Perché catalogare fotografie - Istituto per i beni artistici culturali e
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Perché catalogare fotografie - Istituto per i beni artistici culturali e
Giuseppina Benassati Perché catalogare fotografie Alle origini della catalogazione Perché non catalogare le fotografie, multipli per eccellenza, al pari dei libri, perché non rendere disponibile e fruibile un patrimonio eccezionale quanto misconosciuto? Perché non tentare sperimentazioni in proposito vista l’esistenza di molteplici fondi fotografici in regione e di un possibile veicolo per le informazioni costituito dalla rete SBN? Queste le domande che, a partire da un pomeriggio primaverile, collocabile intorno alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, sollecitarono per circa un quinquennio il confronto tra un ristretto consesso di bibliotecari, archivisti, fotografi e storici dell’arte riuniti per volontà dell’allora Soprintendente bibliografico nel magnifico salone di rappresentanza della Soprintendenza per i beni librari della Regione Emilia-Romagna. I convenuti, chiamati a dar risposte ai quesiti attraverso argomentazioni ampie e puntuali sciolte da ogni formalismo nell’espressione, erano infervorati in un parlar «a ruota libera» favorito e stimolato dalla sfida intellettuale implicita nella richiesta e dall’amenità del luogo, un salone settecentesco aperto in un sereno cielo dipinto con gioviali divinità affacciate ad una aerea balaustra. Quel cielo amico popolato di divinità pagane e di personificazioni delle Stagioni ha visto il succedersi delle varie «stagioni della catalogazione della fotografia» che da allora la Soprintendenza ha promosso e coordinato in regione assumendo il ruolo di catalizzatore di richieste provenienti da esigenze concrete di gestione, conservazione e valorizzazione. È stata la prassi ad alimentare la teoria che, organizzata in un Manuale, è poi divenuta guida nelle numerose operazioni di riordino e archiviazione delle tante raccolte presenti in regione. Fin dall’inizio si è cercato di coniugare speculazioni su natura e funzioni della fotografia a sperimentazioni e prove di catalogazione condotte sul campo. Si sono succeduti innumerevoli incontri seminariali cui hanno partecipato rappresentanti di istituzioni regionali quali l’Archivio Storico del Comune di Parma, le biblioteche Panizzi di Reggio Emilia, Poletti di Modena, dell’Archiginnasio di Bologna, la Malatestiana di Cesena, la Classense di Ravenna nonché la Cineteca di Bologna. Si sono avviati confronti, analisi e sperimentazioni corroborati da giornate di studio con storici della fotografia, Marina Miraglia in particolare, ed esperti stranieri quali Anne Cartier-Bresson oggi direttrice de l’Atelier de Conservation de la photographie de la Maison Europèenne de la Photographie di Parigi, Grant Romer e James M. Reilly della George Eastman House e del Kodak Image Permanence Institut di Rochester. Particolari attenzioni sono state dedicate al riconoscimento ed all’identificazione delle tecniche fotografiche storiche a partire dalla considerazione che nella fotografia i dati tecnici e fattuali siano tutt’uno con le forme espressive e che proprio da essi partano le prime operazioni di conoscenza e pertanto di tutela e conservazione (si veda in queste pagine l’intervento di Riccardo Vlahov e Luisa Bitelli). Questa messe di iniziative ha dato vita a La fotografia. Manuale di catalagozione edito nel 1990 anno nel quale si realizzò pure il primo prototipo di un modulo dedicato alla gestione della grafica nel software di catalogazione Sebina. La fotografia. Manuale di catalogazione Sono passati tredici anni dalla pubblicazione del Manuale ed è trascorso un secolo; un tempo breve e lunghissimo nel quale la catalogazione della fotografia ha subito un processo di accelerazione come mai era accaduto, nel nostro paese, dal momento della sua prodigiosa scoperta. Se l’esigenza di conservare fotografie era già sentita alla fine del XIX secolo come attesta la nascita del Gabinetto Fotografico Nazionale nel 1892 e se nel 1904 fondando un Archivio fotografico presso le Regie Gallerie degli Uffizi Corrado Ricci aveva l’intento di raccogliere «…nel maggior numero possibile fotografie d’opere d’arte, di luoghi, d’avvenimenti, di persone ragguardevoli in ogni campo dello scibile…», non sono esistite sino al 1990 norme nazionali di catalogazione e nemmeno regole comportamentali diffuse e condivise almeno a livello regionale. La fotografia, «bene di confine» ugualmente presente, quando non dispersa o accatastata in depositi polverosi, in biblioteche, archivi e musei era ‘condizionata’ e ‘trattata’ non tanto in aderenza alla sua intrinseca natura ma a discendere dalle specifiche vocazioni disciplinari di ogni istituto. Il Manuale, pur di impianto biblioteconomico ha tentato un approccio interdisciplinare verso questo bene culturale tenendo conto di suggerimenti e regole provenienti sia dalla tradizione archivistica che da quella storico-artistica. La normativa proposta è discesa dalla concezione della fotografia come opera autonoma frutto di una disciplina che, seppur giovane perché fondata a partire dal 1839, è dotata di storia e statuti specifici. Il superamento dell’ annosa dicotomia opera/documento ed il riconoscimento di un valore comunque attribuibile all’immagine fotografica, intesa come un unicum di contenuti, forma espressiva ed elementi tecnico-fisici, ha fatto crescere la coscienza che le immagini fotografiche si possono e si debbono catalogare. La polisemia della fotografia, arte autonoma ed al contempo ancella di ogni altra disciplina bisognosa di sostegno documentario, ha per molto tempo tenuto a distanza ogni pratica classificatoria fatta eccezione per i cataloghi di vendita dei fotografi e quelli, molto più tardi, degli storici e degli studiosi. La predisposizione di norme per la catalogazione offre la possibilità di dar conto in maniera razionale ed ordinata di contenuti, autori, tecniche e supporti delle immagini; consente di descrivere e indicizzare, creare archivi di titoli, di autori, di soggetti, archivi strutturati con criteri biblioteconomici e pertanto condivisibili e consultabili, al pari di quelli del materiale librario, sulla medesima rete informativa. Il Manuale ha affermato con forza il principio di autorità: autore principale della fotografia è il fotografo, assunto soltanto apparentemente lapalissiano se confrontato con la prassi ancora in uso nelle fototeche d’arte o meglio, di riproduzione/traduzione del patrimonio storico-artistico le cui voci di autorità rimandano a Raffaello, Correggio, Michelangelo, Carracci. Questi autori non cessano di essere presenti anzi, dotati di opportuni codici di qualificazione vengono esaltati all’interno di archivi di autorità in cui, finalmente, è dato spazio agli artefici delle traduzioni fotografiche delle loro opere, interpretazioni che un autore, il fotografo, propone o ri-propone in specifiche forme espressive. La fotografia in SBN Nel corso di tredici anni il Manuale è divenuto strumento di lavoro impiegato in molte imprese di catalogazione avviate in biblioteche e archivi non soltanto della regione EmiliaRomagna ove ha consentito, unitamente all’impiego di un software di catalogazione, Sebina, compatibile e in colloquio con l’Indice SBN, di predisporre la gestione delle informazioni bibliografiche sulla fotografia nei Poli che alimentano l’Indice stesso. Oggi, negli OPAC dei Poli di Parma, Unificato Bolognese, della Regione Emilia Romagna di Bologna e della Rete bibliotecaria di Romagna, sono consultabili migliaia di catalogazioni di fotografie appartenenti ad istituzioni ad essi afferenti: dallo CSAC all’Archivio Storico Comunale di Parma, dalla Cineteca, alla Biblioteca dell’Archiginnasio all’Archivio Storico dell’Università di Bologna, alla Biblioteche Classense di Ravenna, Gambalunga di Rimini, Malatestiana di Cesena. Va ricordato che il Manuale è stato altresì propedeutico alla stesura della normativa pubblicata (nel 1999 per cura di Francesca Bonetti) dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione che si è finalmente dotato di norme per la catalogazione della fotografia. La presenza della Soprintendenza per i Beni Librari e dell’ICCU all’interno del composito gruppo di lavoro che ne ha elaborato i contenuti, ha reso possibile l’individuazione di un set di dati che, contraddistinto da labels UNIMARC, potrà costituire l’ossatura di attività di import/export da un formato di catalogazione all’altro. La fotografia. Manuale di catalogazione, II edizione La necessità delle biblioteche rimane quella di continuare la catalogazione, secondo il cammino già intrapreso seguendo norme che consentano la gestione della fotografia all’interno di cataloghi integrati consultabili in OPAC di singole istituzioni, di Polo o, tra breve, di Indice. Esaurita la prima edizione del Manuale è in corso di stesura la seconda che verrà pubblicata in coedizione con l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane. La predisposizione del nuovo Manuale si pone l’obiettivo di approntare uno strumento utile per qualsivoglia operazione di catalogazione partecipata della fotografia. Catalogazioni analitiche di interi fondi fotografici hanno consentito, nel tempo, l’affinamento delle regole catalografiche, la definizione sempre più puntuale dei livelli di descrizione, dell’ordine e della gerarchia delle fonti di informazione, delle unità documentarie, l’individuazione di ‘legami’ interni alla fotografia o capaci di relazionarla con altre tipologie di beni: i libri, le opere grafiche, quelle pittoriche, scultoree architettoniche, i complessi documentari. Le difficoltà insite nella creazione di titoli per le immagini che ne sono sprovviste unitamente a quelle per la formulazione di stringhe di soggetto, nonché la necessità di rendere esplicite le relazioni intrinseche ed estrinseche alla fotografia (dal legame tra il negativo ed i positivi da questo stampato, ai rapporti tra originale, copia, duplicato, contraffazione, alle relazioni tra fotografia ed opera riprodotta, etc.) hanno sottolineata la necessità di corredare l’opera di nuove appendici che saranno relative alla Soggettazione, ai Legami, al’import/export UNIMARC. L’avvento della fotografia digitale rende altresì necessaria la puntualizzazione della normativa anche in tal senso tenendo ben presente la profonda differenza concettuale che esiste tra una fotografia realizzata in digitale e la digitalizzazione di immagini e testi di qualsivoglia natura, trattabili questi ultimi come risorse elettroniche (si veda in proposito La catalogazione delle risorse elettroniche in SBN, Roma, ICCU, 1999). Se la catalogazione condotta sul campo ha consentito di affinare ancor più le regole di descrizione, la gestione dell’informazione all’interno di cataloghi integrati ha reso altresì evidente e improrogabile la necessità di un adeguamento delle RICA (Regole Italiane di Catalogazione per Autore) atto ad accogliere e disciplinare la creazione di voci di intestazione per nomi convenzionali, denominazioni generiche e formali, pseudonimi, ragioni commerciali, frequentemente presenti nella fotografia, soprattutto in quella di riproduzione del patrimonio storico-artistico, ove la problematica della scelta e della forma del nome investe ugualmente il fotografo ed il creatore dell’opera d’arte di cui, spesso, si ignora il nome reale. L’esigenza, in realtà, è condivisa dall’intero mondo delle arti grafiche dalle stampe ai disegni alle stampa minore (figurine, etichette, etc.) alla cartografia ai manifesti, per citare almeno le tipologie di immagini che l’Indice si appresta a gestire. Catalogare o digitalizzare? La catalogazione è una pratica complessa che richiede tempo ed elevate competenze professionali; le fotografie non sono libri, non hanno frontespizi, spesso sono solamente immagini anonime prive di titolo, di data di esecuzione e tanto meno di indicazioni circa la tecnica di esecuzione. Per poterle ‘leggere’ servono conoscenze storiche, stilistiche e tecniche, per poterle contestualizzare è opportuno condurre ricerche senza tralasciare nessuna fonte, da quelle bibliografiche, a quelle documentarie a quelle orali. Ne conseguono tempi direttamente proporzionali alla quantità di fotografie sedimentate negli archivi ed inversamente proporzionali alla velocità con la quale le immagini, oggi, scorrono e si moltiplicano. La scarsità di risorse umane ed economiche unitamente ad una ancor debole cultura fotografica che affligge endemicamente molte istituzioni del nostro paese fa intravedere nella facilità con la quale un’immagine può essere trasposta su CD o DVD una sorta di sostituto della catalogazione. Si tratta, ovviamente, di una falsa impostazione del problema. La digitalizzazione, se consistente in mera trasposizione della fotografia da un supporto all’altro, non implica processi conoscitivi, è di straordinario aiuto per la conservazione delle immagini, che in tal modo vengono riposte e ben conservate, ed è di sicuro ausilio alla catalogazione che comunque non può surrogare. Per la fotografia la necessità della catalogazione è assolutamente prioritaria: si tratta di metterla in atto con scelte e strategie finalizzate ad ottimizzare obiettivi e risultati. Un aiuto certo viene dall’identificazione, caso per caso, archivio per archivio, dell’unità documentaria di riferimento non necessariamente costituita dalla singola immagine o da vere e proprie serie di immagini; punto di partenza può essere una raccolta, una collezione, un reportage, un censimento, una campagna di catalogazione, un rilevamento. L’uso di una strutturazione dei dati di matrice biblioteconomica, l’esistenza, a monte di chiare definizioni di ‘legami’, accanto all’individuazione di un set minimo di dati che costituisce la catalogazione consente di formalizzare primi livelli di catalogazione suscettibili di esplodere in catalogazioni analitiche con tempi e modalità successivi ed indipendenti dai primi approcci conoscitivi. Per una geografia della fotografia L’attività di catalogazione della fotografia condotta sul campo, cioè all’interno di biblioteche, archivi, musei e centri di documentazione ci consente di tracciare una mappa dei fondi e delle raccolte maggiormente interessanti presenti in regione suggerendo in proposito alcune riflessioni di carattere generale. Accanto a prestigiose raccolte di immagini storiche tra cui spiccano per quantità e qualità quelle conservate alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, alla Saffi di Forlì ed alla Classense di Ravenna sono presenti archivi legati al giornalismo come quello, straordinario per completezza e complessità di documenti, relativo a «Il Giornale d’Italia» (Biblioteca Comunale di S. Giovanni in Persiceto) o quello del fotografo Davide Minghini (Biblioteca Gambalunga di Rimini) per decenni attivo a Rimini per «Il Resto del Carlino», autore prolifico di immagini legate alla città balneare ed ai numerosi eventi di cui fu protagonista dagli anni Cinquanta in poi grazie alla presenza catalizzante di Federico Fellini. Nel primo caso si tratta di immagini strettamente legate ad un poderoso archivio cartaceo già organizzato in rubriche perché d’uso corrente all’interno del giornale, nel secondo caso invece siamo di fronte ad un fondo di sole immagini, prevalentemente negative, organizzato in buste e raccoglitori con veloci annotazioni dell’autore per identificare personaggi e situazioni. Di notevole interesse sempre in Romagna, sono poi raccolte meno consistenti ma importanti per la conoscenza della produzione amatoriale come è nel caso di Agostino Lelli Mami (Agostino Lelli Mami fotografo amatoriale, Cesena, 1994) e dell’attività degli studi di provincia negli anni Venti del Ventesimo secolo, epoca nella quale si diffonde la riproduzione di libri e documenti su richiesta di filologi ed iconologi attività nella quale, fra le altre, fu impegnato il cesenate Augusto Casalboni (Augusto Casalboni «più che fotografo, artista ed appassionato studioso», Cesena, 2002). Assai copiose le raccolte di fotografie sul cinema e lo spettacolo dai fondi ricchissimi della Cineteca di Bologna e del Centro Culturale S. Biagio di Cesena a quelli, tra Ottocento e Novecento, conservati all’Archivio Storico del Teatro Regio di Parma, ove sono i ritratti d’artista del «Fondo Ferrarini» o della Biblioteca dell’Archiginnasio in cui si segnala il «Fondo Cervi». Per quanto riguarda la riproduzione/traduzione del patrimonio storico artistico si segnalano i fondi della Biblioteca di Storia dell’Arte Luigi Poletti di Modena , del Museo di Schifanoia di Ferrara, e della Biblioteca Manfrediana di Faenza, in quest’ultima è la straordinaria messe di immagini dell’Archivio Corbara. Per concludere va menzionata la Fototeca dell’Istituto Beni Culturali, scrigno che raccoglie quasi trent’anni di attività dell’istituzione, specchio di una concezione e di un utilizzo della fotografia come strumento di censimento dei beni culturali e come autonoma forma espressiva. Il progetto di catalogazione delle quasi centosettantamila immagini che la compongono -si vedano in proposito, a seguire, Monica Ferrarini, Argia Bertoni e Priscilla Zucco- è in fase di avanzato svolgimento e prevede di rendere disponibile a partire dall’autunno la prima tranche di lavoro terminata. Lasciando ad altra sede considerazioni sulle scelte catalografiche intraprese, sulle tipologie di immagini presenti, sull’importanza e sull’incidenza della fotografia nella politica culturale perseguita dall’Istituto, mi preme sottolineare l’unicità di questo complesso di immagini. Qui, «natura e cultura» della regione Emilia-Romagna sono ugualmente rappresentate in un intreccio di ricerche tematiche, di indagini, riflessioni e proposte i cui molteplici obiettivi sono sempre e comunque riconducibili all’insegna della tutela -si veda Antonella Campagna qui di seguito- della salvaguardia e della valorizzazione dei beni culturali, tra i quali, non ultima è la fotografia.