Post/teca 05.2012

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Post/teca 05.2012
Post/teca
materiali digitali
a cura di sergio failla
05.2012
ZeroBook 2012
Post/teca
materiali digitali
Di post in post, tutta la vita è un post? Tra il dire e il fare c'è di
mezzo un post? Meglio un post oggi che niente domani? E un post
è davvero un apostrofo rosa tra le parole “hai rotto er cazzo”?
Questi e altri quesiti potrebbero sorgere leggendo questa antologia
di brani tratti dal web, a esclusivo uso e consumo personale e
dunque senza nessunissima finalità se non quella di perder tempo
nel web. (Perché il web, Internet e il computer è solo questo: un
ennesimo modo per tutti noi di impiegare/ perdere/ investire/
godere/ sperperare tempo della nostra vita). In massima parte sono
brevi post, ogni tanto qualche articolo. Nel complesso dovrebbero
servire da documentazione, zibaldone, archivio digitale. Per cosa?
Beh, questo proprio non sta a me dirlo.
Buona parte del materiale qui raccolto è stato ribloggato anche su
girodivite.tumblr.com grazie al sistema di re-blog che è possibile
con il sistema di Tumblr. Altro materiale qui presente è invece
preso da altri siti web e pubblicazioni online e riflette gli interessi e
le curiosità (anche solo passeggeri e superficiali) del curatore.
Questo archivio esce diviso in mensilità. Per ogni “numero” si
conta di far uscire la versione solo di testi e quella fatta di testi e di
immagini. Quanto ai copyright, beh questa antologia non persegue
finalità commerciali, si è sempre cercato di preservare la “fonte” o
quantomeno la mediazione (“via”) di ogni singolo brano. Qualcuno
da qualche parte ha detto: importa certo da dove proviene una cosa,
ma più importante è fino a dove tu porti quella cosa. Buon uso a
tutt*
sergio
Questa antologia esce a cura della casa editrice ZeroBook. Per info: [email protected]
Per i materiali sottoposti a diversa licenza si prega rispettare i relativi diritti. Per il resto, questo libro esce sotto
Licenza Creative Commons 2,5 (libera distribuzione, divieto di modifica a scopi commerciali).
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a cura di Sergio Failla
ZeroBook 2012
Post/teca
20120502
ANGELO D’ORSI – Tutti pazzi per Gramsci
“The Gramscian Moment” è il titolo di un recente libro del britannico Peter Thomas vincitore del
Premio internazionale Sormani. E di autentico “momento gramsciano” si deve parlare, gettando lo
sguardo ben oltre le frontiere. Ma sarebbe un errore ritenere che questo momento sia cominciato tra
il 2011 e i primi mesi del 2012, quando un’autentica profluvie di libri, richiamati più o meno
correttamente dai media, si è abbattuta nelle librerie italiane, e l’alluvione continua.
La Gramsci-Renaissance data dal 2007, quando si celebrarono, in una misura e con una intensità
mai viste, i 70 anni dalla morte. Fu un anno eccezionale, con convegni che cominciarono in
Australia e percorsero il globo, toccando decine di Paesi. E, mentre cominciavano a uscire a stampa
i primi volumi dell’Edizione Nazionale degli Scritti, si presentava, anche grazie al lavoro
nell’ambito di quella impresa gigantesca, e a quello svolto per la Bibliografia Gramsciana
Ragionata (BGR) e per il Dizionario Gramsciano, una nuova generazione di studiosi, che a Gramsci
guardava con occhi freschi, non condizionata dai dibattiti del passato. Qualcuno disse: finalmente si
potrà semplicemente leggere Gramsci come “un classico”. Ma così non è e così in fondo non può
essere.
Antonio Gramsci fu e rimase un rivoluzionario e un comunista fino all’ultimo suo giorno – che
cadde esattamente 75 anni or sono, in una clinica romana dopo un decennio di detenzione e
patimenti inenarrabili – il 27 aprile 1937. Ma fu anche un pensatore, sicuramente il più profondo e
originale pensatore dell’Italia del Novecento; ma anche uno dei più stimolanti analisti del
“moderno”: storico e storiografo, filosofo e pedagogista, teorico della lingua e della letteratura,
scienziato politico. E, last but not least, uno scrittore impareggiabile, che nelle sue lettere ha toccato
altissimi vertici di umanità e di multiforme capacità letteraria.
Sono queste le ragioni della rinascita di attenzione a Gramsci, oggi uno degli autori italiani di ogni
epoca più tradotti e studiati nel mondo? Indubbiamente. Ma come testimoniano le polemiche
ricorrenti, scatenate da sedicenti nuove interpretazioni o pretese “rivelazioni”, non si discute solo in
merito al teorico e lo scrittore, ma sempre comunque sui connotati politici della sua opera teorica e
pratica: dei risultati che ebbe quando egli era un giovane giornalista del Partito socialista, o quando
divenne direttore del settimanale poi quotidiano L’Ordine Nuovo, colonna del Partito comunista,
fondatore de l’Unità, fino a quando giunse, dopo un’aspra battaglia interna, a prendere la guida del
Partito, poco prima dell’arresto nel novembre ’26. Di quei tempi fu la rottura con Togliatti, su cui
poi tanta speculazione si fece. Il dissenso nasceva dalla differente valutazione, positiva per Togliatti,
critica e preoccupata per Gramsci, delle lotte interne al Partito sovietico.
È la vicenda della lettera da Gramsci scritta per i compagni russi e affidata a Togliatti, che,
d’accordo con Bucharin non la consegnò, suscitando l’aspra reprimenda di Gramsci e una greve
risposta di Togliatti. Fu quello, dell’ottobre ’26, l’ultimo contatto fra i due, che non ebbero più
modo di parlarsi. Del resto mentre Gramsci cominciava il suo calvario, Togliatti vestì i panni di
dirigente dell’Internazionale Comunista, condividendone responsabilità, anche se non fu mai un
piatto esecutore degli ordini di Stalin, spesso anzi cercando di portare avanti una linea di riserva.
Ma certo fu completamente dentro quella storia, da cui Gramsci invece fu escluso. E non come
qualcuno ha scritto, scioccamente, perché “per sua fortuna” era in carcere, ma perché il suo
comunismo, su cui continuò a riflettere, era oggettivamente diverso. E lo era stato fin dal suo
affacciarsi alla Torino industriale, dove conobbe gli operai, “uomini di carne ed ossa”, quando mise
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l’accento sul fattore umano e quello culturale. E cominciò a elaborare un socialismo che ne tenesse
conto. Doveva essere un movimento di liberazione il socialismo, di uomini (e donne: la sua
attenzione all’altra metà del cielo fu costante), non sostituire un’oppressione ad un’altra.
Quel socialismo era umanistico, e tale rimase anche dopo la trasformazione in comunismo. Ma
l’umanesimo gli giungeva non solo dal contatto diretto con i proletari, ma dalla stessa attenzione
alla cultura. E anche quando, nei primi anni Venti, la bolscevizzazione toccò tanto il Pcd’I, quanto
lo stesso Gramsci, egli non perse lo zoccolo duro, umanistico e insieme critico, della propria
concezione di comunismo . Perciò, quando crollò il Muro, nel 1989, trascinando sotto le macerie la
quasi totalità della tradizione marxista, Gramsci non solo si salvò, ma ne emerse come un
trionfatore.
Era il portatore di un altro socialismo possibile. Sconfitto politicamente, in una determinata fase
storica, ma non filosoficamente ed eticamente. Dunque, il momento gramsciano, sia nel livello alto
degli studi, sia in quello basso, talora infimo, e persino volgare, di polemiche spicciole, e infondate,
magari ammantate di scientificità, non accenna a finire: perché dietro l’analista acuto e sofferto
della sconfitta della rivoluzione in Occidente, nella lunga meditazione carceraria, emerge il teorico
di un’altra rivoluzione possibile, magari attraverso gli strumenti culturali, capaci di sostituire al
dominio fondato sulla coercizione l’egemonia basata sul consenso. E il suo motto fondamentale
rimane pur sempre il primo dei tre che campeggiano sulla testata de L’Ordine Nuovo: “Istruitevi
perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.
Angelo d’Orsi – da il Fatto quotidiano
(27 aprile 2012)
fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/04/27/angelo-dorsi-tutti-pazziper-gramsci/
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La nuova rivoluzione urbana
Data di pubblicazione: 29.04.2012
Autore: Rivlin-Nadler, Max
Lunga intervista a David Harvey sui temi del suo ultimo libro Città Ribelli, di prossima pubblicazione in Italia.
Dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street. Salon, 29 aprile 2012
Titolo originale: Urban revolution is coming – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Dalla Parigi del 1871 alla Praga del 1968 al Cairo nel 2011, per finire con le vie di New York, le città sono da
lungo tempo il terreno di coltura dei movimenti radicali. Nel corso del tempo le proteste urbane nascono da una
infinità di spunti diversi, dalla disoccupazione alla fame, alla privatizzazione alla corruzione. Ma c’entra forse
anche la stessa geografia delle città? Una questione particolarmente accesa questa settimana, mentre il
movimento Occupy si prepara a una serie di grandi manifestazioni in tante città del paese per il Primo Maggio.
Il geografo e sociologo David Harvey, professore di antropologia al Graduate Center della City University di New
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York, uno dei venti studiosi in campo umanistico più citati di tutti i tempi, ha passato un’intera vita a studiare il
modo in cui si organizzano le città, e poi cosa vi accade. Il suo nuovo libro Rebel Cities: From the Right to the
City to the Urban Revolution, esamina in profondità gli effetti delle politiche finanziarie liberiste sulla vita urbana,
il paralizzante debito dei ceti medi e a basso reddito d’America, la devastazione dello spazio pubblico per tutti i
cittadini operata da uno sviluppo sfuggito al controllo.
A partire dalla domanda: Come organizziamo una città?Harvey esplora l’attuale crisi del credito e le sue radici
nella crescita urbana, e come questo processo abbia di fatto reso praticamente impossibile qualunque azione
politica nelle città per gli ultimi vent’anni. Harvey si propone come esponente di punta del movimento per il
“diritto alla città”, l’idea secondo la quale il cittadino deve poter intervenire sui modi in cui le città crescono e
sono strutturate. A partire dalla Comune di Parigi del 1871, quando la cittadinanza rovesciò l’aristocrazia
prendendo il potere, Harvey ricostruisce i modi in cui le città si sono riorganizzate, e come potrebbero farlo, per
diventare più inclusive e giuste. Abbiamo incontrato Harvey per parlare di Occupy Wall Street, della distruzione
operata da Bloomberg nelle trasformazioni di New York City, su come si possa ripensare la città più vicina a
come la vorremmo.
Lei parla del “diritto alla città” come di uno slogan vuoto. Cosa intende?
Il diritto alla città può rivendicarlo chiunque. Anche Bloomberg ha diritto alla città. Però ci sono varie fazioni, con
diverse capacità di esercitarlo. Quando parlo del diritto di ripensare la città più vicina a come la vorremmo, e a
cosa invece abbiamo visto qui a New York City negli ultimi 20-30 anni, si tratta di come la vorrebbero i ricchi.
Negli anni ’70 pesava molto la famiglia Rockefeller per esempio. Oggi c’è gente come Bloomberg, che
sostanzialmente trasforma la città nel modo che più si adatta a sé e ai propri affari. Ma la gran massa della
popolazione praticamente non conta nulla in tutto questo. In città c’è quasi un milione di persone che tenta di
farcela con diecimila dollari l’anno. E che influenza hanno sul modo in cui si trasforma la città? Nessuna.
Il mio interesse principale sulla questione del diritto alla città non è tanto di affermare che esista una specie di
diritto etico, ma qualcosa per cui lottare. Il diritto di chi? Per che tipo di città? Penso a quel milione di persone
con meno di diecimila dollari l’anno, che dovrebbero pesare almeno tanto quanto l’1% che sta al vertice. Lo
definisco unsignificante vuoto, perché ci deve essere qualcuno che arriva e dice, “È il mio diritto che conta, non
il tuo”. Comporta sempre un conflitto.
Dagli anni ’80 assistiamo in tutto il mondo all’ondata della privatizzazione di tutto quanto un tempo era pubblico
(scuole, ferrovie, acqua). Come ne è stato influenzato il movimento fra i ceti a basso reddito delle città?
In un modo che è una delle domande poste dal libro: Perché non abbiamo fatto nulla? Perché non c’è stato un
nostro’68? Perché non ci sono state più proteste, visto l’immenso accrescersi delle diseguaglianze in tante città
degli Usa, oltre che de resto del mondo? Oggi stimo cominciando a vederne alcune, di risposte, in Occupy Wall
Street, e anche altrove nel mondo segnali più vistosi. In Cile gli studenti occupano le università, come avevamo
visto negli anni ’60 contro le diseguaglianze di allora.
E non capisco in realtà perché non ce ne siano state di più, di proteste. Credo dipenda dall’incredibile potere del
denaro di condizionare gli apparati di repressione. E credo che ci troviamo in una situazione piuttosto
pericolosa, perché è possibile che qualunque forma di ribellione possa essere considerate alla stregua del
terrorismo, nella scia degli apparati post-11 settembre. Abbiamo visto in casi come la piazza Tahrir Square e
altri, con eco anche in Wisconsin l’anno scorso,segnali di resistenza che iniziano ad emergere. C’è qualche
parallelo con ciò che avvenne negli anni ‘30. Col crollo del mercato azionario del 1929, le vere proteste poi sono
iniziate verso il 1933, ed è emerso un movimento di massa. Potremmo essere ora in quella fase, dato che la
depressione, o recessione, chiamiamola come vogliamo, non è certo finita, continuano ad esserci tantissimi
disoccupati, gente che perde la casa, i diritti, e si comincia a capire che non si tratta di cosa di un momento. È
una situazione permanente. Quindi credo che vedremo più inquietudini di massa da ora in poi. Non è più come
nel 1987, quando dal crollo se ne è usciti nel giro di un paio d’anni. In questo paese non è più così.
C’è una differenza, fra lo scoppio di rabbia spontanea, priva di obiettivi politici, e la risposta più meditata che
vediamo nel movimento Occupy Wall Street. C’è un messaggio che vuole comunicare, che introduce
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programmaticamente la diseguaglianza sociale, credo che si farà molto. Almeno il Partito Democratico ne sta
discutendo, cosa che un anno fa non succedeva. Non se ne parlava proprio. Adesso invece sì, ed è una cosa
che filtra anche nella campagna di Obama, una inclusione di questi messaggi.
Perché è tanto importante la Comune di Parigi del 1871 per i movimenti di oggi?
Per due ragioni: la prima è che si tratta di una delle più grandi ribellioni della storia. E di per sé merita studio e
discussione. L’altra è che appartiene alle idee che stanno nel pantheon del pensiero di sinistra. Molto
interessante che sia Marx e Engels che Lenin o Trotsky tutti considerassero la Comune di Parigi come esempio
da cui imparare e in qualche misura seguire, come a Pietroburgo nel 1905 o anche nel corso della Rivoluzione
Russa successiva. Si tratta di porsi delle domande e imparare.
In che modo l’urbanizzazione liberista ha distrutto la città in quanto spazio pubblico abitabile, luogo di politica e
società?
Senza farci un’immagine romantica di ciò che la città era negli anni ’20 e ’30, si trattava senz’altro di una
concentrazione compatta di popolazione, governata da un apparato politico: potere concentrato ed efficace. Col
tempo ci siamo dispersi nella suburbanizzazione, abbiamo spalmato la città. Si è disperso anche sempre più
quello che si chiama “ghetto”, le zone a bassi reddito non sono più concentrate a sufficienza da potersi
organizzare in quanto tali. Salvo in alcune occasioni, per esempio a Los Angeles col caso di Rodney King.
Credo che la dispersione della città, la crescita per sobborghi, la costruzione delle gated communities,
frammenti la possibilità di un’esistenza politica con qualche coerenza, l’idea di un progetto politico comune. Ci
sono tante politiche del tipo Non nel Mio Cortile. Non si vuole abitare vicino a che appare diverso, non si
vogliono gli immigrati, da un punto di vista sociale cambiano le cose. Ho sempre ritenuto che il tipo di
soggettività costruito dal suburbio, dalla gated community, sia una soggettività frammentata in cui nessuno
coglie il totale come nella città, il tema complessivo dei processi a cui rivolgersi. Si pensa solo al proprio
segmento del tutto. Credo che obiettivo della politica sia di ricostruire un corpo di città sulle rovine del processo
di capitalizzazione.
Un termine ricorrente delle vicende Occupy Wall Street è la“precarietà” (i lavoratori autonomi o senza contratto
regolare). Perché è così importante per un movimento radicale?
Non mi piace troppo il termine “precario”. Da sempre chi lavora alla produzione e riproduzione della città
considera la propria situazione non sicura, c’è tanto lavoro temporaneo diverso da quello di fabbrica.
Storicamente la sinistra ha guardato al lavoratore della fabbrica coma base della sua politica nei momenti di
cambiamento. La stessa sinistra non ha mai pensato che fossero significativi anche coloro che producono e
riproducono la vita urbana. Qui entra in campo la Comune di Parigi, perché se osserviamo i suoi protagonisti,
non si tratta degli operai di fabbrica. Sono invece artigiani, e i tanti lavoratori precari della Parigi dell’epoca.
Oggi, con la scomparsa di tante fabbriche, non c’è più la massa di classe lavoratrice industriale che c’era negli
anni ’60 o ‘70. Allora la questione è: che base politica ha la sinistra? Io sostengo che si tratti appunto di chi
produce e riproduce la vita urbana. Molti di loro sono precari, si spostano spesso, difficili da organizzare, da
sindacalizzare, una popolazione che subisce un continuo ricambio, ma che possiede comunque un enorme
potenziale politico. Uso sempre l’esempio del movimento per i diritti dei migranti nel 2006. Furono tantissimi di
loro ad astenersi dal lavoro per una giornata, Los Angeles e Chicago restarono del tutto bloccate, dimostrando
questa gigantesca forza. Dovremmo pensare a questo segmento di popolazione. Il che non esclude il lavoro
organizzato, ma pensiamo che oggi nel settore privato (esclusa la pubblica amministrazione nel suo complesso)
siamo al 9% della popolazione. È enorme il lavoro precario. E se troviamo il modo per organizzarlo in qualche
modo, di dargli nuovi strumenti di espressione politica, credo sia possibile mobilitarlo con grandiosi risultati sulla
vita urbana e le sue relazioni, in città come New York, o Chicago o Los Angeles e tante altre.
Lei afferma che “La rivoluzione del nostri tempi deve essere urbana” Perché la sinistra è tanto refrattaria
all’idea?
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Credo faccia parte del dibattito sull’interpretazione della Comune di Parigi. Alcuni hanno sostenuto che si
trattava di un movimento sociale urbano, e quindi non di un movimento di classe. Un’interpretazione che risale
alla sinistra marxista, secondo la quale un movimento rivoluzionario può derivare solo /dagli operai delle
fabbriche. Beh, non è che se non ci sono più fabbriche non c’è più la rivoluzione. Sarebbe ridicolo.
Io ritengo che si debba guardare al fenomeno della classe urbana. Dopo tutto, è il capitalismo finanziario a
costruire oggi la città, coi suoi condomini e uffici. Se vogliamo resistere dobbiamo farlo con una lotta di classe,
contro questo potere. E sono molto serio nel porre la domanda: come si mobilita una intera città? Perché è nella
città che sta il futuro politico della sinistra.
Come è possibile trasformare lo spazio pubblico in qualcosa di più accessibile?
Vediamola in termini semplici: a New York di spazio pubblico ce n’è tanto, ma poco in cui si possa sviluppare
una attività collettiva. La democrazia ateniese aveva l’agorà. Ma a New York City dove potremmo andare a
cercare un agorà, dove si discute davvero. Ecco di cosa stavano parlando davvero le persone che si riunivano a
Zuccotti Park. Costruivano uno spazio per sviluppare dialogo politico. Dobbiamo prendere gli spazi pubblici, che
come si scopre pubblici non sono affatto, e trasformarli in un luogo politico, dove prendere decisioni, dove
stabilire se è davvero una buona idea costruire ancora, qualche nuovo gruppo di condomini. Attraversavo l’altro
giorno il parco a, Union Square, ad esempio, dove c’era dello spazio, ma ci hanno messo delle aiuole: i tulipani
hanno un loro luogo, e noi no. Oggi lo spazio pubblico è totalmente controllato dal potere politico, al punto che
non è più un bene comune.
Le scelte amministrative di Bloomberg sono state descritte come “Trasformare la città come faceva Moses ma
pensando sempre a Jane Jacobs”. [Robert Moses ricostruì spietatamente New York City per mezzo secolo,
spesso devastando quartieri per farci passare arterie veloci verso la periferia. Jane Jacobs, scrittrice e sua
principale oppositrice, contribuì a salvare il Greenwich Village da una di queste autostrade] Come è possibile
riconciliarli?
La città razionalista e modernizzatrice è stata qualcosa di spietato. L’amministrazione Bloomberg ha lanciato
forse più megaprogetti di Moses negli anni ‘60, ma cercando di riverniciarli di interesse pubblico, esteriormente
in stile Jane Jacobs. Mascherando la natura dei grandi progetti. C’è anche una patina ambientalista. Bloomberg
è, in parte in buona fede, amico dell’ambiente. Contentissimo se si realizzano trasformazioni verdi. Trasforma
tutte le strade per farle diventare spazi “amichevoli” per ciclisti: salvo che quei ciclisti poi non ci si radunino in
massa. Questo non gli piacerebbe affatto.
Crede che sia in crescita il movimento contro gli aspetti della città liberista?
La cosa che colpisce di più è che se guardiamo a una ipotetica carta mondiale di chi è contro alcuni aspetti di
ciò che fa il capitalismo, vediamo una massa di proteste enorme. Ma si tratta di una cosa molto frammentata.
Ad esempio, oggi parliamo del debito contratto dagli studenti. Domani potrebbe essere il turno dei pignoramenti,
o una protesta perché si chiudono ospedali, o su cosa succede nell’istruzione pubblica. La difficoltà è trovare un
modo per collegare il tutto. Ci sono dei tentativi, come The Right to the City Alliance, o Excluded Workers
Congress, ciò vuol dire che si riflette su come unirsi, ma siamo ancora alle fasi iniziali. Se funziona, avermo una
enorme massa di persone interessate a cambiare il sistema, sin dalle radici, perché oggi non risponde ai
bisogni e ai desideri di nessuno.
Occupy Wall Street appare come una convergenza su alcune delle cose di cui ci ha parlato, ma manca ancora
qualcuno in grado di unire. Perché la sinistra resiste così tanto all’idea di leadership, di gerarchia?
Credo che a sinistra ci sia sempre stato un problema, un feticismo dell’organizzazione, l’idea che basti a un
certo progetto un certo tipo di struttura. Ha funzionato nel progetto comunista, dove si è seguito il modello del
centralismo democratico, da cui non ci si allontanava. Aveva dei punti di forza, e altri di debolezza. Oggi
vediamo molte componenti della sinistra resistere a qualunque forma di gerarchia. Si ribadisce che tutto debba
restare orizzontale, democratico, aperto. Ma in realtà non lo è.
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Occupy Wall Street funziona come un’avanguardia [un partito politico alla testa di un movimento]. Dicono di no,
ma lo sono. Parlano del 99% ma non sono il 99%: si rivolgono al 99%. Ci deve essere molta più flessibilità a
sinistra nel costruire vari tipi di organizzazione. Mi ha molto colpito il modello usato a El Alto in Bolivia, in cui si
mescolavano strutture orizzontali e verticali, a costruire una forte organizzazione politica. Credo che sia meglio
allontanarsi al più presto da certe forme di discussione. Quelle in voga oggi andranno benissimo per piccoli
gruppi, che si riuniscono in assemblea. Ma non si può certo riunire in assemblea tutta la popolazione di New
York City. E poi pensare alle strutture regionali ecc.. In realtà Occupy Wall Street un comitato di coordinamento
ce l’ha. Ma esitano a prendere la testa dell’organizzazione.
Credo che per riuscire i movimenti debbano mescolare struttura orizzontale e verticale e gerarchia. Quella
migliore l’ho vista negli studenti cileni, con una giovane comunista [Camila Vallejo], molto aperta alla struttura
orizzontale anziché al comitato centrale che decide le cose. Però quando ci vuole la leadership la si deve usare.
Iniziando a ragionare in questi termini avremo una sinistra più flessibile ma organizzata. Dentro a Occupy ci
sono gruppi che cercano di trascinare gente del Partito Democratico a sostenere i propri temi, minacciando di
candidarsi al loro posto se non lo fanno. Non è la maggioranza, a fare queste cose, ma esistono.
Alla fine del libro non si hanno molte risposte, ma si indica la necessità di aprire un dialogo per uscire da vistose
diseguaglianze e dalle continue crisi del capitalismo. Vede segnali del genere in Occupy?
È possibile. Se il movimento sindacale si sposta verso forme di organizzazione più territoriali, non solo basate
sui luoghi di lavoro, allora l’alleanza coi movimenti sociali urbani sarà molto più forte. La cosa interessante è che
questo genere di collaborazioni ha una storia di successi. Credo sia possibile piantare un seme, e innescare
una grande trasformazione. Se Occupy Wall Street vede questa possibilità si aprono molte prospettive. Il mio
libro è anche la base per esaminare queste possibilità, non ne va esclusa nessuna perché non sappiamo quale
sia la migliore. Però esiste un enorme spazio per l’attività politica.
Nota: a rafforzare le riflessioni di David Harvey arriva, se necessario, anche il contributo di tanta stampa per
nulla di sinistra o che si ponga davvero il problema di una alternativa al modello liberista, quando si nota una
costante di tutti i più recenti movimenti progressisti e democratici. Ad esempio l'economista Edward Glaeser che
ancora all'inizio del 2011 sul New York Times osservava la natura delCrogiolo rivoluzionario urbano (il link è alla
traduzione su Mall))
fonte: http://www.eddyburg.it/article/articleview/18932/0/131/
-------------------------yomersapiens:
Le battaglie di un giovane ottantenne.
Conduco una serie di battaglie inutili, mi porto avanti per quando sarò un vecchio bavoso troppo
annoiato dai cantieri. Ecco le mie preferite:
- Quando vedo passare un tizio sopra ad un Segway, non importa quello che sto facendo, mi alzo in
piedi, lo indico e con la bocca spalancata urlo: “Oddio!!! Ma quello è in sella al futuro!!! Stiamo
vedendo il futuro con i nostri occhi!!! Wooow…”. In genere, sorridono all’inizio, poi gonfiano il
petto, guardano avanti, infine si rendono conto di essere sfottuti e sfrecciano via, alla favolosa
velocità di 8kmh.
- Al supermercato dietro casa c’è un giovane cassiere che fa sempre il figo con le vecchiette e gli
conta le monetine dal portafoglio, quando lo becco, pretendo che mi riservi lo stesso trattamento.
Vado da lui con i centesimi in mano e aspetto che li prenda da solo, se riesco gli struscio anche
leggermente il pollice addosso. Con me non sorride tanto.
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- A lavoro, da un po’ di tempo, ho iniziato a firmare le comunicazioni di servizio che mi stanno sulle
palle solo con la sinistra, e non sono mancino.
- Quando mi supera un anziano in sella alla sua bici elettrica lo guardo e gli dico: “ai miei tempi si
usavano le gambe, pirata della strada.”
- Quando le mail di lavoro diventano lunghissime perché dall’altra parte mi rispondono senza
pensarci su più di tanto, facendo diventare le risposte dei veri e propri papiri che conservano ogni
cosa detta, mi piace correggere delle parole a caso nelle vecchie mail quando è il mio turno. Così, se
dovessero rileggerle, cancellerebbero tutto vergognandosi di aver fatto tali errori o aver scritto
parole così promiscue.
----------------ilfascinodelvago:
“Ogni volta che ti penso mi tocco.
Non sei figa, porti merda!”
— Cit
----------
Image
On ne sait pas comment les événements vont se dérouler. On peut se sentir seul puis envahi. On ne
peut pas se mentir. Les solitudes ont des sollicitudes dans leurs manières tiraillées entre les ombres
et les lumières électriques. Dans cette emprise précise de l’involontaire. En italique. Les ailes ont
comme les lèvres des pluviers un second souffle tangentiel avant de se transmuer en lambeaux
d’amertume sur les bancs de poussières blanches. A contre-courant. De Meskala au Port-desBarques. La propension du développement pourrait s’étirer à l’infini que nous n’aurions pas la
promptitude de nous apercevoir le rapport sur le vide. Vous serez sans pertinence pourquoi vous
vivez ou ne vivez plus tout à fait. Le déroulement des illusions, ainsi l’enivrement pour que les
collines défaillent sous tes chevilles. Musique bleue du ciel, le pouvoir de l’impossibilité retire son
rideau d’un écran pour que je puisse comprendre le comble fait autour de cette saturation. Stridente.
Le rapport mouvant aux choses jusqu’aux destinations interdites. Longtemps. Rien n’est empêché.
Le visage est absent. Les voix sont ailleurs. L’effet est d’être vide. Il n’y a plus de siècle qu’un
resserrement autour de la gorge. L’odeur est un fleuve. L’effet est d’être sans lieu. Dix sept lignes
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Post/teca
suffisent.
ற ouvemenʨ d’un ciℓ [edit./ exibit. projects
Fonte: Flickr / strombe
-------------gravitazero:
“Ai gatti neri porta sfortuna essere attraversati da un’auto.”
— @rossbova
------------curiositasmundi ha rebloggato alchemico:
“La giornata del primo Maggio è considerata nel mondo socialista come la festa del Lavoro. Si
tratta di una falsa affermazione del 1° Maggio che ha talmente permeato la vita dei lavoratori
che effettivamente in molti paesi, essi lo celebrano così. Infatti, il primo maggio non è un
giorno di festa per i lavoratori … No, i lavoratori non devono, quel giorno rimanere nelle loro
officine o nei campi. Quel giorno, i lavoratori di tutti i paesi devono riunirsi in ogni villaggio,
in ogni città, per organizzare delle riunioni di massa, non per festeggiare quel giorno così
come lo concepiscono i socialisti statalisti ed in particolare i bolscevichi, ma per contare le loro
forze, per determinare le possibilità di lotta diretta contro l’ordine marcio, vile schiavista,
fondato sulla violenza e la menzogna.”
— Nestor Makhno (via vitanarchica)
Fonte: umanitanova.org
-----------selene ha rebloggato marsigatto:
Quando sei davanti a due decisioni, lancia in aria una moneta.
Non perchè farà la scelta giusta al posto tuo, ma perchè,
nell'esatto momento in cui essa è in aria, saprai improvvisamente
in cosa stai sperando di più.
marsigatto:
equilibrioprecario: genio!
Fonte: sussultidellanima
---------curiositasmundi ha rebloggato vesuviano:
“La testa si era esercitata così, a fidarsi solo di se stessa. E allora ritornava nell’equivoco di
bastarsi da sola ogni volta che si sentiva tradita dalla realtà.”
— vesuviano:
-------------curiositasmundi ha rebloggato pragmaticamente:
“Io che nulla amo più dello scontento per le cose mutabili, così nulla odio più del profondo
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scontento per le cose che non possono cambiare.”
— Bertolt Brecht (via malinconialeggera)
Fonte: malinconialeggera
-------------curiositasmundi ha rebloggato sussultidellanima:
“Cosa fai nella vita?
Rincorro le idee, tengo stretti i sogni, seleziono i ricordi e scaccio le paranoie.”
— Sussulti dell’anima:
Fonte: layura
--------------suicideblonde ha rebloggato homicidalbrunette:
halfbakedidea:
calumet412:
Evelyn “Jackie” Bross and Catherine Barscz at the Racine Ave police station, 1943, Chicago.
From the Chicago History Museum:
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Post/teca
Evelyn “Jackie” Bross (left) and Catherine Barscz (right) at the Racine Avenue Police
Station, Chicago, June 5, 1943
In 1943 Evelyn “Jackie” Bross of Cherokee heritage, was arrested on her way home from work
for violating Chicago’s cross-dressing and public indecency ordinance. Bross, who was 19 at the
time, and a machinist at a WWII defense plant, wore men’s clothes and sported a man’s hair cut
– that was more than enough for the Chicago police. Chicago possessed an ordinance outlawing
cross-dressing as early as 1851.
For the bulk of the city’s history cross-dressing was a type of indecent exposure. The ordinance
decrees that “If any person shall appear in a public place…in a dress not belonging to his or her
sex…. He or she shall be subject to a fine of not less than twenty dollars nor more than one
hundred dollars for each offense”.
When Bross appeared in court, Chicago was captivated by the story. In court, Bross reportedly
informed the judge that she chose to wear men’s clothing because it was “more comfortable than
women’s clothes and handy for work.” She openly declared, “I wish I was a boy. I never did
anything wrong. I just like to wear men’s clothes… [but] everyone knows I’m a woman.”
In the end, Bross was ordered to see a court psychiatrist for six months and Chicago’s crossdressing code was revised. As of 1943, the code allowed for individuals to wear clothing of the
opposite sex, provided it was not worn “with the intent to conceal his or her sex.” Arrests
continued in spite of the alteration and the Chicago code regarding cross-dressing would not be
eliminated until 1978.
Wow.
Fonte: calumet412
------------------alfaprivativa ha rebloggato curiositasmundi:
“Possiede la rara capacità di apprezzare a pelle la bellezza delle cose normali, una dote che la
natura sembra concedere a quelli che non hanno parole per esprimerla.”
— David Foster Wallace
Fonte: matcip
-----------------onepercentaboutanything ha rebloggato coqbaroque:
chiilrasatavota:
Se bestemmiassi ad alta voce ogni volta che ne penso una, non sarei considerato un tipo silenzioso
Fonte: chiilrasatavota
---------------dovetosanoleaquile:
“Il fatto che non mi interessi quello che stai dicendo, non vuol dire che non ti stia ascoltando!”
— Homer Simpson
-------------luciacirillo ha rebloggato waxen:
“Io, a lavoro, son di quelli che stanno peggio del padre, che è stato meglio del nonno. La mia
laurea si può usare per incartare il pesce. C’è una concorrenza che se porto la mia ragazza a
mangiare un panino, salta fuori una laureata Bocconi dicendo che me la dà per metà panino.
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Post/teca
Mi ero un po’ intristito, poi per fortuna l’agenzia interinale mi ha trovato questo annuncio, e
adesso mi sono sistemato: “SEPOLTO VIVO – Azienda operante nel campo dei servizi
all’inquietudine assume a tempo indeterminato candidati ambosessi anche senza esperienza.
La figura si situerà nell’immaginario collettivo e, qualora meritevole, potrà trovare sbocchi di
carriera tra le paure ataviche. Si richiedono sensibilità a tossine esotiche e/o tendenza alla
morte apparente e/o estrema pigrizia. Il titolo di studio non costituisce pregiudiziale. Astenersi
illusionisti”.”
— Diecimila.me - Sepolti Vivi (via Van deer Gaz)
---------------alfaprivativa ha rebloggato curiositasmundi:
“E l’amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno,
e di rifiorire alla sera,
senza leggi da rispettare.
Si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.”
— Luigi Pirandello
Fonte: loscalpitaredelcuore
-------------yomersapiens:
Non rispondere è cortesia.
Era sempre il primo a rivestirsi e a lasciare la stanza, mentre lei restava a letto, a calmare il fiato fra
i cuscini.
- Perché vai già via? Potresti restare, potremmo parlare…
- Sai che non ti conviene, se resto qui e parliamo poi iniziamo a conoscerci, se inizi a conoscermi ti
tocca innamorarti, perché so che è così. Sono troppo bello e ho questa maledizione, faccio
innamorare la gente. E se tu ti innamori poi vorresti rinunciare alla tua vita per iniziarne una con
me, dovresti dire addio alla tua città, ai tuoi amori, ai tuoi amici, al tuo lavoro, al teatro, alla musica,
a tutto quello che hai costruito in questi anni. So che è così, manderesti tutto a puttane per me. Ma
poi, un giorno, rinsaviresti all’improvviso e ti renderesti conto di non poter gestire tutto questo.
Cercheresti di tornare indietro, di riottenere quello che hai perso e, disperata, vedresti che è
impossibile, perché non riusciresti a far coesistere me e tutta la mia magnificenza con tutti i tuoi
progetti. Allora opteresti per l’unica soluzione possibile: uccidermi. E lo faresti, forse anche
piangendo. Ma guarda caso io tengo troppo alla mia vita e non voglio che tu rinunci alla tua, per
questo mi rivesto e me ne vado.”
Le diede un bacio sulla fronte ed uscì di casa. È vero, lui era sempre il primo a rivestirsi e a lasciare
la stanza, ma era anche l’unico ad essersi innamorato senza bisogno di conoscerla.
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Post/teca
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Sebastiana Papa, io la ricordo
02 maggio 2012
di ella baffoni
L’anniversario è passato sotto silenzio. Nessuno l’ha ricordato. E’ da dieci anni che ci ha lasciato
Sebastiana Papa, donna e fotografa, partita in silenzio per il suo ultimo viaggio. Le donne del movimento
femminista la conoscono bene: negli sguardi delle “sue” donne c’è l’interrogativo che in quegli anni si
rifletteva su di sé, oltre che sul mondo. La conosceva il movimento sindacale, con cui ha spesso lavorato.
La conoscevano intellettuali, scrittori, poeti, con cui interloquiva, inseme a cui cercava. Schierata a
sinistra, sempre per la pace: nei suoi scatti andava dritta all’essenza delle cose: l’intensità degli sguardi, i
movimenti, la direzione della luce. La verità: che fosse nello sguardo di una bambina prostituta, di una
monaca in ascesi, di un ragazzo pastore, di una lavandaia, di una vecchia pellegrina, la ricchezza vera del
mondo. Questo cercava nei suoi viaggi in terre lontane, questo raccontava nei suoi reportage.
Bambini, tanti. Donne e uomini, i riti religiosi, la povertà, la dignità. La speranza di un futuro meno
misero, la rivolta e la pace, l’incontro e la gioia. Nell’intensità dei suoi scatti il distillato di un rapporto con
le persone che ne metteva al centro la vita, la storia. Lei, la fotografa, schivava con abilità interviste e
esposizione mediatica: parla il mio lavoro, diceva. Era vero.
In questi dieci anni però il suo lavoro non ha più parlato, ed è un peccato. L’archivio è affidato all’Istituto
centrale per il Catalogo e la documentazione, 4.200 pellicole, e poi provini, stampe, mostre, volumi
fotografici, documenti… Tra l’altro, un menabò già pronto, l’ultimo libro che Sebastiana Papa non ha avuto
il tempo di pubblicare. Un viaggio nel monachesimo di tutte le religioni e di tutto il mondo, dal Giappone
alle ex repubbliche sovietiche, dal’Africa al mondo arabo. E all’Italia, naturalmente.
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Post/teca
Certo i tagli alla cultura hanno duramente penalizzato le istituzioni statali, riducendole all’essenziale.
Certo l’uso delle immagini ha preso un’altra via, in questi anni, più frettolosamente superficiale. Certo la
ricerca iconografica ha scelto altre tendenze, meno dure e asciutte. Resta quell’archivio, tesoro
dimenticato: un peccato a cui è difficile rassegnarsi.
fonte: http://cittaecitta.comunita.unita.it/2012/05/02/sebastiana-papa-io-la-ricordo/
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Parla la figlia di Irène
Némirovsky: "La sua
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cecità era criminale"
Vera Gandi - 2 maggio 2012
Elisabeth Gille, Mirador: mia madre, Irène Némirovsky, Fazi, 2011
Nell’intervista rilasciata nel 1992 a René de Ceccaty per Il Messaggero*, Elisabeth
Gille, figlia di Irène Némirovsky, parla del suo rapporto con la madre che ha
conosciuto appena. Irène infatti venne arrestata e deportata nel 1942 quando la
piccola Elisabeth aveva solo cinque anni. Ciò che resta a Elisabeth della madre sono
gli scritti e quasi null’altro. Di qui la necessità di sviluppare “una memoria sognata”
(dal titolo originale di questo libro) nel corso di un’infanzia e un’adolescenza
segnate dal dolore per l’improvvisa scomparsa dei genitori. Le due figlie di Iréne (la
più grande, Denise, aveva undici anni) li avrebbero attesi invano nei primi anni nel
dopoguerra, non avendo notizie certe della loro uccisione nei lager tedeschi.
Nella mia adolescenza ce l’avevo con lei per via della sua mancanza di coscienza
politica. Non era scappata, sebbene avesse avuto la possibilità di farlo, e aveva
messo mia sorella e me in pericolo. Siamo state arrestate e avremmo dovuto, a
rigor di logica, finire come lei e come mio padre, ad Auschwitz. La sua cecità era
criminale. Negli anni Trenta, persino nella sua opera, non era affatto colpita di
quanto accadeva ai poveri ebrei dei quartieri popolari di Parigi. Mia madre tuttavia
non era di destra: giustificava la Rivoluzione sovietica. Ma viveva in un mondo
privilegiato senza capire cosa accadesse attorno a lei. Sembra che quando il
poliziotto l’ha condotta alla prefettura per consegnarla ai tedeschi, nel 1942, le
abbiano proposto di fuggire. E lei abbia risposto : “Non andrò due volte in esilio”.
Aveva finito col considerarsi francese e chiudeva gli occhi davanti al resto. Nulla
lascia trapelare la sua inquietudine, se non con il marito, e ha chiesto la
naturalizzazione francese nel 1938. Ma era troppo tardi.
Mirador, pubblicato nel 1992 ben prima del successo postumo di Suite Francaise ( il
capolavoro di Némirovsky, edito solo nel 2004) ha quindi una duplice valenza. Per
noi lettori , apre uno squarcio sulla vita di una scrittrice di talento di cui sappiamo
troppo poco anche se i suoi libri, riediti in Italia da Adelphi, sembrano inesauribili.
Per la figlia, Elisabeth Gille, morta anch’essa prematuramente nel 1996, scrivere
questa biografia “sognata” deve aver avuto anche un valore terapeutico,
obbligandola a fare i conti con l’ enigma rappresentato dalla madre.
Iréne Némirovsky , figlia unica di un ricchissimo banchiere russo, emigrò in Francia
con la famiglia dopo la rivoluzione del 1917. Viziata dal padre, era odiata da una
madre egoista e narcisista, che lei stessa ritrasse impietosamente in alcuni romanzi
. Ebrea senza considerarsi tale, si sentiva innanzitutto francese, pur essendo russa
di nascita. Il suo primo romanzo David Golder, che criticava senza mezzi termini la
ricca borghesia francese di origine ebraica, ebbe un successo folgorante nel 1929.
Seguirono numerose opere nel corso degli anni Trenta che la incoronarono come
una delle maggiori scrittrici del suo tempo. Dopo l’occupazione tedesca tentò ad
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Post/teca
ogni costo di continuare a pubblicare i propri lavori fino al punto di scrivere per
riviste collaborazioniste. Sottovalutò completamente i rischi del nazifascismo
pensando che gli ideali francesi di libertà e l’ appartenenza all’intelligentzia parigina
potessero costituire un salvacondotto. Morì a Auschwitz in quanto ebrea.
Mirador è una “finta autobiografia” : l’io narrante è la stessa Irène Némirovsky, così
come la figlia la immagina o meglio, la “sogna”. Una donna che appare tutt’altro
che idealizzata, con tante contraddizioni. Una donna cui Elisabeth ha voluto rendere
omaggio come scrittrice, ricercando peraltro in lei anche i motivi per amarla come
madre.
Nella prima parte, Irène descrive la propria infanzia in Russia, a Kiev e poi a San
Pietroburgo – un’infanzia che, per quanto dorata, risente del disinteresse materno,
oltre che della rivoluzione e dei pogrom antisemiti . La Francia per Irène
rappresenta un approdo nella patria della libertà, dove finalmente lei sembra felice,
si sposa e arriva alla notorietà letteraria poco più che ventenne. Nella seconda
parte del libro, datata giugno 1942, sono passati tredici anni e il mondo di Irène si
è rovesciato: viene abbandonata dagli amici intellettuali, il suo editore Grasset le
volta le spalle. Insieme a suo marito e alle figlie, lascia Parigi per stabilirsi nel
paesino di Issy-L’Eveque, dove spera di sfuggire alla deportazione. Ma l’avanzata
dei tedeschi fa crollare anche le sue più tetragone illusioni. Irène scrive alla
governante Julie questa commovente lettera, pragmatica e affettuosa al tempo
stesso, anche se – incredibilmente - priva di disperazione. Una lettera da cui
Elisabeth deve aver capito di essere stata molto amata, per quanto ingombrante e
complessa fosse la personalità della madre.
Cara Julie,
quando abbiamo saputo che la Russia e la Germania sono entrate in guerra,
abbiamo temuto subito il campo di concentramento e ti ho spedito una lettera per
pregarti di raggiungerci il più presto possibile. Se non fossimo più qui, quando
arriverai, puoi trasferirti con le bambine all’Hotel des Voyageurs, da Loctin, dove
viviamo da un anno. E’ una pensione modesta ma sarai trattata bene e i proprietari
sono persone di estrema fiducia. Del resto gli lasciamo in custodia un cofanetto
contenente alcuni gioielli, tra cui i più importanti sono il diamante incastonato in un
anello e una spilla con brillantini…Troverai altresì sia a Vernet che è notaio a IssyL’Eveque nonchè un brav’uomo, o dallo stesso Loctin, 60.000 franchi a tua
disposizione.
L’11 novembre potrete prendere possesso della casa che abbiamo affittato, con
contratto 3-6-9 anni da Marius Simon…..Penso che con i soldi che ti lascio potrete
vivere a lungo in tranquillità.
Quando saranno finiti i soldi, comincia col vendere le pellicce che troverai nelle
nostre valigie e che sicuramente riconoscerai…Ci sono un bel po’ di stoffe tutte
ricuperate in quai de Passy. Conserva gli zibellini il più a lungo possibile. C’è anche
dell’argenteria. Vendila dopo le pellicce e prima dei gioielli.
Infine, in casi estremi, da Loctin c’è il manoscritto del romanzo che forse non avrò il
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Post/teca
tempo di terminare e che si intitola "Tempesta di giugno". Ecco cosa dovrai farne:
ho scritto alle Editions de France …offrendo questo romanzo per il loro giornale. Se
accettano ti scriveranno. ..
Il medico di qui il dottor Benoit è bravissimo. Non esitare a chiamarlo alla minima
preoccupazione…Nel febbraio 1942 bisogna portare Denise dall’oculista …Le
bambine sono state vaccinate contro la difterite. Babette ha fatto anche
un’iniezione antitetanica e Denise il vaccino contro il tifo, nel 1937, credo. Grazie a
Dio sono in buona salute. Babette ha solo un po’ di enterite, non beve il latte puro
né mangia il formaggio bianco ma un uovo alla coque ogni tanto non le fa male.
Comunque la Signora Loctin è perfettamente al corrente della sua dieta.
Vanno entrambe a scuola; devono continuare a farlo. Ma Babette no, quando
d’inverno è troppo freddo. Ti lascio beninteso completamente libera di sistemare la
casa come credi e in genere di fare tutto il meglio possibile come riterrai
opportuno. Per questo lascio a Vernet, il notaio, una lettera che ti dà tutti i poteri
necessari.
E’ tutto, cara Julie. Capirai con quanta tristezza sto scrivendo queste cose ma
sapendo che le bambine staranno con te , sono tranquilla sulla loro sorte, perchè
so che tu non le abbandonerai.Te le affido. Ti bacio con tanto affetto,
Irène Némirovsky Epstein
*Mirador, p.351
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/panchina-libro/parla-la-figlia-di-irenenemirovsky-la-sua-cecita-era-criminale#ixzz1tiqdEc6i
fonte: http://www.linkiesta.it/blogs/panchina-libro/parla-la-figlia-di-irene-nemirovsky-la-sua-cecitaera-criminale
---------------curiositasmundi ha rebloggato giannakarenina:
“I sogni importanti non hanno scadenza.”
— (via stopallansia)
Fonte: myborderland
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Il primo paginone con un uomo nudo
Fu pubblicato quarant'anni fa da Cosmopolitan, ritraeva Burt Reynolds e fu una piccola svolta
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Post/teca
2 maggio 2012
Sono passati quarant’anni da quando il numero di aprile 1972 di Cosmopolitan pubblicò
per la prima volta un paginone con la foto di un uomo completamente nudo: era l’attore
americano Burt Reynolds, la foto segnò una svolta per i giornali femminili e fu secondo
molti un passo avanti verso l’uguaglianza tra uomini e donne. La BBC racconta in un
articolo la storia della foto, annunciata nella copertina di Cosmopolitan con la scritta
«Finalmente un paginone con un uomo nudo – la nuda verità su indovina chi!».
Tutto nacque quando l’allora direttore di Cosmpolitan, Helen Gurley Brown, venne
invitata da Burt Reynolds come ospite del Tonight Show, che allora conduceva sostituendo
Johnny Carson. Gurley Brown trovò Reynolds «bello, divertente, vivace e con un corpo
strepitoso», come riporta James Landers nel libro dedicato ai cent’anni di Cosmopolitan.
Alla fine Gurley Brown propose a Reynolds di posare per la rivista e Reynolds accettò.
Gurley Brown aveva già fatto la stessa proposta a Paul Newman, che però aveva rifiutato.
La foto venne scattata dal fotografo di moda americano Francesco Scavullo, autore di
molte copertine di Cosmopolitan tra cui quella che ritrae una sedicenne Brooke Shields,
molto criticata perché considerata troppo sexy. Scavullo scattò varie foto e Reynolds poté
scegliere quale pubblicare. Da allora aumentarono moltissimo sia la sua fama che quella di
Cosmopolitan. Si racconta anche che il successo della foto di Burt Reynolds convinse
Douglas Lambert a lanciare la rivista Playgirl. Cosmopolitan ripropose un altro paginone
con un uomo nudo due anni dopo,stavolta con Arnold Schwarzenegger, che allora faceva
l’attore ma che in seguito sarebbe diventato governatore della California. Schwarzenegger
non è stato l’unico politico a posare nudo per la rivista. Nel 1982 Scott Brown, uno
studente di legge, vinse il concorso del giornale per scegliere l’uomo più sexy d’America e
posò per i fotografi pochi giorni prima del suo esame finale. Nel dicembre del 2009 Brown
è stato eletto senatore del Massachusetts conquistando per il partito Repubblicano il seggio
che era rimasto vacante dopo la morte di Ted Kennedy.
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Post/teca
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/02/burt-reynolds-nudo-cosmopolitan/
--------------falcemartello ha rebloggato dovetosanoleaquile:
“Io sono a favore dei matrimoni gay, però anche loro devono sposare una donna. Altrimenti
sarebbero troppo avvantaggiati.”
— Mone(PurtroPPo)
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Ordinaria atrocità della guerra
La nuova edizione di un libro di Andrea Augello (Uccidi gli italiani - Gela 1943 - La
battaglia dimenticata, Mursia, Milano, 20122) ritorna su un episodio della seconda
guerra mondiale in larga misura rimosso: le stragi di prigionieri di guerra italiani e
tedeschi in Sicilia ad opera di truppe statunitensi.
Andrea Augello è un senatore del PdL di provenienza fascista (rautiana), e non è
certo uno storico distaccato ma, nonostante l’affastellamento di commenti e
divagazioni di vario genere, compresa una continua retorica esaltazione del “valore
dei nostri ragazzi”, dal libro esce minuziosamente ricostruita la tragedia di alcuni dei
soldati che nonostante la disorganizzazione e la mancanza di mezzi, tentarono di
resistere allo sbarco e all’avanzata degli “alleati”, e che furono atrocemente “puniti”
per questo.
C’è invece una parziale sottovalutazione della causa prima del rapido crollo della
Sicilia, l’impreparazione dell’Italia alla guerra. Augello ammette che “l’Italia” (cioè
Mussolini, dato che fino al 25 luglio proprio lui era titolare del ministero della
Guerra) dopo gli “smacchi e umiliazioni” subiti in Grecia, in Russia e in Africa
settentrionale, aveva reagito semplicemente “confidando sulla rapidità della vittoria
tedesca e sulla capacità di adattamento del modesto strumento militare disponibile
alle nuove regole della guerra di movimento, così come reinterpretate nel 1940 dalle
divisioni di Guderian o di Rommel assistite dalla Luftwaffe”.
Augello tuttavia attribuisce questa impreparazione alla “assenza di una seria politica
industriale” e in particolare al rifiuto di “produrre in Italia mezzi corazzati su licenza
tedesca”, dovuto secondo lui alla volontà di “proteggere l’industria nazionale”. Parla
anche del rifiuto di “affrontare seriamente il problema dei bombardieri e dello
sviluppo degli aerosiluranti”, mentre si continuava a produrre gli obsoleti “biplani
CR42”, ma non appare mai il minimo dubbio sulla scelta folle della partecipazione
alla guerra.
Avevo conosciuto le vicende dello sbarco in Sicilia dalla voce di mio padre, che era
un generale dalle idee conservatrici con cui avevo avuto rapporti pessimi fin da
quando avevo raggiunto l’età della ragione, ma che nel 1966, durante le veglie al
capezzale di mia madre morente in cui ci trovammo vicini, mi raccontò alcuni episodi
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Post/teca
sconcertanti. Mio padre, Amedeo Moscato, a quella fase siciliana della guerra aveva
partecipato come colonnello che comandava il 54° Reggimento di Artiglieria, facente
parte della Divisione di fanteria mobile “Napoli” (comandata dal Gen. di div. Giulio
Cesare Gotti Porcinari), e si era guadagnato anche una medaglia d’argento e il
rispetto del generale Montgomery al momento della cattura.
In quella dolorosa occasione di incontro mi aveva parlato della drammatica mancanza
di munizioni (poche e in parte inservibili, perché molti proiettili erano da
esercitazione, e quindi inoffensivi). Per procurarsi i ferri per i muli a cui era affidata
la sua povera artiglieria, tutta “ippotrasportata”, dopo ripetute vane sollecitazioni,
aveva dovuto mandare un tenente a Modena con un ordine di requisizione degli
indispensabili ferri. Da una descrizione della sua cattura risulta che erano da tempo
senza collegamento radio con gli altri comandi. Mio padre attribuiva tutto questo a un
presunto “sabotaggio dei comunisti”, del tutto inverosimile in quel periodo. Ma
involontariamente mi aveva fornito elementi per capire chi era invece che – per
avidità - sabotava la guerra: gli industriali che spadroneggiavano nel ministero, e che
lui aveva più volte allontanato dall’ufficio in cui li aveva trovati a frugare in sua
assenza.
Non mi aveva mai accennato fino a quel momento alla ragione per cui quando io
avevo pochi anni aveva lasciato il comodo posto al ministero della Guerra (allora si
chiamava, più onestamente, così), collocato per giunta in un ufficio delicatissimo:
“Approvvigionamento materie prime all’industria”. Capii allora che dovevo rispettare
la sua coerenza: a contatto con i Valletta, gli Innocenti, i dirigenti famelici di tante
industrie, non solo non si era arricchito, ma si era scontrato già nel 1941 con il
viceministro (Mussolini era titolare, ma non c’era mai) che lo aveva rimproverato
perché aveva cacciato in malo modo dei “civili” che frugavano in sua assenza tra le
carte della sua stanza. Mi disse che allora aveva deciso di farsi mandare in Russia, ma
che mia madre lo aveva convinto a desistere per non dare l’impressione di una sua
colpa (“Santa donna!”, commentava allora, un quarto di secolo dopo). Nel 1943 il
conflitto al ministero si era riproposto, e – nonostante avesse detto più volte in
famiglia che sarebbe stato meglio perdere la guerra che restare sotto il fascismo – era
scattato il patrottismo di un militare che si era formato nella prima guerra mondiale, e
aveva chiesto quindi di andare in Sicilia, dove era più che prevedibile uno sbarco
anglo-americano, dopo la sconfitta italiana e tedesca in Tunisia.
Non mi aveva però parlato delle fucilazioni di Gela, di cui evidentemente non era
stato testimone diretto (si trovava nella piana di Catania a fronteggiare gli inglesi di
Montgomery, mentre gli statunitensi di Patton che furono responsabili dell’eccidio di
prigionieri erano a quasi un centinaio di chilometri), e quando scoprii l’episodio, mio
padre era già morto. Così non mi è facile capire il perché di una così netta diversità di
atteggiamento sui due fronti siciliani. Nel suo caso c’era stato un pieno rispetto delle
leggi di guerra: mi aveva mostrato una foto con altri prigionieri italiani, tra cui il
generale Gotti Porcinari, in posa insieme al generale Montgomery che li aveva
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Post/teca
catturati. Agli ufficiali superiori italiani era stata lasciata perfino la pistola
d’ordinanza.
Il libro di Augello non dà una spiegazione convincente: a volte accenna a un
disprezzo per gli italiani, a cui venivano contrapposti i tedeschi, ritenuti migliori
combattenti. Ma questo “razzismo”, come lo definisce Augello, sarebbe stato
possibile anche tra i britannici. Inoltre anche alcuni tedeschi furono fucilati nello
stesso modo dopo essersi arresi. Una spiegazione indiretta viene dai processi che le
stesse autorità statunitensi e che si conclusero con l’assoluzione dell’imputato più alto
in grado, il capitano John Compton, che convinse la corte di aver creduto di eseguire
un ordine del generale Patton sulla necessità di non fare prigionieri, mentre il sergente
Horace West, esecutore materiale di uno degli eccidi, fu condannato a un ergastolo
che tuttavia non scontò neppure per pochi giorni. A sua discolpa aveva parlato di
"vendetta" per le molte perdite di commilitoni, e aveva detto che lui, come tutta la
truppa, era sotto l’effetto di massicce dosi di benzedrina (un anfetaminico allora
molto in uso col nome di Simpamina), ufficialmente distribuita per combattere gli
effetti del mal di mare durante lo sbarco, ma usata poi abitualmente come droga. Un
uso generalizzato, per sopportare l’orrore intrinseco alla guerra: d’altra parte già ai
fanti italiani della prima guerra mondiale veniva notoriamente distribuita una droga
casareccia, la grappa, fornita a litri prima di mandarli a morire su una trincea
nemica…
Augello denuncia la reticenza delle poche lapidi che ricordano i morti italiani a
Biscari (oggi Acate), Santo Pietro, Canicattì, ecc., che non nominano mai il paese di
appartenenza dei fucilatori, ma “l’oste invasor” o al massimo i “marines innumeri
sbarcanti”. Vecchie ipocrisie italiane oltre che insopportabile linguaggio retorico di
lapidi e motivazioni di onorificenze.. Ma la stessa reticenza si riscontra nel libro
nell’accennare di sfuggita ad altre violenze, come il mitragliamento aereo di civili
evidentemente inermi, o gli imprecisati “maltrattamenti” di giovani donne. In un solo
caso si parla apertamente dello stupro di una giovanissima contadina, a proposito
della fucilazione di alcuni contadini tra cui un tredicenne che cercavano di impedirlo.
Un episodio che ricorda molti di quelli recentissimi in Afghanistan…
Il libro non riesce a spiegare quel che è accaduto, perché l’autore non è affatto
contrario alla guerra: altrimenti avrebbe collocato questo episodio all’interno di
pratiche “normali” che si sono riprodotte nella seconda guerra mondiale su tutti i
fronti, dalla Cina invasa dai giapponesi ai Balcani e alla Grecia occupati da tedeschi e
italiani, e anche nell’Ungheria e Germania al passaggio dell’Armata Rossa, e poi via
via, nel Vietnam, nell’Iraq, nell’Afghanistan e – non dimentichiamola – nella “nostra”
Somalia. Le guerre contemporanee devono recuperare i metodi usati per secoli:
impunità, e di fatto concessione del diritto di “vendetta” con stupro e di saccheggio.
Invece il libro ha alcune pagine divertenti, quando ridimensiona il ruolo della mafia
italo-americana nella conquista della Sicilia: secondo Augello il disegno politico
statunitense era effettivamente quello di utilizzare come risorsa “i picciotti di
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Post/teca
Brooklyn”. Ma poi spiega che “i cosiddetti uomini d’onore furono abili soprattutto
nel dilatare i loro meriti agli occhi dei servizi segreti americani, ai quali non fornirono
nessun insostituibile supporto dal punto di vista militare e/o dell’intelligence: il loro
talento si espresse soprattutto nell’arte di mobilitare comparse a buon mercato per
applaudire i liberatori davanti alle cineprese dei cinegiornali”. Augello descrive
alcune “scene tipiche”, con i soldati italoamericani che traversano ali di folla in
tripudio, finché uno di loro riconosce e abbraccia un parente…
Giustamente Augello ammette che “sarebbe tuttavia sbagliato ridurre le folle
plaudenti che si assieparono al passaggio dei soldati americani a mere comparse
mobilitate dalla propaganda. Soprattutto a Palermo si verificarono anche
partecipazioni più autentiche e spontanee: la città era stata duramente bombardata e
privata dei servizi più elementari, la popolazione era spaventata e si sentiva, non a
torto, abbandonata. Mancava l’acqua da tre settimane, non funzionavano i forni e non
si distribuiva più il pane, le autorità civili si erano mostrate incapaci di affrontare la
situazione e infine erano fuggite”. Successivamente accenna alla ridicola precarietà
delle “truppe da cui si pretendeva una resistenza ad oltranza”, tutte improvvisate e
raccogliticce: c’era perfino un “reparto di cavalleria appiedato”! A che poteva
servire? Neppure all’anacronistica ultima battaglia della cavalleria polacca contro le
divisioni corazzate tedesche…
Tuttavia egli insiste nell’attribuire il caos a ufficiali che non eseguivano gli ordini,
mentre in realtà si trattava della putrefazione del regime fascista, già evidente prima
del 25 luglio (e che anzi spiega perché in quella riunione del Gran Consiglio si trovò
una maggioranza per togliere a Mussolini la guida della guerra). Già “nella notte del
20 luglio – scrive Augello – mentre il prefetto, il federale del Partito nazionale
fascista ed altre autorità stavano tagliando la corda, si registrò un tentativo di
saccheggio dell’Intendenza militare da parte di una folla affamata e inferocita. Altri
gravi incidenti ebbero luogo alla stazione, dove una massa di indigenti circondò i
vagoni ferroviari di un treno merci ritenuti carichi di provviste: i carabinieri furono
costretti a sparare per disperdere l’assembramento”. Il corsivo è mio, e sottolinea il
mio dissenso dall’impostazione di Augello.
Quell’episodio anticipava il 25 luglio e i giorni e mesi successivi, in cui i carabinieri
e le poche truppe rimaste a disposizione del maresciallo Badoglio furono usate contro
gli “indigenti” e le folle affamate e inferocite, lasciando nel Mezzogiorno ferite aperte
e dubbi sul sedicente antifascismo dei trasformisti che avevano preso il posto di
Mussolini e dei suoi fedeli…
PS Accennavo ai crimini italiani nei Balcani. Ho visto qualche giorno fa sul
Manifesto la segnalazione di un libro del mio caro amico Giacomo Scotti, che è
probabilmente una riedizione dell’ottimo ma da tempo introvabile Bono Taliano. Gli
italiani in Jugoslavia (1941-43), Milano, La Pietra, 1977. Intanto riporto la
segnalazione e lo stralcio apparso sul manifesto: Giacomo Scotti: Nemesi italiana.
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Post/teca
Ma ne riparleremo, perché prima di parlare dei crimini altrui, è bene fare i conti con
quelli commessi “a nome nostro”, in nome dell’Italia. Nei Balcani, per non parlare
della Libia e delle altre colonie…
fonte: http://antoniomoscato.altervista.org/index.php?
option=com_content&view=article&id=845:ordinaria-atrocita-della-guerra&catid=20:ipocrisie-edimenticanze&Itemid=31
------------------curiosona:
“Benito ha solo commesso alcuni errori, come le leggi razziali e la guerra. Ma sono errori che
tutti possiamo fare.”
— L’ha detto padre Antonio Lo Curto nel corso dell’omelia, durante lamessa in
suffragio di Benito Mussolini celebrata nella chiesa di San Gaetano alle Grotte di
Catania il 28 aprile scorso.
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Editori di libri, Amazon, Apple e una storia da scrivere
By Luca De Biase on May 1, 2012 12:41 PM | Permalink | Comments (0) | TrackBacks (0)
La trama si infittisce. Nella città dei libri la tensione è alle stelle. I protagonisti
leggono con attenzione le notizie. L'Antitrust americana ha preso di mira un accordo tra Apple e quattro editori che si
sarebbero accordati per alzare il prezzo dei libri elettronici e quindi altri editori si stanno accordando con Amazon per
abbassare di nuovo i prezzi dei libri per il Kindle (BusinessWeek). Ma le autorità stanno cominciando a combattere il
collegamento obbligato per il pubblico tra il negozio online dove si comprano i libri e lo strumento che serve per
leggerli (come avviene appunto nel Kindle e in un senso diverso nell'iPad), come la Francia aveva pensato di fare
qualche tempo fa. Intanto, i negozi fisici di libri sono in crisi (Slate). E Barnes & Noble cede la sua divisione Nook (la
sua versione di lettore per libri elettronici) a una nuova società che ha deciso di formare con Microsoft (BusinessWeek).
Ma le notizie non finiscono mai. E la prospettiva non cambia.
Per farla breve, riassumiamo. Il pubblico, alle prese con la crisi economica, non appare troppo incline ai consumi di
libri, anzi li abbassa in generale, ma sta cominciando ad aumentare gli acquisti di libri elettronici. Gli editori tradizionali
sono preoccupati per il futuro del settore. In effetti, molti autori si affidano ancora a loro, ma altri tentano la strada
indipendente. E le nuove piattaforme di distribuzione, da Amazon a Apple, avanzano su tutta la linea: vendono sempre
di più i libri degli editori tradizionali, disintermediano la relazione tra autori ed editori, offrono con le loro tecnologie la
vendita e la fruizione dei libri. Intanto, nascono iniziative editoriali che tentano di rispondere al cambiamento con una
diversa capacità di sperimentazione nella progettazione dei libri.
Dal punto di vista strategico, la situazione sembrerebbe essere questa:
1. L'editoria è sempre stata basata sul controllo della tecnologia e del copyright. Il secondo discendeva dalla prima
perché gli autori cedevano i loro diritti alle aziende che li vendevano. E poiché erano le uniche aziende che li potevano
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Post/teca
vendere, riconoscevano agli autori percentuali molto risicate. Questo in parte compensava il rischio d'impresa, piuttosto
elevato nell'editoria tradizionale. I libri si facevano, si stampavano, si distribuivano, qualche volta si producevano solo
dopo aver pagato anticipi agli autori, ma poi non necessariamente si vendevano.
2. Le nuove piattaforme digitali, che fanno tutto dalla produzione alla distribuzione alla vendita e alla fruizione,
cambiano parecchio le regole del gioco. Le piattaforme si tengono il 30% e offrono il 70% a chi mette i libri. Che siano
gli editori o che siano gli autori direttamente. Una differenza piuttosto allettante per gli autori: è una percentuale anche
dieci volte superiore a quella offerta dagli editori.
3. Nella produzione cartacea, il sistema print-on-demand consente di ridurre il rischio degli invenduti, mentre il resto
della catena è simile a quello digitale. E anche qui le piattaforme tecnologiche possono prendere il sopravvento sugli
editori tradizionali o disintermediare il rapporto con gli autori.
4. Le funzioni editoriali non scompaiono, ma potrebbe avvenire che si distribuiscano in modo diverso. La cura e la
scelta editoriale possono essere fatti da specialisti del dibattito culturale o della innovazione letteraria o del
confezionamento di prodotti che la gente desidera comprare. Il marketing può essere fatto da esperti di social network,
piccoli produttori di video promozionali, organizzatori di circuiti di conferenze, premi e festival. L'impaginazione e
l'editing possono essere realizzati in modi più o meno tradizionali o innovativi da altri specialisti della materia. Non ci
sono molte ragioni perché queste attività vengano fatte da aziende integrate verticalmente. Anche se queste attività
vanno fatte. Gli autori possono farle in proprio oppure usare una parte del loro 70% per farle fare all'esterno. I grandi
editori integrati invece si trovano di fronte la concorrenza di Amazon che ha già cominciato a scegliere autori e offrire
anticipi. E non possono opporsi troppo visto che - almeno in America - la maggior parte dei libri che vendono passano
proprio da Amazon. Intanto, Apple ha realizzato un software che consente agli autori di impaginare ottimamente i libri
anche multimediali e di venderli direttamente sulla sua piattaforma.
Gli editori tradizionali erano abituati a controllare la tecnologia di fruizione dei libri, avevano una fortissima influenza
sulla catena di distribuzione, potevano usare le opere degli autori come volevano e pagarli poco (se non erano
bestseller). Ora la differenza tra i bestseller e i libri di nicchia potrebbe diminuire: se non ci sono sprechi produttivi e
libri stampati ma invenduti, una copia di un bestseller non è molto diversa da una copia di un libro di nicchia, se non per
gli effetti che può generare sul prezzo di copertina o sul marketing di un autore. In queste condizioni, un milione di
copie vendute di un libro non sono molto diverse da mille copie vendute per mille libri.
Il problema è intricato perché una piattaforma non ha la forza di ritagliare il senso di una linea editoriale attorno a un
insieme di autori e a un genere di pubblico. La sperimentazione nei libri non può che avvenire da parte "artigiani" che
pensano soluzioni innovative o curano quelle tradizionali. Ma, stretti tra il potere delle piattaforme e il ruolo degli
artigiani, gli editori tradizionali appaiono un po' in crisi strategica. Non è detta l'ultima parola, ovviamente, viste le
capacità comunicative e professionali che racchiudono. Ma i dati di fatto sono difficili da eludere.
In questo contesto, la storia da seguire è quella che sarà scritta dagli autori e dagli artigiani del gusto editoriale.
E un'altra storia si potrebbe leggere se gli editori tradizionali riuscissero a definire una via di innovazione che li porti
verso lo sviluppo di funzioni da piattaforma...
Verrebbe da pensare un dettaglio. Può essere che, in Europa, la questione della bizzarra differenza di iva che grava sulle
diverse vesioni degli stessi libri (21% in Italia sui libri elettronici e 4% sui libri cartacei) possa essere risolta dopo che
qualcuno nella stessa Europa riesca a costruire una valida alternativa alle piattaforme americane?
Background. Su BusinessWeek, Brad Stone scrive articoli fondamentali sul modello di sviluppo dell'editoria libraria.
Come la storia di Larry Krishbaum che ha dato una sterzata alle ambizioni e alle possibilità di Amazon nella conquista
del mercato editoriale. E l'analisi della partita che oppone Amazon e gli editori. Al Salone del Libro, proprio su questi
argomenti, ci sarà un convegno con i direttori del settore libri di Rcs, Mondadori, Gems e altri esperti del settore, tra i
quali Gian Arturo Ferrari (un vecchio post che si può rileggere).
ps. Strano però: gli editori di musica che si supponevano in crisi a causa della pirateria, si sono sentiti meglio con
l'introduzione della piattaforma iTunes-iPod, ma una piattaforma analoga come quella del negozio di Amazon e il
Kindle sta mettendo in crisi gli editori. (Forse perché i libri sono ancora molto artigianali e gli autori possono andare
dove vogliono; mentre la musica di successo è molto industriale e gli autori dipendono di più dai loro produttori?).
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Post/teca
fonte: http://blog.debiase.com/2012/05/editori-di-libri-amazon-apple.html
------------------20120503
curiositasmundi ha rebloggato yesiamdrowning:
“Ma di che cosa, si dirà, avevano l’aria, questi separati? Ebbene, è semplice: non avevano
l’aria di nulla. O, se si preferisce, avevano l’aria di tutti, un’aria affatto generica;
partecipavano della placidità e delle puerili agitazioni della città; perdevano le apparenze del
senso critico, guadagnando insieme quelle del sangue freddo. A esempio, si potevano vedere i
più intelligenti di loro far finta di cercare nei giornali, come tutti, o nelle trasmissioni
radiofoniche, dei motivi per creare una rapida fine alla peste, e concepire apparentemente
chimeriche speranze, o provare timori senza fondamento alla lettura di considerazioni che un
giornalista aveva scritto un po’ a caso, sbadigliando di noia. Per il resto, bevevano birra e
curavano i malati, impigrivano o si affaticavano, classificavano schede o facevano girare i
dischi, senza distinguersi altrimenti gli uni dagli altri. In altre parole, non sceglievano più
nulla; non leggevano più realmente nulla: la peste aveva eliminato il giudizio di valore. E
questo appariva dalla maniera con cui nessuno si occupava più della qualità dei vestiti e degli
alimenti che si comprassero. Si accettava tutto in blocco”
— La Peste, Albert Camus (1947). Chi ha testa per parafrasare, lo faccia. (via
yesiamdrowning)
-----------------senza-voce ha rebloggato chouchouette:
“- Sbaglia sempre per conto tuo.
- È cosi che fanno i signori?
- No. i signori non c’entrano. Fanno cosi le persone che vogliono essere felici.”
— Mine Vaganti, Ferzan Özpetek. (via chouchouette)
-------------------alfaprivativa ha rebloggato 130672:
“Ogni scelta ha un rovescio cioè una rinuncia, e così non c’è differenza fra l’atto di scegliere e
quello di rinunciare.”
— Calvino - “Storia dell’indeciso” in La taverna dei destini incrociati.
Fonte: spucy
-----------------carmenisabelasandiego:
U’papun feat. Caparezza
Viva l’appapparenza
che non riesco ad indossare
col mio culo in decadenza
il video non mi può accettare.
Il lavor non mi nobilita,
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Post/teca
non appaga la mia vanità.
Se il mio corpo non è in vendita
non ho Pari Opportunità.
Viva l’appapparenza
sul mio trono da reietto.
La massa popolare
ha perso il ben dell’intelletto.
Ogni spettatore è giudice,
conta solo alzare l’indice
non cosciente di esser complice
di un pattume sempre al vertice.
Realizzo un motivetto
per sbancare la classifica
con gli ingredienti giusti
senza componente artistica.
Se realizzo un motivetto
il conto in banca mi si amplifica
con i contatti giusti
avrò un bel prodotto in plastica.
Viva l’appapparenza
spiata per 24 ore.
Urla grasse e deficienza
arricchiscono il padrone.
Diventar qualcuno è semplice
per cadere poi dall’apice,
non cosciente di esser complice
di un piattume sempre al vertice.
“Viva la caparezza
dicono gli amichetti che tengono stretti i biglietti.
Molti gretti amano i motivetti
metti germi nei testi poi l’infetti
Ti motivo motivetti noti
da rivoltanti a rivoltosi come moti
ma come molti sanno,
c’è un divario tra capire un testo e il suo contrario.
I motivetti fini a se stessi
non solleticano i miei interessi,
non li ascolterei nemmeno se stessi in analisi
che si fottano questi dei reality,
prima con la fama poi rimasti senza
andare ovunque perché in astinenza,
tappa dopo tappa con trasparenza
vivono d’appappappapparenza.”
---------------------------senza-voce ha rebloggato bastaguardareilcielo:
Alcuni vengono notati perchè se ne sono andati. Io sono invisibile,
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Post/teca
perchè ci sono sempre stata.
Fonte: implodeinside
----------------3nding:
Internet di classe: il terziario.
La Rete (e quindi tumblr) è uno strumento classista?
Riflettendo su chi ha accesso alla Rete durante l’orario lavorativo, appare chiaro che il settore
preponderante sia il terziario. Chi è nei campi, sulla linea di montaggio, in cantiere o in officina
difficilmente si metterà online, e ancor più difficilmente produrrà contenuti.
Di queste persone, quante alla sera hanno la forza/voglia di pubblicare qualcosa?
La mancanza online di un’enorme fetta del settore produttivo del Paese genera diversi effetti
collaterali:
● L’autoreferenzialità. Il ripetersi cose che già si sanno tra persone già informate equivale a
grosse pacche sulle spalle virtuali. Che al pari di quelle reali non apportano nessun beneficio
reale a situazioni problematiche.
● L’impermeabilità. I contenuti pur essendo potenzialmente fruibili da chiunque, vengono raccolti
e appresi a seconda degli interessi di chi utilizza il mezzo. Questo da una parte spiega (e
giustifica?) il numero di accessi a siti di gossip, l’esistenza della colonna di destra di
repubblica.it, certi articoli del corriere.it o agenzie di ansa.it
Quel che è peggio a parer mio è l’assenza della voce di chi opera in altri settori. Venendo mancare
il confronto/dialogo e la reciproca conoscenza dei problemi e delle realtà individuali e di gruppo, è
facile il nascere/perpetrarsi di luoghi comuni o falsi miti in merito a condizioni lavorative.
Che fare? Una soluzione potrebbe essere farsi portatori di contenuti altrui.
Raccontare storie nell’accezione buona del termine, credo possa essere una sorta di dovere morale
per tentare di migliorare questa situazione.
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Tav: adesso parla Alberto Perino
di Fabio Balocco | 2 maggio 2012
Ho ritenuto opportuno lasciare spazio ad un interessante intervento di Alberto Perino, No
Tav.
“Alcune cose che non si debbono sapere in merito al Tav Torino Lione”
“Intanto non si deve sapere, e non si deve dire, che grazie al progetto (che non esiste)
cosiddetto Low Cost, sbandierato dal commissario governativo Virano e dallo stesso
primo ministro Monti, la nuova linea non sarebbe più Torino – Lyon, ma molto più
modestamente Susa – Saint-Jean-de-Maurienne, tutta in galleria profonda con una
velocità massima di circa 200 km/h. Non solo, ma non si deve sapere e non si deve dire che
all’imbocco di Susa la galleria incontrerebbe uno strato di rocce zeppe diamianto che non
si sa minimamente come trattare vista la normativa in vigore. Infatti, sempre in Valle di
Susa, tra Cesana e Claviere c’è una galleria in costruzione di circa un km. che è ferma dal
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2005 perché si è incontrata una vena di amianto e non si sa come trattarla in sicurezza!
Non si deve sapere e non si deve dire, perché è un segreto, che l’accordo tra il Governo
della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e
l’esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione firmato a Roma il 30 gennaio 2012
tra il ministro dei trasporti e infrastrutture francesi e il viceministro italiano Ciaccia
all’articolo 1 terzo comma recita testualmente: “Il presente Accordo non costituisce uno dei
protocolli addizionali previsti dall’articolo 4 dell’Accordo firmato a Torino tra i governi
italiano e francese il 29 gennaio 2001. In particolare, non ha come oggetto di
permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo –francese, che
richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo
conto in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione europea al
progetto.”
Il testo di questo accordo in Italia è tenuto ben nascosto (ma i No Tav ne hanno avuto una
copia) per non turbare le coscienze, mentre in Francia il governo l’ha pubblicato sul suo
sito internet.
Dunque non si deve sapere e non si deve dire che NON E’ VERO che in Francia stanno per
iniziare i lavori per il tunnel della tratta internazionale! Non si deve sapere e non si deve
dire che l’Unione europea non ha ancora deciso se e quanto finanziare della Torino – Lyon.
Non si deve sapere (e infatti nessuno ne parla) che a Chiomonte, alla Maddalena, le Forze
dell’Ordine e i militari hanno requisito e blindato senza alcun documento
autorizzativo il Museo Archeologico (facendolo diventare una caserma), l’area
archeologica (che hanno provveduto a distruggere nei giorni compresi tra il 27 giugno ed il
3 luglio 2011 e che è tutt’ora utilizzata come parco per la manovra dei mezzi operativi), il
piazzale antistante il museo e quello antistante la cooperativa vinicola di Chiomonte
impedendole di fatto l’attività economica. E soprattutto non si deve far sapere che il sito
divenuto di interesse strategico nazionale riguarda soltanto l’area di cantiere delimitata
dai documenti approvati con la delibera del CIPE del 18/11/2010 pubblicata sulla G.U. il
6/4/2011, la quale si trova a circa 100 metri da queste aree requisite senza autorizzazioni,
solo grazie alla forza ed alla prepotenza.
Non si deve far sapere in giro che i fondi per il cunicolo esplorativo della Maddalena di
Chiomonte sono stati stornati dai fondi FAS destinati alla messa in sicurezza degli edifici
scolastici e per l’edilizia carceraria (delibera del CIPE del 18/11/2010 pubblicata sulla G.U.
il 6/4/2011).
Non si deve far sapere alla gente che fino ad oggi l’apparato militare per la “difesa” del
cantiere non ancora iniziato per il cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte è
costato la bella cifra di oltre 27 milioni di euro (fonte sindacati di polizia che parlano di un
costo medio di 90.000 euro al giorno).
Sono tante le cose che in questo Paese non si devono far sapere al popolo…”
Alberto Perino
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/02/adesso-parla-alberto-perino/214153/
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I tre enigmi di Giacomo
3 maggio 2012
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Sta cercando la sua Lettera (se è una Bibbia di Lutero ci resta male). (Rubens).
3 maggio – San Giacomo “il minore”, apostolo (primo secolo).
Giacomo, detto il Minore, detto il Giusto, detto il fratello del Signore, contiene in sé almeno tre enigmi: (1) davvero era
fratello di Gesù?; (2) davvero era lui, e non quel pasticcione di Pietro, il capo della Chiesa di Gerusalemme?; (3)
davvero è a causa della sua misteriosa Lettera, rigettata da Lutero, che il capitalismo si è sviluppato nel nord Europa
invece che da noi? E a questo punto, se fossi Giacobbo, manderei la pubblicità. Ma per fortuna sono sul Post, dove la
pubblicità, se c’è, a questo punto è già partita da un pezzo. Avete premuto la X rossa in alto a destra? Bravi. Ora
vediamo un enigma alla volta.
1. Era il fratello di Gesù?
I fratelli di Gesù compaiono in tre vangeli su quattro. L’unico a non parlarne è proprio Luca, il più mariano di tutti:
quello dell’arcangelo Gabriele, a cui la Madonna risponde “non conosco uomo!” All’idea di una Maria vergine prima
durante e dopo la nascita di Gesù i cristiani si affezionarono presto: rimane questo piccolo problema, che di fratelli si
parla in tre vangeli su quattro. Per i cattolici non sono proprio fratelli, è solo un modo di dire. Saranno cugini, amici,
semplici conoscenti. Eppure la parola greca è proprio αδελφοι, adelphoi; certo, in tanti altri passi del Nuovo Testamento
compare in senso figurato, ma sia in Matteo che Marco il contesto sembra riferirsi a una famiglia ristretta, con la quale
il Messia ha quel classico rapporto conflittuale che si può avere con i consanguinei: lo prendono per matto (Mc 3,21); lo
vengono a prendere, ma lui li rinnega (Mc 3,32-35).
Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma
egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti
attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».
Hai voglia a prenderli per cugini. Se la cavano meglio gli ortodossi, che immaginano dei fratellastri: Giuseppe, già
vedovo, li avrebbe portati alla sacra famiglia in dote. Le due liste di fratelli, contenute in Marco 6,3 e Matteo 13,55, non
combaciano perfettamente (Marco parla anche di “sorelle”, Matteo accenna a un padre “carpentiere”): ma in entrambe
Giacomo è il primo. Ma è lo stesso Giacomo di Alfeo che compare in tutte le liste degli apostoli? Dopo una scenata così
plateale come quella sopra citata, quante possibilità aveva un fratello o fratellastro di Gesù di essere ammesso nei
Dodici? I cattolici considerano Giacomo il minore figlio di Alfeo, zio paterno di Gesù, e di Maria di Cleofa, una delle
due o tre Marie che ruotano in modo confuso intorno agli apostoli. Di lui i vangeli non raccontano nient’altro: è un
apostolo di seconda linea, nulla di paragonabile al Giacomo Maggiore, fratello di Giovanni evangelista, evangelizzatore
della Spagna, le cui reliquie faranno la fortuna di Santiago di Compostela. Diventerà invece importantissimo (a patto
che sia lui e non un omonimo) dopo la morte e resurrezione di Gesù.
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2. Era lui il vero capo a Gerusalemme?
Su google trovi tutto, anche il Concilio di Gerusalemme in versione Lego.
A questo punto si è capito che per i cattolici Giacomo è una figura scomoda. Non solo è presentato come fratello di
Gesù: ma leggendo gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo si ha la sensazione che il vero capo della comunità
cristiana di Gerusalemme sia lui. E Pietro? Pietro è senz’altro la figura di spicco tra gli apostoli in un primissimo
momento, quando, come abbiamo visto, non sembra più nemmeno lui: parla scioltamente in tutte le lingue del mondo,
si fa incarcerare senza battere ciglio, impone ai seguaci la comunione dei beni, ammazza i fedifraghi con lo sguardo…
Ma è una fase di breve durata, che negli Atti termina più o meno in coincidenza con l’imporsi di un nuovo predicatore,
Paolo.
Paolo, come si è visto, ha tutto un altro stile, e pur essendo anche lui ebreo preferisce rivolgere la sua predicazione ai
gentili. Fino a quel momento il cristianesimo era sostanzialmente un’eresia ebraica, praticata da giudei che
continuavano a seguire le prescrizioni rituali della Torah. Per Paolo tutto questo è roba vecchia, zavorra che impedisce
alla buona novella di decollare tra i gentili. Pietro è meno estremo, e sappiamo che non cesserà di colpo l’osservanza dei
vecchi precetti, ma il sogno che ha fatto in Atti 10,9-16 lo ha spinto sulle stesse posizioni di Paolo. Quindi, se Paolo e
Pietro sono d’accordo, chi è che non ci sta? Chi è che li convoca a Gerusalemme, al cosiddetto primo Concilio, per
trovare un accordo? Giacomo il Giusto. Il contesto rende chiaro che Giacomo è il rappresentante della comunità
ebraico-cristiana; l’ultima parola, seppure conciliante, spetta a lui (At 15,19-21):
Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di
astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi
antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe.
Paolo, che pure è il rappresentante dell’istanza opposta, ha un profondo rispetto per Giacomo. Nella lettera ai Galati,
dove racconta tutto il dibattito dal suo punto di vista, lo chiama “apostolo” ma non sembra considerarlo uno dei dodici
originali. Lo definisce, invece, “fratello del Signore”, (Ga 1,19), e “colonna della Chiesa” (2,9):
…E riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la
loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.
Notate l’ordine delle colonne: Giacomo, Cefa (=Pietro) e Giovanni. Giacomo è di nuovo il primo della lista. Paolo parla
di Giacomo anche nella prima lettera ai Corinzi, nominandolo tra coloro a cui è apparso Gesù risorto (anche in questo
caso il suo nome è separato da quello degli dodici apostoli). Pietro non parla di Giacomo nelle sue lettere (ne ha scritte
molto meno), ma sempre da Paolo sappiamo che doveva avere una certa soggezione per il personaggio: quando alcuni
seguaci di Giacomo arrivano ad Antiochia, lui si rimette a osservare i precetti ebraici. Paolo se ne accorge e s’infuria –
ecco, Paolo s’infuria con Pietro, mai con Giacomo.
Che Giacomo il Giusto fosse un personaggio di primo piano lo si capisce anche da alcuni testi del primo secolo. Papia
di Ierapoli chiama Giacomo vescovo di Gerusalemme. Nel vangelo di Tommaso (uno degli apocrifi più antichi e seri,
non le favolette dal secondo secolo in poi) Gesù lo nomina capo della Chiesa. Invece il vangelo apocrifo che gli è
attribuito è una classica fanfiction del secondo secolo, con leggende che partono dalla nascita di Maria. Gli storici della
Chiesa, a partire da Egesippo, elaborano da queste poche informazioni la figura di un ebreo-cristiano onorato e stimato
da tutti, tanto che il sommo sacerdote che ordina di lapidarlo (o di gettarlo dal tetto del tempio) cade in disgrazia anche
presso gli ebrei. Di lì a poco Gerusalemme viene devastata dai Romani (70 dC): della comunità ebraico-cristiana si
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perdono le tracce, la Chiesa che sopravvive è quella de-giudaizzata di Paolo (e Pietro). La figura di Giacomo perde
consistenza. Di lui, come abbiamo visto, resta una manciata di versetti in tutto il Nuovo Testamento. E una letterina,
ammesso che l’abbia scritta davvero lui. Però anche quella letterina, a ben vedere, è una bomba. Con una miccia molto
lunga: per far esplodere l’Europa ci metterà millecinquecento anni, più o meno.
3. È colpa della sua Lettera se la Merkel e i banchieri ci tengono per le palle?
Max Weber
Naturalmente non abbiamo nessuna certezza che l’Epistola di San Giacomo Apostolo sia davvero sua. Sua di chi, poi?
Di Giacomo il fratello di Gesù (o il cugino?), di Giacomo il minore apostolo, di Giacomo il Giusto forse vescovo di
Gerusalemme? Di uno solo dei tre, o di due? Vi risparmio l’infinito dibattito tra chi sostiene che l’attribuzione a
Giacomo sia soltanto un espediente dell’autore per conferire maggiore importanza alle sue parole, e chi ritiene che tutto
sommato la lettera potrebbe anche essere stata scritta nel primo secolo da un ebreo che masticasse un po’ di greco. Il
testo non è neanche particolarmente giudaizzante: certo, contiene riferimenti a personaggi poco noti dell’Antico
Testamento (Raab la meretrice!), ma più che al Levitico sembra richiamarsi al buonsenso. Dopo aver letto Paolo è
acqua fresca, insomma. Il passo più famoso – quello che più facilmente faceva infuriare Lutero – è 2,14-18:
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un
fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è
morta in sé stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere,
ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.
A me è sempre piaciuta tantissimo, quell’esortazione ai limiti della sgarberia: hai fede? Mostramela. Io non so se ce
l’ho, ma guarda le mie opere: quelle esistono, si possono toccare. Qualcuno ha voluto trovare in questi versetti una
critica neanche velata alla dottrina di Paolo sulla salvezza per mezzo della fede. Per Paolo gli uomini (tutti, non solo gli
ebrei) erano peccatori, finché Cristo non li aveva salvati: bastava credere in lui, bastava avere fede, e tutto sarebbe
andato a posto. Inoltre i tempi stavano per finire, quindi non aveva molto senso occuparsi di cose troppo terrene. Per la
verità Paolo era tutto meno che un guru ieratico e sfaticato (continuava a mantenersi fabbricando tende), e lui stesso
talvolta si lamentava dell’inerzia di alcune comunità cristiane.
Giacomo ha la stessa preoccupazione: si fa presto a dire fede, ma di cos’è fatta la fede? Puoi mostrarmi la tua fede senza
neanche un’opera? Possiamo pensare che in un contesto ebraico le “opere” consistessero soprattutto nel rispetto formale
di una serie di precetti, ma col tempo il testo ha assunto un valore universale: la fede si esprime attraverso le opere di
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Post/teca
bene. Niente opere, niente fede. Lutero non ci voleva credere. “Lettera di paglia”, la chiamava. Al di là dei suoi scrupoli
da filologo, basta conoscerlo un po’ per capire che si trattava per lui della paginetta più indigesta del Nuovo Testamento.
Dopo che Paolo ha insistito, per più di una dozzina di lettere, nella giustificazione mediante la fede, cosa viene a dirci
questo cosiddetto Giacomo? Che la fede si mostra attraverso le opere? Ma a chi la dobbiamo mostrare? L’unico a cui
interessa è Quello che ce l’ha donata. E quindi quali opere: l’obolo di San Pietro? Vogliamo costruire chiese sempre più
grandi e addobbate? Vogliamo coprire di un altro po’ di ori e di argenti i sacerdoti della grande Babilonia? Vogliamo
mettere all’incanto un altro po’ di indulgenze? Lutero tolse la lettera dal suo canone. Robaccia buona a far ingrassare i
papi e i papisti.
Qualche secolo più tardi Max Weber, cercando di capire perché il capitalismo sia nato in certe zone dell’Europa (i Paesi
Bassi, l’Inghilterra) giunge a un’ipotesi arcinota, anche se contro-intuitiva: è stato il protestantesimo, la dottrina della
giustificazione mediante la fede. Nella sua versione hard, quella di Calvino, secondo il quale il cristiano è predestinato
alla nascita. Io perlomeno la trovo contro-intuitiva perché la prima volta che ne ho sentito parlare ho pensato che essere
calvinisti fosse una pacchia: Dio ti ha già salvato, quindi puoi fare quel che ti pare, compreso un bel niente. Dove si
vede che è inutile versare il calvinismo in una botte cattolica. Oppure Weber si sbaglia (tuttora se ne discute): se
Calvino invece di Ginevra avesse predicato a Milazzo, non ne avrebbe comunque cavato fuori nessun embrione di
capitalismo. Chi lo sa.
Però la sua ipotesi è quantomeno ingegnosa. I calvinisti, spiega, si ritrovano soli davanti a Dio, senza nessun
intermediario: chi assicura loro di essere i prescelti? Il segno della grazia è il successo professionale, che si raggiunge
attraverso il duro lavoro. Fin qui nulla di nuovo, anche la borghesia italiana sin dal medioevo dei comuni aveva trovato
nel lavoro una strada verso l’auto-affermazione. E infatti in Italia il capitalismo moderno stava quasi per nascere. Cosa
lo aveva bloccato? La necessità di mostrare le opere. Il mecenatismo. La beneficenza. Ma anche soltanto il lusso, lo
sfoggio dei propri beni, la corsa verso l’alto delle famiglie che aveva portato cittadine ancora minuscole a coprirsi di
inutili torri. Opere. Bisognava fare opere. Senza le opere, non sei nessuno. C’è scritto nella Bibbia. La Bibbia dei
cattolici.
Nelle Bibbie dei protestanti no, non c’è scritto. I calvinisti lavorano duro, ma che se ne fanno dei loro guadagni? Il
mecenatismo è una distrazione da papisti decadenti. La beneficenza è un modo per mantenere i poveracci, che sono
poveracci perché Dio non li ha scelti, pussa via. Il lusso viene da Satana. E quindi, insomma, Dio ci benedice con
somme sempre più alte di liquido, ma dove le mettiamo? Le reinvestiamo. Non abbiamo scelta, tutti i sistemi per
spenderlo sono demoniaci, non ci resta che… inventare il capitalismo moderno. Per Weber, perlomeno, le cose erano
andate così. La sua ipotesi è stata smontata più volte. Ma resta una bella storia da raccontare, proprio come le misteriose
vite dei Santi. Alla prossima.
fonte: http://www.ilpost.it/leonardotondelli/2012/05/03/i-tre-enigmi-di-giacomo/
-----------------------cosipergioco:
Può essere serio un lavoro in cui il primo consiglio (e spesso anche il più utile) per risolvere un
problema è “Hai provato a spegnere e riaccendere?”
--------------cardiocrazia:
Tutta la gente che scrive per non dimenticare, mentre io strappo le lettere e butto i diari.
Tutta la gente che fotografa per non perdere l’attimo, mentre io scatto solo per immortalare la
bellezza delle cose.
Tutta la gente che ha bisogno di qualcuno con cui parlare, mentre io riesco a sopravvivere solo se
nessuno mi domanda Come stai?
Non sono fatta per le confessioni, non sono fatta per ricordare, non sono fatta per stare con gli altri.
Grazie a dio.
----------------curiositasmundi ha rebloggato aruotalibera:
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Post/teca
“L’uomo è di fuoco, la donna di stoppa, il diavolo arriva e soffia.”
— Miguel de Cervantes (via aruotalibera)
------------------curiositasmundi ha rebloggato rivoluzionesessuale:
“L’amore prosciuga, il sesso bagna.”
— La Terza Rivoluzione Sessuale:
aruotalibera:
Fonte: aruotalibera
-------------eclipsed:
“Oggi si ricorda la nascita di Machiavelli, punto di riferimento di chi ama compiere azioni
spregiudicate, come citarlo senza averlo letto.”
— (Achille Corea)
------------
Cyberutenti di tutto il mondo unitevi!
Posted on 2 maggio 2012
Giuseppe Casarrubea
C’è una nuova categoria di persone che
Antonio Gramsci avrebbe incluso tra gli intellettuali di massa. Ed è quella del
vasto popolo degli utenti di internet. Essi, oltre ad essere produttori, sono anche
fruitori più o meno inconsapevoli, del cyberspazio grazie al quale i cieli del mondo
sono diventati autostrade del pensiero.
Ma si dà il fatto che tutti ci corrono in maniera più o meno solitaria, mentre le
persone reali, in carne e ossa, se ne rimangono relegate alle loro poltrone, e ai
sogni di tutti i giorni. Quelli che non possono circolare nello spazio impunemente,
perchè qualcuno, ancora più in alto, li sovrasta. O meglio li controlla. Come aveva
previsto Orwel. Chi è visibile ed ha diritto di parola ha un potere, quello latino del
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Post/teca
possum, chi non ha questa possibilità è marginale o non incide di fatto. Tuttavia
qualcuno ci segue tutti.
Non stiamo parlando degli elenchi in mano ai generali golpisti. Sulla loro
compilazione ormai certi settori deviati dello Stato hanno acquisito un’ampia
competenza. E pure noi. O dei mafiosi latitanti. Su di loro, pur se si hanno gli
indirizzi personali e degli “amici degli amici”, si applica sempre il beneficio
dell’inventario. Si prendono quando è ora. Di fatto, nonostante i successi ottenuti
per un gran numero di lazzaroni, essi sono destinati a restare praticamente liberi
a tempo indeterminato. Non si tratta neppure di delinquenti alle prese con il
malaffare e con il crimine organizzato, con “Cosa Nostra” o con l’intrallazzo.
George Orwell
Stiamo parlando di gente perbene, di intellettuali che un tempo Gramsci (scusate
il riferimento obsoleto), avrebbe definito intellettuali di massa. E’ il popolo che
gravita attorno ai blog, ai siti web, alla comunicazione ‘orizzontale’: il futuro che
sommergerà, da qui a qualche anno – dicono le previsioni – il mondo della carta
stampata, i monopolisti dell’informazione mass-mediale di tipo tradizionale. I
proprietari della carta stampata hanno da sempre costituito un potere speciale,
una sorta di “stay behind” della pubblica opinione. Il soccorso del potere. Chi è
stato democratico si è comportato di conseguenza, chi non lo è stato si è
comportato da pescecane.
Il popolo dei blogger è una massa libera, necessaria, opposta ai criminali. Ai
governi (si veda la primavera islamica), e a qualche altro che ci sta dietro,
piacerebbe intrappolarlo. O sottoporlo a una lista di proscrizione. Chi merita e chi
non merita.
Ora arrivano le prime avvisaglie di ciò che succederà sul piano della
comunicazione virtuale e informatica. Cioè con la trasformazione orizzontale della
comunicazione. Se non vuoi proprio dipendere da nessuno, a cominciare da quei
mostri dell’informazione che sono l’Ansa e via dicendo, in mano per lo più a gente
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Post/teca
che fa il bello e il cattivo tempo, compri uno spazio e lo gestisci secondo la tua
cultura e intelligenza. Se pensi di potere dipendere da qualcuno che ti concede di
essere ospitato perché la tua parola possa manifestarsi, lo fai dentro i limiti dello
spazio che ti viene concesso. Basta pagare. Le parole infatti non si misurano più
con la giustezza dei righi, col corpo delle lettere, col lessico dei pesanti vocabolari
che devi tenere sulla scrivania. Pagine e volumi si chiameranno in altro modo. Le
parole si misurano in chilobyte (KB), in megabyte (MB) e in Gigabyte (GB). Come
se fossero unità di misura celesti, che derivano dall’etere sempre più misterioso,
come l’universo. E fin qui nulla di male. Anzi, tutto sembra grazia di Dio.
Il fatto è, però, che le avvisaglie dei fantasmi suscitati da tanta grazia, sono
pesanti e colpiscono a fondo in modo mortale e barbarico. Peggio che ai tempi in
cui ancora la stampa non era stata inventata. Quando i baroni nei loro territori
facevano sentire il loro potere, la loro pericolosa autorità, capace di decidere della
vita e della morte di ogni singola persona. Ciascuno provava il senso dello
schiacciamento e alla fine si sentiva ben poca cosa rispetto a quel potere che aveva
la forza di farlo scomparire. Coniavano moneta, stabilivano il jus primae noctis,
imponevano tasse e taglieggiamenti vari, tenevano la popolazione sotto un
dominio ferreo. La summa di tutti questi lacci e balzelli, imposti dalla cultura
della violenza, fu (nessuno se la prenda a male) il nazismo e, prima ancora, il
nostrano fascismo che fece dell’informazione il supremo comandamento del
divieto.
Tutto era vietato e persino che la comunicazione potesse
avvenire attraverso un dialogo di piazza tra due persone che magari parlavano di
cosa stavano preparando a pranzo le loro mogli. Il ministro Severino oggi si limita
ad ammonire il popolo dei blogger, lo invita ad essere responsabile. Qualche
tribunale ne ha già messo sotto processo qualcuno, tra quelli che non sanno
starsene tranquilli, come Carlo Ruta. E siccome la misura della responsabilità la
detengono sempre lor signori, non è da escludere che prima o poi arrivi un
capocentù, con il giummo e gli stivaloni, e ci venga a dire: Ora basta. Cosa che è
successa molte volte a gente come noi. Con i costi relativi che solo noi paghiamo.
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Post/teca
Tutto questo ha a che fare con la Costituzione che avremmo dovuto imparare a
scuola materna e prima ancora quando eravamo lattanti al seno delle nostre
madri.
Con la carta stampata andranno al macero anche i diritti irrinunciabili, e quegli
altri che costituirono il fondamento della nostra società civile, del nostro Stato e
della nostra esistenza.
Ma noi, popolo del web che parliamo alla gente per ricordare cose che hanno a
che face col buon senso, dobbiamo spiegarle queste cose. Altrimenti succederà
quello che è già successo: che le verità si capovolgono e chi ha potere lo usa per
distorcerlo, per abusarne. A meno che tutto non sia già completamente cambiato
senza che nessuno di noi se ne sia accorto.
Perché è difficile che ciascuno possa accedere ai mezzi di comunicazione di massa,
se non passa dal vaglio delle nuove plutocrazie mediatiche, televisive e non, che lo
controllano. Vi è dunque una violenza sistemica e strutturata dentro lo stesso
Stato che non tende a rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio di un
diritto fondamentale, quello di espressione. E non ne è esente la Rai dove
Reporter è un’eccezione.
L’art. 21 della Costituzione recita: “La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure”. Pare che non sia così. Chiunque, infatti, corre il rischio
di vedersi messa la mordacchia per cose che si possono dire o no, a seconda delle
convenienze altrui.
L’unico prerequisito del blogger è la serietà e il senso della responsabilità.
Succede invece che in Italia non sono ormai pochi i casi di giornalisti che proprio
per dare informazioni sulle cose che sanno, non solo hanno messa la mordacchia,
ma vengono trascinati in tribunale e persino condannati. Quando non sono uccisi.
Ma non si può nascondere il sole col colabrodo!
Dunque, curatori di blog, siti web, pafine di Facebook, commensali dei banchetti
delle chat e delle newsletter e via dicendo, il nemico ci osserva. Dice di farlo in
nome della sicurezza e per la difesa della democrazia. Ma in giro ci sono lupi
rapaci che non vediamo, violentatori, terroristi del pensiero, gente che ci potrebbe
fare saltare in aria, senza bombe. Inventiamo un santo protettore, un arcangelo
che ci sia custode per terra e per i cieli. Che abbia la discrezione di non arrivare
dentro le nostre scrivanie e dirci se stiamo sbagliando. Per questo delicato
compito abbiamo la nostra coscienza. Superman o Batman non sono mai con noi.
fonte: http://casarrubea.wordpress.com/2012/05/02/cyberutenti-di-tutto-il-mondo-unitevi/
------------------curiositasmundi ha rebloggato zenzeroecannella:
“Aveva il sorriso contagioso di chi aveva sofferto tanto. Era dannatamente bella, vestita dei
suoi sbagli.”
— Il bacio oscuro, Lara Adrian (via parliamone)
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Post/teca
-------------Il nixtamal è un tipo di pasta di mais preparata mediante bollitura della granella con calce (idrossido di calcio), quindi
in ambiente fortemente alcalino. La 'nixtamalizzazioneè per conseguenza il procedimento di produzione di tale pasta,
che è poi ulteriormente trattata e spesso fermentata, ad esempio nella produzione del Pozol, per ottenere un ulteriore
significativo aumento in pregio dei nutrienti.
Il termine deriva direttamente dal náhuatl nextli, (cenere o polvere di calce), e tamalli (pasta di mais).
Caratteristiche
Il nixtamal è preparata con una tecnica consolidata ed invariata da millenni, dalle popolazioni del Centro America. La
procedura è invariabile: si cuoce il mais in acqua con una precisa proporzione di calce (idrossido di calcio), tre parti di
acqua per una parte di calce, la proporzione di calce può essere leggermente variata in funzione della durezza dei grani.
Messo a riposo una notte il seme di mais si gonfia e si spoglia dalle parti di scarto. La granella è rammollita ed è
decolorata (assume una tonalità di colore pallido, chiaro) è lavata e può essere adoperata tal quale, o è seccata; ridotta in
pasta può essere sottoposta a fermentazione. Comunque la sua trasformazione ha importantissimo valore per la messa a
disposizione dei nutrienti; il nixtamal è tipica base per le tortillas.
È in particolare importantissima la trasformazione che permette la disponibilità della Niacina, (vitamina PP, PellagraPreventing, o vitamina B3), altrimenti poco o nulla disponibile nel mais, (la carenza di Niacina, con il cibo basato
prevalentemente sul mais, ha provocato nei paesi dove non era in uso la nixtamalizzazione il terribile flagello della
Pellagra).
Le fermentazioni successive della pasta nixtamalizzata, come quelle per la preparazione del Pozol, oltre ad ottenere
vitamine fondamentali producono sostanziali aumenti in aminoacidi pregiati. Nella nixtamalizzazione, sono inoltre
mobilitati gli elementi chimici (fosforo e potassio), e sono per contro ridotti i fitati, composti organici antinutrizionali.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Nixtamal
---------------gravitazero ha rebloggato roiability:
“My goal is simple. It is a complete understanding of the universe, why it is as it is and why it
exists at all.”
— Stephen Hawking (via roiability).
Fonte: en.wikiquote.org
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La libertà nel sangue
Giunti a un certo punto del disastro, si torna a Flannery O’Connor. Si torna a Emily Dickinson, alle sorelle Brontë, a Faulkner, a
Hawthorne, a Melville, a Conrad, persino a Hölderlin o ad Artaud. «Il libro è scritto da una che crede che ci fu una caduta, ci sia stata
una Redenzione e ci sarà un giudizio», scrive la O’Connor a proposito del suo primo romanzo in una lettera risalente al 5 marzo del
1954.
Dalla fine della modernità nessuna epoca come il primo decennio del XXI secolo ha mostrato quanto l’idea di metropoli stia
nuocendo all’arte, compresa quella letteraria. Manhattan è diventato il luogo d’elezione di uomini come l’attuale ceo di Goldman
Sachs Lloyd Blankfein, vale a dire anche l’acquario dove uno scrittore può dissipare il tanto o poco talento a disposizione allargando
gli estremi delle contraddizioni più stupide e ricorrenti, di conseguenza delle più distruttive da cui oggi può farsi possedere. Di solito
si tratta di questo: bramare un tipo di fama il cui iter è sempre meno conciliabile rispetto a ciò che dovrebbe formare la vera
ambizione letteraria, e contemporaneamente, coltivare il sogno di mettere la firma proprio su uno di quei libri che solo gli scrittori
con tanta fede nel proprio lavoro da ignorare gli specchietti per le allodole sono riusciti a scrivere. Come si può stringere il santino di
Emily Dickinson macerandosi nel desiderio delle classifiche o delle comparsate televisive?
Tutta l’esistenza di Flannery O’Connor sembra protetta dalla corazza della marginalità. Provinciale nell’epoca in cui le metropoli
statunitensi raggiungono il loro massimo splendore (sono gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento), credente in un mondo di atei,
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Post/teca
cattolica in una regione di protestanti infervorati, malata mentre il salutismo sta diventando il salvacondotto per accedere al regno dei
felici molti. Ma è la dedizione a ogni aspetto della propria esistenza e a ciò che le sta intorno – e dunque il naturale disinteresse per il
superfluo, per il vuoto pneumatico dei desideri preconfezionati – a trattenerla altrove perfino mentre si avvicina al centro della vita
culturale del suo tempo, scambiando opinioni con il poeta Robert Lowell, con il grecista e traduttore Robert Fitzgerald e con sua
moglie Sally, con l’editore Robert Giroux; un altrove d’elezione che consente a Flannery O’Connor di alimentare il Canone anche
grazie al fatto di non lasciarsi stritolare dai meccanismi che lo codificano. E si tratta di meccanismi sempre più spietati.
La New York che, dopo averlo fatto re, distruggerà Truman Capote è ancora più feroce della Parigi balzachiana diIllusioni perdute;
quello era il tempo dei gazzettieri pescecani mentre questa è già l’epoca che farà dire a Billie Holiday: «Ho capito che ero uscita dal
tunnel della droga quando una mattina non ce l’ho fatta più a sopportare la televisione». Se anche quel tipo di Città è tuttavia ormai
un ricordo, spazzato a propria volta dall’onnicomprensivo deserto finanziario della metropoli contemporanea (centro e periferia),
rimane indistruttibile, dunque vivo persino nella disgrazia, chiunque abbia il coraggio per continuare a difendere l’uomo, come la
O’Connor, quando, sempre a proposito del suo romanzoLa saggezza nel sangue, scriveva: «Non credo che una sola parola di quello
che ho detto contraddica lo spirito inequivocabile del libro, vale a dire che gli esseri umani hanno libera scelta».
Proprio così, la libera scelta. Abbiamo sprecato decenni a farci ipnotizzare dai morti squali in formaldeide e dai loro invidiosi
omologhi letterari e cinematografici la cui intenzione più riposta era convincerci di appartenere al loro stesso azzeramento di
prospettiva – il falso mito secondo il quale non si sarebbe più liberi di scegliere e che, simili all’Alex diArancia meccanica dopo la
Cura Ludovico, inginocchiarsi innanzi all’idolo (dunque annullarsi) non è la conseguenza di una debolezza ma dell’assenza di
alternative. Ecco perché stiamo tornando ad amare scrittori come Flannery O’Connor: raccontando di uomini che cadono liberi di
scegliere, restituiscono dignità ai nostri fallimenti, mostrando per converso la possibilità di un riscatto, restituendoci ai nostri limiti,
dunque al profondo terribile mistero che ci appartiene inalienabilmente.
Se non fossimo liberi di scegliere il concetto di limite neanche si porrebbe, e non saremmo quindi raccontabili. Ma lo siamo.
Nicola Lagioia
fonte: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/la-liberta-nel-sangue.aspx
---------------misantropo ha rebloggato ze-violet:
L’ANTIPOLITICA LA FANNO LE PRIVATIZZAZIONI
lucoli:
“ Era scontato che il grillismo conquistasse il centro dell’arena mediatica proprio nel momento
in cui esso è diventato marginale rispetto alla questione dei veri equilibri del potere coloniale
che domina sull’Italia. Venti anni fa Beppe Grillo nei suoi spettacoli parlava dello strapotere e
degli abusi delle multinazionali; poi, mangiato vivo dalle cause civili per danni di immagine
intentategli dalle stesse multinazionali, Grillo ha progressivamente spostato la sua polemica sui
partiti, cioè sul nulla. In democrazia la libertà di parola è strettamente condizionata alla sua
ininfluenza; quando invece si parla in televisione, allora nominare una multinazionale può
mandarti sul lastrico. Strano poi che l’emergenza dell’antipolitica venga associata alla figura di
Grillo, quando alla Presidenza del Consiglio vi è un ex advisor di Goldman Sachs e del
Consiglio Atlantico della NATO. Mario Monti rappresenta infatti la personificazione di
quell’intreccio tra militarismo e finanza che è alla base del colonialismo. In un’intervista al
“Corriere della Sera”, Claudio Costamagna, un ex di Goldman Sachs, ha gridato al complottismo
per l’allarme che hanno causato i precedenti di Monti. Secondo Costamagna, quella di Monti era
una semplice funzione di consulente, ed il meschino non aveva neppure un ufficio a Goldman
Sachs, magari si sedeva pure per terra; è la linea di Goldman Sachs quella di assicurarsi la
consulenza dei più competenti, e questi danno il loro contributo disinteressatamente, per la pura
soddisfazione morale di condurre Goldman Sachs per i retti sentieri. [1] Insomma, anche Monti
sarebbe una vittima del pregiudizio e dell’invidia sociale, quasi a confermare che il governo
Monti si pone, anche sul piano del vittimismo, in continuità con Berlusconi. Nella sua
conferenza del 30 aprile, Monti ha rivendicato una sorta di rottura con il berlusconismo, di fatto
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Post/teca
da lui appoggiato negli anni scorsi, in veste di opinionista dalle colonne del “Corriere della
Sera”. Ma non basta questa polemica strumentale dell’ultim’ora per poter negare che il governo
Monti non sia altro che la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi. Berlusconi è stato
un’icona grottesca del vittimismo padronale, del “se mi lasciaste fare, allora vedreste”. Ma, a
ben vedere, anche il liberismo, di cui Monti è ideologo ed alfiere, non è affatto una dottrina
economica, bensì la retorica vittimistica del ricco incompreso, sempre avviluppato nei lacci e
lacciuoli dell’invidia sociale, soffocato dal parassitismo dei poveri che gli impedirebbero di
muoversi. Sul piano ideologico il liberismo è il lamento del ricco che si sente perseguitato,
mentre sul piano pratico il liberismo non significa concorrenza e libero mercato (che non
esistono), ma soccorso ai ricchi contro la “minaccia” costituita dai poveri. Il liberismo non è un
vero antistatalismo, ma un alibi propagandistico per riconvertire la spesa pubblica e
previdenziale in assistenzialismo per ricchi. Del tutto normale perciò che Elsa Cuornero si riveli
la ministra del Welfare per Banchieri. Che i pensionati siano obbligati ad aprire un conto
corrente e che i precari vengano vincolati ad una carta di credito, sono fatti che rientrano nella
regola aurea del capitalismo, secondo la quale sono i poveri a dover dare l’elemosina ai ricchi. Il
fenomeno Monti ha le stesse motivazioni del fenomeno Berlusconi: la marginalizzazione della
mediazione politica e della funzione di governo, che, con le privatizzazioni, sono state private
della possibilità materiale di contare qualcosa, riducendosi a lobbismo, o ad agenzia di guerra
psicologica contro i poveri. Non solo le provocazioni antioperaie della Cuornero sono risultate in
totale continuità con quelle del suo predecessore Sacconi, ma c’è di simile anche quella
compiaciuta esibizione di cialtroneria che ha lo scopo di avvilire maggiormente gli animi. Non
ci si aspettava certo che i ministri tecnici possedessero davvero anche solo una minima parte
delle competenze che sono state loro attribuite, eppure l’inconsistenza di questi personaggi ha
qualcosa di surreale. Nel ricevimento al Quirinale del Primo Maggio, la ministra Cuornero ha
elencato i dati appena sfornati dall’ISTAT, per rivelarci che la disoccupazione giovanile è in
aumento e che le donne sono le più penalizzate dalla mancanza di occupazione; e, infine, non
poteva mancare nella rassegna l’alibi eterno e onnicomprensivo del sottosviluppo meridionale,
con la terribile notizia che la crisi colpisce più al Sud che al Nord. Tutta questa fiera della
banalità presentata come se fosse l’Oracolo di Delfi; se non ci fosse il fuoco di sbarramento della
stampa calabrache, si dovrebbe ammettere che persino il Trota farebbe la sua brillante figura in
un simile consesso. Anche quaranta anni fa i ministri esibivano il proprio squallore e
rimediavano le loro brave figuracce, ma questo non sembrava essere il loro unico mestiere.
Ancora venti anni fa il ministero del Tesoro poteva incidere sull’economia poiché, ad esempio,
possedeva una sua banca - piuttosto consistente - la Banca Nazionale del Lavoro, la cui
privatizzazione fu avviata addirittura dal governo Ciampi. Dopo varie vicissitudini, la BNL è
stata acquisita nel 2006 dalla multinazionale francese BNP Paribas. Sul sito dell’attuale BNL si
plaude euforicamente alla scomparsa definitiva dello “Stato Banchiere”. [2] La privatizzazione
della BNL non ha risposto a nessuna logica economica, poiché lo Stato non vi ha guadagnato
nulla; anzi, invece di rendere, le privatizzazioni si dimostrano costose per l’erario, dato che alla
fine, per poter cedere una sua proprietà, lo Stato deve sempre assistere finanziariamente il
privato che l’acquisisce. Eppure la privatizzazione della BNL è stata un grosso affare sia per chi
l’ha acquisita, sia per i lobbisti interni alle Istituzioni che l’hanno favorita. Affari ed economia
sono cose ben distinte e spesso separate: più un affare è antieconomico, più risulta lucroso per
gli affaristi, come nel caso del tunnel TAV, ma anche nel caso della politica depressiva dei tagli
di bilancio. Numerosi economisti hanno rilevato la evidente antieconomicità di questi
provvedimenti di austerità finanziaria; ma, mentre l’economia è un gioco di equilibri, al
contrario il business può alimentarsi e giovarsi degli squilibri sociali. Ciò che Naomi Klein
chiama “Shock Economy” non è altro che il caro vecchio business della povertà, già teorizzato
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da Mandeville agli inizi del XVIII secolo. I poveri sono la principale materia prima degli affari.
Basti pensare al nesso tra finanziarizzazione e migrazione: il migrante è sempre dipendente dal
sistema finanziario, sia nel momento in cui contrae il debito che dovrà ripagare per anni andando
a lavorare all’estero, sia quando dovrà passare per i circuiti finanziari per spedire soldi a casa.
Come teorico del capitalismo, Mandeville aveva il torto di essere troppo chiaro ed esplicito,
perciò venne relegato nel dimenticatoio, lasciando spazio alle arti retoriche e fumogene di un
Adam Smith, capace di mescolare abilmente verità e mitologie in modo da confondere le acque.
Gli schemi retorici di Adam Smith non sono affatto archeologia della propaganda: Smith
denunciava i crimini delle compagnie commerciali, ma, al tempo stesso, raccomandava proprio i
provvedimenti che avrebbero fatto più comodo alle compagnie commerciali. Pare esattamente
ciò che avviene oggi con le banche, condannate in astratto, ma poi difese punto per punto nelle
scelte concrete; a cominciare dalla proposta del denaro elettronico, i cui vantaggi per il fisco
sono del tutto ipotetici e astratti, mentre risultano evidenti e concreti i benefici per le banche. La
politica ha smarrito il suo ruolo di mediazione sociale non perché gestisca troppo denaro, ma
perché ormai, a causa delle privatizzazioni, ne gestisce troppo poco. Non sono la stessa cosa il
fatto che in passato il governo controllasse delle banche, oppure il fatto che oggi i partiti stiano
nei consigli di amministrazione delle banche: nel primo caso i partiti andavano a gestire un
potere diretto, mentre nel secondo caso i politici assumono un ruolo di lobbisti delle banche. La
politica povera è la politica che non conta nulla, cioè una semplice area di reclutamento del
lobbying. Carisma, organizzazione, consenso sono spesso solo pseudonimi del denaro. Strano
che persino la Chiesa Cattolica sia d’accordo a riguardo. Nel medioevo la Chiesa Cattolica
condannava per eresia non chi praticava la povertà (come Francesco d’Assisi), bensì coloro che
invocavano una Chiesa povera. A questi eretici la gerarchia ecclesiastica replicava che una
Chiesa povera avrebbe potuto lanciare precetti morali, ma non avrebbe avuto alcun potere reale.
Per non rimanere in una visione astratta della politica, occorre contestualizzare questo
progressivo arretramento dello Stato banchiere ed imprenditore. Il processo non è cominciato
venti anni fa con il famoso convegno del panfilo Britannia, ma molto prima. La sconfitta
dell’Unione Sovietica nella guerra fredda va infatti retrodatata di almeno di sette o otto anni. Nel
1981 ci veniva raccontato che in Afghanistan gli eroici mujaheddin contrastavano l’invasione
sovietica volontaristicamente, con cariche di cavalleria e vecchi fucili. Nell’epoca di internet
sono bastate poche settimane perché almeno una minoranza venisse a conoscenza del fatto che la
“rivoluzione libica” è stata tutta una mistificazione della NATO. Negli anni ‘80 invece non si
avevano elementi per dubitare della fiaba ufficiale, che presentava l’Afghanistan schiacciato
dallo strapotente tallone sovietico. In realtà l’Armata Rossa si trovava di fronte un’enorme
esercito mercenario con base in Pakistan, reclutato dalla CIA in tutto il Medio Oriente, e
provvisto delle armi più sofisticate, dai missili antiaerei a quelli anticarro. Niente di
paragonabile all’attuale impasse della NATO in Afghanistan, poiché negli anni ‘80 l’Armata
Rossa dovette subire una vera e propria distruzione del suo apparato bellico convenzionale. La
potenza sovietica quindi era già all’angolo otto anni prima della caduta del Muro di Berlino, e
con quella data coincide l’inizio della finanziarizzazione a tappeto e dello smantellamento
dell’imprenditoria di Stato in Europa. Non si è mai calcolato a sufficienza quali siano state le
conseguenze della dismissione della siderurgia pubblica negli anni ‘80, che segnò il ritiro dello
Stato da un settore allora etichettato come “arretrato”, ma che in realtà è rimasto strategico per
gli equilibri economici mondiali. Il compromesso socialdemocratico che aveva retto l’Europa
per trenta anni, ed anche il welfare e le garanzie del lavoro, erano solo l’effetto della prudenza
dettata dalla minaccia del capitalismo di Stato sovietico. Il ruolo assunto dalla mediazione
politica e sociale sino agli anni ‘70, era esclusivamente la conseguenza dell’equilibrio di
potenza, e non di intrinseche qualità del sistema dei partiti di allora. Non appena l’equilibrio di
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Post/teca
potenza è venuto a mancare, l’illusione del professionismo politico si è sfaldata, ed il gruppo
dirigente comunista è stato quello che ha dimostrato la maggiore inconsistenza; tanto che il
passaggio degli ex PCI al nuovo acronimo DS ha finito per rispecchiare più adeguatamente il
loro contenuto: Dilettanti allo Sbaraglio. Forse è persino possibile che il ceto politico degli anni
‘80 e ‘90 si sia adagiato davvero nel mito-alibi dell’Europa, perdendo di vista il fatto che
l’Unione Europea era nata come propaggine della NATO - quindi dell’imperialismo USA -, e
come diretta applicazione dell’articolo 2 del Trattato Nord-Atlantico del 1949. La nozione di
imperialismo americano non si deve intendere come dominio tout court degli Stati Uniti, ma
come la guerra mondiale dei ricchi contro i poveri, nella quale gli USA costituiscono il
riferimento ed il supporto ideologico-militare per gli affaristi e i reazionari di tutto il pianeta. Il
procedere delle privatizzazioni e dei tagli di bilancio, fa intendere che l’aggressività imperialcoloniale non trova oggi dei veri contrappesi economico-militari che possano indurla alla
prudenza; perciò i piagnistei sul “declino americano”, sulla potenza emergente dei BRICS, sulla
crescente minaccia ideologica/militare/economica costituita da Putin ecc., potrebbero essere
soltanto una tattica vittimistica dei soliti filoamericani. Il fatto che ad alimentare il mito del
pericolo-Putin siano dei filoamericani di sicura fede come Flores d’Arcais, Paolo Guzzanti e
Roberto Saviano, rafforza questi sospetti.
[1]http://archiviostorico.corriere.it/2011/novembre/14/nostro_Paese_ammalato_complotti__co_8
_111114020.shtml [2]http://www.bnl.it/wps/portal/scopribnl/CHI-SIAMO/BNL-nelgruppo/Storia/1971-ad-oggi”
—
http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=484
Fonte: lucoli
-------------------20120504
solodascavare:
Scappo! sì, ma dove? pt.3
Una volta scomodato tanto vale fare le cose per bene, l’inerzia ci ucciderà per mano del
colesterolo, o dei governi ladri, che in fondo sono due cose molto simili.
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Post/teca
Quindi per questa terza parte ci allontaniamo dall’Europa.
Il Centroamerica partendo dal tacco: capitolo 1, Panama. Perché Sì: il mare èquesto, il paesaggio
è vario e va dalle montagne alla giungla, dalle isole del caribe fino a quelle del pacifico. A Panama
c’è lavoro, c’è crescita a doppia cifra, parlano spagnolo, Panama City è una metropoli a tutti gli
effetti e trasferendoti potresti seriamente rischiare di vivere in shorts tutta la vita. Perché No: è
corrotta come l’Italia, quando piove non si gioca, l’economia vola per banche e sicurezza, non
troppo per gli altri settori. Piccola dritta: vivere a Bocas del Toro su un’isola tutta tua è meno
proibitivo che possedere una casa in centro a Roma.
Costa Rica: Natura, natura, natura. Tanto mare, costo della vita tecnicamente nullo lo dicono anche
su “italiansinfuga”. Perché no: il cosa faccio potrebbe risultare un problema, se chi legge è un
aspirante campione di surf quel paese,ça va sans dire, è il right place to stay. Il Costa Rica è il paese
dove hanno girato “endless summer” e il motto della nazione è “Pura Vida”, tanto per esser chiari.
Per viverci senza fare nulla servono soldi, aprire un ristorante e vivere di turismo in un posto dove è
sempre estate non è una pessima idea. Per il resto l’economia si basa sulla produzione agricola.
Guatemala e Nicaragua sono molto poveri, le località turistiche offrono comunque ottime
opportunità d’investimento. Il Belize? Sulle isole, ok, per il resto lasciate perdere. Per il Messico la
questione è un poco più spinosa, evitare il confine nord e la Baja California, Città del Messico mi
inquieterebbe, il sud è super turistico, San Cristobal de Las Casas potrebbe essere una soluzione per
un tempo limitato.
E’ chiaro che questi posti sono una scelta di campo di quelle grosse, nel senso che non si va a fare la
vita del beato impiegato, professionista, informatico, consulente salcazzo che si escoria le palle a
forza di grattare. In questi posti si va a cercare l’oro, ce n’è tanto, ma bisogna buttarsi.
Con un grande Zompo, andiamo in Asia. Allora, per me è un “Sì, no, boh”. In qualsiasi paese la
lingua è l’handicap numero uno, che se coi francesi facciamo fatica perché son stronzi e parlan di
corsa, con gli asiatici è impossibile venirsi incontro.
L’india, per me (e parlando lo è stato anche per coqbaroque), è un NO secco (esperienza personale)
e non parlano inglese. La Cina è un BOH. Il resto è un NI. Nel senso che città come Hong Kong,
Singapore, Tokyo mi danno l’impressione di andare molto velocemente dalla parte opposta a dove
vorrei andare io. Per capirsi, il modello cinese mi affascina come un gelato alla verza.
Di Taiwan ci parla lasciaperdere: “La mia isola felice è Taiwan” (dove ha trascorso gli ultimi
mesi del 2011): ha un clima simile a quello dell’amata terronia, le città sono ultradinamiche, con
parchi naturali fantastici e spiagge stupende con onde da capogiro per farsi di surf. ADD-ONS: costi
bassi e stipendi in forte crescita, stile di vita e ritmi meno folli di quelli cinesi ed una popolazione
estremamente aperta, cordiale e gentile in ogni occasione. Il tutto racchiuso in un’isola che ha una
superficie poco più grande di quella della Sicilia. Lo scoglione è dichiaramente la lingua.
L’Australia, per me, rimane un bel magari. Il problema ciccciotto è il Visto, non c’è verso di
rimanere là a cazzeggiare come se Sidney o Melrbourn fossero una Londra qualsiasi. A
cangurolandia ci vai per sei mesi (un anno con il VISTO student o con il Working Holiday) poi, se
non trovi uno disposto a cacciar 15.000 dollari canguri per farti da sponsor, ti rimettono col culo
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Post/teca
sull’aeroplano e ti rimandano da Monti e dalla Merkel, oppure fai il latitante.
Usa e Canada: stesso problema dell’Australia, ci piacerebbe ma il visto.. Gli americani sognano di
vivere in Europa e noi sognamo di vivere in America, il classico complesso dell’erba del vicino.
Perché sì: tanti soprattutto validi per le coste di entrambi i paesi. Perché no: sistema troppo
competitivo, sanità a pagamento, distanze siderali da una città all’altra, i luoghi piccoli sono
altamente deprimenti.
Entrando nello specifico: trovando un lavoro negli Stati Uniti direi che sarebbe “Sì” il sud della
California, “NO” tutto quello che c’è sopra e in mezzo, potrei pensare a Boston se non facessero
meno quaranta l’inverno e a New York se non fossero in mille per ogni posto di lavoro. Per il
Canada il discorso è lo stesso di Boston e a me piace il caldo, ma dovessi essere messo alle strette
si potrebbe fare un serio pensierino su Toronto, Montreal e Vancouver.
Sud America: l’Argentina sì, il Cile sì. (spaam mi ha detto) In questi posti devi trovarti una
cittadina piccola o vai a vivere nei residence con i militari armati di AK-6 a protezione delle
cassette della posta. Quindi si potrebbe inserire tra i no la sicurezza, gli stipendi più bassi, il
cattolicesimo animista imperante. Tra i sì il boom economico, la natura imperante e la lingua
semplice.
E qui si conclude la terza parte.. Ci sarà una quarta parte con i consigli di altri lettori, la Russia,
la scelta di Onepercentaboutanything e altri ancora
---------------------curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“Il desiderio agisce come il vento. Senza uno sforzo apparente. Se si ritrova con le vele
spiegate ci trascinerà a velocità vertiginosa. se porte e finestre sono sbarrate, ci sbatterà
contro per un po’ cercando crepe o fessure che gli permettano di infiltrarsi. Il desiderio
associato a un oggetto del desiderio ci condanna a subirlo. Ma c’è un altro genere di desiderio,
astratto, sconcertante, che ci avvolge come uno stato d’animo. Annuncia che siamo pronti per
il desiderio e non ci resta che attendere, una volta spiegate le vele, che soffi il vento. E’ il
desiderio di desiderare.”
— (Saper Perdere, David Trueba (via alfaprivativa, senza-voce)
-------------------Quando il codice diventa poesia
Scritto da Andrea Chiarelli il 15-03-2012 ore 14:36
Che la programmazione sia un'attività creativa è un fatto risaputo. Ma può essere tanto creativa da
diventare poesia? In altre parole, un linguaggio di programmazione può essere utilizzato per
scrivere poesie? Poesie che comunicano sensazioni all'essere umano, ma correttamente compilabili
ed eseguibili da un computer?
Secondo Ishac Bertran è possibile, talmente possibile che ha organizzato un concorso specifico:
code {poems}.
Il concorso prevede appunto la creazione di poesie scritte utilizzando un qualsiasi linguaggio di
programmazione.
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Post/teca
Chiunque può partecipare sottoponendo alla giuria entro il prossimo 31 maggio una poesia, a patto
che rispetti le due uniche norme previste dal regolamento: abbia un peso massimo di 0,5 KB e
venga compilata senza errori.
Le poesie pervenute verranno selezionate per la pubblicazione in un insolito libro.
Anche se l'iniziativa può apparire un tantino eccentrica, non si tratta di una novità assoluta. La
comunità degli sviluppatori Perl ha una lunga tradizione in materia, risalente al primo aprile del
1990, quando apparve su Usenet la famosa Black Perl. Tradizione ancora viva grazie alla sezione
Perl Poetry di PerlMonks.
Chissà quanto gli altri linguaggi si prestano anche all'elaborazione poetica.
fonte: http://programmazione.it/index.php?entity=eitem&idItem=48411
-------------------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“Il mondo gira esattamente nella stessa direzione in cui girano le palle.”
—
(Charles Bukowski)
-------------------stripeout ha rebloggato curiositasmundi:
“E’ stata avvistata la Montalcini al capezzale di Andreotti. Brandiva una spada e gridava :
“Ne resterà solo uno!”
—
pocacola @pocacola
(via ilfascinodelvago)
Fonte: ilfascinodelvago
---------------------------
L'ANTIPOLITICA LA FANNO LE PRIVATIZZAZIONI
Di comidad (del 03/05/2012 @ 01:36:29, in Commentario 2012, linkato 313 volte)
Era scontato che il grillismo conquistasse il centro dell'arena mediatica proprio nel momento in cui esso è
diventato marginale rispetto alla questione dei veri equilibri del potere coloniale che domina sull'Italia. Venti
anni fa Beppe Grillo nei suoi spettacoli parlava dello strapotere e degli abusi delle multinazionali; poi,
mangiato vivo dalle cause civili per danni di immagine intentategli dalle stesse multinazionali, Grillo ha
progressivamente spostato la sua polemica sui partiti, cioè sul nulla. In democrazia la libertà di parola è
strettamente condizionata alla sua ininfluenza; quando invece si parla in televisione, allora nominare una
multinazionale può mandarti sul lastrico.
Strano poi che l'emergenza dell'antipolitica venga associata alla figura di Grillo, quando alla Presidenza del
Consiglio vi è un ex advisor di Goldman Sachs e del Consiglio Atlantico della NATO. Mario Monti
rappresenta infatti la personificazione di quell'intreccio tra militarismo e finanza che è alla base del
colonialismo.
In un'intervista al "Corriere della Sera", Claudio Costamagna, un ex di Goldman Sachs, ha gridato al
complottismo per l'allarme che hanno causato i precedenti di Monti. Secondo Costamagna, quella di Monti
era una semplice funzione di consulente, ed il meschino non aveva neppure un ufficio a Goldman Sachs,
magari si sedeva pure per terra; è la linea di Goldman Sachs quella di assicurarsi la consulenza dei più
competenti, e questi danno il loro contributo disinteressatamente, per la pura soddisfazione morale di
condurre Goldman Sachs per i retti sentieri. [1]
Insomma, anche Monti sarebbe una vittima del pregiudizio e dell'invidia sociale, quasi a confermare che il
governo Monti si pone, anche sul piano del vittimismo, in continuità con Berlusconi. Nella sua conferenza del
30 aprile, Monti ha rivendicato una sorta di rottura con il berlusconismo, di fatto da lui appoggiato negli anni
scorsi, in veste di opinionista dalle colonne del "Corriere della Sera". Ma non basta questa polemica
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strumentale dell'ultim'ora per poter negare che il governo Monti non sia altro che la prosecuzione del
berlusconismo con altri mezzi.
Berlusconi è stato un'icona grottesca del vittimismo padronale, del "se mi lasciaste fare, allora vedreste". Ma,
a ben vedere, anche il liberismo, di cui Monti è ideologo ed alfiere, non è affatto una dottrina economica,
bensì la retorica vittimistica del ricco incompreso, sempre avviluppato nei lacci e lacciuoli dell'invidia sociale,
soffocato dal parassitismo dei poveri che gli impedirebbero di muoversi. Sul piano ideologico il liberismo è il
lamento del ricco che si sente perseguitato, mentre sul piano pratico il liberismo non significa concorrenza e
libero mercato (che non esistono), ma soccorso ai ricchi contro la "minaccia" costituita dai poveri.
Il liberismo non è un vero antistatalismo, ma un alibi propagandistico per riconvertire la spesa pubblica e
previdenziale in assistenzialismo per ricchi. Del tutto normale perciò che Elsa Cuornero si riveli la ministra
del Welfare per Banchieri. Che i pensionati siano obbligati ad aprire un conto corrente e che i precari
vengano vincolati ad una carta di credito, sono fatti che rientrano nella regola aurea del capitalismo, secondo
la quale sono i poveri a dover dare l'elemosina ai ricchi.
Il fenomeno Monti ha le stesse motivazioni del fenomeno Berlusconi: la marginalizzazione della mediazione
politica e della funzione di governo, che, con le privatizzazioni, sono state private della possibilità materiale
di contare qualcosa, riducendosi a lobbismo, o ad agenzia di guerra psicologica contro i poveri. Non solo le
provocazioni antioperaie della Cuornero sono risultate in totale continuità con quelle del suo predecessore
Sacconi, ma c'è di simile anche quella compiaciuta esibizione di cialtroneria che ha lo scopo di avvilire
maggiormente gli animi. Non ci si aspettava certo che i ministri tecnici possedessero davvero anche solo una
minima parte delle competenze che sono state loro attribuite, eppure l'inconsistenza di questi personaggi ha
qualcosa di surreale.
Nel ricevimento al Quirinale del Primo Maggio, la ministra Cuornero ha elencato i dati appena sfornati
dall'ISTAT, per rivelarci che la disoccupazione giovanile è in aumento e che le donne sono le più penalizzate
dalla mancanza di occupazione; e, infine, non poteva mancare nella rassegna l'alibi eterno e
onnicomprensivo del sottosviluppo meridionale, con la terribile notizia che la crisi colpisce più al Sud che al
Nord. Tutta questa fiera della banalità presentata come se fosse l'Oracolo di Delfi; se non ci fosse il fuoco di
sbarramento della stampa calabrache, si dovrebbe ammettere che persino il Trota farebbe la sua brillante
figura in un simile consesso.
Anche quaranta anni fa i ministri esibivano il proprio squallore e rimediavano le loro brave figuracce, ma
questo non sembrava essere il loro unico mestiere. Ancora venti anni fa il ministero del Tesoro poteva
incidere sull'economia poiché, ad esempio, possedeva una sua banca - piuttosto consistente - la Banca
Nazionale del Lavoro, la cui privatizzazione fu avviata addirittura dal governo Ciampi. Dopo varie
vicissitudini, la BNL è stata acquisita nel 2006 dalla multinazionale francese BNP Paribas. Sul sito
dell'attuale BNL si plaude euforicamente alla scomparsa definitiva dello "Stato Banchiere". [2]
La privatizzazione della BNL non ha risposto a nessuna logica economica, poiché lo Stato non vi ha
guadagnato nulla; anzi, invece di rendere, le privatizzazioni si dimostrano costose per l'erario, dato che alla
fine, per poter cedere una sua proprietà, lo Stato deve sempre assistere finanziariamente il privato che
l'acquisisce. Eppure la privatizzazione della BNL è stata un grosso affare sia per chi l'ha acquisita, sia per i
lobbisti interni alle Istituzioni che l'hanno favorita.
Affari ed economia sono cose ben distinte e spesso separate: più un affare è antieconomico, più risulta
lucroso per gli affaristi, come nel caso del tunnel TAV, ma anche nel caso della politica depressiva dei tagli di
bilancio. Numerosi economisti hanno rilevato la evidente antieconomicità di questi provvedimenti di
austerità finanziaria; ma, mentre l'economia è un gioco di equilibri, al contrario il business può alimentarsi e
giovarsi degli squilibri sociali.
Ciò che Naomi Klein chiama "Shock Economy" non è altro che il caro vecchio business della povertà, già
teorizzato da Mandeville agli inizi del XVIII secolo. I poveri sono la principale materia prima degli affari.
Basti pensare al nesso tra finanziarizzazione e migrazione: il migrante è sempre dipendente dal sistema
finanziario, sia nel momento in cui contrae il debito che dovrà ripagare per anni andando a lavorare
all'estero, sia quando dovrà passare per i circuiti finanziari per spedire soldi a casa.
Come teorico del capitalismo, Mandeville aveva il torto di essere troppo chiaro ed esplicito, perciò venne
relegato nel dimenticatoio, lasciando spazio alle arti retoriche e fumogene di un Adam Smith, capace di
mescolare abilmente verità e mitologie in modo da confondere le acque. Gli schemi retorici di Adam Smith
non sono affatto archeologia della propaganda: Smith denunciava i crimini delle compagnie commerciali,
ma, al tempo stesso, raccomandava proprio i provvedimenti che avrebbero fatto più comodo alle compagnie
commerciali. Pare esattamente ciò che avviene oggi con le banche, condannate in astratto, ma poi difese
punto per punto nelle scelte concrete; a cominciare dalla proposta del denaro elettronico, i cui vantaggi per il
fisco sono del tutto ipotetici e astratti, mentre risultano evidenti e concreti i benefici per le banche.
La politica ha smarrito il suo ruolo di mediazione sociale non perché gestisca troppo denaro, ma perché
ormai, a causa delle privatizzazioni, ne gestisce troppo poco. Non sono la stessa cosa il fatto che in passato il
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governo controllasse delle banche, oppure il fatto che oggi i partiti stiano nei consigli di amministrazione
delle banche: nel primo caso i partiti andavano a gestire un potere diretto, mentre nel secondo caso i politici
assumono un ruolo di lobbisti delle banche. La politica povera è la politica che non conta nulla, cioè una
semplice area di reclutamento del lobbying.
Carisma, organizzazione, consenso sono spesso solo pseudonimi del denaro. Strano che persino la Chiesa
Cattolica sia d'accordo a riguardo. Nel medioevo la Chiesa Cattolica condannava per eresia non chi praticava
la povertà (come Francesco d'Assisi), bensì coloro che invocavano una Chiesa povera. A questi eretici la
gerarchia ecclesiastica replicava che una Chiesa povera avrebbe potuto lanciare precetti morali, ma non
avrebbe avuto alcun potere reale.
Per non rimanere in una visione astratta della politica, occorre contestualizzare questo progressivo
arretramento dello Stato banchiere ed imprenditore. Il processo non è cominciato venti anni fa con il famoso
convegno del panfilo Britannia, ma molto prima. La sconfitta dell'Unione Sovietica nella guerra fredda va
infatti retrodatata di almeno di sette o otto anni.
Nel 1981 ci veniva raccontato che in Afghanistan gli eroici mujaheddin contrastavano l'invasione sovietica
volontaristicamente, con cariche di cavalleria e vecchi fucili. Nell'epoca di internet sono bastate poche
settimane perché almeno una minoranza venisse a conoscenza del fatto che la "rivoluzione libica" è stata
tutta una mistificazione della NATO. Negli anni '80 invece non si avevano elementi per dubitare della fiaba
ufficiale, che presentava l'Afghanistan schiacciato dallo strapotente tallone sovietico.
In realtà l'Armata Rossa si trovava di fronte un'enorme esercito mercenario con base in Pakistan, reclutato
dalla CIA in tutto il Medio Oriente, e provvisto delle armi più sofisticate, dai missili antiaerei a quelli
anticarro. Niente di paragonabile all'attuale impasse della NATO in Afghanistan, poiché negli anni '80
l'Armata Rossa dovette subire una vera e propria distruzione del suo apparato bellico convenzionale.
La potenza sovietica quindi era già all'angolo otto anni prima della caduta del Muro di Berlino, e con quella
data coincide l'inizio della finanziarizzazione a tappeto e dello smantellamento dell'imprenditoria di Stato in
Europa. Non si è mai calcolato a sufficienza quali siano state le conseguenze della dismissione della
siderurgia pubblica negli anni '80, che segnò il ritiro dello Stato da un settore allora etichettato come
"arretrato", ma che in realtà è rimasto strategico per gli equilibri economici mondiali.
Il compromesso socialdemocratico che aveva retto l'Europa per trenta anni, ed anche il welfare e le garanzie
del lavoro, erano solo l'effetto della prudenza dettata dalla minaccia del capitalismo di Stato sovietico. Il
ruolo assunto dalla mediazione politica e sociale sino agli anni '70, era esclusivamente la conseguenza
dell'equilibrio di potenza, e non di intrinseche qualità del sistema dei partiti di allora. Non appena l'equilibrio
di potenza è venuto a mancare, l'illusione del professionismo politico si è sfaldata, ed il gruppo dirigente
comunista è stato quello che ha dimostrato la maggiore inconsistenza; tanto che il passaggio degli ex PCI al
nuovo acronimo DS ha finito per rispecchiare più adeguatamente il loro contenuto: Dilettanti allo Sbaraglio.
Forse è persino possibile che il ceto politico degli anni '80 e '90 si sia adagiato davvero nel mito-alibi
dell'Europa, perdendo di vista il fatto che l'Unione Europea era nata come propaggine della NATO - quindi
dell'imperialismo USA -, e come diretta applicazione dell'articolo 2 del Trattato Nord-Atlantico del 1949.
La nozione di imperialismo americano non si deve intendere come dominio tout court degli Stati Uniti, ma
come la guerra mondiale dei ricchi contro i poveri, nella quale gli USA costituiscono il riferimento ed il
supporto ideologico-militare per gli affaristi e i reazionari di tutto il pianeta. Il procedere delle privatizzazioni
e dei tagli di bilancio, fa intendere che l'aggressività imperial-coloniale non trova oggi dei veri contrappesi
economico-militari che possano indurla alla prudenza; perciò i piagnistei sul "declino americano", sulla
potenza emergente dei BRICS, sulla crescente minaccia ideologica/militare/economica costituita da Putin
ecc., potrebbero essere soltanto una tattica vittimistica dei soliti filoamericani. Il fatto che ad alimentare il
mito del pericolo-Putin siano dei filoamericani di sicura fede come Flores d'Arcais, Paolo Guzzanti e Roberto
Saviano, rafforza questi sospetti.
[1]
http://archiviostorico.corriere.it/2011/novembre/14/nostro_Paese_ammalato_complotti__co_8_11111402
0.shtml
[2] http://www.bnl.it/wps/portal/scopribnl/CHI-SIAMO/BNL-nel-gruppo/Storia/1971-ad-oggi
fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=484
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Il mondo in cui viviamo
Postato in Senza Categoria il 3 maggio, 2012
Una volta ero in Cambogia, con una Ngo, gente brava, che provava a dare una speranza ai bambini di
strada. A un certo punto ci siamo trasferiti in una città del sud, sul mare, piena di russi che compravano
alberghi, dalle parti di Sihanoukville se ricordo bene. Siamo andati in giro a vedere un po’ le condizioni di
quel cazzo di posto, a trattare con i potenti locali per mettere su un asilo, qualcosa del genere, io facevo
foto e dicevo idiozie, a lavorare erano quelli della Ngo. Poi siamo entrati in un quartiere di merda, cioè
non è che gli altri non fossero di merda, ma quello era più di merda degli altri. I tipi della Ngo volevano
mettere su il loro rifugio lì, appunto. Con noi c’era un medico, un francese che viveva lì da un sacco di
anni di anni e conosceva tutti, non faceva solo il medico, sapeva quali potenti ungere, perché lì bisogna
ungere i potenti anche per fare un ricovero per bimbi di strada. Nel quartiere di merda, cioè quello più di
merda degli altri, a un certo punto una madre stracciona ci ha portato il suo bambino straccione, avrà
avuto otto anni. La madre non parlava francese, neppure inglese, insomma solo khmer, ma il francese con
noi la capiva. E comunque la madre diceva che il figlio aveva male al cuore, indicava il petto, insomma la
capivo anch’io. Il medico ha tirato fuori un paio di strumenti, è stato lì una mezz’ora, poi ha salutato la
madre, le ha detto che il ragazzino non aveva niente, sarebbe andato tutto a posto da solo, poi quando la
madre se n’è andata ci ha spiegato che il bambino di otto anni ne avrà avuti davanti al massimo due,
insomma era spacciato. E io lì come un imbecille a strillargli ma come, che cazzo dici, portiamocelo via, e
lui paziente a spiegarmi che coi soldi che ci sarebbero voluti a portar via quel bambino e farlo operare in
un ospedale decente ne salvavamo altri cento di bambini in Cambogia, insomma che la smettessi di dire
cazzate da turista di merda.
Ecco, questo è il nostro mondo, il mondo in cui viviamo, e buon tutto a tutti.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/03/il-mondo-in-cui-viviamo/
--------------------------yomersapiens:
Gli umani, per sopravvivere, sono costretti ad adattarsi a quello che li circonda. Per questo, quella
ragazza che nulla sapeva di un certo tipo di musica, ora sembra diventata la massima esperta del
settore, creando orgoglio e gioia nel suo nuovo ragazzo indie. Ed è anche per questo che quel
ragazzo che mai avrebbe rinunciato a mangiare animali, adesso non riesce neanche più a sentirne
l’odore, ha eliminato il latte e qualunque prodotto essi gli abbiano mai donato, e la sua nuova
ragazza vegana gli fa patpat sulla spalla, felice di aver salvato migliaia di esseri viventi dal suo
stomaco.
Allora, tenendo bene in mente questa regola, se tutte le ragazze con cui sono stato, per adattarsi a
me, sono diventate stronze, credo che alla fine, sotto sotto, abbiano sempre cercato di suggerirmi
quello che gli stavo dando.
---------------------curiositasmundi ha rebloggato pragmaticamente:
“Siamo fatti anche noi della sostanza di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un
sogno è racchiusa la nostra breve vita.”
— William Shakespeare
La tempesta (via 10lustri)
Fonte: 10lustri
----------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
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Post/teca
“La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è
sognare.”
— A. Schopenhauer
-----------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“
Filastrocca solitaria,
voglio fare un castello in aria:
più su delle nubi, più su del vento
un castello d’oro e d’argento.
Con una scala ci voglio salire
per sognare senza dormire
e su un cartello farò stampare:
Le cose brutte non possono entrare…
O filastrocca solitaria,
si starà bene lassù in aria:
ma se un cartello scritto così
lo mettessimo anche qui?
”
— Gianni Rodari
--------------------mariaemma ha rebloggato paturniosa:
“Scrivere è come questa cosa qui: un atto di gentilezza verso qualcuno che non conosci e non
conoscerai mai. Metti insieme i pezzi e speri che qualcosa appaia, abbia un significato, aiuti a
far sì che non tutto quel che accade sia strappato da sentimenti negativi.”
— http://naviinbottiglia.gqitalia.it/2012/05/03/il-puzzle-in-pescheria/
-------------
Fotografie da guardare e comprare al MIA
4 maggio 2012
di renata ferri
Vorrei un bel quadro no, meglio una fotografia. Ritratto o paesaggio? Di quale epoca? È meglio vintage o
contemporaneo? Basta andare al MIA (Milan Image Art Fair), la fiera milanese organizzata da Fabio Castelli dal 4 al 6
maggio negli spazi di via Tortona.
Sempre più ricercate, sempre più apprezzate, oggi le fotografie d’autore dietro ai divani, sopra tavole imbandite, alle
spalle di scrivanie d’ufficio e nelle sale riunioni. Un nuovo pubblico si avvicina alla fotografia con meno soggezione di
quanta ne avesse per l’arte contemporanea, perché la fotografia sembra più facile, più decifrabile e mette meno
soggezione nell’esprimere un giudizio o nel portarsi a casa una stampa che piace, solo perché piace. I prezzi possono
essere elastici: si va dall’accessibile al capogiro con spregiudicata destrezza.
Come orientarsi? Chi sono gli intenditori che entrando in casa tua scopriranno che hai preso un vintage o una stampa
senza nessun valore commerciale? Un’immagine di Henri Cartier-Bresson vale 1.000 o 70.000 euro? Irving Penn, il
grande fotografo di moda e di tanti indimenticabili ritratti, è stato battuto all’asta a Parigi da Christie’s lo scorso
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Post/teca
novembre per cifre a sei zeri. Insieme a lui, quotazioni da capogiro per l’ormai eccessivo Gursky che nello stesso
periodo è stato battuto da Christie’s a New York per tre milioni di euro. Un piccolo Picasso. Sempre più quotata Cindy
Sherman che nel 2011 ha battuto il record dei record con 4,8 milioni per un pezzo.
La riproducibilità non deve trarre in inganno: la fotografia sa essere preziosa e “unica”, basta conoscerla, innamorarsene
e studiarla. Moda, reportage, immagini intime ma soprattutto paesaggi, sono quest’ultimi che, oltre ai grandi maestri,
vendono davvero.
Al tempo della crisi globale la fotografia assume il ruolo di bene rifugio. E la paura della “patacca” passa con i nuovi
sistemi di controllo: 4G di ArtNetWork è un sistema di archiviazione digitale di opere d’arte basato su un ologramma
sticker, posizionato sul retro dell’opera e collegato alla relativa scheda tecnica disponibile online. Chi compra, potrà
accedere a tutte le informazioni relative all’opera semplicemente inserendo il codice alfanumerico nell’apposita sezione
del sito ANWforyou o attraverso la lettura del codice presente sullo sticker tramite uno smartphone o un tablet.
Comodo no?
Paolo Ventura, un amico, tra gli autori italiani più apprezzati, mi raccontava durante l’ultima edizione di Paris Photo in
quali mercati vende le sue opere: «Va bene in Brasile e Corea del Sud ma vedo che il mercato italiano sta diventando
dinamico: aste e manifestazioni offrono un buon numero di compratori, che io divido in tre categorie: gli intenditori,
collezionisti veri che di fiera in fiera spulciano, comprano e spesso rivendono; gli appassionati che vogliono investire
denaro e sentono che la fotografia può rappresentare un buon salvadanaio; infine i benestanti che, viaggiando,
comprano per arredare, per acquisire un bene che entra di diritto nel parco del lusso e della rappresentazione dello
status»
Denis Curti, vicepresidente della Fondazione Forma, esperto di collezionismo, spiega: «Non ci sono solo i collezionisti
che privilegiano i grandi maestri; i nostri compratori sono spesso giovani che, per arredare le loro case, acquistano
preferibilmente autori emergenti a budget ridotti. Una nuova figura sono gli interior designers che, su committenza dei
loro clienti, non si limitano ad arredare le case ma scelgono anche le opere da appendere al muro. Aggiungo una piccola
novità: la fotografia d’autore debutta nelle liste di nozze». Non più solo piatti e argenti ma paesaggi da ogni angolo del
pianeta, pronti per essere appesi sulle mura dei nuovi sposi.
Ho chiesto a Fabio Castelli, l’inventore del MIA, cosa si aspetta da questa seconda edizione. «Sono molto contento del
successo dello scorso anno, contento di aver generato energie. Vorrei che l’effetto MIA ampliasse e coinvolgesse altri
protagonisti della fotografia: fondazioni e istituzioni, prima di tutto». Pensa a Forma, la fondazione milanese per la
fotografia, ma pensa soprattutto all’amministrazione pubblica, Comune, Provincia e Regione che forse dovrebbero
essere presenti e sostenere un evento che coinvolge e arricchisce la città. «Sogno per Milano un mese della fotografia e
vorrei che il MIA fosse il traino per un’operazione di questo tipo. Quest’anno ho voluto un ufficio stampa
internazionale, ho invitato grandi gallerie come Howard Greenberg o la francese Galerie Vu’, solo per fare degli esempi.
Ospitiamo il fotolaboratorio che mostra come si stampa e si sceglie una carta. Rispetto allo scorso anno abbiamo
aumentato gli espositori, coinvolto di più gli stranieri. Vedrà, vedrà com’è ricco questo MIA 2012».
E la sua collezione? continua ad acquisire opere? «Certo, compro molti contemporanei, giovani emergenti come
Susanna Pozzoli, ogni tanto qualche pezzo da 90 come Jiang Pengyi». Compra e vende? «Sì, inutile negarlo, l’attività di
scambio c’è. Ho pronta una mostra della mia collezione con 200 opere. Una mostra didattica, è lì da tempo. Spero di
parlare con l’assessore alla Cultura Stefano Boeri, mi auguro abbia orecchie per ascoltare». Esistono i falsi? «Esistono,
come in tutte le forme artistiche. Un problema specifico della fotografia è la confusione delle edizioni. Io credo che
bisogna scegliere un formato, al massimo due e fare la somma dei due per far sapere a chi compra che di
quell’immagine il totale sul mercato è di 10 o 20 pezzi».
C’è la confusione di un mercato giovane ma anche per questo ricco di vitalità e di quella dose di entusiasmo che
mescola differenti livelli creativi e genera prezzi per ogni tasca. Guardate questa serie di immagini: sono solo un piccola
selezione dei 250 espositori che potete trovare negli spazi del Superstudio Più di Via Tortona. A ognuno la sua foto
dunque, da appendere, da conservare o, un domani, da scambiare o da rivendere. E se proprio non si vuole acquistare,
potrete passeggiare tra le opere e, ad occhi bene aperti, guardare le mille interpretazioni di questo e di altri mondi.
fonte: http://www.ilpost.it/renataferri/2012/05/04/fotografie-mlan-image-art-fair/
----------------lalumacahatrecorna ha rebloggato spleenaffogato:
“Quando un donna dice: «Non ho niente da mettermi!» ciò che davvero intende è: «Qui non
c’è nulla che vada bene per incarnare la persona che voglio essere oggi».”
— Ci vogliono le palle per essere una donna | Caitlin Moran « in apnea (vialapaolina)
Fonte: lapaolina.net
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-------------30 aprile 2012
SCIENZA
Sojuz, l'Italia va in orbita
Il prossimo italiano nello spazio sarà lui. Eccone l’identikit: ufficiale e pilota dell’Aeronautica Militare Italiana, medaglia al valore
aeronautico conferitogli dal presidente della Repubblica nel 2007, esperienza con migliaia di ore di volo su velivoli di qualifica e da
combattimento. E poi, astronauta dell’Esa, selezionato nel 2009. Dulcis in fundo: assegnato ad una missione spaziale di lunga durata,
con inizio nella primavera del 2013, con destinazione la Stazione Spaziale Internazionale. È Luca Salvo Parmitano, catanese, 35 anni,
sposato e papà di due bimbe. Sarà il prossimo astronauta italiano appartenente al team di astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea
(Esa), a salire i gradini che dalla piattaforma di lancio portano al primo livello d’ingresso all’ascensore della rampa di lancio del
razzo vettore Sojuz, alla base di Bajkonur per la sua missione di sei mesi di permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Prima di macinare i milioni di chilometri in orbita terrestre per la sua impresa, il cui lancio è programmato per maggio 2013, già vola
tra una parte e l’altra del mondo, alternando la sua preparazione tra Houston, nel Texas (dove vive attualmente) e Mosca (dove sta
trascorrendo più tempo) presso il centro di addestramento dei cosmonauti russi.
Lei è ormai in piena preparazione per la missione. Immagino che si appresti a realizzare un grande sogno?
«Sicuramente. Già diventando pilota collaudatore ne avevo realizzato uno, molto importante. Fin da bambino infatti sognavo di
pilotare aeroplani. E così ho fatto di tutto per entrare, dopo gli studi, in Accademia Aeronautica, a Pozzuoli. Ma quello di fare
l’astronauta era un altro grande desiderio, che in qualche modo veniva di conseguenza a quello di pilota collaudatore».
Quindi lei rappresenta un po’, come già l’altro nostro astronauta italiano, Roberto Vittori, la figura dell’astronauta pilota
degli inizi. Un top gun che poi va in orbita?
«L’esperienza c’è, date le molte ore di volo accumulate. Ma i tempi sono cambiati ed anche il ruolo degli astronauti. Io infatti, pur
essendo un pilota, andrò nello spazio come ingegnere di bordo. Come altri astronauti europei conbackground da piloti infatti, si va
sulla stazione spaziale per tempi così lunghi per effettuare esperimenti scientifici, per lavorare nello spazio e poi per trasmettere da
lassù l’emozione e raccontare tutto ciò che realizziamo. A bordo della Soyuz sarò comunque copilota, e già ora in addestramento
prendo posto sul seggiolino di sinistra. Lo stesso che occupò Nespoli nella sua missione».
Spera di effettuare una passeggiata spaziale fuori dalla stazione?
«Lo spero. A Mosca inizierò ad addestrarmi a compiere passeggiate spaziali con lo scafandro russo Orlan. Sono tra i primi, dopo 7-8
anni, tra gli astronauti non russi, a vestire questo scafandro in addestramento, nella speranza, naturalmente, di poter davvero
compiere una passeggiata spaziale durante la mia missione. Nessun italiano finora ha avuto questa opportunità: un’esperienza che
non mi dispiacerebbe affatto provare!».
Considerando la sua giovane età, spera in seguito di prendere parte ad una missione con le nuove navicelle, tipo la Orion?
«Sicuramente, sono molto curioso nel vedere i nuovi sviluppi, e il progetto del nuovo, grande razzo americano SLS promette grandi
cose. Vedremo: per ora c’è questa missione, la Expedition 36 verso la Stazione Spaziale, che per me è davvero di grande interesse.
Poi, tutte le buone occasioni che verranno in futuro vedrò di sfruttarle nel modo giusto. Anche per noi europei ci saranno nuove sfide
per lo spazio».
Una cosa che vorrebbe fare quando sarai lassù?
«Mi piacerebbe trasmettere la passione per la scienza e per lo spazio, come già altri colleghi hanno fatto di recente. Da italiano faccio
un po’ di autocritica e dico che dobbiamo intensificare l’interesse per lo spazio ma anche per la scienza in generale. Non vedo ancora
ripagate in pieno, a livello generale, le nostre straordinarie esperienze nello spazio. Ovviamente il nostro ruolo, come astronauti è
talmente particolare e privilegiato, per trasmettere questo entusiasmo, che dobbiamo approfittarne. E poi non vedo l’ora di ammirare
da lassù l’Italia e la mia Sicilia. Ho visto alcune immagini riprese in altre missioni: un vero spettacolo!».
E DIEGO URBINA ANDRA' SUL PIANETA ROSSO
Sono rientrati sani e salvi dopo lo sbarco su Marte. Il primo uomo a mettere piede sul pianeta è stato un russo, seguito poco dopo da
un italo-colombiano. Precisiamo subito. Il luogo in cui sono sbarcati non è esattamente Marte, ma un terreno e un paesaggio che ne
hanno un aspetto molto simile, sulla base delle immagini di Marte inviate dalle sonde-robot. Si è trattato di un esperimento
internazionale battezzato non a caso "Mars500", per il numero di giorni della sua durata, che si è svolto in un centro di ricerca
avanzato, in Russia. Il secondo a sbarcare sul terreno marziano (simulato), è stato Diego Urbina, 28 anni, italo-colombiano, laureato
in ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, e un grande sogno, che, guarda caso, è proprio quello di diventare astronauta.
Indossavano gli scafandri "Orlan", cioé quelli da anni usati dai cosmonauti russi per le loro "passeggiate spaziali". Tutto si è svolto
da programma; la prima passeggiata su Marte è durata un’ora e 12 minuti, poi Urbina e Smoleevskij sono tornati a bordo del modulo
di atterraggio.
Antonio Lo Campo
fonte: http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/sojuz.aspx
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PER LE STRADE DI LOLLOVE
Posted by Lollove on venerdì, maggio 4, 2012 · 1 Comment
Cagliari-Lollove non si può certo definire un viaggio. Chiamiamola una giornata diversa. Alla
scoperta di un posto speciale. Esplorato e raccontato da due “angolature” diverse.
C. Luoghi come Lollove non si incontrano per caso. Perché hai sbagliato strada o ti è sfuggito un cartello.
Lollove si nasconde. Come se fosse il suo modo di proteggersi dal tempo. Di restare vergine come una donna
che ha fatto voto a Dio. Come Gavina. Che qui ci vive da novantadue anni e l’amico del parroco, che pure i
soldi c’aveva, «No che non l’ho sposato, Nò!»
Di giorno solo il vento si muove. E gli zoccoli di un cavallo che passeggia placido per i sentieri di un piccolo
borgo che non conosce cemento. E poi i porci che si sfregano luridi dentro ai recinti di legno di qualche
baracca. Ma è come se dopo quella non esistesse altra vita. E altro rumore.
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A. Ho pensato alla maledizione di Lollove, a quel “non crescerai e non morirai mai”, come l’acqua del mare,
che alcune suore gridarono dopo essere state cacciate in modo brusco dal paese. Dice signora Gavina che si
raccontano numerose versioni della leggenda. Forse le suore erano arrivate a Lollove per chiedere
l’elemosina ed erano state mandate via – alla faccia della misericordia – ma la versione ufficiale racconta
un’altra storia e parla delle loro tresche coi pastori del paese. Poco conta in fondo come siano andate
veramente le cose. Mai una maledizione è risultata così esatta. Lollove non cresce, questo è sicuro, e per ora
neppure muore. Rimane ferma, in un certo senso, e vive anche delle sueassenze. Un luogo dove neanche le
foglie sembrano essersi mosse da secoli, se non poco, spostate dal vento.
C. Il mio compagno di gita ha lo sguardo rivolto verso le montagne e il cielo. Che sovrastano Lollove come
una bellissima maledizione. A. ha l’espressione leggermente incupita, come se tutto questo silenzio lo stesse
assordando. Il taccuino, una penna e lo sguardo assorto. Un po’ scrive, poi si ferma, poi riscrive. Poi scatta
una foto. Precariamente. E ogni scatto è un sussulto, perché ci sono dodici foto in tutto nel rullino di questa
macchina retrò ma molto di moda, che pesa niente e sembra un giocattolo. E anche se l’angolatura non sarà
perfetta, «L’importante sono i colori». E comunque sia, comunque vada, «Sarà colpa della Lomo». Mica di
A., che il rullino l’ha montato al contrario. Click!
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A. Durante la settimana in paese non c’è praticamente nessuno. C’è signora Gavina che sta seduta di fronte
alla sua abitazione a sgranare rosari. C’è il cavallo che accoglie i visitatori all’ingresso del borgo e un
gruppetto di gatti annoiati al sole. Ci sono allevatori che vanno e vengono da Nuoro. Questo quasi tutti i
giorni. Poi, nel fine settimana, a Lollove fanno ritorno anche coloro che lavorano in città e hanno conservato
la loro abitazione in paese. In quei momenti il borgo si anima un po’. Istantanea di un’immagine inaspettata.
In un giardino ci sono dei giocattoli dimenticati a terra, segni di vita di bambini che – nel breve bagliore di
quell’immagine – quasi attenuano, almeno un po’, l’idea di decadenza immobile che accompagna il luogo. Ci
si immagina che il sabato e la domenica, tra le stradine di pietra ricoperte di muschio ed erbacce, possano
esserci dei bambini che corrono chiassosi e che ne attenuano il silenzio tombale, con risate e grida. Quei
giochi sembrano quasi cenni timidi di un futuro di Lollove ancora del tutto ipotetico.
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C. «A Lollove si sente il respiro di Dio». Gavina fa schioccare una risata breve e ci guarda come se si
aspettasse di non essere creduta. Ma io le credo. La guardo. E ascolto. Questa donna anziana,
sorprendentemente lucida per tutti gli anni che le scavano la pelle, custodisce le chiavi del paese. Vive a
Lollove da quando è nata. Anzi, ci tiene a precisarlo, «Da quando ero ancora in corso di stampa!». Il suo
italiano sicuro, impeccabile lascerebbe spiazzato chiunque. Si potrebbe rimanere ad ascoltarla per ore.
Scandisce un repertorio di parole imbevuto di credenze e ricordi. Abitudini diventate rituali. Per esempio,
trascorre giornate intere seduta sul muretto di casa a leggere preghiere, e dei «Santi molto miracolosi»
conosce tutte le storie. Nel frattempo però fa sempre anche qualcos’altro. Ora infatti sta selezionando un
cestino di favette con movimenti veloci e senza neppure guardare. E mica perché non ci veda, anzi. Ci vede
benissimo, lei. Che «Il dottore manco gli occhiali mi ha prescritto».
A. È solo nella strada del ritorno che ho pensato a una domanda da rivolgere a signora Gavina, memoria
storica del paese in grado letteralmente di arpionare con una delle sue risate squillanti l’attenzione di chi si
reca da lei per ascoltarne le storie. Raccontava del matrimonio che il parroco avrebbe voluto combinarle con
un amico suo, un uomo ricco ai tempi di quella canzone che diceva “se potessi avere mille lire al mese”, solo
che lui ne possedeva molte di più. A Gavina non interessava. «Perché io, già allora, ero innamorata della
libertà». E snocciola una teoria molto anticonformista – se comparata all’età e al periodo storico in cui ha
vissuto la sua giovinezza – che ci lascia sbalorditi e pure un pochino divertiti. «Poi sentivo le donne sposate
che dicevano “ah se potessi tornare indietro”… Come si dice? Il matrimonio è una fortezza espugnata, se sei
dentro vuoi uscire se sei fuori vuoi entrare». Soffriva di claustrofobia, dice, e poi quell’amore per la libertà
non poteva essere barattato per entrare nel “castello” di un uomo che guadagnava più di mille lire, che
all’epoca, insomma, eran soldoni. Peccato che solamente dopo, durante il viaggio di ritorno verso casa, mi sia
venuto in mente di chiederle che cosa di preciso intendesse lei per libertà.
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C. La Libertà? Io credo che per lei la libertà sia svegliarsi ogni mattina e sentire il respiro di Dio. E il
profumo dei suoi fiori, che custodisce come figli. E trascorrere giornate semplici come fa da sempre, scandite
da rituali soliti, come il ritorno dei cacciatori al tramonto. E nel frattempo magari rileggere per l’ennesima
volta il suo libro preferito di Grazia Deledda, di cui le piace parlare con chi capita lì di passaggio come noi.
Poi chissà, magari avrebbe risposto in modo totalmente imprevedibile. E tu a vivere così ci riusciresti? In un
posto fuori dal tempo, senza traffico, senza rumori, senza le luci della città…
A. Vivere in un luogo come Lollove? Lollove è come lavarsi in un luogo di pace in cui la vita è
apparentemente sospesa. Un po’ come guardare il mare. È un’immagine che smorza le inquietudini ma ti
lascia solo con te stesso. Lì non c’è l’acqua, ma un’infinita distesa di rocce, montagne e alberi, case diroccate e
sentieri dove non cammina nessuno. C’è un silenzio che letteralmente assorbe, densissimo. Un silenzio
smorzato solo dalla tua voce che in certi momenti che era l’unica cosa rimbombava – in modo chiaro! – lungo
le stradine del paese… Lollove è uno di quei luoghi che è bello pensare possano esistere. Ma…
C. Certo è che posti come Lollove lasciano qualcosa dentro. Qualcosa di ambivalente. Un po’ pace e un po’
solitudine. Autenticità e desolazione. Fortuna e maledizione allo stesso tempo. Dei contrasti fortissimi.
Neanche io ci potrei mai resistere. O diventi poeta, o diventi pazzo. Comunque… visto che ti piace tanto la
mia voce ora penso a cosa cantarti nel viaggio di ritorno…
Fine prima parte…
di Carlotta Comparetti e Andrea Tramonte
fonte: http://www.lollove.com/?p=158
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DA BORGO MEDIEVALE A SPAZIO
MEDIATICO, NASCE LOLLOVE MAG
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Posted by Lollove on mercoledì, maggio 2, 2012 · Leave a Comment
Questo editoriale nasce su un google.docs.
Quattro mani si muovono sulla tastiera nello stesso momento ma da due diversi punti d’Europa. Certo
sarebbe diverso se fossimo seduti a un tavolino, mille sigarette, una birra e il mare. Come il giorno in cui
tutto questo ha avuto inizio. Un pomeriggio piovoso di inizio gennaio, in uno dei pochissimi baretti superstiti
sul lungomare di Cagliari.
Ragionavamo sul progetto di uno spazio mediatico libero e plurale. Un network di esperienze, visioni e idee
aperto ai contributi liberi di tanti giovani sardi che scrivono, suonano, creano, sperimentano, ricercano e
immaginano.
Lo chiamiamo Lollove? E intanto le idee diventano appunti su un ritaglio di carta di fortuna. Idee che
nascono dal potere evocativo di un luogo fuori dal tempo, Lollove, una piccola frazione del comune di Nuoro,
popolato ormai solo da poche persone.
Il nome è arrivato subito, ma solo col tempo ci siamo convinti che fosse quello giusto. Nell’immaginario del
progetto, Lollove è diventato un luogo potentemente evocativo, carico di significati letti in filigrana, un filtro
attraverso il quale guardare ai problemi e alle potenzialità della Sardegna. Un filtro ambivalente. Positivo e
negativo insieme.
È suggestivo che esistano ancora luoghi come Lollove, una sorta di riserva naturale della vita nell’Isola. Un
paese carico di fascino ma allo stesso tempo privo di futuro.
Un luogo che ritrae, estremizzandolo, un fenomeno in atto in Sardegna da molti anni: lo spopolamento delle
zone dell’interno e l’invecchiamento progressivo della popolazione. Comunità di giovani sardi in esodo e un
numero di pensionati che supera quello dei lavoratori. Poche opportunità per chi decide di restare e
previsioni fosche di spopolamento negli anni a venire. Uno smottamento sociale ed economico già in atto. Ma
non irreversibile.
Così, proprio il luogo dove non c’è quasi niente al di là del respiro lungo di una vita che è più vicina alla storia
nuragica che non a quella della postmodernità delle società occidentali, parafrasando Giulio Angioni, diventa
il punto di partenza per immaginare nuove vie possibili per la Sardegna. Valorizzando il buono che c’è e
stimolando il dibattito su quello che si può migliorare, attraverso un piccolo contenitore di idee, fermenti,
storie e progetti che vengono da chi in Sardegna ha deciso di restare e chi di andare via senza rinunciare al
legame con la propria terra.
Un blog aperto e plurale di giovani giornalisti, fotografi, artisti, scrittori, musicisti, critici, architetti,
illustratori, fumettisti, designer ed esperti di aree di studio specifiche. Con l’obbiettivo di portare i migliori
contributi all’interno di un magazine cartaceo che potrebbe prendere vita già entro l’estate.
Lollove, inoltre, ha un’ambizione. Quella di proporre delle narrazioni diverse rispetto a quelle già consolidate
all’interno dell’ecosistema mediatico sardo. Seguendo le inclinazioni che vengono dalla curiosità di chi scrive,
in modo libero e creativo.
Lollove, dopotutto, è un cantiere aperto. Che si alimenta con l’entusiasmo e con la fantasia.
Andrea Tramonte e Carlotta Comparetti
fonte: http://www.lollove.com/?p=92
-------------lalumacahatrecorna ha rebloggato stizzofrenica:
lavatoconpirlana:
Fino a qui tutto bene: CARO MINISTRO MONTI TI SCRIVO… (40.000 lettere di cittadini, più
questa…o di come Cicerone e Catilina ce spicciano…
mopos:
Gentilissimi,
prima di scrivere questa mail all’attenzione della posta del cuore del Governo (o se preferite
l’angolo del cittadino cornuto) servizio, post temuto consenso Grillino, tramite il quale ci
incitate a partecipare alla cosa pubblica dopo averci esiliato per mezzo secolo, ho ritenuto
opportuno leggere tutto ciò che riguardava la Spending Rewiew, per constatare che le soluzioni
date dall’eccellenza dei tecnici, francamente, risultano al pari di un brufolo schiacciato ad un
lebbroso da un acclamato luminare della scienza, che crede di aver compiuto un importante
passo verso la guarigione del malato.
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Post/teca
Nel leggere la sezione “Cosa è stato fatto fin’ora”, infatti, sono molte le perplessità che
sorgono ad un comune cittadino:
Definizione del tetto massimo retributivo per i manager pubblici entro 304.951,95 € l’anno.
In merito a questa prima soluzione, oltre alla vostra ridicola ossessione per i decimali che
tralascio solo perché c’è qualcosa di più importante da prendere in considerazione, salta
all’occhio il ragionamento astruso per cui un metalmeccanico può vivere con pochi spiccioli al
mese, dopo aver sputato veleno per una vita intera, mentre un manager che fa spesso e volentieri
fallire aziende (rubando contributi statali), può essere “premiato” con 25.412,63 al mese. In
definitiva, però, quello che più colpisce è la parola DEFINIZIONE che vuol dire, se non vado
errato, che non è stato decretato e legiferato un bel niente e che quindi questo rimane un nobile
proposito tipo “lunedì mi metto a dieta”.
Riduzione delle auto blu.
Il dipartimento della funzione pubblica ha incaricato il FormezPA di censire le auto blu e grigie:
5.502 sono assegnate all’amministrazione pubblica centrale e 59.022 a quella locale.
Già lo scorso anno c’è stato un taglio del 13% (che più o meno sta a significare 8.000 figlie di
assessori regionali, comunali e provinciali, costrette a prendere il taxi per tornare dalla discoteca
e altrettante madri obbligate ad andare dal parrucchiere allo stesso modo).
Tuttavia il risparmio stimato è di oltre 250 milioni di euro l’anno, dalle amministrazioni locali, e
60 milioni l’anno , dall’amministrazione centrale, ma il Governo Monti ha solo modificato la
norma precedente, pertanto i cittadini sarebbero tenuti a chiedersi quale sia la reale necessità del
Governo Monti, poiché quale sia la necessità del Formez l’hanno oltremodo compresa ed è
pressoché nulla, oltre a contribuire al magna magna della macchina amministrativa, proponendo
concorsi pubblici basati sui giochi della settimana enigmistica, dietro compensi milionari e con
la possibilità di vendersi le risposte ai quiz la sera prima.
Riduzione dei voli di stato.
Il Governo ha dettato nuovi criteri per i voli di Stato. Il risparmio di spese, a seguito della
contrazione delle ore/volo pari al 92 per cento, comporta un risparmio, su base annua, di 23,5
milioni di euro.
Questo ci fa molto piacere, tuttavia c’è da chiedersi se contrazione è una diminuzione del 92%
delle ore/volo o se le ore/volo, dopo la contrazione dell’ 8% sono pari al 92% , ma soprattutto
c’è da domandarsi come mai, fin’ora, era pensabile che uno come Scillipoti potesse godere di
diritti differenti dal salumiere sotto casa mia (senza alcun offesa per il mio salumerie).
Contenimento della spesa per il personale
circa15,5 milioni di euro per gli Uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche (ciò
significa che, gli unici possibili lavoratori in seno alla politica, sono stati trombati senza toccare
lo stipendio delle loro autorità)
circa 4 milioni di euro per effetto dei numerosi interventi normativi sul pubblico impiego (es.
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Post/teca
blocco turnover, congelamento contratti, tfr) cui sono da aggiungere i numerosi pensionamenti
dell’ultimo trimestre 2011 (ciò significa che tutti i dipendenti pubblici, i quali avevano spesso
come imperativo “Non mi compete” , ora giocheranno a nomi cose animali e città nel proprio
ufficio)
circa 2,3 milioni di euro relativamente alle strutture di missione (Che dramma! Ora la Fornero
avrà un problema reale che l’accomuna al popolo: cosa abbino a fare i miei foulard da 300 euro
sul tailleur, se devo rimanere a casa?)
circa 46mila euro sugli stanziamenti in relazione agli esperti. Il numero di consulenti di Palazzo
Chigi, ad esempio, è stato ridotto da 140 a 42 (E qui scatta la ola: ben 46mila euro quando, il più
idiota dei consulenti provinciali percepisce 100mila euro l’anno? Se volete, ovviamente, vi
segnalo nomi e sprechi )
In sostanza, il contenimento della spesa del personale è di circa 21 milioni, meno del risparmio
ottenuto dalla diminuzione delle ore/volo…w la Bocconi!
Riduzione spese Difesa
Punti saliente della riforma: una graduale revisione numerica del personale militare e civile, che
– nel lungo periodo (2024) – ha l’obiettivo di ridurre il personale militare a 150 mila unità ed a
20 mila unità quello civile.
Il che vuol dire che entro il 2024 avremmo sprecato soldi inutili per fantomatiche missioni di
pace dettate dal petrolio e lasceremo indagare Bruno Vespa sugli omicidi nazionali.
Province
Il decreto legge ha abolito le giunte. Restano solo il Presidente e il Consiglio provinciale a
spartirsi la polpetta. Ha disposto inoltre una riduzione del numero dei componenti del consiglio,
le cui modalità di elezione (indiretta) sono demandate, alla stregua delle elezioni del Presidente
della Provincia, ad una legge dello Stato, ergo, ancora una volta i cittadini non sceglieranno
un’emerita minchia. Il risparmio previsto è di circa 34 milioni di Euro. (Ora, io mi chiedo: ma i
tecnici fanno previsioni attendibili come quelle del tempo?)
Economicità ed efficienza dell’azione amministrativa
Con una circolare i nostri supertecnici vorrebbero assicurarsi l’efficienza amministrativa (sono
previste sculacciate a chi disubbidisce). La comunicazione è finalizzata ad assicurare la puntuale
osservanza dei limiti di spesa fissati dalle norme ed evitare spese non indispensabili o non
ricollegabili in modo diretto ai fini pubblici assegnati alle singole strutture amministrative. Il
Presidente ha sottolineato l’esigenza di osservare scrupolosamente le disposizioni contenute nel
codice etico di ciascuna amministrazione (altrimenti gli farà personalmente la bua) con
particolare riferimento a quelle relative al divieto di accettare regali e omaggi di qualsiasi natura
di valore superiore a 150 euro. Pertanto cosa accade a Formigoni adesso? La circolare sollecita
inoltre a non effettuare spese non indispensabili e non ricollegabili in modo diretto e immediato
ai fini pubblici. Oltre ad una grassa risata, l’immediata reazione successiva è di sdegno per non
aver introdotto una norma che permetta ai Comuni virtuosi, sotto lo schiaffo del Patto di
Stabilità, di spendere i loro soldi facendo realmente girare l’economia.
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Post/teca
Operazione trasparenza.
Stipendi, redditi, beni immobili, altri incarichi dei ministri, sono resi pubblici.
Quindi? Possiamo sequestrarli e riutilizzare i beni per la collettività? No.
Inoltre la trasparenza del Governo Monti è ben poca cosa, a fronte di 50 anni di corruzione e
concussione comprovata, impunita e riciclata come economia amministrativa.
Ridateci quanto rubato da De Mita, Gava, Pomicino, Poggiolino, Bassolino, Lusi, Bossi (solo
per citare i nomi che mi vengono in mente) e se ne riparla. Potete anche rateizzarli, diversamente
temo che gli impiegati di Equipopolo siano pronti a perseguitarvi, nonostante il nuovo rigore,
almeno quanto gli strozzini di Equitalia.
Riforma della Protezione Civile
La riforma della Protezione civile, riorganizza la struttura operativa e accelera i tempi d’azione
del Servizio nazionale per la protezione civile. L’obiettivo, oltre a rafforzare l’efficacia nel
monitoraggio il controllo e nella gestione delle emergenze, è di contenere le spese di gestione.
Carissimi, l’obbiettivo, fin’ora, è stato quello di inserire, tramite il servizio civile, svariati
raccomandati, oltre a risolvere le urgenze di Bertolaso e quelle di vari speculatori edili pronti a
ridere sulle disgrazie inerenti alle calamità naturali. Francamente è un punto un po’ debole,
approssimativo e imprevedibile, per poter essere inserito in quel che avete fatto.
Soppressione di Enti e Organismi
Con il decreto “Salva Italia” sono stati ridotti i costi degli apparati pubblici. In particolare sono
stati soppressi:
L’INPDAP e l’ENPALS e le relative funzioni sono state attribuite all’INPS
(Salutate i vostri TFR con la manina poiché, se avete impiegato 3 anni per riscuoterli, adesso ne
impiegherete 15)
L’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania (EIPLI).
Tutte le funzioni sono state attribuite alle Regioni interessate. (Pertanto, si è solo trasferito il
debito da un Ente all’altro, con conseguente possibilità di nomine acchiappavoti)
L’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua;
L’Agenzia per la sicurezza nucleare. (Mi è sembrato che il popolo avesse espresso un parere
nettamente contrario con il Referendum, oltretutto abbiamo milioni di partecipate salvaculo-aitrombatidellapolitica che arrecano danni economici maggiori)
L’Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale. (Come far diventare un servizio
pubblico al pari delle vostre banche )
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Post/teca
La Commissione Nazionale per la vigilanza sulle Risorse Idriche (Vedi referendum. Idem con
patate)
La cifra del risparmio complessivo non è chiara, chiarissime sono le vostre antidemocratiche
intenzioni.
Riduzione del numero di componenti delle Autorità indipendenti
Sempre al fine di perseguire il contenimento della spesa, Salva Italia ha previsto la riduzione del
numero di componenti delle Autorità indipendenti. La riduzione ha riguardato:
Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (da 8 a 4 componenti);
Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (da 7 a 3)
Autorità per l’energia elettrica e il gas (da 5 a 3)
Autorità garante della concorrenza (da 5 a 3)
CONSOB (da 5 a 3)
Consiglio dell’ISVAP (da 6 a 3)
Commissione per la vigilanza sui fondi pensione (da 5 a 3)
CIVIT (da 5 a 3)
Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici
essenziali (da 9 a 5)
E con questo, si chiude il ciclo delle vostre proposte, che si avvicinano ad una preoccupante e
allarmante letteratura del ‘900, tra il Grande Fratello di Orwell e Cecità di Saramago.
Quindi, calcolando il quantificabile, le vostre soluzioni porterebbero un risparmio di scarsi 400
milioni di euro l’anno, ma servirebbero 7,2 MILIARDI per uscire dalla crisi o per entrare dal
buco del culo della Merkel in questa vostra Europa (perdonate la trivialità, ma non ho potuto
consentirmi di studiare alla Bocconi) che ovviamente dovremmo sudare noi.
Quale soluzione migliore se non nominare i tecnici dei tecnici?
“Qui custodiet custodes? “ diceva Platone. Chi controlla i controllori, dunque?
Questa volta, i controllori dei controllori, hanno i nomi di Enrico Bondi e del sempreverde
Giuliano Amato.
In merito a Bondi, sostengo la vostra scelta, è di quanto più appropriato per il crac di questa
Nazione, giacché il crac della Parmalat è avvenuto grazie alla stessa concussione e corruzione
che abita il vostro palazzo e che regna nei vostri istituti bancari! Vi ricorderei, infatti, che Tanzi
ha dichiarato alla Magistratura di aver finanziato fin dagli anni ‘60 diverse banche, per ottenere
crediti e condizionarne le nomine, versando contributi a Forlani, Pomicino, D’Alema, Dini, Fini,
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Post/teca
De Mita, Tabacci, Sansa, Bersani, Lusetti, Scalfaro, i quali hanno peraltro tutti negato di aver
ricevuto soldi da lui (come nella migliore delle tradizioni), tranne chi ha ammesso di aver
percepito somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, come Casini,
Prodi, Castagnetti e Segni, mentre la procura di Parma accertava e rintracciava i flussi di denaro
e tutti si difendevano dichiarando l’equivoco e sostenendo di pensare che quei soldi provenissero
direttamente da Tanzi, e non dalle casse della sua società, ovvero dalle tasche degli italiani che
compravano le azioni.(Oggi si dice “a mia insaputa”).
Risultato: I risparmiatori senza soldi, Callisto Tanzi in galera per 17 anni e i suoi amici complici
ancora lì da 50 anni a rubare. Ecco l’Italia! Ecco quanto poco necessario ci risulta Bondi, benché
affine alla politica dell’Azienda di uno Stato che avete preso in ostaggio.
Dimenticare puntualmente tutto questo, significa proporre la nostra collaborazione nella
rivisitazione della spesa pubblica allo stesso modo in cui Mariantonietta proponeva le brioche al
popolo francese che reclamava il pane insufficiente.
Perché è di pane che si tratta. E trovo quanto meno di cattivo gusto parlare di riduzione delle
pensioni e poi nominare Giuliano Amato al controllo della spesa politica, una politica che lui ha
gestito da anni, portandoci al dissesto insieme ai suoi colleghi e ricevendo in premio 33,0000 €
al mese di pensione.
Ma nella vostra Spending Rewiew, non mettete sotto accusa proprio queste?!
Ovvio, quelle dei pensionati da 350€ al mese o dei metalmeccanici che, a volte, per malattie
varie causate dal lavoro, neanche ci sono arrivati alla pensione. Non certo quelle di Amato che,
in quanto “onorevole” e “professore universitario” abbiamo già contribuito a stipendiare in
qualità di dipendente dello Stato. Sicché la vostra commissione Giovannini si ritira quando c’è
da mettere mano agli stipendi governativi, dichiarando che, tutto sommato, gli stipendi
parlamentari si equiparano al resto di Europa.
Bene, allora se è giusto questo principio, ogni cittadino ha diritto ad avere lo stesso stipendio di
un tedesco e un bilocale al centro di Milano, come in quello di Berlino, per 70,000€ circa.
Diversamente i vostri tecnici avrebbero fallito e la vostra pressione fiscale sarebbe un mezzo
insufficiente.
Diversamente, non venite a parlare di IMU e di evasione fiscale, con spot che dovrebbero avere i
volti del governo (uguali uguali a quelli dei poveri parassiti ignari riprodotti nella pubblicità), a
chi le tasse le paga da una vita senza avere in cambio un solo servizio valido.
C’è inoltre da dire che questo cattivo gusto si abbina all’ignoranza, nel senso etimologico della
parola, nel presupporre che i cittadini siano in grado di risolvere i problemi causati da questi
personaggi, tralasciando ovviamente suggerimenti come quelli di rivedere le spese di ogni casta,
nel denunciare gli sprechi!
Ma esattamente quali sprechi, caro Ministro Monti?
Dovrei forse denunciare un eccessivo numero di spazzini laddove le città sono sommerse dai
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Post/teca
rifiuti tossici della camorra?
Dovrei sottolineare un numero copioso di vigili urbani dove le strade si imbottigliano a causa di
appalti gestiti malamente dalle amministrazioni?
Dovrei mettermi contro la “violenza” di un no-tav, sostenendo la violenza del suo governo che
dichiara indispensabile arrivare in Francia in 4 ore, mentre da Palermo a Messina se ne
impiegano 9?
Vede, lei non si trova in Germania, laddove da anni basta segnalare un numero di targa per
convalidare una contravvenzione, è in un paese dove è in uso segnalare il nome di un Vigile
Urbano che la multa riesca a toglierla; tanto meno risiede in Francia, dove l’alta velocità costa
30 volte meno della nostra. Lei governa l’Italia.
Chieda quindi agli onorevoli che hanno confuso, nella mente dei cittadini, il diritto con il favore,
la soluzione.
Giacché è da più di 50 anni che hanno prodotto il danno.
Inoltre, le cose vanno denunciate da dentro, poiché è da dentro che si conoscono.
Questa è una Res Privata non Pubblica e pubblicamente la maggior parte non ha il potere di
denunciare proprio nulla, a meno che non vogliate portarci anche alla guerra dei poveri.
Le faccio un esempio calzante: per un quinquennio ho lavorato nella pubblica amministrazione
con un contratto a tempo determinato, percependo un emolumento unico in base ai miei titoli e
alle ore di lavoro. Peccato che le ore di lavoro fossero il triplo di quelle stabilite, poiché
necessarie laddove in un palazzo di centinaia di dipendenti non ne lavorava nemmeno la metà
della metà; peccato che i miei scarsi titoli bastassero a sopperire la meritocrazia di dirigenti che
percepivano il quintuplo di me; peccato che i miei 1,200 € fossero bazzecole a fronte di
collaboratori esterni che percepivano 100.000€ all’anno svolgendo una sola, e male, delle
mansioni attribuite a me e che io,da sola, continuavo a portare avanti.
Qual è il problema, quindi?
Abolire i collaboratori esterni o la forma mentis di chi li metteva lì in cerca di mandrie da
gestire, in cambio di voti e di potere? Conosco nomi che si sono riciclati per anni, che non hanno
mai affrontato il voto del popolo e che abitano ancora i palazzi, contrariamente a me, che aspetto
ancora retribuzioni dal mio ente Regione, relativi a fondi europei che distribuisce
arbitrariamente ai soliti ignobili, più che ignoti.
Come vede, questo non è il Paese della responsabilità civica, della denuncia sociale, a causa di
questa politica (la politica a cui lei è assoggettato da anni e che è a sua volta assoggettata alle
banche) è rimasto quello di Pulcinella e di Arlecchino, lasciati nell’ignoranza affinché ogni
becero potere potesse comandare, fosse l’Azzeccagarbugli, il Don Abbondio, o il Don Rodrigo
di turno, poco conta.
E ora chiedete suggerimenti?
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Post/teca
Ve li abbiamo segnalati tutti:
Legislature limitate a pochi anni, affinché lo stato non diventi al pari di un’azienda privata
senza, tuttavia, produrre alcunché.
Restituzione di tutto quanto illegittimamente i poco “onorevoli” signori hanno arraffato in
mezzo secolo: titoli, azioni, case, conti inadeguati al loro merito e alla loro competenza, beni
sottratti allo stato illegittimamente ( e visto che siete lì, qualcuno ricordi a Bossi che i soldi di un
partito non sono soldi suoi perché ne era il segretario)
Galera inoltrata per concussione e corruzione, almeno quanto spetta a un omicida, poiché è di
omicidio della vita dei cittadini che si parla.
Meritocrazia nel pubblico, divieto di nomine nella sanità, nelle partecipate, nell’università e
concorsi legali per accedere ai servizi che sono e devono rimanere pubblici, perché è il popolo
che li deve gestire, non voi.
Tetto massimo delle pensioni che non superi i 5000€, se un pensionato di 75 anni può
sopravvivere con 400€ al mese non vedo perché Amato possa morire con 5000!
Riduzione degli stipendi amministrativi di consiglieri regionali, provinciali e comunal,i che
arrivano a percepire fino a 15.000€ al mese.
Potrei arrivare ad una quarantina di voci, ma ovviamente tutti i nostri consigli riguardano
proprio i settori dove non potete mettere mano, affinché non possa succedere lo stesso con voi e
il vostro settore, quello di un’economia in mano allo 0,2% del mondo.
Quindi ve ne do uno solo, con il cuore: fossi in voi rivedrei i tagli sulla difesa, giacché i corpi
armati probabilmente saranno gli unici a difendervi, quando non ci sarà più distinzione tra notav, black block, terroristi, cassaintegrati, pensionati inferociti, piccoli imprenditori esasperati e
ci sarà solo il popolo, quello che, dopo la disperazione del suicidio, prende in ostaggio per poi
passare all’omicidio. Quello che non si accontenta di brioche e vorrà le vostre teste come ogni
popolo stanco.
-Amato, lei è disposto a ridursi la pensione d’oro?
- Non capisco la domanda.
Noi abbiamo tutte le vostre risposte che vi mancano, caro Ministro, e non le tolleriamo più.
(ricevuto su facebook e volentieri pubblico grazie a Bimba Cattiva)
e io rebloggo - e mi dispiaccio delle 4 note
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Fonte: mopos
--------------lalumacahatrecorna ha rebloggato iocheaccarezzoleortiche:
“Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
E’ il mio cuore
Il paese più straziato.”
— Giuseppe Ungaretti- San Martino del Carso (viaiocheaccarezzoleortiche)
-----------20120505
QUELLO CHE VIENE TACIUTO PER EVITARE UNA SOMMOSSA
"Nel giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da Paolo Baffi, direttore generale di Bankitalia,
deliberò di seguire lo schema d'un giovanotto, molto stimato dai Rothschild, tale Mario Monti, il quale
propose l'emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali, in modo... che il rendimento
cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni.
Il che, a detta del professorino, garantiva il potere d'acquisto e, secondo gli esiti delle aste, un piccolo
rendimento dell'1-2%. Il Tesoro, zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare
meglio la spesa pubblica. La proposta passò con standing ovation. Il deficit andò su come un proiettile. Le
spese aumentarono invece di diminuire. Mentre Mario Monti procurava il credito a tassi impossibili,
aumentarono tasse e benzina, le spese sanitarie sfondarono di mille miliardi di lirette il finanziamento statale.
"
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?
preview=false&accessMode=FA&id=1768757&codiciTestate=1&sez=hgiornali&testo&titolo=Lemme+lemme
+la+Germania+si+sta+acquistando+la+Sicilia
SI RIPRESENTA, COME UNA "ZECCA" APPASSIONATA DALLA PROPRIA INFEZIONE, NEL 1989 COME
"CONSULENTE ESPERTO" DEL MINISTRO DEL BILANCIO CIRINO POMICINO:
"... Eppure,il premier Mario Monti, chiamato a salvare l'Italia dai gorghi del default, tra il 1989 e il 1992,
erano i tempi del sesto e settimo governo Andreotti, non riuscì a impedire il peggio. Cioè l'esplosione del
rapporto tra debito e pil preludio della grande tempesta finanziaria che al principio degli anni Novanta
costrinse Giuliano Amato alla manovra da 103.000 miliardi di vecchie lire. In quei tre anni il peso del debito
balzò dal 93,1% del 1989 al 98% del 1991 e al 105,2% del 1992. Un vero boom, insomma, pari al 12,9% in
termini relativi e al 44,5% in cifre assolute, da 533,14 miliardi di euro a 799,5 "
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?
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Post/teca
preview=false&accessMode=FA&id=1747516&codiciTestate=1
ED ORA, SECONDO VOI, DAL NOVEMBRE 2011, CHIAMATO QUASI D'IMPERIO DA "O RE" NAPOLITANO,
MONTI MARIO E' ADVENUTO A NOI QUALE "NUME TUTELARE" DELLA NOSTRA ECONOMIA PER UN NUOVO
"CRESCI ITALIA",
O COME "ACCABADORA NAZIONALE" PER ACCOMPAGNARE NELLA VIA DELL'"EURO SENZA SPERANZA" GLI
ULTIMI "SINGULTI" CONVULSI E FERALI DELLA NOSTRA ITALICA DIGNITA' ED INDIPENDENZA ???
"... In termini di Teoria dei Mass Media, sintetizzata, sarebbe questa la fase due dell’attuale governo italiano,
quella succeduta al “decreto salva-Italia”??? Si sono dimenticati di spiegare chi ha salvato chi, come, dove,
quando e per quanto) e che il nostro baldo ragionier Mario Monti, a metà gennaio, ebbe la sfrontatezza di
definire “la fase della crescita e dello sviluppo”.
Stanno lanciando la moda della “sistematica produzione di falsi”.
Avendo capito di non essere assolutamente in grado né di gestire l’attuale travaglio del paese, né tantomeno
sviluppare delle idee creative per il bene comune della nazione, dando fiato all’economia, rilanciando gli
investimenti e allargando l’occupazione aprendo il mercato del lavoro, il governo si dedica ormai
sistematicamente alla produzione di falsi. Dimostrati e dimostrabili anche da un bambino."
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2012/04/il-governo-monti-dice-bugie-diffondono.html
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Lemme lemme la Germania si sta acquistando la
Sicilia
di Piero Laporta [email protected]
La Germania conquista la Sicilia con l'usura, sottraendola agli Usa, ovvero effetti geostrategici d'un collasso economico.
Un usuraio agisce aprendo crediti insostenibili alla vittima, accrescendone poi il debito attraverso ulteriori prestiti, resi
inestinguibili proprio perché a tassi usurari e a lungo termine. Per l'Italia, tale processo cominciò nel 1981, col credito
pubblico italiano in ascesa, ma non ancora incontrollabile. Nel giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da
Paolo Baffi, direttore generale di Bankitalia, deliberò di seguire lo schema d'un giovanotto, molto stimato dai
Rothschild, tale Mario Monti, il quale propose l'emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali, in
modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni. Il che, a detta del
professorino, garantiva il potere d'acquisto e, secondo gli esiti delle aste, un piccolo rendimento dell'1-2%. Il Tesoro,
zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare meglio la spesa pubblica. La proposta passò
con standing ovation. Il deficit andò su come un proiettile. Le spese aumentarono invece di diminuire. Mentre Mario
Monti procurava il credito a tassi impossibili, aumentarono tasse e benzina, le spese sanitarie sfondarono di mille
miliardi di lirette il finanziamento statale. In parallelo, s'aggiunse la situazione internazionale, con una tacita sotterranea
alleanza fra i complessi militare industriale statunitense e sovietico, dai cui effetti antidemocratici e inflazionistici il
generale Dwight Eisenhower, lasciando la Casa Bianca, mise inutilmente in guardia gli statunitensi. C'erano già state
altre nequizie economiche, come il verme solitario della legge Mosca (ItaliaOggi 28.02.2012) che dal 1972 aveva
slabbrato i margini del debito pubblico, dando pensioni (mai pagate da versamenti) a un esercito di galoppini partitici e
sindacali che sono quindi andati in pensione a sbafo, a spese cioè di tutti gli altri italiani. Altre innumerevoli elargizioni
agli amici e agli amici degli amici s'aggiunsero, sulle quali è inutile dilungarsi. La sottomissione dell'Italia al Patto
Atlantico, attraverso il debito pubblico, si perpetua da allora con la vana pretesa di rimediarvi solo attraverso tasse
iperboliche e accrescendo il debito e, con esso, il legame alle banche statunitensi. Questo tuttavia oggi offre una sponda
alla Germania per scalzare gli Usa dalla Sicilia ed entrare nel Mediterraneo. Le banche tedesche battono l'isola palmo a
palmo, offrendo finanziamenti ipotecari annuali al 12% ai possidenti che non sanno come fronteggiare l'IMU e le altre
tasse. Agli interessi, trattenuti alla fonte, sommano 4,5% per spese, commissioni e assicurazioni. I beneficiati offrono in
garanzia ipotecaria immobili di valore doppio dell'importo nominale del prestito. Un edificio da 200mila euro garantisce
un prestito nominale di 100mila euro dei quali il contraente riceve 88mila per restituire, entro un anno, 104.500euro,
pena l'esproprio dell'immobile. Bankitalia sa e sta a guardare. Entro uno o due anni la presenza tedesca nel centro del
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Post/teca
Mediterraneo sarà concreta e pesante di gran lunga più avvertibile di statunitense, nonostante le basi militari. Dopo si
vedrà.
fonte: http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?
preview=false&accessMode=FA&id=1768757&codiciTestate=1&sez=hgiornali&testo&titolo=Lem
me+lemme+la+Germania+si+sta+acquistando+la+Sicilia
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Monti consulente di Pomicino negli anni ruggenti
del debito
di Giampiero Di Santo e Franco Adriano
Non era SuperMario, ma era già un supereconomista. Eppure,il premier Mario Monti, chiamato a salvare l'Italia dai
gorghi del default, tra il 1989 e il 1992, erano i tempi del sesto e settimo governo Andreotti, non riuscì a impedire il
peggio. Cioè l'esplosione del rapporto tra debito e pil preludio della grande tempesta finanziaria che al principio degli
anni Novanta costrinse Giuliano Amato alla manovra da 103.000 miliardi di vecchie lire. In quei tre anni il peso del
debito balzò dal 93,1% del 1989 al 98% del 1991 e al 105,2% del 1992. Un vero boom, insomma, pari al 12,9% in
termini relativi e al 44,5% in cifre assolute, da 533,14 miliardi di euro a 799,5.Non che Monti avesse un posto di primo
piano nella stanza dei bottoni, questo no. L'ex rettore della Bocconi, era però un autorevole consulente del ministro del
bilancio Paolo Cirino Pomicino,alias 'o ministro, che nel 1990 prometteva urbi e orbi che l'avanzo primario di bilancio,
pari quell'anno all'1,5% del pil, sarebbe salito al 3-5%. Proprio quel Cirino Pomicino passato nelle file dell'Udc e in
occasione della caduta dell'ultimo governo Berlusconi tra i registi dell'operazione che ha condotto al cambiamento di
maggioranza. E quindi uno dei principali sponsor del Monti premier. Corsi e ricorsi della storia, si dirà, dato che ai
giorni nostri (2010) il rapporto tra debito e pil ha superato il 118%. Più del '93, quando toccò il 115,6% del pil, e non
lontanissimo dal'94, quando si superò per la prima volta il milione di miliardi di vecchie lire (un milione 69 mila
miliardi di lire, cioè il 121,8% del pil). Numeri che consentono a Pomicino, ascoltato da ItaliaOggi, di attribuire la corsa
del debito 1989-92 alla svalutazione della lira: «Tutta colpa della svalutazione, ma nella seconda repubblica il debito lo
hanno fatto salire al 120% del pil»! Come se la crisi sistemica che fa tremare anche gli Usa non si fosse mai verificata.
In quell'avventura lontana Monti era in buona compagnia: con lui, nella task force economica del Bilancio coordinata da
Paolo Savona, c'erano Antonio Pedone, Mario Arcelli e l'attuale capo del servizio studi di Bankitalia, Giancarlo
Morcaldo.
fonte: http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?
preview=false&accessMode=FA&id=1747516&codiciTestate=1
-----------------------centrovisite:
Lunedì, mercoledì
Lunedì mattina mi sono accorto che tra qualche giorno, sabato 12 maggio, io andrò a Torino a fare
un reading. Appena mi sono accorto che avrei fatto un reading, ho pensato a mia nonna. Se mi
avesse chiesto, mia nonna, «Dove vai, Paolo?» e io le avessi risposto «A fare un reading», lei
secondo me avrebbe detto «Eh? Dove vai?». «A fare un reading, nonna», le avrei detto io. «Aah, –
avrebbe detto lei – vai a… dove vai?». «A fare un reading». «E cosa fanno a un reading?».
«Leggono». «Ah – avrebbe detto lei, – ma pensa». E avrebbe scosso la testa come per dire “Questa
gioventù”. E io avrei scosso la testa anch’io come per dire “Non è la gioventù, nonna, è la
provincia”.
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Post/teca
Dopo, mercoledì mattina ero in bici su via Andrea Costa, a Bologna, tornavo dal supermercato,
andare al supermercato al mattino è una cosa che mi piace, mi sembra una cosa pulita, non so
perché, e era una giornata limpida, anche lei pulita, dopo l’acqua che era venuta martedì, e pensavo,
intanto che pedalavo, che, quand’ero piccolo, i vecchi che parlavan dell’Emilia, di come è bella
l’Emilia, di come è bella Parma, quando abitavo a Parma, di com’è bella Bologna, se avessi abitato
a Bologna, di come è bella Modena, di come è bella Reggio Emilia, di com’è bella Ferrara, ecco,
quei vecchi lì, a me, mi sembravan provinciali, l’Emilia mi sembrava soffocante, chiusa, mi
sembrava che mi mancasse il fiato, invece mercoledì mattina, su via Andrea Costa, a guardare il
cielo, era così alto, il cielo di Bologna, ci stava così tanta roba, sotto, che mi veniva in mente quella
poesia di Chlebnikov: «Poco, mi serve, una crosta di pane, un ditale di latte, e questo cielo, e queste
nuvole».
Paolo Nori, sul suo blog
--------------------ilfascinodelvago:
Cose che non puoi non sapere
Ci sono 178 semi di sesamo sulla parte superiore di un Big Mac.
Se in una statua equestre il cavallo ha le zampe davanti in aria, la persona che lo cavalca è
morta in battaglia.
Se il cavallo ha una sola zampa per aria, il tipo in sella è morto in seguito alle ferite riportate in
battaglia.
Se il cavallo ha tutte e quattro le zampe a terra, il cavaliere è morto di cause naturali.
In Scozia venne inventato un nuovo gioco chiamato: Gentlemen Only Ladies Forbidden.
Abbreviato poi in Golf. (ma dice sia una leggenda metropolitana)
Fonte: diegozilla.blogspot.it
--------------------------solinonsinascesidiventa ha rebloggato soggetti-smarriti:
Non seguitemi, mi sono perso anch'io
Fonte: visioneperfetta
--------------------20120506
booksactually:
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Post/teca
“It is that we are never so defenseless against suffering as when we love, never so helplessly
unhappy as when we have lost our loved objects or its love.”
Happy Birthday, Sigmund Freud !
(6 May 1856 – 23 September 1939)
-----------------misantropo ha rebloggato ze-violet:
ze-violet:
È con piacere che dichiariamo aperto MACAO, il nuovo centro per le arti di Milano, un grande
esperimento di costruzione dal basso di uno spazio dove produrre arte e cultura. Un luogo in cui
gli artisti e i cittadini possono riunirsi per inventare un nuovo sistema di regole per una gestione
condivisa e partecipata che, in totale autonomia, ridefinisca tempi e priorità del proprio lavoro e
sperimenti nuovi linguaggi comuni. Siamo artisti, curatori, critici, guardia sala, grafici, performer,
attori, danzatori, musicisti, scrittori, giornalisti, insegnanti d’arte, ricercatori, studenti, tutti coloro
che operano nel mondo dell’arte e della cultura.
Da un anno ci stiamo mobilitando, riunendoci in assemblee dove discutere della nostra situazione
di lavoratori precari nell’ambito della produzione artistica, dello spettacolo, dei media,
dell’industria dell’entertainment, dei festival e della cosiddetta economia dell’evento. A questa
logica per cui la cultura è sempre più condannata ad essere servile e funzionale ai meccanismi di
finanziarizzazione, noi proponiamo un’idea di cultura come soggetto attivo di trasformazione
sociale, attraverso la messa al servizio delle nostre competenze, per la costruzione del comune.
Rappresentiamo una fetta consistente della forza lavoro di questa città che per sua vocazione è da
sempre un avamposto economico del terziario avanzato. Siamo quella moltitudine di lavoratori
delle industrie creative che troppo spesso deve sottostare a condizioni umilianti di accesso al
reddito, senza tutela, senza alcuna copertura in termini di welfare e senza essere nemmeno
considerati interlocutori validi per l’attuale riforma del lavoro, tutta concentrata sullo strumentale
dibattito intorno all’articolo 18. Siamo nati precari, siamo il cuore pulsante dell’economia del
futuro, e non intendiamo continuare ad assecondare meccanismi di mancata redistribuzione e di
sfruttamento. Apriamo MACAO perché la cultura si riprenda con forza un pezzo di Milano, in
risposta a una storia che troppo spesso ha visto la città devastata per mano di professionisti di
appalti pubblici, di spregiudicate concessioni edilizie, in una logica neo liberista che da sempre ha
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Post/teca
umiliato noi abitanti perseguendo un unico obiettivo: fare il profitto di pochi per escludere i molti.
Oggi vogliamo restituire alla cittadinanza questo grattacielo, simbolo di quel sogno economico
capitanato da grossi gruppi finanziari e tutt’ora nelle mani di uno dei più arricchiti e collusi
burattinai della speculazione edilizia milanese.
Dalla primavera scorsa molti cittadini, artisti e operatori culturali hanno dato vita a esperienze
inedite, attraverso pratiche di occupazione di spazi dismessi dal pubblico e dal privato, esperienze
che stanno dimostrando di poter durare nel tempo occupandosi di cultura, territori, lavoro, nuove
forme di economia e nuove forme di espressione dell’intelligenza collettiva.
Crediamo che la produzione artistica vada del tutto ripensata: dobbiamo prenderci questo tempo e
questo diritto in modo serio e radicale, occupandoci direttamente di ciò che è nostro. Macao è
questo, uno spazio di tutti, che deve diventare un laboratorio attivo in cui sono invitati i lavoratori
dell’arte, dello spettacolo, della cultura, della formazione e dell’informazione. Qui artisti,
intellettuali, esperiti del diritto, della legge e della costituzione, attivisti, scrittori, film maker,
filosofi, economisti, architetti
e urbanisti, abitanti del quartiere e della città, devono prendersi il tempo necessario per costruire
una dimensione sociale, comune e cooperante. Abbiamo un sacco di lavoro da fare, dobbiamo
trasformare queste parole in pratiche reali sempre più efficaci e costituenti di modelli alternativi a
quelli in cui viviamo, e tutto dipende da noi. Occorre non dare per scontato nulla producendo
inchieste competenti, dibattiti, analisi e momenti di confronto riguardo tutti
i territori che producono disuguaglianze ed espropriazione di valore, non tralasciando le nuove
forme con cui l’ideologia capitalista si sta travestendo. Occorre avere gioia e umorismo per
trasformare questo impegno in un momento umano, collettivo e liberato. Occorre aver cura di
questo spazio perché possa essere adatto a ospitare tutti. Occorre che
in questo spazio l’arte e la comunicazione smettano di essere attività fini a se stesse, ma esplodano
e trovino le loro motivazioni all’interno di questa lotta, costruendo nuovi immaginari ed
esplicitando quale mondo vediamo. Viva Macao e buon lavoro a tutti.
Siamo una rete di soggetti che stanno operando fianco a fianco all’interno di questa lotta:
Lavoratori dell’arte
Cinema Palazzo di Roma
Teatro Valle Occupato di Roma
Sale Docks di Venezia
Teatro Coppola di Catania
Asilo della Creatività e della Conoscenza di Napoli
Teatro Garibaldi Aperto di Palermo.
ps è proprio di fronte al Formigone, l’orribile grattacielo nuova sede della Regione costruita sul
boschetto di Gioia
su L’Isola dei Cassaintegrati molte info sui social di Macao, che ha anche iltumblo
Fonte: milanoinmovimento.com
-------------------stripeout ha rebloggato ilfascinodelvago:
“Il romanticismo e la seduzione sono l’equivalente dell’annusarsi il culo fra cani. E i cani sono
anche più furbi e svelti.”
— HJ (via ilfascinodelvago)
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Post/teca
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Unavecchiastoriaeunanuovaidea:JakBank
Scritto il 19/03/2012 |
Questa volta smetto di scrivere e vi riporto un racconto di Gabriella Canova che mi è piaciuto e che fa
pensare. Riguarda il mondo di una volta, quello in cui il denaro non era un incubo ma migliorava la vita
umana. Un racconto che finisce per parlare della nascente Jak Bank Italia, a mio avviso una gran bella
idea. Buona lettura.
“Quando ero ragazza abitavo in un quartiere di Padova, in periferia. Alla fine della mia strada c’era una
“fiaschetteria”, un posto dove si vendeva vino sfuso e non ricordo che altro, non proprio un bar, forse
oggi si chiamerebbe “enoteca”.
Alla fiaschetteria la domenica mattina si raccoglievano i soldi della “cassa peota”, una sorta di banca di
quartiere. In pratica l’oste, o qualcuno considerato persona onesta, aveva il compito di raccogliere i
piccoli risparmi delle famiglie, per esempio un po’ di denaro che le donne riuscivano a mettere da parte
dalla spesa della settimana. Ricordo che mia madre mi dava 5/10mila lire che portavo alla fiaschetteria,
dove mi davano una ricevuta; una volta all’anno, poi, tutti si ritrovavano per una cena, oppure si
organizzavano vacanze particolarmente convenienti, ecc.
Ma in realtà la cassa peota serviva soprattutto in caso di necessità o in quei mesi dell’anno
particolarmente critici come settembre, quando iniziavano le scuole e bisognava comperare i libri, o
quando si voleva andare in vacanza e bisognava pagare l’affitto della casa al mare. Si andava dall’oste,
si esponeva il caso e questi dava il prestito che si restituiva un po’ alla volta, sempre con pochi soldi la
domenica mattina.
La cassa peota non si sostituiva alla banca, ma era una sorta di cassa comune del quartiere, gestita da
una persona di fiducia che sapeva far fruttare qualche interesse (perché l’unione fa la forza e pochi soldi
di ognuno diventavano cifre interessanti quando si era in tanti e gli interessi bancari al tempo erano un
po’ più alti), e che serviva ad avere un prestito veloce e senza tante garanzie e aperture di pratiche
complicate. Che il debito sarebbe stato onorato era indubbio, ne andava del buon nome e della
reputazione del richiedente. Inoltre l’oste conosceva vita, morte e miracoli di tutti e sapeva come
gestire i prestiti.
Insomma, era una buona pratica: come l’acquisto collettivo della carne o la raccolta delle olive in altre
parti d’Italia.
Negli anni la cassa poeta è scomparsa, peccato.
Oggi la “questione banche” è sempre più all’ordine del giorno, abbiamo l’impressione, e chissà se poi è
solo un’impressione, di essere invischiati in un circolo vizioso in cui in un modo o nell’altro abbiamo
sempre a che fare con questo organismo che viviamo come un nemico, qualcuno che per darci soldi in
prestito ne chiede a garanzia mille volte di più, che per ogni operazione anche minima chiede
commissioni altissime ecc.
Ma non in tutti i Paesi è così, in Svezia, per esempio esiste la JAK Bank, JAK è un acronimo in lingua
svedese: Jord, Arbete, Kapital. In italiano Terra, Lavoro, Capitale, tre elementi di base del sistema
economico.
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Post/teca
JAK Medlemsbank è una banca che opera in Svezia dal 1973 e che ha una caratteristica molto particolare:
i risparmiatori non ricevono interessi sul capitale versato, mentre coloro che prendono prestiti pagano
unicamente una commissione, corrispondente ai costi di gestione della banca.
Insomma, come afferma una teoria economico-finanziaria, il denaro è stato inventato e va utilizzato allo
scopo di migliorare la qualità della vita degli esseri umani, e dunque – secondo la filosofia che guida
l’azione della JAK – è necessario superare il dogma del tasso di interesse.
Pensate che vi sono modelli matematico-economici realizzati da economisti svedesi e tedeschi (Margrit
Kennedy in testa) dove si evidenzia che circa il 90% delle persone paga in media, di interessi, più di
quanto riceve.
E quanto vale sia che si prenda in considerazione un lasso di tempo limitato (ad esempio, un anno), sia
che si consideri la vita intera della persona.
In altre parole, il bilancio tra interessi passivi (pagati su mutui e altri prestiti, principalmente per beni
di consumo e per avviare/espandere attività imprenditoriali), interessi occulti (costi del credito che tutti
gli operatori della filiera produttiva portano inevitabilmente nei prezzi dei prodotti) e interessi attivi
(sui conti correnti e reddito da capitale in generale) è negativo per il 90% delle persone, e positivo per il
10% circa.
Questo processo conduce al progressivo impoverimento del 90% della popolazione: più una persona è
povera, più, nel corso della propria vita, avrà bisogno di prendere prestiti; più una persona è ricca, meno
ne avrà bisogno e, anzi, più guadagnerà in interessi, in virtù del solo fatto di possedere denaro.
JAK è dunque non solo un progetto importante ma anche una nuova immagine di banca, gestita da
persone (ogni socio gode di un voto nell’assemblea) che mettono a disposizione di altre persone i propri
risparmi e dove la perdita di potere d’acquisto derivante dall’inflazione è ampiamente compensata
dall’assenza di interessi passivi
Non ricevi interessi, non paghi interessi… semplice no?
Nel caso della JAK Medlemsbank, a gestire il sistema sono i dipendenti. Come dicevamo, chi prende una
somma in prestito paga una commissione, con la quale si coprono gli stipendi, e che in piccola parte serve
a mantenere un “fondo di sicurezza” da utilizzare nel caso di perdite, e per finanziare attività di ricerca
e sviluppo.
L’esperienza svedese sta dimostrando che il modello può funzionare! La JAK in Svezia è dotata di un
capitale sociale di oltre sei milioni di euro, ha 30 dipendenti, nessuno sportello al pubblico ma efficaci
servizi di home-banking sul web e di assistenza telefonica. Una rete di circa 400 volontari è impegnata
nella promozione del modello in tutto il Paese e nelle attività di consulenza, formazione ed educazione
nei confronti dei cittadini sul tema del risparmio e del consumo critico. I clienti/soci operano mediante il
“sistema di risparmio e prestito bilanciato libero da interessi” (the balanced savings and loan system
interest-free). A garantire la liquidità del sistema è il meccanismo dei “punti risparmio”: punti che si
accumulano nei periodi in cui il socio effettua depositi e si decrementano nei periodi in cui accede al
finanziamento.
Il “punto risparmio” è l’unità di misura monetaria moltiplicata per un mese (ad esempio una persona che
deposita un euro per un mese ha maturato un punto risparmio; una persona che chiede 100 euro per due
mesi dovrà rifondere 200 “punti risparmio”). Affinché il sistema sia sostenibile, è necessaria dunque
l’uguaglianza tra i “punti risparmio guadagnati” e i “punti risparmio spesi”. Al momento dell’accensione
del prestito, se i punti accumulati non sono sufficienti a compensare quelli che il prestito consumerà, il
socio si obbliga a effettuare un deposito aggiuntivo sul proprio conto, attuando così il meccanismo del
“post-risparmio” durante il periodo di rimborso e mantenendo in equilibrio il sistema.
I finanziamenti sono erogati dietro presentazione di una cauzione pari al 6% della somma erogata, che
viene restituita al buon fine del piano di rientro. In caso di mancato pagamento, prima di procedere con
le tradizionali iniziative per il recupero, intervengono azioni tipiche della filosofia cooperativa
attraverso la dilazione dei pagamenti, la sospensione dei pagamenti per un periodo o l’intervento di altri
soci che prestano i propri punti risparmio. La banca non carica o paga interessi sui suoi prestiti/risparmi.
Tutte le attività della banca avvengono fuori dal mercato finanziario poiché i suoi prestiti sono finanziati
solamente dai risparmi dei soci.
Con il modello JAK la banca torna alla propria funzione principale: raccogliere danaro e ridistribuirlo per
assolvere semplicemente al servizio del credito. Il credito è comunque erogato nel rispetto delle
garanzie richieste dall’organo di vigilanza; una particolare attenzione è data alle economie dei territori
e ai progetti legati alla crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente.
Un’altra importante componente dell’azione JAK è la diffusione di cultura e consapevolezza rispetto ai
processi economici. L’idea di base è che i meccanismi dell’economia sono in realtà molto più semplici di
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Post/teca
quanto non si creda comunemente, e che ogni persona deve essere in grado di discutere di questioni
economiche.
Il progetto JAK si è concretizzato in esperienze distinte nello spazio e nel tempo: la prima in realtà fu in
Danimarca, dove un’associazione JAK realizzò diversi esperimenti negli anni ’30 e successivi. In Svezia,
come dicevamo, questo sistema di risparmio e prestiti nato nel 1973 si è evoluto nella JAK Medlemsbank,
che nel 2011 contava 38.000 soci.
Se ne comincia finalmente a parlare anche in Italia, dove un gruppo di persone, da settembre 2008, si sta
impegnando per concretizzare un sistema JAK di risparmio e prestiti.
Per maggiori informazioni e per iscriversi all’Associazione Jak Italia vedi al sito
http://www.jakitalia.it/, c’è anche un video molto semplice che spiega il meccanismo di questa banca
che ci sembra un po’ più “umana”. Anche in questo caso l’unione fa la forza, se l’Associazione avrà
seguito, l’esperienza Jak si può concretizzare anche nel nostro Paese, hai visto mai che ritorni la cassa
peota?”
fonte: http://www.antoniocajelli.it/2012/03/una-vecchia-storia-e-una-nuova-idea-jak-bank/
-------------------------senza-voce ha rebloggato tiscatterounafoto:
“Hanno scoperto una nuova stella,
ma non vuol dire che vi sia più luce
e qualcosa che prima mancava.
[…]”
—
Wisława Szymborska - Eccesso
(via pragmaticamente)
Fonte: pragmaticamente
----------------
La ragazza volante
4 maggio 2012
di alessandra tecla gerevini
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Post/teca
Sono giorni che penso a lei, ma me ne sono resa conto solo ieri. Lei è Natsumi Hayashi, una giovane fotografa
giapponese che vive a Tokyo con due gatti e che fotografa se stessa in levitazione. E questi suoi affascinanti e surreali
scatti sono raccolti nel suo diario online, intitolato “yowayowa”, che, come lei stessa chiarisce, è il termine giapponese
per “debole”. In una sezione del suo blog spiega anche tecnicamente il suo lavoro: la macchina (Canon EOS 5d
MarkII), gli obiettivi ( Canon EF50mm F1.2L USM, EF24-70mm F2.8L USM, PENTAX 67 con adattatore), le
disposizioni di scatto (solitamente 1/500 sec.), l’impostazione del timer (10 secondi) per l’autoscatto, il fatto che a volte
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Post/teca
si porti un amico per premere il tasto di scatto quando le servono più di 10 secondi per posizionarsi.
È un diario, al momento un po’ in stallo, cominciato nel settembre 2010. Scorrendo le immagini si vede l’affinamento
della tecnica di levitazione, perché non sono salti, ma l’artista “acquista una leggerezza tale da sollevarsi nell’aria
rimanendovi sospesa”. La posizione del corpo è studiata nel minimo dettaglio, a completare l’ambiente che lo circonda,
con l’accostamento cromatico e con il riempimento degli spazi.
Voglio essere come lei: leggera, libera, nuova, pensata, non convenzionale, sola, forte, sognatrice. Non è questo che
insegna?
fonte: http://www.ilpost.it/alessandrateclagerevini/2012/05/04/natsumi-hayashi/
----------------------------03/05/2012 -
Delitto Versace, l'assassino
della porta accanto
Chi era l'uomo che nel '97, a Miami, uccise il celebre stilista. Un libroreportage dello scrittore americano Gary Indiana
MARIO BAUDINO
FIRENZE
Non era un serial killer l’uomo che il 15 luglio 1997 uccise Gianni Versace sparandogli a bruciapelo sulla porta
della sontuosa villa a Miami, dove lo stilistista viveva come una star. Era qualcosa di più complicato e
spaventoso. Aveva appena ammazzato quattro persone, una alla volta, in una folle cavalcata di morte da
Minneapolis a Chicago, alla Pennsylvania e infine alla Florida. E non era nemmeno, se vogliamo usare un
termine molto corrente di questi tempi, un barbaro emerso all’improvviso da un territorio sconosciuto.
«Purtroppo non c’è motivo di farne un mostro. Era una persona normale, un “sociopatico” come lo sono
tanti, forse la maggioranza delle persone, nella nostra società».
Per arrivare a questa conclusione Gary Indiana ha lavorato duro, trascorrendo mesi nelle città dove ha
vissuto Andrews Cunanan, figlio di un filippino e di un’italiana, fascinoso e intelligente omosessuale che
amava soprattutto spendere soldi (anzi, mostrare che li spendeva, esibire la sua prodigalità). Lo scrittore
americano, cresciuto nel mondo della pop art lavorando con gli artisti, cercava una spiegazione, e non è detto
che l’abbia trovata. Il risultato è però un libro affascinante e terribile, reportage narrativo dal forte impianto
romanzesco, con documenti, testimonianze, materiali di indagine, appena tradotto in una collana diretta da
Walter Siti per Textus Edizioni, casa editrice dell’Aquila che sta risollevandosi dalle rovine del terremoto. Tre
mesi di febbre era già in lavorazione quando la scossa sismica distrusse gli uffici (e uccise un redattore).
Gary Indiana spiega di non aver voluto scrivere un libro alla Truman Capote. Semmai si è ispirato aKaputt di
Curzio Malaparte, ci dice a Firenze dove presenterà la sua opera e parteciperà oggi a una performance con
Sandra Ceccarelli e Marco Mazzoni, per l’inaugurazione di una istallazione del duo italoamericano LovettCodagnone al Museo Marino Marini. L’eco del delitto Versace ormai si è spenta, con tutte le domande e i
buchi neri che portava con sé. Andrews Cunanan si sparò dopo pochi giorni sulla house-boat di un
faccendiere tedesco, e le indagini si chiusero lì, dando luogo però a infinite speculazioni. Chi aveva armato la
mano dell’omicida? La cosa più spaventevole è che la risposta trovata da Indiana è «tutti e nessuno».
«Non siamo neppure in grado di dire se Cunanan, prima di sparargli, sapesse chi era Versace». In realtà
stava ammazzando per risolvere i problemi che di volta in volta si presentavano. «L’interpretazione che se ne
è data, del fallito che uccide il personaggio noto per odio-amore nei confronti della sua notorietà, in questo
caso non funziona». Anzi, non funziona quasi mai. Lo scrittore americano è affascinato da questi delitti
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Post/teca
compulsivi (non li vuole definire assassinii seriali). Tre mesi di febbre è parte di una trilogia dedicata a casi
spaventosi e apparentemente inspiegabili di cronaca nera. Scava nel mondo dei «sociopatici», quelli per cui
«fare soldi è il valore supremo, e che usano gli altri per ottenere certi risultati», e si accorge che è il nostro
mondo. Non tutti i sociopatici commettono delitti simili. «Si può avere successo senza ammazzare la gente.
Anche se a volte la si ammazza indirettamente. Ma non generalizziamo: in questo caso abbiamo una persona
con poco senso della realtà, e non preparata alle delusioni». L’assassino di Versace spende la sua breve vita
spacciandosi sempre per qualcun altro, mettendo in scena di sé identità sempre diverse e affascinanti dal
punto di vista sociale, sfruttando ricchi protettori, all’occasione rubacchiando, impasticcandosi e soprattutto
mentendo. Ma quando tutta questa enorme bolla si sgonfia, uccide. Comincia, forse d’impulso, con l’ex
amante Jeffrey Trail, massacrandolo a colpi di martello sul cranio; poi uccide a freddo l’architetto David
Madson, nella cui casa peraltro è stato commesso il primo delitto. A questo punto Andrews è una macchina
letale: va a Chicago e tortura a morte un magnate immobiliare compagno di avventure gay, fugge e per rubare
una macchina spara al guardiano di un cimitero militare. Infine, l’appuntamento con la vittima che lo
avrebbe reso famoso.
«Prima di Versace, il caso di Cunanan interessava ben poco» racconta Indiana, anche se la polizia dava la
caccia senza alcun successo a un ricercato che non sembrava neppure molto prudente. «Solo a quel punto è
scattata la grande narrativa dell’invidia sociale». Ma allora, perché ha ucciso Versace? Lei lo ha capito?
«Perché fare questa domanda? Perché il cielo è blu?». Vuol dire che lo stilista fu una vittima secondaria, non
prevista e non prevedibile? «Voglio dire che questa vicenda spiega bene la fascinazione soprattutto
americana per i serial killer. La mia teoria è che le persone si sono rese conto a un certo punto di vivere in
una società atomizzata, dove la gente non si conosce, e il tuo vicino può essere chiunque, magari anche il tuo
assassino. Indifferenza, paura e fascinazione vanno insieme. Direi che tutto è cominciato con Psycho , ricorda
il film di Hitchcock?».
fonte: http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/452650/
-----------------------stripeout ha rebloggato dovetosanoleaquile:
“Scout cattolici e omosessualità: “Va chiamato lo psicologo”. E’ giusto indagare le motivazioni
che spingono a diventare scout o cattolici.”
— Augusto Rasori (via dovetosanoleaquile)
-------------------biancaneveccp ha rebloggato burnedflames:
“Io spero che tu stia bene, bene attento a dove metti i piedi, perché con tutte le maledizioni che
ti
ho mandato prima o poi quell’ultimo scalino non lo vedi.”
—
(Michela Rose)
Fonte: iwanttobeinvisible
--------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato hypnosflight:
“Io non amo il mio prossimo. Li detesto tutti. Li rasento appena. Lascio che si rompano su di
me come gocce di pioggia sporca.”
— Virginia Woolf; (via exquirendo)
Fonte: exquirendo
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Post/teca
Sei una troia?
Anonimo
Definiscimi ‘troia’: l’antica città, una persona che utilizza il proprio corpo per guadagnarci o che
altro?
Mi sarebbe piaciuto essere fatta di vicoli, essere abitata da una popolazione quanto mai vivace,
avere ospitato uno scenario storico importante, ma purtroppo non sono stata così fortunata.
Ma davvero pensate d’offendere qualcuno, voi anonimi, facendo domande da quinta elementare?
Fai una domanda a cardiocrazia
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L’amore a distanza spesso è per vigliaccheria
MAPRIX_61
Eccomi a dover affrontare un nuovo Inverno Affettivo, cioè la solitudine, la mancanza di una
persona a cui poter dire «ti voglio bene», «ti amo», «mi manchi», «vorrei stare sempre con te».
Un altro inverno affettivo che arriva dopo una primavera veramente breve, pochi mesi, anche se
carica inizialmente di intensità emotiva e complicità. Una primavera così «calorosa» da far
vacillare le precedenti «fredde» convinzioni sulla complessità dei rapporti a due per i pluriseparati e sulle misure compensative necessarie, quali la «teoria dell’amore a distanza» oppure la
presenza/frequentazione di amiche non fidanzate con cui donarsi reciprocamente momenti di
intimità .
Già, la teoria dell’amore a distanza. L’amore a distanza è quel rapporto che nasce tra due persone
che non sono in grado di promettersi molto, vuoi per necessità, vuoi per motivi familiari, vuoi per
paure manifeste o nascoste.
L’amore a distanza è quel rapporto condiviso che non ti obbliga a promesse sul lontano futuro
prossimo, ma si basa sul presente e sull’imminente futuro (ceniamo insieme domani sera?
Andiamo qualche giorno al mare insieme la prossima estate?). L’amore a distanza non è
necessariamente un amore di serie B, anzi può essere un amore forte, vissuto nella consapevolezza
dei propri limiti e rispettoso delle paure o necessità dell’altro/a. Ovviamente se condiviso da
entrambi i soggetti in buona fede e con sincerità di motivazione. Questa teoria dell’amore a
distanza è una rielaborazione della «Teoria degli Istrici» rappresentata in una bella commedia
italiana di alcuni anni fa in cui, ponendo la domanda «se l’amore fosse eterno», venivano
rappresentati i rapporti affettivi che nascono tra persone che hanno vissuto una separazione. In
questa commedia si racconta l’aneddoto dei due Istrici che si incontrano e che volendo scaldarsi a
vicenda si avvicinano e a causa degli aculei si feriscono l’un l’altro. Ecco che nasce quindi per loro
l’esigenza di trovare la «giusta distanza per poter godere del reciproco calore senza però ferirsi con
le difese naturali dell’altro/a. Perché le nostre difese naturali, istintive e/o a volte inconsce, si
trasformano in armi di offesa per chi ci sta vicino.
Comunque sia, questa imprevista primavera, anche se in fondo cercata e attesa, ha determinato in
me dei conflitti su quelle convinzioni portandomi a comportamenti contradditori che hanno
disatteso aspettative e creato incomprensioni, malumori, delusioni, sofferenze, reazioni.
Risultato: un altro fallimento. Sono oramai tanti, troppi questi fallimenti che pesano sul mio stato
d’animo. Non ero pronto? Non sono capace? Un ingombrante passato mi ostacola? Sono queste le
risposte che vorrei trovare! Nel frattempo dovrò affrontare questo nuovo inverno. E tra un po’,
quando questo dolore sarà più vicino a un ricordo, si ripartirà di nuovo alla ricerca di un po’ di
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Post/teca
calore, probabilmente con ancora più difese attive, correndo quindi nuovamente il rischio di ferirsi
e di ferire.
O forse, proprio per non correre rischi, ci si accontenterà di semplici amicizie non impegnative che
possono comunque regalare momenti di calore utile ad affrontare e attraversare l’inverno affettivo.
Risposta
Istrice Invernale, come avvicinarsi al tuo cuore senza pungersi? In
realtà non mi spaventano gli aculei. Mi spaventa il gelo. Hai un
approccio grave alla vita che affiora nella tua scrittura capillare e
analitica (rispetto alla versione originale mi sono permesso di sveltire
alcuni passaggi). Tu sei il tipo di persona che per chiedere l’ora
direbbe: «Quale orario segnano con esattezza le lancette dell’orologio
che cinge la tua mano sinistra a ridosso del polsino della camicia?».
N on ti offendere, ma credo che il problema stia lì. Hai bisogno di più
leggerezza. L’amore a distanza! Ma che roba è? Ma che vigliaccheria è?
Tu dai per scontato che la paura sia un mostro inattaccabile e che i
dolori del passato condizionino per sempre le nostre scelte. Ma chi lo
ha deciso? Sei sicuro che non sia un’idea che ti sei messo in testa
soltanto perché la pensano in molti? Vorrei offrirti anche un altro
punto di vista. Nessuno può cancellare i ricordi, ma tutti possiamo
cancellare il dolore legato ai ricordi. Anche tu. Puoi liberartene. Puoi
tornare leggero. Come? Con il perdono.
Credimi, non esiste altro mezzo e personalmente li ho provati quasi
tutti. Il perdono è l’unico che funziona. Fai pace con il tuo passato. Ma
per riuscirci devi anzitutto fare silenzio nel tuo cuore, isolandolo dai
due grandi disturbatori: i pensieri e le emozioni. Se fai silenzio, quel
tipo di silenzio, allora sentirai la voce del cuore. E’ un sussurro
profondo che ti parla di continuo, incurante del rumore che lo
sovrasta e del disinteresse che gli riservi. Jung lo chiamava «la voce
degli dei».
L’intuizione. Sarà lei a spiegarti come liberare l’energia dell’amore.
Ascoltala e comincerai a rinascere, spezzando le gabbie assurde che la
tua mente si è costruita da sola.
MASSIMO GRAMELLINI
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fonte: http://www.lastampa.it/forum/forum2.asp?IDforum=463
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Memoria. Il Corsera e i fascisti
pubblicato in Il Manifesto
Un infortunio giornalistico può sempre capitare. Ma l’errore in cui è incorso
Pierluigi Battista, illustre commentatore e vicedirettore del Corriere della Sera è un caso di scuola, una
specie di esempio luminoso di cosa accade quando si scrive per tesi precostituite. I fatti separati dalle
opinioni, si diceva un tempo, e mai come in questo caso lo slogan è azzeccato: i fatti qui, visibili,
controllabili, stampati su foto e filmati. E le opinioni, invece, già belle e confezionate. Dunque ecco. Il
primo maggio sul Corriere Battista firma un denso editoriale dal titolo: “Cgil, perché è vietato ricordare
Ramelli?”. Nel resoconto di Battista si fronteggiano due realtà: una è il presidio antifascista della Cgil che
si propone di “ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l’uccisione di Sergio Ramelli”, giovane di destra
assassinato nel ’75. Una cosa proprio brutta, su cui Battista non risparmia toni apocalittici: “lugubre
decennio”, “teste e coscienze penosamente aggrappate al passato”, “fragorosa e rituale protesta”.
Insomma, i cattivi del solito antifascismo. Dall’altro lato, invece, gli amici e i camerati di Ramelli, che
onorano il loro amico con “un elementare esercizio di pietà”. Lo scenario che si presenta ai lettori del
primo quotidiano italiano per mezzo di una delle sue penne più illustri è dunque questo: antichi e
rancorosi facinorosi ostacolano la sacrosanta pietà. Abbastanza per suscitare qualche curiosità e per
scoprire alcune cose che qui si elencano come semplici dati di fatto. 1. La sacrosanta pietà degli amici di
Ramelli consisteva in una riunione in una sala della Provincia di Milano gentilmente concessa dal
presidente Podestà (Pdl) e pietosamente intitolata “Milano burning”. Presenti le sigle più minacciose della
destra fascista e nazista cittadina, con personaggi già noti alla questura e alle autorità in un tripudio di
simboli, slogan e paccottiglia fascista. 2. Il presidio antifascista davanti alla Camera del Lavoro, sita a
pochi metri, è stato indetto dalla stessa Camera del Lavoro (ha aderito l’Associazione ex deportati) per un
motivo molto semplice: in analoghe occasioni certi raduni “pietosi” erano sfociati in raid e provocazioni. Il
presidio consisteva in una discreta presenza, canti, discorsi. Età media (purtroppo) alta. Chi voglia vedere
le fotografie di queste “teste e coscienze aggrappate al passato” può andare qui e vedrà di che razza di
facinorosi si tratta. 3. “L’elementare esercizio di pietà” così ben descritto da Battista è sfociato in una
manifestazione, questa sì assai lugubre. In fila per cinque con i labari e le croci celtiche, le svastiche
tatuate, il grido “Camerata Ramelli, presente!”, gli “A noi!”, e tutto il repertorio. Il video, veramente
agghiacciante è qui e ognuno può rendersi conto dell’affronto che queste immagini rappresentano per
Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, che è poi la città del Corriere della Sera, lo stesso che tante
belle e preziose pagine confeziona ogni anno in occasione del giorno della Memoria.
In sostanza: un semplicissimo gioco di ribaltamento: la “cattiva” Cgil ancorata al passato e i pietosi
giovani di destra che commemorano il loro caduto. Questo sanno i lettori del Corriere. Cioè l’esatto
opposto di quel che è successo realmente. Sarebbe bastato leggere le cronache pubblicate dallo stesso
Corriere il giorno prima. Sarebbe bastato cercare un po’ in rete, magari dare un’occhiata al corteo
nazifascista. Ma l’opinione preconfezionata ne avrebbe forse risentito, e allora, perché farlo?
Viste quelle immagini, poi, si è cercato sul Corriere qualche cenno di errata corrige, qualche velata scusa,
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qualche ritrattazione, un pietoso (questo sì) “mi sono sbagliato”. Invece niente. E dunque, vien da
pensare, non un banale errore giornalistico, ma qualcosa di più. Irresistibile, per esempio, l’incipit del
pezzo di Pierluigi Battista, che così recita: “Sinceramente non si capisce perché la Cgil, che pure avrebbe
molti impegni da onorare in questo terribile periodo di crisi del lavoro debba prodigarsi per organizzare un
presidio antifascista…”. “Sinceramente”, mi raccomando. Insomma: nazisti, vittime degli anni bui,
sprangate, labari e croci celtiche non c’entrano niente, e quel che si voleva era mettere un po’ al suo
posto la Cgil. Tutto qui. Tutto semplice e lineare. La vergogna di cinquecento neonazisti che marciano
inquadrati militarmente per Milano scimmiottando le coreografie berlinesi degli anni Trenta non conta. Ma
che importa: leggendo soltanto l’accorato commento di Battista – lontano anni luce da fatti comodamente
controllabili – i lettori del Corriere non lo sapranno.
fonte: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201205/memoria-il-corsera-e-i-fascisti/
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Ti fa paura Beppe Grillo, eh?
Postato in Senza Categoria il 6 maggio, 2012
«Ti fa paura Beppe Grillo, eh?»
(messaggio via Fb, ieri)
1) Bah. Nella vita veramente mi fanno paura il cancro, la solitudine e i rimorsi, ma per qualche ragione
Beppe Grillo è davvero in fondo alle mie preoccupazioni, believe it or not.
2) Se la frase è più squisitamente politica, chiedo scusa ma sono sopravvissuto ai democristiani che
deviavano servizi segreti bombaroli e governavano in joint venture con la mafia, ai socialisti discotecari
che si magnavano anche i portacaschi, ai leghisti che brandivano cappi e volevano sparare agli immigrati,
ai berlusconiani che hanno rimbambito mezzo Paese con i loro show di plastica e cerone, come cazzo
volete che abbia paura di Beppe Grillo e dei suoi ragazzi, scusate?
3) Se invece la frase è relativa alla casta dei pennivendoli, tocca informare che fortunatamente detta
casta è in completo disarmo da tempo e personalmente non sono tra quelli che ne hanno pianto, anzi ho
rotto le balle al pianeta – facendomi non pochi avversari – per accelerare la transizione verso un
ecosistema della comunicazione senza recinti in cui ognuno se la gioca con le proprie capacità e con la
propria reputazione.
E come va va, alla fine: io nella vita ho paura solo del cancro, della solitudine e dei rimorsi.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/06/ti-fa-paura-beppe-grillo-eh/
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non è un problema di artigianato / gherardo
bortolotti. 2010
2 Comments Published by fabio
April 5th, 2012
in kritik, testo
Una cosa che mi trovo spesso a dichiarare è che la letteratura, comunque, non
è un problema di artigianato, di maestria tecnica o di stile. E, per come intendo
io la letteratura, questa è un’affermazione ovvia.
La metafora artigiana, tuttavia, è un modo di interpretare la letteratura ancora
molto forte. Le ragioni sono varie. Da una parte, per esempio, c’è il fatto che
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Post/teca
una rappresentazione di questo tipo sottolinea l’investimento in sapere tecnico
che la letteratura, per come la conosciamo, ha comportato e che ne ha
giustificato, in vari termini, la specificità ed i meccanismi di selezione e di
attribuzione di ruolo a cui, come sapere appunto, ha dato luogo. Da un’altra
parte ancora, nella pratica quotidiana, non si può non riconoscere che lo
scrivere letterario prevede tutta una serie di operazioni “manuali”, di limatura,
scelta, messa in opera etc. che vengono convenientemente rispecchiate
nell’immagine artigiana. La metafora artigiana, per di più, trova una forza
ulteriore nella riduzione del testo a prodotto, che a sua volta implica. Una
riduzione che privilegia la parte “visibile” del testo (escludendo, per esempio, la
sua continua rigenerazione in seno alla lettura – per non parlare della sua
eventuale natura meramente orale) e che contribuisce a collocare la letteratura
nello schema più generale di produzione/consumo in cui praticamente ogni
nostra esperienza, ai tempi del capitalismo, viene inquadrata.
Si noti, a margine, che questo aspetto ha un suo sapore paradossale.
Attraverso l’idea della perizia tecnica, infatti, attraverso l’immagine
dell’artigiano delle parole, si colloca la (a questo punto buona) letteratura in
posizione antitetica rispetto alla produzione di massa, e alle sue forme di
alienazione. Così le si ridà, surrettiziamente o meno, un’aura, che va incontro
ad un elitarismo sempre presente nella massificazione (e non necessariamente
avanguardistico) e che risulta utile anche a coprire quello svuotamento di
autorità a cui la letteratura stessa, da una cinquantina d’anni a questa parte, è
stata sottoposta. Nello stesso tempo, però, dato che è comunque un bene di
consumo, quella stessa letteratura artigiana porta in dote un ulteriore valore al
fascino feticistico proprio della merce e permette una più agevole articolazione
del prodotto letterario per le strategie di marketing.
Ferme restanti le prime considerazioni, e anche lasciando da parte la debolezza
e la natura ideologica di questo artigianato letterario contrapposto alla
produzione di massa, come dicevo la mia idea è che la metafora artigiana non
sia sufficiente per dare conto della letteratura come pratica (umana, sociale,
cognitiva, etc.). Per conto mio, la letteratura non è una questione di
padronanza tecnica, appunto, né di capacità di rappresentazione/espressione,
come neppure di sapienza evocativa e/o affabulativa, ma, propriamente,
un’operazione sui parametri secondo cui noi ci sentiamo in vita. In altre parole,
è un’attività che riguarda le questioni seguenti: quale punto di vista si
istituisce, quale soggetto viene formulato, di quali relazioni è passibile, come vi
vengono implicati gli eventuali altri soggetti, a che comunità ci si rivolge, che
strumenti vengono forniti, come si dispone la realtà, di quali regole la si dota, e
così via. In questo senso, allora, lo stile è una sorta di epifenomeno di
un’operazione più ampia di istituzione di senso (o di destituzione di senso).
Un’operazione che ha un fondamento essenzialmente etico-politico, ancor
prima che estetico, e che è sempre un’azione su e per una realtà.
Ecco perché, a mio parere, è ovvio considerare insufficiente la metafora
artigiana, tecnica, retorica: perché sembra mancare del tutto lo sforzo, il
desiderio, l’esigenza e il piacere che danno, per primi, luogo alla letteratura. E
questo tanto più ora, in un quadro in cui, come ho accennato, la funzione e le
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tecniche della letteratura sono sempre più “usurpate” (dall’industria dello
spettacolo, dall’informazione, dalla pubblicità, dalla moda) e nonostante l’unica
rappresentazione tangibile, propagandabile, falsificabile e quant’altro della
letteratura stessa sia solo quella che esibisce le tecniche che ha accumulato nel
corso dei secoli.
fonte: http://gammm.org/index.php/2012/04/05/non-e-un-problema-di-artigianato-gherardobortolotti-2010/
------------------------noncecrisinelmercatodellebugie ha rebloggatochouchouette:
“L’uomo che ama si dibatte in un lago salato asciugato dal sole e non prega ma danza,
silenziosa presenza agitata che nessuna musica nota ci spiega perchè un suono è speranza, ma
quest’uomo la nega e appigliandosi invano a un amore pensato, annega.”
— M. Gazzè, L’amore pensato (via chouchouette)
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I geni dell’arte di
Palermo erano tutti
outsider
Antonello Mangano
Bentivegna scolpì migliaia di teste nei pressi di Selinunte. Cammarata passò
cinquant’anni ad abbellire la propria casa-baracca con sculture che ricordano
Gaudì. Gambino disegnava con la biro sulla carta con cui avvolgeva i semi di zucca
abbrustoliti del suo chiosco. Apprezzati all’estero, derisi e incompresi a casa
propria. Molte loro opere sono state distrutte. Adesso l’Università di Palermo lancia
un osservatorio per gli artisti marginali, perché siano valorizzati – e non rimpianti –
anche in patria.
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6 maggio 2012 - 10:05
PALERMO – Uno fu catturato dagli inglesi e se li fece amici costruendo un castello.
Passò la vita ad abbellire la sua casa-baracca con sculture di cemento e vetri di
bottiglia, finché gliela distrussero per farci il parcheggio di un supermercato. Un
altro tornò dall’America, comprò tre ettari alle falde del monte Cronio e per
cinquant’anni scolpì migliaia di teste di pietra, dipingendole di rosa. Un altro ancora
vendeva semi di zucca abbrustoliti sul lungomare palermitano. Componeva raffinati
disegni con la sua penna – l’opera era finita solo quando terminava la biro – e li
vendeva ai turisti di passaggio. E, occasionalmente, a Enzo Sellerio e Leonardo
Sciascia. L’ultimo scolpiva teste col tufo di Favignana e le cementava sulle case
degli isolani, senza il consenso dei proprietari. Finì per scolpire gli scogli delle cale.
Otto siciliani accomunati dall’ossessione e dall’analfabetismo. Artisti per
urgenza espressiva, spesso derisi nelle loro città, apprezzati e valorizzati all’estero.
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Post/teca
Per evitare che non accada più (le teste di Bentivegna furono in buona parte
rubate, la casa di Cammarata è stata quasi tutta distrutta), l’Università di Palermo
ha promosso un osservatorio sugli artisti “Outsider” per ricordare quelli del passato
e valorizzare i contemporanei. I riconoscimenti europei sono arrivati subito: il
museo internazionale di Losanna, un gruppo di ricerca a Parigi, un analogo
osservatorio a Randers, Danimarca. Infine la collaborazione alla mostra Banditi
dell’arte che si terrà a Montmartre.
Chi sono gli artisti outsider? Lo spiega a Linkiesta Eva Di Stefano,
docente di Arte Contemporanea nell’ateneo palermitano e direttrice
dell’Osservatorio. «Il francese Dubuffet parlava di Art Brut, riferendosi al carattere
puro dell’opera (brut è lo champagne senza l’aggiunta di zucchero). Lo storico
inglese Roger Cardinal pone l’accento sulla posizione sociale dell’autore. L’arte
outsider è molto diversa da quella naif, che si basa sull’ingenuità culturale
dell’autore e l’accordo commerciale col suo promotore». Gli outsider – anche
quando tentano l’inserimento nei circuiti ufficiali – non possono perdere la loro vera
natura. Regalano le proprie opere o chiedono cifre spropositate.
Il più famoso di tutti è Filippo Bentivegna. Emigrò negli Stati Uniti
intorno al 1912. Si presentava all’ufficio brevetti americano con caffettiere
multibeccuccio e nuovi tipi di salvagente. Poi torna in Sicilia, acquista tre ettari nei
pressi di Sciacca, alle falde del mitico monte Cronio. I templi di Selinunte non sono
lontani. Inizia a scolpire nelle pietra migliaia di teste che dispone sul terreno e
colora di rosa. Per i suoi compaesani è pazzo e lui avvalora l’ipotesi: durante la sua
vita dirà di parlare con Mussolini attraverso una condotta d’acqua o che Picasso
fosse venuto nel suo giardino per rubargli le idee.
Ma l’incontro decisivo è con Gosta Liliestrom, artista svedese che per
primo comprende la grandezza di “Filippo delle teste”. I critici stranieri notano
che l’ispirazione è la stessa della celebre villa dei mostri di Bagheria, che colpì
Goethe durante il viaggio in Italia. La sua fama inizia a circolare, l’Azienda del
turismo lo inserisce tra le attrazioni del luogo, il museo di Losanna espone alcune
opere. Parallelamente, si moltiplicano i furti nel giardino, finché nel 1973 la Regione
Sicilia lo acquista per 29 milioni di lire.
’Zu Sarino (Rosario Santamaria) visse sempre a Favignana, isola a forma
di farfalla di fronte a Marsala. Lavorava nelle cave di tufo, pietra che col tempo
tende all’ocra, materia di costruzione dei migliori palazzi siciliani. Gli operai erano
abituati a respirare la sottile polvere bianca e a estrarre blocchi regolari dai grandi
canyon nei pressi delle cale a picco sul mare. Cusumano fu poi marinaio, arrivò fino
in India, tornò a casa, per un breve periodo fu vigile urbano, il resto della vita la
passa a scolpire: in particolare teste, che pone sui cancelli e sui pilastri delle case,
spesso senza il consenso dei proprietari. Ma dipinge anche gli scogli nei pressi delle
cale. Considerato poco più di un folle, della sua opera non rimane quasi niente.
Destino simile a quello del cavalier Giovanni Cammarata (cavaliere,
ovviamente, lo nominò il popolo per celebrare le sue abilità). Passò la vita
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Post/teca
ad aggiungere sculture alla sua casa – baracca di Maregrosso, quartiere degradato
che nonostante il nome chiude lo guardo allo Stretto di Messina con orrendi
capannoni, discariche, cantieri abbandonati. «Non rompete le opere di notte»,
scrisse Cammarata con pietre e vetri colorati, rivolgendosi a vandali che ogni tanto
facevano a pezzi una scultura. Non sapeva che la sua opera sarebbe stata quasi
tutta distrutta dalle ruspe di un potentato economico della città arricchitosi con la
costruzione di aliscafi. Dopo una lunga controversia, rimase in piedi solo la facciata.
Il resto fu abbattuto e asfaltato per farci il parcheggio di un supermercato. Oggi
quello che resta è malinconicamente avvolto da una rete metallica.
Gaetano Gambino è stato inserito nel “Repertorio dei pazzi della città di
Palermo”, celebre opera dello scrittore Roberto Alaimo. Anche lui una vita da
emarginato – risse, carcere, il chiosco dei semi di zucca – riscattata dall’abitudine
compulsiva a disegnare fittissimi tratti con una biro. Fu apprezzato da Sellerio e
Sciascia, ma non riuscì mai a inserirsi in un ambiente “ufficiale”. Ci provò invece
Francesco Giombarresi, di Comiso, provincia di Ragusa. Bufalino, suo compaesano,
lo osservava dall’altra estremità di piazza Fonte Diana ma non ne tollerava gli
eccessi. Sciascia gli dedica un articolo sul Corriere della Sera citando la pirandelliana
“corda pazza”. Ma il pittore-contadino rimarrà quello che era. Nonostante i viaggi in
Francia e negli USA – da artista, non da emigrante – chiedeva cifre esagerate per i
suoi quadri mettendo in imbarazzo i presenti.
«Le caratteristiche dell’artista outsider sono la marginalità sociale,
l’ingenuità culturale, il carattere disinteressato della creazione, l’autarchia
artistica, l’inventività, la compulsione del fare, la saturazione dello spazio», ci spiega
la professoressa Di Stefano. «La maggior parte di loro è il prodotto di un’esperienza
traumatica (la guerra mondiale, l’emigrazione intercontinentale) e del declino della
cultura popolare. Una reazione alla perdita di identità. Non vengono più riconosciuti
come appartenenti al contesto: sono esiliati ai margini. Sembrerebbero figure
sradicate, nella loro bizzarria. Ma in realtà hanno radici molto profonde. Sono
esponenti di quella sapienza delle mani che nella modernità ha perso valore».
Il fenomeno non è scomparso. A Capo Gallo, nei pressi di Palermo, c’è il
“semaforo”, un faro che serviva a inviare segnalazioni alle navi di passaggio. Oggi
è abitato da un moderno eremita che ha abbandonato la sua famiglia al quartiere
degradato dello Zen e aggiunge ogni giorno alle pareti elementi islamici, ebraici e
cristiani. I pochi che l’hanno visitato raccontano che all’eco del mare si somma l’aria
mistica di una moschea.
fonte: http://www.linkiesta.it/arte-palermo
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Contro le tasse gli
italiani inventarono il
debito pubblico
Alessandro Marzo Magno
Negli Stati e staterelli della Penisola italiana le tasse non sono mai piaciute. A
dettare l’agenda politico-fiscale erano le oligarchie e i ricchi mercanti, che tasse ne
volevano poche, e preferivano farle pagare ai poveri. Però c’erano le guerre, e per
combatterle servivano soldi. Così si inventarono «le prestanze», ovvero il debito
pubblico.
Pagare le tasse non piace a nessuno, né oggi, né un tempo, e infatti già nel Medioevo si
cercava proprio di non pagarle. L’unico ente che riusciva perfettamente nel suo intento era
la Chiesa: le decime giungevano da ogni angolo dell’ecumene cattolico che, prima degli
scismi vari, era molto più ampio di quello attuale. Così dalla Groenlandia arrivavano denti
di narvalo – che venivano regolarmente presi per corni di unicorno – dalla Polonia pellicce
di martora, dal Baltico ambra, dal Medioriente vino e olio. Servivano personaggi in grado di
valutare questi beni con un criterio univoco e riportare tutte le valute a una sola,
utilizzabile e spendibile a Roma. È da lì che vengono fuori i primi banchieri: gestire la
Camera apostolica è sempre stato un business colossale, dai senesi Bonsignori nel
Duecento a monsignor Marcinkus in tempi più recenti.
Gli Stati e staterelli dell’epoca, invece, piacerebbero parecchio ai liberisti dei
nostri giorni: erano “leggeri”, poche sovrastrutture, molti servizi dati in appalto ai privati,
si accontentavano di incassare tasse e gabelle, principalmente dazi sui beni importati. Ma
ogni tanto, anzi, piuttosto spesso, si ritrovavano a fare una qualche guerra e combattere
era una faccenda maledettamente costosa. Quindi bisognava trovare nuove risorse. Ma di
tasse le classi dirigenti di allora non volevano sentir parlare, e siccome gli Stati più
importanti dell’Italia medievale (Genova, Firenze, Venezia) erano guidati da mercanti,
erano loro a dettare l’agenda. Niente tasse, ma “prestanze”, debito pubblico insomma.
Le conseguenze di questo crescente indebitamento sono state spesso
devastanti. Genova, per esempio, dopo la più importante guerra con Venezia perde la
propria indipendenza. La sconfitta dei genovesi a Chioggia (1381) precede solo di poco la
sottomissione alla Francia (1396) e la riforma del debito pubblico, con la creazione della
Casa di San Giorgio (1408) quella che viene considerata la prima banca pubblica italiana. I
genovesi si ritrovano pieni di titoli di debito pubblico e pure sconfitti, così sono costretti a
convertire un gran numero di debiti a un tasso minore; li unificano in un solo corpo di titoli
uniformi, detti “luoghi”, e i loro proprietari si riuniscono in un consorzio (Casa di San
Giorgio) a cui viene assegnata la riscossione di un certo numero di imposte perché ne
ripartisca il gettito tra i possessori dei titoli di debito.
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Anche Firenze per finanziare le numerose guerre del periodo ricorre alle
prestanze, che potevano essere forzose o volontarie. Ma il debito fluttuante sale e livelli
tali che il suo consolidamento appare l’unica soluzione possibile.
Una legge varata il 29 dicembre 1343 ordina che tutte le obbligazioni non rimborsate
vengano consolidate e siano registrate in un libro mastro del debito pubblico. Pochi mesi
dopo un altro decreto stabilisce la trasferibilità dei crediti segnati in questo libro e assegna
al beneficiario il diritto a un interesse del 5 per cento. Nasce così, tra il 1343 e il 1345, il
Monte Comune, cioè il debito pubblico fiorentino. I teologi cominciano subito a disputare
se si possa o meno comprare o vendere titoli del Monte Comune: i francescani dicono di sì,
i domenicani e gli agostiniani sostengono che non sia possibile. La controversia teologica
non impedisce il sorgere di un mercato di “luoghi” del Monte Comune, ovvero di titoli
pubblici.
Tutto va bene per alcuni anni, ma quando il debito pubblico aumenta, diventa sempre più
difficile pagare puntualmente gli interessi e quindi la mancata liquidazione delle “paghe”
dà origine a un mercato dei titoli d’interesse che precipitano sempre più in basso, fino ad
arrivare al 20 per cento nel 1458.
Ma Firenze continua a far guerre, soprattutto contro Milano, e le prestanze sono solo una
goccia nel mare. Bisogna che qualcuno si metta a pagare le tasse e così, nonostante la
dura opposizione dell’oligarchia mercantile, nel 1427 viene istituito il catasto che riunisce le
caratteristiche dell’imposta sul reddito e dell’imposta fondiaria.
L’iscrizione al catasto è obbligatoria, ma l’ammontare dei beni è basata su
dichiarazioni individuali, le cosiddette “portate”, presentate dai contribuenti agli
esattori o ai funzionari del catasto. È necessario allegare una copia dell’ultimo bilancio di
ogni compagnia o azienda di cui il denunciante sia socio. Un signore di nome Niccolò
Machiavelli coglie la portata innovativa del catasto perché si basa sull’effettiva capacità
contributiva di ognuno, mentre il sistema di imposte precedente era fortemente regressivo.
Comunque anche il catasto continua a favorire largamente i ricchi. L’abitazione del
contribuente è esente da tassazione, anche se si tratta di un palazzo con inestimabili tesori
d’arte, come nel caso dei Medici, degli Strozzi, o quant’altri.
Ma non dura: il catasto fiorentino viene abolito nel 1494, poco dopo la caduta dei Medici, e
sostituito dalla decima, che resta in vigore fino a tutto il Settecento. La decima è
un’imposta sulla sola proprietà immobiliare e quindi esclude i titoli del Monte Comune
nonché gli investimenti commerciali e industriali.
Tasse poche, insomma, e possibilmente da far pagare ai poveri, a quelli che non
possono più di tanto ribellarsi perché non hanno rappresentanza politica. Va avanti così in
tutti gli Stati italiani di antico regime e la vera svolta arriverà solo, nel Lombardo-Veneto,
con l’introduzione del catasto austriaco: allora sì che si dovranno pagare le tasse e saranno
dolori, dolori veri per chi, per secoli, si era abituato a fregarsene allegramente della
finanza pubblica.
fonte: http://www.linkiesta.it/tasse-esattori-debito-pubblico
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Il successo degli ebook?
Merito delle donne che
leggono libri erotici
Alessandra Malvestio - 5 maggio 2012
Ho scoperto un fatto deliziosamente tragico: i due settori di traino del mercato degli
ebook sono la letteratura trash e la letteratura erotica. Nonostante l’iniziale
sgomento, ragionandoci su mi sono resa conto che questi dati hanno una logica
inoppugnabile. Scrive a riguardo il noto agente letterario Andrew “Sciacallo” Wylie:
❝Ho il sospetto che più un libro è trash più è probabile che si converta in ebook.
Nessuno ha il desiderio di custodire James Patterson (scrittore americano di
thrillers) nella propria biblioteca. Quelli che vogliono tenere un libro per un
tempo prolungato comprano un libro materiale.❞
Per quanto riguarda I romanzi hard, l’ebook ha anche una funzione pratica
non poco rilevante: una qualsiasi catechista della pianura padana può
tranquillamente dilettarsi leggendo di peripezie sessuali di single americane in
carriera mentre prende la corriera per andare al centro commerciale Vale Center di
Marcon o mentre fa la coda al Pam del suo quartiere, il tutto sotto gli ignari occhi
dei ben pensanti.
Io stessa ho degli eccellenti ricordi a riguardo. Quando avevo 16 anni ho
passato un anno vivendo con una famiglia super conservatrice nel Sud degli Stati
Uniti. A parte predicare l’astinenza pre-matrimoniale, interpretare il cataclisma noto
come uragano Katrina in luce di un qualche piano divino per punire gli omosessuali
e gli alcolizzati che popolavano New Orleans, e portarmi coercitivamente in chiesa
13 ore a settimana (sì, ho detto 13) la mia host-mother aveva una vera e propria
passione per Nora Roberts, scrittrice di romanzi d’amore nel senso fisico della
parola, tra i cui titoli si annoverano La vittoria del Cuore, Il principe Playboy, Un
uomo per Amanda ecc.
In ogni caso, se la mia madre ospitante avesse potuto usufruire di un
anonimo Kindle per assaporare I suoi preziosi tesori letterari, la sua vita sarebbe
stata molto più facile, permettendole di usufruire di questi piaceri moderatamente
erotici in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento, e non solo nell’intimità delle
mura domestiche, sempre rigorosamente al riparo dagli sguardi molesti dei
passanti. Per non parlare poi del fatto che comprare un libro hard sul kindle store di
internet invece che in libreria, risparmia alla signora Cesira il momentaneo
imbarazzo e lo sguardo forzatamente disinvolto del libraio di turno, dettaglio che
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non va sottovalutato. All’uomo Ilona Staller, alla donna Nora Roberts.
Questo sarebbe un dibattito del tipo è nato prima l’uovo o la gallina, ma sta di
fatto che da quando ha preso piede il settore degli ebook, la letteratura erotica sta vivendo
una nuova primavera. Il colosso editoriale Harper Collins ha da poco lanciato una nuova
collana di letteratura erotica disponibile esclusivamente in format ebook dall’eloquente
appellativo Mischief Books (☞ ecco il sito) che in italiano si traduce con qualcosa di
esilarante del tipo “Libri Malizia”.
Alcuni degli ebook pubblicati da “Libri Malizia”, sono delle vere e proprie
gemme. Sisters in Sin (il primo che ho cliccato) per esempio, narra la storia della giovane
londinese Jennifer, che fa un viaggio a Venezia per procurarsi del vetro per il proprio
commercio, ma incappa nella bella suora Natalia, la quale è combattuta fra il prendere i
voti e lasciare tutto per abbandonarsi al suo amante. Quando Jennifer prende il posto di
Natalia nel convento di Santa Maria, si rende conto che la vita monacale non è poi così
piatta come pensava, e che luoghi come il confessionale, i sottostanti vigneti, e le celle
profuse di luce di candela possono offrire veri e propri momenti di peccato da condividere
con le fedeli consorelle. Nel caso voleste chiedere a Primula dove abbia mai visto vigneti a
Venezia, potete contattarla direttamente al suo ☞ blog (tra l’altro organizza seminari di
scrittura erotica, nel caso non disdegnaste l’idea di diventare un pornoautore).
D’altra parte, con i tempi che corrono, e la crisi generale del settore editoriale,
la letteratura erotica sembra essere quella che va per la maggiore. L’ebook più
venduto nella storia di un altro colosso editoriale, il gruppo Random House, dal titolo
oserei dire poetico ☞ Fifty Shades of Grey è infatti un tripudio di sesso sadomaso e
perversioni sessuali varie e variegate. L’opera in questione narra la storia della relazione
“bondage” (vedi una recente infografica su Linkiesta per le dovute delucidazioni del caso)
fra un’ingenua studentessa universitaria e un oscuro milionario americano. Il genere
letterario cui appartiene questo libro è stato non a caso denominato mummy porn (“porno
per le mamme” o, meno fedelmente“porno per le casalinghe”).
L’editore del prezioso manoscritto, Selina Walker del Gruppo Random House, in
una recente intervista con il Guardian, attribuisce la popolarità del libro a due fattori: in
primis, il molto citato successo degli ebook e il fatto che consentano di leggere questo tipo
di letteratura in completa privacy. In secondo luogo, udite udite, il fatto che «questo
genere di libri è liberatorio per le donne. Ci consente di esplorare le nostre fantasie e di
essere aperte a riguardo».
Selina, ma scusa, quale liberazione se prima citavi l’esplosione della segretezza della
lettura previo ebook come fondamentale fattore di successo?
Dire che letteratura erotica di basso livello (Fifty Shades of Grey dal punto di
vista letterario non ha estasiato nessun critico e, se vogliamo parlare dell’autrice,
beh lei è una spudorata fan di Twilight, a cui il libro, il primo di una trilogia, è pure
ispirato…) è liberatoria dal punto di vista sessuale per le donne, è come dire che guardare
i casi umani di Jersey Shore copulare come cinghiali su Mtv è liberatorio per il genere
umano.
Siamo in crisi economica, le case editrici cercano disperatamente di vendere e l’eros vende
perché, grazie anche all’ausilio logistico del kindle, preme certi specifici pulsanti
segretamente amati dalle masse (anche un certo Silvio Berlusconi lo aveva capito, anni fa,
con le sue tv).
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Eviterei di esprimere giudizi in materia, ma come dice il mio summenzionato mentore
Andrew Wilye, agente di Norman Mailer e Italo Calvino: «I don’t go to books for sex. I go
home for sex». Amen.
fonte: http://www.linkiesta.it/blogs/albergo-ore/ebook-erotici
-------------------------hollywoodparty ha rebloggato el-hereje:
Cose sentite su Radio Padania che da sole non valevano un post
ma che, tutte assieme, hanno un loro perché.
el-hereje:mazzate:
«Buona padania, io sono un inventore individuale come Meucci e ho inventato una macchina
elettrica statica che si eccita con un watt e produce dieci milioni di watt al secondo. Questa
macchina distruggerebbe l’acquisto dei carbonfossili».
«Oggi spiegheremo che cos’è e come si usa la caffettiera».
«Buongiorno, io chiamo da parte del marito di mia moglie che cerca lavoro».
«Fate attenzione alla pratica della cremazione, perché le agenzie mortuarie sono tutte
massoniche».
«Monti entra in Senato l’11 novembre alle 11, 3+3 fa sei, 11 + 11 + 11 fa 2 +2+2=6; 150,
l’anniversario, è un altro 5 +1=6.. Bene, niente accade per caso: 666 è il numero del diavolo».
«La carta stagnola è arrivata con l’invasione italiana: per la cottura al forno usate la cenere».
«I tecnoburocrati europei del Quarto Reich vogliono imporci i matrimoni gay perché il loro
deliberato programma è portare alla sparizione delle popolazioni indigene, in particolare quelle
che rompono le scatole come la nostra, favorendo le coppie che non permettono la procreazione».
«Oggi siamo in visita al nostro antenato per eccellenza, all’antenato di tutti i padani: la mummia
Ötzi, che, guarda caso, è uscita dai ghiacci proprio quando Bossi compiva 50 anni».
«Pannella è un massone. E io dicevo: lasciatelo morire, lasciatelo morire di fame! Ma lui non
moriva».
«Gli accurati studi di un ingegnere bresciano ci dicono in maniera incontrovertibile che il sacrario
di Padre Pio è un tempio massonico».
«La gente sta cominciando a divenire consapevole, a prendere coscienza, e Loro non lo vogliono,
per questo Obama ha commissionato alla Motorola un microchip da innestare in ogni essere
umano».
«Commissione Trilaterale e al Club Bilderbeg sono terrorizzati dalla possibilità che una realtà
esterna possa destabilizzare il loro potere e quindi, per timore di isterismi di massa, fino all’ultimo
negheranno l’esistenza degli alieni e degli UFO».
«I mediorientali, scuri di pelle, consideravano gli angeli dei diversi perché di carnagione chiara».
«Sulla Luna c’è una faccia nascosta nei cui sotterranei, sfruttando delle bolle d’aria, vive una
popolazione le cui donne sono piccoline».
«Purtroppo chi passa tutto il giorno a vedere programmi cretini come il Grande Fratello poi non
gliene frega niente se in cielo vede un UFO».
«Il Titanic è rimasto nella leggenda grazie soprattutto aipasseggeri padani che fino all’ultimo,
nell’acqua gelida, hanno lottato per la propria sopravvivenza».
«Ma che cos’ha un trans che una donna non ha?»
«Il padano disperato non è distruttivo: se è uomo, va in giro per il mondo in cerca di nuove
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passioni; se è donna, si mette a fare il minestrone ad ogni ora».
«Noi brianzoli abbiamo una propensione al risparmio geneticamente superiore alla media».
«Non tutti i leghisti sono figli e figlie del Tuono, come non tutti i figli e le figlie del Tuono sono in
Lega. Noi dobbiamo rivolgerci ad un tipo umano ben preciso e nella tradizione degli antichi
padano-etruschi dobbiamo sostenere la Tav».
«Ma i giornalisti professionisti che usano termini come ‘nemesi’ da chi pensano di essere letti?
Solo chi ha studiato greco li può capire».
«E’ evidente che l’Arca dell’Alleanza serviva agli ebrei per le comunicazioni audio».
«Noi occidentali abbiamo perso la nostra stella polare, la nostra centratura; prova ne siano le
nuove abitazioni che non hanno più un elemento decorativo, come un tappeto o un lampadario,
che ne centri lo spazio».
«La via è un socialismo non marxista. Dobbiamo nazionalizzare il petrolio padano».
«L’Ufologia andrebbe insegnata nelle scuole».
«Noi vogliamo un mondo unito in cui ognuno sia padrone in casa propria, un po’ come il villaggio
dei Puffi, che è una grande comune dove tutti sono uguali, dove tutti devono rispettare l’altro, e
dove ognuno ha la propria identità, come Puffo Quattrocchi, Grande Puffo e Puffetta».
«Il principale errore del professor Monti è stato non considerare le abitudini e le usanze dei popoli
padani».
«Non è vero che il lavoro non c’è, il lavoro c’è, solo che usando l’iPod la gente si allontana dal
tornio».
«La nostra proposta per la riforma della scuola elementare è sostituire l’inglese con il dialetto e far
partecipare i nonni alle lezioni».
«Oggi voglio leggervi il passo della Bibbia sulla distruzione di Sodoma, perché sono ancora pochi
quelli che sanno cosa facevano i sodomiti».
«Maria volge il suo sguardo pietoso verso i dialetti padani, per questo ci troviamo a Lourdes, per
chiedere la grazie del riconoscimento della Padania. La Madre di Dio non può non volere che i
nostri idiomi tornino ad essere vivi».
«Sembra che lo Yeti non sia ancora stato trovato; ci sono forse novità in tal senso?».
«Ci stanno uccidendo, a noi padani ci stanno uccidendo, non potremo più procreare altri padani».
«I video di Renzo Bossi che prende i soldi dall’autista sono solo una sciocchezza. La verità è che
vogliono eliminare la Lega perché la pubblicità del Caffé padano ha eliminato tutte le ditte di
caffè che esistono, a cominciare dalla Lavazza».
«Ehi, bambini, Gesù Bambino vi aspetta sabato su Radio Padania Libera».
«Quest’anno al vostro bambino fate un regalo vero, non andate a cercare in giro cose strane:
regalategli un arnese fatto a mano».
«C’è un’Area 51 anche in Italia, a Remondò. Lì i militari testano dei velivoli alieni. Tanto che
quando abbiamo provato ad avvicinarci sono subito spuntati fuori dei soldati che davano da
mangiare ai cani ma si vedeva benissimo che ci tenevano d’occhio».
«Purtroppo in questo periodo di crisi la gente ha paura di tutto, anche di ricorrere alla chirurgia
estetica, ma qualche ritocco può servirci a farci sentire più sicuri di noi stessi e delle nostre idee,
perché dietro la bellezza c’è la nostra libertà. Ce lo insegna anche il nostro leader Umberto Bossi,
che per primo ha creduto al valore della bellezza».
«Io comincio a considerare antropologicamente inferiore chi non vota Lega Nord».
«Voi che dite che la Padania non esiste e che nel mondo nessuno la conosce: ma lo sapete che un
pezzo dell’iPhone lo fanno a Vimercate?»
«Io sono furibonda, perché, siccome frequento la chiesa evangelica, in passato ho avuto modo di
aiutare una famiglia ghanese la cui figlia ora, su Facebook, ha solo amici neri».
«La Lega è vittima di un complotto di meridionalisti».
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Post/teca
«Allarme a Cerro di Laveno per un UFO inabissatosi nelle acque del Lago Maggiore».
«Mediaset prima o poi capirà che questa politica del sottoprodotto informativo non paga.
‘Mistero’, su Italia Uno, punta solo al sensazionalismo, a differenza di ‘Voyager’, che fa
dell’informazione pulita».
«Perché a Bruno Vespa hanno fatto intervistare Olindo e Rosa e a noi no?».
«Una mia amica aveva l’occhio infiammato e il medico gli ha detto che è una malattia che si
prende dagli immigrati. Loro convivono -specialmente quelli di una certa razza- con questo virus:
lo vedete che hanno sempre gli occhi arrossati?»
«Noi non siamo contro il voto agli immigrati, l’importante è che prima abbiano acquisito la
cittadinanza italiana».
«»De André è un autore sopravvalutato».
«La moria di uccelli è causata dalle scie chimiche degli aerei: è in atto un progetto per sterminare
l’umanità». Onorevole Carolina Lussana: «Chiederemo ai nostri esperti».
«Pub nel varesotto assume ragazza. Si richiede conoscenza dell’inglese e della lingua locale».
«Chi ha accusato Milano di farsi fare le magliette dalla Cina sappia che le magliette sono state
fatte in Cambogia, che non c’entra nulla con la Cina e che anzi merita aiuto e rispetto per aver
cacciato Pol Pot».
«Dio non vuole l’ingresso della Turchia in Europa».
«Cosa dicono del Piemonte negli Stati Uniti?»
«Anch’io anni fa pensavo a fare la guerra civile. Ma poi feci un sogno premonitore: Shakespeare
che mi mostrava un campo di sangue, e ci ripensai».
«Noi leghisti siamo la crema della società».
«Sono andato a Verona e ho visto i balconi dei due fidanzati, perché, molti non lo sanno, ma lì ci
sono… non so se conoscete anche voi i due fidanzati che non…». «Romeo e Giulietta, certo». «Sì,
esatto, bravissimi!».
«Questo Jobs, se ha fatto quel che ha fatto, lo deve a un veneto, perché se non era per il professor
Faggin, che è veneto e che nel 1970 ha inventato il microprocessore, questo Jobs oggi non era
nessuno».
«I giovani che protestano contro la legge sulle intercettazioni sono figli della cultura yuppie degli
anni ‘80».
«C.L.N.? E che significa ’sta sigla? Perché la sinistra parla così difficile?»
«Grazie all’interessamento del sindaco Fontana, con gli amici di Medjugorje abbiamo organizzato
per il 20 novembre, al Palazzetto dello sport, una giornata di preghiera, dal mattino alle nove fino
alla sera con apparizione della Madonna alle sei meno un quarto».
«Noi monzesi abbiamo la tomba della regina Teodolinda, quindi siamo sempre stati al centro del
mondo».
«Le donne sono importanti, ma parlo di quelle padane e austriache, quelle che ci insegnano a
lavarci le mani prima di mangiare».
«Gli alieni sono creature del diavolo: di notte mi vengono in casa a minacciare di morte».
«Giordano Bruno venne bruciato sul rogo perché aveva scoperto un codice alfanumerico per
comunicare con gli extraterrestri» .
«Io ho una passione per i treni, e la notte vado nelle stazioni a vedere i treni merce».
«Buona Padania, sono Cosmo, fratello in spirito di Gesù».
«Se vogliamo integrare e rendere partecipi della nostra battaglia indipendentista gli immigrati,
dobbiamo creare un Islam padano».
«Sono leghista dal 1987. Non ho mai pagato le tasse».
«I nastri per capelli provenienti da alcune zone della Cina vengono fatti con preservativi usati».
«E’ online il sito della Padania. Potete visitarlo con il vostro computer oppure, se siete di quelli
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Post/teca
fighi, con il vostro wordPad».
«Noi di Arte Nord lunedì andremo alla Malpensa e partiremo alla ricerca del Sacro Graal».
«Dire che non esiste la Padania è come dire che non esiste l’Etruria».
«Dietro certe donne, che con tutti i giovani che ci sono qua vanno a prendersi i negri e i
marocchini, c’è un deliberato piano mondialista d’invasione dell’Europa».
«I carabinieri hanno moduli prestampati con su scritto RISERVATISSIMO sui quali annotare gli
avvistamento UFO».
«Anche noi donne dobbiamo dimostrare di avercelo duro».
«Coloro che si permettono di giudicare gli uomini della Lega finiranno dannati».
«I milanesi hanno votato Pisapia perché non hanno ancora provato ciò che abbiamo provato noi
qui a Torino: gli zingari che ti vengono a rubare i pomodori».
«Davanti a casa mia è passato il solito negro, il solito negrone, ma uno di quelli con le treccine,
ché quelli con le treccine hanno la faccia ancora più brutta».
«Una cosa che possiamo imparare da Berlusconi è combattere, perché Berlusconi va sempre
davanti ai giudici per i suoi processi».
«Non comprate dai cinesi, che poi vi infilate l’orecchino e il giorno dopo vi cade l’orecchio».
«Pronto, buongiorno. Io sono un astrofilo, ho diversi telescopi e volevo segnalare che l’altro
giorno, in cielo, ho visto uno strano oggetto a forma di banana».
«Il meridionale che viene al nord e solidarizza più con il tunisino che non con il milanese rompe il
patto di unità nazionale».
«Se si leggono i giornali sembra che la Lega abbia perso; basta leggere invece la Padania per
capire che le cose non stanno così».
«Rocky Balboa è un esempio di chi non si è dato per perso e alla fine ha sventato il pericolo
rosso».
«Ogni persona, ogni popolo, deve seguire il DNA alimentare dei suoi genitori. Chi proviene dal
meridione non deve integrarsi completamente con le abitudini alimentari del nord, mentre chi
appartiene a famiglie settentrionali deve tenere conto che i suoi avi mangiavano la selvaggina.
Non ci si lamenti, altrimenti, di eventuali disturbi di stomaco».
«Berlusconi ha baciato la mano di Gheddafi perché ha tanto amore nel cuore e vuole portare la
pace nel mondo».
«Ma non possiamo dichiarare guerra alla Tunisia?»
«Era una sera d’estate e c’era un cielo bellissimo, pieno di stelle. Mi sono detto: se mi metto a
suonare la cornamusa bergamasca vuoi vedere che rispondono? E quelli (gli extraterrestri, ndr)
hanno risposto».
«Anche gli uccelli cantano in dialetto».
«Scusate, ma qui certi negozi hanno già messo fuori le bandiere italiane: ma possono venderle
prima delle celebrazioni per il 150°?».
«Una donna verrà giudicata per tutta la vita in base alla sua bellezza, quindi la bellezza va
insegnata a scuola: la bellezza è educazione civica».
«Sul Sinai Mosè ha incontrato un UFO».
«Il problema è che molti padani hanno sviluppato la sindrome di Stoccolma e si credono italiani».
«I padani non sono chiusi in se stessi, anzi vogliono andare in giro per il mondo in cerca del senso
dell’esistenza».
«La teoria evoluzionistica che ci insegnano a scuola è una balla».
«Il giorno 21 si terrà Monza un convegno su ‘Imprese, lavoro e pensioni: quale futuro?’.
Particolare attenzione sarà dedicata ai giovani, perché i giovani hanno davanti, ahimé, una vita di
grosse difficoltà per quanto riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro. Avremo quindi la
testimonianza di un giovane come Renzo Bossi».
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Post/teca
«Oggi compie gli anni Gian Antonio Stella. Cinquantanove anni portati malissimo».
«Ho fatto alcune ricerche: un mio avo era compagno di Alberto Da Giussano».
«Sono molto preoccupata perché mio figlio, che già requentava le Bestie di Satana, ora ha
conosciuto un ragazzo leghista».
«I cherubini erano in realtà macchine volanti con propulsori circolari nel di dietro».
«Anche nella mia scuola avevano dovuto bloccare i computer perché i ragazzini, quando
andavano nel laboratorio di informatica, loro, se potevano, zac! giravano su quei siti e si
trovavano poi diversi computer infettati dai virus, perché pare che questi siti siano portatori di
molti virus e non so se questi virus magari ce li mette qualcuno delegato a fare questo apposta
dallo Stato, o da Enti, proprio per scoraggiare la navigazione su certi siti».
«La censura di Stato ci nasconde la verità su Edmondo De Amicis».
(L’Anticomunitarista)
Fonte: mazzate
----------------------------luciacirillo ha rebloggato reallynothing:
“Per me il segno principale dell’amore è la paura. La paura di offendere o di non piacere
all’oggetto amato, semplicemente la paura.”
— Lev Tolstoj, Diari, 29 novembre 1859 (via reallynothing)
Fonte: nazioneindiana.com
------------------------20120507
ilfascinodelvago:
Ricordatevi di chiudere bene la parentesi, quando uscite dalla vita
di qualcuno.
---------------------lachimera:
mapping your dreams
vorrei tracciare la mappa dei tuoi sogni.
e percorrerne le rotte senza rischiare di perdermi.
avevi gli occhi del colore dei sogni,
ma le tue labbra rigavano diritte il solco orizzontale del disincanto.
così.
abbiamo smesso di parlare il giorno in cui abbiamo iniziato a parlare.
ed i silenzi che ti ho regalato erano le parole migliori che potevo offrire
ai sogni ingoiati dietro porte chiuse e frasi troppo corte.
tenevo il braccio teso,
quando hai provato a tirarlo verso di te.
e tu.
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Post/teca
scrivevi ammonimenti alla lavagna,
prima d’invitarmi a casa tua.
abbiamo respirato la nostra stessa stretta aria
ed abbiamo boccheggiato insieme dentro bocce diverse.
tu avevi gli occhi tondi, io la bocca spalancata.
è stato allora, credo, che abbiamo deciso di non rubarci l’ossigeno.
---------------------mariaemma ha rebloggato chouchouette:
“
Ti cercherò sempre
sperando di non trovarti mai
mi hai detto all’ultimo congedo
Non ti cercherò mai
sperando sempre di trovarti
ti ho risposto
Al momento l’arguzia speculare
fu sublime
ma ogni giorno che passa
si rinsalda in me
un unico commento
ed il commento dice
due imbecilli
”
— Michele Mari ”Cento poesie d’amore a Ladyhawke”
Fonte: ledera
----------------emilyvalentine:
“Il tempo passa.
Il tempo non ci aspetta.
Anche la giornata peggiore però poi finisce.
Il cibo si raffredda.
Microonde.”
— Tutto si aggiusta di Giuseppe l’Avvinazzato (poeta marchigiano)
--------------------onepercentaboutanything ha rebloggato curiositasmundi:
“Mi hanno sempre detto: “Col tuo carattere non andrai lontano”. Andrò sicuramente lontano
da voi, già mi basta.”
— Eresia (via originofsimmetry)
----------------------elrobba:
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Post/teca
...
La realtà è frutto di miliardi di sogni andati in fumo. e ancora un po’ brucia.
-----------------------selene ha rebloggato themurra:
“Per costruire 12 ospedali servono 250 milioni di dollari, il costo di 8 ore di guerra in Iraq. Si
prendessero un giorno di ferie.”
— Gino Strada (via myborderland)
Fonte: myborderland
-----------
Clara Bow, la star anni Venti
che fa scandalo nel 2012
Sull'onda del successo di "The Artist" torna nelle sale americane il primo film (muto) vincitore di
Oscar, "Wings", a base di amori e battaglie aeree. Ma oggi viene censurato: forse a causa di una
scena in cui la star è senza veli
di CLAUDIA MORGOGLIONE
Lo leggo dopo
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Post/teca
La sequenza con Clara Bow senza veli
●
SARA' che, dopo il trionfo di The Artist alla Notte delle Stelle, il cinema muto ha conquistato
appeal popolare. Sarà che l'idea di vedere su grande schermo il primo film vincitore di Oscar della
storia (nel 1929, due anni dopo l'uscita) non può non suscitare curiosità. Sarà che la Paramount, la
società produttrice, quest'anno festeggia il secolo di vita, e lo fa riproponendo i classici del suo
immenso catalogo. Il risultato è che Wings (Ali) di William A. Wellman, kolossal a base di amori
contrastati e battaglie aeree sullo sfondo della Grande Guerra, torna adesso - il 16 maggio - in
cinquanta sale americane. Completamente restaurato.
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Post/teca
TRAILER ORIGINALE 1 - IMMAGINI: CLARA BOW 2
Fin qui, nulla di anomalo. Ma a far discutere è un altro aspetto: la pellicola datata 1927, infatti,
sbarcherà nei cinema con un divieto ai minori di 13 anni (il cosidetto PG13, scondigliato ai minori
di 13 anni non accompagnati) che, in pieno 2012, non può non far sorridere. A causa,
probabilmente, della protagonista femminile del film, la superdiva dell'epoca Clara Bow, che in una
scena appare senza veli. La scelta, comunque, è e resta incomprensibile: guardando la sequenza nel
trailer originale del film, scopriamo che - almeno
qui - la nudità dell'attrice si intuisce, ma non si vede. Anche il contesto - le immagini in bianco e
nero, l'assenza di sonoro - crea una distanza piuttosto asettica, tra lo spettatore attuale e l'opera. Per
non parlare del fatto che che nell'era dello strapotere di internet immagini ben più sexy delle stelle e
stelline attuali sono sempre a portata di clic (o di touchscreen). Per tutti queste circostanze, pensare
che l'asticella attuale del comune senso del pudore sia più alta, rispetto ai lontani anni Venti del
Novecento, appare del tutto inverosimile.
Eppure le cose stanno così: il divieto (per quanto non tassativo, come stabilisce la normativa
americana) c'è. Il vaglio della commissione che stabilisce o meno i divieti era però necessario,
perché il film potesse tornare nelle sale. Questo perché quando Wings - con protagonisti, oltre alla
Bow, Buddy Rogers, Richard Arlen e Gary Cooper - uscì per la prima volta nei cinema, la censura a
Hollywood non c'era ancora. Il celebre Codice Hays - dal nome deputato repubblicano autore di una
crociata puritana contro il cinema di allora - fu promulgato infatti nel 1927, ma entrò in vigore nel
1930. E così il film non era mai finito sotto le sue maglie.
Finora, almeno. Ma evidentemente, nell'immaginario dei censori statuinitensi di adesso, i ruggenti
anni Venti conservano un lato inquietante. Forse a causa della spregiudicatezza, della sensualità
esplicita, delle dive dell'epoca, come Hedi Lamarr o Louise Brooks. E naturalmente la Bow, con le
sue forme morbide, i capelli scuri alla maschietta, le movenze sensuali. Prima celebrità
hollywoodiana, di una lunga serie, a essere definita una "it girl". E adesso vietata ai ragazzini 2012.
Rihanna, Kim Kardashian, Lindsay Lohan sì, la povera diva Clara no: paradossi di questo nuovo
Millennio...
fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/05/05/news/wings_vietato_ai_minori34454556/?ref=HRERO-3
--------------somewhereunderthetrees ha rebloggatoluomocheleggevailibri:
“Ma avere un cuore da bambino non è una vergogna. È un onore. Un uomo deve comportarsi
da uomo. Deve sempre combattere, preferibilmente e saggiamente, con le probabilità a suo
favore, ma in caso di necessità deve combattere anche contro qualunque probabilità e senza
preoccuparsi dell’esito. Deve seguire i propri usi e le proprie leggi tribali, e quando non può,
deve accettare la punizione prevista da queste leggi. Ma non gli si deve dire come un
rimprovero che ha conservato un cuore da bambino, un’onestà da bambino, una freschezza e
una nobiltà da bambino.”
— Ernest Hemingway, Vero all’alba (via luomocheleggevailibri)
-----------“Tecnica brigatista™ è un marchio di fabbrica depositato. Se uno spara alle gambe di
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Post/teca
“untizioqualunque” frega cazzi a nessuno, se uno spara alle gambe di
“politico/membrodelcda/personainvista” allora è Tecnica brigatista™. Tecnica brigatista™
aut. min. ric. (sic.)”
— 3nding (via 3nding)
---------------mariaemma:
“Potresti essere ingannato se ti fidi troppo, ma vivrai nel tormento se non ti fidi abbastanza.”
— Frank Crane
----------------Amici mei carissimi, scusati l'imprudenza
li tempi sunu tristi: non si fa cchiù crirenza.
Picchì 'ppi fari creditu a 'n cettu amicu miu,
pessi l'amicu, i picciuli... e a pugna ni finiu!
Amici miei carissimi, scusate l'imprudenza,
i tempi sono duri: non si fa più credito.
Perchè per far credito ad un certo mio amico,
ho perduto l'amico, i soldi ... ed è finita a pugni!
Nota: Lo si leggeva in certi negozi. Ma... nisba!
Aranciu, aranciu... aspetta ca ti mangiu..!
- Mu runi annicchia? - No, ca ti casca aricchia!
- Ma runi na fedda? - No, ca ti casca a cedda!
- Non mi ni voi rari? Cacaredda t'ha fari..!:
Arancio, arancio... aspetta che ti mangio!
- Me ne dai un poco? - No, che ti cade l'orecchio!
- Me ne dai una fetta? - No, che ti cade il pene!
- Non me ne vuoi dare? La diarrea ti deve causare!
Nota: Che fosse un piazzista di Bimixin e similari?
Me nanna fici u maccu e a mia non mi 'ni resi,
'dda vecchia di me nanna chi colira ca mi resi.
Me nanna mi mannau 'accattari l' ogghiu,
ma pessi lu stuppagghiu:
Ora ma tagghiu... e c'ha mettu 'ppi stuppagghiu
Mia nonna ha fatto il purè di fave e a me non ne ha dato,
quella vecchiaccia di mia nonna che dispiacere che mi ha dato!
Mia nonna mi mandò a comprare l' olio,
ma perdetti il tappo:
ora me lo taglio e lo uso per tappo!
Nota: Ottima campagna contro l'abbattimento degli alberi..!
Voi scanna voi, ti mangiasti menzu voi,
a mia non mi 'nni rasti e tutti i causi ti cacasti
Bue scanna bue, hai mangiato mezzo bue,
a me non ne hai dato e i pantaloni ti sei cagato
Cu ittau 'n piriteddu, 'ppi l' ammuzza 'do vicchiareddu?
Fu fu fu, lu cajordu ca fusti tu
Chi fece una scorreggina per l' anima del vecchietto?
Fu fu fu, lo sporcaccione fosti tu
Me maritu cascau 'ddo lettu,
si rumpiu a tavula 'o pettu,
u puttanu 'o spitalettu,
u spitalettu era chiusu
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Post/teca
u ficcanu intra 'n puttusu,
'nto puttusu non ci capeva,
u puttanu 'nta za Cammela
a za Cammela era malata,
ci chiantanu na tumpulata
c'ha chiantanu fotti fotti,
ci durau finu alli Motti
Mio marito è caduto dal letto
e si è rotto le costole,
lo hanno portato all' ospedaletto
ma l'ospedaletto era chiuso
e lo hanno ficcato dentro un buco,
ma nel buco non ci entrava,
lo hanno portato dalla zia Carmela,
la zia Carmela era ammalata
e gli hanno dato (al marito) un ceffone,
glielo hanno dato così forte,
che gli è durato fino al giorno dei Morti (2 Novembre)
Dumani mi susu 'i matinu, rapu a potta 'do giaddinu,
mi n'acchiannu chianu chianu ammucciuni 'do saristanu,
attruvai 'na cuppulidda, era fatta di Rusidda:
quannu mi l' haia mettiri? Quannu mi fazzu zita!
Zita 'cu lu velu, mi n'acchianu 'n celu,
'n celu ci su i banneri, bongionnu cavaleri.
Passa la zita, cu lu cappeddu 'i sita,
passa lu cavaleri, ca pari 'n dumanneri!
Fu, chi fetu ca fa: jetta 'n piritu e si 'ni va..!
Domani mi alzo di buon mattino, apro la porta del giardino
e salgo piano piano di nascosto del sagrestano.
Ho trovato un copricapo, cucito da Rosina:
quando lo metterò? Quando mi sposerò!
Mi sposerò col velo e salirò in cielo.
In cielo ci sono le bandiere: buongiorno cavaliere.
Passa la sposa con il cappello di seta,
passa il cavaliere che sembra un mendicante.
Fu, che puzza che fa: fa una scorreggia e se ne va.
Nota: Fu, oltre ad indicare in catanese il Passato Prossimo (e non quello Remoto) del verbo essere,
è una particella usata per esprimere ripugnanza, nel nostro caso per la puzza della scorreggia.
Sapiti chi successi alla Barrera?
Un poccu assicutau 'na cammarera!
A cammarera si vutò accussì arraggiata
e c'un muzzucuni ci scippau a suppizzata!
Sapete cos' è accaduto alla Barriera?
Un maiale ha inseguito una cameriera.
La cameriera si è girata così arrabbiata
e con un morso gli ha strappato la soppressata!
Nota: Barriera è l' abbreviazione di Barriera del Bosco, un delizioso e grande quartiere di Catania.
Il morso alla soppressata è una chiara allusione all'organo genitale del maiale..!
Sutta l' Acchi da Marina, sciddicau 'na signurina,
sciddicau 'cche jammi apetti e si ci visti u trentasetti.
E passau 'n picciriddu, ca ci visti u puttusiddu
e passau unu cchiu ranni e 'cciù 'n tuppau 'ccu 'n quatt' i canni..!
Sotto gli Archi della Marina, scivolò una signorina,
scivolò a gambe aperte e le si vide il trentasette.
Passò un bambino che le vide il buchino,
passò uno più grande e glielo turò con un quarto di carne!
Nota: Il 37 della filastrocca non è il numero di un autobus di linea ma allude ai genitali femminili.
Riguardo il quarto di carne, lascio immaginare al visitatore (comunque non si trattava di un macellaio!)
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Post/teca
Pilu Russu e Pilu Jancu, si 'nni jenu a Musterijancu.
Pilu Russu sciddicau, Pilu Jancu si 'n acchianau.
Si 'n acchianau supir' e casi, viva u pezzu di vastasi!
Pelo Rosso e Pelo Bianco, sono andati a Misterbianco.
Pelo Rosso è scivolato e Pelo Bianco se n'è salito.
E' salito sopra le case. Evviva il maleducato!
Nota: E' evidente il nonsense della filastrocca, ma si tratta pur sempre di giochi di bambini...
Quannu nascisti tu, facci di signa, 'na la to casa s' ammazzanu a pugna,
a cu c' acchiappau a sgabbia, a cui 'a rugna
e a to patri 'c' un cazzottu ci rumpenu a tigna!
Quando sei nato tu, faccia da scimmia, a casa tua si presero a pugni.
Chi prese la scabbia, chi la rogna
e a tuo padre con un cazzotto gli ruppero la testa.
Nota: In effetti a Catania con 'tigna' si indica una testa pelata (unu tignusu).
C'era 'na picciuttedda ca lavava, ci sciddicau u peri 'dda banchina.
Su non era 'pi Ninuzzu ca a pigghiava, cascava a 'mmenz' o mari e s'annijava!
A' mmenz' o mari c'era 'n tavulinu, 'ccu tririci suddati e 'n capitanu
mannatici 'na littra a Lucianu, ca Marietta non si marita cchiù..!
C'era una giovinetta che lavava e le scivolò il piede dal marciapiede.
Se non era per Ninuzzo che l'afferrava, cadeva in mare ed annegava.
In mezzo al mare c'era un tavolino con tredici soldati e un capitano.
Mandate una lettera a Luciano, perchè Marietta non si sposa più.
Nota: Tra tutte le filastrocche ascoltate da bambino, questa rimane per me la più enigmatica...
Sutt' o lettu da za Cicca, c'è 'na jatta sicca sicca:
cu para prima sa 'o 'llicca!
Sotto il letto della zia Francesca, c'è una gatta magra magra:
chi parla per primo se la lecca!
Nota: Ho eseguito una traduzione alla lettera ma, nella filastrocca,
'sicca sicca' indica un gatto morto e disidratato..!
fonte: http://www.puzzle.altervista.org/katane/filastrocche.php
---------------gravitazero:
“secondo me va a finire che il PD, non potendo perdere contro nessuno, stavolta perde contro
il Lecce e va in serie B”
— azael ‫( عصير للمشيمة‬via gravitazero)
-----------reblololo ha rebloggato hresvelgr:
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Post/teca
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Post/teca
somethingturkish:
16th century maps and depictions by Matrakçı Nasuh (most uploaded to Wikipedia by user
Marmoulak).
“Nasuh bin Karagöz bin Abdullah el-Bosnavî (born in Visoko, Bosnia and Herzegovina),
commonly known as Matrakçı Nasuh (Bosnian: Matrakčija Nasuh) for his competence in the
game called Matrak (also known as Nasuh el-Silâhî - Nasuh the Swordsman - because of his
talent with weapons) was a 16th century Ottoman mathematician, teacher, historian, geographer,
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Post/teca
cartographer, swordmaster, and miniaturist of Bosniak origin. He was brought to Istanbul after
being recruited by the Ottoman scouts in Rumalia, educated, served several Ottoman Sultans and
became a teacher at Enderun School.[1]”
Matrakçı Nasuh, was a gifted Janissary of Bosnia who went through both the Infantry and
devşirme system, a gifted swordsman and sharp shooter well known for his intellect; he spoke 5
languages and was recruited into the Ottoman Navy.
After a long period of studies on mathematics and geometry he wrote his works “Cemâlü’lKüttâb” and “Kemalü’l- Hisâb” and submitted them to the Ottoman Sultan Selim I. He wrote also
the two books named “Mecmaü’t-Tevârih” and “Süleymannâme”. They deal about the history of
the period 1520 - 1543. He also wrote a historical piece on the Iran campaign of Suleiman I titled
“Fetihname-i Karabuğdan”.[2]
A recent study of his book, Umdet-ul Hisab revealed an unknown fact that Matraki had invented
some genuine multiplication methods. One of the significant results displayed in this book was
that thelattice method had been widely used in the Enderun nearly 50 years before John Napier
introduced it to the Western world for the second time after al-Khwārizmī and Fibonacci[3].
Besides his works on mathematics and history he is very famous because of his miniatures. He
created a naturalist style which focuses on panoramic views of landscapes and cities painted with
the greatest detail (his most famous work, the Istanbul landscape picture, shows almost every
street and building of the city). In Ottoman miniature art this was later known as “Matrakçı style”.
The most important of his four historic volumes of miniatures is that dealing with Suleiman I’s
first Iran-Iraq campaign in 1534-35. Besides illustrating the march of the Ottoman army from
Istanbul to Baghdad and then Tabriz and its return viaHalab and Eskisehir, he also includes all the
cities met by the army along the way. The Library of Istanbul University hosts the only copy of
this unique work.
Nasuh was also a soldier and a master Bladesmith. He worked as a weapon teacher at Enderun
School. He and his students demonstrated their skills in a show which was part of the
circumcisioncelebrations of Suleiman I’s sons. Because of his success in this demonstration Nasuh
received the honorary title of Ustad (Master) and Reis (Chief) from the Sultan. He also wrote a
book about usage of various weapons and techniques of cavalry and infantry fight, called “Tuhfetül Guzât”.[4]
More information about him here.
Fonte: somethingturkish
---------------tempibui:
“
Questa mattina ho guardato l’orologio e segnava le 8 e in piedi di fianco a me c’era D. che
fumava una sigaretta e mi metteva meglio le coperte perché aveva paura avessi freddo.
Io D. lo penserò sempre con una sigaretta accesa in bocca, fumata oltre la metà. Non posso
farci nulla.
Mentre mi dice che ho gli occhi a cuoricino.
Mentre sorride.
Mentre mi dice che è contento perché sembro una coatta in giro e invece solo lui sa quanto
sono dolce.
Mentre miagola.
Mentre mi dice cose dolci come se mi dicesse cosa ha mangiato a pranzo.
Mentre si scusa per il ritardo.
Mentre mi dice che era una giornata di merda ma ora che siamo qui, no, ora no.
106
Post/teca
Mentre si sveglia e mi dà un bacino sul naso perché “Non hai detto che le giornate sono
migliori se qualcuno ti bacia sul naso quando ti svegli?”
Sì, D., lo ha detto Snoopy a dirla tutta.
Ma io l’ho detto a te.
”
— Un quadro della Madonna - Le storie sono ovunque
---------------20120508
gravitazero ha rebloggato ze-violet:
“Per essere più asociali di me bisogna frequentare persone di antimateria.”
-----------------------------------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“Dorme la corriera
dorme la farfalla
dormono le mucche
nella stalla
il cane nel canile
il bimbo nel bimbile
il fuco nel fucile
e nella notte nera
dorme la pula
dentro la pantera
dormono i rapresentanti
nei motel dell’Esso
dormono negli Hilton
i cantanti di successo
dorme il barbone
dorme il vagone
dorme il contino
nel baldacchino
dorme a Betlemme
Gesù bambino
un po’ di paglia
come cuscino
dorme Pilato
tutto agitato
dorme il bufalo
nella savana
e dorme il verme
nella banana
dorme il rondone
nel campanile
russa la seppia
107
Post/teca
sul’arenile
dorme il maiale
all’Hotel Nazionale
e sull’amaca
sta la lumaca
addormentata
dorme la mamma
dorme il figlio
dorme la lepre
dorme il coniglio
e sotto i camion
nelle autostazioni
dormono stretti
i copertoni
dormono i monti
dormono i mari
dorme quel porco
di Scandellari
che m’ha rubato
la mia Liù
per cui io solo
porcamadonna
non dormo più”
— Dormi, Liù - Stefano Benni
----------------------------apertevirgolette:
“Sorprendersi è il terzo verbo più importante dopo essere e amare.”
— Massimo Bisotti
------------------------tempibui:
Invece dovremmo capire che la gente si salva da sola nel modo che preferisce e non
necessariamente grazie a te e che se una cosa non ci rende felici allora basta, facciamola fuori.
---------------------------gravitazero ha rebloggato messalaida:
i vegani che non bevono il latte, secondo me, è perché pensano che la mucca venga spremuta
- messalaida
------------------------------------senza-voce ha rebloggato ciaociaobambina:
“Quando riesci a trovare le parole per spiegarlo, non è più un sentimento: è un ricordo.”
— Guido Paolo De Felice (via quicivorrebbeunnomeadeffetto)
Fonte: quicivorrebbeunnomeadeffetto
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LE BOCCE PIÙ FAMOSE DEL MONDO
Di Karley Sciortino
Foto d’archivo per gentile concessione di Kitten Natividad.
Le tette di Kitten Natividad sono fra le più famose nella storia di Hollywood. Meglio conosciuta per la sua decima di
petto e per la sua capacità di venire facendo uno striptease, Kitten è una delle leggendarie donne di Russ Meyer, nonché
sua ex fidanzata. E devono essere le tette migliori al mondo se Meyer—il signore della sexploitation—le ha volute
strizzare per 15 anni di fila.
Kitten è nata nel 1948 a Juárez, in Messico. Dopo una losca operazione di ingrandimento del seno fatta a Tijuana a 21
anni, si è trasferita a LA e ha lavorato come cubista. La sua carriera da spogliarellista l’ha condotta a Meyer, che la
scritturò per film come Up! e Beneath the Valley of the Ultra-Vixens.
La sensualità aggressiva di Kitten ha solidificato la sua reputazione come una delle donne più influenti nell’erotismo di
culto. Fra i suoi maggiori successi in déshabillé ricordiamo: aver fatto uno spogliarello all’addio al celibato di Sean
Penn prima del suo matrimonio con Madonna, essere diventata una regina del burlesque, aver recitato in una serie di
film porno (di dubbio gusto) negli anni Ottanta, ed essere stata fra i protagonisti diEroticise—probabilmente il video di
aerobica più trash e ridicolo di tutti i tempi. Purtroppo, nel 1999 le fu diagnosticato un tumore al seno e fu sottoposta a
una doppia mastectomia. Ma questo non l’ha fermata dal rifarsi le tette (di nuovo) e ora dichiara: “Gli uomini che
dicono che non gli piacciono le tette di plastica possono andarsene a fanculo.” Non potrebbe trovarmi più d’accordo.
VICE: Com’era Hollywood negli anni Settanta? Mi sembra che le cose fossero completamente diverse.
Kitten Natividad: Era favoloso. Si facevano tutti di cocaina e altre droghe—andavi alle feste e sentivi l’odore di
popper nell’aria come l’odore dei calzini sporchi. E si facevano un sacco di orge. Era prima dell’AIDS, ed eravamo tutti
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molto aperti.
Come hai conosciuto Russ Meyer?
Ci ha presentati Shari Eubank, un’amica con cui lavoravo come spogliarellista. Era la star del suo filmSupervixens. A
Russel piaceva lavorare con le spogliarelliste nei suoi fi lm, perché non si facevano problemi a girare nude. Gli capitava
che le attrici gli dicessero: “Devo farmi vedere nuda? Potrebbe essere una brutta cosa per la mia carriera, bla bla bla.” E
lui: “Ma vaffanculo, assumerò una spogliarellista.”
Com’è stato lavorare sotto di lui? E mi riferisco al modo in cui lavorava come regista.
Era figo, ma scopavamo a ogni pausa pranzo. Era un tipo arrapato, un vecchio sporcaccione.
Avevate una relazione aperta?
Oddio, no! Era molto geloso—possessivo e tiranno—per questo non l’ho mai voluto sposare. Voleva essere il regista di
ogni cosa—dove mangiavamo, quello che facevamo, tutto. Io dicevo: “Vado a trovare mia madre” e lui mi rispondeva
“Perché? Hai me, non hai bisogno di una madre.”
Ho letto da qualche parte che gli hai fatto provare il sesso anale e che non gli è piaciuto.
No, infatti, lo trovò strano. Credo che alcuni ragazzi lo trovino strano perché gli sembra una cosa da gay. Io gli dicevo,
“Non ti piace perché ti sembra di fottere un uomo, è questo che ti dà fastidio?” Era abbastanza vecchio stampo.
Sei stata con altri personaggi famosi?
Non mi piace parlarne, nonostante molti di loro siano già morti. Uhm... Tony Curtis, Tom Selleck, che era favoloso a
letto, Don Adams... Era ben dotato.
Perché ti sei data al porno negli anni Ottanta?
Mi sono data all’alcool, ed ero spesso ubriaca e non mi accorgevo di nulla. Avevo bisogno di soldi, ma avevo un aspetto
orribile. Se avessi voluto fare carriera nel porno, avrei dovuto farlo quando avevo un aspetto decente. Ho rovinato tutto.
Ma fa parte del mio percorso, e non me ne pento. Ho fatto quel che ho fatto.
All’epoca ti era piaciuto?
Sì, lavoravo molto! Per ogni ora di montato devi passarne otto a scopare. Chi cazzo ci riesce? È faticoso, e vuoi solo che
finisca, ma devi farti riprendere da dietro, e poi dal basso, muovere il letto, e poi la cinepresa—e scopare, scopare,
scopare, scopare.
Dopo la doppia mastectomia, ti è sembrato di aver perso parte della tua identità?
Sì! È come essere una cantante e avere un cancro alla gola—si stavano impadronendo della mia fonte di reddito! I
dottori mi dissero: “Andrà tutto bene—dobbiamo toglierle, ma potrai fare la ricostruzione.” Risposi: “Allora non mi
frega un cazzo, potete pure buttarle dalla finestra!”
Quindi le hanno semplicemente buttate via e te ne hanno dato un nuovo paio come fossero calzini?
Sì, ma le ho fatte fare un po’ più piccole, perché quando sono troppo grandi non sono molto comode—del tipo che ti
rotoli dalla parte sbagliata e te le pizzichi col gomito, o stai camminando e urtano accidentalmente contro una lampada.
Sono una rottura di palle.
Per maggiori info da Karley Sciortino su tette grosse e deviazioni sessuali estreme, date un’occhiata alla sua nuova
serie SLUTEVER.
fonte: http://www.vice.com/it/read/le-bocce-piu-famose-del-mondo-a8n4
-----------------------------------falcemartello ha rebloggato abatelunare:
“Quando un uomo ha dei dubbi su quello che deve scrivere, gli sarà utile chiedersi cosa
diranno le sue parole di lì a cent’anni.”
— Samuel Butler (via abatelunare)
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Il grande flop del
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partito dei Pirati
italiani: il record di zero
voti
Paolo Stefanini
Domenica i Pirati di Germania si sono affermati come terzo partito tedesco. Nel
giorno del grande successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i Pirati italiani
escono invece dalle urne con le ossa rotte. In alcuni Comuni i loro candidati non si
sono neppure votati da soli e vedono un incredibile zero a fianco al loro nome. Ma
chi sono i Pirati italiani?
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Post/teca
Il “portavoce” dei Pirati italiani Marco Marsili, durante un’affissione elettorale a Mezzana
Rabattone (Pv)
7 maggio 2012 - 23:35
Nel rugby sarebbe un cucchiaio di legno. È clamoroso il risultato dei Pirati italiani
che, in alcuni Comuni, escono dalla due giorni elettorale a urne inviolate: zero voti
ai loro candidati sindaci che, evidentemente, in modo cavalleresco, non si sono
autovotati. Il Pirate Party si è presentato in pochissime realtà, tutte sotto i
quindicimila abitanti, tra Piemonte e Lombardia. Il suo fondatore è Marco Marsili
che si autodefinisce «futurologo, innovatore, libero pensatore, maître à penser,
rivoluzionario, problem solver, affetto da bulimia culturale». Quarantatré anni, era
già salito alla ribalta delle cronache quando la leghista Monica Rizzi, che allora era
assessore allo Sport in Regione Lombardia (si è dimessa il 16 aprile scorso) lo
licenziò in tronco dal ruolo di suo portavoce. Fecondo scrittore, aveva infatti dato
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alle stampe un libro dal titolo piuttosto scomodo per gli allora alleati di ferro della
coalizione di centrodestra: Onorevole bunga-bunga. Berlusconi, Ruby e le notti a
luci rosse di Arcore, 471 pagine fitte fitte a 18 euro per i tipi della leccese BePress
edizioni.
Lo slogan scelto del Partito Pirata è «Tutto il potere al Popolo sovrano» e
chi volesse leggerne il programma politico lo trova qui. Non è facile sintetizzarlo,
ma in ogni caso, tra le varie cose, «Pirata è chi vede nella crescita economica,
imperniata sullo sfruttamento più intenso ed esteso della natura e del lavoro
umano, la causa originaria dello stato di degrado del nostro pianeta, della
condizione alienata ed inquinata in cui versano i paesi industrializzati e i loro
abitanti, del sottosviluppo crudele e desolante in cui si trovano i tre quarti
dell’umanità. Questa crescita cieca, squilibrata ed iniqua è la radice dell’oppressione
sociale di milioni di persone, spossessate del controllo sul proprio lavoro e sul
proprio destino, ed è uno dei fondamenti della subordinazione di chi è più debole,
del diverso, dello straniero».
E ora passiamo ai risultati. Marco Marsili detto “il principe” si presentava a
Brienno (Como), paese che doveva rappresentare la Stalingrado del movimento. Si
è portato a casa 24 voti. Meglio di lui ha fatto Roberto Cazzaniga che, candidato
sindaco sempre nel comasco, a Barni, di voti ne ha ottenuti 35. E stiamo parlando
dei recordmen. Sul terzo gradino del podio c’è Sara Bologna, che a Vesime (Asti)
guadagna 7 consensi. Sempre nell’astigiano continua la débâcle: 4 voti per Giuditta
Maria Minnetti a Tonco, 2 per Andrea Masiello a Capriglio, uno solo per Lucio
Cantamesse detto Supergiovane a Cerreto (stesso risultato, in quel Comune, per
Emiliano Calemma dell’inquietante partito Fascismo e libertà). L’altra Cantamesse,
Paola, scavalca il forse parente. Candidata sindaco a Gera Lario (Como), in 5 hanno
creduto in lei. Como è invece il cognome di un certo Roberto, che a Carrosio
(Alessandria) ottiene un voto solo. E pensare che lì si era parlato di “derby
dell’antipolitica” per la contemporanea presenza di un grillino. L’esponente del
Movimento 5 Stelle, Piero Odino, esce a testa ben più alta, con un rotondo 27,93%.
Un solo voto anche per Francesca Caricato a Mezzana Rabattone (Pavia). E qui
arrivano i due dati più clamorosi. Quelli dei candidati sindaco Angela Scattarelli
detta Scatt ad Alice Bel Colle (Alessandria) e di Alessandro Marsili detto Sandro a
Pino sulla sponda del Lago Maggiore (Varese): zero voti. Ma con gesto un po’
corsaro non potevano almeno votarsi da soli?
fonte: http://www.linkiesta.it/partito-pirati-italia
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Orlando, vent’anni
dopo con Palermo in
pugno
Giuseppe Alberto Falci
A Palermo l’ex sindaco Orlando sbanca. Ferrandelli che aveva vinto le primarie si
ferma ben sotto il 20%, il centrodestra isolano non esiste più, il terzo polo vale l'8
per cento. E per il ballottaggio, vent’anni dopo, si prepara già un nuovo trionfo del
sindaco-simbolo della primavera degli anni 90.
PALERMO - A Palermo perdono tutti, e vince soltanto Leoluca Orlando col suo
47,5%. Perde il centrodestra, e sopratutto il segretario nazionale del Pdl Angelino
Alfano, perché per la prima volta dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi non
amministrerà il capoluogo siciliano, e le liste del Pdl perdono in cinque anni
all’incirca trenta punti percentuali, passando dal 38% del 2007 all‘8.23% di oggi.
Perde il partito democratico perché il vincitore delle primarie Fabrizio Ferrendelli,
quello sponsorizzato da mezzo stato maggiore del Pd nazionale e dai due big
siciliani Antonello Cracolici e Beppe Lumia, si ferma al 17,4%. Perde anche il
governatore regionale Raffaele Lombardo: il suo candidato, Alessandro Aricò,
sostenuto da Mpa e Fli, si attesta all’8%, una cifra al di sotto delle aspettative.
Era nell’aria che oggi a Palermo si sarebbe consumato l’Orlando-day. Addirittura
giorni fa circolava un sms fra i deputati dell’Ars:”Orlando va come la Tav”. In tanti lo
sapevano nel palazzo siciliano che Orlando avrebbe fatto il botto, “ ma francamente
non ci aspettavamo questi numeri”, sussurra a Linkiesta un democratico
palermitano. Orlando ha sparigliato le carte: ha pescato a destra e a sinistra. Ma
sopratutto a destra ha raccolto consensi: Massimo Costa, sostenuto da Pdl-UdcGrandeSud si ferma al 13%, ma le sue liste si attestano al 25%. “Dove finisce quel
12% in più delle liste?”, si domanda un’esponente locale del Pdl. Al tg3 Ignazio La
Russa arriva a dire che sia stata colpa del nome del candidato:”Noi abbiamo
candidato Costa… ma con quel nome, poveretto… dopo le vicende della nave…”.
Ma veniamo al pomeriggio. Alle 15 iniziano ad uscire i primi exit pool su twitter.
E Leoluca Orlando è già in testa, anche se la forbice è ancora stretta. Il primo exit
pool conferma l’eterno Orlando al 30%, il candidato del centrodestra Costa al 20%,
e il vincitore delle discusse primarie Fabrizio Ferrandelli al 18%. Ma nei comitati
elettorali palermitani nessuno si sbilancia, e si attendono con ansia le prime
proiezioni autorevoli. C’è tensione all’interno del comitato elettorale del
centrodestra. Un collaboratore di Costa dice a Linkiesta:”Occorre aspettare, ma
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Post/teca
Costa è più che realistico”.
Passano i minuti e la tensione sale. Su La7 Enrico Mentana sciorina il primo
exit pool del centro studi Emg. Anche qui è Orlando è in testa, sarebbe in una
forbice compresa fra il 31 e il 36%, Costa sarebbe sarebbe fra il 21 e il 26%, e
Ferrandelli fra il 18 e il 23%. Alle 15:33 Ferrandelli twitta:”Crediamo di arrivare al
ballottaggio, sensazioni positive”. Mentre alle 15:43 il coordinatore regionale del
Pdl, Francesco Scoma rispondeva così:”Previsione ballottaggio Orlando-Costa”.
Boom!
Intorno alle 16 lo staff di Orlando fa sapere che “alle 17:45 Orlando rilascerà
dichiarazioni alla stampa”. A quell’ora il professore lascia l’abitazione di via Dante e
si dirige verso il quartier generale di viale Mazzini. Nel frattempo gli exit pool che
diffondono le varie testate televisive confermano il trend positivo per il “professore”.
Insomma, già a metà pomeriggio Orlando sa di essere al ballottaggio. Tant’è che su
twitter in tanti scrivono che “al comitato di @LeolucaOrlando1 si esulta dopo la
proiezione al 43.4%”.
Proiezione dopo proiezione, siamo quasi all’ora di cena, il dato su Orlando
arriva a sfiorare quota 48%, e in tanti, anche all’interno del partito democratico,
iniziano a pensare che il candidato di Idv-Fds-Verdi possa vincere anche al primo
turno. Ma in caso di ballottaggio, fa sapere Orlando:"Non mi apparenterò con
nessuno". E ancora:”Quanti hanno votato per me ancorché collocati nei diversi
schieramenti lo hanno fatto per liberarsi da un Cammarata che forse in passato
hanno votato e da un Pd che in passato hanno votato”.
Il professore è un fiume in piena, è su tutte le tv, e sembra quasi un ritorno al
futuro. Prima attacca Vendola, reo di aver deciso di sostenere il vincitore delle
discusse primarie Ferrandelli:”La foto di Vasto (l'immagine con Vendola, Di Pietro e
Bersani, ndr) rimane integra ma è una vergogna che Vendola e il Pd stiano ancora a
tenere il cordone a Lombardo”. E poi ha lanciato il sasso contro il governatore
regionale Raffaele Lombardo:”In un Paese civile "Raffaele Lombardo sarebbe già un
ex presidente della Regione”.
All’ora di cena il risultato di Orlando spaventa i leader regionali del Pd.
Cracolici e Lumia, entrambi big sponsor di Ferrandelli, e sostenitori dell’alleanza fra
il Pd e il governatore regionale Raffaele Lombardo, non ci stanno, e rispondono
duramente alla “provocazione” lanciato da Orlando:”Finalmente molte verità
vengono a galla: Orlando ha raccolto i voti di Cammarata: d'ora in poi non potrà
accusare più nessuno, è lui il candidato più trasversale di tutti”. Sulla stessa
lunghezza d’onda il governatore regionale Raffaele Lombardo:”C'è un grosso
consenso per Orlando. Si vede che i palermitani lo vogliono e credo che bisogna
prenderne atto. In quanto a lui, per le sue affermazioni, l'ho giudicato sciacallo.
Quello che dice è vomitevole. Basta pensare, a proposito delle sconcezze di
quest'uomo, a quello che diceva di uomini come Falcone. Lui calunniava e
aggrediva anche Giovanni Falcone. Palermo, però lo ha scelto e noi non possiamo
che prenderne atto”.
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A Linkiesta il segretario regionale Giuseppe Lupo legge positivamente lo spoglio
palermitano, non polemizzando con Orlando:”La prima considerazione è che nessun
candidato della destra va al ballottaggio. La mia opinione è che il centrosinistra sia
più forte di quanto si possa immaginare. Altra considerazione: la debolezza delle
liste del presidente della regione. Ed ultima considerazione: l’Udc se si allea con il
Pd vince, come ad esempio a Cefalù. Altrimenti con la destra perde, come ad
esempio a Palermo”.
Finalmente intorno alle 22 arrivano i primi dati ufficiali. E il professore, dopo la
diffusione delle prime sezione scrutinate, sarebbe dato vincente addirittura al primo
turno. Orlando sfiorerebbe il 49%, e sarebbe già pronto a varcare la porta di
Palazzo delle Aquile. Alle 23:22, il senatore Idv Fabio Giambrone, ai microfoni di
uno speciale del tg3 regionale, dice:”Per Leoluca è ancora possibile vincere al primo
turno”.
I dati del comune di Palermo giungono a rilento. Su twitter in tanti ironizzano sui
dati palermitani. Palermo è l’unica città che non conosce il risultato definitivo. Nei
comitati elettorali all’una di notte sembra ancora giorno, e al comitato di “Leoluca”
incrociano le dita per raggiungere il traguardo già oggi.
Ma a tarda notte, siamo intorno alle quattro del mattino, sono già state scrutinate
341 sezioni, la metà delle totali, e Orlando si attesterebbe al 47.69%, il vincitore
delle primarie Ferrandelli sarebbe fermo al 17.43%, e per il candidato del
centrodestra Costa si allontanerebbe il ballottaggio fermandosi al 12.26%.
Insomma si profila un ballottaggio Orlando-Ferrandelli, che stando ai precedenti
politici del giovane Ferrandelli, il quale era capogruppo al consiglio comunale con il
partito di Di Pietro, sarebbe una sfida interna tutta interno all’Idv.
Di certo Orlando partirà in vantaggio, recuperare il gap negativo di 30 punti
percentuale per Ferrandelli non sarà facile. Anche se al ballottaggio “la partita
ripartirà con la palla al centro del rettangolo di gioco”, come fa sapere Ferrandelli ad
un tg nazionale.
Ma a Palermo quasi tutti sono sicuri: “al secondo turno non ci sarà storia”. “Orlando
potrebbe toccare le percentuale bulgare dei primi ’90”. E dopo vent’anni in città
“tornerà la primavera”.
fonte: http://www.linkiesta.it/ballottaggio-palermo
--------------------------------rivoluzionaria:
“Il mio ‘ti voglio bene’ è sincero. Figurati il ‘vaffanculo’.”
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Teresa Spaur accompagnò Pio IX nella fuga notturna da Roma a Gaeta
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Post/teca
La mia carrozza per il Papa
In un resoconto del 1851 la contessa ricorda
come il Papa indossò i panni di un semplice prete "con un pajo di occhiali sul naso"
di GIULIA GALEOTTI
"Da Vienna è stata annunciata la morte della contessa Teresa Spaur, il cui nome può forse essere
ricordato in relazione a quello di Sua Santità [Pio IX]", scriveva "The New York Times" il 16
giugno 1873. L'accenno incuriosisce: quale era il legame tra la nobile italiana e il beato Mastai
Ferretti tale da "giustificare" il necrologio sul quotidiano statunitense?
Sconosciuta ai più anche nella sua Italia, Teresa Spaur (nata a Roma nel 1799 in una nobile famiglia
di lontane origini francesi) è colei che viaggiò con Pio IX nella carrozza che lo condusse in
incognito da Roma a Gaeta nella notte del 24 novembre 1848. Di quel viaggio (insieme al figlio
quattordicenne della donna, la cameriera e un gesuita), la contessa ha lasciato un resoconto
minuzioso. È la Relazione del viaggio di Pio IX.
P.M. a Gaeta pubblicata a Firenze nel 1851 con la casa editrice Galileina. Il testo conobbe poi una
tormentata fortuna editoriale: tradotto l'anno seguente in francese e tedesco, ristampato a Torino
(corredato però da una prefazione anonima che presentava l'autrice come un'avventuriera), finì ben
presto nel dimenticatoio. Oggi introvabile nelle maggiori biblioteche pubbliche italiane, della
Relazione è stata recentemente pubblicata una ristampa anastatica, curata da Roberto Pancheri
(Trento, Arti Grafiche Saturnia, 2011).
(©L'Osservatore Romano 7-8 maggio 2012)
----------------------------------------cardiocrazia ha rebloggato ohanaflowers:
Peggio dell'essere rifiutati da una persona vi é solo l'essere
rifiutati da un gatto.
------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“Se l’occhio non si esercita, non vede.
Se la pelle non tocca, non sa.
Se l’uomo non immagina, si spegne.”
— Danilo Dolci, da Il limone lunare
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Post/teca
-------------«Per come la vedo io, tutto è bene quel che finisce. Punto»
(Paperinik, Operazione Efesto)
citato su: http://www.ilpost.it/2012/05/08/paperinik/
fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/PKNA_-_Paperinik_New_Adventures
--------------------falcemartello ha rebloggato pragmaticamente:
“Le meilleur moyen de ne pas regretter quelque chose, c’est de l’oublier.”
— Frédéric Beigbeder (via hisaemi)
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Letture. Intelligenza collettiva ed evoluzione della specie
By Luca De Biase on May 8, 2012 12:22 PM | Permalink |
Le biografie individuali e le relazioni con gli altri si intrecciano indissolubilmente. Oscilliamo tra il sentirci autori
solitari della nostra vita e rotelle di meccanismi impersonali e superumani. La rete ha accelerato il processo di fusione
tra le due dimensioni. E la consapevolezza è la sola strada per mantenerci in equilibrio. Ci sono molti studi da guardare
per coltivare questa consapevolezza.
Martin Nowac è un matematico e biologo di Harvard. Il suo libro,Supercooperatori, discute del sistema di
relazioni degli esseri umani in una prospettiva evoluzionistica. La lotta per la sopravvivenza implica una competizione
tra le specie. E gli umani l'hanno giocata in un continuo rimpallo di egoismo individuale e cooperazione sociale. Ma è la
nostra capacità di cooperare a distinguerci. "La nostra stupefacente capacità di cooperare è uno dei mezzi principali
grazie ai quali siamo riusciti a sopravvivere in ogni sorta di ecosistemi sulla Terra". Ma la sfida non è conclusa, dice
Nowac. "Dobbiamo ampliare l'orizzonte delle nostre preoccupazioni ben oltre gli eventi di domani. Dobbiamo fare in
modo che il nostro dovere di prenderci cura dell'ambiente che lasciamo agli altri includa anche l'avvenire di coloro che
non sono ancora nati. Dobbiamo fare del nostro meglio per cooperare con le molte decine di miliardi di individui che
erediteranno il mondo da noi". E questo non per buonismo, ma per competere. Perché le diverse forme sociali saranno
poste a dura prova. "Alcune civiltà si espanderanno e prospereranno a lungo. Molte non prospereranno, e potrebbero
estinguersi". Il destino di ciascuno è connesso al destino di tutti.
Tra i temi di civiltà, che possono fare evolvere le società in modo tale da garantirne la sopravvivenza o in modo
da farne rischiare l'estinzione c'è evidentemente l'organizzazione economica e politica. Il liberalismo iperideologico
contiene un rischio da questo punto di vista, dice Philippe Kourilsky, nel suoManifesto dell'altruismo. Il libro discute
delle derive inconsulte che sono contenute nell'idea astratta secondo la quale il meccanismo del mercato è il migliore
dei modi possibili per allocare le risorse. La sua proposta è un liberalismo altruista, nel quale la libertà sia associata a un
dovere nei confronti degli altri. L'altruismo non è una materia collettiva, dice Kourilsky, ma individuale. E dipende, per
poter funzionare, dalla consapevolezza di ciascuno. Il libro non è una teoria, ma una sorta di esortazione, rivolta alle
persone e alle società: parte dalla constatazione che l'uomo è nato libero ma dappertutto è in catene. E arriva a dire che
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la liberazione è un percorso individuale da fare pensando agli altri.
Ma è una capacità da coltivare. Saper vivere insieme è una sorta di artigianato, suggerisce Richard Sennett nel
suo libro intitolato, appunto, Insieme. Ne abbiamo parlato anche qualche mese fa.Le forme della collaborazione sono
molte. Sennett sottolinea fin dall'inizio la distinzione tra il principio della "simpatia" - che è in fondo la capacità del
soggetto di dichiararsi capace di soffrire e gioire con l'altro, assorbendolo dunque in una forma di estensione della sua
soggettività - e il principio dell'"empatia" - che invece parte dall'ascolto dell'altro in una forma dialogica che non fa
cessare l'alterità ma estende la conscenza e la vicinanza. È un modo per segnalare la differenza tra la collaborazione tra
simili o assimilabili - forse oggi predominante - e la collaborazione tra diversi cosmopoliti - forse oggi vieppiù
necessaria.
Forse la rete è una risposta della specie umana alle sfide generate dalla moltiplicazione dei suoi individui che ha
raggiunto i 7 miliardi e che, pur avendo rallentato, arriverà a 9 in pochi decenni. Ma il successo evolutivo nella specie
umana ha bisogno di un equilibrio tra la forza creativa della persona e la forza organizzativa della società: l'intelligenza
collettiva è stupida senza le persone che la animano e la sfidano, ma nello stesso tempo anche le singole persone sono in
un certo senso stupide se non lavorano, sentono e immaginano insieme.
fonte: http://blog.debiase.com/2012/05/letture-intelligenza-collettiv.html
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Due storie di internet
By Luca De Biase on May 8, 2012 10:52 AM | Permalink |
Per sapere dove andiamo, spesso, abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo. Da vedere due servizi che ricostruiscono
la storia di internet.
Il primo è un testo pubblicato sul sito della Internet Society. Tra gli autori c'è anche Leonard Kleinrock che era presente
al primo invio di messaggio via internet della storia. Dice che si voleva mandare il testo "logon" ma la linea è caduta e il
primo testo inviato è stato dunque solo "lo". Brief history of the internet.
Il secondo è un corso online di Charles Severance della University of Michigan School of Information.
Ma perché una storia di internet? "Why history? This is not history just to memorize dates, places, and people's names
so you can answer questions on an exam. The history of the Internet and the Web is not nearly as simple as it might
seem on the surface. There are heroes who saved the day and villains who tried to keep the heroes from saving the day.
There were complex engineering issues that needed to be solved in a hurry. By looking at what really happened and
hearing directly from those who built it, we also learn about how humans work together to solve large, complex, and
undefined problems. "
Si trova su Coursera.
fonte: http://blog.debiase.com/2012/05/due-storie-di-internet.html
-----------------ilfascinodelvago:
“Il giornalismo italiano da molti anni è in crisi, attaccato dalle nuove tecnologie di
comunicazione e minato dalle tentazioni del copia incolla. Quelle che erano le “5 w” (who,
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what, why, where, when) sono state sostituite da altre domande: Chi è suo padre? Ci finanzia?
Ha una terza di reggiseno? Quanto sangue si vede? Qualcuno vuole un caffé?”
Fonte: collyermag.blogspot.it
-----------http://it.wikipedia.org/wiki/Maurice_Sendak
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Raccolgo storie e racconto storie, da artigiano
di Ascanio Celestini – lunedì 7 maggio 2012 - 00:17
Mi chiamo Ascanio Celestini,
figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera.
Mio padre rimetteva a posto i mobili, mobili vecchi o antichi
era nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone
in bottega a San Lorenzo.
Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera
da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia
e a quel tempo ballava il liscio.
Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare.
Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera.
Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere.
Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro,
è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia.
La mattina faceva le pulizie, pomeriggio e sera faceva la maschera,
la notte faceva il guardiano.
Sua moglie si chiamava Agnese, è nata a Bedero.
Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni e faceva il boscaiolo con Primo Carnera.
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava Marianna.
La sorella, Fenisia, levava le fatture
e lei raccontava storie di streghe.
Qualche anno fa quando mi hanno chiesto di scrivere un curriculum da allegare alla presentazione
degli spettacoli, non ho mandato una scheda con la formazione scolastica, la scuola di teatro, i
seminari, i convegni seguiti. Forse perché non sono stato un brillante studente di liceo, ho interrotto
gli studi universitari prima della laurea, la scuola di teatro che ho frequentato ha chiuso dopo un
anno di corso per trasformarsi in un tempio per Sai Baba. Forse perché per tre o quattro anni ho
partecipato a seminari che non vale la pena ricordare, un po’ perché la maggior parte di questi non
sono durati più di una settimana, un po’ perché non ci crederebbe nessuno che ho fatto teatro-danza
e comunque nel mio lavoro credo che non si ritrovi neanche un poco di quel poco che hanno cercato
di insegnarmi.
Potrei aggiungere a quelle righe di presentazione che in questi anni ho fatto un po’ di spettacoli
scrivendo il testo e pensando a quella che normalmente si chiama interpretazione, regia,
scenografia, luci e costumi, ma che per me sono una cosa sola. Che ho scritto un po’ di libri, ho
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Post/teca
registrato un disco, ho girato un film e negli ultimi anni sono stato anche un po’ in televisione.
Poco. Cinque minuti a settimana per un pezzo dell’inverno. Ma che, tutto sommato, il mio lavoro
consiste nel raccogliere storie e raccontare storie. In mezzo, tra la prima e la seconda occupazione,
c’è quello che succede nella testa del narratore, nella mia testa, cioè in una specie di bottega
artigiana. Si, perché credo che il mio lavoro sia quello dell’artigiano. E in questa maniera ritorno
alla prima parte della presentazione, a mio padre artigiano.
Credo che il mio lavoro funzioni come il suo. Un artista cerca di scrivere un libro perfetto, di
dipingere il miglior quadro del secolo, di eseguire una musica in maniera sublime. L’artigiano no.
Costruisce una sedia e poi un’altra e poi un’altra ancora. Non le conta nemmeno. Non pensa di fare
la sedia perfetta, la madre di tutte le sedie. Pensa ad approfondire la propria esperienza e a mettersi
a disposizione del cliente. Una sedia è il posto dove mettere il sedere. Deve essere comoda, stabile,
solida e possibilmente anche leggera e infine bella. Ma è probabile che la bellezza sia una
condizione secondaria, se non del tutto inutile. L’artigiano pensa che (o comunque si comporta in
questa maniera) la sua opera attraversi tutte le sedie che costruisce nel corso del tempo. Sedie che
dimentica perché dalla costruzione di esse accumula esperienza. Il suo lavoro è un flusso nel quale
fa scivolare le sedie.
Ma visto che ho già scritto troppo per una paginetta che deve essere letta in fretta e scivolare via
nella rete, chiudo con un brevissimo estratto dallo spettacolo PRO PATRIA che da domani, 8
maggio 2012, sarà a Via Rovello, al Piccolo Teatro di Milano.
Quando ero ragazzino partivamo dalla borgata per andare a prendere i mobili della gente ricca.
Erano nobili che abitavano al centro di Roma e toccava chiamarli col titolo nobiliare se no manco
ti rispondevano.
Una volta siamo andati su per l’ascensore fino a un quarto o quinto piano, mio padre ha bussato
alla porta e c’è venuta ad aprire la serva con la crestina e la parannanza, ma non c’ha fatto
entrare. Dietro la porta ci stava la padrona aristocratica che s’è informata è arrivato Celestini?
Ma che non se lo ricorda che deve passare dalla porta di servizio? Che la porta padronale mio
padre la vedeva solo quando la smontava per lucidarla e pure nell’ascensore dei signori ci passava
solo per rifarglielo nuovo. L’ascensore nostro era quello di fòrmica dove passano i servi.
La serva si aspettava che ce ne saremmo andati alla porta di servizio e quando saremmo entrati da
lì si sarebbe scusata sottovoce con lui, mentre la padrona, se non era troppo stronza, l’avrebbe
accolto sorridendo e senza fargli pesare quell’affronto.
Ma quella volta il sor Nino non se l’è sentita di umiliarsi davanti al figlio così m’ha preso per
mano e m’ha portato via.
Io l’ho capito che lo faceva per me e gli ho detto che non si doveva preoccupare e che magari la
signora marchesa s’era permessa solo perché immaginava che io fossi un ragazzetto di bottega
qualunque, che non l’avrebbe mai detta quella cosa se sapeva che ero suo figlio. Così l’umiliazione
fu doppia perché mio padre capì che io avevo capito che le infinite altre volte che s’era trovato da
solo in quella condizione aveva chinato la testa, chiesto scusa e fatto il giro del pianerottolo per
entrare dalla porta dei servi.
Siamo i protagonisti di una farsa, ma fino a quando stiamo da soli ci sembra che la farsa non sia
ancora andata in scena, che lo spettacolo vero non è ancora iniziato, che è ancora soltanto una
prova. Poi ci giriamo e vediamo che c’è tutta la platea che ci giudica e ride. Allora cerchiamo di
rovesciare la farsa in tragedia, ma viene fuori solo una via di mezzo, una cosa che non fa né
piagne, né ride’. Vero papà?
fonte: http://faberblog.ilsole24ore.com/2012/05/raccolgo-storie-e-racconto-storie-da-artigiano/
---------------121
Post/teca
inveceerauncalesse:
Ogni giorno avere la consapevolezza che tutto è distrutto.
Un patimento.
------------20120509
plettrude:
“Mia moglie è come il Pd. Non mi dimostra più attenzione né passione. Io ne soffro, eppure
non so fare a meno di lei. Sono attaccato a qualcosa che non c’è più, ma che sento parte della
mia vita. Così continuo a sperare che lei torni quella di un tempo e non vado via. Lo stesso
faccio con il Pd. Ma il partito non è una persona. Con un partito temo di avere ancora meno
speranze”
— Fra moglie e partito - LASTAMPA.it
Fonte: lastampa.it
-------------------------bastet:
“E’ proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non
vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro. E’ proibito sentire la mancanza di
qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate solo perché le vostre strade
hanno smesso di abbracciarsi. Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.”
— Pablo Neruda
---------------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, una certezza di essere ben nascosto.
Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia.”
— (via iosonoundubitatoreincurabile)
Fonte: iosonoundubitatoreincurabile
--------------------dovetosanoleaquile:
“Per essere sintetici, si può dire che i regimi che crollano sono quelli dei quali si può fare
meglio la storia, perché, essendo crollati, non possono difendere, tutelare nessun segreto;
mentre i regimi che sopravvivono, che durano, possono meglio dosare la verità.”
— Luciano Canfora
-----------------onepercentaboutanything ha rebloggato zefiro76:
“
La Svezia ha tappezzato lo spazio del ritiro bagagli con le facce degli svedesi di cui si può
vantare: This is my hometown, dicono, questa è la mia patria. Sono bianchi, neri, vecchi,
122
Post/teca
giovani, donne e uomini. Soprattutto, come direbbe Moretti, fanno cose: dipingono, girano
film, cantano, scrivono, cucinano, vincono competizioni, inventano qualcosa, creano bellezza e
armonia.
Cioè.
Questa nazione non ti accoglie con foto dei suoi fiordi, delle sue bellezze artistiche o della sua
natura selvaggia, anche se sono cose che ha. Ti dà il benvenuto con quello che evidente ritiene
più importante di tutto il resto: le persone. Una bella lezione contro le brutte campagne di
pseudopromozione a suon di spiagge, miti veri o presunti e piatti tipici. Il piatto tipico conta,
ma qui conta di più il cuoco che lo ha fatto.
(e poi, vuoi mettere farti dare il benvenuto da Ingmar Bergman e i Roxette!?)
”
— Michela Murgia, su Fb (via virginiamanda)
Fonte: virginiamanda
---------------------
Sono figa. Non posso…
La mia bio di twitter ha fatto il giro dell’Italia su magliette, pagine facebook, bacheche, tumblr, etc etc.
Su twitter viene ripresa tantissimo e modificata in modi favolosi. A un certo punto qualcuno ne ha fatto un hashtag
#SonoFigaNonPosso ma non ha attaccato un granché. La gente ormai lo cita in modo indipendente.
All’inizio ero stranita. Quando sono uscite le magliette a 31€ mi sono incazzata.
Ma è talmente estesa come influenza che non la posso controllare. Avrei dovuto depositare la frase no ma ti pare che
ci pensavo?
Su twitter ne lancio spessissimo anch’io, con varianti Sono singol non posso o Sono bionda non posso. Ne ho sfornate
talmente tante, e continuano a sfornarne tutti che ormai ho perso il conto. Ne ho ritrovati alcuni facendo una ricerca
avanzata su Google.
Sono figa. Non posso essere anche simpatica. (l’originale)
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa.
Sono figa,
Non posso avere la patente.
Non posso avere anche la quarta.
Non posso non fare le bizze.
Non posso alzarmi per ordinare.
Non posso essere una fighetta.
Non posso essere anche sfigata.
Non posso avere la concorrenza sfigata.
Non posso anche pulire la lettiera
Non posso perder tempo a fare la cagacazzi.
Non posso avere le amiche cesse.
Non posso portare i pushUp.
Non posso essere anche carina.
Non posso non avere 2 megaschermi al PC.
Non posso non avere il loft da singol
Non posso saper anche cucinare.
non posso non saper usare il trapano.
Certe volte me ne twittano alcuni niente male.
fonte: http://www.bloglovin.com/m/1950556/460159439/fb
--------------------
123
Post/teca
Sapete che vi stanno mentendo sul Peer To
Peer, vero?
08MAY
Mentre The Avengers sta sbriciolando ogni record di incassi – più di 200 milioni di dollari nel
weekend nei soli Stati Uniti, che ne fanno il miglior esordio sui tre giorni di sempre – si
diffonde la notizia che il nuovo film di Josh Whedon non ha spopolato allo stesso modo nel
circuito del peer to peer. La scorsa settimana, The Avengers è arrivato solo terzo su
BitTorrent, dopo Haywire e This Means War. Le analisi sui motivi si sprecano.
L’elemento davvero interessante è che sempre in questi giorni, l’utente di
SlashdotDangerous_Minds ha raccolto in un post i risultati di un’analisi condotta da Drew
Wilson di ZeroPaid. Wilson ha analizzato ben 20 studi relativi al peer to peer degli ultimi
dieci anni, chiedendosi a quali risultati fossero davvero arrivati, scoprendo così che non solo
l’effetto del peer to peer sul mercato è del tutto marginale, ma che i principali attori del
mercato stanno agendo solo per ostacolare l’innovazione e mantenere le proprie posizioni di
potere.
Ecco cosa scrive Dangerous_Minds:
Drew Wilson di ZeroPaind offre un’interessante punto di
vista sul file-sharing. È cominciato tutto con una
recensione dello studio della Phoenix usato per
promuovere il SOPA [Stop Online Piracy Act: la
controversa legge americana che vorrebbe dare ai detentori
di copyright il diritto di agire attivamente per impedire la
diffusione di contenuti protetti. N.d.T.]. Wilson sostiene
che lo studio calcava la mano sui proclami ma era leggero
sui fatti. Mentre molti analisti si sarebbero limitati a
criticare quello studio e sarebbero passati oltre, Wilson ha
fatto un passo in più, e si è chiesto cosa avessero davvero
detto gli studi sul file-sharing nel corso degli anni. Ciò che
ha scoperto è che ben 19 studi su 20 non hanno avuto
alcuna copertura. […] Il primo studio suggerisce che lo
battaglia contro il file-sharing è stata un fallimento. Il
secondo che il p2p non ha alcun effetto sul mercato
musicale. Il terzo ha scoperto che la RIAA [Recording
Industry Association of America, N.d.T.] ostacola
l’innovazione. Il quarto studio afferma che la MPAA
[Motion Picture Association of America, N.d.T.] ha
semplicemente cercato di mantenere il proprio oligopolio.
Il quinto afferma che, anche accettando l’equazione “un
download=una vendita in meno”, le perdite
124
Post/teca
ammonterebbero a meno di 2 dollari per disco.
Potete trovare il post originale qui, mentre vi basta seguire i link nella citazione per trovare gli
articoli di Wilson. Valgono la lettura.
fonte: http://www.ghiaccionove.com/2012/05/sapete-che-vi-stanno-mentendo-sul-peer-to-peer-vero/
---------------------biancaneveccp ha rebloggato violetmaya:
“Non promettiamoci di stare sempre insieme. Promettiamoci che, se ci faremo del male, sarà
per poi farci bene di più. Che, se ci allontaneremo, sarà per ritrovarci più vicini. Che ogni
nostra ultima possibilità sarà la penultima. Che arriveremo anche ad odiarci, pur di non
restarci indifferenti. Ma soprattutto promettiamoci che, se continueremo ad amarci, ci
ameremo troppo. Perché un po’ meno non sarebbe abbastanza.”
— (via tuttotornaetu)
Fonte: dovehovisto-te
----------------------statidanimo:
10 validi motivi per cui le infografiche sono un male assoluto di
Internet (peggio dei gattini!)
Personalmente non odio a tal punto le infografiche ma è interessante notare quanti, al contrario, le
cancellerebbero volentieri dalla rete (o dalla realtà :D ? ).
Viva tutto è il contrario di tutto, è il mio motto preferito (perchè è sempre valido :P)
125
Post/teca
Colto dal classico raptus di psicologia inversa dopo il post di gluca, ho deciso di mettere nero su
bianco le motivazioni che guidano la mia idiosincrasia per ogni tipo di infografica. Quelle enormi
immagini colorate che raccolgono, nella maniera scientificamente più scomoda ma graficamente più
gajarda possibile, numeri, dati e informazioni. E’ più di un anno che il popolo della Rete, nel
tentativo di sostituirsi al sagace pubblico dell’isola dei famosi, impazzisce dietro disegnini di sintesi
e rappresentazioni visive. E’ ora di smetterla di farci trattare da celebrolesi! E’ il momento di
liberare lnternet da questa aggraziata piaga!
<Intermezzo serio>
Da qualche tempo *quelli veramente bravi* parlano di Cultura Snack evidenziando come i diversi
prodotti di intrattenimento e informazione vengano distribuiti in micro pacchetti, immediati e
semplici da fruire, come fossero merendine fresh & tasty.
Di fatto semplicità e immediatezza non son sempre amiche della completezza e della scientificità.
Per cui la brutale sintesi di dati e informazioni sostituisce sempre più spesso la lettura di contenuti
ricchi e articolati.
</Intermezzo serio>
126
Post/teca
Anche per questo il fronte del no e il movimento di liberazione dalle infografiche si fa sempre
più numeroso. Dopo la task force sulle startup pare che le infografiche siano il secondo punto
all’ordine del giorno del ministro Passera.
Ma ecco 10 autentici motivi per cui rinnegare le infografiche:
1. Nocive: ogni volta che un’infografica viene pubblicata un grafico vero muore. L’ho letto da
qualche parte. In un disegno con tante immagini credo.
2. Inutili: non entrano mai per intero nel riquadro delle slide delle presentazioni!
3. Fuorvianti: non vedo perché dovrei imparare per immagini le nozioni base su sperma di balena
o sull’orgasmo femminile, su come “pisciare il cane” o come si apre una scatoletta di tonno in
12 differenti paesi europei (poi non dite che la Parodi in cucina non ce la meritiamo!)
4. Transculturali: numeri e immagini li capiscono anche i cinesi. Manca solo che ci fanno il culo
anche online e siamo perduti!
5. Nate morte: nel momento in cui vengono pubblicate dati e numeri sono già vecchi.
Eccheccavolo!
6. Memorabili: avete mai provato a memorizzare i dati di un’infografica? Normalmente ci si
distrae sempre sulle immagini che diventa impossibile ricordare una singola voce.
7. Ingombranti: perché un domani la maggior parte dei CV saranno infogra-fichi. Sai che palle
capire cosa sa fare il candidato in questione. Peggio dei Curricula europei.
8. Fastidiose: son capaci di molestare Pinterest come nessun’altro artefatto digitale. Come
moscherini mentre sbadigliate, come unghie sulla lavagna rovinano un momento di armoniosa
serendipity con linee rette, improbabili ominii, grafici a torta e percentuali.
9. Da secchione: la sintesi superficiale delle generalità non ha mai portato alcuna rivelazione se
non nella biochimica di Lehninger.
10. Onnipresenti: quando ho saputo che sarebbero usciti i libri di Harry Potter e della Bibbia
sotto forma di info-cosi ho avuto bisogno dei sali. Blasfemia!
Motivazioni serie e semiserie non fanno riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti.
Spero che nessuna infografica si senta offesa dall’elenco.
E ora, se mi volete veramente male, fate l’infografica di questi 10 punti!
Fonte: tommaso
----------------dovetosanoleaquile ha rebloggato ilfascinodelvago:
“Senti Ulisse di stocazzo, io adesso esco e vado col primo Procio che incontro. Se torni, porta
Argo a cagare con te. Tanti ricami, Penelope.”
— Signora Losaccio su Tw (via ilfascinodelvago)
----------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“Prima di tutto mi disse che cercare risposte dagli altri è come calzarsi al piede una scarpa
d’altri, che le risposte uno se le deve dare da sé, su misura. Quelle degli altri sono scarpe
scomode.”
— Erri De Luca
----------------falcemartello ha rebloggato thx-1138:
“I veri anarchici non distruggono la proprietà altrui. Per quello c’è lo Stato.”
127
Post/teca
-----------------somewhereunderthetrees ha rebloggato cara-catastrofe91:
“E quando ti troverai in mano quei fiori appassiti al sole di un aprile ormai lontano li
rimpiangerai.”
— Fabrizio De Andrè - La canzone dell’amore perduto (via scarf87)
Fonte: scarf87
-----------------maewe:
Caro ragazzo del tram 19,
sì, parlo proprio a te, tu alto con il capello riccio leggermente brizzolato, tu che c’hai sempre le
camicie belle, tu che ti porti sempre dietro un libricino che sottolinei con una matita e che
stamattina era di Camilla Cederna. Sì, proprio tu.
Se ti riconosci contattami che vorrei farti un casting per la parte da protagonista nella mia vita.
---------------------spaam:
“Certi giorni i miei pensieri sembrano un’opera di Brecht, ma con la punteggiatura di Fabio
Volo.”
— Albeggia
------------------
Quelle camioniste polacche che liberarono
Bologna
128
Post/teca
E’ una storia poco conosciuta e raccontata quella del 2° Corpo d’Armata Polacco che per primo entrò a
Bologna la mattina del 21 aprile del 1945, appena liberata dai partigiani. Nulla di strano, un racconto di
guerra come tanti, se non fosse che alla guida dei Camion che trasportavano le truppe alleate erano tutte
donne. Giovani ragazze che da lavori e ruoli casalinghi passarono in prima linea nella Seconda guerra
mondiale. Delle pioniere, che hanno sfidato diffidenza e pregiudizio, visto che l’esercito era ancora un
affare per solo uomini.
Una storia che l’Istituto Parri, su iniziativa del Consolato della Repubblica di Polonia e dell’Associazione
culturale Italo-Polacca Malwina Ogonowska, ha voluto celebrare con una mostra fotografica nella Sala
Refettorio in via Sant’Isaia, a Bologna. L’esposizione comincerà oggi alle 18 e durerà fino al 5 giugno.
Venticinque pannelli in cui verranno affisse le foto per illustrare la vicenda di queste donne che da
Cassino, lungo l’Adriatico, attraversarono la linea Gustav e quella Gotica, accompagnando l’esercito
alleato lungo la risalita dello stivale. (Dino Collazzo)
fonte:
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2012/05/08/foto/quelle_camioniste_polacche_che_liberarono_b
ologna-34713325/1/
---------------------------solodascavare:
“e i Counting Crows hanno seguito il cammino di De Gregori, ogni due anni fanno uscire una
nuovissima bella raccolta di pezzi vecchi, l’ultima si chiama “Underwater Sunshine (Or What
We Did On Our Summer Vacation)”
— recensioni fast -3
solodascavare:
129
Post/teca
“jack white fa lo stesso disco da dieci anni.”
— recensioni fast -2
solodascavare:
“Un disco che mi è capitato di ascoltare per caso.. Ve lo dico, è bello bello bello. Provare per
credere assaggio 1, assaggio 2. Il nome del gruppo è Beth Jeans Houghton & The Hooves Of
Destiny e l’album si chiama “Yours Truly, Cellophane Nose”. Segnatevelo.”
— recensioni fast -1
----------------------cosipergioco:
Quando ero al quinto anno di liceo uscì al cinema “I Cento Passi” di Marco Tullio Giordana. I
nostri professori decisero di portarci al cinema a vederlo. Dopo una settimana, la nostra scuola
organizza un incontro con il regista e il fratello (vero) di Peppino Impastato. Dopo il loro
intervento, prende la parola il Preside e dice:
“Vabbè ora ragazzi iniziamo con le domande, inizio io per togliervi dall’imbarazzo, volevo
chiedere al regista, come mai il film si chiama così? Perchè questo nome bizzarro?”
Ecco. L’imbarazzo da cui doveva toglierci ci ha sommerso.
Inutile dire che fu inondato di fischi.
via: http://3nding.tumblr.com/post/22708530768/cose-di-cui-vergognarsi
------------------------
Cevenini, la
lettera ai
bolognesi
130
Post/teca
Maurizio Cevenini
Care bolognesi, cari bolognesi,
la mia corsa si ferma qui. All’inizio della salita una caduta ha portato i medici, che mi
hanno rimesso in sella, a consigliarmi di rallentare il ritmo. Mi sono consultato con la mia
famiglia, gli amici ed il mio partito ed ho scelto di ritirarmi perché lo shock che ho avuto
dopo questo malore è stato forte.
Ho sentito in questi giorni intorno a me il calore di una comunità vasta. Bologna è anche
questo: umanità, rispetto e solidarietà.
Vi ringrazio, in questi giorni interminabili ho potuto leggere tutti i messaggi affettuosi e
voglio rassicurarvi: da qualche giorno mi sono ripreso fisicamente però questo campanello
d’allarme mi ha reso vulnerabile. Per me uno dei valori più importanti, su cui ho fondato la
mia carriera politica e professionale, è stato il senso di responsabilità; chi ambisce a
diventare Sindaco deve avere un senso di responsabilità superiore alla media. Perché il
ruolo di un Sindaco, dall’elezione diretta in poi, è unico ed insostituibile e in coscienza
bisogna essere certi di portarlo a compimento. Questa certezza, oggi, oggettivamente non
me la sento dentro.
Lo dico a malincuore, con l’immenso dolore che provoca il dover rinunciare al sogno di una
vita, la mia vita. Ma ci sono momenti in cui è necessario avere l’umiltà di fare un passo
indietro. Ora ho il desiderio di rimettermi in forma e ci vorrà del tempo. Il tempo
necessario soprattutto per allenarmi, anche psicologicamente , ad impormi tempi di vita
diversi rispetto agli ultimi venti anni. Dopo quello che mi è accaduto voglio insomma la
libertà di scegliere. Una libertà che, giustamente, i tempi della politica e della città ora non
possono concedermi e che io non posso pretendere. So che questa mia difficilissima scelta
ha messo in difficoltà il mio partito che generosamente, attraverso tutti i dirigenti, ha
dichiarato di volermi lasciare tutto il tempo necessario. Ma ho la certezza che anche da
questa amara esperienza il Pd avrà un sussulto unitario per fare le scelte migliori.
Da parte mia sosterrò il partito e il suo segretario, ora più che mai. A loro va il mio affetto,
la stima la gratitudine per come mi sono stati vicini in questi giorni. Appena potrò, dopo la
pausa che mi prendo per guarire, sarò di nuovo a disposizione. Non abbandonerò mai la
politica perché, quando ti entra nelle vene, non ti lascia mai. Perché, qualunque cosa
succeda, Bologna nel cuore rimarrà sempre. Vorrei concludere, nella speranza che questo
mio autunno passi in fretta, con una frase di rito: il Cev, anche se un po’ provato continua
ad esserci.
Maurizio Cevenini
25 ottobre 2010
fonte: http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/politica/2010/25-ottobre-2010/ceveninilettera-bolognesi-1704025879108.shtml
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131
Post/teca
Derubava gli amici nobili
Preso il conte veneziano
Sostituiva i quadri con falsi. Complici i maggiordomi
Cristano Barozzi
In crisi di liquidità e dotato di senso pittorico, il settantenne conte venezianoCristiano
Barozzi l'ha studiata così: faccio le foto ai quadri più interessanti, li riproduco identici,
sostituisco l'originale e me lo rivendo. Semplice, stravagante, efficace. Con l'aiuto di un
paio di maggiordomi cingalesi, di un consulente della Soprintendenza alle Belle arti di
Padova e di un esperto di stampe digitali, in pochi mesi Barozzi ha messo a segno 5 colpi
eccellenti per un incasso stimato oltre il milione di euro. È riuscito cioè a trafugare 41 tele
da alcune case patrizie veneziane che conosceva anche grazie alle sue nobili orgini, essendo
discendente di una blasonata famiglia lagunare che vanta fra gli avi, baroni, patriarchi e
vescovi.
E gli sarebbe pure andata bene se sei mesi fa uno dei domestici, messo alle strette dai
carabinieri di Mestre nell'ambito di un'altra indagine, non si fosse lasciato scappare
qualche particolare sulla vicenda. Il pm Giorgio Gava non ci ha pensato due volte e ha
aperto un fascicolo per furto aggravato e ricettazione, chiedendo e ottenendo nel marzo
scorso tre ordinanze di custodia. Acciuffati subito l'uomo delle Belle arti e l'esperto digitale,
Claudio Mella e Claudio Celadin, rimaneva da prendere il conte Barozzi, la mente di questa
«nobile» banda specializzata in furti di tele del Settecento e Ottocento veneziano. Fiutato il
pericolo, l'uomo era infatti riuscito a scappare a Santo Domingo.
Lunedì è rientrato dai Caraibi e si è costituito. Il suo avvocato, Vittorio Usigli, dice che
avrebbe qualcosa da rivelare, forse su molti di questi quadri e sulla ragione delle sue
debolezze. Nel frattempo una decina di opere sono state recuperate, in parte a Pordenone.
«Si tratta di un Carlevaris e di un Marco Ricci, valore stimato 220 mila euro», ragguaglia il
maggiore Salvino Macli, comandante dei carabinieri di Mestre. Ma all'appello manca la
maggior parte della refurtiva, dove figurano soprattutto i «paesaggisti» della scuola del
Guardi e del Tintoretto. Non si tratta delle tele dei padri pittorici veneziani ma di quelle
firmate dai loro seguaci. Quadri comunque del valore di decine di migliaia di euro e di più
facile mercato. Oltre un milione di euro, si diceva, sempre che il terzetto sia riuscito a
monetizzare tutto. È il bottino dei cinque furti d'arte, dei quali tre nel centro storico
veneziano: in una casa nobile di campo San Maurizio, vicino a San Marco, dove al posto dei
nove dipinti del valore stimato di 250 mila euro sono state trovate altrettante copie
132
Post/teca
fotografiche, apparentemente identiche; stessa scoperta in un'abitazione a Dorsoduro: 6
quadri, tutti falsi, sempre 250 mila euro; peggio è andata alla Casetta Rossa del
d'Annunzio, dalle parti di San Marco, dove l'«intervento» è stato diversificato: non solo
quadri (14) ma, voilà, anche mobili antichi e suppellettili per circa 300 mila euro. Il
magistrato ha fatto analizzare i falsi: «Sono litografie stampate digitalmente su tela,
ritoccate e inserite in cornici originali».
Ma Barozzi pare sia andato oltre, puntando su alcune ville venete: quella del conte Andrea
Marcello Grimani Giustinian a Schio, dove è stata trafugata soprattutto l'argenteria, e la
Barbariga di Stra, 12 quadri e 25 mila euro di furto. Ovunque a collaborare sono stati i
domestici, pure loro indagati. Per gli inquirenti però la mente era solo lui, il conte Cristiano
Barozzi. Conte di che, poi? «Di Santorini», assicura l'avvocato. Un titolo che gli arriva da
molto lontano, da un avo di nome Giacomo che otto secoli fa fu fatto barone di Santorini e
Thirasi direttamente dall'imperatore bizantino. Poi ci furono i Barozzi generali, i
patriarchi, i vescovi, i matematici. Fino a lui, il conte Cristiano, nobile con destrezza.
Andrea Pasqualetto9 maggio 2012 | 8:33
fonte: http://www.corriere.it/cronache/12_maggio_09/derubava-gli-amici-nobili-preso-il-conteveneziano-andrea-pasqualetto_a1cea2f6-999c-11e1-85ab-3c2c8bfb44fd.shtml
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Celebrato il primo matrimonio dalla
Chiesa del File Sharing
A pochi mesi dall'ufficializzazione della religione del copia e
incolla arriva il primo matrimonio: lo sposo è italiano, la sposa
rumena.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 08-05-2012]
Appena all'inizio dell'anno, laChiesa del Kopimismomuoveva i primi passi,
facendosi riconoscere dalla Svezia come religione ufficiale.
Per chi non lo sapesse, per i kopimisti la condivisione dei file è un atto sacro, e
i simboli di chi segue questa religione sono CTRL-C e CTRL-V.
Ora due kopimisti si sono uniti in matrimonio con il rito prescritto dalla loro
religione; non in Svezia ma a Belgrado, in occasione della Share Conference.
«Siamo molto felici oggi. L'amore è condivisione. Una coppia sposata condivide
tutto, l'un l'altro» ha dichiarato il celebrante. «Confidiamo che copieranno e
remixeranno alcune cellule di DNA per creare un nuovo essere umano. Questo
è lo spirito del Kopimismo. Sentire l'amore e condividere questa informazione.
Copiare tutta la sua sacralità».
133
Post/teca
Per inciso, la coppia è formata da una donna rumena e da un uomo italiano; le
foto della cerimonia si possono trovare sul sito ufficiale della Chiesa del
Kopimismo.
fonte: http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=17457
sito ufficiale: http://kopimistsamfundet.se/
--------------------falcemartello ha rebloggato distrazioni:
“Non so se innamorarmi o farmi un panino, l’idea è quella di sentire qualcosa nello stomaco.”
— cit. (via misseternalunsatisfied)
-------------------selene ha rebloggato iocercoteneivisitristi:
“Così come il lupo truccato da nonna contiene davvero la nonna, non c’è nulla di più
perturbante di ritrovare noi stessi nei nostri nemici.”
— Leonardo - Il Merlo nelle orecchie (via soggetti-smarriti)
Fonte: soggetti-smarriti
---------------------------
Stampa clandestina?
9 maggio 2012
di massimo mantellini
Domani è un giorno importante. La Corte di Cassazione decide sulla condanna per il reato di stampa clandestina del
blog di Carlo Ruta “Accade in Sicilia”. Una delle vergogne di questo paese. Ecco qui di seguito il punto al riguardo di
Daniele Minotti, avvocato esperto delle faccende di rete, speriamo bene.
…….
Oramai ci siamo, è questione di poche ore. Giovedì prossimo, il 10 maggio, la Cassazione deciderà la sorte dei blog (e
non solo).
Molti ricorderanno il caso di Carlo Ruta, storico, saggista e giornalista siciliano condannato nel 2008 dal tribunale di
Modica per il reato di stampa clandestina, pronuncia confermata l’anno scorso dalla Corte di appello di Catania.
Ruta aveva un blog, Accade in Sicilia, faceva – sì – informazione e inchieste, specie sulla Mafia. Poi il paradosso:
incappato nelle ire non dei mafiosi, ma di un magistrato sentitosi offeso nella reputazione per uno scritto pubblicato su
quel blog, sì è trovato a processo per diffamazione e stampa clandestina, reato ipotizzato proprio dal pm querelante.
In primo grado, il tribunale monocratico di Modica aveva concluso che Accade in Sicilia era una vera e proprio testata
giornalistica, al pari di quelle cartacee, per di più periodica. E che, pertanto, da un lato doveva considerarsi “prodotto
editoriale” ai sensi della famigerata l. 62/2001, dall’altro, proprio in quanto “stampa periodica, doveva essere registrato
presso il Tribunale competente, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 16 della l. 47/48. Tesi
completamente recepita anche in appello.
Sebbene non sia questa la sede per barbosi approfondimenti giuridici, credo, comunque, valga la pena di esporre le due
critiche principali a questo castello:
. il giudice di primo grado ha negato l’applicabilità di una fondamentale quanto decisiva esenzione dall’obbligo di
registrazione prevista dal d.lgs. 70/2003 sostenendo che essa è contemplata soltanto per la “società dell’informazione”
la quale, a sua volta, sarebbe un’impresa, a struttura societaria, che si occupa di informazione, mentre il Ruta è una
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semplice persona fisica; so che molti lettori si sentiranno gelare il sangue, ma dovranno farsi una ragione che una parte
non secondaria delle argomentazioni che stanno alla base della condanna si fondano su tale definizione;
. fortunatamente, la Cassazione, pur non essendosi, ad oggi, mai occupata della stampa clandestina telematica, ha già
più volte detto che una pubblicazione Web non è di per sé stampa e che, addirittura, neppure alle testate registrate si
applicano immediatamente le regole dalla carta (segnatamente, quelle sulla responsabilità del direttore).
Per tornare al pragmatico, cose potrebbe accadere giovedì? Quali le conseguenze nel caso peggiore.
Quanto al primo quesito, a parte le remota ipotesi dell’inammissibilità del ricorso (declaratoria che osterebbe a qualsiasi
approfondimento sui nostri temi giuridici), la Suprema Corte potrebbe annullare o, all’opposto, confermare la sentenza
di appello, in entrambi i casi formulando un principio giuridico, vale a dire criticando o avallando il ragionamento dei
giudici sottordinati.
A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, qui da noi non esiste un rigido vincolo col precedente giurisprudenziale,
ma una sentenza di Cassazione, anche non a sezioni unite, ha sempre il suo peso. Ecco perché il prossimo appuntamento
è senza dubbio cruciale.
E se, dunque, la Cassazione dovesse confermare la linea dura? A prima vista, la registrazione di una testata potrebbe
sembrare soltanto una spesa con molta burocrazia intorno, non una forma di censura preventiva. E va detto che è questa
la risposta già data a suo tempo dalla Corte Costituzionale.
Ma fermo restando che ometterla, ove richiesta, costituisce illecito penale per le norme meglio viste, sono, sinceramente
preoccupato per tutte le conseguenze non immediatamente evidenti che l’equiparazione alla stampa cartacea porterebbe
con sé. Penso alla responsabilità dei “direttori”, agli obblighi di rettifica e via dicendo, ma sottolineerei due
complicazioni di non poco conto che, alla fine, rischierebbero veramente di limitare la libera espressione del pensiero in
capo a chi dell’informazione non ne fa professione:
. quotidiani e periodici devono avere una certa struttura, in particolare un direttore con determinati requisiti, non certo
propri di un semplice cittadino; per tacere dei costi se ci si rivolge a terzi;
. anche le pubblicazioni non periodiche devono riportare alcune indicazioni obbligatorie che, se omesse, conducono in
tribunale, penale; pertanto, non basterebbe l’irregolarità delle “uscite”.
A conti fatti, una decisione conforme ai gradi precedenti non soltanto si dimostrerebbe giuridicamente imbarazzante (mi
riferisco alla bizzarra definizione di “società dell’informazione”), ma anche iniqua e lesiva dei mai abbastanza
santificati diritti espressi dall’art. 21 della nostra Costituzione e che non spettano ai soli giornalisti.
fonte: http://www.ilpost.it/massimomantellini/2012/05/09/stampa-clandestina/
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Messa per Impastato,
il no della Chiesa
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Il fratello di Peppino Impastato (centrale, con la polo a righe) durante una manifestazione a Cinisi
Il parroco: "I tempi non sono maturi". E il fratello accusa: terribile
lasciarlo solo anche da morto
LAURA ANELLO
CINISI (PA)
Di chi è la memoria di Peppino Impastato? A chi appartiene il testimone del ragazzo che sfotteva alla radio i
boss di Cosa Nostra, che sventolava la bandiera rossa della rivoluzione sotto il loro naso, che sfidava Tano
Badalamenti fin sotto casa, distante appena cento passi dalla sua?
Trentaquattro anni dopo il suo assassinio, la questione non è ancora chiusa, in questo paesone a trenta
chilometri da Palermo dove - come dice il sindaco Salvatore Palazzolo «su ogni appalto pubblico che abbiamo
bandito le imprese hanno pagato il pizzo alla mafia». No, le ferite sono ancora aperte, tanto che per Peppino,
uomo di Democrazia Proletaria, dire messa è ancora un tabù.
«I tempi non sono maturi», ha spiegato don Pietro D’Aleo, parroco della Ecce Homo a Giovanni Impastato,
impegnato in prima fila nelle manifestazioni in ricordo del fratello che per quattro giorni (grazie a un
progetto della Fondazione con il Sud, in collaborazione con il Museo della ‘Ndrangheta e della Casa memoria
Felicia e Peppino Impastato) hanno riempito la cittadina di dibattiti, incontri, cortei. «Noi avevamo chiesto
una messa, ci ha risposto che era meglio di no», dice Giovanni.
Già, i tempi non sono maturi, tanto che la celebrazione è stata sostituita da una più laica «veglia di preghiera
per la legalità e la giustizia sociale», officiata ieri sera da don Luigi Ciotti, tessitore di ponti di dialogo e
pellegrino infaticabile sui luoghi della memoria.
«Non c’è alcuna polemica - dice il parroco - abbiamo ritenuto che in una veglia si potesse dare più spazio al
ricordo, alle letture, alle riflessioni». Ma in verità ancora oggi è quasi uno scandalo l’idea di commemorare
quel nome sull’altare, il nome di un rosso, comunista e rivoluzionario ucciso il 9 maggio del 1978 a trent’anni.
E non solo per le resistenze del mondo cattolico, che quest’anno, per la prima volta, ha abbracciato l’idea di
partecipare alla commemorazione, ma per quelle interne ai «compagni».
Da una parte il fratello Giovanni con la sua «Casa memoria», secondo cui bisogna abbattere gli steccati,
«perché Peppino è stato già isolato in vita, e sarebbe terribile isolarlo pure in morte»; dall’altra l’associazione
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Impastato guidata dall’amico Salvo Vitale, geloso custode del ricordo duro e puro.
I due già convivono da separati in casa nella palazzina che fu di don Tano Badalamenti e che adesso, come
bene sequestrato alla mafia, è stato affidato dal Comune a entrambi. La messa, in questo clima, sarebbe stata
una miccia sulla benzina. «Con la veglia di preghiera spiega Caterina Palazzolo, responsabile dell’azione
cattolica della parrocchia e promotrice dell’iniziativa - abbiamo cercato una soluzione nel segno del dialogo.
La messa sarebbe stata vista male soprattutto all’interno del mondo comunista, più che dentro la Chiesa».
Una spaccatura che si è consumata due anni fa, quando i militanti dell’associazione Impastato contestarono il
sindaco arrivato per inaugurare la nuova vita della ex casa di Badalamenti, insieme con altri primi cittadini
invitati per l’occasione. Inconcepibile, per i «rivoluzionari», quella sfilata di colletti bianchi.
Furono urla, insulti, finì con una denuncia ai carabinieri e con il rischio che il Comune facesse marcia
indietro sull’assegnazione del bene. Pericolo scongiurato, ma la vecchia associazione che teneva tutti dentro
si spaccò.
Giovanni ne fondò una sua: «Casa memoria Felicia e Peppino Impastato», dedicata anche alla madre. E
adesso impegnata «oltre i confini della memoria», come recita il titolo del programma di manifestazioni che
oggi vedranno la posa della prima pietra del percorso dei Cento passi, un itinerario lungo l’asse principale
della cittadina, corso Umberto I, dove si affacciano sia la vecchia casa di Badalamenti sia quella dove abitava
Peppino. «Lui nelle istituzioni ci credeva - dice Giovanni - tanto da candidarsi al consiglio comunale in quelle
elezioni di cui non riuscì a vedere l’esito. E quindi basta rivendicazioni, basta divisioni: Peppino appartiene a
tutti».
fonte: http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/453476/
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Le cose da fare subito per vincere le
elezioni e vivere felici
9 maggio 2012
di pippo civati
Rinnovare la classe dirigente, rispettando il limite dei tre mandati che il Pd si è auto-imposto (o quasi). Non è una
questione personale, è una questione politica.
Candidare le donne, ed eleggerle (piccolo particolare), questa volta. Perché saranno loro a salvare l’Italia.
Abbandonare disegni deliranti sulla legge elettorale e aprire alla stagione della scelta dei parlamentari da parte dei
cittadini, con le primarie per selezionarli.
Aprire un confronto serrato con le domande che provengono «dal basso», dai movimenti e dalle categorie, da quelli che
si presentano con la loro lista alle elezioni e quelli che nemmeno vanno più a votare (ma poi magari tornano, e finisce
che non votano per noi). Rispettando la volontà degli elettori (vedi alla voce referendum e proposte di legge d’iniziativa
popolare).
Definire i confini e i criteri della compagine con cui il Pd ritiene di presentarsi agli elettori. Evitando di farlo a Vasto, se
si può, ma senza pensare semplicemente di aggiungere altre «figurine» a quella foto. Anzi, faccio una proposta.
Smettiamola di parlarne, in questi termini, che la foto di Vasto è una cosa soprattutto: il trionfo del politicismo che ci
rende incomprensibili ai più. Che ormai sono quasi tutti.
Ripensare alle modalità con cui la nostra stessa organizzazione si struttura, perché i circoli del Pd devono aprirsi e
ospitare quel dibattito (loro devono essere protagonisti, perché «in basso» ci stanno da una vita, e sembra di rileggere la
storia di Micromega di Voltaire, a volte, tra dirigenti nazionali e semplici iscritti).
Sciogliere alcuni nodi politici di una qualche dimensione: il nodo principale è quello che ci vede (ancora!) al governo
con Lombardo in Sicilia, all’origine della confusione totale in cui è immerso il voto di Palermo e dei veri e propri
pasticci in Sicilia in tutte le province.
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Presentare le proposte senza annunciare in continuazione che lo faremo tra un momento: vogliamo la patrimoniale?
Quale tipo? Vogliamo spiegarlo ai cittadini? E, contestualmente, vogliamo abbassare le tasse sul lavoro e sulle imprese?
Vogliamo vendere alcuni dei gioielli di famiglia (a cominciare, per esempio, da quelli più ossidati, come Finmeccanica,
al centro del più grande scandalo degli ultimi tempi) oppure no? E se li vendiamo, che cosa ne facciamo esattamente di
quanto ne ricaviamo? Vogliamo tracciare i pagamenti, e centralizzare elettronicamente le fatture, restituendo ai
contribuenti onesti il maltolto dell’evasione fiscale, oppure andiamo avanti con gli strumenti mediatico-artigianali a cui
ci siamo abituati?
Invece di parlare genericamente di crescita, illustrare con pazienza e passione (che non sono in contraddizione) quale
crescita. E quali cose si possono fare, per tornare a crescere dove serve, come cerca di fare, al governo, il ministro
Barca.
Puntare su ambiente, cultura e innovazione tecnologica, temi letteralmente scomparsi dall’agenda (su cui il governo
Monti ha riflessi molto più lenti del previsto e del necessario), che invece qualificano la proposta politica dei partiti
progressisti di mezzo mondo, da Washington alla Baden-Württemberg.
Se poi Monti non può permettersele, tutte queste cose, perché gli «altri» non le vogliono (bella scoperta), non è un buon
motivo per non dirle con chiarezza: anche perché lo sapevamo fin dall’inizio che questa maggioranza non poteva
permettersi che un solo colpo veramente rivoluzionario. E che poi sarebbe ricominciato il tira-e-soprattutto-molla del
Parlamento eletto nel 2008. E qualcuno lo aveva detto e al solito si era preso del pirla.
Lo so, mi ripeto, ma che ci volete fare. E tra qualche giorno esce anche un piccolo libretto, che tutte queste cose le dice
in modo chiaro e inequivocabile. Se vorrete, potremo discuterlo per tutta l’estate. E trovare una formula nuova e più
moderna di quella a cui siamo abituati. E di cui discutiamo, negli stessi termini, da un secolo.
fonte: http://www.ilpost.it/pippocivati/2012/05/09/cose-da-fare-subito-per-vincere-le-elezioni/
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15 anni fa mori' la studentessa
Condannati Scattone e Ferraro. Ma polemiche ancora
resistono
di Marco Maffettone
ROMA - Alle 11,35 del 9 maggio del 1997, quindici anni fa, una ragazza bionda cammina
accompagnata da una amica per i vialetti interni dell'università La Sapienza di Roma. C'è il sole e
forse non si accorge di quanto accade: dall'aula 6 dagli uffici dell'istituto di Filosofia del diritto, al
secondo piano della facoltà di Giurisprudenza, una mano armata di pistola spara centrando la
studentessa che dopo cinque giorni di agonia muore. La vita di Marta Russo viene spezzata a soli 22
anni: e ancora oggi il movente resta inspiegabile. Una vicenda che, come avviene per molti casi di
cronaca nera, appassionò e spaccò il paese. E che ha visto un lungo e controverso iter giudiziario
che ancora oggi vive di strascichi e polemiche. I processi hanno accertato che ad impugnare l'arma
che uccise Marta quella mattina fu Giovanni Scattone, all'epoca ricercatore presso Filosofia del
diritto. Con lui era presente al momento dello sparo un suo amico e collega, Salvatore Ferraro. Il
primo è stato condannato, in via definitiva, a 5 anni e 4 mesi di reclusione per l'accusa di omicidio
colposo, al secondo è stata invece inflitta una pena a quattro anni e due mesi per favoreggiamento.
Tra gli imputati anche Francesco Liparota, usciere dell'università, accusato di favoreggiamento ma
assolto dalla Cassazione il 15 dicembre del 2003.
Sui motivi di quello sparo, sul movente, i vari processi svolti non hanno fatto chiarezza. Negli anni
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si parlò di una folle bravata, di un tentativo di mettere in atto "il delitto perfetto", una delle
"materie" oggetto del lavoro degli allora giovani ricercatori di Filosofia del diritto. Ad inchiodare
Scattone furono le testimonianze di due figure chiave dell'inchiesta: Maria Chiara Lipari, assistente
alla stessa università La Sapienza, e Gabriella Alletto. Quest'ultima, dopo avere negato per giorni,
accusò Scattone, Ferraro e Liparota: i tre vennero arrestati per concorso in omicidio volontario. La
prima sentenza è arrivata nel 1999. La corte d'Assise condannò Scattone a 7 anni per omicidio
colposo e Ferraro a quattro per favoreggiamento e assolse Liparota. Dopo nuove perizie, il 7
febbraio 2001, il secondo grado del processo confermò le condanne per Scattone e Ferraro e
condannò anche Liparota (quattro anni). Il 6 dicembre successivo la Cassazione decise
l'annullamento con rinvio della sentenza e, dopo circa un anno, il 15 ottobre 2002, cominciò il
secondo processo d'Appello che si concluderà il 30 novembre con la condanna di Scattone a sei
anni per omicidio colposo, di Ferraro a quattro anni e sei mesi e di Liparota a due anni, entrambi per
favoreggiamento. La suprema corte, nel dicembre del 2003, pone la parola fine su processi e
condanne, ma non sulle polemiche. La morte di Marta Russo infatti torna ciclicamente sulle pagine
dei giornali con notizie dal sapore paradossale come quella legata ancora una volta a Scattone.
Nel settembre dello scorso anno, dopo aver scontato la pena, all'ex ricercatore è stata assegnata la
cattedra di storia e filosofia presso il liceo scientifico Cavour, lo stesso dove Marta Russo studiò. Le
polemiche scoppiate dopo che la nomina è diventata di dominio pubblico hanno indotto Scattone a
rinunciare alla cattedra. Sempre lo scorso anno, infine, è stata scritta la parola fine sull'aspetto
civilistico e quindi risarcitorio della vicenda. Il tribunale di Roma ha condannato Scattone e Ferraro
a risarcire i familiari della ragazza per circa un milione di euro. La XIII sezione ha inoltre stabilito
che La Sapienza non può essere ritenuta responsabile della morte della giovane condannando invece
Ferraro a versare all'università 28 mila euro come risarcimento danni all'immagine. Ma quindici
anni non sono nulla per lenire il dolore di due genitori. "Scattone per i magistrati che lo hanno
giudicato in questi anni è un assassino - dicono Donato e Aureliana Russo - Lui è stato condannato
per l'omicidio di mia figlia e deve avere il coraggio di guardare negli occhi sua figlia e dirle: 'sono
un assassino'".
fonte: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2012/05/05/Marta-Russo-15-anni-fa-colpopistola-uccise-studentessa-_6819882.html
------------------curiositasmundi ha rebloggato insospettabilmente-superficiale:
Appunti sparsi di fine corsa...
insospettabilmente-superficiale:
1) Napolitano è impazzito. Un presidente della Repubblica che ironizza su una delle forze
politiche in campo, oltretutto a urne ‘aperte’ (tra un primo e un secondo turno), non si era mai
visto.
2) Monti è un quaquaraquà. Aveva detto una cosa ovvia – e cioè che l’attuale disperazione di molti
è stata prima di tutto causata da chi ignorava e negava la crisi – poi si è subito autosmentito. Basta
una telefonatina di Letta e se la fa sotto come un qualsiasi Stracquadanio.
3) D’Alema è incredibile. Dopo quello che si è visto l’altro ieri, oggi ha ancora la faccia di palta di
riappalesarsi sulla prima pagina del Messaggero per riproporre l’alleanza con l’Udc. Mai parlare
di idee, di cittadini, di cose da cambiare in fretta: sempre di alchimie di palazzo (oltretutto con un
partito che – come si è visto – era più che altro mediatico).
4) Rutelli è spassoso. Nessuno ha più notizie dell’esistenza dell’Api, ma lui emette tweet
trionfalistici per i risultati di Polignano, Sezze, San Giorgio a Cremano e Torre Annunziata. Eh
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beh, son cose.
5) Sarkozy è da chapeau. Lo dico senza ironie. Tornare a fare l’avvocato dopo essere stato per
cinque anni uno degli uomini più potenti del mondo per noi è roba da marziani. Qui c’è chi
considera impensabile andare a fare un lavoro normale dopo essere stato consigliere regionale…
Fonte: gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it
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“Lascio banche e
finanza, da Londra mi
candido in Sicilia”
Andrea Sessa
Dopo 13 anni nel mondo delle banche a Londra, Gaspare Giacalone è tornato a
Petrosino, a Trapani, paese di 7mila anime, per candidarsi a sindaco. E ha
vinto. «C’è chi sceglie di fare il prete, chi va in missione, chi si mette in gioco in
politica». Ora, rispettando il suo mandato, resterà in Sicilia. La sua è una esperienza
in politica che nasce anni fa: «Dopo la stagione delle stragi, nel 1992, e a Petrosino
insieme ad un gruppo di giovani come me abbiamo messo in piedi un partito e
vincemmo le elezioni. A 22 anni divenni assessore ed è stata un’esperienza
esaltante». Ora la ripeterà, da sindaco.
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Post/teca
Gaspare Giacalone
SOCIETÀ
6 marzo 2012 - 17:14
Immaginate due manager londinesi che guardano una cartina geografica. Hanno
davanti l’Europa e un quarantenne italiano gli indica il Sud Italia, precisamente
l’isola a forma di triangolo: la Sicilia. Tutti e due stanno cercando un paesino in
provincia di Trapani. Si chiama Petrosino e conta appena 7mila anime. Questa è
una storia di emigrazione al contrario. Lascereste Londra, una delle città sognate da
tutti i giovani europei, per andare in un piccolo paesino siciliano e candidarsi alle
elezioni per concorrere alla carica di primo cittadino?
Gaspare Giacalone, 42 anni e un Master in Business Administration alla Scuola
di Amministrazione Aziendale di Torino, ha risposto affermativamente. Dopo 13 anni
passati a Londra a lavorare come dirigente per un istituto bancario, Gaspare ha
deciso di tornare al suo primo amore: la politica. Ha chiesto ai vertici della banca
un’aspettativa e loro non hanno battuto ciglio. Hanno solo voluto sapere i motivi
che hanno portato un giovane dirigente di sicuro avvenire a lasciare tutto e mettersi
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Post/teca
in gioco nella sua terra, candidandosi a sindaco. I patti sono questi: se Gaspare
viene eletto rimarrà in aspettativa per tutto il tempo del suo mandato, se dovesse
perdere il giorno dopò ritornerà a lavorare a Londra. Adesso ha iniziato la
campagna elettorale con la sua lista “Cambia Petrosino”, sostenuta da Sel, IdV e
Federazione della Sinistra, in attesa dell’esito delle urne che si conoscerà a maggio.
Giacalone, quello che si domandano in molti è: chi gliel’ha fatto fare?
C’è gente che sceglie di fare il prete, chi parte in missione, chi si mette in gioco in
politica. Devo dire grazie ai dirigenti della banca che sono stati entusiasti di
concedermi questa possibilità. Poi voglio fare qualcosa per la mia terra, vedo
l’entusiasmo dei ragazzi, della mia famiglia. Tante persone si stanno mettendo in
gioco con me.
Se dovesse vincere lascerebbe dopo 13 anni Londra e un posto di lavoro
sicuro. Avrebbe rimpianti? Ha già avuto qualche cedimento?
Lasciare l’Inghilterra dopo tanti anni è stata dura. Ho organizzato una festa d’addio
poco prima di partire per la Sicilia ed è stata molto emozionante. Ho lasciato una
vita agiata e serena, con un buon lavoro. La prospettiva, però, di vincere a
Petrosino e rilanciarla facendola diventare una sorta di laboratorio politico è
affascinante. Vedo che molti giovani sono costretti a partire per mancanza di
opportunità. Quando sono partito per Londra l’emigrazione era ancora una scelta,
adesso è una necessità. La forza me la stanno dando tutti quei ragazzi che mi
hanno detto: “Se vinci tu, noi restiamo”.
Cosa l’ha spinta a impegnarsi in politica? Hai già avuto altre esperienze in
precedenza?
La politica mi ha appassionato specie dopo la stagione delle stragi, nel 1992, e a
Petrosino insieme ad un gruppo di giovani come me abbiamo messo in piedi un
partito con vari esponenti della società civile e vincemmo le elezioni. A 22 anni
divenni assessore alle politiche sociali ed è stata un’esperienza esaltante. Poi le
solite pressioni dei poteri forti hanno avuto la meglio e con la partenza per Londra
mi sono allontanato dalla politica. Anche se seguendo dall’estero la situazione del
nostro paese ho sofferto molto. Poi sono entrato in Sinistra ecologia e Libertà e in
Inghilterra abbiamo organizzato dei gruppi di giovani italiani e da lì è tornato un
grande entusiasmo.
Quali saranno i punti forti del tuo programma?
A Petrosino la gente chiede l’essenziale: acqua, illuminazione pubblica, spiagge
pulite. Vogliamo rilanciare il nostro settore forte: la produzione vitivinicola. Vengo
anche io, come molti in paese, da una famiglia di produttori di vino. Oggi la crisi ha
messo in ginocchio molte famiglie, le terre sono abbandonate e le transazioni delle
vendite del vino sono in mano a pochi, che spesso speculano. E poi la legalità
dev’essere un punto fermo, con grande trasparenza sulle concessioni edilizie.
Abbiamo fatto una grande battaglia per la tutela delle nostre spiagge: volevano
costruirci sopra un resort e siamo riusciti a impedirlo.
Come hanno accolto la sua candidatura in paese?
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I miei avversari politici mi chiamano “il londinese”. Mi consigliano di tornare da dove
sono venuto, ma questa è la mia terra e loro facendo così insultano tutti coloro che
hanno lasciato la Sicilia. Ho un grande amore anche per Londra, ma non volevo
perdere questa occasione. Voglio dire di averci provato. E l’entusiasmo che vedo
attorno a me, specie dei più giovani, è la prova che si tratta di una scelta giusta.
Se dovesse vincere cosa farebbe nei primi 100 giorni di amministrazione?
Il primo giorno festeggeremo. L’indomani dovremmo correre come i matti per
organizzare la stagione estiva: curare strade, spiagge, organizzare un calendario di
eventi all’altezza. Coinvolgere le associazioni, i cittadini in tutte le scelte. Ho
scoperto tanti siciliani con grande talento, purtroppo inespresso. Vogliamo dare la
possibilità che questo talento si metta al servizio di Petrosino.
A maggio si saprà se il sogno di Gaspare si sarà avverato, ma – comunque
vada – il suo gesto racchiude in sé un forte valore simbolico. In una terra dove si fa
a gara per scappare c’è qualcuno che, in controtendenza, decide di rischiare e di
mettersi in gioco.
fonte: http://www.linkiesta.it/gaspare-giacalone-petrosino
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Le lobby fanno l’Europa
e ora un film lo
racconta
Francesca Micheletti
Un film che parla di un tema inedito: la forza delle lobby nell’Unione Europea. The
Brussels Business racconta di un mondo oscuro e ignorato dai giornali. Riunioni in
località segrete a cui prendevano parte personalità delle società più importanti
d’Europa, fra cui si scorgono, nelle “foto di famiglia”, Umberto Agnelli e Carlo De
Benedetti.
8 maggio 2012 - 13:30
BRUXELLES - C’era il tutto esaurito a Bruxelles per l’attesissima prima del film “The
Brussels Business”, un “docu-thriller” – nella definizione dei suoi registi –
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Post/teca
sull’universo nascosto del lobbying nella capitale europea. Accanto alla platea degli
habitués, giovani cinefili dall’occhiale sovradimensionato e la felpa multicolore, si
intravedeva qualche giacca e cravatta, lobbisti, portaborse e funzionari di vario
grado, accorsi per curiosità. O perché, c’è da scommetterci, qualche capo li aveva
mandati ad assicurarsi che il film non presentasse rischi di immagine.
In effetti, un film dedicato interamente ai lobbisti che popolano i corridoi
delle istituzioni europee non l’aveva ancora girato nessuno. Forse per la
convinzione che i lobbisti del Vecchio continente non abbiano lo stesso fascino del
protagonista del celebre film americano Thank you for Smoking. O forse perché
l’Unione europea – come hanno raccontato i registi stessi – è un soggetto che
scoraggia immediatamente qualsiasi produttore. Bisognava attendere che il belga
Matthieu Lietaert, dopo anni di ricerca sui meccanismi di lobbying europeo al
prestigioso European University Institute di Firenze, decidesse che la sua tesi di
dottorato non meritava di marcire sugli scaffali. E così, in collaborazione con il
documentarista austriaco Friedrich Moser, ne ha fatto un film.
The Brussels Business è un tentativo interessante. Non è un film che
tiene col fiato sospeso, nonostante delle soluzioni convincenti a livello di regia e
colonna sonora: musica incalzante e inquadrature ad effetto, come quando il
protagonista del film, un lobbista del settore finanziario, si aggira di notte per un
inquietante quartiere europeo deserto e piovoso, a bordo di una macchinona nera e
con il Blackberry a portata di mano.
Merita apprezzamento il grosso lavoro di documentazione, che traspare
ad esempio dall’utilizzo delle immagini d’archivio, come le scene dai summit
europei degli anni Ottanta, in cui si intravede sfilare davanti alle telecamere anche
un Craxi impettito. Affascinanti i resoconti delle primissime riunioni – di cui una alla
Scala di Milano – della potente European Roundtable of Industrialists (ERT), club
della grande industria d’Europa, costituitosi agli albori degli anni ottanta e ben
deciso a dettare le sue regole nella nascente costituzione del Mercato Unico.
Riunioni – prenotate con due anni d’anticipi in località segrete – a cui prendevano
parte personalità delle società più importanti d’Europa, fra cui si scorgono, nelle
“foto di famiglia”, Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti.
A guidare lo spettatore nell’intricato mondo delle lobby sono due figure
antitetiche. Due giovani approdati nella capitale europea negli anni Novanta, per
imboccare poi direzioni opposte. Uno, Olivier Hoedeman, è passato da
ambientalista ad attivista di un’associazione che vigila sull’operato delle lobby.
L’altro, Pascal Kerneis, è managing director dello European Services Forum (ESF), il
gruppo di pressione che rappresenta l’80% dell’industria dei servizi (ad esempio
finanziari e assicurativi) in Europa. Un turnover che da solo vale la metà del Pil della
Ue, afferma lui all’inizio del film, con un sorriso che a fatica nasconde un senso di
superiorità.
Pascal, simpatico nel suo dinamismo ed entusiasmo per una professione
che sembra amare in maniera genuina, è perfetto nel suo ruolo di lobbista che non
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conosce orari, passa con nonchalance da Bruxelles a Jakarta e rimane intrappolato
in hotel a Seattle nel 1999, quando prende avvio il movimento no-global. «Ma che
vogliono, io sto solo facendo il mio lavoro!» esclama con la stizza di chi è
impossibilitato ad andare in ufficio per uno sciopero. Un adagio condiviso da molti
colleghi . «Non sono altro che un facilitatore», si autodefinisce, mentre la
telecamera lo segue fra champagne e tartine ai cocktail dei think tank più influenti
di Bruxelles, come la cena annuale di Friends of Europe.
In conclusione, il film ha il merito di avviare una riflessione sulla scena
del lobbying attorno alle istituzioni Ue. Complice la materia complessa, tuttavia,
non arriva a spiegare appieno ad un pubblico “vergine” quali siano i meccanismi di
base che sono il pane quotidiano dei rappresentanti di interesse europei. E,
nonostante gli sforzi bipartisan, cede un po’ troppo alla tentazione di dipingere il
lobbista come un “cattivo” dal potere incontrastabile senza tracciare bene il confine
fra il lobbying legittimo e le pratiche illecite.
Un’inquadratura finale del cielo grigio sopra Bruxelles e un accenno agli
ideali perduti dei “padri fondatori” della Ue offre infine un punto di vista
sconsolato sul futuro, di valori traditi senza speranza. Nonostante l’accenno alla
nascita recente dello European Transparency Register, il registro (volontario) dei
rappresentanti di interesse a cui i membri di ERT, ai giorni nostri, sarebbero stati
incoraggiati ad iscriversi.
fonte: http://www.linkiesta.it/brussel-business
-------------elrobba:
...
Comunque, tanto per precisare, vorrei sindacare che non è sempre vero che:
- gli omosessuali hanno una spiccata sensibilità. ho un amico che si scopa anche i marciapiedi e
parla di ingoio metà delle volte che usciamo assieme
- i cani sono i migliori amici dell’uomo. lo iorcsciair della mai dirimpettaia è un caca cazzo
incredibile e desidera ardentemente azzannare qualsiasi essere umano gli passi davanti
- bisogna rispettare gli anziani. basta fare un pensiero a tizi come Emilio Fede o Umberto Bossi
etc.
- i giovani non sono più quelli di una volta. guarda Alba Parietti, è sempre la stessa persona da
oltre mezzo secolo
- chi trova un amico trova un tesoro. chiedete pure al caro Sarkozy
- quando la barca va lasciala andare. visto le cazzate del sig. Schettino?
- piove sempre sul bagnato. il lago Balaton si sta prosciugando ad esempio
inoltre sono sicuro, per vari motivi che:
- è bello far l’amore anche sopra Trieste
- Pupo è un coprofago
- Gigliola Cinquetti finalmente, per la seconda volta nella sua vita, non ha più l’età. dovrebbe
levarsi di culo
145
Post/teca
--------------falcemartello ha rebloggato alune:
——Ciao Barbie, ti ricordi gli anni ‘70?
Fonte: mtvgeek
-----------------
Da Coluche a Grillo,
quando il buffone va in
146
Post/teca
politica
Paolo Stefanini
Coluche era il comico più famoso di Francia. Alle presidenziali del 1981 annunciò la
sua candidatura. I sondaggi lo videro balzare al 16%. La politica si spaventò, e
molto, dalla destra ai comunisti. I servizi segreti scandagliarono il suo passato. Fu
pedinato e minacciato. Il suo braccio destro fu ucciso. Si ritirò. Ma con i suoi eccessi
aveva rotto un tabù: i profani potevano intrufolarsi nel recinto sacro della politica. E
il sociologo Bourdieu disse: «È la cosa più importante successa in Francia dopo la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo».
8 maggio 2012 - 22:55
147
Post/teca
148
Col
Post/teca
uche, nome d'arte di Michel Gérard Joseph Colucci (Parigi, 1944 – Opio, 1986)
«Mi rivolgo a quelli che hanno votato trent’anni a sinistra per niente.
Perché, purtroppo, la sinistra non ha fatto nulla. Sono uno di quelli che avevano
riposto molte speranze nella sinistra… Parlo anche a coloro che hanno votato la
destra trent’anni per niente. Mi sapete citare una promessa mantenuta? Per
trent’anni hanno votato per persone competenti e intelligenti che li prendevano per
imbecilli. Oggi io propongo loro di votare per un imbecille. Per me. Di solito,
votavano per niente. Scegliendo Coluche voteranno per uno che non è niente, se
non un astensionista di professione». Fu annunciata così, il 30 ottobre del 1980, la
candidatura di Coluche (Michel Gérard Joseph Colucci, comico francese nato da un
padre del frusinate) alle presidenziali di Francia del 1981. Allora era il buffone più
famoso e amato di Francia e per ascoltare questo messaggio i giornalisti gremirono
il Théâtre du Gymnase di Parigi. Poi, alcuni non scrissero niente. Iniziava un certo
boicottaggio dei media. Il giorno dopo tennero brevi cronache della cosa Libération,
Le Monde e Le Matin. I lettori del conservatore Le Figaro dovettero attendere fino
al 18 novembre per qualche riga sulla candidatura, quelli del comunista L’Humanite
un giorno in più. Coluche faceva da tempo battute nei suoi spettacoli sulla volontà
di presentarsi alle “elezioni pestilenziali”, come le chiamava. E già una volta, a Le
Monde, aveva detto di volersi presentare come candidat nul, per portare al voto gli
astensionisti di ferro e avendo come sua maggiore forza la certezza di non essere
eletto. Ma dopo l’annuncio al Théâtre du Gymnase le cose iniziano a farsi serie.
Gérard Nicoud, segretario del Cid-Unati, il sindacato dei piccoli commercianti e degli
artigiani, annunciò il suo sostegno al comico:«Visto che la politica è ridicola,
votiamo Coluche! Almeno lui è bravo davvero a far ridere».
In quel 1980 Valéry Giscard d’Estaing stava vivendo una fine mandato
difficile. Il numero di disoccupati aveva sorpassato la quota psicologica del milione
e mezzo. L’inflazione balzava oltre il 13%. Gli scioperi non si contavano. E il
presidente, intanto, era travolto dallo scandalo dei diamanti ricevuti dal dittattore
centrafricano Bokassa (autoproclamatosi Imperatore) e rivenduti. Proprio
sull’affaire dei diamanti basava i suoi tormentoni Coluche, su Radio Monte Carlo. Il
successo di audience era incredibile, ma dopo poche puntate venne fatto fuori, per
intervento diretto del principe, azionista di maggioranza della radio monegasca. Fu
quella la molla a farlo decidere per la candidatura, spinto dall’amico cineasta
Romain Goupil. In fondo bastavano solo 500 firme. In compenso, come candidato
avrebbe avuto diritto di tribuna. Avrebbe potuto dire quello che come comico
avevano iniziato a censurargli. Ma si sbagliava. Fu proprio con la candidatura che
iniziarono le pressioni più forti: telefonate anonime, minacce di morte, pedinamenti.
E poi l’uccisione del suo braccio destro, René Gorlin. Ufficialmente si trattò di un
movente passionale. Ma i cospirazionisti hanno ancora di che nutrire le loro
convinzioni. Così come per la morte dello stesso Coluche, vittima cinque anni dopo
di un drammatico incidente di moto (fu travolto da un camion). In ogni caso,
complotto o no, la politica francese non reagì con aplomb al primo candidato anti149
Post/teca
sistema. Il 25 novembre, appena si capì che la candidatura era uno scherzo da
prendere sul serio, fu chiesta l’apertura di un’indagine segreta ai suoi danni. Il
timbro porta la data del 12 dicembre. E il documento top secret è archiviato col
numero 817 706. Si trattava di un dossier completo su Coluche, la sua famiglia e le
persone a lui più vicine, per trovare elementi per screditarlo. Veniva ad esempio
ricordato che, da militare, «per colpa del suo carattere contestatario e refrattario
alla disciplina, aveva rivolto gravi offese ai superiori e alcuni atti di insubordinazione
gli erano costati 52 giorni di cella».
150
Post/teca
Fu su Charlie Hebdo, settimanale satirico, che Coluche presentò il suo
manifesto: «Mi appello agli sfaccendati, agli zozzoni, ai drogati, agli alcolizzati, ai
froci, alle donne, ai parassiti, ai giovani, ai vecchi, agli artisti, agli avanzi di galera,
alle lesbiche, ai garzoni, ai neri, ai pedoni, agli arabi, ai francesi, ai capelluti, ai
buffoni, ai travestiti, ai vecchi comunisti, agli astensionisti convinti, a tutti quelli che
non credono più nei politici, affinché votino per me, si iscrivano presso il loro
municipio e propagandino la novità. TUTTI INSIEME PER FOTTERLI IN CULO CON
151
Post/teca
COLUCHE, il solo candidato che non ha motivo di mentire». Parole che il sociologo
Pierre Bourdieu non ebbe remore a definire le più importanti per la Francia dalla
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Anche altri importanti
intellettuali, tra cui lo psicanalista Félix Guattari, il sociologo Alain Touraine e il
filosofo Gilles Deleuze, si dissero a favore di Coluche e il 13 novembre firmarono su
Les nouvelles littéraires una petizione a suo favore. Il comico mantenne le distanze
e a chi gli domandò cosa pensasse di quell’appoggio rispose, scettico e scontroso:
«Quelli sono dei malati». Coniando uno slogan dopo l’altro (uno dei più ricorrenti:
«Prima di me la Francia era divisa in due, con me sarà piegata in quattro dal
ridere») la campagna elettorale proseguì con crescente successo. La copertina di un
altro giornale satirico, Hara Kiri, fece molto discutere. Rappresentava Coluche sul
cesso, con una legione d'onore a coprirgli l’organo genitale e con la bandiera
francese trasformata in un tricolore «bianco, blu e merda». La vera rovina di
Coluche furono i sondaggi. A sorpresa cominciarono a darlo al 15-16% e i politici si
spaventarono sul serio. Visto che tra i suoi collaboratori c’erano due vecchi trozkisti,
la polizia politica e i servizi segreti iniziarono a ipotizzare un complotto rosso,
un’azione di comunista di destabilizzazione. Non era vero. Anzi, il partito comunista
francese fu molto spaventato dal fenomeno Coluche. Come ha raccontato Pierre
Juquin, portavoce del Pcf dal 1979 all’84, il candidato Georges Marchais
commissionò un sondaggio nella classe operaia. Il risultato fu choccante: gli operai
gli preferivano Coluche. Marchais (che alle presidenziali avrebbe preso il 15,4%) fu
così scosso che decise di non rendere noti i risultati nemmeno all’ufficio politico
ristretto. Per la prima volta si rese conto che il messaggio politico del partito non
era più giudicato credibile da buona parte della potenziale base.
Pierre Bourdieu stigmatizzò il comportamento dei politici che accusavano
di irresponsabilità i profani che volevano occuparsi di politica, mal
sopportando ogni intrusione nel loro cerchio sacro. Ma tra pressioni e minacce, ai
primi d’aprile del 1981, Coluche convocò una seconda conferenza stampa per
annunciare che si ritirava dalla campagna elettorale (non aveva nemmeno raccolto
le 500 firme e poi dette il suo appoggio al socialista François Mitterrand, che vinse).
«Non sono più candidato», disse. «Volevo dare una rimescolata alla merda della
politica, ma ora non sopporto più l’odore. Ho voluto divertire me stesso e gli altri in
un periodo di così grande tristezza e gravità. La gente sarà delusa. E anch’io lo
sono. Mi fermo perché non posso andare oltre. Signori politici di mestiere, ho
messo il naso nel vostro buco di culo, non ho più interesse a lasciarvelo lì.
Divertitevi senza di me».
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Post/teca
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Col
Post/teca
uche in una delle pose più celebri (foto: Pierre Guillaud/Afp)
fonte: http://www.linkiesta.it/coluche-beppe-grillo
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La regina Elisabetta ha preso un
parlamentare in ostaggio
di ANTONELLO GUERRERA - @ANTOGUERRERA
E accade una volta l'anno, per vecchie tradizioni che hanno a che fare anche con Guy Fawkes, quello di
V for Vendetta
Il deputato conservatore britannico Marc Francois questa mattina è stato rinchiuso per
alcune ore a Buckingham Palace, a Londra. È stato rilasciato soltanto quando la regina
Elisabetta II, che nel frattempo è andata in Parlamento, è tornata sana e salva al suo
palazzo.
Oggi infatti la regina britannica Elisabetta II ha aperto come tradizione il nuovo anno del
Parlamento parlando alla camera dei Lord. Si tratta di un discorso tradizionale e molto
seguito – un sunto dei temi principali affrontati oggi si può trovare qui - in quanto la
Regina nella circostanza elenca le priorità che il governo britannico dovrà affrontare nei
mesi successivi. Dal 1952, da quando è diventata regina, Elisabetta II ha inaugurato tutte le
sessioni del Parlamento a Westminster, ad eccezione del 1959 e del 1963, quando era
incinta rispettivamente del principe Andrea, duca di York, e del principe Edoardo.
Generalmente il discorso della Regina si teneva in novembre, ma poi il governo britannico
ha preferito spostarlo in maggio per far combaciare l’anno parlamentare con il calendario
elettorale, visto che dall’approvazione del Fixed Term Parliament Act del 2011 le elezioni
legislative britanniche si devono tenere sempre in maggio. L’attuale tradizione del discorso
della Regina risale alla riapertura del Palazzo di Westminster nel 1852 anche se alcune sue
formalità e tradizioni risalgono a tempi precedenti.
Una di queste è proprio quella dell’”hostage MP“, ossia del “parlamentare ostaggio”.
Questa tradizione prevede che la Regina lasci Buckingham Palace per andare alla Camera
dei Lord, nel Palazzo di Westminster, solo dopo che un parlamentare della Camera dei
Comuni viene “preso in ostaggio” a Buckingham Palace, come garanzia per la sicurezza e
l’incolumità della Regina qualora il Parlamento si dovesse rivelare particolarmente ostile
nei suoi confronti. L’”ostaggio”, che quest’anno è stato appunto il deputato conservatore
154
Post/teca
Marc Francois, viene “rilasciato” solo quando la Regina è tornata sana e salva al suo
palazzo.
La tradizione si deve al fatto che storicamente Westminster è stato spesso un luogo ostile
per i reali, considerando le frizioni tra monarchia e Parlamento di alcuni secoli fa. La
tradizione dell’ostaggio risale precisamente all’epoca di Carlo I, re d’Inghilterra, Scozia,
Irlanda dal 1625 al 1649. Durante la sua reggenza crebbero parecchio le tensioni politiche e
religiose nel paese che poi diedero luogo alla Guerra civile inglese (1642-1660).
Carlo I era avverso al Parlamento, che si opponeva ai suoi tentativi di aumentare il suo
potere, e ai Puritani, che erano ostili alle sue politiche religiose, per loro troppo vicine al
cattolicesimo. L’episodio da cui deriva la tradizione dell’”hostage MP” risale precisamente
al 4 gennaio 1642, quando Carlo I irruppe nella Camera dei Comuni per far arrestare, senza
riuscirvi, cinque suoi membri per “tradimento”, dopo che questi avevano provato a far
arrestare sua moglie, la regina Enrichetta Maria di Francia, cattolica. Successivamente, nel
1649, Carlo I fu catturato, processato da una commissione della Camera dei Comuni e
decapitato per alto tradimento.
Dal 1642, dunque, ogni sovrano inglese si guarda bene dall’entrare nella Camera dei
Comuni. Non a caso, la Regina tiene il suo discorso presso la Camera dei Lord, dove si
accalcano anche i deputati della Camera dei Comuni secondo un altro vecchio rituale:
quando la Regina arriva a Westminster, tutti si alzano. La Regina invita poi i Lord a sedersi
e chiede al Lord Gran Ciambellano (un ministro della Corona responsabile del palazzo di
Westminster e della Camera dei Lord) di inviare il “Black Rod” (“asta nera” dall’inglese),
un esponente dei Lord, a convocare la Camera dei Comuni.
Il Black Rod si dirige dunque verso la porta della Camera dei Comuni che tradizionalmente
gli viene chiusa in faccia. Questo per simboleggiare l’indipendenza dei deputati della
Camera dei Comuni. Il Black Rod allora batte per tre volte sulla porta con l’asta nera, e solo
in questo momento viene fatto accedere alla Camera. Il Black Rod si inchina allo speaker
della Camera e riporta l’invito della Regina, che si trova nella Camera dei Lord, verso la
quale si avviano i deputati in maniera tradizionalmente rumorosa e poco composta. Alcuni
deputati, come fa ogni anno il laburista Dennis Skinner dal 1970, per protesta rimangono
fuori dalla Camera dei Lord mentre parla la Regina.
Un’altra tradizione legata al discorso della Regina è questa: la Queen’s Body Guard of the
Yeomen of the Guard, ossia la guardia personale del sovrano del Regno Unito, prima
dell’arrivo della Regina a Westminster controlla rigorosamente i sotterranei del palazzo
con alcune lanterne. Si tratta di un compito puramente cerimoniale che simboleggia la
ricerca dei traditori che vogliono attentare alla vita del sovrano.
Questa tradizione risale alla cosiddetta “Congiura delle polveri” del 5 novembre 1605,
quando Guy Fawkes, un militare inglese in combutta con cospiratori cattolici, provò a
uccidere il re Giacomo I d’Inghilterra e tutti i membri del Parlamento inglese riuniti nella
Camera dei Lord durante l’apertura delle sessioni parlamentari mettendo dell’esplosivo nei
sotterranei di Westminster. Il complotto fu scoperto da Thomas Knyvet, una guardia degli
Yeomen of the Guard. Il personaggio di Guy Fawkes, poi, sarebbe stato ripreso da “V”, il
personaggio del fumetto di Alan Moore e David LLoyd V for Vendetta, da cui sono stati
tratti l’omonimo film di James McTeigue e più recentemente le maschere di attivisti di
Occupy e di Anonymous.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/09/la-regina-elisabetta-ha-preso-un-parlamentare-in-ostaggio/
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Post/teca
---------------senza-voce ha rebloggato 23mockingjay:
“Il gatto non vuole che il mondo intero lo ami, ma solo quelli che lui ha scelto di amare.”
— Helen Thomson (via monnalisasimpson)
---------------
— BREVI
Come i metalli cambiano i sapori
Due ricercatori dello University College di Londra studiano il modo in cui le posate influenzano i cibi
che mangiamo
8 maggio 2012
Quelli che dicono di saperla lunga di cucina, prima o poi ti spiegano che a seconda dei cibi
non solo ci vogliono posate di forme particolari, ma anche di specifici materiali per non
rovinare sapore e caratteristiche organolettiche (sì, diranno così) dei vari cibi. È una cosa
da impallinati, da spingere anche i più educati ed affezionati al galateo a mangiare con le
mani, ma stando a una recente ricerca condotta presso l’Institute of Making dello
University College di Londra ha una sua base scientifica. Due ricercatori, Zoe Laughlin e
Mark Miodownik, insieme con altri colleghi, hanno realizzato una serie di esperimenti per
capire come i cucchiai da minestra di diversi metalli cambino il nostro modo di percepire i
gusti.
La ricerca ha richiesto tre anni di studio, periodo nel quale Laughlin e Miodownik hanno
messo a punto una particolare serie di cucchiai rivestiti con sette diversi tipi di metalli, in
dosi tali da non risultare tossici per chi effettuava le degustazioni. I volontari che hanno
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Post/teca
preso parte all’esperimento venivano bendati e dopo l’assaggio veniva chiesto loro di
descrivere il gusto delle sostanze assaggiate. Il lavoro ha dimostrato che dopo poco tempo i
volontari erano in grado di identificare il sapore dei diversi cucchiai, e che questo
condizionava il modo in cui venivano percepite alcune caratteristiche dei cibi come
l’acidità, la dolcezza e la stessa consistenza di alcuni alimenti.
Partendo dai risultati dei loro studi, i due ricercatori hanno organizzato di recente una
cena di degustazione al Quilon, un ristorante indiano di Londra molto rinomato e premiato
dalle guide gastronomiche della Michelin. Come spiega Fuchsia Dunlop sul Financial
Times, agli ospiti sono state servite sette portate di cibo indiano da degustare con sette
diversi cucchiai. Ogni posata era rivestita da un metallo: rame, oro, argento, stagno, zinco,
cromo e acciaio inossidabile. Per riconoscerli, sul manico di ogni cucchiaio era stato inciso
il corrispondente simbolo della tavola periodica degli elementi e un’altra indicazione nel
caso dell’acciaio inossidabile (che è una lega metallica).
I quindici partecipanti alla particolare cena del Quilon hanno descritto le loro sensazioni
dopo aver succhiato i soli cucchiai, senza pietanze. Rame e zinco hanno dato un sapore
forte e molto distinguibile, mentre il cucchiaio di argento ha dato un gusto più spento e
monotono. La posata di acciaio inossidabile ha rivelato un sapore molto metallico,
caratteristica cui in realtà siamo ormai abituati considerato che le posate di questo
materiale sono le più diffuse e utilizzate. I ricercatori hanno ricordato ai partecipanti che in
realtà non stavano semplicemente succhiando i cucchiai, ma che li stavano mangiando (si
trattava comunque di assaggi di qualche centinaio di miliardi di atomi).
L’assaggio delle pietanze con i diversi cucchiai ha portato a percepire particolari sapori,
non sempre piacevoli. Il merluzzo nero al forno si è rivelato disgustoso quando è stato
assaggiato con il cucchiaio di zinco, mentre il pompelmo con il cucchiaio di rame aveva un
gusto poco raccomandabile. I due metalli se la sono cavata meglio con il mango,
accentuandone il sapore.
Secondo Laughlin e Miodownik la loro ricerca, e altri studi simili condotti negli ultimi
anni, potrebbero portare a importanti innovazioni sia nello studio dei nuovi materiali da
utilizzare con gli alimenti, sia nel modo in cui i cibi vengono cucinati e abbinati alle posate.
La loro ambizione è quella di produrre un set di cucchiai rivestiti con diversi metalli,
ognuno dei quali adatto a una particolare classe di cibi. I due ricercatori non sembrano
essere molto preoccupati dalla possibilità che in questo modo aumentino a dismisura le
posate in tavola da usare per ogni pasto. I metalli sarebbero diversi, ma la regola di base
resterebbe sempre la stessa: iniziare dalle posate più esterne.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/08/posate-metalli-sapori/
------------elrobba:
...
So di essere stato imperfetto, ma è stato comunque un buon modo di far parte del tuo passato.
----------MCR - Oltre il ponte (di geko81t)
OLTRE IL PONTE
Italo Calvino e Sergio Liberovici
157
Post/teca
O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l’armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l’avvenire di un giorno più umano
e più giusto più libero e lieto.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
158
Post/teca
oltre il fuoco comincia l’amore.
Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell’aurora.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Fonte: youtube.com
-----------------------ilfascinodelvago:
“È vitale fare un uso responsabile delle parole, ed è urgente condannarne l’abuso come
crimine. Questa prospettiva è sempre più lontana dal nostro mondo in cui nessuno è più
chiamato a rispondere delle proprie parole, nel flusso indistinto di catarro verbale che domina
il nostro spazio comunicativo.”
— Moni Ovadia
-----------------------
159
Post/teca
20120510
curiositasmundi ha rebloggato periferiagalattica:
“Il Vaticano è il primo stato per densità di potere.”
— Periferia galattica:
---------------skiribilla ha rebloggato curiositasmundi:
SOCIALISMO: Hai 2 mucche. Il tuo vicino ti aiuta ad occupartene e tu dividi il latte con lui.
COMUNISMO: Hai 2 mucche. Il governo te le prende e ti fornisce il latte secondo i tuoi bisogni.
FASCISMO: Hai 2 mucche Il governo te le prende e ti vende il latte.
CAPITALISMO: Hai 2 mucche Ne vendi una per comprare un toro ed avere dei vitelli con cui
iniziare un allevamento.
CAPITALISMO SELVAGGIO: Hai 2 mucche. Fai macellare la prima ed obblighi la seconda a
produrre tanto latte come 4 mucche. Alla fine licenzi l’operaio che se ne occupava accusandolo di
aver lasciato morire la vacca di sfinimento.
BERLUSCONISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi 3 alla tua Società quotata in borsa, utilizzando
lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito,
con una partecipazione in una Società soggetta ad offerta pubblica e nell’operazione guadagni 4
mucche beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di 5 mucche. I diritti sulla
produzione del latte di 6 mucche, vengono trasferiti da un intermediario panamense sul conto di
una Società con sede alle Isole Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista che rivende
alla tua Società i diritti sulla produzione del latte di 7 mucche. Nei libri contabili di questa Società
figurano 8 ruminanti con l’opzione d’acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai
abbattuto le 2 mucche perchè sporcano e puzzano. Quando stanno per beccarti, diventi Presidente
del Consiglio.
MONTISMO: Hai 2 mucche. Tu le mantieni, il governo si prende il latte e ti mette una tassa su: la
stalla, la mangiatoia, la produzione. A te rimane lo sterco. Intanto è in approvazione un disegno di
Legge sulla tassazione dei rifiuti organici animali.
(Voglio essere intercettato - Facebook)
bugiardaeincosciente
Fonte: bugiardaeincosciente
---------------curiositasmundi ha rebloggato progvolution:
“Sono qui e nessuno mi conosce, sono un volto anonimo in questa moltitudine di volti anonimi,
sono qui come potrei essere altrove, è la stessa cosa, e questo mi dà un grande struggimento e
un senso di libertà bella e superflua, come un amore rifiutato.”
— Piccoli equivoci senza importanza
Antonio Tabucchi (via progvolution)
-----------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“Non è forse per questo che si viaggia? Conoscendo altre culture capiamo meglio la nostra.
Conoscendo altre persone impariamo a conoscere noi stessi. Siamo tutto quello che sta fuori
dal nostro corpo. Impariamo per contrasto…”
160
Post/teca
— Il club dei desideri impossibili, Alberto Torres Blandina
Fonte: creativeroom
---------------mariaemma:
“
A volte vorrei
vedermi
quando non mi vede nessuno
quando sono da solo
quando sono lì
in cucina
che faccio le cose
che sistemo
che scrivo
che penso
(a volte penso)
vedere
che facce faccio
come mi muovo
ma poi penso
che vedermi
o meglio
sapere che mi vedo
cambierebbe
il mio modo di comportarmi
di agire
cambierebbe
le mie espressioni
l’altra mattina
ero lì
vicino alla finestra
che bevevo il caffè
mi son scoperto
che sorridevo
”
— Poesia dell’oscuro scrutare - E io che mi pensavo
---------------skiribilla ha rebloggato albertoragni:
161
Post/teca
hey sight for sore eyes it’s a long time no see
workin hard hardly workin hey man you know me
water under the bridge didya see my new car
well it’s bought and it’s payed for parked outside of the bar
and hey barkeeper what’s keepin you keep pourin drinks
for all these palookas hey you know what i thinks
that we toast to the old days and di maggio too
and old drysdale and mantle whitey ford and to you
no the old gang ain’t around everyone has left town
‘cept for thumm and giardina said they just might be down
oh half drunk all the time and i’m all drunk the rest
yea monk’s till the champion but i’m the best
i guess you heard about nash he was killed in a crash
hell that must of been two or three years ago now
yea he spun out and he rolled he hit a telephone pole
and he died with the radio on
no she’s married and with a kid finally split up with sid
he’s up north for a nickle’s worth for armed robbery
hey i’ll play you some pin ball hell you ain’t got a chance
well then go on over and ask her to dance
Ehi toccasana per occhi stanchi, che bellezza rivederti
quanto tempo è passato
lavoriamo sempre dal mattino alla sera
ti ricordi cosa facevamo?
Quanta acqua è passata sotto i ponti hai visto la mia auto nuova?
E’ mia, l’ho pagata
è qui fuori in strada
Ehi barista cosa ti ha tenuto qui a versare da bere
per questi spiantati
Sai che ti dico?
dovremmo brindare ai giorni passati
e anche a Di Maggio
e al vecchio Drysdale e Mantle Whitey Ford
e a te
No, la vecchia banda non esiste più
ognuno ha lasciato il paese
162
Post/teca
eccetto Thumm e Giardina non è rimasto niente
Oh lui è mezzo ubriaco per tutto il giorno e io ubriaco per l’altra metà
si, Monk è sempre il campione
ma io sono il migliore
Immagino che hai saputo di Nash
è morto in un incidente
Diavolo, devono essere già passati due o tre anni
Era in auto e ha perso il controllo
dritto contro un palo
se n’è andato con la radio accesa.
No, lei si è sposata e ha un bimbo
alla fine ha rotto con Sid
lui è su al nord, vive di rapine per procurarsi la sua dose
Perchè non facciamo qualche partita a flipper,
non hai scampo contro di me
E dopo fatti avanti
e chiedile di ballare.
Tom Waits - A sight for sore eyes
albertoragni
--------------------plettrude:
“Concentriamoci ora solo sul problema in oggetto, ovvero la donna che ti dice “È troppo
presto”.
È in effetti possibile che lo faccia perché le hanno messo in testa che fare sesso al primo
appuntamento sia poco da signore. Questa opzione, tuttavia, è tanto improbabile quanto
legata al fatto che – leggi il labiale, aspirante seduttore – NON LE PIACI ABBASTANZA.”
— Lezione #81: “È troppo presto” | Me parlare donna un giorno
Fonte: meparlaredonna.gqitalia.it
plettrude:
“Per farla corta, è il 2012, le donne scopano: se non scopano con te, nella stragrandissima
maggioranza dei casi, è perché non gli va. Non è troppo presto, è che non hanno voglia, ma il
problema non è il sesso, il problema sei tu. E c’è qualcosa di insieme deprimente e ripugnante
nell’idea di un uomo che davanti a un “no” si sente autorizzato a far sentire la sua “energia
maschile”, che non si capisce bene se sia una raffinata metafora per dire “durello” o se
proprio siano convinti che insistere sia cosa buona, come se lei si stesse nascondendo civettuola
dietro al ventaglio. Non c’è nessun ventaglio, non c’è nessuna energia maschile, non le va:
metti via il durello e vai a casa.”
— Lezione #81: “È troppo presto” | Me parlare donna un giorno
Fonte: meparlaredonna.gqitalia.it
-----------------
163
Post/teca
Foto bacheca
E' stato ritrovato il corpo di Giuseppe Girolamo, il trentenne batterista-eroe di Alberobello, che cedette il suo posto sulla scialuppa ad
una bambina durante il naufragio della nave Concordia. Era entusiasta dell'impiego trovato sulla nave che gli avrebbe permesso di vivere
della sua passione, la musica. A differenza di tanto sciacallaggio sulle tragedie, mi piace ricordarlo per il suo sorriso. Adesso, caro
Giuseppe, starai sicuramente portando il ritmo dell'Universo.
di: Roy Paci
da facebook...
--------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato stripeout:
il punto non è concedere il matrimonio agli omosessuali. Il punto è
vietarlo a tutti gli altri
ilfascinodelvago:
messalaida
Fonte: messalaida
-------------------onepercentaboutanything ha rebloggato spaam:
“Io m’innamorerei pure di te, ma non ho più soldi per la psicanalisi.”
— — C. Bukowski.
loscalpitaredelcuore:
(via curiositasmundi)
AHAHAHAHAHAHAH
la potenza dell’ignoranza di Internet. La mia, ripeto, MIA citazione, diventa tutto ad
un tratto di Bukowski. Povero Charles, accostato ad un semplice utente della rete,
senza troppe pretese, a cui però avete rotto il cazzo di rubargli le frasi.
Anche perché, Bukowski, quando cazzo ci sarebbe mai andato in analisi? Soffriva
d’alcol, non di psiche!!!!!!
Ahhh…Gesù vi punirà e sarete costretti a dare ripetizioni private al Trota, per
sempre. In albanese
164
Post/teca
(via spaam)
Fonte: loscalpitaredelcuore
---------------ilfascinodelvago:
“Sai nulla della spinta di Archimede?
No, ma ha cominciato lui!”
— Orporick su twitter
---------------periferiagalattica:
La scienza spiegata male - 27
Deriva volgare dei continenti
In base alla tettonica a zolle fra 250 milioni di anni le terre emerse saranno unite in un unico
continente, a forma di cazzo.
-------------------3nding ha rebloggato curiositasmundi:
Chi suicida chi...
monicabionda:
insospettabilmente-superficiale:
Ci mancava il dibattito sui suicidi: di chi è la colpa se le persone in crisi si ammazzano, di Monti
o di Berlusconi? La responsabilità di quei gesti non è di nessuno. La scelta di togliersi la vita
attiene a una zona insondabile del cuore umano che ha a che fare con la fragilità, il dolore, la
paura: mondi troppo profondi per farne oggetto di gargarismi politici.
La responsabilità della situazione sociale che fa da sfondo agli atti disperati è invece piuttosto
chiara. Negli ultimi vent’anni l’Italia è stata governata - bene o male non so, ma governata soltanto dal primo governo Prodi. Il resto è stato un susseguirsi di agguati, proclami, scandali e
cialtronate.
Gli altri governi di sinistra hanno pensato unicamente a farsi del male. Berlusconi ai fatti propri.
La riforma liberale dello Stato, vagheggiata in centinaia di comizi, si è rivelata la più tragica
delle sue bufale. Non poteva essere altrimenti, dato che gli alleati del Nord non volevano il
risanamento ma la dissoluzione del Paese e quelli del Sud prendevano i voti dalla massa di
mantenuti che qualsiasi riforma seria avrebbe spazzato via.
Monti si è presentato al capezzale di un paziente curato per vent’anni con flebo d’acqua
fresca, facendosi largo fra mediconzoli corrotti e infermiere in tanga. Ha riportato serietà nel
reparto e messo gli antibiotici nella flebo. Se avesse avuto l’umanità di un Ciampi, si
sarebbe anche seduto a far due chiacchiere col malato per tirarlo su di morale. D’accordo,
Monti non è Ciampi. Però non ha ucciso nessuno.
L’Italia l’hanno suicidata i partiti.
L’editoriale di Gramellini su La stampa di oggi
nota:la mamma di Gramellini morì suicida
Insomma l’Italia è come Pinelli, è stata suicidata.
Fonte: lastampa.it
165
Post/teca
-------------------spaam:
“Dopo il grande secolo di lotte per i diritti dei lavoratori, eccoci nel grande secolo di lotte per i
diritti dei gay. Nel mezzo 48 ore di femminismo.”
— Poteva piovere
----------------3nding ha rebloggato ladridipane:
“Storica sentenza della Cassazione: i blog non sono stampa clandestina e non sono un
prodotto editoriale. Assolto Carlo Ruta, giornalista e saggista siciliano, condannato nel 2008
dal tribunale di Modica per il reato di stampa clandestina, pronuncia confermata poi nel 2011
dalla Corte di appello di Catania.”
— I blog non sono stampa clandesina (via ladridipane)
Fonte: ladridimarmellate.blogspot.it
----------------biancaneveccp ha rebloggato lisbethsalander:
“Tutti quelli che se ne vanno,
ti lasciano sempre addosso
un pò di sé.
È questo il segreto della memoria.”
— La finestra di fronte (via perlediundiavolaccio)
Fonte: tired-and-naked
-----------------
L'editoria a Catania
01 febbraio 2007
di Nino Recupero
Tra l'aprile e il giugno del 1994, su iniziativa dell'allora assessore alla cultura del Comune di Catania prof. Antonio Di
Grado, un folto gruppo di docenti del nostro ateneo, assieme a diversi giornalisti e intellettuali, si era messo all'opera
per resuscitare "La Rivista del Comune", una testata di lunga tradizione. Quel progetto purtroppo non ebbe seguito per
banali problemi amministrativi. Tra gli articoli scritti per il primo numero della nuova serie della rivista (che non fu mai
166
Post/teca
pubblicato), grazie al prof. Luciano Granozzi che ne aveva conservato copia, abbiamo trovato questo inedito del prof.
Antonino Recupero. Lo riproponiamo, pur a distanza di tanti anni, vista la straordinaria attualità delle considerazioni
sullo stato "strutturale" dell'editoria catanese. Per la redazione del "Bollettino d'Ateneo" questo è anche un modo per
ricordare la figura dell'illustre collega, immaturamente scomparso, che aveva più volte fornito alla nostra rivista
contributi di grande interesse. Vedi: Il libro universitario tra mercato e impresa("Bollettino d'Ateneo" n. 1-2 del 2002),
Una finestra sul mondo. Il Cuc nella Catania degli anni Sessanta ("Bollettino d'Ateneo" n. 4 del 2002), La vita
studentesca nella Madrid di fine Ottocento ("Bollettino d'Ateneo" n. 3 del 2003).
La Sicilia occupa, tutto sommato, un posto di notevole rilievo nella produzione libraria nazionale. Innanzi tutto come
quantità: pur nella difficoltà di fornire cifre esatte, si può dire che tra libri, riviste e giornali la Sicilia si colloca in un
buon posto tra i "secondi" dopo aree quali Lombardia, Piemonte e Toscana. Ma, senza facili sciovinismi, bisogna
riconoscere che la nostra editoria non è al livello né della nostra tradizione, né delle potenzialità culturali siciliane: basti
riflettere che, anche nel Mezzogiorno, Napoli e Bari ospitano centri editoriali "maggiori", di riconosciuta rilevanza
nazionale (nel senso che la la cultura nazionale non potrebbe farne a meno senza una perdita grave).
Anche la Sicilia, è vero, accoglie editori "nazionali". Oggi l'Isola ospita oltre un centinaio di case editrici attive
professionalmente, più una cinquantina tra Enti e Fondazioni che pubblicano senza fini di lucro. Almeno una decina (o
poco più, a seconda dei criteri di classificazione) si collocano fra gli editori di livello nazionale, col rango di piccole o
medie imprese. Occorre definire a quali requisiti ci riferiamo, parlando di "editore nazionale". L'editoria, contrariamente
a quanto piace a Berlusconi, non presenta una immediata rispondenza fra capitale investito o numero di addetti, e
importanza culturale. Vi sono editori che per la qualità dei testi prodotti, e per la coerenza dell'impegno hanno
guadagnato un rilievo che non è commensurabile alle dimensioni del loro fatturato annuo. Al contrario, l'investimento
di capitali e un forte fatturato (come in molte delle edizioni d'arte e di lusso) non è stato sempre garanzia di prodotti
innovativi, o "indispensabili" culturalmente.
Per acquisire il livello nazionale, occorre dunque, innanzi tutto, una continuità relativamente costante nel tempo; un
catalogo ricco, non solo numericamente, di testi che abbiano fatto discutere anche al di fuori dei confini regionali;
naturalmente, occorre una circolazione nazionale (è lo spinoso tema della "distribuzione"); infine, inevitabilmente, ciò
significa un livello minimo di fatturato, una minima organizzazione aziendale. Il contrassegno inconfondibile della
riuscita di un editore è la sua capacità di attrarre scrittori e collaboratori "da fuori", da un'area nazionale. Ora,
sfogliando la lista delle imprese siciliane, è facile trovarne una diecina con queste caratteristiche (e mi scuso fin
dall'inizio per eventuali, fatali omissioni): a Palermo Sellerio, Novecento, Flaccovio, Lombardi; a Caltanissetta Salvatore
Sciascia, Palumbo; a Catania Domenico Sanfilippo, Maimone, Bonanno; a Messina Sicania; e così via. Eppure, qual è il
romanziere o saggista siciliano che puntando a conseguire il successo non preferirebbe Einaudi, Mondadori, o anche
Laterza ad uno qualsiasi dei nostri editori? Non è forse vero che il corpo docente delle nostre università si affida agli
editori locali per le cosiddette "dispense" (oggi quasi tutte in forma di libro) ma che punta ad una "grande" casa
editrice se veramente intende sfondare? Le strategie del successo sono chiarissime e purtroppo impietose.
E Catania?
Dov'è finita la Catania così fiera della propria autonomia culturale e letteraria "moderna", orgogliosa dei suoi Verga, De
Roberto, Martoglio, Brancati? Anche la nostra città allinea nel proprio passato editori di fama, quali Giannotta e
Prampolini. Editori "seri", che soddisfacevano i bisogni della scuola e dell'università e che, basandosi sul solido zoccolo
di scrittori locali affermati, si permettevano anche di lanciare autori nuovi. Negli anni venti e trenta, Catania è stata
anche teatro di una "sperimentazione" letteraria e saggistica raccolta attorno allo Studio Editoriale Moderno di Agatino
Amantia: un'impresa che finì nel fallimento economico, ma che fece pubblicare Aniante, Brancati, Prestinenza,
Titomanlio Manzella, omologando la cultura catanese alle tendenze nazionali.
Cosa c'è oggi di tutto questo? Sede di una importante e affollata università, dotata di almeno un quotidiano
importante, nei decenni scorsi la città ha prodotto una intellettualità curiosa, aperta, vivace, spesso irrequieta e
irresistibilmente attratta verso metropoli sempre più grandi. Lo prova il numero dei giornalisti di nascita e formazione
catanese che hanno fatto carriera nei grandi giornali nazionali.
Come mai, in queste condizioni, da Catania non è ancora emerso un editore realmente di spicco sul piano nazionale? A
scanso di equivoci, ripeto che in città non mancano aziende di tutto rispetto. Eppure... a voler essere cattivi si
potrebbe ricordare che un filosofo catanese ha cominciato ad essere preso in considerazione quando i suoi libri sono
usciti da Adelphi, che una scrittrice ha raggiunto il successo pubblicando presso Bompiani...
Basandomi su una lunga esperienza personale, credo di poter dire che i lineamenti più evidenti nell'editoria catanese
siano la mancanza di continuità, e un ribollire di iniziative che non sanno (e finora non hanno voluto) saldarsi insieme.
Si potrebbe far ricorso alla frasetta sulla "mancanza di cultura imprenditoriale"; e non sarebbe del tutto falsa. A
Catania non si è realizzata finora la saldatura tra "il Capitale" e la "Cultura". Per esempio è significativo che alcuni dei
gruppi economici provinciali abbiano sentito, in vari momenti, il bisogno di finanziare giornali, settimanali e naturalmente - emittenti televisive, ma mai di investire in una casa editrice (eppure uno di questi gruppi vanta anche
una fondazione culturale!). La stessa scena guardata dall'altro lato ci dice che nessuno degli editori della prima metà
167
Post/teca
del secolo è riuscito a superare la svolta degli anni sessanta crescendo, con le proprie forze, fino a dimensioni
imprenditoriali.
Se questo è vero, c'è da imputare la situazione presente ad una certa carenza di cultura dell'imprenditoria e della
finanza catanesi (ma dal canto suo la cultura ha manifestato anche un certo snobismo e "minimalismo": in parole più
dolci, gli agenti della cultura non hanno saputo convincere gli imprenditori dell'opportunità di farsi editori). Non che
non siano circolati capitali anche grossi nella produzione libraria degli ultimi anni: ma ahimé, si tratta soprattutto della
produzione di opere "belle", di lusso e di alto prezzo, destinate ad un "circuito chiuso" più che al mercato. Anche se ciò
ha permesso la pubblicazione di un certo numero di reprintdi opere antiche, questo genere di attività culturale è più
consolatoria che critica, più fine a se stessa che capace di sviluppare cultura. Si tratta di una cultura di consumo,
prediletta come strenna da banche e aziende (e spesso anche da enti pubblici): una tendenza che, a quanto pare, va
ad esaurirsi. Da un punto di vista imprenditoriale, questi libri implicano il minimo rischio: si prevedono forti ricavi
(spesso pianificati in anticipo) in cambio di investimenti tecnici nella qualità della stampa, ma deboli investimenti nella
struttura editoriale e nel lavoro intellettuale. Su questi ultimi elementi, gli unici propositori di cultura, si tira al
risparmio (e non si crea lavoro). Si perpetua così la dicotomia tra cultura e politica, e non c'è interesse a tirarsi fuori
dall'ambito locale. Mi preoccupa che l'azienda editoriale legata alle floride finanze del più grosso quotidiano locale
abbia seguito in sostanza questa strada; mentre credo sia da apprezzare il fatto che un altro editore catanese,
riconoscibile per l'alta qualità grafica e tecnica dei suoi lavori, abbia affiancato alle edizioni di lusso varie collane di
saggistica e si stia sforzando di aggregare forze intellettuali e artistiche.
Se questa mancanza di continuità riflette la debole cultura industriale, resta valido l'altro lineamento della cultura
catanese, e cioè il suo continuo fermento creativo. Nell'ultimo biennio, per esempio, sono sorte (o hanno cominciato a
fiorire) diverse nuove case editrici istituzionalmente dedite ad una editoria di alto livello culturale; una di queste,
legata ad una nota libreria, si propone direttamente e coraggiosamente sul mercato nazionale; né bisogna
dimenticarne un'altra, la cui base di partenza è però Acireale. Ma l'universo economico, si sa, non ha pietà per
nessuno, e ci vorranno anni di continuo successo perché questi piccoli imprenditori possano accumulare sufficienti
risorse per mettersi al riparo dal fallimento, costituire una seria struttura aziendale, offrire lavoro, remunerare come si
deve autori, redattori e traduttori.
Il problema si trova oggi, a mio giudizio, in uno stadio critico, in una fase nella quale è solo possibile augurare:
augurare che intellettuali, artisti e accademici diano il più possibile agli editori locali, sforzandosi di accantonare la loro
litigiosità professionale; augurare che gli imprenditori perfezionino la loro mentalità aziendale, e comprendano che la
cultura può essere un buon investimento, ma solo se resta libera di creare; che smettano cioè di pensare che per
compensare i creatori del libro basti la soddisfazione di "vedersi stampati"; che attirino libri e cervelli da fuori per farli
dialogare con i catanesi.
Augurare, infine, che l'ente pubblico abbandoni la perniciosa politica di sostenere l'editoria ad esso "vicina"
comprandone i prodotti. Dati d'inchiesta (discutibili, come sempre, ma non migliorabili) affermano che solo il 2 per
cento circa dei libri italiani viene venduto in Sicilia. Se la realtà è questa, il problema non è l'editoria a Catania, ma i
lettori catanesi. A parte le forniture per le biblioteche, e le normali provvidenze per le aziende, il problema dell'ente
pubblico mi sembra sia quello di educare la gente a leggere; di creare lettori, non di sostituirsi ad essi.
fonte: http://www.bda.unict.it/Pagina/It/La_Rivista/0/2007/02/01/21_.aspx
--------------------------20120511
POESIA DI FOSCOLO GIALLO A CATANIA
08 aprile 2010 — pagina 10 sezione: PALERMO
«E mi sono dalla mia seggiola trovato in un batter d'occhio in Sicilia», si legge a metà del "Viaggio sentimentale" di
Laurence Sterne tradotto da Ugo Foscolo, il quale mai avrebbe sospettato di fare la stessa fine di Yorick, il protagonista
delle peregrinazioni narrate dal grande scrittore irlandese. Perché un inedito del poeta di Zante è stato trovato due anni
168
Post/teca
fa circa, proprio in Sicilia, a Catania con precisione, da un manager di Messina, Giacomo Fiordaliso, cinquantatreenne,
con la passione per la letteratura e i libri antichi. Si tratta del manoscritto di una poesia in sedici sestine di settenari di
Ugo Foscolo mai pubblicata, che porta in testa la firma dell'autore, ed è intitolata "In Morte di Napoleone. Inno".
Eccone un assaggio: "... egli morì del lauro / giace il bel tronco infranto / egli morì né il cenere stilla onorò / di pianto,
tacquero le arpi venali/ che l'inneggiavan re....". Come di solito accade, si tratta di un ritrovamento fortuito,
involontario, anche se dovuto alla sete inesausta di vecchi libri, prime edizioni, carte appartenute ad autori noti o
misconosciuti, che ha più volte condotto Giacomo Fiordaliso in una libreria antiquaria di Catania, a rovistare tra scaffali
polverosi.
Un giorno la sua attenzione si posa su un lotto di carte vergate a inchiostro, appartenuto allo scrittore e poeta Ottavio
Profeta (1890-1963), originario di Aidone, poi trasferitosi a Catania. Tra questi fogli (epistole, componimenti poetici e
altro), a colpire l'attenzione del manager è subito una lettera verdina piegata in quattro parti. Una volta aperta e
constatato il contenuto, Fiordaliso pensa a tutta prima che si tratti di una poesia di Foscolo che qualcuno aveva copiato.
Ma quando ha modo di approfondire la questione, cercando, nella bibliografia foscoliana, i testi scritti su Napoleone, si
sincera che l'unico componimento dedicato a Bonaparte è l'"Orazione", composta sul finire del 1801 e pubblicata nei
primi dell'anno successivo, dove il grande militare francese è apostrofato come "liberatore di popoli e fondatore di
repubblica", "invincibile Capitano" e "Legislatore filofoso".
Il Foscolo aveva ricevuto l'incarico ufficiale della composizione dal Sommaria e dal Ruga, due dei tre membri del
comitato di governo della seconda Cisalpina. Il banchiere messinese si mette così in contatto con alcuni studiosi, che
dell'inno non sanno un bel niente. Da qui l'idea di far fare una perizia calligrafica, da parte di un docente dell'Università
di Messina, che conferma l'autenticità del manoscritto.
Fiordaliso a questo punto decide di acquistare l'inedito, accarezzando l'idea di rivenderlo: a fermarlo, il perito di una
importante casa d'aste, secondo il quale la firma potrebbe essere proprio quella di Foscolo, e la carta e l'inchiostro di
certo risultano coevi al periodo in cui l'inno è stato composto, tra il 1820 e il 1830.
Fiordaliso non si ferma qui: mostra l'innoa una docente universitaria esperta della produzione foscoliana, la quale
conferma che lo stile può richiamare quello di Ugo Foscolo, per concludere però che non va esclusa l'eventualità che si
tratti di un bel falso foscoliano, di incitamento risorgimentale. A questo punto, il signor Fiordaliso decide di scrivere un
romanzo sulla vicenda: "Dopo l'esperienza con questa professoressa - ha dichiarato - ho capito che sarebbe stato
difficile vincere una certa diffidenza dell'ambiente universitario, nonostante il giudizio positivo dei periti calligrafici".
Pare che il libro si intitolerà "Breve storia di un manoscritto in morte di Napoleone - Inno", in cui si cercherà di
dimostrare, anche un po' in forma romanzata, perché si tratti di un inedito di Foscolo. Il rinvenimento fortuito di questo
manoscritto non solo riapre il discorso sulla bibliografia foscoliana, ma consente per un attimo di richiamare alla
memoria la figura e la produzione di un autore minore oggi misconosciuto, Ottavio Profeta appunto, che si laureò a
Catania in giurisprudenza, ricoprendo l'incarico di funzionario dello Stato, e che dedicò gran parte del proprio tempo
alla scrittura creativa e al giornalismo: a Livorno, intorno al 1920, fondò una rivista di ispirazione futurista. Scrisse
poesie, commedie, romanzi e novelle, che raccolse nel volume intitolato "L'amante dell'amore" (Corbaccio 1927). A
firmarne la prefazione fu addirittura Federico De Roberto, il quale, delle pagine di Profeta, scrisse che "rivelano un
ingegno forte, smagliante, originale, ricchezza di fantasia e acutezza d'osservazione; sincerità e delicatezza di
sentimento, larghezza e sicurezza di tocco, padronanza della lingua: tutte quelle doti con le quali, quando si trova il
grande argomento, si fanno le opere grandi". Insomma, un giudizio più che lusinghiero, che però non giovò affatto ad
Ottavio Profeta, il cui irrequieto spirito religioso ne fece una sorta di mistico smanioso. Siciliano impulsivo e
vertiginoso, inquieto ed estroso, Profeta oggi rivive di luce riflessa, per essere stato tramite dell'inedito foscoliano.
Ma, viene da chiedersi, come andò a finire tra le sue carte il manoscritto dell'autore dei "Sepolcri"? Per quali vie?
Questo sarebbe un bel giallo da svelare.
- SALVATORE FERLITA
fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/08/poesia-di-foscologiallo-catania.html
----------------...del poeta siciliano Ottavio Profeta.
“Se la mia voce morirà
sulla croce di pietra cittadina
portatela sulla cima del mio monte
169
Post/teca
che s’alza nel vento
e si corica nella nebbia
Se la mia voce morirà
nella mia pianura
cercatela nel canneto
nella conchiglie del mare
e nell’acqua del fiume
Se la mia voce morirà
ridatemela viva
fra gli alberi del bosco
dove ogni sera
canta un usignolo”
fonte: http://www.zerolire.org/edizioni/bartoli.htm
--------------20120513
kvetchlandia:
Dylan Thomas
Uncredited and Undated Photograph
Never until the mankind making
Bird beast and flower
Fathering and all humbling darkness
Tells with silence the last light breaking
And the still hour
Is come of the sea tumbling in harness
And I must enter again the round
Zion of the water bead
And the synagogue of the ear of corn
Shall I let pray the shadow of a sound
Or sow my salt seed
In the least valley of sackcloth to mourn
The majesty and burning of the child’s death.
I shall not murder
The mankind of her going with a grave truth
Nor blaspheme down the stations of the breath
With any further
Elegy of innocence and youth.
Deep with the first dead lies London’s daughter,
170
Post/teca
Robed in the long friends,
The grains beyond age, the dark veins of her mother,
Secret by the unmourning water
Of the riding Thames.
After the first death, there is no other. —
Dylan Thomas, “A Refusal to Mourn the Death, by Fire, of a Child in London” 1946
-------------------kvetchlandia:
Dylan Thomas
Uncredited and Undated Photograph
I
I see the boys of summer in their ruin
Lay the gold tithings barren,
Setting no store by harvest, freeze the soils;
There in their heat the winter floods
Of frozen loves they fetch their girls,
And drown the cargoed apples in their tides.
These boys of light are curdlers in their folly,
Sour the boiling honey;
The jacks of frost they finger in the hives;
There in the sun the frigid threads
Of doubt and dark they feed their nerves;
The signal moon is zero in their voids.
I see the summer children in their mothers
Split up the brawned womb’s weathers,
Divide the night and day with fairy thumbs;
There in the deep with quartered shades
Of sun and moon they paint their dams
As sunlight paints the shelling of their heads.
I see that from these boys shall men of nothing
Stature by seedy shifting,
Or lame the air with leaping from its heats;
There from their hearts the dogdayed pulse
171
Post/teca
Of love and light bursts in their throats.
O see the pulse of summer in the ice.
II
But seasons must be challenged or they totter
Into a chiming quarter
Where, punctual as death, we ring the stars;
There, in his night, the black-tongued bells
The sleepy man of winter pulls,
Nor blows back moon-and-midnight as she blows.
We are the dark deniers, let us summon
Death from a summer woman,
A muscling life from lovers in their cramp,
From the fair dead who flush the sea
The bright-eyed worm on Davy’s lamp,
And from the planted womb the man of straw.
We summer boys in this four-winded spinning,
Green of the seaweeds’ iron,
Hold up the noisy sea and drop her birds,
Pick the world’s ball of wave and froth
To choke the deserts with her tides,
And comb the county gardens for a wreath.
In spring we cross our foreheads with the holly,
Heigh ho the blood and berry,
And nail the merry squires to the trees;
Here love’s damp muscle dries and dies,
Here break a kiss in no love’s quarry.
O see the poles of promise in the boys.
III
I see you boys of summer in your ruin.
Man in his maggot’s barren.
And boys are full and foreign in the pouch.
I am the man your father was.
We are the sons of flint and pitch.
O see the poles are kissing as they cross.—
Dylan Thomas, “I See the Boys of Summer” 1934
---------------------------“Caos a Cefalù per la candidatura di Sgarbi. Le sue continue infiltrazioni in comuni siciliani
potrebbero portare allo scioglimento della mafia.”
— grazieadiosonoateo
http://www.spinoza.it/2012/05/12/limportante-e-frinire/
---------------------
172
Post/teca
dovetosanoleaquile:
“Il Pd è il primo partito d’Italia. Questo basti a farvi un’idea degli altri.”
— Robinson LIVE - stasera su Spinoza
-----------------kvetchlandia:
Jeff Towns
Dylan Thomas
Undated
On almost the incendiary eve
Of several near deaths,
When one at the great least of your best loved
And always known must leave
Lions and fires of his flying breath,
Of your immortal friends
Who’d raise the organs of the counted dust
To shoot and sing your praise,
One who called deepest down shall hold his peace
That cannot sink or cease
Endlessly to his wound
In many married London’s estranging grief.
On almost the incendiary eve
When at your lips and keys,
Locking, unlocking, the murdered strangers weave,
One who is most unknown,
Your polestar neighbour, sun of another street,
Will dive up to his tears.
He’ll bathe his raining blood in the male sea
Who strode for your own dead
And wind his globe out of your water thread
And load the throats of shells
With every cry since light
Flashed first across his thunderclapping eyes.
On almost the incendiary eve
173
Post/teca
Of deaths and entrances,
When near and strange wounded on London’s waves
Have sought your single grave,
One enemy, of many, who knows well
Your heart is luminous
In the watched dark, quivereing through locks and caves,
Will pull the thunderbolts
To shut the sun, plunge, mount your darkened keys
And sear just riders back,
Until that one loved least
Looms the last Samson of your zodiac.—
Dylan Thomas ”Deaths and Entrances” 1946
------------------biancaneveccp ha rebloggato burnedflames:
Mettiamoci una pietra sopra; di marmo e col tuo nome inciso.
Fonte: esceilfumo
-----------------biancaneveccp ha rebloggato saneinsane:
saneinsane:
Non disprezzare il poco, il meno, il non abbastanza
L’umile, il non visto, il fioco, il silenzioso
Perché quando saranno passati amori e battaglie
Nell’ultimo camminare, nella spoglia stanza
Non resteranno il fuoco e il sublime, il trionfo e la fanfara
Ma braci, un sorso d’acqua, una parola sussurrata, una nota
Il poco, il meno il non abbastanza
Stefano Benni, Non Disprezzare.
Fonte: chiaradinotte
----------------biancaneveccp ha rebloggatoeachdayisagiftnotagivenright:
Spero che lei ti dia tutto ciò che io non sono riuscita a darti. La
clamidia, per esempio.
Fonte: youlistentotherain
-----------------biancaneveccp ha rebloggato v4l3:
sepoisispegnetutto:
Ho imparato che le persone dimenticano ciò che dici, dimenticano ciò che hai fatto,
174
Post/teca
ma non dimenticano mai come le hai fatte sentire.
(Maya Angelou)
Fonte: sepoisispegnetutto
-----------------raelmozo ha rebloggato dapa:
DAPA: La bancarella di Paola
dapa:
Nella giornata del Salone del Libro, vi confido che di libri ne ho letti un bel po’. Grazie forse al
fatto che viaggi molto, e quasi sempre da solo, mi tengono spesso compagnia. Però non ne parlo
mai: i libri sono persone, e mi sembra maleducato parlarne in loro assenza. Ne parlo, perciò, con
una persona sola: la mia libraia di fiducia. Con lei è come se i libri fossero tutti un po’ presenti. Si
chiama Paola, e ha una bancarella per il corso di una città poco distante dalla mia. Prende i libri
belli, quelli già letti ma ancora da leggere, quelli vissuti o, come diciamo noi, usati, e li rivende.
Fa questo da sempre, Paola. Avrà diciott’anni, e non è mai andata a scuola da che ho memoria. La
ricordo sempre lì: mattina, pomeriggio, sera. A vendere libri. Ad aiutare il padre a disporli e a
riporli su quella lunghissima bancarella. È sempre lì, con un occhio sulle pagine di qualche libro,
mentre lo sfoglia, e con un altro rivolto agli affari. Ha letto di tutto. Non puoi permetterti di
prediligere dei generi se devi trascorrere ogni intera giornata su una sedia. Legge tutto, e, di
questo tutto, io le chiedo consiglio.
Oggi, anche io sono andato al mio salone del libro, che secondo me è stato anche migliore di
quello a Torino, se teniamo in considerazione che a Torino c’era Fabio Volo, e soprattutto tanti di
quei suoi fan da non riuscire ad entrare tutti. Invece il mio salone era per il corso, ed eravamo io
Paola e Giulia. Giulia ha preso un libro da colorare, accollandosi così la responsabilità di non
dover uscire dagli spazietti, mentre io ho preso un libro da leggere. Me lo ha consigliato Paola, e
non posso dirvi qual è. Di libri parlo solo con lei.
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Post/teca
----------------------kvetchlandia:
Wilfred Owen
Uncredited and Undated Photograph
Bent double, like old beggars under sacks,
Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge,
Till on the haunting flares we turned our backs,
And towards our distant rest began to trudge.
Men marched asleep. Many had lost their boots,
But limped on, blood-shod. All went lame, all blind;
Drunk with fatigue; deaf even to the hoots
Of gas-shells dropping softly behind.
Gas! GAS! Quick, boys! — An ecstasy of fumbling
Fitting the clumsy helmets just in time,
But someone still was yelling out and stumbling
And flound’ring like a man in fire or lime. —
Dim through the misty panes and thick green light,
As under a green sea, I saw him drowning.
In all my dreams before my helpless sight
He plunges at me, guttering, choking, drowning.
If in some smothering dreams, you too could pace
Behind the wagon that we flung him in,
And watch the white eyes writhing in his face,
His hanging face, like a devil’s sick of sin,
If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs
Bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues, —
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie: Dulce et decorum est
Pro patria mori.—
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Post/teca
Wilfred Owen, “Dulce et decorum est” 1918
Wilfred Owen wrote this bitter condemnation of nationalism and war based upon his own
experiences in the trenches during WWI. Sadly, he found just how non-dulce et decorum erat pro
patria morior when he was killed in action a few months after writing this poem and just weeks
before the armistice. Someone always has to be the last person to die in war.
----------------------somewhereunderthetrees ha rebloggatoshipwreckinsuchasea:
“Dammi mille baci, poi cento
poi altri mille, poi ancora cento
poi altri mille, poi cento ancora.
Quindi, quando saremo stanchi di contarli,
continueremo a baciarci senza pensarci,
per non spaventarci, e perché nessuno,
nessuno dei tanti che ci invidiano,
possa farci del male sapendo che si può,
coi baci, essere tanto felici.”
— Catullo (via rivoluzionaria)
Fonte: rivoluzionaria
------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato solinonsinascesidiventa:
“Tutti vorrebbero salvare il pianeta. Nessuno vorrebbe aiutare la mamma a lavare i piatti.”
— Patrick Jake O’Rourke
Fonte: stefanocrifo
----------------martamara:
“Impara a conoscere le cose non tanto per quel che appaiono, ma per le idee e per i sogni che
provocano”
Pessoa
-----------------------Bertrand Russell, L'autobiografia 1872-1914, Longanesi 1969
Prologo
Le cose per cui ho vissuto
Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete d'amore, la ricerca della
conoscenza e una struggente compassione per le sofferenze dell'umanità. Queste passioni, come
forti venti, mi hanno sospinto qua e là secondo una rotta capricciosa, attraverso un profondo oceano
di dolore che mi ha portato fino all'orlo della disperazione.
Per prima cosa ho cercato l'amore, perché dà l'estasi, un'estasi così profonda che spesso avrei
sacrificato tutto il resto della vita per poche ore di una tale gioia. L'ho ricercato anche perché allevia
la solitudine, la solitudine paurosa che induce l'io cosciente a affacciarsi rabbrividendo sull'orlo del
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Post/teca
mondo per fissare lo sguardo nell'abisso freddo e senza fondo dove non c'è più vita. L'ho cercato
infine perché nell'unione dell'amore ho visto prefigurato, quasi in mistica miniatura, il paradiso che
santi e poeti hanno immaginato. Questo è ciò che io ho cercato e benché possa sembrare cosa troppo
buona per una vita umana, questo è ciò che infine ho trovato.
Con uguale passione ho cercato la conoscenza. Ho desiderato di conoscere il cuore dell'uomo. Ho
voluto sapere perché le stelle brillano. Mi sono sforzato di rendermi conto della potenza già intuita
da Pitagora, che assicura al numero il dominio sopra il fluire delle cose. In parte, in piccola parte, vi
sono riuscito.
L'amore e la conoscenza, nella misura in cui sono stati possibili, conducevano su verso il cielo. Ma
la compassione mi ha sempre riportato sulla terra. Gli echi di grida di dolore risuonano nel mio
cuore. Bambini che muoiono di fame, vittime torturate dagli oppressori, vecchi indifesi considerati
dai figli un peso insopportabile, e tutto quel mondo di solitudine, povertà e dolore trasformano in
beffa ciò che la vita dell'uomo dovrebbe essere. Provo lo struggimento del non poter alleviare questi
dolori, e anch'io ne soffro.
Questa è stata la mia vita. Trovo che sia valsa la pena di viverla, e la rivivrei con gioia se me ne
fosse offerta la possibilità.
-------------------------plettrude:
“Tra gli aspetti che colpiscono di più in Dark Shadows c’è però sicuramente la magnificenza
visiva, che ne fa uno dei film di Burton più “belli a vedersi”: il direttore della fotografia Bruno
Delbonnel ha alle spalle un curriculum davvero notevole (da Amelie al Principe Mezzosangue
fino al Faust di Sokurov) e qui conferma la sua enorme bravura e la sua elasticità
assecondando le visioni del regista (per dirne una, il fantasma di Josette arriva dritto dalla
Sposa Cadavere) non limitandosi a riempire il film di carrelli e dolly virtuosistici ma facendo
respirare un senso di cura quasi ossessiva per ogni singola inquadratura, dalla saturazione dei
colori alla posizione dei corpi e degli oggetti nello spazio, che lascia spesso ipnotizzati – e che
richiede di essere goduta sul grande schermo. Splendente superficie senza alcuna profondità?
Non proprio. Si potrà obiettare che Dark Shadows è più che altro un gioco, a tratti
volutamente sciocco, che a volte sacrifica il pathos per una (buona) risata: ma è anche un film
in cui Burton recupera una spontaneità, un equilibrio nella gestione tecnico-artistica e un
senso dell’umorismo che non gli riconoscevamo da tempo, nonostante l’impegno preso per
difendere la sua buona fede. La barricata resta alta, vedrete, ma stavolta non avrebbe
nemmeno bisogno del nostro aiuto.”
— Dark Shadows, Tim Burton 2012 » Memorie di un giovane cinefilo
Fonte: giovanecinefilo.kekkoz.com
--------------------plettrude:
“Noi parmigiani, delle volte, pensiamo che essere i primi sia una cosa che, un po’, ci vien
naturale: si dice Parmigiano Reggiano, non Reggiano Parmigiano, e non potrebbe essere
altrimenti, sembra a noi parmigiani. Nel 1545, quando il papa Paolo III crea, per suo figlio
Pier Luigi, un ducato, lo chiama ducato di Parma e Piacenza, non ducato di Piacenza e di
Parma, e non potrebbe essere altrimenti, sembra a noi parmigiani. Recenti studi, pubblicati
sulla stampa parmigiana, attestano senza ombra di dubbio che il più antico giornale d’Italia è
La gazzetta di Parma, non la Gazzetta di Mantova, e non potrebbe essere altrimenti,
pensiamo noi parmigiani. E sulla Gazzetta di Parma, qualche anno fa, era comparso un
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Post/teca
articolo che diceva che erano stati scoperti degli antichissimi documenti che avrebbero
dimostrato che la più antica università del mondo non era, come si era pensato, erroneamente,
fino ad allora, l’università di Bologna, o quella di Parigi, no, era quella di Parma. Noi
parmigiani, io, per esempio, come parmigiano, il prosciutto San Daniele io non so neanche se
esiste. Fan dei proscutti, a San Daniele? Con quel freddo lì che c’è là in Friuli? Ma saran
buoni? Non lo so.”
— Paolo Nori » Parmigiani e 5 stelle
Fonte: paolonori.it
-----------------13 maggio 2012
L’eredità di Kuhn a 50 anni da "La struttura
delle rivoluzioni scientifiche"
Intervista con il filosofo e storico della scienza Ian Hacking sul valore e sui limiti dell'opera che ha
diffuso l'idea di paradigma scientifico e sollevato accesissime controversie, tra infondate accuse di
relativismo scientifico e acclamazioni di milioni di lettori
di Gary Stix
La recensione di La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn apparsa nel 1964 su
“Scientific American” si concludeva con l’affermazione "molto rumore per molto poco". Il breve
pezzo, apparso due anni dopo la pubblicazione originaria del testo come saggio monografico della
International Encyclopedia of Unified Science, svalutava come poco originale la critica di Kuhn alla
tesi positivistica che la scienza progredisce inesorabilmente verso la verità.
Il recensore ha mancato il bersaglio. Indubbiamente, il lavoro di Kuhn ha ricevuto innumerevoli
critiche nel corso dei decenni, ma rappresenta anche uno dei più influenti testi di filosofia e storia
della scienza del XX secolo. La struttura ha venduto 1,4 milioni di copie e l'abusato "slittamento di
paradigma" ha raggiunto lo status di stereotipo utilizzato in un incalcolabile numero di conferenze e
presentazioni PowerPoint.
Kuhn aveva avanzato l'idea che gli scienziati di un particolare campo condividessero un consolidato
corpo di pratiche, un paradigma che permette loro di procedere sfruttando i metodi di ricerca più
comuni, per affrontare i problemi di quella che definì "scienza normale". Alla fine, però, le
anomalie sperimentali accumulate determinano un cambiamento rivoluzionario: lo sbandierato
mutamento di paradigma che sovverte l'ordine esistente e inaugura una nuova era, e che può
differire radicalmente dal vecchio.
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Post/teca
Thomas Kuhn (SciAm/Molwick)Questa "incommensurabilità"
fra paradigmi, come l’ha chiamata Kuhn, si riscontra dopo un’autentica rivoluzione, e il corpus
teorico esistente non ha alcun rapporto con il nuovo quadro teorico: è l'opposto dello "stare sulle
spalle dei giganti". In altre parole, il concetto di massa nel nuovo mondo di E = mc2 è
sostanzialmente diverso da quelloche ha la stessa denominazione nella meccanica classica di F =
ma.
Ma l'uso di Kuhn della parola incommensurabilità è stato distorto, affermando che Kuhn sostenesse
la svalutazione del controllo obiettivo di una nuova teoria, scambiando la razionalità con il
"relativismo scientifico" per cui prevale chi più alza la voce, ciò che un critico definì "psicologia
delle masse".
Kuhn si è meritato un posto nel pantheon, ma le sue idee datano all'anno in cui i Beatles
pubblicarono il loro primo disco. L'eminente filosofo della scienza canadese Ian Hacking ha scritto
un'introduzione all’edizione del cinquantesimo anniversario di La struttura delle rivoluzioni
scientificheche addita la natura un po’ datata del lavoro di Kuhn, pur tributando la dovuta
ammirazione all’originalità dell’opera.
Pensa che le idee di Kuhn sull'importanza delle rivoluzioni come motore del cambiamento
scientifico continuino ad agitare le acque come 50 anni fa?
Kuhn è stato l'intellettuale di cui molti scienziati hanno detto: sta "raccontando come siamo" nella
misura in cui parlava di un processo di "rattoppi" fra teoria ed esperimento, seguito da cambiamenti
radicali. Ma spesso quelli che Kuhn aveva in mente non sono stati che eventi molto spettacolari
nella storia delle scienze che hanno cambiato il nostro modo di guardare il mondo. Non sono affatto
sicuro che sia questo il modo in cui le scienze sono destinate a svilupparsi ora che le scienze della
vita hanno sostituito la fisica come regina delle scienze. Non credo che il modello di Kuhn per il
cambiamento scientifico debba necessariamente prevalere. Ma resta sempre il fatto che Kuhn ci ha
dato una nuova versione, spettacolare e vivace, di quello che pensava che stesse succedendo.
Qualcosa che resterà per sempre, e che sarà parte integrante del repertorio di storici, filosofi e
studiosi delle scienze in generale.
Quali sono alcuni degli eventi epocali che hanno avuto una tale influenza sul suo lavoro?
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Post/teca
All'inizio del XX secolo abbiamo avuto un rovesciamento radicale nel modo in cui concepire il
mondo. Kant pensava che vivessimo in un mondo di spazio e tempo assoluti, che valesse la
causalità universale, e che questo non fosse solo un fatto interessante del mondo, ma una
precondizione per pensarlo. E’ quello che implicitamente ritenevano le persone.
Quello che è successo all'inizio del XX secolo è stato lo spodestamento di spazio e tempo assoluti e,
cosa ancor più importante, della causalità universale. Queste sono state realmente profonde
rivoluzioni. Non sono solo cambiamenti nella teoria. Si tratta di cambiamenti nel modo in cui si
pensa che funzioni il mondo, e credo che questi cambiamenti radicali abbiano modificato il modo in
cui la gente pensa alle scienze.
Sia Kuhn che Popper sono stati profondamente influenzati da questi cambiamenti e così è passata
l'idea che fossero esempi estremi di qualcosa che succederebbe abbastanza comunemente nelle
scienze. C'è stata una tendenza a generalizzare questi cambiamenti epocali in un modo che oggi
appare meno appropriato.
In che senso le idee di Kuhn sono forse meno pertinenti?
Non è così chiaro ci possano essere altre rivoluzioni in fisica. Ci saranno un sacco di sorprese, ma
se ci saranno rivoluzioni, non è affatto detto. La stabilità di quello che viene chiamato Modello
standard della fisica delle particelle e la sua capacità di fare tante acute previsioni con una
notevolissima precisione suggerisce che possa solo essere ritoccato, e non ci possa essere un vero
ribaltamento.
Così, la ricerca del bosone di Higgs è all'interno l'ordine esistente delle cose?
Si tratta ovviamente di scienza normale, nel senso kuhniano. Una delle cose che Kuhn ha detto sulla
scienza normale è che la gente "si aspetta" di scoprire certe cose. Oggi gli scienziati si aspettano di
trovare il bosone di Higgs. Una volta trovati alcuni numeri esatti che lo riguardano, ci saranno un
sacco di cose nuove da fare. Ma queste cose saranno semplicemente una stabilizzazione o una
conferma di quello che già ci si aspetta. Certo, è comunque possibile che tutta la costruzione intorno
al bosone di Higgs sia sbagliata, e questo confuterebbe la mia affermazione che non ci dovrebbero
essere più rivoluzioni.
In che modo l’ascesa della biologia ha cambiato le dinamiche del fare scienza dai tempi di
Kuhn?
Molto lavoro nel campo delle scienze della vita contemporanea è dettato in misura molto minore
dalla teoria e molto più dalla tecnica di quanto non sia avvenuto in fisica, che era la scienza di
Kuhn, 50 anni fa. Lo stesso Kuhn ha pensato che tutto questo movimento avvenisse nella teoria. Ciò
non vuol dire che non abbiamo un milione di teorie, per esempio, sulla biologia molecolare, ma ciò
che è davvero importante è che ci sono nuove tecniche per intervenire sul corso della vita.
Pensa siano necessari metodi di analisi diversi per descrivere quello che sta succedendo oggi in
biologia?
Ci sono già un sacco di differenti modelli di analisi. E ce ne saranno ancora di più via via che più
persone se ne interesseranno e si interesseranno più da vicino alla storia recente della biologia
molecolare e dell'ingegneria genetica. Penso che sia davvero inappropriato dire che c'è solo una
vera storia della scienza. Per prima cosa, ci sono molte scienze diverse, e gli storici raccontano
storie diverse corrispondenti a cose diverse.
Può fare un esempio di un progetto alternativo?
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Post/teca
Eccone uno non molto più recente di quello di Kuhn. Il filosofo della scienza ungherese Imre
Lakatos, un seguace di Popper, ha sviluppato l’idea molto potente di programma di ricerca. Si
opponeva con fermezza a Kuhn perché pensava che Kuhn avesse reso tutto troppo psicologico, e se
ne usciva con colorite affermazioni come "secondo Kuhn, la scienza è solo psicologia delle masse".
Okay, non bisogna prendere sul serio tutti i proclami di Lakatos. Ma penso che il quadro che ha
fatto di ciò che chiama programma di ricerca, a cui ha dato una struttura corposa, sia uno dei modi
validi di affrontare lo sviluppo di una scienza.
Può spiegare che cosa è un programma di ricerca e di come potrebbe essere di interesse per le
scienze della vita?
Il concetto di programma di ricerca di Lakatos è che tutte le teorie presentino un gran numero di
piccole anomalie. Si crogiolano in un "mare di anomalie"; Lakatos era molto bravo a creare queste
piccole immagini. Tuttavia, un programma di ricerca ha un nocciolo duro di credenze che non sono
mai sfidate, affiancate da un sacco di convinzioni ausiliari che possono essere modificate. Ciò che
distingue quello che chiama un programma di ricerca progressivo da un programma di ricerca
regressivo - due espressioni portano con sé molto di Hegel e di Marx - è il modo in cui si rapportano
con le anomalie.
Lakatos pensava che i programmi progressivi spiegassero le anomalie, permettendo di ampliare
l'ambito della ricerca, mentre un programma di ricerca regressivo sviluppa una sorta di barriera
protettiva per escludere le anomalie ad hoc. Penso che si possa dire che tutta la storia della biologia
molecolare dal 1962, quando produsse la prima infornata di premi Nobel, è stata improntata, nei
termini di Lakatos, a un programma di ricerca straordinariamente progressivo.
Così, per esempio, l'epigenetica, i cambiamenti nella attivazione del gene che avvengono senza
alterare il DNA, potrebbe essere un esempio di un'anomalia che modifica il quadro generale,
lasciando intatto il nocciolo duro del "programma di ricerca". Questo rende il quadro
generale più complesso…
...più complesso e, alla fine, più interessante. La biologia molecolare ha regolarmente preso sotto la
sua ala le questioni problematiche, senza alterare le idee di base. L'espressione spesso usata di
"dogma centrale" del DNA ricombinante è un buon esempio di un nocciolo duro di un programma
di ricerca.
Cinquant'anni dopo, ci sono state appropriazioni indebite, distorsioni e confusioni del lavoro
di Kuhn. Può parlarcene?
Non so perché la nozione di paradigma sia riuscita a decollare, perché una parola decisamente
oscura sia diventata di uso comune nel giro di pochi anni, e non solo in inglese: se si fa un Google
n-gram per la parola "paradigma" in tedesco o francese o italiano, si trova lo stesso sfondamento
nell’uso comune, che prima non c'era.
Alcuni sono stati turbati dall’idea di Kuhn che la scienza, come la selezione naturale di Darwin, non
abbia un obiettivo primario.
Molte persone la trovano molto inquietante. Io no. Naturalmente molti hanno sempre trovato
estremamente inquietante che l'evoluzione darwiniana non sembra avere alcun fine. Va ricordato
che Kuhn non era contro il progresso: riteneva semplicemente che il progresso non fosse qualcosa
"verso", ma un progredire allontanandosi da ciò che non ha funzionato molto bene, ma senza alcun
tipo di obiettivo permanente.
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Post/teca
Che cosa dice dell'accostamento delle sue idee al relativismo scientifico? Ha passato buona
parte della sua carriera cercando di confutarla.
Beh, non era un relativista. Quella della nascita di un desiderio di relativismo scientifico è una storia
lunga e complicata. Parte di esso potrebbe essere semplicemente espressione diuna sorta di rabbia
contro la ragione, di paura delle scienze e di totale avversione all’arroganza di un gran numero di
scienziati che dicono che stiamo scoprendo la verità su tutto, e questo [il richiamo a Kuhn] poteva
essere un modo per minare tale arroganza.
(L'originale di questo articolo è apparso su "Scientific American" il 27 aprile 2012.)
fonte:
http://www.lescienze.it/news/2012/05/13/news/kuhn_rivoluzioni_scientifiche_paradigma_scienza_n
ormale_lakatos_programma_di_ricerca_fisica_scienze_della_vita-1017637/
------------------------onepercentaboutanything ha rebloggato forgottenbones:
“Poi, improvvisamente, migliaia e migliaia di pinocchi cominciarono a prestare ascolto al
grillo parlante mentre il paese dei balocchi continuava a sprofondare nel ventre della balena.”
— (via aitan)
Fonte: aitan
-----------------
Il giornalista e storico siciliano Carlo Ruta è stato infine assolto in Cassazione. Il suo blog,
chiuso nel 2006 da un discusso intervento della magistratura, ha dovuto passare tutti i gradi
di giudizio prima di essere considerato per quello che è: una normale pagina web nella quale
il signor Ruta esercitava il proprio diritto alla libera espressione del pensiero e non, come
sostenevano prima il giudice di Modica e poi la Corte di Appello di Catania, un prodotto
editoriale equiparabile ad un giornale di carta.
La condanna di Ruta, lo abbiamo scritto molto volte, è figlia di molti padri ma di una sola
madre. Una cattiva legge scritta nel 2001 durante un governo di centrosinistra,
pervicacemente sostenuta dai suoi relatori, l’On Giuseppe Giulietti e l‘on. Vannino Chiti a
quei tempi parlamentari del PDS ed “esperti” di comunicazione di quello schieramento. Di
fronte alla opposizione ferma di decine di migliaia di utenti della rete Internet italiana che,
con una petizione indetta da questo giornale, tentarono di convincere il Parlamento a non
approvare quella definizione di prodotto editoriale che avrebbe poi portato alla condanna di
Ruta e che viene spesso invocata nelle aule dei tribunali anche recentemente (l’ultimo caso è
quello di Pnbox.tv) la legge 62/2001 fu infine approvata da quasi tutto l’arco parlamentare
con l’eccezione dei Radicali.
A oltre dieci anni di distanza da quella democratica inutile protesta Giulietti – colmo
dell’ironia – cura un sito web che si chiama Articolo 21 nel quale continua ad occuparsi dei
problemi della società dell’informazione. Giulietti e Chiti, quali estensori di quella legge,
sono anche i responsabile di uno dei più considerevoli sprechi di parole della Internet
italiana visto che, in virtù della loro definizione di prodotto editoriale, per molti anni gran
parte dei blog italiani si sono visti costretti ad aggiungere una sorta di disclaimer di questo
tipo:
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Post/teca
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza
alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale
Google in questo momento mi dice che questa frase nella sua interezza è ripetuta sul web
italiano circa 2 milioni di volte. Due milioni di frasi ridicole ed inutili per colpa di una legge
dello Stato mal scritta.
Va poi ricordato che la sentenza in Cassazione di assoluzione di Ruta non potrà valere per
nessun altro. In altre parole, pur avendo un peso (già in passato la Cassazione aveva
mostrato simili orientamenti) non mette al riparo da simili pirandelliane vicende gli altri
abitanti della penisola con il vizio della manifestazione del proprio pensiero.
Forse sarà per questo che l’On Giulietti oggi, con solo un decennio di ritardo, ha rilasciato
una dichiarazione nella quale annuncia prossimi, non meglio definiti “provvedimenti
abrogativi specifici” che impediscano il ripetersi di simili confusioni fra il diritto alla libera
espressione e le prerogative delle imprese editoriali.
55000 persone dissero chiaramente undici anni fa all’on. Giulietti e all’on. Chiti che
quell’articolo di legge era pericoloso e andava riscritto. I nostri bravi parlamentari se ne
fregarono altamente, lasciando anzi trasparire un evidente personale fastidio verso questa
inattesa ingerenza nella loro (in)competenza sulle cose della rete. Non vi è alcun dubbio,
oggi come allora, che quell’articolo di legge debba essere cambiato, così come risulterebbe
piuttosto evidente che, in una democrazia rappresentativa matura, certi nostri rappresentanti
dovrebbero abbandonare le aule del parlamento per ritornare a dare il loro fattivo contributo
nella società civile dalla quale provenivano.
massimo mantellini
fonte: http://www.mantellini.it/?p=19858
------------------scrokkalanotizia:
DI PIU' NIENTE || Alessandro Del Piero
DI PIU’, NIENTE
Più di 8 scudetti.
Più di una promozione dalla serie B
Più di una Coppa Italia (e speriamo due)
Più di 4 supercoppe italiane
Più di una Champions League
Più di una Supercoppa europea
Più di una Coppa Intercontinentale
Più del gol alla Fiorentina
Più di un gol alla Del Piero
Più del gol a Tokyo
Più delle mie lacrime
Più del gol a Bari
184
Post/teca
Più di un gol al volo di tacco nel derby
Più di un gol per l’Avvocato
Più della linguaccia contro l’Inter
Più dell’assist a David
Più del gol numero 187
Più del gol alla Germania
Più di Berlino
Più del gol al Frosinone
Più del titolo di capocannoniere in B
Più del titolo di capocannoniere in A
Più della standing ovation al Bernabeu
Più di 704 partite con la stessa maglia
Più di 289 gol
Più di una punizione che vuol dire Scudetto
Più del gol all’Atalanta
Più di ogni record
Più della maglia numero 10 con il nome Del Piero
Più della fascia di capitano
Più di tutto…
C’è quello che mi avete regalato in questi 19 anni.
Sono felice che abbiate sorriso, esultato, pianto, cantato, urlato per me e con me.
Per me nessun colore avrà tinte più forti del bianco e nero.
Avete realizzato il mio sogno. Più di ogni altra cosa, oggi riesco soltanto a dirvi: GRAZIE.
Sempre al vostro fianco
Alessandro
------------------20120514
curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“L’uomo dice che il tempo passa. Il tempo dice che l’uomo passa.”
— Tiziano Terzani (via alfaprivativa)
Fonte: eachdayisagiftnotagivenright
-----------------misantropo:
“La storia inizia in Sicilia e la società beneficiaria si chiama Cefop: azienda (chiamola così per
essere buoni) con oltre 1.300 dipendenti. Il Cefop serve per usare i fondi europei per corsi di
formazione a favore dei lavoratori della Regione. Ha debiti per 82 milioni ed è in
amministrazione giudiziaria, cioè, praticamente è fallito. Lo scorso anno il Cefop ha messo in
cassa integrazione tutti i dipendenti e, siccome non era in regola con i contributi previdenziali
e Tfr, non ha potuto usare i fondi pubblici per realizzare i corsi di formazione. In un Paese
normale si sarebbe tentato di chiudere con il minimo danno possibile un carrozzone pubblico,
dopo, avviamente, aver pagato i debiti con Inps e dipendenti. Invece la Regione Sicilia, unico
185
Post/teca
committente del Cefop, ha deciso di usare le scappatoie della legge Prodi per le grandi imprese
in difficoltà, e ha spostato tutti i debiti e le passività in una nuova società e ha fatto nascere un
ente ripulito da tutte le magagne del Cefop old style. E i fondi europei? Eccoli: la società
“pulita”, essendo, appunto “pulita, ha potuto ottenere dalla Regione 12 milioni di euro di
provenienza regionale per realizzare, con un anno di ritardo, le attività che avrebbe dovuto
svolgere l’anno scorso più altri 700mila euro come compenso per i tre professionisti che la
stanno amministrando. Non solo: al Cefop stanno per arrivare altri 17,4 milioni di euro dalle
Ue sempre per corsi di formazione che verranno gestiti non più da 1.300 dipendenti, ma da
mille appena.”
— MANI BUCATE L’ente di formazione fallisce, ma rinasce con i fondi europei (e
assume mille persone) « Mani bucate – Marco Cobianchi
Fonte: manibucate.com
-----------------misantropo ha rebloggato ze-violet:
Lo scandalo degli F-35, abbiamo speso 17 miliardi per aerei
difettosi – Il dossier
onepercentaboutanything:
Ah ecco
Tanto per chiarire: ancora di questi aerei non se n’è prodotto neanche uno.
“I ritardi ed i costi del programma F-35 sono alti e continuano ad aumentare: il costo globale del
programma sarebbe passato dai 232 miliardi del 2002 e dai 332 del marzo 2010 ai 382,4 nel
giugno 2010, il 65% in più. Il costo medio a esemplare è aumentato dell’81%, passato da 62
milioni di dollari a 112,4 calcolando ricerca, sviluppo e produzione. Riguardo quest’ultima voce, il
costo è aumentato dell’85% passando da 50 a 92,3 milioni.” (wikipedia)
Fonte: onepercentaboutanything
----------------------somewhereunderthetrees ha rebloggatoanakedthinkingheart:
“io sono perso
sono confuso
tu fammi posto
allarga le braccia
dedicami la tua notte
la notte successiva
e un’altra ancora
dedicami i tuoi giorni
dedicami le tue notti
oggi domani ancora
stringimi forte
coprimi avvolgimi
di caldo fiato scaldami
di saliva rinfrescami
vorrei morire ora”
— CCCP - Svegliami (via howtofuckthepainaway)
Fonte: howtofuckthepainaway
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Post/teca
---------------lalumacahatrecorna:
di Sergio Corazzini
Desolazione del povero poeta sentimentale
I.
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II.
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III.
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV.
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente,
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V.
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI.
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
187
Post/teca
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII.
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII.
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.
--------------eclipsed:
“Sono quasi affascinato da questa fase in cui potrò parlare di Inzaghi e Del Piero con lo stesso
spirito con cui i nostri padri e zii parlano di Rivera e Sivori.”
— (Achille Corea)
-------------emilyvalentine:
Le quattro grandi verità di Tumblr
1. Tumblr non è meglio di Facebook. Se il vostro Facebook fa schifo non è colpa mia
2. Tutti prestano attenzione ai gattini ma attenzione! I coniglietti tramano nell’ombra
3. C’è ancora troppo poco porno e pochissimo Malcolm in the middle
4. Gli ask che non arrivano finiscono in un universo parallelo dove Amico mio, il noto sceneggiato
con Massimo Dapporto, va ancora in onda ed è arrivato alla ventiduesima stagione
------------------onepercentaboutanything ha rebloggato kon-igi:
“Curiosamente, l’unica cosa che pensò il vaso di petunie cadendo fu: “oh no, non un’altra
volta!”.”
— Douglas Adams - Guida Galattica Per Gli Autostoppisti (viauppereastside)
Lo amai fin da subito per questo pezzo.
(via kon-igi)
Fonte: uppereastside
188
Post/teca
---------------raelmozo:
“l volontario animalista, specie dalle mie parti, lo riconosci facilmente.
Intanto è quasi sempre femmina. Perennemente incazzata, abituata a lottare con tutto e tutti,
a fare i miracoli per conciliare vita, lavoro e volontariato.
Tutte le situazioni per lei sono urgenti, è spesso disperata e avvilita e pecca altrettanto spesso
di estremismo. Nelle sue mille crociate anche quando cerca di spiegare cose giuste e sacrosante
i suoi toni diventano tanto pesanti che avresti voglia di farti una pelliccia, giusto per
contraddirla, magari in pura pelle di volontario. Bravissima a notare i difetti degli altri
volontari, non si accorge di essere ancora parte del consorzio umano. Che ci possono essere
mille modi di portare avanti una causa, e a volte quelli che sembrano sul momento più efficaci
sono invece controproducenti.
È una che quando sente dire “la mia gatta/cagnetta ha fatto i cuccioli” invece di dire “che
bello” si fa partire un embolo pensando a tutti quelli che per questo muoiono in strada. Però
ecco, la volontaria ha una vita difficile. Magari va a fare un aperitivo con un’amica ma dopo
un’ora scappa perché ha da allattare cinque mici orfanelli buttati in un cassonetto
dell’immondizia. Va dal parrucchiere quella volta ogni mille anni e appena uscita nota un
pitbull ferito, finendo per impiastricciarsi tutta. Ogni volta che a margine di una corsia vede
un oggetto che si muove il suo cuore perde un battito, pensando che sia un animale da
soccorrere (e troppe volte purtroppo lo è).
Vede un paio di scarpe bellissime e una borsa stupenda ma non le compra perché sono in vera
pelle.
E sì, è una vita che ha scelto, ma a volte quanto pesa attenersi alla propria etica! Se ne doveste
incontrare una, di queste donne sciagurate, andate oltre l’aspetto scarmigliato, lasciate
perdere il fatto che sembra siano appena uscite da una centrifuga e si siano vestite
inciampando al buio nell’armadio.
Offrite loro un gelato e una buona manicure. Non immaginate quanto ne abbiano bisogno.”
— Anatomia di un volontario animalista
di Livia [Mrs Bubba]
Fonte: blog.vanityfair.it
-----------stripeout ha rebloggato curiositasmundi:
“Ciò che conta di fronte alla libertà del mare non è avere una nave, ma un posto dove andare,
un porto, un sogno, che valga tutta quell’acqua da attraversare.”
— (Alessandro D’Avenia)
bugiardaeincosciente:
(via curiositasmundi)
Fonte: bugiardaeincosciente
------------stripeout ha rebloggato curiositasmundi:
“La poesia è la pelle del poeta.”
—
189
Alda Merini
(via pragmaticamente)
Post/teca
Fonte: pragmaticamente
------------curiositasmundi ha rebloggato gravitazero:
“Berlusconi è stato scelto dagli italiani, proprio come gli italiani hanno voluto i puffi in tv.”
— Fedele Confalonieri (hat tip nonleggerlo)
E ora ci meritiamo Monti perché ci piaceva Mazinga-Z. (via gravitazero)
------------periferiagalattica:
Il signor Dupré viaggiava pochissimo, solo per necessità, e comunque mai fuori dal suo periodo
storico.
-------------misantropo ha rebloggato insospettabilmente-superficiale:
Stattene a casa...
insospettabilmente-superficiale:
Non t’impicciare. Fatti i cazzi tuoi. Chi te lo fa fare. Non ne vale la pena. Tanto il mondo non lo
puoi cambiare. Cosa ti illudi di fare. Lo vedi poi come va a finire. Pensa a te che se non ci pensi tu
non ci pensa nessuno. Lascia perdere. Questo ci dicono. A forza di botte e di morti. Da
quarant’anni. Da Giorgiana Masi a Bolzaneto.
Stattene a casa. Stattene a casa. Stattene a casa…
Fonte: metilparaben.blogspot.com
---------------
«Care donne, siate
femministe. Vi spiego
che cosa significa»
Alessandra Cardinale
Ha abbandonato la scuola a 11 anni, a 18 aveva una sua rubrica sul Times. Ha vinto
premi giornalistici in mezzo mondo e a 35 anni, con un compagno e due figlie, è
diventata un’icona femminista scrivendo un libro che è diventato un best seller.
«Care donne, non accontentiamoci di fare le api regine, facciamo squadra come gli
190
Post/teca
uomini. Più abbiamo successo, meglio è. E non vergogniamoci di preoccuparci di
temi come la depilazione».
13 maggio 2012 - 13:58
A 11 anni Caitlin Moran abbandona la scuola. A 15, vince il premio come
giovane promessa del giornalismo. A 17 scrive per il Guardian. A 18 ha una sua
rubrica per il Times e presenta una trasmissione televisiva. Vince prestigiosi premi
giornalistici tra il 2010 e il 2011 (la sua intervista a Lady Gaga viene ripresa dai
media di mezzo mondo) e a 35, dopo aver messo su famiglia, un compagno e due
figlie, diventa un’icona del femminismo in Inghilterra con il libro “How to be a
Woman”, in Italia “Ci vogliono le palle per essere una donna” (ed. Sperling &
Kupfer).
Primogenita di otto figli, “vivevamo in una casa di tre stanze senza i soldi
per comprarci le mutande”, Caitlin spiega perché abbiamo ancora bisogno del
femminismo che non deve essere solo quelle delle accademie, ma deve occuparsi
anche delle questioni quotidiane e semplici come la depilazione, le micro
mutandine, le tette rifatte e la pornografia. E a tutte fa una rivelazione “dobbiamo
lavorare sodo ed essere cortesi nei confronti degli altri per ottenere ciò di cui
abbiamo bisogno” e aggiunge, “facciamo come gli uomini, amiche, e diamoci una
mano, più donne raggiungeranno il successo meglio sarà per tutte”.
Alcune giovani donne prendono le distanze e dicono,“Chi, io femminista?
Proprio no!”, altre associano il femminismo all’immagine di una donna
arrabbiata, senza figli, che odia gli uomini. Come lo spieghi?
Sono d’accordo. Per alcune donne oggi la parola femminismo ha un sapore retrò.
Con questo libro, invece, volevo renderla contemporanea, svecchiarla raccontando
la mia storia. Ritengo che parte della colpa sia da attribuire alla cultura popolare e
non al mondo accademico che continua a interrogarsi sulla questione femminile. Ad
esempio, le sceneggiatrici dovrebbero impegnarsi di più nel proporre, creare e
sviluppare ruoli femminili al cinema e in televisione. L’ultima volta che una donna è
stata la protagonista di un film di successo risale a più di venti anni fa. Mi riferisco a
Melanie Griffith in “Working Girl”(Una donna in carriera, ndr). Male, molto male.
Insomma, bisogna darsi una mossa.
Cosa significa per te essere una femminista?
Cominciamo con il dire che per me non si tratta di un dovere. È un divertimento.
L’obiettivo del femminismo è migliorare e semplificare la vita delle donne. Le donne
devono capire che non rischiano nulla se dichiarano di essere femministe. Cosa c’è
di male? Secoli fa ti spedivano al rogo o venivi arrestata se osavi sollevare il
problema della parità dei sessi. Oggi, nella maggior parte dei paesi, siamo libere di
esprimere la nostra opinione, di associarci, scendere in piazza, scrivere libri o film
sull’argomento.
Quindi…
È il miglior momento per essere femministe. Non ci sono dubbi.
191
Post/teca
Va bene. Cominciamo col considerare alcuni problemi: l’assenza o la poca
solidarietà tra donne. Esiste?
Non conosco la situazione italiana ma in Inghilterra c’è grande solidarietà tra
donne. Ti faccio un esempio. Io passo moltissimo tempo su Twitter e la rete creata
da donne, specialmente giornaliste, scrittrici, attrici, comiche, sceneggiatrici è
vivacissima, dinamica, ricca di idee e spunti che possono essere approfonditi al di
fuori del social network.
Parli di net-feminism?
Sì. Considera che in Inghilterra le prime ad usare Twitter sono state le donne, in
particolar modo quelle che lavorano nel campo della comunicazione. Abbiamo
stabilito noi le regole e gli uomini che sono arrivati alcuni mesi dopo si sono
adeguati.
Ecco, da noi è l’esatto contrario.
Mi dispiace. Ma allora che aspettate, take it over! Ciò che per tanti anni ha tenuto le
donne dietro gli uomini è l’idea secondo cui a una donna per volta è concesso avere
successo. Sbagliato. Dobbiamo capire che se più donne raggiungono obiettivi
importanti più facile sarà anche per tutte le altre. Non ha alcun senso conservare e
salvaguardare la posizione di ape regina in ufficio, in Parlamento o in una
trasmissione televisiva. È ridicolo e non aiuta nessuna.
Mi viene in mente quando nel libro racconti la tua esperienza e dici che
gli uomini nelle redazioni civettano con i capi ovunque, al bagno, alla
partita, al bar. Ma se lo fanno le donne?
Quello del flirt in ufficio è un dibattito sempre molto attuale: a noi è permesso
civettare? Le femministe di un tempo hanno sempre risposto no, mai. Sai, penso
dipenda dal carattere: io sono naturalmente flirty. Non l’ho mai fatto e mai lo farei
per ottenere un posto di lavoro. Flirtare non significa andare a letto. Se viene
naturale, sentitevi libere di farlo anche voi; voglio dire, gli uomini civettano
continuamente, sono talmente innamorati gli uni degli altri che diventano amici, si
aiutano in politica, nel loro business. Sanno quanto sia importante per la loro
sopravvivenza professionale il cameratismo.
Stai dicendo che dovremmo comportarci come gli uomini?
Ascolta, il 52% della popolazione mondiale è composta da donne: nell’approccio
alla vita alcune saranno più mascoline, altre più femminili, altre sono un po’ tutte e
due. Uno dei punti principali nel mio libro riguarda l’accettazione e la valorizzazione
dei diversi tipi di donne. Questo è uno degli aspetti in cui il femminismo tradizionale
ha sbagliato. Non esiste un solo tipo di femminista che nell’immaginario collettivo è
in genere una donna di ceto medio, colta, che non si trucca e odia gli uomini. Non è
così.
Questo è il motivo per cui hai scritto il libro?
Sì esattamente. Mi sono resa conto che questa rappresentazione della femministatipo è un vecchio cliché. Le mie amiche non sono così, io non sono così: ho 37 anni,
un compagno, due figlie, una di 11 anni e una di 8, e lavoro lavoro, lavoro.
192
Post/teca
E il successo com’è arrivato?
Sono contenta che mi fai questa domanda. Ho passato dieci anni a scrivere insieme
a mia sorella una sceneggiatura sulle avventure di tre ragazzine adolescenti e
grasse. Nessuna televisione in Inghilterra l’ha mai voluta comprare. Un giorno, ero
in un pub e avevo bevuto un bel po’, mi sono detta: è tempo di cambiare la cultura
in Gran Bretagna! Immersa in questo delirio megalomane ho iniziato a scrivere il
libro. L’ho fatto di corsa, poco più di cinque mesi, temevo che qualcuno lo facesse
prima di me. Poi il boom: il libro è diventato un best seller, la sit-com è stata
acquistata, hanno deciso di girare un film sul mio libro e insomma, sto facendo
tutto quello che ho sempre sognato di fare. E ti dico di più. Nell’ultimo anno nella
televisione inglese sono stati creati molti più spazi per le donne.
A un certo punto scrivi, “Ragazze, arrendiamoci, le donne che hanno fatto
la storia sono un paio, non di più”. Coraggiosa…
La verità è che non c’è stato Alessandro Magno o Giulio Cesare in versione
femminile. Inutile andare a spulciare l’enciclopedia per trovare qualche donna che
ha fatto la storia del mondo. Non possiamo negare che gli uomini siano stati più
influenti e potenti di noi, perché quindi ostinarsi a dire che anche le donne sono
state così importanti quando la realtà è un’altra. Punto, capitolo chiuso. All’epoca
non avevamo alcun diritto, ora è tutto diverso. Essere ossessionate dal passato non
può che farci male, concentriamoci sull’oggi.
Nel libro critichi le principesse del XXI secolo, le WAG (Wife and Girl), le
mogli e le fidanzate dei calciatori. Che fanno di male?
Le Wag non fanno nulla di male. Generalizzando un po’, questo tipo di donna ha
osservato bene il sistema patriarcale, si è chiesto come potesse sbarcare il lunario e
si è risposto, non sono in grado di guadagnarmi i soldi allora me li sposo. Perfetto,
io non lo farei mai, preferisco comprarmi il pane con il mio lavoro perché mi sento
più al sicuro e forte. Il punto è un altro. Se sfogli i giornali inglesi, le donne sono
sempre bionde, magre e fanno sesso con uomini potenti. Secondo te è una corretta
rappresentazione della realtà? No. Ci sono tante altre tipologie che non vengono
mai prese in considerazione e questa è la cosa che mi terrorizza di più.
L’altra cosa che ti sta a cuore è la pornografia. Sei favorevole ma
contraria a quella che gira su internet perché diseducativa. La tua
proposta?
Primo punto, l’industria del porno non scomparirà mai. Poi, considerando che il
90% degli adolescenti si auto educa sessualmente su internet, ritengo che sia
nostro dovere assicurarci che quello che vedono sia sesso, sesso vero e non un
orribile incubo, violento, sgradevole dove l’uomo deve essere un superdotato
sempre pronto all’azione mentre la donna indossa tacchi 15 centimetri buoni solo
per stare sdraiata e non raggiunge mai l’orgasmo.Tesori miei, il sesso non è questo.
Prima ci sbarazziamo di questa cattiva interpretazione meglio sarà per tutti, uomini
e donne.
Il tuo segreto?
193
Post/teca
Sono autodisciplinata. Lavoro molto e da casa. Scrivo tre editoriali alla settimana
per il quotidiano Times, negli altri giorni lavoro in televisione. Non ho praticamente
una vita sociale, non ho particolari hobby perciò mi piace stare su twitter che mi
permette di rimanere in contatto con la gente e stare in casa con le mie figlie.
Un best seller, un film in programma, sit-com con la tua firma e una
bambolina creata per te dalla Lego. Il primo pensiero della mattina?
Sono nata molto povera e sono terribilmente spaventata dall’idea di tornare a
esserlo. Quindi quando mi sveglio mi dico, oggi lavorerò più di ieri perché mai più
debba indossare le mutande di mia madre.
fonte: http://www.linkiesta.it/caitlin-moran
--------------20120515
curiositasmundi ha rebloggato colorolamente:
“Penso che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell’errore, anche perché, non
ho mai capito malgrado la mia età, cosa sia esattamente la virtù e che cosa esattamente sia
l’errore. Perché basta spostarsi di latitudine e vediamo come i valori diventano disvalori e
viceversa. Non parliamo poi, nello spostarci nel tempo. C’erano morali nel medioevo che oggi
non sono assolutamente riconosciuti. Oggi noi ci lamentiamo, vedo che c’è un gran tormento
sulla perdita dei valori, bisogna aspettare di storicizzarli. Io penso che non è che i giovani di
oggi non abbiano più valori, hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a
capir bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri.”
—
FABRIZIO DE ANDRE’
(via colorolamente)
--------------------selene ha rebloggato soggetti-smarriti:
“E quando aveva detto una cosa finiva: ‘Se sbaglio, correggimi’. Fu così che cominciai a
capire che non si parla solamente per parlare, per dire ‘ho fatto questo’ ‘ho fatto quello’ ‘ho
mangiato e bevuto’, ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo.”
— La luna e i falò, Pavese (via checcachicchi)
Fonte: checcachicchi
----------------------falcemartello ha rebloggato 1000eyes:
Mettiamoci una pietra sopra; di marmo e col tuo nome inciso.
Fonte: esceilfumo
-----------------ilfascinodelvago:
194
Post/teca
“No, non ti stavo sorridendo. Era la smorfia mentre cercavo di smorzare una scoreggia.”
#sforzi invani
----------------------curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“Signorina, permette che le legga la mano? Non abbia timore, so leggere nel futuro. Non ci
crede? Dunque… vedo chiaramente che lei sposerà… un professore e avrà due figli. Uno
somiglierà a lei e l’altro… a me!”
— Giuseppe De André alla futura moglie
Questi erano gli approcci, datati… 1934! E da un padre così brillante, non poteva
nascere che un genio come Faber.
(via alfaprivativa)
Fonte: spucy
---------------------selene ha rebloggato curiositasmundi:
“Un uomo che abita a Roma decide di visitare Arezzo, che dista circa 220 chilometri. Fa
spendere 500.000 euro alle casse pubbliche e vi si fa portare dall’aeronautica militare. Poi, una
volta ad Arezzo, dice che è necessario “cambiare stile di vita e aiutare i poveri”. Spendendo i
soldi altrui?”
— Benedetto XVI: «Gli italiani devono reagire a tentazione scoraggiamento» (Il
Messaggero)
Fonte: uaar-it
------------------“La vita di certe persone si può riassumere con “Ha prodotto parecchie caccole, forfora,
capelli, piscio e merda.”
— 3nding
---------------------curiositasmundi ha rebloggato biancaneveccp:
“Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in
primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole
dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato
posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per
tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio, sempre. Il viaggiatore
ritorna subito.”
— Josè Saramago (via malinconialeggera)
Fonte: malinconialeggera
-------------------regardintemporel:
“C’est le commencement, le monde est à repeindre, l’herbe veut être verte, elle a besoin de
mes regards.”
195
Post/teca
— Jean Tardieu - Extrait de Figures
---------------------curiositasmundi ha rebloggato coqbaroque:
“Che stress essere un Anarchico Informale. Non so mai cosa mettermi.”
—
[coqbaroque]
Diecimila.me (via coqbaroque)
Fonte: diecimila.me
-------------------misantropo ha rebloggato politics-war:
politics-war:
Father Luis Manuel Padilla holds a wounded government rifleman shot down in the streets of
Puerto Cabello, Venezuela, during a bloody revolt against President Betancourt in June 1962.
More than 200 were killed before rebels were beaten. This photo won the Pulitzer Prize for Hector
Rondon.
Photo: Hector Rondon
-------------------------apertevirgolette:
“Tutte le nostre conoscenze ci aiutano solo a morire di una morte un po’ più dolorosa di quella
degli animali che nulla sanno.”
— Maurice Maeterlinck
----------------------
196
Post/teca
kvetchlandia:
Ernst Ludwig Kirchner Self-portrait Undated
“A painter paints the appearance of things, not their objective correctness…” Ernst Ludwig
Kirchner
-----------------------alune ha rebloggato alfaprivativa:
“Devi avere un sogno per svegliarti la mattina.”
— Billy Wilder (via alfaprivativa)
Fonte: creativeroom
-------------------onepercentaboutanything ha rebloggato emmanuelnegro:
emmanuelnegro:
misantropo:
197
Post/teca
ze-violet:
wmacao:
MACAO DIFFIDA
Prefettura, Questura e Comune di Milano l’intervento delle forze dell’ordine sarebbe lesivo
delle prerogative legali e costituzionali. Macao crede che il DIRITTO sia VIVO, e non
accetta di essere oggetto di facile e ottusa strumentalizzazione. Le nostre pratiche devono
essere occasione per aprire un dialogo alto sulla legittimità di nuove forme di partecipazione
democratica.
Al Sindaco di Milano Al Prefetto di Milano Al Questore di Milano
L’occupazione di Torre Galfa a Milano rappresenta un’azione di natura politica, non
finalizzata al conseguimento di un profitto personale o di un interesse di natura patrimoniale
(cfr. Trib. Roma, VII sez., 8 febbraio 2012); la Torre risulta da molti anni inutilizzata, con la
conseguenza che ampi spazi di suolo pubblico destinabili alla collettività per scopi diversi
risultano completamente abbandonati e degradati a causa del comportamento assenteista
della proprietà.
I dimostranti hanno così recuperato l’immobile vacante attraverso pratiche di occupazione e
non di spoglio (inteso come privazione violenta o clandestina dell’altrui materiale possesso
contrastabile ex 1168 Cod Civ), collocando consapevolmente la propria azione nel solco
costituzionale dell’articolo 42 Cost. Questa norma, insieme a disposizioni come gli artt. 2, 3,
9 e 43 Carta fondamentale, tutela la personalità umana ed il suo svolgimento nell’ambito
concreto delle pratiche politiche collettive qui poste in essere. Il raggiungimento di questo
scopo sociale passa attraverso la fruizione diretta di beni e servizi che sono appunto
funzionali a perseguire e soddisfare interesse collettivi costituzionalmente rilevanti inclusa la
salute (Art. 32), il lavoro (Art. 35) e soprattutto, qui rilevanti, l’arte e la scienza (Art.33).
La derelizione di utilità funzionalmente sociali qualifica la situazione attuale delle Torre
Galfa. Questo immobile invece di essere ufficialmente espropriato o confiscato per
valorizzarlo, adempiendo un obbligo costituzionale della “Repubblica” in tutte le sue
articolazioni istituzionali di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della
persona umana” (Art. 3 Cost.) in un periodo in cui il bisogno di spazi pubblici è sempre più
forte, è di fatto lasciato al progressivo degrado, in un quadro di sostanziale connivenza
pubblica con il potere privato. L’abbandono dell’immobile e la sua sottrazione alla
cittadinanza realizza una logica abusiva di esclusione, che contrasta altresì con le istanze di
solidarietà sociale.
In questo contesto, se ciò che più conta è la funzione che tale bene può rivestire e gli interessi
con cui esso è collegato, indipendentemente dalla titolarità pubblica o privata dello stesso,
Torre Galfa rappresenta un bene comune, che la collettività può anzi deve valorizzare
nell’esercizio della cittadinanza attiva. Tale categoria giuridica trova un riconoscimento
anche in giurisprudenza (cfr. SS.UU. sent. n. 3665/2011), dopo essere stata descritta in
dottrina e aver trovato un pratico riscontro nella campagna referendaria “acqua bene
comune” e nelle esperienze di occupazione del Cinema Palazzo e del Teatro Valle di Roma,
del Teatro Marinoni di Venezia, Del Teatro Coppola di Catania, dell’Asilo della Creatività a
Napoli e del Teatro Garibaldi di Palermo, tutti luoghi riconosciuti come essenziali beni
comuni culturali, e recuperati per motivi morali e sociali alla fruizione collettiva. Si noti che
tutte le suddette dimostrazioni di cittadinanza attiva sono state accettate da istituzioni del più
diverso colore politico. Poiché la natura pubblica o privata del titolo formale ai beni comuni è
da considerarsi teoreticamente irrilevante rispetto alla loro funzione costituzionalmente
garantita (Vedi anche Commissione Ministero Giustizia Principi e Criteri Direttivi per la
198
Post/teca
novellazione del Codice Civile, 14 giugno 2007) di fruizione collettiva e sociale (42 Cost.),
l’esercizio civilistico dello ius excludendi sulla Torre Galfa, a fronte di lunghi anni di
abbandono, è da considerarsi emulativo ex art. 833 Codice Civile e dunque abusivo. Esso
può essere in ogni caso unicamente esercitato nei limiti e nelle forme della tutela petitoria
(Art. 948) in quanto sola procedura idonea a un approfondimento giurisdizionale delle
questioni, anche costituzionali, inerenti il titolo. È evidente che la comunità degli occupanti
di Torre Galfa si è unita al fine di salvaguardare un bene altrimenti abbandonato, con lo
scopo di conservarlo e, soprattutto, di valorizzarlo nell’interesse di tutta la cittadinanza e che
un interesse privato gravemente sospetto di essere abusivo emulativo e contrario a diritti
fondamentali della persona non può certo servirsi delle forza pubblica per rientrare in un
possesso inesistente in quanto non esercitato.
Per questo, il Comune di Milano è diffidato dal consentire l’impiego delle forze dell’ordine
per un paventato sgombero dell’immobile occupato, considerato che deve ritenersi prevalente
l’azione di valorizzazione dell’immobile rispetto allo stato di abbandono e di degrado cui
esso stesso è sottoposto, di per sé idoneo a configurare un’ipotesi di abuso del diritto di
proprietà.
Tale diffida è altresì estesa al Prefetto e al Questore che solamente in modo gravemente
lesivo delle proprie prerogative legali e costituzionali potrebbero procedere al di fuori dei
limiti di legge e del controllo preventivo giurisdizionale ordinario.
Torino, 12 Maggio 2012, Prof. Avv. Ugo Mattei, Ordinario di Diritto Civile Università di
Torino
non ci ho capito quasi nulla, ma sembra che in legalese abbia senso?
Sistemato un po’ di refusi. Neanche io parlo legalese e non ho controllato i riferimenti, ma
immagino non siano buttati lì a caso.
Pure per me il legalese è più oscuro del sanscrito, ma ho googlato il firmatario, Prof. Ugo Mattei,
e non è esattamente l’ultimo dei mona.
Fonte: wmacao
-----------------------thatwasjustyourlife ha rebloggato 10lustri:
“Un film porno non ti deluderà mai. Non puoi dire: “Non mi aspettavo che finisse così”.”
— Richard Jeni (via 10lustri)
---------------biancaneveccp ha rebloggato batchiara:
“Un giorno verranno a reclamare tutti gli organi che ho donato ogni volta che ho cliccato su
“Ho letto e accetto le Condizioni d’uso”, me lo sento.”
— la(cosiddetta)simple su FF (via impedita)
Fonte: impedita
-----------------akaikoelize:
Sbuccio mandorle come se non ci fosse un domani. Tra un po’ anche le mie dita saranno da pelare.
199
Post/teca
--------------------nives:
“Tu mi ricordi una poesia che non riesco a ricordare una canzone che non è mai esistita e un
posto in cui non devo essere mai stato.”
— C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo - Efraim Medina Reyes
-------------------alfaprivativa ha rebloggato senza-voce:
“C’è solo una cosa che devo fare: riuscire a vivere con questo involucro che è il mio corpo. Un
compito facile, difficile? Dipende da come lo si guarda. Quello che so è che, anche se ci
riuscirò, nessuno penserà che ho compiuto qualcosa di importante. Nessuno si alzerà per
applaudirmi commosso.”
— Kafka sulla spiaggia, Haruki Murakami
Fonte: fallende
-------------------maewe:
Oggi ho la capacità di concentrazione di un pesce rosso con
l'Alzheimer
---------------------Facciamo il punto della situazione.
Berlusconi e Fede si sono tolti dalle balls. Tiziano Ferro si è finalmente innamorato e tutti sanno che è un uomo (almeno). Laura Pausini è dimagrita.
La Canalis e Vieri si sò rimessi insieme. Megavideo è passato a miglior vita. Al Festival di Sanremo sono 3 anni che vincono quelli di “amici di Maria
de Filippi”. Il Grande Fratello s’è preso una pausa di riflessione. E’ tornato l’ici travestito da imu. Sono uscite le date del concorso del comune di
Roma che rinviavano da due anni. Moccia è diventato sindaco. Sono ritornati i pantaloni a vita alta (giuro li ho visti). Ho imparato a cucinare.
Non oso immaginare cos’altro potrà succedere da qui alla fine del mondo.
fonte: http://crisalideinversa.tumblr.com/post/23097550114
-----------------misantropo ha rebloggato tattoodoll:
“Quello che è successo a Macao è che un ricco aveva un pezzo di pane e non lo voleva, l’ha
buttato per terra e gli ha tirato un calcio. Poi un povero ha preso quel pezzo di pane, e allora il
ricco ha chiamato la polizia per farselo ridare.”
— Dario Fo (via tattoodoll)
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Lo sfogo di Emma Dante
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Post/teca
"Voglio lasciare Palermo"
"Rimettere piede in questa città dopo Parigi è stato un trauma e forse vorrei tornare lì".
Sabato la presentazione del libro di Evelina Santangelo" Cose da pazzi". Sarà un reading con
l'autrice, anche lei palermitana, la fotografa Shobha e le attrici Italia Carroccio e Daniela
Macaluso
Emma Dante
«Palermo? Me ne voglio andare da questa città. Ne sono sempre più convinta». La regista
palermitana Emma Dante, che alla sua città ha dedicato la maggior parte dei suoi spettacoli, lo dice
a denti stretti, durante la presentazione della sua nuova rassegna alla Vicaria (via Polito5, c), quinta
edizione di "Onora i giorni di festa", dedicata a Giorgio Li Bassi. Sabato alle 21, il sipario si aprirà
con la presentazione del libro di Evelina Santangelo" Cose da pazzi", edito da Einaudi. Non sarà
una classica presentazione, ma un reading con l'autrice, anche lei palermitana, la fotografa Shobha
autrice della foto di copertina e le attrici Italia Carroccio e Daniela Macaluso.
«Il libro s'intitola "Cose da pazzi" e mi pare sia proprio il caso di dirlo - prosegue la Dante, reduce
da un mese di permanenza a Parigi dove ha presentato all'Opera comique la sua "Muta di Portici"-.
Ciascuno di noi parlerà della sua esperienza della città e io parlerò di questo, del fatto che adesso,
davvero, vorrei andarmene da qui, anche se non so come, perché ho un mutuo sulla casa e poi c'è
questo spazio da gestire. Ma rimettere piede a Palermo dopo Parigi è stato un trauma e forse vorrei
tornare lì».
Proprio alla Vicaria la regista sta provando con i suoi attori lo studio della favola per bambini e
adulti "La bella Rosaspina addormentata", una rivisitazione de "La bella addormentata nel bosco" in
chiave contemporanea, che andrà in scena domenica sera. E proprio alla precarietà dello spazio la
regista lega il suo sfogo: «Qui non facciamo spettacoli di intrattenimento- ribadisce- possiamo solo
adattarci e spremere tutto quello che c'è. Proviamo come possiamo, perchè conviviamo con la
musica a palla della palestra accanto, e andiamo in scena il sabato e la domenica, quando la palestra
è chiusa». (LAURA NOBILE)
fonte:
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/05/04/news/lo_sfogo_di_emma_dante_voglio_lasciare_p
alermo-34451520/
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Post/teca
---------------------spaam ha rebloggato coqbaroque:
“La verità, invece, alla fine, è che una casa editrice, o editore, e viceversa, se ci andate, è
indistinguibile dallo studio di un commercialista che ha gusto in fatto di poster, solo che ci
sono più stampanti.”
— Sette per uno. | Diecimila.me (via coqbaroque)
Fonte: diecimila.me
----------uaar-it:
“Giordano Bruno e Renato De Pedis, morti entrambi a Campo Dè Fiori, uno filosofo, l’altro
boss mafioso. Indovina chi è sepolto in una Chiesa.”
— Letta su Twitter.
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Parla il generale Fabio Mini:
"Quanto siamo ipocriti sulla guerra"
TOMMASO DI FRANCESCO
15.05.2012
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L'ex generale della Nato in Kossovo ha dato alle stampe un pamphlet di cruda
denuncia dello strumento della guerra. E del suo essere utilizzata come sostegno del
privato profitto.
Un lucido e attualissimo pamphlet «Perché siamo così ipocriti sulla guerra» (ed. Chiarelettere,
84 pp, 7 euro) di cruda denuncia dello strumento della guerra, a partire dal suo impianto
ingannevole ed «ipocrita»; scritto da un «tecnico» che più politico e più controcorrente non si
può: il generale Fabio Mini, già comandante generale della Nato in Kosovo. A lui abbiamo
rivolto alcune domande, mentre la guerra conferma ad ogni ora la sua attualità e con essa
l'inesistenza della sinistra (vecchia e nuova) che nemmeno si accorge di questa centralità.
202
Post/teca
Se, come lei scrive, l'ipocrisia è l'ombra sporca che precede, gestisce e memorizza la
guerra legittimandola dentro una nuvola di buoni sentimenti e scopi «umanitari»,
com'è possibile che questa evidenza, troppo spesso supportata da «media
indipendenti», alimenti i governi e i potenti sostenuta dai poteri sovranazionali che
su questa ipocrisia dovrebbero vigilare?
L'ipocrisia non ha limiti e soprattutto fa comodo sia a chi ha la coscienza sporca sia a chi
vorrebbe non sporcarsela. Di questi tempi è anche diventata un placebo per la pubblica
opinione che conta molto e per questo è diventata l'obiettivo privilegiato delle manovre di
manipolazione dell'informazione.
Lei elenca molti fatti bellici della storia del XX secolo, dalla atomiche americane su
Hiroshima e poi su Nagasaki, ma anche eventi degli ultimi venti anni (dall'Iraq alla
Somalia, dal Kosovo all'Afghanistan, fino alla Libia) che hanno contrassegnato
spesso il trionfo della menzogna, l'assassinio della verità come prima vittima di
guerra, con l'emergere dei falsi pretesti...
Come generale della Nato voglio ricordare in particolare i colloqui di Rambouillet che nel 1999
avrebbero dovuto e potuto evitare la guerra in Kosovo ma sono saltati per la
strumentalizzazione di un falso massacro: quello di Racak. I cadaveri c'erano davvero ma non
erano i tragici resti di una esecuzione di massa di civili innocenti. Erano il frutto di una
sceneggiatura da parte dell'Uck, che in quel periodo già godeva del sostegno di molte
diplomazie e servizi segreti occidentali. In una notte, una cinquantina di corpi di combattenti e
di civili morti negli scontri con le forze di sicurezza serbe furono ammucchiati in un fosso. Il
capo della Missione di Verifica dell'Osce Walker non aspettò né di vedere i corpi né di verificare
le cause dei decessi. Rilasciò dichiarazioni di fuoco parlando di eccidio, genocidio e massacro.
La stampa internazionale fece il resto, ma sembrava che tutti non aspettassero altro per
iniziare la guerra. Le condizioni imposte ai serbi a Rambouillet con il pretesto di Racak erano
semplicemente inaccettabili.
Lei scrive che la scelta dell'ipocrisia da parte dei governi nell'approccio alla guerra
deriva dal fatto che essa rappresenta un grosso affare. È possibile che stiamo
andando verso una mega-ipocrisia, vale a dire la preparazione di un'altra guerra
(qualcuna già si annuncia) «umanitaria», ma in realtà considerata proficua e
necessaria come innesco di un trend di investimenti utili ad una sortita dalla crisi del
capitalismo globale?
Questo è in effetti lo scenario più probabile per tutte le attuali crisi internazionali, dall'affare
della Corea del Nord alla Siria passando ovviamente per l'Iran e tutto il Mediterraneo. Gli affari
sono una costante delle cause delle guerre e l'attuale crisi economica globale può essere
collegata ai grossi affari fatti dai promotori delle guerre ai danni sia delle vittime sia degli attori
principali. Il discutibile principio economico che vede il debito come uno strumento di raccolta
di risorse è diventato un' ideologia ancora più ipocrita e dannosa inventando il «debito
sovrano» proprio per finanziare le guerre. L'ipocrisia è anche un po' ironica perché un debito
non rende nessuno sovrano, ma fa diventare schiavi. Se poi la guerra viene intesa in senso lato
e «senza limiti» materiali e concettuali allora la stessa crisi globale è una guerra in cui le
istituzioni statali, anche le più forti, sono vittime di bande di affaristi.
Com'è che nella coscienza collettiva e nell'opinione pubblica, questi fenomeni, pur
manifestandosi come un dejà vu, diventino la normalità, perché «così è la guerra...»,
dimenticando che le armi possono ritorcersi contro chi le usa (come addestrare fuori
casa terroristi che poi tornano, in proprio, a saldare il conto; o come la gran quantità
di spostati sociali che ormai sono diventati i veterani di guerra)? E com'è che, nel
confronto e vanto delle civiltà, i nostri crimini occidentali di guerra, siano cancellati?
Lei ricorda in particolare i bombardamenti con le cluster bomb sulle città jugoslave e
il fosforo su Falluja...
La gente di tutto il mondo sta vivendo nello smarrimento. Molti principi sono caduti, i miti non
servono più a unire patos, etos ed etnos, ma diventano disgreganti e fallaci. La gente ha
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Post/teca
bisogno di «normalità» e grazie all'ipocrisia cade facilmente nella trappola di considerare
normale anche ciò che non lo è. La guerra è sempre stato un fatto eccezionale, ma il bisogno
di normalità rende la stessa guerra un evento normale, consueto, utile e perfino eticamente
giustificato. Da questo punto ogni eccesso è somatizzato e tutto ciò che avviene in guerra è
normale: dall'eroismo al massacro. Noi occidentali per definizione ci riteniamo esenti dai
crimini di guerra collettivi: attribuiamo questi reati agli avversari di turno e processiano i nostri
criminali come semplici «mele marce». La soglia di «normalità» è spacciata per sicurezza.
Lei sottolinea i limiti del pacifismo, che arriva sempre dopo - anche se negli Stati
uniti contro la guerra del Vietnam, per vastità e intensità, diventò «fronte interno».
Dobbiamo tentare allora il «pacifismo preventivo»? E quanto vale ancora l'impianto
della nostra Costituzione che, alla fine della Seconda guerra mondiale e del ruolo
ambiguo che in essa ha giocato l'Italia, bandisce la scelta della guerra «nel dirimere
le controversie internazionali»?
Intanto dobbiamo denunciare le mistificazioni e non ci dobbiamo stancare di ragionare con la
nostra testa. Il pacifismo preventivo è un concetto analogo alla guerra preventiva. Entrambi
vorrebbero prevenire la guerra ma in realtà ne accettano la normalità. La guerra è normale
anche perché gli strumenti di guerra, gli eserciti, sono stati banalizzati, i soldati si sentono
pacifisti e vengono impiegati per ogni esigenza non tanto eccezionale, ma che non conviene o
non si vuole risolvere con altri mezzi. La pletora di «emergenze» che vengono militarizzate, i
commissari straordinari, le leggi speciali, gli «stati di eccezione» hanno reso le forze armate
dei normali esecutori ai quali si può chiedere tutto e comodi alibi per l'impotenza o l'incapacità.
Allo stesso tempo hanno reso comune quell'intervento militare che sanzionava ogni vera
emergenza nazionale. La nostra Costituzione ha ripreso un concetto del nuovo diritto
internazionale e ripudia la guerra «come strumento di risoluzione delle controversie» fra stati.
E infatti non ci sono più guerre fra stati, quindi l'articolo 11 fa il suo mestiere. Tuttavia con la
complicità dell'ipocrisia molte operazioni militari e alcune missioni «d'ingerenza umanitaria»
finiscono per assolvere gli stessi compiti che un tempo avevano le guerre coloniali, di
aggressione e di conquista. Il problema moderno non è più la dichiarazione formale di guerra,
ma l'individuazione di ciò che «de facto» è guerra, ciò che degenera in guerra e ciò che
conduce gli strumenti militari pubblici a servire interessi di privato profitto. Anche il pacifismo
dovrebbe servire a questo e non semplicemente a denunciare il militarismo che è comunque
una deviazione ideologica. Da militare rivendico il diritto della guerra di essere un fatto
eccezionale che riguarda tutti i cittadini e di riservare ai militari il rispetto che si deve a coloro
che s'impegnano a rischiare la vita per garantire la sicurezza. Rivendico anche il dovere dei
militari di delineare le caratteristiche «de facto» delle missioni che la politica intende
assegnare. Spetta a noi verificare i limiti di liceità, modalità e normalità delle operazioni
militari. Abbiamo il dovere di definire la fattibilità delle missioni in base alle risorse disponibili e
soprattutto la probabilità di successo nel raggiungimento degli scopi. Sempre a noi spetta il
dovere di dirlo chiaramente sapendo che averlo detto non esonera nessuna catena decisionale
o di comando dalle responsabilità.
fonte: http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/7410/
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Come l'ideologia del gender si è insinuata nelle dichiarazioni internazionali violando
tra l'altro lo spirito della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
Se si manipolano le parole
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L'agenda del genere fa divorziare la persona umana da se stessa, dal suo corpo e dalla
sua struttura antropologica
di Marguerite A. Peeters
La cultura nella quale viviamo racchiude i frutti positivi di un processo storico segnato dalla
decolonizzazione (avendo un potente movimento concesso alle donne uno status sociale mai
raggiunto prima) e dalla caduta del marxismo-leninismo. In un tempo di globalizzazione accelerata,
essa sembra celebrare, forse più che in qualsiasi cultura precedente, l'uguaglianza di tutti gli esseri
umani. La nostra generazione ha anche la possibilità di scoprire e di meravigliarsi dell'affascinante
diversità dei popoli e delle culture e del loro contributo specifico e insostituibile all'umanità.
Percepiamo però un pericolo in un processo definibile come globalizzazione che s'impone dall'alto e
che, sotto forma di pari diritti e di non discriminazione, utilizza i canali del governo mondiale per
cercare di adattare un consenso a interessi particolari, attraverso un uso manipolatore del linguaggio
nel corso del processo di costruzione di tale consenso. Non possiamo negare l'esistenza di una lotta
culturale, politica e giuridica che ha luogo in questo forum riguardo all'identità sessuale,
all'orientamento sessuale, al contenuto dei diritti e al senso dell'universalità. In questa lotta il
linguaggio è un fattore critico.
Esaminiamo la storia del termine genere nel discorso dell'Onu. Il termine è entrato nel linguaggio
dei testi negoziati a livello internazionale attraverso i documenti di consenso non-vincolanti del
processo delle conferenze dell'Onu degli anni Novanta. Ha avuto grande successo nella Piattaforma
d'azione di Pechino (1995), dove la prospettiva del genere è stata al centro e la parità dei sessi è
stata l'obiettivo principale. Sulla scia di Pechino, il Segretariato dell'Onu ha subito condotto, con
grande efficacia, un esercizio d'integrazione della prospettiva del genere (gender mainstreaming)
attraverso tutto il sistema dell'Onu. La parità dei sessi è stata rapidamente identificata come priorità
trasversale del governo mondiale, divenendo in pratica una condizione dell'aiuto allo sviluppo. Il
significato tradizionale del genere si riferisce alle categorie grammaticali maschile, femminile e
neutro, nelle lingue antiche e in quelle moderne. Ma i sociologi e gli psicologi appartenenti
all'intellighenzia postmoderna occidentale, dalla metà degli anni Cinquanta, hanno elaborato un
significato molto diverso. Nutrendosi allo stesso tempo del femminismo radicale e del movimento
omosessuale (che hanno entrambi lottato per ottenere l'uguaglianza solo in termini di potere
sociale), hanno distinto il genere dal sesso, limitando il sesso alle caratteristiche biologiche che
definiscono uomini e donne, e utilizzando il genere in riferimento a quelli che consideravano essere
i ruoli socialmente costruiti dalla società per uomini e donne. In pratica hanno trattato la maternità,
la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la complementarietà tra i due,
l'identità sponsale della persona umana, la femminilità e la mascolinità, l'eterosessualità, come
altrettante costruzioni sociali o stereotipi che sarebbero contrari all'uguaglianza, discriminatori e,
pertanto, da decostruire culturalmente. Al termine del processo rivoluzionario, lo stesso corpo
maschile e femminile era considerato come socialmente costruito. L'agenda del genere fa divorziare
la persona umana da se stessa, per così dire dal suo corpo e dalla sua struttura antropologica. Così
radicalmente ridefinito, il genere è una pura costruzione intellettuale, difficile da cogliere per le
culture non-occidentali.
(©L'Osservatore Romano 14-15 maggio 2012)
--------------chediomifulmini:
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“È fortunato come le zucchine… è nato con i fiori nel culo”
— Mio padre
---------20120516
curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“
C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
”
— Danilo Dolci (via alfaprivativa)
Fonte: qualcosaditragico
---------------------curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“Quelli come te, che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo né
contentezza; e mentre sono là, vorrebbero trovarsi qua, e appena tornati qua, subito hanno
voglia di scappar via. Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o
corressi in cerca di qualcuno; ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano
nel tuo sangue, perché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone,
come una sirena. E potrai anche trovare qualche compagnia di tuo gusto, fra tanta gente che
s’incontra al mondo; però, molto spesso, te ne starai solo. Un sangue-misto di rado si trova
contento in compagnia: c’è sempre qualcosa che gli fa ombra, ma in realtà è lui che si fa
ombra da se stesso, come il ladro e il tesoro, che si fanno ombra uno con l’altro.”
— Elsa Morante, L’isola di Arturo (via alfaprivativa)
Fonte: esistonostorie
--------------------curiositasmundi ha rebloggato coqbaroque:
neantdeneige:
chouchouette:
Oggi mio nonno mi ha detto che ammira il mio coraggio e io mi sono sentita tanto piccola.
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Ammira il mio coraggio nell’alzarmi ogni mattina e combattere per rincorrere l’orizzonte, per
guadagnarmi un altro domani, un altro futuro. Mio nonno che ha fatto la guerra, la fame, la
siccità nei campi e la crisi più nera. Mio nonno ammira il coraggio di una persona che spera
soltanto di vedersi finalmente accreditato in banca lo stipendio e che nonostante manchi da 4
mesi continua a ripetersi di non scoraggiarsi, anche se troppe volte mi ha vista piangere,
disperarmi e troppe volte per la mia età mi ha sentita dire, fievolmente: “Nonno, io non ce la
faccio più!”. Io non mi sento da ammirare. Io sento solo che sto facendo il mio dovere, che mi
alzo la mattina anche se è dura, che ho smesso di andare al cinema e di comprare libri ma cerco
di godere delle persone, che cerco sempre di essere ottimista e ripeto che è con la creatività che
si esce dalle crisi. Quelle poche parole dette sull’uscio della porta mentre vado a lavoro, avrei
voluto dirgli “Nonno vorrei che fosse normalità alzarsi a costruire il domani e non un atto di
coraggio”, non gliel’ho detto, ho sorriso, l’ho ringraziato: “Non preoccuparti nonno” ho detto.
Poi ho preso la macchina, al passaggio a livello c’era un ragazzo senegalese carico di borse e
borsoni da vendere, una mamma con tre bambini e la faccia stanca, un operaio su un camion, un
anziano con il bastone. Fuori tira un vento così forte che non sembra nemmeno primavera,
quante persone ammiro ogni giorno. Quanto coraggio ci mettiamo tutti a vivere.
Chou, Maggio ci vuole coraggio
Grazie, Chou :)
Fonte: chouchouette
---------------------------selene ha rebloggato papto:
“Sapete che succede quando non si è più abituati a ricevere amore? Succede che non ti fidi
più, che preferisci stare solo. Succede che quando qualcuno ti dice “Ti voglio bene” rispondi
con un sorriso e pensi “Come no”. Succede questo, non sei amato per molto tempo e, quando
trovi qualcuno che ti ama davvero, muori di paura.”
—
F. Roversi. (via papto)
Fonte: loscalpitaredelcuore
----------------falcemartello ha rebloggato toscanoirriverente:
“Fazio e Saviano vogliono educarci, redimerci, farci sentire migliori. Senza gioia, con
pedanteria. Le loro trasmissioni sono le sole dove la noia viene scambiata per insegnamento, la
demagogia per redenzione, la retorica per vaticinio. E, ovviamente, hanno successo perché la
tv del dolore conosce tante forme, anche quella di predicare sui suicidi o sui bambini di
Beslan. Il clima è sempre quello del rito: una necessaria penitenza perché lo sproloquio si
offra a noi come eloquio. Sotto le parole, niente. Solo un po’ di omelia televisiva, dove quello
che non ho si confonde con quello che non so.”
— Aldo Grasso (via toscanoirriverente)
-------------------cardiocrazia:
Una donna sa sempre quando può mirare ad un certo tipo d’uomo e, all’incirca, quante probabilità
nell’universo ci sono che la persona di loro interesse le degni anche d’una semplice occhiata.
Perché voi uomini, dio eva, non siete in grado di fare altrettanto? Perché, poi, chiedete a noi donne
un parere ( Ma secondo te Tizia uscirebbe mai con me?), se non sapete gestire il vostro ego ferito di
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Post/teca
fronte al nostro fermissimo No?
Una donna, quando sa di non poterselo permettere, ha il buon gusto di tacere. Un uomo la prende
come una sfida e nel 99,9% da il via ad una crociata destinata a fallire miseramente ed a cadere nel
ridicolo. E a me andrebbe benissimo, se non fossi io una di quelle donne cui voi chiedete un parere,
porca puttana.
----------------------rivoluzionaria:
“Parlarti è un pò problematico, allora ti scrivo.
Scriverti è un pò problematico, allora ti penso.
Pensarti è un pò problematico, allora dormo.”
— Rivoluzionaria
---------------somewhereunderthetrees ha rebloggatocortescontadettaarcana:
“Perché uno che ha cominciato a far fotografie, non c’è nessuna ragione che si fermi. Il passo
tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in
quanto è stata fotografata, è brevissimo. Se fotografiamo Pierino mentre fa il castello di
sabbia, non c’è nessuna ragione di non fotografarlo mentre piange perché il castello è crollato,
e poi mentre la bambinaia lo consola facendogli trovare in mezzo alla sabbia un guscio di
conchiglia. Basta cominciare a dire di qualcosa: «Ah che bello, bisognerebbe proprio
fotografarlo!» e già siamo sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è
perduto, è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare
quanto più si può e che fotografare quanto più si può bisogna vivere in modo quanto più
fotografabile possibile.”
— Italo Calvino - La follia del mirino, in Il Contemporaneo 30 aprile 1955. (via
cortescontadettaarcana)
------------------------selene ha rebloggato lospaziobianco:
“«Una volta un bambino mi mandò un meraviglioso biglietto con un piccolo disegno. Mi
piacque tantissimo. Rispondo a tutte le lettere dei bambini che mi scrivono, a volte anche
frettolosamente, ma in questo caso ci persi un po’ di tempo. Gli mandai un biglietto con il
disegno di un mostro selvaggio e gli scrissi: «Caro Jim, il tuo biglietto mi è piaciuto
tantissimo». In risposta mi arrivò una lettera di sua mamma che diceva: «A Jim il suo
biglietto è piaciuto così tanto che se l’è mangiato». È stato uno dei più grandi complimenti mai
ricevuti. Non gli importava che fosse un disegno originale di Maurice Sendak, o cose del
genere. L’ha visto, gli è piaciuto, se l’è mangiato».”
— da un’intervista a maurice sendak. (via madmoisellecrubellier)
Fonte: madmoisellecrubellier
-----------------------selene ha rebloggato tistocercando:
“Come le funi che aprono il sipario di un teatro, ogni tuo sorriso è un debutto. Una prima. Tu
che sveli te stesso.”
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— Chuck Palahniuk (via quicivorrebbeunnomeadeffetto)
Fonte: quicivorrebbeunnomeadeffetto
-------------------senza-voce ha rebloggato layura:
Bisognerebbe capire se la gente non ha davvero del tempo, o non
lo trova per te. Se è davvero piena di pensieri, o semplicemente tu
non rientri fra quelli.
Fonte: justmyfuckingbrain
--------------------uncertainplume:
Su una grande strada, non è raro vedere un’onda, un’onda sola, un’onda separata dall’oceano.
Non ha nessuna utilità, non costituisce un gioco.
E’ un caso di spontaneità magica.
(Nel paese della Magia, Henri Michaux)
----------------------curiositasmundi ha rebloggato colorolamente:
“-Voglio stare sola.
-Anch’io voglio stare solo.
-Ti va di stare soli insieme?”
— J. Belushi (via jocatssax)
Fonte: rivoluzionaria
-----------------curiositasmundi ha rebloggato firstbr3athaftercoma:
“Quando non c’è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima
era attaccato alla speranza. Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi
nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere
pazienza: essa muta in burla la sua offesa. Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma
chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.”
— Shakespeare - Otello, atto I, scena III (via firstbr3athaftercoma)
----------------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“Lei è fantastica, dissi ad un mio amico e lui mi disse: scopa bene? Sì, ha tolto la polvere dal
mio cuore.”
—
(M. Primavera)
bugiardaeincosciente:
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cosorosso ha rebloggato kon-igi:
La bomba sua, la macchina a vapore
kon-igi:
Sono diventato uno di quei vecchi che non vede mai niente di buono in nessuna situazione.
Uno di quei vecchi che odia i giovani perché non cambiano il mondo che noi vecchi avremmo
dovuto cambiare quando eravamo giovani.
E mi fa male la prostata a forza di sodomia sociale.
E mi fa male lo stomaco a forza di ingollare rospi che non ne vogliono sapere di lasciarsi digerire.
E mi fa male la testa perché le parole continuano a girarci dentro sbattendo…parole tipo stronzo!,
vaffanculo!, muori!
E mi fanno male tutte le dita, quelle dei piedi per i pestoni che ho preso da quelli che mi sono
passati avanti, quelle delle mani a forza di picchiare pugni sulla tastiera.
E soprattutto mi fa male la schiena, perché come un novello Sisifo, me ne vado per il mondo con
due quintali di merda da dispensare in giro e nell’imbarazzo della scelta finisce col riportarmela a
casa.
Non sono bei giorni.
---------------------ilfascinodelvago:
“Ornitologi che entrano a lavoro e timbrano il cardellino”
— Crapac
-------------------curiositasmundi:
“A Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e
s’intersecano. Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e
quello in barca: e poiché la linea più breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno
zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s’aprono a ogni passante non sono
soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi
all’asciutto. Cosi la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di
Smeraldina. E non è tutto: la rete dei passaggi non è disposta su un solo strato, ma segue un
saliscendi di scalette, ballatoi, ponti a schiena d’asino, vie pensili. Combinando segmenti dei
diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si dà ogni giorno lo svago d’un nuovo
itinerario per andare negli stessi luoghi. Le vite più abitudinarie e tranquille a Smeraldina
trascorrono senza ripetersi. A maggiori costrizioni sono esposte, qui come altrove, le vite
segrete e avventurose. I gatti di Smeraldina, i ladri, gli amanti clandestini si spostano per vie
più alte e discontinue, saltando da un tetto all’altro, calandosi da un’altana a un verone,
contornando grondaie con passo da funamboli. Più in basso, i topi corrono nel buio delle
cloache 1’uno dietro la coda dell’altro insieme ai congiurati e ai contrabbandieri: fanno
capolino da tombini e da chiaviche, svicolano per intercapedini e chiassuoli, trascinano da un
nascondiglio all’altro croste di formaggio, mercanzie proibite, barili di polvere da sparo,
attraversano la compattezza della città traforata dalla raggera dei cunicoli sotterranei. Una
mappa di Smeraldina dovrebbe comprendere, segnati in inchiostri di diverso colore, tutti
questi tracciati, solidi e liquidi, palesi e nascosti. Più difficile è fissare sulla carta le vie delle
rondini, che tagliano 1’aria sopra i tetti, calano lungo parabole invisibili ad ali ferme, scartano
210
Post/teca
per inghiottire una zanzara, risalgono a spirale rasente un pinnacolo, sovrastano da ogni
punto dei loro sentieri d’aria tutti i punti della città.”
— da: Le Città Invisibili di Italo Calvino
----------------aitan:
“
No existe la libertad, sino la búsqueda de la libertad, y esa búsqueda es la que nos hace libres.
_____________
Non esiste la libertà, ma solo la ricerca della libertà, ed è questa ricerca che ci rende liberi.
”
— Sono parole di Carlos Fuentes, grande romanziere messicano, morto ieri all’età di
83 anni.
-----------------------------
Perché pizza e
birra oggi
costano di più
16/05/2012 - Una ricerca dell'Adoc spiega cosa sta succedendo nei ristoranti
Indagine Adoc sul mondo della pizza, prodotto amatissimo dai consumatori italiani e stranieri. “Un
amore che, purtroppo, costa caro. Difatti- spiega Adoc in una nota- un menu medio composto da
una pizza, un fritto e una birra costa 14 euro, il 3% in piu’ dello scorso anno. Non e’ tanto la pizza a
registrare i rincari maggiori, dato che in media il prezzo e’ cresciuto dell’1,56%, quanto i fritti,
aumentati in media del 10% e la birra, che segna un rincaro medio del 2,3%”.
LA NOTA – Tra i fritti, specifica la nota, “a farla da padrone e’ il fiore di zucca, il cui costo medio
e’ aumentato di 50 centesimi, il 33% in piu’ del 2011. Anche le olive ascolane (+14,2%), le patatine
fritte (+14,2%) e il suppli’ (+9%) segnano rincari record”. Per quanto riguarda le birre, “una chiara
media costa il 2% in piu’ dello scorso anno mentre una birra estera in bottiglia ha subito un aumento
del 5,6%. Impietoso il confronto con il resto d’Europa. Da noi una pinta costa in media il 43,6% in
211
Post/teca
piu’ della media europea, rispetto alla Germania la differenza e’ dell’88%, da noi costa il doppio che
in Francia, il triplo che in Repubblica Ceca, il 25% in piu’ che in Gran Bretagna. Ma il dato piu’
preoccupante e’ il confronto con il 2001″.
DALL’INTRODUZIONE – Secondo l’Adoc “dall’introduzione dell’euro a oggi il costo di una
margherita e’ piu’ che raddoppiato, dieci anni fa costava appena 2,60 euro, contro i 5 attuali. Una
birra chiara media e’ aumentata del 49,2%, un suppli’ addirittura del 115,6%. Una mazzata che
penalizza duramente soprattutto i giovani e le famiglie a medio-basso reddito, che puntano sulla
classica accoppiata ‘fritti e pizza’ per uscire qualche sera l’anno”.
fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/312602/perche-pizza-e-birra-oggi-costano-di-piu/
-----------------------curiositasmundi ha rebloggato edozit:
Non fotografate
edozit:
“Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine
solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte.
Non fotografare i negri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati che dormono i loro
orribili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate
perché non possono respingerti.
Non fotografare il suicida, l’omicida e la sua vittima.
Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va
verso il patibolo. Hanno già sopportato la condanna, non aggiungere la tua.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi.
Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico
moncherino.
Non ritrarre un uomo solo perché la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo
deforme.
Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle
rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungervi le tue
fotografie.
Non fotografare gli annegati, i corpi carbonizzati, gli schiantati dai sismi, i dilaniati dalle
esplosioni: non renderti responsabile della loro ultima immagine che li farebbe inorridire se
potessero vederla.
Non fotografare la madre dell’assassino e nemmeno quella della vittima.
Non fotografare i figli di chi ha ucciso l’amante, e nemmeno gli orfani dell’amante.
Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso.Le peggiori infamie
fotografiche si commettono in nome del “diritto all’informazione”.
Se davvero è l’umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il
manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.
Come giudicheremmo un pittore con pennelli, tavolozza e cavalletto che per fare un bel quadro sta
davanti alla gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema
di freddo, ad un corpo lacerato che affiora dalle rovine?
Perché presumi che la borsa di accessori, la macchina appesa al collo e un flash sparato in faccia
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Post/teca
possano giustificarti?”
(Ando Gilardi)
---------------Baby apocalypse
Posted MAY 16 2012 by WAXEN in TUMBLEWEED with 2 COMMENTS
Erano le 3.32. Lo ricordo con certezza perché a quell’ora, ogni notte, il mio cellulare
emette un breve segnale acustico, tipo una risata macabra. È di seconda mano,
brandizzato Protezione Civile: riceve un sacco di sms da 1€. Avevo passato la serata con i
soliti amici al pub, cercando di dimostrargli che 24 shottini di Amaro del Capo non sono
una dose letale, se ti alleni con costanza e dedizione. Così, dopo averli salutati e lasciati
in un angolo a vomitare l’anima, ho iniziato a passeggiare verso casa cercando di
comportarmi come se fossi completamente lucido, nonostante il mondo oscillasse come
una nave da crociera Costa.
Sono le 3.32, è notte, è buio, eppure all’improvviso un ragazzino vestito da chierichetto
mi affianca; avrà sì e no otto anni. All’inizio non capisco, penso si tratti di un fantasma,
di un’allucinazione, poi mi convinco che è il leader di una baby-gang che vuole
rapinarmi, procurarsi qualche bottiglia, romperla e ammazzarmi la famiglia. Mi
tranquillizzo soltanto quando mi chiede se ho da accendere. “Hai iniziato a fumare
presto”, gli dico. Lui sorride, prende l’accendino, si volta e dà fuoco a una molotov. La
molotov finisce in un cassonetto che s’incendia, si rovescia e lascia fuggire una tonaca
ardente che urla, bestemmia e si contorce come una professionista di lap-dance
thailandese. “Brucia bene, Don Matteo!”, urla il ragazzino, poi scappa via.
Sono ancora le 3.32 (dannato orologio, si è fermato di nuovo!). I bambini diventano
sempre più numerosi, 10, 20, 50, a loro si uniscono i fratelli maggiori. Scendono da casa
trascinando di peso padri, madri e nonni. Alcuni li trascinano dalle braccia, altri dalle
213
Post/teca
gambe. Sento distintamente la voce di una ragazzina che urla: “Papà, stavolta ti tengo
per le palle!”. Nella mischia riconosco qualche volto: a terra, pieno di lividi, c’è il
family banker Mediolanum che aveva cercato di farmi investire in derivati, poco più in là
uno dei miei professori universitari, quello con cui ho dato otto appelli senza mai
superare l’esame. C’è anche quel vecchio che sull’autobus mi ammorba sempre con le
sue storie sui giovinastri irrispettosi che non gli cedono mai il posto, me compreso. Che
cazzo sta succedendo?
Ne avvicino qualcuno cercando di capire, ma è tutto inutile. I ragazzi non mi ascoltano e
non parlano, comunicano tra di loro solo usando tweet, sms ed aggiornamenti di stato.
Sono a pochi metri dal delirio e per sapere qualcosa mi tocca collegarmi su internet,
esattamente come faccio per le previsioni del tempo. Aggiorno la dashboard e vedo un
panorama agghiacciante. Uno dei miei contatti ha pubblicato una foto di Platinette nudo
e legato a un letto. Faccio unfollow immediato e vado oltre. Il resto è altrettanto
agghiacciante, ma con più stile.
Da twitter scopro che le sedi della Rai sono state occupate e che adesso trasmettono a
rotazione cartoni animati giapponesi, che un’orda di coppiette innamorate ha
sequestrato Federico Moccia e l’ha impiccato a Ponte Milvio, che a Piazza Montecitorio è
stato allestito un patibolo e che gruppi di volontari stanno offrendo pane e Nutella
gratis. Il trending topic del momento è #OccupyAnything. Su facebook ricevo una
notifica: mi invitano ad un evento per questa notte alle 3.32. Si parla di giovani stanchi
della gerontocrazia imperante e pronti a tutto per riconquistare il potere. Assicurano
che è tutto legale, risultato garantito, astenersi perditempo.
In lontananza scorgo il chierichetto che avevo incontrato prima. Mi guarda, mi sorride,
mi fa cenno di avvicinarmi. Decido di seguirlo e clicco su “Parteciperò”.
Adesso sì che sono uno di loro.
fonte: http://www.diecimila.me/2012/05/16/baby-apocalypse/
----------------Titolo Canzone Tradotto: Canzone Per La Sirena
di Tim Buckley
Galleggiando a lungo in un oceano deserto
ho fatto del mio meglio per sorridere
fintanto che i tuoi occhi e le tue dita cantanti
mi attirarono verso la tua isola
e tu cantasti
naviga da me
naviga da me
lasciati abbracciare
Sono qui
Sono qui
aspettando di possederti
Ho sognato te che sognavi me?
Eri una lepre quando ero una volpe?
ora la mia pazza barca sta attraccando
Un cuore in pena sulle tue rocce
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Post/teca
Che canta per te:non toccarmi, non toccarmi, ritorna domani:
O il mio cuore, o il mio cuore é spaventato dal dolore
Sono confuso come un bimbo appena nato
Sono turbato dalla marea:
Devo fermarmi tra i distruttori?
Devo giacere con la morte mia sposa?
Ascoltami cantare nuota da me, nuota da me, lasciati dire:
Sono qui, sono qui, aspettando di poterti abbracciare
fonte: http://traduzionetesticanzoni.superba.it/autore/Tim+Buckley/traduzionecanzone_Song+To+The+Siren/
----------“
«L’immagine del Papa può essere usata solo previa autorizzazione della Santa Sede».
(Il portavoce vaticano Federico Lombardi commenta soddisfatto la transazione legale con il
gruppo Benetton, a cui aveva fatto causa. In pratica da oggi il Papa è come Topolino, che se
provate a farci una vignetta o una parodia in photoshop il giorno dopo avete gli avvocati della
Disney alla porta).
”
— Alessandro Gilioli
------------somewhereunderthetrees ha rebloggatoaplacebeyondthesun:
“Se ora le dicevo ‘addio per sempre’ era perché volevo assolutamente che tornasse entro una
settimana; se le dicevo ‘sarebbe pericoloso vederti’, era perché volevo rivederla; se le
scrivevo: ‘hai avuto ragione, saremmo infelici insieme’, era perché vivere separato da lei mi
pareva peggiore della morte.”
— Proust (via bianco-latte)
Fonte: parafuckinoya
-------------20120517
"La frase piu' eccitante da sentire nel campo scientifico, quella che annuncia nuove scoperte, non e'
"Eureka" ma "Che strano...""
attribuita a Isaac Asimov
-----------------------curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“Sisifo era un fetente, forse il personaggio più sfacciato e meschino della mitologia greca:
opportunista, doppiogiochista e ricattatore. Ma chiaramente anche astutissimo e scaltro.
215
Post/teca
Dopo alcuni sozzissimi giochi di potere divenne re di Corinto.
Quando la figlia del dio fluviale Asopo fu rapita da Zeus, Sisifo, prima di rivelargli il nome del
rapitore (che aveva visto), volle in cambio una fonte perenne che dissetasse le sue aride terre.
Ebbe la sorgente e parlò. E ovviamente Zeus, beccato con la bella rapita, se la prese a morte
con quel Sisifo che lo aveva denunciato.
Se c’è una cosa che si apprende dalla mitologia greca è che è mooolto meglio non contrariare
Zeus. Il quale, infatti, chiese al fratello Ade di mandare Tanatos, la morte, a prendere quel
pezzo di fango di Sisifo.
Ma il furbo Sisifo, vedendosi arrivare a casa Tanatos, fece venire del buon vino e lo invitò
innanzitutto a bere. C’è sempre tempo per un bicchiere, no? Tanto buono era quel vino che
Tanatos si sbronzò di brutto, e Sisifo lo imprigionò.
In quel mentre Ares, che da buon dio della guerra se ne stava a battagliare, si accorse che la
gente che lui stesso frullava sul campo non moriva più. Al che lui pure s’inalberò - perché se a
Zeus non devi toccare le belle ragazze, ad Ares non devi toccare gli ammazzamenti. Si
presentò quindi a casa di Sisifo nero in volto, liberò Tanatos e scortò a calci Sisifo nel Tartaro
infernale.
Ovviamente Sisifo non si era però fatto trovare con le braghe calate: aveva dato ordine a sua
moglie di non seppellire il suo corpo. E suvvia, i riti funebri non si negano a nessuno! Quindi
chiese di poter tornare fra i vivi giusto il tempo di dire alla moglie “Ehi, amore, fammi un
funerale come si deve, please”. Gli dei degli inferi acconsentirono ma ovviamente Sisifo
scappò, latitando peggio di Provenzano.
Poi vuoi che Ermes lo riuscì a catturare, vuoi che la morte naturale arriva per tutti, Sisifo
discese definitivamente negli inferi. Zeus e Ade avevano avuto tutto il tempo per pensare una
pena adeguata.
E a quanto ci narra il mito Sisifo è ancora lì a spingere - ma forse non gliene frega più tanto.
Ci ha due braccia che a confronto Rambo è una ballerina dell’Opera.”
— unaparolaalgiorno.it, vedi alla voce “Sisifeo”. (via alfaprivativa)
Fonte: irisblu
----------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
bugiardaeincosciente:
«Ma tu questa persona da quanto la conosci, di lei concretamente che sai?»
«So che le piace il gelato al pistacchio e svegliarsi presto la mattina, so che fa quello che è
giusto anche se non le conviene, so che è mi è entrata dentro senza strisciare, ha bussato, le
ho aperto e so che in lei c’è tutto.»
«Ma almeno sei sicuro di come si chiama?»
«Si chiama fiducia, tenerezza, irriverenza, abracadabra, orgoglio, vino rosso, fascino, sogno,
disarmo, pioggia, sete, rifugio, canzone, ti basta?»
(Giulia Carcasi)
-----------------curiositasmundi ha rebloggatomadonnaliberaprofessionista:
“Puoi vivere con un tale per vent’anni e considerarlo un estraneo, puoi passare con un altro
venti minuti e portartelo dentro tutta la vita.”
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Post/teca
— Oriana Fallaci (via giochidisogni)
una può essere concime per i vermi da sei anni e starti ancora sui coglioni.
(via madonnaliberaprofessionista)
esattamente, ancora molto sui coglioni.
Fonte: albeinfinite
----------------curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“C’ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di
scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava
sempre il momento in cui mi si chiedeva “Chi sei?”, e io rispondevo “Sono io”, e non andava
bene. Era vero, perché io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a
pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo
imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e
gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era modo migliore, più completo, più giusto di dirgli
chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede
chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granché, come risposta: se mi si chiedesse
chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perché, dire che sono
Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è
Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni, gli altri mi chiedono dove e quando sono nato,
dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono
contenti perché credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro, e
che è figlio di Tizio e di Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non
c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio o Caia. Se fossi nato altrove, in
un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la
cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa
dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y
e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.”
— Ermanno Bencivenga. (via alfaprivativa)
Fonte: pantherain
-----------------charlesdclimer ha rebloggato violadreamlove:
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Post/teca
casshandra:
“Anche se non mi conosci ancora,
ti prego, non dimenticarmi mai..”
“also if you don’t know me yet,
please, never forgive me..”
“Quando ti vedrò,
tu ti volterai,
poi mi guarderai
ed io non me ne andò,
mi riconoscerai
io mi avvicinerò
farò quel che potrò
e tu sorriderai
quel giorno non lo so
se ci pensi mai,
che li mi bacerai,
io certo lo farò”
Cassandr@
René Aubry - Ne M’ Oublie Pas
----------------------alfaprivativa ha rebloggato kagandiacquadolce:
Come l'acqua per il cioccolato.
Benché nasciamo con una scatola di cerini dentro di noi, non possiamo accenderli da soli, abbiamo
bisogno, come nell’esperimento, di ossigeno e dell’aiuto di una candela. Solo che in questo caso
l’ossigeno deve provenire per esempio dal fiato della persona amata; la candela può essere un tipo
qualsiasi di cibo, di musica, di amore, di parola o di suono che faccia scattare il detonatore e
accendere in tal modo uno dei fiammiferi. Si produrrà dentro di noi un piacevole calore che con il
passare del tempo si andrà affievolendo, lentamente, finché non sopraggiungerà una nuova
esplosione a ravvivarlo. Ogni individuo deve scoprire quali sono i detonatori che lo fanno vivere,
poiché è la combustione che si produce quando uno di essi si accende a nutrire di energia l’anima.
Questa combustione è il nostro nutrimento. Se non scopriamo in tempo quali sono i nostri
detonatori, la scatola di cerini s’inumidisce e non potremo mai più accendere un solo fiammifero.
—Laura Esquivel
---------------plettrude:
“Noi tipe vogliamo sempre l’unicorno, ma a volte lo troviamo e quest’unicorno non è
esattamente il principe che ci immaginavamo.
Allora ce lo facciamo piacere lo stesso perché oh, il mercato è quello che è, e noi abbiamo
bisogno di ammore. Ed è in quel preciso istante che si apre una fessura intima. Tu non la vedi
ma c’è. Fossi una tipa piccipocci direi che la fessura è nel cuore. Mentre invece è nel cervello
ed impedisce certe sinapsi. Ed è li che cominci ad incularti da sola. Avere un comportamento
maschile, in amore, per una donna, non è mai una buona idea. Passata una certa età il
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Post/teca
mercato si restringe, la scelta è minore, c’è una competizione da paura.
Il duro mondo delle over 35.”
— l’amore ai tempi della collera | SporaBlog
Fonte: sporablog.com
---------------aniceinbocca ha rebloggato ilnonequilibriointeriore:
“Gli amori giovani sono la cosa più forte che esista al mondo, ecco perchè non temono gli
accidenti, dato che sono essi stessi, gli amori, per eccellenza, la massima rappresentazione
dell’accidente, il fulmine, il sorridente abbandono, l’ansioso sconvolgimento.”
— José Saramago, La zattera di pietra (via ilnonequilibriointeriore)
---------------3nding:
“Quello? Quello è fastidioso come il controspruzzo quando caghi.”
— 3nding
--------------biancaneveccp ha rebloggato angolodellormone:
“Per sorridere servono 32 muscoli e un vibratore.”
— Claudiasimple (via myborderland)
Fonte: myborderland
----------------somewhereunderthetrees:
“Anna pensa di soccombere al mercato
non lo sa perché si è laureata
anni fa credeva nella lotta
adesso sta paralizzata in strada
finge di essere morta
e scrive con lo spray
sui muri che la catastrofe è inevitabile.”
— Il liberismo ha i giorni contati, Baustelle
----------------------misantropo ha rebloggato 3nding:
Mamma rivoglio il grattacielo! Da Macao alla Cancellieri in 7
mosse
curiositasmundi:
In questo breve articolo ci limitiamo ad un semplice elenco schematico di informazioni.
● Anna Maria Cancellieri, Ministro dell’Interno, qualche mese fa dichiarava: “Noi italiani siamo
fermi al posto fisso nella stessa città a fianco di mamma e papà”. Come c’era da aspettarsi,
queste dichiarazioni suscitarono l’ira di molti, giovani e non.
● La Torre Galfa di Milano, 109 metri per 31 piani, nel 2006 fu venduta, per 48 milioni di euro,
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Post/teca
alla Immobiliare Lombarda, società del gruppo Fondiaria Sai, come si evince dalla relazione
sull’andamento della gestione del 3° trimestre dell’esercizio 2006 dello stesso Gruppo.
● Salvatore Ligresti è presidente onorario di Fondiaria Sai, che controlla mediante la holding
Premafin Finanziaria Spa, titolare di una quota del 47% del Gruppo.
11. Il direttore generale di Fondiaria SAI è Piergiorgio Peluso, 42 enne, impegnato in questi giorni
nella difficile trattativa sulla possibile fusione del suo gruppo con Unipol Assicurazioni,
Premafin e Milano Assicurazioni. Piergiorgio Peluso, 42 anni, è il figlio di Anna Maria
Cancellieri, Ministro dell’Interno.
● Il 5 maggio 2012 molti giovani, collettivi, e soprattutto tanti artisti che rivendicano autonomia
per la propria vita, spazi per fare cultura, per ridare vita a Milano decidono di occupare un
grattacielo abbandonato al degrado. Nasce Macao, ambizioso progetto politico, artistico,
culturale che solleva grande entusiasmo, non solo a Milano. Il grattacielo occupato è proprio la
Torre Galfa.
● Ligresti, che patteggiò 2 anni e 4 mesi nelle inchieste di Tangentopoli, invoca la legalità. Il
Gruppo Fondiaria SAI fa sapere di volere indietro il proprio grattacielo, inutilizzato da 15
anni.
● La polizia, diretta dal Ministro Cancellieri, nonostante i numerosi appelli, anche istituzionali,
finalizzati ad aprire il dialogo, procede con lo sgombero, senza alcuna mediazione e con
grande celerità rispetto alla media degli sgomberi in Italia.
Non tutti gli italiani sono “fermi al posto fisso a fianco di mamma e papà”, ma a volte avere la
mamma al proprio fianco aiuta?
Via: Il Corsaro, su segnalazione di OneBlood
Certo che te le tirano le bestemmie.
Fonte: curiositasmundi
--------------------
Cosa piace alle
donne
Alla mia prima ragazza non piaceva essere baciata durante il sesso. Alla
seconda non piaceva non essere baciata. Ci baciavamo di continuo. Le piaceva
essere leccata, le piaceva che le infilassi un dito in culo, le piaceva infilarmi un
dito in culo.
Ad un’amante piaceva muoversi sopra di me, ad un’altra essere inculata e
sculacciata. Una voleva essere morsa fino ad avere i lividi, un’altra voleva
graffiarmi ed essere graffiata che fosse doloroso infilarsi una maglietta.
Una bionda preferiva la penetrazione alla stimolazione clitoridea; un’altra
bionda pretendeva che la masturbassi mentre la penetravo.Qualcuna non
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voleva che gliela leccassi, qualcuna non voleva succhiarmelo, qualcuna si
lamentò perché non glielo davo da succhiare. Non abbastanza, almeno.
Mi è stato chiesto di venire più o meno dappertutto. Faccia, seno, pancia,
schiena, culo, collo, fica, bocca. Mi mancano solo i piedi, ma non ci tengo.
C’è stata a chi piaceva lento e dolce, a chi piaceva forte e veloce, a chi
piaceva a volte lento a volte veloce. C’è chi ho frequentato per troppo poco
tempo e non ho avuto modo di capire cosa le piacesse.
Io non ho idea di “cosa piaccia alle donne”. Eccetto, forse, un uomo curioso di
scoprirlo
fonte: http://rivoluzionesessuale.tumblr.com/post/23170355003
-------------------maewe:
Adesso mi faccio venire una crisi di nervi come Virginia Woolf e poi passo il tempo a letto a
scrivere lettere alla mia amante e libri su come le donne siano il top del top.
------------------
Saviano chiede 4,7 milioni
di danni per le critiche su Croce
Soldi che lo scrittore pretende dall'editore del nostro
giornale e per una storia che riguarda la famiglia del
filosofo, smentita dalla nipote Marta Herling
di MARCO DEMARCO
L'aspetto curioso della vicenda è che alla fine saranno i giudici a dire se è vera o falsa la
notizia della «mazzetta» o, se si vuole, della mancia di centomila lire offerta da Benedetto
Croce a chi lo tirò fuori dalle macerie di Casamicciola. Si parla del terremoto del 1883, del
terremoto dei ricchi, come si scrisse a quel tempo, essendo già allora Ischia meta estiva di
famiglie possidenti. L'aspetto inquietante è invece il seguente: per accertare la verità,
Roberto Saviano, che la storia l'ha raccontata come vera, ha citato per danni il Corriere del
Mezzogiorno, che invece ha ospitato una lettera critica di Marta Herling, segretario
generale dell'Istituto italiano per gli studi storici, nonché nipote del filosofo.
221
Post/teca
Roberto Saviano chiede 4,7 milioni all'editore del Corriere
del Mezzogiorno
I dubbi di quest'ultima sull'attendibilità dell'episodio, la loro pubblicazione e quindi i
successivi articoli apparsi su questo giornale e su altre testate avrebbero dato vita, secondo
Saviano, ad una vera e propria campagna diffamatoria con conseguente «pregiudizio» per
la reputazione dell'«istante». Conclusione: quattro milioni di risarcimento per danni non
patrimoniali e 700 mila per danni patrimoniali. Somme che vengono chieste
complessivamente ai vari responsabili della campagna. Tra questi, non compare il
sottoscritto, direttore del Corriere del Mezzogiorno, che quella lettera ha pubblicato e
commentato, ma il rappresentante legale dell'Editoriale del Mezzogiorno, l'azienda che
pubblica il nostro quotidiano.
Vale a dire l’unico, in sostanza, che di tutta questa vicenda, posso ben dirlo io,
non si è mai occupato. La tesi di Saviano, che la storia di Casamicciola l’ha
raccontata prima in diretta tv da Fazio due anni fa, e poi in un libro, è che Croce non
smentì mai la voce dell’offerta ai soccorritori. La tesi di Marta Herling, la cui lettera è stata
pubblicata l’8 marzo del 2011, è invece che quell’episodio non fu mai raccontato dall’unico
testimone oculare, che fu, appunto, lo stesso Benedetto Croce. Il quale descrisse più volte,
in libri e interviste, gli attimi terribili in cui perse i genitori e la sorella, ma mai accennando
al particolare della «mazzetta». E tanto per capire quanto valessero allora centomila lire, si
tenga conto che per le vittime del terremoto di Casamicciola, Papa Leone XIII, il papa della
Rerum Novarum e della dottrina sociale della Chiesa, stanziò molto, ma molto meno:
ventimila lire. La nostra tesi, mia e di Giancristiano Desiderio, infine, è che tutte le fonti
finora citate da Saviano (prima Ugo Pirro su Oggi del 13 aprile del 1950 e poi Carlo Del
Balzo, autore di un libro pubblicato poco dopo i fatti) portano, a loro volta, ad una fonte
anonima, probabilmente influenzata dalle polemiche che già al tempo divamparono sul
terremoto dei ricchi. E quella di Croce era appunto considerata una famiglia ricca.
Nessuno può escludere che Croce possa essersi autocensurato per ragioni
morali, ma perché credere più a fonti anonime che all’unico testimone? È stato
questo il quesito da me posto a Saviano. La risposta l’avrò ora con l’aiuto dei giudici
napoletani. Nel frattempo mi limito a condividere ciò che Saviano ha scritto più volte sulla
libertà di stampa. In modo particolare le parole da lui usate su Repubblicail 29 agosto
2009, a proposito delle domande a Berlusconi: «Nessun cittadino, sia esso conservatore,
liberale, progressista, può considerare ingiuste delle domande. (…) Spero che tutti abbiano
il desiderio e la voglia di pretendere che nessuna domanda possa essere inevasa o peggio
tacitata con un’azione giudiziaria. È proprio attraverso le domande che si può arrivare a
costruire una società in grado di dare risposte». Parole sagge, allora come oggi. Proprio per
questo mi colpisce che, mentre si torna in tv a celebrare il valore della parola, la si sospetti,
per quanto ci riguarda, di intenti diffamatori.
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Post/teca
Redazione online17 maggio 2012
fonte: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2012/17-maggio2012/saviano-chiede-47-milioni-danni-le-critiche-croce-201214777929.shtml
-----------------------●
Le metropolitane di tutto il mondo convergono
verso un’unica forma ideale
17MAY
Il modo in cui siamo arrivati a concetualizzare noi stessi ha portato ad alcuni affascinanti
paradossi. La maggior parte di noi è convinta che per quanto il singolo possa essere
intelligente, o al limite geniale, l’incontro di un numero sufficiente di esseri umani genera una
“massa”, ovvero un insieme indistinto e fondamentalmente ottuso, incapace di esprimere la
seppur minima intelligenza.
Accettiamo senza problemi che creature singolarmente più stupide di noi, come uccelli o
formiche, siano in grado di esprimere organizzazioni estremamente sofisticate e comportamenti
collettivamente intelligenti, ma l’idea che lo stesso possa capitare a noi ci disturba.
Siamo abituati a ritenere l’intelligenza collettiva inversamente proporzionale a quella del
singolo e siamo talmente attaccati all’idea del libero arbitrio che il sospetto che i nostri
comportamenti collettivi possano rispondere a qualche legge di ordine più generale ci appare
come una bestemmia, un’intollerabile limitazione a ciò che ci è concesso.
Non si spiegherebbe altrimenti lo scetticimo che ha accolto la famosa teoria dei Sei Gradi di
Separazione, quella teoria che sostiene che due esseri umani qualsiasi – ivi inclusi un
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Post/teca
boscimane e il presidente degli Stati Uniti – sono al massimo separati da sei passaggi. O la sua
estensione nella teoria delle Reti Piccolo Mondo, che mostra numerose convergenze e
isomorfismi in diversi ambiti della nostra organizzazione, mostrando – ad esempio – come la
struttura dei neuroni all’interno del nostro cervello sia in fondo isomorfa alla struttura di link
che chiamiamo Web. O ancora gli studi del professor Albert-Laszlo Barabasi che dimostrano
come, in fondo, il comportamento di un qualsiasi essere umano sia governato da leggi costanti
e sia quindi estremamente prevedibile. Questo genere di ricerche ci disturba, mina la nostra
idea di ciò che siamo. Molto più comodo e piacevole pensare a noi stessi come all’eccezione
intelligente in un mondo abitato e governato da masse di idioti.
Il problema è che la scienza se ne frega di quello che troviamo gradevole.
Capita così che Marc Barthelemy del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica francese
e l’analista di sistemi complessi dell’NCSR Camille Roth comincino a studiare
l’organizzazione delle metropolitane di diverse città del mondo, tra cui New York, Tokyo,
Londra ma anche Barcellona, Berlino, Chicago, Mosca, ecc. e scoprano che, nonostante questi
sistemi siano stati costruiti in momenti diversi, in risposta a diverse esigenze, da attori diversi,
tutti sembrano convergere verso un unico modello ideale.
Usando le parole di Wired:
Ad un primo livello, si potrebbe pensare che questi sistemi
ad albero siano semplicemente l’organizzazione ottimale.
Ma in assenza di una strategia di pianificazione dall’alto, la
loro evoluzione nei decenni verso uno spazio matematico
comune potrebbe indicare alcuni principi universali della
capacità dell’uomo di auto-organizzarsi.
Lo studio di Barthelemy e Roth mostra isomorfismi di alto livello (strutture basate su un cuore
centrale e una serie di rami) ma anche somiglianze molto più raffinate. In tutte le metropolitane
analizzate circa la metà delle stazioni è concentrata nei rami e non nel cuore, e la distanza tra
il centro città e la stazione più lontana è circa due volte il diametro della metropolitana.
Ci saremmo potuti aspettare molte altre forme, come una
griglia regolare. Ciò che ci ha stupito è che queste differenti
città, in diversi continenti, con storie diverse e limitazioni
geografiche specifiche si sono infine evolute nella stessa
struttura.
Il punto fondamentale è che nessuno ha pianificato questo sviluppo. La forma finale è il frutto
di spinte diverse. Certamente la pianificazione iniziale gioca un ruolo, ma ad essa si sommano
le modificazioni socio-economiche che hanno plasmato le città sovrastanti (non pianificate), gli
incidenti e le casualità e tutta una serie di forze non chiaramente indirizzate.
Questo è un punto fondamentale: se le metropolitane
fossero state sviluppate secondo un ben preciso piano, la
loro evoluzione rappresenterebbe solo quel piano. Invece
la convergenza “è il segno che esistono meccanismi basilari
e profondi che guidano lo sviluppo di un sistema urbano”
dice Barthelemy.
Come si diceva, questa non è certo la prima volta che in ambiti non pianificati dell’agire
224
Post/teca
umano si scoprono “meccanismi basilari e profondi”. E questo vale sia in ambito sociale che
all’interno del singolo. Nel suo libro “Internal Time”, il cronobiologo tedesco Till
Roenneberg dimostra come i nostri cicli di sonno-veglia siano collegati a profondi
meccanismi biologici e come spesso questi confliggano con l’organizzazione sociale.
Roenneberg parla di “jet lag sociale” (indicando con questo termine la discrepanza tra le
nostre, reali esigenze in termini di ore di sonno e orari per andare a dormire e alzarsi, e quelle
che ci vengono imposte dalla società) e punta il dito contro lo stigma che colpisce chi non è
allineato con il ciclo sonno/veglia socialmente accettato (“Chi dorme non piglia pesci”).
Il mito che chi si alza presto è una brava persona e chi
dorme fino a tardi è pigro poteva avere qualche ragione in
una società rurale, ma è oggi molto opinabile.[...]
Mentre il jet-lag reale è acuto e momentaneo, il jet lag
sociale è cronico.
In particolare, secondo Roenneberg sarebbero gli adolescenti a vivere il peggiore jet-lag sociale
visto che sarebbero tipicamente “animali notturni”.
I teenager hanno bisogno di almeno otto o dieci ore di
sonno a notte ma ne hanno molte meno durante la
settimana. Un recente studio ha scoperto che un semplice
spostamento di un’ora in avanti dell’inizio delle lezioni,
porta a la percentuale di studenti che beneficiano di otto
ore di sonno dal 35,7 percento al 50 percento. La
percentuale di presenze, le performance, la motivazione e
persino le abitudini alimentari degli studenti migliorano
significativamente in seguito a uno spostamento del
genere.
Ma da dove arriva il nostro orologio interiore? Da quelli che vengono chiamati “geni
orologio”.
Nel nucleo, la sequenza di DNA del gene orologio viene
trascritta nell’mRNA; il messaggio risultante viene
esportato dal nucleo, trascritto in una proteina orologio e
quindi modificato. La proteina orologio è essa stessa parte
della macchina molecolare che controlla la trascrizione del
gene. Non appena sono state prodotte abbastanza proteine
orologio, queste vengono importate nuovamente nel
nucleo, dove inibiscono la trascrizione del proprio mRNA.
Una volta che questa inibizione diventa abbastanza forte,
la produzione di molecole di mRNA si arresta e le molecole
esistenti vengono gradualmente distrutte. Come
conseguenza anche la produzione di proteine si arresta e
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Post/teca
quelle esistenti vengono distrutte. Non appena le proteine
sono state tutte distrutte l’inibizione cessa e un nuovo ciclo
può cominciare. [...]
Al di là della complessità, è importante capire che i ritmi
giornalieri sono generati da meccanismi molecolari che
possono potenzialmente essere al lavoro nella singola cella,
per esempio nel singolo neurone dell’SCN [il nucleo
soprachiasmatico, la regione del nostro cervello che
funziona da orologio del nostro corpo].
Se faticate a credere al dottor Roenneberg, potete confrontare le sue teorie con i risultati diuno
studio recentemente apparso su Nature, ad opera di Akhilesh Reddy e John O’Neill. I due
ricercatori dell’Università di Cambridge hanno infatti scoperto quello che sembra un “orologio
universale” al lavoro in tutte le creature viventi. Un orologio che dipenderebbe dalla necessità
di qualsiasi forma di vita che esista in un ambiente ricco di ossigeno come il nostro di liberarsi
dai radicali liberi – nocivi e potenzialmente distruttivi – che sono uno dei sottoprodotti della
lavorazione dell’ossigeno da parte delle cellule.
Ciò che questi studi suggeriscono è che il nostro agire non sia poi così libero e manipolabile
come vorremmo credere. Suggeriscono anche che qualsiasi forma di organizzazione non tenga
in considerazione il modo in cui siamo fatti e spontaneamente ci organizziamo sia
intrinsecamente debole e fallace.
Il che, volendo, ci riporta a quanto si diceva tempo fa sugli attuali movimenti politici che
spingono per un cambiamento nel modo di intendere la politica.
Trovate l’articolo di Wired sulla convergenza dei sistemi metropolitani qui e il paper
originalequi.
Trovate un’interessante recensione del libro di Roenneberg qui.
Mentre qui trovate una spiegazione del lavoro di Reddy e O’Neill e qui il loro paper originale.
fonte: http://www.ghiaccionove.com/2012/05/le-metropolitane-di-tutto-il-mondo-convergonoverso-ununica-forma-ideale/
---------------------curiositasmundi ha rebloggato xlthlx:
“il gattolicesimo (come tutti i monoteismi) spesso tende a diventare fondamentalista (esistono
comunque anche correnti di gattolicesimo ecumenico, che riconoscono diginità a qualsiasi
animale dotato di una sufficiente quantità di pelo. in quel caso si parla di gattolicesimo
mitigatto) - eddie”
— Il gatto si è lanciato dal mio letto sulla… - Raflesia - FriendFeed (viaxlthlx)
Fonte: friendfeed.com
----------------------1000eyes:
“Sicilia bella e selvaggia, dovresti avere la forma di un punto interrogativo.”
— amica su FB
226
Post/teca
----------curiositasmundi ha rebloggato elrobba:
Macao
- cosa pensate di fare esattamente?
- vogliamo dare più spazio all'arte
- ma in concreto?
- organizzare eventi artistici e razionalizzare gli spazi che ci circondano
- cioè, che progetto avete ora?
- a Milano c'è bisogno di uno spazio d'arte, dove poter liberare la cultura
- sì, ma quindi qual è il programma
- vogliamo dare spazio all'arte, cose tipo videoproiezioni, live painting e jam session
- avete una qualche idea precisa
- senti le birre costano tre e cinquanta la media, due e cinquanta la piccola
- perfetto, grazie
●
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●
●
●
-------------lubabbollu:
Il cagliaritano usa “minca” come intercalare, spesso come apertura per dare spessore o enfasi alla
frase. Minca equivale all’antico inglese “alas”. “Alas, poor Yorick” potrebbe tradursi con “Minca,
mischino Pino!”
---------aniceinbocca:
“Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti
veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è
proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora
si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene:
della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far
niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. Puoi indicarmi qualcuno che dia un
giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il
nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre
spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi:
metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra
un rinvio e l’altro la vita se ne va. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro.”
— Seneca
----------gravitazero ha rebloggato nipresa:
“L’omosessualità è contro natura. Ma anche camminare sull’acqua, morire e risorgere,
moltiplicare il cibo e rimanere incinta da vergine.”
— Anassimandro di Mileto (610 a.C. – 546 a.C) Woody Allen
(viagrandecapoestiqaatsi).
Facciamo Davide La Rosa?
227
Post/teca
(lentamente muore chi diffonde citazioni sbagliate, come diceva Neruda) (e quando
alla fine arrivano per lui non c’è più nessuno che possa dire niente, come diceva
Brecht) (e comunque *INSERT LAQUALUNQUE*, come diceva Jim Morrison)
Fonte: kon-igi
--------------------20120518
curiositasmundi ha rebloggato rispostesenzadomanda:
“Miranda fu la prima a destarsi, in un tramonto senza colori nel quale ogni dettaglio era
intensificato, ogni oggetto chiaramente definito e separato: un nido abbandonato nella
biforcazione dei rami di un albero morto da tempo, con ogni pagliuzza ed ogni piuma
complicatamente intrecciate e tessute; le pieghe della gonna strappata di mussolina di Marion
come una conchiglia; i boccoli neri di Irma lontani dal suo volto in una squisita confusione di
crini, le ciglia disegnate con vigorosi movimenti sugli zigomi. Tutto, se puoi osservarlo con
sufficiente chiarezza, come adesso, è bello e completo. Tutto ha la sua propria perfezione.”
— Joan Lindsay, Picnic a Hanging Rock (via lesventsdenorwege)
Fonte: lesventsdenorwege
-----------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“Cari cardinali, vescovi e arcivescovi, tornando in Vaticano, troverete il Papa: date una
carezza al vostro Papa e dite: “Questa è la carezza degli omosessuali.”
— Franco Sardo (Demerzelev)
Fonte: dovetosanoleaquile
-------------------------tattoodoll ha rebloggato ilfascinodelvago:
“Sono sempre diffidente delle persone a cui non piacciono i cani mentre mi fido tantissimo del
cane quando non gli piace una persona.”
—
Luca Preziosi @Luca_Preziosi
(via ilfascinodelvago)
-----------------solinonsinascesidiventa ha rebloggato paroledicarta:
r-ondine:
la prima cosa che faccio, appena comprato un libro, è leggerne l’ultima pagina / l’ultima riga. e,
quanto vorrei poter fare la stessa cosa con le persone.
Fonte: r-ondine
----------------dovetosanoleaquile:
Radical cric- Umore Maligno
Conoscere vita e opere di Pasolini è uno status symbol del radical chic medio, così come sapere
a memoria le canzoni di Guccini, indossare i pantaloni di Margherita Hack a mo’ di foulard o
228
Post/teca
sgranocchiare un femore di Gramsci. Prendiamo Patti Smith: è la classica meteora che scritta
una canzone di successo passa i seguenti trent’anni a drogarsi e fottere troie; be’, una volta
rimasta senza un soldo, cosa fa? Impara qualcosa di Pasolini, si allena a leggere due poesie in
pubblico, Fazio lo viene a sapere, la invita a Che tempo che fa per cantare la sua canzone del
cazzo in un programma del cazzo e due mesi dopo mi ritrovo con la mia ragazza che rompe i
coglioni per andare a vedere la data del nuovo tour di Patti Smith, because stocazzo. Spero
proprio che muoia un giorno o l’altro, quel Pasolini lì.
--------------------dovetosanoleaquile:
Radical cric- Umore Maligno
Uomini: se una donna intavola una discussione su Pasolini, dovete sapere che la sera stessa andrete
al cinema a vedere un film impegnato.
Donne: se un uomo intavola una discussione su Pasolini, dovete sapere che vuole solo scoparvi.
Uomini: se un altro uomo intavola una discussione su Pasolini, lasciatelo pure andare al cinema con
la vostra donna.
-----------------
18/5/2012
di massimo gramellini
Riabilitazione postuma
La notizia della morte di Donna Summer mi ha riportato alla mente il giorno in cui pensai di essere
morto io. Accadde quando una ragazza impegnata, che corteggiavo in modo inconcludente
accompagnandola a vedere film d’avanguardia turchi sottotitolati in tedesco, scoprì nel vano della mia
utilitaria la cassetta dei grandi successi di Donna Summer: «I feel love» e «I love to love you baby», 17
minuti di mugolii interrotti dalla sua voce che ripeteva «I love to love you baby». Qualcuno l’aveva
messa lì a mia insaputa. All’epoca ascoltavo solo rock duro, cantautori impegnati e Baglioni, ma in
bagno e con le cuffie per ragioni di privacy. La ragazza impegnata la prese malissimo. Forse nessuno le
aveva mai detto «I love to love you baby», e per 17 minuti di fila. Avrei dovuto inserire la cassetta
nell’autoradio e alzare il volume a palla. Invece le dissi la verità, ma con un tale senso di vergogna che a
lei sembrò una bugia. Liberato della sua presenza, annegai il dolore nelle discoteche che cominciavano a
prendere il posto delle assemblee studentesche come luogo di aggregazione sociale, rimbecillendomi coi
suoni ipnotici di Donna Summer. Mi esibivo nel classico ballo ipnotico di Donna Summer: piedino
destro avanti in diagonale, piedino destro indietro, piedino sinistro avanti in diagonale, piedino sinistro
indietro. Per 17 minuti.
Ora che Donna non c’è più, risento a piè fermo «I love to love you baby». Sembra bella. O comunque
migliorata. Dovrei imparare a vergognarmi meno del presente, perché prima o poi diventerà un passato
da rimpiangere.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?
229
Post/teca
ID_blog=41&ID_articolo=1180
-------------------curiositasmundi ha rebloggato ariel-in-wonderland:
“Sognavi di avere quel sorriso in tasca che ho visto su vele in burrasca, il folle volere, e voglia
di andare.”
— Max Gazzè - L’amore pensato (via ariel-in-wonderland)
-------------------nives ha rebloggato curiositasmundi:
“come son belle le illusioni
ed i pensieri tristi
e le canzoni degli anni settanta
e quella voglia di andare via
e il desiderio di restare.”
— Il Teatro Degli Orrori - Due (via about-henriette)
Fonte: about-henriette
-----------------------selene ha rebloggato iocercoteneivisitristi:
“«Sai quel posto che sta tra il sonno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando?
Quello è il luogo dove ti amerò per sempre».”
— James Matthew Barrie; Peter Pan (via iocercoteneivisitristi)
-----------------waxen ha rebloggato coqbaroque:
“
Mi vuoi colare la cera bollente addosso? C’è un sovrapprezzo. Vuoi sculacciarmi, vuoi
frustarmi? C’è un sovrapprezzo. Ogni costrizione, ogni umiliazione, ogni abuso ulteriore ha
un suo prezzo. E un suo limite.
Come si chiamano nel vostro mondo? Stage, collaborazioni, contratti a progetto, straordinari?
Ecco, solo che i miei sono pagati.
”
— Furnnyphylliä. | Un mio post su Diecimila.me (via coqbaroque)
Fonte: diecimila.me
-----------strategismo ha rebloggato ohanaflowers:
Mettiamo in chiaro le cose.
ohanaflowers:
Pane con: pomodoro strusciato, olio, sale e pepe E’ UNA COSA.
Pane con: aglio strusciato, pomodoro, olio sale e pepe E’ UN’ALTRA.
La prima, almeno in Toscana, almeno a Firenze…almeno a casa mia, si fa:
230
Post/teca
- o per fare merenda;
- o a fine pasto ” pe ripulissi la bocca “;
- o a inizio pasto ” pe aprissi lo stomaco “.
La seconda é una B-R-U-S-C-H-E-T-T-A, che di solito si mangia come antipasto.
Non cercate di saperne più di me perché in campo di magnà non mi batte nessuno.
Passo e chiudo.
------------[...] Segnaliamo anche A ciascuno il suo cinema, uscito il 14 maggio: si tratta di un
lungometraggio fatto di trentatré corti, girati da trentacinque registi, che era stato
realizzato per la sessantesima edizione del Festival di Cannes. Il film è uscito in poche sale,
ma fino al 27 maggio verrà trasmesso in streaming su MyMovieslive, ogni sera alle 21.30.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/18/i-film-del-weekend-44/
----------
Catania, ladri dei parcometri
boom di furti con l'auto ariete
In due settimane i ladri hanno divelto 16 parcometri di Sostare l'azienda municipalizzata che
gestisce la sosta a pagamento. Un dirigente ha anche subito l'incendio della propria auto
di SALVO CATALANO
Gli ultimi due parcometri li hanno divelti la scorsa notte, e in totale fanno 16 in due settimane.
Tutti con la tecnica dell'auto ariete: i macchinari vengono abbattuti e portati via per essere svuotati.
A Catania ad essere presi di mira sono le colonnine della Sostare, l'azienda municipalizzata che
gestisce le strisce blu e che da qualche mese ha installato 300 parcometri per la sosta a pagamento.
"All'inizio - spiega Giacomo Scarciofalo, direttore di Sostare - pensavamo ad azioni compiute da
balordi a caccia di poche centinaia di euro, ma gli episodi sono diventati troppi e ne sono seguiti
231
Post/teca
anche di più gravi".
Scarciofalo si riferisce all'incendio della sua auto di servizio, bruciata sotto casa tre giorni fa, e di
tre scooter usati dagli ausiliari del traffico. In quest'ultimo caso, i malviventi non hanno avuto
timore di agire di giorno, lanciando sui motorini posteggiati alcune bottigliette di benzina con una
miccia accesa, "delle piccole molotov", precisa il direttore di Sostare.
Da due notti, quindi, una ronda composta da personale interno all'azienda, vigila sui parcometri del
centro storico, in particolare nella zona a sud del viale Mario Rapisardi. Perché proprio tra via
Plebiscito, via Antico Corso e piazza Vaccarini sono avvenuti tutti gli episodi.
"La scorsa notte - racconta Scarciofalo - i nostri uomini hanno intercettato un furgone sospetto
nella zona del carcere di piazza Lanza e ne è nato un inseguimento, purtroppo vano. Nel frattempo,
in via Tomaselli un fiorino ha divelto un altro parcometro". Ecco perché, secondo i vertici della
Sostare, sono almeno due le squadre di malviventi che entrano in azione di notte.
Ogni colonnina rubata conteneva in media meno di cento euro, in alcuni casi il bottino è stato di
poche decine di euro, ma il danno rilevante riguarda i macchinari, visto che ogni parcometro ha un
prezzo di circa 6mila euro.
"Non siamo noi direttamente a pagare, ma l'azienda tedesca fornitrice - precisa il direttore della
municipalizzata - che di fronte ad episodi di questo tipo potrebbe pensare di rinegoziare il
contratto o di lasciare definitivamente il servizio".
Nonostante il forte rumore provocato da una tecnica come quella dell'auto-ariete, alle forze
dell'ordine non è giunta nessuna segnalazione o denuncia da parte dei cittadini. Sulle motivazioni
alla base delle intimidazioni, Scarciofalo non ha dubbi: "Diamo fastidio, perché abbiamo messo un
po' di ordine in città con le strisce blu e rappresentiamo un presidio di legalità".
(15 maggio 2012)
fonte:
http://palermo.repubblica.it/cronaca/2012/05/15/news/catania_ladri_dei_parcometri_boom_di_furti
_con_l_auto_ariete-35192456/
-------------------falcemartello:
...
Dicono che non si possa perdere qualcosa che non si è mai avuto o qualcuno che non si è mai
stretto a se, allora cos’è questa fottuta malinconia e questo senso di vuoto?
——- Vista l’ora mi sa che è lo stomaco vuoto…BUON APPETITO! ;-)
--------------
Lancia gli trafigge la testa e cambia
personalità
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Post/teca
Svelato il «giallo medico» di Phineas Gage
Studiosi dell'University of California hanno costruito
un modello del cranio: «Significativa perdita di
materia bianca»
Phineas Gage con il punteruolo che lo ha trafitto
MILANO - Era 13 settembre del 1848. Phineas Gage, come al solito, era alle prese con
bulloni e travi di ferro sul suo polveroso luogo di lavoro. C'era una ferrovia da costruire e
lui era il supervisore del cantiere per la linea Rutland-Burlington nel Vermont. Ma più che
per l'opera di viabilità, Gage è passato alla storia per un mistero medico che lo ha visto
protagonista. L'uomo stava armeggiando con un punteruolo lungo un metro per pressare
dentro una roccia della polvere da sparo. All'improvviso un boato: si innesca
accidentalmente un'esplosione e il punteruolo si trasforma in una lancia che trafigge il viso
di Gage. L'arnese buca la guancia sinistra, lo trapassa ed esce fuori dalla parte superiore
della testa. Inspiegabile quanto accaduto subito dopo: Gage non si accascia, ma addirittura
resta lucido. I testimoni dell'incidente racconteranno che l'asta è stata poi ritrovata,
«imbrattata di sangue e cervello». Quello di Gage diventa lo strano caso di una morte
scampata e di una rinascita: miracolosamente, agli occhi dei neuroscienziati increduli,
l'uomo sopravvive a un incidente che gli distrugge gran parte del lobo frontale sinistro.
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Post/teca
Una ricostruzione delle lesioni subite da Gage
UN ALTRO GAGE - Ma ancora più misteriosi per gli esperti sono gli effetti provocati
dall'infortunio sulla sua personalità: Gage si trasforma dal 25enne affabile che era in una
persona intrattabile, preda di alti e bassi dell'umore, irriverente e blasfema. Una
trasformazione che porta i suoi amici ad affermare con decisione che «quello non è più
Gage». Diversi scienziati hanno studiato il caso negli anni, l'esatta traiettoria dell'asta nel
cervello dello sfortunato manovale, l'angolatura della lesione alla corteccia cerebrale,
l'impatto che ha avuto sul carattere. La sua storia torna ora in auge perché si è guadagnata
uno spazio sulla rivista Plos One. Un team di ricercatori dell'Ucla (University of California,
Los Angeles), sulla base di dati raccolti nel 2001 sul cranio di Gage esposto al museo
dell'Harvard Medical School, hanno realizzato per la prima volta una simulazione
dell'incidente. Hanno quindi indagato sul danno alle connessioni della materia bianca che
legano diverse regioni del cervello. Ed è proprio lì che, secondo gli scienziati, si nasconde la
spiegazione del passaggio irreversibile di Gage da dottor Jekyll a mister Hyde.
IL CRANIO RICOSTRUITO - Il cranio di Gage ha ormai 189 anni ed è fragile, dunque
non è possibile sottoporlo a esami di imaging. Così gli esperti hanno scovato l'ultima
tomografia eseguita, risalente al 2001, che si era persa al Brigham and Women's Hospital,
e sono riusciti a ricostruire le scansioni a una risoluzione di qualità più alta che ha reso
possibile creare un modellino del teschio di Gage. Il passo successivo è stato simulare
l'esatta traiettoria della lancia e integrare le informazioni disponibili con immagini
moderne del cervello di un uomo con le stesse caratteristiche e la stessa età di Gage. A quel
punto, per gli scienziati è stato possibile ricostruire l'anatomia dell'operaio e valutare i
danni dell'incidente. Jack Van Horn, un neurologo dell'Ucla, e i suoi colleghi hanno
osservato che anche se circa il 4% della corteccia cerebrale è stato trafitto dall'asta di 6 chili
spessa 3 centimetri, in realtà più del 10% della materia bianca è stato lesionato con danni
estesi alle connessioni, cosa che ha dato il maggior contributo al cambiamento di
personalità. La materia bianca e la sua guaina mielinica collega miliardi di neuroni che
permettono di ragionare e ricordare.
MATERIA BIANCA - «Quello che abbiamo osservato è una significativa perdita di
materia bianca che connette la regione frontale sinistra e il resto del cervello di Gage spiega Van Horn - e pensiamo che la distruzione di questa rete del cervello lo abbia
notevolmente compromesso». Le connessioni perse si trovavano fra la corteccia frontale
sinistra, temporale sinistra, frontale destra e la struttura limbica sinistra del cervello e
questo ha avuto effetti sulle sue capacità e sulle sue funzioni emozionali. Il povero Gage ha
visto cambiare da un giorno all'altro la sua personalità, ma non tutte le funzioni sono state
compromesse, tanto che è riuscito a viaggiare e a trovare un impiego come autista di
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Post/teca
diligenze per diversi anni nell'America del Sud. È morto a San Francisco 12 anni dopo
l'incidente. «L'estesa perdita di connettività nella materia bianca in entrambi gli emisferi è
simile a quella di cui soffrono i pazienti con lesioni da trauma cranico - osserva Van Horn e ci sono analogie anche con alcune malattie degenerative come l'Alzheimer in cui le
connessioni neurali si degradano nei lobi frontali e questo si collega a profondi
cambiamenti comportamentali».
(Fonte: Adnkronos Salute)18 maggio 2012 | 15:09
fonte: http://www.corriere.it/salute/12_maggio_18/phineas-gage-lancia-testa_ca86e61c-a0cd-11e1b2d7-87c74037ee6c.shtml
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10 fobie ispirate
da madre
natura
Un fine settimana in agriturismo? Per molti è una sana pausa dallo stress cittadino, per altri
(fobici) può diventare in un tranquillo weekend di paura
15 maggio 2012
di Francesco Musolino
Per la maggior parte delle persone, la natura e lo stare all’aria aperta è semplicemente sinonimo di pace e relax allo stato
puro, lontano da smog e stress. Ma questa semplice equazione non vale per tutti, difatti sono numerose le fobie legate
alla natura, alcune davvero irrazionali, altre meno. Altre ancora hanno ispirato horror al cinema. Di seguito 10
terrificanti fobie, ispirate dalla vita all’aria aperta, redatte dal sito Mother Nature Network.
Limnofobia
Se avete paura di entrare in un lago, una palude o uno stagno soffrite di limnofobia. Ogni weekend, i laghi sono fra le
mete preferite specialmente al settentrione, poiché più vicini del mare e magari più confortevoli ma non tutti
preferiscono questa soluzione, anzi, il terrore di non sapere cosa vi possa essere sotto la superficie può davvero atterrire.
Del resto i film horror hanno spesso sfruttato questa fobia.
Hilofobia
Le foreste sono luoghi incantati, ma a volte possono nascondere pericoli. Nei libri di fiabe (ad esempioCappuccetto
Rosso), nei romanzi e al cinema, boschi e foreste si tramutano in luoghi pericolosi, infestati da creature mostruose. Non
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Post/teca
è poi così bizzarro che ci sia chi li teme.
Agrizoofobia
Certo a nessuno piacerebbe dover fuggire dalle grinfie di un orso o doversi rifugiare per proteggersi da un branco di lupi
affamati. Ma chi soffre di agrizoophobia va ben oltre, difatti non può possedere un animale domestico o persino andare
allo zoo senza essere preda del terrore puro.
Eliofobia
Non sono solo i vampiri a temere la luce diretta del sole e le sue conseguenze. Difatti chi soffre di Eliofobiafa di tutto
per fuggire l’esposizione solare e si lascia andare a comportamenti anche bizzarri – ad esempio coprire le finestre con
teli di juta o con la stagnola – pur di proteggere la propria incolumità. La motivazione può diversa: dal timore del
cancro alla pelle alla paura che il sole stesso possa esplodere, cancellando la Terra e la galassia intera. In questo caso,
purtroppo, non basterebbe restare in casa.
Dorafobia
È la paura delle pelli e può nascere dalla consapevolezza del dolore e dalle pene patite dagli animali al fine di prendere
la loro pelliccia ma può diventare un problema anche sentirne l’odore, la vista o la consistenza. Alcune volte può
insorgere come istinto difensivo dopo aver subito l’attacco di un animale selvatico.
Selacofobia
Pochi al mondo non temono gli squali e un loro attacco in mare aperto. Ma chi soffre di selacofobia patisce
un’irragionevole paura degli squali al punto tale da rifiutare persino di nuotare in piscina laddove questa si trovi vicino
alla costa marina.
Ancrofobia
Una piacevole brezza estiva in riva al mare può essere il primo passo per una fantastica giornata e in generale, il vento
può essere salvifico perché capace di allontanare lo smog, come sanno bene gli automobilisti costretti a riporre l’auto in
garage per l’aumento delle polveri sottili. Ma chi soffre di ancrofobia ha un grande terrore del vento ed è costretto a
rifugiarsi al coperto, allontanandosi anche da oggetti come girandole e aquiloni.
Entomofobia
Chi soffre della paura degli insetti va nel panico appena sente qualcosa muoversi, strisciare o volare vicino, al punto tale
da rifiutarsi di uscire di casa e spendere un mucchio di soldi per proteggere il proprio focolare da ospiti sgraditi.
Anablefobia
Chi ne soffre (ovvero la paura di guardare in alto) non ha nessuna intenzione di sdraiarsi sulla schiena ad osservare il
cielo stellato in una sera estiva perché ha il sacro terrore dell’infinito in senso lato e anche dell’immensità celata in esso.
Antrofobia
A chi non piacciono i fiori con i loro colori, ora delicati ora sgargianti e il loro aroma, talvolta delicato e altre volte
spiccato? Sicuramente a chi soffre di antrofobia, può bastare la vista di una rosa per avere brividi e conati di vomito.
Una paura che può essere indotta dal terrore degli insetti che gravitano attorno ai fiori o dalle malattie che potrebbero
veicolare.
fonte: http://life.wired.it/news/natura/2012/05/15/10-fobie-ispirate-da-madre-natura.html
-------------------cosinonmidimentico:
I Mennoniti sono arrivati in Bolivia negli anni Cinquanta dal Canada, dal Messico o dal Belize dove il loro stile di vita era stato minacciato - invitati dal governo con la promessa di una terra e
della libertà religiosa. Oggi in Bolivia ci sono più di cinquantamila Mennoniti, o Menonos, come
vengono chiamati lì, che vivono ancora come i loro antenati: senza automobili, elettricità, telefono,
236
Post/teca
ed estremamente isolati dalla comunità locale.
Il fotografo spagnolo Jordi Ruiz Cirera ha realizzato un reportage stupefacente sulla loro comunità,
che potete vedere qui e qui.
link: http://www.jordiruizcirera.com/menonos.html
link: http://www.jordiruizcirera.com/portraits.html
-----------
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Post/teca
20120520
Dubbi esistenziali sull’editoria
E se la qualita’ del prodotto editoriale non c’entrasse nulla? E se la vendita dei libri fosse una lotteria dove si riducono i
luoghi dei libri per ammassare sempre piu’ persone in negozi sempre piu’ zeppi di libri sperando che alla fine dalla
legge dei grandi numeri e dal caos si produca un venduto che non rispetta nessuna regola del marketing, della
produzione, della diffusione, del posizionamento negli scaffali e premia un’editoria media che gioca sulle grandi
quantita’ per stare in piedi con la pesca a strascico dei lettori, anziche’ preparare pazientemente ogni titolo come
un’appetitosa esca letteraria? E se il segreto della vendita fosse stampare un mucchio di titoli (se te lo puoi permettere)
diffonderli in un mucchio di librerie (e se puoi permettertelo, anche gli autogrill) e fare tutto questo per anni, aspettando
che il tempo e il caso facciano il loro corso trasformando in ricchezza una fisiologica percentuale di libri che non
resterebbero invenduti nemmeno a mettercisi d’impegno? E se l’editoria fosse solo un grande gioco del lotto dove tu
getti le tue palline rosse in un mare di palline bianche, sperando che qualcuno sordo e cieco decida di pescare una
pallina rossa senza alcuna ragione apparente se non quella di un inspiegabile miracolo del caso? E se vincesse chi puo’
buttare nel mucchio il maggior numero di palline del proprio colore? Dov’e’ finito l’editore/artigiano? Avra’ rotto il
GPS e non si trova piu? Tutti questi misteri e molti altri su rieducational channel.
fonte: http://cgubi.tumblr.com/post/23310983764/dubbi-esistenziali-sulleditoria
-----------------------teachingliteracy ha rebloggato noseinabook:
12 Famous Book Titles That Come From Poetry
amandaonwriting:
1. The Lovely Bones by Alice Sebold - “I Knew a Woman” by Theodore Roethke
I knew a woman, lovely in her bones,
When small birds sighed, she would sigh back at them;
Ah, when she moved, she moved more ways than one:
The shapes a bright container can contain!
2. A Handful of Dust by Evelyn Waugh - The Waste Land by T.S. Eliot
…I will show you something different from either
Your shadow at morning striding behind you
Or your shadow at evening rising to meet you;
I will show you fear in a handful of dust.
3. Things Fall Apart by Chinua Achebe - “The Second Coming” by William Butler Yeats
Turning and turning in the widening gyre
The falcon cannot hear the falconer;
Things fall apart; the centre cannot hold;
4. Of Mice and Men by John Steinbeck - “To a Mouse, on Turning Her Up in Her Nest with the
Plough” by Robert Burns
But little Mouse, you are not alone,
In proving foresight may be vain:
The best laid schemes of mice and men
Go often askew,
And leave us nothing but grief and pain,
For promised joy!
5. Far from the Madding Crowd by Thomas Hardy - “Elegy Written in a Country Churchyard” by
Thomas Gray
Far from the madding crowd’s ignoble strife
Their sober wishes never learn’d to stray;
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Post/teca
Along the cool sequester’d vale of life
They kept the noiseless tenor of their way.
6. Remembrance of Things Past by Marcel Proust - “Sonnet 30″ by William Shakespeare
When to the sessions of sweet silent thought
I summon up remembrance of things past,
I sigh the lack of many a thing I sought,
And with old woes new wail my dear time’s waste:
7. Endless Night by Agatha Christie - “Auguries of Innocence” by William Blake
Every night and every morn,
Some to misery are born,
Every morn and every night,
Some are born to sweet delight.
Some are born to sweet delight,
Some are born to endless night.
8. For Whom the Bell Tolls by Ernest Hemingway - “Meditation XVII” by John Donne
No man is an island, entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main; if a
clod be washed away by the sea, Europe is the less, as well as if a promontory were, as well as if a
manor of thy friend’s or of thine own were; any man’s death diminishes me, because I am involved
in mankind, and therefore never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee.
9. The Heart is a Lonely Hunter by Carson McCullers - “The Lonely Hunter” by William Sharp
O never a green leaf whispers, where the green-gold branches swing:
O never a song I hear now, where one was wont to sing.
Here in the heart of Summer, sweet is life to me still,
But my heart is a lonely hunter that hunts on a lonely hill.
10. I Know Why the Caged Bird Sings by Maya Angelou - “Sympathy” by Paul Laurence Dunbar
It is not a carol of joy or glee,
But a prayer that he sends from his heart’s deep core,
But a plea, that upward to Heaven he flings —
I know why the caged bird sings!
11. Tender is the Night by F. Scott Fitzgerald - “Ode to a Nightingale” by John Keats
Already with thee! tender is the night,
And haply the Queen-Moon is on her throne,
Cluster’d around by all her starry Fays
But here there is no light,
Save what from heaven is with the breezes blown
Through verdurous glooms and winding mossy ways.
12. A Passage to India by E.M. Forster - Leaves of Grass by Walt Whitman
Passage to India!
Struggles of many a captain–tales of many a sailor dead!
Over my mood, stealing and spreading they come,
Like clouds and cloudlets in the unreach’d sky.
Fonte: amandaonwriting
-------------------------tattoodoll ha rebloggato colorolamente:
“A sedici anni, a scuola, si dovrebbe morire solo di noia.”
— (via wendyssworld)
Fonte: cercami
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Post/teca
---------------ilfascinodelvago:
Manifesto del Fascioprogressismo
L’Umanità si divide in Buoni e Cattivi. Noi siamo i Buoni.
Chiunque può essere Buono. L’unico requisito richiesto è pensarla come Noi.
Noi non siamo Fascisti: i Fascisti sono Cattivi.
Non esistono metodi Fascisti, ma solo persone Fasciste.
Fascista è chi Noi pensiamo sia Fascista.
Se uno di Noi diventa Fascista, in realtà ha solo finto di essere un Buono. E Noi lo abbiamo
sempre saputo, e assecondato.
Noi sappiamo cosa è meglio per te e te lo imporremo per il tuo bene. (corollario di Steve Jobs)
I Buoni non commettono reati.
I reati sono definiti dalle azioni dei Cattivi (corollario del processo di Tokyo).
I Cattivi sono Cattivi, sempre.
Un Cattivo non può mai dire una cosa sensata.
Un Buono può diventare Cattivo, un Cattivo non può mai diventare Buono.
Berlusconi è Molto Cattivo.
L’unico Cattivo Buono è il Cattivo morto.
Se il Cattivo è morto, potrebbe non essere stato così Cattivo.
I Buoni detengono l’egemonia Morale e Culturale.
Il pensiero unico dei Buoni è indipendente.
Ogni Buono è perfettamente libero di uniformarsi al pensiero unico.
Noi non facciamo informazione di parte, raccontiamo la Verità.
La Verità esiste e coincide con la nostra versione dei fatti.
I Cattivi sono zotici ignoranti teledipendenti.
I Buoni guardano le trasmissioni di Santoro, Floris, Lerner, Bignardi, Gabanelli, Telese, Fazio,
Dandini, Annunziata ma non sono teledipendenti perché i suddetti non vanno mai in onda a
causa della censura di regime dei Cattivi.
La polizia è Cattiva, sempre.
Le violenza è cattiva, salvo se rivolta contro un Cattivo.
Solo i cattivi commettono violenza. La violenza contro i Cattivi è tirannicidio.
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Fonte: logorio.blogspot.co.uk
--------------------ilfascinodelvago:
Distinguo
UN CONTO è dire che negli introiti dello stato
rientra per gran parte denaro riciclato, proveniente dai
guadagni illeciti della malavita e della criminalità
organizzata e UN CONTO è dire che lo stato, pur
trovandosi ad amministrare anche queste ricchezze,
debba sentirsene in qualche modo compartecipe.
UN CONTO è dire che l’industria più fiorente e redditizia
del nostro paese è quella che importa la droga, la lavora
e ne amministra il mercato e UN CONTO è dire che lo
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Post/teca
stato, pur traendone complessivo vantaggio, debba
esprimere nelle parole e nei fatti il suo più categorico
dissenso.
UN CONTO è dire che gran parte dei titoli di stato
vengono acquistati dalla mafia e dalla camorra e UN
CONTO è dire che lo stato, a fronte di questo pur ingente
sostegno economico non debba dimostrare altro che
indignazione e sdegno.
Un conto è la malavita e i suoi sporchi affari e un conto è
lo stato: le sue responsabilità, la sua centralità politica,
sociale e morale.
Mi faccia due fatture separate
IL LIBRO DE KIPLI
Corrado Guzzanti
-----------------
LEGGI ECCEZIONALI
Non ci servono leggi eccezionali per la droga,
non ci servono leggi eccezionali per la mafia,
per la criminalità,
piccola o grande che sia…
quelle che abbiamo vanno bene,
non distraiamoci con falsi problemi!
Non perdiamo tempo a discutere di competenze
e di disposizioni,
di territori e di giurisdizioni,
di super-prefetti e super-magistrati…
Perdersi in cavilli non servirà a niente,
non porterà a nessun risultato,
nessun beneficio,
nessun vantaggio reale.
Cos’è questa foga legiferatoria?
Non ci servono leggi eccezionali,
ci sono già delle buone leggi,
abbiamo delle ottime leggi…
Ci basti non applicare quelle!
Corrado Guzzanti
Il Libro de Kipli
-----------------biancaneveccp ha rebloggato damadipicche:
“Vorrei scriverti addosso che siamo l’errore più giusto che potessimo fare.”
— (via spippola)
Fonte: spippola
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Post/teca
------------------pensaunpo ha rebloggato alchemico:
“
Miles Davis – uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, non soltanto nel jazz – era un uomo
di poche parole. La sua voce, che si sente in qualche registrazione in studio, era bassa e
rugginosa, probabilmente proprio perché usata raramente. Ma quando parlava, ero spesso
abrasivo, ben cosciente dei torti subiti dai neri.
Una sera del 1987, fu invitato a una cena da Ronald Reagan. A un certo punto, Nancy, la first
lady, gli si rivolse, evidentemente ignara di chi fosse quel tizio seduto a tavola con lei, e gli
chiese garrula che cosa avesse fatto nella vita per meritare un invito a cena alla Casa bianca.
«Be’ – rispose Miles Davis con perfetto aplomb – ho cambiato il corso della musica 5 o 6 volte.
E lei, oltre a scopare con il presidente?»
”
— Miles Davis va alla Casa bianca « Sbagliando s’impera (via alchemico)
So what? :-)
Fonte: borislimpopo.com
----------------bloodybetty ha rebloggato marinabarnato:
- Ti piace giocare?
- Mmh, si!
- Allora, facciamo un gioco. Parliamo al telefono, usciamo insieme, ridiamo e scherziamo.
- E poi?
- E poi niente, il primo che s’innamora, perde.
---------------------ilfascinodelvago:
“Questa tragedia fa tornare alla mente tristi precedenti. Ci vorranno decenni prima che i
colpevoli vengano finalmente proclamati innocenti.”
—
dan11
--------------hollywoodparty ha rebloggato itsalwaysaworkinprogress:
“terremoto in Emilia, gli inquirenti seguono la pista anarchica.”
—
It’s Always a Work in Progress:
Fonte: grandecapoestiqaatsi
--------------------curiositasmundi ha rebloggato uaar-it:
Un papa a/dorato
uaar-it:
Il papa a Arezzo con la croce d’oro,
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Post/teca
la veste d’oro e d’oro il pastorale,
parlando della crisi e del lavoro
ha inviato un messaggio universale
indicando (al dito un anello d’oro)
uno “stile di vita più essenziale”
e il popolo in coro: occhèi… occhèi…
prego sua santità… cominci lei!
Francesco Burroni (Left, in edicola dal 19 maggio)
----------------teachingliteracy ha rebloggato amandaonwriting:
The Average Book Has 64,500 Words
amandaonwriting:
Here’s a sampling of classics and where their word counts land them on the spectrum. Click on the
title to view all the statistical viscera.
Animal Farm
29,966 words (75% of books have more words)
Ethan Frome
30,191 words (75% of books have more words)
The Crying of Lot 49
46,573 words (64% of books have more words)
Slaughterhouse-Five
47,192 words (64% of books have more words)
We Have Always Lived in the Castle
53,510 words (58% of books have more words)
Lord of the Flies
62,481 words (51% of books have more words)
Brave New World
64,531 words (50% of books have more words)
The Adventures of Tom Sawyer
70,570 words (45% of books have more words)
Portnoy’s Complaint
78,535 words (41% of books have more words)
Lolita
112,473 words (21% of books have more words)
Madame Bovary
117,963 words (18% of books have more words)
Mansfield Park
159, 344 words (9% of books have more words)
Moby-Dick
209,117 words (4% of books have more words)
East of Eden
226,741 words (3% of books have more words)
Ulysses
262,869 words (2% of books have more words)
Middlemarch
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Post/teca
310,593 words (2% of books have more words)
War and Peace
544,406 words (0% of books have more words)
http://blogs.publishersweekly.com/blogs/PWxyz/2012/03/06/the-average-book-has-64500-words/
---------------Jorge Mendez Blake - El Castillo (The Castle), 2008
http://www.meessendeclercq.be/artists/jorge-mendez-blake/works/P24/
-------------------grandecapoestiqaatsi ha rebloggato misswasabisauce:
Esiste un istante, nel pomeriggio della domenica, in cui passi
dall’avere ancora il pigiama all’avere già il pigiama.
misswasabisauce:
yellowdandelioninspring
Fonte: yellowdandelioninspring
--------------------3nding:
“
Nichi Vendola che vuole togliere “l’ossigeno a queste bestie”, Roberto Castelli che vuole
“seppellire vive” queste persone, Pierluigi Bersani che vuole “colpire gli infami” e “garantire
la serenità”.
E poi Jens Stoltenberg, primo ministro norvegese, che all’indomani della strage di Utøya con
69 ragazzi morti ammazzati, disse che la risposta del suo paese sarebbe stata “più democrazia,
più trasparenza, più umanità”.
”
— Fabio Alemagna su Fb
-----------------inveceerauncalesse ha rebloggato giuppylicious:
“Il volersi bene si costruisce. Ma l’amore quello vero, no. L’amore lo senti immediato, non ha
tempo. É dire “ti sento”. Un contatto di pelle, un abbraccio, un bacio. Mantenersi, il mio
verbo preferito, tenersi per mano. Ti può bastare per la vita intera, un attimo, un incontro.
Rinunciarvi è folle, sempre e comunque.”
— Erri De luca (via esistonostorie)
Fonte: esistonostorie
-------------------20120521
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Post/teca
L'Italia del mattone va ripensata
MARIO TOZZI
Quando furono impiccati, ai patrioti risorgimentali di quella che sarebbe diventata l’EmiliaRomagna
veniva anche imputata la colpa di aver scatenato i terremoti che nel 1831-1832 sconvolgevano la
regione. A salvare Ciro Menotti sarebbe bastata un po’ di memoria o di lettura di cronache: già nel
1831 a Parma e Reggio Emilia vennero giù comignoli, muri, tegole e calcinacci.
Erano terremoti del VII-VIII grado della scala Mercalli, ma potevano arrivare al X, come furono
intensi quelli del 1811, del 1810, del 1806 e quello del 1732, quando di moti non se ne parlava
nemmeno. E non erano certo i primi terremoti di cui si conservasse memoria storica: molti morti
avvennero nel Forlivese già nel 1279 e ancora vittime e distruzione nel 1688. Altro che inaspettati.
Oggi dovremmo essere consapevoli che quella fetta di pianura padana è a rischio sismico, anche se il
pericolo non è eccessivo, se paragonato a quello di Messina o di Catania. Dal 1600 a oggi nella zona si
sono registrati oltre 22 terremoti di rilievo. Il Ferrarese era considerata pericoloso già da tempo,
tanto che Francesco IV d’Este concesse diversi finanziamenti straordinari, ma impose che i
proprietari di case dovessero cavarsela da soli. Non solo: avevano anche l'incombenza di abbattere i
comignoli pericolanti e ripulire le strade dalle macerie; ai meno abbienti avrebbe pensato, invece, un
fondo di beneficenza. Eppure non pensiamo a questo come un territorio sismico e magari vogliamo
imparentare questo sisma con quello de L’Aquila (comunque più distruttivo in quanto a forza). In
realtà è un terremoto piuttosto simile a quello umbro-marchigiano del 1997: magnitudo simili (5,9 in
quel caso), scosse di replica forti, praticamente lo stesso numero di vittime, identica situazione rurale
fatta di piccoli centri abitati e importante patrimonio storico-monumentale in pericolo. La geologia è
diversa e qui saremmo in pianura, ma bisogna abituarsi a pensare che nel sottosuolo padano c'è
sempre una dorsale montuosa (quella ferrarese) che cerca il suo assestamento in tempi lunghissimi.
È però forse ora di stabilire una differenza che in Italia si sta imponendo rispetto ai terremoti e al
rischio naturale in generale. C’è un’Italia chiaramente identificata come sismica che tutti conoscono
bene: la dorsale appenninica, la Sicilia, la Calabria e la Campania, vengono giustamente considerate
le zone di massima allerta. Poi c’è un’Italia di seconda fascia del rischio che, siccome densamente
abitata e spesso dotata di un patrimonio costruttivo di rilievo, ma spesso non manutenuto, può
subire vittime e danni anche per terremoti di entità media. Questo vale anche per le alluvioni: chi ci
mette in salvo da tutti quei piccoli fiumi soggetti alle bombe d’acqua? Questa Italia di seconda fascia
è più pericolosa della prima, soprattutto perché non te lo aspetti e perché bastano eventi di piccola
entità per fare danni rilevanti. Insomma il rischio si accresce non per colpa della natura o della
geologia, ma solo ed esclusivamente per colpa nostra, che non vogliamo fare i conti con il rischio
naturale quotidiano, accresciuto dal nostro moltiplicarci e dall’accrescersi delle nostre esigenze.
Ora speriamo che il parallelismo con il terremoto umbro-marchigiano del 1997 finisca qui e non ci
siano scosse di replica forti come la prima (o addirittura più violente, come avvenne in quel caso).
Magnitudo 6 Richter dovrebbe essere la massima possibile per quella regione. Ci aspettiamo,
comunque, settimane di repliche e notti insonni prima di tornare a prendere possesso delle case e
iniziare a ricostruire. Sarebbe bene però mantenere viva la memoria, e muoversi di conseguenza:
perché questa è la situazione tipica di gran parte del territorio nazionale, quella che conferisce
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Post/teca
un’identità paesaggistica all’Italia. Solo tre città superano il milione di abitanti, tutto il resto è fatto di
Comuni piccoli e frazioni sparse per le campagne ormai antropizzate. In questa Italia ci sono i centri
storici medievali, rinascimentali e barocchi insieme con i capannoni industriali. Mettere mano ai
primi con limitati interventi può bastare, mentre i secondi vanno progettati con criteri antisismici,
altrimenti farli d’acciaio non basterà. Il resto è un problema di cultura del rischio naturale. Ma non
sembra in cima alle preoccupazioni della politica.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?
ID_blog=25&ID_articolo=10129
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La storia di Leoluca Orlando e Giovanni
Falcone
20 maggio 2012
di filippo facci
È la storia, questa, di un tradimento orribile da raccontare proprio nei giorni in cui Leoluca Orlando potrebbe diventare
sindaco di Palermo per la terza volta, e che sono gli stessi giorni nei quali si celebra il ventennale della morte di
Giovanni Falcone. Difatti «Orlando era un amico», racconta oggi Maria Falcone, sorella di Giovanni. «Erano stati
amici, avevano pure fatto un viaggio insieme in Russia… Orlando viene ricordato soprattutto per quel periodo che in
molti chiamarono Primavera di Palermo, ma anche per lo scontro durissimo che ebbe con Giovanni e che fu un duro
colpo, distruttivo per l’antimafia in generale». Uno scontro che va raccontato bene, al di là della dignitosa discrezione
adottata da Maria Falcone inGiovanni Falcone, un eroe solo da lei scritto di recente per Rizzoli.
Siamo nei tardi anni Ottanta. Leoluca Orlando, tuonando contro gli andreottiani, era diventato sindaco nel 1985 e aveva
inaugurato la citata Primavera di Palermo che auspicava un gioco di sponda tra procura e istituzioni. Però, a un certo
punto, dopo che il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo aveva comminato 19 ergastoli nel cosiddetto
«maxiprocesso», qualcosa cambiò. Tutti si attendevano che il nuovo consigliere istruttore di Palermo dovesse essere lui,
Falcone: ma il Csm, il 19 gennaio 1988, scelse Antonino Meli seguendo il criterio dell’anzianità. E a Falcone
cominciarono a voltare le spalle in tanti. Con Orlando, tuttavia, vi fu un episodio scatenante: «Orlando ce l’aveva con
Falcone», ha ricordato l’ex ministro Claudio Martelli ad Annozero, nel 2009, «perché aveva riarrestato l’ex sindaco Vito
Ciancimino con l’accusa di essere tornato a fare affari e appalti a Palermo con sindaco Leoluca Orlando, questo l’ha
raccontato Falcone al Csm per filo e per segno». Il fatto è vero: fu lo stesso Falcone, in conferenza stampa, a spiegare
che Ciancimino era accusato di essere il manovratore di alcuni appalti col Comune sino al 1988: si trova persino su
YouTube.
Quando Falcone accettò l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, poi, la gragnuola delle accuse
non poté che aumentare. Fu durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990, in particolare, che Orlando scagliò le
sue accuse peggiori: Falcone – disse – ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti. Per
l’esattezza il riferimento era a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. Le trasmissioni
condotte da Michele Santoro erano dedicate a una serie di omicidi di mafia, e «io sono convinto», tuonò Orlando, «che
dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti». L’accusa verrà ripetuta a
ritornello anche da molti uomini del movimento di Orlando, tra i quali Carmine Mancuso e Alfredo Galasso. Divertente,
o quasi, che tra gli accusati di vicinanza andreottiana – oltre a Falcone – figurava anche il suo collega Roberto
Scarpinato, cioè colui che pochi anni dopo istruirà proprio il processo per mafia contro Andreotti.
È di quei giorni, comunque, uno slogan di Orlando che fece epoca: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Falcone
rispose a mezzo stampa: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i
cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a
un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti». Ma Orlando era un
carroarmato: «Diede inizio», scriverà Maria, a una vera e propria campagna denigratoria contro mio fratello, sfruttando
le proprie risorse per lanciare accuse attraverso i media». Così aveva già fatto nell’estate del 1989, quando il pentito
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Post/teca
Giuseppe Pellegriti accusò il democristiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani: Falcone
fiutò subito la calunnia ma Orlando si convinse che il giudice volesse proteggere Lima e Andreotti. «Seguirono mesi di
lunghe dichiarazioni e illazioni da parte di Orlando, che voleva diventare l’unico paladino antimafia», ha scritto ancora
Maria Falcone.
Del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, vicino a Palermo, torneremo a scrivere nei prossimi giorni. Per ora
appuntiamoci soltanto quanto scrisse il comunista Gerardo Chiaromonte, defunto presidente della Commissione
Antimafia: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Orlando era instancabile. Tornò alla carica il 14 agosto 1991, quando rilasciò un’intervista su l‘Unità poi titolata
«Indagate sui politici, i nomi ci sono»: «Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma dei rapporti tra mafia e
politica. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure
rischia di diventare verità processuale… Si è fatto veramente tutto, da parte di tutti, per individuare responsabilità di
politici come Lima e Gunnella, ma anche meno noti come Drago, il capo degli andreottiani di Catania, Pietro Pizzo,
socialista e senatore di Marsala, o Turi Lombardo? E quante inchieste si sono fermate non appena sono emersi i nomi di
Andreotti, Martelli e De Michelis?». Orlando citò espressamente, tra i presunti insabbiatori, «la Procura di Palermo» e
implicitamente Falcone. Per il resto, tutte le accuse risulteranno lanciate a casaccio. Poco tempo dopo, il 26 settembre
1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone fu il sodale di Orlando, Alfredo Galasso.
Lo stesso Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto
al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella,
La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e
poi appunto sulle famose carte nei cassetti. Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone dovette vergognosamente
discolparsi davanti al Csm. Non ebbe certo problemi a farlo, ma fu preso dallo sconforto: «Non si può andare avanti in
questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura
del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà
Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me
piangendo. Voleva andar via».
Anche della strage di Capaci torneremo a raccontare. Ora restiamo a Orlando, e a quando il 23 maggio 1992, a macerie
fumanti, da ex amico e traditore si riaffaccerà sul proscenio come se nulla fosse stato. Il quotidiano la Repubblica gli
diede una mano: «A mezzanotte e un quarto una sirena squarcia il silenzio irreale del Palazzo di Giustizia di Palermo.
Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord… Con lui ci sono Nando Dalla
Chiesa, Carmine Mancuso e Leoluca Orlando». Cioè parte degli accoltellatori, quelli dell’esposto al Csm. Proprio loro.
Partirà da quel giorno un macabro carnevale di sfruttamento politico, editoriale, giudiziario e «culturale» dell’icona di
un uomo che ne avrebbe avuto soltanto orrore.
Il 25 gennaio 1993, intervenendo telefonicamente a Mixer su Raidue, Maria Falcone disse a Leoluca Orlando: «Hai
infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo
difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni,
politica attraverso il sistema giudiziario».
Il 18 luglio 2008, intervistato da KlausCondicio, Orlando l’ha messa così: «C’è stata una difficoltà di comprensione con
Giovanni Falcone». Una difficoltà di comprensione. E poi: «Ma ridirei esattamente le stesse cose… Ho avuto insulti ai
quali non ho mai replicato, perché credo che sia anche questa una forma di rispetto per le battaglie che io ho fatto…
(pausa, poi aggiunge) … e che Giovanni Falcone meglio di me ha fatto, perché trascinare una storia straordinaria come
quella di Falcone dentro una polemica politica, francamente, è cosa di basso conio». E lui non l’avrebbe mai fatto.
fonte: http://www.ilpost.it/filippofacci/2012/05/20/falcone-leoluca-orlando/
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Gente che ha perfino giurato sulla Costituzione.
Il vicequestore Carlo Baffi a capo dell’ufficio immigrazione, indagato sempre per la morte di
Diachuck, per omicidio colposo e sequestro di persona, è stato invece messo in congedo dopo
diverse pressioni dell’opinione pubblica, fra cui una manifestazione indetta da Occupy Trieste, Sel e
Rifondazione comunista a cui hanno partecipato circa 200 persone. Paolo Pacileo, suo avvocato ha
presentato un’istanza al Tribunale del Riesame per l’annullamento del verbale di sequestro dei libri
e dell’altro materiale prelevato mercoledì scorso a casa diBaffi. Si tratta di una decina di volumi
dichiaratamente antisemiti: gli autori sono tra gli altri Julius Streicher, Adolf Hitler e Julius
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Post/teca
Evola. Gli agenti quel giorno avevano anche sequestrato, poco prima della perquisizione a casa,
anche sei proiettili di pistola non denunciati e una copia della targhetta dell’Ufficio immigrazione
delle dimensioni di un foglio protocollo. Sulla parte destra della targa posticcia, è inserita una foto
di Mussolini. A sinistra si legge in caratteri simili a quelli usati nel Ventennio: “il dirigente
dell’ufficioepurazione“. Proprio il ritrovamento di questa targa ha innescato la perquisizione
dell’abitazione di Carlo Baffi.
Da: Trieste, ucraina morta in questura. Dirigente cacciato, due agenti indagati
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/17/trieste-altri-poliziotti-indagati-morte-questura-giovaneucraina/232863/
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Quella brutta legge sui blog
di M. Mantellini - A oltre 10 anni di distanza scontiamo ancora le conseguenze della "riforma"
dell'editoria del 2001. Adesso chi la promosse e sostenne dice di volerla cambiare. Meglio tardi che
mai
Roma - Il giornalista e storico siciliano Carlo Ruta è stato infine assolto in Cassazione. Il suo blog,
chiuso nel 2006 da un discusso intervento della magistratura, ha dovuto passare tutti i gradi di
giudizio prima di essere considerato per quello che è: una normale pagina web nella quale il signor
Ruta esercitava il proprio diritto alla libera espressione del pensiero e non, come sostenevano prima
il giudice di Modica e poi la Corte di Appello di Catania, un prodotto editoriale equiparabile ad un
giornale di carta.
La condanna di Ruta, lo abbiamo scritto molto volte, è figlia di molti padri ma di una sola madre.
Una cattiva legge scritta nel 2001 durante un governo di centrosinistra, pervicacemente sostenuta
dai suoi relatori, l'on. Giuseppe Giulietti e l'on. Vannino Chiti a quei tempi parlamentari del PDS ed
"esperti" di comunicazione di quello schieramento. Di fronte alla opposizione ferma di decine di
migliaia di utenti della rete Internet italiana che, con una petizione indetta da questo giornale,
tentarono di convincere il Parlamento a non approvare quella definizione di prodotto editoriale che
avrebbe poi portato alla condanna di Ruta e che viene spesso invocata nelle aule dei tribunali anche
recentemente (l'ultimo caso è quello di PNBox) la legge 62/2001 fu infine approvata da quasi tutto
l'arco parlamentare con l'eccezione dei Radicali.
A oltre dieci anni di distanza da quella democratica inutile protesta Giulietti - colmo dell'ironia cura un sito web che si chiama Articolo 21 nel quale continua ad occuparsi dei problemi della
società dell'informazione. Giulietti e Chiti, quali estensori di quella legge, sono anche i responsabile
di uno dei più considerevoli sprechi di parole della Internet italiana visto che, in virtù della loro
definizione di prodotto editoriale, per molti anni gran parte dei blog italiani si sono visti costretti ad
aggiungere una sorta di disclaimer di questo tipo:
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna
periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale
Google in questo momento mi dice che questa frase nella sua interezza è ripetuta sul web italiano
circa 2 milioni di volte. Due milioni di frasi ridicole ed inutili per colpa di una legge dello Stato mal
248
Post/teca
scritta.
Va poi ricordato che la sentenza in Cassazione di assoluzione di Ruta non potrà valere per nessun
altro. In altre parole, pur avendo un peso (già in passato la Cassazione aveva mostrato simili
orientamenti) non mette al riparo da simili pirandelliane vicende gli altri abitanti della penisola con
il vizio della manifestazione del proprio pensiero.
Forse sarà per questo che l'On Giulietti oggi, con solo un decennio di ritardo, ha rilasciato una
dichiarazione nella quale annuncia prossimi, non meglio definiti "provvedimenti abrogativi
specifici" che impediscano il ripetersi di simili confusioni fra il diritto alla libera espressione e le
prerogative delle imprese editoriali.
55mila persone dissero chiaramente undici anni fa all'on. Giulietti e all'on. Chiti che quell'articolo di
legge era pericoloso e andava riscritto. I nostri bravi parlamentari se ne fregarono altamente,
lasciando anzi trasparire un evidente personale fastidio verso questa inattesa ingerenza nella loro
(in)competenza sulle cose della rete. Non vi è alcun dubbio, oggi come allora, che quell'articolo di
legge debba essere cambiato, così come risulterebbe piuttosto evidente che, in una democrazia
rappresentativa matura, certi nostri rappresentanti dovrebbero abbandonare le aule del parlamento
per ritornare a dare il loro fattivo contributo nella società civile dalla quale provenivano.
Massimo Mantellini
fonte: http://punto-informatico.it/3517584/PI/News/contrappunti-quella-brutta-legge-sui-blog.aspx
-----------------curiositasmundi ha rebloggato hardcorejudas:
Social network
hardcorejudas:
Tra il diritto di cronaca e quello di satira mi avvalgo del diritto al silenzio.
-------------------curiositasmundi ha rebloggato pragmaticamente:
“
Quando non si facessero più sogni audaci,
anche le azioni audaci sulla Terra cesserebbero.
I sogni audaci sono il carburante indispensabile
per il motore del Fare.
I sogni audaci sono la miccia d’oro
per la forza vitale dell’Essere.
Ciò che non si può sognare
non si può fare.
Rialzatevi!
Non impeditevi di sognare,
seminate ovunque
i sogni più belli,
i sogni più audaci
249
Post/teca
sorti dall’Anima con un ruggito.
”
—
Clarissa Pinkola Estés tratto da “Forte è la Donna” (viamalinconialeggera)
Fonte: malinconialeggera
-----------------ilfascinodelvago:
“Le donne vogliono un uomo che le faccia ridere. Cosa ci trovino di comico nei soldi, ancora
non l’ho capito.”
— FB
----------------murda:
Scene comparison of Victor Sjöström’s ‘The Phantom Carriage’ (1921) and Stanley Kubrick’s
famous scene of ‘The Shining’ (1980). (Link)
http://elvira.tumblr.com/post/23436989216/murda-scene-comparison-of-victor-sjostroms
http://www.youtube.com/watch?v=7R9x7pUuIEk
-------------------kappainthepond:
Oh, Lars
Breaking the waves - Lars Von Trier
Sto rompendo un pò a tutti a furia di parlare di Lars Von Trier, nonostante senta incombere
l’etichetta di radical-chicchismo sulla testa, nonostante con quel Von auto-ficcatosi nel nome
neanche lui aiuti molto, nonostante gli “eh?” “ah?” “chi?”“ma dove la trovi stà gente aò” “oh
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Post/teca
abbiamo l’intellettualina oh” dopo l’ultimo slancio di ottimismo verso il mondo in cui ho avuto
l’ardire di nominarlo in un gruppo di gente che stava esaltando gli ultimi film visti -tra cui Notte da
leoni, tanto per dire- nonostante in parte lo odi e dopo ogni finale mi riprometta “non ne guarderò
più, non ne guarderò più” dondolandomi a mò di bambina autistica, ma continuo comunque
imperterrita a vedere i suoi film e sento il bisogno compulsivo di parlarne in giro ”oh no no quello
della terza C è uno stronzo non lo sopporto però parliamo ancora di lui dai“ mentre scrivo il suo
nome piccolo piccolo in mezzo ai cuoricini in un angolo della Smemoranda.
Insomma, oggi ho visto “Breaking the waves” (il primo della “Goodheart trilogy”, il titolo che gli
hanno dato in italiano non lo nomino neanche perchè mi vergogno per loro) e non riesco a capire se
amo lui, la sua telecamera traballante da ripresa neorealista alias filmino di un picnic di famiglia,
oppure le attrici protagoniste che mi ispirano amore ai limiti dell’eterosessualità e meritano 10 oscar
a testa (Bjork, Emily Watson che fino a 6 ore fa era “ah quell’attrice bruttina inglese boh” e adesso
sono le nuove starz della mia pornografia intellettuale)
--------------------onepercentaboutanything ha rebloggato kon-igi:
“Ho deciso di dare una svolta al mio atteggiamento socialmente passivo nei confronti
dell’imposizione della religione altrui: da stanotte comincerò a suonare i campanelli ai
testimoni di geova.”
— Megahating Kon-Igi (via kon-igi)
Win assoluto.
----------------elrobba:
...
Prima di tutto, voglio fare i complimenti per la trasmissione a Persephone, Cosipergioco e
Sallygreen perchè non sono semplici organizzatrici. non sono neanche semplici tumblere e neanche
semplici donne. sono la trinità del meetup, e per questo chiedo gentilmente che mi mandino un loro
santino da tenere sulla scrivania, vicino alla foto del negroni.
Voglio esternare i seguenti pensieri che mi stanno facendo scoppiare il cuore:
- Il mio primo pensiero del mitap va a Gloria, di cui sto ancora cercando di ricordare il tumblr, un
meravigliosa ragazza carica di energia che mi ha accompagnato a cercare un negroni e lo ha
condiviso con me, senza neanche sapere chi io fossi, dandomi subito prova del calore che viene
coltivato dalle parti vostri, mannaggia a voi!
- Soggetti, non sai da quanto desideravo abbracciarti e poterci scambiare un po’ di lol a
quattr’occhi. sei meglio di quanto immaginassi, e già avevo aspettative enormi
- Cosorosso, quello che dicono su di te è tutto vero. ispiri simpatia già da un chilometro di distanza,
e tra l’altro hai gonfiato il mio ego che è qui con me e non smette di frignare dalla gioia
- Orsietulipani che in macchina è meglio di Schumacher, è stata un pilota formidabile e un’ottima
compagna di viaggio. per questo le perdono di avermi rubato Proust2000, anche se continuo a
esserne geloso
- Maewe che mi vizia con dolcetti dopanti e coccole e ha pure attirato su di me l’invidia del
cantastorie alla fraschetta: “Ammazza che bella ragazzona che c’hai de fianco!” il rapporto che
ho con questa pupa svizzera non si può etichettare in nessun modo conosciuto
- Rinello, che posso dire per racchiudere tutto quello che penso di lui? King of Lol. assoluto, un
compagno di viaggio che a tratti si trasforma in un lava-vetri di precisione, un menestrello da festa
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Post/teca
sulla spiaggia, un abile linguista (questa la lasciamo alla malizia del popolo) nonchè ottimo
dialogatore. sappi che sei sempre ‘na scoperta
- Comeandaresulladunainfiorino, un teddy-bear che io lo voglio bbene dal principio perchè altro
sentimento non poteva strapparmi, un compagno di stanza meraviglioso che la mattina riesce a
comprendere i miei discorsi da day-after senza predicati verbali
- Percheavevofinitolaspesa, un concentrato di sicilianità, dolcezza, sorriso, e che già da tanto
tempo condivide con me abbracci, serate, alcol e parti di quotidianità. un bene che ti voglio,
mannaggia anche a te.
- Trending, lui vorrei sapere dove lo fabbricano per potermi comprare la matrice e metterla in un
quadro. un simbolo del mitap, un compagno di tavolata che se l’avesse conosciuto Leonardo ci
avrebbe fatto un quadro apposta, altro che Ultima Cena e sticazzi
- Guerrepudiche, un poeta della ricerca di gnagna, un personaggio da ricordare. il migliore dei
compagni di bevute di shot di vodka, quello che ha terminato la serata al bancone di un cinese con
me, incasinandoci a capire i nomi dei tumblr delle fanciulle rimaste
- Persephone, te non sei ‘na donna, sei un’istituzione dell’amicizia. io ho capito perchè hai sta
scorza dura fuori, per portare in giro ben protetta quella delicatezza che tieni nel cuore. mi sono
sentito più a casa di quando sono a casa, mi fai sempre sentire il più fortunato degli zii
- Cosiperpucci, che posso dire? bella, ma bella bella. di quella bellezza che arde e che passa per
gli occhi, illumina tutto intorno e colora di rosa tutto quello che incontra. tu sei la ragazza per cui
io non diro mai più “vado a Roma”, ma lo sostituirò con “vado a trovare lei”. sei tutta ‘na
meraviglia, e fidati che io per ‘ste cose c’ho un dono naturale
ho dimenticato un sacco di persone, di alcuni ho scordato il nome, altri me li sono bevuti dietro a
cinque bicchierini di vodka e restano dentro di me in questa giornata di pioggia che sembra
volermi obbligare a fermarmi davanti alla finestra e dirmi “fermati e riflettici su, goditi questa
sensazione”
Sabato sera una persona molto importante ha detto una cosa vera. lo zio Rob è un po’ paraculo, ma
quando dice che vuole bene a qualcuno è una verità assoluta che sale dallo stomaco.
Vi voglio bene, Zio Rob
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Dossier su Palazzo Citterio
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Palazzo Citterio è una dimora nobiliare situata nel centro storico di Milano, in via Brera, risalente alla
seconda metà del Settecento. Acquistato per un miliardo e 148 milioni di lire dal demanio dello Stato su
richiesta del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 1972 per essere destinato ad attività espositive e
culturali in relazione alle esigenze di espansione della Pinacoteca di Brera.Dopo un primo intervento di
adeguamento funzionale i lavori sono stati interrotti fino a quando a metà degli anni ‘80, per interessamento
degli Amici di Brera con finanziamenti della Fondazione San Paolo, fu redatto un nuovo progetto
dall’architetto inglese James Stirling nel 1986 che prevedeva l’insediamento nel palazzo di un moderno
museo ad ampliamento della Pinacoteca di Brera. L’intervento non è poi stato realizzato se non per il volume
interrato rimasto non completato.
Nel 2008 venne bandita una gara per l’attuazione del progetto cosiddetto «Brera in Brera», limitata al solo
Palazzo di Brera, vinta da Mario Bellini e Associati, basato sul trasferimento dell’Accademia di Belle Arti tra
Palazzo Citterio e il campus di Bovisa, e sull’allargamento della Pinacoteca nell’edificio stesso di Brera. Ma
una volta espletata la gara, sono emersi due fatti: la mancanza dei finanziamenti e la consapevolezza che il
trasferimento dell’Accademia non poteva essere un atto automatico.
Momento di svolta e apparente accelerazione è il 30 dicembre 2009 quando il Governo (Brera è un museo
statale) nomina Mario Resca, già da tempo direttore generale del Ministero dei Beni culturali con lo specifico
incarico di valorizzare il patrimonio, uomo d’azienda (per anni ha guidato McDonald’s in Italia), ora
commissario straordinario per la realizzazione della Grande Brera, con il preciso intento di semplificare le
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Post/teca
procedure e di condurre in porto l’immane operazione della Grande Brera. La spinta viene anche dall’evento
EXPO in calendario a Milano nel 2015, e dalla necessità di trasformare Brera nella vetrina di presentazione
della città al mondo. Resca, neo-incaricato, nomina un soggetto attuatore, cioè un coordinatore responsabile
dell’intervento, nella persona di Mauro Della Giovampaola, all’epoca “coordinatore dell’unità tecnica di
missione per la realizzazione delle infrastrutture per le opere per i 150 anni dell’Unità d’Italia”. La Grande
Brera viene così inserita nel programma dei 150 anni, e in questo ambito individuato un finanziamento di 52
milioni di euro.
Il 10 febbraio 2010 Mauro Della Giovampaola viene arrestato nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sugli appalti
per il G8 alla Maddalena, insieme ad altri tre personaggi che faranno cronaca per molti mesi: Angelo
Balducci, presidente del Consiglio superiore di lavori pubblici, l’imprenditore Diego Anemone, e Fabio De
Santis, provveditore alle opere pubbliche della Toscana. Della Giovampaola in quel momento è anche
soggetto attuatore per il progetto Nuovi Uffizi. L’accusa per tutti è corruzione continuata, in concorso.
All’interno del commissariamento che, attraverso la sospensione delle normali procedure democratiche
permette un uso predeterminato ed incontrollato dei finanziamenti pubblici, i 52 milioni sono spariti e non
saranno più recuperabili.
Il piano B, per togliere dall’impasse la “cricca”, viene suggerito dallo stesso architetto vincitore del concorso
di progettazione, che individua nel riutilizzo di Palazzo Citterio, una soluzione che può accontentare tutti.
Palazzo Citterio è da tantissimi anni al centro del dibattito sul rilancio di uno dei musei più significativi
d’Italia. È stato spesso usato come palliativo per allentare le tensioni esistenti tra la Pinacoteca e
l’Accademia che per quantità di spazio non riescono a convivere all’interno della struttura di Brera.
La risoluzione del problema è stata continuamente disattesa e il recente annuncio di un finanziamento di 23
milioni di euro stanziato dal CIPE, Comitato interministeriale per la Programmazione Economica-Presidenza
del Consiglio dei Ministri, che copre in minima parte la previsione di spesa di 160 milioni per la creazione
della Grande Brera, non risolve la questione.
Questi soldi, invece di essere da subito impiegati per mettere in sicurezza i tanti problemi di Brera verranno
spesi per costruire una vetrina in vista dell’Expo e gli spazi destinati, secondo il primo progetto dell’architetto
Bellini, alle aule dell’Accademia vengono nel nuovo progetto occupati da bookshop e caffetteria e dai servizi
di natura commerciale.
Occorre fare chiarezza sulla struttura del bando per l’assegnazione dei lavori, su come verranno assegnati e
gestiti gli appalti e sulla natura e i vincoli che il capitale privato, che servirà necessariamente a completare
il progetto, porrà al progetto stesso.
Un’altro dato significativo è che ad oggi, per come è pensato, il progetto Grande Brera snatura lo spirito
originale legato al rapporto diretto e di scambio tra il museo e la scuola. Un rapporto che, nel panorama
internazionale ha reso unica la Pinacoteca, insediata nello stesso immobile e nata per fini didattici.
fonte: http://www.macao.mi.it/post/23351163174/dossier-su-palazzo-citterio
-------------------curiositasmundi ha rebloggato solodascavare:
“Mirate alla pancia, annientate il cervello”
— cit. (via solodascavare)
---------------------Written on 19/05/2012 at 6:52 pm by Wu Ming
A caldo: che
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Post/teca
cos’è questo
golpe?
Intanto, non è un golpe. Non c’è bisogno di un golpe.
In Europa, il golpe è démodé da almeno quarant’anni. E’ assodato che si possono ottenere
gli stessi risultati con più discrezione e gradualità. Il che non vuol dire con meno violenza:
è solo un altro uso della violenza, più dosato, capillare, diversificato.
In questo momento, come altre volte è successo, diversi poteri costituiti comunicano tra
loro in un linguaggio allusivo e cifrato, linguaggio fatto di attentati, provocazioni, bombe
che uccidono nel mucchio, pacchi-bomba e bombe-pacco, sigle multi-uso in calce a
volantini di rivendicazione bizzarri e pieni di errori marchiani.
Cosa esattamente si stiano dicendo questi poteri costituiti, questi settori di capitalismo
italiano e internazionale, forse non lo sanno nemmeno loro. Appunto, è un linguaggio
allusivo, tipicamente mafioso, e nemmeno loro ne colgono tutte le sfumature.
Sulla sostanza, però, sul nucleo di senso di questi messaggi, in diversi cominciamo ad
avere sospetti. Si parla già, benché ancora timidamente, di una nuova “strategia della
tensione”, un nuovo “stabilizzare destabilizzando”.
E chissà se è una semplice coincidenza che negli ultimi tempi si sia ricominciato a
depistare sulla strategia della tensione degli anni ’60-’70: Piazza Fontana fu un po’ colpa
anche degli anarchici etc.
Il fine diretto o indiretto di ogni atto della strategia della tensione è criminalizzare i
movimenti, o comunque ostacolarne le lotte, renderne più difficile lo sviluppo. Una società
civile ansiosa e impaurita, nonché mobilitata sulla base della paura, è una società che tira
la carretta a capo chino, più disposta a delegare scelte cruciali, più disposta ad accettare
politiche che si annuncino ansiolitiche e senz’altro meno disposta a recepire le istanze dei
movimenti. Movimenti che il potere addita all’opinione pubblica come piantagrane
contrari al blocco d’ordine, pardon, alla “concordia nazionale”.
Per ottenere questo scopo, non è necessario che tutti gli attentati e scoppi di violenza siano
attribuiti ai movimenti, agli anarchici, agli estremisti, ai “rossi” e via elencando. In passato,
ha funzionato molto bene la cornice concettuale degli “opposti estremismi”: quello rosso e
quello nero. E per passare su ogni differenza e contraddizione col caterpillar della
“concordia nazionale”, va bene più o meno qualunque matrice o attribuzione.
La “strategia della tensione” è sempre una strategia di controrivoluzione preventiva.
Perché si renda necessaria una controrivoluzione, non è necessario che il
pericoloimmediato da scongiurare sia una rivoluzione. In Italia, è palese, non stiamo per
fare la rivoluzione.
Perché si renda necessaria una controrivoluzione, è sufficiente il timore da parte dei
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Post/teca
padroni che una crisi di sistema possa avere uno sbocco nella direzione “sbagliata”. E per
comprendere di quale direzione possa trattarsi, forse dovremmo distogliere lo sguardo dal
nostro ombelico e guardare all’Europa.
In diversi paesi d’Europa e tuttavia non ancora in Italia, i movimenti sociali e le lotte dei
lavoratori, dopo due-tre anni di intensa agitazione di piazza, sembrano aver trovato
espressione – seppure imprecisa e transitoria – sul terreno politicostrettamente inteso. Il
terreno, fino a poco tempo fa del tutto squalificato, della competizione elettorale.
In Francia, in Grecia e in parte in Germania, gli elettori hanno sconfessato la gestione
tardoliberista della crisi da parte della “Trojka” (Banca centrale Europea, Unione Europea,
Fondo Monetario Internazionale) e delle classi dirigenti che ne portano avanti le politiche
di smantellamento dei diritti e repressione poliziesca.
Gilles Deleuze diceva che la parte interessante di qualunque processo non è il suo inizio,
che è sempre discreto e “mimetizzato” nello stato di cose presenti, ma la metà del suo
percorso, quando gli elementi innovativi si staccano dallo sfondo col quale si
confondevano, e diventano palesi.
Forse oggi, in diversi paesi d’Europa e tuttavia non ancora in Italia, siamo alla metà di un
percorso: si sta facendo manifesta una ricomposizione anticapitalistao, quantomeno, di
sinistra antiliberista. Sembra lontana la “corsa al centro”, ed è sempre più evidente che tale
centro non esisteva; nessun esponente di sinistra che abbia un minimo di sale in zucca
cerca più il voto dei “moderati”, ed è sempre più chiaro che i “moderati” non esistono; da
più parti, anche se non ancora in Italia, vengono dismesse etichette sterilizzanti come
“centrosinistra” e i suoi corrispettivi. Dove le sinistre si presentano come… di sinistra, e
dicono chiaro e tondo che il loro avversario è di destra, ottengono risultati impensabili fino
a poco tempo fa.
Di contro, anche il “centrodestra” perde ovunque, a scapito di movimenti di estrema destra
che non annacquano le loro proposte reazionarie. La “corsa al centro” sembra davvero
finita.
N.B. Si è parlato molto di Marine Le Pen e di Alba Dorata, ma nell’ultima tornata elettorale
continentale, la sinistra-sinistra ha nel complesso guadagnato più della destra-destra.
Andate a contare e sommare i voti, poi chiedetevi come mai dai resoconti dei media non si
capiva.
E’ vero, i risultati elettorali sono sempre una fotografia sgranata e distorta di quel che
accade, ma anche fotografie di quel genere permettono di capire alcune cose.
La ricomposizione non consiste principalmente nell’incollare con lo sputo pezzi di ceto
politico residuale, non passa per alleanze meramente elettorali come quelle che si sono
praticate in Italia e qualcuno ancora si auspica. No, la ricomposizione è sociale, avviene
prima nelle lotte, ed è leggibile dopo nello spostamento a sinistra dell’asse politico
registrato dalle consultazioni elettorali.
Il processo di ricomposizione è iniziato sottotraccia nel 2010 con la “primavera” dei
movimenti studenteschi in diversi paesi, con la grande battaglia per fermare la
controriforma delle pensioni in Francia (“Je lutte des classes!“), l’avvio della resistenza di
massa alla “debitocrazia” in Grecia, il referendum islandese per la remissione del debito, ed
è proseguito nel 2011 con le grandi ondate di scioperi in Gran Bretagna, la radicalizzazione
del movimento di massa in Grecia e vaste, multiformi mobilitazioni come quella del
movimento 15 Maggio in Spagna, esplose sulla scia delle “primavere arabe” e in una
seconda fase sospinte per retroazione dal movimento Occupy nordamericano che avevano
ispirato.
Bisogna studiare i timori dei poteri costituiti per capire la forza potenziale dei movimenti,
anche e soprattutto quando i movimenti tendono a sottovalutarsi. Capita che facciamo più
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Post/teca
paura di quanto siamo disposti a credere. In Italia, qualcuno – qualcuno di altolocato –
teme il contagio della ricomposizione di classe europea e planetaria. Teme uno sbocco
antiliberista della crisi.
In apparenza, sembrerebbe un timore infondato.
E’ vero, veniamo anche noi da due-tre anni di lotte di piazza, in scuole e università, sui
luoghi di lavoro, e assistiamo alla rapida putrefazione delle forze politiche che ci hanno
governati negli ultimi tre-quattro lustri. Vista in astratto, sarebbe una situazione
favorevole. Nel concreto, invece, paghiamo un sistematico avvelenamento dei pozzi,
decenni di frantumazione del legame sociale, il suicidio della sinistra politica e, last but not
least, il lungo equivoco del controberlusconismo (“Va bene tutto purché se ne vada
Berlusconi”). Equivoco che ha illuso una gran parte di italiani sulla vera natura del governo
Monti, regalando a quest’ultimo una “luna di miele” che ci ha fatto accumulare ulteriore
ritardo rispetto agli altri paesi.
E’ il vecchio, citatissimo apologo della rana nell’acqua che bolle. E’ un esperimento che vi
chiediamo di non tentare, fidatevi e basta. Se infili la rana quando l’acqua già bolle, reagirà
e salterà fuori. Devi posarla nella pentola quando l’acqua è ancora fredda, e scaldarla pian
piano. E’ l’unica maniera per lessarla viva.
Per imporre questa gradualità, è indispensabile cambiare le parole, usare parole che
nascondano l’ideologia, lo scontro in atto, le forze in campo. Le parole devono suonare
“neutre” e far pensare a processi il più possibile oggettivi. Gli attuali ministri sono quasi
tutti banchieri, ma è proibito dire che è un “governo di banchieri”. O meglio: poiché lo ha
detto la Lega, se lo dici anche tu ti danno subito del leghista. Non si può dire che è un
governo di banchieri: è un governo “tecnico”, perciò neutro, apolitico.
E’ come quando chiami l’idraulico: che c’è di “ideologico” nel riparare un guasto allo
scarico del lavandino? E’ tutto oggettivo, no? Il tubo è rotto, chiamo il tecnico, il tecnico lo
ripara.
E così, anche sulla scia del controberlusconismo, il governo più dogmatico, ideologico e
asservito alla finanza della storia della Repubblica è riuscito a presentarsi come super
partes, e a descrivere le sue “ricette” come le uniche scientificamente giuste e quindi da
applicare senza discussioni. Compreso l’abominio – con l’avallo del solito PD – del
pareggio di bilancio nella Costituzione.
Altro esempio di strategia “desoggettivante” è l’espressione: “i mercati”. Ce lo chiedono i
mercati. L’espressione rimanda a un funzionamento oggettivo e ferreamente razionale
dell’economia, una logica ineludibile alla quale dovremmo uniformarci, perché “è l’unica
cosa da fare”, “non c’è alternativa”.
Ultimi esempi di neolingua: “austerità” e “rigore”. Termini che un tempo indicavano due
virtù – su per giù: l’accontentarsi di poco e un’inflessibile coerenza etica – ora indicano due
obblighi a cui deve sottostare la parte debole della società, affinché quella forte possa
restare ricca. Oggi “austerità” significa rinunciare ad assistenza e servizi sociali, e “rigore”
significa tagliare la spesa pubblica… ma solo quella destinata a certi usi (ammortizzatori
sociali) e non ad altri (si veda il caso del TAV Torino-Lione, col suo gigantesco sperpero di
soldi dei contribuenti).
La “luna di miele” col governo Monti parrebbe finita, la vecchia classe politica è fortemente
delegittimata e presa d’assalto dalle inchieste giudiziarie, ma per ora il malcontento – a
differenza di quanto avviene altrove – è capitalizzato da un movimento ambiguo e privo di
memoria, “né di destra né di sinistra”, che su alcuni temi è antiliberista e su altri è liberista,
su alcuni temi è libertario e su altri autoritario, su alcuni è egualitario e su altri addirittura
razzista, ed è di proprietà di un leader carismatico cresciuto nella stessa industria
dell’entertainment e della pubblicità che ci aveva dato Berlusconi.
256
Post/teca
La situazione è questa, ed è grama. Eppure, come si diceva sopra, c’è chi teme uno sbocco
antiliberista della crisi, e sta attuando strategie di controrivoluzione preventiva.
Davvero è possibile anche in Italia avviare una ricomposizione? Davvero è possibile far
capire che tutte le lotte sono la stessa lotta?
Cerchiamo di interpretare i timori del potere, ascoltiamo gli sfoghi dei suoi esponenti.
Nei giorni scorsi è stato detto che il movimento No Tav è “la madre di tutte le
preoccupazioni”.
Da sette mesi, il cantiere del TAV – con l’avallo del solito PD – è stato dichiarato “sito di
interesse strategico nazionale”, ovvero zona militare, con pesanti conseguenze per chi ne
viola i confini.
Negli ultimi due anni, il movimento No Tav è stato il principale bersaglio di provocazioni
“controinsorgenti”, e si è cercato in ogni modo di trascinarlo in un dibattito pubblico
artefatto e pieno di trabocchetti, a colpi di “brodo di coltura”, “fiancheggiatori”, “pericoli di
derive armate” etc. Repressione, arresti, lunghe prigionie in condizioni umilianti, con
provvedimenti sproporzionati come la censura della posta… E’ di appena due giorni fa la
notizia che Giorgio Rossetto e Luca Cientanni sono passati dal carcere agli arresti
domiciliari.
Sul movimento No Tav si sono sperimentate le tattiche di controrivoluzione preventiva che
vediamo e vedremo all’opera su scala nazionale.
E’ importante continuare a seguire gli eventi in e intorno alla Val di Susa. Se davvero ci
sarà una ricomposizione, passerà anche da quel patrimonio di esperienze, da quella
resistenza lunga vent’anni. La quieta tenacia di cui il movimento No Tav ha dato prova
dev’essere di ispirazione per tutti noi, per resistere alla nuova “stabilizzazione
destabilizzante”, alla stagione delle bombe che ha già svoltato l’angolo.
fonte: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=8016
--------------------------
Dov’era il no
faremo il sì.
Ricordiamo
257
Post/teca
Stefano
Tassinari
fonte: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=7786
-------------------------grandecapoestiqaatsi ha rebloggato scarligamerluss:
Noam Chomsky: 10 Regole per il Controllo Sociale
mazzate:
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel
distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites
politiche ed economiche.
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della
distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai
cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o
dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della
distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze
essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della
cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da
temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo
per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi
silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema –
reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata
reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far
accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure
organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi
sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per
far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei
servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla
gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni
socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno
Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non
garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se
fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di
258
Post/teca
presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente
per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per
prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la
massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il
sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi
all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande
pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso
con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più
si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se
qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della
suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso
critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre
tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica
classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico
dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per
impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di
comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità
dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in
modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga
impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che
sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il
responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal
modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in
colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad
agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi
della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui
dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla
psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano,
sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto
meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema
esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la
gente esercita su sé stessa.
(via colorolamente)
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Siamo peggiorati, tutti
Postato in Senza Categoria il 21 maggio, 2012
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Post/teca
Ho letto nel week end un sacco di cose uscite sull’attentato di Brindisi.
Anzi, per essere più diretti: ho letto nel week end un sacco di indecenti stronzate uscite sull’attentato di
Brindisi.
Non ne faccio l’elenco: ne sono pieni i media, nuovi e vecchi, ‘mainstream’ e ‘citizen’. Qualcosa ha
raccolto Fabio Chiusi, per dare un’idea.
Sono convinto da tempo che tra gli effetti del quindicennio berlusconiano non c’è stato solo il
peggioramento dell’atteggiamento civile e culturale di quella metà d’Italia che fino a poco tempo fa si
identificava nel berlusconismo: quelli che cantavano Meno male che Silvio c’è, l’Amore vince sempre
sull’Odio, e le Toghe Rosse e via delirando.
C’è stato anche il peggioramento dell’altra metà. Per contiguità, per osmosi, per abbassamento collettivo
e complessivo del grado di intelligenza e di dibattito.
Era inevitabile, forse: se passi quindici anni a confrontarti con i Gasparri, i La Russa e le Santanché,
difficile che riesci ad elevarti.
Ma era il potere – e dovevamo farlo.
Adesso però il berlusconismo è finito: e dalle sue macerie morali e intellettuali dobbiamo uscire tutti.
Forse sarà meno facile e perfino meno divertente che contrapporsi a un comune nemico farabutto e ai
suoi servi sciocchi, ma credo proprio che lo dobbiamo fare: migliorando prima di tutto noi stessi, i nostri
ragionamenti, insomma il nostro approccio al reale.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/21/siamo-peggiorati-tutti/
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“Bobby Sands? È stato
lasciato morire dagli
irlandesi”
Stefano Ciavatta
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Post/teca
Lo racconta un film, una serie di libri e una recente scoperta dei quotidiani. La lady
di ferro Margaret Thatcher aveva acconsentito a un accordo con i prigionieri
nordirlandesi incarcerati a Long Kesh, che erano entrati in uno sciopero della fame.
Tutto segreto. Ma anche i prigionieri furono tenuti all’oscuro dagli stessi membri
della loro organizzazione. Forse, per un cinico calcolo politico.
Il murales di Bobby Sands a Belfast
ESTERI
21 maggio 2012 - 09:00
Il film “Hunger” racconta una doppia storia di intransigenza. La prima è quella del
governo inglese – come si può ascoltare dall’audio originale dei discorsi dell’allora
premier conservatore Margaret Thatcher al parlamento, quelli che il regista Steve
McQueen ha inserito nel film – riguardo la pretesa dei detenuti dell’Ira di essere
trattati in carcere con lo status di prigionieri politici. Bobby Sands, attivista
261
Post/teca
nordirlandese, muore il 5 maggio del 1981. Alla Camera dei Comuni Margaret
Thatcher dichiara: «Bobby Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita. Una
scelta che l’organizzazione alla quale apparteneva non ha concesso a molte delle
sue vittime».
La seconda è quella della severa protesta dei militanti irlandesi. Le
condizioni (proibitive) del carcere duro la radicalizzeranno fino allo sciopero
della fame, e fino alla morte di Bobby Sands e altri nove attivisti nella prigione di
Long Kesh nel 1981. L’isolamento radicale dei detenuti influisce anche nelle
modalità di protesta. Lo rivela molto bene “Hunger” nella scena del dialogo tra il
prete cattolico e Sands, che è diventato un leader nel carcere, mentre la sua
comunità non ha alcun contatto con l’esterno (se non sporadico), tanto che l’ala
politica di Belfast non ha controllo sullo sciopero, che resta una delle tante decisioni
maturate esclusivamente in carcere.
Trent’anni dopo, la vicenda non è ancora chiusa e continua a essere una
storia di intransigenze. Ma in mezzo a queste posizioni dure, potrebbe esserci
una falla. Secondo Richard O’Rawe, ex militante Ira ed ex responsabile dei
comunicati inviati all’interno della prigione di Long Kesh, autore di due controversi
libri “Blanketmen” (2005) e “Afterlives” (2010), esiste un documento ufficiale che
fornisce le prove sull’esistenza di un accordo segreto autorizzato da Margaret
Thatcher all’inizio del luglio 1981 che avrebbe potuto salvare la vita agli ultimi sei
prigionieri in sciopero: Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty,
Thomas McElwee e Michael Devine, che invece morirono in rapida successione tra
luglio e agosto.
La tragica estate degli Hunger Strike è il punto di non ritorno della lotta
armata nordirlandese e segna la nuova stagione dell’azione politica dei partiti di
riferimento. Linkiesta ha incontrato Riccardo Michelucci, autore de “Storia del
conflitto anglo-irlandese” (Odoya edizioni) per capirne di più.
La tesi di O’Rawe chiama in causa direttamente Gerry Adams, anzi lo
accusa.
Sì, Adams già all’epoca era leader del partito Sinn Fein. La tesi di O’Rawe è che
Adams rifiutò di comunicare ai detenuti rimasti ancora in vita durante lo sciopero e
alle rispettive famiglie che il governo aveva accettato quattro delle cinque richieste
per cui Sands e i suoi avevano iniziato la protesta (non indossare l’uniforme
carceraria, non svolgere lavoro, la possibilità di organizzare attività ricreative,
ricevere una visita, una lettera e un pacco a settimana, poter frequentare gli altri
detenuti). La motivazione sarebbe stata di opportunismo: ottenere il massimo
profitto politico e quindi elettorale sull’onda emotiva della protesta. Ricordiamo che
mentre Sands è in carcere a scioperare viene eletto al parlamento inglese con
30mila voti, più della Thatcher. Per il governo invece si trattava di offrire un
compromesso per fermare l’imbarazzo delle morti dello sciopero, tra cui quella di
Bobby Sands.
Quando è saltato fuori il documento ufficiale?
262
Post/teca
A scovarlo negli archivi britannici è stato Liam Clarke del ‘Sunday Times’, uno dei
veterani del giornalismo irlandese, appellandosi alla nuova legge sulla libertà
d’informazione e la trasparenza sugli atti dello Stato. O’Rawe prima solleva la
questione nel libro “Blanketmen” poi pubblica il documento nel 2010 in “Afterlives”.
Ci sono anche testimonianze a supporto del documento ufficiale, come quelle degli
ex hunger strike Antohny McIntyre e Gerard Hodgins. “Afterlives” è diventato in
Irlanda un bestseller che fa ancora discutere tanto che il mese scorso l’Irish
republican socialist party ha portato a termine una inchiesta dando ragione a
O’Rawe e ne ha presentato i risultati in una assemblea pubblica. Quello che è certo
è che la leadership repubblicana non ha accettato il confronto con O’Rawe che negli
anni è stato ostracizzato, considerato una sorta di paria, anche con minacce e
scritte sotto casa.
Nonostante questo O’Rawe ha avuto un sostegno importante.
Con lui si è schierato Ed Moloney, il più noto giornalista politico irlandese, autore
della “Storia segreta dell’Ira” (Dalai). Nella prefazione ad “Afterlives” Moloney
afferma che se l’offerta britannica non fosse stata rifiutata probabilmente il
processo di pace non sarebbe partito e che a fronte di quel documento sei uomini si
sono lasciati morire senza sapere che avrebbero potuto continuare a vivere.
Secondo Moloney il Sin Fein aveva già deciso di scendere in politica negli anni 80
ma noi non sappiamo se gli hunger strike avrebbero condiviso quella scelta politica
e non armata.
Qualcuno dei familiari degli hunger strike ha mai contestato il retroscena
che viene fuori dal documento?
Lo ha fatto Louise Devine, la figlia di Michael Devine, l’ultimo a morire. Nel rilasciare
una intervista al quotidiano “Sunday World” è stata molto chiara: ”Se papà avesse
saputo di quella proposta, avrebbe terminato il suo sciopero. Era un uomo giovane
con due figli che adorava e meno di due anni ancora da scontare in prigione. Aveva
tutte le ragioni per continuare a vivere. Invece ha trascorso sessanta giorni
d’agonia ed è morto per niente, perché gli inglesi erano già disposti a soddisfare
quasi tutte le richieste dei prigionieri.
Perchè il silenzio dei giornali italiani verso questo retroscena e sulle
ceneri del conflitto in generale?
Dell’Irlanda non interessa più nulla, salvo omaggi a Seamus Heaney e paginoni per
Bono. Già quando il conflitto era caldo la copertura era carente, perché spesso le
fonti erano solo inglesi. Molti colleghi non andavano neanche a Belfast. Adesso poi
viene considerato tutto finito e gli scenari internazionali di guerra sono ben altri.
Resiste la lettura fuorviante della guerra di religione tra cattolici e inglesi. Il cinema
però ha sempre raccontato per bene la storia nord-irlandese. “Hunger” non è
proprio un film che riepiloga tutta la questione ma è comunque un gran film. Ce ne
sono anche altri, i più celebri sono “Il nome del padre” con Daniel Day Lewis, più
romanzato rispetto al film di McQueen ma che non modifica la realtà dei fatti della
drammatica storia dei Quattro di Guildford e “Una scelta d’amore” con Helen
263
Post/teca
Mirren, che racconta l’impotenza delle madri degli hunger strike.
fonte: http://www.linkiesta.it/irlanda-nord
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Ecco perché il
signoraggio bancario fa
bene a tutti
Giorgio Arfaras
Spesso il termine “signoraggio” ha un significato negativo e oscuro, legato a
manipolazioni della moneta da parte delle elites mondiali. Al contrario, la
compravendita di valute da parte delle banche centrali serve a riportare l'equilibrio
quando si ha una crisi che non è governabile lasciando che i mercati trovino
autonomamente una soluzione. Come nel caso della banca centrale svizzera.
264
Post/teca
La banca centrale svizzera, accusata di “signoraggio”
FINANZA
20 maggio 2012 - 19:13
Nel tempo che fu, il Signore poteva alterare il conio, ossia la sua moneta metallica
poteva non avere la quantità di oro che si credeva avesse. Il potere di lucrare la
differenza fra quanto incassava con le monete e quanto spendeva nel batterle era
chiamata Signoraggio. E così il Signore finanziava le sue guerre, comprava i
broccati, e si intratteneva con le cortigiane. Quando i Servi scoprivano il trucco, la
moneta perdeva potere d'acquisto e perciò il Signore tornava a comprare in
proporzione all'oro contenuto. Passato qualche tempo, tutto ricominciava. A un
certo punto, i Servi tolsero al Signore il potere di battere moneta. E il potere fu dato
alla Banca Centrale. Laddove non si altera più il conio, ma si stampano banconote
che hanno un potere d'acquisto di gran lunga superiore al loro costo di produzione.
I Paesi (chiamiamoli così) arretrati stampano moneta per finanziare il saldo
265
Post/teca
fra le entrate e le uscite del settore pubblico, mentre quelli avanzati (chiamiamoli
così) emettono obbligazioni (ossia debito pubblico). L'emissione di obbligazioni per
finanziare il deficit toglie moneta dal circuito privato per darla a quello pubblico (in
cambio di un interesse e dell'impegno a rimborsare l'obbligazione alla scadenza).
Stampando, invece, moneta, i paesi arretrati non generano debito pubblico e
dunque non sorgono né interessi né obblighi di rimborso. Una soluzione magnifica
non fosse che, alla fine, stampando moneta, si genera inflazione. Non ci fossero
contro indicazioni – con un'inflazione elevata si impoveriscono tutti quelli che hanno
i redditi non indicizzati – basterebbe stampare moneta per essere tutti ricchi.
Il Signoraggio (significativo, perché un minimo di Signoraggio esiste sempre)
lo troviamo in misura contenuta nei paesi detti avanzati e in misura molto maggiore
in quelli detti arretrati. In Italia, prima del divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia del
1981, si esercitava un Signoraggio di un certo peso. La Banca d'Italia doveva,
infatti, comprare il debito offerto dal Tesoro e rimasto inoptato, e dunque iniettava
moneta nel sistema. La quantità di moneta aumentava molto, il che alla lunga
produceva un'inflazione elevata. Negli anni Settanta chi se lo poteva permettere
comprava le forme di Parmigiano per difendersi dall'inflazione (il Parmigiano matura
in tempi lunghi e la sua domanda non reagisce cadendo al crescere del prezzo:
perciò, se uno lo tiene, lo rivende poi a un prezzo maggiore e quindi si copre
dall'inflazione). Oggi esiste un modo meno macchinoso dello stipare formaggio per
difendersi dall'inflazione, se uno la teme: bastano le obbligazioni emesse dal Tesoro
indicizzate alla variazione dei prezzi.
Si sente dire che il Signoraggio deve tornare al Popolo. Svolgendo l'esercizio
di comprendere la succitata affermazione, direi così. La spesa pubblica in deficit è
finanziata con moneta e non con obbligazioni. Il valore dei beni e dei servizi che la
spesa pubblica in deficit compra è maggiore del costo di produzione delle
banconote che usa (=il Signoraggio al Popolo). Si ha un'espansione della spesa
pubblica finanziata con moneta che costa poco o nulla. Fin qui, tutto bene, ma,
andando avanti, si vede che le cose non sono semplici. Una volta che la
manodopera e gli impianti siano pienamente utilizzati, grazie all'espansione della
domanda, ecco che sorge l'inflazione. Se si riesce a fermarla – come, per fortuna, è
avvenuto quando abbiamo avuto in Italia il divorzio fra la Banca Centrale e il Tesoro
– le cose vanno a posto, se non si riesce, abbiamo l'iper-inflazione.
Se è vero che il Signoraggio marcato è cosa da paesi arretrati proni
all'inflazione, perché mai è visto come un importante strumento dei “poteri forti”.
Non l'ho mai capito. Dico perché. 1) Per “poteri forti” si allude alle élites dei paesi
avanzati. 2) Queste si muovono in un mondo di pesi e contrappesi, ossia in un
mondo in cui ogni potere è smussato. 3) E' difficile vedere quale possa essere il loro
interesse a governare producendo – attraverso l'uso sistematico del Signoraggio –
molta inflazione. Una parte dell'élite può volere il Signoraggio, ma un'altra parte
può non volerlo, anche perché brucerebbe il debito pubblico che in gran parte è
detenuto dai benestanti, che sono ben rappresentati nelle élites medesime. Si
266
Post/teca
potrebbe obiettare che la critica del Signoraggio non c'entri con l'inflazione.
Piuttosto, essa è la denuncia del Signoraggio come mezzo per arricchire le banche
centrali, e dunque anche quelle private che ne sono l'azionista. Confesso che non
capisco nemmeno questa critica.
L'anno scorso, quando il franco si era rivalutato moltissimo contro l'euro, la
Banca Centrale elvetica aveva incominciato a vendere franchi per comprare euro. Il
turismo – per l'esplosione del cambio del franco – si era quasi azzerato. In
particolare, quello di lingua tedesca poteva andare in Austria o in Alto Adige, dove
la natura è la stessa e si parla la stessa lingua. Sorse il timore che la Banca Centrale
avrebbe potuto perdere molto, se l'euro fosse sceso ancora. (Il suo attivo,
composto da molti euro, si sarebbe potuto svalutare ancora, trascinando in giù il
passivo, ossia il patrimonio netto). Un suo esponente (T. Jordan, Does the Swiss
National Bank need Equity?, novembre 2011) spiegò perché non si doveva aver
timore: la Banca Centrale può incorrere anche in forti perdite perché il suo attivo è
sempre finanziabile emettendo banconote. Essa può, infatti, comprare debito
pubblico che ha un rendimento maggiore del costo di produzione della moneta.
La Banca Centrale non ha perciò bisogno – se incorre a perdite – di varare,
come farebbe un'impresa privata, degli aumenti del capitale. Essa può impegnarsi
in operazioni che un un privato non può nemmeno immaginare di affrontare, e
dunque il Signoraggio – in un sistema avanzato – serve a riportare l'equilibrio
quando si ha una crisi che non è governabile lasciando che i mercati trovino
autonomamente una soluzione. Il Signoraggio arricchisce le Banche Centrali in un
senso preciso. I profitti delle banche centrali sono distribuiti in forma di dividendi
agli azionisti in misura minima. I profitti trattenuti concorrono ad accrescere il
patrimonio della Banca Centrale, che così può affrontare le crisi.
Assumendo che Mario Draghi non viva ebbro fra broccati e cortigiane
sperperando i soldi del Signoraggio, si ha che il patrimonio netto della Banca
Centrale nel tempo aumenta, ciò che incrementa la probabilità di poter gestire le
crisi. Dunque il Signoraggio delle Banche Centrali non è il Signoraggio del Tiranno,
come si potrebbe pensare.
fonte: http://www.linkiesta.it/signoraggio-utile-banche-centrali
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Google Maps ai tempi dell'Impero
romano
Creato da storici e informatici, riproduce le condizioni di viaggio
267
Post/teca
del 200 d.C. [VIDEO]
(Fai clic sull'immagine per visualizzarla ingrandita)
Quanto tempo ci vorrà per andare da Roma a Londra nel mese di luglio? Circa
27 giorni, per un viaggio che costerà qualcosa come 900 denaria testa.
La risposta potrà sembrare strana, ma è corretta: basta tenere presente che
non stiamo parlando di un viaggio all'interno dell'Unione Europea, ma lungo le
strade dell'Impero romano nell'anno 200 d.C.L'articolo continua qui sotto.
Il calcolo è reso possibile da Orbis, frutto del lavoro di un team di storici e
informatici dell'Università di Stanford, i quali si sono assunti il compito di
creare una sorta diGoogle Maps dell'antichità. L'articolo continua dopo il
video.
Proprio come il servizio di Google, Orbis permette di indicare la città di
partenza e quella di arrivo, le modalità di viaggio, la velocità desiderata (che
cambierà a seconda che si viaggi su un carro, a cavallo o al ritmo di una
marcia militare) e anche il mese prescelto, poiché le condizioni climatiche
cambieranno sensibilmente la durata.
268
Post/teca
fonte: http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=17494
link: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=KwoshD3esdc
http://orbis.stanford.edu/#
-------------------curiositasmundi ha rebloggato pensierispettinati:
“Una gallina mitomane credeva di essere un’automobile. Le compagne glielo lasciarono
credere purché non accendesse il motore nel pollaio mentre loro dormivano.”
— Luigi Malerba - Le galline pensierose (via pensierispettinati)
-----------------elrobba:
...
Voglio aprire un topic. sabato, nel bagno dell’autogrill di Cantagallo, era scritto a pennarello blu
sulla porta di legno:
269
Post/teca
“Faccio pompini, anche a coppie”
Data la dedizione sintattica e lessicale del caro Anon, dopo innumerevoli scambi di opinioni in
merito, abbiamo analizzato (scusate il verbo malizioso) la frase in tanti modi, ovvero:
● faccio pompini, anche a coppie di cazzi - cioè anche due per volta
● faccio pompini, anche a una coppia - cioè anche a una coppia etero in cui lei guarda lui che si
fa fare una bella fellatio
● faccio pompini, anche assieme a un altro/a - cioè sono disposto a fare pompini insieme a
un’altra persona, al suo uomo
● l’ultima scelta prevede la possibilità che una donna sia entrata nel bagno degli uomini a
scriverlo, e pertanto si intenda che sia una donna a proporsi nell’annuncio
ci date la vostra interpretazione?
-------------------1000eyes ha rebloggato bugiardaeincosciente:
Non piangere sul latte versato ma...sul barattolo di nutella vuoto
(web)
---------------cosipergioco ha rebloggato catastematico:
“Ti accorgi di essere sereno e in pace col mondo, quando ti fermi volentieri ai semafori”
— Leonardo Morini (via catastematico)
--------------lalumacahatrecorna ha rebloggato nenelafolle:
“No ma in Italia si vive molto bene, a patto che tu non sia operaio, studente, malato, gay,
pensionato, disoccupato, autonomo, precario, ateo o educato.”
— (via leavethesunshineout)
Fonte: leavethesunshineout
---------------solodascavare:
cosa ne pensa il Papa
Siccome il Papa ha dimostrato negli anni di avere un opinione su tutto, come fosse un misto cyborg
Eugenio Scalfari - Giorgio Napolitano, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa dei seguenti
argomenti
. delle tette rifatte
. del bollo auto
. delle reti wireless e di quelle 3G
. della gente che trova sexy i gomiti di altra gente
. delle persone che mettono i cuoricini sopra le i
. del cartello di narcotrafficanti Los Zetas (sono davvero dei terroristi? Perché sono tutti credenti?
Sono dei perseguitati politici?)
. delle macchine in doppia fila
270
Post/teca
. dei cani che cagano sui marciapiedi e dei padroni che non raccolgono la cacca (non crede che si
possa arginare il tutto con una minaccia di scomunica?)
. della disoccupazione femminile
. del canone RAI
. delle dighe
. dei viaggi in bicicletta
. delle politiche di immigrazione della Russia tra il 1956 e il 1998 (e se le condivideva perché?)
. quanto è la radice quadrata di -1? (perché dicono che non si può fare, poi ci mettono una i, e va
tutto bene?)
. conviene investire in alcol ed armi in un periodo di crisi? (se si, quanto?)
. le azioni di facebook si sono fermate a 38 dollari il primo giorno, perché non ne ha parlato durante
l’Angelus di domenica scorsa? E’ un attacco diretto al Zuckeberg perché è ebreo?
. la mafia uccide o no? se sì, perché?
. le piacciono i prati?
. ha mai guidato una moto? Cosa ne pensa delle impennate?
Sperando in una sua risposta durante l’Angelus di domenica prossima le porgo i miei più sinceri
saluti.
------------------
Monteverdi, capo di Fatto
Scelto il nuovo ad del quotidiano.
di Giovanna Sensini
Cinzia Monteverdi, nuovo amministratore delegato de Il Fatto Quotidiano.
Basta guardare la gerenza del Fatto Quotidiano per capire che nel giornale di Antonio Padellaro il
passaggio alla fase due è appena iniziato. L'avvio infatti non era partito dalla caduta di Silvio
271
Post/teca
Berlusconi che, a quanto raccontano, ha portato a un breve, ma intenso, tracollo di copie poi
recuperato sull’onda della crisi leghista e soprattutto dell’entusiasmo grillino.
È infatti scomparso il nome di Giorgio Poidomani, il grande vecchio della società, ed è comparso
quello di Cinzia Monteverdi, scelta come nuovo amministratore delegato.
POIDOMANI, TRE ANNI A IL FATTO.Poidomani, 78 anni, un passato nella chimica, nelle
aziende di Stato e infine a L’Unità, ha regnato per tre anni su Il Fatto Quotidiano con una gestione
prudente, ma redditizia. I soci industriali, da Chiarelettere al gruppo Gems a Francesco Aliberti e
l’imprenditore Luca D’Aprile, avevano messo una fiche simbolica per passione politica nel 2009 e
si sono trovati coperti di dividendi milionari, che non hanno esitato a ritirare (fin dal primo bilancio,
dopo soli tre mesi di attività) dalla società secondo l’italica predisposizione degli imprenditori
dell’uovo oggi che domani non si sa mai.
SCONTRO SUI DIVIDENDI NEL CDA. Proprio i dividendi hanno determinato lo scontro che ha
contribuito all’uscita di Poidomani: lui consigliava prudenza, visto l’anno difficile per il settore (Il
Fatto Quotidiano incluso). Ma gli azionisti - compreso l’ex magistrato Bruno Tinti - si sono imposti
e, nonostante l’opposizione di Padellaro e Marco Travaglio e degli altri soci giornalisti (Peter
Gomez e Marco Lillo), si sono attribuiti un dividendo analogo a quello del 2011, oltre 3 milioni di
euro.
RIFIUTATO IL RUOLO DI PADRE NOBILE. Il consiglio d'amministrazione era in scadenza e a
Poidomani è stato offerto di rimanere come padre nobile dell’azienda, ma praticamente senza
poteri. Inaccettabile per un uomo di gestione, poco propenso a delegare.
Così se ne è andato, lasciando uno scarno messaggio di saluti, senza sbattere la porta, ma anche
senza chiedere (o ricevere) celebrazioni, di solito scontate per un manager che ha portato certi
risultati.
I giornalisti sono rimasti un po’ stupefatti di vedere che un amministratore celebrato fino al giorno
prima come artefice del miracolo editoriale, assieme a Padellaro e Travaglio, sia stato
accompagnato alla porta con così pochi rimpianti.
Monteverdi è presidente della Zerostudio's che produce Servizio Pubblico
(© La Presse) Il gruppo di "Servizio Pubblico": Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Vauro Senesi e
Marco Travaglio.
Monteverdi scalpitava da tempo e aspettava l’inevitabile passaggio generazionale per coronare
un’ascesa iniziata tre anni fa quasi per caso.
La manager è infatti azionista, membro del consiglio d'amministrazione, amministratore delegato e
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Post/teca
presidente della Zerostudio’s, la società di Michele Santoro che produceServizio Pubblico in cui Il
Fatto Quotidianoha investito (o meglio, ha fornito un po’ di capitale al conduttore visto che, come
noto, «Michele Chi» decide tutto da solo).
PADELLARO, DIRETTORE E PRESIDENTE. Il nuovo assetto de Il Fatto Quotidiano è un po’
confuso: Padellaro è direttore, ma anche azionista e ora pure presidente della società; Travaglio
vicedirettore, azionista e fresco di ingresso in consiglio d'amministrazione; Gomez è azionista,
direttore del sito e anche lui è appena entrato in consiglio d'amministrazione dove siede, un po’ a
sorpresa, il produttore televisivo Carlo Degli Esposti che è stato cooptato pur non essendo azionista.
La regia della nuova situazione è attribuita a Monteverdi che, pur senza aver mai diretto alcuna
società vagamente paragonabile a Il Fatto Quotidiano (una trentina di milioni di fatturato) è il
terminale di tutti i nuovi equilibri societari.
LE ESPERIENZE NEL MARKETING. Mora, sempre sorridente ed elegante nelle foto
diDagospia che la ritraggono alle feste da lei organizzate in redazione, è nata a Viareggio 39 anni
fa, ma cresciuta a Parma.
Non ha un background finanziario, viene dal marketing. Si è occupata a lungo di organizzare eventi
e così ha conosciuto Travaglio curando la promozione del suo spettacolo teatralePromemoria (oltre
tre ore di Tangentopoli, magistrati e condanne): «Aveva un seguito incredibile. Ci siamo ritrovati
con altri amici e con Padellaro, che aveva da poco lasciato L’Unità, ad affrontare il disgusto e il
senso d’impotenza per un sistema che va avanti da anni e che ha sprofondato il Paese nel degrado
culturale», ha raccontato una volta a La Repubblica.
Nel giornale il nuovo amministratore delegato ha investito 200 mila euro
Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto Quotidiano.
Ne Il Fatto Quotidiano Monteverdi ha investito 200 mila euro, ma non è mai stata soltanto
un’azionista. Anche prima di avere un po’ di deleghe sul marketing, ha sempre curato l’immagine
del giornale, inventando eventi promozionali molto seguiti, da quelli che servivano a raccogliere i
primi abbonati nel 2009, senza il giornale in edicola, alla (auto)celebrazione nel parco della
Versiliana, in coda a un festival che ha sempre avuto un’impronta di destra.
Difficile dire se tanto sfarzo sia stato produttivo, ma negli anni delle vacche grasse non era un
grande problema, anche se deve aver creato qualche frizione con Poidomani, noto per l’attenzione
maniacale alle spese. Ma Monteverdi poteva contare sulla fiducia di Travaglio prima e poi anche di
Padellaro, che con l'ex amministratore delegato aveva lavorato quasi un decennio a L’Unità.
UN REBUS L'INVESTIMENTO SU SANTORO. Anche l’investimento nella Zerostudio’s di
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Post/teca
Santoro per ora è un rebus per Il Fatto Quotidiano: in attesa dei bilanci, che riveleranno i veri
numeri, per ora il giornale di via Valadier non sembra averne tratto grandi benefici tali da
giustificare un esborso di 350 mila euro.
La trasmissione è stata diffusa anche da Repubblica.it e Corriere.it, nessuna esclusiva al sito deIl
Fatto Quotidiano, Santoro non ha mai sottolineato la partnership e mai un giornalista del giornale
invitato in trasmissione (a parte Travaglio, ovvio).
SERVIZIO PUBBLICO VERSO SKY O LA7. A riferire a Il Fatto Quotidiano sui risultati
dell’investimento era proprio Monteverdi, che però è pure capo azienda della Zerostudio’s, in uno di
quegli intrecci di interessi che Il Fatto Quotidiano stigmatizza sempre. Ma quella vicenda potrebbe
presto chiudersi nel migliore dei modi per tutti, se Santoro firmasse l’accordo per vendere il format
Servizio Pubblico a Sky o La7 per la prossima stagione. Questione di giorni, dicono negli ambienti
televisivi.
DEGLI ESPOSTI PER LANCIARE IL MARCHIO. Discorso diverso se Monteverdi saprà
gestire quella delicata macchina da soldi che si è rivelato Il Fatto Quotidiano: anche il nuovo
amministratore delegato si era opposta ai soci industriali affamati di dividendi, ma è chiaro che
questi hanno visto con un certo sollievo la sua ascesa e l’uscita del più prudente Poidomani.
Viene attribuito a lei anche l’arrivo di Degli Esposti, che non si è mai occupato di editoria, ma
potrebbe essere interessato a usare un marchio forte come quello de Il Fatto Quotidiano (e delle sue
firme di punta) per progetti di docufiction o film inchiesta - ne ha già fatti sulla mafia, oltre a
produrre Le indagini del commissario Montalbano con la sua Palomar - magari in collaborazione
proprio con Santoro, da anni con il pallino delle fiction d’attualità.
Come possano convivere un ex di Lotta Continua quale Degli Esposti, addirittura arrestato nel
1977, e un feroce anti-sofriano come Travaglio resta un mistero. Ci penserà Monteverdi a farli
andare d’accordo.
Lunedì, 21 Maggio 2012
fonte: http://www.lettera43.it/attualita/monteverdi-capo-di-fatto_4367551492.htm
--------------------
Ortensio Scammacca
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ortensio Scammacca (Lentini, 1562 – Palermo, 1648) è stato un drammaturgo italiano.
Drammaturgo e poeta tragico (i contemporanei lo definirono "Il Divino Poeta di Sicilia"), Scammacca si trasferì molto giovane dalla
natìa Lentini verso il capoluogo, Palermo, per seguire le lezioni al Convento dei Gesuiti dove di lì a poco avrebbe tenuto i corsi di
Teologia e Filosofia, oltre che di Lingue e Scritture Sacre.
Le tragedie [modifica]
Delle sue tragedie ne rimangono 45, che si possono classificare in 3 gruppi:
● 11 tragedie morali chiaramente ispirate a Sofocle e a Euripide. I caratteri dei personaggi sono uguali a quelli originali,
Scammacca li ha solamente chiamati con un nome diverso dall'originale e ha cambiato i finali delle storie facendo in modo
da renderli maggiormente alla regola cristiana.
● 8 tragedie parafrasate da Sofocle e Euripide. Lo scopo di questo secondo gruppo di tragedie è identico al primo.
● 26 rappresentazioni e tragedie sacre. Gli argomenti trattati sono sempre gli stessi, ma i suoi scritti non hanno più l'ingenuità
di sentimenti che è invece molto presente nelle sacre rappresentazioni del 400.
Delle altre 7 tragedie andate perdute conosciamo solamente i titoli. Gli scritti di Scammacca hanno soltanto il fine di infondere nella
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Post/teca
massa i principi religiosi e morali cristiani.
Stile [modifica]
Nelle sue opere si possono trovare con una certa frequenza brani di grande efficacia descrittiva e potenza drammatica, per questo
motivo piacque molto ai suoi contemporanei, e perciò ebbe molto successo.
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Ortensio_Scammacca
-----------------------20120522
curiositasmundi ha rebloggato progvolution:
“È la finitudine umana sofferta e subita, non mai accettata. È il dolore metafisico del vivere in
quanto tale. È il dolore che gli uomini s’infliggono attraverso attraverso l’ignoranza, l’odio, la
malvagità; il dolore che gronda dalle isituzioni sociali ipocrite difettose.”
— Prefazione al Mito di Sisifo
Corrado Rosso (via progvolution)
----------------stripeout ha rebloggato 3nding:
“Sentite parlare di prostituzione a Roma? Città che ospita il Vaticano e il sindaco più vicino
all’estrema destra dal dopoguerra a oggi? Sicuramente le mignotte sulla Salaria davanti alla
Rai in pieno giorno saranno maestre del mimetismo agli occhi dei giornalisti.”
— 3nding (via 3nding)
---------------apertevirgolette:
“Per due motivi noti di carattere biologico (il sesso e la nutrizione) e per diversi motivi meno
noti, di carattere tra l’istintivo e il patologico, siamo costretti a sopportare l’esistenza, la
vicinanza e perfino il contatto di essere contrari alla nostra ragione; questi essere vengono
genericamente chiamati gli altri.”
— Juan Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere.
--------------ALLA RICERCA DEL GESÙ PERDUTO
1.
Un’enorme astronave in avvicinamento alla Terra. Assomiglia alla Morte Nera e
emette il suono di un milione di canne d’organo perfettamente accordate. O
almeno lo emetterebbe se solo i suoni potessero propagarsi nel vuoto.
Ci siamo quasi, Signore.
275
Post/teca
Tempo stimato?
Due messe in si minore e un mottetto.
Vento solare?
A favore.
Avviare procedura orbitale.
Procedura orbitale avviata.
Disattivare prima legge di Newton.
Disattivata.
Propulsori frontali?
Al massimo.
Mantenga l’angolo di entrata.
Sì, Signore.
Visore di prua.
Su un monitor cilindrico in mezzo alla plancia appare l’immagine
tridimensionale della Terra. Un vecchio col mantello e la barba è in piedi di
fronte al monitor, guarda pensoso quella piccola sferetta azzurra ricoperta di
nuvolette. Si versa un bicchiere di Brandy.
Sarebbe questo?
Sì, Signore.
Mm.
È un pianeta dei nostri, no?
Vuole che mi ricordi tutti i sassolini che ho sparpagliato per l’universo?
Gli strumenti dicono che c’è vita.
Bene.
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Post/teca
Sono ancora all’età della chitarra elettrica.
Guardi se c’è mio figlio, per favore. Dovrebbe essere quello con la barba.
C’è un sacco di gente con la barba.
Un sacco quanta?
Brulicano.
Va bene, scendiamo. Lei venga con me, signor Michele.
Gabriele.
È lo stesso.
2.
Una sagrestia. Un prete con un casco integrale è seduto davanti al computer.
Sta facendo le qualifiche a Monza.
Entra un energumeno col rossetto.
Padre?
Mm?
Mi scusi, padre.
Dica, signorina.
C’è il signor Rotella.
Non Giorgio Rotella, vero?
Se non è lui vuol dire che hanno legalizzato la clonazione.
Ora non posso, gli dica di passare domani.
Veramente è già entrato.
Un ometto pallido con due occhietti da roditore è seduto di fronte al prete. È
vestito più o meno come un pecoraio a una serata di gala.
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Post/teca
Padre, credo di aver perso la fede.
Di nuovo?
Ci sono cose che non mi tornano.
Se tornasse tutto io sarei disoccupato, non le pare?
Pensavo -Non ci pensi.
Pensavo alla transumanza del pane e del vino.
Transustanziazione.
Non mi convince.
Non la convince?
Neanche un po’.
Va bene. Ego te absolvo in nomine patris eccetera, dica un padre nostro e due
avemaria. Ora mi scusi, ma ho un battesimo urgente.
Posso sperare nella grazia?
Certo. Mi saluti sua moglie.
3.
Il Signore e Gabriele camminano in mezzo a una città affollata. Hanno vesti
michelangiolesche, ma nessuno sembra farci caso. Il Signore si guarda intorno
con la stessa espressione di chi ha appena scoperto che il ristorante in cui si è
appena seduto non è in realtà un ristorante ma un maneggio di cavalli.
Ferma un passante.
Mi scusi, ha per caso visto mio figlio? Io sono il padre e questo qui è... sei?
Gabriele. Lo stiamo cercando in tutta la Galassia.
Alto, con la barba, poteri soprannaturali...
Sui mille, duemila anni.
278
Post/teca
Coi sandali.
E una tunica.
È qui in vacanza.
Gli piacciono moltissimo i pediluvi e le cene con gli amici.
Ha i capelli lunghi.
E la barba.
Soprattutto la barba.
L’uomo dà loro un euro e se ne va. Il Signore e Gabriele guardano
attentamente il rilievo con l’uomo di Leonardo.
Non è lui.
No.
4.
Giorgio Rotella è in piedi sul tavolo del soggiorno, sta cercando di impiccarsi
con la cintura. Sua moglie gli dà una mano.
Questa dove l’attacco?
Falla passare nel gancio del lampadario.
È troppo corta.
No, amore.
È corta, è corta...
No, non così.
Hai ancora il guinzaglio del cane?
Non serve.
279
Post/teca
Dov’è?
Se ti dico che non serve...
Improvvisamente i peli si rizzano, le lampadine sfarfallano, gli orologi si
fermano e tutto il soggiorno è pervaso dal caratteristico sfrigolio di particelle
subatomiche che si aggregano. Il Signore e Gabriele si materializzano sul
tappeto.
Scusate, avete visto mio figlio? Alto, con la barba -Signore, è lei!?
Giorgio Rotella si butta ai piedi del Signore e inizia a lucidargli le unghie dei
piedi col polsino della camicia.
Il Signore si schermisce.
Be’, dipende...
Signore altissimo Dio onnipotente, onnisciente, eterno e infinitamente buono!
Sì, credo di essere io.
Claudia, guarda! Il Signore ha visitato la nostra dimora!
Vedo.
Ti rendi conto!?
Non si è messo le pattine.
Ora tutto ha un senso, Claudia, capisci? Tutto! La vita, la morte, l’acne
giovanile!
Come mai da queste parti? Le dico subito che non sono vergine.
Giorgio Rotella porge a Dio una Bibbia e una penna.
Potrei avere un autografo?
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Post/teca
...
È per mia figlia.
...
No, okay, è per me.
5.
Il prete abbassa la visiera del casco e impugna il volante. Tutto è pronto per il
novecentoquattresimo Gran Premio di Monza. Il rombo dei motori sale in tutta
la sacrestia: tre... due... uno... suona il telefono.
Mette in pausa.
Pronto?
Padre, sono io.
Signor Rotella?
Sì.
Cosa vuole?
Aveva ragione lei, Padre.
Guardi, sono molto occupato -Dio esiste!
Questo lo so.
No, non ha capito. Esiste veramente!
Sono felice di sentirglielo dire.
È di là in soggiorno con mia moglie.
Chi?
Dio.
Capisco.
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Post/teca
Vuole che glielo passi?
No, no...
Ci vuole un attimo, ho il cordless.
Non si disturbi.
Sono stato veramente uno stupido a non fidarmi di lei.
Non ci pensi più.
Potrà mai perdonarmi?
Dica un padrenostro e due avemaria.
Il prete riattacca e si passa una mano sulla faccia. Bisogna rifare tutta la
procedura di partenza.
Signorina.
...
Signorina!
Che vuoi?
Quant’è il record a Monza?
Uno ventuno e rotti.
Si prepari ad aggiornarlo.
6.
Giorgio Rotella è in bagno davanti allo specchio, in ansia come un ragazzino al
suo primo appuntamento. Si sistema i capelli, si bagna le orecchie con un po’
di acqua santa e si mette al collo un enorme crocifisso di legno, tutto intagliato
e minuziosamente dipinto, prezioso regalo della cara nonna buonanima per la
sua prima comunione. Ormai non ce ne sono più di nonne così.
282
Post/teca
7.
Dio, Gabriele e Claudia prendono un aperitivo a un tavolo all’aperto. Dio
enumera i suoi successi personali e propone numerosi brindisi a se stesso.
Ed è così che ho sconfitto il temibile Satràn Rudànta e l’infelice stirpe dei
Sarpédoni.
Una storia incredibile.
Ora il mio Regno si estende fino alle estreme propaggini dell’ammasso della
Vergine.
E, diceva, lei non condanna l’adulterio, vero?
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Post/teca
Me ne guardo bene.
Giorgio Rotella arriva ieratico e raggiante come una visione mistica. Sembra
muoversi su un tapis roulant.
Signore! Mio solo e unico Dio! Comanda il tuo umile servo e disponi di lui come
credi!
Che significa quello?
Cosa?
Quello.
Intende -Quel coso che hai al collo!
Signore...
CHE COSA SIGNIFICA!?
Accenni di cataclisma: la terra trema, lampi e tuoni, i vulcani eruttano, il prete
perde l’alettone posteriore.
Gabriele strappa il crocifisso dal collo di Giorgio Rotella e lo depone nelle mani
di Dio.
È lui!
...
Guardi, signor Michele.
Gabriele.
È lui, vero?
Sì, Signore. È Lui.
Actarus, figlio mio! Cosa ti hanno fatto!?
Credo lo abbiano crocifisso, Signore.
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Post/teca
Chi è stato!?
Giorgio Rotella s’inginocchia e congiunge le mani.
Signore! Signore!
Sei stato tu!?
No! Io no! Io...
Come ti chiami?
Rotella Giorgio, Signore. Per servirla.
Tu, ridicolo leccapiedi, ora sperimenterai l’equità e la misericordia della
giustizia divina! Disintegratore!
Gabriele dà a Dio una specie di rasoio elettrico luminoso. Claudia finisce il suo
spritz e si frappone fra il marito e Dio.
Basta con queste stupidaggini.
Donna! Che parola ti è uscita dal riparo dei denti?
Signore, non è stato lui. Lo guardi.
Più lo guardo e più mi viene voglia di disintegrarlo.
Ma se non sa neanche riparare lo scaldabagno.
Allora chi è stato?
Gli ebrei.
Chi?
Gli ebrei, i giudei, la stirpe di Abramo.
Michele, prenda nota. Che altro sa?
È tutto.
285
Post/teca
Va bene, allora questo Abramo sperimenterà l’equità e la misericordia della
giustizia divina!
Adesso che ci penso, anche i testimoni di Geova hanno preso parte alla cosa.
Scriva: testimoni di Geova. Nessun altro?
Be’, gli zingari, un po’ tutti i nomadi in generale, i punkabbestia...
Mm.
I lavavetri, quelli che suonano il piffero in strada e poi i nostri vicini di casa,
sapesse a che volume tengono la tv...
Basta così.
Non ho mica finito.
Dio guarda Gabriele e gli fa cenno che è ora di andarsene. Giorgio Rotella
abbraccia le ginocchia di Dio più forte che può.
Signore, la prego, mi porti con lei!
No.
Farò tutto quello che vuole! Dirò le preghiere, rispetterò i comandamenti, tutti!
Anche quelli che non capisco! Andrò anche a messa due volte al giorno!
No.
Tre volte al giorno!
Per me puoi anche fare a meno.
Per favore!
Preferirei portarmi dietro il bacillo della peste.
Mi dica almeno cosa c’è dopo la morte.
Niente.
286
Post/teca
Dio e Gabriele scompaiono risucchiati da una mandorla laser. Giorgio Rotella
stramazza a terra e piange, asciugandosi le lacrime con la gonna di sua moglie.
Claudia risponde al cellulare, è il prete.
8.
Il prete è in piedi sull’altare tutto bagnato di Champagne. Con una mano tiene
la pisside come fosse un trofeo, con l’altra il telefono.
Quand’è che posso venire, diciamo così, a benedire la casa?
9.
Dio e Gabriele ai loro posti sulla plancia dell’astronave. Dio fissa in silenzio il
monitor cilindrico: la Terra ruota lenta e silenziosa, come ogni giorno da circa
cinque miliardi di anni a questa parte.
Preme un tasto, la Terra svanisce nel nulla.
Signore, gli strumenti dicono che ora l’universo è un posto migliore.
Accensione motori.
Accesi.
Aureole.
Aureole inserite.
Ci porti a casa, signor Michele.
Gabriele.
L’astronave sfreccia via in una frazione di secondo, lasciando dietro di sé
nient’altro che un’effimera scia di tachioni.
Pubblicato da Smeriglia | 21.5.12
fonte: http://incomaemeglio.blogspot.com/2012/05/alla-ricerca-del-gesu-perduto.html
-------------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato cardiocrazia:
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Post/teca
back-alley-abortions:
Seppuku (切腹, “stomach-cutting”) is a form of Japanese ritual suicide by disembowelment.
Seppuku was originally reserved only for samurai. Part of the samurai bushido honor code,
seppuku was either used voluntarily by samurai to die with honor rather than fall into the hands of
their enemies (and likely suffer torture), or as a form of capitalpunishment for samurai who had
committed serious offenses, or performed for other reasons that had brought shame to them. The
ceremonial disembowelment, which is usually part of a more elaborate ritual and performed in
front of spectators, consists of plunging a short blade, traditionally a tantō, into the abdomen and
moving the blade from left to right in a slicing motion
---------------------ilfascinodelvago:
“
Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse,
trascinate dai giorni come piena di fiume
tante cose sembrate e credute diverse,
come un prato coperto a bitume.
Rimanere così, annaspare nel niente,
custodire i ricordi, carezzare le età;
è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente
del diritto alla felicità…
Se ci sei, cosa sei? Cosa pensi e perchè?
Non lo so, non lo sai; siamo qui o lontani?
Esser tutto, un momento, ma dentro di te,
aver tutto, ma non il domani…
Non andare… vai.. Non restare…stai… Non parlare… parlami di te…
”
— [Canzone delle domande consuete]
F. Guccini
-------------------288
Post/teca
mariaemma:
“Quando mi passerà tutto questo?”
“Quando lo deciderai tu. E credimi Alessandra, è più facile superare un’assenza che convivere
con qualcuno che non vuoi più.”
— Papà
-------------------gravitazero:
Che poi, che cazzo avranno mai combinato questi maya.
A parte inventare la mayonese, voglio dire.
-----------------tattoodoll ha rebloggato efattelaunacazzodirisata:
“Che cosa non sopporta?
La gente, soprattutto la gente che si lamenta in continuazione. Nessuno al mondo ha tutte la
sfiga che si merita quindi non dovrebbe lamentarsi affatto.”
— C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo | Efraim Medina Reyes (via
lapaolina)
Fonte: lapaolina
-------------------------spaam:
A nord-est della Padania.
A Repubblica.it, la questione settentrionale si solleva ogni volta che la sinistra non conquista
l’intero Nord: in pratica sempre. La Padania, di fatto, è una terra fantasiosa che a sud confina con i
paesini vinti dal Centro-sinistra.
Ogni tanto D’Alema e figli guadagnano terreno, una regione quando i pianeti si allineano e Veltroni
guarda dalla parte sbagliata, per poi riperderla subito a favore di qualsiasi altra cosa. Questa volta,
per esempio, LaRepubblica.PD, anziché festeggiare Genova e poco più, dovrebbe spiegarci come ha
fatto il Centrosinistra a perdere Parma al ballottaggio, di 20 punti, contro le 5 stelle.
Com’è possibile che nonostante infiniti film, libri, spettacoli teatrali, pezzi rock, mia nonna sotto
botta, dove appunto si mette in guardia il cittadino dalle derive populiste, il voto di protesta finisce
sempre per premiare il più stronzo?
Non potete neanche più appellarvi all’ignoranza dell’elettore medio padano-leghista, perché i
grillini son personaggi informatissimi, gente che evolutivamente parlando ha un secondo buco di
culo USB congenito, guardano i porno con un’occhio al router, vanno in vacanza nei villaggi Wi-fi
e c’hanno il programma online.
Soprattutto, c’hanno lo slogan fico e lottano contro il PD di Bersani.
---------------curiositasmundi ha rebloggato fantasticazioni:
Poesia della sedia nuova
fantasticazioni:
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Post/teca
caro batman,
caro gesù,
caro papa ratzinger,
caro giovanni rana,
vi scrivo perché fuori da questa cucina,
seduta al tavolo 32 vicino la finestra,
c’è daniela,
e io sono vestito da cameriere,
e lei è con il suo nuovo fidanzato,
e sono seduti dalla mia parte della sala,
e hanno ordinato spaghetti a vongole e spigola all’acqua pazza,
e nella cucina del ristorante Il Pappagallo,
mi sembra di essere caduto in un pozzo mentre un cane mi mangia la faccia,
il cuoco barese mi dice che non c’è un cazzo da aspettare,
ho i loro piatti [di ceramica bollente] appoggiati sugli avambracci,
e mentre spingo le porte della cucina,
[e non capisco perché gli editori non mi contattano],
mi ricordo di quando eravamo a copenaghen,
e avevamo finito i soldi,
e lei sentiva freddo,
anche se era agosto,
però era bello,
e poi solo quattro mesi dopo lei che chiama i carabinieri,
e io che non posso più aspettarla fuori al suo ufficio,
fuori la palestra,
fuori la chiesa,
fuori dal supermercato,
fuori dal corso di ceramica,
non esiste nemmeno più il fuori della sua vita,
e loro adesso sono dentro il ristorante,
e io mi vergogno e tremo,
e allora ritorno indietro,
il cuoco barese mi guarda,
appoggio i piatti da qualche parte,
esco dal retro,
ho preso un coltello,
e con la punta scrivo puttana sul cofano della bmw del suo fidanzato,
torno in cucina,
poi ci ripenso,
torno alla macchina,
e mentre il cuoco ride e fuma camel light,
sotto puttana, scrivo ti amo,
‘sta bene’, dice il cuoco,
‘mo però purt u piatt e muvt, strunz’.
(Fonte: hotelmessico.net)
Fonte: hotelmessico.net
-----------------290
Post/teca
curiositasmundi ha rebloggato nipresa:
nikkor:
(via Eventi estremi e Disastri - La casa antisismica)
http://www.centroeedis.it/articoli/casa_antisism.html
IL PRIMO PROGETTO DI CASA ANTISISMICA
NASCE A FERRARA NEL 1571
Pirro Ligorio, “Rimedi contra terremoti per la sicurezza degli edifici.”
Fonte: centroeedis.it
---------------------selene ha rebloggato curiositasmundi:
“Niente è più brutto di una parola d’amore pronunciata freddamente da una bocca annoiata.”
—
(Nagib Mahfuz)
--------------eclipsed:
“Dopo il sesso il 12% delle persone fuma, il 18% dorme e il 70% cancella la cronologia.”
— (Rodolfo Tanzi)
---------------selene ha rebloggato adciardelli:
“…agli uomini capita di mettere radici, e poi il tronco, i rami, le foglie…quando tira vento, i
rami si possono spaccare, le foglie vengono strappate via: allora decidi di non rischiare, di non
sfidare il vento. Ti poti, diventi un alberello tranquillo, pochi rami, poche foglie, appena
l’indispensabile. Oppure te ne fotti. Cresci e ti allarghi. Vivi. Rischi. Sfidi la mafia, che è una
291
Post/teca
forma di contenimento, di mortificazione. La mafia ti umilia: calati junco che passa la piena,
dicono da queste parti. Ecco, la mafia è negazione d’una parola un po’ borghese: la dignità
dell’uomo.”
— Mauro Rostagno, 1988 (via adciardelli)
-----------selene ha rebloggato largofactotum:
“E la madre gli disse: “Non essere ingenuo, non credere a tutto quello che ti dicono. Sappi che
il miglio non è l’unità di misura dei canarini, che i malati di mente vanno pazzi per certe
caramelle, che Pino Daniele è il nome proprio di un albero e che fa diesis non è musica ma
matematica, e cioè la somma di cinques più cinques! Abbi fiducia in te stesso! Applicati ma
non inchiodarti”.”
— Alessandro Bergonzoni (via cosechenonsaidime)
Applicati, Cristo, ma non inchiodarti.
(via largofactotum)
Fonte: cosechenonsaidime
-------------cartavetrata:
Terremoto in Emilia.
Gli inquirenti stanno cercando di dare un volto all’uomo che avrebbe azionato il terremoto.
Potrebbe essere un ex sismologo esperto di elettronica. Un uomo in guerra con il mondo.
Interrogate anche le scie chimiche, poi rilasciate.
------------dovetosanoleaquile:
“Un successo storico, nato dal basso, con pochissimi mezzi e in risposta alla casta. Ora però
all’astensionismo gli tocca governare.”
— miguel mosè
--------l231 ha rebloggato serena-gandhi:
serena-gandhi:
quando uno è a dieta non riesce nella maniera più carbonara a lasagne ad alici marinate. per cui è
uno sforzo salsiccia e ragù quando arrosto.
----------------------maewe:
Ricettalibi per le mandorle psicotropiche caramellate
difficoltà: n00b
preparazione: ovviamente ca. 20 minuti
necessario: 100 gr di mandorle (con la buccia, pezzenti), 100 gr di zucchero, un bicchierino d’acqua
(tipo 2-3 cucchiai), una pentola antiaderente (importante eh, se ce l’avete di rame è top, altrimenti
292
Post/teca
che abbia almeno un bel fondo spesso), e quindi un mestolo o cucchiaio di legno (ça va sans dire)
procedimento: mettete tutti gli ingredienti nella pentola e regolate il fuoco su medio-alto. girate e
rimestate senza posa COME LE PAZZE perché il caramello è bastardo e altrimenti vi si brucia.
dopo un po’ noterete che il caramello si scurisce e diventa un bel color ambrato, ma voi continuate a
mescolare. ad un certo punto sentirete un cambio di viscosità nel composto e questo è il segno che
l’acqua è evaporata del tutto quindi togliete dal fuoco SEMPRE rimestando. per non so quale
bellissimo processo chimico man mano che girate e girate e il tutto si raffredda leggermente le
caramelle si ricopriranno del caramello e tutto tornerà ad avere una consistenza sabbiosa. a questo
punto rimettete sul fuoco medio-basso e, devo dirlo?, mescolate e fate attenzione chè a sto punto il
tutto si caramella ben bene e si brucia facilmente. controllate bene che tutte le mandorle siano
coperte di caramello, versatele su un piatto e aspettate che si raffreddi.
NB: il caramello è una robina pericolosa, quindi cucinate senza marmocchi o coinquilini
rompicazzo intorno. non cedete alla tentazione di toccare cucchiai, pentole o altre superfici su cui si
è posato dell’attraentissimo caramello. non cedete alla tentazione delle mandorle ancora calde.
perché il caramello caldo è cattivo, e fa parecchio male.
--------------------dovetosanoleaquile:
“Analisi del voto nel centrosinistra: “A parte il parmigiano, reggiamo”
— AlessandraC
-----------------3nding ha rebloggato curiositasmundi:
tattoodoll:
Il 22 maggio 1978 veniva approvata la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Con
questa legge si colpiva finalmente la vergognosa piaga dell’aborto clandestino con le sue tragiche
conseguenze sulle donne.
Auguri 194!
---------------------------
GiroCalendario: 23 maggio
Il 23 maggio 1992 alle 17 e 56 cinquecento chili di tritolo fanno saltare in aria l’auto su cui viaggia
Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro,
Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Siamo vicino Capaci (Palermo, Italia, Europa).
Defunsero:
Alessandro Natta
latinista del PCI
293
Post/teca
07/01/1918 - 23/05/2001
Girolamo Savonarola
fanatico religioso
21/09/1452 - 23/05/1498
Heinrich Himmler
fanatico nazista
07/10/1900 - 23/05/1945
Henrik Ibsen
quello della casa di bambola
20/03/1828 - 23/05/1906
Nacquero:
Anatolij Karpov
gioca con i pedoni
23/05/1951
Andrea Pazienza
Paz ci manchi!
23/05/1956 - 17/06/1988
Giuseppe Parini
Scusi, mi sa dire che Giorno è?
23/05/1729 - 15/08/1799
Paolo Poli
tra le più belle brave e ironiche attrici italiane
23/05/1929
Robert Moog
quello del moog
23/05/1934 - 21/08/2005
Rubens Barrichello
gioca con le macchinine
23/05/1972
--------------------teachingliteracy ha rebloggato amandaonwriting:
“Words, madmoiselle, are only the outer clothing of ideas.”
— Agatha Christie (via amandaonwriting)
---------------------biancaneveccp ha rebloggato paginadiunacomuneragazza:
“Nessun ragazzo merita la tua adolescenza.”
— Hayley Williams. (via nonientepoitispiego)
Fonte: nonientepoitispiego
-----------------senza-voce ha rebloggato consuelo86:
Tutte quelle romanticherie, i tramonti, il mare, sono sempre lì.
Sono io che spesso manco. (V. Capossela)
294
Post/teca
Fonte: sussultidellanima
--------------selene ha rebloggato anninamour:
“Oggi, un bimbo mi chiede: “Ma il cuore sta sempre nello stesso
posto, oppure, ogni tanto, si sposta? Va a destra e a sinistra?”. Io:
“No, il cuore resta sempre nello stesso posto. A sinistra”. Ed
intanto penso. Poi, un giorno, crescerai. Ed allora capirai che il
cuore vive in mille posti diversi, senza abitare, davvero, nessun
luogo. Poi, ci sarà un altro giorno. Un giorno un po’ diverso. Un
po’ speciale. Un po’ importante. Quel giorno, capirai che non tutti
hanno un cuore.”
----------------tattoodoll:
“Ci siamo persi in un bicchiere d’acqua e ritrovati in un naufragio.”
— Dostoevskij
---------------
La misura e il tempo
Published on May 21, 2012
by Houseofcards in Frontpage, Generale, Racconti
Lo conosco da quasi 40 anni questo signore alto e allampanato che cammina
davanti a me.Quando era giovane gestiva un negozio di scarpe insieme a sua
moglie,una signora gentile e discreta che faceva sempre due chiacchiere con le
clienti,anche se non avevano acquistato nulla.
Col tempo sono arrivate le sirene dei centri commerciali e i due simpatici
signori ormai arrivati all’età della pensione hanno chiuso il negozio,dedicandosi
a lunghe passeggiate e chiacchierate con le tante persone conosciute negli
anni.
Li vedevi camminare sempre insieme,con i volti sereni,sempre affiancati,lei
sottobraccio a lui,lui col cappello in inverno e con i morbidi capelli bianchi al
vento d’estate.Per anni.
Ora lui cammina da solo davanti a me, ma lo fa come se avesse ancora lei
accanto,le lascia sempre lo spazio giusto per non farla inciampare nello
scalino,per non farla strisciare contro il muretto e per aiutarla ad attraversare
la strada.Ogni tanto si gira come per dirle qualcosa,poi desiste,ma non si
sposta di un centimetro.
Non riesco a smettere di studiare le sue attenzioni per quel vuoto così pieno e
improvvisamente decido che l’amore ha esattamente quella dimensione,quello
295
Post/teca
spazio vuoto sul marciapiede accanto ad un uomo stanco ma non vinto.Che
cammina,davanti a me,dandomi la misura e il tempo.
fonte: http://www.backtoblog.net/la-misura-e-il-tempo/
----------------------falcemartello ha rebloggato thediamondage:
Breaking news!
thediamondage:
ANSIA: 14.51 - Sanguinate sul Trebbia (PC). Il ViceConteRePresDelCons Montimer si è detto
indignato per la condotta di Ruotolo - giornalista di Cioè, Cronaca Vera, Il Baffo del Mezzogiorno
e Il Secolo XIX Massimo Meridion. “Trovo che rivelare l’identità misteriosa del Kaiser Soze
brindisino sia stato un atto di una gravità tremenda! Nessuno può permettersi di rovinare la
sorpresa a milioni di italiani incuriositi. D’ora in avanti le spoilerate a mezzo stampa verranno
tassate”. Il ministro della giustizia Paola Severino Cicerchia, interrogata sull’accaduto, ha
dichiarato ai microfoni di Forum: “Stiamo pensando di risolvere il problema. Abbiamo in progetto
di sparaflashare l’intera popolazione italiana, in modo tale da farli tornare a credere che
l’attentatore sia un picciotto ebreo iscritto a Forza Italia ex-membro della CIA nato in una galassia
lontana lontana. Come copriremo il costo dell’operazione? Dopo un accurato studio tenuto da
tecnici assunti dai tecnici già assunti da tecnici alle dipendenze del Ministero dell’Originalità
abbiamo deciso di introdurre una nuova accisa sui carburanti.”
---------------------3nding ha rebloggato gargantua:
Si è ripresa l’Islanda (Il Post)
gargantua:
Ieri il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo reportage dall’Islanda che racconta la ripresa
economica del paese dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Oltre a descrivere la situazione
attuale, il Wall Street Journal prova a capire quanto potrà durare questa ripresa e soprattutto la
paragona alla crisi dei paesi europei attualmente più in difficoltà come Grecia e Spagna e a
quella dei paesi che già avrebbero già superato le difficoltà più grandi, come l’Irlanda. Tutti
paesi che, a differenza dell’Islanda, hanno adottato negli anni scorsi l’euro.
I problemi dell’Islanda sono cominciati tra 2008 e 2009, quando c’è stato il crollo a catena di tre
grandi banche, la Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki, che ha provocato un’implosione
finanziaria, le dimissioni dell’ex premier Geir Hilmar Haarde (che è stato anche processato per
“negligenza” nella crisi, poi assolto) e la conseguente crisi economica nel paese, caratterizzata
da una forte inflazione e perdita di posti di lavoro. Dopo il prestito del Fondo Monetario
Internazionale (FMI) da 2,1 miliardi di dollari, tuttavia, oggi l’Islanda sembra essere sulla strada
del risanamento, soprattutto grazie alla svalutazione della sua moneta, la corona.
Secondo stime dell’OCSE il PIL islandese crescerà del 2,4 per cento nel 2012, dopo il 2,9 per
cento dell’anno scorso che ha interrotto la recessione. La disoccupazione dovrebbe scendere al
6,1 per cento nel 2012 – l’anno scorso era al 7 – e al 5,3 nel 2013. Anche l’emigrazione
all’estero è in calo. L’Islanda, scrive il Wall Street Journal, “grazie alla sua banca centrale
autonoma, alle sue decisioni autonome e alla sua valuta ha avuto margini di manovra che i paesi
dell’euro possono solo sognarsi. Il suo successo è un grande esempio per capire a cosa hanno
rinunciato questi paesi per entrare nell’unione monetaria. E forse è un esempio di cosa
296
Post/teca
potrebbero fare se la abbandonassero”.
La svalutazione della corona ha facilitato decisamente le esportazioni e il turismo (+16 per cento
del 2010, +51 per cento rispetto al 2005). Inoltre, i consumi sono rimasti più o meno stabili.
Questo è stato possibile anche grazie a politiche di espansione della spesa, soprattutto per le
persone più in difficoltà, per non far calare i consumi e la loro capacità di acquisto. In più, le
banche in Islanda, a differenza dell’Irlanda, per esempio, sono state fatte fallire e il costo del
loro crollo è stato pagato, almeno per ora, dagli investitori stranieri, non dai cittadini islandesi.
Inoltre, c’è stato il blocco dei capitali imposto dallo Stato (misura a cui si oppone l’Europa) che
dura ancora oggi e che ha evitato fughe di denaro pericolose.
Un’uscita della Grecia dall’euro, sottolinea però il Wall Street Journal, avrebbe comunque effetti
traumatici per il paese, nonostante i benefici e l’aumento delle esportazioni che potrebbe causare
il ritorno e dunque la svalutazione della dracma. Questo perché, per esempio, se le esportazioni
hanno rappresentato l’anno scorso circa il 59 per cento del PIL dell’Islanda, in Grecia hanno
rappresentato il 24 per cento del PIL. Se l’Islanda produce energia elettrica e riscaldamento
grazie alla sua energia geotermica, la Grecia dovrà continuare a importare energia
principalmente dall’estero, come ha fatto sinora, e con una moneta svalutata i costi sarebbero
altissimi.
Certo, l’Islanda è tuttora più povera rispetto a prima del 2008, c’è stato un calo negli
investimenti e c’è chi dice che questa ricetta di risanamento non eviterà un declino a lungo
termine, tanto che si parla sempre più della necessità di entrare in futuro in una moneta unica,
soprattutto per stabilizzare la corona deprezzata e combattere l’inflazione ancora alta, che sia
l’euro (per cui ci sono negoziati con l’Europa da tempo) o addirittura il dollaro canadese. Ma
altre nazioni in crisi che hanno già adottato l’euro non hanno un futuro così rassicurante come
l’Islanda, che tra l’altro ha cominciato a ripagare le rate del prestito ricevuto dal Fondo
Monetario Internazionale già lo scorso marzo, ossiaprima del previsto.
Guarda un po’, sono quelli che hanno mandato a fanculo agenzie di rating e stronzate varie e
hanno cacciato politici e fatto fallire le banche
---------------------
Facebook è per vecchi,
Obama punta sui
“social objects”
Damiano Beltrami
Nella campagna per la rielezione, il presidente uscente Obama sfrutta ancora una
volta, e se possibile con ancor maggiore competenza, il mondo dei blog e dei social
media. Coi “social objects”, divertenti, si punta a raggiungere il pubblico più
297
Post/teca
giovane, mentre facebook ormai è per persone più “mature”.
ESTERI
22 maggio 2012 - 14:50
NEW YORK - "Social objects". È questo il principale strumento su cui scommette il
team elettorale di Obama per coinvolgere i giovani e rivitalizzare il popolo del “Yes
we can” rappresentando il presidente in carica come il candidato del popolo,
contrapposto all’uomo dell'establishment Mitt Romney. Definiti in marketing come
nodi attorno ai quali si sviluppa una conversazione sulle piattaforme digitali, sono
per esempio “social objects” il grafico dell’andamento della disoccupazione postato
dalla squadra di Obama sul Tumblr blog a inizio maggio, il filmato in cui il
presidente spiega i passi in avanti sulle politiche ambientali, pubblicato su Facebook
il 22 aprile, e la foto appiccicata su Tumblr il giorno della festa della mamma in cui
Obama bambino è nelle braccia della madre Stanley Ann.
298
Post/teca
Sono “social objects” anche il collage di immagini animate che gioca con il
doppio senso della parola “arms” (in inglese “braccia” ma anche “armi”) per
prendere in giro i repubblicani alla Rick Santorum fissati con il diritto di possedere
pistole, ed è un “social object” pure l’elenco di canzoni a cui i sostenitori del
presidente possono contribuire su Spotify.com per creare la colonna sonora della
campagna elettorale.
«Siamo costantemente inondati di informazioni e alcuni modi di proporle
sono più efficaci di altri, i “social objects” sono esche per coinvolgere ex militanti
delusi ed elettori indecisi; sono informazioni semplici da elaborare e veloci da
condividere con i contatti», spiega a Linkiesta Andy Smith, esperto in attivismo di
massa e coautore con la professoressa di Stanford Jennifer Aaker del libro: “The
Dragonfly Effect: Quick, Effective, and Powerful Ways to Use Social Media to Drive
Social Change”.
I “social objects” raggiungono milioni di elettori attraverso Facebook (il
profilo di Obama ha ben 26 milioni e mezzo di amici sui 900 milioni di utenti mensili
del social network di Mark Zuckerberg), Twitter (15 milioni e mezzo di persone
seguono i suoi tweets) e vengono diffusi anche sulla piattaforma emergente di
questa seconda campagna elettorale di Obama: Tumblr. Con il pulsante “reblog”, il
sistema di blogging ideato dal venticinquenne David Karp permette alla comunità
dei frequentatori della piattaforma di rilanciare infografiche, foto e commenti
(anche più lunghi dei 140 caratteri consentiti da Twitter) nei social network che
preferiscono.
299
Post/teca
L’Obama team 2012 dispone anche di strumenti di analisi del traffico sui social
network che la task force elettorale di Obama poteva solo sognare. Questo
permette all’entourage elettorale del presidente di capire quali sono le strategie più
efficaci a seconda delle piattaforme. Buffe immagini animate Gif, per esempio,
possono funzionare meglio sul Tumblr blog frequentato da ragazzi pronti a
“ribloggare” questi contenuti leggeri per scherzare con gli amici, mentre un video
della famiglia Obama sprofondata sul divano a leggere è più adatto per Facebook,
dove il pubblico è ormai tendenzialmente più maturo. Insomma, programmi più
sofisticati per l’analisi dei flussi di elettori sui vari social network permettono di
affinare le tecniche di coinvolgimento.
Tutto vero. Ma per vincere le elezioni l’Obama team deve assicurarsi che
dopo le chiacchiere e i cinguettii online, i reblog e i retweet la gente vada in effetti
a votare. Per cui c’è tutto un filone di strategie per far sì che i militanti incontrino gli
incerti faccia a faccia per convincerli. Tra queste tattiche spiccano i “tweetups”,
incontri tra sottoscrittori di Twitter (militanti e elettori incerti) oppure tra attivisti
determinati a mobilitare chi non usa abitualmente la Rete.
Molte cose sono cambiate rispetto al 2008, ma l’Obama team può contare
sull’esperienza della ormai leggendaria “Obama online operation”, la squadra che
quattro anni fa svolse un ruolo decisivo nella vittoria dell’allora semi-sconosciuto
senatore dell’Illinois. In quel dream team c’era Chris Huges, allora ventiquattrenne
e già cofondatore di Facebook, impegnato sul versante social media; Kate Albrigh
Hanna, già regista della Cnn incaricata di sviluppare la sezione video; e Scott
Goodstein, al timone di una strategia di coinvolgimento tramite i messaggini sms
(molto meno popolari in Usa rispetto all’Italia).
300
Post/teca
La storia di quella travolgente campagna digitale in realtà era cominciata
quattro anni prima, quando il democratico Howard Dean si era presentato alle
primarie del suo partito. Era il 2004 e Dean puntò molto sul web. Non vinse, ma
quell'esperienza preparò il terreno a Obama. Alla guida della digital operation del
giovane senatore dell’Illinois nel 2008 arrivò Joe Rospars, il fondatore della Blue
State Digital, un’agenzia specializzata in strategie d’uso dei nuovi media,
collaboratore di Dean nel 2004. Il risultato di quell’esperienza lo conosciamo. Basti
rinfrescare un dato: i video sul canale YouTube di Obama all’indomani della vittoria
elettorale erano stati cliccati 68 milioni di volte.
301
Post/teca
«Thomas Jefferson usò i giornali per ottenere la presidenza, Franklin
Delano Roosevelt utilizzò la radio per governare, John Fitzgerald Kennedy fu il
primo presidente a capire davvero il mezzo televisivo, e Howard Dean comprese le
potenzialità del web per rastrellare quattrini», ha spiegato sul New York Times il
blogger e investment manager Ranjit Mathoda nel novembre 2008. «Obama ha
intuito che puoi usare internet per costruire un brand politico fortissimo
minimizzando costi, coinvolgendo la gente e avvalendosi del suo aiuto». Ciò che è
cambiato rispetto al 2008, però, è la posizione di Obama. Prima era un giovane e
ambizioso senatore. Adesso è un presidente al governo da quasi quattro anni che
chiede la rielezione.
«Dopo un mandato è più difficile organizzare una campagna elettorale
pirotecnica», sottolinea Smith, l'esperto in attivismo di massa e marketing. «La
narrativa della campagna online di Obama, puntellata sui “social objects”, fino a
questo momento è chiara: lo presenta ancora come l'outsider, il candidato del
popolo. E forse sarà alla fine una strategia vincente, perchè lo sfidante, il
repubblicano Romney è percepito da ampi strati della popolazione come un
nababbo, bianco, per giunta fan di Wall Street. E un tizio il cui passatempo preferito
è licenziare».
fonte: http://www.linkiesta.it/obama-rielezione-social-media
----------------------onepercentaboutanything ha rebloggato prostata:
prostata:
IL SINDACO A 5 STELLE DI PARMA
Scritto da Angelo Pannofino alle 01.05
Ieri il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo ha vinto il ballottaggio per la poltrona di sindaco di
Parma. Ecco quali saranno i primi 10 provvedimenti stabiliti dal neo sindaco grillino:
1. ECONOMIA
Parma uscirà immediatamente dall’euro. Si passerà al baratto ma usando solo prodotti a kilometro
zero (es. 1 Culatello = 0,27 Parmigiano Reggiano) scambiati via internet.
2 LAVORI STRADALI
I lavori di manutenzione e riparazione del manto stradale, la costruzione di ponti e piste ciclabili,
verranno fatti via internet: evitando di mandare gli operai fisicamente sul posto si otterrà una
riduzione sia delle emissioni di CO2 (-83%) che degli incidenti sul lavoro(-99%).
3 SOVRANITA’
Come annunciato da anni, verrà chiesto (via internet) l’asilo politico alla Svizzera. Giorgio
Napolitano verrà dichiarato Nemico Del Popolo e gli verrà immediamente tolta l’amicizia da
Facebook. Subiranno la stessa sorte: Rita Levi Montalcini, i Fichi d’India, il Papa, Gargamella e
302
Post/teca
Bersani (sia Samuele che l’altro).
4 TRASPORTI
Divieto assoluto di usare auto e mezzi inquinanti. I cittadini, via internet, potranno spostarsi
scegliendo tra:
- aliante
- salto con l’asta
5 INTERNET
Internet verrà fornita gratis a tutti via internet. Chi ha già internet potrà avere due internet. Chi non
ce l’ha, dovrà farne richiesta via internet: dopo la richiesta fatta via internet, internet verrà
consegnata porta a porta via internet a tutti i cittadini.
Chi non ha una porta per la consegna di internet porta a porta, potrà fare richiesta via internet per
ottenere una porta, che verrà inviata gratutitamente via internet. Chi non ha internet dovrà farne
richiesta via internet.
6. ONESTA’
L’onestà sarà obbligatoria.
7. SPORT
Il Parma Calcio scenderà in campo con la quinta stella sulla maglia.
8. RIFIUTI
Stop alle discariche, tutti i rifiuti dovranno essere smaltiti via internet, spostandoli nel cestino del
desktop e poi assicurandosi di svuotare il cestino ogni 3 giorni.
9. SICUREZZA
Entrerà immediatamente in vigore il divieto di commettere reati.
10. SANITA’
Ogni cittadino potrà installare un antivirus scaricandolo gratuitamente dal sito del comune.
-------------spaam:
“Certi sogni son talmente vicini alla realtà che anche lì faccio una vita di merda. [spaam]”
— diecimila.me
---------------yomersapiens:
una cosa non perdonerò mai ai porno. non tanto l’avermi fatto credere di poter trovare ovunque
donne felici di fare cose zozze e impossibili, quanto l’avermi fatto abituare che le parti noiose prima
dell’accoppiamento possono essere saltate spostando in avanti la pallina del player.
---------1000eyes ha rebloggato abluepen:
“Le cose belle finiscono. Pure quelle brutte, ma si danno il cambio.”
303
Post/teca
— Dapa
Fonte: dapa
------------unpercento:
Non c’è stato uomo in Italia che ha accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone: bocciato
come consigliere istruttore, bocciato come procuratore di Palermo, bocciato come candidato al
CSM e sarebbe stato bocciato anche come procuratore nazionale antimafia se non fosse stato
ucciso. Eppure ogni anno si celebra l’esistenza di Giovanni come fosse stata premiata da pubblici
riconoscimenti o apprezzata nella sua eccellenza. Un altro paradosso. Non c’è stato uomo la cui
fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i
convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono
stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha
colpito.
Voglio ricordare che la magistratura italiana addirittura scioperò contro Falcone nel 1991. Scioperò
contro la legge che creava la Procura nazionale antimafia a lui destinata. Per bloccarne la
candidatura, ricordo, un togato del Csm, Gianfranco Viglietta, di Magistratura democratica, esaltò in
una lettera al presidente Cossiga l‘“assoluta indipendenza” dell’antagonista di Falcone, Agostino
Cordova, osservando che “i criteri per la nomina a importantissimi incarichi direttivi non prevedono
notorietà o popolarità”. Dunque, Falcone non era indipendente, ma solo “popolare” per Viglietta.
Più esplicito in quell’accusa fu Alfonso Amatucci, anch’egli togato al Csm, per la corrente dei Verdi
(cui pure Falcone aderiva). Scrisse al Sole-24 ore che Giovanni “in caso di designazione, avrebbe
fatto bene ad apparire libero da ogni vincolo di gratitudine politica”. Falcone era più o meno un
“venduto” per Amatucci. Ancora un ricordo. Leoluca Orlando nel 1990, sostenne e non fu il solo,
soprattutto nella sinistra - che “dentro i cassetti della procura di Palermo ce n’è abbastanza per fare
giustizia sui delitti politici”. Quei cassetti, dove si insabbiava la verità sulla morte di Mattarella, La
Torre, Insalaco, Bonsignore, erano di Falcone. Ritorna l’accusa di Amatucci e Viglietta: Falcone è
un “venduto”. Delle due l’una, allora. O quelle accuse erano fondate e allora non si beatifichi come
eroe un magistrato che ha fatto commercio della sua indipendenza o quelle accuse erano, come
sono, calunnie e gli artefici avvertano la necessità di fare pubblica ammenda.
In dieci anni, non ho ancora ascoltato una sola autocritica nella magistratura e nella politica. Fin
quando ciò non accadrà, io sentirò il dovere di ricordare. Perché solo ricordare le umiliazioni subite
da Giovanni Falcone permette di comprendere il significato del suo sacrificio, il suo indistruttibile
senso del dovere e delle istituzioni; di afferrare l’eccentricità “rivoluzionaria” del suo riformismo
rispetto a un modo di essere magistrato in Italia o a fronte dell’idea subalterna della funzione
giudiziaria coltivata dalla politica. Era questa sua diversità a renderlo inviso a una parte della
magistratura e a rendergli diffidente e nemica la politica, tutta la politica, se si esclude la parentesi
al ministero dove gli fu possibile.
(Ilda Boccassini, 2002)
-------------mariaemma ha rebloggato pickumater:
“Quando non ti perdi più, quando niente ti distrae, quando riesci a mantenere alta la capacità
di concentrarti. È li che dimostri di essere diventato grande ed è li che io toh guarda un’altra
304
Post/teca
nuvola a forma di nachos! Incredibile! Sarà la decima da stamattina!”
— yomo ha una gran faccia da culo: (via m-aenigma)
Fonte: yomersapiens
----------mariaemma ha rebloggato themurra:
“In ogni rapporto umano, la cosa più importante è parlare. Ma le persone non lo fanno più:
non sanno più sedersi per raccontare e ascoltare gli altri. Si va a teatro, al cinema, si guarda la
televisione, si ascolta la radio, si leggono libri, ma non si conversa quasi mai. Se vogliamo
cambiare il mondo, dobbiamo tornare al tempo in cui i guerrieri si riunivano intorno a un falò
e raccontare le loro storie.”
— Paulo Coelho, “Lo Zahir” (via perlediundiavolaccio)
Fonte: nudehearth
----------elrobba:
...
Da grande voglio fare il foratore di biscotti Bucaneve.
------------curiositasmundi ha rebloggato batchiara:
“Son fatto che son sempre stato un accumulatore, ma mentre risistemavo casa dopo il
terremoto grosso dell’altra sera, ché abito in un centro storico a qualche decina di chilometri
dall’epicentro e l’ho sentito proprio bene, il mondo che traballava, l’altra notte, ma
comunque, mentre tiravo su dal pavimento la roba caduta, le bottiglie rotte, i cocci e la
polvere, stando attento a che nessuno si facesse male, anche se poi mi son tagliato io un dito
con un pezzo di vetro, ma niente, mi son messo a pensare che se anche fosse venuta giù tutta la
casa, una volta messi in salvo moglie e animali, delle cose accumulate negli anni, tipo libri,
dischi e cianfrusaglie, avrei potuto e potrei anche adesso tranquillamente far senza, che forse è
proprio come dice un mio amico cantautore, che “l’unica cosa positiva di un disastro è che ti
fa riconsiderare le priorità, e non so se sia il karma, lo ying e lo yang o chissà che cosa, però è
indubbio che ti rimette a posto il cervello per quel che vale la pena di avere e vivere. Poi, piano
piano, ti scordi tutto e ritorni un cretino. Chissà quale delle due è la nostra vera indole.” Siam
fatti così.”
— Son fatto così (17)
Fonte: achiaritumblr
------------Le autorità accolte a Palermo tra urla, monetine e insulti
La rabbia dei poliziotti, il disgusto dei giudici
"Vergogna, vergogna
assassini!"
La vedova di un agente: "Presidente Spadolini, chiedo vendetta"
Applausi a Tano Grasso e a Giuseppe Ayala
di GIUSEPPE D'AVANZO
305
Post/teca
PALERMO - La Repubblica italiana a Palermo è morta. E' morta in un giorno appiccicoso nello spettrale
androne di marmo del Palazzo di Giustizia seppellita dagli sputi, dagli insulti, dalla pioggia di monetine,
dal grido "Assassini", dal coro "Mafiosi" che, come un selvaggio scirocco, ha investito tutti coloro che piccoli o grandi, colpevoli, complici o innocenti (ma esistono innocenti?) - si sono avventurati in nome del
Popolo italiano nella camera ardente di Palermo. La Repubblica italiana è morta accompagnata dalle urla
dei poliziotti, dal disgusto dei magistrati. E' morta dinanzi a cinque bare con bandiera tricolore sistemate
su trespoli al termine di una guida rossa lisa, sfilacciata qui, sforacchiata là.
C'è il cappello blu della polizia sui feretri di Rocco Di Cillo, Antonio Molinari, Vito Schisano, il berretto e la
toga rossa e nera dei giudici di Stato sulle bare di Francesca Morvillo e Giovanni Falcone. La Repubblica
italiana a Palermo non è morta di rabbia, non è morta di furore, non è morta di vergogna. E' morta
nell'indifferenza ("Chi muore giace, chi vive si dà pace") di una città assente fuori dalla camera ardente.
E' morta del disprezzo - un disprezzo cupo, solido, senza speranza - che ha accolto i poveri cristi e le
facce di pietra venute a Palermo in nome della Repubblica italiana.
Era un povero cristo Giovanni Spadolini, presidente della Repubblica supplente, quando alle 13,25 ha
fatto il suo ingresso nel Palazzo. Nella camera ardente quanta gente c'era? Cinquecento, seicento, forse
mille persone. Erano molti i poliziotti, molte le madri, le mogli, le giovani donne dei poliziotti, c'erano i
magistrati, c'era la solita piccolissima Palermo degli onesti. Quella piccolissima Palermo che ha cominciato
nel 1979 ad andare ai funerali. E Giuliano e Costa e Terranova e Mattarella e Basile e Chinnici e La Torre e
dalla Chiesa e d'Aleo. Dodici anni dopo è sempre la stessa piccolissima Palermo dalla faccia pulita.
Sempre la stessa. Con qualche capello bianco in più, con accanto un figlio diventato adulto o un figlio
diventato padre, a sua volta. Con lo stesso dolore nel petto, ma gli occhi definitivamente asciutti.
Non più disperata (anche la disperazione è un lusso a Palermo). Questa risicata fetta di città è
semplicemente disgustata. Ed è un grido di disgusto che accoglie Giovanni Spadolini che apre il corteo
delle autorità. C'è il ministro della Giustizia, Claudio Martelli; il ministro degli Interni, Vincenzo Scotti.
Hanno il volto impietrito e cereo. Sono loro che hanno creduto in Giovanni Falcone, nella sua intelligenza,
nella sua capacità di dare corpo ad una nuova strategia giudiziaria e investigativa. Eppure toccano a loro
le monetine, le urla, gli spintoni. Alle loro spalle, serrano le file il segretario generale del Quirinale Sergio
Berlinguer, i sottosegretari agli Interni e alla Giustizia, il capo della Polizia, i comandanti dei Carabinieri e
della Guardia di Finanza, il capo dei servizi segreti e il vicesegretario della Dc, Sergio Mattarella, il
vicesegretario del Csm Giovanni Galloni, una Vincenza Bono Parrino presente chi lo sa perché (subito si
cruccia: "Qua è il finimondo, lo sapevo che non dovevo venire").
E ancora: ci sono i consiglieri di Palermo, il sindaco Domenico Lo Vasco in fascia tricolore, le gerarchie
giudiziarie del Palazzo dei Veleni e dei Palazzi di Roma che in Giovanni Falcone hanno visto sempre lo
"straniero", il "nemico" da umiliare, calunniare, sconfiggere. Sono gli uomini che lo costrinsero ad andar
via. Per tutti c'è un solo grido: "Assassini". "Assassini, assassini". "Mafiosi, mafiosi". "Complici, complici".
L'urlo sale, si gonfia dell'eco, si abbatte sul volto di Spadolini, Martelli e Scotti come uno schiaffo, come
un pugno.
Gli agenti di polizia che, in lacrime, sono accanto alle bare dei propri tre compagni ondeggiano. C'è chi
grida "mafioso" verso il corteo in grigio. C'è chi urla: "Andate via, via di qui. Sono i nostri morti, non i
vostri. Andate via di qui. Tornate a Roma, tornate alle vostre tangenti". C'è un ragazzone del servizio
scorte che insegue Galloni per aggredirlo. Gli grida sulla faccia: "Assassino". Lo trascinano via. Un gruppo
di poliziotti fende a gomitate la folla travolgendo ogni cosa. Si impossessano di una, due bare. Si sente
dire: "Andiamo via noi, portiamoci i nostri morti in Questura". E' il parapiglia. Il feretro di Rocco Di Cillo
sale tra facce livide e occhi gonfi di lacrime. "Assassini, assassini". "Vergogna".
La scorta del Quirinale si stringe intorno a Spadolini. Lascia scoperti, senza difesa Martelli e Scotti. Stretti
l'uno all'altro, dinanzi alla bara di Giovanni Falcone, i due ministri non si difendono, si lasciano trascinare,
strattonare, insultare. Non hanno la forza di reagire, forse non vogliono nemmeno reagire. Martelli ha le
mani sulla bara di Falcone e così resta fino a quando lo portano via di peso. Giovanni Spadolini si avvicina
a Rosaria Schisano. Rosaria ha ventisei anni, una piccola di quattro mesi, è la moglie di Vito. In ospedale
ha voluto vedere il corpo del suo uomo. L'hanno implorata di non farlo. Ha risposto: "Voglio dirgli per
l'ultima volta: "Ti amerò per sempre". E lo ha fatto. Ora quel corpo giovane squarciato, dilaniato è la sua
ossessione. Ripete: "Era così bello, le sue gambe erano così belle. Come me lo hanno ridotto, Vito mio".
Quando Spadolini le si fa accanto e le accarezza il volto, Rosaria smette di piangere e di invocare. Guarda
quell'uomo che l'accarezza e la rincuora senza riconoscerlo. Le dicono che è il Presidente. Chi lo sa se
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Post/teca
Rosaria comprende che è il presidente della Repubblica. Scaccia via i capelli dalla fronte e, con un lampo
negli occhi, dice: "Presidente, io voglio sentire una sola parola: lo vendicheremo. Se non puoi dirmela,
presidente, non voglio sentire nulla, neanche una parola". Spadolini si guarda intorno smarrito, non trova
le parole. Si allontana in silenzio seguito da una scorta scomposta. Dietro di lui rapidamente si raggruppa
il corteo inseguito ancora dalle urla: "Assassini, mafiosi". Il corteo si schiaccia in un corridoio laterale. In
fretta guadagna - in ascensore, su per le scale - il primo piano e la salvezza. Sono le 13 e 55 e la
Repubblica italiana è morta.
Non c' è nessuno, quasi nessuno, in quel Palazzo di Giustizia che vuole rappresentarla, che se ne sente
figlio. Non sono i poliziotti. Si alternano intorno alle bare dei compagni spalla a spalla. Piangono. Dicono:
"Siamo inutile carne da macello di una Repubblica senza dignità". Non si sentono figli della Repubblica, di
questa Repubblica, i magistrati. I magistrati, che chiudono sempre gli occhi e voltano sempre lo sguardo,
non lo sono mai stati. I magistrati che hanno gli occhi aperti e possono misurare soltanto la loro
impotenza volevano esserlo, ma oggi si sentono definitivamente sconfitti. E' uno di questi che dice - è
giudice per le indagini preliminari a Sciacca -: "Non tutti hanno il diritto di piangere Giovanni e Francesca.
Che c'entra qui, dinanzi a questi morti, quel consigliere comunale condannato per reati contro la pubblica
amministrazione? Che diritto ha per restare qui con noi quel sottosegretario del quale si conoscono le
amicizie e il lezzo dei voti che raccoglie? Che diritto ho io di illudere la gente che esiste la Giustizia
quando, quattro gatti come siamo, nemmeno la più ordinaria delle attività riusciamo a garantire. No,
questa è la loro Repubblica, queste sono le loro regole...".
Gli amici di Falcone, quei compagni di lavoro e di vita che gli hanno regalato, diceva, "la più esaltante
stagione della sua esistenza" tacciono. Inorriditi dalla morte di Giovanni, inorriditi dalla retorica del rito
pubblico, inorriditi da quelle urla che non hanno risparmiato i morti nelle bare. Tace Paolo Borsellino,
"l'amico fraterno", il "fratello maggiore" di Falcone. E' immobile in un angolo. Ha gli occhi fissi sulla bara,
un'espressione irrigidita sul volto che si ha paura a pensare quando si scioglierà. Tace Giuseppe Ayala, il
"fratello minore", intelligente e scapestrato, ora parlamentare. A lui la piccolissima Palermo degli onesti
regala un applauso quando qualcuno gli grida: "Ayala torna a fare il giudice". E' uno dei due applausi, se
si escludono quelli rivolti ai feretri, che risuonano nello spettrale androne del Palazzo dei Veleni. L'altro
sarà riservato a Tano Grasso, il commerciante di Capo d'Orlando divenuto leader antiracket per necessità.
Tano Grasso se ne sta da solo con lo sguardo pensieroso. Ragiona: "Le prossime ore saranno decisive per
capire se c'è o non c'è una prospettiva di battere la mafia. Con la morte di Falcone hanno voluto dirci che
nessuno può sentirsi sicuro. Per Libero Grassi si disse, dicemmo: era senza difesa, senza scorta, era solo.
Giovanni Falcone, invece, era difeso come meglio non si poteva ed è morto lo stesso. Dunque, dalla mafia
non ci si difende militarmente. Ci si difende soltanto se la società, noi siciliani, la gente la isoleremo. Se
anche questo delitto affogherà nella indifferenza, sarà meglio tornare tutti a casa, non parlare più di
antimafia, sarà meglio non farsi più illusioni, sarà meglio abituarci a pensare che questa è una Repubblica
governata e abitata dai mafiosi e dagli amici dei mafiosi". Quando Tano Grasso si allontana è pomeriggio.
Lo accompagna un applauso e un grido: "Tano resisti".
(25 maggio 1992)
fonte: http://www.repubblica.it/online/politica/falconedue/queigiornitre/queigiornitre.html
----------------dovetosanoleaquile:
“Ho fatto mettere una cappa in kucina.”
— arcobalengo
http://friendfeed.com/storpionimi
-------------1000eyes ha rebloggato abluepen:
“Le cose belle finiscono. Pure quelle brutte, ma si danno il cambio.”
— Dapa
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Post/teca
Fonte: dapa
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Kurt Vonnegut: otto suggerimenti per scrivere una grande storia
MAY 21, ’127:42 PM
Kurt Vonnegut ha regalato qualche giorno fa ai lettori dell’Atlantic otto suggerimenti per
scrivere una grande storia. I primi, non sorprendenti, dimostrano probabilmente che il percorso
di una storia allude a qualcosa di archetipico, o almeno profondamente radicato nella nostra
cultura. Quelli conclusivi invece appaiono forse più inconsueti e soggettivi:
1. Use the time of a total stranger in such a way that he or she will not feel the time was wasted.
2. Give the reader at least one character he or she can root for.
3. Every character should want something, even if it is only a glass of water.
4. Every sentence must do one of two things—reveal character or advance the action.
5. Start as close to the end as possible.
6. Be a Sadist. No matter how sweet and innocent your leading characters, make awful things happen
to them—in order that the reader may see what they are made of.
7. Write to please just one person. If you open a window and make love to the world, so to speak, your
story will get pneumonia.
8. Give your readers as much information as possible as soon as possible. To hell with suspense.
Readers should have such complete understanding of what is going on, where and why, that they could
finish the story themselves, should cockroaches eat the last few pages.
fonte: http://blog.debiase.com/2012/05/kurt-vonnegut-otto-suggerimenti-per-scrivere-una-grandestoria/
----------------gravitazero ha rebloggato curiositasmundi:
“Quando ero piccirìddo, c’era questa piccirìdda, Barbarella, bellissima, aveva la fùncia in
fuori e i riccioli girelli. Io ci ho detto “Barbarella, ti amo”. Lei mi fa: “Come i grandi?” E io:
“No, io ti amo per davvero”. Ecco. Così dovrebbe essere.”
— D. Enia, Così in terra, Milano 2012, p. 274 (via mastrangelina).
Fonte: mastrangelina
--------------------elrobba:
...
“Se il mio nome saper voi bramate,
Dalle labbra il mio nome ascoltate
Io sono Lindoro che fido, adoro,
Che sposa vi bramo,
Che a nome vi chiamo,
Di voi sempre cantando così,
Dall’aurora al tramonto del dì”
Lindoro, conte di Almaviva canta a Rosina - Il Barbiere di Siviglia su libretto di Cesare
Sterbini musicato da Gioacchino Rossini - atto Primo, scena quarta
Mi ricordate quando è successo che l’amore ha smesso di essere così profondo?
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rispostesenzadomanda:
Dunque, ricapitolando
I politici di professione no, ché è tutto un magna-magna.
Gli imprenditori che scendono in campo e gli altri parvenu peggio che mai, son troppo presi dal
mangiare più di quegli altri, e con meno vergogna, per cambiare le cose.
I tecnici son chiaramente messi lì dalle Forze del Male per il Dominio del Mondo™.
I comicopopulisti son guardati con -giusto- sospetto, condito di alterigia e sprezzante superiorità
ché è tanto chic parlarne male adesso (dopo averlo votato o preparandosi a farlo, guarda che déjàvu).
Restano solo Topo Gigio e i nichilisti.
--------------------20120524
uncertainplume ha rebloggato taigeto:
taigeto:
colei che camminò fra viola e viola
che camminò
fra i diversi filari del variato verde
in bianco e azzurro procedendo, colori di maria,
parlando di cose banali
in ignoranza e scienza del dolore eterno
che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando
che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti
rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia
in blu di speronella, blu del colore di maria,
sovegna vos
ecco gli anni che passano in mezzo, portando
lontano i violini e i flauti, ravvivando
una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa
luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta.
passano gli anni nuovi, ravvivano
con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano
la rima antica con un verso nuovo. redimi
il tempo. redimi
la visione non letta nel sogno più alto
mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro.
la silenziosa sorella velata in bianco e azzurro
fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non parlò parola
ma la sorgente zampillò e l’uccello cantò verso la terra
redimi il tempo, redimi il sogno
la promessa del verbo non detto e non udito
finché il vento non scuota mille bisbigli dal tasso
e dopo questo nostro esilio
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Post/teca
(T.S. Eliot)
-----------------------misantropo ha rebloggato classe:
“«Le gerarchie pontificie e democratiche si arroccano, e si chiudono in conclave», scrive oggi
Pippo Civati, che se non altro vede le cose da fuori: fuori dal Conclave, intendo. Da dentro,
invece, non perdetevi assolutamente questa: «Parma non è un caso esemplare, è l’eccezione.
(…) Ci sono forze che agiscono per smantellare l’unica prospettiva politica in campo. Quali
forze? Una parte della borghesia italiana. Quelli che dicono: meglio Grillo del Pd. Quelli che
giocano sul patto tra gli industriali e gli indignati. Anche Berlusconi fu un modo di non uscire
a sinistra dalla crisi della Prima Repubblica. L’errore politico che commettemmo allora, nel
1994, fu l’illusione dell’autosufficienza della sinistra. Non ci accorgemmo che il mondo
conservatore e anticomunista non aveva più rappresentanza politica ma non per questo aveva
smesso di essere la maggioranza dell’elettorato. C’era un vuoto e fu riempito da Berlusconi.
Per evitare di ripetere l’errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull’alleanza tra
progressisti e moderati». Tradotto: il successo di Grillo è espressione della borghesia e dei
conservatori che hanno paura del Pd, quindi per vincere dobbiamo convincere la borghesia e i
conservatori a stare con noi, alleandoci con l’Udc. Astutissimo, vero? Sì, avete di sicuro già
capito chi è.”
— Alessandro — The King of Trolls — Gilioli (via L’astutissimo in conclave)
classe: vien da chiedersi che Q abbia letto Civati. Perché non sembra che ci abbia
capito un cazzo.
Sembra di essere in quel romanzo, che si intitola Q. Che tutti hanno la loro setta, il
loro movimento, la loro fede. E si ritengono irriducibili, nella loro enfatica
predicazione.
Sì, peccato le sette di Q per quanto con una prospettiva, appunto, settaria e infine
troppo deboli per sopravvivere al contrattacco dei poteri forti, rappresentassero la
lotta del popolo contro la classe dominante.
Paragone fail proprio.
E poi:
E partirà una campagna in cui cercheremo di promuovere il dibattito, attraverso la
pubblicazione delle 10 cose da fare subito. Che in realtà sono molte di più, almeno
venti, come le tesi tipo Wittenberg da affiggere ai portoni del Pd e del centrosinistra
e, se vorrete, alle bacheche di Facebook.
E figurarsi se non paragona le sue tesi a quelle di Lutero - che in Q era chiaramente
descritto come il rappresentante dei principi contro l’imperatore cattolico, nonché
ovviamente nemico del popolo - quando avrebbe potuto citare i 12 articoli dei
contadini.
O Civati ha letto un Q diverso dal mio, o come al solito si tiene bene alla larga dal
parlare di classi sociali e tutto ciò che possa far pensare ad esse.
(via classe)
Fonte: iceageiscoming
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Post/teca
suicideblonde ha rebloggato homicidalbrunette:
Fonte: sandinlungs
#Charlotte Gainsbourg
------------------misantropo ha rebloggato classe:
“Un padrone bianco è uguale a uno nero e un padrone che va in chiesa è tanto quanto uno che
va nella moschea. Quelli che fanno questi discorsi li fanno perché hanno interesse che gli
operai rimangano divisi, bianchi, neri, gialli, cristiani, musulmani, buddisti o che cazzo ne so
io. Tutto gli viene bene, basta metterti sotto. Lo vedi no in quanti sono a menarla con ‘sta
storia qua delle culture, delle religioni ma poi quando gli operai muoiono sul lavoro, di questi
non ne trovi uno in giro. Li trovi solo a parlare della danza del ventre o del cuscus. Ma ti
sembra un ragionamento? Sono proprio quelli che tengono sotto i loro connazionali a averci
interesse in queste cose. Così invece che organizzare gli stranieri come lavoratori li mettono
insieme come culture, che poi che cazzo sarà mai tutta ‘sta cultura, oggi non senti altro che
parlare di culture, di religioni, come se il mondo non fosse più diviso tra chi lavora e chi ci
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Post/teca
mangia sopra. La vera difficoltà oggi è dare qualche aspettativa a chi lavora, dargli un’idea
per la quale valga la pena di lottare perché com’è adesso l’unica cosa che vedi è che tutti, chi
più chi meno, cercano di cavarsela come possono e tirare avanti così”
— Etnografia, G., Gabbie metropolitane, Emilio Quadrelli (via contingenze)
classe: always reblog E. Quadrelli. Ascoltatevi i suoi seminarî su Lenin dal blog di
Militant, e magari pigliate pure i suoi libri.
(via classe)
Fonte: contingenze
--------------------biancaneveccp ha rebloggato paginadiunacomuneragazza:
Penso che profumi di un odore che mi piacerà sempre.
Fonte: anninamour
--------------uncertainplume:
c’è stato un preciso momento, stamattina, intorno alle 10.15, in cui ho desiderato che il tempo si
fermasse. perché sentivo, come succede raramente, ogni cosa al proprio posto, perfettamente al
proprio posto, perfetta. questo momento di assoluta perfezione, che dura giusto pochi istanti (o
qualcuno in più) è, mi sono resa conto in quel momento, questione più che altro di congiunzione:
guardarsi da più punti di vista, gettare lo sguardo su tutti i versanti che ci stanno a cuore, e pensare
con assoluta placidità: va bene così, ed esserne anche sinceramente convinti. nessuna stonatura,
nessuna sbavatura, come se tutto ciò che ti appartiene fosse concentrato in un unico, preciso e
aggraziato punto, senza dispersioni di sorta. questa è la sensazione. è un senso di conquista.
immenso, fragilissimo, sfuggente, in ogni caso impagabile
----------------waxen:
“Non diciamo “Sei troppo bella”, “Questo pezzo è troppo forte”, “Son troppo fuori” piuttosto
“Sei gradevole alla vista in maniera medio-alta”, “Questo componimento riscontra
ampiamente i miei gusti musicali” o “Gli effetti del mix di sostanze psicotrope e alcool che ho
pensato di assumere questa sera per favorire socialità, divertimento e rilassatezza, potrei
averli sottovalutati, ecco. Gradirei collassare”.”
— Memento Mori - Diecimila.me
---------------lalumacahatrecorna ha rebloggato penelope-waits:
“Veramente vivo in tempi bui e non ho nulla da preoccuparmi perchè son diventato buio
anch’io, ma di notte, sono uguale agli altri.”
— Ministri (via bloodyvampireisdead)
Fonte: bloodyvampireisdead
-----------------regardintemporel:
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Post/teca
“
Tes pas, enfants de mon silence,
Saintement, lentement placés,
Vers le lit de ma vigilance
Procèdent muets et glacés.
Personne pure, ombre divine,
Qu’ils sont doux, tes pas retenus !
Dieux !… tous les dons que je devine
Viennent à moi sur ces pieds nus !
Si, de tes lèvres avancées,
Tu prépares pour l’apaiser,
A l’habitant de mes pensées
La nourriture d’un baiser,
Ne hâte pas cet acte tendre,
Douceur d’être et de n’être pas,
Car j’ai vécu de vous attendre,
Et mon coeur n’était que vos pas.
”
— Paul Valéry - Les Pas
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'C'è una guerra contro i giovani'
di Alessio Jacona
'In tutto il mondo 40-50enni lavorano per proteggere se stessi, i propri interessi e ciò che possiedono.
Discriminando la generazione successiva, che ragiona in modo diverso perché è cresciuta nel Web'. La
provocazione del filosofo e futurologo svedese Alexander Bard
(22 maggio 2012)
«Siamo in guerra con i nostri figli. C'è una generazione di 40-50enni che lavora per proteggere se stessa, i propri interessi e ciò che
possiede usando strumenti di controllo del mercato e della società che sono altamente discriminanti nei confronti delle generazioni
più giovani. E questa è l'esatta ragione per cui c'è una disoccupazione di massa tra i giovani di età tra i 20 e 25 anni».
A parlare è Alexander Bard, filosofo, scrittore, artista e produttore musicale svedese, autore insieme a Jan Söderqvist della 'Futurica
Trilogy', serie di saggi sulla rivoluzione portata in dote dall'avvento di Internet.
Lo abbiamo raggiunto a margine dell'intervento che forse ha più entusiasmato l'esigente pubblico del Next Berlin 2012. Dove Bard
ha spiegato quali sono secondo lui gli effetti più impattanti, dal punto di vista sociale, della rivoluzione di Internet.
«Quelli che sono cresciuti in Rete sono 'dividui' e non più 'individui'», dice Bard. «La parola individuo non serve più e definire come
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Post/teca
i giovani percepiscono se stessi oggi: divisi, in pezzi, molteplici. Un mosaico di personalità digitali. Né migliori né peggiori. Solo
molto diversi. Le nuove generazioni vivono in questa condizione schizofrenica, si vedono e sentono divisi in tanti pezzi quante sono
le identità che riescono gestire on line, sui vari siti e social network. E cosa ancora più importante, non percepiscono questo come un
problema, ma come un valore», un asset del nuovo vivere digitale. E anzi, tra i giovani «quelli che sono di maggior successo sociale
sono anche quelli che riescono a gestire il maggior numero di personalità contemporaneamente».
Ok, ma essere 'dividui' è un bene o un male? «Non parlo mai di bene e male nel mio lavoro. Io mi occupo di differenze. Il mio
compito è definire il cambiamento», spiega Bard. «Credo che la tecnologia sia ormai del tutto fuori dal nostro controllo e che
questo sia un problema soprattutto per gli europei, perché noi siamo da sempre abituati all'idea controllare il mondo, lo
addomestichiamo, lo sfruttiamo, lo abbiamo colonizzato. Il mondo è nostro».
E' stato così in passato, appunto. Ma ora le cose stanno in un altro modo e «l'evoluzione tecnologica è la forza drammatica che sta
guidando un cambiamento che possiamo solo accettare, cui dobbiamo adattarci, cercando rapidamente di comprendere come ci sta
trasformando, come cambia il modo in cui vediamo noi stessi, la nostra comprensione del mondo e, soprattutto, come acuisce la
differenza tra le varie generazioni».
Già perché, fa notare Bard, «c'è una differenza drammatica oggi tra come vede il mondo una persona di 40 anni e come lo vede una
di 20. E noi dobbiamo capire quella differenza perché la tecnologia ci divide e ci mette uno contro l'altro in termini economici molto
concreti».
Di qui la guerra contemporanea tra giovani e maturi. Una situazione in cui «chi è al potere non si rende conto di stare allevando una
generazione profondamente risentita, e che avrà un solo strumento per consumare la propria vendetta». E quello strumento è
ovviamente Internet, trasformato in arma letale e impiegata nello scontro finale tra generazioni.
Sembrerebbe il peggiore dei mondi possibili, e in effetti minaccia di esserlo se non ci diamo una mossa a capire cosa ci succede
intorno: «Dobbiamo discutere della nuova società e della nuova struttura di potere che stiamo creando usando Internet - ammonisce
Alexander Bard - e di come quello in cui viviamo sia radicalmente differente dal vecchio mondo al quale eravamo abituati».
Un esempio concreto può aiutare a dare la misura di ciò che intende lo scrittore svedese: «Il fatto stesso che oggi sia possibile avere
amici in tutto il mondo, cambia radicalmente e velocemente la nostra geografia mentale, la espande ed arricchisce. Ma consente
anche a sottoculture un tempo costituite da piccole comunità un tempo divise e sparse in tutto il pianeta di trovarsi, organizzarsi e
improvvisamente diventare visibili. E potenti». E' così che stanno nascendo e nasceranno i movimenti che nei prossimi anni avranno
la forza di cambiare il mondo.
fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ce-una-guerra-contro-i-giovani/2180646
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Internet ai tempi di Dickens
23 maggio 2012
di massimo mantellini
Una delle tante idee che prima o poi ciascuno di noi ha coltivato è quella della beatificazione di Internet come “grande
occasione per l’umanità”. La rete come territorio inesplorato di rivalsa dell’intelligenza sulla stupidità, del
ragionamento sulla forza bruta, del pensiero sull’istinto. Magari fosse così. In realtà non è difficile capire che nel
momento in cui tutto diventa rete, quando ogni contenuto vira verso il digitale, se ogni pensiero passa prima da una
tastiera che dalla bocca di chi lo ha appena ideato, immaginare una ipotetica Internet dell’eccellenza diventa piuttosto
complicato. Così qualche giorno fa Michele Serra, la cui Amaca su Repubblica è da tempo una specie di laboratorio di
fraintendimento delle dinamiche di rete, si è tuffato a piedi pari in questo tranello di santificazione. Riferendosi a un
leghistello di provincia autore di una battuta indecente su Facebook a riguardo del terremoto emiliano Serra scrive:
” Nell’attesa che (in un paio di secoli?) si trovi una misura di massa, un’etica di massa per affrontare una questione fin
qui limitata a giornalisti, scrittori, politici, credo sia importante che l’uso rozzo o violento o ‘gnorante della parola
pubblica non venga considerato alla stregua del famoso “prezzo inevitabile da pagare al progresso”. Cioé: se uno dice
una scemenza o una odiosità, bisogna rinfacciargliela, bisogna imputargliela. Non deve passarla liscia, è diseducativo. Il
pregiudizio classista che ha retto per anni le televisioni (“al popolo basta la bassa qualità”) ha già fatto abbastanza danni
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Post/teca
per traslocarlo pari pari al web rassegnandosi al fatto che dare la parola a tutti equivalga a renderla vuota e volgare.
Twitti? Sei su Facebook? Il tuo modello non dev’essere Rovato, dev’essere Dickens. Meglio: anche Rovato deve
puntare a Dickens.”
Puntare a Dickens è la maniera di Serra per immaginare una Internet dei sentimenti alti, uno spazio editoriale dove
prevalgano i contenuti (possibilmente) degni ed intelligenti. Lo stesso modello, del resto, dei media precedenti dove un
guardiano all’ingresso stabiliva tempi, palinsesto e collocazione.
Solo che Internet non è fatta così. Non c’è il guardiano e nemmeno il palinsesto e i leghisti buzzurri che aspirano a
diventare Dickens si contano sulle dita di una mano. Invece le scemenze vengono già oggi spessissimo imputate,
altrettanto spesso le odiosità vengono subito vigorosamente rinfacciate: il caso della cretinata infelice del leghista di
Rovato dove è stato stigmatizzato se non su Facebook stesso dagli utenti dickensiani di Facebook?
Più di sostanza l’altra questione sollevata da Serra, quella di cosa sia diventata la “parola pubblica”. Se Internet è il
luogo di tutti la parola pubblica diventa questione complicata e lontanissima dall’elaborazione culturale del giornalista o
dello scrittore. Se le parole si moltiplicano e diventano moltissime, se Youtubeingoia 72 ore di nuovi video caricati per
ogni minuto che passa, come potremo pensare anche solo lontanamente di riservare a tutte queste parole l’attenzione e il
valore che abbiamo riservato agli scritti della piccola elite culturale che fino a ieri ha avuto accesso allo spazio
pubblico?
Non sarà possibile esercitare un controllo complessivo sul senso delle cose dette e scritte in rete, dovremo invece
trovare la maturità necessaria per ignorarle, per lo meno in quella amplissima maggioranza dei casi nei quali questo sia
possibile. È una questione di rapporto con la realtà che oggi in rete manca quasi interamente, specie fra la categoria
maggiormente esposta dei comunicatori professionisti (giornalisti. politici scrittori, ecc) e che collide violentemente con
i nostri ordinamenti e con il senso comune. Tutti – in fondo – diffamano tutti, in rete come nelle piazze delle nostre
città, almeno un po’, più o meno elegantemente, a voce o per iscritto. Il bisbiglio della piazza che commenta la gobba di
Andreotti non è stato fino ad oggi troppo stigmatizzato: lo diventa, ineluttabilmente, quando quelle stesse parole
traslocano su una pagina web e da lì negli ingranaggi implacabili dei motori di ricerca. Il mondo e i suoi umori restano
uguali, cambiano i luoghi e le dimensioni della sua rappresentazione.
fonte: http://www.ilpost.it/massimomantellini/2012/05/23/internet-ai-tempi-di-dickens/
----------------------plettrude:
“Ci sono parole che all’estero – e in particolare nel mondo anglofono – vengono considerate
italiane ma che italiane non sono. Generalmente hanno a che fare con il cibo e con un uso
scriteriato del plurale. Per esempio “salami” per dire salame, “pepperoni” per dire peperone,
“zucchini” per dire “zucchina”. In paesi a lingua barbara, come il Paese Basso e le Fiandre, si
usa anche “panini” per dire “sandwich”. Quindi la gente dice tranquillamente I would like
one panini e crede di parlare quasi italiano. Queste sono le parole che definisco “orfane” nel
senso che gli anglofoni le attribuiscono all’italiano (dal quale certamente derivano, non
essendo presenti pero’ nel dizionario) e gli italiani le ignorano. Sono parole orfane e apolidi
eppero’ utilizzatissime.”
— ci sono parole « rafeli blog – il diario delle piccole cose
Fonte: rafeli.org
----------------elrobba:
...
Bisognerebbe insegnare ai propri figli a non sbagliare un congiuntivo, ma anche a non
dimenticarsi del passato.
-----------------
315
Post/teca
bastet:
“Ogni persona è, tra le altre cose, un oggetto facile da rompere e difficile da riparare.”
— Ian McEwan
--------------spaam:
Bacio ai pupi
Scusatemi Michael, Puma e Tretorn. Vostro papà vi adora. E anche a me state molto simpatici. Ho
cercato di impartirvi la stessa educazione che mi impartì vostro nonno: “Inganna tutto quello che si
muove e poi di’ che ti capiscono solo le puttane e i neomelodici”. Spero ricorderete ogni volta che
vi ho presi in braccio, ogni volta che vi ho baciati. Sennò ve lo ricordo io: era quando veniva il
curatore fallimentare e non sapevo come impietosirlo altrimenti.
diecimila.me/Bacio ai pupi
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Perché l’Italia non cresce?
di ROGER ABRAVANEL E LUCA D'AGNESE
Lo spiegano Roger Abravanel e Luca D'Agnese nel loro saggio che esce oggi: a nessuno importa che
una cosa sia "made in Italy", per cominciare
24 maggio 2012
Esce oggi per Garzanti il saggio Italia, cresci o esci, di Roger Abravanel e Luca D’Agnese,
due ex consulenti della società McKinsey. Nel secondo capitolo, che vi proponiamo,
spiegano «perché l’Italia non cresce».
Roger Abravanel ha lavorato per McKinsey per trentacinque anni, e oggi ne è director
emeritus; è inoltre consigliere di amministrazione di Luxottica Group S.p.A., Banca
Nazionale del Lavoro S.p.A., Teva Pharmaceutical Industries Ltd e dell’Istituto Italiano
di Tecnologia. Luca D’Agnese è stato partner di McKinsey e amministratore delegato di
diverse aziende del settore energia. Attualmente è presidente di ENEL Romania.
Insieme avevano scritto anche i due libri Meritocrazia e Regole.
***
L’economia italiana è immobile da più di dieci anni perché si è rivelata incapace di operare
una transizione verso un’economia postindustriale. È invece rimasta ancorata a un
modello «industriale-manifatturiero» vecchio di cinquant’anni. I nostri imprenditori, per
la maggior parte, sono rimasti legati alle «fabbriche» e non sono stati capaci di sviluppare
altre dimensioni di competitività, dal commercio all’acquisizione di altre aziende. Hanno
perso l’onda della crescita nel settore dei servizi. Le piccole dimensioni e la
frammentazione delle imprese non hanno poi consentito di approfittare in pieno della
rivoluzione digitale.
Un’economia vecchia di cinquant’anni
Cinquant’anni fa un frigorifero costava più o meno come un’automobile, mentre ora
quest’ultima costa venti volte di più. E questo non è avvenuto perché l’industria
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Post/teca
automobilistica non ha saputo ridurre i costi. È invece successo che, mentre il frigorifero
svolge oggi più o meno le stesse funzioni di cinquant’anni fa (raffredda e congela),
l’automobile è diventata un prodotto complesso, che con il passare degli anni si è arricchito
di funzioni sempre nuove: climatizzazione, sicurezza, informazione… Per questo oggi, per
progettare e costruire un’automobile, servono molte più competenze di mezzo secolo fa.
Le aziende automobilistiche tedesche sono state più abili di tutti nel seguire la transizione
verso la progettazione e la fabbricazione di un prodotto sempre più complesso. Così grazie
alla loro tecnologia e organizzazione oggi dominano il grande mercato delle vetture alto di
gamma e più sofisticate. E sono cresciute, nonostante l’emergere di formidabili nuovi
concorrenti come i giapponesi e i cinesi. Negli anni Ottanta la BMW produceva circa 300
mila vetture all’anno, oggi ne fa un milione.
Invece le imprese italiane che avevano costruito nel secolo scorso una indiscussa
leadership nel settore degli elettrodomestici (frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie…) non
hanno avuto la stessa crescita. Negli ultimi cinquant’anni il mercato dell’elettrodomestico
nei paesi occidentali è rimasto fermo, e tutta la crescita è avvenuta in paesi come la Cina,
dove sono nati colossi manifatturieri come la Haier, un gigante da più di 20 miliardi di
dollari di fatturato, con 30 fabbriche, una anche in Italia. Di conseguenza, le imprese
italiane hanno smesso di crescere e molte di esse hanno chiuso.
L’Italia è ancora il secondo paese in Europa per dimensione del settore manifatturiero e
moltissime imprese italiane sono competitive sui mercati di tutto il mondo. Ma questo non
è più sufficiente a trascinarsi dietro tutta l’economia del paese.
Il fenomeno che si è verificato nel settore elettrodomestici è avvenuto anche in molti settori
industriali: le aziende italiane sono rimaste confinate in «nicchie» che nel mondo
occidentale più di tanto non possono crescere (pelletteria, scarponi da sci, calze da donna)
o in settori a basso valore aggiunto (ceramica, tessuti, acciaio), dove la maggioranza delle
imprese italiane non è stata capace di «reinventarsi», neanche nei settori dove la grande
tradizione italiana pareva più solida. In qualche caso lo ha fatto qualcun altro: vedi il caso
di Nestlé, che si è reinventato il modo di bere il caffè (i negozi Nespresso, quelli degli spot
con George Clooney), e di Starbucks, che ha fatto lo stesso con il cappuccino.
Diventare imprese postindustriali non era impossibile, ma richiedeva imprenditori capaci
di adattarsi ai tempi che cambiavano. Qualcuno ci è riuscito, per esempio un grande
imprenditore italiano come Leonardo Del Vecchio. Nel settembre 2011, Luxottica ha
festeggiato il cinquantesimo anniversario della fondazione ad Agordo. Con la straordinaria
semplicità che lo contraddistingue, Del Vecchio ha confessato: «Quando vengo qui, mi
guardo attorno e mi ricordo cinquant’anni fa che venivo in Lambretta con i miei amici
operai e penso spesso: guarda che casino abbiamo combinato».
E di «casino» ne ha davvero combinato molto: Luxottica era una piccolissima impresa che
produceva un pezzetto di occhiale, oggi è diventata una grande impresa globale che crea
prodotti in Italia e negli USA, che commercializza i grandi marchi della moda italiana ma
anche due brand americani come Ray-Ban e Oakley, due aziende che ha acquistato per
centinaia di milioni di dollari. Soprattutto, Luxottica si è trasformata nella più grande
catena di ottica e di occhiali da sole nel mondo: con più di settemila negozi (soprattutto
negli USA) Luxottica oggi è il simbolo di una vera azienda «postindustriale». Continua a
produrre occhiali (32 milioni di pezzi ad Agordo e 15 milioni a Dong Huang, in Cina) ma li
disegna, li progetta, ne concepisce il marketing e soprattutto li vende, ai negozi di ottica
indipendenti (che apprezzano la qualità del servizio offerto) oppure ai propri. Inutile
aggiungere che in questi cinquant’anni Luxottica è cresciuta enormemente, anche per
317
Post/teca
quanto riguarda l’occupazione. Il bello è che se oggi nella fabbrica cinese lavorano 6500
persone, ad Agordo continuano a lavorare 7900 persone, molte più delle 2900 che erano
presenti nel 1997, anno di apertura della produzione in Cina. Negli ultimi cinque anni la
crescita è stata di 1500 lavoratori: per Luxottica produrre in Cina non vuol dire licenziare
in Italia.
Leonardo Del Vecchio ha capito che commercializzare gli occhiali era altrettanto
importante che saperli produrre e che era necessario attirare in Luxottica i migliori talenti:
ha chiamato come amministratore delegato uno dei più bravi manager italiani, Andrea
Guerra, esterno alla famiglia.
Purtroppo per l’Italia, i Del Vecchio sono rari. La maggioranza delle imprese italiane non è
stata capace di sfruttare le grandi opportunità di cambiamento.
Il secolo scorso è stato caratterizzato da veri e propri megatrend che hanno trasformato
l’economia mondiale. La prima è sicuramente la tecnologia, ma non nell’accezione che si
dà in Italia quando si dice: «In Italia non si fa ricerca di base». Questo è senz’altro un
problema, ma il fatto ancora più grave è che la nostra economia si è rivelata incapace anche
di applicare tecnologie sviluppate da altri.
Internet è considerato un gadget, dall’imprenditore che magari ha tre iPad e dai suoi
dipendenti che hanno due smartphone: mentre la cultura organizzativa dell’impresa
italiana, soprattutto di quella piccola, non è ancora in grado di utilizzare l’enorme
potenziale delle tecnologie digitali.
Il ritardo digitale dell’Italia
Secondo un recente studio McKinsey per il Digital Advisory Group, il ritardo dell’economia
italiana nel digitale vale almeno un paio di punti di PIL. L’Italia è al ventisettesimo posto
su 34 paesi OCSE nel Web Intensity Index. Innanzitutto, le aziende italiane utilizzano l’ecommerce molto meno delle altre: solo il 5 per cento delle aziende italiane vende on line
contro il 20 per cento di quelle tedesche. Poi ci sono gli italiani che, pur usando internet
come gli altri europei (spedire computer per e-mail, navigare, andare su Facebook,
telefonini per mandare sms e fotografie), comprano molto meno on line, un quarto rispetto
al Regno Unito. E alla fine lo stato italiano è veramente poco digitalizzato, essendo al
venticinquesimo posto nella classifica dell’e-government.
L’impatto di questo ritardo digitale è enorme, sia in termine di posti di lavoro persi
direttamente nel mondo del web e delle telecomunicazioni (stimato in 400/500 mila posti
di lavoro) sia per le aziende che perdono la leva di internet per crescere. Varie ricerche
dimostrano che le aziende più utilizzano internet e più crescono nel fatturato, ed è
abbastanza ovvio il perché: il segmento di mercato di chi compra on line è in crescita in
tutto il mondo e le aziende che ne sono escluse sono penalizzate.
Le cause di questo ritardo sono note solo in parte. Ormai è risaputo che siamo un paese
con un pessimo accesso a infrastrutture digitali all’avanguardia (l’Italia è quarantesima su
72 nella qualità della rete a banda larga e ha pochi punti Wi-Fi, sempre secondo lo studio
McKinsey). Ma ci sono anche altre cause meno conosciute, in gran parte legate alla
mancata transizione a un’economia postindustriale.
Per cominciare, le PMI italiane sono troppo piccole e spesso incapaci o poco interessate a
cogliere i vantaggi di internet per crescere (sempre secondo l’adagio «piccolo è bello»).
Non riescono inoltre ad assumere personale qualificato e chi le guida spesso possiede un
livello di istruzione poco adeguato.
Contribuisce anche un altro problema ben noto: la cronica mancanza di una cultura di
regole giuste e rispettate. Infatti, in molte occasioni, lo sviluppo del digitale è stato bloccato
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Post/teca
da regole assurde: per esempio, lo sviluppo del Wi-Fi (in Italia nel 2011 solo cinquemila
punti Wi-Fi con- tro 31 mila in Francia e 143 mila nel Regno Unito) è colpa di una legge
sbagliata. Il decreto Pisanu del 2005 riguardante «misure urgenti per il contrasto
dell’antiterrorismo» richiedeva che chiunque usasse il Wi-Fi in un luogo pubblico dovesse
fornire un documento di identità.
Un’aggravante è la scarsa abitudine degli italiani a usare carte di credito per il pagamento,
anche perché il nostro commercio usa moltissimo il contante, per potere fare più
facilmente il nero. Infine c’è l’incapacità del sistema educativo a formare le professionalità
giuste nell’ICT (Information & Communication Technology) e a insegnare al cittadino
medio almeno un’infarinatura minima di informatica per rendergli la vita più facile.
Il ritardo digitale dell’Italia non ci deve preoccupare solo perché da noi non sono nate le
grandi innovazioni globali che hanno trasformato il mondo (come Google, Apple,
Qualcomm, alla quale ha del resto dato un importante contributo la genialità di un italiano,
Andrea Viterbi, uno dei tanti italiani che hanno contribuito alla leadership nella ricerca e
nella tecnologia degli USA). Preoccupa anche l’incapacità delle imprese e dei consumatori
italiani di approfittare di un grande megatrend (magari scoperto altrove) per creare
sviluppo applicando servizi innovativi nel nostro paese.
Non solo creiamo poca tecnologia e innovazione, ma non siamo neanche capaci di
applicare quella creata da altri, spesso da «cervelli» italiani emigrati.
L’opportunità perduta nel settore dei servizi
L’incapacità di sfruttare l’opportunità del digitale in Italia è sintomo di un problema
ancora più grave, ovvero l’inadeguatezza delle imprese italiane nello sfruttare un altro
megatrend degli ultimi cinquant’anni: la grande crescita del settore dei servizi, quello che
gli economisti chiamano anche terziario. Si tratta di un settore enorme, che comprende il
commercio, il turismo, le costruzioni, i trasporti, le professioni, le telecomunicazioni,
l’energia, l’ambiente, le assicurazioni, le banche, la sanità, l’informazione eccetera. Oggi
rappresenta più di due terzi dell’economia mondiale, mentre l’industria vale meno di un
terzo e l’agricoltura il 4 per cento.
È stata la crescita dei servizi a trascinare l’economia mondiale degli ultimi venticinque anni
e a creare la maggioranza dei posti di lavoro nelle società più avanzate: i servizi sono in
gran parte locali, mentre le imprese postindustriali devono spesso delocalizzarsi per
crescere e quindi fanno crescere PIL e lavoro dei paesi dove delocalizzano.
Si stima che l’incapacità di dotarsi di una moderna economia di servizi costi all’Italia da 4 a
5 milioni di posti di lavoro.
Il caso del turismo è emblematico. Il rapporto del World Economic Forum ci relega al
ventottesimo posto come competitività, mentre la Francia è al quarto e la Spagna al sesto.
Siamo così indietro perché siamo considerati i più cari al mondo in relazione alla qualità
del servizio che offriamo. Il turismo da «secchiello e paletta» che ha riempito a lungo la
riviera romagnola di villeggianti tedeschi in luglio e agosto è ormai in calo da anni: oggi
Ryanair ed EasyJet portano i turisti tedeschi in località lontane, dove vengono accolti da
grandi catene alberghiere, con una qualità di servizio molto superiore alla piccola pensione
familiare italiana, e a costi inferiori. Ma non si tratta solo della crisi del turismo della
riviera romagnola, di quella ligure e della Versilia.
Non siamo riusciti a sviluppare, soprattutto al Centro-Sud (inclusa la capitale) quel
turismo «premium» che pretende strutture alberghiere di qualità e trasporti eccellenti.
L’Italia è il paese che ha il minor numero di esercizi alberghieri riferibili a catene
alberghiere: il 6 per cento contro il 22 per cento della Spagna, il 31 per cento della Francia
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Post/teca
e il 69 per cento degli USA. Nel paese del turismo non è nata una sola catena
internazionale, mentre la Spagna ha NH Hoteles, la Francia Accor e gli USA Starwood.
Questa frammentazione non ha penalizzato solo il turismo nelle località balneari, ma anche
quello di cultura nelle città d’arte: il turismo a Roma, Firenze e Venezia è sottosviluppato e
i visitatori delle città italiane fanno soggiorni più brevi e spendono meno di quelli che
visitano le altre capitali del turismo all’estero: Parigi, ad esempio, registra 75 milioni di
presenze all’anno contro i 25 di Roma. Anche i dati relativi alle località sciistiche sono
indicativi: l’Italia ha il 22 per cento delle piste sciabili di tutte le Alpi, ma solo il 12 per
cento di quota di mercato, il 50 per cento di piste in più della Svizzera, ma la metà dei
visitatori. Solo il 15 per cento delle presenze nelle Alpi italiane è costituito da stranieri,
contro il doppio nelle Alpi francesi e il 37 per cento in Svizzera, Austria e Germania.
La storia è ovunque la stessa: che sia straniero o italiano, che visiti città d’arte o località di
villeggiatura, il turista da noi trova costi sempre più alti in relazione al servizio che ottiene
e alla qualità delle infrastrutture (trasporti, ospedali eccetera). Milioni di turisti scelgono
ancora il nostro paese, ma oggi la concorrenza è molto più forte di vent’anni fa.
Il disastro del turismo italiano non rappresenta un caso isolato: una situazione analoga si
ritrova in quasi tutti gli altri settori dei servizi.
L’Italia è il paese dei mobilieri, ma da noi non è nata Ikea, simbolo del commercio
innovativo. Il settore delle costruzioni è il più frammentato e meno competitivo tra i
venticinque paesi più sviluppati: poche grandi imprese (solo il 3 per cento ha più di 250
addetti, contro il 24 per cento del Regno Unito, il 20 per cento della Svezia e 18 per cento
della Francia).
Abbiamo più architetti di tutti, ma le loro partite IVA vivacchiano. Alcuni geni
dell’architettura contemporanea sono italiani, ma gli studi di architettura di calibro
mondiale sono americani, svizzeri, inglesi e giapponesi. Lo stesso vale per gli avvocati,
dove il problema non è chiaramente la competizione (ci sono quattro avvocati italiani per
ogni omologo francese), ma la qualità determinata dal basso numero di grandi studi
professionali di livello internazionale.
L’economia italiana non cresce perché le sue imprese non crescono
Imprese industriali che non si sono trasformate in postindustriali, imprese che non hanno
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Post/teca
saputo sfruttare la rivoluzione digitale e soprattutto quella dei servizi. È al livello delle
singole imprese che si spiega la stasi della nostra economia. Anche se qualcuno continua
consolarsi con antichi miti, come i «distretti industriali» e soprattutto con l’adagio «il
piccolo è bello».
Il mito più fuorviante è proprio quello che paragona l’economia delle nostre imprese a
quella delle Mittelstand della Germania, considerata, come l’Italia, un paese «industriale».
Da noi sono attive circa 1.200.000 «piccole imprese», che hanno cioè meno di 50 milioni
di fatturato. In Germania ce ne sono 2 milioni, un dato in linea con le dimensioni delle due
economie.
Ma attenzione: quasi un terzo delle nostre (400 mila) sono «micro-aziende» che contano
meno di nove dipendenti e due milioni di fatturato, mentre quelle tedesche sono
mediamente molto più grandi: in Germania le «micro-imprese» sono solo ventimila.
Insomma, in l’Italia PMI non sta per «piccole e medie imprese», ma «piccole e micro
imprese», mentre le aziende «Mittelstand» tedesche in Italia sarebbero considerate grandi.
E soprattutto, per fatturati più alti, il rapporto tra le aziende tedesche e quelle italiane è
molto peggiore di quello tra i relativi PIL: 5000 aziende tedesche con un fatturato tra i 50
milioni e i 3 miliardi di euro contro 1350 in Italia, e 150 aziende tedesche con un fatturato
superiore ai 3 miliardi contro 22 italiane.
La mancata crescita dell’economia italiana, che non crea posti di lavoro per i giovani e per i
meno giovani che vogliono lavorare almeno sino a sessantacinque anni, si può riassumere
così: la nostra economia non cresce perché le imprese non crescono. È vero che «l’Italia è
un paese di piccole imprese»: non perché ne abbiamo di più (quelle che in tutto il mondo
creano la maggioranza dei posti di lavoro, quando sono giovani, crescendo nei primi
cinque anni), ma perché le nostre imprese restano piccole. O peggio, restano «micro»,
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Post/teca
sotto i 15 dipendenti (anche perché così non si applica il famoso articolo 18) e non creano
nuovi posti di lavoro. Poiché sono piccole, la loro produttività è bassa (la metà delle medie
e grandi imprese) e non riescono a innovare, a offrire qualità e nuovi prodotti, a creare quel
valore aggiunto che si traduce in maggiori salari per i propri dipendenti. Rimangono
competitive solo pagando poco chi lavora per loro e spesso facendo il «nero».
Infine, fanno una concorrenza sleale alle piccole, medie e grandi aziende che vogliono
competere rispettando le regole.
Anche il «made in Italy» non basta più. A nessuno interessa dove Ikea compri i propri
prodotti (li acquista in tutto il mondo): i suoi clienti apprezzano che il design semplice e a
basso costo svedese si combini con un modello di supermercato «fai da te» uguale
ovunque. A nessuno interessa dove vengano fabbricati iPad e iPhone, tutti guardano al
genio di Steve Jobs che li ha concepiti.
Zara è diventato un colosso mondiale non certo per merito del «made in Spain» (produce
in tutto il mondo) ma per la sua capacità di fare un prodotto «pronto moda» con
numerosissime collezioni riassortite grazie a capacità di programmazione e logistica
innovative. Molti prodotti dell’abbigliamento di lusso richiedono ancora l’artigianato
italiano, ma non bastano più a creare occupazione: molti grandi brand del lusso italiano
stanno orientando la propria produzione per esempio in Cina, per soddisfare i clienti meno
abbienti ma sensibili alla moda. Purtroppo le nostre aziende sono troppo piccole per
delocalizzarsi con successo in quel difficile mercato.
Un complice di questo disastro di produttività delle imprese italiane degli ultimi anni è
oggi chiaramente identificato: una struttura del lavoro in Italia vecchia di cinquant’anni, in
termine delle competenze dei lavoratori e delle regole che lo governano.
Regole e competenze per il lavoro vecchie di cinquant’anni
Nelle economie postindustriali le competenze richieste ai lavoratori sono molto diverse
rispetto a quelle necessarie nelle aziende manifatturiere. Un tempo si distingueva tra «chi
pensa» e «chi fa», tra lavoro intellettuale e manuale: da una parte il progettista laureato,
dall’altro l’operaio alla linea di montaggio. Le nuove competenze richieste rientrano
nell’ambito generale dell’«organizzazione»: chi lavora in un aeroporto, in un
supermercato, in un ospedale, in uno studio professionale deve sapere risolvere problemi,
lavorare in team organizzando il proprio lavoro e quello dei collaboratori; deve sapere
ascoltare gli altri e ragionare con la propria testa. Sono quelle che gli esperti definiscono
«competenze della vita».
Economie come Singapore, Corea, Hong Kong non prosperano grazie ai Premi Nobel, ma
grazie a queste competenze che da noi mancano perché la scuola non le insegna.
Ma il passaggio a una società postindustriale non ha cambiato solo le competenze
necessarie: ha anche causato una vera e propria rivoluzione delle regole del lavoro,
diventato più flessibile e più mobile: è cresciuta infatti la mobilità all’interno di una stessa
azienda, oltre che da azienda ad azienda, per far fronte alle necessarie riconversioni. E
molte imprese investono in maniera massiccia proprio per formare i propri lavoratori,
riqualificarli e accrescerne le competenze della vita.
L’Italia è spaventosamente indietro, a causa di un mercato e regole del lavoro che
scoraggiano l’ingresso dei giovani, creando un esercito di precari che vivono in un regime
di vera e propria apartheid rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. Da un lato i
giovani precari hanno meno diritti e tutele, e soprattutto minori opportunità di crescita
professionale. Queste regole abbassano la produttività, incoraggiano le imprese a restare
piccole per non incorrere in vincoli e oneri (l’articolo 18, che non si applica per aziende
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Post/teca
sotto i 15 dipendenti) e impediscono una vera meritocrazia.
Un altro difetto è che queste regole mantengono un esercito di pensionati, in media molto
più giovani di quelli degli altri paesi industrializzati.
Insomma, se la nostra economia non cresce da anni non è colpa della crisi, dei cinesi che
vendono sotto costo, degli alti bonus per i manager. Il problema è la struttura di un tessuto
di imprese vecchio di cinquant’anni, incapace di cogliere le opportunità di crescita
dell’economia del XXI secolo; scuole che non formano le «competenze della vita»; regole
del lavoro che deprimono la produttività; gli italiani che vanno in pensione troppo presto;
la scarsa meritocrazia.
Ma perché ci siamo ridotti così? Perché in Italia manca una vera cultura della crescita.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/24/italia-crescita-abravanel-dagnese/
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Dove costa meno inviare una lettera?
E quanto sono aumentati i prezzi della posta tradizionale? La spiegazione è in un grafico per nostalgici,
dell'Economist
24 maggio 2012
Le email hanno reso obsoleto l’invio delle lettere, quelle materiali di carta coi francobolli e
tutto il resto, mettendo in difficoltà diversi servizi postali nazionali, che hanno visto ridursi
i loro ricavi. In alcuni paesi le poste sono riuscite ad adattarsi al cambiamento,
introducendo servizi “ibridi” per gestire la propria posta con l’aiuto delle nuove tecnologie,
mentre in altri casi i servizi postali nazionali hanno dimostrato di non riuscire a innovarsi,
anche a causa della politica che spesso ha un forte controllo su come vengono
amministrate le poste. Negli Stati Uniti il servizio postale perde circa 25 milioni di dollari
al giorno e si è discusso molto, anche al Congresso, sull’opportunità di ridurre il numero di
uffici postali e sospendere i servizi al sabato.
Come mostra un recente grafico dell’Economist, gli Stati Uniti sono tra i paesi in cui costa
meno inviare una lettera. Una busta di dimensioni standard può essere spedita in qualsiasi
Stato della federazione al prezzo di 0,45 dollari. Nel Regno Unito, dove fu introdotto il
primo francobollodella storia nel 1840, i prezzi per inviare le lettere sono aumentati del
122 per cento in circa dieci anni. Mandare una lettera costa quasi un dollaro. In Italia costa
circa 0,79 dollari e, fatti i dovuti aggiustamenti, il costo è diminuito rispetto a un tempo.
Nel grafico, la colonna con i numeri nei riquadri azzurri a destra mostra il prezzo per
l’invio di una singola busta standard, espresso in dollari. Le barre mostrano, invece, la
variazione dei prezzi dal 2001 ad aprile 2012 nei vari paesi presi in considerazione.
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Post/teca
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/24/dove-costa-meno-inviare-una-lettera/
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Post/teca
stripeout ha rebloggato curiositasmundi:
“Berlusconi ha fatto il suo tempo. Come Sbirulino, Gian Burrasca e il Mago Galbusera prima
di lui.”
— le supposte di paz83: (via curiositasmundi)
Fonte: paz83
-----------strategismo:
Del continuare a mantenere buoni rapporti con i colleghi.
Cara nuova collega, sarai anche alta, avrai anche delle belle gambe che mostri grazie alla gonna
aderente, avrai un seno prosperoso e bello in vista grazie alla scollatura generosa, sarai pure vestita
bene ma minchia ragazza come mestiere dovresti fare l’indossatrice di passamontagna! (semicit.)
---------------
Sciolto il mistero sull'origine
della Bibbia di Marco Polo
Analizzate per la prima volta le proteine del materiale
antico
Il volume duecentesco è in pelle di vitello, non in feto
d'agnello
Una pagina della «Bibbia di Marco Polo»
325
Post/teca
Sciolto il mistero della «Bibbia di Marco Polo». È un piccolo libro alto 16,5 centimetri e
largo 11, noto per questo come «Bibbia da mano», che risale agli anni trenta del Duecento.
Custodito nella Biblioteca medicea di Firenze è stato analizzato dagli esperti del Politecnico
di Milano per cercare di risolvere un enigma che si trascina da sempre senza una risposta
precisa. Su quale tipo di pergamena era stata scritta la piccola Bibbia?
L'ANALISI DEL PROTEOMA - Il primo motivo era legato al fatto che il foglio è
sottilissimo, appena 80 micron (millesimi di millimetro), per cui si riteneva fossero state
impiegate pelli di feti d'agnello. Ma era una risposta legata più alla tradizione che alla
scienza perché il loro utilizzo era diffuso nei libri e documenti ecclesiastici di pregio. Ma al
Dipartimento di chimica, materiali e ingegneria chimica «Giulio Natta» del Politecnico
milanese Lucia Toniolo e Pier Giorgio Righetti hanno compiuto un'indagine mai attuata
arrivando a studiare il proteoma del materiale (cioè le proteine che lo compongono): è la
prima volta al mondo che si effettua su una pergamena tanto antica.
IL VITELLO - Analizzando la miscela di proteine di un campione attraverso la
spettrometria di massa e confrontando i dati con adeguati database i due ricercatori sono
arrivati a stabilire che si tratta di pelle di vitello. E il risultato è stato pubblicato sul
Journal of Proteomics. Così si è dimostrato che è possibile compiere analisi
sofisticatissime anche su tessuti d'animale molto invecchiati identificandone la
provenienza ampliando gli studi sulle tecnologie per la produzione dei supporti alla
scrittura. Ma si è pure sfatata una leggenda legata ai feti d'agnello perché se fosse stata
vera, la strage degli agnelli avrebbe assunto proporzioni incredibili. Solo la Bibbia di Marco
Polo ha 500 pagine che corrispondono a quanti animali? Incredibile, appunto. Un risultato
quello ottenuto al Politecnico di Milano, prezioso quindi per gli storici e per tutti coloro che
indagano nel nostro passato attraverso i manoscritti.
MARCO POLO - Il prezioso libro prodotto in Francia nel XIII secolo è passato di man in
mano dopo aver percorso la via della Seta. E veniva battezzata «Bibbia di Marco Polo»
forse solo perché il grande mercante veneziano la ebbe in visione durante uno dei suoi
viaggi.
Giovanni Caprara24 maggio 2012 | 10:03
fonte: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_maggio_24/bibbia-marco-polo-analisiproteoma-scioglie-mistero-pelle-vitello_74f02bde-a576-11e1-8ebb-5d15128b15be.shtml
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Nella Mortara, Ida Noddak,
Lise Meitner
Avrebbero potuto diventare
326
Post/teca
Nobel?
La dicriminazione ai tempi
di Fermi
di Alessandra Arachi
Tags: scienza, stereotipi, storie
Chi lo sapeva che fra i ragazzi di via Panisperna c’era anche una ragazza? Si chiamava
Nella Mortara ed era una fisica molto brava ma nessuno la conosce: il maschilismo di
Enrico Fermi non le ha permesso di partecipare agli esperimenti che hanno traghettato il
gruppo di scienziati dagli anni Trenta nella storia.
E chi lo sa che la fissione nucleare è stata scoperta da due donne? Anche questa è una
notizia nascosta, perché la prima donna, Ida Noddak, una fisica tedesca, fu boicottata
proprio da Fermi, mentre alla seconda fisica, la grande Lise Meitner, la sua scoperta da
premio Nobel venne scippata dal collega di laboratorio.
Stavo raccontando questi aneddoti al Salone del Libro di Torino, qualche giorno fa,
durante la presentazione del mio libro appena uscito “Coriandoli nel deserto”, Feltrinelli.
Dalla platea gli occhi delle donne si sgranavano sempre più e le teste annuivano, con
sempre più ritmo. Ho continuato.
Fino a quel momento il livello di attenzione era stato buono. Avevo narrato le gesta
dell’amico d’infanzia di Fermi schiacciato dal suo genio e di come la bomba atomica debba
la sua origine ad una visione d’amore. Mi sembrava già molto.
Ma non era così. Il maschilismo di Fermi ha inquietato e, forse, affascinato le donne che
erano in sala.
E’ stato infatti quando proprio dall’amore di Persico è venuto fuori il nome di Nella
Mortara che l’interesse del pubblico, femminile, ha avuto un picco. Nella Mortara, la
ragazza di via Panisperna, è stata un fantasma della storia, praticamente.
E’ stata la vittima di un maschilismo che negli anni Venti le aveva permesso di raggiungere
il grado di docenza dentro un ateneo. Ma non di più. E la domanda viene spontanea:
quanto è cambiata la situazione dagli anni Venti del Novecento agli anni Dieci del
Duemila?
Un libro a parte meriterebbe comunque la storia di Lise Meitner, la bravissima fisica
austriaca, la Marie Curie tedesca, come la chiamava Einstein. Ebrea, Lise Meitner riuscì a
sopravvivere nel suo laboratorio di Berlino ai primi rigurgiti del nazismo. Accanto a lei
sempre Otto Hahn, l’uomo che Lise ha amato non soltanto senza alcun successo, ma anche
con molti, troppi danni.
Quando nel 1938 l’Austria venne annessa alla Germania, Lise Meitner fu costretta a
fuggire, e pure molto rapidamente. Scappò nella Svezia meridionale, lì dove venne
raggiunta da una lettera di Otto Hahn che da solo stava continuando gli esperimenti in
laboratorio, ma che da solo non ci stava capendo nulla. Fu Lise a spiegare a Otto che gli
esperimenti in laboratorio avevano prodotto la fissione dell’atomo. Lise lo aveva capito
327
Post/teca
guardando una goccia di neve mentre cadeva da un albero e si sdoppiava: il parallelo con il
nucleo dell’uranio le era apparso lampante. Come soltanto ai geni può succedere.
Ma alla fine il premio Nobel per la scoperta della fissione nucleare se lo è messo in tasca
Otto Hahn. E il paradosso della storia è che in tanti sono convinti che sia stato invece
Fermi a scoprirla. A questo punto il sussulto della platea (sempre femminile) è stato di
unanime sdegno.
Ma perché ci coinvolge tanto il maschilismo di tempi così lontani? Forse perché sono
così vicini?
fonte: http://27esimaora.corriere.it/articolo/nella-mortara-ida-noddak-lise-meitneravrebbero-potutodiventare-nobella-dicriminazione-ai-tempi-di-fermi/#more-4717
--------------curiositasmundi ha rebloggato coqbaroque:
“Scusami Mara, moglie adorata. Spero che tu cominci a leggere da qui. Avrei voluto e dovuto
dirtelo ogni giorno e non te l’ho detto mai. Te lo dico adesso: dovresti perdere dieci chili.
Scusami per quando ti hanno pignorato la pelliccia proprio la sera che ti avevo chiesto di non
metterti niente sotto. Scusami se non sono stato presente quanto avrei voluto – a casa tutti
bene? – Scusami se qualche volta, nei momenti più intimi, ti ho mancato di rispetto e ti ho
chiamata con un altro nome. Giuro che, anche se non sembrava, volevo picchiare proprio te.”
— Bacio ai pupi. | Lowerome su Diecimila.me (via coqbaroque)
Fonte: diecimila.me
------------kvetchlandia ha rebloggato lushlight:
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Post/teca
holdentumblr.tumblr.com →
crashinglybeautiful:
“I wish I could say everything there is to say in one word. I hate all the things that can happen
between the beginning of a sentence and the end.”
–Leonard Cohen, seen above on the terrace of his house on the Greek island of Hydra.
I’m a huge Cohen fan and this is a great photo. I’ve never seen this one before. Thank you
theantidote & holdentumblr.
Fonte: holdentumblr
---------------------falcemartello ha rebloggato 10lustri:
“Se la mia opinione ti ha offeso, dovresti sentire quelle che tengo per me.”
— (via brokeorevergreen)
Fonte: brokeorevergreen
--------------cosinonmidimentico:
“Sopravvenne il silenzio. Lei continuava a fare segni col gessetto sul tavolo. I suoi occhi
splendevano d’un quieto splendore. Corrispondendo al suo stato d’animo, lui percepiva in
tutto il suo essere la tensione della felicità che andava via via crescendo.
«Ah! Ho scarabocchiato tutto il tavolo!» disse lei e, poggiato il gessetto, fece un movimento
come se volesse alzarsi.
«Come faccio a restare solo… senza di lei?» pensò lui con terrore e prese il gessetto.
«Aspettate», disse, sedendosi al tavolo. «È tanto che volevo chiedervi una cosa.»
329
Post/teca
La guardava dritto negli occhi affettuosi, anche se spaventati.
«Prego, chiedetemela.»
«Ecco», disse lui, e scrisse le lettere iniziali: q, m, a, r: q, n, è, p, v, d, m, o, a? Le lettere
volevano dire: «quando mi avete risposto: questo non è possibile, volevate dire mai, o allora?»
Non c’era alcuna probabilità che lei potesse capire quella frase complicata; ma lui la guardò
come se la sua vita dipendesse dal fatto se lei avrebbe capito o no quelle parole.
Lei lo guardò seriamente, poi appoggiò la fronte aggrottata sulla mano e si mise a leggere. Di
tanto in tanto gli lanciava un’occhiata, chiedendogli con lo sguardo: «È quello che penso?»
«Ho capito», disse Kitty arrossendo.
«Che parola è questa?» disse lui indicando la m, che stava a indicare la parola mai.
«Questa parola significa mai», disse lei, «ma non è vero!»
Lui cancellò in fretta quanto aveva scritto, le porse il gesso e si alzò. Lei scrisse: a, n, p, r, a.
Dolly si riprese completamente dal dolore provocatole dal colloquio con Alekséj Aleksàndrovič
quando vide quelle due figure: Kitty col gessetto in mano e un sorriso timido e felice che
guardava in su verso Lévin, e la bella figura di lui curva sul tavolo, con gli occhi ardenti,
puntati ora sul tavolo, ora su sua sorella. A un tratto lui si fece raggiante: aveva capito. Voleva
dire: «allora non potevo rispondere altrimenti».
La fissò con aria timida, interrogativa.
«Solo allora?»
«Sì», rispose il suo sorriso.
«E ad… E adesso?» domandò lui.
«Ecco, allora leggete. Dico quello che desidererei. Che desidererei tanto!» Scrisse le lettere
iniziali: c, v, p, d, e, p, q, c, è, s. Voleva dire: «Che voi possiate dimenticare e perdonare quel
che è stato».
Lui afferrò il gesso con le dita contratte, tremanti e, dopo averlo spezzato, scrisse le iniziali di
quanto segue: «non ho niente da dimenticare e da perdonare, non ho mai smesso di amarvi».
Lei lo fissò con un sorriso che si era immobilizzato.
«Ho capito», disse in un sussurro.
Lui si sedette e scrisse una lunga frase. Lei capì tutto al volo e, senza neanche domandargli: è
così? prese il gesso e gli rispose subito.
Lui stentò a lungo a capire quel che lei aveva scritto, la scrutava spesso negli occhi. Era
annebbiato dalla felicità. Non riusciva in alcun modo a indovinare le parole che lei voleva
dirgli; ma nei suoi occhi incantevoli che splendevano di felicità capì tutto quel che doveva
sapere. E scrisse tre lettere. Ma non aveva ancora finito di scrivere, che lei già leggeva dietro
alla sua mano e finì di scrivere lei, dopodiché scrisse la risposta: Sì.”
— Anna Karenina
------------uncertainplume:
(…) ma fu l’epilogo di una storia più antica ciò che realmente videro. Maneco Uriarte non uccise
Duncan; le armi, non gli uomini, combatterono. Avevano dormito, fianco a fianco, in una vetrina
finché le mani le risvegliarono. Forse, risvegliandosi, si agitarono; per questo tremò il pugno di
Uriarte, per questo tremò il pugno di Duncan.
Entrambe sapevano combattere - non gli uomini, loro strumenti - e combatterono bene quella notte.
Si erano cercate a lungo, per i lunghi sentieri della provincia, e alla fine si incontrarono, quando i
loro gauchos erano ormai polvere. Nel ferro dormiva e stava in agguato un rancore umano.
Le cose durano più della gente. Chissà se la storia finisce qui, chissà se torneranno a incontrarsi.
330
Post/teca
Il manoscritto di Brodie, J.L. Borges
---------------20120525
kon-igi:
‘L’asciugamano, dice, è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere. In
parte perché è una cosa pratica - ve lo potete avvolgere attorno perché vi tenga caldo quando vi
apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi
trovate sulle spiagge dalla brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti
vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul mondo deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che
splendono rossastre; potete usarlo come vela di una mini-zattera allorché vi accingete a seguire il
lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a
corpo; potete avvolgervelo intorno alla testa per allontanare i vapori nocivi o per evitare lo
sguardo della vorace Bestia Bugblatta di Traal (un animale abominevolmente stupido, che pensa
che se voi non lo vedete, nemmeno lui possa vedere voi: è matto da legare, ma molto, molto
vorace); inoltre potete usare il vostro asciugamano per fare segnalazioni in caso di emergenza e,
se è ancora abbastanza pulito, per asciugarvi, naturalmente.
Ma soprattutto, l’asciugamano ha una immensa utilità psicologica. Per una qualche ragione, se
un figo (figo = non-autostoppista) scopre che se un autostoppista ha con sé l’asciugamano,
riterrà automaticamente che abbia con sé anche lo spazzolino da denti, la spugnetta per il viso, il
sapone, la scatola di biscotti, la borraccia, la bussola, la carta geografica, il gomitolo di spago,
lo spray contro le zanzare, l’equipaggiamento da pioggia, la tuta spaziale, ecc. ecc. E quindi il
figo molto volentieri si sentirà disposto a prestare all’autostoppista qualunque articolo di quelli
menzionati (o una decina di altri non menzionati) che l’autostoppista eventualmente abbia perso.
Il figo infatti pensa che un uomo che abbia girato in lungo e in largo per la galassia in autostop,
adattandosi a percorrerne i meandri nelle più disagevoli condizioni e a lottare contro terribili
ostacoli vincendoli, e che dimostri alla fine di sapere dov’è il suo asciugamano, sia chiaramente
un uomo degno di considerazione’
(Guida Galattica per Autostoppisti - Douglas Adams)
BUON TOWEL DAY A TUTTI!
----------------curiositasmundi ha rebloggato 1000eyes:
“Errare umanum est…perseverare ovest”
-----------------curiositasmundi ha rebloggato colorolamente:
“Il fatto è che i cretini, e ancor più i fanatici, son tanti; godono di una cosl buona salute non
mentale che permette loro di passare da un fanatismo all’altro con perfetta coerenza,
sostanzialmente restando immobili nell’eterno fascismo italico”.”
— Leonardo Sciascia - A Futura Memoria (via orsatti63)
Fonte: orsatti63
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Post/teca
-------------------curiositasmundi ha rebloggato colorolamente:
“Da grande voglio fare il sorriso del “ne è valsa la pena”.”
— (via perlediundiavolaccio)
Fonte: dagrande
-------------------ilfascinodelvago:
“Dimmi che mi ami. Credo già alla somatoline, ai fanghi di alga guam, al balsamo bellicapelli,
un’altra cazzata non mi cambia la vita”
— Signora Losaccio
---------------regardintemporel:
“
Je n’aime pas dormir quand ta figure habite,
La nuit, contre mon cou ;
Car je pense à la mort laquelle vient trop vite,
Nous endormir beaucoup.
Je mourrai, tu vivras et c’est ce qui m’éveille!
Est-il une autre peur?
Un jour ne plus entendre auprès de mon oreille
Ton haleine et ton coeur.
Quoi, ce timide oiseau replié par le songe
Déserterait son nid !
Son nid d’où notre corps à deux têtes s’allonge
Par quatre pieds fini.
Puisse durer toujours une si grande joie
Qui cesse le matin,
Et dont l’ange chargé de construire ma voie
Allège mon destin.
Léger, je suis léger sous cette tête lourde
Qui semble de mon bloc,
Et reste en mon abri, muette, aveugle, sourde,
Malgré le chant du coq.
Cette tête coupée, allée en d’autres mondes,
Où règne une autre loi,
Plongeant dans le sommeil des racines profondes,
Loin de moi, près de moi.
Ah ! je voudrais, gardant ton profil sur ma gorge,
Par ta bouche qui dort
Entendre de tes seins la délicate forge
Souffler jusqu’à ma mort.
”
— Jean Cocteau - Plain-Chant
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Post/teca
--------------------selene ha rebloggato pensieridiunuomonormale:
Ho costruito la fortezza del mio carattere con tutti i mattoni che
mi hanno tirato addosso.
Fonte: ladifferenzatrameete
-----------------senza-voce ha rebloggato volevodirtiche:
“I Navajo insegnano ai loro bambini che ogni mattina il sole che sorge è un sole nuovo. Nasce
ogni giorno, vive solo per quel giorno, muore alla sera e non ritornerà più. Dicono ai loro
piccoli: «Il sole ha solo questo giorno, un giorno. Vivi bene la tua vita in modo che il sole non
abbia sprecato il suo tempo prezioso».”
— Lucia Giovannini, Mi merito il meglio (via dapa)
Fonte: dapa
-----------------alfaprivativa:
“Molte donne si danno a Dio quando il diavolo non le vuole più”
— Sofia Arnould
-----------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“Se sei neutrale in situazioni d’ingiustizia, hai scelto il lato dell’oppressore”
—
(Desmond Tutu)
bugiardaeincosciente:
-----------------alfaprivativa ha rebloggato le-vent-l-emportera:
“
La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l’esistenza non esiste,
che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.
La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.
La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
333
Post/teca
trsportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso.
”
— Alda Merini, Per Giovanni Falcone
Fonte: toolatelayla
----------------unatombaperlelucciole ha rebloggato maiabbastanza:
maiabbastanza:
tel aviv, israel.
da sola, da soli.
indovinare le storie dalle orme sulla sabbia.
indovinare le storie dai solchi intorno agli occhi.
indovinare le storie da mani che si stringono.
indovinare le storie da visi che puntano al mare e guardano oltre le onde.
Fonte: Flickr / _maia_
--------------------334
Post/teca
curiositasmundi ha rebloggato pragmaticamente:
“Delle donne mi commuove il modo in cui si sforzano di essere felici. Le vedo che si
arrabattano tra l’ufficio, i bambini, il supermercato, un marito noioso e incurante. Ma loro
continuano ad andare, a correre. E magari si comprano un vestito, un bel paio di scarpe, si
truccano. Sempre alla ricerca ininterrotta, tenace, coraggiosa di un pezzettino di felicità.”
—
(Carlo Fruttero)
PRAGMATICA@MENTE:
e che belle che sono le donne :)
Fonte: sussultidellanima
---------------------curiositasmundi ha rebloggato pragmaticamente:
malinconialeggera:
Ho posato la maschera e mi sono visto allo specchio Ero un bambino di tanti anni fa Non ero
cambiato per niente. E’ questo il vantaggio di sapersi togliere la maschera. Si è sempre il bambino,
il passato che resta, il bambino. Ho posato la maschera, e me la sono rimessa. Così è meglio. Così
sono la maschera E ritorno alla normalità come a un capolinea.Fernando Pessoa
Fonte: malinconialeggera
---------------------scrokkalanotizia ha rebloggato questionemorale:
Intervista di Eugenio Scalfari a Enrico Berlinguer
questionemorale:
La questione morale
Enrico Berlinguer - La Repubblica, 1981
La passione è finita?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il
piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono
soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei
problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione
civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi,
comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli,
senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su
questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la
maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con
un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC:
Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad
Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo
stesso e per i socialdemocratici peggio ancora…
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi
italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato
gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli
ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il
335
Post/teca
maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una
sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così
brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il
risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono
chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della
corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo
fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un
appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene
finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando
si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei
chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se
ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani,
secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei
favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi
(magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di
riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto
che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e
amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non
mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto
assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ‘74 per il divorzio, sia,
ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e
moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne,
nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il
quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Veniamo all’altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un
pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro,
che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca.
Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso”
dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se
foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole
spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla
sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così
spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di
occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione
della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di
Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di
opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle
istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura
agli italiani?
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli
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Post/teca
emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare
nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati
vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati,
che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere
assicurata.
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle
spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo
stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati
noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di
certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di
sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e
disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che
si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia,
pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia
insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma
siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la
cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si
debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema,
giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui,
al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del
diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un
delitto avere queste idee?
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico
europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è
sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla
degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini
di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi
che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche
nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici
si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
Dunque, siete un partito socialista serio…
…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro
interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e
rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti
verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che
da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i
partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di
effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di
un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali
rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di
amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il
paese.
337
Post/teca
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad
esempio: vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che
sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato
alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro
che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun
rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana.
Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori
in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna
metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato
da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno
con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente
abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano.
Ecco perché gli altri partiti possono profare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se
aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. […] Quel che deve
interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia
rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d’accordo sul fatto che il nemico
principale da battere in questo momento sia l’inflazione, e difatti le politiche economiche di
tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo
parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la
disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L’inflazione è -se vogliamo- l’altro
rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una e contro l’altra. Guai a
dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l’inflazione si debba
pagare il prezzo d’una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta
avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell’ “austerità”. Non mi pare che il suo appello sia
stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del
partito…
Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di
ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che,
comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all’aggravamento del
divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata
dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno
sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche
morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei
segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell’austerità.
Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio,
contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare
nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto
contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell’economia, ma che l’insieme
dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto
avere come obiettivo quello di dare l’avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita
(più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema
dell’austerità e della contemporanea lotta all’inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione.
338
Post/teca
Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non
fummo ascoltati.
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul
fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si
chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha
alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando
si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità
politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono,
l’operazione non può riuscire.
«La Repubblica», 28 luglio 1981
Fonte: metaforum.it
---------------plettrude:
Capisci che ti è veramente passata quando il tuo ex ti chiede di vederti e tu gli proponi una cosa a
tre con la sua gnocchissima fidanzata diciottenne
------------spaam:
Gelatino
Carla mangia il suo cono al pistacchio da 80 centesimi. Seduta sulla panca, si fa abbastanza i cazzi
suoi. Ogni tanto mi butta un’occhiata, di sicurezza, prima di tornare al suo gelato.
Accanto a me, due signore discutono sulla crisi economica, le Grecia, la Russia di Putin, la Spagna
e si chiedono come sarà Hollande. Io al massimo posso pensare ad Alfano, il PD che non sfonda, il
successo del movimento 5 stelle e mi sento triste come Napolitano ad una celebrazione della
Guardia di Finanza.
Con la vecchia scusa di mio padre, prendo il cono gelato di mia figlia e lo lecco tutto intorno, “per
aggiustarlo” ed evitare che lei si sporchi. No, è che avevo voglia di pistacchio.
A questo punto della conversazione, le due signore si chiedono cosa accadrà alle prossime elezioni
tedesche. Le guardo, con la bocca sporca di pistacchio e faccio “Niente più di un editoriale inutile di
Tarquini”. Mi guardano perplesse e gentilmente mi chiedono “chi cazz’è TarKini?”
Il giornalista di Repubblica.PD, inviato per Berlino e tutta l’Europa dell’est, escluso il Giappone.
Quello che non parla tedesco, ma non importa, in fondo chi è che parla ancora questa lingua?
Quanti tedeschi usano ancora il genitivo? Nessuno. È come se in italiano parlassimo solo usando i
tempi dell’indicativo. Appunto!
Carla mi fissa in silenzio. Ha finito il gelato ed è sotto botta di zuccheri. Come tutti i bambini verso
i 2 anni, vorrebbe grattarsi in mezzo alle gambe, ma c’è ancora il pannolino. Se ti può consolare, io
non posso più scaccolarmi in pubblico.
Prima di andar via, le signore vorrebbero commentare qualche cosa sul mio paese, ma si vede che
senza Belusconi premier, non sanno più neanche se confiniamo direttamente con loro. Ma ci
provano lo stesso: “Come va in Italia?” Come nella ex-DDR. Dall’annessione alla Germania ci
aspettavamo molto di più.
------------
339
Post/teca
cosorosso:
“L’Italia si trova, dunque, di fronte a una radicale discontinuità storica. Le persone che oggi
hanno un’età compresa tra i 40 e i 25 anni rappresentano la prima delle generazioni nate nel
corso del Novecento a rivelarsi impossibilitata a migliorare la propria posizione sociale
rispetto a quella dei propri genitori. Il Rapporto ribadisce, poi, che le difficoltà incontrate dai
giovani italiani nel raggiungere le classi medie e superiori riguarda anche i figli di queste
stesse classi e non solo i discendenti dalle quelle inferiori. Insomma: i posti oggi disponibili
nelle posizioni intermedie e sommitali della stratificazione occupazionale sono tutti occupati
da adulti e anziani, cosicché molti giovani sono costretti ad accontentarsi, quando riescono a
trovare un lavoro, di essere collocati in posizioni economicamente e socialmente poco
appetibili.”
— MOBILITÀ SOCIALE: IN ITALIA È FERMA - Lavoce.info
e buon weekend…
Fonte: lavoce.info
---------------dovetosanoleaquile:
“Anche il resto del paese è cambiato, nell’offerta al turista: estinte piano piano le pizzerie a
taglio, scomparsi per pensionamento del gestore i barrini col bancone di marmo e i tavoli di
fòrmica, adesso per tutto il paese sorgono una miriade di locali in franchising. C’è il sandwich
bar a km zero, che utilizza solo ed esclusivamente prodotti del territorio, e nonostante questo è
capace di offrirti nel menù il bocadillo al pescespada. C’è la gelateria ayurvedica, che offre
solo prodotti naturali e quindi, secondo una implicita logica distorta, salutari e benefici; ci
sono persone convinte, evidentemente, che l’oppio non si estragga dal papavero, che veleni
come l’atropina e il curaro siano stati sintetizzati in laboratorio e che non avrebbero nessuna
obiezione ad una dieta a base di rabarbaro.”
— La carta più alta.
Marco Malvaldi.
------------3nding:
“
ieri sono entrata in un bar, subito fuori San Felice sul Panaro, al banco una signora, sui 45/50,
spaventata, ma al lavoro. mi ha raccontato che il suo bar non ha mai chiuso, nemmeno con il
conad a fianco seriamente danneggiato. mi ha raccontato di come tutto il paese sia andato da
lei a cercare qualcosa da mangiare e di come sono subito finite le scorte che aveva in
congelatore.
mi ha raccontato che ieri mattina si sono presentate al bar 3 ragazze della protezione civile,
che volevano fare colazione. ma non l’hanno fatta, schifate perché non aveva dei cornetti
freschi, ma solo quelli confezionati, recuperati la sera prima in un negozio di alimentari. se ne
sono andate mentre lei era girata a preparare i cappuccini da loro stesse ordinati.
ecco io queste cose non le voglio sentire. mi fanno incazzare.
vorrei prendere queste 3 teste di cazzo e chiedere loro se pensano di essere andate a san Felice
in ferie.
poi ricordo i volontari di protezione civile che vennero nel campo di San giovanni di Lucoli e
ci svuotarono il magazzino. con la scusa che i vestiti dovevano essere nuovi si portarono via
jeans di marca, felpe ecc.
340
Post/teca
e mi sale la tristezza infinita…
”
— Via Miss Kappa su FB
------------20120526
somewhereunderthetrees ha rebloggatomyplaceisonthemoon:
“
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
”
— Eugenio Montale. (via iocercoteneivisitristi)
-------------------inveceerauncalesse ha rebloggato spora:
“ho saputo attendere, stile Penelope a Itaca, che arrivasse un uomo con cui le strategie non
servono. sono rari, ma nel frattempo ci si può intrattenere coi Proci.”
— nei commenti allo SporaBlog (via plettrude)
Fonte: sporablog.com
---------------------inveceerauncalesse ha rebloggato littlechini:
“Volevo che tu imparassi una cosa da lei: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu
che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere
di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in
fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta si vince.”
— Harper Lee - Il buio oltre la siepe (via batchiara)
Fonte: batchiara
-------------------curiosona:
“Quanti Gemelli sono necessari per cambiare una lampadina?
Due, probabilmente. Aspettano fino al weekend, ma alla fine la lampadina è al centro dell ’
attenzione, parla francese e dà luce del colore preferito a chi entra nella stanza.”
341
Post/teca
— Io agli oroscopi non ci credo, né tanto meno mi riconosco in queste frasi relative al
“mio” segno zodiacale. Però questo brano lo trovo simpatico, come quasi tutte le
barzellette sulle lampadine… :-)
---------------PAROLE
SEGNI ZODIACALI: QUANTI CE NE VOGLIONO PER CAMBIARE UNA
LAMPADINA?
Quanti Ariete sono necessari per cambiare una lampadina?
Solo uno, però ci vogliono molte lampadine.
Quanti Toro sono necessari per cambiare una lampadina?
Nessuno, al Toro non piace cambiare niente.
Quanti Gemelli sono necessari per cambiare una lampadina?
Due, probabilmente. Aspettano fino al weekend, ma alla fine la lampadina è al centro dell ’
attenzione, parla francese e dà luce del colore preferito a chi entra nella stanza.
Quanti Cancro sono necessari per cambiare una lampadina?
Solo uno, ma dovrà mettersi in terapia per superare il trauma.
Quanti Leone sono necessari per cambiare una lampadina?
Un Leone non cambia lampadine, al massimo le tiene ferme mentre il mondo gira intorno
a lui.
Quanti Vergine sono necessari per cambiare una lampadina?
Vediamo: uno per preparare la lampadina, un altro per prendere nota di quando la
lampadina si è fulminata e della data in cui fu acquistata, un altro per decidere di chi è la
colpa se la lampadina si è bruciata, dieci per ripulire la casa mentre gli altri cambiano la
lampadina.
Quanti Bilancia sono necessari per cambiare una lampadina?
In realtà non saprei. ..penso che dipenda da quando la lampadina ha smesso di funzionare.
Forse uno solo è sufficiente se si tratta di una lampadina qualsiasi, due se la persona non
sa dove trovare una lampadina nuova. Ci sono molti dubbi!
Quanti Scorpione ci vogliono per cambiare una lampadina?
E chi può saperlo? Perché volete saperlo? Siete forse della polizia?
Quanti Sagittario sono necessari per cambiare una lampadina?
Il sole brilla, c’è bel tempo, abbiamo tutta la vita davanti e voi vi preoccupate per una
stupida lampadina?
Quanti Capricorno sono necessari per cambiare una lampadina?
Nessuno. I Capricorno non cambiano lampadine se non ci trovano il loro tornaconto.
342
Post/teca
Quanti Acquario sono necessari per cambiare una lampadina?
Arrivano frotte di Acquario, in competizione per stabilire chi di loro sarà l’ unico capace di
ridare la luce al mondo.
Quanti Pesci sono necessari per cambiare una lampadina?
Perché, è forse mancata la luce?
(ripescato nel mio archivio, ne ignoro l’origine e l’autore. Però per il Cancro e la Vergine
ha ragione néh? ;-)
26.05.2012
via: http://placidiappunti.tumblr.com/post/23788622309/segni-zodiacali-quanti-ce-ne-vogliono-per
-------------------------falcemartello ha rebloggato gatta-randagia:
“Sta attraversando quel periodo difficile che tutte le ragazze attraversano. Il periodo che va
tra i 14 e gli 80 anni.”
— Jim, La vita secondo Jim (via fogliadithe)
Fonte: fogliadithe
-----------------------http://www.italian-food-lovers.com/2011/05/the-10-most-common-errors-in-italian-tradition-whichpeople-around-the-world-think-are-the-true-italian-style/
--------------------charlesdclimer ha rebloggato thepenguinpress:
finebooksmagazine.com →
thepenguinpress:
343
Post/teca
The most useful tool in determining a first edition is an acute mind. This guide can take you only
so far.
A guide to determining first editions? Useful. Also kind of comical.
Fonte: finebooksmagazine.com
link: http://www.finebooksmagazine.com/fine_books_blog/2012/05/guest-blog-identifying-firsteditions-with-mcbrides-guide.phtml
---------------------biancaneveccp ha rebloggato iosonoundubitatoreincurabile:
“Guardali bene. Guardali negli occhi. Hanno bei vestiti, belle etichette, begli incarti, ma sono
velenosi.”
— Stefano Benni (via iosonoundubitatoreincurabile)
----------------biancaneveccp ha rebloggato egocentricacomeigatti:
“Quelle come me non tradiscono mai, quelle come me hanno valori che sono incastrati nella
testa come se fossero pezzi di un puzzle, dove ogni singolo pezzo ha il suo incastro e lì deve
andare. Niente per loro è sottotono, niente è superficiale o scontato, non le amiche, non la
famiglia, non gli amori che hanno voluto, che hanno cercato, e difeso e sopportato. Quelle
come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive. Quelle come me donano l’anima,
perché un’anima da sola, è come una goccia d’acqua nel deserto.”
— Alda Merini (via egocentricacomeigatti)
Fonte: amamicongliocchi
-------------------
Isola di Pasqua, corpi sotto le teste
Un’immagine degli scavi dal sito del progetto Eisp
Genova - Svelato uno dei tanti misteri che avvolgono l’Isola di Pasqua: i Moai, le
344
Post/teca
enormi teste di pietra che sbucano dal terreno, hanno anche dei corpi che affondano
per metri in profondità.
La scoperta è stata fatta da un team di scienziati coordinati dall’archeologa Jo Anne Van
Tilburg, che negli ultimi mesi, all’interno del progetto Eisp (Easter Island Statue
Project), ha scavato intorno a più di mille statue portando alla luce il segreto nascosto
sottoterra: «Abbiamo esposto il corpo di due statue alte più di sette metri - ha spiegato
la Van Tilburg - e abbiamo fatto scoperte molto importanti sulle tecniche d’ingegneria
degli abitanti dell’isola».
Sembra infatti che le statue siano state costruite su un pavimento di pietra, utilizzando
delle corde per sollevarle e posizionarle e degli utensili in pietra per scolpirle. Sul dorso
delle statue sono incisi dei graffiti, alcuni dei quali potrebbero rappresentare una
canoa, mezzo di trasporto con cui gli indigeni sarebbero arrivati sull’isola dalla Polinesia.
Secondo gli studiosi, ci sarebbe una connessione diretta tra i simboli incisi sulle
statue e l’identità dell’artista, o del gruppo, proprietario del manufatto.
Leggi l'articolo completo: Scoperta sull’Isola di Pasqua | mondo | Il SecoloXIX
fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2012/05/26/APfCqxaCscoperta_pasqua_isola.shtml#ixzz1vyziLfNe
originale: http://www.eisp.org/4230/
---------------------selene ha rebloggato curiositasmundi:
Il Vaticano sapeva tutto sui desaparecidos argentini
ze-violet:
dottorcarlo:
Horacio Verbitsky ha scovato un documento esclusivo in cui ci sono le prove che i più alti
prelati della chiesa argentina si accordavano con il dittatore Jorge Videla per evitare che la gente
continuasse a chiedere spiegazioni.
da ascoltare domenica l’intervista
Il Vaticano sapeva tutto sui desaparecidos argentini
Bucanero, domenica 27 maggio alle 12.30
sui 103.3 FM e in streaming su www.radiopopolareroma.it
in contemporanea con la messa del papa a Bresso per l’Incontro mondiale delle Famiglie.
(OMG qualcuno pensi ai bambini!” cit.). Ovviamente non è una festa per le famiglie delle vittime
e quelle che le vittime potevano metter su se non li avessero trucidati: di queste famiglie la Chiesa
- che non vuole aborti e preservativi «perché dico sì alla vita» - di queste vite se ne fotte tuttora.
Chapeau a RadioPop Roma
Fonte: dottorcarlo
--------------------
345
Post/teca
Non è (solo) questione di soldi pubblici
La storia delle multe per 11 mila e rotti euro prese in un anno da Giuseppe Fioroni è decisamente a lieto
fine: infatti, grazie alle multe, i soldi della collettività sono tornati alla collettività.
A parte questo paradossale dettaglio, la questione in sé va valutata al netto di ogni sdegno, meglio
ragionare.
Primo: Fioroni prende quasi mille euro di multe al mese. C’è da chiedersi come cazzo fa. Voglio dire, mille
euro al mese di multe al mese io non riuscirei a prenderle manco a sforzarmi di parcheggiare in
orizzontale in mezzo alla Colombo. Invece lui dice di non essersene neppure accorto e spiega che fa un
sacco di viaggi in macchina (suppongo con autista) per ‘motivi politici’.
Allora la prima cosa da notare non sono nemmeno tanto i soldi pubblici spesi, ma la considerazione del
rispetto della legalità che deve avere Fioroni nel suo rigido controllo dell’auto di cui è beneficiario e
responsabile: e amen.
Il secondo aspetto interessante è il disinteresse verso il suo stesso partito. Intendo dire: se io prendessi
mille euro di multe al mese con un’auto presa a noleggio dal mio giornale, il mio capo del personale mi
convocherebbe e probabilmente mi licenzierebbe per aver danneggiato l’azienda nel cui interesse (in
teoria) ero uscito in macchina. Invece qui la missione per conto della ditta (in questo caso il partito) viene
sbandierata come un alibi: eh, ero in giro per comizi e cene elettorali, mica mi facevo i fatti miei. Peggio
ancora, direi io. Sei in giro per conto di una parte politica, e la danneggi economicamente. Ma non ti
vergogni?
Ricapitolando: è un leader politico che se n’è fottuto tanto della legalità quanto del suo partito.
Ce ne sarebbe abbastanza per espellerlo o no?
Per Bersani no, anzi: «Un conto è avere utilizzato risorse per l’attività politica, tutt’altro conto è averle
distorte a fini personali. Mettere tutto nel mucchio, come da qualche parte si sta facendo, è veramente
ingiusto e inaccettabile».
Andate avanti così e vi farete molto – ma molto – male.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/26/non-e-solo-questione-di-soldipubblici/
-----------------20120527
QUESTIONI DI METODO – SCRITTURA, RILETTURA E CUCINA
DEI CARCIOFI
346
Post/teca
di annamaria testa
Capita spesso che ragazze e ragazzi mi facciano vedere i loro scritti. Perfino a quelli
che vogliono fare pubblicità chiedo di mostrarmi almeno un testo lungo: da un titolo
pubblicitario, per quanto brillante sia, è impossibile capire se uno maneggia le
parole decentemente, e con grazia.
Così, in novantacinque casi su cento, dopo poco mi ritrovo a fare la medesima
domanda: santa polenta, ma hai riletto quel che hai scritto?
Le risposte vanno da no, perché andavo di fretta (argh) a sì, certo (ehm).
… e quante volte hanno riletto, ‘ste anime sante? Una volta. Una. Una sola.
Beh, si scrive e poi si rilegge scorrendo le righe e morta lì, no?
Spiego che si rileggono una volta gli sms. Le mail, se sono non brevissime, qualche
volta in corso di scrittura e poi alla fine, prima di cliccare send. Ma un testo per il
pubblico va riletto mooolte volte. E, a ogni rilettura, qualcosa va aggiustato. Spesso,
quando si modifica una frase, anche la punteggiatura va cambiata di conseguenza.
Il testo apparirà tanto più necessario e naturale quanto più sarà stato, con un
paziente e invisibile lavoro di affinamento, reso adatto a dire esattamente quel che
vuol dire. Né di più né di meno.
Mi guardano con gli occhioni spalancati, ‘sti pivelli.
Allora parte il teatrino. Prendo la penna e, mentre quelli fanno spallucce, comincio a
segnare gli errori di ortografia: accenti, apostrofi. E orrendezze anche peggiori.
… poi segno le frasi storte, o perché i tempi verbali non concordano, o perché non
concordano verbi e soggetti, collocati alle opposte periferie di periodi caotici. Oppure
perché o il verbo o il soggetto è definitivamente missing. Poi segno gli anacoluti, che
sembrano disinvolti ma sono solo bruttarelli: per esempiol’orologio, Pippo lo aveva
rotto…
Segno le parole ripetute senza intenzione o necessità e a breve distanza (es:fino ad
ora Pippo era in ritardo di mezz’ora). Già che ci sono, dove posso tolgo le d
eufoniche. Segno i salti ingiustificati dal passato al presente o viceversa e, se sono
ripetuti e ammucchiati in poche righe, gli andirivieni tra “noi”, “tu”, forme
impersonali.
Segno le frasi di cui il testo può fare a meno senza perdere un milligrammo di
senso. Intanto ho guardato la punteggiatura: di solito trovo virgole sparse dove
capita, come petali di rosa sul percorso della processione. O come fiati presi a caso
da un attore maldestro.
Ah: comincio a segnare anche le parole fuori tono. Per esempio quelle troppo
colloquiali in un testo tutto in punta di penna, o viceversa.
E segno le formule goffe o antiquate: ci sono ventenni che usano egli, al fine di,
allorquando e altri muffosi avanzi del tempo che fu.
Poi vado a vedere se la scrittura ha ritmo. E se ci sono dei cortocircuiti di senso.
Uno degli esempi più divertenti mi è capitato di recente. È l’incipit di un testo di
intenzione peraltro non disprezzabile:
Il braccio chiede consiglio alla mente e intanto è sulla porta del cuore ad origliare
ogni suo sospiro.
Dico all’autore: e ora, anima santa, visualizza quel che hai scritto.
C’è un braccio (tranciato?) che chiede consiglio alla mente (come fa? Parla? Pensa?
È telepatico?) e intanto (sempre lui, il braccio multitasking) è sulla porta del cuore
(urca!) ad origliare (il braccio ha orecchie?) ogni suo sospiro (e come fa a sospirare,
il cuore? Ha una bocca? E i polmoni, in questo campionario anatomico, che fanno?
Battono?).
Spero di avervi dato un’idea di quel che si può trovare se ci si prende la briga di
347
Post/teca
passare un testo al setaccio fine. E sì, certo, le metafore vanno bene, eccome: ma
solo se non collassano l’una sull’altra in una poltiglia di incongruenze.
Naturalmente tutto questo lavoro di rilettura parte dal presupposto che il testo
racconti qualcosa che val la pena di leggere, se no è meglio risparmiarsi anche la
fatica di scrivere e dedicarsi a qualche hobby più divertente.
Ma se uno decide di scrivere, non c’è verso. Deve anche rileggere, se ha un minimo
di rispetto per il proprio pensiero. E quandi dico “rileggere” intendo: con attenzione,
e più di una volta. Quante volte? Tante: cinque, dieci, anche venti se il testo è lungo
o complesso.
In sostanza, lavorare su un testo è come cucinare carciofi. PRIMA si puliscono e si
tirano via le foglie dure e guaste. POI si taglia la punta: via tutte le spine. POI si
dividono a metà, o in quarti, eliminando anche quelle barbette interne fetenti e
traditrici che, se finiscono in bocca, allappano. POI bisogna lavarli bene bene.
Solo se è stata tirata via la roba sbagliata, brutta, inutile ci si può divertire coi
profumi e i sapori. E si può mettere in pentola aggiungendo tutto quel che serve.
Mi diceva però l’ortolano che adesso la gente non vuol più rompersi l’anima, perdere
tempo e pungersi per pulire i carciofi: molti preferiscono quelli già pronti, sfogliati,
privati del gambo, decapitati. Anche se fanno tristezza, rinsecchiti e nerastri come
sono.
Ma chi scrive deve rassegnarsi. E pulire bene i suoi carciofi.
fonte: http://www.nuovoeutile.it/ita_scrittura_rilettura_carciofi.html
---------------------------1000eyes ha rebloggato nascondigliosegreto:
nascondigliosegreto:
Non ti auguro mica di essere felice: ti auguro d’amare.
----------------ilfascinodelvago:
“Hai i capelli lunghi per protesta contro la società?
No, per protestare contro la societa’ bisogna far crescere le idee, non i capelli”
— Orporick
-------------------20120527
Le statue volute dall'ex premier tornano al
museo
348
Post/teca
Venere e Marte
lasciano palazzo
Chigi
Tornano al museo delle terme di Diocleziano le statue di Venere e Marte volute da Silvio
Berlusconi a palazzo Chigi. L'imponente scultura di 1.400 chili dell'età antonina suscitò
polemiche quando si venne a sapere che il Cavaliere l'aveva fatta restaurare
sottoponendola a una costosa operazione di chirurgia estetica.
Roma, 27-05-2012
Tornano a casa le statue di Venere e Marte volute da Silvio Berlusconi a palazzo
Chigi durante il suo governo. Il celebre gruppo marmoreo del 175 dopo Cristo, con i
ritratti romani di Marco Aurelio e della moglie Faustina innestati sui corpi greci degli
dei dell'Olimpo, è stato rimosso qualche giorno fa dal cortile d'onore della presidenza
del Consiglio.
L'imponente scultura di 1.400 chili dell'età antonina suscitò un vespaio di polemiche
quando si venne a sapere che il Cavaliere l'aveva fatta restaurare sottoponendola a
un'operazione di chirurgia estetica (con l'aggiunta di mani e di un pene posticci).
Contestato fu anche il costo del maquillage: tra i 70 e i 30 mila euro.
Con l'insediamento di Mario Monti (nel novembre del 2011) le cose sono cambiate. Il
Professore, raccontano, ha chiesto di imbiancare il fondale (un trompe l'oeil con il
cielo azzurro e le nuvole bianche, forse un po' troppo stile Forza Italia), realizzato
dall'architetto di fiducia del leader pidiellino, Mario Catalano, dove era stata collocata
la scultura classica. In particolare, il neo presidente del Consiglio ha dato seguito agli
accordi presi dall'esecutivo precedente, secondo i quali tutte le opere portate
nell'edificio sarebbero dovute rientrare nei musei di appartenenza alla scadenza del
mandato del Berlusconi quater. Stessa sorte del gruppo di Marte e Venere, dunque, è
toccata anche alla statua di Ercole con cornucopia e la statuetta femminile
panneggiata e velata: tutte sono state riportate da dove provenivano: l'aula V del
349
Post/teca
Museo delle Terme di Diocleziano a Roma.
La permanenza del gruppo alto 228 centimetri a palazzo Chigi, dunque, e di tutte le
opere volute da Berlusconi (dipinti, arazzi e mobili) era appesa al filo della crisi di
governo, arrivata nel dicembre scorso. Con il nulla osta del 29 marzo 2009, l'allora
soprintendente di Roma Angelo Bottini (preso atto della richiesta giunta dalla
presidenza del Consiglio dopo che un anno prima il Cavaliere era rimasto folgorato
dalle statue) disponeva infatti che ''il prestito dureà fino alla fine della legislatura''.
Raccontano che Berlusconi decise di restaurare le due divinità, prendendo spunto da
un viaggio in Cina. Perchè in Cina le sculture appaiono come nuove mentre alle
nostre mancano braccia e teste? Completate quelle statue, avrebbe detto il Cavaliere
al suo architetto dopo essersi visto consegnare, nel febbraio 2010, il Gruppo di
Venere e Marte (ritrovato nel 1918 durante degli scavi archeologici a Ostia), Ercole e
la Donna velata. E' stato così che, mentre la Velata andava ad arricchire
l'appartamento del presidente del Consiglio al primo piano di palazzo Chigi, il marmo
d'età antonina veniva esibito nel cortile d'onore durante la visita del premier cinese
Wen Jiabao del 7 ottobre di due anni fa.
fonte: http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=165640
---------------------onepercentaboutanything ha rebloggato kon-igi:
polveredidrago:
Cose che ho imparato in ospedale
ho imparato a provare la pressione, la glicemia, diluire le flebo, lavare un venflon, la
movimentazione dei pazienti, a fare un ecg e un catetere vescicale.
Ho imparato soprattutto che la patologia più diffusa è la solitudine, che sorridere non costa niente,
che per i pazienti è sempre lunedì; ho imparato a non giudicare perché in pijama un tossico e un
avvocato sono uguali, ho imparato che la gentilezza spiazza le persone maleducate, che una
carezza a una persona morente non fa male; ho imparato che trattenere le lacrime è difficilissimo,
che non sempre puoi dire quello che vorresti, che ci sono persone malate di cancro e i figli
scelgono di non dire loro niente, che i familiari a volte sono un peso ma tante altre ti danno una
mano; ho imparato che la morte fa paura e non viene nemmeno nominata proprio dove la gente
muore. Ho scoperto lo stupore, ci si può ancora stupire e meravigliarsi anche in un ospedale, non
scorderò mai la faccia di Chiara quando il paziente 24 ci ha guardate: sembrava una bambina.
Ho visto persone arrivare con un piede nella fossa ma riprendersi dopo qualche tempo, ho visto
gente pregare; ho visto persone che nonostante i loro mali e problemi sanno ancora salutarti con
un sorriso.
Ho visto un’anziana trattare male tutti, ma se le davi modo ti parlava della sua Serena di 16 mesi;
ho visto un uomo che non ha mai amato la sua vita abbastanza e avrei voluto dirgli che la vita è
bellissima se hai coraggio.
Ho avuto l’onore di incontrare persone formidabili che quando venivano dimesse ti cercavano per
stringerti la mano.
Ho visto la morte e la serenità di coloro che morivano; ho fatto del mio meglio e mi sono presa
cura di loro anche da morti.
350
Post/teca
Ho imparato che non smetterò mai di imparare.
Da oggi sorriderò di più.
Fonte: polveredidrago
----------------inveceerauncalesse ha rebloggatoeachdayisagiftnotagivenright:
“La verginità, la pazienza, il tempo, la speranza, le chiavi. Viviamo per perdere cose.”
— Claudia Simple
aggiungerei anche le persone.
(via vialemanidagliocchi)
Fonte: man-tenersi
----------------onepercentaboutanything ha rebloggato ze-violet:
“Quello di Benedetto XVI si sta rivelando uno splendido pontificato, almeno per noi
anticlericali. Mai tanta merda è venuta a galla dal fondo dell’acquasantiera come in questi
anni, immergerci due dita per farsi il segno della croce impone ormai più stomaco che
devozione. Lunga, lunga vita a Benedetto XVI.”
— Luigi Castaldi (via Malvino: Lunga vita a Benedetto XVI)
Come non trollare con lui?
(via iceageiscoming)
In pratica: Navarro Vals (l’ex capo della sala stampa vaticana) era un agente istruito
dal Mossad? ;) non era mai uscito un fiato, nonostanteattentati, sciate, piscine,
scivolate e malattia rincoglionente…
(via ze-violet)
Fonte: iceageiscoming
----------------------ilfascinodelvago:
Ho comprato lo yogurt con la frutta a pezzi. Mi è toccato
consolarla.
Crapac
---------------------adciardelli:
“Non fidarti di chi sostiene che i capi sono necessari: non è un povero servo ma un padrone
egli stesso. Se non comanda su un popolo, su un gruppo di lavoratori o su una squadra di
calcetto, comanderà comunque su una moglie e dei figli.
Se vuoi un mondo senza persone che la facciano da padroni sugli altri non basta sforzarsi di
non essere servo, devi smettere tu stesso di pensare ed agire da padrone.”
— Un anarchico
-----------------351
Post/teca
3nding:
Facciamo un gioco.
Facciamo un gioco: immaginate di dover uscire di casa adesso. Non importa il perchè, ma una volta
fuori non potete rientrare.
Cosa avete addosso? Il cellulare? Denaro? Documenti?
Nel caso in cui si debba abbandonare la propria abitazione per eventi improvvisi, avere uno zaino
pronto con alcune cose può aiutare ad affrontare le ore e i giorni successivi l’evento.
Una proposta per un set base:
12. biancheria intima (2 o 3 cambi)
13. calzini (leggeri 2 paia + pesanti 2 paia)
14. Una tuta
15. kit igiene della persona (saponetta, spazzolino, dentifricio, 1 o 2 rotoli di carta igienica pressati
o 3 pacchetti di fazzoletti, un asciugamano piccolo, uno specchietto)
16. un taccuino e una matita. Nel taccuino devono esserci una rubrica essenziale, i dati dei
documenti (patente, passaporto, codice fiscale, carta d’identità) e i dati delle utenze (codici
cliente della banca, servizi di telefonia, acqua, luce e gas), lista di medicinali che dovete
assumere con regolarità.
17. Se possibile una confezione per tipo di questi ultimi (occhio alla scadenza)
18. Un caricabatterie uguale a quello che utilizzate per il vostro cellulare.
19. Una torcia a led possibilmente a dinamo.
20. Due bottiglie da mezzo litro d’acqua -piene21. Biscotti secchi, crackers, cioccolata.
22. Un impermeabile pieghevole (es. k-way)
23. Una coperta termica d’emergenza (quelle che sembrano carta stagnola)
24. 50 euro in pezzi da 10.
Per motivi di spazio non ho incluso: un buon paio di scarponcini. Se donne si consiglia di includere
alcuni assorbenti e una spazzola.
---------------------onepercentaboutanything ha rebloggato alicestregatta:
La storia vera delle finte radio di partito
muddyfatty:
“A seguire troviamo Ecoradio, un’invenzione dei Verdi di Pecoraro Scanio che entra nel club
grazie alle firme dei deputati ambientalisti Cento e Lion a nome del “Movimento politico Italia e
libertà”. I verdi si sfaldano, non così la scatola da soldi che passa a tal Marco Lamonica,
proprietario di Ecomedia Spa, “voce” del movimento “ComunicAmbiente” (e chi non lo
conosce…) che sta per incassare 3 milioni e 274 mila euro. Tra i deputati che si sono alternati
negli anni a metter la firma per garantire i finanziamenti a Ecoradio troviamo Massimo Fundarò
(Verdi), Cinzia Dato (Ulivo), Mauro Libè (Udc) e Sandro Gozi (Pd).”
Fonte: muddyfatty
----------------20120528
apertevirgolette:
“Chi è stato abbandonato si considera assaggiato e sputato come una caramella cattiva.
352
Post/teca
Colpevole di qualcosa d’indefinito.”
— Massimo Gramellini, Fai bei sogni
----------------alfaprivativa ha rebloggato thedreamdigger:
“Dopo cena tornai al
libro che stavo leggendo ero
arrivata a pagina centoquaranta ancora duecentoventi
pensavo quella
sera mentre a cena
parlavamo con una giovane
coppia della densa improbabile
vita del libro in cui mi ero accomodata
i personaggi ormai erano i miei compagni inquieti
li conoscevo sapevo che sarei potuta
rientrare in quelle vite senza alcuna perdita
tanto solidamente le abitavo ho scorso gli scaffali
alcuni libri così cari mi erano mancati
mi sono allungata per prenderli
in mano ho respirato due volte
pensavo all’accelerazione dei giorni
sì avrei potuto rientrarci ma…
No come potevo disertare tutta quell’altra vita
quei seminterrati di città
Abbandono Come potevo essermi permessa
di pensare a mezz’ora di distrazione
quando la vita aveva pagine o decenni da sfogliare
e tante cose stavano per accadere alle persone
che già conoscevo e quasi amavo”
— Grace Paley, Fedeltà
Fonte: rosesandcherubim
-------------------Danilo Fatur, Artista del popolo Italiano.
Noto agli esordi come “Josè Lopez Macho Frasquelo”, barista del Tuwat di Carpi, ballerino
spogliarellista, più tardi scultore, cantante, “Artista del popolo italiano”, ha rappresentato la parte
popolare, sporca e cattiva del gruppo, contrapponendosi agli originari Ferretti, Zamboni e Negri,
che erano tutto sommato erano degli intellettuali, studenti universitari che si confrontavano in modo
un po’ distaccato con la scena alternativa.
Danilo Fatur era sudore, aglio e cipolla, ferro e legno.
----------------cosipergioco:
Diversi anni fa conobbi, tramite amici che abitano a Cesano, una famiglia con una figlia malata di
353
Post/teca
leucemia a causa delle onde di Radio Vaticana. Mi ricordo i riccioli biondi di questa bimba di 7
anni, mi ricordo il suo sorriso quando mio papà le faceva le “magie” e mi ricordo la sua erre
moscia quando a fine giornata chiedeva al mio babbo “ma toVni? è? toVni?”. Poi mi ricordo i suoi
genitori, la loro forza e mi ricordo il fratello di 10 anni e la sua cicatrice. La cicatrice che
testimoniava l’operazione che aveva dovuto subire per donare il midollo alla sorellina. Mi ricordo
la mamma che raccontava la paura del figlio più “grande” di fare quell’operazione perchè in
fondo “era un bambino anche lui”. Mi ricordo tutto questo mentre guardo Report e vedo che quel
papà e quella mamma combattono ancora per la salute dei loro figli, combattono senza arrendersi
di fronte allo Stato Italiano e di fronte a quello Vaticano. Li guardo e mi ripeto che se esiste un Dio
deve stare necessariamente dalla loro parte. Li guardo e l’unica cosa che mi viene in mente è la
canzone dei Punkreas
“…nel vostro Inferno brucerete solo voi, trasmettendo morte con un’onda che affonda l’anima,
brucerete, siate maledetti per l’eternità…”
-----------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
“I sogni hanno uno scopo sai? Oh sì, credimi, i sogni hanno uno scopo ben preciso. I sogni
correggono i dettagli che non tornano nella realtà.”
—
(Giovanni Scafoglio)
bugiardaeincosciente:
----------------curiositasmundi ha rebloggato bugiardaeincosciente:
bugiardaeincosciente:
Tu non mi guardavi mai - mi dice - Non sembrava neanche che mi volessi bene. Non ci
pensavi mai a me, tu stavi bene da solo.
Non sono gli sguardi - le dico - non sono i regali. Non sono quelle, le cose.
Io, quando tornavo a casa e vedevo la tua macchina verde con il cappello di paglia sul
pianale di dietro, io ero contento.
E questa frase, non so cosa mi succede, mi fa piangere come una vite tagliata.
(P. Nori)
--------------------curiositasmundi ha rebloggato progvolution:
“Non ho nulla contro la menzogna, ma odio l’imprecisione.”
— Taccuini
Samuel Buter
(via gisyscerman)
Fonte: gisyscerman
----------------curiositasmundi ha rebloggato zenzeroecannella:
“L’abbracciò e si lasciò abbracciare. Ci vogliono quattro abbracci al giorno per sopravvivere,
otto per vivere e dodici per crescere.”
354
Post/teca
— Alessandro D’Avenia, Cose che nessuno sa. (via anunbrokensmile)
Fonte: anunbrokensmile
---------------
La storia della graffetta
Uno degli oggetti più comuni negli uffici di tutto il mondo è nato grazie alla rivoluzione industriale, e
da allora non è cambiato quasi per niente
27 maggio 2012
Sarah Goldsmith ha dedicato un articolo su Slate alla storia delle graffette, uno degli
oggetti più comuni negli uffici di tutto il mondo: è stato inventato nel 1899 ed è uno dei
pochi oggetti di uso quotidiano che dalla sua invenzione non si è mai evoluto. Un fatto
abbastanza sorprendente soprattutto perché il Novecento è stato uno dei secoli che ha
cambiato più profondamente gli oggetti che ci circondano, sottolinea Goldsmith, che si
chiede anche come sia stato possibile che la graffetta abbia trovato immediatamente la sua
forma definitiva.
Quando ancora non era stata inventata la graffetta, per tenere insieme i fogli si usavano gli
spilli di ferro, diventati molto economici nell’Ottocento grazie alla rivoluzione industriale.
Goldsmith cita un passaggio del celebre La ricchezza delle nazioni del filosofo ed
economista scozzese Adam Smith in cui la fabbricazione degli spilli è l’esempio perfetto di
ottimizzazione della produzione, grazie alla divisione del lavoro tra gli operai e alle catene
di montaggio. Alla fine dell’Ottocento una scatola di spilli costava soltanto 40 centesimi,
cosa che faceva degli spilli lo strumento perfetto da usare per tenere insieme i fogli.
Qualche problema, però, restava, perché gli spilli bucavano i fogli ed essendo di ferro
tendevano ad arrugginirsi, rovinando la carta. La graffetta, che grazie alla sua forma non
ha bisogno di bucare i fogli per tenerli insieme, iniziò a poter essere prodotta a partire dal
355
Post/teca
1855, quando fu sviluppato un metodo per produrre acciaio a costi contenuti. Grazie alla
sua resistenza, ma nello stesso tempo alla sua flessibilità, l’acciaio prese il posto del ferro in
quasi tutti i suoi usi, tanto che verso la fine dell’Ottocento erano già stati brevettati quasi
tutti i pezzi e le forme che poteva assumere l’acciaio e che avessero qualche utilità.
Nel 1899 William Middlebrook ottenne il brevetto, non per l’oggetto metallico che oggi
chiamiamo “a graffetta”, ma per il macchinario necessario a produrlo. Poco dopo vendette
il brevetto alla ditta di articoli per ufficio Cushman & Denison, che mise in vendita i nuovi
oggetti per ufficio a partire dal 1904, con il nome di Gem Clip. Negli stessi anni, spiega
sempre Goldsmith, furono in moltissimi a brevettare forme simili, ma la forma originaria,
“un’elegante spirale schiacciata di filo d’acciaio”, restò sempre la migliore.
Piegato in questa forma, il filo di acciaio era abbastanza pieghevole da aprirsi,
permettendo alla carta di infilarsi tra i suoi giri, ma abbastanza elastico da stringere
ancora i fogli insieme.
Dai primi anni del Novecento, molte altre società hanno provato a fare concorrenza all’idea
di Middlebrook con altre forme, ma l’idea originale rimane la più diffusa (in Europa, a
differenza che negli Stati Uniti, si trova molto di frequente la forma con un’estremità a
punta e una piatta, invece di quella con entrambi i lati corti tondeggianti). Modificare la
forma della “Gem clip” introduce sempre nuovi problemi, rendendola più fragile o meno
maneggevole. Come nota Goldsmith, è un oggetto così diffuso e immediatamente
riconoscibile da essere diventato perfino un simbolo nell’informatica, quello per gli
“allegati” ai messaggi di posta elettronica.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/27/uninvenzione-perfetta/
-------------------pensaunpo:
Posso scaricarlo dalla dichiarazione dei redditi?
Per saziare la mia voglia di maternità (inesistente) per i prossimi 10 anni (meglio prevenire che
curare) mi son comprata un bel pesciolinorosso nero (giusto perchè i figli non tocca omologarli).
----------------selene ha rebloggato microlina:
E allearsi con gli elettori? - Piovono rane
microlina:
Dice Bersani che è «troppo presto» per parlare di alleanze perché non si sa ancora con quale legge
elettorale si andrà a votare e perché ancora non si sa se Montezemolo si presenterà e come.
Ecco, questa è proprio la visione del mondo malata che rischia di far perdere la sinistra anche nel
2013.
In questo secolo un’alleanza si costruisce sulle idee, sulle proposte concrete, su un disegno forte
per rivoltare come un calzino questo Paese a pezzi e questa democrazia messa a zerbino dalle
dinamiche finanziarie.
La questione delle alleanze non dipende né dalla legge elettorale né tanto meno da Montezemolo.
Dipende dalle idee che si hanno o non si hanno, dalle cose che si vogliono e da quelle che non si
vogliono.
Le alleanze con gli altri partiti sono solo gli effetti della (urgente) alleanza con gli elettori (attuali,
potenziali, perduti, astenuti etc).
356
Post/teca
Montezemolo non c’entra, la legge elettorale neanche. Il problema è un po’ più in qua, diciamo.
Non è difficile capirlo, ma sembra impossibile farlo capire.
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/28/prima-allearsi-con-gli-elettori/
------------------
Sole, mare e un libro
imperdibile: La
vendetta del traduttore
Melania Guarda Ceccoli - 28 maggio 2012
Sono appena rientrata da una splendida vacanza in Egitto e da buona amante dei
libri su carta, avevo scelto cosa leggere imponendomi di non esagerare. Non volevo
trascorrere tutto il mio tempo sotto l'ombrellone immersa tra le pagine.
Quando però ti trovi tra le mani un romanzo così avvincente, così "nuovo", così
particolare, non puoi fare a meno di finirlo in due giorni, rimanendo spiazzata
pagina dopo pagina e capendo la nota del traduttore italiano Elena Loewenthal che
scrive:
Ci sono libri che si amano, libri che si odiano. E libri che si invidiano a chi li ha
scritti. L'invidia è un sentimento temibile, corrosivo e inossidabile: ti scava dentro
come uno stillicidio, goccia a goccia a goccia... Con questo libro è stata invidia a
prima vista.
Come darle torto? La vendetta del traduttore, di Brice Matthieussent, edito da
Marsilio, è stata una scoperta.
Un beffardo traduttore si ribella al libro mediocre che sta traducendo e lo cancella
progressivamente moltiplicando ed espandendo le note a piè pagina, le famose
N.d.T, che usa per dare voce al disgusto che gli provoca il romanzo, al disprezzo
che nutre per il suo autore e soprattutto per riferire le ferite inflitte al testo: prima
elimina aggettivi e avverbi superflui, poi paragrafi e infine intere pagine, facendo
spazio alle proprie considerazioni, sogni, digressioni.
Ma i protagonisti di Translator’s Revenge, il romanzo americano tradotto in modo
così poco ortodosso, s’insinuano inesorabilmente nel testo che leggiamo: Abel
Prote, noto e irascibile scrittore francese sul viale del tramonto, autore di un
romanzo intitolato (N.d.T), e David Grey, il giovane traduttore newyorkese che ama
357
Post/teca
travestirsi da Zorro, il “vendicatore mascherato”, che lo sta traducendo in inglese.
E’ un vero e proprio romanzo nel romanzo che prende corpo, costellato di passaggi
segreti, amore, odio, tradimenti, colpi di scena. Finché il traduttore trionfa
sull’autore e s’insedia nella parte alta della pagina per proseguire meglio la propria
storia.
Brice Matthieusent, utilizzando con virtuosistica maestria ogni sorta di artifici e
giochi d’artificio letterari, sviluppa una riflessione su cosa lega un traduttore
all’autore che traduce (e la traduzione al testo originale) in un romanzo al tempo
stesso sofisticato e divertente, colto e trascinante, un gioco di specchi e scatole
cinesi che sarebbe piaciuto a Georges Perec e Raymond Queneau ed è stato un
caso letterario in Francia.
fonte: http://www.linkiesta.it/blogs/millelibri/sole-mare-e-un-libro-imperdibile-la-vendettadel-traduttore
-----------------------elrobba:
...
: perchè non ci vediamo qualche volta?
: abito lontano
: lontano quanto?
: Saronno
: che amarezza!
L'amarezza di Saronno - nelle sale a dicembre
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Sicilia, ecco la dimora del diavolo
Esoterismo e magia nera all'ombra della campagna siciliana: a Cefalù i resti della misteriosa Abbazia di
Thelema, dimora di Crowley negli anni Venti.
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Post/teca
FOTOGALLERY
Ci troviamo in Sicilia, a Cefalù. Qui, in contrada Santa Barbara, giacciono le rovine della famosa e famigerata Abbazia
di Thelema, una villa rustica che accolse dal 1920 al 1923 Aleister Crowley, personaggio controverso e grande filosofo
dell'occultismo moderno, definito dalla stampa del suo tempo “l’uomo più perverso del mondo”.
Nel 1920, dopo aver interrogato l’i-Ching, si persuase che questo posto, immerso nella tranquillità della campagna
siciliana, era l’ideale per fondare la sua nuova religione, la cui parola d’ordine era “Fai ciò che vuoi, sarà tutta la tua
legge!”. L’abbazia divenne pertanto un punto centrale e di riferimento per l'irradiazione della magia rossa e nera di
Crowley.
Il tempio dei thelemiti era predisposto su un solo piano, ed aveva una sola sala, il Sancta Sanctorum. Sul pavimento
era effigiato il pentagramma inscritto in un cerchio. In mezzo al pentagramma era collocato un altare esagonale sul
quale era depositato il Liber Legis. A Est sorgeva un trono dedicato alla Bestia ed un braciere ardente. A Ovest si ergeva
il trono della Donna Scarlatta. Dipinti sulle pareti del tempio, facevano bella mostra alcuni ritratti di Crowley e alcune
raffigurazioni orgiastiche.
Ma cosa succedeva all’interno della casa di Santa Barbara? Alcol e droga, sessioni allucinogene, sedute esoteriche e riti
magico-sessuali erano i modi che Crowley utilizzava per liberare lo spirito dei suoi adepti. Oggi l’abbazia versa in un
completo stato di abbandono. L’unica stanza in cui ancora è possibile vedere gli affreschi è la “Camera degli Incubi”,
la stanza da letto di Crowley. Qui sono ancora visibili alcune iscrizioni fatte da lui, in cui si legge “fissa il tuo sorriso
demoniaco nella mia mente e immergimi nel cognac e nella cocaina”.
Nel 2010 sarebbe stata messa in vendita alla modica cifra di un milione e mezzo di euro: un’occasione imperdibile per
gli appassionati di esoterismo!
fonte: http://viaggi.libero.it/news/48973354/sicilia-ecco-la-dimora-del-diavolo?refresh_ce
--------------http://it.wikipedia.org/wiki/Aleister_Crowley
------------elrobba:
...
: vieni qua, baciami
: no, tu lo fai con tutte le ragazze dello studio
: ma dai lo sai che con te è diverso
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359
Post/teca
: e perchè?
: perchè tu sei l'amore del capo
L'amore del Capo, una storia di calabria - nelle sale a marzo
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--------------elrobba:
...
: che ti offro da bere?
: che hai?
: sambuca, grappa, rhum...
: amari?
: eh, averne!
Amari, averne! - nelle sale a ottobre
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-------------appuntinovalis ha rebloggato malinconialeggera:
Attenti agli uomini comuni...
Attenti
agli uomini comuni,
alle donne comuni,
attenti al loro amore.
Il loro è un amore comune che mira alla mediocrità,
ma c’è del genio nel loro odio.
c’è abbastanza genio nel loro odio per ucciderti,
per uccidere chiunque.
Non volendo la solitudine,
non concependo la solitudine,
cercheranno di distruggere
tutto ciò che si differenzia da loro stessi.
Non sapendo creare l’Arte
non capiranno l’Arte.
Considereranno il loro fallimento come creatori
solo come un fallimento del mondo.
Non essendo in grado di amare pienamente
crederanno il tuo amore incompleto
e poi ti odieranno.
E il loro odio sarà perfetto,
come un diamante splendente,
come un coltello,
come una montagna,
come una tigre,
come cicuta…
La loro arte più raffinata
Charles Bukowski - “Il genio della massa”
360
Post/teca
-----------------ilfascinodelvago:
Del perché odio la religione
…
Oltre a questo, la religione non mi piace perché è libertaria: il motto della religione cattolica è
“non fare al prossimo quello che non vorresti fosse fatto a te”, che però spesso diventa “tratta
gli altri secondo i tuoi parametri di giudizio”. Quindi, estremizzando, ti importa una sega di
quello che pensano gli altri: quello che va bene per me deve andare bene anche a loro. Questa
è intolleranza. E il fatto che in linea di principio i parametri di un devoto sono (teoricamente)
ottimi„ non mi rassicura affatto. Da principi giustissimi, gli uomini sono in grado di
sviluppare con il loro comportamento quotidiano dei veri e propri abomini. Ora, va tutto bene
se sei una persona normale, equilibrata e buona. Ma se sei un masochista? Se sei un
vegetariano? Se sei un enorme stronzo?
Marco Malvaldi, Il re dei giochi
---------dovetosanoleaquile:
“Più conosco gli italiani più amo i sardi.”
— Graziano Filonzi. Letta su FB.
----------dovetosanoleaquile:
Corrado Guzzanti “Venditti” – Da ‘Aniene’ – L’esondazione dell’Aniene – Testo
InRicordati che devi… vivere! su giugno 12, 2011 a 11:52 pm
Secondo me, la canzone più bella dell’anno. Vera, ironica, incazzata, romantica. Corrado
Guzzanti “Venditti” – L’esondazione dell’Aniene
Testo
Sotto la pioggia… te sento e nun te sentoooo… Sai, questi anni tristi di pagliacci e di lacché. Di
leggi infami e di lavoro che non c’è… Li scorderemo anche se adesso sembra strano… come
quel giorno tu hai dimenticato me!
E il tempo è un fiume che si porta tutto via, questi buffoni insieme ai giorni che eri mia… La
nostra storia e questa storia senza cuore! Amore dimenticheremo tutto ma… (Rit.) Ti ricorderai…
l’esondazione dell’Aniene… E… forse penserai… a quanto ti ho voluto bene! Tutto l’amore del
mondo non ci salverà! Ciò che c’è di più profondo più a fondo cadrà… Tutto l’amore del mondo
in un fiume che scorre sul male e sul bene: l’Aniene. E… strade allagate acqua nei piedi e su di
noi, cuori bagnati ed i miei schemi contro i tuoi.. la lite sulla formazione della Roma! Mi hai dato
un pugno ed è volato tutto sì.. Il cellulare cade in acqua nella via… Me l’hai raccolto, hai detto
‘Scusa è colpa mia’… Lo guardi e leggi il messaggino di… Daniela! E da quel giorno mi
dimenticato ma… (Rit.) Ti ricorderai… l’esondazione dell’Aniene… E… forse penserai… a
quanto ti ho voluto bene! Tutto l’amore del mondo non ci salverà! Ciò che c’è di più profondo
più a fondo cadrà… Tutto l’amore del mondo in un fiume che scorre sul male e sul bene:
l’Aniene… …E… fiume minore, un po’ in disparte come noi. Che sopportiamo e che non
361
Post/teca
esondiamo mai. Che sopportiamo abusi, insulti e corruzione!…. ma troppa pioggia poi ci fa
arrabbiare sì… Questi anni amore sembran non finire mai… ci hanno levato tutto tranne i nostri
guai… Ma non conoscono la forza dell’Aniene!… che tutto il male lava via dal mondo, sì, ci
libererà… l’esondazione dell’Aniene! E… tu ricorderai… di quanto ti ho voluto bene! Tutto
l’amore del mondo non ci salverà! Ciò che c’è di più profondo più a fondo cadrà… Tutto l’amore
del mondo in un fiume che scorre sul male e sul bene: l’Aniene… ma… (Rit.) Ti ricorderai…
l’esondazione dell’Aniene… E… forse penserai… a quanto ti ho voluto bene! Tutto l’amore del
mondo non ci salverà! Ciò che c’è di più profondo più a fondo cadrà… Tutto l’amore del mondo
in un fiume che scorre sul male e sul bene: l’Aniene… l’Aniene.
(Geniale alla fine: “Aaaaaaaaaaaa!!!! Anche Scilipoti vuole suonare un pianoforte!”)
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La prima volta di Genji
'divina commedia' del Giappone
Parla la traduttrice Maria Teresa Orsi: «Tradurre dal giapponese antico in italiano un classico della
letteratura, è stata una sfida durata dieci anni».
Di Chiara Valerio
28 maggio 2012
La nuova edizione della Storia di Genji, curata da Maria Teresa Orsi, è la prima traduzione
italiana dal giapponese antico.
Maria Teresa Orsi insegna Lingua e Letteratura giapponese all'Università La Sapienza di Roma.
Ha pubblicato articoli dedicati alla letteratura popolare e al fumetto giapponese e ha curato la
traduzione e la presentazione al pubblico italiano di testi classici e moderni: fra gli altri,
Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari (Marsilio 1988), Sanshiro di Natsume Soseki
(Marsilio 1990), Il figlio delta fortuna di Tsushima Yuko (Giunti 1991) e I demoni guerrieri di
Ishikawa Jun (Marsilio 1997).
Ha curato per Einaudi le Fiabe giapponesi (I millenni, 1998) e La storia di Genji (I millenni,
2012), e per Mondadori Mishima, Romanzi e racconti (I Meridiani, 2004, 2006).
Qual è stato il suo primo incontro con il principe Genji?
«Proprio il primo, abbastanza superficiale e senza conseguenze immediate, è stato ai tempi
dell’Università: studiavo all’Orientale di Napoli con Marcello Muccioli, uno dei primi studiosi
italiani di letteratura giapponese classica. Ho letto alcuni capitoli, nella traduzione di Adriana
Motti, pubblicata da Einaudi intorno al 1957, dalla versione inglese di A. Waley. Allora non
posso dire che sia stato un amore a prima vista; mi sconcertava quel secondo capitolo, che mi
sembrava così incongruo rispetto al primo, statico, sommerso da riflessioni che spaziavano
dalla pittura alla poesia alla società e dove il protagonista sembrava scomparire nell’ombra. Lo
stesso Genji mi sembrava meno affascinante, per esempio, di Andrej Bolkonskij o di Julien
362
Post/teca
Sorel, che allora amavo molto. Solo parecchi anni dopo mi sono resa conto che in realtà
proprio quel secondo capitolo può essere letto come una geniale sintesi che anticipa quello che
avverrà in seguito e che il personaggio di Genji, ben lontano dall’essere uno stereotipo
idealizzato, è di una ricchezza straordinaria. Il passaggio dal disinteresse all’amore è stato
graduale, nessun colpo di fulmine. E l’incontro definitivo è avvenuto in Giappone, anni dopo,
quando ho cominciato a leggere il Genji monogatari in originale».
Quando ha deciso di tradurlo dal Giapponese classico all’italiano, quanto tempo ha
impiegato?
«C’è voluto molto tempo: il primo passo è stato quello di decidere se accettare questa sfida
grandissima e poi di portarla avanti: dieci anni è stato il tempo minimo che potessi dedicare
alla traduzione. Naturalmente gli anni impiegati non sottintendono una totale ed esclusiva
immersione nell’epoca Heian, alla quale si opponevano gli impegni accademici a cui
contemporaneamente dovevo fare fronte. Comunque la lunghezza del periodo si ripercuote sul
lavoro svolto, io penso, in modo positivo. Mi ha consentito di metabolizzare meglio concetti,
categorie, situazioni. Soprattutto mi ha portato a confrontarmi con me stessa, a correggermi,
capire che gli ostacoli non dovevano essere aggirati, ma affrontati. Forse non mi sarebbe
dispiaciuto avere altri dieci anni a disposizione».
Quali sono le differenze principali tra la riscrittura di Tanizaki, la precedente versione
italiana e la versione originale da lei tradotta?
La traduzione di Tanizaki è una stupenda resa in giapponese moderno del testo classico. Credo
che Tanizaki abbia modificato almeno tre volte la sua versione per cercare di rendere al meglio
il linguaggio originale e soprattutto il libero fluire delle parole e delle immagini che si inseguono
per intere pagine. Interessante: Tanizaki ha lasciato in originale le numerosissime poesie che
costellano il testo, limitandosi a darne una parafrasi nelle note. La traduzione di Adriana Motti
seguiva quella di Arthur Waley, che aveva volutamente deciso di avvicinare quanto è possibile il
testo di Murasaki ad un ipotetico lettore occidentale (anzi, inglese direi), modificandolo ogni
volta che poteva sembrare troppo estraneo o di difficile interpretazione. Oltretutto Waley era,
oltre che uno studioso della cultura orientale, un intellettuale che faceva capo alla cerchia di
Bloomsbury ed era forse naturale che il suo istinto di scrittore lo portasse a forzare talvolta il
testo di partenza, eliminando qualcosa o aggiungendo altri elementi più personali e «familiari».
Oggi forse si tende a una a traduzione più attenta alle sfumature dell’originale, meno disposta
a fare concessioni al gusto o al patrimonio culturale del lettore straniero: si può tentare perfino
di lasciare un margine di «estraneità» nella traduzione. Io almeno ho seguito questa strada,
pur consapevole che il rischio, sempre presente, è quello di scivolare da una «estraneità» che
può interessare il lettore e affascinarlo ad una che lo annoia o lo respinge inesorabilmente.
Edward Kermes ha osservato che “ogni lettura del Genji è un atto retrospettivo”
d’altronde la stessa autrice, Murasaki Shikibu, colloca il racconto in un tempo che
rimane vago ma che comunque è un passato anche se prossimo, perché solo il
passato può essere “splendente”?
«Bella domanda e fondamentale per avvicinarsi al Genji monogatari: la scelta dell’autrice di
spostare il suo romanzo in un passato, che poi critici e studiosi si sono affannati a riconoscere
e ricostruire, permetteva di creare una distanza estetica fra sé stessa e il mondo in cui viveva
per poterne analizzare (e al limite idealizzare) meglio alcuni aspetti (ideali, cerimoniale,
gerarchie, rapporti umani, codici di comportamento e di eleganza) e cogliere liberamente tutte
le possibili sfumatura (lotte di potere all’interno della Corte imperiale, ambizioni, rivalità fra
capitale e provincia e così via): allo stesso tempo tuttavia Murasaki Shikibu riesce a
evidenziare anche impercettibili segnali di un cambiamento politico e sociale di portata enorme
che avrebbe successivamente messo in ombra, quanto meno politicamente, l’aristocrazia di
corte a favore della classe guerriera. Questa sfasatura insomma è il cardine intorno al quale
ruota il valore del romanzo, sotto tutti i punti di vista. L’aspetto più straordinario della gestione
di questa sfasatura da parte dell’autrice consiste nel coniugare l’analisi di comportamenti e
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Post/teca
sentimenti individuali con l’ intuizione di una linea di tendenza che si potrebbe definire storica.
Murasaki Shikibu ci mostra un mondo che aspira alla perfezione, e dunque alla immobilità, un
mondo che è pronto a sacrificare la felicità personale in nome della tenuta dell’insieme, e
anche un mondo che prepara la sua fine proprio perché troppo chiuso su se stesso. Ce lo svela
perché constata che il mondo in cui vive, attraversato ormai da mille dubbi, timoroso di un
futuro costellato di rovine, non è né potrà mai più essere quello di Genji. Insomma non solo
generico rimpianto del passato, splendente perché idealizzato, ma molto di più».
Genji è anche un romanzo sulla bellezza che, se è tale, è quasi sempre priva di
genere, androgina, ed è un romanzo dove solo la bruttezza necessita di descrizione,
perché?
«La bellezza degli aristocratici è un fatto di classe, un privilegio che supera anche i confini di
gender. Se è fatta di segnali esteriori (come, nel caso delle donne, la bellezza dei capelli, lo
splendore della pelle) si nutre soprattutto di eleganza, di una nobiltà interiore che si proietta
all’esterno, di uno splendore che è dignità, raffinatezza, padronanza di tutte le arti, dalla
poesia alla danza alla musica alla scrittura. Sgraziati sono soprattutto i pescatori, i rozzi
guerrieri delle regioni orientali, i guardiani delle dimore aristocratiche. E’ vero che la
Principessa dal naso rosso, il «fiore di cartamo», viene descritta in modo ingeneroso, eppure la
sua mancanza di talento e di avvenenza viene compensata dalla rara bellezza dell’onda dei
capelli. E ancora, a differenza della protagonista principale (la Signora del murasaki), la
Principessa ha almeno un privilegio: l’essere stata amata e coccolata dal padre».
La bellezza è legata al concetto di tempo?
«Direi di no: più e più volte si ripete che Genji (o anche la Signora del murasaki, la Principessa
del padiglione del Glicine) restano bellissimi, e neppure la malattia o la morte sembrano
incidere sul loro fascino».
Genji ha avuto molte amanti, da molte è stato riamato, qual è la donna di Genji che
più ha abitato la sua immaginazione mentre traduceva?
«Ho sempre pensato che il Genji monogatari offra un catalogo di personaggi femminili
straordinari, tutti diversi (anche se alcuni sembrano riprodurre uno stesso paradigma, ma con
evidenti tratti individuali) e tutti di grande fascino. Difficile scegliere uno in particolare: trovo
molto attraente la Dama della luna velata, fragile, appassionata (pur entro tutti i limiti con cui
si può attribuire questo tratto caratteriale alle dame dell’aristocrazia Heian), a modo suo
«temeraria» nell’accettare l’amore di Genji pur sapendo di essere destinata a divenire consorte
di un imperatore, ma allo stesso tempo fedele al suo ruolo di restare accanto al sovrano anche
quando questi rinuncia al trono; la dama di Akashi, oppure la «spoglia della cicala» entrambe
consapevoli del proprio inevitabile ruolo secondario, ma orgogliose e ben decise a difendere il
rispetto di sé; e poi, passando agli ultimi capitoli l’infelicissima Ukifune, la figura più tragica,
combattuta fra due uomini di grande fascino. Non si finirebbe mai di elencare figure
femminili».
C’è una differenza di struttura, tono, intenzione tra il Genji e i grandi capolavori della
letteratura occidentale?
«I capolavori sono per definizione irripetibili, altrimenti non sarebbero tali. In ogni caso, a mio
modo di vedere, il punto di partenza non può non essere la loro collocazione nel tempo, nello
spazio, nella dimensione sociale. Il Genji monogatari non potrebbe esistere senza la nobiltà di
epoca Heian, nel Giappone dell’anno Mille. L’universale va sempre commisurato a questa
realtà. E’ una questione di orizzonti, direbbe Gadamer. Quello dell’autore non può essere
dimenticato, quello del lettore, non può essere ignorato. E il bello è che è poi c’è anche
l’orizzonte del traduttore».
I personaggi senza nome nel Genji sono spesso identificati da perifrasi di natura
geografica, o spaziale, come in uno strano gioco di ruolo nel quale il palazzo è una
scacchiera complessa, adorna e asimmetrica, secondo lei questa peculiarità ha fatto
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Post/teca
sì che secoli di lettori potessero abitare nella corte del principe splendente?
«Domanda difficile. Sicuramente questo tipo di identificazione risultava agevole ai lettori o a
coloro che ascoltavano la lettura del Genji monogatari all’epoca in cui fu scritto. L’ambiente era
ristretto e questo sistema di appellativi era di uso comune. Semmai l’effetto di estraniamento
si è verificato più avanti, al punto che lettori e critici hanno ritenuto necessario indicare i
personaggi con soprannomi che sono rimasti in vita fino a oggi. Un espediente utile, senza
dubbio, ma un po’ artificiale. Penso che questa «scacchiera complessa, adorna e asimmetrica»,
come lei dice, sia in fondo un elemento di fascino, un’attrazione di fronte alla quale un
semplice «nome proprio» può sembrare banale e, perché no?, un po’ limitativo e deludente
(vogliamo dire «borghese»?).
fonte: http://www.unita.it/culture/l-incontro-con-genji-1.415325
---------------somewhereunderthetrees ha rebloggatomyplaceisonthemoon:
“L’uomo è un animale sociale che detesta i suoi simili.”
— Eugène Delacroix (via myplaceisonthemoon)
-----------3nding:
“Lo facciamo un film di fantascienza sui Maya che tornano dal passato e provano a salvare la
Terra ma si accorgono di quanto siamo fottuti e ci lasciano crepare nel peggiore dei modi?”
— 3nding
---------senza-voce ha rebloggato chouchouette:
“Quando invecchierò vorrei che la mia faccia seguisse la mappa delle rughe dei miei sorrisi e
non delle mie smorfie di disappunto. Si vedono le facce che hanno le rughe da sorrisi, gli occhi
non gli invecchiano mai.”
— Chou, ho trovato un capello bianco (via chouchouette)
----------20120529
29/5/2012
Signora Maestra
di massimo gramellini
Domenica sera ho condiviso con una trentina di temerari uno spericolato esperimento sentimentale: il
raduno dei compagni di classe delle elementari. Erano quarant’anni e centomila capelli che non ci si
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Post/teca
vedeva e per farsi riconoscere ciascuno si era pinzato sul petto una targhetta con nome, cognome e una
propria foto di allora. E' stata una delle serate meno nostalgiche della mia vita: il passato da
rammentare era così remoto che sembrava futuro. Si è parlato tantissimo di progetti e speranze,
pochissimo di calcio, niente di politica. Ma si è parlato soprattutto della, e con la, Maestra. Era per i suoi
88 anni appena compiuti che avevamo apparecchiato lo spettacolo, salvo accorgerci in fretta che lo
spettacolo era lei. Buona ma non debole, la schiena ancora dritta come i suoi pensieri. La Maestra.
Quella che ci aveva insegnato a leggere con i libri di Primo Levi e di Rigoni Stern. Anche l'altra sera ha
ascoltato con attenzione il primo e l'ultimo della classe declamare "bosco degli urogalli" e poi ha dato
loro il voto: basso e però giusto, come sempre. Si aggirava fra i suoi scolari attempati distribuendo
carezze ruvide e rimproveri dolci. Nel guardarla pensavo all'esercito silenzioso di cui quella donnina
formidabile fa parte: le maestre elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una
nazione con stipendi da fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai. Il nostro
rispetto.
Prima di andare a dormire ci ha detto che averci avuti come alunni era stato, per lei, come riceverci in
dono. Poi ci ha baciati sulla fronte, uno a uno. Sono rientrato a casa con addosso l'energia di un leone.
fonte: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?
ID_blog=41&ID_articolo=1186
--------------------------proust2000:
Altro terremoto, sarà il quinto che sento quest anno, e tu non c’eri ad abbracciarmi.
Ora che ci penso non c’eri mai ad abbracciarmi o se vogliamo vederla da un altro punto di vista
quando mi abbracci non ci sono mai i terremoti.
Facciamo così: tu ora vieni qui, mi abbracci per sempre e salviamo il mondo.
--------------------3nding ha rebloggato ilfascinodelvago:
“Mille delle vostre cerette non saranno mai come un nostro calcio nelle palle.”
— Tratto dal manuale ‘La vagina è un pene spiaccicato ed il pene è un clitoride
strattonato’ di Kon-Igi MD (via kon-igi)
Fonte: kon-igi
---------------curiositasmundi ha rebloggato emmanuelnegro:
“C’è gente che vuole bene ai ”datori di lavoro” (cioè i padroni, i ricchi, che Gesù mandava
all’inferno e Lenin in Siberia), gente che sventola bandierine tibetane guerrafondaie e fasciste
e chiama ”missione di pace” la guerra imperialista.”
— Cristiano Trapletti su FB (via lucoli)
Fonte: lucoli
--------------curiositasmundi ha rebloggato iceageiscoming:
cuiprodest:
366
Post/teca
Brescia, 28 maggio 1974. Nessuna giustizia
Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante
Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante
Euplo Natali, anni 69, pensionato
Luigi Pinto, anni 25, insegnante
Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio
Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante
Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante
Vittorio Zambarda, anni 60, operaio
Fonte: cuiprodest
-----------------------selene ha rebloggato curiositasmundi:
“Deve farti davvero schifo la tua vita, se perdi il tuo tempo a giudicare la mia.”
—
(Serena Santorelli)
bugiardaeincosciente:
(via curiositasmundi)
Fonte: bugiardaeincosciente
-----------------alfaprivativa ha rebloggato unalgoritmo:
“Scrivi una frase, rileggila e se senti che ha qualcosa d’orecchiato, qualcosa che solletica il tuo
gusto, cancellala e rifalla, finché non la senti perfettamente normale, senza nessun
compiacimento, ma che descriva le cose come sono. E continua così. Non scrivere cose troppo
fantastiche e movimentate: descrivi cosa fai dalla mattina quando ti alzi alla sera quando vai a
dormire. Dopo un po’ scoprirai un sacco di cose e t’accorgerai che tocchi la realtà con le tue
mani. Prendi a modello Svevo, per esempio, che poverino scriveva male che peggio non
poteva, ma guardava le cose con i suoi occhi.”
— Italo Calvino
Fonte: fallen87
---------------alfaprivativa ha rebloggato unalgoritmo:
“Scrivi una frase, rileggila e se senti che ha qualcosa d’orecchiato, qualcosa che solletica il tuo
gusto, cancellala e rifalla, finché non la senti perfettamente normale, senza nessun
compiacimento, ma che descriva le cose come sono. E continua così. Non scrivere cose troppo
fantastiche e movimentate: descrivi cosa fai dalla mattina quando ti alzi alla sera quando vai a
dormire. Dopo un po’ scoprirai un sacco di cose e t’accorgerai che tocchi la realtà con le tue
mani. Prendi a modello Svevo, per esempio, che poverino scriveva male che peggio non
poteva, ma guardava le cose con i suoi occhi.”
— Italo Calvino
Fonte: fallen87
----------------alfaprivativa ha rebloggato unalgoritmo:
367
Post/teca
“
Io ti floro
tu mi fauni
Io ti scorzo
io ti porto
e ti finestro
tu mi ossi
tu mi oceani
tu mi audaci
tu mi meteoriti
Io ti soglio
io ti straordinario
tu mi parossismi
Tu mi parossismi
e mi paradossi
io ti clavicembalo
tu mi silenti
tu mi specchi
io ti orologio
Tu mi miraggi
tu mi oasi
tu mi uccelli
tu mi insetti
tu mi cataratti
Io ti luno
tu mi nuvoli
tu mi altamarei
Io ti trasparento
tu mi penombri
tu mi traslucidi
tu mi castelli
e mi labirinti
Tu mi parallassi
e mi paraboli
tu mi sollevi
e mi stesi
tu mi obliqui
Io ti equinozio
io ti poeto
tu mi danzi
io ti particolo
tu mi perpendicoli
e sottoscali
Tu mi visibili
tu mi profili
tu mi infiniti
tu mi indivisibili
tu mi ironici
368
Post/teca
Io ti frango
io ti ardento
io ti fonetico
tu mi geroglifici
Tu mi spazi
tu mi torrenti
io ti torrento
a mia volta ma tu
tu mi fluidi
tu mi cadenti, mi stelli
tu mi vulcanici
noi ci polverizzabile
Noi ci scandalosamente
giorno e notte
noi ci oggi stesso
tu mi tangenti
io ti concentrico
Tu mi solubili
tu mi insolubili
tu mi asfissianti
e mi liberatrici
tu mi pulsatrici
Tu mi vertigini
tu mi estasi
tu mi passioni
tu mi assoluti
io ti assento
tu mi assurdi
[prendere corpo]
Io ti naso io ti capigliaturo
io ti osso
tu mi ossessioni
io ti petto
io busto il tuo petto poi il tuo volto
io ti corsetto
tu mi odori tu mi vertigini
tu scivoli
io ti coscio io ti carezzo
io ti fremito
tu mi cavalchi
tu mi insopportabili
io ti amazzono
io ti golo io ti ventro
io ti gonno
io ti giarrettiero io ti calzo io ti Bach
sì io ti Bach per clavicembalo seno e flauto
io ti tremo
tu mi seduci tu mi assorbi
369
Post/teca
io ti litigo
io ti rischio io ti scalo
tu mi sfiori
io ti nuoto
ma tu tu mi turbini
tu mi sfiori tu mi scruti
tu mi carni cuoi pelli e morsi
tu mi slip neri
tu mi ballerini rossi
e quando tu non tacchi alti i miei sensi
tu li coccodrilli
tu li fochi tu li affascini
tu mi copri
io ti scopro io ti invento
a volte tu ti libri
tu mi umidi, mi labbri
io ti libero io ti deliro
tu mi deliri e appassioni
io ti spallo io ti vertebro io ti caviglio
io ti ciglio e pupillo
e se non ti scapolo prima dei miei polmoni
anche lontana tu mi ascelli
io ti respiro
giorno e notte io ti respiro
io ti bocco
io ti palato io ti dento io ti unghio
io ti vulvo io ti palpebro
io ti alito
io ti inguino
io ti sanguo io ti collo
io ti polpaccio io ti certezzo
io ti guancio e ti veno
io ti mano
io ti sudoro
io ti languo
io ti nuco
io ti navigo
io ti ombro io ti corpo e ti fantastico
io ti retino nel mio soffio
tu mi iridi
io ti scrivo
tu mi pensi
”
— Gherasim Luca
Fonte: francescanikadamoblog
-------------------cardiocrazia ha rebloggato sullealideldrago:
370
Post/teca
Se avessi ricevuto 1€ per ogni 'porco dio/porca madonna'
pronunciato dalla mia ragazza, adesso avrei già una macchina
nuova e un appartamento con mutuo già estinto da un po', lol
( non so proprio di cosa tua stia parlando, lol )
--------------------contrecoeur:
“e per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”
— fabrizio de andré, disamistade.
--------------------Maurizio Casa e Andrea Motta ci hanno segnalato il neologismo perplimere, ascoltato per radio o in televisione; su questa
parola ci chiedono informazioni Claudio Bergamini, Dario Garretti, Francesca Palella e altri. Giovanni Sonnino ci chiede
qual è la procedura di inserimento di perplimere «all’interno della lingua italiana».
Significato e origine di perplimere
Il verbo perplimere significa “essere perplesso” o “rendere perplesso”, ed è entrato nella nostra lingua in un passato recente, ma con
un percorso particolare che ne ha limitato l’ambito d’uso e che ne ha pertanto impedito, almeno per ora, l’ingresso nei vocabolari di
lingua italiana (nei quali non è attualmente registrato).
L’impiego del verbo perplimere è dovuto alla prosa creativa del comico Corrado Guzzanti, che lo ha lanciato nei primissimi anni
Novanta, nella trasmissione televisiva “Avanzi”. La parola venne inserita in uno dei dialoghi fra il personaggio Rokko Smitherson e
Serena Dandini, ed ebbe talmente successo che fu più volte riutilizzata nella trasmissione, con ricchi esempi nella coniugazione
(perplimere,perplimo, perplimete, perplèi, perplime[re]) e nelle varianti (perplerre).
Molte furono le parole inventate da Rokko Smitherson (regista romano di “filmaggi de’ paura”), un personaggio che basava la sua
comicità satirica proprio sui giochi di parole e su neoconiazioni allusive (sospensionismo, su astensionismo;antiproibizionale, su
antiproibizionista; sopravvolare, su sorvolare; cartone animale, su cartone animato; psicoanale, su psicoanalista; ecc.). Fra le molte
innovazioni linguistiche perplimere attecchì più facilmente nella lingua comune a causa della sua perfetta adeguatezza morfologica,
che tra l’altro colma anche una lacuna lessicale della nostra lingua: il verbo è infatti spontaneamente riconducibile dai parlanti italiani
al participio passato perplesso (sulla base di verbi comecomprimere / compresso; sopprimere / soppresso, ecc.); e del resto manca in
italiano un verbo che renda in modo sintetico l’azione dell’essere o del rendere perplessi, per cui il neologismo si incunea
perfettamente nel nostro sistema linguistico.
Probabilmente per questa sua funzionalità nel coprire un vuoto morfologico e semantico (che l’italiano eredita dal latino), sulla scia
della trasmissione la parola ebbe una notevole e crescente fortuna, seppure in contesti informali e per lo più in accezione ironica; e,
del resto, nonostante l’origine peculiare, perplimere ha resistito a lungo nella nostra lingua, tanto che recentemente se ne è persa
anche la sfumatura ironica, come emerge dai quesiti e dalle segnalazioni di neologismo giunti alla nostra redazione.
Effettuando una ricerca su Internet con i consueti motori di ricerca, si rileva che la parola è comparsa in alcuni dizionari amatoriali,
ed è spesso presente nei messaggi di vari gruppi di discussione, tra l’altro con forti oscillazioni tra chi sostiene che il verbo non esiste
e chi invece ne dà per scontata l’assimilazione nel repertorio dell’italiano e lo usa per spiegare altri fenomeni linguistici. A questo
proposito, e per rispondere a chi ci domanda come si possa fare entrare il verboperplimere nei vocabolari, va ricordato che la
grammatica e la lessicografia registrano, raccolgono, spiegano e inseriscono in un sistema organico fenomeni che hanno raggiunto
una certa rilevanza nella lingua: perplimere nasce certamente come parola effimera, ma la sua tenace persistenza la rende
linguisticamente interessante; per cui non se ne può negare, come fanno alcuni, l’esistenza, ma se sia o meno destinata ad entrare nei
vocabolari è una risposta che può essere data soltanto dalla continuità e dall’ampiezza della sua diffusione nei prossimi anni.
A cura di Marco Biffi
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4409&ctg_id=44
--------------------Paolo Diliberto (Latina), Domenico Di Lullo (Roma), Renato Gualtieri (Pedivigliano - CS) e altri ci chiedono notizie riguardo
all’etimologia del termine cretino e, in particolare, se esista un legame tra le parole cretino e cristiano.
371
Post/teca
La complessa storia del termine cretino
Può suscitare perplessità in molti l’idea che i termini cretino e cristiano siano in qualche modo imparentati. In effetti pochi anni fa
una polemica piuttosto aspra si è scatenata su Internet, giornali e programmi televisivi cavalcando questo sentimento di disagio, in
particolare in seguito alla pubblicazione del saggioPerché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) di Piergiorgio
Odifreddi (Milano, Longanesi, 2007). Ne citiamo un passo tratto dall’introduzione intitolata Cristiani e Cretini:
Col passare del tempo l’espressione (cristiano) è poi passata a indicare dapprima una persona qualunque, come nell’inglese christened, “nominato” o
“chiamato”, e poi un poveraccio, come nel nostro povero cristo. Addirittura, lo stesso termine cretino deriva da “cristiano” (attraverso il francese
crétin, da chrétien), con un uso già attestato nell’Enciclopedia nel 1754: secondo il Pianigiani, “perché cotali individui erano considerati come
persone semplici e innocenti, ovvero perché, stupidi e insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti”.
Non è chiaro tuttavia a chi si riferisca l’espressione “cotali individui” contenuta nel passo citato da Odifreddi: sono i cretini? i
cristiani? Nella voce cretino delVocabolario Etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani (1907), cui l’autore si riferisce e
che è l’unico etimologico attualmente consultabile online, tuttavia, leggiamo altre informazioni che forse aiutano a chiarire la
questione:
[il termine cretino] corrisponde al francese crétin e nel dialetto della Gironda crestin, ed è il nome che si dà a ognuna di quelle misere creature, di
piccola statura, mal conformate, con gran gozzo e affatto stupide le quali si trovano specialmente nelle valli delle Alpi Occidentali: per alcuni dal
latino christianus (fr. chrétien), perché cotali individui erano considerati come persone semplici e innocenti, ovvero perché, stupidi e insensati quali
sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti.
L’espressione cretino fa qui riferimento alle persone affette dalla patologia del cretinismo e in questo caso non denota semplicemente
un individuo di scarsa intelligenza, come invece siamo portati a pensare oggi. È possibile “giocare”, dunque, come fa Odifreddi, con
gli slittamenti semantici del termine cretino, perché esso è polisemico, sebbene oggi non lo percepiamo immediatamente come tale.
In questo caso è tuttavia opportuno non fermarsi alla consultazione del Pianigiani, pubblicato nel 1907 e ormai non utilizzabile come
strumento di riferimento. I vocabolari contemporanei riportano due accezioni della stessa entrata lessicale (differenziandosi nel dare
priorità all’una o all’altra): a) cretino nel senso di ‘persona di scarsa intelligenza’ e b) cretino nel senso di ‘affetto da cretinismo’. Non
siamo qui di fronte a due termini omonimi, cui nei dizionari si dedicano due entrate differenti e per i quali si ipotizzano per esempio
differenti origini e sviluppi: la radice etimologica di cretino, inteso in entrambe le accezioni, è effettivamente cristiano, come
suggeriva già il Pianigiani.
I dizionari etimologici oggi accreditati concordano nel riconoscere a cretino la derivazione da cristiano, e a essi si associano dizionari
dell’uso quali GRADIT,Sabatini-Coletti, ZINGARELLI 2012, Devoto-Oli 2012.
Seguiamo dunque la storia del termine. La forma crétin, d’altro canto, è una variante diatopica di chrétien: come caratteristico nei
dialetti franco-provenzali, la desinenza ha subito la caratteristica modifica in -in, e ch- l’occlusione in c-.
Che proprio questa variante sia legata alle prime, approssimative denominazioni dei malati e della malattia non è un caso:
specialmente in alcune regioni della Svizzera romanda di lingua franco-provenzale erano diffuse allo stato endemico varie forme di
ipotiroidismo congenito, dal Settecento in poi identificato appunto come cretinismo (i dizionari datano 1789 la prima attestazione).
La presenza della voce crétins nell’Encyclopédie (1754) lascia presumere che all’epoca l’uso del termine in questa accezione fosse
già ampiamente attestato (cfr. Le Robert, 1992).
È interessante chiedersi il motivo di tale evoluzione semantica, che ha portato a usare un termine che era sentito ancora come
significante ‘cristiano’ per denotare gli affetti da una malattia. Secondo alcuni (Le Robert, ATLIF, Devoto-Oli, Dir) questo passaggio
si spiega per eufemismo: per identificare i malati la parola veniva utilizzata nel senso commiserativo di ‘povero cristo’, ‘infelice’ (cfr.
ATLIF, “le mot ayant dans un premier stade signifié ‘malheureux’” (perché la parola significava, in un primo momento, ‘infelice’),
con riferimento all’immagine di Cristo sofferente.
L'etimologico e DELI richiamano l’attenzione sul fatto che il termine cristiano ha anche un senso generico di ‘essere umano’, a cui
si potrebbe aggiungere come chiosa la considerazione dell’Oxford English Dictionary: “the sense being here that these beings are
really human, though so deformed physically and mentally” (nel senso che questi sono veramente esseri umani, sebbene così deformi
fisicamente e mentalmente).
In ogni caso è chiaro come la relazione con cristiano non debba essere intesa in senso offensivo: l’accezione di cretino che deriva
direttamente da cristiano è quella medica, non quella ingiuriosa, la quale invece si sviluppa più tardi, e inoltre testimonia un barlume
di sensibilità nel trattamento quotidiano della malattia (L’Encyclopédie riporta anche la consuetudine delle popolazioni Vallesi di
considerare i malati come “angeli tutelari” delle famiglie).
Lo stesso imbarazzo che oggi contribuisce ad accendere i toni polemici intorno alla discussione sull’etimologia di cretino è stato
forse quello che ha portato alcuni, fino ai primi decenni del Novecento, a proporre etimologie alternative oggi non più accettate:
Enrico Levi, pur dichiarando incerta la propria ricostruzione, propone di attribuire a cretino la derivazione dal romancio cretina
(‘creatura’), e quindi dal latino creare (E. Levi, Vocabolario etimologico della Lingua italiana, 1914).
Più diffusa, e ancora in parte radicata, l’ipotesi per cui cretino sarebbe un calco dall’aggettivo tedesco kreidling, da kredie (‘creta’), e
dunque deriverebbe dal latinocreta, per via, si pensava, del particolare colore della pelle dei malati (“la peau flétrie, ridée, jaunâtre ou
pâle” - avvizzita, rugosa, giallastra o pallida -, É. Littré, Ch. Robin, Dictionnaire de Médicine, de Chirurgie, de Pharmacie, 1878). Il
citatoVocabolario di Pianigiani non manca di riportare questa congettura, accreditandola proprio a Littré.
Nella Quinta impressione del Vocabolario (il fascicolo interessato è datato 1878) gli Accademici della Crusca sposano questa
interpretazione: un cretino è “ognuna di quelle misere creature, di piccola statura, mal conformate, con gran gozzo, e affatto stupide,
le quali si trovano specialmente nelle valli delle Alpi occidentali; dal francese crétin, e questo, secondo alcuni, dal latino creta, a
cagione del colore biancastro simile a quello della creta”; a sostegno di questa lettura, comunque, non vengono citate fonti.
Tuttavia, il concordare dei dizionari contemporanei sulla derivazione da cristianoattraverso il passaggio dal francese fa pensare che
questa congettura possa essere classificata come una paraetimologia o falsa ricostruzione.
Nel corso dell’Ottocento il termine subisce il secondo slittamento semantico, per cui cretino inizia a denotare semplicemente un
individuo di scarsa intelligenza. Le motivazioni di questo passaggio appaiono evidenti se consideriamo il modo in cui la malattia è
stata all’inizio percepita, e il corrispondente tessuto semantico dei primi studi medici in cui veniva trattata.
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Post/teca
Degli affetti dalla patologia si registravano le caratteristiche fenotipiche, i segni e la sintomatologia clinica, in accordo con gli
strumenti tecnico-scientifici del tempo: a partire dalla prima descrizione seicentesca (F. Platter, Praxeos seu cognoscendis,
praedicentis, praecauendis, 1602) i cretini vengono descritti come colpiti da varie deformità e soprattutto come semplicemente
stupidi dalla nascita, senza quasi far riferimento alle cause fisiche della patologia. La caratteristica principale degli affetti da
cretinismo appariva essere il deficit cognitivo, una conseguenza del disturbo, che diventa però tratto essenziale e necessario alla
definizione di esso: per esempio nel Traité du goitre et du crétinisme (1797) F. E. Fodéré sostiene che “le crétinisme complet doit être
défini: privation totale et originelle de la faculté de penser” (il cretinismo completo deve essere definito: privazione totale e originale
della facoltà di pensare).
Simili descrizioni abbondano poi nei vocabolari dell’Ottocento, contribuendo a sancire le caratteristiche della malattia e a inquadrarle
nella cornice epistemologica della medicina di allora. Riportiamo quella del Dizionario etimologico-filologico di Marchi (1828), che
fu probabilmente fonte del sopra citato Pianigiani: “questo nome (crétin), alterato dal francese chrétien, ital. cristiano, davasi nel
Vallese, ed altrove, a certi individui stupidi e insensati, riputati piissimi perché dal volgo creduti continuamente assorti nella
contemplazione delle cose celesti, e perché insensibili per le terrene”. Marchi conia su base latina il corrispondente cretinismus,
ovviamente mai esistito ma utile alla tassonomia medico-scientifica.
Quindi il termine, nato in ambito non specialistico, ha assunto sfumature semantiche legate a ciò che, nell’opinione comune, veniva
percepito come tratto caratterizzante i colpiti dalla patologia: con la parola cretino si è iniziato a intendere in senso sempre più
generale un individuo di scarsa intelligenza. Un processo, questo, purtroppo abbastanza ricorrente in vocaboli che si riferiscono a
malati e malattie, basti pensare ai casi parzialmente analoghi di mongoloide, o di isterica.
In Francia il passaggio del significato di cretino da ‘affetto da cretinismo’ a ‘scarsamente intelligente’ è datato 1835 da Le Robert,
anche se il Französishes Etymoligisches Wörterbuch (il II vol. porta la data 1940) riporta alcune varietà dialettali dell’uso del termine
in senso ingiurioso risalenti al Seicento.
In Italia le attestazioni letterarie testimoniano la diffusione di cretino nel senso di ‘affetto da cretinismo’ per tutta la prima metà
dell’Ottocento; da quel momento in poi, tuttavia, la parola assume contemporaneamente il senso di offesa generica: lo testimonia il
Dizionario Tramater (1829-1840), che di cretino riporta già entrambe le accezioni, caratterizzando quella che ha valore di ingiuria
come estensione semantica della prima, propria del vocabolario medico.
L’uso che della parola fa Melchiorre Gioia in Del merito e delle ricompense (1848), poco generoso nei confronti dei malati, ma anche
degli abitanti del Vallese, testimonia la presenza nel tessuto linguistico di entrambi i significati, e la facilità con cui era ancora
possibile passare dall’uno all’altro:
In tutte le parti del Vallese... il popolo parla promiscuamente la lingua tedesca, francese, italiana e frequentemente latina. Questo fondo d’istruzione è
tanto più rimarchevole in quel paese, in quanto la natura tende a formarvi persone idiote, come lo attesta il numero ragguardevole de’ ‘cretini’ [...].
L’evoluzione semantica del termine è molto rapida: nel giro di poco tempo nell’uso di cretino inizia a perdersi la memoria del senso
in cui la parola era intesa originariamente. Carducci, nei Sermoni al deserto del 1887, può sostenere ancora di preferire offendere
qualcuno chiamandolo “imbecille” piuttosto che “cretino”, essendo cretino un “neologismo pedantesco di volgarizzamento
scientifico”. Ma di lì a poco l’impiego della parola in senso sempre più spesso non tecnico e ingiurioso dissiperà per la generalità dei
parlanti la memoria del legame tra ingiuria e malattia, e più ancora quello tra malattia e cristianesimo.
Le occorrenze letterarie novecentesche attestano un utilizzo disinvolto e spesso ironico del termine, che sembra essere percepito
come semplicemente sinonimo di altri insulti all’intelligenza personale (“Le Materassi invece a quel racconto, a quella fede cieca
andavano su tutte le furie: dicevano che quella donna era un’insensata, che era cretina, ebete, demente, un pezzo di mota incapace di
sentir qualche cosa per chicchessia”, A. Palazzeschi, Sorelle Materassi, 1934).
L’idea che l’accezione ovvia di cretino sia ‘affetto da ipotiroidismo’ permane nel Novecento quasi soltanto nei dizionari medici (ad
esempio nel Dizionario Medico Lauricella, 1960), ma sembra già aver perso trasparenza venti anni dopo: nelDizionario Medico
Larousse (1984) la voce cretino scompare, pur essendo ancora presente cretinismo. Oggi in ambito scientifico si tende appunto a
definire la malattia in questione come una forma di ipotiroidismo congenito.
Per approfondimenti:
● ATLIF, Le Trésor de la Langue Française informatisé
● Dir - Dizionario italiano ragionato, Firenze, D’Anna - Sintesi, 1988
● Dictionnaire historique de la langue francaise, a cura di Alain Rey, Paris, Dictionnaires Le Robert, 1992
● Dizionario Medico, a cura di E. Lauricella, Venezia-Roma, Istituto per la Collaborazione Culturale, 1960-61
● Dizionario Medico Larousse, a cura di R. Valente e M. G. Malesani, Torino, Saie, 1984
● Französisches Etymoligisches Wörterbuch, Bonn, Klopp, 1928-1969 (II Bd 1940)
● F. E. Fodéré, Traité du goitre et du crétinisme, Paris, Bernard, 1797
● E. Levi, Vocabolario etimologico della Lingua italiana, Livorno, Giusti, 1914
● É. Littré, Ch. Robin, Dictionnaire de Médicine, de Chirurgie, de Pharmacie, de l’art vétérinaire et des sciences qui s’y
rapportent, Paris, Ballière et fils, 1878)
● M. A. Marchi, Dizionario tecnico etimologico-filologico, Milano, Giacomo Pirola Stampatore, 1828
● M. Mortara, Cretinismo endemico: la malattia, i suoi aspetti neurologici, Roma, CNR, 1970
● Oxford English Dictionary
● F. Platter, Praxeos seu cognoscendis, praedicentis, praecauendis, Basileae, C. Waldkirchii, 1602
A cura di Simona Cresti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
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Post/teca
fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8936&ctg_id=44
--------------------Irene Berardone da Torino si domanda se sia possibile in lingua usare il terminepoidomani come sinonimo di dopodomani;
Michele Pittaluga da Genova ci chiede se con posdomani si indica il giorno dopo domani o il giorno ancora successivo.
Il giorno che viene dopo domani
Come nel caso delle denominazioni del giorno prima di ieri la nostra lingua dispone di più termini per indicare il giorno dopo
domani: dopodomani, doman(i) l’altro e posdomani, quest’ultimo dato come letterario (o, più raramente, antiquato o raro) dalla
lessicografia contemporanea; solo Sabatini-Coletti 2008 glossaposdomani come regionale.
Lo stesso dizionario non registra domani l’altro, forma di tradizione toscana e letteraria (Manzoni lo preferirà a posdomani
nell’edizione finale dei Promessi sposi) che, pur essendo registrata senza annotazioni a fianco di dopodomani anche nelle edizioni più
recenti della maggior parte dei dizionari, risulta diffusa quasi esclusivamente in Toscana stando alle indagini di LinCi La lingua delle
città.
Per quel che riguarda poidomani, l’unico dizionario che lo registra è il GRADIT, che lo glossa come "di basso uso" e ne segnala
l’impiego da parte del cassinese Antonio Labriola nel suo Carteggio: 1861-1880.
Grazie alle riproduzioni digitali rese disponibili in rete da Google libri, è possibile anticipare notevolmente la datazione della prima
attestazione scritta di poidomani: lo si trova infatti nelle Pìstole di Cicerone ad Attico, versione del genovese Matteo Senarega, edite
nel 1555. È stato anche possibile reperire altre attestazioni soprattutto in scritti ottocenteschi di area centromeridionale: appare ad
esempio inCenno su gli avvenimenti militari, del Conte Mathieu Dumas, edito a Napoli nel 1838, in un brano comparso nel
quotidiano napoletano Il lume a gas del 18 novembre 1847, in un documento che porta in calce la data “Da Ascoli 22 maggio 1849”
pubblicato nelle Memorie storiche sull'intervento francese in Roma nel 1849, di F. Torre, e poi ancora in Ugo dei Frangipane, del
romano Paolo Mencacci edito nel 1868. In anni più recenti lo troviamo usato dalla scrittrice abruzzese Laudomia Bonanni, in Palma
e sorelle (1954), dal giurista irpino Antonio Guarino, in Diritto privato romano (1958) e dal siciliano Vincenzo Consolo in Retablo
(1987).
Se ci spostiamo dal piano della lingua scritta a quello delle varietà locali possiamo affermare che poidomani e sue varianti sono
testimoniati nei dizionari dialettali per il siciliano (a questo proposito si nota che Poidomani è un cognome diffusissimo in Sicilia e
anche un toponimo in provincia di Siracusa), per il calabrese, l’abruzzese, il molisano, il marchigiano, il ligure e - ma solo fino alla
fine dell’Ottocento - per il napoletano.
Gli atlanti linguistici (sia l’AIS sia il più recente ALI hanno una carta che riporta le denominazioni dialettali del giorno dopo domani,
rispettivamente la 348 vol. II e la 648 vol. VII), confermano la diffusione di poidomani e varianti in Liguria, Marche meridionali,
Abruzzo, Irpinia, Calabria meridionale e Sicilia nord-occidentale. Soprattutto in Calabria, Sicilia e Abruzzo le forme convivono con
varianti diposdomani, che risulta diffuso anche in Lombardia nella forma pusduman; è da notare la contiguità dell’area di diffusione
di poidomani con quella di pos(t)crai, tipo testimoniato, oltre che in Sardegna, anche in Puglia, Calabria e Basilicata, e che
costituisce il diretto derivato dal latino su cui i più tardi posdomani e poidomanisono modellati.
La distanza tra le edizioni dei due atlanti (l’AIS è stato pubblicato dal 1928 al 1940, mentre il primo volume dell’ALI è uscito nel
1995 e sono ancora inediti l’VIII e il IX) fa rilevare soltanto un incremento dell’affermazione di dopodomani, che appare forma
tradizionale in Lazio, Umbria e Campania, in quasi tutta la penisola, meno che in Toscana dove doman(i) l’altro è praticamente
esclusivo.
Possiamo quindi rispondere alla nostra utente torinese che poidomani è una variante tradizionale legata etimologicamente a
posdomani, che però, a differenza di questa voce, non ha raggiunto sufficiente diffusione nell’uso e nelle opere degli autori
tradizionalmente considerati di riferimento dalla lessicografia, per essere accettata nella lingua standard. Infatti l’unica occorrenza di
poidomani che abbiamo potuto reperire consultando i corpora di BibIt e LIZ si trova nell’Epistolario di Giacomo Leopardi in una
lettera dello zio Carlo Antici al “Nepote carissimo”, datata Urbino 12 Ottobre 1825, mentre il Leopardi usa una volta posdimani.
Anche posdomani del resto, che ha dalla sua abbondanti attestazioni a partire dal XV secolo fino ai primi del Novecento, sta ormai
cadendo in disuso, almeno al livello della lingua formale o scritta che tende a convergere su dopodomani.
Al lettore genovese possiamo rispondere che la lingua standard non prevede una denominazione per indicare il giorno dopo
dopodomani, ma impiega preferibilmente la locuzione fra tre giorni. Per quanto concerne le varietà locali, dalle testimonianze delle
carte dei due atlanti citati, in cui si cercava anche tale denominazione specifica, sembra potersi desumere che solo alcune varietà
tradizionali conoscono un termine o una locuzione corrispondenti (per esempio in Toscana è testimoniato doman l’altro di là), ma in
nessun caso posdomani appare usato in questa accezione. Non è improbabile però che, in aree in cui convivono più termini, proprio
l’affermarsi di uno dei due, nella fattispecie come abbiamo vistodopodomani, abbia potuto favorire l’impiego dell’altro nel
significato affine di ‘il giorno dopo dopodomani’.
Per approfondimenti:
● AIS K. Jaberg - J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz,Zofingen, Ringier & Co., 1928-1940
● ALI M. G. Bartoli ... [et al., ] Atlante linguistico italiano, Istituto dell’Atlante linguistico italiano, Centro di ricerca
dell’Università degli studi di Torino, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1995● BibIt Biblioteca Italiana, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
● LinCi La lingua delle città, progetto cofinanziato dal MIUR e coordinato da Teresa Poggi Salani e Annalisa Nesi (inedito)
● LIZ Letteratura Italiana Zanichelli, LIZ 4.0. CD-ROM della letteratura italiana, a cura di P. Stoppelli e E. Picchi, Bologna,
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Post/teca
Zanichelli 2001
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca
fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=8891&ctg_id=44
-----------------------somewhereunderthetrees ha rebloggatolaragazzachesogna:
“Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi
porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un
vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile.
Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.”
— Pier Paolo Pasolini. (via yellowsneeze)
Fonte: yellowsneeze
--------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato justsonaive:
“La timidezza è quando distogli lo sguardo da una cosa che vuoi. La vergogna è quando
distogli lo sguardo da una cosa che non vuoi.”
— Jonathan Safran Foer - Molto forte, incredibilmente vicino (via i-will-not-save-yourlife)
Fonte: volevodirtiche
------------------
Nell’acquario di Facebook
Pubblicato il 16 maggio 2012 · in alfapiù, libri, società · 8 Commenti
Carlo Formenti
Anarco capitalismo: questa definizione dal sapore vagamente ossimorico è ormai entrata
nel lessico corrente di coloro che si occupano di economia della Rete. Si autodefinisce
anarco capitalista uno dei più noti guru della Net Economy come Yochai Benkler, che
associa al termine un mix di motivazioni non economiche alla produzione (l’economia del
dono delle comunità open source e dei redattori di Wikipedia), antistatalismo e laissez
faire come veicoli di una (immaginaria) rivincita di start up e innovatori tecnologici nei
confronti dei monopoli hi tech. Né si offenderebbero di essere così chiamati autori come
Kevin Kelly, Don Tapscott, Clay Shirky e tanti altri apologeti della «rivoluzione» 2.0.
Capitalisti perché non si sognano nemmeno lontanamente di mettere in discussione le
«leggi» del libero mercato (che anzi, dal loro punto di vista, hanno finalmente potuto
trovare attuazione ed esercitare i loro benefici effetti grazie alla Rete, regno della libertà
dove ogni transazione avviene in condizioni di assoluta parità e trasparenza cognitiva,
offrendo a tutti le stesse opportunità e, quindi, premiando i più meritevoli). Anarchici
perché sostenitori di un «individualismo metodologico» in base al quale i veri soggetti
della storia sono i singoli individui, cui va garantita la più totale libertà di agire,
comunicare, informarsi e vivere iuxta propria principia, al riparo delle indebite ingerenze
375
Post/teca
del potere politico.
Ma a furia di sentire questa litania, è finita che i «veri» anarchici si sono incazzati e hanno
deciso di mettere i puntini sulle i. Questo il senso di un pamphlet dal titolo «Nell’acquario
di Facebook» appena pubblicato in versione e.book (lo si può acquistare o leggere
liberamente) dal gruppo Ippolita (gli stessi che qualche anno fa hanno dato alle stampe
«Luci e ombre di Google»). A finire sotto gli strali della critica di questa puntuale e
argomentata denuncia non sono tuttavia solo i libertariani (preferiscono chiamarli così,
per evitare qualsiasi confusione con il vecchio, glorioso «marchio» libertario) di destra, ma
anche quelli «di sinistra». Esiste davvero, si chiedono quelli di Ippolita, una differenza fra
cyber utopisti di destra e cyber utopisti di sinistra? L’unico merito che può essere
riconosciuto ai secondi, rispondono, consiste nella sincera volontà di contrastare i «poteri
forti» di Stati e Corporation e dei loro sforzi per trasformare consumatori e cittadini della
Rete in sudditi. Per il resto gli uni e gli altri sono accomunati dalla stessa, perniciosa
ideologia secondo cui, a regalare la libertà al mondo, facendo crollare regimi autoritari e
sventando i piani di governi solo nominalmente democratici, basterebbe il puro e semplice
diffondersi della possibilità di accedere alla Rete.
Una volta messi in condizione di connettersi e interagire liberamente, ci penseranno i
netizena emanciparsi da ogni vincolo sovraordinato. Peccato, argomenta il Gruppo
Ippolita, che questi presunti strumenti neutri (l’attenzione è concentrata soprattutto su
Facebook, come testimonia il titolo, ma ce n’è per tutte le altre icone della New Economy,
da Google a Apple) siano i detentori di un poderoso default power, cioè della possibilità di
decidere, in assenza di ogni vincolo e controllo, che cosa possono e che cosa non possono
fare i loro sudditi-utenti. La colpa dei falsi cyber anarchici, tuttavia, non è solo quella di
ignorare tale verità (che, per inciso, il vecchio McLuhan aveva già colto con il suo fin
troppo citato ma raramente analizzato detto «il medium è il messaggio»), è anche e
soprattutto quella di avere scelto modalità di azione e organizzazione politica che poco
hanno a che vedere con i valori della tradizione anarchica: i vari Wikileaks, Anonymous e
via hackerando, per proteggersi dalla repressione, sono costretti ad ammantarsi (in modo
non molto dissimile dalle formazioni terroriste di qualche decennio fa) di segreti e ad agire
nell’ombra, al di fuori di qualsiasi reale rapporto di scambio con il movimento (e anche al
di fuori di qualsiasi controllo) e, spesso, adottano strutture gerarchiche che somigliano in
modo inquietante a quelle dei «nemici».
Sottoscrivo. Meno simpatetico mi trovano invece certe conclusioni (del resto classicissime,
ove considerate dal punto di vista della tradizione anarchica), secondo cui l’unico modo
giusto di lottare contro il potere consisterebbe nel praticare l’esodo di piccole comunità
conviviali, dove a tutti sia realmente consentito di far pesare il proprio punto di vista,
perché ogni velleità di scontro frontale – masse contro masse – sarebbe fatalmente
destinata a degenerare in pratica mimetica. Ma se le cose stessero davvero così, la
sopravvivenza del capitale sarebbe garantita per l’eternità.
fonte: http://www.alfabeta2.it/2012/05/16/nellacquario-di-facebook/
-------------------falcemartello ha rebloggato dovetosanoleaquile:
“Il buon senso è come il deodorante. Le persone che ne hanno più bisogno non lo usano mai.”
— Stefano.Guerrera
(via dovetosanoleaquile)
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Post/teca
---------------------curiositasmundi:
“Les jambes de femmes sont des compas qui arpentent le globe terrestre en tous sens, lui
donnant son équilibre et son harmonie”
—
(F. Truffaut)
“Le gambe delle donne sono bussole che attraversano la terra in tutte le
direzioni, dandogli l’equilibrio e l’armonia”
dice Alfaprivativa
-----------------
Dei delitti e delle pene.
29 maggio 2012
Dopo le polemiche di questi giorni siamo entrati in possesso di uno stralcio del Codice Penale Vaticano che ci
mostra come, secondo la legge di Dio asservita e modulata su quella degli uomini, al giusto reato sia sempre
commisurata la giusta pena.
Vi mostriamo alcuni esempi per una maggiore comprensione.
Trafugamento di lettere private di Sua Santità: arresto immediato.
Inculatio di bambini/e: occhiataccia.
Omicidio colposo e inquinamento ambientale con le radiazioni di Radio Vaticana: vite all’orecchio.
Riciclaggio di denaro: severa rampogna.
Ineleganza o non corretto abbinamento mantello/ parure/ scarpe/ calze:ergastolo.
Evasione fiscale: privazione del saluto per gg.10.
Crack finanziario: pazienza.
377
Post/teca
Crimini contro l’umanità e genocidio: a letto senza cena.
Spaiamento delle scarpette rosse di Sua Santità: impiccagione.
Concorso esterno in associazione mafiosa: sbuffo di disapprovazione e “tsk, tsk”.
Complicità con bande criminali, rapimento e occultamento di cadavere:sepoltura in Sant’Apollinare,
ma cambiando l’acqua ai fiori solo un giorno alla settimana.
Apertura non autorizzata del pacchetto di Oro Saiwa di Sua Santità:garrota.
Circonvenzione d’incapace e abuso della credulità popolare:scappellotto.
Tavoletta del water alzata: bastonate sui coglioni.
Far seccare lo smalto di Sua Santità: crocifissione.
fonte: http://donzauker.it/2012/05/29/dei-delitti-e-delle-pene/
-----------------curiositasmundi ha rebloggato bluceruleo:
bluceruleo:
[Nerone] scacciò Ottavia, col pretesto della sterilità; e, subito dopo, sposò Poppea. Costei, da
tempo sua concubina e capace di tenere in pugno Nerone, come amante prima e come marito
dopo, spinse uno dei servi di Ottavia a denunciarla per una tresca amorosa con uno schiavo. Si
specificò che il colpevole era un tale di nome Eucero, nativo di Alessandria, un suonatore di
flauto. Le ancelle vennero sottoposte a interrogatorio e alcune furono indotte, con la violenza
della tortura, ad ammettere il falso; ma più furono quante persistettero nel difendere la castità
della padrona, e una di esse, sotto le pressanti domande di Tigellino, gli rispose: «Il sesso di
Ottavia è più casto della tua bocca.»
--------------------lalumacahatrecorna ha rebloggato if-i-could-be-me:
English: I love you
Spanish: Te amo
Italian: Ti amo
Russian: Я люблю тебя
German: Ich liebe dich
French: Je t'aime
Tumblr: Hey, I just met you, and this is crazy, but ADFGASFS YOU PERFECT FUCKING
INDIVIDUAL I HATE YOU, WHO GAVE YOU PERMISSION TO BE SO PERFECT?!
SDGSAGF ASDGSDG maybe?
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Fonte: derangedlychan
---------------------cosipergioco:
Mi viene in mente un coro che ho sentito tanto tempo fa ad una manifestazione e faceva più o meno
così:“Come mai, come mai, sempre in culo agli operai?” ---------uncertainplume ha rebloggato bestiario:
378
Post/teca
fyeaheasterneurope:
Glagolitic is the first known Slavic alphabet. The creation of the alphabet is generally ascribed to
Saints Cyril and Methodius in roughly 862 CE. It was used for religious and governmental
writings until the 12th century, when it began to lose out to (the much simpler) Cyrillic alphabet.
(Cyrillic, by the way, is named in homage to Saint Cyril, but he did not have anything to do with
its creation.)
Pictured here are the Baška tablet, one of the earliest known examples of written Croatian (dating
from 1100 CE), and a transliteration of Glagolitic.
----------
I vulcanetti di fango, effetto
379
Post/teca
secondario del terremoto
Diametro di qualche metro, disposti in fila lungo una
frattura
Si spala il fango da un «vulcanetto» che si è aperto a San Carlo (Cavicchi)
MILANO - Sono centinaia i vulcanetti di sabbia e fango che si osservano soprattutto nei
Comuni di San Carlo di Sant’Agostino (Fe) e di San Felice (Mo) colpiti dalle recenti scosse
di terremoto: hanno dimensioni modeste di qualche metro di diametro e sono disposti uno
di seguito all’altro per 50-100 metri, lungo una frattura sismica. «Non sono geyser, ma il
risultato della liquefazione delle sabbie che insieme alle argille e ai limi vanno a costituire
la parte superficiale della pianura padana», spiega Daniela Pantosti, dirigente di ricerca
all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
ONDE SISMICHE - «Le onde sismiche hanno infatti provocato una sovrappressione
dell’acqua contenuta negli strati. Poiché l'acqua è incomprimibile, ha causato ad alcune
centinaia di metri di profondità la liquefazione dei granelli dando origine a un fango che è
fuoriuscito in superficie non appena ne ha avuto la possibilità, vale a dire in
corrispondenza delle fratture del terreno». In altre parole la pianura padana si è
comportata nel punto colpito dal terremoto come una spiaggia che diventa molle, e in parte
affonda, quando arriva un’onda per poi consolidarsi di nuovo quando quest’ultima si
ritrae.
FENOMENO RICORRENTE - Nel nostro Paese non è la prima volta che un simile
fenomeno si manifesta. I vulcanetti di sabbia si erano per esempio formati proprio a
Ferrara durante il terremoto del 1571, in due o tre siti nel sisma dell’Aquila del 2009, nel
Gargano nel 1627, nella valle del Simeto in Sicilia nel 1693, in Calabria nel 1783 e in
Giappone sia nel 1995 che nel terremoto dell’anno scorso: in tutti questi casi si sono
verificate accelerazioni notevoli (dovute all'energia delle scosse) negli strati profondi di
zone di pianura che hanno liquefatto il sottosuolo, dato luogo a fuoriuscite di sabbia e fatto
mancare l’appoggio alle case e alle varie strutture edilizie che, seppure illese, si sono
inclinate su un fianco.
DINAMICA - La formazione dei vulcanetti di sabbia è un effetto secondario dovuto al
passaggio dell’onda sismica che si è sviluppata per la rottura della faglia a seguito del
braccio di ferro tra le propaggini più esterne dell’Appennino settentrionale e la pianura
padana. Come hanno sottolineato le prime elaborazioni delle immagini ottenute dai
380
Post/teca
satelliti radar di Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) eseguite dai ricercatori
del Cnr–Irea e dall’Ingv, questo gioco di forze ha provocato una deformazione permanente
della crosta: spinte da una compressione in direzione nord-sud le propaggini settentrionali
dell’Appennino si sono accavallate a quelle della bassa pianura dando origine a un
sollevamento della crosta terrestre di circa 10 centimetri, non visibile all’occhio umano.
NUOVI STUDI - Sono stime preliminari, ancora parziali, che danno ragione al fatto che
un oggetto tridimensionale di circa 15 chilometri di lunghezza e di 1-8 km di profondità si è
rotto e che stimolano una domanda: le zone tra la pianura e l’Appennino andranno quindi
ristudiate? «Noi le studiamo sempre, anche perché da tempo sono state segnalate come
aree a pericolosità sismica, anche se a probabilità minore di altre nella Carta della
pericolosità sismica pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel 2004», precisa Pantosti. Tutti
dovrebbero conoscere e leggere questo documento che ridimensionerebbe molte
affermazioni, prima tra tutti quella che in pianura il terremoto non sopraggiunge mai. E
invece non è così, perché i depositi alluvionali trasportati dai fiumi non assorbono le onde
sismiche, come dimostrano i vulcanetti di sabbia.
Manuela Campanelli29 maggio 2012 | 14:09
fonte: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_maggio_29/vulcanetti-fango-liquefazionesabbia-terremoto-emilia_72cc7722-a97c-11e1-a673-99a9606f0957.shtml
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28
MAG
Un anniversario
381
Post/teca
Oggi in auto mi sono commosso ad ascoltare Miguel Gotor raccontare suwikiradio la storia
di Walter Tobagi di cui oggi ricorre l’anniversario dell’assassinio. Questa la lettera che
Tobagi scrisse alla moglie nel giorno di Natale del 1978:
Tesoro, ti ho voluto scrivere questo biglietto perché svegliandoti trovassi un segno che
le mie ore di letture notturne non sono un’evasione, ma sono anche un ripensare a te, a
noi, ai michelangiolini.
In questi mesi ti ho trascurata molto, in tutti i sensi. In parte mi sono lasciato
trascinare dalle cose, ho preferito essere scelto più che scegliere: lavorare per la
giornale, sfiancarmi per la Lombarda. Perché l’ho fatto? M’è capitato tante volte di
domandarmelo, e di stentare a trovare una risposta precisa. Nel giornale certo ci sono
tanti fattori: l’ambizione, il desiderio di realizzarsi, di fare qualcosa di buono.
Nell’Associazione tutto questo mi è sembrato secondario: ho cercato anche lì di fare il
mio dovere, ma il motivo per cui mi sono addossato quella parte è un altro: un gesto di
solidarietà verso quei colleghi, che considero anche amici, coi quali ho condiviso tante
esperienze negli ultimi due anni. Un senso di solidarietà, un modo di non ragionare
solo in termini di utilitarismo personale. So bene che tutto questo si ripercuote su di te
e sui michelangiolini. Per questo spero che dalla storia-Lombarda possa uscire al più
presto, senza che sia compromessa né la mia immagine personale né la posizione di
quei colleghi che ho cercato di rappresentare.
Ho riflettuto tante volte sulla storia di Moro. E se quella storia mi ha colpito tanto è
anche per questo: perché mi identificavo indegnamente nel suo rapporto familiare. Mi
sono anche chiesto: e se dovessi sparire di colpo, che immagine lascerei alle persone
che ho più amato e amo, te e i michelangiolini? E mi sono risposto che al lavoro
affannoso di questi mesi va data una ragione, che io sento molto forte: è la ragione di
una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente, e cerca di
capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori
umani. Mi sento molto eclettico, ideologicamente; ma sento anche che questo
eclettismo non è un male, è una ricerca: è la ricerca di un bandolo fra tante verità
parziali che esistono, e non si possono né accettare né respingere in blocco.
Penso al tuo sacrificio silenzioso in casa, e penso che per i michelangiolini questa tua
presenza vale più di cento articoli che i posso cercare di scrivere. Perché tu sei un
esempio di abnegazione: capace di scegliere la via del silenzio casalingo, per scelta
deliberata, non per incapacità di trovare spazi anche professionali fuori.
Penso all’attaccamento di Luca, penso alle tenerezze della Bebi. E mi sembra di non
fare tutto quello che dovrei (e forse potrei) fare per loro. Se un giorno non dovessi più
esserci, ti prego di spiegargli, di ricordargli, il motivo di tante assenze che oggi li
fanno soffrire. Mi sentirei ancor più in colpa se oggi non spendessi quei talenti che,
bene o male, mi sono stati affidati; e non li spendessi per contribuire a quella ricerca
ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi incitamento, miglioramento nei
comportamenti collettivi: con la speranza che possa essere meno assurda la società in
cui, fra un decennio, i nostri michelangiolini si troveranno a vivere la loro
adolescenza.
382
Post/teca
In questi giorni ho quasi una sensazione-presentimento, che forse risponde al mio
desiderio più profondo. L’ultimo anno è stato dedicato a una corsa frenetica sugli
avvenimenti anche più stravolgenti: il 1979 potrà essere un anno di riflessione, di
ricerca anche interiore; di recupero di tante esperienze o letture. E mi auguro di poterti
avere sempre più vicina, uniti dall’amore che oramai ci guida da tanti anni. In questa
alba di Natale 1978, voglio ripetertelo con le parole più semplici: ti voglio bene, tanto
bene e non riuscirei a fare nulla di quello che faccio, se non ti sapessi vicina a me in
ogni momento. Tuo Walter
fonte: http://www.mantellini.it/?p=20137
-----------20120530
curiositasmundi ha rebloggato emmanuelnegro:
“Non si svolgerà la parata militare del 2 giugno
Roma. La parata militare del 2 giugno, quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il
ministro della difesa Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della
grave sciagura del Friuli e per far si che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati
per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali.”
— 11 maggio 1976 (via 3nding)
Fonte: 3nding
---------------------------curiositasmundi ha rebloggato letsdoitadada:
“Non appoggiarti a nessuno. Ricordati che, se si sposta, tu cadi.”
— Let’s Do It a Dada!:
Fonte: whereeverythingseemstobegranted
---------------senza-voce ha rebloggato emilybaudelaire:
“«È sempre così?» le chiesi.
«Il tradimento?»
«L’amore.»
«Vorrei poterti rispondere di no.» disse.
«Ma troverai qualcun’altra, e allora dimenticherai ciò che è successo.»
«E se succede di nuovo?»
«Può darsi che tu sia fortunato.» disse. «Può darsi che non accada di nuovo.»
«E cosa potrei fare per non farlo succedere?»
«Magari la prossima imparerai ad amarla un poco di meno. O almeno a investire un po’ di
meno su di lei»
«Ma in quel caso sarebbe amore?»
«Oh, beh» disse lei, alzandosi in piedi «questa sì che è una bella domanda».”
— Howard Jacobson (via damibasia)
Fonte: quicivorrebbeunnomeadeffetto
383
Post/teca
-----------------alfaprivativa ha rebloggato deicaffecorretti:
“Non si trattava forse di ottenere col vivo ricordo in pieno inverno le rose di Maggio?”
— Italo Svevo sulla scrittura
----------------tattoodoll ha rebloggato colorolamente:
martamara:
“Mi sono convinto che anche quando tutto è perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera
ricominciando dall’inizio”
Antonio Gramsci - lettera del 12 settembre 1927
-----------------apertevirgolette:
“E mi chiedo: ma a che serve il mercato?
A fabbricare sogni o a rivalutare l’usato?”
— Lo Stato Sociale, Ladro di cuori col bruco
-----------------rivoluzionaria:
“Il cuore non gli batteva, anzi sembrava latitante dentro il suo corpo.”
— B. Fenoglio
-------------------biancaneveccp ha rebloggato vialemanidagliocchi:
“Vorrei scriverti “mi manchi” su una pietra e lanciartela in faccia, così sapresti quanto fa
male la tua assenza.”
—
Unknown. (via vialemanidagliocchi)
Fonte: comeunaprigione
-----------------
384
Post/teca
mariaemma:
“
ho sempre desiderato
essere come quegli scrittori
quei poeti
che tutta la notte
tutte le notti
scrivono
davanti alla loro macchina da scrivere
fumando sigarette
e
bevendo birra
scrivono
tutta la notte
e fumano
e
scrivono poesie meravigliose
o racconti o romanzi
tutta la notte
io di norma la notte mi vien sonno e dormo
e non ce la faccio
a fare come quei poeti che dicevo
però adesso son le 4
e io son qui che scrivo
e fumo
e scrivo
e bevo
un succo d’arancia
che va bene lo stesso
che questa notte
non ci riesco a dormire
e mi sono alzato dal letto
e mi son seduto in cucina
e c’è il frigo che ronza
e c’è il rubinetto che sgocciola
e poi
nel letto
nell’altra stanza
c’è una ragazza che dorme
si è addormentata da poco
fino a poco fa ci sussurravamo
parole d’amore
e io, è questo il bello di questa storia
io
tra poco
potrò tornare nel letto che dicevo
e lei sarà sempre lì
e probabilmente ci abbracceremo
385
Post/teca
e io mi addormenterò
e tutto ciò
se ci si pensa bene
tutto ciò è piuttosto meraviglioso
scrivere una poesia
di notte
e il frigo
e lei
e tutto quanto il resto
”
— E tutto quanto il resto - Guido Catalano
Questa poesia qui racchiude mille cose in una notte sola.
---------------------senza-voce ha rebloggato uncampodineve:
“Non lo sai, Alice,
è vietato non essere belli mentre si sorride.”
— Alice nel paese delle meraviglie. (via ninfadora88)
Fonte: siladosia
---------------senza-voce ha rebloggato nonientepoitispiego:
“Amore mio, ho fatto tesoro della tua lettera. L’ho letta e riletta. Mi ha reso felicissimo. Solo
una cosa mi ha contrariato… Hai sbagliato a scrivere il mio nome.”
— Snoopy. (via nonientepoitispiego)
-------------------falcemartello ha rebloggato ringoworld:
La madre dei cretini è sempre incinta, quella dei complottisti
tromba come i conigli
------------------eclipsed:
“Le uniche parate sobrie che abbia mai visto sono state quelle di Dino Zoff.”
— (Antonio Barbato)
-------------------alfaprivativa ha rebloggato deicaffecorretti:
“E’ una malattia di questi ultimi tempi. Credo che le cause siano d’origine morale. Alla gran
maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza
conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che
non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. Il sistema nervoso non è un vuoto suono o
un’invenzione. La nostra anima occupa un posto nello spazio e sta dentro di noi come i denti
386
Post/teca
nella bocca. Non si può impunemente violentarla all’infinito.”
— Boris Pasternak - “Il dottor Zivago”
Fonte: violadelesseps
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In un Paese
normale…
By ilsimplicissimus
Oggi – complice una tragedia – è il
giorno della verità, la verità di un’intera classe dirigente e della sua inadeguatezza. Della Fornero sappiamo
già: la sua frase ” è innaturale che i palazzi crollino ad ogni scossa” merita un ignobel per acclamazione, un
titolo che la ministra si è già assicurata altre volte, nella pervicace ostinazione di svelarci il suo livello
intellettuale. Ma de minimis è inutile curarsi vediamo cosa sarebbe dovuto accadere in un Paese normale.
1) Il presidente della Repubblica invece di parlare dello “spirito del Friuli” avrebbe dovuto riferirsi agli aiuti
per il Friuli. Come è ben noto due giorni dopo il terremoto di maggio del ’76 la Regione stanziò 10 miliardi
(40 milioni di euro in termini reali, riferiti al 2012) mentre nei sei mesi successivi il governo venne in
soccorso con 500 miliardi ( 2 miliardi di euro attuali in termini reali) . In totale in dieci anni venne investita
una cifra che a seconda delle fonti oscilla fra i 13.000 e i 29.000 miliardi di lire , ovvero in termini attuali fra
i 52 e i 115 miliardi di euro. Senza nulla togliere al merito dei friulani che da quel terremoto seppero rialzarsi
meravgliosamente sfruttando anche i fondi come motore di sviluppo, alle catastrofi si rimedia non solo con lo
spirito, ma anche con le risorse e forse dal Quirinale sarebbe dovuto partire un vibrante appello ad
abbandonare la filosofia dei fichi secchi che finora è stata in grado di racimolare una cinquantina di milioni.
2) Sempre dal Quirinale sarebbe dovuto immediatamente partire lo stop alla parata del 2 giugno, orpello per
i tristi papaveri del potere, per dare i 4 milioni e passa letteralmente buttati dalla finestra ai terremotati. Se
ieri la rivista militare , pur decurtata dalla spending review, appariva inutile e fuori luogo, oggi pare ignobile.
L’unità del Paese sta in ben altro, nella solidarietà che sa sviluppare, non nella marcia forzata di qualche
migliaio di caporali (il soldato semplice è scomparso).
3) Il premier dovrebbe essere già a Bruxelles a contrattare quanto meno una eroga al patto di stabilità e/o a
387
Post/teca
chiedere un consistente aiuto finanziario a un’Europa che si mostra solidale solo quando si tratta di
massacrare i diritti, ma tace o fa la micragnosa quando si tratta di aiutare. E francamente non starei lì a fare
sorrisi, ma a battere i pugni sul tavolo.
4) Le forze politiche avrebbero dovuto prendere posizione su questo, mentre il silenzio è davvero
impressionante. E non basta certo che un’opinione di sinistra si mobiliti contro la parata che certo ha aspetti
simbolici, ma la cui eventuale soppressione non risolve i problemi. Né quelli immediati, né quelli di fondo
posti dall’esondazione finanziario-liberista. In particolare mi sarei aspettato che qualcuno facesse la voce
grossa quanto meno per rinviare il demenziale abbandono degli aiuti, sostituiti da assicurazioni private.
Invece si odono solo ruggiti di conigli.
5) Il governo avrebbe dovuto dare l’annuncio di una marcia indietro sulla decimazione della Protezione civile
che senza eliminarne i difetti, è destinata a ridurne drasticamente l’efficacia e la presenza
6) Oggi o al massimo domani i due rami del Parlamento dovrebbero essere riuniti per evitare la sindrome de
L’Aquila e proporre un percorso e un respiro politico agli aiuti oltre che un ragionamento sull’arretratezza e
la fragilità non solo delle strutture materiali, ma anche di quelle per gran parte immateriali come le
comunicazioni.
7) I media avrebbero dovuto focalizzare fin da subito l’attenzione su questi problemi, invece di essere
sovrastati dalla cronaca spicciola, peraltro ridondante.
Ecco questo sarebbe stato normale. Ma tanto sappiamo che per una classe dirigente abituatasi a governare
per emergenze, la normalità è solo un inopportuno richiamo alla ragione, al progetto, alla costruzione del
futuro. L’unica cosa ovvia e normale è la dichiarazione di un giorno di lutto. Come se bastasse e come se non
fosse solo la finzione del rispetto.
Amen
fonte: http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2012/05/29/in-un-paese-normale/
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Chi era Peter Carl Fabergé
E perché le sue uova sono diventate così famose, tanto da essere nel doodle di Google di oggi (e in un
film di James Bond)
30 maggio 2012
Il doodle di Google di oggi è dedicato a Peter Carl Fabergé, un gioielliere russo vissuto tra il
XIX e il XX secolo, che inventò le cosiddette Uova di Fabergé, dei gioielli a forma di uovo,
d’oro e altri materiali preziosi, molto apprezzate dagli zar di Russia. Queste uova,
ufficialmente prodotte dal 1885 al 1917 dalla sua gioielleria di San Pietroburgo, la Casa di
Fabergé, potevano essere di varia grandezza: c’erano quelle piccole, da appendere magari a
una catenina al collo (come ha fatto Liz Taylor), e ce n’erano anche di molto più grandi,
anche della grandezza di un uovo di Pasqua, che sono poi quelle più famose e che vengono
chiamate “imperiali” perché ideate nel 1885 su commissione dell’allora zar di Russia
Alessandro III.
Peter Carl Fabergé nacque a San Pietroburgo il 30 maggio 1846, esattamente 166 anni fa.
Suo padre Gustav, discendente da antenati ugonotti (da qui il cognome poco russo), era
anche lui gioielliere. Dopo un giro in Europa, durante il quale applicò e migliorò gli
insegnamenti del padre con i migliori gioiellieri del continente, nel 1872 Peter Carl Fabergé
tornò in Russia e cominciò a lavorare stabilmente presso la gioielleria del padre al numero
16 della strada Bolshaya Morskaya, a San Pietroburgo. Dopo la morte del padre e del suo
388
Post/teca
tutor legale, nel 1882 divenne il titolare della gioielleria e acquisì il titolo di maestro orafo.
Diverse biografie ricordano Fabergé come un uomo molto spiritoso, attento allo stile e ai
vestiti che indossava, a volte un po’ frenetico. Viaggiava sempre senza valigia (comprava
tutto il necessario sul posto) e aveva dei preoccupanti e frequenti vuoti di memoria. Il 1882
fu un anno decisivo per Fabergé. Quell’anno, infatti, i suoi lavori vennero apprezzati
moltissimo dallo zar durante una mostra “Pan-russa” e sempre lo zar decise che dovevano
essere ufficialmente riconosciuti come esempio di eccellenza nell’arte.
Le uova di Fabergé nacquero nel 1885, quando questo divenne orafo ufficiale della Corona
Imperiale. L’idea venne dallo zar Alessandro III che voleva regalare a sua moglie,
l’imperatrice Maria Dagmar di Danimarca, un uovo di pasqua molto particolare per
festeggiare i venti anni dal loro fidanzamento ufficiale. Fabergé si mise subito al lavoro e
così nacque il primo uovo di Fabergé, prezioso e molto sofisticato: era di colore bianco con
smalto opaco e, come molte altre uova di Fabergé, aveva una struttura a scatole cinesi o a
matrioske russe. Dentro c’era un tuorlo d’oro, contenente a sua volta una gallina d’oro che
a sua volta racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale con un rubino a
forma d’uovo (queste due “sorprese” oggi sono andate perdute).
Da quell’anno, dunque, e fino al 1917 (ma non nel 1904 e 1905 a causa della guerra tra
Giappone e Russia), Fabergé realizzò, in occasione della Pasqua di ogni anno, 57 di queste
uova di Pasqua in oro, preziosi e altri materiali pregiati, con sorprese interne “a matrioska”
di grande valore e significato (spesso rimandavano a temi imperiali), sempre per persone
vicine allo zar. Questa tradizione continuò fino alla Rivoluzione d’Ottobre, quando le sue
uova erano già famose in molte parti d’Europa. Un anno prima, nel 1916, Fabergé aveva
reso la sua gioielleria una società per azioni, ma con la vittoria dei bolscevichi questa venne
nazionalizzata e così Fabergé scappò in Germania e poi in Svizzera. Fabergé rimase
sconvolto dalla rivoluzione russa, riguardo alla quale era decisamente contrario, e morì
pochi anni dopo, nel 1920.
Un uovo di Fabergé è protagonista del film Agente 007-Octopussy-Operazione piovra, il
13esimo film della saga di James Bond, diretto da John Glen e con Roger Moore. All’inizio
del film l’agente segreto James Bond e il principe afghano Kamal Khan si contendono
proprio un uovo di Fabregé, con Bond che riesce a gabbare il principe scambiando l’uovo
vero con uno falso.
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/30/peter-carl-faberge/
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Post/teca
— ITALIA
Cosa fu l’eccidio di Porzûs
Ieri Napolitano è andato in Friuli e ha ricordato un episodio quasi dimenticato della Resistenza,
quando un gruppo di partigiani uccise un altro gruppo di partigiani
30 maggio 2012
Ieri e oggi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è in visita in Friuli-Venezia
Giulia. Il quotidiano locale Il Messaggero Veneto titolava ieri “Porzûs, la riconciliazione”,
riferendosi al fatto che una delle tappe del viaggio di Napolitano è stata nei luoghi dove è
avvenuto uno degli episodi più controversi della Resistenza, l’uccisione di un gruppo di
partigiani della Brigata Osoppo da parte di un gruppo di partigiani del partito comunista,
nel febbraio del 1945.
Il cosiddetto “eccidio di Porzûs” ha una storia complicata e diversi punti poco chiari. A
pochi chilometri dal confine con la Slovenia, in provincia di Udine, ci sono alcune zone che
da molti secoli hanno una forte presenza slava, la cosiddetta “Slavia veneta”. Durante le
ultime fasi della Seconda guerra mondiale, nella zona c’erano gruppi armati formati da
persone di etnia slovena, in collegamento con i partigiani di Tito, che avevano formato un
esercito ben strutturato per la liberazione della futura Jugoslavia. Tito aveva fatto capire
chiaramente, e da diversi mesi, di considerare la zona parte della Jugoslavia.
In Friuli, oltre ai partigiani slavi, c’erano poi i gruppi formati dagli italiani: quelli
comunisti, che come nel resto del nord Italia facevano parte delle Brigate Garibaldi, e
quelli di altri orientamenti politici, in particolare cattolici e liberali politicamente vicini al
Partito d’Azione, delle brigate “Osoppo” (il nome viene da una località friulana in cui,
durante il Risorgimento, vennero combattuti gli austriaci) fondate all’inizio del 1943 da
alcuni sacerdoti.
Le Brigate Garibaldi, alla fine del 1944, avevano accettato – dietro esplicito ordine di
390
Post/teca
Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano – di obbedire agli ordini dell’Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia, nell’ottica di consegnare la piccola area della
Slavia veneta al confine con la Slovenia al nuovo stato che sarebbe stato formato da Tito
dopo la guerra. Le Brigate Osoppo, invece, erano fermamente contraria a un’alleanza
simile: la contrapposizione tra cattolici, liberali, monarchici e comunisti era molto decisa e
portò rapidamente a una spaccatura insanabile. La sede locale del Comitato di Liberazione
Nazionale, a Udine, da cui dipendevano sia la Osoppo che la Garibaldi, provò a mediare
senza successo, in un clima che diventava sempre più difficile, con reciproche accuse di
delazione e di collaborazionismo con i tedeschi.
In questa atmosfera, il 7 febbraio del 1945 un gruppo di partigiani comunisti dei GAP
(Gruppi di Azione Patriottica), formato da un centinaio di persone, arrivò ad alcune
malghe di montagna in una località che, subito dopo la guerra, venne chiamata Porzûs dal
nome del paesino vicino in cui abitava il loro proprietario. Le malghe si trovavano in
provincia di Udine, nel comune di Faedis, e il gruppo si era spostato lì per ordine della
federazione del Partito comunista di Udine. Il comandante era Mario Toffanin detto
“Giacca”, allora 32enne, ex operaio iscritto al PCI dal 1933 e in stretti rapporti con i
comunisti jugoslavi.
Il gruppo di case era sede di un comando locale delle Brigate Osoppo e da diverso tempo
era anche il luogo dove veniva tenuta prigioniera una ragazza accusata di essere
collaborazionista dei tedeschi (giudicata innocente in un “processo” pochi giorni prima): il
dettaglio è importante, perché in alcune delle ricostruzioni successive dell’episodio questo
fatto venne portato dai comunisti a motivo scatenante della loro azione. Nelle case,
comunque, si trovavano poche persone: molti erano tornati a casa per la licenza invernale
(le operazioni militari dei partigiani erano quasi sospese fino alla primavera).
I partigiani comunisti si presentarono a gruppi, dividendosi e dicendo di essere
combattenti sbandati o appartenenti a altre unità della Osoppo: la situazione si fece
piuttosto confusa e Toffanin ne approfittò per prendere il controllo delle malghe, far
arrivare da una località vicina il comandante della Osoppo locale – Francesco De Gregori,
omonimo zio del cantautore, nome di battaglia “Bolla” e deciso anticomunista – e arrestare
tutti i partigiani osovani. De Gregori venne ucciso quasi subito insieme ad alcuni altri, tra
cui la sospetta collaborazionista, Elda Turchetti. Gli altri catturati nell’azione, esclusi tre
che riuscirono a fuggire o si arruolarono nei GAP, vennero uccisi nei giorni successivi,
dopo una serie di “processi”. Molti di loro vennero spostati dalle malghe, tenuti prigionieri
in altre località della zona per qualche giorno e uccisi, tra il 10 e il 18 febbraio.
Vennero uccise in tutto diciotto persone (anche se il corpo di una non venne mai ritrovato
e un altro riuscì forse a fuggire). Tra i partigiani uccisi c’era anche Guido Pasolini, fratello
minore dello scrittore e regista Pierpaolo: l’uccisione del fratello, a cui era molto legato,
venne ricordata o allusa in molte opere successive da Pasolini, in particolare nelle poesie
scritte in quegli anni in dialetto friulano e in italiano.
Dopo la guerra vennero fatti diversi processi per chiarire l’accaduto e le responsabilità
della strage, che per alcuni anni fu uno dei tanti motivi di scontro tra comunisti e
anticomunisti in Friuli – dove, a livello locale, la strage venne sempre molto ricordata e
celebrata dai veterani della Osoppo – ma il resto d’Italia si dimenticò della vicenda dopo gli
anni Cinquanta. Toffanin venne condannato all’ergastolo nel 1954, ma subito dopo la
guerra aveva abbandonato l’Italia. Si rifugiò prima in Cecoslovacchia e poi in Slovenia.
Venne condannato anche per crimini comuni commessi durante la guerra, si disse sempre
convinto che i partigiani della brigata Osoppo erano dei traditori e che avevano collaborato
con i soldati della Repubblica di Salò. Nonostante la grazia ricevuta da Sandro Pertini nel
1978, non tornò in Italia e morì in Slovenia nel 1999, a 86 anni.
391
Post/teca
I mandanti della strage, oltre alle chiare responsabilità di Toffanin e di alcuni partigiani al
suo comando, non sono mai stati chiariti: non è mai stato precisato quale fosse l’ordine
preciso al gruppo di partigiani comunisti da parte del PCI di Udine, né che cosa sapessero e
che cosa avessero eventualmente ordinato i comandi sloveni, da cui dipendeva
militarmente la brigata Garibaldi della zona.
Sull’eccidio di Porzûs è stato fatto anche un film intitolato Porzûs, girato da Renzo
Martinelli (quello di Vajont e di Barbarossa), che ha avuto una storia particolarmente
travagliata. Venne presentato al festival del cinema di Venezia nel 1997, causando
moltissime polemiche. La RAI ne acquistò i diritti e non venne mai distribuito nelle sale o
in home video, fino a quando, il 10 febbraio scorso, è stato mandato in onda per la prima
volta da RaiMovie (canale del digitale terrestre).
fonte: http://www.ilpost.it/2012/05/30/cosa-fu-leccidio-di-porzus/
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29
MAG
Cose viste oggi
Ho visto gli operatori telefonici spiegare su Twitter come togliere le password dai loro
router per aprire le Wlan.
Ho visto i pompieri aiutati nelle ricognizioni da ragazzi con dei drone parrot collegati
all’iPad
Ho visto il sito di un istituto con 400 precari e pochi soldi diventare il punto di riferimento
informativo per tutta la nazione
Ho visto Beppe Grillo fare Beppe Grillo anche quando avrebbe potuto fare la persona
normale.
Ho visto una TV satellitare di un tizio australiano diventare la Rai dei nostri tempi.
Ho visto gente leggere “terremoto” su Twitter e subito dopo sentire la scossa che arriva
Ho visto la rete cellulare spenta dalle troppe richieste, una specie di DDos inevitabile e
mortale tipo il crollo elettronico di Wall Street.
fonte: http://www.mantellini.it/?p=20152
-----------------------microsatira:
La satira non serve solo per fare ridere, la satira serve soprattutto per far incazzare i moralisti
dell’ultima ora.
(cit.)
-----------------nonleggerlo:
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Post/teca
14 maggio 2006, prima pagina del Corriere della Sera. Viste le ultime dichiarazioni, un articolo
che conferma la “perfetta coerenza di Mario Monti”, come ricorda Gigi Garanzini di “A tempo di
sport” (Radio 24).
IL CALCIO VIZIATO DALLA POLITICA di Mario Monti Conservo ancora la foto con gli
autografi di Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e Nils Liedholm, il mitico trio d’attacco Gre-No-Li del
mio Milan degli anni Cinquanta. La prima partita che mio padre mi portò a vedere, all’Arena di
Milano, quando avevo cinque anni, fu Milan-Torino (il grande Torino di Valentino Mazzola, prima
di Superga). Da quel giorno, per decenni, sono stato un tifoso convinto. Da molti anni non vado
più allo stadio, né guardo le partite alla televisione. Non perché non abbia tempo. Ma perché il
calcio, non solo in Italia, mi sembra sia diventato un fenomeno negativo. Certo, lo spettacolo
calcistico è sempre più suggestivo, grazie al continuo progresso delle tecniche di gioco e delle
tecniche televisive. E io che, come è noto, sono un «tecnico», dovrei esserne felice. Invece, provo
per il calcio — intendo il grande calcio professionistico — un crescente disgusto.
Il calcio è diventato frequente occasione, se non miccia, per la violenza e l’intolleranza. Sotto il
manto nobile dei valori dello sport, è sempre più spesso un concentrato di dubbi intrecci tra
finanza e politica, conditi di mondanità. Scommesse illecite, rapporti con la camorra, fideiussioni
bancarie fasulle, presidenti di società calcistiche che spadroneggiano nei dibattiti televisivi, anche
se non sempre padroneggiano la lingua italiana. E ora, a quanto pare, il mercato degli arbitri.
L’Italia rischia retrocessioni sempre più pesanti nel drammatico campionato mondiale della
competitività, anche perché fatica ad affermarsi in essa una moderna cultura del mercato, fondata
su regole chiare e rispettate. Però, a quanto pare, un mercato è nato e si è sviluppato: quello degli
arbitri, per violare le regole, allo scopo di prevalere nel farsesco campionato nazionale di calcio.
Se quello del calcio è divenuto un mondo a sé, che si ritiene al di fuori e forse al di sopra della
legge, lo si deve anche, secondo me, al modo in cui i pubblici poteri, la politica, si sono a lungo
rapportati ad esso: un atteggiamento di docile subordinazione e di ricerca del consenso presso
coloro che, nel segno del calcio, sono spesso più noti e più popolari degli stessi politici. Ciò ha
contribuito a dare a certi dirigenti del mondo calcistico un senso di effettiva superiorità, di
impunità. E se negli ambienti che ruotano intorno a tali personaggi è questa l’aria che si respira,
non deve sorprendere che per raggiungere il successo si faccia ricorso a qualsiasi mezzo.
Quello stato di subordinazione dei pubblici poteri al mondo del calcio è riscontrabile non solo in
Italia, ma anche altrove in Europa, in particolare nelle altre grandi «potenze» calcistiche
(Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna), anche se non sembrano essersi verificate in quei
Paesi patologie altrettanto gravi. Ho avuto modo di riflettere sul rapporto tra politica e calcio in
occasione di alcuni dossier che ho dovuto trattare come commissario europeo alla concorrenza.
L’ordinamento giuridico europeo riconosce la specificità dello sport e rispetta l’autonomia delle
organizzazioni sportive. Quando tuttavia sono preminenti gli aspetti commerciali, vi sono alcuni
principi che devono essere osservati, in particolare a tutela di una corretta concorrenza. Ricordo
due casi: le regole Fifa-Uefa sul trasferimento dei calciatori tra club e il cosiddetto provvedimento
«salvacalcio» adottato dall’Italia (che la Commissione esaminò nell’ambito di un’indagine estesa
393
Post/teca
alle cinque «potenze» per accertare l’esistenza di eventuali «aiuti di Stato» alle società
calcistiche).
Entrambi i casi, dopo l’apertura di formali procedure, si risolsero consensualmente perché sia Fifa
e Uefa, sia il governo italiano accettarono le modifiche richieste dalla Commissione. In
particolare, l’Italia aderì alla richiesta di escludere esplicitamente la possibilità che denaro dello
Stato, e cioè dei contribuenti, venisse utilizzato per coprire le perdite delle società. Ma ciò che mi
colpì in entrambi i casi fu la grande mobilitazione dei politici in difesa degli interessi del mondo
del calcio. Solo in pochi altri casi — riguardanti questioni di portata economica, finanziaria e
politica incomparabilmente maggiore — furono esercitate pressioni altrettanto forti.
Da parte italiana venne perfino usato l’argomento che una «bocciatura» del «salvacalcio» avrebbe
fatto saltare alcune società, che per scongiurare questo rischio era stata minacciata una
sospensione del campionato, che i tifosi avrebbero reagito pesantemente, creando forse problemi
di ordine pubblico, dei quali sarebbe stata considerata responsabile la Commissione. Nel caso dei
trasferimenti dei calciatori, scesero in campo in prima persona, a favore di Fifa e Uefa e contro la
Commissione, il primo ministro britannico Tony Blair e il cancelliere tedesco Gerhard Schröder.
Ricordo che un giorno quest’ultimo pregò il presidente della Commissione Romano Prodi e me di
recarci a Berlino a cena per discutere la grave questione delle garanzie di Stato alle banche
tedesche. La prima mezz’ora venne però dedicata dal cancelliere, con nostra sorpresa, a una
perorazione in favore della Fifa (forse anche perché il suo presidente Joseph Blatter avrebbe
dovuto, di lì a poco, prendere posizione sulla candidatura della Germania per i mondiali del 2006).
Penso che sia venuto il momento, specialmente in Italia, per una riflessione politica sul calcio.
Forse, è ora che il mondo politico smetta di «viziare» il mondo del calcio, contribuendo
involontariamente ad indurlo ai vizi peggiori. Più ancora, i pubblici poteri (salvo, beninteso, la
magistratura) dovrebbero infliggere al calcio il «rigore» più grave: ignorarlo. Un governo sta per
nascere, con una missione difficilissima. Ci si deve augurare che non veda questo del calcio come
uno dei problemi prioritari di cui «farsi carico». Sarebbe un messaggio al Paese profondamente
sbagliato.
E se posso permettermi, caro Direttore, spero che i giornali non sentano ancora il bisogno di
dedicare alla crisi del calcio le prime otto o nove pagine, come fanno in questi giorni. 14 maggio
2006
http://nonleggerlo.blogspot.com/
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Le donne
hanno
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Post/teca
addestrato gli
uomini alla
monogamia
L'addio alle società promiscue dei primi ominidi? C'è stata perché le donne hanno scelto di
rimanere fedeli agli uomini che provvedevano al loro mantenimento. Lo dice uno studio su
Pnas
30 maggio 2012 di Martina Saporiti
La nostra idea di famiglia è relativamente recente. In passato, infatti, gli ominidi
vivevano in societàpromiscue in cui la competizione per l’ accoppiamento era
molto forte e i maschi più possenti si accaparravano le femmine, in modo simile a
quanto succede negli scimpanzé. Poi successe qualcosa, e la promiscuità lasciò il
posto alla monogamia. Questo qualcosa, per Sergey Gavrilets, biologo evoluzionista
e matematico dell’ Università del Tennessee (Usa), fu una sorta di alleanza tra i sessi.
Secondo il suo studio pubblicato su Pnas, i maschi più deboli capirono che, non
potendo battere i più forti sul campo, l’unico modo per conquistare una compagna (e
avere dei figli) era assicurarle il cibo. Le femmine, d’altra parte, si resero conto che
avere accanto partner capaci di provvedere al loro mantenimento era un vantaggio:
cominciarono a sceglierli e a rimaner loro fedeli. Così, grazie a una sorta di
coevoluzione tra premura maschile e fedeltà femminile, gli ominidi si sono
trasformati inprimati da coppia fissa (fatto salvo per successive varianti dovute alle
diverse culture che si sono sviluppate nel corso dei secoli e le scappatelle che
continuano a esistere).
In effetti, nelle specie poligame i maschi sprecano tempo ed energie a lottare per
accoppiarsi, mentre potrebbe essere più conveniente per loro dedicarsi alla cura del
partner e della progenie. Ma questa strategia ha delle controindicazioni: lascia via
libera ai maschi liberi che, non curandosi dei legami familiari, continuerebbero a
dare la caccia alle femmine. Eppure alcune specie, tra cui la nostra, hanno corso il
rischio e sono infine diventate monogame. Secondo Gavrilets, le artefici di questo
cambiamento furono soprattutto le donne e le loro scelte in fatto di uomini.
395
Post/teca
La dimostrazione viene da una serie di modelli matematici di dinamica di
popolazione applicati a un gruppo numeroso di ominidi (con una struttura sociale
rigidamente gerarchica e in cui gli accoppiamenti non sono casuali). Gavrilets ha
prima di tutto testato le principali teorie che tentano di spiegare il passaggio ai l
egami di coppia: il bisogno di formare alleanze tra madri per la cura dei piccoli, la
necessità dei maschi di sorvegliare la partner, o di adottare la strategia “sesso in
cambio di cibo”. Nessuna di queste, però, inserita nel modello, sembra in grado, da
sola, di spiegare la nascita della monogamia. “ Il passaggio si verifica solo se si
tiene conto dell'eterogeneità dei maschi, dell'accoppiamento selettivo e
dell'evoluzione della possibilità di scelta delle femmine e della fedeltà –spiega il
biologo.
Il processo si sarebbe innescato quando i maschi più bassi in gerarchia hanno
cominciato a utilizzare una strategia per l'accoppiamento alternativa alla
competizione, concentrandosi sul mantenimento delle proprie compagne per
aumentarne la fertilità e favorire la sopravvivenza della prole. “ Alla fine – conclude
Gavrilets – a parte i dominanti, i maschi si occupano solo delle partner che si
dimostrano fedeli. I miei risultati sottolineano l'importanza cruciale della scelta delle
femmine ed enfatizzano la necessità di incorporare la variabilità individuale negli
studi sui dilemmi sociali e sul comportamento”.
fonte: http://daily.wired.it/news/scienza/2012/05/30/come-siamo-diventati-monogami-35678.html
---------------------29 maggio 2012
La scelta della donna alle origini della
monogamia
Le spiegazioni proposte per la transizione nella nostra specie da un periodo in cui vigeva la
promiscuità a una società basata sul legame di coppia incontrano diverse difficoltà. Ora un nuovo
modello mostra che questo passaggio sarebbe stato innescato dalla preferenza delle donne per
maschi di basso rango sociale che avrebbero offerto uno scambio fra garanzia di
approvvigionamenti e fedeltà (red)
396
Post/teca
○
○
Maschi promiscui, femmine selettive
Monogamia rischiosa
evoluzionesessualitàriproduzione
L'evoluzione delle preferenze femminili e quella della fedeltà sarebbero all’origine della diffusione
della monogamia nella nostra specie a scapito della precedente promiscuità. Questo cambiamento
sarebbe però stato innescato da una “rivoluzione sessuale” partita dai maschi di basso rango.
A sostenerlo è uno studio condotto da Sergey Gavrilets,condirettore del National Institute for
Mathematical and Biological Synthesis e docente all’Università del Tennessee, che firma un articolo
pubblicato sui “Proceedings of the National Ancademy of Sciences”.
Lo studio dimostra matematicamente che le teorie più diffuse per spiegare il passaggio al legame di
coppia nella nostra specie – un argomento da lungo tempo dibattuto nell’ambito della biologia
evolutiva - non sono biologicamente sostenibili, e avanza un nuovo modello che mostra come può
essersi verificata la transizione. Oltre che dalla creazione di rapporti stabili e duraturi, il passaggio
al legame di coppia, osserva il ricercatore, è stato caratterizzato anche da una riduzione della
competizione fra maschi a favore dell’approvvigionamento delle femmine e di uno stretto
coinvolgimento parentale.
Da un punto di vista evolutivo, sarebbe meglio se lo sforzo speso per la concorrenza fra maschi per
l’accoppiamento fosse reindirizzato ad aumentare la fertilità femminile o la sopravvivenza della
prole. Tuttavia, i maschi sono bloccati in un "dilemma sociale": spostando il proprio sforzo dalla
"appropriazione" (cioè la contesa con altri maschi) alla "produzione" (ossia la cura e
l’approvvigionamento della femmina e della prole) darebbero un vantaggio ai maschi appropriatori,
per cui la promiscuità rimarrebbe vincente.
397
Post/teca
Nei primati con una gerarchia sociale molto forte, l'accoppiamento tende a essere
monopolizzato dai maschi di alto rango. ( © Radius Images/Corbis)
Per questo la spiegazione più classica della monogamia nei primati è che la dispersione sul territorio
delle femmine costringerebbe i maschi ad associarsi a un'unica femmina. Tuttavia, come osserva
Gavrilets, questa spiegazione non funziona per le specie con forti gerarchie di dominanza all'interno
del gruppo, in cui i maschi di alto rango monopolizzano l’accoppiamento. Problematiche sotto
svariati aspetti appaiono anche le altre ipotesi, come quella secondo cui la monogamia sarebbe stata
una strategia preferenziale per ridurre il rischio di infanticidio da parte di maschi estranei o che la
cura genitoriale maschile sarebbe stata indispensabile per una riproduzione femminile di successo
(diversi dati indicano invece che le cure paterne si sono evolute per lo più dopo che l'instaurarsi
della monogamia).
In una società gerarchica, però, i maschi di basso rango hanno scarse probabilità di vincere il
confronto con un compagno di rango elevato; così, la loro tendenza è di acquisire la possibilità di
accoppiamento fornendo alla femmina un approvvigionamento duraturo. Questa tendenza viene a
sua volta rafforzata dalle femmine che mostrano di preferire il maschio “approvvigionatore” di
basso rango. "Una volta che le femmine iniziano a mostrare questa preferenza per
l’approvvigionamento, l’investimento dei maschi di basso rango su queste femmine vince sulla
concorrenza maschio-maschio", spiega Gavrilets.
"Una volta avviato, il processo ha portato a una sorta di autodomesticazione, dando vita a un gruppo
di specie di maschi approvvigionatori e femmine fedeli", conclude Gavrilets.
fonte:
398
Post/teca
http://www.lescienze.it/news/2012/05/29/news/genesi_monogamia_fedelt_scelta_femminile_promi
scuit_approvvigionamenti_prole_gerarchia_sociale_basso_rango-1054775/
--------------------------yomersapiens:
Diventare spettatore attivo.
Ultimamente ho preso a cuore la vita amorosa di questi due giovani che ogni giorno vengono a
scambiarsi litri di saliva e chili di lingua sulla panchina qua davanti.
Hanno incominciato più o meno un mese fa, lui timidissimo, la baciava lasciando almeno un metro
di distanza fra i corpi, piegato in avanti come in un costante inchino. Quei baci dove niente si
muove, un soldato che compie il suo dovere.
Dopo una settimana ha iniziato a sciogliersi, un po’ di gioco con la testa, qualche battuta, una mano
fra i capelli di lei che, fra un sms e l’altro, si dimostrava sempre più impaziente.
Così, dopo un’altra settimana, è stata lei a prendere l’iniziativa. Durante uno di quei statici limoni
infiniti scatta sulla mano di lui, la toglie dalla testa e se la piazza su un seno. Avete presente quei
documentari dove spiegano le tecniche di camuffamento di alcuni pesci illustrando le varie
colorazioni che riescono a raggiungere? Ecco, il ragazzetto brufoloso ha incominciato a fare sfoggio
di tutte le tonalità del rosso, come in un catalogo di divani pensati per nascondere tracce di sangue.
Dentro di me è scoppiata una ola di orgoglio, lo stavo guardando diventare grande, oramai è fatta,
ho pensato.
Invece dopo questo expluà sono tornati indietro. Lui ha ristabilito le distanze, tolto le mani dai
capelli, impietrito le natiche sulla panchina ben lontane da qualunque prolungamento di lei, che ha
ripreso a smessaggiare selvaggiamente, anche durante i limoni immobilii.
Oggi si sono ripresentati puntuali, ore 15:30. Lui lega la bici, lei si toglie lo zaino, si siede e lo
aspetta. Però qualcosa non quadra, indossa una sciarpa, ci sono trenta gradi fuori e lei indossa una di
quelle sciarpe stile kefiah color azzurro pastello. Anche lui lo nota, inizia a giocarci, a prenderla in
giro, lei nel risistemarla fa cadere un lembo e si scopre. Più che un collo nasconde una palude di
succhiotti viola come sanguisughe fresche.
Lui non scherza più, lei si alza e gli dice qualcosa che non capisco, si mette lo zaino in spalla e se ne
va. Ora sono venti minuti che sta fermo su quella panchina, con lo sguardo fisso per terra.
Vorrei uscire per consolarlo, dirgli che ne troverà un’altra, che se lo merita dato che sono mesi che
lei lo voleva e lui invece se la baciava malissimo, senza mai farle capire che la desiderava. Vorrei
raccontargli le mie esperienze, trattarlo come il figlio adolescente che non ho.
Invece me ne resto qua, a guardarlo farfugliare sempre la stessa parola. Ho appena iniziato con il
corso di lettura del labiale ma T-R-O-I-A ha solo cinque lettere, ce la faccio a capirla senza
problemi.
Dai, si è fatto tardi, devo muovermi che a breve ho un appuntamento con sta tipa conosciuta ieri,
sembra giovane e non fa che smessaggiare, ma cazzo che vogliosa. Mi dispiace solo averla riempita
di succhiotti, non le faccio più queste cose da adolescente però che ci posso fare, amo il dramma e i
finali a sorpresa.
-----------------------apertevirgolette:
“Normale stentiate a provare emozioni forti d’altronde
Per essere leggende
prima bisogna essere morti
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Post/teca
Puliti e pettinati, ma morti
Sempre, sempre, sempre sulla lista, ma morti.”
— Lo Stato Sociale, Ladro di cuori col bruco
-----------------alfaprivativa ha rebloggato deicaffecorretti:
instagr.am →
deicaffecorretti:
C’è del genio nell’uomo (Scattata con instagram)
-------------------------1000eyes ha rebloggato noyougirl:
“La mia voglia di studiare è pari al coefficiente angolare della retta che passa per i punti “ma
manco” e “se me paghi”.”
— Qualche genio su Twitter
Fonte: itsandrej
----------------20120531
curiositasmundi ha rebloggato alfaprivativa:
“Quando ero bambino mi accorsi che non avevo la linea della fortuna sulla mano. Così presi il
rasoio di mio padre e zac! Me ne feci una come volevo.”
— Corto Maltese, una ballata del mare salato (via alfaprivativa)
Fonte: dreamofcaffeine
400
Post/teca
-------------------misantropo:
“L’equazione calzante è: sapere = potere - energia = materia = massa; una buona libreria non
è altro
che un buco nero distinto e istruito.”
— Terry Pratchett
--------------------curiositasmundi ha rebloggato kon-igi:
“cosipergioco: Oggi, tornata dal lavoro mi sono messa a vedere Rai Storia, dove si parlava
della figura di Giovanni Gentile. Ad un certo punto ho visto un’immagine che se nella mia vita
avevo già visto, allora l’avevo rimossa: il rogo dei libri “indesiderabili” in Germania.
Queste immagini sono state come un pugno allo stomaco, una violenza sottintesa che fa, quasi,
più male di quella esplicita. E mentre i libri bruciavano la voce del “narratore” diceva “tra gli
scrittori le cui opere vennero bruciate vi fu il poeta ebreo Heinrich Heine che nel 1820
profeticamente scriveva ‘Là dove si bruciano i libri, prima o poi si bruceranno anche gli esseri
umani’”
— Sono qua i droidi che state cercando….: Riflessioni sparse che non c’entrano nulla
con nulla
Fonte: cosipergioco
---------------------------curiositasmundi ha rebloggato serena-gandhi:
“Agli albori il cinema non era muto. Era molto molto molto riservato.”
— serena gandhi (alessandro clemente):
-----------------curiositasmundi ha rebloggato malinconialeggera:
“
1. Quando dubiti se agire, tra “fare” e “non fare”, scegli di fare. Se sbaglierai ti sarai fatto
almeno una esperienza.
2. Ascolta di più il tuo intuito che la tua ragione. Le parole forgiano la realtà ma non sono la
realtà.
3. Realizza un sogno di quando eri bambino. Per esempio, se volevi giocare e ti hanno reso
adulto troppo in fretta, risparmia 500 euro e vai a giocare a un casinò fino a perderli. Se vinci,
continua a giocare. Se continui a guadagnare, anche se sono milioni, continua a giocare finché
perderai tutto. Non si tratta di guadagnare, ma di giocare senza finalità.
4. Non c’è tranquillità migliore che cominciare ad essere ciò che si è. Sin dall’infanzia veniamo
proiettati in destini sconosciuti. Non siamo al mondo per realizzare i sogni dei nostri genitori,
ma i nostri sogni. Se sei un cantante e non un avvocato come tuo padre, abbandona
giurisprudenza e incidi un disco.
5. Oggi stesso smetti di criticare il tuo corpo. Accettalo com’è senza preoccuparti degli sguardi
altrui. Non ti amano perché sei bella. Sei bella perché ti amano.
6. Una volta alla settimana insegna gratuitamente agli altri il poco o il tanto che sai. Ciò che
401
Post/teca
dai agli altri lo dai a te stesso. Ciò che non dai agli altri lo neghi a te stesso.
7. Cerca nel giornale tutti i giorni una buona notizia. E’ difficile trovarla. Però, in mezzo agli
avvenimenti nefasti, ce n’è sempre una, anche se impercettibile. Si è scoperta una nuova razza
di uccelli, le comete trasportano vita, o un bambino che è caduto dal quinto piano senza farsi
male; che la figlia di un presidente tentò di suicidarsi nell’oceano e fu salvata da un operaio
del quale si innamorò e si sposarono; che i giovani poeti cileni bombardarono, con 300.000
poesie scagliate da un elicottero, La Moneda, dove fu eliminato Allende, etc.
8. Se i tuoi genitori hanno abusato di te quando eri piccolo parla loro con calma, in un luogo
neutrale che non sia il loro territorio, sviluppando quattro concetti: - Questo è ciò che mi avete
fatto - Questo è ciò che ho sentito. - Questo è ciò che oggi a causa di quello che è successo sto
soffrendo - E questa è la restituzione che chiedo! Il perdono senza restituzione non serve.
9. Anche se hai una famiglia numerosa, autorizzati ad avere un territorio personale dove
nessuno può entrare senza il tuo permesso.
10. Smetti di definirti. Concediti tutte le possibilità di essere, cambia strada ogni volta che lo
senti necessario.
”
— Alejandro Jodorowsky
MALINCONIA LEGGERA:
---------------------mariaemma:
“
Ma alla fine cosa vuoi, lo sai che non si capisce?
Vuoi qualcuno che ti chiami amore? L’avevi e l’hai mandato via.
Vuoi qualcuno che ti chieda di sposarlo? L’avevi e sei scappata.
Vuoi qualcuno che sia inarrivabile? L’hai inseguito e sedotto e tirato giù dal suo piedistallo.
Vuoi essere coccolata? Poi ti annoi.
Vuoi essere tormentata? Poi ti lamenti.
Vuoi essere amata? Non barare, lo sei stata. Più del dovuto.
Vuoi un braccio a cui appoggiarti mentre passeggi? Non ti è mai bastato.
Vuoi una schiena da guardare mentre ti addormenti? Una mano da stringere quando hai
paura?
Alla fine, cosa vuoi? Lo sai che mica si capisce?
Vuoi un ragazzo che ti faccia ridere? Che ti faccia piangere? Che ti faccia parlare? Che sappia
parlare?
Vuoi qualcuno con cui stare in silenzio? Qualcuno con cui ascoltare la musica? Qualcuno che
ti canti la ninna nanna? Qualcuno che ti dica la verità?
Vuoi qualcuno che ti guidi? Vuoi qualcuno da comandare a bacchetta? Vuoi essere portata in
palmo di mano, vuoi essere tradita, vuoi essere mostrata con orgoglio, vuoi essere un segreto,
vuoi essere veramente la metà di qualcuno o vuoi stare da sola?
Sai che alla fine non si capisce cosa vuoi?
Lo so che non si capisce, se non conoscete lui. Voglio lui.
”
— Malapuella - Voglio lui
-----------------------
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alfaprivativa ha rebloggato kan3l:
“Da grande voglio fare il treno che accorcia le distanze.”
— Mater Morbi
Fonte: dagrande
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Sfiga e
rivoluzione
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Crisi dell’euro e crisi di sovrapproduzione: la forma e la sostanza
di Mauro Vanetti (guest blogger)
Sarà mica che porto sfiga?
Nell’estate del 2007 mi trovavo in California; quello fu l’anno della crisi dei
mutuisubprime. Il nome è improprio, come tutti i nomi che vengono dati ai vari crack del
capitalismo; i giornalisti amano etichettare le catastrofi economiche a seconda delcasus
belli, camuffandone in questo modo le cause profonde. Con questa nomenclatura, la Prima
Guerra Mondiale dovrebbe chiamarsi la Guerra dell’Attentato di Sarajevo, mentre la
Seconda potrebbe essere registrata nei libri di storia come la Guerra della Radiostazione di
Gleiwitz. Ad ogni modo, l’esplosione della bolla immobiliare mise in luce la fragilità della
403
Post/teca
crescita statunitense; si erano accumulate montagne di dollari vendendo case a prezzi
sempre crescenti a famiglie senza soldi e ad imprese senza liquidità, e costruendo castelli
di carta speculativi su previsioni irrealistiche di crescita eterna di questi prezzi. L’era Bush
entrava in declino in un clima crepuscolare ben descritto da quelle scene di Capitalism, a
Love Story di Michael Moore in cui si mostra come le banche abbiano imposto allo stesso
Congresso il Grande Salvataggio (bail out) nell’autunno 2008, inducendo dozzine di
parlamentari smidollati ad approvarlo dopo che il 29 settembre la Borsa era crollata
perché i deputati avevano “votato sbagliato” in uno strano sussulto di democrazia. Il Bail
Out era di 700 miliardi di dollari tondi; a chi chiese perché la cifra fosse proprio quella, si
rispose con compiacimento che non c’erano motivi tecnici, doveva solo sembrare «bella
grossa».
Sarà mica che porto sfiga?
Nel 2008 mi ero trasferito a Londra; quello fu l’anno della crisi bancaria britannica. Dopo
che per qualche mese si erano combattuti su riviste e giornali gli “ottimisti” e i “pessimisti”
rispetto alla possibilità che la crisi “immobiliare” statunitense potesse esondare oltre il
settore immobiliare e al di là dell’Atlantico, i fatti hanno dato ragione a chi riteneva che la
bolla immobiliare USA aveva coperto per anni, come le ghette da ricco di Zio Paperone,
non solo i piedi d’argilla dell’economia degli Stati Uniti, ma quelli dell’intero capitalismo
mondiale e in particolare europeo. La locomotiva nordamericana stava frenando e il primo
vagone a sbatterle contro era quello con la Union Jack. Sui giornaletti gratuiti della
metropolitana si leggeva una parola che sembrava bandita da decenni: nazionalizzazione
di una banca che stava crollando, Northern Rock; era dagli anni Settanta che non si
nazionalizzava più niente nel Regno Unito. Northern Rock diventa statale, viene spezzata
in due parti, una good bank e una bad bank. La parte buona viene rivenduta a Virgin
Money nel 2012 per 747 milioni di sterline, metà di quello che lo Stato ci aveva buttato
dentro l’anno precedente. La parte cattiva resta nazionalizzata, lasciando ai bilanci pubblici
la minaccia di perdite potenziali fino a 21 miliardi di sterline. Di rado si è visto un esempio
più clamoroso di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.
Sarà mica che porto sfiga?
Nel 2009 torno in patria; la crisi mi segue e sbarca in continente.
Si inizia a parlare di crisi dei debiti sovrani. Non c’è da stupirsi, i liberisti dell’altroieri da
un paio d’anni erano tutti diventati mezzi keynesiani pronti a “stimolare l’economia” con
disperati salvataggi finanziati coi fondi pubblici. I discorsi concentrati sul settore
finanziario tendono a nascondere però il legame con l’economia reale: la crisi non era solo
delle banche, ma di tutti i settori dell’economia, non foss’altro perché non è oggi possibile
tracciare confini netti tra economia reale e finanza, quando qualsiasi impresa o famiglia ha
bisogno di un flusso di credito continuo, e viceversa quasi ogni impresa e moltissime
famiglie hanno investimenti in questo o quel prodotto finanziario. Non esiste una grande
holding che non abbia una controllata che si occupa di finanza e talvolta anche di
speculazione immobiliare; ci sono milioni di lavoratori con pensione e liquidazione in
parte o del tutto sotto forma di fondi d’investimento. Se questa è la situazione, le spese folli
degli Stati per salvare le banche non potevano certo essere finanziate dalla semplice
tassazione dell’economia reale, a sua volta boccheggiante. Questi regali colossali al capitale
finanziario sono avvenuti a spese di un incremento dell’indebitamento pubblico; basti
pensare che nell’anno del Grande Salvataggio il deficit USA è cresciuto di mille miliardi di
dollari, realizzando il più grande buco di bilancio dalla fine della Guerra della
Radiostazione di Gleiwitz. Nell’agosto 2011 gli Stati Uniti d’America sono arrivati
addirittura a un passo dal default quando in parlamento non si riusciva a trovare un
accordo per innalzare il tetto del debito pubblico; per la prima volta nella storia, i titoli di
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Post/teca
Stato USA hanno subito undowngrading da parte di Standard & Poor’s.
Se il debito pubblico di un Paese come gli Stati Uniti, che per difendere la propria
credibilità hanno pur sempre a disposizioni abbastanza armi da radere al suolo l’intero
globo, poteva dare dei grattacapi, figuriamoci quello di Paesi come la Grecia o l’Italia. Una
complicazione aggiuntiva è data dal fatto che mentre gli USA sono padroni della propria
moneta e quindi la Federal Reserve può intervenire in situazioni di emergenza scaricando
sul dollaro i problemi dei conti pubblici (e viceversa), la Grecia o l’Italia devono mettersi
d’accordo con gli altri Paesi della zona euro se vogliono tenere a galla i loro Stati a spese
della moneta comune. Se l’economia affonda come il Titanic, conti pubblici e stabilità della
moneta sono Rose e Jack finiti nell’acqua gelida dell’Atlantico: complici i fianchi troppo
rotondetti di Kate Winslet, se Di Caprio vuole salvarla deve starsene a mollo perché sulla
zattera improvvisata non c’è posto per entrambi. Ma quei due perlomeno si amavano
anche nel corso di un naufragio, mentre tra le borghesie europee non si può dire che si
applichi il motto «A friend in need is a friend indeed».
L’euro, armatura comune forgiata sognando tempi di vacche grasse, in tempi di vacche
magre diventa una camicia di forza proprio per le economie più deboli. Politiche monetarie
anticicliche che sulla carta sarebbero opportune per la Grecia non sono accettabili per la
Germania, che anzi pretende dai governi greci comportamenti “virtuosi” ovvero di
austerity dura, in nome dell’euro e in cambio di “aiuti” ricattatorî. Nelle volute delle
bizantine procedure decisionali dell’Unione Europa e dell’Eurogruppo si creano i vuoti
democratici adatti a contenere una moderna tecnocrazia, che negli anelli deboli del
mercato comune assume il volto di una sorta di colonialismo finanziario prussiano.
Forse porto sfiga davvero. O forse facciamo un errore di prospettiva quando confondiamo
la crisi con le sue manifestazioni, illudendoci che riguardi una certa moneta, un certo
Paese, un certo aspetto dell’economia e della politica, una certa porzione di umanità.
Siamo gli australiani della città di Darwin che il 1° settembre 1939 leggono sul giornale
della sera dell’incidente avvenuto il giorno prima alla radiostazione di Gleiwitz, in Polonia;
a chi ci dice che il problema è la voracità dell’imperialismo, non solo tedesco, dovuta alla
crisi mondiale del capitalismo iniziata nel 1929, rispondiamo che non ci interessano
discorsi astratti, ma fatti concreti e soluzioni concrete, praticabili localmente. Da vicino, le
spiegazioni generali sembrano generiche, le soluzioni complessive sembrano complicate.
Due anni e mezzo dopo, noi australiani della città di Darwin siamo morti: l’aviazione
dell’Asse ci ha bombardato con 242 aerei giapponesi. Che sfiga.
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Tocca fare un passo indietro e col rischio di sembrare scolastici ripetere verità un tempo
acquisite e oggi sepolte dall’arretramento ideologico degli anni Ottanta e Novanta. Le crisi
periodiche dell’economia capitalistica sono di regola crisi di sovrapproduzione. Qualcuno
in questi casi osserva che questa volta è diverso e non c’è sovrapproduzione. Sia lecito
soltanto ricordare che da molti decenni è chiaro anche in ambito marxista, oltre che in
qualsiasi libro di Economia Industriale, che la sovrapproduzione si manifesta nei settori
maturi del capitalismo come sovracapacità cioè sovrapproduzione potenziale. Gli
economisti spiegano che nei settori con una struttura di mercato più concorrenziale, dove
l’offerta di molte aziende cerca la sua domanda, la crisi ha la forma della sovrapproduzione
(l’esempio tipico è quello della distruzione di prodotti agricoli invenduti); nei settori,
tipicamente oligopolistici, dove la domanda crea la sua offerta, la crisi ha la forma del
mancato utilizzo degli impianti che scatena autodistruttive guerre di prezzo (qui l’esempio
tipico è il settore automobilistico, dove le poche marche presenti sul mercato mondiale
cercano di capire chi dovrà chiudere qualche stabilimento perché sia assorbita la capacità
produttiva in eccesso che oggi in Europa pare sia addirittura intorno al 30%).
Del resto, che la sovrapproduzione sia un fatto reale e non uno schema libresco di un
marxismo datato, è un fatto che chiunque può verificare facilmente se ha purtroppo a che
fare con una crisi aziendale. Quest’ultimo inverno ho avuto modo di incontrare due presidî
operai nella provincia dove abito. In entrambi i casi, tutti i dipendenti erano minacciati di
licenziamento, addirittura in una delle due fabbriche il padrone sembra fosse scappato in
un Paese dell’est. Fuori dai cancelli, c’erano i lavoratori con gli striscioni e le bandiere, con
il fuoco acceso in un bidone e con la rabbia e la solidarietà che sono il respiro e il battito del
cuore di questi momenti di lotta. Dentro i cancelli, in una fabbrica c’erano dozzine di
roulotte e camper invenduti allineati nel parcheggio che faceva da magazzino; nell’altra
c’erano migliaia e migliaia di marmitte. La crisi nel capitalismo non è come le carestie di
un tempo; le vacche non sono magre, sono obese.
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Quando l’economia reale entra o sta per entrare in questa situazione è perché si rompe la
capacità degli investimenti di generare profitto con lo stesso ritmo di prima. Siccome nel
capitalismo fare profitto aprendo una fabbrica, piuttosto che comprando dei derivati sul
mercato finanziario, piuttosto che affittando un terreno, è semplicemente un modo come
un altro di investire i propri soldi, c’è un sistema di vasi comunicanti tra il profitto,
l’interesse e la rendita. Nella misura in cui si prosciugano le occasioni di profitto
nell’economia reale, i capitali affluiscono in quella fittizia, finché le bolle che lì si creano
non scoppiano a loro volta. D’altronde, per via di quella che Lenin chiamava «la fusione
delle banche con lo Stato», le difficoltà della finanza privata non possono lasciare indenne
la finanza pubblica. La crisi di sovrapproduzione/sovracapacità diventa crisi bancaria
diventa crisi del debito sovrano diventa crisi valutaria. Non è sfiga!
Nel 2001 un’americana che conosco mi scrisse che l’attentato alle Torri Gemelle
dimostrava… la necessità di limitare la vendita dei biglietti aerei a persone di provata
fiducia. Questo semplicismo può sembrare ingenuo, ma che dire allora di quei sapientoni
che nel 2008 sostenevano su autorevoli giornali che la cosiddetta crisi dei mutui subprime
dimostrasse la necessità di controllare meglio certi derivati finanziari? (E i più spudorati
avranno anche detto che «non van più fatti i mutui ai negri».) Come se il problema
iniziasse e finisse in quegli uffici dove con un timbro e una firma frettolosa si accendevano
mutui-spazzatura che poi venivano inoculati in prodotti finanziari diversificati che ne
nascondevano la tossicità…
Quando la crisi ha cominciato a mandare in tilt il mercato dei debiti sovrani, ad ogni punto
di spread si ripeteva sugli stessi giornali la formula magica di tagliare i costi morti dello
Stato; ancora una volta, come se il problema iniziasse e finisse quando i parlamentari
schiacciano il pulsante verde per votarsi l’ennesimo aumento di stipendio…
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Nel 2012 il frame dominante del discorso pubblico sulla crisi in Italia sta diventando un
altro: l’uscita dall’euro. L’Italia è uno dei pochi Paesi d’Europa dove gli euroscettici hanno
sempre contato poco o niente; la stessa Lega Nord che qualche volta borbottava contro
l’euro non ha mai alzato la voce su questo tema. Anche a sinistra l’europeismo, con qualche
o nessun distinguo, l’ha sempre fatta da padrone. Il primo governo Prodi ci ha portato
nell’euro attuando un massacro sociale, con l’assenso nei fatti dei sindacati e di tutta la
sinistra parlamentare. Ciò ha creato – e giustamente – forti lacerazioni. Ricordo un muro
(o era uno striscione?) con la scritta «Per l’Europa sociale», ambiguo slogan utilizzato per
dire sì all’Unione Europea idealmente ma no all’Unione Europea immanente; qualcuno
aveva sbarrato l’ultima lettera e aveva corretto «sociale» in «socialista», trasformandolo
nella parola d’ordine contrapposta dai più “duri”, che dicevano che l’Unione Europea era
dei padroni e quindi irriformabile. La cosa buffa è che chi aveva corretto lo slogan non
aveva corretto la firma: faceva evidentemente parte di un’ala diversa della stessa
organizzazione.
Un dibattito tardivo è un dibattito cattivo. Lasciamo pure perdere riformisti,
socialdemocratici impenitenti, burocrati sindacali e politicanti del centrosinistra: per
costoro, sventolare la bandiera blu con le dodici stelle è una conseguenza logica del loro
collocamento tutto interno alla logica del capitalismo europeo. Quelli che ci interessano
sono invece i nodi irrisolti nel dibattito sull’Europa e sull’euroall’interno della sinistra di
classe e di movimento. Siamo arrivati al 2012 senza esserci mai chiariti le idee su questo
tema, fatte salve alcune analisi più acute e profetiche che non sono purtroppo diventate
patrimonio comune di un’area abbastanza ampia. Oggi ci svegliamo con Beppe Grillo che
capitalizza facili consensi sulla proposta raffazzonata di ritorno alla lira e improvvisamente
siamo reclutati frettolosamente in una delle due tifoserie contrapposte: quelli che tengono
per l’euro contro quelli che tifano lira. Riproduciamo in una forma più provinciale e
banalizzata una discussione che spacca la sinistra greca.
Cosa c’è che non va in questo frame? C’è che la causa della crisi e dell’austerity non è
l’euro. Abbiamo visto che la crisi è iniziata negli Stati Uniti, dove tutti gli indizi fanno
ritenere che la moneta a corso legale sia il dollaro. Abbiamo visto che la crisi ha colpito la
Gran Bretagna, un arcipelago europeo in cui si usano banconote con la faccia della regina
Elisabetta II. Tutti i Paesi dell’Unione Europea sono stati in recessione almeno un anno
dall’inizio della crisi, con una sola eccezione (la Polonia), a prescindere dal fatto di avere o
non avere l’euro. Anche i Paesi europei fuori dall’Unione sono stati colpiti, la Serbia è
tuttora in caduta libera e addirittura la solidissima Svizzera, dopo aver avuto seri problemi
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Post/teca
nel 2009 (PIL -1,9%) ed essersi ripresa, è a rischio di una seconda recessione nel 2012.
Gli economisti “eterodossi” che propugnano come soluzione l’uscita dall’euro, la
svalutazione competitiva della dracma o della lira e un sano intervento statale per
rilanciare i consumi, magari finanziando il deficit pubblico con il gentile aiuto della banca
centrale nazionale, in primo luogo non sono poi così eterodossi (sono idee vecchissime su
come salvare il capitalismo da sé stesso), in secondo luogo la fanno troppo semplice.
Sembrano credere che la crisi sia il frutto di una follia collettiva chiamata monetarismo o
liberismo, e in particolare della cocciutaggine della BCE e di Angela Merkel.
Assecondare queste idee può sembrare molto rivoluzionario ma in realtà significa ritenere
che il capitalismo sia un sistema ancora funzionale, che si è semplicemente un attimo
inceppato in una manciata di Paesi del nostro continente per colpa della moneta comune.
Se diciamo questo stiamo credendo che Hitler si sia davvero preso tanto a cuore la
radiostazione di Gleiwitz.
Sia chiaro, il discorso vale a maggior ragione per gli innamorati dell’euro. Un aspetto
positivo di questa ventata di euroscetticismo è che si spera metta il mordacchio alle tante
scemenze da bar che ci siamo sorbiti negli ultimi anni: «Senza euro saremmo in Africa»…
come la Svezia? «Senza euro la crisi ci avrebbe distrutto»… e invece cosa è successo?
Al tempo stesso è utopistico credere che gli effetti catastrofici della rottura dell’euro siano
fandonie profetizzate soltanto per fare terrorismo psicologico contro i greci. Chi sostiene la
dracma o la lira spiega che in fondo una svalutazione anche notevole può non riflettersi in
un’inflazione galoppante, perché non tutto viene importato e quindi anche se importare
diventasse più costoso del 50% non tutto questo aumento dei costi si ripercuoterebbe sui
prezzi, ma magari solo un 5-10%. Per esempio, se un greco comprasse un pesce pescato nel
mar Egeo da una nave greca e processato da una ditta greca, il prezzo del pesce in dracme
non schizzerebbe in alto, salvo un pochino in più per l’aumentato costo del carburante
usato dalla nave e dalla fabbrica.
Questo discorso dimentica completamente il contesto internazionale. Se l’euro si spacca,
con la Grecia che se ne va sbattendo la porta (ovvero ripudiando una parte del suo debito
verso le banche francesi, tedesche, italiane ecc.), qualcuno crede che i capitalisti tedeschi e
francesi osserveranno compiaciuti l’export della Grecia crescere grazie ad una dracma
svalutata? L’Economist non la manda a dire:
«I pochi rimasti nell’euro […] avrebbero uno svantaggio competitivo […]
Oltre a imporre controlli sui capitali, i Paesi attuerebbero una ritirata verso
l’autarchia, innalzando barriere doganali per rappresaglia. La
sopravvivenza del mercato unico europeo e della stessa UE sarebbe
minacciata».
Non si può discutere di economia monetaria come se fossimo di fronte a un esperimento
da laboratorio sulla manipolazione dei tassi di cambio invece che nel bel mezzo di una crisi
epocale – anche perché le cavie potrebbero avere qualcosa da ridire.
Inoltre, siamo sicuri che la questione del tasso di cambio tra monete, e quindi della moneta
unica o della moneta nazionale, riguardi soprattutto l’export e l’import di beni e servizi,
ovvero la bilancia commerciale? Gli stessi che tuonano ogni istante contro la
finanziarizzazione dell’economia, quando si parla di politica monetaria sembrano
improvvisamente dimenticarsene. Il motivo principale per cui al mondo si convertono euro
in dollari o yuan in franchi svizzeri non è per comprare beni di consumo: è per speculare
(cioè per rivenderli quando il prezzo sarà risalito) o per acquistare capitale. I flussi di
capitale e in particolare di capitale azionario sono più importanti della bilancia
commerciale nel determinare quali monete sono forti e quali deboli.
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Post/teca
Gli aspetti veramente drammatici di un’uscita dall’euro in un contesto capitalistico
sarebbero dovuti ai flussi di capitale, speculativi e non. Nel 2010 16 miliardi di dollari di
capitale azionario di imprese greche era in mano straniera, uno stock equivalente al 5% del
PIL annuo; d’altronde gli stessi capitalisti greci non si faranno certo scrupoli patriottici
nell’investire all’estero se l’andamento dei cambi lo renderà più vantaggioso. La fuga dei
capitali, specialmente se accelerata da meccanismi di panico degli investitori o addirittura
di sabotaggio cosciente da parte dei grandi gruppi finanziari, è la vera questione che
dovrebbe affrontare un governo che decidesse il ritorno alla dracma. Questo dovrebbe
preoccupare a maggior ragione i nostalgici della lira qui da noi, dove lo stock di
investimenti esteri si aggira attorno al 12% del PIL.
Con questo sto dicendo che per evitare di mettere in fuga i capitalisti bisogna stare a tutti i
costi nell’euro? Assolutamente no. Sto dicendo che non esiste una via d’uscita che non si
ponga il problema di chi controlla i flussi di capitale, cioè di chi possiede i mezzi di
produzione. Per questo motivo non esistono né in Italia né in Grecia dei settori importanti
della classe imprenditoriale che tifino per la lira o per la dracma: perché sanno che per
loro non esiste una via sensata di sviluppocapitalistico alternativo all’austerity e
all’adeguamento alle politiche della BCE. Del resto, se anche una tale via fosse praticabile a
modo loro, lo sarebbe solo a costo di attacchi ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati
altrettanto duri di quelli che implica il rispetto dei vincoli dell’euro: dal punto di vista dei
lavoratori, la lotta all’austerity dell’euro si trasformerebbe in lotta per la difesa dei salari
reali dall’inflazione e lotta per la difesa dei posti di lavoro dalla fuga di capitali. È un nuovo
ring per lo stesso match.
Paradossalmente, gli unici a credere ad un capitalismo dal volto umano in Europa sono
quegli spezzoni della sinistra radicale ex/post/neo-comunista che non hanno il coraggio di
parlare apertamente di rivoluzione sociale; attorno alle loro ambiguità vegeta un
sottobosco di economisti neokeynesiani, di strateghi del default amichevole, di complottisti
o semicomplottisti che possiamo etichettare come signoraggisti, fautori delle “monete di
popolo”, rossobruni o guru “iperkeynesiani” della Modern Money Theory.
L’Europa è oggi al bivio tra declino e rivoluzione. Mutatis mutandis, i
processi su scala continentale in corso dalla fine del XX secolo in America Latina ci
suggeriscono il tipo di quadro con cui dovremo confrontarci. Si noti, a questo proposito,
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Post/teca
che l’uscita (realizzata o rivendicata) di alcuni Paesi latinoamericani dalla dollarizzazione è
stata talvolta parte di processi rivoluzionari, talvolta semplicemente una misura
d’emergenza che si è imposta in un quadro di conservazione del sistema esistente,
facendone pagare i costi sociali alle masse. Viceversa, il governo bolivariano del Venezuela,
che non può certo essere accusato di essere amico degli yanqui, tenta di mantenere un
tasso di cambio fisso col dollaro; l’aggancio al dollaro è stato deciso da Chávez proprio in
risposta ai tentativi controrivoluzionari del 2003 ed è stato duramente criticato e sabotato
dalla Confindustria venezuelana. Anche nel periodo della Guerra Fredda, il rublo sovietico
e altre monete del blocco orientale erano spesso poste in parità con valute dei Paesi
imperialisti occidentali, di solito la sterlina. Cito apposta Paesi di questo genere perché
sovente sono mitizzati da certi ambienti del movimento e della sinistra: speriamo che
questo faccia sorgere in loro il dubbio che il nesso tra anticapitalismo e libera fluttuazione
dei cambi sul mercato non si ponga nei termini in cui lo rappresentano. Sarebbe peraltro
curioso che, sventolando bandiere rosse nelle piazze, ci appellassimo alla mano invisibile
del mercato arrivati alla soglia delle agenzie di cambio.
Sto dicendo, insomma, di ribaltare i termini della questione. Non si tratta di cercare
scampo all’austerity nel ritorno a monete nazionali svalutate; si tratta di rifiutare
l’austerity, lo strangolamento per debiti, la distruzione della società causata dalla crisi
economica, portando questo rifiuto fino alle sue estreme conseguenze. Tra queste
conseguenze, certo, c’è con ogni probabilità la rottura non solo dell’euro ma anche di tutti
gli altri trattati europei, atlantici e del Fondo Monetario Internazionale. Infatti rompere la
garrota del debito che costringe all’austerity significa attuare un default non negoziato,
rifiutando ai grandi creditori nazionali e stranieri il pagamento di interessi usurai e
parassitari. Lo stress che questo imporrebbe alle banche nazionali ne imporrebbe
l’immediata nazionalizzazione; d’altronde questo tabù l’hanno rotto i padroni per primi e
non si capisce perché la nazionalizzazione truffaldina di Northern Rock vada bene mentre
nazionalizzare il sistema bancario nell’interesse della massa della popolazione debba essere
considerato sacrilego. Nazionalizzare il sistema creditizio apre immediatamente la strada
al controllo delle leve fondamentali dell’economia di un Paese, perché al giorno d’oggi i
grandi gruppi industriali e commerciali, come la grande proprietà fondiaria e immobiliare,
sono tutti in una posizione subordinata rispetto alle banche. Del resto, la fuga di capitali e
le delocalizzazioni andrebbero contrastate con misure drastiche di controllo, che
entrerebbero in sinergia con lotte dal basso, per esempio le occupazioni di fabbriche e di
uffici che si stanno moltiplicando anche in Europa via via che la crisi minaccia con la
chiusura dei luoghi di lavoro la vita di milioni di famiglie operaie e impiegatizie.
Avanzare un programma di questo genere significa rompere con l’euro, nei Paesi dove c’è
l’euro, ma anche rompere con qualsiasi altro assetto di potere nei Paesi dove non c’è. La
questione valutaria diventa una mera variante tattica di un’uscita rivoluzionaria dalla crisi
che si pone in termini simili in tutti i Paesi; anzi, rifiutarsi di porre un programma simile
come se il suo perno fosse l’uscita dall’euro significa porlo già in chiave internazionale,
ovvero evitare di sostenere che la soluzione della questione greca o italiana vada trovata
entro i confini della Grecia o dell’Italia. Non stiamo dicendo alle masse dell’Europa in crisi
che ce ne andiamo e lasciamo a loro la patata bollente, stiamo proponendo una soluzione
che può e deve essere emulata. Non credo alla rivoluzione sovranazionale simultanea, ma
credo all’effetto domino. Non sarebbe la prima volta. Non avrebbe infatti molto fiato una
Grecia rivoluzionaria nel bel mezzo di un’Europa ostile e incarognita se non fosse l’innesco
di un processo di trasformazione sociale su scala perlomeno continentale.
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Post/teca
Sono allucinazioni? La crisi ha solo sbocchi di destra? Chi pensa così legga il programma di
Syriza, la coalizione di sinistra che forse vincerà le elezioni greche tra qualche giorno. I fatti
contano più delle parole e le azioni di governo contano più della carta straccia dei
programmi elettorali, ma è chiaro che il fatto che in Europa si possano vincere elezioni con
un programma del genere è come minimo indicativo di una consapevolezza di massa in
Grecia sulla necessità di misure radicali e anticapitaliste come unica alternativa
all’austerity e al declino per debito. Guardiamo all’aspetto dinamico del processo, non
all’istantanea del punto a cui siamo arrivati finora. Una rivoluzione non è l’assalto di un
gruppo compatto di rivoluzionari ai palazzi dei padroni, una rivoluzione stravolge e
trasforma anche gli stessi gruppi che intendono guidarla o che si trovano loro malgrado a
farlo: i punti più acerbi e utopici (mi riferisco in particolare al 2, che propone in sostanza
una riforma della BCE) saranno i bastioni delle tendenze più moderate all’interno di
Syriza, i punti più audaci (quelli che parlano di nazionalizzazioni, di diritti dei lavoratori, di
uscita dalla NATO e dalle missioni di guerra) saranno agitati dalla base radicalizzata e dagli
hardliner.
Il Partito Comunista Greco (KKE) nel trattare Syriza alla stregua di un François Hollande
qualsiasi sta probabilmente sbagliando la bracciata e rischia di essere punito severamente
dalle masse nelle urne e nella società. Ponendo la dracma come criterio discriminante e di
fatto come pretesto per non formare un fronte unitario traccia una linea divisoria che non
rappresenta correttamente i due lati della vera barricata.
Ad ogni modo, comunque la si pensi rispetto al dibattito nella sinistra greca, questi temi
sono destinati ad uscire dalle nostre assemblee ristrette e dai siti web “d’area” per
diventare argomenti di confronto politico quotidiano anche nel nostro Paese. A dispetto di
tutti i ritardi politici e culturali che l’Italia si porta dietro, i fatti avranno la testa più dura
della zucca di legno di tanti dirigenti politici e sindacali; il tipo di temi su cui litigheremo o
ci scopriremo compagni sono questi e non altri; iframe tossici sono destinati ad essere
smontati uno dopo l’altro. Una rivoluzione consiste prima di tutto in milioni di persone
comuni che iniziano a discutere di politica volando alto rispetto alle miserie del gossip
parlamentare. Il primo passo di una rivoluzione è quando si cerca una spiegazione
collettiva alle sfighe individuali.
Le sfighe che ci stanno colpendo sono parecchie, ma hanno una causa e una soluzione
comune. Prepariamoci a parlare un bel po’.
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Post/teca
fonte: http://www.wumingfoundation.com/giap/?
p=8128&utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+giap+%28giap
%29
-----------------------rivoluzionaria:
“Filastrocca impertinente,
chi sta zitto non dice niente;
chi sta fermo non cammina;
chi va lontano non s’avvicina;
chi si siede non sta ritto;
chi va storto non va dritto;
e chi non parte, in verità,
in nessun posto arriverà”
— Gianni Rodari, Filastrocca impertinente
--------------------senza-voce ha rebloggato le20e8minuti:
“Tutti possono essere passionali, ma ci vuole il vero amore per essere stupidi.”
— {Rose Frenken. (via le20e8minuti)
-----------------thatwasjustyourlife:
Io vorrei tanto amarti, ma lo sai non posso! Dovresti sempre essere in competizione con il
mare, il profumo dei libri, la pizza, il caffè la mattina, Jared Leto e le mie converse. Ma
soprattutto col mare...e chi è più bello del mare?
quotidianafollia
----------------lalumacahatrecorna:
"ho paura del terremoto, vieni a dormire da me? magari porti un
film?"
mi sono presentata con “magnitudo 10.5”
----------------cartavetrata:
Grossa grisi.
Sono passato dalle sigarette confezionate al tabacco da rollare. Tra poco mi costringeranno a
passare alla raffinazione del petrolio grezzo nel bidet.
--------------------curiositasmundi ha rebloggato batchiara:
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Post/teca
“non si fanno le classifiche del dispiacere, ma che questa cosa sia capitata proprio ai
carpigiani e ai modenesi mi dispiace proprio, che sia capitata proprio a loro, dico. E’ come se
fosse terremotata la bella di bella ciao”
— azael su FriendFeed (via ridopoco)
Fonte: friendfeed.com
--------------curiositasmundi ha rebloggato metaforica:
“Ogni grande opera d’arte ha due facce una per il proprio tempo e una per il futuro per
l’eternità.”
—
Daniel Barenboim (via metaforica)
--------------------rispostesenzadomanda ha rebloggato curiositasmundi:
Il Decalogo del terremotato (e della terremotata) consapevole
3nding:
1) Non disperdetevi come comunità e non fatevi mettere gli uni contro gli altri;
2) Restate in sicurezza, ma non lasciatevi allontanare dalle vostre case e dalle vostre proprietà;
3) Non fatevi rinchiudere in campi recintati con la scusa di essere protetti;
4) Mantenete la vostra consapevolezza e autonomia;
5) Vi convinceranno che non siete autosufficienti e proveranno a ospedalizzarvi: non lo permette!
Ogni gesto quotidiano deve restare vostro;
6) Non fatevi raccontare dai media quello che vi succede, siate protagonisti dell’informazione e
diffondetela voi, i mezzi non mancano;
7) Chiedete da subito controllo e trasparenza sulla gestione di tutto quello che vi riguarda:
solidarietà, aiuti, fondi ecc.
8) Fate che l’emergenza non diventi lungodegenza: ai commissari fa comodo, alla vostra comunità
no;
9) Pretendete di partecipare da subito a ogni scelta sul vostro futuro;
10) Non lasciate devastare il vostro territorio con la scusa della ricostruzione.
Fonte: 3e32.com
---------“E adesso aspetterò domani
per avere nostalgia
signora libertà signorina fantasia
così preziosa come il vino così gratis come la tristezza
con la tua nuvola di dubbi e di bellezza.”
— Se ti tagliassero a pezzetti - Fabrizio De Andre`
---------strategismo ha rebloggato chediomifulmini:
Certe cose non cambiano
chediomifulmini:
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Post/teca
A: Ho fatto una sudata in bici…
B: Come ieri…
A: Ma ieri non sono venuta in bici…
B: Come ieri non me ne frega un cazzo…
Novantadue minuti di applausi!
----------
Ma se ci penso
Era partito senza un soldo,
erano già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per mettere i denari in banca
e potersene un giorno venire in giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per darci una schienata sera e mattina.
Ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova, cosa ci vuoi tornare?!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.
Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!" "Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stufo e non ne posso proprio più,
sono stanco di sentire señor carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non mi mollo!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
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Post/teca
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove ho mia nonna.
E senza tante cose è partito
e a Genova ci ha formato di nuovo il suo nido.
- Verscion de Mario Cappello
Ma se ghe penso
O l'ëa partio sensa ûn-a palanca,
l'ëa zâ trent'anni, forse anche ciû.
O l'aveiva lottou pe mette i dinæ a-a banca
e poèisene ûn giorno vegnî in zû
e fäse a palassinn-a e o giardinetto,
co-o rampicante, co-a cantinn-a e o vin,
a branda attaccâ a-i ærboi, a ûso letto,
pe daghe 'na schenâ séia e mattin.
Ma o figgio o ghe dixeiva: "No ghe pensâ
a Zena, cöse ti ghe vêu tornâ?!"
Ma se ghe penso alloa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti e a ciassa da Nonsiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,
veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu...
Riveddo a séia Zena illûminâ,
veddo là a Foxe e sento franze o mâ
e alloa mi penso ancon de ritornâ
a pösâ e osse dov'ò mæ madonnâ.
E l'ëa passou do tempo, forse troppo,
o figgio o l'inscisteiva: "Stemmo ben,
dove ti vêu andâ, papà?.. pensiemo doppo,
o viägio, o mâ, t'é vëgio, no conven!" "Oh no, oh no! me sento ancon in gamba,
son stûffo e no ne posso pròprio ciû,
son stanco de sentî señor caramba,
mi vêuggio ritornamene ancon in zû...
Ti t'é nasciûo e t'æ parlou spagnollo,
mi son nasciûo zeneize e... no me mollo!"
Ma se ghe penso alloa mi veddo o mâ,
veddo i mæ monti e a ciassa da Nonsiâ,
riveddo o Righi e me s'astrenze o chêu,
veddo a lanterna, a cava, lazzû o mêu...
Riveddo a séia Zena illûminâ,
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veddo là a Foxe e sento franze o mâ
e alloa mi penso ancon de ritornâ
a pösâ e osse dov'ò mæ madonnâ.
E sensa tante cöse o l'è partïo
e a Zena o gh'à formóu torna o so nïo.
- Lëzi o têsto originale
fonte: http://digilander.libero.it/paolore2/cult_tradiz/maseghe.html
-----------microsatira:
Draghi, presidente BCE, ai leader europei: «Cosa sarà l’Europa tra 10 anni?». La città più popolosa
della Cina.
----------alfaprivativa ha rebloggato kan3l:
“Ci somigliavamo come due gocce d’acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi.”
— Salvador Dalí
---------
Un inserto
al femminile
Per la prima volta in una storia ultracentenaria, da oggi "L'Osservatore Romano" pubblicherà, nel
numero dell'ultimo giovedì di ogni mese, un inserto femminile. Quattro pagine interamente a colori,
ideate e curate con passione e gentile determinazione da alcune colleghe, per allargare lo sguardo
del giornale della Santa Sede a "donne, Chiesa, mondo". Così infatti si intitola questa nuova
iniziativa, aperta a una realtà fondamentale nella tradizione cristiana e che vuole idealmente
allargarsi a cerchie sempre più ampie, con un respiro internazionale e anche al di là dei confini
visibili del cattolicesimo mondiale. Grazie pure alla collaborazione di firme non cattoliche.
La ricerca storica sta mostrando quanto l'emancipazione e la promozione delle donne debbano al
cristianesimo fin dalle sue origini, nonostante contraddizioni dovute nei secoli soprattutto ai contesti
culturali e oggi a persistenti pregiudizi. E se la presenza femminile nella Chiesa è sembrata in alcuni
periodi in ombra, non per questo essa è stata meno importante. Nella seconda metà del Novecento
poi il riconoscimento di questa componente da parte della Santa Sede si è fatto più deciso, come nel
1963, quando il nuovo protagonismo delle donne nelle società, soprattutto di tradizione cristiana,
viene riconosciuto da Giovanni XXIII come uno dei "segni dei tempi".
Sarà poi Paolo VI nel 1964 a invitare, con una decisione senza precedenti, alcune donne a prendere
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Post/teca
parte al concilio Vaticano II e, nel 1970, a proclamare dottori della Chiesa due sante come Caterina
da Siena e Teresa d'Avila, seguito da Giovanni Paolo II che farà altrettanto con Teresa di Lisieux nel
1997 e da Benedetto XVI, che ha deciso questa solenne definizione per una delle più grandi donne
del medioevo, Ildegarda di Bingen. A conferma di una presenza irrinunciabile e preziosa nella
Chiesa di Cristo.
L'inserto pone esplicitamente la nuova iniziativa sotto il segno di Maria, la creatura umana più
perfetta che davanti al mistero di suo figlio, rivelazione definitiva, "confrontava tutte queste cose
nel suo cuore". Nel vangelo di Luca l'espressione richiama la riflessione che, nella versione greca
della Scrittura ebraica, suscitano i sogni di Giuseppe e di Daniele. Ma con l'aggiunta di un verbo,
che accentua il protagonismo silenzioso di Maria, che si apre all'unica realtà che conta.
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 31 maggio 2012)
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Il maestro Lodi alla scuola di Barbiana
Era l’agosto del 1963. Mentre stavo in villeggiatura in Toscana, l’amico giornalista Giorgio Pecorini mi propose di andare a far visita
a un prete, don Lorenzo Milani. Non lo conoscevo. Pecorini mi ha portato in macchina sull’Appennino. Arrivato a Barbiana, il mio
primo contatto è stato con i ragazzi. Stavano sotto il pergolato, studiando, scrivendo, facendo cose varie. C’era anche un gruppo a
sguazzare in una piscina. Seppi che l’avevano costruita loro. Io vedevo dei ragazzi che si divertivano, ma per don Milani il nuoto era
un apprendimento utile, che poteva «servire per la vita». Poi ci fu l’incontro con il “Priore”. Provenivamo da due esperienze diverse.
L’esperienza mia era collegata al Movimento di Cooperazione Educativa, nato quando l’Italia aveva “voltato pagina”. Era passata
dalla dittatura alla guerra poi alla pace e alla nuova vita democratica. Si trattava, a nostro giudizio, di introdurre anche nella scuola i
principi della democrazia, di realizzare a partire dalla scuola la società dei pari, degli uguali. La scuola era ancorata al vecchio
modello, il modello verticistico, trasmissivo, “televisivo” in anticipo: io preparo i programmi, tu devi assorbirli e basta. Non devi
pensare, non devi creare: questo era il messaggio complessivo. Noi volevamo cambiare quella scuola, per metterla al servizio della
democrazia.
Don Lorenzo invece era stato formato dalla Chiesa. L’esperienza l’aveva fatta dentro la Chiesa, attraverso il suo apostolato, se così si
può dire. Ma io lo trovai curiosissimo a riguardo della mia attività di maestro. Il motivo credo di averlo capito. Anche se i nostri
percorsi erano stati diversi, tutti e due avevano lo stesso fine: creare un popolo libero, che sapesse ragionare, pensare, essere artefice
del proprio futuro. Alla fine della giornata, don Milani volle che mi fermassi a dormire a Barbiana. Anche il secondo giorno fu pieno
di domande. Don Lorenzo voleva sapere com’era la nostra scuola: quante ore lavoravamo, se facevamo scuola anche la domenica, se
facevamo delle attività extra che non si facevano a Barbiana. Insomma, tantissime domande per sapere com’era l’Italia al di fuori dei
confini di quella piccola parrocchia trasformata in scuola. Spiegai tutte le cose che facevamo nel Movimento di Cooperazione
Educativa, seguendo l’esempio di Célestin Freinet. È stato Freinet a introdurre nella scuola il testo libero, il calcolo vivente, la
corrispondenza, le attività artistiche, eccetera.
Alla fine dei due giorni, don Milani disse che doveva decidere se collaborare con noi oppure no. Era tentato dalla corrispondenza.
Avrebbe voluto fare con i suoi ragazzi una prova dell’arte dello scrivere, come diceva lui, preparando una lettera nella quale
trovassero posto i pensieri di tutti, dal più grande al più piccolo. Salutandoci disse: «Siamo in agosto. Se decideremo di tenere una
corrispondenza con voi, vi arriverà una lettera tra il Primo e il Quattro novembre». Non ho mai capito il perché di quel periodo
preciso. Comunque, entro il tempo stabilito arrivò la lettera datata 2 novembre. Si trattava in realtà di due lettere, la sua, nella quale
spiegava come aveva lavorato assieme ai bambini e la lettera dei ragazzi, che descrivevano la loro scuola e spiegavano perché la
frequentavano. Questo modo di scrivere, di utilizzare i ragazzi con la freschezza del loro linguaggio infantile per dire cose importanti,
era la prima provo di un metodo che avrebbe poi prodotto la Lettera a una professoressa.
Ricordo che nello stanzone usato da don Milani per fare scuola, erano esposti gli articoli della Costituzione: lo notai perché io avevo
fatto lo stesso nella mia aula. A Barbiana gli articoli più in evidenza erano l’articolo 11 e il 21. L’undici perché dice che «l’Italia
ripudia la guerra». Don Milani ebbe poi, proprio su questo, un duro scontro – e anche guai giudiziari – con alcuni cappellani militari
in congedo. C’era anche l’articolo 21, il quale dice che tutti (tutti quindi, non tutti tranne i bambini) hanno diritto di esprimere il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo. Si capisce: ogni altro mezzo che la società tecnologica mette a
disposizione. Perciò, stando a quell’articolo, avremmo anche il diritto di usare la televisione. Se solo ce lo concedessero. E invece
questa televisione, a mio parere, ci vuole muti. Don Milani, al contrario, ha speso la sua vita per «dare la parola». Nel 1963 don
Lorenzo era già malato. Non ho più avuto l’occasione di incontrarlo.
(testimonianza raccolta da Sandro Lagomarsini il 18 aprile 2009)
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Post/teca
Mario Lodi
fonte: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/Il-maestro-Lodi-alla-scuola-di-Barbiana.aspx
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