Rosa `a posta

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Rosa `a posta
Rosa ‘a posta
Mi chiamo Rosa Pagano e sono nata nel 1920. A Ravello tutti mi conoscono come
Rosa ‘a posta perché ho trascorso gran parte della mia vita lavorando presso l’ufficio
postale del paese.
In famiglia eravamo in sette e vivevamo nel cortile in Via Trinità a Ravello, into ‘o
curtiglio. Nel cortile s’affacciavano e s’intrecciavano le vite di ben tredici famiglie:
eravamo in tanti, tutti uniti, ci volevamo davvero bene. Capitava spesso che tra di noi
scambiassimo un piatto di pasta e fagioli con uno di pasta e patate, che recitassimo il
Santo Rosario insieme, che un adulto badasse non solo ai suoi bambini, ma anche a
quelli degli altri. Condividevamo tutto, anche la nostra miseria.
Mio padre era il portalettere di Ravello e per questo, già a sette anni, iniziai ad andare
con lui nell’ufficio postale.
Intanto continuavo ad andare a scuola. Noi bambini avevamo molto rispetto delle
maestre, loro c’insegnavano non solo a leggere e a scrivere, ma anche la buona
educazione. La maestra Adele a volte ci puniva e a volte ci premiava leggendo due o
tre pagine dal Libro Cuore.
Frequentando l’ufficio postale imparai pian piano ad utilizzare il telegrafo. A dieci anni
conoscevo già l’alfabeto Morse, telegrafavo e consegnavo i telegrammi in giro per il
paese; potevo fare solo quello visto che non ero ammessa come impiegata. A volte
portavo i telegrammi anche giù a Torre di Civita dove viveva il Principe Marsico Novo.
Era una sfacchinata arrivare fin lì, scendevo per S. Cosma, per le scale del Petrito e
d’estate avevo paura di incontrare i serpenti, lungo quel sentiero se ne vedevano
spesso. Poi da Civita risalivo a Ravello e consegnavo a papà quei pochi centesimi di
mancia ricevuti dal Principe.
Papà vendeva anche i giornali, ma non aveva un locale dove esporli, un’edicola, quindi
dava i giornali a me ed io facevo lo strillone andando per tutta la piazza e li vendevo.
Si può dire che io sia cresciuta nell’ufficio postale di Ravello, vi ho sempre lavorato, fin
da bambina. Compiuti diciotto anni fui finalmente assunta regolarmente e ricordo
ancora quando la titolare dell’ufficio mi diede il primo stipendio: 30 lire.
Nei primi anni ‘30, l’ufficio postale era in Piazza Duomo dove oggi c’è il tabaccaio: in
un unico locale, molto piccolo, c’erano Posta, Telegrafo e Telefono. Io cercavo di
imparare un po’ di tutto, facevo anche la telefonista.
Il telefono dell’epoca era enorme se paragonato a quelli attuali, era come un grande
cassettone con i numeri, con dei buchi e delle spine che si inserivano nelle prese
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quando si volevano chiamare i numeri dei vari abbonati. Ricordo ancora i primi
abbonati di Ravello, erano pochissimi: numero 1 Hotel Caruso, numero 2 Hotel
Palumbo, numero 3 Barone Compagno, numero 4 Pantaleone Fraulo, numero 5
Municipio, numero 6 Duca di Sangro, numero 7 Amalfi.
Per l’ufficio postale di Ravello era fondamentale comunicare con quello di Amalfi, per
chiamare un numero di Salerno, lo comunicavamo ad Amalfi che poi ci dava la linea
con Salerno.
Il telefono dell’ufficio postale oltre ad essere così grande, era posto in alto ed io,
essendo piccola, salivo su una sedia per poter rispondere. In quegli anni Ravello non
era ancora amministrata dai sindaci, ma dai commissari prefettizi e ancora ricordo che
il commissario prefettizio del tempo, vedendomi in piedi sulla sedia vicino al telefono,
mi diceva: “Rosina, mi sembri il topo che sta appeso al pezzo di lardo!”. A Ravello tutti
mi chiamavano Rosina.
Dal mio ufficio in Piazza Duomo, sono stata spettatrice, e un poco anche attrice, di
tanti avvenimenti storici e mondani.
Nel 1938 a Ravello arrivò Greta Garbo, fu un evento memorabile. Lavorando alla
postazione telefonica, conobbi tutti i giornalisti e le persone che erano sulle tracce
della Divina. In quel periodo mio padre consegnava sacchi pieni di lettere a Villa
Cimbrone dove la Garbo alloggiava nella riservatezza più totale, cercando di non farsi
vedere in giro per il paese.
Per qualche mese, nel 1940, andai a lavorare nell’ufficio postale di Amalfi per fare
carriera, avrei potuto diventare titolare di un ufficio postale. Ero ad Amalfi il 10 giugno
del 1940, quando Mussolini dichiarò la guerra. Ad Amalfi conobbi tante persone, ebbi
tanti ammiratori, Gaetano Afeltra mi fece la corte.
Dopo qualche mese fui richiamata all’ufficio postale di Ravello dove poi rimasi fino alla
pensione.
Nel 1944, l’anno in cui a Ravello soggiornò il Re Vittorio Emanuele III con la Regina
Elena, l’ufficio postale fu chiuso per un breve periodo, non ricordo bene il perché.
In quell’anno andai a lavorare nel bar di mio cognato, e così feci anche la barista.
Nel bar venivano i soldati americani, gli ufficiali del Re e anche diverse autorità tra le
quali l’Ambasciatore del Re.
Nel ’44 a Ravello c’erano molti soldati americani, tutte le camere degli alberghi erano
requisite per loro, avevano affittato anche delle case private.
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C’erano anche molti ufficiali del Re, si vedevano piantoni in ogni strada, per
avvicinarsi al Palazzo Episcopio dove il Re era ospite del Duca di Sangro c’era bisogno
di un permesso.
Un’ordinanza cittadina obbligava i due bar allora esistenti a Ravello a chiudere alle
19:00 per evitare che i soldati americani si ubriacassero bevendo fino a tardi. Eppure
era proprio di sera che nei bar avremmo potuto lavorare di più. Un giorno feci
presente questo problema all’Ambasciatore del Re che veniva spesso al bar a prendere
un caffè o un tè ed il mattino seguente una nuova ordinanza cittadina prolungò l’orario
di apertura dei bar fino alle 21:00.
Dopo l’esperienza come barista ritornai a lavorare alle Poste: vi ho prestato servizio
per 40 anni, ma in realtà sono molti di più se si considera che ho iniziato a
frequentare l’ufficio postale fin da bambina. A Ravello conosco madri, padri, nonni e
quando andai in pensione dispiacque a tutti, perché, soprattutto nei primi anni della
mia assunzione, quasi nessuno sapeva compilare un vaglia o scrivere su un pacco, ed
io lo facevo per tutti.
Ravello, Marzo 2007
Francesca Esposito
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