato Giampiero Gianella e
del Presidente del Festival del film Locarno Marco Solari, il Presidente del
Consiglio di Stato Paolo Beltraminelli, nella sua relazione introduttiva, ha
lanciato un chiaro messaggio: l’unione fa la forza e «il Ticino vuole essere
protagonista, insieme a voi, nella costruzione della Svizzera del futuro».
Dal canto suo, esprimendosi in francese, il consigliere di Stato Manuele Bertoli, che è anche
presidente del Forum per l’italiano in Svizzera,
ha evidenziato gli sforzi che si stanno facendo, anche con il sostegno della Confederazione, per attirare l’interesse nazionale sul ruolo
dell’italiano, ribadendo che la Svizzera non è
un Paese bilingue (tedesco e francese) e che
il dibattito deve quindi uscire da questo paradigma errato.
Quando si parla di cucina e di lirica un po’
ovunque in Svizzera aumenta il consumo di
italianità. Ma quando si parla di insegnamento
e dell’utilizzo della lingua di Dante non mancano le preoccupazioni. Nonostante sia una
lingua ufficiale, riconosciuta dalla Costituzione, l’italiano sembra perdere costantemente
considerazione. Preoccupa l’insegnamento
al di fuori della Svizzera italiana. Insomma, il
pericolo è che la Confederazione rischi di diventare bilingue e che l’offerta dell’italiano a
scuola, indicata dal concordato Harmos, rimanga solo sulla carta. «È sulla realtà dei fatti
che dobbiamo agire con forza», ha chiosato
48 - La Rivista settembre 2016
Bertoli. Anche dal punto di vista finanziario.
Un tasto dolente, questo, anche per Tatiana
Crivelli, professoressa all’Università di Zurigo,
secondo la questione dell’attrattiva della lingua non si pone. «L’italiano è una lingua che
piace. Il problema è l’offerta. E purtroppo la politica nazionale, al di là del “mito del plurilinguismo” enunciato molto spesso, si è incanalata in
una direzione miope: trincerandosi dietro ai
numeri, sostenendo che sono sempre di meno
gli allievi disposti a seguire i corsi di italiano,
riduce le possibilità anziché potenziarle».
Di diverso parere Renato Martinoni, professore all’Università di San Gallo, convinto che
l’italiano «abbia bisogno di (tornare ad) essere
attrattivo. Dobbiamo creare motivazione negli
studenti». La lingua italiana non è solo grammatica, non è solo una delle lingue nazionali e ufficiali svizzere, è un modo di vivere. Se
parliamo della lingua italiana in Svizzera, ha
detto Martinoni, dobbiamo perciò parlare anche dell’italianità, che è un aspetto importante
dell’italiano in Svizzera. E l’italianità è un complesso di fenomeni che si declina anche attra-
verso lo stile di vita italiano e quindi le abitudini alimentari conosciute in Svizzera grazie
all’immigrazione e ai contatti con l’Italia che,
anche dal punto di vista commerciale, è uno
dei partner principali della Confederazione.
Considerando, quindi, non soltanto l’aspetto
linguistico, ma l’insieme del fenomeno, Martinoni ritiene che gli svizzeri tedeschi e francesi
possano essere d’aiuto agli svizzeri italiani.
Vero, anche se, come ha rilevato Ignazio Cassis,
Consigliere nazionale e Copresidente dell’intergruppo parlamentare Italianità, c’è molto da
fare. Soprattutto in ambito ufficiale. A cominciare dalla lingua utilizzata a Palazzo federale,
tra parlamentari e amministrazione federale. In
teoria, ciascun parlamentare può esprimersi nella propria lingua, ma se «se io lo facessi sarebbero
molto pochi i colleghi che mi capirebbero».
Presente all’incontro anche il Console generale
d’Italia in Lugano Marcello Fondi, che si è detto
consapevole che la politica del plurilinguismo
richieda importanti risorse, sottolineando che
«un’ottima ragione per investire sull’italiano è
la cultura».
Scaffale
Mattmark
1965
2015
50° anniversario della
tragedia. Avvenimenti
Parole Immagini
Elena
Ferrante
Storia del nuovo
Isidoro
Meli
La mafia mi rende
(Edizioni e/o - pp 480 € 19,50)
(Frassinelli editore - pp 208 € 17,50)
«Capii che ero arrivata fin là piena di superbia e
mi resi conto che – in buona fede certo, con affetto – avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per
mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo
vinto. Lei naturalmente se ne era accorta fin dal
momento in cui le ero comparsa davanti e ora stava
reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto
niente, che al mondo non c’era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e
scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo
semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed
era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il
suono folle del cervello dell’altra». Ecco Storia del
nuovo cognome, secondo romanzo del ciclo dell’Amica geniale. Cominciate a leggere e la scrittura vi
catturerà. Ritroverete subito Lila ed Elena, il loro
rapporto di amore e odio, l’intreccio inestricabile
di dipendenza e volontà di autoaffermazione. Lila
ed Elena hanno sedici anni e si sentono entrambe in un vicolo cieco. Lila si è appena sposata ma,
nell’assumere il cognome del marito, ha l’impressione di aver perso se stessa. Elena è ormai una
studentessa modello, ma, proprio durante il matrimonio dell’amica, ha scoperto che non sta bene
né nel rione né fuori. Le vicende dell’Amica geniale
riprendono a partire da questo punto e ci trascinano nella vitalissima giovinezza delle due ragazze,
dentro il ritmo travolgente con cui si tallonano, si
perdono, si ritrovano. Il tutto sullo sfondo di una
Napoli, di un’Italia che preparano i connotati allarmanti di oggi. Storia e forza della scrittura fanno
tutt’uno sorprendendo il lettore a ogni pagina, abbandonandosi a Lila ed Elena: conoscerle a fondo,
riconoscersi sia nella tendenza alla conformità
acquiescente, sia nella caparbia determinazione a
prendere in mano il proprio destino.
C’era un ragazzetto seduto tutti i pomeriggi a un
tavolino d’angolo del bar Trinacria con gli occhi bassi
su una granita di limone. Ogni volta che passavo lui
alzava la testa e mi fissava, come se avesse qualcosa da dirmi. Scoprii che era muto quando decisi
di chiederlo anche a lui: «Ma secondo te la mafia
esiste?», e lui mi rispose col linguaggio dei segni. Per
fortuna ho imparato l’alfabeto manuale svolgendo il
servizio civile presso un istituto per sordomuti gestito da religiosi, un gran bel posto pieno di mafia e di
muffa. Mi chiamo Vittorio Mazzola, e la mafia mi si
è appiccicata addosso come un fungo. Così, continuai la conversazione: «Secondo te la mafia esiste?»
(Gesti da muti traducibili in «Sì».) «Provamelo.» E lui
ha cominciato.
“Non so dire cosa sarei adesso se fossi nato in un
posto diverso da palermo. Sarebbe tuttoo diverso.
Palermo è l’ombelico del mostro” Il mostro di cui
parla Vittorio Mazzola, voce narrante di questo romanzo, è la mafia. La storia che racconta è quella di
Tommaso Traina, il figlio muto di un mafioso ucciso
dai compari, i quali per compensare la famiglia della perdita, lo assumono come portapizzini. Con un
fratello spacciatore e campione di PlayStation, che
al contrario di Tommaso è considerato da tutti un
giovane fenomeno, e una pseudo fidanzata tossicodipendente e psicotica, Tommaso si ritrova a vivere
un’esistenza popolata di personaggi improbabili e
scandita da messaggi enigmatici e tragitti insensati, che hanno il solo scopo di sprofondare nella
confusione sbirri e rivali. Chi non va in confusione
è proprio Tommaso, da tutti ritenuto analfabeta e
tonto, oltre che muto, e che invece tonto non è, e
nemmeno analfabeta.
Un romanzo d’esordio spiazzante, farsesco, rutilante,
sboccato. Uno stile originale, risolto e convincente.
La mafia come non ve l’hanno mai raccontata.
cognome. L’amica geniale
nervoso
(Edizioni Associazione ItaliaValais)
È stato presentato lo scorso 22 agosto a Sion il volume
che raccoglie tutti gli avvenimenti che hanno segnato il
50° Anniversario della Tragedia di Mattmark nel 2015.
Dopo l’introduzione di Grégoire Jirillo, vice presidente
dell’Associazione ItaliaValais, gli interventi di Domenico Mesiano, presidente dell’Associazione ItaliaValais e
responsabile dell’edizione del libro, e di Stéphane Marti,
presidente della Fondazione Fellini di Sion e realizzatore
del volume, hanno permesso di ripercorrere le tappe del
progetto realizzato lo scorso anno con esposizioni, conferenze, tavole rotonde e dibattiti, in Italia e in Svizzera.
Sullo sfondo, un avvenimento tragico che andava attualizzato per fare in modo che gli anziani non dimentichino
ed i giovani apprendano. Dai diversi intervenuti, è stata
data una valutazione del tutto positiva sul libro prodotto.
Questo rappresenta un lavoro che permette di lasciare a
futura memoria un documento importante, non soltanto
sull’emigrazione italiana in Svizzera, ma, in generale, anche e soprattutto sul mondo del lavoro e sulla storia del
Vallese e della Svizzera.
La pubblicazione è stata realizzata grazie al sostegno
finanziario del Consolato Generale d’Italia di Ginevra e
l’interessamento diretto del console generale Andrea
Bertozzi.
Per l’occasione si è provveduto alla ristampa del catalogo
che ha accompagnato lo scorso anno le diverse esposizioni sulla Tragedia, già esaurito da tempo. Anche la
realizzazione di questa ristampa è stata possibile grazie
al sostegno finanziario del Senato della Repubblica Italiana, per il tramite e l’interessamento del senatore Claudio
Micheloni, presidente del Comitato per le Questioni degli
Italiani all’Estero.
I libri possono essere richiesti direttamente all’Associazione ItaliaValais.
Domenico Mesiano
Presidente dell’Associazione ItaliaValais
0041 (0) 79 400 29 72
settembre 2016 La Rivista - 49
Biografie
in filigrana
di Giuseppe
Muscardini
Alberto Giacometti alla Biennale di Venezia del 1962, fotografato da Paolo Monti,
Fondo Paolo Monti, BEIC
Alberto Giacometti
nella banconota da 100 franchi
Rigirando fra le mani la banconota da cento franchi, sul fronte troviamo il volto vagamente rattristato di Alberto Giacometti, che il designer zurighese Jörg Zintzmeyer mutuò da una
diffusa immagine dell’artista. Sul retro la notissima silhouette
de L’homme qui marche. Un binomio visivo non può sfuggire
a chi, anche solo facendo la spesa, è indotto a richiamare alla
mente l’opera complessa dell’artista grigionese.
Non renderemmo giusto onore ad uno dei più celebri artisti del nostro
tempo, se non ricordassimo qui che Alberto Giacometti, raffigurato
sulla banconta da 100 franchi, scomparve a Coira nel 1966, esattamente mezzo secolo fa. Cinque anni prima aveva realizzato la sua
osservazione della natura, per poi
dedicarsi di nuovo
e con maggior cosAlberto Giacometti, Homme qui marche I, 1960, bronzo, 183 x 26 x 95,5 cm.
tanza alla pittura
Collection Fondation Aimé et Marguerite Maeght, Saint-Paul de Vence (France)
verso la fine degli
anni Quaranta. Le
celebre scultura in bronzo intitolata L’homopere di Giacometti sono esposte in molti
me qui marche, effigiata sul retro della stessa
musei europei e americani, a testimonianza
banconota, con cui l’artista si è fatto interdel suo impegno d’artista, assunto con l’idea
prete della crisi dell’uomo contemporaneo.
di dominare la materia e le tecniche a disposizione e di mettere a fuoco i problemi del
I soggiorni in Italia del 1920 e del
suo tempo. Vi riuscì. L’amicizia con Samuel
1921, proficui viaggi di istruzione
Beckett - per il quale realizzò la scenografia
Nato nel 1901 a Borgonovo di Stampa, localdi Aspettando Godot -, ne è in qualche modo
ità del Canton Grigioni, Alberto Giacometti
la riprova.
iniziò giovanissimo a dipingere. Iscrittosi nel
In considerazione alla vicinanza geografica fra
1919 alla Scuola di Arti e Mestieri di Ginevra,
il luogo di nascita e il confine italiano, cosa
perfezionò la sua formazione a Parigi deddeve Giacometti all’Italia? Niente, verrebbe da
icandosi nel contempo ad una produzione
dire, perché in campo c’è unicamente un estro
artistica densa di allusioni e metafore, non
e una geniale capacità di rappresentazione
sempre facili da decifrare. Nel periodo in cui
che, espressa nella scultura come in pittura,
lavorò alle opere in bronzo, alternò fasi ispisa generare emozioni nel visitatore dei molti
rate dal sogno a fasi in cui prevalse l’attenta
musei in cui le sue opere sono conservate. Ma
50 - La Rivista settembre 2016
ci soddisfa riscontrare come la madre Annetta
Stampa discendesse da una famiglia di protestanti italiani rifugiatasi nei Grigioni, così
come protestante-evangelico era il cosiddetto
«ramo romano» dei Giacometti fin dai tempi
della Riforma in Bregaglia. Per di più Alberto era figlio del pittore post-impressionista
Giovanni Giacometti che, affascinato dai capolavori italiani, nel 1920 condusse il giovane a
Venezia per mostrargli le opere raccolte nelle
sale espositive della XII Biennale d’Arte, l’importante rassegna internazionale all’interno
della quale Giovanni deteneva l’incarico di
Commissario per la Svizzera. L’accorto genitore non perse l’occasione di portarlo in visita
alle quadrerie veneziane, dove agli occhi di Alberto Tintoretto grandeggiava sugli altri, salvo
poi ricredersi davanti gli affreschi giotteschi
della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Tintoretto, Giotto e l’amore per la
cuginetta di Roma
Fu proprio a Padova, negli stessi giorni in cui
si recò agli Scrovegni, che accadde qualcosa
anche in tempi... non sospetti. Nell’autunno 2013 furono esposti a Palazzo Magnani
di Reggio Emilia due bronzi per una singolare comparazione: la Femme debout di
Alberto Giacometti e l’Ombra della sera,
scultura votiva etrusca risalente al III secolo avanti Cristo. La compostezza esecutiva delle due opere, distanti fra loro 2.300
anni, risultava prodigiosamente affine, sia
nell’impianto che nei corpi dei soggetti,
somiglianti ad alberi allungati e sormontati da una testa in cui le rispondenze anatomiche erano invece uniformi.
Altro viaggio italiano nel 1921
Banconota da 100 chf, fronte
di straordinario e inaspettato. In lui cambiarono i rapporti fra le cose, in una sorta
di visione onirica, dove le proporzioni anatomiche delle persone parevano alterarsi.
A muovere queste suggestioni fu la vista
di tre ragazze che lo precedevano lungo la
via. Dopo essersi immerso nella contemplazione delle opere veneziane e patavine, al
suo sguardo dilatato dall’arte le tre donne
rivelavano irreali fattezze caricaturali. Accolse con stupore questa condizione sensoriale e concepì stravolgimenti anatomici in
soggetti umani da trasferire nella pittura e
nella scultura.
Condizione che si rafforzò nell’autunno dello stesso 1920, quando il giovane ritornò in
Italia per visitare Firenze e Pompei, soggiornando a Roma presso Antonio Giacometti,
cugino del padre. Qui avvertì un’istintiva
attrazione per Bianca, figlia di Antonio, di
cui volle realizzare il ritratto in un impeto
creativo. Si accorse allora dell’impossibilità
di rappresentare il reale così come il reale
si manifestava, ed uscì da quella esperienza
con una consapevolezza nuova, ben riflessa
nelle opere successive, incluso L’homme qui
marche, figura filiforme che sembra vagare
a lunghi passi alla ricerca di uno spazio esistenziale introvabile.
La stessa immagine accorata dell’artista,
presente nel fronte della banconota e rica-
Banconota da 100 chf, retro
vata da un ritratto fotografico, pare legarsi
all’amarezza di aver sondato personalmente
la fragilità, gli smarrimenti e l’incapacità
dei suoi contemporanei di ritrovare una dimensione vitale, a causa di un’ineludibile
frammentazione dell’io provocata dai tragici
eventi storici e sociali del Novecento.
Si possono indagare, al di là di ogni questione meramente filosofica, altre motivazioni artistiche che indussero Alberto Giacometti a dar vita alla famosissima scultura riprodotta sulla banconota. Scopriremo
così gli elevati significati che Jean-Paul
Sartre, occupandosi negli anni Quaranta
e Cinquanta della cifra estetica e stilistica di Alberto Giacometti, mise in luce nel
saggio La ricerca dell’assoluto, pubblicato
nel catalogo della mostra tenuta dall’artista nel 1948 alla Pierre Matisse Gallery di
New York. Negli stessi anni, tra il 1947 e il
1950, Giacometti lavorava al suo soggetto
principale, elaborandolo in composizioni
multiple o mantenendolo come scultura
singola per ridefinire la percezione dello
spazio in cui si immagina possa avvenire
lo spostamento di un uomo in continuo
cammino. Qui la sovradimensione degli attributi corporei sono gli stilemi attraverso i
quali più si riconosce la sua mano felice. O
dei suoi imitatori.
Strano a dirsi, Giacometti vanta imitatori
Difficile stabilire quanto l’altro viaggio italiano, compiuto sempre nel 1921, abbia influito
sulla produzione dell’artista. Questa volta
soggiornò in luoghi decisamente diversi dalle
città d’arte visitate in precedenza. Desideroso
di quiete, preferì la più appartata Madonna
di Campiglio, nel Trentino. Vi giunse in compagnia di un pittore olandese di nome Peter
van Meurs, conosciuto durante il viaggio a
Pompei. Sappiamo tuttavia che la morte improvvisa del pittore sessantenne a Madonna
di Campiglio, pesò sulla concezione della
vita del giovane Alberto. La triste esperienza
consolidò in lui l’idea della gracilità umana,
ma irrobustì quel dinamismo estetico che nel
tempo approdò alla provocazione di forme
volutamente snaturate, in contrasto con i
canoni del bello ideale.
Ombra della sera, statuetta votiva etrusca, III secolo a. C., bronzo, 57,5 cm. Volterra, Museo Guarnacci
settembre 2016 La Rivista - 51
Das Landesmuseum Zürich: Ensemble aus Alt und Neu. Blick vom Neumühlequai im Januar. © Roman Keller
Il nuovo Museo
nazionale Zurigo
L’inaugurazione del nuovo edificio del Museo nazionale a Zurigo,
lo scorso 31 luglio, segna il compimento di uno dei principali progetti
del secolo. L’imponente nuova ala è
l’ampliamento moderno dell’edificio
storico. I due edifici riuniscono il
vecchio e il nuovo per creare un insieme. La nuova ala è stata ufficialmente inaugurata durante il fine settimana del 1° agosto con il discorso
di apertura del Consigliere federale
Alain Berset e un ricco programma
di manifestazioni che si sono svolte
sull’arco di 26 ore.
Dopo una fase di progettazione e realizzazione durata circa 15 anni, il museo storico
può ora vantare un nuovo edificio dotato di
un’infrastruttura moderna e di sale espositive polivalenti. Con le sue pareti spesse 80
cm, il nuovo edificio è uno dei primi musei
svizzeri a rispondere ai criteri stabiliti dallo
standard Minergie P-Eco. La nuova ala progettata dagli architetti Christ & Gantenbein
si fonde con l’edificio storico di Gustav Gull
per costituire un insieme: percorrendo le
mostre, i visitatori percepiscono le due parti
come un’unità.
La facciata del nuovo edificio ricorda la facciata in tufo dell’edificio storico e i pavimenti
in calcestruzzo levigato della nuova ala costituiscono un’interpretazione contemporanea del pavimento a terrazzo nel vecchio
edificio. Dalla fusione delle due costruzioni
emerge un cortile interno, che si apre sul
parco con il ponte della nuova ala. Uno degli
elementi architettonici più imponenti all’interno del nuovo edificio è costituito dallo
scalone fiancheggiato da finestre tonde, attraverso le quali si scorgono gli alberi secolari
del parco.
La nuova ala è stata inaugurata con due mostre: la prima, intitolata L’Europa nel Rinascimento. Metamorfosi 1400 – 1600, illustra la
52 - La Rivista settembre 2016
Il consigliere federale Alain Berset inaugura la nuova ala del museo nazionale
cultura del dialogo, lo scambio di idee, le trasformazioni e il transfer culturale che hanno
interessato vaste regioni del continente europeo, mentre la seconda, intitolata Archeologia Svizzera, presenta ai visitatori il ricco
patrimonio archeologico e culturale elvetico.
Oltre a disporre di spazi espositivi moderni e
polivalenti, il nuovo edificio è dotato di un
Centro di studi, di una biblioteca, di un auditorium per manifestazioni aperte al pubblico
e di un’offerta culinaria di pregevole qualità.
Il Centro di studi rappresenta l’anello di
congiunzione tra le mostre e il Centro delle
collezioni di Affoltern am Albis, che accoglie
i circa 850’000 oggetti appartenenti alle varie collezioni del Museo nazionale svizzero.
Munito di posti di lavoro all’avanguardia,
il centro è il luogo ideale per approfondire
tematiche storico-culturali. Esso comprende
una biblioteca di indirizzo storico-culturale,
collezioni di studio nei campi della numismatica, della fotografia storica, della grafica e
dell’archeologia, nonché un archivio tessile e
una fototeca.
Con la denominazione «Spitz» – in riferimento al «Platzspitz» – il Museo nazionale
accoglie nei propri spazi un bistro, un bar
e un ristorante per un totale di 300 posti
a sedere al chiuso e all’aperto. Il ristorante
proporrà una cucina regionale di alta qualità, mentre nel bistro si potranno consumare
veloci spuntini.
Fino al 30 ottobre
alla Fondation
de l’Hermitage di
Losanna
Keith Haring, End of Sale
di Augusto Orsi
La Fondation de l’Hermitage di Losanna conosciuta e apprezzata per le sue
notevoli esposizione d’arte presenta
fino al 30 ottobre Basquiat, Dubuffet,
Soulage… Une collection privée.
La mostra, un insieme di 127 opere, dipinti, sculture e installazioni rappresenta una
esplorazione considerevole e inedita dell’arte
del XX e XXI secolo da parte di un collezionista anonimo, per noi, oculato e attento ai
movimenti artistici contemporanei. La collezione , che è andata costituendosi a partire
Basquiat, Dubuffet,
Soulage… Une collection privée
dagli anni ’50 del secolo scorso, consente
una visita che rappresenta un’escursione
originale nell’arte contemporanea guidati da
chi, il collezionista stesso, ha già fatto le sue
scelte e da due curatori che hanno ordinato il
tutto secondo criteri cronologici e qualitativi.
L’esposizione dà ampio spazio all’arte tra le
due guerre: dall’informale di Jean Dubuffet e
Asger Jorn al neo espressionismo di Barcelo,
Jean Michel Basquiat, Anselm Kiefer.
La mostra offre altri momenti forti rappresentati dalle opere, poetiche, intense, realiste, gravi o leggere dell’italiano Giuseppe
Jean-Michel Basquiat (1960-1988) Lobo, senza data, acrilico su tela, 123 x 100 cm
Pennone, di Bertrand Lavier, Pierre Soulage e
del ticinese Niele Toroni. A questa panoramica che illustra la creatività contemporanea
europea si aggiunge una notevole selezione
d’opere americane che si focalizza sul minimalismo e sull’espressionismo astratto
di Carl Andre, Chris Burden, Sol LeWitt, Cy
Twombl e altri ancora. Questa presentazione,
già di per sé costituisce, secondo i curatori,
un avvenimento notevole!
Qualche “incursione” nell’art brut e naif di
Louis Soutter e André Bauchant, in più dei
ritratti di Auguste, Renoir, André Derain,
Cham Soutine, Antoine Artaud e di busti
classici del XVII e XIX secolo, che, seppur con
l’art brut e gli artisti americani non c’entrano
molto, completano l’esposizione, curata da
Sylvie Wuhrmann, direttrice della Fondation
di l’Hermitage e Didier Semin, professore à
l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux- arts
di Paris. Un catalogo illustrato edito dalla
Fondation de l’Hermitage e Skira, Milano, è
guida alla mostra.
A parer mio, una mostra di questo tipo oltre a rappresentare un impegno minore per
i curatori, in quanto nella collezione hanno
a loro disposizione e pronti tutti gli elementi
artistici espositivi per imbastire e presentare
un insieme armonico ed avvincente, ha però
i suoi limiti nell’ eterogeneità delle opere
esposte. Il visitatore si sente spiazzato e non
sempre riesce a fare una lettura appropriata
delle proposte artistiche.
La Fondation de L’Hermitage per rendere
l’esposizione più dinamica e interessante sul
piano cognitivo ha organizzato diverse attività divulgative: quali visite guidate e atelier,
come Loup y es-tu? per bambini e famiglie e
Rhythm ‘n’ Art a partire dai 16 anni.
Basquiat, Dubuffet, Soulage… Une collection
privée.
Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle
18. Giovedì fino alle 21
www.fondation-hermitage.ch
settembre 2016 La Rivista - 53
Calato il sipario sulla 69
ma
edizione del Festival del film Locarno
Annunciato durante la serata di chiusura del 13 agosto il francobollo celebrativo per il 70esimo anniversario del Festival del film di Locarno (© Festival
del film Locarno)
Seppur accolta con qualche dubbio e perplessità (“nessuna
polemica”, “profilo basso”, “si pensa soprattutto al 70°”…)
l’edizione 2016, la quarta sotto la direzione artistica di Carlo
Chatrian, è andata via via acquistando credito e si è conclusa
con successo di pubblico e di critica coronata con il Pardo
d’oro al film Godless della regista bulgara Ralitza Petrova.
279 pellicole in meno di due settimane, 16 sotto il cielo di Piazza Grande
e 17 in Concorso internazionale. Tra i grandi ospiti di quest’anno indimenticabili il saluto alla Piazza di Mario Adorf e di Stefania Sandrelli, le
conversazioni con il pubblico di Harvey Keitel, Roger Corman, David Linde
e Alejando Jodorowsky e la masterclass di Howard Shore; la passione ri-
voluzionaria di Ken Loach e ancora il ricordo di
Cimino di Isabelle Huppert e del figlio Ahmad al
padre Abbas Kiarostami, la generosità di Jane
Birkin e la simpatia contagiosa di Bill Pullman.
Carlo Chatrian, Direttore artistico a proposito
dell’edizione che si è appena conclusa, ha dichiarato che “conteneva alcune scommesse.
Da una programmazione della Piazza più libera
di accogliere proposte non scontate alle competizioni che hanno privilegiato registi giovani.
La risposta positiva di pubblico e stampa è per
noi un incoraggiamento a proseguire il percorso intrapreso. Vogliamo che Locarno sia, come
è stato in questi entusiasmanti undici giorni,
un luogo in cui proiettare film che mettono al
centro l’uomo in tutte le sue sfaccettature, film
che fanno discutere ed emozionare; e allo stesso tempo, il luogo di incontro tra grandi artisti,
capaci di consegnare messaggi dal forte valore, e un pubblico attento e caloroso. Un pubblico capace di accogliere con lo stesso affetto il
grande Harvey Keitel e un suo collega bhutanese, meno noto, ma in grado di far vibrare le
8000 sedie al ritmo della sua voce”.
54 - La Rivista settembre 2016
La partecipazione degli spettatori è in linea
con gli scorsi anni, con al Piazza Grande che
ha accolto oltre 160’00 spettatori.
Un francobollo speciale per il
70esimo anniversario del Festival
In occasione della tradizionale Assemblea
straordinaria di fine Festival, sono stati resi
noti i dettagli dell’annuncio fatto durante la serata di chiusura del 13 agosto del
francobollo celebrativo per il 70esimo anniversario del Festival del film di Locarno, che
sarà presentato in anteprima il 31 marzo su
La regista bulgara Ralitza Petrova che con il suo
Godless ha ottenuto il pardo d’oro (© Festival del
film Locarno)
La Lente, la rivista per gli amici dei francobolli de La Posta. Il layout del francobollo
speciale inedito sarà curato dal Festival
del film di Locarno in collaborazione con
Jannuzzi | Smith e La Posta. Il francobollo
speciale sarà prenotabile a partire dal 31
marzo 2017 su postshop.ch e sarà emesso
in data 11 maggio 2017.
“Sono grato a Adriano P. Vassalli vicepresidente del Consiglio di amministrazione de La Posta
e a Susanne Ruoff, direttrice generale de La Posta, per aver proposto, quello che per noi è un
inaspettato regalo per il 70esimo del Festival”
Ecco un modo per garantirsi un posto alal proiezione serale in Piazza Grande
(© Festival del film Locarno / Pablo Gianinazzi)
Dave Johns l’ottimo intreprete dello spleidido film di Ken Loach, IDaniel Blake, mentre ritira il premio del pubblico (© Festival del film Locarno / Massimo Pedrazzini)
così Marco Solari, Presidente del Festival del
film di Locarno, ha commentato la decisione
de La Posta
Successo anche per la Rotonda
Successo di pubblico anche per l’edizione zero
de laRotonda, il nuovo villaggio del Festival
che dal 31 luglio sino a domani 14 agosto ha
animato e anima la notte locarnese.
“Un bilancio operativo è sicuramente positivo
- secondo Mario Timbal, Direttore operativo
del Festival - che si è detto soddisfatto per
l’affluenza che “è stata alta e in linea con le
passate edizioni. Alcune scelte coraggiose e la
grande attenzione data alla sicurezza dell’evento, non hanno intaccato il grande interesse
IL PALMARÈS DI LOCARNO 69
Concorso internazionale
Pardo d’oro GODLESS di Ralitza Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia
Premio speciale della giuria INIMI CICATRIZATE (Scarred Hearts) di Radu Jude, Romania/
Germania
Pardo per la miglior regia JOÃO PEDRO
RODRIGUES per O ORNITÓLOGO, Portogallo/
Francia/Brasile
Pardo per la miglior interpretazione femminile IRENA IVANOVA per GODLESS di Ralitza
Petrova, Bulgaria/Danimarca/Francia
Pardo per la miglior interpretazione maschile
ANDRZEJ SEWERYN per OSTATNIA RODZINA
(The Last Family) di Jan P. Matusz s i, Polonia
Menzione speciale MISTER UNIVERSO di Tizza Covi, Rainer Frimmel Austria/Italia
Concorso Cineasti del presente
Pardo d’oro Cineasti del presente – Premio
Nescens EL AUGE DEL HUMANO di Eduardo
Williams, Argentina/Brasile/Portogallo
Premio speciale della giuria Ciné+ Cineasti
del presente THE CHALLENGE di Yuri Ancara-
da parte del pubblico,
dei professionisti e
dei media. Ottimo
anche il bilancio
dell’ edizione zero
de laRotonda – Il
villaggio del Festival.
Le diverse proposte
che hanno animato
le serate sono state
Stefania Sandrelli durante l’incontro con il pubblico (© Festival del film Locarno)
accolte positivamente sia dai festivalieri,
hanno reso possibile la 69ma edizione.”
sia dal pubblico locale, aggiungendo all’offerta
Occhi puntati ora e grande attesa per la 70°
del Festival un’ ulteriore dimensione. Un granedizione del Festival del film Locarno si terrà
de ringraziamento va a tutti i collaboratori e
dal 2 al 12 agosto 2017.
ai partner che con il loro impegno e sostegno
ni, Italia/Francia/Svizzera
Premio per il miglior regista emergente MARIKO TETSUYA per DESTRUCTION BABIES,
Giappone
Menzione Speciale VIEJO CALAVERA di Kiro
Russo, Bolivia/Qatar
First Feature
Swatch First Feature Award (Premio per la
migliore opera prima) EL FUTURO PERFECTO
di Nele Wohlatz, Argentina
Swatch Art Peace Hotel Award MAUD ALPI
per GORGE COEUR VENTRE, Francia
Menzione speciale EL AUGE DEL HUMANO
di Eduardo Williams, Argentina/Brasile/
Portogallo
Pardi di domani
Concorso internazionale
Pardino d’oro per il miglior cortometraggio
internazionale – Premio SRG SSR L’IMMENSE
RETOUR (ROMANCE) di Manon Coubia, Belgio/Francia
Pardino d’argento SRG SSR per il Concorso
internazionale CILAOS di Camilo Restrepo,
Francia
Nomination di Locarno agli European Film
Awards – Premio Pianifica L’IMMENSE RETOUR (ROMANCE) di Manon Coubia, Belgio/
Francia
Premio Film und Video Untertitelung VALPARAISO di Carlo Sironi, Italia
Menzione speciale NON CASTUS di Andrea
Castillo, Cile
Concorso nazionale
Pardino d’oro per il miglior cortometraggio
svizzero – Premio Swiss Life DIE BRÜCKE
ÜBER DEN FLUSS di Jadwiga Kowalska,
Svizzera
Pardino d’argento Swiss Life per il Concorso nazionale GENESIS di Lucien Monot,
Svizzera
Best Swiss Newcomer Award LA SÈVE di Manon Goupil, Svizzera
Prix du Public UBS
I, DANIEL BLAKE di Ken Loach, Gran Bretagna/Francia/Belgio
Variety Piazza Grande Award MOKA di Frédéric Mermoud, Francia/Svizzera
settembre 2016 La Rivista - 55
La Terrazza Marnin, animata dall’Infaticabile Franca Antognini
Pangottardo dolce
omaggio a Gotthard
Tre ore di film, o meglio di fiction tv, e una
Piazza quasi piena che ha strappato uno
“Uau” di meraviglia ed emozione al regista
Urs Egger. Nella seconda serata Prefestival
è stato presentato Gotthard, grande produzione Ssr che a dicembre arriverà in tv
(in collaborazione con Zdf e Orf).
Attraverso un minatore anarchico italiano, un
aspirante ingegnere tedesco e una giovane
di Göschenen, all’ombra della montagna e di
Louis Favre, colui che si fece carico del progetto, Gotthard racconta dieci anni di Storia, fra
il 1870 e il 1880, andata e ritorno dal grande
sogno alla strage dei minatori in sciopero. Un
bel progetto tv, spettacolare e ben recitato.
Prendendo spunto e ispirazione dalla Fiction
di Urs Egger, la Pasticceria Marnin di Piazza
Sant’Antonio ha creato il Pangottardo, un panettone di ben 5 chili contornato da una catena montuosa di panettoni più piccoli e nel
ricevimento del Festival, ha fatto passare, in
prima mondiale, la nuova locomotiva in miniatura GOTTARDO 2016, attraverso il tunnel
del Pangottardo.
L’opera d’arte dolciara è stato esposta
La nuova locomotiva in miniatura GOTTARDO 2016, attraverso il tunnel del Pangottardo
56 - La Rivista settembre 2016
nella vetrina della Panetteria Marnin di
Piazza San Francesco durante tutta la durata del Festival creando ammirazione e
stupore. Il bel video sul Pangottardo realizzato da Simone Felici può essere ancora
visto su Youtube.
Come preludio della passione cinefila della
Marnin la vetrina della Pasticceria era stata
decorata con riproduzioni di opere di Rotella
e il cinema della mostra di Casa Rusca e un
video con immagini di film classici in rapporto con l’esposizione ridestava ricordi della
Dolce Vita.
Terrazza Marnin: luogo di incontri
conviviali
Nei dieci giorni della kermesse cinematografica locarnese, la Terrazza Marnin, situata di
fronte alla pasticceria di Piazza Sant’Antonio,
frequentata da avventori abituali e da festivalieri, ha accolto, tra gli altri il maestro del
brivido, Dario Argento presidente della Giuria
Pardi di domani, Lucius Barre responsabile di
Protocollo tappeto rosso del Festival, Martine e Pierino Ghisla, titolari della prestigiosa
Ghisla Art Collection, l’ambasciatore svizzero
in Francia Bernardino Regazzoni, il giornalista
di Ciak, Antonello Catacchio, Patrizia Wachter,
addetta stampa del Festival per la stampa
italiana, André Ceuterick direttore del Festival Internazionale del film d’amore di Mons
e Stelio Righenzi vicepresidente del Festival
Castellinaria.
Non sono mancati gli addetti ai lavori al Festival quali i membri della Giuria Ecumenica
e quelli della Giuria Fipresci (Federazione della
stampa internazionale cinematografica) che
sulla terrazza hanno discusso a lungo a quale
film assegnare il loro premio.
André Ceuterick direttore del Festival Internazionale del film d’amore di Mons (a destra) e Stelio Righenzi
vicepresidente del Festival Castellinaria (a sinistra) il nostro collaboratore Augusto Orsi, la sua signora (a
sinistra) e Franca Antognini (a destra)
L’ambasciatore svizzero a Parigi Bernardino Regazzoni (a destra), la sua signora (a sinistra) il giornalista di Ciak, Antonello Catacchio e Patrizia Wachter, addetta
stampa del Festival per la stampa italiana
I membri della Giuria Ecumenica….
…e quelli della Giuria Fipresci (Federazione della stampa internazionale
cinematografica) che sulla terrazza hanno discusso a lungo su quale film
assegnare il loro premio
settembre 2016 La Rivista - 57
Benchmark
di Nico Tanzi
Multitasking e “vita connessa”
fra la comunicazione globale
e la saggezza dei nonni
Ricordo ancora perfettamente il momento in cui ho sentito parlare per la prima volta di multitasking. È stato
una ventina d’anni fa, o poco più. Lavoravo per un piccolo giornale, in quel periodo. Era la fase in cui si abbandonavano i vecchi (e voluminosi, e costosi) sistemi che trasferivano il lavoro dei giornalisti dai videoterminali
in redazione alla tipografia, e facevano per la prima volta la loro comparsa i personal computer, che già allora
ci sembravano veloci e agilissimi. In realtà avevano un millesimo delle potenzialità dei computer attuali, ma
ciononostante rappresentavano un passo avanti incredibile, rispetto alla rigidità dei sistemi di lavoro fino allora
in uso. E oltretutto permettevano, appunto, il multitasking – come ci spiegava l’istruttore, un informatico che
parlava il linguaggio degli informatici, non ancora diffuso come oggi, e che perciò a tutti noi, cresciuti sulle
macchine per scrivere Olivetti, appariva praticamente come un marziano. Ce ne parlava come di una possibilità straordinaria, e in effetti lo era: rendeva possibile infatti utilizzare contemporaneamente più programmi:
non solo la scrittura, quindi, ma il sistema di impaginazione, la gestione delle immagini... (internet non c’era
ancora: sarebbe arrivato pochi anni dopo). Certo non avremmo mai immaginato, allora, che quella meraviglia
tecnologica sarebbe stata pochi anni dopo la chiave di volta di una vera e propria mutazione antropologica.
Eh già, perché nel frattempo questa modalità di lavoro – il multitasking – ha smesso di restare confinata
nell’ambito dell’informatica, ed è diventata una parte fondamentale del nostro modo di vivere. O almeno del
modo di vivere di quella parte consistente dell’umanità che non smette neppure per un attimo di essere «connessa», attraverso uno o l’altro dei diversi «gadget tecnologici» di cui dispone.
Nel 2006 il settimanale americano Time aveva coniato la definizione “Multitasking Generation”, generazione
multitasking, per indicare i milioni di persone che vivono in stato di «attenzione parziale continua», divisi fra i
diversi dispositivi e piattaforme che rappresentano il loro contatto principale con il mondo. Esattamente dieci
anni dopo, il termine ha perso completamente di senso: perché il multitasking non è più una caratteristica
generazionale, ma si estende a una parte consistente dell’umanità connessa. Siamo qui e nello stesso tempo
siano altrove. Parliamo con il nostro interlocutore ma intanto teniamo d’occhio Facebook, Whatsapp o gli sms.
E magari ascoltiamo musica con lo smartphone o l’iPod, o guardiamo un video su Youtube. Non viviamo più
“qui e ora”: distribuiamo la nostra attenzione, sempre parziale e mai totale, su una miriade di canali diversi.
Le conseguenze di questo modo di vivere la «comunicazione globale» non si sono fatte attendere. Da tempo
si parla di patologie connesse, di «sindrome da interruzione continua». Niente di completamente nuovo, e ci
mancherebbe altro: ma intanto, solo per citare un dato, sono sempre di più (e parliamo di milioni di individui)
i ragazzi che soffrono di «disordine da iperattività e deficit di attenzione». Ormai chi ha fra gli 8 e i 18 anni
«consuma» media elettronici per 7 ore (in media) al giorno. E già questo sarebbe mostruoso. Ma il peggio è che
quelle ore è come se fossero in realtà due in più: 9. E questo proprio a causa del multitasking, che permette di
svolgere più compiti contemporaneamente.
In realtà si tratta di un’illusione: il cervello umano, anche quando ci dà la sensazione della simultaneità, svolge
un compito (in inglese, «task») per volta. Se lo subissiamo di richieste continue, a intervalli sempre più brevi
(come avviene quando ci dividiamo fra telefono, social network, posta elettronica, musica, video eccetera) rischiamo di farlo andare in tilt. Di sicuro ne diminuiamo la capacità di concentrazione. E diminuisce così anche
la capacità di mantenere viva l’attenzione per periodi di tempo che vanno oltre qualche minuto. Ne sanno
qualcosa gli insegnanti, il cui sforzo per mantenere alta la concentrazione degli alunni per un’ora intera ha
sempre più del titanico.
Ma l’aspetto comico (o tragico, fate voi) della faccenda, è che – come è stato ormai ampiamente dimostrato –
svolgere due azioni separatamente richiede meno tempo rispetto a quando le si svolge contemporaneamente.
A volte addirittura la metà. E i rischi di errore sono molto inferiori. Come sapevano bene i nostri nonni, quando
ammonivano che “chi va piano…”.
58 - La Rivista settembre 2016
Sequenze
di Jean de la Mulière
Fuocoammare
di Gianfranco Rosi
Gianfranco Rosi racconta Lampedusa attraverso
la storia di Samuele, un ragazzino che va a scuola,
ama tirare sassi, con la fionda che si è costruito, e
andare a caccia di uccelli. Preferisce giocare sulla
terraferma, anche se tutto, attorno a lui, parla di
mare e di quelle migliaia di donne, uomini e bambini che quel mare, negli ultimi vent’anni, hanno
cercato di attraversarlo alla ricerca di una vita
degna di questo nome trovandovi spesso, troppo
spesso, la morte.. Rosi orienta il suo e il nostro
sguardo, evitando l’approccio del documentario
‘mordi e fuggi’ che vede la troupe giungere sul
luogo, pretendere di capire in fretta o comunque
di mettere in ordine i propri pregiudizi e ripartire
quando pensa di ‘avere abbastanza materiale’. Fedele al suo metodo di totale immersione, il regista
è rimasto per un anno a Lampedusa entrando così
realmente nei ritmi di un microcosmo di cui voleva rendere una testimonianza onesta. Samuele è
un ragazzino con l’apparente sicurezza, le paure e
il bisogno di capire e conoscere tipici di ogni preadolescente. Con lui e con la sua famiglia entriamo
nella quotidianità delle vite di chi abita un luogo
che è, per comoda definizione, costantemente in
emergenza. Grazie a lui e al suo ‘occhio pigro’, che
ha bisogno di rieducazione per tornare a vedere
sfruttando tutte le sue potenzialità, ci viene ricordato di quanto miope sia lo sguardo di un’Europa
che affronta il fenomeno della migrazione limitandosi ad aprire o chiudere le frontiere secondo
il proprio tornaconto.
Samuele non incontra mai i migranti. A farlo è invece il dottor Bartolo, unico medico di Lampedusa
costretto dalla propria professione a constatare i
decessi, ma capace di non trasformare tutto ciò in
una macabra routine, conservando intatto il senso di un’incancellabile partecipazione.
Rosi non cerca l’effetto, neppure quando ci mostra situazioni al limite senza alcun compiacimento estetizzante, ma con la consapevolezza
che nessun uomo è un’isola e nessuna Isola, oggi,
è come Lampedusa.
The light
The Music of
between oceans Strangers
di Derek Cianfrance
di Morgan Neville
Dopo quattro anni sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale, che hanno lasciato un segno
indelebile nella sua mente, Tom Sherbourne (Michael Fassbender) ritorna in Australia, dove cerca
ed ottiene un lavoro come il guardiano del faro su
Janus Rock, un’isola sperduta a quasi mezza giornata di navigazione dalla costa. Su questo lembo
di terra isolato, dove la barca degli approvvigionamenti approda ad ogni stagione. Inizialmente,
nella solitudine ritmicamente cadenzata dall’accensione del faro Tom cerca di ritrovare un equilibrio interiore. Ben presto però cede all’amore e alla
determinazione della giovane Isabel (Alicia Vikander), la sposa, condizione necessaria, e la porta con
sé sull’isola. Anni più tardi, dopo due aborti e un
feto nato morto, una mattina Isabel sente un grido
sottile come un volo di gabbiani rompere d’improvviso la quiete dell’alba. Quel grido, destinato a
cambiare per sempre la vita della coppia, è il tenue
vagito di una bambina, ritrovata a bordo di una
barca naufragata sugli scogli, insieme al cadavere
di uno sconosciuto. Per Isabel la bambina senza
nome è il regalo più grande che l’oceano le abbia
mai fatto. È la figlia che ha sempre voluto. E sarà
sua. Nessuno lo verrà mai a sapere, basterà solo
infrangere una piccola regola. Basterà che Tom
non segnali il naufragio alle autorità, così nessuno
verrà mai a cercarla. Decidono di chiamarla Lucy.
Ben presto quella creatura vivace e sempre bisognosa d’attenzione diventa la luce della loro vita.
Ma ogni luce crea delle ombre. E quell’ombra nasconde un segreto pesante come un macigno, più
indomabile di qualunque corrente e tempesta Tom
abbia mai dovuto illuminare con la luce del suo
faro. In occasione d i una visita sulla terraferma
Tom e Isabel dovranno rendersi conto che non esistono solo loro al mondo, ma ci sono altre anime
con cui rapportarsi tra queste Hannah Roennfeldt
(Rachel Weisz), il cui marito e la figlia ancora in
fasce sono dispersi in mare. Per Tom non c’è dubbio la gioia degli uni non può affermarsi a scapito
della sofferenza degli altri.
Il potere universale della musica unisce i popoli
oltre i limiti geografici e il Silk Road Ensemble, il
collettivo di musicisti fondato dal leggendario violoncellista Yo-Yo Ma, nasce proprio per dare voce a
questo potere, realizzando un esperimento di collaborazione artistica rivoluzionario.
In crisi di identità, dopo esser stato un violoncellista prodigio e celebre dall’età di sette anni, quando
suonò per i Kennedy, Yo Yo Ma quindici anni fa ha
cercato un po’ di linfa nuova incontrando e selezionando 55 virtuosi di strumenti musicali tradizionali. Da allora si ritrovano più volte all’anno, in diverse
combinazioni, per concerti in disparati angoli del
mondo (nel documentario attraversiamo Istanbul,
New York, Cina, Iran, Africa).
Il film di Neville, zeppo di materiali di repertorio
tratti dalla lunga vita artistica del celeberrimo violoncellista nato sotto Mao, è però soprattutto il racconto di cinque avventure umane che intrecciano
ribellione e talento con eventi che hanno lasciato il
segno nel nostro frantumato mondo. C’è il clarinettista siriano Kinan Azmeh, che dagli States torna nei
campi profughi per insegnare musica ai ragazzini
e c’è la vicenda umana assai complessa, dolorosa,
dell’iraniano Kayhan Kalhor, maestro del tradizionale Kemenche, piccolo strumento a corde orientale, fuggito all’epoca della rivoluzione komeinista,
rientrato a Teheran nel momento della rivoluzione
verde e infine di nuovo ‘indesiderato’ ed esule.
Ma il documentario non è solo questo, è in special
modo l’energia vitale di due signore della Silk Road
Ensemble, Cristina Pato, la splendida ragazza dai
capelli verdi che a diciannove anni sul palco galvanizza tutti con la sua versione punk rock della gaita,
la cornamusa galiziana, e Wu Man, cinese di Xian,
vera virtuosa rocker della Pipa, il liuto di tradizione.
Sulla scia emotiva di film come Buena Vista Social
Club, ci si illude che basti un Ensemble per tenerci
uniti e scavalcare povertà, frontiere e terrorismo.
Non è così, naturalmente, ma l’arte, ribadiscono
tutti i protagonisti, serve a rigenerarsi e sognare un
po’ più in là.
settembre 2016 La Rivista - 59
Le piccole patrie dure
e pure non m’interessano
Dialogo con Gian Antonio Stella
Classe 1953, inviato ed editorialista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella nel
2007 ha avuto grande successo con il libro La casta, scritto con Sergio Rizzo, che,
con oltre 1’300’000 copie, è tra i saggi italiani più venduti di sempre. Attento osservatore e critico della realtà italiana, il 25 maggio scorso ha portato lo spettacolo
teatrale “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi” al Casino Théâtre di Ginevra.
Quella che segue è una sorta d’intervista pubblica con le domande degli ascoltatori di ZonaFranca, programma radiofonico in italiano di RadioZones 93.8FM,
una radio locale della zona di Ginevra e dintorni.
Teatro e giornalismo sono da qualche tempo
sempre più vicini. Penso ai successi di Marco
Travaglio e altri. Come spiega questa tendenza?
Credo che il nuovo sistema porti alla semplificazione soprattutto
su un punto che è fondamentale: non ne potevamo davvero più
di vedere le leggi andare e venire tra Camera e Senato in una
partita a ping pong tra maggioranze diverse. Era diventato un
incubo. Sotto questo profilo io credo che Pietro Ingrao avesse
ragione: voleva abolire il Senato già nel 1985. L’abbiamo fatto con trent’anni di ritardo. Piace, non piace? Boh! Si vedrà nei
fatti se funzionerà o meno. Io credo che l’abolizione del Senato
fosse necessaria. È fatta in modo da dar meno nell’occhio a un
po’ di classe politica che v’era molto attaccata. Tuttavia, il nuovo
Senato è nato svuotato. Il fatto che non ha niente da dire può
andare bene.
Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione
del libro La casta. Ci sarà un aggiornamento di
questo saggio amaro e divertente? Che effetto ha
avuto questo libro?
All’inizio degli anni Novanta Indro Montanelli
dichiarò in un’intervista di Alain Elkann su
Telemontecarlo: “L’identità degli italiani è debole.
Dopo un paio di generazioni sono integrati”.
Tuttavia, Stella, come si spiega la vitalità
dell’associazionismo italiano all’estero?
È solo un modo per comunicare a persone che magari non leggono il mio giornale. È un modo per comunicare delle sensazioni
che non sempre sul giornale è possibile ricreare. Faccio un esempio: il nostro spettacolo trabocca di foto stupende. Alcune sono
introvabili. È difficile vedere queste fotografie tutte insieme ed è
anche difficile farne un libro, quindi andare a teatro per mostrare
queste immagini e far sentire le canzoni della Compagnia delle
Acque per me è una cosa diversa. È un altro modo per parlare
dello stesso triste fenomeno.
Gli effetti sono stati migliori di quello che sembra. Pare che non
sia stato ottenuto niente, ma in realtà hanno abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Hanno abolito il Senato, sia pure
provvisoriamente in attesa del referendum confermativo. Sono
state abolite le province. Sono stati annullati dei contratti d’affitto assurdi perché la Camera e il Senato sono arrivati ad avere
una serie di uffici affittati tanto che il costo degli affitti era aumentato di quarantuno volte negli ultimi trent’anni. Tutte queste
cose sono state contenute. Insomma dal barbiere della Camera
adesso si paga. Anche sulle stupidaggini c’è stato un passo in
avanti. Non si può dire onestamente che non è stato fatto niente.
[N.d.R. Gian Antonio Stella confonde la carica elettiva con l’istituzione. Né le province né il Senato sono stati formalmente aboliti.]
Noi emigrati siamo molto attaccati all’Italia
ma abbiamo scoperto i pregi dei nostri paesi
d’accoglienza. In Svizzera in particolare
abbiamo scoperto i pregi di un sistema politico
molto partecipativo, dove i cittadini, tramite i
referendum, hanno sempre l’ultima parola. In Italia
con le riforme costituzionali che direzione prende
la politica italiana? Ci si avvicina al modello
partecipativo svizzero o ci si allontana?
Non è il caso di fare paragoni. In Svizzera ci sono stati tanti governi di larghe coalizioni in cui c’era dentro un po’ di tutto. È
come se ci fossero dei governi che cercano di tenere insieme le
varie anime. Questa è una caratteristica svizzera molto sentita.
Da noi in Italia è impensabile. La polemica politica, la rissa politica non solo è fastidiosa e angosciante ma crea dei problemi.
Non conosco nessuna delle realtà straniere in modo approfondito. Ne ho visitate molte. Ho seguito i loro giornali. È una stupidaggine chiedere a qualcuno di rinunciare alla nazionalità che ha
o di rinunciare a quella che acquisisce.
È giusto e sacrosanto che chi emigra in un’altra nazione e s’immerge nella vita del paese che lo accoglie possa conservare la
propria nostalgia per la patria di un tempo e di amare allo stesso
tempo la patria di accoglienza.
Aristofane diceva che la patria è là dove si prospera e ci si realizza. Tantissimi italiani si sono realizzati in Svizzera ed io sono
felice per tutti loro. Tenere insieme due identità credo sia una
cosa bella. Io stesso, anche se non sono emigrato, vengo da una
famiglia di emigranti e mi sento contemporaneamente cimbro
poiché la mia piccola patria è Asiago, poi mi sento Veneto, poi
italiano e infine europeo perché è la patria di tutti noi insieme.
Sentire contemporaneamente amore per diverse patrie che si
sovrappongono e s’integrano l’una nell’altra è una cosa non
solo possibile ma bella. Le piccole patrie ringhiose, cattive e
chiuse in se stesse non m’interessano. C’è un bellissimo racconto di Joseph Roth, che s’intitola “Il busto dell’imperatore”, in cui
un nobile polacco, con una lontana origine italiana, quando si
smembra l’impero austroungarico, celebra un solenne funerale
al busto dell’imperatore che aveva in casa e lo seppellisce nel
giardino dicendo una frase che faccio mia totalmente: “Sono
nato per vivere in una casa e non in un gabinetto”. Le piccole
patrie dure e pure non m’interessano. Se le tengano gli altri. A
me fanno schifo.
settembre 2016 La Rivista - 61
Per chi
suona il
campanello
di Mirko Formenti
Ecopelle un paio di palle
All’alba dei quasi venticinque anni, in un pomeriggio qualsiasi di languore estivo – era un
lunedì, forse – mi folgorò improvvisamente (cioè: per tramite della mia ragazza, si capisce) la
fino ad allora mai pienamente raggiunta consapevolezza che la pelle è pelle.
La pelle dei vestiti, voglio dire, delle scarpe, delle borse…ragazzi, è pelle! Pelle per davvero! Mi direte, sai che
scoperta, ma andiamo, in quanti mentre si mettono un paio di scarpe o una giacca si rendono davvero conto di
indossare la pelle di un essere (un tempo) vivente? La pelle di un animale morto, santo cielo!
Ma facciamo un discorso serio: al di là del fatto che l’idea di indossare un cadavere sia alquanto raccapricciante, è inevitabile domandarsi quanto giusto sia ammazzare animali per fabbricare vestiti. A questo punto, ci
sono quelli che attaccherebbero con il discorso del tipo “è la natura, in fondo gli uomini delle caverne dovevano
ripararsi dal freddo e fabbricavano vestiti con le pelli e blabla”, poi ci sono i moderati che andrebbero più su un
“in fondo l’importante è che non li uccidano apposta, basterebbe usare la pelle di animali già morti, o uccisi per
la carne”, poi ci sono gli ecologisti che non rinunciano allo stile ripiegando sull’ecopelle (sì, esiste l’ecopelle…
sono giorni gravidi di scoperte – e sono appena ad un quarto di secolo!) e gli irriducibili che eliminano sistematicamente dal proprio guardaroba ogni prodotto di origine animale.
In fondo la prima categoria è ancora la più interessante, perché rilancia il dado della discussione filosofica –
essì – nella sua forma più inconcludente imprevedibile e inutile, quindi più profonda e pura; la risposta che
ogni lettore ha certamente immaginato all’argomento troglodita è che, beh, in effetti oggi non siamo più
uomini delle caverne, quindi non abbiamo più la necessità di ripararci con pelli animali, perché la tecnica e la
tecnologia ci hanno permesso di trovare soluzioni alternative che non prevedono lo scuoiamento di carcasse.
Ed è qui che il discorso si fa interessante: in che misura l’uomo dovrebbe essere tenuto ad evitare ciò che grazie
alla tecnologia non è più necessario?
Naturalmente il conflitto è tra necessità di base e volontà di avere un qualcosa che non è necessario ma desiderato: nel caso dei vestiti l’ecopelle sembrerebbe aver risolto gran parte del problema, proprio nel senso che
permette di evitare ciò che la tecnologia ha reso innecessario (cioè l’abbattimento di animali) pur senza dover
rinunciare al desiderio di avere vestiti e accessori di un certo tipo. Se pensiamo però ad altri contesti – uno
su tutti quello dell’alimentazione – il conflitto appare ben più evidente: considerando che oramai un uomo
potrebbe benissimo soddisfare il suo fabbisogno di alimenti tramite delle pillole, non è in qualche modo crudele
ostinarsi a voler mangiar carne?
In fondo è un’azione non più necessaria, che risponde unicamente ai nostri capricci di gola – ma andiamo oltre,
potendo davvero trarre tutto il nutrimento da delle pastiglie, non è egoistico anche strappare ettari ed ettari
di terreno alla natura selvaggia per poter coltivare prodotti potenzialmente superflui? Certo, sono due misure
diverse, ma nel principio mangiare l’insalata è un po’ come comprare una pelliccia di visone: è anteporre una
nostra volontà specifica ed illogica ad un criterio in fondo (eco)logico.
È evidente che non sto dicendo che bisognerebbe mangiare solo pillole, bensì lo scopo è quello di dimostrare
come da ogni tema caldo, scavando, si giunga ad un impasse tra principi assoluti ed opposti che nella maggioranza dei casi risultano a prescindere inaccettabili, insomma, nessuno sarebbe disposto ad essere il carnefice di
procioni, ma nessuno vivrebbe neanche di pillole: tutto ciò che sta in mezzo è la variabile umana, che in fondo
è sostanzialmente individuale e quasi sempre relativamente incosciente, e per questo a maggior ragione: etica.
Il discorso filosofico può essere questo – oppure si può condire la filosofia di retorica (basti pensare alla pesantezza dei soliti polpettoni fricchettoni: eccheppalle ‘sta ecopelle!), che vuol dire: decidere in partenza dove
si vuole andare a parare, che vuol dire: non mettere in moto il pensiero e il dialogo, che vuol dire: affidarsi alla
morale.
Insomma, se qualcuno si vuole proprio impegnare a fraintendere: ben venga l’ecopelle, ma risparmiamoci le
tiritere in automatico e le filastrocche, perché il pensiero è sempre vivo, dinamico e instancabile e non conosce
certezze, mentre Apelle, figlio di Apollo c’ha fatto due palle d’ecopelle di pollo…
62 - La Rivista settembre 2016
Diapason
di Luca D’Alessandro
Lele
Costruire
Samuele
Bersani
La Fortuna Che Abbiamo
Lele Esposito, finalista della quindicesima edizione di Amici, programma prodotto e condotto da Maria De Filippi su Canale 5, presenta il suo disco d’esordio dal titolo Costruire. Il disco contiene
sette brani inediti, tra cui i suoi brani di maggior successo, La Strada Verso Casa, Screaming Out Loud e Love Me Now, e tre cover,
Diamante di Zucchero, Un’Ora Sola Ti Vorrei di Giorgia e People
Help The People di Birdy. In totale sono quattro i brani cantati in
lingua inglese. Lele dimostra così la sua flessibilità e versatilità sul
piano linguistico oltre che su quello canoro. È un artista eclettico,
perfettamente a suo agio in più discipline musicali e capace di
trasmettere la sua passione al grande pubblico, dal quale è molto
riconosciuto ed apprezzato.
La fortuna che abbiamo, al di là di un brano inedito, comprende
venticinque anni di successi di Samuele Bersani, cantante e cantautore pop e rock di origine emiliana. Ciascun pezzo di questo
live si presenta differente dal suo arrangiamento originale. L’album è stato anticipato dall’omonimo singolo La fortuna che abbiamo; brano che racchiude le due forze di Samuele: quella della
continua sperimentazione e quella poetica. Partecipano a questo
progetto ospiti illustri del mondo della musica italiana, tra l’altro Caparezza, Luca Carboni, Carmen Consoli, Marco Mengoni,
per non dimenticare l’esuberante duo jazzistico Musica Nuda,
composto da Ferruccio Spinetti al contrabbasso e la cantante
Petra Magoni.
Evan
Evan
Fabrizio
Savino
Gemini
Autore di quest’album è il compositore e produttore partenopeo
Gaetano Savio, in arte Evan, il quale - prima del lancio ufficiale
di quello che è il suo album d’esordio - ha riscontrato successo
con il singolo Fall In Love Part 1 in Inghilterra, dopo essere stato
selezionato da Gilles Peterson per il programma Worldwide in
onda su BBC6. Un successo che ha motivato Savio a portare in
porto un completo album con sfumature di vari generi: l’elenco
comprende pezzi di musica jazz del tipo Miles Davis che si mescolano con il funk elettronico firmato Herbie Hancock. L’obiettivo di Savio è quello di completare la musica jazz del passato
con altri generi e di riconciliare in un unico lavoro tradizioni e
tendenze moderne.
Chi è alla ricerca di suoni equilibrati, fini, di melodie raffinate e
ben comprensibili, probabilmente sarà soddisfatto dell’ultimo lavoro del chitarrista di origine pugliesi Fabrizio Savino. Jazzista
d’eccezione che, insieme al suo trio composto dal contrabbassista
Luca Alemanno e dal batterista Gianlivio Liberti, intraprende un
viaggio attraverso il mondo del jazz acustico contemporaneo. La
si può definire una ricerca della propria identità artistica, o detto
con le parole di Savino: “la ricerca di sé stessi la si fa componendo, sperimentando sé stessi attraverso il proprio strumento e quello
degli altri, alla ricerca di una voce che esprima al meglio qualcosa.”
Senza dubbio Fabrizio Savino figura già adesso tra i maggiori rappresentanti del jazz contemporaneo.
(Sony)
(Gaetano Savio)
(Sony)
(A.Ma Records)
settembre 2016 La Rivista - 63
Collisioni per
l’ottava volta a
Barolo
Festival dell’Agrirock
di Rocco Lettieri
Dove arte, vino, cibo, letteratura, musica,
cinema, degustazioni s’incotrano
Conoscete la cittadina di Barolo, paesino che fa parte degli 11
comuni dove è possibile vinificare e produrre il nobile Barolo:
il re dei vini? Sapete quanti sono gli abitanti?! Il censimento
del 2010 ne contava 728. Sapete quante piazze ha questa
cittadina? 4 e tutte abbastanza ampie. Ebbene per la manifestazione Collisioni (Festival dell’Agrirock) le 4 piazze sono
state denominate: Rossa; Blu; Rosa e Verde. Ogni piazza ha
avuto dal 14 al 18 Luglio scorso un festival diverso. Punto
di incontro tra grandi nomi provenienti da tutto il mondo in
un intreccio di arte, vino, cibo, letteratura, musica, cinema,
degustazioni. Il tutto sotto la regia di Filippo Taricco, anche
direttore artistico.
Numerosi gli incontri. fra gli altri anche quello con Beppe Servergnini
Barolo è un paese arroccato su una
collina, dominato dal castello, avvolto
dall’aura magica delle vigne che lo circondano. Arrivando a Barolo si avverte
quel qualcosa di strano che deve accadere, e allo stesso tempo quel senso di pace
che incontri negli occhi degli abitanti. Ci
sono tanti paesi in un solo paese. Ci sono
paesaggi che cambiano a ogni angolo,
palazzi sofisticati che stanno accanto
agli orti dei paesani. C’è un maneggio
con i cavalli e anche un curioso Museo
dei cavatappi (vedi retino). E i negozianti
di Barolo seduti fuori dal negozio, sembrano una fotografia di tanti anni fa. Ci
sono le belle cantine dei produttori di
vino, e i ristoranti con i tavolini fuori,
appoggiati ai vicoli, come quei piccoli bistrot francesi, con l’edera che sale
accompagnando lo sguardo verso l’alto,
verso il cielo, splendente. C’è il Castello
ovviamente, dove tutto si svolge, anche
durante tutto l’anno. Poi a Barolo c’è una
luce che altrove non vedi. Ribatte sulle
64 - La Rivista settembre 2016
vigne, si colora sulle pareti dei palazzi,
arrossisce sui pendii del Castello. Quando
te ne vai, hai gli occhi pieni di quella luce
che hai visto di giorno, perché quando si
va via la sera, dopo aver vissuto Collisioni, è di certo passata la mezzanotte. Hai
addosso ancora il colore di quell’aria, di
quel tempo che Barolo offre, per passeggiare, per ascoltare, per vivere qualche
attimo che altrove non troverai.
Io c’ero
Questa edizione, l’ottava, sotto il nome
di Agrirock-Collisioni una marea umana
si è ritrovata in questo miniscolo paese dal nome affascinante, Barolo, (ma
grandissimo se parliamo del suo vino)
per associare alla grande musica e alla
letteratura internazionale i grandi vini e
i grandi prodotti della cucina piemontese e italiana, persone desiderose di informarsi, comprendersi meglio, incontrare
direttamente i produttori che vengono
da tutte le regioni d’Italia.
Molti, infatti, gli stand regionali dedicati
alle grandi eccellenze della cucina italiana, stand dove i cuochi e i produttori
hanno incontrato il pubblico declinando
la loro sapienza in chiave street food.
Una manifestazione pensata anche per i
giovani curiosi di conoscere e di sperimentare nuovi approcci al cibo e al vino.
Per loro, il palco previsto all’interno del
cortile del Castello, ha visto racconti
inediti dove anche i ragazzi sono stati
protagonisti. Non lezioni, ma rappresentazioni ed animazioni di un mondo, quello agroalimentare, a cui i giovani stanno
ritornando con entusiasmo e volontà di
innovare.
Agrirock Collisioni di questa edizione
2016 si è svolto con una folla incontenibile che ha occupato la città dalle prime
ore del mattino (intorno alle 10,30–11,00
e sino alla 1 di notte). Almeno ventimila
persone al giorno che hanno dovuto posteggiare le loro auto sino a circa 6-8 km
in posteggi autorizzati e poi portati sul
posto con bus e servizio di navette gratuite. Basta dare solo un indizio: il 15 sera
in Piazza Rossa ha suonato Elton John,
nella sua unica tappa italiana del suo
tour mondiale. Non meno di trentamila
persone già in piazza dalle 18,00 con un
sole calante ma ancora cocente. Elton
John ha cantato anche per Nizza (dove ha
pure una sua casa) e al pubblico presente
ha detto che: “Noi crediamo nell’amore
e nella speranza. Voglio dedicare questa
serata a tutte le vittime dell’atto barbarico compiuto a Nizza e alla Francia. Dedico Don’t Let the Sun Go Down on Me a
tutta la Francia, in ricordo”. Molti hanno
potuto raccontare: io c’ero. E su questa
stessa piazza sono passati: i Modà, Marco
Mengoni, i Xylaroo, Mika e i Negramaro.
Incontri relazioni degustazioni
concerti
Edizione speciale questa anche per la
presenza del wine writer di vini italiani,
oggi, forse più famoso al mondo, Antonio
Galloni, presidente e direttore generale di
Vinous, con un ricco programma di ospiti
e conferenze di un mondo culturale sempre più internazionale. Progetto Vino, la
new entry per soddisfare i wine lovers e
pertanto tra questi non poteva mancare
il braccio destro dello stesso Galloni, Ian
D’Agata, direttore creativo del Progetto
Vino, anche redattore di Vinous, già responsabile a Roma della Wine Academy a
Trinità dei Monti. Chi scrive ha avuto la
possibilità di fare degustazioni pilotate e
riservate con i vini di Ermete Medici, con
i vini Chianti DOCG, i grandi vini rossi di
Pico Maccario e con ben 32 vini bianchi
di Verdicchio di Jesi e di Matelica. Una
super degustazione condotta com’era in
previsione da Ian D’Agata, dove hanno
prevalso su tutti i vini delle aziende: Colognola, Bucci, Pievalta, Saltarelli, Moncaro, Belisario e il favoloso Podium 2007
dell’azienda Garofoli.
Molte le personalità mondiali del campo
enologico presenti per relazionare: Jacky
Rigaux, editore e scrittore, Aubert de Villaine, comproprietario del Domaine de
la Romanée Conti, Christine Vernay proprietaria del Domaine Georges Vernay,
massima esperta mondiale di Condrieu e
altri numerosi graditi ospiti.
Molti i personaggi che si sono succe-
Il Museo dei cavatappi
Stappare una bottiglia di vino è un rituale che ha sempre
qualcosa di magico: gli occhi dei presenti sono concentrati su chi svolge l’operazione. Viene rimosso il sigillo di
stagnola e posizionata la punta del cavatappi al centro
del turacciolo. La vite affonda nel sughero fino a perforarlo ed infine con lo sforzo di trazione necessario il tappo
fuoriesce dal collo della bottiglia con un leggero schiocco.
Il turacciolo viene estratto e annusato per verificare se
presenta odore. Il nettare degli Dei ora è pronto da servire
e degustare.
Noi tutti siamo abituati ad utilizzare questo oggetto per
stappare una bottiglia, è un gesto consueto ed automatico
che ci permette di accedere ad uno dei piaceri della vita.
Ma quando inizia quest’affascinante storia? Non è facile rispondere a questa domanda, ma possiamo fare delle ipotesi
attendibili. Partiamo da due certezze: il cavatappi nasce per
estrarre un tappo di sughero da un recipiente di vetro anche se non necessariamente da una bottiglia contenente
vino; il primo brevetto di un cavatappi risale al 1795, ed
è dell’inglese Samuel Henshall. All’inizio del XVIII secolo il
contenitore di vetro a bottiglia era un oggetto raro, costoso,
fragile e dalla capacità non sempre identica.
Ebbene, se vogliamo capire e sapere tutto, ma proprio tutto, sulla storia dei cavatappi e vederli dal vero, è possibile
visitare a Barolo, proprio sulla piazza che porta al Castello Falletti, il Museo dei Cavatappi (entrata 4 euro), anche
Enoteca con Barolo tasting e bookshop. Dall’interesse per la
storia di questo utensile è nata la passione di collezionare
cavatappi antichi da parte di Paolo Annoni, un farmacista
nato a Torino e trasferitosi nelle Langhe vent’anni orsono.
Scelta una bellissima e felice collocazione, una ex cantina dai soffitti con volte a botte in mattone, si è avvalso
della collaborazione ispirata degli architetti albesi Danilo
Manassero e Luigi Ferrando e dell’ebanista restauratore di
Benevagienna Massimo Ravera.
Per gli amanti del buon vino, una visita è d’obbligo.
www.museodeicavatappi.it
Tel: +39. 0173. 560539
chiuso il giovedì
settembre 2016 La Rivista - 65
presentato il suo settimo album: Scriverò
il tuo nome; Erri De Luca; Carlo Conti;
il premio nobel Svetlana Aleksievic; Luciano Ligabue che ha presentato il suo
terzo libro: Scusate il disordine; Loredana Berté; Francesco Guccini; Roberto
Vecchioni e tra gli altri i The Kolors. Non
poteva mancare parlando di Agrirock, il
Ministro alle Politiche Agricole, Maurizio
Martina. Per la cultura che continua, visitare sino a fine Ottobre nell’Aula Picta
di Piazza Falletti di Barolo, la mostra PICASSO, XXXII eaux-fortes originales pour
des texts de BUFFON. (www.baroloart.it
- +39.346.6790991)
Il castello Falletti che domina il paese
Superare gli steccati dei diversi
linguaggi artistici
duti sulle diverse piazze. Alcuni nomi:
Corrado Augias; il regista armeno-canadese Atom Egoyan; Alessandra Amoroso; Beppe Severgnini e Stefania Chiale
Le vigne intorno a Barolo
66 - La Rivista settembre 2016
nell’incontro “Il gusto di andarsene via”;
Vittorio Andreoli che ha presentato il suo
libro I Tredici Gesù; Cristiano De Andrè;
Loretta Goggi; Francesco Renga che ha
Il Festival Collisioni, promosso dalla Regione Piemonte, è stato ideato nel 2009
da un team artisti formato da giornalisti
e scrittori italiani, interessati a trovare
una formula capace di parlare alle nuove
generazioni e ad abbattere gli steccati
tra i diversi linguaggi artistici.
Fin dalla prima edizione leggendaria, nel
2009, sono intervenuti gratuitamente alcuni dei più importanti scrittori italiani
per dialogare con la platea d giovani in
una lezione aperta sulle tematiche più
urgenti relative alle nuove generazioni. Il
festival è cresciuto in modo esponenziale
negli anni, diventando teatro per grandi
concerti e incontri, raddoppiando a ogni
edizione il numero di spettatori.
La tipologia del pubblico è costituita per
metà da giovani under 30. Collaborano
come volontari almeno 400 ragazzi dal
La sera del 15 luglio nella Piazza Rossa (di Barolo!) ha suonato Elton John, nella sua unica tappa italiana del suo tour mondiale
Piemonte e da tutta Italia, preparando
interviste, radio web, video e organizzando concerti di musica emergente
su palchi secondari. La presenza di migliaia di giovani in paese contribuisce a
creare un’atmosfera molto particolare
e vivace, insolita per un festival di letteratura, che rende Collisioni una realtà
davvero unica nel panorama dei festival
europei. Ad esempio, la location è stata
scelta nel 2012 da artisti del calibro di
Bob Dylan per la sua unica data italiana
in occasione del cinquantesimo anniversario di Blowin’ in The Wind, e da Patti
Smith per l’apertura del suo tour italiano
dell’album Banga. Nel 2013 il Festival ha
ospitato l’unica data italiana di Jamiroquai; nel 2014 si sono esibiti in concerto
Neil Young & Crazy Horse, i Deep Purple,
Caparezza, Suzanne Vega e Elisa e nel
2015 Vinicio Capossela, Paolo Nutini, The
Passenger, J-Ax, Fedez, Mark Knopfler e
Sting.
Ulteriori informazioni sul sito:
www.collisioni.it
settembre 2016 La Rivista - 67
Convivio
di Domenico Cosentino
A Trapani per il festival Stragusto
Mangiare bene, mangiare sano: un’eredita culturale
da tutelare, valorizzare e tramandare
I sapori multietnici dall’Italia e dal mondo sono tornati nella
“chiazza”, la storica piazza del Mercato del Pesce di Trapani, ricca
di laboratori, dal 19 al 24 luglio, per l’ottava edizione di Stragusto:
il festival gastronomico segnalato dalla Cnn fra i migliori eventi
estivi d’Europa, unico nel suo genere in Italia, e organizzato dal
Comune d Trapani.
Per cinque giorni la “chiazza” è stata la location di un insieme di
sapori, culture e tradizioni. In questa edizione targata 2016, ad aggiungersi all’immancabile cibo (anche da strada) trapanese, palermitano, friulano, umbro, sono arrivati anche i sapori tunisini, con
frikasse, brik e altre specialità, i sapori spagnoli con gazapacho,
tortillas, natillas, e i sapori della Tailandia con i suoi cibi speziati.
La cucina calabrese, con ‘u piscia stoccu di Mammala, il Bergamotto dello Stretto, la ‘ndujia di Spilliga, i funghi della Sila e le
sue svariate paste fresche a base di farina di grano duro coltivato
biologicamente, a Stragusto si è presentata con una delegazione
di quindici persone (perlopiù donne), voluta e guidata da Giovanni Sgrò, giovane imprenditore calabrese che coltiva, produce
e commercia solo prodotti naturali e biologici con il suo marchio
Naturium. E a Trapani, dunque, nella città del sale, il viaggiatore
goloso è sbarcato al seguito della delegazione, in una giornata
afosa e infuocata dal caldo africano. E per volontà di Giovanni,
ha dovuto parlare della coltivazione del grano duro, della trebbiatura e anche di “Quandu i filmini cucinavanu e preparavanu
a pasta e casa”, quando le donne avevano tempo per cucinare
e preparavano la pasta fresca fatta in casa. A conclusione de
lavori, con l’aiuto delle donne calabresi, il viaggiatore goloso ha
impastato, “scilato” le scialattelle o maccarruna e casa, che, una
volta cotte e condite con ragù di capra, sono state distribuite ai
presenti in sala.
Inutile dire che la parte da Leone l’hanno fatta gli immancabili
sapori trapanesi con arancino, frittura di pesce, caponata e ‘u
purpu, che è il polpo bollito tipico cibo da strada e dei mercati,
preparato dallo chef Francesco Pinello tra gli stand, accompagnandolo con del cùscusu e ai quagghi, ovvero alle melanzane
fritte alla palermitana.
Attenzione al Junk Food
il viaggiatore goloso impasta e prepara “I maccarruni e casa”
68 - La Rivista settembre 2016
“Ma, come ha detto Paolo Salerno, organizzatore del Festival,
Stragusto non è solo degustazione o possibilità di cimentarsi nella preparazione di tipiche pietanze. Stragusto è anche una eredita
culturale da tutelare, valorizzare e tramandare anche attraverso
incontri, tavole rotonde e dibattiti sul cibo sano, buono, su come
mangiare e in che modo nutrirsi. Per il fatto che mangiare bene e
nutrirsi bene, sono due cose diverse; in un momento in cui la ricerca
e la scienza, secondo nuovi studi, stanno dimostrando che una alimentazione scorretta, a base di “Junk Food”, cibo spazzatura, ricco
di grassi saturi e zuccheri, potrebbe predisporre l’Alzheimer”.
E a Stragusto qualcuno non l’ha solo pensato. A Trapani, la dottoressa Suzanne de la Monte, neuropatologa della Brown University
della Providence, in Rhode Island, ha tirato fuori le prove, i numeri:
si stima che, nel mondo , nel 2050 ci saranno ben 115 milioni di
persone con demenza di Alzheimer, contro i 36 attuali (in Italia
oggi sono un milione, e i loro numero aumenta di 150 mila unità
ogni anno). Demenza che, secondo la neuropatologa de la Monte,
aumenta vertiginosamente soprattutto nei paesi più ricchi, a causa
delle nostre cattive abitudini alimentari, ma anche colpa dell’allungamento progressivo dell’età media, essendo la demenza una
degenerazione tipica del cervello che invecchia.
In 12 cibi irrinunciabili l’elisir
per una lunga memoria.
“Ma tutto ciò non basta! Prevenire la perdita della memoria
è meglio che curarla”. Con queste parole la scienziata Elisabetta Menna, ricercatrice dell’Istituto clinico Humanitas
di Rozzano (Milano) e dell’Istituto di neuroscienza del Cnr,
presente anche lei di Trapani, ha esordito al convegno. E
le donne del viaggiatore goloso al lavoro
Demenza = Diabete di tipo 3
Ma questa spiegazione – secondo la dottoressa – da sola, non basta, perché altre patologie dell’invecchiamento non hanno affatto
un trend analogo e soprattutto perché la crescita non è visibile
in tutte le popolazioni che hanno allungato progressivamente la
durata della vita, ma solo in quelle che mangiano peggio e ingrassano di più. Secondo la studiosa americana, dunque, la demenza è
causata dal Junk food, un vero e proprio killer che porta al Diabete
di tipo 3, così definito per distinguerlo da quello di tipo 1, giovanile autoimmunitario, e da quello di tipo 2, associato all’obesità. E
prove alla mano, la ricercatrice – attraverso un filmato – ha dimostrato alcuni dei suoi esperimenti condotti sugli animali: quando
li nutriva con cibi ricchi di grassi, zuccheri e calorie, ha visto che
le performance cognitive iniziavano molto velocemente a declinare, fino a giungere a manifestazioni di vera e propria demenza.
E come se non bastasse, a ciò corrispondeva un calo vistoso della
sensibilità all’insulina, una delle condizioni che spianano la via al
diabete di tipo 2, che con l’aumento del peso è associata a una
vistosa crescita del rilascio di mediatori dell’infiammazione. E nel
cervello, ciò spiegherebbe l’infiammazione che sempre accompagna la demenza.
le scialatelle o maccaruni e casa
Studi anche sull’uomo
E dopo gli animali, iniziano a esserci anche studi nell’uomo. Alcune ricerche fatte (sempre negli USA) su cadaveri confermano,
infatti, l’associazione insulina-demenza. E per quanto riguarda
i vivi, ci sono i test della dottoressa Susanna Craft, pioniera degli studi sull’Alzheimer, che ha nutrito per un mese un gruppo
di volontari con una dieta ad alto tenore di grassi e zuccheri, e
un altro gruppo con alimenti con pochi grassi e zuccheri, e ha
poi dimostrato che nei primi il liquido cerebrospinale presentava un cambiamento preoccupante: l’aumento della beta amiloide, la proteina che nell’Alzheimer si deposita fino a devastare
intere aree del cervello. E in un altro esperimento la scienziata
ha somministrato insulina in spray nasale a un centinaio di
persone, dimostrando che migliorava la memoria, la capacità
decisionale e le prestazioni.
settembre 2016 La Rivista - 69
Miss Nok (Tailandia) prepara il riso alla Tai
arancini e crocchette alla palermitana
ha continuando raccontando che l’Italia è un paese con
gente, ancora molto giovane, che ha poca memoria: c’è chi
annega nei post-in con cui ha tappezzato la casa per ricordare la lista delle cose da fare, chi dimentica gli appuntamenti e le decine di password che tengono in ostaggio
email, internet, banking e altri pezzi di vita digitale, o chi
ricorre gli infiniti impegni quotidiani ma sempre qualcuno
se ne perde.
Una delle cause della perdita di memoria, secondo la dottoressa Menna, è certamente da ricercare nella cattiva alimentazione, o nel modo in cui si nutre una gran parte degli
italiani. E siccome nell’era moderna la memoria è messa a
dura prova e sogno comune diventa quello di trovare l’elisir
“salva-ricordi”, la scienziata propone una specie di “hot list”
di alimenti amici della memoria, che potrebbero invogliare
l’esercito degli smemorati ad armarsi di coltello e forchetta e
cambiare stile di vita a tavola. Sono alimenti che aiutano la
memoria a lungo termine, ricchi di colina, un coenzima essenziale ovvero una molecola importante per mantenere integra
la struttura cellulare e la funzionalità del sistema nervoso.
Sono alimenti come le uova, germe di grano, la super accoppiata cioccolato fondente e caffè, arachidi, gli spinaci, ricchi
di luteina, le noci che contengono Omega3, i mirtilli, ricchi
di antocianine, validi alleati contro l’invecchiamento del
cervello, la curcuma, valido aiuto nella prevenzione dell’Alzheimer, e il pesce, soprattutto quello azzurro e il merluzzo,
ricco anche lui di Omega3 e fosforo, con il quale il viaggiatore
goloso, si nutre giornalmente, preparandolo spesso in bianco
alla “marinara” e con il sugo si condisce una “forchettata” di
linguine, cercando così, seguendo i conigli della signora Menna, di prevenire e allontanare, fin dove può, la demenza, che,
come detto sopra è la degenerazione tipica del cervello che
invecchia, e conservando quella memoria, che fino ad oggi (il
viaggiatore goloso è arrivato alla soglia dei suoi splendidi 80
anni) non l’ha mai tradito, augurandosi che anche nell’immediato futuro ciò non avvenga, perché pensa di averne ancora
bisogno per tanto, tanto tempo!
“u pruppu” bollito alla trapanese
cicorelle con aglio, olio e peperoncino (ricche di ferro)
70 - La Rivista settembre 2016
Il Merluzzo
alla marinara
Ingredienti per quattro persone
4 merluzzetti
(naselli che devono essere freschissimi!!) di 300 g. circa,
1 spicchio d’aglio(intero sbucciato),
40 g di olio extravergine d’oliva,
un mazzetto di erbe aromatiche (prezzemolo, basilico, timo),
un bicchiere di vino bianco secco,
½ bicchiere di acqua,
sale e pepe nero.
Come lo preparo:
Dopo averli puliti e lavati, metto il pesce in una padella. Aggiungo
l’aglio intero schiacciato, condisco con olio d’oliva, il sale e il pepe
nero. Trito le mie erbe aromatiche e le spargo sul pesce.
Finisco con il bicchiere di vino e l’acqua. Copro con un coperchio e
lascio cuocere sul fornello, a fuoco lento, per 7 – 8 minuti.
Volendo con il sughetto di colore verde-oro ci si possono condire
gli spaghetti o le bavette. Oppure gustarselo come di zuppetta accompagnandolo con delle fette di pane tostate.
Il vino:
A Trapani il viaggiatore goloso ha bevuto un bianco: Il Sicilia Grillo
Regieterre vino delicato, morbido e fresco, prodotto dall’azienda
vitivinicola Musita di Salemi.
Disponibili nelle tabaccherie svizzere
settembre 2016 La Rivista - 71
Rauchen fügt Ihnen und den Menschen in Ihrer Umgebung erheblichen Schaden zu.
Fumer nuit gravement à votre santé et à celle de votre entourage.
Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno.

 ­€­€‚
La dieta
Rivista
di Tatiana Gaudimonte
A cena con una nutrizionista??
Ma sei fuori?
Nel film Hitch, Will Smith viene invitato a un appuntamento a quattro dalla donna che
sta corteggiando. Nel fare conoscenza con l’altra coppia, marito e moglie, scopre che lei è
psicanalista ed esclama: “Bene, da questo momento non dirò un’altra parola!”.
Trovarsi a tu per tu con un professionista che si occupa di problematiche legate alla sfera personale è
sempre un po’ imbarazzante, perché da una parte accende la curiosità (cosa può dirmi di me questa
persona che io non so?), dall’altra però si teme sia di essere invadenti che di essere messi sotto esame.
Beh, vi assicuro che anche essere dall’altra parte della barricata non è semplice: quando esco a cena
o per un aperitivo e conosco persone nuove, alla domanda “Che lavoro fai?” rispondo sempre con un
misto di piacere e timore. Piacere, perché amo ciò che faccio e spesso mi ritrovo a pensare alla mia
attività più come ad un’appassionante missione che come a un lavoro e timore perché appena dico
“Nutrizionista” vedo gli occhi dei miei interlocutori dilatarsi educatamente e se siamo a tavola parte
subito la battuta: “Ti prego, non guardare il mio piatto!”.
Ho quindi trovato divertente l’idea di sciogliere questo imbarazzo organizzando la prima “cena con
la nutrizionista” in un eccellente ristorante a Zurigo: un’occasione in cui rompere gli indugi e parlare
apertamente di alimentazione con una professionista del settore proprio mentre si siede insieme a
tavola, quindi, si può dire, entrando nel vivo.
I miei primi undici commensali (non male, per un progetto pilota iniziato in pieno periodo di ferie), non
avevano pressoché nulla in comune se non i loro sguardi dubbiosi: ma non è che stasera staremo qui
a morire di fame mentre mangiamo un pasto ospedaliero, circondati da tavoli in cui invece vengono
servite cene succulente? A dire il vero, c’è stato pure chi non me l’ha mandata a dire e ha espresso i suoi
dubbi apertamente, suscitando l’ilarità generale e dandomi l’occasione perfetta per ribadire ciò che
voi, miei quattro fedeli lettori, ormai sapete a memoria: per stare in forma NON bisogna fare la fame!
Il tema della cena era infatti “Perché le diete non funzionano?” e dato che l’antipasto a base di tartare
già parlava da solo, ho creduto opportuno aspettare che tutti l’avessero gustato per iniziare la mia
presentazione. Abbiamo quindi ripercorso insieme la storia evolutiva dell’homo sapiens, prendendo in
considerazione i meccanismi fisiologici che nel Paleolitico si sono sviluppati per farci sopravvivere in un
ambiente estremamente povero di alimenti dolci e completamente privo di cibi raffinati e che invece
possono minare la nostra salute e la nostra linea in un mondo che di questi alimenti strabocca.
Chi pensava che “alla sera i carbo no” è rimasto piacevolmente sorpreso dalle tagliatelle integrali fatte
in casa servite come primo piatto, che mi hanno dato il là per spiegare cosa succede se, per cercare di
dimagrire, si mangiano solo proteine come prescrivono alcune celebri diete.
Il secondo, sia nella versione “carnivora” che in quella vegetariana, era accompagnato da un importante
contorno di verdura e l’abbiamo gustato mentre illustravo i benefici di fibre, vitamine e sali minerali
apportati dagli ortaggi che, come ben sapete, non dovrebbero mai mancare ad ogni pasto.
Ok, ma il dolce mica c’era, direte voi: invece sì. Un delizioso sorbetto al mandarino preparato senza
zucchero accompagnato da frutta fresca ha chiuso il simposio, tra domande, esempi di esperienze personali e battute scambiate tra persone che hanno scoperto nel modo più piacevole che mangiare bene,
soddisfacendo il palato e rispettando la salute si può, dicendo addio a diete, pesature dei cibi e tabelle.
E voi quando venite?
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settembre 2016 La Rivista - 73
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La nuova berlina sportiva Alfa Romeo si e’ aggiudicata le 5
stelle Euro NCAP con il punteggio piu’ alto di sempre
Abbiamo provato la nuova Giulia Quadrifoglio - 2.9 V6 Biturbo benzina da
510 CV – in Germania. Il “vostro” ha superato i 229 Km/h, ma ha dovuto
mollare per l’infittirsi del traffico in autostrada, mentre il più fortunato collega di test, al ritorno ha potuto abbondantemente superare i 255 Km/h prima
di dover ridurre la velocità. L’Alfa Romeo Giulia non conosce compromessi, e
diventa il punto di riferimento del segmento. Fedele alla tradizione offre soluzioni tecniche innovative che garantiscono un comportamento dinamico
più che eccellente. Tra i contenuti più sofisticati, troviamo l’Integrated Brake
System, che riduce sensibilmente lo spazio di frenata (da 100 km/h a 0 in 38
m per Giulia e in 32 m per la Quadrifoglio), il raffinato schema di sospensioni con tecnologia esclusiva AlfaLink e lo sterzo più diretto del segmento.
Elementi che assicurano la massima tenuta di strada, e un controllo facile e
intuitivo della vettura in ogni situazione.
Giulia ha ottenuto il 98% nella protezione degli occupanti adulti, è il punteggio
più alto conseguito da una vettura, considerando il più severo sistema di valutazione introdotto nel 2015, grazie ai numerosi e innovativi dispositivi di sicurezza
- uno su tutti: l’AEB, grazie alle informazioni provenienti da radar e telecamera,
riconosce ostacoli o pedoni e arresta la vettura autonomamente fino a 60 km/h
- e l’efficienza di una scocca tanto rigida e resistente quanto leggera.
Ai motori Diesel si aggiunge il nuovo 2.0 Turbo benzina, 200 CV a 5.000
giri/minuto e una coppia massima di 330 Nm a 1.750 giri/minuto. Combinato al cambio automatico a otto marce è molto performante, permette
di passare da 0 a 100 km/h in soli 6,6 secondi, e di raggiungere i 235 km/h.
Giulia Quadrifoglio rappresenta la massima espressione de “La Meccanica
delle Emozioni” e garantisce prestazioni davvero eccezionali: 3,9 secondi per
raggiungere i 100 km/h e una velocità massima di 307 km/h.
L’Alfa Romeo Giulia con il nuovo 2.0 Turbo benzina da 200 CV è in listino da
CHF 45’850, mentre la Quadrifoglio con cambio automatico a otto rapporti
parte da CHF 89’500.
settembre 2016 La Rivista - 75
La nuova Maserati Quattroporte MY17
presentata a Porto Cervo
L’ammiraglia della Casa del Tridente ha fatto il suo debutto in
società a Porto Cervo, perla della Costa Smeralda e presidio del
Maserati Summer Tour. L’elegante soirée con live music e dj-set
è iniziata sul fare del tramonto con la sorpresa del passaggio
del trimarano Maserati Multi70, capitanato da Giovanni Soldini.
Tante le celebrities presenti: l’attrice Lindsay Lohan arrivata a
bordo di un Levante, la presentatrice Elenoire Casalegno, sofisticata come la Quattroporte che l’ha accompagnata, il Sindaco
di Arzachena Alberto Ragnedda, l’imprenditore Gianluca Vacchi,
Hofit Golan e Robin Cavalli. Ammiratissima a bordo dell’ammiraglia Quattroporte in color nero la protagonista del film in prossima uscita Dalida, Sveva Alviti, madrina dell’evento, che ha fatto
gli onori di casa insieme al General Manager Maserati Europa
Giulio Pastore. Il Maserati Summer Tour, all’insegna della velocità e delle sfide sportive che da sempre caratterizzano la Casa
del Tridente, ha visto fino a settembre l’intera gamma Maserati
- Levante, Quattroporte, Ghibli e GranCabrio - protagonista delle
location estive più glamour della penisola: Porto Cervo e Forte
dei Marmi.
Abarth 124 spider:
la macchina che farà nuovamente sorridere chi avrà la fortuna di guidarla
Alla presentazione internazionale in sessione dinamica della Fiat 124
spider, abbiamo provato pure la corsaiola Abarth, la cui commercializzazione è prevista per il prossimo ottobre. Dei primi 2.500 esemplari in
serie numerata, i 150 destinati alla Svizzera saranno commercializzati
con prezzi da CHF 43’000. Sviluppata dalla Squadra Corse Abarth regala
emozioni come solo una vera spider Abarth sa fare. Con un rapporto
abitacolo/cofano simile a quello delle auto da corsa, permette al guidatore di sentire la strada. 1060 kg per un rapporto peso/potenza di 6,2 kg/
CV, differenziale autobloccante meccanico (di
serie), masse concentrate all’interno del passo e, anche grazie al motore installato dietro
l’asse anteriore, un livello di agilità fantastico.
Le gobbe sul lungo cofano sottolineano la posizione longitudinale del motore e la grande
potenza della vettura. Sotto il cofano, il turbo
quattro cilindri 1,4 MultiAir eroga 170 CV ovvero circa 124 cavalli per litro - e 250 Nm
di coppia. Vola da 0 a 100 km/h in 6,8 secondi.
Il sound del motore è garantito dallo scarico
Record Monza dual mode (di serie) che varia
il percorso dei gas di scarico secondo il regime
motore e garantisce un’erogazione sempre lineare, generando inoltre un suono intenso e
profondo. Disponibile con cambio manuale o
Sequenziale Sportivo Esseesse a 6 marce, ha
un’impostazione dinamica che consente di
sfruttare pienamente la trazione posteriore.
L’impianto frenante Brembo garantisce spazi di frenata minimi e un feeling del pedale
76 - La Rivista settembre 2016
sempre sicuro. I dispositivi elettronici e le caratteristiche di sicurezza
attiva sono all’avanguardia. Il dispositivo di gestione prevede i settaggi
“Normal” e “Sport”, il primo è per la guida di tutti i giorni. Per garantire
le sensazioni delle auto da corsa in pista i controlli elettronici si possono
disinserire. Abarth 124 spider vuol dire anche: ammortizzatori Abarth
by Bilstein, molle a taratura specifica, barre antirollio maggiorate. Ogni
vettura è collaudata e certificata da un tecnico Abarth. È marcata con
una targhetta metallica che riporta il numero progressivo.
La nuova Audi Q2:
alla guida con gusto
Spazioso e confortevole, il nuovo piccolo SUV Audi Q2 unisce un design
progressivo di tipo urbano con sistemi di connettività e assistenza d’ultima generazione, con WLAN-Hotspot integrato. Le linee pulite dell’abitacolo riflettono quelle esterne, l’equipaggiamento comprende sistemi
di assistenza alla guida e di sicurezza di classe superiore. Il sistema “pre
sense front” per esempio, riconosce situazioni critiche con altri veicoli
come pure la presenza di pedoni, e la frenata di emergenza è pronta, a
bassa velocità fino all’arresto. Fra le dotazioni troviamo il cruise control
adattivo (ACC) con funzione stop & go, l’assistente in colonna, di corsia
e di posteggio, il riconoscimento dei cartelli stradali. Il display head-up
e il monitor MMI mostrano tutto con esemplare chiarezza. Q2 si guida
con gusto, come un go-kart. Le sensazioni di sicurezza e precisione sono
tipicamente Audi. Il nuovo cambio S tronic a 7 marce - disponibile per
tutti i motori - semplifica la vita, ma il manuale a 6 regala marcate
sensazioni sportive. La trazione quattro è prevista per la 2.0 TDI - sul
mercato a novembre - e per la 2.0 TFSI a benzina che arriverà nel primo trimestre del 2017. Q2 1.4 TFSI CoD (cylinder on demand) S tronic
da 150 CV ha dimostrato grinta e stabilità, sui curvoni che portano a
Schwägalp e in autostrada; il cambio S tronic e i 250 Nm di coppia cavano sempre d’impiccio con grande leggerezza. Il sistema CoD disattiva
il 2° e il 3° cilindro con carichi fino a 100 Nm, riducendo drasticamente
i consumi, aprendo il gas la riattivazione è immediata. Tutti i motori
hanno un nuovo start-stop. La Q2 di entrata, 3 cilindri 1.0 TFSI (30‘700),
e i modelli 2.0 TDI Front S tronic (38‘600) e 2.0 TDI quattro S tronic 150
CV (41‘100) arriveranno in Svizzera in dicembre, mentre le versioni 1.6
TDI (32‘100), 2.0 TDI quattro S tronic (42‘900) e 1.4 TFSI CoD (33‘300)
saranno dai concessionari già in novembre.
IONIQ:
personalità innovative e consumi contenuti
Con il lancio della nuova gamma Hyundai diventa l’unico costruttore
che produce veicoli ibridi, elettrici, ibridi plug-in e a idrogeno (ix35
Fuel Cell). Guidare sulle strade di Amsterdam la nuova IONIQ (pronuncia ‘aionic’) Electric e Hybrid, è stato un approccio di tipo innovativo,
soprattutto per la personalità di queste macchine dai consumi molto
bassi. Le aspettiamo comunque al varco, per un test sulle alture del
Toggenburg. IONIQ avvolge guidatore e passeggeri in un ambiente
raffinato, curatissimo. Il design è accattivante, la connettività e la sicurezza si avvalgono di tecnologia d’avanguardia, che solo l’industria
IT di punta coreana sa mettere in campo. La silhouette è in stile coupé,
alcune applicazioni e un design a ruota chiusa contribuiscono a una
buona efficienza aerodinamica. Il nuovo 4 cilindri a benzina Kappa 1.6
GDI a iniezione diretta è accoppiato a un cambio 6DCT che si distingue
per la risposta diretta e per i passaggi di marcia fluidi. La guida è dinamica. Il propulsore elettrico eroga una coppia istantanea di 170 Nm, è
alimentato da una batteria litio-ione polimero sistemata sotto i sedili
posteriori, ne risulta una buona usabilità dell’abitacolo e una capacità
di carico. Il principio vale anche per IONIQ Plug-in e IONIQ Electric,
nonostante le batterie più voluminose. Il sistema ibrido genera una
potenza complessiva di 141 CV, e permette accelerazioni fino a 185
km/h, con un consumo di 3,4 l/100 km ed emissioni di CO2 pari a 79
g/km (ciclo misto, dichiarato dal costruttore). Chi sceglierà la plug-in
potrà contare su un’autonomia di circa 50 chilometri puramente in
elettrico. IONIQ Electric offre un’autonomia stimata di 280 km. L’esclusivo sistema shift-by-wire consente di cambiare tipo di guida con
la semplice pressione di pulsanti ed elimina lo spazio di un normale
cambio meccanico offrendo maggior spazio per riporre oggetti. La trasmissione Single Speed Reducer accelera in modo fluido. La ricarica
all’80% con un sistema rapido richiede circa 24 minuti. Un control
box consente la ricarica da una normale presa domestica. I 295 Nm
sono erogati dal propulsore elettrico da 120 CV. La velocità massima
è di 165 km/h. Si nota subito per il frontale: non avendo un sistema
di raffreddamento motore, la griglia lascia il posto a una superficie
elegante e liscia.
settembre 2016 La Rivista - 77
Il mondiale Motocross parla sempre più italiano
FCA sponsor di MXGP - Grazie ai risultati ottenuti in Svizzera Pirelli ha vinto
matematicamente il suo 66° titolo MXGP
Fiat Professional è Official Sponsor del Campionato del Mondo FIM di Motocross MxGP. Il nuovo Fullback è la stella della flotta ufficiale del Campionato a ogni tappa accompagna
i vincitori sul podio. L’operazione si è ripetuta nella tappa
svizzera di Frauenfeld-Gachnang, dove ha accompagnato sul
gradino più alto il siciliano Antonio Cairoli. Sono accorsi più
di ventimila appassionati sulle tribune del tracciato costruito
appositamente per ospitare l’evento che tornava in Svizzera
dopo 25 anni, l’ultimo GP si tenne infatti nel 1991 a Payerne.
Il percorso, caratterizzato da un fondo duro, che il sabato, a
causa della pioggia, era fangoso e ricco di canali, mentre la
domenica era più consistente, ha esaltato le peculiarità dello
Scorpion MX32 Mid Soft, lo pneumatico che ha permesso a
Pirelli di aggiudicarsi la vittoria in entrambe le categorie e di
ottenere matematicamente il sessantaseiesimo titolo Mondiale nel Campionato Mondiale FIM Motocross. Per la cronaca, l’otto volte Campione del Mondo Antonio Cairoli si è
aggiudicato la vittoria assoluta nella classe MXGP. Ottimo
secondo posto per Tim Gajser, pilota Pirelli che guida la classifica generale. Nella MX2 il pilota svizzero Jeremy Seewer ha
provato in ogni modo a vincere la gara di casa ma si è dovuto
78 - La Rivista settembre 2016
accontentare del secondo posto assoluto, dietro solo all’inglese Max Anstie. Tutti i piloti Pirelli della MX2 si sono affidati ai
Pirelli Scorpion MX32 Mid Soft.
La partnership Gruppo FCA - Mondiale FIM di Motocross
MxGP si basa su valori comuni quali passione, tenacia e dinamismo, che Fiat Professional condivide con il mondo del
Motocross, soprattutto in un anno così fondamentale, pieno
di nuovi prodotti e di grandi sfide per il Marchio. A ogni tappa europea del mondiale, Fiat Professional espone la gamma
completa. Domenico Gostoli, Head of Fiat Professional EMEA,
ha dichiarato: “Per il nostro marchio questa è più di una semplice sponsorizzazione. Fullback è una pietra miliare della
nostra gamma e grazie al Motocross è possibile sottolineare
l’animo sportivo del Marchio e la capacità off-road del nostro
pickup”. Creato per soddisfare le esigenze dei professionisti,
e per rispondere ai bisogni della vita di tutti i giorni, esibisce
un inconfondibile look italiano, monta un 2,4 l turbodiesel
Common Rail da 180 CV e 430 Nm di coppia, con cambio
manuale a 6 marce oppure automatico a 5 per la versione a
trazione integrale. Il prezzo di lancio in Svizzera è di 32’200
CHF (senza IVA).
Mondo in Camera
A Lugano la Liguria incontra
la Svizzera
Go-Italy Emilia Romagna
Fashion 2016
Incontri btob nel comparto life
Experience Italy South and Beyond science
GOURMESSE 2016
Business seminar nel settore
Fiera del Gusto, delle specialità
aviazione e aerospaziale
e dei prodotti di nicchia
Contatti commerciali
Benvenuto ai nuovi soci
Servizi camerali
settembre 2016 La Rivista - 79
A Lugano la Liguria
incontra la Svizzera
Dopo l’incontro dello scorso
4 luglio a Lugano nelle sale di
Villa Sassa, fra gli operatori,
i giornalisti e amanti dell’enogastronomia, coronato da
una cena con degustazione
guidata nella varietà dei sapori che caratterizzano la
cucina regionale – tra l’altro
protagonista di una rassegna
in alcuni ristoranti affacciati
sul Ceresio - la Liguria sarà di
nuovo protagonista il 18 ottobre a Lugano in quella che
simpaticamente è stata definita una disfida enologica*:
nella prestigiosa cornice del
LAC a singolar tenzone vini
liguri sfideranno vini ticinesi.
Alla salute.
La Liguria quello stretto arco di terra, poco
più che il davanzale del Piemonte sul Mar
Mediterraneo, protetto dai venti freddi del
nord dalle Alpi Marittime e dalla catena
montuosa dell’Appennino, è una delle più
piccole regioni italiane.
La costa è frastagliata da una successione
ininterrotta di speroni rocciosi, golfi, baie
e promontori, e si snoda ai piedi dei rilievi montuosi liguri, gli Appennini ad Est e
le Alpi ad Ovest. La cima montuosa più
alta è il Monte Saccarello, che raggiunge i 2.200 metri di altitudine e si trova al
confine con Piemonte e Provenza, a soli
40 km dal mare.
È in minima parte pianeggiante (la pianura
corrisponde solo all’1% della sua superficie).
Costituiscono due eccezioni la Piana d’Albenga, utilizzata per la produzione agricola,
e la piana attorno alla foce del fiume Magra.
80 - La Rivista settembre 2016
Clima mite
Le condizioni climatiche della regione
sono particolarissime, determinate dalla
latitudine e da numerosi fattori concomitanti quali la geomorfologia del territorio
e l’ampio affaccio sul mare. Il Mar Ligure,
già profondo anche a poca distanza dalla
costa, mitiga notevolmente il clima, e le
catene montuose proteggono la regione
dai venti freddi del Nord. Ne risulta un
clima davvero mite, con un’escursione termica ridotta durante l’anno. In particolare
la Riviera di Ponente, protetta dalle Alpi,
presenta temperature più miti rispetto
alla Riviera orientale e viene spesso paragonata al golfo di Napoli dal punto di
vista climatico. Grazie al suo clima mite,
a partire dalla metà del XIX secolo, la Liguria divenne - prima fra tutte le regioni
italiane – meta turistica per gli stranieri. E
turisti di tutto il mondo mostrano ancora
oggi apprezzamento per la nostra regione,
come attestano i dati statistici.
La Liguria ospita circa 14 milioni di turisti
ogni anno, quasi il 40% dei quali stranieri,
prevalentemente tedeschi (circa un quinto
del totale), svizzeri (16%), francesi, olandesi
e americani. I turisti italiani ammontano al
60% circa del totale.
Accanto al clima e al paesaggio, come
spesso accade anche per altre regioni, un
elemento di attrazione è costituito dalla
gastronomia. Anche in Liguria le ricette tradizionali derivano dalla produzione locale.
Semplici e genuini
In questa terra variegata, i raffinati sapori della cucina sono arricchiti da prodotti
genuini e semplici. che rendono la tradizione ligure enogastronomica una gustosa
sorpresa.
Un prodotto che può essere considerato un
vessillo della tradizione gastronomica locale
è il Basilico e la sua ben nota salsa chiamata Pesto, che prende il nome dal processo
produttivo che prevede di schiacciare (pestare appunto) le foglie della piantina in un
mortaio di marmo. Gli ingredienti essenziali
di questa tipica salsa ligure sono il Basilico
Genovese DOP, l’olio Extra Vergine di Oliva
DOP Riviera Ligure, il Parmigiano, il Pecorino, i Pinoli, l’Aglio e il Sale. Solitamente
servita con trofie o linguine.
Ma in Liguria c’è molto altro ancora! La Focaccia per esempio. Dorata e croccante è il
vanto dei genovesi ed uno degli elementi
più caratteristici della cucina ligure. Una
ricetta semplice che dà il suo massimo se
gustata appena sfornata. La Farinata è senza dubbio una delle più antiche specialità
della Liguria. La leggenda narra che sia stata inventata da un gruppo di soldati antico-romani, che arrostirono su di uno scudo
una piccola quantità di un impasto a base
di farina di ceci.
Oggi lo scudo è stato sostituito da ampie
teglie di rame foderato di stagno, e la Farinata calda e fumante viene servita nelle
antiche friggitorie chiamate “sciamadde”,
dove si compra anche la Panissa per la quale si usano gli stessi ingredienti della farinata di ceci, con l’esclusione però dell’olio
di oliva.
Accanto al pesce: acciughe, baccalà e muscoli (cozze) che impreziosiscono gli antipasti, nella cucina ligure, che è anche (e, forse,
soprattutto dicono alcuni) cucina di terra,
un grande protagonista è il coniglio. Senza
scordare la cima genovese preparata a base
di carne di vitello e verdure.
D’oliva rigorosamente extravergine
Non c’è ricetta ligure che non preveda
l’impiego dell’olio: va da sé Extravergine
di Oliva che in Liguria ha radici profonde. Si parte dall’olivicoltura nei latifondi
di età romana. Nel corso del tempo l’olivo si adatta a variazioni climatiche, e nel
Medioevo si definiscono le cultivar tipiche
settembre 2016 La Rivista - 81
della Liguria, tra cui la notissima Taggiasca. L’impianto massivo dell’oliveto data a
partire dal XV secolo. Ne consegue un immane sforzo di terrazzamento delle colline
mediante muri a secco: solo pietre e terra.
Ed è ancora così.
Con il Reg. (CE) N. 123 del 1997, l’Unione Europea riconosce la Denominazione
di Origine Protetta all’Olio Extravergine di
Oliva RIVIERA LIGURE realizzato secondo lo
specifico disciplinare di produzione che prevede tre sottozone: Riviera dei Fiori, Riviera
del Ponente Savonese e Riviera di Levante.
Si opera su oltre tremila ettari di terreno sui
quali prosperano circa 750.000 olivi.
L’Olio Extravergine di Oliva DOP Riviera
Ligure è contraddistinto da un sapore leggermente fruttato con sensazione decisa di
dolce ed eventuale leggera sensazione di
piccante con una nota appena percettibile di amaro. Si tratta di un olio morbido e
suadente, delicato e tenue, armonico e ben
equilibrato.
Vitigni perduti e ritrovati
Sebbene meno noti di quelli di altre regioni,
82 - La Rivista settembre 2016
i vini della Liguria si caratterizzano per le
antiche tradizioni enologiche del territorio,
sviluppatesi all’insegna di una qualità ormai
ampiamente riconosciuta a livello nazionale
e internazionale.
La produzione di vino in Liguria vanta una
tradizione, che risale ai mercanti greci. Nel
VI secolo a. C. i Focesi diffusero la coltura
razionale della vite tra le tribù locali. Più
tardi i Romani presero a produrre i vini Lunense e Corneliae (da Corniglia).
Nel Medioevo venivano citati i vini delle
Cinque Terre, dello Spezzino e del Ponente;
i primi furono lodati anche dai viaggiatori
delle epoche successive. La viticoltura ligure entrò in crisi nel XVIII secolo, a causa di
scelte commerciali diverse, e nel XIX secolo
per l’invasione della fillossera.
Oggi si riscontra una ripresa d’interesse per
la coltura dei vitigni storici e un rinnovato
impegno nella produzione di vini di qualità.
Le zone vitivinicole sono molto diverse tra
loro ma spiccano tutte per la presenza di
vitigni autoctoni radicati in questo territorio ovunque impervio, ripido e stretto, con
una viticoltura caratterizzata da piccoli ap-
pezzamenti sparsi e quasi nascosti al primo
sguardo.
La prima Denominazione di Origine riconosciuta ad un vino ligure è quella del Rossese
di Dolceacqua (IM): risale al 1972 e occupa
il territorio nella parte occidentale della riviera ligure, sino al confine di stato. Segue
nel 1973 il riconoscimento della DOC Cinque Terre (SP), dove le colline hanno pendenze che superano il 30% e si tuffano in
mare. Dopo ben 15 anni, nel 1988, è stata
ottenuta la DOC Riviera Ligure di Ponente,
che racchiude il territorio della fascia collinare delle province di Savona ed Imperia;
nel 1989 la DOC Colli di Luni, un territorio
a cavallo di due regioni (Liguria e Toscana).
Seguono a distanza di 6 anni, nel 1995 la
DOC Colline di Levanto (SP) e nel 1997 la
Denominazione Golfo del Tigullio-Portofino (GE). Nel 1999 viene riconosciuta la
DOC Val Polcevera (GE) che corre lungo il
torrente omonimo e i suoi affluenti, fino a
dominare dall’alto la città di Genova, con la
quale si contende lembi di terra. Ultima in
ordine di tempo arriva nel 2003 il riconoscimento della DOC Ormeasco di Pornassio,
circoscritta principalmente nell’area delle
Valli Arroscia e Argentina.
Se il Rossese di Dolceacqua (vino prediletto da Napoleone Bonaparte) e l’Ormeasco
di Pornassio, coltivato fino a 600 metri sul
livello del mare - entrambi vitigni a bacca
rossa - smentiscono ampiamente chi crede
la Liguria terra di vini bianchi, vitigni perduti e ritrovati come il Moscatello di Taggia
(DOP Riviera Ligure di Ponente), esportato
nel Medioevo in tutto il nord Europa e il
Cimixia o Scimiscià (DOP Golfo del Tigullio Portofino) sorprendono ad ogni sorso. Il
Pigato (DOP Riviera Ligure di Ponente) nei
suoi sentori rammenta i profumi di erbe
aromatiche e del basilico che ritroviamo nei
piatti della tradizione; la Bianchetta Genovese perfetta con la focaccia ligure, la Massarda, la Tabacca, la Lumassina, il Mataossu, la Ruzzese, la Massaretta, il Granaccia, il
Bosco e l’Albarola vanno a costituire il ricco
patrimonio varietale della Liguria.
Il Vermentino però è l’unico vitigno che ritroviamo lungo tutto l’arco ligure e in tutte
le denominazioni di origine da Ventimiglia
a Ortonovo. La tradizione abbraccia tutta
la regione nella produzione di passiti sia da
uve a bacca rossa (Ormeasco), sia a bacca
bianca (Pigato, Bianchetta, Scimiscià, Vermentino). Le uve di Bosco, Albarola e Vermentino - passite – danno vita al celebre
Sciacchetrà (Cinque Terre).
La Riviera dei fiori
La regione è famosa nel mondo per i
suoi fiori. La nascita della floricoltura
sanremese risale a metà Ottocento con
la produzione di fiori recisi di campo
come narcisi, violette, violacciocche e
gelsomini. Alla fine del secolo, grazie al
buon clima che permette la produzione
floricola ed allo sviluppo del trasporto
ferroviario, Sanremo riesce ad instaurare
fitte relazioni commerciali con l’estero,
prevalentemente con i Paesi del nord Europa. Inizia in questo periodo la produzione su larga scala di fiori recisi con la
coltivazione di garofani in pien’aria, resa
possibile grazie alle temperature miti
della Riviera Ligure.
Al principio del XX secolo, nel periodo
della belle époque, l’importanza di Sanremo nell’ambito della produzione floricola
è talmente significativa da determinare
persino cambiamenti nella toponomastica
locale: la costa ligure di ponente diventa
infatti “la Riviera dei fiori” e Sanremo viene detta “la città dei fiori”.
*informazioni:
Camera di Commercio Italiana
per la Svizzera
Ufficio per il Ticino
Via Nassa 5
6900 Lugano
[email protected]
settembre 2016 La Rivista - 83
EXPERIENCE ITALY SOUTH AND BEYOND
Vi segnaliamo che la Camera organizzerà
nell’autunno 2016 due viaggi di affari per
2 importatori agroalimentari e 2 giornalisti
svizzeri nel Sud Italia.
• Dall’8 all’11 settembre saremo a Napoli
in Campania
• Dal 6 al 9 ottobre ad Olbia in Sardegna
In queste occasioni gli importatori e i
giornalisti avranno la possibilità di ricevere
informazioni sulle produzioni agroalimentari
tipiche locali con marchio di origine.
• Miele spezie e condimenti
• Olio d’oliva
• Ortofrutta
I gruppi di prodotto più rappresentati saranno:
• Vini
• Prodotti da forno
• Salumi
• Formaggi
Interessati?
Mandateci una prima adesione non vincolante scrivendo una semplice mail a [email protected] oppure [email protected] e Vi
ricontatteremo a breve per maggiori dettagli
e conferma definitiva.
BUSINESS SEMINAR NEL SETTORE
AVIAZIONE E AEROSPAZIALE
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) in collaborazione con il Canton
Vaud e l’Ordine dei Dottori Commercialisti
e degli esperti Contabili (ODCEC), organizza
un seminario a Napoli il 15 settembre presso il Palazzo Calabritto, rivolto a tutte le ditte
italiane operanti nel settore aviazione e aerospaziale in possesso di una strategia di sviluppo internazionale.
Il Canton Vaud e l’Aeropole di Payerne offrono, infatti, un terreno fertile per avviare collaborazioni commerciali con altre ditte dello
stesso settore svizzere, o in generale estere,
per aprire filiali o creare joint venture con partner locali.
Il seminario sarà in italiano e in inglese e a
conclusione ci sarà un lunch di networking
per le ditte partecipanti e la possibilità di incontrare i relatori one-to-one per eventuali
approfondimenti sul mercato.
Per maggiori informazioni:
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Ufficio Ginevra
Marianna Valle
[email protected]
0041 22 906 85 95
GO-ITALY EMILIA ROMAGNA FASHION 2016
Viaggio d’affari per compratori svizzeri del
settore abbigliamento, scarpe e accessori
di moda per uomo donna e bambino interessati ad incontrare fornitori italiani della
Regione Emilia Romagna.
La Camera di Commercio italiana per la
Svizzera, in collaborazione con la Camera
di Commercio di Bologna invita importatori
all’ingrosso, al dettaglio e della grande distribuzione svizzera, del settore moda e accessori ad un viaggio d’affari a Bologna (nella
regione Emilia-Romagna) dal 21 al 23 settembre 2016.
Questo viaggio offre ad un gruppo selezionato di specialisti del settore svizzeri e tedeschi la possibilità di partecipare a visite
alle imprese produttrici in loco come anche
84 - La Rivista settembre 2016
a colloqui con produttori di moda selezionati
dalla regione Emilia-Romagna, raccolti soprattutto dal centro di moda CENTERGROSS.
Una descrizione dettagliata dei prodotti
offerti e delle collezioni come anche il programma completo di visita sarà disponibile
a breve.
L’invito comprende: pernottamento in hotel
(due notti), pranzo, cena di benvenuto, servizio di traduzione e transfer in Italia
come anche il rimborso del volo
fino a 300,00€ IVA inclusa.
Su richiesta, possiamo prenotare i collegamenti aerei presso un’agenzia di viaggi.
• Arrivo: 21.09.16
• Ritorno in Svizzera 23.09.16
È prevista la partecipazione di una persona
ad azienda svizzera partecipante.
Se siete interessati a partecipare al viaggio,
potete annunciarvi contattando Luigi Palma
(Tel. +41 044 289 23 29; Fax. +41 044 201
53 57; E-mail: [email protected]).
INCONTRI BTOB NEL COMPARTO
LIFE SCIENCE
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, in collaborazione con la CCIAA di Pisa, organizza in Svizzera
degli incontri BtoB dal 28 al 30 settembre 2016 nel
comparto life sciences con i rappresentanti delle ditta
Phymtech.
Per maggiori informazioni:
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Ufficio di Ginevra
Lysiane Bennato
[email protected]
Tel: 022 906 85 95
GOURMESSE 2016
Fiera del Gusto, delle specialità
e dei prodotti di nicchia
ropee con la migliore qualità della vita. (Fonte:
AWA, 2015).
La CCIS organizza all’interno del Salone un’area italiana comune a marchio Go-Italy con lo
scopo di offrire ai visitatori una panoramica
della cultura eno-gastronomica italiana. La
possibilità di partecipare con uno stand all’interno della nostra area permette di ottenere:
• visibilità sotto il cappello del marchio riconosciuto Go-Italy
• un servizio di assistenza logistica-organizzativa dalla preparazione all’allestimento fino alla fase di assistenza nel
contatto con i visitatori
Gourmesse è la piattaforma ideale per
piccoli e medi produttori, dedicata alle
specialità e ai prodotti di nicchia. Offre
agli espositori il palcoscenico adatto per
un contatto diretto con consumatori finali
e rivenditori svizzeri, presenti in fiera durante tutti e quattro i giorni della manifestazione. Il 70% dei visitatori sono privati,
interessati alle novità e all’esclusività (oltre 10.000 visitatori in quattro giorni, tra
cui decision-maker dell’alta gastronomia,
acquirenti e rappresentanti di negozi di
specialità e prodotti di nicchia, grossisti e
grande distribuzione, cuochi, buongustai e
gourmet, enti ed istituzioni).
I settori principali di GOURMESSE 2016 sono
i seguenti:
Alimentari e Specialità
• rodotti tipici
• Gastronomia / Hotel
• Bevande
• Servizi e cultura della tavola
• Nonfood
•
Perché Zurigo?
La Regione di Zurigo è una delle piazze finanziare più importanti del Mondo e si trova nel
cuore d’Europa. Conta 3,7 milioni di abitanti e
da anni è in testa alla classifica delle città eu-
Interessati? Tramite il link sottostante è possibile scaricare la presentazione della fiera
insieme alle modalità di partecipazione e la
scheda di adesione.
Informiamo inoltre che per aziende, Consorzi, Associazioni di categorie, Aziende Speciali
delle CCIAA, Regioni e Province la CCIS può
organizzare degli spazi collettivi su misura.
Richiedete un’offerta dettagliata:
Luigi Palma Camera di Commercio Italiana per
la Svizzera
Seestrasse 123, CH – 8027 Zurigo
Tel. 0041/44/289 23 29
Fax 0041/44/201 53 57
[email protected] - www.ccis.ch
settembre 2016 La Rivista - 85
CONTATTI
COMMERCIALI
Dal mercato italiano
OFFERTE DI MERCI E SERVIZI
Generatori eolici
STOMA GROUP Spa
Via Ciura s.n.
I – 74016 Massafra (TA)
Tel. +39 099 880 4786
Fax. +39 099 880 3485
E-mail: [email protected]
www.stoma.it
Vini calabresi
Azienda Vinicola F.lli Dell’Aquila
Via Salvogaro
I - 88811 Cirò Marina (KR)
Tel. +39 3297420323
E-mail: [email protected]
www.vinidellaquila.it
Ristrutturazione negozi
AD Store & More srl
Via de Gasperi, 16
I – 63074 San Benedetto del Tronto (AP)
Tel: +39 0735381644
Fax: +39 0735585780
E-mail: :[email protected]
www.adsm.eu
General contractor
BDR SRL
Via Torino 1
I - 10034 Chivasso (TO)
Tel: +39 011 9114836
Fax: +39 011 9136280
E-mail: [email protected]
www.avanspace.com
Impresa edile
Eco Edile srl
Via dei Partigiani, 5
I – 24121 Bergamo
Tel: +39 035 5292527
Fax: +39 035 0662061
E-mail: [email protected]
www.ecoedilesrl.com
Impianti zootecnici
Pignagnoli s.r.l. via XXIV Maggio, 38
I - 27017 Pieve Porto Morone (PV)
Tel : +39 0382 718055
Fax : +39 0382 718056
86 - La Rivista settembre 2016
E-Mail: [email protected]
www.pignagnoli.com
Scaffalature metalliche
Torri SpA
Via Roma,15 36040 Torri di Quartesolo (VI)
Tel +39 0444 265800
Fax +39 0444 26580
E-mail: [email protected]
www.torri.it
Stampaggi in plastica
Reca Plast srl
Via dell’Artigiano 15
I – 60027 Osimo AN
Tel. 0039 071 7231208
Fax 0039 071 716940
E-mail: [email protected]
www.recaplast.it
Automazione industriale
Proteo Engineering srl
Via S. Vito 693
I – 41057 Spilamberto MO
Tel. 0039/059 789611
Fax 0039/ 059 789666
E-mail: [email protected]
www.proteoeng.com
Calzature
Fausto Ripani
via Del Castello 3
I – 63812 Montegranaro FM
Tel. e Fax 0039 0734893065
E-mail: [email protected]
www.faustoripani.com
Arredamento di negozi
EFFEBI SpA
Via delle Industrie 8
I – 61040 Sant’Ippolito PU
Tel. 0039/0721 74681
Fax. 0039/0721 728600
E-mail: [email protected]
www.effebispa.it
Stampi per pressofusione materie plastiche
SPM s.p.a.
Via Bargnani, 7
I - 25132 S.Eufemia BS
Tel: 0039/ 030 3363211
Fax: 0039/030 3363226
E-mail: [email protected]
www.spm-mould.com
Lamiere forate
SCHIAVETTI Lamerie forate srl
Viale della Vittoria 4
I – 15060 Stazzano AL
Tel. 0039/0143 607911
Fax 0039/0143 61297
E-mail: [email protected]
www.schiavetti.it
Complementi di arredo urbano
SMEC
Via Vivaldi 30
I – 41019 Soliera MO
Tel. 0039/059 566612
Fax 0039/059 566999
E-mail: [email protected]
www.smec-onweb.it
Consulenza marketing settore cosmetica
e lusso
Adamis Group Italia SRL
P.le delle Medaglie D’oro, 46
I – 00036 Roma
Tel: +39 06 43400123
E-mail: [email protected]
www.adamis.it
Per le richieste di cui sopra rivolgersi a:
Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23
Fax 044/201 53 57
e-mail: [email protected]
www.ccis.ch
Dal mercato svizzero
OFFERTE DI MERCI E SERVIZI
Impresa Edile
BA Swiss GmbH
Seestrasse 123
CH - 8002 Zurigo
Tel +393311295000
E-mail: [email protected]
www.artigianoexpress.it
Trasporti di rifiuti
Paul Baldini AG
Reussacherstrasse 9
CH-6460 Altdorf
Tel. +41 (0)41 874 50 50
E-Mail: [email protected]
www.baldini.ch
Profumi
Musk Collection Switzerland
Sihleggstrasse 23 CH-8832 Wollerau
TEL +41 (0)44 787 40 55
FAX +41 (0)44 787 40 59
[email protected]
www.musk.ch
Griedstrasse 1 5444 Künten
Tel: +41 (0)786751612
E-mail: [email protected]
Prodotti tipici italiani
La bella Italia essence of Italy GmbH
Camera di Commercio
Italiana per la Svizzera
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla:
BENVENUTO AI NUOVI SOCI
Seestr. 123, casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23
Fax 044/201 53 57
e-mail: [email protected]
www.ccis.ch
CO.ME.RI.MA. SRL
CANNARA MALAN STEFANO
VIA S. PAOLO 4
IT-22070 BEREGAZZO (CO)
TEL. +39 337 59 5174
[email protected]
FRENZY SÀRL
BECKER THOMAS
CLOS-DU-VERNAY 36
CH-1677 PREZ-VERS-SIVIRIEZ
TEL. +41 (0)79 685 24 74
[email protected]
ANASTASI MARCELLO
LOC. VALLE DI LAZZARO
IT-57037 PORTOFERRAIO (LI)
TEL. +39 335 31 51 26
[email protected]
DELTA41 SAGL
BALBO DI VINADIO EMANUELE
RIVA ALBERTOLLI 1
CH-6900 LUGANO
TEL. +41 (0)78 616 13 68
[email protected]
WWW.DELTA41.NET
LA CA’ NOVA AZ. AGRICOLA
BELLERO MARCO
VIA C. CEI 18/B
IT-15034 CELLA MONTE (AL)
TEL. +39 333 9544699
[email protected]
CALLEGARI ALEXANDRA
VILLAGGIO DEL SOLE 11/1
IT-10040 ALMESE (TO)
TEL. +39 342 80 26 56
[email protected]
FRANCOIS-PONCET OLIVIER
CHEMIN DU ROSSIGNOL 15
CH-1253 VANDOEUVRES
TEL. +41 (0)78 848 07 03
[email protected]
ACETO BENEDETTO
VIA MAESTRI DEL LAVORO 88
IT-38121 TRENTO
TEL. +39 331 1295000
[email protected]
2016
STELLA GIULIO
59, ROUTE DE FRONTENEX
CH-1207 GINEVRA
TEL. +41 (0)78 850 80 94
[email protected]
DETAILHANDEL
SCHWEIZ
Seit 26 Jahren beobachten wir den Schweizer Handel und geben mithilfe dieser Fachdokumentation unser Wissen und die gewonnenen Erkenntnisse weiter.
Facts und Figures aller grossen Firmen und Organisationen rund um den Schweizer Handel finden Sie in der Ausgabe «Detailhandel Schweiz 2016», welche
am 21. Juni 2016 erscheinen wird.
Bestellen Sie noch heute auf unserer Website www.detailhandel-schweiz.ch
settembre 2016 La Rivista - 87
GfK Switzerland AG l Obermattweg 9 l 6052 Hergiswil l 041 632 95 15 l [email protected] l www.detailhandel-schweiz.ch l www.gfk.com
Sede Lugano
Via Nassa 5CH-6900 Lugano
Tel: +41 (0)91 924 02 32
Fax: +41 (0)91 924 02 33
E-Mail: [email protected]
Sede Zurigo
Seestrasse 123CH-8027 Zurich
Tel: +41 (0)44 289 23 23
Fax: +41 (0)44 201 53 57
E-Mail: [email protected]
Servizi
Camerali
Sede Ginevra
12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1
Tel: +41 (0)22 906 85 95
Fax: +41 (0)22 906 85 99
E-Mail: [email protected]
La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie
e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che
abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera
appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali
strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese
dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.
La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti
svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra
Italia, Svizzera e Liechtenstein.
La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente
strutturata in aree tematiche:
Esportazioni
- Ricerca buyers/clienti
- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e
recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)
- Consulenza di natura commerciale e doganale
- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel
mondo
- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei
partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)
- Organizzazione di degustazioni, workshops ed
eventi
- Realizzazione di delegazioni ed export strikes
(visite presso buyers svizzeri)
- Organizzazione ed accompagnamento di espositori
italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere
italiane
- Organizzazione di seminari ed incontri di affari
- Focus settoriali
88 - La Rivista settembre 2016
Investimenti
- Apertura di un’attività
- Investire nella ristorazione
- Appalti pubblici in Svizzera
- Attività di M&A e di Corporate Finance
Comunicazione e promozione turistica
La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e
www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco,
per l’italianità in movimento
Corsi
- Corsi per professionisti e semplici appassionati
- Corsi per sommelier in lingua italiana
Altro
- Recupero Crediti
- Ricerca di dati statistici
- Traduzioni ed interpretariato
- Agevolazioni speciali per i soci
I settori di punta
Agroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema
Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e
Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione
CONVENIENZA SU
TUTTA LA LINEA.
Grazie agli innumerevoli modelli disponibili, la nuovissima gamma di mezzi Iveco offre soluzioni
specifi che per ogni incarico di trasporto. Con veicoli di concezione innovativa, che vi portano
avanti in tutti i sensi e tutelano il più possibile l’ambiente. In poche parole: economia ed ecologia
in perfetta armonia. L’esempio più recente: il nuovo EUROCARGO, Truck of the Year 2016!
Il vostro partner Iveco sarà lieto di consigliarvi.
IVECO (Svizzera) SA, Oberfeldstrasse 16, 8302 Kloten, tel. 044 804 73 73
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Anno 107 - n. 9 - Settembre 2016
La Rivista Anno 107 - n.9 - Settembre 2016
oops, we did it again.
L'Italia ferita
Le forme
della solidarietà
Fiat 124 Spider è tornata.
Chi dice che le cose belle accadono una sola volta nella vita?
La leggendaria Fiat 124 Spider riapparirà sulle nostre strade e ci farà rivivere lo spirito degli anni Sessanta.
Scopritela subito presso il vostro partner Fiat ufficiale.
fiat.ch
Incontri:
con Pierangelo Buttafuoco
Domenio Quirico e
Gian Antonio Stella