canto delle spose - Mediateca Toscana

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canto delle spose - Mediateca Toscana
CANTO DELLE SPOSE (IL)
LE CHANT DES MARIÉES
RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA
Editore S.A.S. Via Bonomelli, 13 - 24122 BERGAMO
Tel. 035/320.828 - Fax 035/320.843 - Email: [email protected]
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Regia: Karin Albou
Interpreti: Lizzie Brocheré (Myriam), Olympe Borval (Nour), Najib Oudghiri (Khaled), Simon Abkarian (Raoul), Karin Albou (Tita)
Genere: Drammatico - Origine: Francia - Anno: 2008 - Sceneggiatura: Karin Albou - Fotografia: Laurent Brunet - Musica: François Eudes
(François-Eudes Chanfrault) - Montaggio: Camille Cotte - Durata: 100' - Produzione: Gloria Films, France 3 Cinéma Con La Collaborazione Di
Canal +, Cinecinema, Con Il Sostegno Di Procirep, Angoa-Agicoa - Distribuzione: Archibald Film (2009)
Applaudita quattro anni fa con il suo
film d'esordio, "La petite Jérusalem"
(selezionato alla Settimana della critica
di Cannes e premiato per la miglior
sceneggiatura), Karin Albou torna a
parlare dei conflitti interrazziali e delle
'oppressioni culturali' sulle donne anche
con il suo film successivo, "Il canto
delle spose" ("Le Chant des mariées"),
presentato fuori concorso l'anno scorso
al Torino Film Festival e da domani
sugli schermi italiani. Cambia invece
l'ambientazione e il periodo storico:
non più Israele oggi, ma Tunisi nel
1942, quando le forze dell'Asse occuparono la città fino ad allora in mano
francese. Qui, compagne d'infanzia e
vicine di casa, vivono l'araba Nour (Olympe Borval) e l'ebrea Myriam (Lizzie
Brocheré), entrambe sedicenni ed entrambe di bassa, se non bassissima,
condizione sociale. Ma se per Nour
questa povertà vuol dire procrastinare il
matrimonio con l'amato Khaled, almeno fino a quando il fidanzato non troverà un lavoro, per Myriam l'indigenza
diventa ogni giorno un problema più
grande perché le leggi razziali, prontamente messe in vigore, fanno perdere il
posto alla madre Tita (interpretata dalla
stessa regista, Karin Albou), perché la
comunità ebraica deve pagare una 'tassa' salatissima agli occupanti tedeschi
(a cui naturalmente Tita non può far
fronte) e perché la popolazione locale
viene ben presto contagiata da uno strisciante spirito antisemita che emargina
madre e figlia. A farne soprattutto le
spese è l'amicizia tra le due ragazze,
che la regista filma con lunghe scene
spesso senza parole, insistendo prima
sui momenti di complice affettuosità
che le legava e registrando dopo la sospettosa diffidenza che si introduce tra
le due, allontanandole sempre di più.
Alla regista non interessa molto raccon-
tare lo scontro tra locali e invasori, sceglie di trasformare tutti gli arabi in potenziali collaborazionisti in nome dell'odio antifrancese e antiebraico (mentre ai tempi i nazionalisti di Bourguiba
presero subito le distanze dai tedeschi).
E soprattutto usa gli uomini - il fidanzato Khaled, l'attempato medico Raoul
(a cui Tita vuole sposare Myriam, per
ragioni dichiaratamente economiche: è
ricco), il padre di Nour - per portare in
scena le tante facce di una 'oppressione'
che è per prima cosa sessista ma anche
culturale e infine sociale. Peccato però
che le buone intenzioni si arenino ben
presto sulla spiaggia dei messaggi convenzionali o annaspino dentro a scene
troppo sottolineate. Le sfumature sembrano completamente sparite, un volantino tedesco basta a trasformare le amiche arabe in tante comari inquisitrici, il
disprezzo che Myriam prova per il suo
promesso sposo si ribalta nel suo opposto alla prima dimostrazione di 'buona
volontà', la 'coscienza politica' dell'una
o dell'altra si concretizza o sparisce
peggio di un fiume carsico. E la scena
infinita della depilazione affinché il
corpo di Myriam (pube compreso) per
la prima notte di nozze sia simile alla
seta rischia di diventare una estenuante
prova sadomaso sulla pelle della povera
attrice. La regista ha dichiarato che lo
spunto per questo film le è venuto dalla
voglia di capire come mai i legami adolescenziali finiscono spesso per lacerarsi all'improvviso, ma questo ammirevole scopo finisce per passare in secondo
piano di fronte alle giustificazioni 'storiche' (l'invasione tedesca di Tunisi) e
'sociali' (il peso di certe tradizioni familiari, esposizione del lenzuolo macchiato di sangue la prima notte compresa),
la cui invadenza appare la principale
causa della rottura tra le due amiche.
Finendo così per oscurare il bel lavoro
del fotografo Laurent Brunet che ha
saputo riprendere in maniera non convenzionale una città forse troppe volte
sfruttata al cinema, qui invece 'dipinta'
con tutte le diverse tonalità del blu e
dell'azzurro.
Il Corriere della Sera - 17/12/09
Paolo Mereghetti
Come si racconta la grande Storia in un
piccolo film ('piccolo' in senso produttivo, s'intende)? Scegliendo un punto di
vista insolito. E quello de "Il canto delle spose" è insolito tre volte. Perché
siamo nella Tunisi del 1942, e non sono
molti i film che rievocano la Seconda
Guerra mondiale con gli occhi delle
colonie o dei protettorati. Perché le protagoniste sono due ragazze, più attente
al loro destino individuale che al futuro
del mondo. Perché Myriam e Nour, amiche per la pelle come succede solo a
16 anni, vivono nello stesso cortile ma
appartengono a mondi che oggi diremmo lontani e che allora erano vicini.
Anche se non per molto.
Myriam infatti è ebrea, Nour araba.
Myriam va a scuola, Nour deve contentarsi dell'educazione sommaria prevista
per le musulmane povere. In compenso
Nour sta per sposarsi anche se ha appena 16 anni, mentre la madre di Myriam
vuole maritarla a uno zio che ne ha più
di 40, ma è ricco e può aiutarle. La
Francia collaborazionista del maresciallo Pétain dà infatti prova di zelo anche
in colonia, e la radio annuncia pesanti
sanzioni per gli ebrei, 'colpevoli' di aver
scatenato la guerra, dunque condannati
a pagare i danni inflitti dalle bombe alleate in denaro o in lavoro...
Basterebbe questo sguardo così inconsueto su una tragedia vista quasi sempre con occhi europei a dire l'interesse
eccezionale del secondo film della
franco-algerina Karin Albou (anche at-
trice, è lei la madre di Myriam). La Albou infatti è bravissima a rievocare un'intera epoca in pochi scorci (un aereo
tedesco che lancia volantini, la propaganda alla radio, una battuta razzista
lasciata cadere fra le donne nude, arabe
ed ebree insieme, nell'hammam...). Sottolineando, a volte un poco didascalicamente, le contraddizioni più sanguinose: come il fidanzato collaborazionista di Nour; o lo zio ricco che smista gli
ebrei destinati ai lavori forzati, come se
non fosse ebreo anche lui, in ossequio a
una direttiva della comunità ('difendere
l'élite').
Ma al centro di tutto resta sempre il
corpo e in particolare il corpo delle
donne, corteggiato, controllato, manipolato (c'è una scena di depilazione intima dal verismo a dir poco impressionante). E in fin dei conti destinato a
concentrare su di sé tutte le crudeltà
della Storia. Con una precisione e un'immediatezza che solo il cinema può
rendere con tanta fedeltà.
Il Messaggero - 18/12/09
Fabio Ferzetti
Promette molto, ma non mantiene tutto
"Il canto delle spose" dedicato dalla
franco-algerina Karin Albou ("La petite
Jérusalem") all'oppressione delle donne
nel quadro dei conflitti interrazziali.
Scandito sui tempi dell'amicizia tra l'ebrea Myriam e l'araba Nour fiorita nella
Tunisi del '42 occupata dai nazisti, il
romanzo di formazione che vedrà fatalmente incrinarsi il rapporto è via via
appesantito da troppe plateali annotazioni antropologiche (la lunghissima
sequenza della depilazione integrale di
Myriam), storiche e psicologiche. Le
atmosfere, i costumi, i volti, le luci
danno così l'impressione d'essere colti
dalla macchina da presa per un principio dimostrativo, anziché poetico; grazie alle ottime interpreti il film si fa peraltro apprezzare per la segreta intensità
delle espressioni, rivelatrici di un'ardua
intesa umana e femminile che va al di
là del teorema per immagini.
Il Mattino - 18/12/09
Valerio Caprara
Belle ragazze, begli occhi e bel cuore,
begli sguardi da incrociare. "Il canto
delle spose" è prima di tutto seduttivo
cinema al femminile. I visi delle adolescenti Myriam (Lizzie Brocheré) e
Nour (Olympe Bornal) riempiono armoniosamente il quadro. Amiche per la
pelle, ravvicinate nel raccontarsi, intime nel confidarsi, comprensive nel lamentarsi di un destino che fin da ragazzine le vuole prone esecutrici di voleri
altrui. Entrambe vivono nello stesso
chiuso cortiletto, su due piani diversi,
in una levigata Tunisi autunnale sul finire del '42. Il Nord Africa è territorio
d'occupazione nazista e la propaganda
goebbelsiana spinge i 'fratelli' musulmani alla guerra santa contro i nemici
ebrei. Myriam è ebrea francese, orfana
di padre e con una mamma (la stessa
regista del film, Karin Albou) rimasta
senza troppi denari in tasca. Nour è
musulmana, con uno stile di vita più
spartano, un velo bianco ad avvolgerle
spesso il capo. Myriam dovrà sposare il
ricco e adulto medico ebraico Raoul
(Simon Abkarian, attore feticcio di Robert Guediguian ed Atom Egoyan) per
fare in modo che la famiglia possa pagare la retta capestro richiesta dagli occupanti nazi. Nour è invece innamorata
del musulmano Khaled, giovincello
scavezzacollo in attesa di lavoro che
presto arriverà proprio grazie al Terzo
Reich.
"Il canto delle spose" è un fluido e tattile dramma sospinto dal 'paso doble' di
Myriam e Nour: l'esplorazione della
loro identità sessuale attraverso il prisma dei loro corpi e la trasfigurazione
del loro affetto che dovrà necessariamente attraversare la tragica impostura
delle differenze razziali. Albou filma
un testo classico arricchendolo di un
sottile erotismo denso di coraggiosi
dettagli visivi. C'è infine un coraggio
infinito nel ritmare un film con silenzi e
sguardi, momenti di muta contemplazione, sequenze dove parlano soltanto
gli occhi e i gesti delle fanciulle. Aperta
agli spiragli di bianca luce filtrata la
sublime fotografia di Laurent Brunet.
Distribuisce Archibald.
Liberazione - 18/12/09
Davide Turrini
Due adolescenti, una musulmana e una
ebrea, crescono insieme nella Tunisi
degli anni '40 e si scontrano con i pregiudizi razziali durante il periodo dell'occupazione nazista. Più ancora che
un mondo di prevaricazione religiosa,
quello delle due promesse spose - una
ben contenta di maritarsi, se solo glielo
permettessero, l'altra avviata ad un matrimonio di ripiego con un uomo molto
più anziano - è raccontato come un
mondo di oppressione maschile, a monte delle ideologie e degli schieramenti.
L'unica tattica di resistenza è la solidarietà femminile che attraversa trasversalmente ideologie, razza e religione,
proprio quando il potere cerca (ieri come oggi) di armare una minoranza contro l'altra, dividendole per meglio imperare. C'è qualcosa di molto tenero, ma
anche di molto carnale, nel rapporto fra
le due ragazze, sedicenni assai credibili
nei loro desideri e nelle loro aspirazioni. La mano dietro la cinepresa è decisamente femminile, lo sguardo è morbido e sensuale, ma allo stesso tempo
discreto e rispettoso della grande dignità delle sue eroine.
Europa - 19/12/09
Paola Casella