IL PROJECT MANAGEMENT NELLA PUBBLICA

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IL PROJECT MANAGEMENT NELLA PUBBLICA
Cesit Centro Studi sistemi di trasporto collettivo “Carlo Mario Guerci”
Piazza Bovio 14 80133 Napoli
Working paper series n. 11 2012
IL PROJECT MANAGEMENT NELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
LEVA PER IL CAMBIAMENTO O
MECCANISMO BUROCRATICO DI
CONTROLLO?
Paolo Canonico, Ernesto De Nito,
Gianluigi Mangia, Vincenza Esposito
Premessa e obiettivi del paper
Il paper si concentra sulle implicazioni organizzative derivanti dall'applicazione di una
logica di project management all'interno di una Pubblica Amministrazione. In
particolare, l'obiettivo principale può essere sintetizzato nella comprensione degli effetti
che derivano sui meccanismi di controllo.
Partendo da questo obiettivo, si deve preliminarmente prendere atto della grande
rilevanza che il tema del PM ha nel dibattito manageriale, soprattutto in ragione della
assai significativa importanza “pratica” e “operativa”
(Whittington et al., 1999),
particolarmente evidente in alcuni settori specifici (ad esempio, secondo un'opinione
assolutamente consolidata, nelle società di ingegneria, nelle società di consulenza, nelle
imprese con cicli di produzione su commessa...) (Ekstedt et al., 1999). Oltre a ciò, si
consideri che lo studio del project management ha anche un marcato significato
operativo, in ragione degli effetti che si producono sui livelli di performance, nelle
organizzazioni che vi fanno ricorso.
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Per quanto riguarda, più in particolare, la pubblica amministrazione, si deve riconoscere
come l'implementazione di progetti all'interno della pubblica amministrazione (PA)
rappresenta oggi un tema di grandissimo interesse: vi è, infatti, l'esigenza di una
profonda riforma delle logiche organizzative della PA avvertita in maniera più o meno
simile nei diversi paesi OCSE (Arnaboldi et al. 2004).
Partendo da queste considerazioni, si può ben comprendere come, negli ultimi anni, il
numero delle conferenze accademiche e degli incontri professionali sul tema
dell'efficienza del PM anche in contesti di Pubblica amministrazione sia fortemente
cresciuto (FORUMPA, 2008). Vi è infatti un corpo molto consistente di ricerche che
negli anni si sono consolidate sullo studio delle organizzazioni per progetti, partendo
dall'idea che sia possibile guardare ai progetti come ad uno strumento organizzativo per
incrementare il grado di flessibilità all'interno di contesti burocratici e marcatamente
funzionali (Buchanan e Boddy, 1992; Andersen, 2008). In particolare, alcuni studi
hanno evidenziato come, al di là di una logica frammentata relativa all’implementazione
di singoli strumenti, l’organizzazione per progetti sia in grado di sostenere un processo
di cambiamento, attraverso il raggiungimento di un obiettivo finale di maggiore
efficacia del nuovo sistema organizzativo (eliminando l’idea del controllo burocratico in
itinere relativo a singoli step), e coerente con la cultura e gli assunti di fondo che la
nuova forma organizzativa vuole realizzare (Partington, 1996).
In quest’ottica il cambiamento organizzativo viene raggiunto attraverso una logica di
progetto, in cui una struttura temporanea (il gruppo di progetto) viene costituita per
analizzare e organizzare un nuovo sistema di attività, preservando nel contempo il
funzionamento ordinario del sistema fino a quando una migliore divisione di compiti e
responsabilità non si sia stabilizzata.
Secondo altri autori, invece, il ricorso a soluzioni organizzative di project management
produce un effetto opposto determinando un incremento del grado di burocraticità e di
rigidità (Robertson e Swan, 1998; Clegg, 2004; Hodgson, 2004).
Nonostante il crescente rilievo per i practitioners, è molto interessante notare che a
parte gli studi che possono essere ricondotti alla matrice teorica della New Public
Management School, non sono molti comuni le ricerche focalizzate sul PM all'interno
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del settore pubblico e della Pubblica amministrazione (Crawford et al., 2003). Appare
quindi necessario un approfondimento sulle implicazioni organizzative derivanti dal
ricorso a forme di PM all'interno della pubblica amministrazione, impostando il
ragionamento in termini di flessibilità potenziale e di adattabilità (Volberda, 1998).
In quest'ottica, molte pubbliche amministrazioni stanno attraversando un processo di
riorganizzazione, adottando nuove strategie e modelli
organizzativi differenti,
maggiormente coerenti con le sfide della competizione crescente. Anche in Italia, si
assiste a processi di cambiamento interni alla PA che cerca di individuare ed
implementare nuove soluzioni organizzative per gestire progetti complessi (Rebora e
Minelli, 2007).
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Lo scenario teorico di partenza
Il settore pubblico deve fronteggiare oggi l'esigenza di un rapido e consistente
incremento dei livelli di efficienza, anche nell'esigenza di sostenere una contrazione
della spesa pubblica, incrementando allo stesso tempo la qualità dei servizi erogati.
In questo senso, le riflessioni teoriche riconducibili al modello del New Public
Management rappresentano un punto di riferimento nel fornire indicazioni relative alle
soluzioni ed ai modelli operativi per la gestione del cambiamento organizzativo (Ferlie,
1996; Bordogna, 2003; Campos e Lateef, 2006).
Crawford et al. (2003) affermano che l'incertezza rappresenta una delle caratteristiche
principali di cui tenere conto anche per la comprensione delle logiche di funzionamento
delle pubbliche amministrazioni. L'analisi delle logiche del PM all'interno delle
pubbliche amministrazioni può essere utilmente collegata al tema dei miglioramenti di
performance, in termini di efficienza e di efficacia ed anche alla esigenza (economica e
sociale) di modelli organizzativi più snelli, leggeri e piatti.
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E’ vero infatti che, in concomitanza con gli sviluppi teorici del NPM, in molti Paesi i
governi hanno provato a incentivare e stimolare il ricorso al project management
(Arnaboldi, 2004).
La proliferazione delle certificazioni professionali indirizzate alla gestione dei progetti
ed alla standardizzazione delle tecniche manageriali evidenzia, in misura crescente negli
ultimi anni, una forte attenzione delle organizzazioni al project management,
identificato nella pratica come supporto utile per affrontare la crescente complessità dei
problemi che il contesto moderno propone.
Lo studio del project management nelle discipline organizzative ha assunto quindi negli
ultimi anni, a livello internazionale, un orizzonte molto ampio, comprendendo contributi
estremamente diversificati tra loro.
La visione tradizionale che ancorava tali studi all’analisi degli strumenti e delle
soluzioni organizzative di supporto alla gestione per progetti è stata gradualmente
affiancata da interpretazioni del fenomeno maggiormente robuste in termini di
elaborazioni e riferimenti alla teoria organizzativa.
In particolare, alcuni autori (Söderlund, 2000; Bredillet, 2008) hanno contribuito a
evidenziare come gli studi sul project management possano pragmaticamente
avvantaggiarsi da una potenziale cross fertilization partendo dalla consapevolezza delle
finalità e degli assunti di base che li hanno ispirati e che li collocano nei differenti filoni
della ricerca organizzativa.
E’ possibile ragionare sugli scopi e sulla valenza dei contributi teorici sul project
management, ispirandosi a due possibili chiavi di lettura:
1) la prima analizza le finalità organizzative relative alla costituzione e alla conduzione
del progetto studiato (Turner e Muller, 2003)
2) la seconda ripercorre e mette in luce la collocazione delle opzioni teoriche che
ispirano lo studio del progetto (Söderlund, 2004).
In questo articolo si utilizzerà una prospettiva di analisi del project management basata
sul suo potenziale utilizzo all’interno dei processi di cambiamento organizzativo,
ragionando dunque sul binario degli scopi (più o meno esplicitati) relativi alla
costituzione e alla conduzione del progetto (Turner e Muller, 2003; Partington, 1996).
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E’ utile peraltro richiamare che tale oggetto di studio è stato affrontato in letteratura sia
partendo da una prospettiva mainstream, nella quale l'idea principale può essere
associata all’identificazione analitica ed oggettiva delle soluzioni organizzative, dei
sistemi di controllo e delle competenze manageriali di supporto alla gestione dei
processi di cambiamento, sia invece da una posizione critical, in cui i temi collegati alla
progettazione organizzativa sono definiti in funzione dell'obiettivo attribuibile alle elites
manageriali di incrementare la propria capacità di controllo e dominio su sistemi di
attività particolarmente complessi (Hodgson e Cicmil, 2006).
La contrapposizione con il mainstream proposta dal filone critical è spesso
autodichiarata con toni strumentalmente enfatici per rimarcare un maggiore potenziale
esplicativo di quest’ultimo, a fronte delle difficoltà del primo (Stacey, 2000). Peraltro la
schematizzazione che vede nel filone mainstream una esclusiva tendenza alla
normatività e alla prescrittività può finire con lo schiacciare un dibattito molto aperto
anche su quel versante, evidentemente tutt’altro che omogeneo e coeso.
Gli studi mainstream sul project management nei processi di cambiamento
organizzativo hanno ad esempio via via adottato metodologie di stampo interpretativista
e rivalutato la dimensione culturale e l'esigenza di innovazione, determinando uno
spostamento del focus di analisi da una logica più marcatamente hard centrata sulla
pianificazione e sulla ricerca di criteri formali di ottimizzazione, a favore di una visione
diversa più soft e maggiormente focalizzata sul coordinamento e sul ruolo rivestito dalle
risorse umane.
Tale evoluzione ha contribuito allo sviluppo di una visione interdisciplinare del concetto
di project management, fatta di pratiche che opportunamente integrate dovrebbero
consentire una efficiente gestione delle diverse fasi di attività, nel rispetto dei vincoli di
tempo, costo e qualità, prestando la giusta attenzione a temi quali il controllo del
rischio, all'efficacia della comunicazione.
Alcuni autori (Bresnen et al., 2003; Winter et al., 2006) hanno indagato l'effettiva
utilità della strumentazione tradizionalmente utilizzata per la gestione dei progetti e lo
sviluppo di percorsi di cambiamento. Nella loro visione, il focus si dovrebbe spostare
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dal problema della misurazione dei livelli di efficienza alla comprensione della natura
dei progetti come archetipo organizzativo.
Volendo studiare la relazione tra project management e cambiamento organizzativo il
nodo da affrontare risiede indubitabilmente nella comprensione degli effetti di maggiore
o minore burocratizzazione prodotta dall'introduzione di una logica di progetto (Clarke,
1999; Hobday, 2000; Hodgson, 2004; Lindkvist, 2006). Il maggiore problema è che
nonostante i punti di contatto tra le organizzazioni project based e le organizzazioni
adhocratiche, non è semplice definire esattamente la relazione tra PM e burocrazia.
Su questo in particolare si è soffermato il focus della prospettiva critical, che tende ad
esasperare i rischi di porre un'enfasi troppo marcata sugli aspetti razionalistici e sulla
intenzionalità dell'azione, evidenziando come in entrambi i casi si tratta di aspetti che
nei fatti non ricorrono nella realtà.
Seguendo l'opinione di Linehan e Kavanagh (in Winter et al. 2006), è possibile
distinguere due dimensioni ontologicamente differenti quando si passa a ragionare sulla
natura del progetto: being and becoming. I due autori non affermano che l'approccio
being sia sbagliato, ma che piuttosto è necessario includere anche l'altra prospettiva del
becoming, al fine di poter meglio comprendere e descrivere la realtà empirica dei
progetti. In particolare, quando si approfondisce lo studio degli effetti del PM sui
meccanismi di controllo è importante sottolineare la presenza dei due aspetti ora
richiamati. Infatti, Hodgson afferma (2004, p.88): “Project Management can be seen
[..] as a bureaucratic system of control based on the principles of visibility,
predictability and accountability. […]. At the same time, Project Management draws
upon the rhetoric of empowerment, autonomy and self-reliance central to postbureaucratic discourse”. Secondo questa visione, il project management rappresenta
una soluzione per integrare la natura burocratica del controllo con lo scambio di
conoscenza potenzialmente rinvenibile all'interno dei gruppi di lavoro.
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Gli effetti prodotti dal PM sui sistemi di controllo
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3.1 Gli effetti prodotti dal PM sui sistemi di controllo
Il tema del controllo è da tempo al centro del dibattito scientifico in quanto considerato
quale variabile essenziale per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi (Kirsch,
1996). Secondo Kirsch (1996), è possibile distinguere due categorie principali di
meccanismi di controllo:
formale (basato sull’osservazione del comportamento e/o la verifica dei risultati) e
informale (clan e self-control).
I meccanismi di controllo formali sono direttamente correlati alla possibilità di gestire
informazioni. In particolare, quelli collegati alla dimensione comportamentale sono
basati sul controllo dei processi di trasformazione, dove la variabile chiave è la
conoscenza. Ouchi (1979) afferma che solo quando si ha una perfetta conoscenza del
processo, è possibile implementare questa tipologia di meccanismi. I sistemi di
controllo basati sul risultato sono, invece, collegati alla possibilità di misurare i risultati
dell’organizzazione.
Lindkvist et al. (1998:40) sostengono che la frequente adozione di “tests and other
similar forms of formal control mechanisms can create a sense of shared responsibility
for vital sub-parts of the system and encouraged interfunctional dialogue and
compromise”.
Esiste una relazione diretta tra il grado di formalizzazione e di standardizzazione e la
possibilità di adottare sistemi di controllo formali (Walton, 2005).
I meccanismi informali si basano sull’adozione di norme sociali e valori culturali. Ouchi
(1979) identifica il concetto di clan come meccanismo sociale atto a controllare i
membri dell’organizzazione. E’ evidente che, seguendo questa ipotesi, i valori comuni
giocano il ruolo principale, producendo una sorta di isomorfismo nel comportamento
dei membri.
L’ultima tipologia definita come self control (Kirsch, 1996) rimanda all’idea di selfmanagement: ciascun membro dell’organizzazione definisce in modo autonomo il
proprio comportamento, i propri obiettivi, monitora il proprio lavoro e, se necessario, si
premia o si sanziona (Kirsch, 1996).
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La concettualizzazione del controllo manageriale all’interno della gestione dei progetti
può essere realizzata enfatizzando aspetti differenti, dalla standardizzazione del
comportamento (procedure, regole formali) alla cultura organizzativa e all’identità
individuale. Generalmente, nella retorica manageriale, maggiore enfasi è data al disegno
ed all’implementazione di meccanismi di controllo burocratici ed impersonali, in cui
l’elemento culturale è meno evidente (Alvesson, Wilmott, 2002). La cultura e l’identità
sono tipicamente considerati dagli accademici come un modo per “liberare” gli
individui dal controllo centralizzato e burocratico (Ezzamel, Wilmott, 1998).
All’interno degli studi sul project management, seguendo l’idea di controllo formulata
da Clegg e Courpasson (2004), è possibile identificare tre tipologie:
Reputazionale;
Calculative;
Professionale.
Il primo è costituito da due differenti componenti: il primo di tipo gerarchico e il
secondo “alla pari”. Il controllo reputazionale utilizza l’alta reputazione dei membri per
mantenere determinate posizioni e marginalizzare le altre con bassa reputazione, è
normalmente utilizzato in grandi network, dove non sono condivisi valori e principi
comuni.
La categoria dei meccanismi di controllo “calculative” include sistemi di accounting che
sono introdotti per misurare la performance degli individui all’interno del gruppo di
progetto. Questi meccanismi, in quanto collegati alle prestazioni, possono essere
focalizzati sia sul comportamento sia sui risultati (Kirsch, 1996).
In alcuni casi possono essere gestiti da persone esterne al project team, impattando sia
sui processi di apprendimento, sia su dinamiche interne. Clegg e Courpasson (2004)
scrivono: “In project management the aim of external calculative control over the
project is to ‘gain enough known-how to reduce the impact of a potential surprise’
(Landau and Stout, 1979)”.
Se si utilizza la prospettiva calculative è possibile guardare al project management,
come ad uno strumento per tenere sotto controllo i costi nel rispetto degli obiettivi di
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qualità e tempo. Come sostenuto da Clegg e Courpasson (2004): “Control procedures
are pervasively and powerfully embedded into the regular and efficient reporting of
actions and decisions made. Reporting is essential to the project objectives and is
considered by the governing bodies an indication of the successful operation of the
project”.
Secondo Arnaboldi et al. (2004), i meccanismi di controllo formale sono necessari al
fine di incrementare l’efficacia del progetto. Arnaboldi et al. (2004: 221) affermano:
“Two further instruments helped in avoiding project failure: continuous communication
and the definition of a management control system. Both formal and informal
communications, such as official reports and frequent meetings, allowed the circulation
of information at all levels, informing constantly on the results of the project. The
defined measurable indicators was fundamental: particularly for convincing the steering
committee and maintaining the needed commitment.”
La natura dei meccanismi di controllo professionale può essere spiegata considerando il
fatto che il funzionamento di un gruppo di progetto implica l’introduzione di una
supervisione professionale reticolare (Clegg e Courpasson, 2004). A prescindere dal
controllo esercitato dal team leader sui singoli componenti, è evidente che ciascun
membro del gruppo esercita una sorta di sorveglianza sugli altri.
E’ possibile sostenere che all’aumentare della longevità del gruppo, dell’intensità della
conoscenza condivisa, della fiducia reciproca, aumenta l’efficacia dei meccanismi di
controllo di tipo professionale. Questa affermazione è coerente con il pensiero di Rico
et al (2008).
Inoltre, il controllo professionale può essere considerato uno strumento di supervisione,
i project leader (ma anche ciascun membro del gruppo) può influenzare il
comportamento degli altri membri verso una direzione desiderata.
La comprensione dei meccanismi di controllo all’interno del project managament può
essere migliorata introducendo ed approfondendo la nozione di project team. Seguendo
questa prospettiva di analisi è possibile fare riferimento ad una distinzione nota in
letteratura manageriale tra Collectivity of Practice (CiP) e Community of Practice (CoP)
(Lindkvist, 2005; Bragd, 2003).
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Secondo Lindkvist (2005) le CiP sono generalmente formate da individui che non si
sono mai incontrati, che sono spinti ad iniziare un rapido processo di socializzazione in
un tempo limitato, e che sono responsabili di attività specifiche all’interno del progetto.
Le CiP rappresentano una modalità di coordinamento utilizzata da specialisti funzionali
che sono proiettati verso la realizzazione del loro compito e sono collegati l’uno l’altro
da relazioni d’interdipendenza. La natura occasionale degli incontri tra i partecipanti
enfatizza l’idea di una forma di collettività di pratica che non tende a creare sistemi
condivisi di interpretazione della realtà, ma risponde a bisogni di integrazione.
Da un punto di vista strettamente operazionale, è opportuno che le CiP lavorino sulla
base di un piano realistico accettato dai partecipanti e cronologicamente definito nelle
sue varie fasi e nei ruoli di ciascun membro.
Un ulteriore tema è il sistema di regole che definisce il funzionamento delle CiP in
relazione agli obiettivi del progetto e alla circolazione di informazioni, ai meccanismi di
comunicazione e ai tempi di realizzazione. Le procedure previste all’interno del gruppo
di progetto potrebbe riferirsi alle regole interne già utilizzate all’interno delle
organizzazioni, e potrebbero essere codificate in documenti relativi al progetto (De Nito
et al.).
Invece, le caratteristiche essenziali di una CoP sono rappresentate dall’importanza delle
componenti relazionali. Le CoP sono basate su strutture sociali semi-formali, o
completamente informali e su meccanismi sociali di condivisione della conoscenza
(Bragd, 2003).
In questi contesti, i membri delle CoP partecipano alla costruzione di una identità
condivisa e di un costrutto sociale che rinforza il processo di identificazione (Chanal,
2000).
Un secondo elemento da evidenziare concerne le variabili strutturali relative alla
costruzione del gruppo di progetto. In particolare si fa riferimento al fatto che i membri
sono selezionati prima di tutto in funzione di una esperienza comune vissuta con i
colleghi che già conoscono da anni e con i quali hanno già collaborato in casi
precedenti.
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L’idea di CoP si collega al concetto di thinkering (Bragd, 2003; Ciborra, 1994) che
riconosce un’importanza predominante alla pratica quale strumento di apprendimento.
Bragd (2003) afferma: “Tinkering is looking for a local fit, intuitively, between the
questions asked and received. Studying a problem, an idea, hearing something during
lunch, or listening to someone in a meeting, the project team … [tinkers]…with the
possible solutions”.
Il concetto di tinkering si riferisce ad una dimensione dinamica del processo di
interpretazione della realtà portato avanti dai membri del gruppo, che in modo continuo
ridefiniscono l’insieme delle regole di comportamento e i propri parametri di
valutazione sulla base delle esperienze accumulate, dando vita ad un continuo processo
di re-interpretazione. In questo senso, si esprime una dimensione collettiva che è
possibile ritrovare nell’idea di mixed practice zone, che Bragd (2003) definisce come
spazio organizzativo all’interno del quale i partecipanti discutono, negoziano e
condividono esperienze ricostruendo significati in linea con gli obiettivi del progetto.
L’interpretazione duale del project team può essere collegata alla natura dei meccanismi
di controllo così come definita da Clegg e Courpasson (2004).
Nelle CiP, infatti, la debolezza della dimensione relazionale impatta direttamente sui
bisogni di formalizzazione e standardizzazione di regole e procedure al fine di
controllare il comportamento dei partecipanti. La rilevanza dei meccanismi di controllo
di tipo calculative è strettamente correlata all’opportunità di sfruttare l’accountability
degli individui e di sviluppare azioni di monitoraggio.
Nelle CoP la presenza di relazioni di scambio tra gli individui favorisce la creazione di
un modo comune di fare lezione e di esprimersi.
Ciò implica che all’interno delle CoP, i meccanismi di controllo di tipo professionale
sono molto più rilevanti perché ciascuno conosce gli altri membri del gruppo ed è in
grado di valutarlo in termini di competenze e di effettiva partecipazione (Wenger,
1998). In questo senso, meccanismi di coordinamento di tipo implicito (?) diventano
essenziali per spiegare le dinamiche interne al gruppo. Il funzionamento delle CoP è
coerente con la creazione di una supervisione professionale collettiva/reticolare.
Secondo Cohen e Sims (2007), l’idea del meccanismo di controllo professionale può
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essere collegata al concetto di clan (Ouchi, 1979). Come sostiene Kirsch: “to implement
clan control, the organizational group cultivates common values, philosophy and
approaches to problem solving within the clan” (1996: 3).
Considerando la terza categoria di meccanismi di controllo, sia all’interno delle CiP sia
delle CoP è importante sottolineare il ruolo potenziale dei meccanismi reputazionali.
Seguendo questa prospettiva, l’elemento più importante da considerare è legato alla
fonte della reputazione nelle due differenti situazioni. Nelle CiP il ruolo della gerarchia
sembra essere molto rilevante, mentre, al contrario, nelle CoP la competenza potrebbe
essere la base della reputazione individuale.
Metodologia
La ricerca empirica si basa su un singolo caso studio, in quanto questo approccio
sembra coerente con la volontà di approfondire in profondità la comprensione del
fenomeno oggetto di studio, e in generale è preferibile nelle situazione di cambiamento,
o quando si presentano situazioni particolari (Yin, 1981, 1984).
Per investigare le relazioni tra PM e meccanismi di controllo all’interno della PA scelta
si è deciso di adottare il metodo dell’osservazione diretta.
Era necessario, infatti, andare oltre la semplice descrizione delle procedure, degli
artefatti, delle regole e dei comportamenti che si rilevano tramirte delle interviste.
Inoltre era essenziale provare a neutralizzare gli effetti prodotti dalla pratica
manageriale.
Uno degli autori ha così partecipato allo sviluppo di un progetto POR Campania come
membro formalmente designato. Questo ha implicato una costante partecipazione agl
incontri che saranno descritti nella sezione dedicata all’approfondimento del caso.
4. Caso di studio. Il Progetto POR Campania
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4.1 Note introduttive sul POR Campania
Le regioni in ritardo di sviluppo sono sostenute finanziariamente dall’Unione Europea
attraverso ingenti risorse gestite a livello locale. Negli ultimi decenni la Commissione
Europea ha contribuito attivamente allo sviluppo delle aree del Mezzogiorno di Italia
finanziando i Programmi Operativi Regionali per le regioni dell’Obiettivo 1 tra cui vi è
anche la Regione Campania.
La Campania mostra tassi di sviluppo che si colloca in generale al di sotto dei valori
medi europei: la crisi dell’industria pesante, non contrastata da nuovi investimenti, ha
determinato una crescita del tasso di disoccupazione superiore alla media del
Mezzogiorno pari al 25% nel 1999; il settore dell’edilizia ha sofferto un serio declino a
seguito della fine dei finanziamenti speciali destinati alla ricostruzione e alla
stagnazione degli investimenti pubblici; il settore pubblico continua ad avere un impatto
molto rilevante sulla struttura produttiva di questa regione; la produttività del settore
agricolo è stata in declino negli anni novanta, in contrasto con le tendenze di altre aree
del mezzogiorno e del territorio nazionale.
Il POR stabilisce le priorità di intervento nell’utilizzo delle risorse comunitarie
attraverso un complesso processo di negoziazione tra la Regione e la Commissione
Europea, alla fine del quale le risorse economiche vengono anticipate in vista di
periodici momenti di controllo e con la condizione di una loro restituzione nel caso in
cui essi non siano spesi nei tempi e nei modi fissati dal correlato piano finanziario.
Il POR è un programma multi-progetto, articolato in aree di intervento definite “Assi“
(per esempio Risorse naturali, Società della conoscenza, ecc.). articolati al loro interno
in “Misure”. Una Misura è un insieme omogeneo di progetti supportati da un
ammontare definito e autonomo di risorse finanziarie.
Le risorse stanziate come supporto agli investimenti nel settore agricolo in Regione
Campania per il periodo 2000-2006 (che si conclude con la rendicontazione nel 2008)
ammontano a 3.825 Bilioni di Euro, rispetto ad un budget complessivo del POR
Campania pari a 9.216 bilioni di Euro.
4.2 Il Progetto
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In questa sede si intende analizzare il modello di implementazione del POR Campania
2000-2006 nell’unità divisionale “Area di Coordinamento Agricoltura”, che impiega
circa 1.300 dipendenti.1 Nella struttura organizzativa dell’Area, al primo livello sono
rinvenibili 22 unità divisionali definite “Settore”: ognuna di esse è focalizzata su una
specifica area di interesse (per esempio, Infrastrutture per l’agricoltura, Turismo
agricolo, Foreste, ecc.). In questa sede si propone l’analisi di uno specifico Settore
denominato “Interventi sul territorio” che è responsabile dello sviluppo delle
infrastrutture di supporto all’agricoltura e allo sviluppo rurale (l’unità analizzata
gestisce, ad esempio, la costruzione di nuove strade e di sistemi idi irrigazione che sono
cruciali in queste aree, data la rilevanza della produzione agricola).
Dal 2000 la gestione del POR è regolata da un set di regole fissate dall’Unione Europea
che ha imposto un radicale processo di cambiamento nelle unità regionali destinatarie
dei finanziamenti europei e responsabili della loro gestione.
I principali cambiamenti indotti dall’applicazione delle suddette regole negli uffici della
Giunta Regionale della Campania sono stati:
l’introduzione della figura di Responsabile di Misura;
la separazione tra il ruolo dell’istruttore tecnico e di referente amministrativo nella
gestione di ogni singolo progetto;
la creazione di una procedura ad hoc di controllo per la certificazione della regolarità
delle spese e del grado di avanzamento degli investimenti;
la creazione di un sistema di controllo strategico finalizzato a verificare il
conseguimento dei macro-obiettivi fissati dal Programma;
la definizione di meccanismi di coordinamento delle attività di programmazione e
controllo come un sistema informativo dedicato (SIM) e una conferenza (definita
COSAM) dei soggetti che implementano ogni singolo progetto di investimento
(Misura).
Ogni progetto di investimento è articolato in tre fasi:
1.Analisi del progetto, valutazione tecnica e allocazione delle risorse;
2.Gestione amministrativa e controllo in itinere e finale;
3.Certificazione della regolarità delle spese.
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Le Misure che rientrano nelle competenze dell’Unità Interventi sul territorio sono state
assegnate a 7 manager (Responsabili di Misura) autonomi nella gestione degli interventi
cofinanziati ma che, contemporaneamente, sono sottoposti gerarchicamente ai Manager
delle 20 unità divisionali (Settori) in cui si articola l’Area di Coordinamento.
La nostra unità di analisi, il Settore Interventi sul territorio, come le altre, mostra una
struttura funzionale.
Per sviluppare le attività di progetto, il Manager di Misura è supportato da un Team di
misura composto da 6 persone che gestiscono le attività generali di amministrazione dei
progetti.
L’Analisi tecnica che precede l’allocazione delle risorse è svolta da un gruppo di staff
interno gestito direttamente dal Manager di Misura o da consulenti esterni incaricati ad
hoc per i singoli progetti, ma che tuttavia collaborano in modo ricorrente con il
Responsabile della Misura durante l’intero ciclo di vita del programma.
In merito alla gestione della fase amministrativa dei progetti e al controllo dei risultati,
si è assistito ad un importante cambiamento nel corso degli anni. In una prima fase la
separazione tra Unità Tecnica e Unità Amministrativa era solo formale, poiché il MM
gestiva, in sostanza, direttamente entrambe le fasi. Nella seconda fase subentra, invece,
una forma di controllo reciproco sulla regolarità delle azioni e sulla capacità di rispetto
dei tempi fissati dal programma. Tale controllo deriva dalle regole formali imposte
dall’Unione Europea per l’utilizzo dei Fondi Strutturali e dagli elementi qualitativi e
quantitativi di monitoraggio definiti dal Responsabile di Misura in accordo con il
Responsabile del Programma in fase di programmazione.
L’abilità di conseguire gli obiettivi fissati è verificata nel corso di incontri di
coordinamento trimestrali (definiti COSAM per un acronimo italiano).
Attraverso l’osservazione partecipata svolta durante l’intero ciclo di vita del progetto,
focalizzata specificamente sui cambiamenti organizzativi occorsi nella struttura
complessiva dell’Area, è possibile descrivere nel seguito i principali risultati del
funzionamento del POR Agricoltura nel periodo 2000-2008.
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L’introduzione della logica del Project Management
L’avvio del Programma POR nell’Area Agricoltura ha determinato lo sviluppo di una
logica di azione riconducibile a quella del Project Management in una struttura che è
caratterizzata da un modello organizzativo fortemente orientato ai canoni delel
organizzazioni funzionali e burocratiche.
Dal punto di vista formale, il POR è caratterizzato di per sè, infatti, da una chiara
definizione degli obiettivi: per ogni specifica tipologia di intervento esiste una set di
risultati tecnici ed economici da raggiungere.
Il Responsabile di Misura è un vero e proprio capo progetto in quanto è un
formalmente responsabile di tutti gli aspetti relativi alla gestione degli interventi inclusi
in una stessa misura e provvede al reporting periodico sui risultati raggiunti al
Responsabile del Programma.
Ogni Misura è realizzata con il supporto di un Team di Misura.
Il progetto POR Agricoltura è stata supportato dall’introduzione di tipici strumenti di
PM, come i sistemi di misurazione e controllo finalizzati al monitoraggio e alla
rendicontazione di ogni misura.
Anche i sistemi di gestione delle risorse umane sono stati modificati per rinforzare
l’attenzione del management sul Programma. Più in generale, i sistemi gestionali
utilizzati per supportare i manager di line (che hanno una responsabilità più ampia della
sola gestione del POR) hanno adottato la regola di considerare con particolare enfasi le
attività incluse nel POR sino a giungere ad una chiara convergenza di alcuni di essi, ad
esempio, i sistemi di valutazione delle performance dei dirigenti e della produttività dei
collaboratori, verso le dinamiche e gli obiettivi del Programma.
Il ruolo del Project manager
Le circostanze contingenti di sotto-dimensionamento del personale dell’Area e di forte
ritardo nell’adeguamento della legge di organizzazione degli Uffici alle più moderne
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esigenze gestionali dell’Ente, hanno creato una discrasia tra la logica di funzionamento
del POR adottata a partire dal 2000 e la logica organizzativa formale vigente nell’intera
Area di Coordinamento. In particolare, alcuni contrasti più evidenti sono emersi nella
definizione del ruolo di Responsabile di Misura (RM).
Ogni RM è, infatti, responsabile dei risultati raggiunti in termini idi spesa, ma non è
anche gerarchicamente sovra-ordianto alle risorse che compongono il suo gruppo di
progetto. Nello specifico caso del Settore indagati il RM è subordinato alle persone che
egli supervisiona, ed ha forti problemi nel rimarcare la sua autonomia nella gestione
degli investimenti cofinanziati dall’Unione Europea.
Il RM è, in effetti, responsabile di obiettivi che non ha negoziato con il Responsabile del
Programma e per i quali egli non può controllare o scegliere le risorse umane necessarie
per la loro implementazione; talvolta il RM non è addirittura in grado di controllare
direttamente gli strumenti più direttamente collegati al monitoraggio del programma
(come accade, ad esempio, nel caso del sistema informativo dedicato al POR e gestito
da un’unità specializzata, verso il quale il RM è un destinatario finale senza nessun
potere di accesso e controllo).
Il RM è evoluto dunque nel tempo verso una figura di coordinatore “debole” delle
attività di progetto che formalmente egli gestisce in collaborazione con il manager
d’Area.
Il Project Team
Nell’ambito delle fasi tipiche di ogni progetto di investimento, è previsto che il RM
coordini un Project Team.
Tuttavia, la definizione di mansioni specializzate all’interno del gruppo, che è stata
rilevata nel corso del programma non risponde ai principi di PM come sembrerebbe;
essa piuttosto è un intervento di organizzazione del lavoro finalizzato gestire, in un
ottica di “controllo del clima organizzativo”, incentivi economici che possono essere
concessi solo sulla base della partecipazione formale alle attività di progetto. Queste
persone si occupano essenzialmente delle attività generali di supporto alla Misura,
mentre le reali attività tecniche sono gestite dal RM e quelle amministrative in una
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prima fase sono state gestite dal RM e attualmente sono gestite da un’unità
specializzata.
Solo in alcune misure RM interagisce con le risorse che operano nel suo team molto
spesso solo a tempo parziale.
Ciò determina che non è possibile individuare nel team formale di misura un vero
gruppo di gestione del progetto.
Meccanismi di coordinamento e controllo nel POR
La formalizzazione del ruolo di RM e la strutturazione di meccanismi di coordinamento
e controllo ad hoc ha anticipato la creazione, dopo i primi due anni gestione del
Programma, di un vero gruppo di progetto, definito COSAM, che può essere
identificato come una collettività di pratica secondo l’impostazione adottata nella prima
parte di questo lavoro.
La COSAM è un gruppo costituito da persone con competenze tecniche omogenee
(RM), che esercitano ruoli differenti, che hanno obiettivi autonomi, ma che devono
anche operare insieme per raggiungere gli obiettivi dell’intero programma POR.
Dati gli alti livelli di specializzazione delle mansioni e di standardizzazione delle
attività di progetto, nella COSAM i RM possono periodicamente presentare i risultati di
spesa raggiunti in ogni Misura, analizzare i gap rispetto alle previsioni iniziali e definire
le azioni per correggere tali scarti.
Nel tempo, la COSAM si è trasformata in un momento organizzativo in cui i RM usano
incontrarsi e discutere le iniziative comuni da negoziare con il Manager del POR, allo
scopo di proteggersi dai continui tentativi di incremento della standardizzazione delle
attività e di rinforzo dei meccanismi di controllo intrapresi dal Responsabile del
Programma per accrescere il sua capacità di intervento sulle singole Misure.
Considerazioni finali
Alla luce delle precedenti informazioni fornite, possiamo evidenziare alcuni risultati
della ricerca.
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In primo luogo, la logica della programmazione e della misurazione delle attività
nell’Area Agricoltura deriva dall’adozione e dallo sviluppo di alcuni tipici strumenti di
PM. Il POR ha costituito, infatti, l’occasione per introdurre in un modello organizzativo
fortemente burocratico nuove routine ispirate ai principi del PM quali la chiara
definizione degli obiettivi di lavoro, la specificazione formale dei ruoli e delle
responsabilità gestionali, il controllo formale periodico basato su indicatori quantitativi
e qualitativi predefiniti e il suo collegamento alle politiche della valutazione delle
prestazioni e dell’incentivazione delle risorse umane.
L’implementazione del PM, tuttavia, ha mostrato alcuni problemi proprio in riferimento
ad alcuni canoni organizzativi propri del PM .
A fronte dell’incremento del livello di formalizzazione degli obiettivi e degli strumenti
di programmazione e di controllo, cui potevano corrispondere maggiori gradi di
autonomia operativa per il RM ed il suo team, si è assistito, invece, ad un incremento
del livello di standardizzazione e di formalizzazione delle attività interne al gruppo
formale di progetto e ad un più alto livello di specializzazione delle mansioni (con
riferimento alle mansioni tecniche, amministrative e di supporto). In queste condizioni il
successo di ogni RM e dell’intero Programma POR è dipeso dallo sviluppo di nuove e
maggiori competenze di coordinamento e di controllo di tipo “calculative” (Clegg and
Courpasson, 2004) che può essere ricondotte all’utilizzo della COSAM.
In effetti, la COSAM rappresenta la creazione di una collettività di pratica in cui sono
presenti meccanismi di controllo formali focalizzati sul monitoraggio dei risultati
raggiunti e sull’analisi collettiva delle cause di successo e di fallimento dei progetti.
Nel gruppo COSAM è possibile evidenziare, tuttavia, anche elementi di controllo
informale di tipo “reputazionale”. Il comportamento dei membri del gruppo è apparso,
infatti, auto-regolato e ispirato a schemi e valori che erano emersi dall’esperienza
comune di lavoro.
Spesso, infine, nel caso del RM che possono appartenere a diversi livelli gerarchici, la
fonte del controllo non è la gerarchia in sé, ma la differenza di risorse finanziarie che
essi possono gestire, che a sua volta dipende dalla distribuzione delle risorse effettuata
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dal Responsabile del POR e dal successo che ogni RM consegue nella gestione del suo
insieme di interventi.
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